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1 Indice Introduzione p. 3 1 Capitolo: Inquadramento diagnostico della depressione post-partum p. 5 1.1 Sistemi di classificazione p. 5 1.1.1 DSM-IV-TR p. 6 1.1.2 ICD-10 p. 9 1.2 Disturbi dell’umore nel post-partum p.11 1.2.1 Baby blues p.11 1.2.2 Depressione post-partum p.13 1.2.3 Psicosi puerperale p.17 2 Capitolo: Effetti della depressione post-partum sullo sviluppo dei figli p.18 2.1 Dinamiche psicologiche di cambiamento e riorganizzazione della donna nel corso della maternità p.19 2.2 Danni della depressione postnatale: p.22 2.2.1 Nella relazione madre-bambino p.24 2.2.2 Nello sviluppo psico-sociale del bambino p.26 3 Capitolo: Interventi di sostegno alla depressione post-partum p.28 3.1 Contesto familiare: p.29 3.1.1 Ruolo materno p.29 3.1.2 La figura del padre p.31 3.1.3 Importanza della co-genitorialità p.32 3.2 Interventi di sostegno p.35 3.2.1 Home Visiting p.35 3.2.2 Corsi d accompagnamento alla nascita p.38 4 Capitolo: Tre ricerche a confronto p.40 4.1 M. Ammaniti, A. M. Speranza, R. Tambelli, F. Odorisio, p.41 & L.Vismara (2007). Sostegno alla genitorialità nelle madri

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1

Indice

Introduzione p. 3

1 Capitolo: Inquadramento diagnostico della depressione post-partum p. 5

1.1 Sistemi di classificazione p. 5

1.1.1 DSM-IV-TR p. 6

1.1.2 ICD-10 p. 9

1.2 Disturbi dell’umore nel post-partum p.11

1.2.1 Baby blues p.11

1.2.2 Depressione post-partum p.13

1.2.3 Psicosi puerperale p.17

2 Capitolo: Effetti della depressione post-partum sullo sviluppo dei figli p.18

2.1 Dinamiche psicologiche di cambiamento e riorganizzazione

della donna nel corso della maternità p.19

2.2 Danni della depressione postnatale: p.22

2.2.1 Nella relazione madre-bambino p.24

2.2.2 Nello sviluppo psico-sociale del bambino p.26

3 Capitolo: Interventi di sostegno alla depressione post-partum p.28

3.1 Contesto familiare: p.29

3.1.1 Ruolo materno p.29

3.1.2 La figura del padre p.31

3.1.3 Importanza della co-genitorialità p.32

3.2 Interventi di sostegno p.35

3.2.1 Home Visiting p.35

3.2.2 Corsi d accompagnamento alla nascita p.38

4 Capitolo: Tre ricerche a confronto p.40

4.1 M. Ammaniti, A. M. Speranza, R. Tambelli, F. Odorisio, p.41

& L.Vismara (2007). Sostegno alla genitorialità nelle madri

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2

a rischio: valutazione di un modello di assistenza domiciliare

sullo sviluppo della prima infanzia. Infanzia e Adolescenza,

vol.6 (2): pp. 67-83.

4.2 van Doesum, K.T.M., Hosman, C.M.K., & Riksen-Walraven, p.45

J.M., Hoefnagels, C. (2008). A randomized controlled trial

of a Home Visiting Intervention aimed at preventing

relationship problems in depressed mothers and their infants.

Child Development, 79(3): 547-561.

4.3 C. Zauderer (2009). Postpartum depression: how p.48

childbirth educators can help break the silence. J Perinat

Educ., vol.18 (2): pp.23-31

Considerazioni finali p.52

Appendice 1 p.54

Appendice 2 p.71

Appendice 3 p.86

Riferimenti Biblografici p.97

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Introduzione

Nell’ambito della più ampia tematica relativa ai problemi della gravidanza, del parto,

del puerperio e del primo anno di vita del bambino, viene messo a fuoco il problema

della depressione nel post partum, che viene diagnosticata secondo i criteri di due

distinti sistemi di classificazione: DSM-IV-TR/ICD-10.

Come ampiamente documentato nella letteratura scientifica, molte donne dopo il parto

attraversano momenti di leggere turbe dell’umore (maternity blues). Si tratta di

momenti di scoraggiamento e demoralizzazione, considerato ai limiti della normale

reazione di adattamento.

Importante è, invece, distinguerlo dai quadri clinici conclamati di depressione.

Parliamo, infatti, di una patologia particolarmente rilevante, non solo per le sofferenze

che implica a livello psicologico per la donna, ma anche per le ricadute sullo sviluppo

emozionale, cognitivo e relazionale del bambino e sulla qualità della vita all’interno

nella coppia genitoriale e nel gruppo familiare allargato.

Assestamenti e riorganizzazioni psico-fisiologiche della donna in gravidanza, possono

portare all’insorgenza di detta patologia e i danni che essa procura vanno a intaccare la

relazione madre-bambino e successivamente lo sviluppo psico-sociale del bambino

stesso.

Una visione così complessa di questa patologia richiede un approccio di intervento

altrettanto complesso, che faccia entrare in campo più figure professionali, sia nella fase

di screening, che nella fase di terapia, che in quella di prevenzione. Ed allora, al di là dei

numeri, dei test e delle statistiche su eventuali disturbi di carattere fisico o mentale della

gestante/puerpera, si è voluto tener presente che chi arriva in ospedale, per dare alla luce

un bambino, è inizialmente una coppia che a breve diverrà famiglia.

Un uomo e una donna che, con il loro bambino, diventano genitori. Percui, dopo aver

esposto il contesto familiare in cui viene a nascere il neonato, ho presentato i principali

interventi di sostegno alla prevenzione della depressione post partum, che la recente

ricerca suggerisce: interventi di sostegno alla donna e alla famiglia, quali l’home

visiting e i corsi di accompagnamento alla nascita.

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Si conclude con la presentazione di tre ricerche messe a confronto. Due studi

sperimentali europei, che valutano l’efficacia dello stumento dell’home visiting e,

confrontando i risultati, ottengono delle risposte significativamente positive.

Il primo studio, italiano, inserito in situazioni di puerpere a rischio depressivo e/o psico-

sociale, ha l’obiettivo di valorizzare la sensibilità della madre a riconoscere i segnali e i

bisogni del proprio bambino; il secondo studio, olandese, collocato in un gruppo di

madri depresse, ha l’obiettivo di favorire un modello di attaccamento sicuro madre-

bambino prevenendo problemi di sviluppo nei bambini stessi.

Il terzo studio, statunitense, che documenta la difficoltà della donna ad esprimere il suo

bisogno di aiuto in gravidanza e sollecita la prevenzione, ai disagi del post partum, per

mezzo dei corsi di accompagnamento alla nascita.

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1 Capitolo: Inquadramento diagnostico della depressione postpartum.

La depressione post-partum è un grave disturbo dell’umore, che può mettere in forte

difficoltà la donna, già dal primo mese dopo la nascita del suo bambino. Senza un

intervento tempestivo si possono avere implicazioni a lungo raggio per la madre e per il

figlio. I primi mesi, che seguono la nascita del bambino, sono per ogni donna un

periodo critico, durante il quale essa va incontro ad un processo di cambiamento della

propria immagine, sia corporea che emotivo-relazionale. Non è facile distinguere una

reazione “normale”, che si esprime spesso con manifestazioni d’intensa emotività e con

una sensazione d’inadeguatezza e con il timore di non essere all’altezza dei nuovi

compiti, unita a una grande stanchezza dovuta alle modificazioni delle abitudini circa la

veglia e il sonno a cui le poppate notturne e il sonno polifasico del bambino costringono

la neomamma, dall’insorgenza di una sintomatologia francamente depressiva.

Infatti, la depressione post-partum, viene per lo più utilizzata come un contenitore per

vari disturbi abbastanza frequenti nel puerperio. Solo la conoscenza dei fattori di rischio

e il riconoscimento precoce dei sintomi consente di distinguerla da altri disturbi

dell’umore e dai disturbi di ansia; ed è questo il primo passo per evitare alle donne

diagnosi errate.

1.1 Sistemi di classificazione

Esistono due principali sistemi di classificazione diagnostica delle malattie mentali, in

cui sono inseriti i Disturbi dell’Umore, che vengono descritti nelle loro caratteristiche

cliniche, con riferimento alle manifestazioni comportamentali, ai disturbi associati ed al

decorso dei sintomi. I sistemi di classificazione sono il DSM-IV-TR (American

Psychiatric Association 2000) e il ICD-10 (World Health Organization 1992).

La classificazione dei disturbi, fornita nell’ICD, è correlata da linee guida diagnostiche

che descrivono il quadro clinico e le caratteristiche comunemente più associate,

specificando indicazioni sulla diagnosi e sulla diagnosi differenziale. Tali linee guida

non hanno il rigore dei criteri del DSM e di conseguenza lasciano un discreto margine

di libertà decisionale alla valutazione clinica. Tale differenza, fra ICD e DSM,

corrisponde ai diversi presupposti dei due sistemi; il primo espressione di una logica

categoriale innanzitutto finalizzata a rilievi epidemiologici; il secondo, empiricamente

fondato e multiassiale, più orientato al processo diagnostico e alla diagnosi. In ultimo

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l’ICD-10 prevede due gruppi di criteri distinti, più flessibili per gli scopi clinici e più

rigidi per gli scopi di ricerca, ciò al fine di agevolare la consultazione anche da parte di

non esperti. Questa scelta lo differenzia dal DSM, che non contiene un doppio set di

criteri, giudicando più affidabile un’unica sistematizzazione per clinici e ricercatori

(Biondi et al. 2009).

1.1.1 DSM-IV-TR

In questo sistema di classificazione diagnostica, i disturbi depressivi sono considerati

all’interno della sezione dedicata ai Disturbi e alle Alterazioni dell’Umore.

I Disturbi dell’Umore sono suddivisi in:

1) Disturbi Depressivi (o depressione unipolare), caratterizzati dalla presenza di una

sindrome depressiva, che accomuna tutti i quadri clinici inclusi in questa categoria

diagnostica, sebbene in base alle caratteristiche qualitative e quantitative della

sintomatologia e a modalità di decorso differenziate, sia possibile distinguere i diversi

quadri clinici inclusi in questa categoria. La sindrome depressiva è contraddistinta da

una specifica serie di sintomi di tipo psichico (tristezza, anedonia, irritabilità, ansia,

autosvalutazione, idee di colpa, insicurezza/incapacità, deficit di concentrazione,

difficoltà di memoria, rallentamento ideativo, visione pessimistica della realtà, idee di

morte), somatico (anoressia/iperfagia, calo/aumento di peso, stipsi, calo della

libido/disfunzioni sessuali, insonnia/ipersonnia, dolori/cefaleea, astenia) e

comportamentale (rallentamento, adinamia, trascuratezza, facilità al pianto, espressione

triste e melanconica).

2) Disturbi bipolari o maniacali, che accomuna alla sindrome depressiva (di cui sopra)

una sindrome maniacale, contraddistinta da sintomi psichici (euforia, disforia,

irritabilità; ipertrofia dell’Io/megalomania, aumentata sensazione di efficienza

intellettiva, accelerazione delle idee/fuga delle idee, distraibilità, ipermnesia/falsi

ricordi), somatici (iperfagia, calo di peso, stipsi, aumento della libido, insonnia,

aumento dell’energia) e comportamentali tipici (logorrea, iperattività,

irrequietezza/agitazione psicomotoria, disinibizione comportamentale, impulsività,

tendenza alle spese/prodigalità).

3) Altri disturbi dell’umore

4) Disturbo dell’umore con esordio nel postpartum

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Criteri diagnostici:

1. Disturbi Depressivi o unipolari, si distinguono dai successivi disturbi bipolari

per l’assenza, in anamnesi, di episodi maniacali, e sono:

a. Depressione Maggiore, è l’espressione più classica e tipica della

depressione e si manifesta comunemente in forma episodica.

I criteri diagnostici sono la presenza di 5 o più dei seguenti sintomi

(obbligatorio uno dei primi due indicati)

1. umore depresso o irritabile

2. perdita d’interesse o piacere in gran parte delle attività

3. modificazioni significative dell’appetito

4. modificazioni del sonno

5. astenia, mancanza di energie

6. sentimenti d’inadeguatezza o di colpa

7. diminuita capacità di concentrazione, nel pensare e nel

prendere decisioni

8. ideazione/atti suicidari

Inoltre dev’esserci la presenza dei sintomi per almeno 2 settimane e

possono sussistere difficoltà nelle relazioni lavorative e sociali.

b. Distimia, caratteristica essenziale è un umore cronicamente depresso,

presente per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno per almeno

due anni, accompagnato da sintomi depressivi che tuttavia non

soddisfano i criteri per un episodio depressivo maggiore.

Durante i periodi di umore depresso sono presenti almeno due dei

seguenti sintomi addizionali:

1. iporessia/ipofagia

2. insonnia/ipersonnia

3. scarsa energia/affaticabilità

4. bassa autostima

5. difficoltà di concentrazione o nel prendere decisioni

6. sentimenti di disperazione

Inoltre il soggetto per i primi due anni del disturbo: non è mai stato libero

da sintomi per più di due mesi e non ha mai avuto un episodio depressivo

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maggiore nei due mesi. Infine, non si è mai verificato un episodio

maniacale, ipomaniacale, misto o ciclotimico.

c. Disturbo Depressivo non altrimenti specificato, sono i disturbi con

manifestazioni depressive che non soddisfano i criteri per un disturbo

depressivo maggiore o disturbo distimico.

2. Disturbi Bipolari o maniacali, tali disturbi implicano, in anamnesi, la presenza

di episodi maniacali ed episodi depressivi maggiori.

a. Disturbo Bipolare di tipo I, è caratterizzato principalmente da uno o più

episodi maniacali, solitamente accompagnati da episodi depressivi

maggiori.

b. Disturbo Bipolare di tipo II, la caratteristica essenziale di questo disturbo

è un decorso clinico segnato da uno o più episodi depressivi maggiori,

accompagnati da almeno un episodio ipomaniacale (presenza, in un

periodo di almeno quattro giorni, di umore anormalmente e

persistentemente elevato, espanso o irritabile, ma tale alterazione non

risulta sufficientemente grave da compromettere il funzionamento

sociale e lavorativo, come avviene nel corso di un episodio maniacale).

c. Disturbo Ciclotimico, può essere considerata una forma di disturbo

bipolare con caratteristiche sindromiche attenuate e ad andamento

cronico. Debbono essere stati riscontrati, nell’arco di due anni, numerosi

episodi ipomaniacali alternati a episodi depressivi, che non siano DM,

con un intervallo libero da sintomi che non sia mai stato superiore ai due

mesi. Infine, debbono essere presenti importanti difficoltà socio-

lavorative.

d. Disturbo Bipolare non altrimenti specificato, sono disturbi con

caratteristiche bipolari che non soddisfano i criteri per nessuno dei

disturbi bipolari sopra riportati.

3. Altri Disturbi dell’Umore

a. Disturbo dell’Umore dovuto a condizione medica generale

b. Disturbo dell’Umore indotto da sostanze

c. Disturbo dell’Umore non altrimenti specificato

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4. Disturbo dell’Umore con esordio nel postpartum, si ha quando l’esordio del

disturbo depressivo si colloca nelle quattro settimane successive il parto, questa

categoria può essere equivalente al Disturbo Depressivo Maggiore e, in alcuni

casi, al Disturbo Bipolare di tipo I e II (Biondi et al 2009).

I sintomi maggiormente frequenti negli episodi depressivi del postpartum, pur

non essendo specifici per esso, sono:

• fluttuazioni dell’umore: caratterizzate da un rapido alternarsi del tono

dell’umore, con sintomi di tristezza, svogliatezza, astenia, pianto, caduta

della concentrazione, indecisione, autosvalutazione, pensieri suicidari, ma

anche senso di grandezza, iperattività, agitazione, loquacità;

• preoccupazione eccessiva per il benessere del neonato: l’intensità di queste

preoccupazioni può variare dall’ipercoinvolgimento fino a veri e propri

deliri. La presenza di gravi ruminazioni mentali e pensieri deliranti relativi

all’infante si associa ad un rischio molto elevato di danneggiamento fisico ed

emotivo del bambino. Inoltre gli episodi di depressione che nascono nel

postpartum, si possono manifestare con o senza la presenza di manifestazioni

psicotiche. Il rischio di episodi psicotici nel post-partum risulta

particolarmente elevato nelle donne con precedenti alterazioni dell’umore e

con anamnesi personale e familiare di disturbo bipolare; inoltre il rischio di

ricaduta ad ogni parto per queste donne si colloca tra il 30% e 50%. Le

donne che hanno episodi depressivi maggiori nel post-partum spesso

presentano anche grave ansia e attacchi di panico. I comportamenti di tali

madri nei confronti del neonato possono essere variabili ed includere

disinteresse, timore di restare sola col neonato e comportamenti intrusivi che

impediscono un adeguato riposo del bambino (Ammanniti et al. 2007).

1.1.2 ICD-10

Questo manuale di classificazione delle malattie mentali pone il disturbo depressivo

dentro la categoria delle Sindromi Affettive e afferma che: <<la relazione tra

l’eziologia, i sintomi, i processi biochimici sottostanti, la risposta al trattamento e l’esito

delle sindromi affettive, non è ancora sufficientemente chiara da permettere la loro

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classificazione in modo che incontri l’approvazione generale>> (World Health

Organization 1992, p. 106).

In queste sindromi affettive il disturbo fondamentale è un’alterazione del tono

dell’umore, spesso nel senso della depressione o dell’esaltazione. La maggior parte

delle sindromi affettive è ricorrente e l’insorgenza dei singoli episodi è, spesso, in

relazione con eventi stressanti, come ad esempio la nascita del figlio. L’ICD prende in

considerazione nel loro insieme le sindromi affettive che si presentano lungo tutto l’arco

della vita, senza specificare le peculiarità della depressione che può insorgere nel post-

partum. Quindi la depressione post-partum può presentare gli stessi sintomi e segni che

si verificano nel decorso delle sindromi affettive. Perciò presenteremo tutte le categorie

diagnostiche che comprendono i disturbi dell’umore, disturbi che nella donna possono

esordire nel post-partum.

1. Episodio Maniacale: pure sindromi maniacali, prive di episodi depressivi.

a. Ipomania

b. Mania senza sintomi psicotici

c. Mania con sintomi psicotici

2. Sindrome Affettiva Bipolare: almeno due episodi ripetuti di tono dell’umore e

livelli di attività del soggetto significativamente disturbati. Alternanza di mania

(esaltazione del tono umorale ed incremento dell’energia e dell’attività) e

depressione (riduzione del tono umorale ed abbassamento dell’energia e

dell’attività). L’insorgenza è per gli episodi maniacali brusca e dura 2-4

settimane; per gli episodi depressivi la durata è 6 mesi circa.

a. SAB con attuale episodio ipomaniacale

b. SAB con attuale episodio maniacale senza sintomi psicotici

c. SAB con attuale episodio maniacale con sintomi psicotici

d. SAB con attuale episodio depressivo lieve/media gravità

e. SAB con attuale episodio depressivo grave senza sintomi psicotici

f. SAB con attuale episodio depressivo grave con sintomi psicotici

g. SAB con attuale episodio misto

h. SAB attualmente in remissione

3. Episodio Depressivo: è una sindrome affettiva in cui il soggetto presenta una

depressione di media gravità, in forma lieve, con perdita d’interesse e anedonia,

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riduzione dell’energia e aumentata affaticabilità e diminuita attività. Altri sintomi

comuni sono: riduzione dell’attenzione/concentrazione, diminuzione

dell’autostima/fiducia in sé, idee di colpa/inutilità, visione pessimistica nel

futuro, idee/atti di auto-aggressività/suicidio, ipo/ipersonnia, ipo/iperfagia. La

durata minima deve essere almeno di 2 settimane.

a. ED di gravità lieve

b. ED di gravità media

c. ED grave senza sintomi psicotici

d. ED grave con sintomi psicotici

4. Sindrome Depressiva Ricorrente: caratterizzata da ripetuti episodi di depressione,

senza alcun episodio di mania, e tali singoli episodi durano 3/12 mesi, ma

ricorrono poco frequentemente.

a. SDR con episodio lieve

b. SDR con episodio di media entità

c. SDR grave senza sintomi psicotici

d. SDR grave con sintomi psicotici

e. SDR attualmente in remissione

5. Sindromi Affettive Persistenti: sono caratterizzate da disturbo persistente e di

solito fluttuante dell’umore, nei quali i singoli episodi sono raramente o mai

sufficientemente gravi da poter essere descritti come maniacali o depressivi.

a. ciclotimia (persistente instabilità del tono dell’umore)

b. distimia (depressione cronica del tono dell’umore)

6. altre sindromi affettive (Ammanniti et al. 2007)

1.2 Disturbi dell’umore nel postpartum:

I Disturbi dell’Umore nel post-partum possono essere più o meno invasivi. Esiste una

sostanziale distinzione tra i Maternity Blues, la Depressione Post-Partum e la Psicosi

Puerperale.

1.2.1 Maternity Blues:

Un fattore di rischio nella depressione postnatale è rappresentato dai Maternity Blues

(Henshaw et al. 2004), che possono essere caratterizzati ed influenzati anche da fattori

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psicosociali (M’bailara et al. 2005). Questo nome, Maternity Blues, nasce dalla musica

“Blues”, la musica degli schiavi neri d’America, una musica malinconica, che

esprimeva la loro sofferenza.

I Maternity Blues possono essere considerati una normale reazione agli straordinari

cambiamenti fisiologici, che si verificano successivamente il parto. In letteratura si parla

di una prevalenza di episodi di Maternity Blues del 50%-80% nella popolazione

femminile adulta (American Psychiatric Association 2000; Kennedy e Suttenfield 2001;

Rubertsson et al. 2005; Halbreich, U. 2006). I sintomi, che possono iniziare nei primi

giorni dopo il parto, con una punta massima intorno al quinto giorno e una remissione

intorno al decimo giorno, comprendono pianto, irritabilità, stanchezza, ansia e labilità

emotiva (Horowitz et al. 2005). In particolare, il disagio che la donna sperimenta nel

Maternity Blues è caratterizzato dai seguenti sintomi:

• tendenza al pianto, che ne costituisce la manifestazione centrale

• stanchezza

• ansia

• ipersensibilità

• labilità dell’umore

• tristezza

• confusione mentale, cioè abbassamento delle capacità di concentrazione e

difficoltà nel pensiero concettuale, che può sfociare in un leggero stato

confusionale (Goodyear et al.1997).

La donna, dopo che ha partorito, affronta un periodo di cambiamento corporeo; da

gestante diviene madre, che si prende cura del proprio bambino piccolo e indifeso

(Ferraro e Nunziante Cesareo 1985). Molti aspetti, che si discostano dalle aspettative

materne nei confronti del suo bambino e della situazione contingente la nascita, possono

contribuire a sviluppare nella donna sentimenti di tristezza e confusione. Infatti, la

separazione biologica del parto trova il suo corrispettivo psicologico nella fine delle

fantasie materne riguardo al feto e, soprattutto, nella disillusione derivante

dall’inevitabile scarto che s’interpone tra il bambino immaginato e il bambino reale

(Bibring et al.1961). E’ importante che la madre tolleri lo “spazio vuoto”, conseguente

al parto, liberandolo dalle “proiezioni elementari” di cui lo ha colmato e riempiendolo di

reciproche soddisfazioni reali (Pazzaglia et al.1981). Quel vuoto, che la donna

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percepisce dopo aver partorito, può essere compensato dalla presenza del neonato stesso

e dal contatto fisico con esso. Il poter godere di tale contatto fisico con il proprio

bambino, può aiutare la madre a ritrovare quell’unione che il parto ha irrimediabilmente

rotto ed a vivere, in maniera meno traumatica, il passaggio dalla fusione alla

separazione (Ferraro e Nunziante Cesareo 1985). Bisogna comunque dire che, pur non

essendo ancora riusciti a isolare le cause di questo disturbo (Guedeney 1989), è

possibile affermare che nei Maternity Blues sono coinvolte determinanti biologiche,

psicologiche e sociali (Guedeney 1989; Raphael-Leff 1991; Verkerk et al. 2005).

Solitamente, dopo qualche giorno in modo naturale, lo stato emotivo dei Maternity

Blues tende a regredire spontaneamente ed a scomparire. Questo stato, non patologico,

potrebbe essere, comunque, il primo passo verso una depressione post-partum, in donne

a rischio e che presentano sintomi tipici della depressione non psicotica. Difficile,

ancora oggi, trovare il confine tra i due tipi di disturbi dell’umore, Maternity Blues e

Depressione Post-Partum (Beck, C.T. 2006) e tutto ciò raccomanda l’insistenza nella

ricerca.

1.2.2 Depressione Post-Partum

La depressione postpartum, stimata intorno al 3%-15% nella popolazione femminile

adulta (American Psychiatric Association 2000; Kennedy e Suttenfield 2001;

Rubertsson et al. 2005; Halbreich, U. 2006), è associata a conseguenze significative sia

per la madre che per il neonato. La depressione post-partum identifica un episodio

depressivo maggiore temporaneamente associato all’evento della nascita. Solitamente

inizia tra il primo e il terzo mese dopo il parto e può persistere anche per sei o sette

mesi, se la neomamma non è curata in maniera idonea (Mallikarjun e Ovebode 2005).

All’insorgenza della depressione post-partum concorrono una serie di elementi:

componenti sia psichiche che corporee, cui s’associa anche il contesto ambientale e

familiare, che svolge un ruolo di primo piano come luogo di sostegno alla puerpera

(Dennis e Ross 2006).

Infatti, sono numerosi i fattori che possono contribuire all’instaurarsi di questo disturbo.

Fattori ormonali: giocano un ruolo importante nell’influenzare le funzioni nervose

(Abou-Saleh et al.1998). Le donne che sviluppano una depressione postpartum,

risultano particolarmente sensibili ai cambiamenti ormonali legati alla gravidanza.

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Infatti, nel periodo successivo al parto, i valori di estradiolo e progesterone, di prolattina

e cortisolo, così come di alcuni ormoni tiroidei, variano repentinamente, ed in

particolare si registra un brusco calo di estrogeni. Queste variazioni agiscono

direttamente a livello cerebrale, interferendo con i meccanismi di neurotrasmissione

coinvolti nella patologia depressiva e determinando, in diversi casi, la comparsa dei

sintomi depressivi (Gotlib e Lee 1996; Goodman e Gotlib 1999). Groer e Morgan

(2007) hanno individuato attraverso uno studio, che mette a confronto madri non

depresse e madri depresse, che queste ultime mostrano livelli bassi di prolattina; inoltre,

questi autori hanno messo in evidenza che le madri depresse hanno un asse HPA

disregolato. Ciò significa che, quando uno stressor non è particolarmente aggressivo ed

è circoscritto ad un preciso frame di tempo, i sistemi di controllo omeostatico sono

efficienti e l’asse dello stress si attiva in maniera fisiologica. In particolare si attiva il

cosiddetto asse HPA (ipotalamo-ipofisi-surrene), cioè il ciclo di attivazione e

disattivazione dello stress, attuato in modo completo e corretto, attraverso

l’inattivazione finale dello stimolo. Tale azione è utile per l’adattamento dell’organismo

alle richieste dell’ambiente. Viceversa, quando lo stressor è più aggressivo e si protrae

per un più lungo periodo di tempo, le condizioni di equilibrio omeostatico diventano

precarie e si verifica un’attivazione dell’asse dello stress, che dalla fisiologia sconfina

nella patologia, cioè si diventa inabili a disattivare l’asse HPA.

I fattori biologici possono incidere sul rischio di sviluppare una depressione postnatale

ed il fatto che molte donne dopo il parto siano soggette a repentini cambiamenti

ormonali, ma che solo alcune soffrano di una vera e propria depressione, suggerisce la

presenza di una molteplicità di fattori eziopatogenici, da quello biologico a quello

relazionale e psicologico, per cui tutti interagiscono e portano all’insorgenza di questa

patologia (Raphael-Leff 1991).

Altri fattori di rischio che possono contribuire allo sviluppo di una depressione post-

partum possono essere: un’esperienza di depressione durante la gravidanza,

un’esperienza di depressione antecedente, esperienze di depressione all’interno della

famiglia di origine e/o un supporto sociale inadeguato, eventi della vita avversi, una

situazione matrimoniale instabile, una personalità vulnerabile e la non soddisfazione

delle proprie aspettative sul bambino.

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Molti autori (Dennis e Ross 2006; Mallikarjun e Ovebode 2005) hanno sottolineato

l’importanza di fare ricerca, durante la gravidanza, per diagnosticare donne a rischio di

sviluppare una depressione postpartum. Infatti, i sintomi di depressione ed ansia,

durante la gravidanza e il primo periodo del postpartum, facilitano il rischio di

depressione.

Dal punto di vista psicologico i riferimenti teorici in letteratura spaziano da quelli

cognitivo-comportamentali, a quelli psicodinamici, a quelli sistemico relazionali.

La teoria cognitivo-comportamentale, ed in particolare la teoria della depressione di

Beck, utilizza per la spiegazione della depressione post-partum, costrutti come il

comportamento di malattia, il coping, e soprattutto lo schema di sé (Beck 1987). La

Field, ad esempio, ha messo in evidenza come le madri depresse tendano ad interpretare

l’evitamento del contatto oculare dei loro bambini non nella chiave positiva di

autoregolazione del lattante o, realisticamente, di risposta al loro comportamento

distaccato o intrusivo, quanto piuttosto negativamente come una prova del fatto che il

loro bambino non le ama (Field 1981).

Da una prospettiva psicodinamica la depressione post-partum insorge a causa di un

conflitto non riconosciuto ed ambivalente connesso al riemergere del conflitto infantile

tra la neomamma e i suoi genitori.

Alcuni autori, d’orientamento psicoanalitico, hanno sottolineato come la riattivazione,

durante la gravidanza e nel periodo postnatale, di sentimenti ambivalenti irrisolti della

donna riguardanti il proprio rapporto con i genitori durante l’infanzia, l’eccessiva

idealizzazione della gravidanza e i conflitti sulla propria identità femminile, possano

evolvere in depressione post-partum (Deutsch 1945; Bibring et al.1961; Racamier et

al.1961, 1978; Pazzaglia et al.1981).

Alcuni autori hanno, invece, messo in evidenza come la depressione post-partum

influisca sulla relazione madre-bambino e, nonostante la sua presenza fisica, la madre

depressa non è emozionalmente disponibile per il suo bambino e tende ad essere

inaccessibile all’interazione con lui. Ella, infatti, non “rispecchia” il comportamento del

neonato ed il gioco reciproco è, solitamente, sporadico, interrotto e con un basso tono

emotivo (Sameroff et al.1982; Field 1992, 1994; Zucherman et al.1990; Weinberg e

Tronick 1997).

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Il modello sistemico-relazionale mette in evidenza le dinamiche relazionali patologiche,

quali fattori di rischio per l’insorgenza della depressione post-partum e sottolinea come,

nelle società occidentali industrializzate, i costumi e i rituali che accompagnavano la

transizione verso il nuovo stato di maternità (si pensi, ad esempio, ai riti di purificazione

per il reinserimento delle puerpere nella collettività, dopo quaranta giorni dal parto, i

quali sono andati progressivamente perdendosi), a favore di una medicalizzazione della

gravidanza e del parto. Per cui, oggi, se non ci sono problematiche, la neomamma viene

dimessa, dopo due o tre giorni dal parto, ed ella si ritrova a casa ad affrontare, spesso

sola, i problemi dell’accudimento del suo bimbo appena nato. Problemi che a volte la

preoccupano così tanto da non consentirle di vivere a pieno l’esperienza

dell’attaccamento e di quella “sintonizzazione degli affetti”, così importante per lo

sviluppo del suo bambino (Stern 1977; Stern 1985; Stern 1995a; Stern 1995b; Stern e

Bruschweiler-Stern 1999).

A tal proposito vorrei accennare al costrutto teorico di Winnicott (1965), il quale ha

definito “preoccupazione materna primaria”, quello stato psicologico caratterizzato

dalla profonda ed assorbente partecipazione della madre alle fantasie ed alle esperienze

del figlio, caratteristica questa naturale, biologicamente radicata ed adattiva, degli ultimi

tre mesi della gravidanza ed i primi mesi di vita del bambino. Winnicott (1956,1965)

paragona questo “stato psichico molto particolare della madre” a uno stato di ritiro, a

uno stato di dissociazione, ad una fuga e perfino ad un disturbo più profondo, quale un

episodio schizoide, in cui uno degli aspetti della personalità prende temporaneamente il

sopravvento. La capacità di entrare ed uscire da questo particolare status psicologico

conferisce alla donna la qualità di “madre devota”, cioè capace di essere

temporaneamente in grado di preoccuparsi in maniera assoluta del proprio bambino,

distogliendo la propria attenzione dal mondo circostante, giusto il tempo necessario a

soddisfare il proprio bisogno di cura materna. Sono queste le situazione in cui con più

facilità, la depressione post-partum tende a scomparire spontaneamente ed evolvere

verso il ripristino di un funzionamento psicologico maggiormente adattivo (Ammanniti

et al. 2007).

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1.2.3 Psicosi puerperale

Si tratta di un disturbo grave associato ad alti tassi di suicidio e d’infanticidio, che il

DSM-IV-R situa all’interno della categoria del <<disturbo psicotico non altrimenti

specificato>>. Fortunatamente l’incidenza di tale disturbo, 0,3% - 2% nella popolazione

femminile adulta (American Psychiatric Association 2000; Kennedy e Suttenfield 2001;

Rubertsson et al. 2005; Halbreich, U. 2006), è bassa e da uno studio epidemiologico

classico (Kendell et al.1987) risulta riguardare una o due donne ogni 1000 parti.

Vari studi hanno evidenziato l’esistenza di diverse forme di psicosi puerperale: Soifer

(1971) l’ha descritta come uno stato in cui la donna si ritira in sé stessa, è triste, rifiuta

totalmente il suo bambino affermando di non sopportarlo e di non volerlo vedere, è

apatica, trasandata, non si preoccupa della sua igiene personale, presenta insonnia e

inappetenza. Può anche presentare sintomi quali: deliri, allucinazioni, per lo più uditive

ed idee deliranti di tipo paranoide, per esempio il timore che qualcuno la derubi o le usi

violenza; estrema agitazione, confusione mentale e rapidi sbalzi di umore. Può, inoltre,

presentare sentimenti di auto-svalutazione ed auto-riprovazione di natura melanconica,

per cui la donna si sente inutile ed incapace d’accudire ai propri figli. Questo stato può

avere una remissione spontanea e può durare qualche giorno, mese o anno. Nella

remissione spontanea riveste un ruolo molto importante la capacità dei familiari di

tollerare, assorbire e rielaborare l’angoscia che determina questa situazione (Soifer

1971; Cox et al. 1993).

La psicosi post-partum può includere anche sintomi caratteristici della depressione

postpartum, ma per la sua gravità è assolutamente importante che non venga confusa

con questa. Infatti, per alcune donne, con un particolare tipo di personalità, l’evento

“parto” può causare forti squilibri così profondi da configurare il quadro clinico della

psicosi puerperale. Sono le donne con personalità di tipo borderline che sembrano

essere abili a tollerare l’unità madre-bambino solo al livello organico. Durante il

puerperio, in queste donne, si viene a stabilire, tra madre e feto, un’unità vissuta come

unicamente identità biologica, incapace di integrare l’aspetto psicologico e relazionale,

poiché tutto ciò che richiama la presenza della gravidanza viene percepito come fonte

d’angoscia. Al momento del parto si viene però a creare una profonda frattura tra madre

e bambino, ed è in questo momento che emerge l’incapacità della donna, con

personalità di tipo borderline, di ricostruire una nuova identità in cui si compenetrano e

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si fondono aspetti corporei insieme con aspetti psicologici. Per cui è intuibile come

madri, con personalità borderline, possano difficilmente tollerare la sensazione di essere

trascinate ed incastrate dal neonato in una nuova unione simbiotica, che implica il

riemergere di vissuti e fantasie relative al tema dell’identificazione e, più in generale,

del rapporto con la propria madre. Perciò possiamo sintetizzare che la psicosi post-

partum rappresenti una “fuga dall’abbraccio simbiotico” ed è anche un modo per negare

il contatto fisico con il neonato (Pazzaglia et al.1981).

Altri autori hanno messo in luce il quadro clinico della “psicosi puerperale di tipo

maniacale”. Questa sindrome si presenta con episodi di umore eccessivamente elevato,

indifferenza nella cura del neonato, incapacità di accettare i cambiamenti, che la nuova

situazione richiede allo stile di vita precedente, al punto di che, dalla 2°-3° settimana, la

donna cerca di rimanere, il più a lungo possibile, distante dal neonato. L’umore di

queste donne è costantemente iperattivo ed irritabile. Quando il disagio regredisce

spontaneamente e la donna all’apparenza sembra prendersi cura del bambino, ma in

realtà delega altri ai propri compiti di caregiving, ci troviamo di fronte a situazioni in

cui si manifestano i maggiori rischi per il futuro. Difatti, la remissione ha avuto luogo in

conformità ad una profonda dissociazione della personalità, attuata attraverso la

negazione e rimozione dei vissuti persecutori e depressivi, quindi l’assunzione del ruolo

materno è incompleta e parziale (Zuckerman et al.1990). All’opposto abbiamo i casi in

cui la donna si prende eccessivamente cura del proprio bambino, trascurando sé stessa,

la famiglia, la casa, il lavoro.

Questa situazione può portare a una situazione altamente depressiva per la donna, la

quale avrà sperimentato conflitti e delusioni, tanto da poter arrivare ad avere persistenti

idee suicidarie (Soifer 1971; Schmiege e Russo 2005).

2 Capitolo: Effetti della depressione post-partum sullo sviluppo dei figli

La depressione post-partum colpisce il 10% - 15% delle madri nei primi tre mesi

successivi il parto, e può persistere anche per sei o sette mesi, se la madre non è curata

in maniera idonea (Mallikarjun e Ovebode 2005). E’ una patologia particolarmente

rilevante, non solo per le sofferenze della donna, ma anche per le ricadute sullo sviluppo

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emozionale, cognitivo e relazionale del bambino e sulla qualità delle relazioni,

specialmente a livello di coppia e nel gruppo familiare.

Per affrontare al meglio la problematica occorre, innanzi tutto, esaminare ciò che accade

alla donna durante il periodo della gravidanza, i cambiamenti e le crisi e poi le

conseguenze, che da essi derivano, sull’interazione con il bambino ed il suo successivo

sviluppo.

Va detto che, inizialmente, la ricerca sull’argomento si era basata su un approccio

teorico di tipo unicamente genetico (Rutter 1966), in quanto era stato dimostrato che i

figli di madri depresse sono esposti al rischio di un’insorgenza psicopatologica in modo

significativamente maggiore rispetto ai figli di madri non depresse (Orvaschel et

al.1988; Weissman et al.1984). Ma, in seguito, la ricerca è stata ampliata anche ad altre

variabili, di tipo relazionale e ambientale (Rutter e Quinton 1984), poiché ci si è resi

conto di quanto la depressione materna influisce non soltanto sull’interazione con il

bambino, ma anche sul funzionamento globale familiare. Per cui, in aggiunta alla

componente genetica della trasmissione del rischio psicopatologico, è stata prestata

attenzione ad un più ampio numero di fattori ambientali, di vita prossimale e distale del

bambino con madre depressa; fattori che possono attenuare o incrementare la

vulnerabilità nei confronti di successivi esiti disfunzionali o patologici.

2.1 Dinamiche psicologiche di cambiamento e riorganizzazione della donna nel

corso della maternità

La letteratura psicodinamica ha dato un’importante cornice di riferimento teorico-

clinica allo studio della depressione post-partum, soprattutto ha sottolineato come la

nascita di un bambino possa essere considerata una fase fondamentale nel ciclo di vita

della donna. E’ con la gravidanza ed il parto che la donna-madre riorganizza il proprio

mondo interiore, creando nella sua mente uno spazio adatto a contenere l’idea di un

bambino e di sé stessa come genitore (Minuchin 1976).

Freud nel 1915 scriveva del complesso Edipico e del desiderio della bambina di avere

un figlio dal proprio padre; poi, successivamente (1922,1938), descrive il legame

intenso e simbiotico della bambina con la madre, da cui origina il desiderio di ricevere o

di dare un bambino; desiderio di maternità, considerato come un momento evolutivo

fondamentale per lo sviluppo di un’identità femminile, stabile e matura.

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Deutsch (1945) descrive il desiderio di maternità, come quella <<naturale tendenza

femminile a tenere dentro di sé e a prendersi cura>> del proprio bambino; Erikson

(1963) approfondisce il concetto di questa naturale tendenza femminile a <<creare uno

spazio interno dove poter accogliere un figlio ed accudirlo>>. Bibring (1959) sostiene

che la nascita di un bambino è considerata uno dei momenti cruciali dello sviluppo della

donna, perché la aiuta ad acquisire un livello d’integrazione psicologico più maturo,

caratterizzato dall’elaborazione e dalla risoluzione dei precedenti conflitti infantili.

Infatti, con la nascita del primo figlio, la donna vive una <<crisi maturativa>>, che la

espone ad un momento di estrema fragilità, legata alla riorganizzazione di un nuovo

punto di equilibrio della propria identità personale (Bibring et al.1961).

Autori come Ferraro e Nunziante Cesareo (1985) reputano il puerperio, la nascita del

bambino e l’accudimento, come un <<lavoro psichico>> che termina, generalmente,

con l’acquisizione di un nuovo equilibrio maturativo per l’identità femminile, o, nel

caso della depressione post-partum, in una difficoltà ad evolvere.

Pines (1972,1982) sottolinea l’importanza del raggiungimento di una nuova definizione

d’identità femminile e di una rielaborazione del processo di separazione-individuazione

nei confronti della propria madre (Mahler et al.1975), come il momento vissuto dalla

donna con la gravidanza ed il futuro accudimento del bambino.

Infatti, è in questo particolare momento che la donna ha la possibilità di evolvere,

risolvendo il proprio conflitto interiore, portando a termine il processo di definizione

completa del proprio spazio mentale ed emotivo. Con la gravidanza la donna si trova in

una posizione particolare: <<è allo stesso momento figlia di sua madre e madre del suo

bambino; ed è grazie a questa duplice identificazione che può rielaborare e confrontare i

propri vissuti passati e presenti >> (Ammanniti et al. 2007, p. 5).

In tal senso, Pines (1982) evidenzia come un’identificazione positiva con la propria

madre permetta alla donna, attraverso una momentanea regressione legata alla

gravidanza, di identificarsi con un genitore capace di dare la vita e

contemporaneamente, di richiamare alla memoria se stessa bambina.

Questo è il procedimento per raggiungere una completa maturazione della personalità

femminile. Ma, se questa regressione fosse per la donna un’esperienza troppo dolorosa

e difficile, potrebbe riattivare desideri infantili di fusione con la propria madre,

determinando un parziale fallimento del processo di separazione-individuazione e

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ponendo a rischio l’acquisizione completa dell’identità e di un senso di autonomia

personale.

La nascita di un figlio, quindi, porta in sé un intenso processo di riorganizzazione della

personalità della donna, che comporta una <<crisi fisiologica>> (Lalli 1977),

caratterizzata da una “separazione ed un successivo assestamento”.

La separazione da qualcosa, ossia perdita dell’identità di donna precedente la

gravidanza, e la successiva rielaborazione, richiamano al <<concetto di lutto>>.

Anche i cambiamenti corporei della donna in gravidanza sono importanti e ad essi si

associano i cambiamenti emotivi e relazionali nel definire una crisi d’identità

individuale. Quindi, nel concetto di cambiamento è implicita la perdita di una parte di

sé, la quale non potrà più essere recuperata. Il cambiamento modificherà allora gli

equilibri su cui si basava l’organizzazione della personalità, spingendo la donna verso la

ricerca di un nuovo assetto mentale per rispondere allo sconvolgimento comportato

dalla nascita di un figlio e dall’acquisizione del ruolo materno.

Cambiamento, crisi e senso d’identità sono concetti interdipendenti: se da un lato il

senso d’identità si ristruttura a causa dei cambiamenti e delle crisi, dall’altro il modo di

elaborare le crisi ed i cambiamenti dipende dal modo in cui è stato organizzato il senso

d’identità individuale.

Riassumendo, gli elementi che rappresentano i cambiamenti che la neomamma deve

affrontare con il parto sono:

1. un processo di ricerca di un nuovo equilibrio globale della personalità; nel quale

la donna cerca di creare un legame tra le fantasie relative al bambino

fantasmatico (che è il risultato delle elaborazioni dei conflitti inconsci relativi

allo sviluppo psicosessuale materno), il bambino immaginario (che occupa un

posto specifico all’interno del sistema familiare e rispecchia ciò che ci si aspetta

dal bambino e come ci si immagina il proprio futuro insieme a lui) ed il bambino

reale (che, successivamente al parto, entra nel mondo materno costellato di

fantasie, favorendo nella donna rapide modificazioni di prospettiva), che andrà

accudito e contenuto (Lebovici 1983). Il raggiungimento di questa méta passa

attraverso la ricerca di un punto di convergenza tra il Sé, il proprio bambino ed i

legami significativi del passato; tutto ciò implica un ampia revisione dei rapporti

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che intercorrono tra le diverse aree della personalità ed un riassestamento

significativo del sentimento d’identità della donna.

2. un elevata quota di confusione; l’identità della donna oscilla tra l’immagine di sé

acquisita nelle fasi evolutive precedenti la gravidanza; l’immagine di sé come

madre, che ella ha acquisito attraverso i processi di identificazione con la propria

madre; e l’immagine del neonato, con il quale ella tende ad identificarsi per

rivivere il rapporto infantile che aveva con la propria madre.

3. La riattivazione di dinamiche e fantasie appartenenti a posizioni antecedenti lo

sviluppo; la nascita del figlio riattiva il conflitto edipico e pre-edipico della

donna, riproponendo sentimenti di colpa irrisolti legati alle proprie esperienze

infantili (Ferraro e Nunziante Cesareo 1985). Inoltre la donna sperimenta quello

che Winnicott (1965) ha chiamato stato di <<preoccupazione materna

primaria>>, riferendosi a quello stato psicologico caratterizzato dalla profonda

ed assorbente partecipazione della madre alle fantasie ed alle esperienze del

figlio, necessaria affinché la madre possa comprendere i bisogni del proprio

bambino e rispondervi in modo sensibile e contingente. E’ uno stato

<<naturale>>, perché si tratta di una funzione biologica ed adattiva, che tende ad

attivarsi negli ultimi tre mesi della gravidanza fino ai primi tre dopo la nascita.

Se, però, tale stato emotivo dovesse perdurare oltre i tempi e la donna dovesse

rimanere isolata narcisisticamente in sé stessa e fuori dalla realtà, allora bisogna

verificare che non sussista un quadro clinico depressivo specifico del periodo del

post-partum (Hung 2004).

2.2 Danni della depressione postnatale

Sino ad ora abbiamo parlato della donna che diventa madre e dei cambiamenti che ella

attraversa; ma per poter descrivere i danni della depressione post-partum nella relazione

madre-bambino e, successivamente, nello sviluppo del bambino stesso, ho bisogno di

descrivere come il neonato entra in contatto con il mondo e, per ottenere ciò, mi servirò

delle parole di Winnicot (1987), in particolare quando scrive di cosa vuol dire <<tenere

in braccio>> il bambino.

Egli sostiene che ogni madre, perché intimamente devota, sa tenere in braccio il proprio

bambino, sa come prenderlo, quanto stringerlo e si muove con leggerezza ed emette

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anche qualche suono. Il bambino sente il respiro, il calore che viene da esso e dalla pelle

della madre e ciò gli piace. Naturalmente, ci sono madri di tutti i generi ed alcune non

sono per nulla soddisfatte del loro modo di tenere in braccio i bambini. Talune si

sentono un po’ incerte, altre hanno avuto una madre che non era molto brava in queste

cose, altre ancora possono essere ansiose e preferire la culla o una terza persona fidata,

al tenerlo in braccio. <<Al mondo esistono madri di tutti i generi, alcune saranno

migliori sotto un aspetto, altre sotto altri aspetti>>.

Winnicot (1987) descrive i tre stadi che il neonato sperimenta in braccio alla madre, per

spiegare come egli entra in contatto con il mondo:

1. il bambino è chiuso in sé stesso, è una creatura vivente circondata dallo spazio; non

conosce nulla tranne sé stesso.

2. Il bambino muove un gomito o un ginocchio o si stira un po’. Lo spazio è stato

attraversato; il neonato ha scoperto l’ambiente.

3. La madre sobbalza leggermente, mentre tiene il neonato in braccio, perché hanno

suonato alla porta o è traboccata l’acqua del bollitore. Nuovamente lo spazio è stato

attraversato; stavolta l’ambiente ha colto di sorpresa il bambino.

Dapprima il bambino, chiuso in sé stesso, sta nello spazio che viene tenuto tra lui e il

mondo1, in seguito egli scopre il mondo e infine il mondo scopre lui.

Tale sequenza è semplice e naturale, ma, perché possa compiersi, la madre deve a sua

volta avere uno spazio per sé stessa, nel quale poter avviare il bambino, in modo che

egli abbia una solida base per la vita. Infatti, il bambino all’interno del suo spazio

diventa pronto, con il passare del tempo, a compiere il movimento per scoprire il mondo

e il bambino che ha trovato il mondo in questo modo diventa, con il tempo, pronto ad

accogliere bene le sorprese che il mondo gli riserva.

<<Il bambino non sa che è la madre a preservare lo spazio circostante e con sa con

quanta cura la madre evita che il mondo prema su di esso, prima che egli stesso lo abbia

scoperto>> (Winnicott 1987); ma, se la donna non riesce, a causa di uno stato

1 Winnicott soleva rappresentare graficamente questo concetto, mediante due cerchi concentrici. Lo spazio che separa la circonferenza interna (bambino) da quella esterna (ambiente) viene preservato dalla madre per proteggere l’isolamento primario del piccolo, finché egli non sia pronto a compiere il movimento di scoperta in direzione dell’ambiente e, in seguito, a sopportare e accettare una pressione da parte di questo. Una pressione ambientale prematura provoca nel bambino, reattivamente, un ritorno difensivo all’isolamento (Winnicott 1953).

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depressivo, a tutelare il suo bambino dallo spazio circostante, allora potranno verificarsi

dei problemi nella relazione madre-bambino e poi sullo sviluppo del bambino stesso.

2.2.1 Nella relazione madre-bambino

Gli studi di Klaus e Kennell (1975) descrivono come una madre, subito dopo la nascita

del figlio, lo prende in braccio e comincia ad accarezzargli il volto con la punta delle

dita. A questo gesto il bambino si acquieta. Presto la madre si mette a toccargli la testa e

il corpo con il palmo della mano e, nel giro di cinque minuti o sei minuti, è facile che lo

accosti al seno. Il bambino risponde leccando a lungo il capezzolo. “Subito dopo il

parto”, notano gli autori, “le madri sembrano in uno stato di estasi”, e, cosa assai

interessante, anche gli osservatori diventano estatici. Dal momento della nascita accade

che tutta l’attenzione si riversa sul bambino. C’è qualcosa in lui che tende ad attirare

non solo la madre ed il padre, ma tutti i presenti.

Fenomeni della massima importanza sono la potenzialità che il neonato sano possiede di

entrare in una forma elementare di interazione sociale e la potenzialità che una madre,

con una comune sensibilità, possiede di partecipare con successo a tale interazione.

Quando una madre e il suo bambino, di due o tre settimane, sono di fronte, faccia a

faccia, si verificano fasi di vivace interazione sociale, alternate a fasi di disimpegno.

Ogni fase d’interazione comincia con dei saluti reciproci, composti di uno scambio

animato che comprende espressioni facciali e vocalizzi, durante il quale il neonato si

orienta verso la madre con movimenti agitati delle braccia e delle gambe; poi le sue

attività gradualmente si calmano e terminano con il bambino che distoglie lo sguardo

per un certo periodo prima che inizi la successiva fase d’interazione. Durante tutti questi

cicli è probabile che il bambino sia spontaneamente attivo come la madre. Dove, i loro

ruoli differiscono, è nel ritmo delle risposte. Mentre l’inizio e la fine dell’interazione da

parte del bambino tendono a seguire un proprio ritmo autonomo, una madre sensibile

regola il proprio comportamento così da accordarlo con quello del figlio (Bowlby

1988).

Quando, invece, ci troviamo ad analizzare studi (Cohn et al.1986, 1990; Field 1984;

Field et al.1985; Fleming et al.1988; Tronik et al.1978), che documentano le interazioni

tra madri depresse ed i loro bambini, emerge che la depressione incide profondamente

sul comportamento materno, limitando l’espressione emozionale e la qualità degli

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scambi relazionali, all’interno del processo di reciproca regolazione (Tronik e Giano

1986; Weinberg e Tronick 1997). Emerge anche, però, che il comportamento delle

madri depresse appare molto eterogeneo. Il disturbo della depressione materna ha

confini assai labili, può presentarsi sia come una sofferenza psicologica diffusa, sia

come un entità diagnostica definita (Hopkins et al.1984; Zuckerman e Beardslee 1987).

E, sebbene ci siano numerose conferme degli effetti negativi della depressione materna

sullo sviluppo infantile (Boyd e Weissman 1981; Dodge 1990; Downey e Coyne 1990;

Field et al.1985; Teti e Gelfand 1991; Radke-Yarrow et al.1985; Rutter 1966; Rutter e

Quinton 1984; Trad 1986; Weissman et al.1984; Zahn-Waxler et al.1984), le ricerche,

sugli effetti negativi dell’interazione madre depressa-bambino, riportano risultati

parziali e, a volte, contraddittori.

La generale disfunzionalità dei comportamenti interattivi delle madri depresse non

sempre dipende dall’intensità della depressione stessa, bensì da una serie di fattori

associati, quali la comorbilità con altri disturbi psicopatologici, la presenza di eventi di

vita stressanti, oppure le rappresentazioni mentali sull’attaccamento (Speranza et al.

2006).

A causa del comportamento eterogeneo delle madri depresse, le ricerche presentano

spesso risultati parziali o addirittura discordanti. Perciò è assai importante tener presente

l’estrema complessità della sintomatologia depressiva, considerando tutte le variabili di

rischio o di protezione, in grado di aggravarne oppure mitigarne la situazione.

Nelle interazioni madre-bambino, si è osservano complesse interazioni emotive, visive e

vocali, finalizzate alla condivisione di uno stesso <<spazio mentale>> (Bralzeton et al

1974; Cohn et a.1987; Murray et al 1985). La rispettiva risposta affettiva madre-

bambino è mediata dagli intenti di reciproco adattamento. Ognuno, madre e bambino,

modula la durata, la forma e l’intensità delle proprie espressioni emotive, al fine di

creare scambi armoniosi e complementari con l’altro (Cohn e Tronik 1989; Field et

al.1990; Isabella e Belsky 1991; Lester et al.1985). Il processo di regolazione affettiva

procede dalla combinazione tra la capacità innata del bambino di autoregolarsi, la sua

predisposizione a produrre comportamenti interattivi e, dall’altra parte, la madre con la

sua abilità ad interpretare adeguatamente i segnali del proprio bambino, rispondendovi

efficacemente.

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In conclusione, la depressione post-partum interferisce a vari livelli con le funzioni

genitoriali, limitando la disponibilità emotiva della madre verso i segnali inviati dal

bambino, compromettendo, infine, l’evoluzione di un modello di attaccamento sicuro

nel bambino (Bolwby 1988). Numerosi studi hanno confermato che la capacità emotiva

della madre a sintonizzarsi con gli stati affettivi del proprio bambino è un elemento

centrale nell’ambito della trasmissione della sicurezza dell’attaccamento (Sorge e Emde

1981). Gli studi, condotti sia nel campo dell’attaccamento (Strufe 1995), che in quello

psicoanalitico, hanno evidenziato che, mediante <<la sintonizazione affettiva>> (Stern

1985), il genitore rispecchia e <<trasforma>> gli affetti del figlio, consolidandone le

capacità comunicative e di regolazione emozionale (Emde 1999; Fonagy et al.1995).

2.2.2 Nello sviluppo psico-sociale del bambino

Numerose ricerche (Davenport et al.1984; Holahan e Moos 1987; Rutter e Quinton

1984) hanno documentato l’esistenza di un rischio maggiore, nei figli di madri depresse,

ad una futura insorgenza di depressione e ad altri problemi riguardanti lo sviluppo del

bambino (Bettes 1988; Cutrona 1983). La depressione materna può esporre i bambini a

significative forme di disregolazione comportamentale, fisiologica e biochimica, già a

poche ore dalla nascita (Field 1998). O, ancora, molti dei figli di madri depresse

tendono a manifestare alti livelli di negatività e distress, insieme a comportamenti

d’evitamento attivo verso la madre (Teti e Gelfand 1991; Murray e Cooper 1996).

Gli effetti negativi della depressione materna sul bambino includono:

• disturbi comportamentali con tendenza all’aggressività (Marcelli 1982;

Weissman et al.1984; Zahn-Waxler et al.1984)

• problemi nell’ambito della regolazione affettiva(Zahn-Waxler et al.1990)

• incompetenza sociale (Trad 1986)

• disturbi ansiosi (Marcelli 1982; Weissman et al.1984)

• deficit nello sviluppo cognitivo (Marcelli 1982)

• deficit nell’attenzione (Weissman et al.1984)

• deficit dell’apprendimento con difficoltà di adattamento scolastico (Marcelli

1982)

• difficoltà temperamentali (Trad 1986)

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• disorganizzazione emozionale (Field et al.1985; Radke-Yarrow et al.1985;

Speiker e Booth 1988; Zahn-Waxler et al.1984)

• sintomatologia depressiva subclinica o disturbi depressivi veri e propri (Boyd e

Weissman 1981; Downey e Coyne 1990; Goodman e Gotlib 1999; Marcelli

1982; Radke-Yarrow et al.1985; Weissman et al.1984)

• modelli di attaccamento di tipo prevalentemente insicuro (Cicchetti et al.1998;

Field 1989)

La valutazione della trasmissione del rischio psicopatologico nei bambini di madri

depresse è basata su tre principali approcci:

1. approccio neurobiologico: alterazioni nello sviluppo cerebrale, causati da livelli

anormali di funzionamento neuroendocrino, associati ad una carenza di

irrorazione sanguigna della placenta, che esporrebbero il feto a livelli eccessivi

di cortisolo. Inoltre gli alti livelli di ansia e stress della donna depressa,

contribuiscono a limitare lo sviluppo normale del feto (Dawson et al.1999; Field

1998; Goodmann e Gotlib 1999). Infine, si è visto da vari studi, che negli adulti

l’asimmetria EEG frontale destra permane anche dopo la remissione della

sintomatologia depressiva (Henrique e Davidson 1991; Schaffer et al.1983).

2. approccio genetico: esso riesce solo in parte a spiegare la presenza di problemi

socio-emozionali e comportamentali nei figli di madri depresse, poiché, oltre ai

fattori genetici, alla depressione materna si associano spesso varie componenti di

stress, che limitano il coinvolgimento affettivo reciproco, esponendo il bambino

ad ulteriori rischi psicopatologici (Marcelli 1982).

3. Approccio transazionale: questo modello è così chiamato, perché interpreta lo

sviluppo del bambino come il prodotto di interazioni dinamiche continue, tra il

neonato ed il contesto di vita prossimale e distale, tenendo in conto la risposta

eterogenea del bambino alla patologia materna (Sameroff et al.2000).

Gli esiti negativi della depressione materna sullo sviluppo infantile sembrano

derivare da due meccanismi interattivi principali:

a. Ruolo giocato dai processi imitativi del bambino nei confronti degli stati

affettivi materni.

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L’imitazione reciproca, che interviene nell’ambito delle prime relazioni

diadiche, può plasmare nel bambino uno stile comportamentale ed

affettivo depresso, in quanto rispecchiante quello materno (Field 1994).

b. Mancanza della sintonizzazione affettiva

La madre non responsiva e non disponibile a livello emozionale,

sottopone il bambino al rischio di disorganizzazione comportamentale,

condotte di evitamento e una gamma affettiva negativa, che si ripercuote,

a sua volta, sullo stato affettivo materno stesso (Weinberg et al.1997).

In ultimo, vorrei comunque sottolineare che, a fronte dei rischi documentati, la

depressione post-partum non provoca necessariamente un’insorgenza psicopatologica

nel bambino, né sicure conseguenze negative sul suo sviluppo successivo.

Infatti, la probabilità di psicopatologie infantili è assai maggiore se si è in presenza di

madri schizofreniche (Goodmann e Gotlib 1999), oppure di maltrattamento genitoriale

(Downey e Walker 1989) o di disturbo materno della personalità (Rutter e Quinton

1984).

3 Capitolo: Interventi di sostegno alla depressione postpartum

L’epoca in cui viviamo è segnata dal prevalere di una interpretazione soggettivistica

della vita e dei legami sociali, che assume di volta in volta il volto dell’edonismo o del

narcisismo o dell’intimismo. Psicologi, sociologi e antropologi ci descrivono la nostra

come una società iper-individualista, una società in cui viene attribuito valore alla

prestazione del singolo, al culto dell’Io e delle capacità individuali. La conseguenza più

evidente di questo clima culturale e sociale è la perdita della capacità, ma anche del

desiderio, di mettersi in relazione, stabilire legami, tessere reti, in altre parole, andare

incontro all’altro. L’alternativa sembra essere la costruzione di legami sociali

strumentali, all’insegna dell’interesse, dello scambio di natura mercantile, che generano

la cosìdetta “modernità liquida”, forma post-moderna di comunità, evocata da Bauman

(2001), come rifugio in un mondo insicuro.

Vediamo allora come la coppia-genitoriale si è evoluta e quali sono i ruoli materni e

paterni all’interno di essa.

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3.1 Contesto familiare

In ogni cultura l’evento nascita si realizza seguendo regole che si trasformano con il

tempo (Prezza 2006). La transizione alla genitorialità ha assunto in questi ultimi anni

caratteristiche peculiari che ne hanno modificato sostanzialmente la natura rispetto al

recente passato. Avere dei figli è diventato un evento sempre più raro, si diventa

genitori più tardi nella vita e la genitorialità è sempre più un evento scelto. Per secoli la

nascita dei figli è stata vissuta come accadimento naturale, di cui poco si sapeva, e che

comunque non si poteva programmare. La possibilità di scegliere non solo di avere dei

figli, ma anche di decidere quando averne, appare dunque come un fatto assolutamente

nuovo e determinante sulla scena della nostra realtà sociale (Scabini e Cigoli 2000).

Perciò si è diffuso uno stereotipo sociale molto forte, che riguarda la convinzione che un

figlio possa e, dunque, debba nascere se e quando lo si vuole. Una maternità

<<programmata nei tempi giusti>>, spesso più <<in base alle scelte....logistiche ed

economiche, che non ad una effettiva consapevolezza delle esigenze del bambino>>

(Honneger Fresco 2003, p. 19) è diventata così, nel modo di pensare collettivo, una

scelta libera, frutto di una decisione razionale e ponderata della donna o, al più, della

coppia genitoriale. L’autodeterminazione, che tale modo di vivere emerge, comporta

certamente una maggiore assunzione di responsabilità, probabilmente necessaria in una

società frammentata come la nostra, nella quale il senso comunitario sembra essersi

molto affievolito, senza però riuscire ad eliminare dubbi, paure d’incompetenza e

un’intima solitudine, che spesso l’accompagnano.

3.1.1 Ruolo materno

I nove mesi che intercorrono tra la fecondazione ed il parto, tendono ad essere sempre

più considerati in una dimensione di realtà che non tiene conto di quella soggettiva ed

intima della donna in attesa. Diventare madre ha un suo tempo biologico e un vissuto

intrapsichico, che neppure l’accelerazione della moderna società dei consumi può del

tutto ignorare e, se gli eventi biologici seguono un percorso prevedibile e relativamente

omogeneo, gli eventi psicologici si vanno ad inserire nella vicenda relazionale della

persona coinvolta, secondo una variabilità difficilmente leggibile con un ottica

categoriale. La gestazione ha un tempo interno; c’è una storia mentale che risale alla

prima infanzia, un rapporto con il proprio corpo e con le sensazioni di pieno e di vuoto,

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un’interazione con le relazioni a suo tempo stabilite con la propria madre ed il proprio

padre e con la loro definizione attraverso le gratificazioni, le frustrazioni, i successi, le

rinunce, le perdite. Come sostiene Stern (1995a), nel proporre il costrutto teorico

unificante, che chiama <<costellazione materna>>, ogni donna che diventa madre e

soprattutto alla nascita del primo figlio, viene a trovarsi, da un punto di vista

psicologico, in una situazione nuova, che orienta i suoi comportamenti e la sua

sensibilità, le sue tendenze, i suoi timori e i suoi desideri, rimettendo in gioco le fantasie

infantili. Il ruolo materno, dunque, emerge da un profondo lavoro rielaborativo e

consente alla donna di predisporsi in un <<assetto materno>>, caratterizzato da

profonde e intense esperienze emotive (Ammanniti 1992). Diventare madre significa

affrontare un’esperienza nuova e fondamentale: la nascita di un bambino, soprattutto nei

mesi successivi al parto, influenzerà pensieri, paure, fantasie, emozioni, azioni della

donna; oltre che rendere maggiormente sensibile e recettivo il sistema sensoriale e di

elaborazione delle informazioni (Ammanniti et al.1995; Ammanniti e Stern 1991).

La nuova condizione influenzerà anche tutte le relazioni precedenti, porterà a rivalutare

i rapporti con le persone più vicine, fino a ridefinire i confini di ruolo che la donna

occupava nella storia della propria famiglia (Milan 2005).

Stern (1995a) ritiene, inoltre, che la <<costellazione materna>>, accompagnerà la donna

per tutta la vita, anche se non sempre avrà una posizione centrale, come avviene dopo la

nascita del bambino. Infatti, nel periodo del post-partum, la precedente organizzazione

mentale rimane completamente lasciata sullo sfondo, dove resterà per un periodo di

tempo variabile. Poi, il nuovo assetto tenderà a perdere la sua posizione di privilegio,

per reintegrarsi con il funzionamento mentale precedente e favorire la crescita di una

personalità più matura, integrata e coerente. Nel caso, invece, che tale processo subisca

dei rallentamenti o, addirittura, delle rotture (come nelle situazioni in cui la donna non

abbia un’immagine identificatoria femminile cui fare riferimento; oppure si trovi in una

situazione di disagio economico importante; o, ancora, abbia assenza di una rete socio-

relazionale), l’assetto materno raggiunto tenderà a mantenersi eccessivamente rigido e

non consentirà alla donna una visione integrata di sé stessa come persona e come madre.

Tali sono situazioni a rischio per i quadri clinici depressivi a esordio nel post-partum

(Kendall e Tackett 2005).

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3.1.2 La figura del padre

Considerare l’influenza del padre sullo sviluppo emozionale e cognitivo del bambino è

di grande importanza. Il quesito che ci dobbiamo porre è se i processi interattivi,

determinanti per lo sviluppo di rapporti sicuri con la madre, siano efficaci anche nei casi

in cui la figura d’attaccamento sia il padre. Considerare l’influenza del padre sullo

sviluppo emozionale e cognitivo del bambino è di grande importanza (Wong et al.

2009). I padri oggi passano, con i loro figli neonati, molto più tempo di quanto non

accadesse in precedenza. Una ricerca di Pleck e Masciadrelli (1997) ha evidenziato che i

padri in media, compresi ovviamente i weekend, per quanto il loro stile interattivo si

distingua da quello della madre, passano con i loro bambini piccoli tra le 2,8 ore e le 4,9

ore al giorno e non solo pochi minuti, come a volte si dice nel parlar comune.

Già Greenberg e Morris (1974) avevano messo in evidenza, in uno studio compiuto su

30 padri di neonati primogeniti, un sorprendente coinvolgimento al quale avevano dato

il nome di <<assorbimento>> (engrossement) paragonandolo alla <<preoccupazione

materna primaria>> di Winnicott. I padri vedevano il proprio bambino come attraente,

bello, perfetto: desideravano toccarlo e tenerlo in braccio; si sentivano euforici e

sperimentavano un senso accresciuto di autostima. Yogman (1982) esaminando

sequenze di gioco di padri e madri con bambini di tre mesi, ha messo in evidenza come

padri siano capaci di stabilire regole congiunte di reciprocità nello stesso modo delle

madri, e Lamb (1977), in uno studio teso a vedere a chi un bambino di undici mesi si

avvicinasse con maggior entusiasmo per scopi sociali, come comunicare e giocare, ha

messo in luce che spesso preferivano il padre alla madre, mettendo così in forse la tesi

della totale predominanza dell’interazione madre-bambino nel primo anno.

La spiegazione di questo orientamento positivo del bambino verso il padre, come

compagno di gioco, può essere spiegato dalla osservazione delle modalità di

comportamento dei due genitori in questo tipo di scambio. Il padre gioca con il proprio

bambino in modo più stimolante dal punto di vista fisico. Il suo gioco è meno

tranquillamente ritmico, più imprevedibile ed idiosincrasico, mentre la madre è più

convenzionale e i suoi giochi tendono maggiormente a calmare e contenere il bambino,

piuttosto che eccitarlo. I padri, inoltre, preferiscono assai più delle madri di divertirsi

molto con i loro piccoli, giocando con loro animatamente (Clarke-Stuard 1978;

Brazelton e Als 1979). I bambini con i padri attivamente coinvolti dimostrano una

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maggiore competenza cognitiva e una maggiore capacità di controllo (Lamb e

Oppenheim 1989) e in uno studio sulle origini interattive del grado di sicurezza

dell’attaccamento (Cox et.al 1992) è stato possibile evidenziare che, i figli di uomini

che si rapportavano ai loro bambini di tre mesi in maniera maggiormente positiva e

sensibile ed in un’atmosfera reciprocamente giocosa, mostravano, nove mesi più tardi,

una maggiore sicurezza con i loro padri nella Strange Situation. Anche studi di

situazioni con bambini ad alto rischio (Field 1979; 1981), come nel caso di sindromi

respiratorie, dimostrano come il padre si lasci meno scoraggiare, della madre, dalla

scarsa responsività del bambino e contribuisca così significativamente allo sviluppo,

continuando il suo gioco attivo e cordiale; e promuovendo così esperienze positive di

fondamentale importanza. L’insieme di questi dati porta ad ipotizzare un sistema

d’attaccamento più flessibile ed aperto alle esperienze facilitanti con altre figure di

caregiver, che non siano necessariamente la madre.

Per concludere, dunque, possiamo dire che gli studi a disposizione sui padri dimostrano

che la formazione del legame di attaccamento interessa non solo la relazione madre-

bambino, ma più in generale le relazioni intime adulto-bambino.

3.1.3 Importanza della co-genitorialità

La psicologia delle relazioni, che ha studiato momento per momento l’evento della

nascita, ci ha avvertito della complessità di tale esperienza per tutti coloro che vi

partecipano, della necessità che la nuova madre strutturi il suo rapporto con il bambino

nei tempi e nei modi per lei più confacenti e del fatto che, dopo il primo incontro con il

bambino, è possibile sia un avvicinamento, che un allontanamento dei membri della

coppia-genitoriale. <<La nascita di un figlio, rappresenta un momento di crisi, una tappa

del ciclo vitale piena di incognite che non sempre evolve in senso positivo...può

verificarsi un allontanamento con aumento delle incomprensioni precedenti...si possono

creare alleanze intergenerazionali che producono fratture e incomprensioni>> (Badolato

1993, p. 101).

Il bambino reale, inoltre, è sempre altro dal bambino immaginato ed è necessario un

processo di riconoscimento che metta insieme fantasia e realtà. In tale processo padre e

madre dovranno in qualche modo elaborare un lutto e fare una ristrutturazione dei loro

rapporti. Passare dalla coppia alla famiglia è una prova molto impegnativa ed il mestiere

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di genitore lo si impara, per così dire, “sul campo”, una sorta di “learnig by doing”,

anche se il bambino, fortunatamente, è un ottimo insegnante ed esprime le sue esigenze

in modo molto esplicito.

Ciò che permette, ad entrambi i genitori di vivere l’esperienza della genitorialità come

estremamente gratificante, è la qualità della relazione di coppia. <<E’ essenzialmente da

una felice situazione a due che può aver origine un rapporto triadico in cui anche

l’uomo padre trova una propria collocazione e sperimenta competenza nel ruolo

assegnatogli all’interno della famiglia e nel sociale>> (Badolato 1993, p. 92).

L’instaurarsi di una co-genitorialità è strettamente connessa alla capacità dei due partner

di coordinarsi adeguatamente tra loro, così da poter rispondere in modo responsivo ai

bisogni del loro bambino.

I fattori che possono condizionare questo processo sono:

• La qualità del legame coniugale: l’inserimento “psicologico” del bambino

all’interno dell’ambiente familiare è un compito fondamentale, che i genitori

sono chiamati a svolgere nei primi mesi di vita del piccolo. Le modalità

attraverso le quali la coppia affronta i problemi, che si presentano in questa

prima fase, sono fondamentali e costituiscono il modello base dell’evoluzione

del sistema triadico. I genitori in sintonia tra loro sono maggiormente disposti ad

investire affettivamente sui figli e sono più capaci di instaurare relazioni

caratterizzate da sensibilità e calore rispetto a genitori che hanno relazioni

disfunzionali (McHale et al. 2004; Schoppe-Sullivan et al.2006).

• Le aspettative prenatali relative alla famiglia e al legame co-genitoriale: si

suppone che le aspettative, che i due genitori si formano prima della nascita del

bambino, possano modellare le dinamiche familiari future (McHale et al. 2004;

Wong et al. 2009).

• L’influenza del bambino: il temperamento del bambino influenza i pattern di

impegno reciproco, la coordinazione e la dinamica del gruppo familiare. Neonati

“difficili” possono esercitare un impatto negativo su sistemi familiari non

adeguatamente pronti ad accogliere il nuovo bambino, a causa di tensioni

coniugali o nella sfiducia delle proprie capacità di svolgere i compiti genitoriali.

Viene così a mancare quella capacità di stabilire un’alleanza co-genitoriale

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costruttiva nel momento in cui devono confrontarsi con un bambino “difficile”

(McHale et al. 2004; Eisenberg et al. 2010).

Un problema per la neo-madre, che esiste ancora e forte, è il richiamo sociale ad essere

lei il caregiver primario, che la porta ad attribuire al partner solo un ruolo secondario di

assistente, che fornisce un valido supporto ed al quale è possibile, sotto il diretto

controllo della donna, delegare alcune responsabilità. Di fronte all’ambivalenza che la

porta da un lato a sentirsi insicura ed insoddisfatta e dall’altro a ritenere non accettabile

alcuna delega, si creano talvolta veri e propri circoli viziosi, con esiti decisamente

disfunzionali per una buona relazione triadica; alcuni padri, infatti, davanti alle

insicurezze ed alle insoddisfazioni delle loro compagne, pensano di doversi assumere

responsabilità genitoriali in misura maggiore, esacerbando così il senso d’inadeguatezza

e le frustrazioni della neo-madre; altri, invece, insicuri sul da farsi ed incapaci di

esprimere in modo palese le loro perplessità, guardano altrove, lasciando la donna sola a

far fronte ai problemi ed a risolvere le situazioni (Talbot e McHale 2004).

Di grande interesse, a questo proposito, è il lavoro di McHale e collaboratori (2003),

che hanno condotto uno studio qualitativo, su un campione di famiglie con bambini tra

gli otto mesi ed i quattro anni nel corso di attività di gioco, basandosi sulla valutazione

delle seguenti dimensioni relative alla genitorialità ed ai processi familiari:

competizione, schermaglie verbali, cooperazione, centralità del bambino vs centralità

dell’adulto, calore affettivo tra i genitori, discrepanze genitoriali, calore affettivo

familiare.

I dati hanno dimostrato che, le relazioni triadiche caratterizzate da alti livelli di

cooperazione, centralità del bambino e calore affettivo, sia tra genitori che all’interno

del nucleo familiare allargato, sono essenziali per uno sviluppo psicologico ottimale del

bambino: l’ambiente familiare costituisce, infatti, un luogo di benessere e di sostegno,

capace di creare un clima di sicurezza, in grado di mitigare gli eventi stressanti. Al

contrario, una famiglia in cui vi sono alti livelli di competizione, schermaglie verbali e

discrepanze tra genitori, come nel caso in cui un genitore ostacola i tentativi dell’altro di

interagire con il bambino, oppure i due coniugi si offendono l’un l’altro in maniera

sottile o, ancora, quando uno dei due è affettuoso e sensibile con il figlio, mentre l’altro

è distaccato o intrusivo, costituisce un importante ostacolo ad un adeguato sviluppo

socio-emotivo del bambino (McHale et al. 2003).

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3.2 Interventi di sostegno

A partire dagli anni ’50, in gran parte del mondo occidentale, si è passati dal parto a

casa a quello medicalizzato in ospedale. Una conseguenza di questa

medicalizzazione è rappresentata dall’interruzione di una continuità assistenziale alla

nascita e dalla quasi totale mancanza d’assistenza durante il puerperio: la neo-madre

è dimessa dalla struttura dove ha partorito e torna a casa, aiutata e sostenuta solo

dalla propria famiglia e/o dal vicinato.

Laddove il tessuto sociale si mantiene forte intorno al nuovo nucleo genitoriale, non

si presentano gravi problemi, anzi alcune ricerche evidenziano il potente ruolo

protettivo del vicinato (Tzoumaka-Bakula 1998a-b). In quei luoghi, invece, ove le

trasformazioni sociali e demografiche iniziano a modificare profondamente le reti di

parentela e le figure sulle quali le famiglie possono contare per ricevere aiuto,

comincia ad evidenziarsi un sempre maggiore isolamento della coppia genitoriale

(ISTAT 2000). I neogenitori si ritrovano così a sperimentare le nuove funzioni di

accudimento del figlio in un contesto di solitudine che, a sua volta, contribuisce ad

aumentare lo stress, le ansie, i sentimenti depressivi e il senso di fatica fisica ed

emotiva. Questi trasformazioni hanno portato molti paesi europei ad organizzare

servizi di assistenza domiciliare nel periodo del puerperio. Un indagine

dell’Organizzazione Mondiale di Sanità (OMS 1985) relaziona che, su 23 Stati

europei partecipanti all’indagine, 20 avevano un servizio pubblico di sostegno

durante le prime sei settimane dopo il parto, al quale potevano usufruire tutte le

donne che partorivano; le modalità ed il personale utilizzato per questo servizio

variava nei diversi Stati. L’utilità, di questi servizi di supporto nel post-partum, è

confermata anche a livello scientifico da un ampia rassegna effettuata da Enkin e

collaboratori (1989) sulle procedure legate alla nascita. Essa indica chiaramente che,

offrire un maggior supporto psicologico e sociale da parte degli operatori, è una delle

modalità d’assistenza da incrementare, poiché riduce l’incidenza di patologie nelle

settimane successive il parto (Prezza 2006).

3.2.1 Home Visiting

I risultati di studi a sostegno degli effetti negativi della depressione post-partum

sullo sviluppo del bambino nel primo anno (Boyd e Weissmann 1981; Dodge 1990;

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Downey e Coyne 1990; Field et al.1985; Murray et al.1996; Teti e Gelfand 1991;

Radke.Yarrow et al.1985; Rutter 1966; Rutter 1990; Rutter e Quinton 1984; Trad

1986; Weissman et al.1984; Zahn-Waxler et al.1984) suggeriscono la necessità di

proporre interventi di sostegno alla maternità, già a partire dalla gravidanza.

Infatti, ancor prima del parto, possono essere identificati molti dei fattori di rischio

che influiscono negativamente sulla condizione depressiva materna, quali:

mancanza di contatti sociali, carenza di relazioni intime e di confidenza, condizioni

di pluriparità, condizioni socioeconomiche svantaggiate, abuso di sostanze, lutti,

discordia coniugale, assenza del partner, storie patologiche psichiatriche familiari

(Brown e Harris 1978; Paykel et al.1969; Speranza et al.2006; van Doesum 2005).

Secondo Elbourne e colleghi (1989), gli interventi di home-visiting offerti alle

donne durante l’ultimo trimestre della gravidanza, hanno effetti positivi su vari

fattori di rischio depressivo. Le ricerche riportano, infatti, un maggior

coinvolgimento delle donne nelle relazioni sociali, una riduzione degli stati affettivi

disforici e un miglioramento dell’autostima personale, che riduce significativamente

le ansie sull’accudimento del neonato dopo il parto.

Gli interventi di home-visiting possono essere considerati un valido strumento di

prevenzione, finalizzato a ridurre il rischio di un’insorgenza psicopatologica

infantile. Infatti, in questo delicato momento della loro vita, le donne tendono a

rimanere “in silenzio” nel caso dovessero avere una sintomatologia depressiva

(Speranza et al.2006; Kumar e Robson 1984). Questo tipo di resistenza, che dipende

in larga misura dalla mancanza di un’adeguata informazione riguardo ai segni della

depressione, limita la capacità di queste donne a riconoscere il proprio disagio

emotivo, inducendole a sottovalutare la gravità di alcuni sintomi dell’umore

(Ammanniti et.al 2007).

Nei mesi successivi il parto, gli addetti all’home-visiting, incontrano la madre ed il

bambino, presso l’abitazione di questi ultimi, ed osservando l’interazione madre-

bambino, possono con facilità valutare i bisogni ed identificare i fattori di rischio e

di protezione dell’ambiente di vita, con l’obiettivo d’impostare uno specifico tipo

d’intervento, nel rispetto dell’unicità della situazione (Paris e Dubus 2005). Gli

interventi sono basati su un approccio transazionale, il quale considera

l’interrelazione tra tutti i fattori, che contribuiscono alla qualità dell’interazione

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madre-bambino: lo stato psichico ed affettivo delle madri; le caratteristiche

individuali del bambino; la valutazione delle variabili di rischio o di protezione

dello specifico contesto ambientale di vita (Belsky 1984; Sameroff e Fiese 2000;

van Bakel e Riksen-Walraven 2002).

Finalità dell’home-visiting è di creare una relazione supportiva con la madre, per

stimolare la messa in atto di scambi interattivi maggiormente appropriati con il

bambino (Speranza et al2006). Benessere psicologico della donna e del bambino

sono gli obiettivi principali. Perciò, la madre verrà incoraggiata ad adottare

comportamenti di accudimento appropriati con il proprio bambino, così da

valorizzare il suo ruolo di “basa sicura” e perseguire così uno stato salutare.

Essenziale è la relazione di fiducia che si viene a instaurare tra la donna-madre e le

operatrici dell’home-visiting (Heinicke et al.1999; Lieberman e Pawl 1993; Slade

2002), poichè limita il senso di isolamento sociale delle madri e sostiene le

opportunità di entrare in relazione con altre persone esterne alla famiglia,

appartenenti alla rete amicale o sociale allargata (van Doesum et al.2005; Lyons-

Ruth et al.1990). Lo scopo ultimo dell’home-visiting non è curare oppure migliorare

la depressione post-partum nelle madri, bensì sostenere le competenze genitoriali, al

fine di limitare il rischio di una insorgenza psicopatologica nel bambino (Ammanniti

et al. 2007).

L’efficacia dell’home-visiting è stata valutata da numerose ricerche. Alcune ricerche

hanno evidenziato come le visite domiciliari possono influire sul tono dell’umore

delle madri, riducendo l’intensità dei sintomi depressivi attraverso il rinforzo della

loro autostima nell’ambito delle pratiche di accudimento dei bambini (Egeland e

Erikson 1990; Amstrong et al.1999; Long et al. 2001; Ahn e Kim 2004). Altre in cui

la riduzione dei sintomi depressivi materni è spesso associata alla maggiore intensità

delle visite domiciliari, oltre che alla maggiore durata del programma di intervento

(Navaie-Weisler e at. 2000).

Nonostante questi dati, molte altre ricerche non hanno, invece, rilevato effetti

significativi sui disturbi affettivi materni, evidenziando, all’opposto, una stabilità dei

sintomi depressivi, con un minimo, sebbene non rilevante, cambiamento nel tempo.

Queste indagini hanno, tuttavia, confermato l’efficacia degli interventi di home-

visiting nel sostegno alle madri nel processo di adattamento al ruolo genitoriale, con

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il miglioramento delle pratiche di accudimento dei bambini e l’assunzione di

comportamenti più salutari per sé stesse e per i propri figli (Heinicke et al.1999).

In Italia, a differenza del resto d’Europa, non sono state prese molte iniziative a

sostegno della genitorialità nei quadri di maternità a rischio depressivo. Ma,

analizzando i dati di una ricerca di Ammanniti e collaboratori (2006), finalizzata alla

valutazione dell’efficacia dell’home-visiting su gruppi di madri a rischio depressivo

e psicosociale, si desume quanto sia fondamentale, invece, investire sulla

prevenzione dei disturbi depressivi materni, al fine di predisporre programmi di

intervento basati sull’individuazione precoce degli indicatori di rischio evolutivo

all’interno della relazione madre-bambino.

3.2.2 Corsi di accompagnamento alla nascita

I corsi di accompagnamento alla nascita sono considerati, dalla letteratura

scientifica, uno strumento importante per promuovere la salute. Secondo il Progetto

Obiettivo Materno Infantile, i corsi di accompagnamento alla nascita sono un’azione

necessaria per umanizzare il percorso nascita e per stimolare l’empowerment delle

donne e delle famiglie (P.O.M.I. 2000).

Infatti, decidere di partecipare ad un corso di preparazione al parto vuol dire

intraprendere un percorso personale e di coppia che consenta di avvicinarsi alla

genitorialità con aumentata consapevolezza e di vivere la nascita con serenità e

naturalezza, stimolando il protagonismo dei futuri genitori ed una partecipazione

attiva della donna al parto (Forleo et al., 2000).

Secondo Humenick (2002), è proprio durante il periodo prenatale che le coppie sono

più ricettive a percepire i cambiamenti che stanno avvenendo nella loro vita e sono

meglio disposte ad accogliere ed assimilare una grande quantità di informazioni,

sulla loro gravidanza e non solo.

Nei corsi di preparazione alla nascita ed alla genitorialità (indicando in questo modo

il momento del parto non come un momento conclusivo, quanto piuttosto come una

tappa intermedia di un più ampio processo di transizione alla genitorialità) vengono

fornite informazioni corrette e comprensibili sulla fisiologia della gravidanza, del

travaglio e del parto ed offrerti strumenti per permettere alla donna di riconoscere i

segnali inviati dal proprio corpo. Infatti, un corso efficace, deve offrire strumenti per

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permettere ad ogni persona di conoscersi meglio, dal punto di vista fisico e

psicologico, poiché, dove non c’è conoscenza, si lascia spazio all’ansia e alla paura

(Iori 2001).

Educare alla nascita vuol dire ampliare, nei futuri genitori, la consapevolezza del

proprio ruolo di madre e di padre e ciò non può prescindere da una riflessione sui

propri stati d’animo, sulle ansie e sulle preoccupazioni (Soldera e Beghi, 2005). Una

relazione di coppia, armoniosa e di sostegno, favorisce una ricca comunicazione col

bambino e permette un adattamento precoce ai ruoli genitoriali, fattore che facilita

l’interazione e l’attaccamento nei confronti del figlio. Creare, nella coppia, la

consuetudine a comunicare e confrontarsi sui temi della genitorialità, sulle fantasie,

timori e dubbi circa la prospettiva di vita con il bambino, rappresenta una

importante prevenzione delle difficoltà, che la coppia si troverà ad affrontare.

Durante la gravidanza i genitori dovrebbero trascorrere insieme un tempo riservato a

loro come coppia insieme al loro bambino inmmaginato, dedicando così uno spazio

al figlio non solo fisico, ma anche mentale. Questa interiorizzazione predispone alla

comunicazione e all’ascolto del proprio bambino e pone le basi per lo sviluppo della

relazione affettiva. È importante anche fornire spunti di riflessione su come la

nascita del bambino porterà a ridefinire la relazione con le famiglie di origine

(Righetti 2003). Il corso di preparazione alla nascita rappresenta un importante

appuntamento per i futuri genitori, una opportunità per fermarsi dalla routine e

rallentare dai ritmi frenetici della vita quotidiana, uno spazio da dedicare solo a sé

stessi e al proprio bambino, per ascoltarsi ed esplicitare sentimenti ed emozioni

ambivalenti. Si parla sempre delle gioie legate alla gravidanza e alla maternità,

mentre meno spesso si parla apertamente delle difficoltà, che il passaggio a questo

nuovo ruolo comporta. Per accettare questo profondo cambiamento è necessario

riconoscere anche le emozioni negative ad esso legate, quali la rabbia, la

frustrazione, l’egoismo, il sentimento di perdita, anche se questo comporta l’andare

contro il mito del genitore perfetto. Diventare madri e padri significa anche perdere

una parte di se stessi ed assumere un nuovo ruolo, da figli a genitori, e questo

cambiamento può comportare, per alcune donne e alcuni uomini, una grande

sofferenza e richiedere un periodo più o meno lungo di adattamento (Marshall,

2005; Marinopoulos, 2005). Infine, questa occasione di incontro con altre donne e

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coppie, che vivono la medesima esperienza, favorisce la condivisione emotiva e

incoraggia la collaborazione e lo scambio, facilitando la nascita di nuove ed

importanti amicizie. La costruzione di una rete, in grado di fornire sostegno e

solidarietà, risulta di fatto un elemento decisivo per il benessere della madre e della

coppia nel post-partum ed è uno degli obiettivi basilari dei corsi.

Il fine ultimo, di ogni corso di accompagnamento alla nascita, è che ogni donna ed

ogni coppia possano sentirsi sostenuti e accompagnati, al principio di questo

complesso e infinito viaggio, che è la genitorialità.

4 Capitolo: Tre ricerche a confronto

Due studi sperimentali, europei, i quali valutano se il programma di Home Visiting è

efficace nel migliorare la qualità della relazione madre-bambino, basilare per un sano

sviluppo del neonato.

Il primo studio, italiano, inserito in un campione di puerpere a rischio depressivo e/o

psico-sociale, ha l’obiettivo di valorizzare la sensibilità della madre a riconoscere i

segnali e i bisogni del proprio bambino; il secondo studio, collocato in un gruppo di

madri depresse, ha l’obiettivo di favorire un modello di attaccamento sicuro madre-

bambino prevenendo problemi di sviluppo nei bambini.

I risultati di entrambi gli studi confermano l’efficacia del modello d’intervento Home

Visiting. Il primo studio conclude che la maggior efficacia sembra essere garantita

proprio dal sostegno alla relazione genitore-bambino, non solo prendendo in

considerazione il contesto relazionale attuale, ma anche altri aspetti, tra i quali l’impatto

delle relazioni passate del genitore con i propri genitori, così come studiati dalla teoria e

dalla ricerca sull’attaccamento. Un intervento precoce basato sulla relazione caregiver-

bambino può, infatti, ridurre lo stress e il conflitto, rafforzando il processo di sviluppo

dell’interazione, ed attivando e sostenendo i processi di sviluppo salienti del bambino.

Anche la seconda ricerca, olandese, conclude che l'intervento Home Visiting ha favorito

un modello di attaccamento sicuro madre-bambino ed inoltre ha dato risultati positivi

anche per uno degli aspetti del funzionamento socio-emotivo del bambino, quello della

competenza.

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La terza ricerca, statunitense, documenta la difficoltà della donna ad esprimere il suo

bisogno di aiuto in gravidanza e sollecita la prevenzione, ai disagi post-partum, per

mezzo del Corso di Accompagnamento alla Nascita.

Infatti, con questi corsi, esiste l’opportunità di insegnare alla neo-madre come e quando

chiedere aiuto e sostegno, così da prevenire la depressione post partum. Questo tipo

d’intervento aiuta la donna a rimanere aperta alla comunicazione con l’altro e consente

al suo compagno/altri significativi di poterla supportare, permettendole di beneficiare

del piacere e della gioia del parto e della cura per il suo bambino appena nato. E’

riconosciuto, infatti, che l'isolamento sociale e allo stesso tempo il forte desiderio di

sostegno sociale, durante il periodo post-partum, sono legati allo sviluppo della

depressione materna.

4.1 M. Ammaniti, A. M. Speranza, R. Tambelli, F. Odorisio, & L.Vismara (2007).

Sostegno alla genitorialità nelle madri a rischio: valutazione di un modello di

assistenza domiciliare sullo sviluppo della prima infanzia. Infanzia e Adolescenza,

vol.6 (2): pp. 67-83. (Appendice 1)

Introduzione

Questa ricerca sottolinea l’esigenza di adottare una prospettiva che integri approcci di

prevenzione con quelli di promozione, riscontrando la necessità di pianificare interventi

che includano anche la promozione della salute e il miglioramento delle competenze, al

fine di ridurre i fattori di rischio e di aumentare quelli di protezione.

Infatti, nell’ambito degli interventi preventivi rivolti alla famiglia, la maggior efficacia

sembra essere garantita proprio dal sostegno alla relazione genitore-bambino, non solo

prendendo in considerazione il contesto relazionale attuale, ma anche altri aspetti, tra i

quali l’impatto delle relazioni passate del genitore con i propri genitori, così come

studiati dalla teoria e dalla ricerca sull’attaccamento.

Quindi, un intervento precoce basato sulla relazione caregiver-bambino può ridurre lo

stress, il conflitto e rafforzare il processo di sviluppo dell’interazione, attivando e

sostenendo i processi di sviluppo salienti del bambino. Al contrario, un conflitto o un

fallimento nell’interazione fra il bambino e il caregiver può causare stress e generare

emozioni negative. Di conseguenza, scambi interattivi meno adattivi, caratterizzati da

modalità di cura incoerenti, instabili o scarsamente sensibili, possono avere

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conseguenze negative per lo sviluppo, come nel caso in cui il caregiver soffra di

depressione.

Nel caso di madri depresse, è stato suggerito che un fallimento nella “regolazione

reciproca” può provocare nel bambino esperienze emotive negative e difficoltà nella

relazione con gli altri.

Comunque i risultati che sono stati ottenuti nei bambini sono abbastanza eterogenei.

Essi vanno da una disfunzione nella regolazione affettiva a difficoltà di interazione, a

deficit cognitivi e stili di attaccamento insicuro, tutte difficoltà che tendono a persistere

nel seguire degli anni.

Obiettivi

Obiettivo di questa ricerca è analizzare l’efficacia dell’intervento precoce di Home

Visiting diretto a rafforzare la qualità della relazione madre-bambino in diadi all’interno

delle quali le madri presentano un rischio depressivo, un rischio psicosociale, o un

rischio sia depressivo che psicosociale.

Metodologia

Sono state selezionate 38 donne a basso rischio, 39 donne a rischio psicosociale, 37

donne a rischio depressivo e 32 donne a doppio rischio, che sono state assegnate in

modo casuale ad un programma di intervento o a un gruppo di controllo.

Le donne hanno un’età compresa tra i 20 e i 43 anni. Ad entrambi i gruppi sono state

somministrate le seguenti interviste e questionari: l’AAI, l’IRMAG, l’IRMAN, il CES-

D e l’SCL-90.

Durante il primo anno di vita del bambino sono state effettuate delle videoriprese

dell’interazione diadica madre-bambino a 3, 6 e 12 mesi.

Intervento di Home Visiting

Il programma di Home Visiting ha inizio a partire dall’ultimo mese di gravidanza e

termina al compimento del primo anno di vita del bambino. L’intervento si caratterizza

per una cadenza settimanale per i primi sei mesi di vita, seguendo poi una cadenza

quindicinale per il successivo semestre. Le visite domiciliari sono effettuate da un

gruppo di psicologhe ed assistenti sociali, selezionate e addestrate al programma di

assistenza da esperti nel campo della clinica e della ricerca nell’area della prima

infanzia. Tutte le operatrice sono supervisionate, con cadenza quindicinale, durante il

corso dell’intervento domiciliare. L’intervento domiciliare predisposto poggia

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teoricamente sui modelli della “teoria dell’attaccamento” di Bowlby (1969), della

“sintonizzazione affettiva” di Stern (1985) e della “regolazione reciproca” di Tronick e

Cohn (1989).

Gli obiettivi che il programma di intervento si propone di conseguire sono quello di

sostenere lo sviluppo del bambino e di migliorare le competenze genitoriali,

promuovendo e favorendo la costruzione e lo sviluppo di relazioni positive tra caregiver

e bambino. Le madri sono incoraggiate a migliorare le loro competenze e la loro

sensibilità verso i loro bambini, ad osservare le loro interazioni con il bambino e a

riconoscere l’importanza della loro influenza sullo sviluppo del figlio.

In generale l’intervento ha l’obiettivo di aiutare il genitore ad adattare il proprio

comportamento allo sviluppo del bambino e facilitare la loro relazione. Inoltre, mira ad

aumentare la capacità di osservazione materna, attivando le sue capacità di

comunicazione e di ascolto del bambino, rafforzando l’autostima della madre,

valorizzando le sue risorse. L’intervento è progettato per aiutare le madri a capire

meglio i bisogni del figlio, attraverso i segnali emotivi e i comportamenti che mette in

atto e le comunica (sorrisi, differenti tipologie di pianto, vocalizzazioni e postura, ecc.).

Nel corso dell’Home Visiting si cerca di promuovere e sostenere l’autoefficacia della

madre; le operatrici, osservando il comportamento del bambino e attirando l’attenzione

della madre sulle modalità che egli utilizza per entrare in interazione con lei, tenderanno

a far considerare alla madre il comportamento del figlio come più denso di significati,

così aumenterà la sua competenza nel rispondere in modo più adeguato ai bisogni del

bambino.

Le inevitabili difficoltà che si presentano hanno lo scopo di promuovere un sentimento

di empatia e di identificazione con il bambino che si manifesta in un caregiving

sensibile ed adeguato. Alle madri viene fornito un ascolto empatico affinché

sperimentino la sensazione di essere all’interno di una relazione in cui non vengono

giudicate, ma accettate e valorizzate. Dunque la visita diventa un momento privilegiato

in cui la donna può esprimere le sue ansie, paure, incertezze rispetto alle proprie

capacità materne, ed avere l’opportunità di entrare in contatto con i propri sentimenti e

di esplorarli. Senza mai sostituirsi alla madre, le operatrici mantengono una posizione

centrale tra madre e bambino.

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Le donne che non ricevono l’intervento di Home Visiting vengono, comunque,

incontrate periodicamente dopo la nascita del bambino per la somministrazione

degli strumenti, seguendo le sue fasi di sviluppo rispetto al 1°, 3°, 6° e 12° mese.

Discussione e conclusioni

L’obiettivo principale dello studio è stato quello di valutare se il programma di Home

Visiting è efficace nel migliorare la qualità della relazione madre-bambino in situazioni

a rischio depressivo e/o psico-sociale. I risultati dello studio confermano l’efficacia del

modello di intervento e, infatti, al follow-up di 6 mesi di vita del bambino, abbiamo

riscontrato nelle madri seguite:

• una riduzione dei sentimenti negativi relativi allo stato affettivo materno;

• una diminuzione dei comportamenti materni di interferenza;

• un incremento di interazioni maggiormente cooperative all’interno della diade;

• un potenziamento della sensibilità materna.

Tutti questi elementi sono coerenti con il focus dell’intervento di Home Visiting basato

sull’attaccamento che riguarda la sensibilità materna come fattore chiave per la salute

emozionale e lo sviluppo relazionale del bambino. Allo stesso tempo, i dati mostrano

che le caratteristiche specifiche dell’intervento possono avere effetti diversi in ciascun

sottogruppo. Specificatamente, i dati confermano che una relazione positiva con un

operatore di Home Visiting ha avuto un effetto significativo sulle madri depresse che

hanno mostrato, sia una maggiore frequenza di comportamenti sensibili, che maggiori

abilità alla cooperazione con il bambino. Sebbene non sia stata modificata la

sintomatologia depressiva, queste madri tendevano a comportarsi come madri

“abbastanza buone”, cioè esse rispondevano appropriatamente ai segnali del bambino ed

erano, rispetto al gruppo depresse senza Home Visiting, abili a costruire relazioni in

modo da impegnare il bambino nel mantenimento delle interazioni.

I dati sembrano indicare, come emerso da altri studi , che gli interventi di Home

Visiting tendono a modificare lo stile interattivo materno pur non influendo sulla

sintomatologia depressiva nel corso del primo anno di vita. Nello stesso modo le madri

a rischio psicosociale sembrano beneficiare, grazie all’intervento, di una diminuzione di

stati emotivi negativi e comportamenti interferenti.

A 12 mesi, la differenza fra i gruppi con Home Visiting e senza Home Visiting tende a

persistere, ma solo su alcune dimensioni.

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Rispetto alla dimensione della differenziazione nelle rappresentazioni materne, le madri

con Home Visiting mostrano una maggiore consapevolezza del proprio ruolo materno e

maggiori abilità di riconoscere sentimenti ambivalenti. In particolare, le madri sembrano

essere positivamente disposte dal trattamento di Home Visiting ad una maggiore

apertura al cambiamento. Il trattamento Home Visiting sembra promuovere e supportare

queste donne attraverso un accomodamento più flessibile alla nuova situazione, come

risultato della nascita del bambino, rispetto a loro stesse e alla vita di coppia. Si può

ipotizzare che il trattamento di Home Visiting può aver aiutato le donne a raggiungere

un più organizzato senso di sé come madre anche rispetto alla propria madre, con una

maggiore flessibilità rispetto ai cambiamenti nel primo mese di vita del bambino, e con

una migliore abilità a riconoscere i segnali comportamentali del bambino. Da questa

prospettiva, il supporto di Home Visiting funziona coma una base sicura e permette alle

madri di riconoscere loro stesse ed esplorare il comportamento dei loro bambini.

4.2 van Doesum, K.T.M., Hosman, C.M.K., & Riksen-Walraven, J.M., Hoefnagels,

C. (2008). A randomized controlled trial of a Home Visiting Intervention aimed at

preventing relationship problems in depressed mothers and their infants. Child

Development, vol. 79 (3): 547-561. (Appendice 2)

Introduzione

Questo studio, finanziato da una borsa di studio dell'Organizzazione Olandese per la

Ricerca e lo Sviluppo della Salute, dalla Fondazione per il benessere dei bambini dei

Paesi Bassi e dalla Comunità Centro di Salute Mentale, RIAGG IJsselland, Paesi Bassi,

mira a migliorare l'interazione tra madri depresse e i loro bambini, favorendo così un

modello di attaccamento sicuro madre-bambino e prevenendo quindi problemi di

sviluppo nei bambini.

La ricerca documenta, citando numerosi studi, la gravità degli effetti della depressione

materna sullo sviluppo del bambino e descrive anche le conseguenze psicologiche e

comportamentali del bambino, nel primo anno di vita.

Alla luce di queste gravi implicazioni, è stato sviluppato un programma di intervento

precoce per madri depresse ed i loro bambini.

Il programma d’intervento si basa su un già esistente programma d’intervento

americano, che ha come focus la sensibilità materna, dimensione considerata assai

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importante nel rapporto madre-bambino e determinante nello sviluppo del bambino

stesso, nei primi anni di vita.

Obiettivo

In questo studio viene esaminato l'effetto, dell’intervento di Home Visiting sulla diade

madre-bambino, sia sulla qualità della interazione madre-bambino e sullo stile di

attaccamento sicuro madre-bambino, sia sul funzionamento socio-emotivo del bambino,

in un campione di madri depresse.

Metodologia

Ammesse a partecipare al progetto sono le madri con un bambino fino a 12 mesi, (a)

che abbiano avuto un episodio depressivo maggiore o distimia (95%) (4a ed;. DSM-IV),

con il Beck Depression Inventory (BDI)> 14 (5%), (b) che le madri parlino bene in

lingua olandese, e (c) che le partorienti siano sotto un trattamento ambulatoriale per la

loro depressione, presso un terapeuta qualificato locale o uno psichiatra.

Delle 95 donne prese per il pretest del campione, 7 non sono rientrate nei criteri e 3

hanno rifiutato la partecipazione. Delle 85 partecipanti che avevano inizialmente

partecipato allo studio, 14 (16%) sono uscite dalla ricerca in corso. Le madri che hanno

accettato di partecipare allo studio hanno firmato un modulo di consenso informato, che

ha spiegato la randomizzazione al programma e con il quale ha anche dato il permesso

al ricercatore di ottenere informazioni dai loro terapeuti.

Il procedura di assunzione e il protocollo di studio è stato approvato dal comitato di

etica medica dell'Università Radboud di Nijmegen, dove è stato coordinato la ricerca.

Progettazione e Intervento

Dopo una valutazione iniziale, i partecipanti sono stati assegnati in modo casuale al

gruppo sperimentale o al gruppo di controllo. Il gruppo sperimentale, di coppie madre-

bambino, ha ricevuto il programma d’intervento strutturato come di seguito:

uno dei 14 home visitors (operatori qualificati alla prevenzione della salute), affiliati ad

uno dei centri regionali di salute mentale, tutti con un master in psicologia o psichiatria

sociale e con laurea in prevenzione e educazione alla salute, hanno visitato le madri

depresse e i loro bambini a casa, dove hanno registrato l’interazione madre-bambino in

videocassetta, di solito durante il bagno o il pasto del bambino.

Un team multidisciplinare, composto da specialisti della cura della salute mentale

infantile e della psicopatologia adulta, hanno successivamente analizzato la

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videocassetta, concentrandosi sulla sensibilità della madre ai segnali ed ai bisogni del

suo bambino. Sulla base dell’analisi del filmato sulle interazioni e della esperienza del

home visitor, la squadra definisce congiuntamente gli obiettivi specifici dell'intervento,

ricordando che comunque l'obiettivo principale resta sempre la valorizzazione della

sensibilità della madre a riconoscere i segnali e bisogni del proprio bambino.

Al gruppo di controllo, di coppie madre-bambino, è stato dato un minimo supporto

concentrato in tre telefonate riguardanti informazioni generali, di circa 15 minuti,

sostenute da un terapista pediatrico.

Discussione e conclusioni

L'intervento di home visiting ha avuto effetti positivi sulla qualità dell’interazione

madre-bambino e nel prevenirne il deterioramento. I bambini nel gruppo sperimentale

hanno dato punteggi più elevati, di quelli del gruppo di controllo, per lo stile di

attaccamento sicuro ed hanno dato punteggi più elevati anche per un aspetto del

funzionamento socio-emotivo del bambino (la competenza).

Questo studio dimostra che un breve intervento, moderatamente intenso di visite, può

ottenere un effetto di prevenzione significativo e abbastanza a lungo termine (6 mesi

dopo l'intervento), periodo importante dello sviluppo neonatale.

Risultato, ancora più rilevante, è quello che il gruppo sperimentale ha dimostrato un

aumento della sensibilità materna, che è una delle componenti basilari del ruolo

materno. Mentre è stata scarso il risultato per la non intrusività e non ostilità della

madre nel rapporto con il figlio.

Nei 6 mesi di follow-up sono stati confermati nel gruppo sperimentale punteggi

significativamente più alti per l’attaccamento sicuro e la competenza sociale del

bambino che nel gruppo di controllo, anche se la conclusione circa l'effetto

dell'intervento sulla competenza dei bambini deve essere trattata con molta cautela.

Contrariamente alle aspettative, la ricerca non è riuscita a trovare una differenza tra i

due gruppi per gli altri tre domini di funzionamento socio-emotivo infantile

(esternalizzazione, internalizzazione e disregolazione). Questo potrebbe essere attribuito

al breve intervallo tra la fine dell'intervento e il follow-up di valutazione; sei mesi può

essere stato un periodo troppo breve per eventuali manifestazioni di effetti

dell’intervento sui problemi socio-emotivi dei bambini. Un anno di follow-up sarebbe

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potuto essere più appropriato per dimostrare l'efficacia del trattamento, circa questi

aspetti comportamentali.

Bisogna dire che il miglioramento della interazione madre-bambino, nel gruppo

sperimentale, non può essere attribuita esclusivamente alla cura della depressione delle

madri. Infatti, tutte le madri, sia ne gruppo sperimentale che nel gruppo di controllo,

sono state sottoposte a trattamento (farmaci e / o terapia) per i loro sintomi depressivi,

dall’inizio e durante tutto il programma d’intervento.

La Valutazione media della BDI è diminuita in entrambi i gruppi sperimentali e di

controllo. Né il pre-test, né la valutazione post-test hanno rivelato significative

differenze di gruppo in termini punteggi di BDI . Tuttavia, la sensibilità materna è solo

aumentata nel gruppo sperimentale, ma non nel gruppo di controllo.

Quindi, il solo trattamento della depressione materna non si traduce automaticamente in

un aumento della sensibilità materna. Ciò è confermato dai nostri risultati, i quali

mostrano che l'intervento non ha ridotto la depressione materna e oltremodo ciò non

deve sorprendere, dato che l'obiettivo primario dell'intervento era quello di migliorare la

qualità della interazione madre-bambino e di non ridurre la depressione.

4.3 Zauderer C. (2009). Postpartum Depression: how childbirth educators can help

break the silence. J Perinatal Education, vol.18(2): pp. 23-31. (Appendice 3)

Introduzione

Le voci delle donne che soffrono di depressione post-partum restano spesso in silenzio.

Le donne sono riluttanti a rivelare agli altri che sono infelici, dopo la nascita dei loro

bambini.

Molto è stato scritto sulle possibili cause, i fattori di rischio e le cure per la depressione

post-partum, ma poco è stato fatto per indagare sul perché le donne ci mettono così

tanto tempo a cercare aiuto.

Dopo un’iniziale descrizione della depressione post partum, dei cambiamenti fisici,

emotivi ed ormonali della puerpera ed una classificazione dei sintomi e disturbi

dell’umore nel periodo del post partum, viene analizzato il motivo per cui le donne, con

depressione post partum, restano a lungo in silenzio, non trovando la forza di chiedere

aiuto.

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Lo studio continua con la presentazione dei contenuti e delle modalità del corso di

preparazione alla nascita, rivolto alla coppia e il cui obiettivo è di presentare ai futuri

genitori, o caregiving, tutte le informazioni per prevenire la depressione post partum.

La ricerca termina con le esposizione delle conclusioni a favore dei detti corsi.

Depressione Post Partum

Gravidanza, il travaglio e il parto sono forse le più significative esperienze di vita che

una donna e il suo partner incontrano. E 'un momento di estrema trasformazione, fisica

ed emotiva con intensi cambiamenti, psicologici, biologici e ormonali, i quali possono

avere effetto sul sistema nervoso centrale. Il puerpério può essere un momento di alta

vulnerabilità per le donne, assieme alla sensazione di perdita di controllo. Infatti, enormi

cambiamenti si verificano nel mondo interpersonale e familiare della donna.

La nascita di un nuovo bambino dovrebbe essere un momento indimenticabile nella

gioiosa vita di una donna, ma non sempre lo è. Per alcune donne possono

sopraggiungere problemi di regolazione relazionale con il bambino ed altri relativi

all'umore, come i disturbi debilitanti della depressione post-partum.

Più della metà delle donne con DPP passano inosservate e non diagnosticate, poiché la

puerpera è spesso riluttante a rivelare come si sente, sia al suo operatore sanitario che ai

familiari stretti, compreso il coniuge. Ella può sentirsi imbarazzata per le emozioni che

sta vivendo, o paurita perché immagina, se dovesse rivelare i sintomi del suo malessere,

sarà istituzionalizzata e separata dal suo bambino.

La depressione post-partum si verifica in circa il 13% delle neo-mamme. Di solito è

diagnosticata tra la 2a e la 6a settimana dopo il parto e può durare fino a 2 anni. DPP

descrive un "disturbo dell'umore paralizzante" spesso trascurato dagli operatori sanitari,

che può causare alla donna ansia e confusione.

Corsi di preparazione al parto ed accompagnamento alla nascita

Morton e Hsu (2007) hanno studiato nuovi metodi per gli educatori dei corsi di

accompagnamento alla nascita, così da migliorare la loro preparazione. Infatti, oggi si

incontrano coppie di genitori che desiderano avere risposte più professionali di quelle

già trovate via internet e non si accontentano di lezioni sul come respirare durante il

parto, essi vanno perciò approcciati con metodologie aggiornate.

Per mezzo dei corsi di preparazione al parto, inoltre, esiste l’opportunità di insegnare

alla neo-mamma come chiedere aiuto e sostegno quando ne avrà bisogno. Queste

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tecniche potranno essere assai utili a mantenere aperta la comunicazione con la

puerpera. E’ riconosciuto, infatti, che l'isolamento sociale e allo stesso tempo il forte

desiderio di sostegno sociale, durante il periodo post-partum, sono legati allo sviluppo

della depressione post-partum. La neo-madre depressa è privata del piacere e della gioia

del parto e della cura per il suo bambino appena nato.

Gli educatori del corso possono svolgere un ruolo significativo per contribuire a

rompere questo muro di silenzio, in primo luogo fornendo la formazione necessaria per

aiutare le donne e i loro partner a riconoscere i primi segni e sintomi della depressione

post-partum (DPP). In secondo luogo, gli educatori possono aiutare ad aumentare la

comprensione di una donna su come ascoltare e soddisfare i propri bisogni. Questo

approccio può migliorare lo stato generale e di benessere mentale della donna , così da

prevenire o diminuire l'esperienza del DPP. Sebbene la prevenzione del DPP non la cura

definitivamente, gli operatori sanitari possono aiutare a riconoscere ed a ridurre i

principali fattori di rischio. Dennis (2004) ha trovato che interventi come la preprazione

al parto e l’home visiting post-parto, possono avere importanti risultati non

farmacologici di prevenzione.

Il corso di preparazione al parto è un ambiente ideale per fare prevenzione, perché

l'educatore ha di solito l'attenzione di entrambi i genitori. Attraverso il corso di

accompagnamento alla nascita, gli operatori sanitari possono anche raggiungere i neo-

padri, che spesso lamentano di non essere un parte integrante dell'esperienza del parto.

Pare che in uno studio, condotto da Premberg e Lundgren (2006), i padri hanno ritenuto

che le informazioni ottenute attraverso i corsi di preparazione al parto fossero inadeguati

alle loro particolari esigenze. Tuttavia, hanno anche riferito, che i corsi non solo li

hanno aiutati a prepararsi alle necessità della nascita, ma anche dato loro una guida

preventiva su cosa aspettarsi da questo evento, quando e come organizzarsi per il

rientro, con il bambino appena nato, a casa. E, infine, il corso gli hanno dato la

possibilità di riscontrare i primi segni della DPP nella compagna; ad esempio se ella è

sopraffatta e privata del sonno, mentre si prende cura del neonato. La neo-madre può

non voler ammettere di avere questi sintomi, ma il padre / partner la può incoraggiare o

stimolare a cercare aiuto quando è necessario. Se, infine, il padre viene a conoscenza dei

primi segnali di DPP durante il corso, sia per lui che per lei, sarà più facile valutare

questi cambiamenti e chiedere aiuto. Un complesso problema di salute

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Il verificarsi della DPP è riconosciuto come un grave problema di salute pubblica. Nella

presenza di DPP c’è un apparente paradosso. La donna diventa clinicamente malata,

poche settimane dopo il parto, periodo in cui si potrebbe supporre che la neo-mamma

debba essere felice e gioiosa.

Mauthner (2002) ha intervistato e ha scoperto che le donne con DPP percepiscono se

stesse e coloro che le circondano con apprensione. Queste donne assumono un

atteggiamento passivo, che spesso porta ad isolarsi dagli altri per timore e per mancanza

di comprensione della loro malattia. Le donne con DPP preferiscono allontanarsi da

amici e persone care piuttosto che rivelare ciò che stanno sperimentando dentro di sè,

soprattutto quando ciò che esse provano va contro gli standard sociali, culturali e le loro

aspettative. La paura di essere etichettate come una <<madre non perfetta>> crea quel

silenzio che rende la loro malattia difficile sopportare e complessa di curare.

Conclusione:

Dal momento che gli educatori sanitari sono i primi a venire a contatto con le coppie in

procinto di una nascita, possono intervenire ed informare la donna sulla problematica

umorale a cui potrebbe andare incontro dopo il parto. Molti Ginecologi ed Ostetrici,

assieme ai Pediatri, già oggi sottopongono le neo-madri a screening per verificare

sintomi di DPP. Tuttavia, molte di queste donne sono ancora riluttanti ad ammettere e

prendere coscienza dei loro sintomi.

Perciò, fornendo loro una preparazione, con i corsi di accompagnamento alla nascita, si

auspica che queste donne avranno la possibilità di riconoscere ed accettare di avere un

problema. Allo stesso tempo, il coniuge o gli Altri significativi, saranno più preparati a

riconoscere i segni e i sintomi della DPP ed a sollecitare la neo-madre a chiedere aiuto.

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Considerazioni finali

Psicologi, sociologi e antropologi ci descrivono la nostra come una società iper-

individualista, una società in cui viene attribuito valore alla prestazione del singolo, al

culto dell’Io e delle capacità individuali. La conseguenza più evidente di questo clima

culturale e sociale è la perdita della capacità, ma anche del desiderio, di mettersi in

relazione, stabilire legami, tessere reti, in altre parole, andare incontro all’altro. Perciò, i

neogenitori si ritrovano spesso a sperimentare le nuove funzioni di accudimento del

figlio in un contesto di solitudine che, a sua volta, contribuisce ad aumentare lo stress, le

ansie, i sentimenti depressivi e il senso di fatica fisica ed emotiva.

Oltretutto, diventare madre significa affrontare un’esperienza nuova e cruciale. Infatti,

la nascita di un bambino e, soprattutto, i mesi successivi al parto, influenzeranno

pensieri, paure, fantasie, emozioni, azioni della donna; oltre che a rendere

maggiormente sensibile e recettivo il sistema sensoriale e di elaborazione delle

informazioni della puerpera stessa.

Diventare madre significa anche poter incorrere nei disturbi della depressione post

partum, disagio che può mettere in forte difficoltà la donna, già dal primo mese dopo la

nascita del suo bambino.

In questi casi, senza un intervento tempestivo, si possono avere implicazioni a lungo

raggio per la madre e per il figlio. La depressione postpartum, distinta dai maternity

blues e dalla psicosi puerperale, è una patologia particolarmente rilevante, non solo per

le sofferenze della donna, ma anche per le ricadute sullo sviluppo emozionale, cognitivo

e relazionale del bambino. Solo la conoscenza dei fattori di rischio e il riconoscimento

precoce dei sintomi consente di distinguere la depressione post partum da altri disturbi

dell’umore e dai disturbi di ansia.

Anche i padri, in questa esperienza, hanno un ruolo importante, perché capaci di creare

un legame di attaccamento con il figlio e di sostenere, assieme alla neo-madre, una co-

genitorialità capace di coordinare i due partner adeguatamente tra loro, così da poter

ribattere in modo responsivo ai bisogni del loro bambino.

Infine c’è il bambino che entra in contatto con il mondo con l’aiuto della madre. Lo

spazio che separa il bambino dall’ambiente, viene preservato dalla madre, che protegge

l’isolamento primario del piccolo, finché egli non sarà pronto a compiere il movimento

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di scoperta in direzione dell’ambiente e, in seguito, a sopportare e accettare una

pressione da parte di questo.

Perciò, se la donna non riesce, a causa di uno stato depressivo, a tutelare il suo bambino

dallo spazio circostante; se il padre, o chi per esso, non è capace a supportare la donna e

ad aiutarla ad accudire il proprio bambino; è allora che potranno verificarsi i problemi

nello sviluppo del neonato.

Sebbene, però, ci siano numerose conferme degli effetti negativi della depressione

materna sullo sviluppo infantile, le ricerche sugli effetti negativi dell’interazione madre

depressa-bambino riportano risultati parziali e, a volte, contraddittori.

I risultati di studi a sostegno degli effetti negativi della depressione post-partum sullo

sviluppo del bambino nel primo anno, suggeriscono la necessità di proporre interventi di

sostegno alla maternità, già a partire dalla gravidanza. Gli interventi di Home Visiting e

i Corsi di Accompagnamento alla Nascita possono essere considerati validi strumenti di

prevenzione, finalizzati a ridurre il rischio di un’insorgenza psicopatologica infantile.

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Appendice 1

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Sostegno alla genitorialità nelle madri a rischio: valutazione di un modello di assistenza domiciliare sullo sviluppo

della prima infanzia

MASSIMO AMMANITI1, ANNA MARIA SPERANZA1, RENATA TAMBELLI1, FLAMINIA ODORISIO1, LAURA VISMARA2

1Dipartimento di Psicologia Dinamica e Clinica, “Sapienza” Università di Roma2Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Cagliari

RIASSUNTO: Obiettivo: Obiettivo del lavoro è stato quello di verificare l’efficacia dell’intervento pre-coce di Home Visiting diretto a rafforzare la qualità della relazione madre-bambino in diadi all’interno del-le quali le madri presentano o un rischio depressivo, o un rischio psicosociale, o un rischio sia depressi-vo che psicosociale. Metodo: Sono state selezionate 38 donne a basso rischio, 39 donne a rischio psico-sociale, 37 donne a rischio depressivo e 32 donne a doppio rischio, che sono state assegnate in modocasuale ad un programma di intervento o a un gruppo di controllo. Le donne hanno un’età compresa trai 20 e i 43 anni. Ad entrambi i gruppi sono state somministrate le seguenti interviste e questionari: l’AAI,l’IRMAG, l’IRMAN, il CES-D e l’SCL-90. Durante il primo anno di vita del bambino sono state effettuate del-le videoriprese dell’interazione diadica madre-bambino a 3, 6 e 12 mesi. Risultati e conclusioni: i risul-tati hanno evidenziato una differente distribuzione delle rappresentazioni materne di sé e del bambino neiquattro gruppi di donne, e l’efficacia dell’intervento precoce di Home Visiting in relazione ad un aumentodi comportamenti materni sensibili, a partire dal 6° mese di vita, nel gruppo di donne che hanno ricevutol’intervento.

PAROLE CHIAVE: Gravidanza a rischio, Rappresentazioni materne, Home Visiting.

ABSTRACT: Objective: The aim of the work was to test the efficacy of early Home Visiting interventionoriented to enhance the quality of mother-child relationship within dyads in which the mothers were at ri-sk for depression, at psychosocial risk or presented both risks. Method: The sample has been selected asfollows: 38 low risk women, 39 at psychosocial risk, 37 women at risk for depression and 32 with doublerisk, who have been randomly assigned to either the intervention group or the control group. Women we-re between 20 and 43 years old. AAI, IRMAG, IRMAN, CES-D and SCL-90 have been administered to bothgroups. During the first year of age of the child the dyadic interaction has been video-taped at 3, 6 and 12months of the infant. Results and conclusions: Results have shown a different distribution of maternal re-presentations of the self and the child in the four groups and have also shown the efficacy of early HomeVisiting intervention with respect to an increase in maternal sensibility within the group of home-visitedmothers since the 6th month of the child’s life.

KEY WORDS: At-risk pregnancy, Maternal representations, Home Visiting.

infanzia eadolescenza

Vol. 6, n. 2, 2007

! Introduzione

I risultati delle ricerche più recenti sui programmi diprevenzione hanno messo in luce la necessità di an-dare al di là di una definizione troppo ristretta di pre-venzione, sottolineando l’esigenza di adottare una

prospettiva che integri gli approcci di prevenzionecon quelli di promozione, specialmente nell’infanzia,nella fanciullezza e nell’adolescenza (Albee, 1996;Cowen, 2000; Durlak e Wells, 1997; Weissberg eGreenberg, 1998). A tal proposito, negli ultimi anni, siè riscontrata sempre più fortemente la necessità di

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pianificare interventi che includano anche la promo-zione della salute e il miglioramento delle competen-ze, al fine di ridurre i fattori di rischio e di aumentarequelli di protezione (Cassibba e van IJzendoorn, 2005;Lyons-Ruth e Easterbrooks, 2006; Olds, 2006; Zeanah,Laurrieu, Boris e Nagle, 2006).

Nell’ambito degli interventi preventivi rivolti alla fa-miglia, infatti, la maggior efficacia sembra essere ga-rantita proprio dal sostegno alla relazione genitore-bambino (Greenberg, Weissberg, O’Brien, Zins, Frede-ricks, Resnik e Elias, 2003), non solo prendendo inconsiderazione il contesto relazionale attuale, ma an-che altri aspetti, tra i quali l’impatto delle relazioni pas-sate del genitore con i propri genitori (Fraiberg, 1980),così come studiati dalla teoria e dalla ricerca sull’attac-camento (Emde, Korfmacher e Kubicek, 2000; Fonagy,Steele, Moran, Steele e Higgitt, 1993). Quindi un inter-vento precoce basato sulla relazione caregiver-bambi-no può ridurre lo stress e il conflitto, rafforzare il pro-cesso di sviluppo dell’interazione, ed attivare e soste-nere i processi di sviluppo salienti del bambino. Alcontrario, un conflitto o un fallimento nell’interazionefra il bambino e il caregiver può causare stress e ge-nerare emozioni negative. Di conseguenza, scambi in-terattivi meno adattivi, caratterizzati da modalità di cu-ra incoerenti, instabili o scarsamente sensibili, posso-no avere conseguenze negative per lo sviluppo, comeaccade nel caso in cui il caregiver soffre di depressio-ne (Field, 1995; Tronick e Field, 1986) o se la famigliavive in condizione di povertà sociale (Halpern, 1993;Norton, 1990).

A tale proposito, gli studi condotti sulla maternità arischio si sono focalizzati principalmente nell’analizza-re il ruolo della depressione e la sua interferenza sul-l’interazione con il bambino e sullo sviluppo psicolo-gico di quest’ultimo. Sono stati proposti differenti per-corsi per spiegare l’influenza della depressionematerna sul bambino. Alcuni autori sostengono che ifattori genetici possono avere degli effetti sui bambi-ni più vulnerabili (Zuckerman e Beardsley, 1987), maanche fattori sociopsicologici come l’incompetenzamaterna, conflitti genitoriali, scarso supporto sociale estress socioeconomico (Downey e Coyne, 1990) pos-sono interferire sull’interazione madre-bambino (Cam-pos, Barrett, Lamb, Goldsmith e Stenberg, 1983; Field,1987). Dunque, sebbene esistano diversi percorsi chepossono condurre al rischio infantile, la ricerca haparticolarmente sottolineato l’importanza dello scam-bio affettivo fra la madre e il bambino. Nel caso di ma-dri depresse, è stato suggerito che un fallimento nel-la “regolazione reciproca” (Weinberg e Tronick, 1997)

può provocare nel bambino esperienze emotive nega-tive e difficoltà nella relazione con gli altri (Downey eCoyne, 1990). Infatti, in questi bambini è piuttostofrequente riscontrare un profondo nucleo affettivo ne-gativo, caratterizzato principalmente da rabbia e tri-stezza, da un’attitudine difensiva e da scarsa fiducia.Comunque i risultati ottenuti nei bambini sono abba-stanza eterogenei, e vanno da una disfunzione nellaregolazione affettiva a difficoltà di interazione, a defi-cit cognitivi e stili di attaccamento insicuro (Weinberge Tronick, 1997), tutte difficoltà che tendono a persi-stere nel seguire degli anni (Downey e Coyne, 1990).

Gli studi sull’influenza del contesto familiare a ri-schio hanno inoltre messo in luce (Garmezy, 1983;Pianta, Egeland e Sroufe, 1990) che in particolare lostress materno può interferire con il comportamentogenitoriale e avere effetti sullo sviluppo del bambino.

Sono stati studiati sia gli eventi di vita come indicidi stress contestuale, ma anche gli effetti dei singolistressor. Indubbiamente, la ricerca sugli eventi di vitaha sollevato seri problemi metodologici, come la ne-cessità di andare oltre la valutazione del numero distressor al fine di esplorare la loro risonanza soggetti-va. Rispetto all’interazione fra i diversi stressor familia-ri, Pianta e collaboratori (1990) hanno trovato solouna correlazione moderata a conferma della necessitàdi approfondire l’effetto cumulativo degli eventi stres-santi e la loro interazione (Rutter, 1979).

La prospettiva transazionale si focalizza sulla quan-tificazione generale delle situazioni di rischio piuttostoche definire la specificità di ciascun rischio (Sameroff,Seifer, Barocas, Zax e Greenspan, 1987). Inoltre nellefamiglie a rischio, è stata dimostrata un’elevata presen-za di modelli di attaccamento disorganizzato (Lyons-Ruth, Repacholi, McLeod e Silva, 1992) con percentua-li comprese fra il 28% e il 51%, mentre nelle famigliea basso rischio le percentuali sono comprese fra il 12%(Main e Solomon, 1990) e il 33% (Ainsworth e Eich-berg, 1991). Tale evidenza rende chiaro il legame frale esperienze traumatiche infantili e il successivo svi-luppo emotivo e cognitivo, specialmente per quantoriguarda i casi di abuso fisico o sessuale (Lyons-Ruthe Block, 1993).

Inoltre diverse ricerche che si sono occupate inmodo preventivo del disturbo infantile e della psico-patologia genitoriale hanno messo in luce una conti-nuità tra le caratteristiche del mondo rappresentazio-nale del genitore e il sistema di cure del bambino co-me fattori di protezione o di rischio per lo sviluppoinfantile (Ammaniti, Speranza, Tambelli, Muscetta, Lu-carelli, Vismara, Odorisio e Cimino, 2006; Ammaniti,

Infanzia e adolescenza, 6, 2, 2007

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M. Ammaniti et al: Sostegno alla genitorialità nelle madri a rischio

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Tambelli, Odorisio, D’Isidori, Vismara e Mancone,2002; Bosquet e Egeland, 2001; Cohen e Slade, 2000;Downey e Coyne, 1990; Lyons-Ruth, 1999; Olds, 2006;Stern, 2006; Weinberg e Tronick, 1997).

A tale proposito numerosi studi (Ammaniti, Cande-lori, Pola e Tambelli, 1995; Cohen e Slade, 2000; Di Vi-ta e Giannone, 2002; Fava Viziello, Antonioli, Cocci eInvernizzi, 1993) hanno dimostrato l’importanza dellerappresentazioni genitoriali in gravidanza, quali model-li interiorizzati dell’esperienza relazionale passata, perstudiare la qualità delle relazioni precoci genitore-bam-bino. In particolare, durante la gravidanza si verificanosostanziali modificazioni del mondo rappresentaziona-le materno, in quanto la genitorialità implica nuove di-mensioni del sé, e una revisione delle rappresentazio-ni riconducibili alle prime esperienze di attaccamento(Benoit, Parker e Zeanah, 1997; Manzano, PalacioEspasa e Zilkha, 1999; Priel e Besser, 2001; Slade eCohen, 1996; Slade e Haft, 1999; Stern, 1995) ed il con-tenuto e la struttura di queste rappresentazioni costitui-scono degli indici dell’adattamento alla gravidanza e alfuturo ruolo genitoriale (Ammaniti et al., 2002).

! La ricerca

Obiettivi e ipotesi

In accordo con le premesse teoriche sin qui espo-ste l’obiettivo principale del nostro studio è stato quel-lo di analizzare l’efficacia dell’intervento precoce diHome Visiting diretto a rafforzare la qualità della rela-zione madre-bambino in diadi all’interno delle quali lemadri presentano un rischio depressivo, un rischiopsicosociale, o un rischio sia depressivo che psicoso-ciale. Queste due fattori di rischio sono stati conside-rati separatamente e nel loro effetto congiunto peresaminarne i possibili e i diversi esiti sull’interazionemadre-bambino e sullo sviluppo di quest’ultimo.

Ipotesi operative

1. I modelli di attaccamento materni si distribuisconodiversamente in gravidanze non a rischio e in gra-vidanze a rischio;

2. Gli stili di rappresentazione materna si distribuisco-no diversamente in gravidanze non a rischio e ingravidanze a rischio;

3. Esiste una relazione tra i modelli di attaccamento ele rappresentazioni materne;

4. Gli stili di rappresentazione materna possono cam-biare dopo la nascita del bambino in relazione allesituazioni a rischio e non a rischio;

5. Esistono delle differenze nell’interazione madre-bambino a 3, 6 e 12 mesi nelle donne a rischio enon a rischio che ricevono un intervento di HomeVisiting rispetto a quelle che non lo ricevono.

! Metodologia

Reclutamento e misure di screening

Durante la fase di screening, le madri sono statecontattate intorno al 5°/6° mese di gravidanza pressoalcuni Consultori Familiari dei Servizi Materno Infan-tili di alcune ASL del Comune di Roma, durante i Cor-si di Preparazione alla Nascita. In questa fase prelimi-nare di selezione del campione, ad ogni gestante è sta-to somministrato il questionario CES-D (Radloff, 1977)per la valutazione della presenza di possibili sintomidepressivi, seguito da un’intervista per la rilevazione ela valutazione dell’esposizione a fattori di rischio psi-cosociale.

Il CES-D: è un questionario self-report costituito da20 item che fanno riferimento a possibili sintomi de-pressivi. Il punteggio varia tra 0 e 60. Un punteggiosuperiore a 16 identifica alti livelli di sintomatologiadepressiva, differenziando le popolazioni clinicamen-te depresse da quelle non depresse. Nel nostro studio,seguendo i punteggi della validazione italiana (Pierfe-derici, Fava, Munari, Rossi, Badaro, Pasquali Evange-listi, Grandi, Bernardi e Zecchino, 1982), le donneche ottenevano un punteggio superiore al cut-off di 20sono state considerate a rischio depressivo.

L’Intervista sul rischio psicosociale: il rischio psico-sociale è stato valutato attraverso la compilazione, altermine di ogni colloquio individuale con la gestante,di una scheda di rischio, in cui venivano identificate esegnalate le seguenti variabili di rischio: assenza delpartner, numerosità della prole, assenza del supportosociale e familiare, storia psichiatrica (della gestante,del partner, dei genitori, dei fratelli e/o sorelle), uso dipsicofarmaci, comportamenti devianti e/o antisociali(della gestante e/o del partner), eventi stressanti subi-ti dalla gestante in precedenza e nell’ultimo anno di vi-ta (aborto, IVG, difficoltà di concepimento, feconda-zione assistita, patologie gravidiche, conflittualità conil partner, esperienze precoci di separazione dai geni-tori, grave conflittualità con la famiglia d’origine, lutti,gravi incidenti, ospedalizzazioni prolungate della ge-

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stante, perdita del lavoro, maltrattamento/abuso assi-stito, maltrattamento/abuso subito), ed eventi stres-santi del partner. Tutte le variabili sono state conside-rate equivalenti e dicotomiche (si/no) nel concorrerea definire lo stato di rischio. In presenza di almeno treo più di tre variabili la donna è stata considerata espo-sta ad un elevato rischio psicosociale.

Sulla base dei risultati ottenuti dall’intervista sul ri-schio psicosociale e dal CES-D, sono stati selezionatiquattro gruppi di donne:

1. Un gruppo di donne a rischio depressivo con unoo nessun fattore di rischio psicosociale (CES-D > 20,Variabili di rischio psicosociale =0-1).

2. Un gruppo di donne a rischio psicosociale che han-no riportato livelli molto bassi di sintomi depressi-vi (CES-D < 10, Variabili di rischio psicosociale > 3).

3. Un gruppo di donne a doppio rischio che hanno ri-portato livelli molto elevati di sintomi depressivi e lapresenza di almeno tre fattori di rischio psicosocia-le (CES-D > 20; Variabili di rischio psicosociale > 3).

4. Un gruppo di donne a basso rischio, che hannopresentato uno o nessun fattore di rischio psicoso-ciale e bassissimi livelli di sintomi depressivi (CES-D <10, Variabili di rischio psicosociale = 0-1).

Ogni gruppo è stato suddiviso casualmente in duesottogruppi: un gruppo sperimentale che ha ricevuto ilprogramma di Home Visiting e un gruppo di control-lo che ha ricevuto delle visite solo in occasione dellasomministrazione di interviste e questionari per la rac-colta dei dati. Nessuna delle madri del nostro studiostava ricevendo un trattamento per la depressione oper qualsiasi altro disturbo psicologico o psichiatrico.Ad oggi lo screening ha compreso 1237 donne. L’etàmedia delle madri è stata di 31 anni (range 17-44 an-ni). Il 20.1% delle donne ha riportato al CES-D punteg-gi superiori al cut-off di 20. Il 18.1% delle donne so-no risultate a rischio psicosociale, riportando tre o piùvariabili di rischio all’intervista. Abbiamo riscontratouna sovrapposizione moderata tra i punteggi al CES-D e quelli all’intervista di rischio psicosociale (Pearsonr=.28, p < .01).

Soggetti

Il campione dello studio è costituito da 146 donneitaliane così suddivise: 37 gestanti che presentano unrischio depressivo (gruppo a rischio depressivo), 39 ge-stanti che presentano dei fattori di rischio psicosociale(gruppo a rischio psicosociale), 32 gestanti che presen-

tano sia un rischio depressivo che fattori di rischio psi-cosociale (gruppo a doppio rischio) e 38 gestanti chenon presentano né fattori di rischio depressivo né fat-tori di rischio psicosociale (gruppo a basso rischio)1.

Le madri dei quattro gruppi sono state equamentedistribuite in due sottogruppi, quello con interventodomiciliare (gruppo sperimentale) e quello senza inter-vento domiciliare (gruppo di controllo). Il gruppo spe-rimentale e quello di controllo non differiscono per ipunteggi di depressione e per le variabili di rischiopsicosociale (Tabella 1). L’età delle madri va dai 20 ai43 anni con un età media di 32 anni (M=32.3,ds=4.35), la maggior parte appartiene ad un ceto so-ciale medio (64%) e ha frequentato le scuole superio-ri (66.2%). I bambini sono 70 femmine e 76 maschi.Tutte le donne dello studio sono state contattate du-rante i colloqui di accesso ai corsi di preparazione al-la nascita.

Procedura e caratteristiche dell’intervento

Le donne selezionate e assegnate ai quattro gruppidi ricerca sono state nuovamente ricontattate, a parti-re dal 7° mese di gravidanza, e intervistate attraversodue interviste cliniche semi-strutturate: l’IRMAG – In-tervista sulle Rappresentazioni Materne in Gravidanza- (Ammaniti et al., 1995) finalizzata ad esplorare la rap-presentazione materna di sé come madre e del futurobambino, e l’A.A.I. – Adult Attachment Interview –(Main e Goldwyn, 1997) per indagare lo stato menta-le della donna in relazione all’attaccamento. Infine al-le donne è stato somministrato il test SCL-90-R - Symp-tom Checklist 90-R (Derogatis, 1977), un questionarioself-report che rileva e quantifica 9 dimensioni sinto-matiche e 3 indici generali di disagio psichico.

Al primo mese di vita del bambino, alle madri è sta-to chiesto di compilare nuovamente il CES-D, per va-lutare la presenza di possibili sintomi depressivi, rela-tivi ad una depressione post-partum. Successivamen-te, questo strumento è stato somministrato anche al 3°,6° e 12° mese di vita, per indagare la cronicità delladepressione.

Al compimento del 3° mese di vita, a tutte le don-ne è stata somministrata l’IRMAN - Intervista per leRappresentazioni Materne dopo la Nascita del Bambi-

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1 Nelle successive analisi statistiche il campione è stato sogget-to a variazioni numeriche in quanto non tutte le donne erano an-cora state sottoposte alla somministrazione di tutti gli strumenti (ve-di Tabella 2)

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no - (Ammaniti et al., 1995), per esplorare l’eventualecambiamento relativo alla rappresentazione di sé co-me madre e del proprio figlio. Infine al 12° mese di vi-ta sono stati somministrati nuovamente l’AAI e il que-stionario SCL-90-R.

Inoltre, nell’arco dei primi dodici mesi, l’interazio-ne madre-bambino è stata valutata con diverse proce-dure osservative quali: Feeding Scale-ObservationalScale for Mother-Infant Interaction during Feeding(Chatoor, Getson, Menvielle, Brasseaux, O’Donnel, Ri-vera e Mrazek, 1997), una procedura osservativa cheviene utilizzata per analizzare la qualità delle interazio-ni durante l’allattamento o il pasto; Face-to-Face Still-Face Paradigm (Cohn e Tronick, 1983), una procedu-ra osservativa che valuta le capacità comunicative delbambino, la sua sensibilità ai cambiamenti del com-portamento materno e la sua capacità di regolare glistati affettivi; Strange Situation Procedure (Ainsworth,

Blehar, Waters e Wall, 1978), una procedura osserva-tiva standardizzata di separazioni e riunioni che per-mette di valutare la qualità dell’attaccamento del bam-bino al caregiver (Tabella 2).

Le tre procedure osservative dell’interazione ma-dre-bambino sono state valutate con il Sistema di Va-lutazione Interattiva Madre-Bambino (Speranza, Tren-tini e Celani, 2003), considerando solo gli episodi incui madre e bambino interagiscono tra loro (tutta laFeeding, episodi 1 e 3 per la Still-Face, episodi 1, 2, 4e 7 della Strange Situation).

Intervento di Home Visiting

Il programma di Home Visiting da noi messo apunto ha inizio a partire dall’ultimo mese di gravidan-za e termina al compimento del primo anno di vita del

Tabella 1 – Variabili di rischio depressivo e psicosociale nei sottogruppi con intervento di Home Visiting e senza

Gruppo con HV senza HV

n= 19 n= 18Rischio Depressivo CES-D M=25.31 (6.86) CES-D M=23.50 (3.53)

Rischio M=.63 (.49) Rischio M=.94 (.23)

n= 18 n= 21Rischio Psicosociale CES-D M=9.00 (2.95) CES-D M=9.35 (2.94)

Rischio M=3.33 (.59) Rischio M=3.38 (.49)

n= 19 n= 13Doppio Rischio CES-D M=28.10 (5.96) CES-D M=24.38 (8.08)

Rischio M=3.63 (.76) Rischio M=3.53 (.77)

n= 19 n= 19Basso rischio CES-D M=7.57 (2.94) CES-D M=7.05 (2.54)

Rischio M=.26 (.45) Rischio M=.31 (.47)

Tabella 2 – Procedura: Strumenti di misura e soggetti

Variabili materne Variabili bambino

Screening Intervista sul rischio psicosociale n=146CES-D n=145

Gravidanza IRMAG n=146AAI n=116

SCL-90-R n=1361° mese CES-D n=135 Informazioni sui primi mesi n=1463° mese IRMAN n=127 Feeding Scale n= 82

CES-D n=1226° mese CES-D n=114 Still Face n= 6912° mese CES-D n=97 Strange Situation n= 83

SCL-90-R n=90

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bambino. L’intervento si caratterizza per una cadenzasettimanale per i primi sei mesi di vita, seguendo poiuna cadenza quindicinale per il successivo semestre.Le visite domiciliari sono effettuate da un gruppo dipsicologhe ed assistenti sociali, selezionate e addestra-te al programma di assistenza da esperti nel campodella clinica e della ricerca nell’area della prima infan-zia. Tutte le operatrice sono supervisionate, con ca-denza quindicinale, durante il corso dell’interventodomiciliare.

L’intervento domiciliare da noi predisposto si pog-gia teoricamente sui modelli della “teoria dell’attacca-mento” di Bowlby (1969), della “sintonizzazione affet-tiva” di Stern (1985) e della “regolazione reciproca” diTronick e Cohn (1989).

Gli obiettivi che il nostro Programma di Interventosi propone di conseguire sono quello di sostenere losviluppo del bambino e di migliorare le competenzegenitoriali, promuovendo e favorendo la costruzionee lo sviluppo di relazioni positive tra caregiver e bam-bino (Korfmacher, 1999). Le madri sono incoraggiatea migliorare le loro competenze e la loro sensibilitàverso i loro bambini, ad osservare le loro interazionicon il bambino e a riconoscere l’importanza della lo-ro influenza sullo sviluppo del figlio. In generale l’in-tervento ha l’obiettivo di aiutare il genitore ad adatta-re il proprio comportamento allo sviluppo del bambi-no e facilitare la loro relazione. Inoltre, mira adaumentare la capacità di osservazione materna, attiva-re le sue capacità di comunicazione e di ascolto delbambino, rafforzare l’autostima della madre, valorizza-re le sue risorse. L’intervento è progettato per aiutarele madri a capire meglio i bisogni del figlio attraversoi segnali emotivi e i comportamenti che mette in attoe le comunica (sorrisi, differenti tipologie di pianto,vocalizzazioni e postura, ecc.). Nel corso dell’HomeVisiting si cerca di promuovere e sostenere l’autoeffi-cacia della madre focalizzandosi su piccoli obiettivi,che possono essere raggiunti durante lo stesso incon-tro, fornire un sostegno per l’allattamento e per i pri-mi bisogni del neonato, ritenendo che ciò possa con-tribuire ad aumentare la fiducia materna nella capacitàdi affrontare sfide più grandi.

Inoltre durante le visite le operatrici osservano ilcomportamento del bambino e attirano l’attenzionedella madre sulle modalità che egli utilizza per entra-re in interazione con lei. In tal modo la madre tenderàa considerare il comportamento del figlio come piùdenso di significati e aumenterà la sua competenza nelrispondere in modo più adeguato ai bisogni del bam-bino. Le inevitabili difficoltà che si presentano hanno

lo scopo di promuovere un sentimento di empatia e diidentificazione con il bambino che si manifesta in uncaregiving sensibile ed adeguato.

Le visite si caratterizzano, anche, per una serie di in-terventi attuati in particolari momenti della giornataquali ad esempio: il pasto, le diverse fasi che precedo-no il sonno, la cura e l’igiene del bambino. Alle ma-dri viene fornito un ascolto empatico affinché speri-mentino la sensazione di essere all’interno di una re-lazione in cui non vengono giudicate, ma accettate evalorizzate. Dunque la visita diventa un momento pri-vilegiato in cui la donna può esprimere le sue ansie,paure, incertezze rispetto alle proprie capacità mater-ne, ed avere l’opportunità di entrare in contatto con ipropri sentimenti e di esplorarli.

Senza mai sostituirsi alla madre le operatrici man-tengono una posizione centrale tra madre e bambino.

Le donne che non ricevono l’intervento di HomeVisiting, vengono, comunque, incontrate periodica-mente dopo la nascita del bambino per la sommini-strazione degli strumenti (vedi tabella 2), seguendo lesue fasi di sviluppo rispetto al 1°, 3°, 6° e 12° mese.

! Strumenti

IRMAG - Intervista sulle Rappresentazioni Maternein Gravidanza (Ammaniti et al., 1995). È un intervistaclinica semi-strutturata composta da 41 domande chestimolano la donna a narrare l’esperienza della gravi-danza e l’esperienza di essere madre: il racconto nonviene valutato sulla base dei contenuti, bensì rispettoall’organizzazione della narrazione. Per studiare il mo-dello narrativo di sé come madre e del bambino ven-gono utilizzate le seguenti sette dimensioni: a) la ric-chezza delle percezioni, b) l’apertura al cambiamento,c) l’intensità dell’investimento, d) la coerenza, e) la dif-ferenziazione, f) la dipendenza sociale, g) la dominan-za delle fantasie.

La ricchezza delle percezioni valuta il modo con cuisono descritti episodi, sensazioni, emozioni e compor-tamenti di se stessa, del partner e del bambino. L’aper-tura al cambiamento valuta la flessibilità della donnaad adattarsi alle trasformazioni psicologiche e fisichespecifiche dell’esperienza che sta vivendo. L’intensitàdell’investimento si riferisce alla coloritura emotiva delracconto ed al coinvolgimento affettivo della donnanel descrivere se stessa come madre e il suo bambino.La coerenza si riferisce all’organizzazione generale deipensieri e dei sentimenti nella rappresentazione delladonna di sé come madre e del bambino. La differen-

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ziazione esplora la consapevolezza della donna dellapropria identità personale, dei propri confini rispettoal partner, alla famiglia d’origine e alla propria madre.La dipendenza sociale valuta il grado di conformismodella rappresentazione materna verso le credenze e glistereotipi sociali. Infine la dominanza delle fantasieesplora l’insieme di paure, sogni e fantasie che conno-tano l’esperienza della madre rispetto alla gravidanzain sé, al proprio corpo, al ruolo materno e al bambi-no.

Le sette dimensioni sono relative alla rappresenta-zione di sé come madre e alla rappresentazione delbambino e sono codificate in scale ad intervallo a cin-que punti. L’assegnazione del punteggio finale indivi-dua tre differenti stili di rappresentazione materna:Integrata/Equilibrata, Ristretta/Disinvestita e Non inte-grata/Ambivalente.

IRMAN - Intervista sulle Rappresentazioni Maternedopo la Nascita del Bambino (Ammaniti et al., 1995).È un intervista clinica semi-strutturata che mira adesplorare i possibili cambiamenti che emergono nellarappresentazione della donna, relativamente a sé co-me madre e al suo bambino dopo la nascita, attraver-so le seguenti aree: 1) gli eventi principali che riguar-dano le interazioni madre-bambino capitati durante ilprimo mese di vita (le dimissioni dall’ospedale, il rien-tro a casa, la costruzione di uno spazio per il bambi-no, le cure del bambino, l’alimentazione, i ritmi delsonno e le separazioni), 2) le percezioni, le emozionie le fantasie materne, paterne e familiari verso il bam-bino, 3) le aspettative future e i cambiamenti della vi-ta. Anche in questo caso per valutare la rappresenta-zione materna che emerge dal modello narrativo chela donna ha di sé come madre e del bambino, si uti-lizzano le stesse sette dimensioni utilizzate dall’IR-MAG, che vengono codificate in scale ad intervallo acinque punti. L’assegnazione del punteggio finale in-dividua tre differenti stili di rappresentazione materna:Integrata/Equilibrata, Ristretta/Disinvestita e Non inte-grata/Ambivalente.

AAI - Adult Attachment Interview (Main e Goldwyn,1997). È un intervista semi-strutturata che esplora imodelli di attaccamento della donna nei confronti del-le figure di attaccamento significative della propria in-fanzia e come queste influenzino i propri stati attualidella mente rilevanti per l’attaccamento. L’analisi deitrascritti delle interviste prevede l’assegnazione di pun-teggi da 1 a 9 su diverse scale che si riferiscono da unlato alla “probabile esperienza durante l’infanzia” e

dall’altro allo “stato attuale della mente nei confrontidell’attaccamento”. Il sistema di codifica prevede l’as-segnazione della donna ad una delle quattro catego-rie finali: Sicuro/Autonomo (F), Preoccupato/Invi-schiato (E), Distanziante (Ds) e Inclassificabile (CC).Nel caso in cui il soggetto manifesti uno stato Irrisol-to/Disorganizzato (U/D) della mente rispetto ad unlutto e/o trauma, il sistema di codifica prevede che lacategoria finale sia preceduta dalla categoria U (Unre-solved).

SCL-90-R - Symptom Checklist 90-R (Derogatis,1977): è un questionario self-report che rileva e quan-tifica 9 dimensioni sintomatiche e 3 indici generali didisagio psichico.

Scale di Valutazione del Sistema Interattivo Madre-Bambino (Speranza et al., 2003). In relazione alle di-verse procedure che sono state utilizzate per indaga-re l’interazione madre-bambino a 3, 6 e 12 mesi, è sta-to sviluppato un sistema di codifica osservativo chepuò essere applicato alla valutazione dei comporta-menti della madre, del bambino e alla qualità della lo-ro interazione. Questo sistema si basa sulla teoria del-l’attaccamento (Ainsworth et al., 1978), e sulla recen-te prospettiva teorico-clinica che consideral’interazione diadica madre-bambino come un sistemamutualmente regolantesi (Tronick, 1989; Tronick eCohn, 1989) che si fonda sulla disponibilità emotivareciproca (Biringen, 2000; Biringen e Robinson, 1991).Il sistema è composto da cinque scale a 9 punti pervalutare il comportamento materno (sensibilità, inter-ferenza, stato affettivo della madre), il comportamen-to infantile (comportamenti di auto-regolazione) e icomportamenti diadici. La scala della Sensibilità valu-ta come la madre interpreta e risponde appropriata-mente e in modo contingente ai segnali del bambino,consentendo al figlio di regolare adeguatamente i pro-pri stati affettivi ed emotivi. L’Interferenza valuta ifallimenti materni nel rispettare l’autonomia e l’indivi-duazione del bambino (Ainsworth et al., 1978) e ledifficoltà del caregiver nel facilitare la regolazione af-fettiva del sé del bambino attraverso comportamentiintrusivi e controllanti, che tendono a stabilizzare uncoinvolgimento negativo e rabbioso all’interno delladiade. La scala dello Stato affettivo della madre valu-ta le difficoltà materne nel manifestare affetti positivi,come gioia e piacere; esamina inoltre la frequenza ela qualità degli affetti negativi espressi dal caregiverdurante l’interazione con il proprio bambino. La Cooo-perazione valuta i comportamenti di mutua regolazio-

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ne all’interno della diade; non si riferisce a specificicomportamenti della madre o del figlio, ma alla pre-senza e all’intensità di scambi positivi tra la madre eil bambino. Punteggi elevati sono assegnati alle diadiin cui la madre struttura appropriatamente il gioco delbambino in base al livello evolutivo raggiunto dal fi-glio, stimolandone le capacità e le competenze. IComportamenti di auto-regolazione rilevati sono l’au-to-consolazione e l’allontanamento/ritiro. I comporta-menti di auto-consolazione includono i gesti auto-consolatori prodotti dal bambino, come la suzionedelle dita o di altre zone del corpo, toccarsi i capelli,parti del volto, ecc. I comportamenti di allontanamen-to/ritiro includono il distogliere lo sguardo dalla ma-dre, chiudere gli occhi, ecc. Tutti questi comporta-menti, individuati dagli studi osservativi di Tronick(Tronick, 1989; Tronick e Cohn, 1989) servono a se-gnalare al caregiver l’esperienza interna del bambinoe la necessità di ridurre o bloccare lo stato di attiva-zione emotiva.

Due giudici indipendenti, in cieco sulle condizionidi rischio e sul tipo di intervento effettuato, hanno co-dificato le interazioni madre-bambino videoregistrateusando le cinque Scale descritte. L’attendibilità tra co-dificatori è stata stimata sul 52% delle videoregistrazio-ni. I valori del coefficiente di correlazione di Pearsonsono i seguenti: sensibilità, r = .88 (da .85 a .91); in-terferenza, r = .82 (da .71 a .94); stato affettivo dellamadre, r = .72 (da .54 a .91); cooperazione, r = .72 (da.55 a .89); comportamenti di auto-regolazione, r = .71(da .51 a .91).

! Risultati

I modelli di attaccamento e le rappresentazionimaterne durante la gravidanza

Ad un primo livello di indagine, abbiamo condottodelle analisi descrittive per identificare la distribuzio-ne dei modelli di attaccamento all’interno del nostro

campione. Dall’analisi della distribuzione delle fre-quenze dei modelli di attaccamento i risultati ottenutidimostrano che il 71.55% di donne (n=83) ha un mo-dello di attaccamento Sicuro, l’8.62% ha un modelloPreoccupato (n=10), l’11.20% un modello Distanzian-te (n=13) e l’8.62% ha un modello di attaccamento Ir-risolto/disorganizzato (n=10). In riferimento alla pri-ma ipotesi da noi formulata l’analisi del Chi2 non haevidenziato differenze statisticamente significative(Chi2= 10.69, gdl=9, p=.29) nella distribuzione dei mo-delli di attaccamento delle gestanti in base al gruppodi appartenenza (Tabella 3).

Le stesse analisi sono state condotte per individuarela distribuzione di differenti stili di rappresentazionematerna, al 7° mese di gravidanza, attraverso il calcolodelle frequenze delle tre categorie dell’IRMAG sull’in-tero campione. L’analisi della distribuzione delle rap-presentazioni materne ha mostrato in tutti e quattro igruppi una rappresentazione di sé come madre e delfuturo bambino sufficientemente articolata ed emotiva-mente connotata da poter essere individuata all’internodi uno stile definito di parenting. I risultati ottenutimettono in luce che il 47.9 % di donne (n=70) ha unarappresentazione materna Integrata/Equilibrata, il19.9% ha una rappresentazione Ristretta/Disinvestita(n=29) ed il 32.2% manifesta una rappresentazione Nonintegrata/Ambivalente (n=47).

Relativamente alla seconda ipotesi che si propone-va di indagare le possibili differenze negli stili di rap-presentazione materna tra i quattro gruppi di donne,è stata condotta un’analisi del Chi2 da cui è emersa unadifferenza statisticamente significativa (Chi2= 16.67,gdl=6, p<.01) tra le gestanti a doppio rischio e gli al-tri tre gruppi di donne. Nello specifico l’analisi hamesso in luce una maggiore frequenza dello stile dirappresentazione materna Non integrato/Ambivalentenel gruppo di donne a doppio rischio, e una prevalen-za di rappresentazioni Integrate/Equilibrate nel grup-po di donne a basso rischio (Tabella 4).

Inoltre in riferimento all’ipotesi di una possibile re-lazione tra i modelli di attaccamento e le rappresenta-

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Tabella 3 – Distribuzione nei 4 gruppi dei modelli di attaccamento

Gruppo/AAI Sicure Preoccupate Distanzianti U/CC

R. Psicosociale 67.6% (23) 11.8% (4) 8.8% (3) 11.8% (4)R. Depressivo 79.3% (23) 3.4% (1) 10.3% (3) 6.9% (2)R. Doppio 50.0% (10) 20.0% (4) 15.0% (3) 15.0% (3)R. Basso 81.8% (27) 3.0% (1) 12.1% (4) 3.0% (1)

Note: R= rischio

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zioni materne in gravidanza, il confronto tra la distri-buzione delle categorie dell’AAI e dell’IRMAG ha mes-so in luce una concordanza statisticamente significati-va (52.8%, k=.17, p<.01) relativamente alle categorieSicura/Integrata, Distanziante/Ristretta e Preoccupa-ta/Non integrata.

Infine, approfondendo l’analisi dei dati relativi allerappresentazioni materne in gravidanza, è stata con-dotta un’ANOVA (4x7x2) sui punteggi delle singolescale che costituiscono la rappresentazione di sé co-me madre e del futuro bambino, allo scopo di rileva-re rispetto a quali dimensioni si differenziano i quat-tro gruppi di donne.

I risultati hanno sottolineato differenze statistica-mente significative tra i quattro gruppi di donne su al-cune dimensioni che definiscono i diversi stili di rap-presentazione materna quali: la Differenziazione di sé[A5] (F=2.71, p=.05) e l’Emergenza delle Fantasie [A7](F=3.15, p=.02). Relativamente alla rappresentazionedel bambino sono emerse delle differenze statistica-mente significative rispetto alla scala dell’Apertura alCambiamento [B2] (F=5.68, p<.001), dell’InvestimentoAffettivo [B3] (F=2.68, p=.05) e della Coerenza [B4](F=4.40, p<.005) (Tabella 5).

Le donne che presentano sia fattori di rischio de-pressivo che psicosociale (doppio rischio) manifesta-no punteggi più bassi nella scala della Differenziazio-ne materna e più alti nella scala dell’Emergenza delle

fantasie rispetto alle donne a basso rischio, a rischiopsicosociale e depressivo. Relativamente alla rappre-sentazione del bambino le donne a doppio rischio ot-tengono dei punteggi più bassi nella scala dell’Aper-tura al cambiamento rispetto alle donne degli altri tregruppi. Analogamente anche nella scala dell’Investi-mento affettivo questo gruppo insieme a quello a ri-schio depressivo presenta dei punteggi inferiori aquelli ottenuti dalle donne a basso rischio e a rischiopsicosociale. Infine le donne a doppio rischio manife-stano punteggi più bassi nella scala della Coerenza siarispetto alle donne a rischio depressivo e psicosocia-le che a quelle a basso rischio che hanno i punteggipiù elevati.

Stato depressivo e psicopatologico dalla gravidanzaal 12° mese di vita del bambino

Per quanto riguarda la sintomatologia depressivanel periodo successivo alla nascita del bambino, i da-ti mostrano un andamento variabile della depressione(Tabella 6). L’analisi della varianza effettuata sui pun-teggi al CES-D mostra che in tutte le rilevazioni ilgruppo a rischio depressivo si differenzia in manierasignificativa dagli altri gruppi e, pur mostrando un de-cremento progressivo dei livelli di sintomatologia de-pressiva, rimane comunque al di sopra della soglia dicut-off nel post-partum. Il gruppo a doppio rischio in-vece ha una diminuzione significativa al 1° mese do-po la nascita del bambino e poi in seguito al 12° me-se, dove si colloca con punteggi analoghi a quelli delgruppo a rischio psicosociale.

Nonostante l’andamento dello stato depressivo neidiversi gruppi subisca un decremento dopo la nascitadel bambino, la regressione ha mostrato che i punteg-gi depressivi a 12 mesi sono predetti da quelli al 6° eal 1° mese (R2=.32, R2 corretto=.31, F=39.5, p<.001) eche le correlazioni tra le varie misure variano da r=.41

Tabella 5 – ANOVA delle dimensioni statisticamente significative dell’IRMAG tra i quattro gruppi di donne (M e ds)

Scale R. Depressivo R. Psicosociale R. Doppio R. Basso F p

A5 2.64 (0.49)ab 2.60 (0.56)ab 2.45 (0.46)a 2.78 (0.44)b 2.71 .05A7 3.02 (0.67)b 2.96 (0.62) ab 3.17 (0.69)b 2.69 (0.68)a 3.15 .02B2 2.62 (0.51)b 2.64 (0.44) b 2.32 (0.60)a 2.82 (0.46) b 5.68 .001B3 2.87 (0.44)a 3.05 (0.53) ab 2.85 (0.52)a 3.15 (0.58) b 2.68 .05B4 2.74 (0.48)ab 2.91 (0.57)bc 2.62 (0.43)a 3.05 (0.60)c 4.40 .005

Note: R= rischio; A5= Differenziazione (sé); A7=Emergenza delle Fantasie (sé); B2= Apertura al Cambiamento (bambino); B3=Investimento Affettivo (bambino); B4= Coerenza (bambino). abc Duncan Post-hoc: confronto di un gruppo con gli altri.

Tabella 4 – Distribuzione nei 4 gruppi degli stili di rappresen-tazione materna

Gruppo/IRMAG Integrate Ristrette Ambivalenti

R. Psicosociale 43.6% (17) 25.6% (10)* 30.8% (12)R. Depressivo 43.2% (16) 27.1% (10)* 29.7% (11)R. Doppio 31.3% (10)* 15.6% (5) 53.1% (17)*R. Basso 71.1% (27)* 10.5% (4)* 18.4% (7)*

Note: R= rischio; * Residuo standardizzato >(+/ -) 2

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a r=.67 (p<.001), indicando una sostanziale stabilitàdello stato depressivo nei diversi gruppi.

Per quanto riguarda il profilo psicopatologico, du-rante la gravidanza il gruppo a rischio depressivo equello a doppio rischio riferiscono un numero signifi-cativamente maggiore di sintomi rispetto agli altri duegruppi su tutte le dimensioni dell’SCL-90-R (con valo-ri di significatività p<.001), tranne sulla Somatizzazio-ne dove tutte le donne, tranne quelle a rischio psico-sociale, presentano punteggi elevati, probabilmente acausa della presenza dei comuni sintomi presenti ingravidanza. Complessivamente questi dati sembrereb-be indicare che la condizione di ‘rischio depressivo’(basso tono dell’umore, stato depressivo) risulti forte-mente associata ad un ampio spettro di dimensionipsicopatologiche, collocando questi due gruppi inun’area di maggiore disagio psicopatologico rispettoagli altri due.

Le analisi effettuate per misurare gli effetti dell’inter-vento di Home Visiting sui punteggi depressivi delCES-D dal 1° al 12° mese e sulla sintomatologia rile-vata con l’SCL-90-R al 12° mese non hanno evidenzia-to differenze significative tra gruppo sperimentale egruppo di controllo.

Risultati a tre mesi

Per quanto riguarda le osservazioni al 3° mese at-traverso la Feeding Scale non sono state riscontratedifferenze significative tra le donne seguite con HomeVisiting e le donne dei gruppi di controllo.

Le rappresentazioni materne. Analizzando la distri-buzione delle rappresentazioni materne a 3 mesi do-po la nascita del bambino, i risultati ottenuti dall’ana-lisi del Chi2, in linea con quelli riscontrati in gravidan-za, hanno evidenziato una differenza statisticamentesignificativa (Chi2= 16.18, gdl=6, p<.01) dei tre stili di

rappresentazione materna nei quattro gruppi di don-ne. In particolare l’analisi ha evidenziato una maggio-re frequenza dello stile di rappresentazione maternaNon integrato/Ambivalente nel gruppo di donne adoppio rischio e un incremento delle rappresentazio-ni Integrate/Equilibrate negli altri tre gruppi, dato chepotrebbe essere interpretato in relazione alla nascitadel bambino (Tabella 7).

Inoltre, effettuando un’ANOVA (4x7x2) sui pun-teggi delle singole scale che definiscono la rappresen-tazione di sé come madre e del bambino dopo la na-scita, i risultati ottenuti hanno evidenziato differenzestatisticamente significative tra i quattro gruppi rispet-to ad alcune dimensioni quali: la Differenziazione co-me madre [NA5] (F=2.84, p=.04), l’Emergenza delleFantasie come madre [NA7] (F=3.49, p=.01) e la Dif-ferenziazione del bambino [NB5] (F=2.83, p=.04) (Ta-bella 8).

Le donne a doppio rischio hanno una minore dif-ferenziazione di se stesse come madri rispetto allemadri a rischio psicosociale, depressivo e a basso ri-schio, mentre hanno insieme alle donne a rischio psi-cosociale un elevato numero di fantasie rispetto aquelle a rischio depressivo e a basso rischio. Relativa-mente alla rappresentazione del bambino le madri adoppio rischio hanno una minore differenziazione delproprio figlio rispetto alle donne a basso rischio, men-

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Tabella 6 – ANOVA dei punteggi al CES-D per i gruppi (Medie e ds)

Basso Rischio Rischio Doppio Rischio Depressivo Psicosociale Rischio F p

CES-D grav 7.3 (2.7) 24.4 (5.5)a 9.1 (2.9) 6.6 (7.0)a 158.4 .001CES-D 1° mese 11.3 (6.3) 18.8 (7.6)a 13.2 (5.8) 14.8 (9.7) 6.8 .001CES-D 3° mese 9.9 (7.3) 19.1 (10.4)a 8.1 (5.9) 15.0 (8.9)a 11.8 .001CES-D 6° mese 9.3 (6.3) 15.1 (8.5)a 9.6 (6.0) 16.2 (7.3)a 6.9 .001CES-D 12° mese 8.3 (6.6)b 18.0 (6.9)a 11.1 (9.2)c 13.4 (8.6)c 6.8 .001

abc Duncan Post-hoc: differenza di un gruppo dagli altri.

Tabella 7 – Distribuzione nei 4 gruppi degli stili di rappresen-tazione materna

Gruppo/IRMAG Integrate Ristrette Ambivalenti

R. Psicosociale 75.0% (27) 8.3% (3) 16.7% (6)R. Depressivo 81.3% (26) 6.3% (2) 12.5% (4)R. Doppio 60.0% (15)* 0.0% (0) 40.0% (10)*R. Basso 88.2% (30)* 8.8% (3) 2.9% (1)*

Note: R= rischio; * Residuo standardizzato >(+/ -) 2

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tre quelle a rischio psicosociale e depressivo sembra-no assumere una posizione intermedia.

Rispetto all’intervento di Home Visiting, la distribu-zione del Chi2 dei tre stili della rappresentazione di sécome madre e del bambino dopo tre mesi dalla nasci-ta (IRMAN), nei due sottogruppi di donne, con e sen-za intervento di Home Visiting, non ha mostrato dif-ferenze statisticamente significative (Chi2= 0.81, n.s.).

Tuttavia i risultati emersi dall’ANOVA (2x7x2) effet-tuata sulle sette dimensioni della rappresentazione disé come madre e su quelle del bambino, tra le donnecon intervento domiciliare e quelle senza intervento,ha mostrato differenze significative nella scala dell’A-pertura al Cambiamento materno [NA2] (F= 4.22,p=.04) e della Ricchezza delle Percezioni del bambi-no [NB1] (F= 3.90, p=.05) (Tabella 9).

Le donne che ricevono l’intervento domiciliare han-no punteggi più alti di Apertura al Cambiamento di sécome madre e di Ricchezza delle Percezioni del bam-bino rispetto alle donne che non ricevono nessun trat-tamento.

Ripetendo le stesse analisi all’interno dei quattrogruppi di donne, la distribuzione degli stili di rappre-sentazione di sé come madre e del proprio bambinonon ha evidenziato per nessun gruppo una differen-za significativa tra le donne del sottogruppo speri-mentale (con intervento domiciliare) e di quello dicontrollo (senza intervento domiciliare). Mentre ana-lizzando le differenze tra le dimensioni che caratteriz-zano la rappresentazione materna e quella del bambi-

no nei quattro gruppi, le singole ANOVA (2x7x2) con-dotte hanno evidenziato delle differenze significativesolo nel gruppo delle donne a rischio psicosociale.Nello specifico le donne a rischio psicosociale seguitecon intervento domiciliare hanno statisticamente (F=7.81, p<.008) medie più elevate (M=3.22, ds=0.57) ri-spetto alle donne a rischio psicosociale che non rice-vono l’intervento (M=2.75, ds=0.42) sulla scala dellarappresentazione materna inerente all’Apertura alCambiamento. Nello stesso gruppo di donne è emer-sa inoltre una differenza significativa rispetto alla sca-la della Ricchezza delle Percezioni relativa al bambi-no (F= 5.78, p=.02), rispetto alla quale le donne convisite domiciliari mostravano punteggi significativa-mente più elevati (M=3.44, ds=0.45) rispetto alle don-ne senza intervento (M=3.02, ds=0.58).

Risultati a sei e a dodici mesi

I risultati ottenuti a 6 e a 12 mesi applicando le Sca-le di Valutazione del Sistema Interattivo Madre-Bambi-no (Speranza et al., 2003) agli episodi interattivi delloStill Face Paradigm e della Strange Situation (Tabella10) indicano complessivamente che a 6 mesi le madriseguite con l’Home Visiting mostrano punteggi di Sen-sibilità significativamente più elevati delle madri dicontrollo e la diade madre-bambino ha una tendenzaa mostrare maggiori comportamenti di Cooperazione.Al tempo stesso queste madri presentano punteggi piùbassi sullo Stato affettivo negativo e tendenzialmenteminori comportamenti di Interferenza. Questi risultatisi mantengono stabili anche a 12 mesi, ma solo per icomportamenti positivi di sensibilità e cooperazione.

Differenze significative sono state riscontrate anchenei diversi gruppi. Nel gruppo a rischio depressivo, lecoppie madre-bambino seguite con Home Visitinghanno mostrato a 6 mesi un comportamento recipro-co di cooperazione (F=4.16, 16gdl, p<.06) maggiore(M=8.5, ds=0.5) rispetto al gruppo che non ha ricevu-to l’intervento (M=7.8, ds=0.8). Inoltre queste madri

Tabella 8 – ANOVA delle dimensioni statisticamente significative dell’IRMAN tra i quattro gruppi di donne (M e ds)

Scale R. Depressivo R. Psicosociale R. Doppio R. Basso F p

NA5 2.92 (0.52)b 2.84 (0.49) b 2.6 (0.45)a 2.94 (0.45) b 2.84 .04NA7 2.25 (0.67) a b 2.33 (0.63) b 2.42 (0.65) b 1.92 (0.64) a 3.49 .01NB5 2.98 (0.43) a b 2.98 (0.55) a b 2.74 (0.35) a 3.11 (0.56) b 2.83 .04

Note: R= rischio; N= nascita; A5= Differenziazione (sé); A7=Emergenza delle Fantasie (sé); B5= Differenziazione (bambi-no); ab Duncan Post-hoc: confronto di un gruppo con gli altri.

Tabella 9 – ANOVA delle dimensioni statisticamente signifi-cative dell’IRMAN tra i due gruppi con e senza intervento diHome Visiting (M e ds)

Scale con HV senza HV F p

NA2 3.09 (0.53) 2.90 (0.49) 4.22 .04NB1 3.33 (0.47) 3.15 (0.53) 3.90 .05

Note: HV= Home Visiting; N= nascita; A2= Apertura al Cam-biamento (madre); B1= Ricchezza Percezioni (bambino).

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sono risultate statisticamente (F=5.38, 16gdl, p<.04)più sensibili (M=7.8, ds=0.6) rispetto al gruppo di con-trollo (M=7.2, ds=0.6). A 12 mesi i bambini di questemadri mostravano inoltre un minor numero (F=5.78,22gdl, p<.03) di comportamenti di autoregolazione(M=1.5, ds=0.5 ) rispetto ai bambini di madri che nonricevevano il sostegno di Home Visiting (M=2.4,ds=1.2). Nel gruppo a rischio psicosociale le madri se-guite hanno mostrato punteggi significativamente(F=7.62, 18gdl, p<.02) più bassi (M=1.05, ds=0.1) nel-lo stato affettivo negativo rispetto alle non seguite(M=1.6, ds=0.7) sia a 6 mesi che a 12 mesi (seguiteM=1.03, ds=0.1 vs M=1.6, ds=0.8; F=5.23, 23gdl,p<.04). Anche nel gruppo a basso rischio l’effetto del-l’intervento ha portato le madri seguite ad avere pun-teggi significativamente (F=6.60, 25gdl, p<.02) più bas-si sullo stato affettivo negativo a 6 mesi (seguiteM=1.03, ds=0.1 vs M=1.7, ds=0.9) e punteggi più ele-vati (F=6.66, 25gdl, p<.02) sulla sensibilità sia a 6 (se-guite M=7.6, ds=0.9 vs M=6.6, ds=1.2) che a 12 mesi(seguite M=7.6, ds=0.9 vs M=6.7, ds=1.4; F=4.15,25gdl, p<.06). Non sono emerse differenze per il grup-po a doppio Rischio per il quale sono però disponibi-li ancora dati parziali.

Al fine di valutare la relazione tra i tre stili della rap-presentazione materna emersi in gravidanza e la qua-lità interattiva madre-bambino nel corso del tempo(3-6-12 mesi), sono state condotte delle ANOVA a mi-sure ripetute (Fattore tra i soggetti: Rappresentazione;Fattore entro i soggetti: Tempo) sulle singole scale divalutazione del sistema interattivo madre-bambino. I

risultati non hanno evidenziato nessun effetto statisti-camente significativo dell’interazione tra il tempo e lerappresentazioni materne, mentre sono state eviden-ziate delle significatività relativamente ai singoli effet-ti. Rispetto all’effetto Tempo le dimensioni di valutazio-ne del sistema interattivo madre-bambino hanno evi-denziato un aumento dei valori medi rispetto allasensibilità materna (F=8.62, p<.000, eta quadrato par-ziale=.140) e alla cooperazione (F=7.59, p=.001, etaquadrato parziale=.125), e una diminuzione nell’inter-ferenza materna (F=4.27, p=.01, eta quadrato parzia-le=.075) e nell’autoregolazione del bambino (F=30.55,p<.000, eta quadrato parziale=.366). Inoltre relativa-mente all’effetto delle Rappresentazioni materne lemadri Ristrette/Disinvestite si differenziano rispetto al-le madri Integrate/Equilibrate e Non integrate/Ambiva-lenti mostrando dei punteggi statisticamente più bas-si nella scala della Sensibilità materna (F=4.59, p=.01,eta quadrato parziale=.148) e della Cooperazione(F=4.39, p=.01, eta quadrato parziale=.142), e dei pun-teggi medi più alti nella scala dell’Interferenza (F=3.91,p=.02, eta quadrato parziale=.129) e dello Stato emo-tivo negativo materno (F=4.23, p=.02, eta quadratoparziale=.138).

! Discussione e conclusioni

L’obiettivo principale dello studio è stato quello divalutare se il programma di Home Visiting è efficacenel migliorare la qualità della relazione madre-bambi-

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Tabella 10 – Medie e deviazioni standard dei comportamenti materni e del bambino a 6 e a 12 mesi

nHV HV t-test pMadri Madri

Osservazione a 6 mesi (N=33) (N=36) (67)

Sensibilità (M) 6.77 (1.18) 7.63 (0.82) 3.52 .001Co-operazione (D) 7.63 (1.16) 8.11 (0.83) 1.95 .06Interferenza (M) 2.17 (1.38) 1.73 (0.94) 1.90 .07Stato affettivo della madre (M) 1.57 (0.76) 1.18 (0.56) 2.43 .02Comportamenti di autoregolazione(B) 4.62 (1.81) 4.37 (2.21) 0.50 n.s.

Osservazione a 12 mesi (N=37) (N=46) (81)

Sensibilità (M) 6.62 (1.23) 7.16 (1.10) 2.11 .03Co-operazione (D) 7.62 (1.15) 8.06 (0.97) 1.90 .06Interferenza (M) 1.47 (0.73) 1.41 (0.87) 0.33 n.s.Stato affettivo della madre (M) 1.37 (0.67) 1.17 (0.46) 1.64 n.s.Comportamenti di autoregolazione(B) 1.94 (0.99) 1.83 (0.73) 0.56 n.s.

Note: nHV = Madri senza Home Visiting; M = dimensiione materna; D = dimensione diadica; B = dimensione riferita labambino.

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no in situazioni a rischio depressivo e/o psico-socia-le. I risultati dello studio confermano l’efficacia del no-stro modello di intervento; infatti, già dopo i primi 6mesi di vita del bambino, abbiamo riscontrato nellemadri seguite:

• una riduzione dei sentimenti negativi relativi allostato affettivo materno;

• una diminuzione dei comportamenti materni di in-terferenza;

• un incremento di interazioni maggiormente coope-rative all’interno della diade;

• un potenziamento della sensibilità materna.

Tutti questi elementi sono coerenti con il focus delnostro intervento di Home Visiting basato sull’attacca-mento che riguarda la sensibilità materna come fatto-re chiave per la salute emozionale e lo sviluppo rela-zionale del bambino (van Ijzendoorn, Juffer e Duyve-steyn 1995). Allo stesso tempo, i dati mostrano che lecaratteristiche specifiche dell’intervento possono ave-re effetti diversi in ciascun sottogruppo.

Specificatamente, i nostri dati confermano che unarelazione positiva con un operatore di Home Visitingha avuto un effetto significativo sulle madri depresseche hanno mostrato sia una maggiore frequenza dicomportamenti sensibili che maggiori abilità alla coo-perazione con il bambino. Sebbene non sia stata mo-dificata la sintomatologia depressiva, queste madritendevano a comportarsi come madri “abbastanzabuone”, cioè esse rispondevano appropriatamente aisegnali del bambino ed erano, rispetto al gruppo de-presse senza Home Visiting, abili a costruire relazio-ni in modo da impegnare il bambino nel manteni-mento delle interazioni. Questo elemento è particolar-mente importante alla luce degli studi chesottolineano un’associazione critica tra la depressionematerna e i comportamenti intrusivi o ritirati (Cohn eTronick, 1983; Field, 1984; Field, Healy, Goldstein eGuthertz, 1990; Weinberg e Tronick, 1997). I nostridati sembrano indicare, come emerso da altri studi(Heinicke, Fineman, Ruth, Recchia, Guthrie e Rod-ning, 1999; Lyons-Ruth, Connell, Grunebaum e Bo-tein, 1990), che gli interventi di Home Visiting tendo-no a modificare lo stile interattivo materno pur noninfluendo sulla sintomatologia depressiva nel corsodel primo anno di vita.

Nello stesso modo le madri a rischio psicosocialesembrano beneficiare grazie all’intervento di una dimi-nuzione di stati emotivi negativi e comportamenti in-terferenti. Questo risultato sembra molto importantedato che in questo gruppo sono maggiormente pre-

senti modelli di attaccamento insicuro, soprattuttoPreoccupato o Irrisolto/Non classificato usualmenteassociati con la responsività insensibile e comporta-menti coperti o chiaramente ostili (Lyons-Ruth e Ja-cobvitz, 1999).

A 12 mesi, la differenza fra i gruppi con Home Vi-siting e senza Home Visiting tende a persistere, ma so-lo su alcune dimensioni. Si può ipotizzare che l’effica-cia dell’intervento cambia ad uno stadio di sviluppodel bambino durante il quale la madre fronteggia nuo-vi compiti evolutivi del bambino che sono legati all’au-tonomia e all’affermazione (Mahler, Pine e Bergman,1975). È possibile alternativamente ritenere che la va-lutazione a 12 mesi risenta della specificità della pro-cedura (Strange Situation) dove, a differenza dellaStill-Face, la madre ha meno opportunità di mostrarecomportamenti interferenti con l’esplorazione delbambino.

Sebbene non siano ancora emerse differenze signi-ficative per il gruppo a doppio rischio per il quale so-no disponibili dati parziali, le nostre prime osservazio-ni sembrano confermare la difficoltà di queste donnenon solo a raggiungere il nostro programma di HomeVisiting, ma anche a mantenere il coinvolgimento.Queste donne sembrano mostrare una maggiore pro-blematicità nel dominio del caregiving. In merito aquesto intendiamo riportare dati più dettagliati per ilfuturo.

Inoltre, abbiamo voluto esplorare i Modelli Opera-tivi Interni valutati all’AAI e le rappresentazioni mater-ne a partire dalla gravidanza come possibili fattori diprotezione o di rischio che concorrono a predire l’a-dattamento del bambino nel suo contesto di vita.

I risultati relativi ai modelli di attaccamento mater-no hanno dimostrato che, pur essendovi una frequen-za più elevata di attaccamenti sicuri nei tre gruppi a ri-schio rispetto alle frequenze generalmente riportate inletteratura (van Ijzendoorn e Bakermans-Kranenberg1996), in ogni sottogruppo a rischio sono presenti at-taccamenti Irrisolti e Insicuri. Tuttavia, come hanno os-servato George e Solomon (1996) vi è una significati-va concordanza fra la classificazione di caregiving e laclassificazione dell’attaccamento adulto. I risultati diquesto studio supportano il concetto che il sistema dicaregiving è organizzato da strutture rappresentazio-nali che sono reciproche all’attaccamento.

Rispetto alle rappresentazioni materne durante lagravidanza, è stata riscontrata una prevalenza di pat-tern non integrati nelle madri dei gruppi a rischio. Lerappresentazioni non integrate sono caratterizzate daesperienza di conflitti emotivi rispetto all’immagine

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della donna come madre. Inoltre, la rappresentazionedel bambino è caratterizzata da scarse percezioni esentimenti. La coerenza narrativa è bassa, con un’am-bivalenza verso il cambiamento del corpo e /o la cre-scita del bambino (Ammaniti et al. 2002; Cohen e Sla-de, 2000; George e Solomon, 1999; Solomon e Geor-ge, 1996).

In modo specifico nel gruppo delle donne a dop-pio rischio viene segnalata la presenza di rappresen-tazioni Non integrate/Ambivalenti caratterizzate dallacoesistenza di tendenze diverse nei confronti dellamaternità e del futuro bambino con eccessivo coinvol-gimento e lotta per prendere le distanze. Le donne for-niscono un quadro alternante/oscillante, poco inte-grato, che spesso risulta confuso. Le informazioni for-nite dalla narrazione possono essere ricche, ma pocoorganizzate, e le fantasie sono spesso bizzarre.

Tuttavia nel periodo postnatale, quando il bambinoha tre mesi, sono prevalenti le rappresentazioni inte-grate in tutti i gruppi, sia in quello di controllo che inquelli di madri a rischio. La nascita del bambino assu-me il valore di un organizzatore positivo delle rappre-sentazioni mentali materne, facilitando il cambiamen-to da rappresentazioni Non integrate/Ambivalenti e Ri-strette durante la gravidanza a rappresentazionimaggiormente Integrate sia di se stessa come madreche del bambino.

Come mostrato in un’altra ricerca (Fava et al., 1993)le rappresentazioni del bambino e di sé come madrecambiano dalla gravidanza al periodo post-parto, e so-no influenzate dall’interazione col bambino. Allo stes-so modo le rappresentazioni di sé come madre sonoprogressivamente differenziate dalle rappresentazionidella propria madre, uniformandosi attraverso il pro-cesso di integrazione fra le rappresentazioni di sé co-me madre e di sé come donna. La nascita di un bam-bino sano può mitigare le ansie materne attivate du-rante la gravidanza, favorire rappresentazioni coerentie ricche di emozioni delle donne come madri e del lo-ro bambino appena nato (Ammaniti et al., 2002). Ta-le cambiamento non sembra caratterizzare le rappre-sentazioni materne delle donne del gruppo a doppiorischio che si mantengono maggiormente in linea conil periodo pre-natale riconfermando il carattere ambi-valente del proprio stile di parentig. Le donne di que-sto gruppo hanno una minore differenziazione di sestesse nel nuovo ruolo di madri rispetto alle altre e unelevato numero di fantasie che talvolta assumono for-me bizzarre, comportano preoccupazioni eccessive ecomportamenti fobico-ossessivi (Leckman, Mayes, Fe-delman, Evans, King e Cohen, 1999).

Considerando l’efficacia del trattamento di Home Vi-siting, non riscontriamo alcuna differenza significativafra la distribuzione delle rappresentazioni materne do-po tre mesi dalla nascita del bambino nei campioni didonne HV e nHV, probabilmente a causa della brevitàdell’intervento effettuato fino a questo momento. No-nostante ciò, esaminando più specificatamente le sin-gole dimensioni connesse alle rappresentazioni mater-ne, abbiamo evidenziato differenze sensibili nelle ma-dri con HV. Rispetto alla dimensione delladifferenziazione nelle rappresentazioni materne, le ma-dri con HV mostrano una maggiore consapevolezzadel proprio ruolo materno e maggiori abilità di ricono-scere sentimenti ambivalenti. In particolare, le madrisembrano essere positivamente disposte dal trattamen-to di Home Visiting ad una maggiore apertura al cam-biamento. Il trattamento Home Visiting sembra pro-muovere e supportare queste donne attraverso un ac-comodamento più flessibile alla nuova situazionecome risultato della nascita del bambino, rispetto a lo-ro stesse e alla vita di coppia. Si può ipotizzare che iltrattamento di Home Visiting può aver aiutato le don-ne a raggiungere un più organizzato senso di sé comemadre anche rispetto alla propria madre, con unamaggiore flessibilità rispetto ai cambiamenti nel primomese di vita del bambino, e con una migliore abilità ariconoscere i segnali comportamentali del bambino.Da questa prospettiva, il supporto di Home Visitingfunziona coma una base sicura (Bowlby, 1969) e per-mette alle madri di riconoscere loro stesse ed esplora-re il comportamento dei loro bambini.

Gli effetti sulle rappresentazioni del bambino sonomeno evidenti rispetto agli effetti sul ruolo materno.Le madri appartenenti al gruppo a rischio psicosocia-le-HV presentano, come trend, maggiore ricchezzadelle percezioni rispetto allo stesso gruppo nHV. Que-ste donne sono più abili a riconoscere le particolaritàdel loro bambino dopo la nascita e ad accettare i cam-biamenti prodotti dalla nascita. Le rappresentazionimaterne divengono più permeabili e vengono influen-zate dal bambino reale in contrasto con l’immaginedel bambino strutturata durante la gravidanza.

A tale fine abbiamo utilizzato le rappresentazionimaterne emerse in gravidanza quali predittori dellaqualità interattiva madre-bambino nel corso del primoanno di vita, senza considerare l’effetto dell’interven-to. I modelli di parenting che le rappresentazioni vei-colano ci indicano che le madri con rappresentazioniRistrette mostrano una minore sensibilità materna eminori livelli di cooperazione nel rapporto con il bam-bino, oltre ad un livello di interferenza più elevato e

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stati affettivi negativi più frequenti rispetto alle Integra-te/Equilibrate e alle Non integrate/Ambivalenti. Que-ste differenze sono presenti nonostante il tempo mi-gliori complessivamente la qualità dell’interazione du-rante il primo anno di vita e indicano che uno stilerappresentazionale di tipo Ristretto/Disinvestito rap-presenta una fattore di rischio specifico per la costru-zione della relazione madre-bambino.

Nella prospettiva indagata dalla nostra ricerca vie-ne evidenziata la necessità di andare al di là dell’ana-lisi di “macrocategorie” della psicopatologia e di met-tere maggiormente in luce gli aspetti di continuità/di-scontinuità tra le caratteristiche del mondorappresentazionale del genitore e il sistema di cure delbambino, quali fattori di protezione o di rischio per losviluppo infantile.

Le rappresentazioni genitoriali possono avere valo-re di predittori dell’adattamento al futuro ruolo geni-toriale e di indicatori del cambiamento delle costella-zioni materne nei programmi di promozione della re-lazione genitore-bambino, anche in diadi chepresentano rischi psicopatologici.

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Indirizzo per la corrispondenza:Prof. Massimo Ammaniti, Dipartimento di Psicologia Dinamica e ClinicaVia degli Apuli, 1 00185 RomaE-mail: [email protected]

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Appendice 2

Child Development, May/June 2008, Volume 79, Number 3, Pages 547 – 561

A Randomized Controlled Trial of a Home-Visiting InterventionAimed at Preventing Relationship Problems in Depressed

Mothers and Their Infants

Karin T. M. van DoesumRadboud University Nijmegen and RIAGG IJsselland

J. Marianne Riksen-WalravenRadboud University Nijmegen

Clemens M. H. HosmanRadboud University Nijmegen and Maastricht University

Cees HoefnagelsMaastricht University

This study examined the effect of amother – baby intervention on the quality ofmother – child interaction, infant –mother attachment security, and infant socioemotional functioning in a group of depressed mothers with infantsaged 1 – 12 months. A randomized controlled trial compared an experimental group (n 5 35) receiving theintervention (8 – 10 home visits) with a control group (n 5 36) receiving parenting support by telephone. Therewere assessments pre, post, and follow-up after 6 months. The intervention had positive effects on the quality ofmother – infant interaction. Infants in the experimental group had higher scores for attachment security and forone aspect of socioemotional functioning, namely, competence. The intervention proved successful in preventingdeterioration of the quality of mother – child interaction.

Many studies have reported the adverse effects ofmaternal depression on offspring. Infants of de-pressed mothers have been found to be at increasedrisk of developing mental and behavioral problems,and it has been shown that some infants alreadyexhibit behavioral, physiological, and biochemicalderegulations shortly after birth (Field, 1998). In thecourse of the 1st year, many infants of depressedmothers start to show higher levels of distress, nega-tivity, and avoidance of the mother (Cohn, Campbell,Matias, & Hopkins, 1990; Gelfand & Teti, 1990;Murray, Fiori-Cowley, Hooper, & Cooper, 1996). In1- and 2-year-old children, maternal depression hasbeen found to be associated with impaired socioemo-tional and cognitive development (Murray et al.,1996). Infants of depressed mothers are more likely

to be less sociable and more fearful of strangers, tohave lower frustration tolerance, more behavioralproblems (e.g., disturbed sleeping and eating pat-terns), temper tantrums, and separation difficulties,and to bemore often insecurely attached compared toinfants of nondepressedmothers (Cicchetti, Rogosch,& Toth, 1998). In addition, their cognitive develop-ment as assessed by various standardized tests hasproved to be delayed (Lyons-Ruth, Easterbrooks, &Cibelli, 1997; Murray et al., 1996). Children of de-pressed parents also run an increased risk of devel-oping a major depressive disorder in childhood oradolescence as well as an anxiety disorder and alco-hol dependence in adolescence or early adulthood(Weissman, Warner, Wickramaratne, Moreau, &Olfson, 1997). As many as 50% of the children ofdepressed mothers will have experienced an episodeof depression themselves by the end of adolescence(Beardslee &Wheeloc, 1994; Downey &Coyne, 1990).

Among the various mechanisms proposed toexplain the effects of maternal depression on childoutcomes, the early mother – child interaction hasbeen assigned a central role (Cummings & Davies,1994; Field, 1998; Goodman & Gotlib, 1999; VanDoesum, Hosman, & Riksen-Walraven, 2005). Themother – infant interaction in depressed mothers

This study was funded by a grant from the NetherlandsOrganization for Health Research and Development (ZonMw),the Foundation for Children’s Welfare Stamps Netherlands(SKN), and the Community Mental Health Center, RIAGGIJsselland, the Netherlands. The trial on ‘‘Improving PositiveInteraction Between Depressed Mothers and Their Infants: AnEffect Study on a Preventive Program for Mother and Child’’ hasbeen assigned a unique trial identification number (InternationalStandard Randomised Controlled Trial Number Register[ISRCTN]). This number is ISRCTN83523136. The study wasapproved in November 1999 by the Medical Ethics Committee ofNijmegen University, on behalf of the chair, C. Hoogduin, MD.Correspondence concerning this article should be addressed to

Karin T. M. van Doesum, Prevention Research Centre, Departmentof Clinical Psychology, Radboud University Nijmegen, P.O. Box9104, 6500 HE Nijmegen, the Netherlands. Electronic mail may besent to [email protected].

# 2008, Copyright the Author(s)JournalCompilation# 2008, Society for Research inChildDevelopment, Inc.All rights reserved. 0009-3920/2008/7903-0004

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differs in various respects from that in nondepressedmothers. Depressedmothers express fewer emotions,showmore sad affect, and are less involved andmoreintrusive than nondepressed mothers. They speakless to their children and showmore covert and overthostility toward their children (Cohn et al., 1990;Field, Healy, Goldstein, & Guthertz, 1990; Goodman,Adamson, Riniti, & Cole, 1994; Hops et al., 1987;Radke-Yarrow,Nottelman,Martinez, Fox, & Belmont,1992). When amother is affectively unresponsive andemotionally unavailable, her infant is likely to exhibitbehavioral disorganization, avoidance, and lack ofpositive affect, which, in turn, has a negative effect onmaternal behavior (Tronick & Weinberg, 1997).

There is growing evidence that an insecuremother –infant attachment at least partly explains the linkbetween a disturbed mother – child interaction andnegative developmental outcomes in children. Chil-dren of depressed mothers have been found to be atrisk of insecure attachment, and insecure attachmenthas been found to be associated with socioemotionaland behavioral problems in childhood and adoles-cence (Carlson & Sroufe, 1995; Cicchetti et al., 1998;Field, 1989; Radke-Yarrow, Cummings, Kuczynski, &Chapman, 1985; Spieker & Booth, 1988).

In view of these serious implications, an earlyintervention program for depressed mothers andtheir infants was developed (Van Doesum et al.,2005). This mother – baby intervention program aimsto improve the interaction between depressed moth-ers and their infants, thus fostering a secure mother –infant attachment and preventing developmentalproblems in the children. The focus of the interven-tion program is on maternal sensitivity, widely con-sidered to be one of themost crucial dimensions of themother – infant interaction and to be important for thedevelopment of children in the first years of life (DeWolff & van IJzendoorn, 1997). The program is basedon existing American intervention programs focusedon improving the quality of mother – child interac-tions for depressed mothers and their babies, as wellas on other programs targeting mothers and infantsat risk, and on successful Dutch early interventionsfor various other types of high-risk families withinfants (Field, 1998; Field et al., 2000; Gelfand, Teti,Seiner, & Jameson, 1996; Juffer, Bakermans-Kranen-burg, & van IJzendoorn, 2005; Juffer, Hoksbergen,Riksen-Walraven, & Kohnstamm, 1997; Lyons-Ruth,Conell, Grunebaum, & Botein, 1990; Riksen-Wal-raven, 1978; Riksen-Walraven, Meij, Hubbard, &Zevalkink, 1996; Van den Boom, 1994). These evi-dence-based programs varied in intensity (3 – 47home visits), timing (age of the infant 5 – 8 months),and focus (maternal sensitivity, support, improving

parenting skills, and/or maternal job education). Forthe current mother – baby intervention, we adoptedand combined several elements from the earlierprograms to help improve mother – infant interac-tion. The most important of these elements wereinteraction coaching tailored to the mother’s inter-action style, promoting the frequency of touching(e.g., by baby massage), and encouraging the (non-depressed) partner or other adults to offer themother more social support (Field, 2002). The inter-vention distinguished itself from earlier programsfor depressed mothers by its relatively restrictedlength, its distinctive key focus (i.e., the improve-ment of maternal sensitivity), the possibility of anearly start of the intervention in the infants’ firstweeks of life, and its position, being embedded in theDutch mental healthcare services.

In this study, we examined the effect of the earlyintervention program on the quality of the mother –child interaction, infant –mother attachment security,and children’s socioemotional functioning. We ex-pected to find a positive effect of the program (a) onthe quality of the mother – child interaction, particu-larly a mother’s sensitivity toward her child and thechild’s responsiveness and involvement toward itsmother, and (b) on infant –mother attachment secu-rity and a child’s socioemotional functioning.

Method

Participants

Eligible for participation were mothers with aninfant up to 12months, who (a) met theDiagnostic andStatistical Manual (4th ed.; DSM– IV ) criteria fora major depressive episode or dysthymia (95%)and/or exhibited elevated levels of depressive symp-toms, that is, Beck Depression Inventory (BDI) . 14(5%); (b) were sufficiently fluent in Dutch; and (c)were receiving concurrent outpatient treatment fortheir depression by a qualified local therapist orpsychiatrist (eight outpatient treatment facilities).Psychiatric comorbidity was allowed with the excep-tion of psychotic disorder, manic depression, and/orsubstance dependence. Sixty mothers were of Dutchorigin (Caucasian) and 11 mothers were immigrantsor descendants of immigrants from various origins(Turkish, Moroccan, Surinamese, Portuguese, andAustralian). Around 60% of the infants were first-borns, with a mean age of 5.5 months (see Table 1),and 40% had one or two siblings, with a mean age of3.9 years. Candidates had either been referred forparticipation to the program by their local therapists

548 van Doesum, Riksen-Walraven, Hosman, and Hoefnagels

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or responded to appeals in national newspapers,women’s and parenting magazines, or Web sites.The mothers who agreed to participate in the studyall signed an informed consent form,which explainedthe randomization to the program and with whichthey also gave the researcher permission to obtaininformation from their therapists.

Figure 1 shows a flow chart of the participantprogress per phase of our randomized trial, whichhad a recruitment period of 2.5 years. Including thefollow-up assessment, the total trial period was 3.5years. Of the 95 women referred to the study prior tothe pretest assessment, 17 did not meet the inclusioncriteria and 3 refused to participate. Of the 85 partici-pants who had initially entered the study, 14 (16%)droppedout in the courseof the study.An independent-samples t test was used to compare the motherswho completed the study condition (n 5 71) withthose who dropped out during the study (n 5 14;

significance level, p , .05, two-tailed). There wereno differences between the women who completedthe study and those who dropped out in terms ofdemographics or mother and infant measures, apartfrom educational level, with the dropouts havinga lower educational level (p , .05). At baseline, thedemographics and scores on mother and infantmeasures of the experimental and control groupsof the participants who completed the study werecomparable (see Table 1). The recruitment proce-dure and the study protocol were approved by themedical ethics committee of the Radboud Univer-sity Nijmegen, where the research was coordinated.

Design and Intervention

According to the randomized controlled studydesign, and after a baseline assessment, participantswere randomly assigned to the intervention group or

Table 1

Baseline and Completer Demographics and Characteristics of the Mothers and Infants for the Control and Experimental Groups

Control group Experimental group

Baseline (n 5 43) Completers (n 5 36) Baseline (n 5 42) Completers (n 5 35)

Maternal characteristics

Mean age (years) 30.4 (3.9) 30.4 (4.1) 29.6 (3.8) 29.9 (3.6)

Living with partner (%) 85.7 89.9 95.2 94.2

Employment outside the home (%) 42.9 44.4 45.2 44.1

Education level (%)

Low 26.2 22.2 23.8 23.4

Middle 42.8 44.4 57.6 58.8

High 31.0 33.4 19.1 17.8

Family income (%)

Low 22.5 20.6 18.4 13.3

Middle 50.0 50.0 60.5 63.4

High 27.5 29.4 21.1 23.3

Dutch nationality (%) 97.6 80.6 95.2 88.6

Level of depression (BDI) 23.1 (9.3) 22.0 (9.3) 25.0 (11.4) 25.3 (12.2)

Earlier episode of depression (%) 51.2 52.8 57.1 64.7

Duration of depression (%)

0 – 3 months 16.7 19.4 14.3 14.7

3 – 6 months 28.6 27.8 19.0 17.6

. 6 months 54.8 52.8 66.1 67.6

Presence of comorbidity 66.7 58.3 73.8 70.0

Life events 1.6 (1.7) 1.4 (1.4) 0.8 (0.9) 1.0 (0.9)

Chronic problems 2.4 (2.3) 2.2 (2.2) 2.5 (2.1) 2.7 (2.2)

Infant characteristics

Mean age at pretest (months) 5.4 (2.3) 5.2 (2.9) 6.0 (3.2) 5.8 (3.2)

Female (%) 38.1 36.1 42.9 42.9

Firstborn (%) 52.4 50.0 66.7 67.6

Birth weight (g) 3,193.6 (678.2) 3,339.0 (557.5) 3,250.6 (732.3) 3,213.0 (667.4)

Perinatal complications 0.44 (0.5) 0.44 (0.5) 0.15 (0.5) 0.58 (0.5)

Note. aData are given as mean (SD) unless otherwise indicated. BDI 5 Beck Depression Inventory.

Home-Visiting Intervention for Depressed Mothers 549

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the control group. The two groups were balanced insets of 10, each with a computer-generated random-ization sequence.

Experimental group. Mother – infant pairs who wereassigned to the experimental group received themother – baby intervention, an outline of which isgiven below.

One of 14 home visitors (qualified preventionspecialists) affiliated with one of the regional Com-munity Mental Health Centers, all with a master’sdegree in psychology or social psychiatry and grad-uate or postgraduate training in prevention or healtheducation, visited the depressed mothers and theirinfants at home, where they recorded mother – childinteraction on videotape, usually involving themother bathing her baby. A multidisciplinary team

consisting of specialists in infant mental health careand adult psychopathology associated with the homevisitor’s treatment center subsequently analyzed thevideotape, focusing on the mother’s sensitivity to herinfant’s signals and needs. Based on their analysis ofthe videotaped interactions and the experiences ofthe home visitor, the team jointly defined the specificaims of the intervention, the primary objective alwaysbeing the enhancement of the mother’s sensitivity tothe signals and needs of the child. Subsequently, thehome visitor chose the method(s) best suited toachieve these goals and fine-tuned the interventionto themother’s needs. Video feedbackwas used as thecore intervention method, provided parental consentwas obtained. In the application of video feedback,there was room left for tailoring the method (e.g., its

Assessed for eligibility (n = 95)

Excluded:Not meeting the inclusion criteria (n = 7)

Refused to participate (n = 3)

Randomized (n = 85)

Allocated tomother–baby intervention (n = 43)

Received intervention (n = 35)Discontinued intervention

(Refused to participate, n = 2;Moved, not traceable, n = 2;Other complications, n = 4)

Allocated to telephone support (n = 42)Received telephone support (n = 39)

Discontinued support(Admitted to psychiatric hospital, n = 1;

Refused, n = 2)

Follow-up (n = 35)Lost to follow-up: none

Follow-up (n = 36)Lost to follow-up:

(Admitted to psychiatric hospital, n = 1;Moved, not traceable, n = 1;

Refused to participate further, n = 1)

Posttest (n = 35) Posttest (n = 39)

Analyzed (n = 35) Analyzed (n = 36)

Pretest (n = 85)

Figure 1. Flow chart of the study’s progress, detailing participant numbers during recruitment, inclusion, allocation, and experimentationprocesses.

550 van Doesum, Riksen-Walraven, Hosman, and Hoefnagels

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dosage, other techniques such as baby massage andmodeling) to the individual mothers and theircontext.

During each home visit, the home visitor moni-tored and videotapedmother and child during every-day activities, such as bathing or feeding the baby.Subsequently, while watching the tapes together, thehome visitor discussed the interactions with themother, or if present, both parents. The mother wasencouraged to expand her range of appropriatecommunicative behaviors, using the videotapes toshow her when to respond to the baby’s eye contact,movements, or sounds.

For example, one tape showed a lack of eye contactbetween mother and infant. While watching the tape,the mother reported that her child was not interestedin her but was instead always looking at his dad. Thetape, however, also showed some instances of thechild looking at his mother, which she had notnoticed.

When the images of such moments were explicitlypointed out to the mothers, they usually recognizedthat the child was trying to make contact. This madethem aware of possible contact opportunities. Sub-sequently, the mothers were asked to practice re-sponding to their child’s contact initiatives. Thefather, when present, was encouraged to support hiswife in her interaction with the child. In addition tothe video observations, one or more of the followingfour techniques were used depending on the needs ofthe parents:

1. Modeling. Themother was further supported inher parenting role by having her adopt newinteractive techniques through modeling. Thehome visitor demonstrated how the mothercould use various techniques to respond to theinfant’s contact initiatives. For example, thehome visitor showed how imitating the infant’ssounds or facial expressions elicited the child’sattention and excitement. The mother wasencouraged to do the same and thereby experi-ence the reinforcement of her infant’s positiveresponse.

2. Cognitive restructuring. The home visitorencouraged the mother to try and change hernegativeway of thinking about the child andhercompetence as a parent. Techniques from cog-nitive behavior therapy were used to explain toher that negative thinking canmake her depres-sive feelings toward herself and her infantpersist. For example, one of the mothers toldthe home visitor that her 6-month-old son wasafraid of her. When she came into his bedroom,

he extended his hands to her while frettingor crying, which she interpreted as a sign ofanxiety or resistance. Having noticed the moth-er’s negative interpretation of the child’s sig-nals, the home visitor encouraged her to labelthe child’s behavior in a more appropriate andpositive way.

3. Practical pedagogical support. The home visitorprovided the mother with information on howto deal with the baby’s crying, sleeping, andeating problems.

4. Baby massage. This massaging technique, whichwas often introduced during modeling, aims toimprove the quality of the physical contactbetween the mother and her infant. It encour-ages her to touch her child more tenderly andmay help her make her baby feel more comfort-able (Field, 1995). In the Netherlands, babymassage courses are offered by infant health-care centers. Mothers were encouraged by thehome visitor to participate in these courses.

In the remainder of the sessions, the parents weregiven the opportunity to familiarize themselves withthese newly acquired patterns of positive interaction.Through practice, the mothers and fathers learned toadopt new and more sensitive interactive behaviors.At the final visit, a plan was made with instructionsthat should help the parents sustain the positiveinteractions in the future. Three months after the lasthome visit, the prevention worker visited the familyonce again to observe the mother – child interactionand to see whether the progress made during theintervention had been preserved. Any problems orquestions the parents might have were discussedand, if needed, additional advice or counseling wasoffered.

The intervention comprised a total of 8 – 10 homevisits, each lasting approximately 60 – 90 min. Ini-tially, visits were conducted weekly, but during thecourse of the program this was decreased to onevisit every 2 weeks. Thus, full implementation of theprogram, from the first contact through to the lasthome visit, took 3 – 4 months. All home visitors useda standardized protocol and were trained by thefirst author and a child therapist with extensiveexperience in implementing the program (VanDoesum et al., 2005). A manual, a videotape, anda training program for home visitors are available, allin Dutch.

Control group. Themotherswhohad been assignedto the control group received a minimal interventioninvolving three telephone calls, each lasting a maxi-mum of 15 min, by one of the eight child therapists,

Home-Visiting Intervention for Depressed Mothers 551

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during 3 consecutive months. In the phone calls, themothers were supported with practical parentingadvice. The therapists were instructed not to focuson the actual mother – child interaction but to restricttheir support to general information about child-rearing skills.

Procedure

The assessments were conducted by one of thethree trained researchers. The pretest was conductedduring the first assessment at home and consisted ofa video recording, an interview, and a questionnaire.Prior to the pretest, the mothers were sent a generalquestionnaire, including items about family demo-graphics, duration of depressive symptoms, chronicstressors, the number of negative life events, andfeelings of parental competence, as well as a socialsupport list, with the request to complete them beforethe visit. Themotherswere assessed for depression bymeans of structured diagnostic interviews (MiniInternational Neuropsychiatric Interview [MINI];Sheehan et al., 1998) and BDI (Beck, Rush, Shaw, &Emery, 1979). Information about comorbidity wasalso retrieved from the MINI. After the interview,the mother’s behavior was recorded on videotape for15 – 20 min while she was bathing her baby.

There were two posttests, both conducted at home,for both of the groups. The first posttest was con-ducted within 2 weeks of completion of the mother –baby intervention or the minimal intervention (i.e.,3 – 4 months after the pretest). Just as for the pretest,a general questionnairewas sent bymail and a 15-minvideo recording of the mother – child interaction wasmade; this time not during bathing but duringmother – infant free play with toys. The second post-test, the follow-up test, was done at home 6 monthslater after the posttest. Again, the mothers receiveda general questionnaire and were videotaped for 15min while playing with their infant at home. Themothers also completed an oral questionnaire on theirchild’s socioemotional functioning. After havingobserved the child for 2 hr, the researcher completedthe 90-item version of the Attachment Q-set (AQS,Waters, 1995) describing the child’s secure-basebehavior. Table 2 shows the mean ages, standarddeviations, and age ranges for the infants at pretest,posttest, and follow-up.

In sum, the quality of themother – child interactionwas assessed at each of the three assessments,whereas the children’s attachment security and socio-emotional functioning were only assessed at thefollow-up test.

Instruments

Quality of the mother – infant interaction. The video-taped episodes of mother – infant interaction wererated using the Emotional Availability Scales (EAS),Infancy to Early Childhood Version up to 4 years(Biringen, Robinson, & Emde, 1998). For very youngchildren (0 – 6 months), we used the adapted versionof the EAS for younger children. The EAS includes sixscales, namely, parental sensitivity, structuring, non-intrusiveness, nonhostility, child responsiveness, andinvolvement. Theparental sensitivity scale is a 9-pointscale that refers to a variety of parental qualitiestapping a parent’s ability to bewarm and emotionallyconnected with her child. The 5-point structuringscale reflects the parent’s ability to provide a support-ive framework or scaffold for the baby during inter-actions and to exercise limit setting when necessary.High scores refer to a parent who successfully struc-tures interactions. The 5-point nonintrusiveness scalereflects the parent’s ability to provide autonomy forthe child and to be available without being interfer-ing. High scores refer to a parent who is availablewithout being intrusive and low scores refer toa parentwho is constantly ‘‘at’’ the child, ‘‘takes over’’interactions, and intrudes strongly into the child’sbehavior. The 5-point nonhostility scale reflects theabsence of discontent, impatience, irritation, andanger expressed toward the baby. High scores referto a parent who does not show any overt or covertsigns of hostility toward the child. The 7-point childresponsiveness scale evaluates an infant’swillingnessand openness to interact with its mother (e.g., re-sponding to her bids) and assesses the degree ofpleasure the infant exhibits when doing so. The childinvolvement scale, which is also a 7-point scale,assesses the degree to which a child initiates interac-tion with its mother and invites her to interact.

Each tape was independently rated by fourtrained observers blind to the group assignment,namely, the first and second authors, the latterhaving been trained by one of the authors of theEAS (J. Robinson), and two graduate students

Table 2

Mean Ages, Standard Deviation, and Age Ranges for the Infants at

Pretest, Posttest, and Follow-Up Test

Age of infant in

months (n 5 71) M SD Range Minimum Maximum

At pretest 5.5 3.1 11.0 1.0 12.0

At posttest 12.1 4.4 17.1 5.2 22.2

At follow-up test 18.8 4.2 16.4 12.2 28.6

552 van Doesum, Riksen-Walraven, Hosman, and Hoefnagels

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trained by the second author. Reliabilitywas checkedin a random sample of 15 different interaction record-ings evenly distributed across the assessments andvarious age levels of the infants. The interraterreliabilities, expressed as intraclass correlations, ex-ceeded .90 for all scales, indicating excellent agree-ment. Several studies have shown good reliabilityand validity (Aviezer, Sagi, Joels, & Ziv, 1999; Birin-gen et al., 2005; Easterbrooks, Biesecker, & Lyons-Ruth, 2000). The observers were blind to groupassignment and other relevant data.

Child attachment security. The AQS version 3(appropriate for children aged 12 – 48 months) wasused to describe the infants’ attachment behavior inthe home setting (Waters, 1995). In a recent meta-analysis, the widely used AQS was shown to bea reliable and a valid measure of infant attachmentsecurity (van IJzendoorn, Vereijken, Bakermans-Kranenburg, & Riksen-Walraven, 2004). After havingobserved a mother and child at home for 2 hr, thetrained observer, again unaware of the group assign-ment, arranged the 90 descriptive statements ina rectangular forced nine-category distribution ac-cording to the evaluated applicability of each item forthe particular child. A security score was obtained bycorrelating the child’s Q-sort description with thecriterion sort provided by experts for a perfectlysecure infant. The security scores could range from!1.00 for amost insecure infant to +1.00 for a perfectlysecure infant. Before data analysis, the correlationcoefficients were transformed using Fisher’s r-to-zprocedure to correct for the nonlinearity of the metricof r at its extreme values, as advocated by Waters(Waters & Deane, 1985). The observers had beentrained by expert researcher Hedwig van Bakel,Ph.D., who has extensive experience with the appli-cation of the AQS, until an adequate interrater reli-ability of .75 was reached. Reliability checks duringthe study showed that intraclass correlations for fiveindependent sorts for the same observations allexceeded .90. The observers who applied the AQSwere not involved in rating the mother – child inter-action and were blinded to group assignment andother relevant data.

Infant socioemotional functioning. The Infant Tod-dler Social and Emotional Assessment (ITSEA),a parental report instrument for 12- to 36-month-oldchildren (Carter, Briggs-Gowan, Jones, & Little, 2003),was employed to assess the socioemotional problemsand competence in our infant sample. This scaleassesses four broad domains of socioemotional func-tioning: (a) internalizing symptoms (e.g., depression –withdrawal), (b) externalizing symptoms (e.g.,aggression and activity), (c) dysregulation (sleeping

and eating difficulties), and (d) competence (e.g.,empathy). The ITSEA includes 166 items rated ona 3-point scale: (0) not true/rarely, (1) somewhat true/sometimes, and (2) very true/often. A ‘‘no opportunity’’code allows parents to indicate that they have nothad the opportunity to observe certain behaviors(e.g., behaviorwith peers). The validity and reliabilityof the ITSEA have been demonstrated in earlierresearch (Carter et al., 2003). In the present study,Cronbach’s as for the four domains were adequate:as 5 .68, .88, .80, and .84, respectively.

Depression and comorbidity. Depression and comor-bidity were assessed bymeans of the Dutch version ofthe MINI (Overbeek, Schruers, & Griez, 1997;Sheehan et al., 1998). The MINI is a short diagnosticinterview to explore 17 Axis I diagnoses according tothe diagnostic criteria of the DSM– IV (AmericanPsychological Association, 1994). The interrater reli-ability has been found to be satisfactory (Sheehanet al., 1998).

Severity and duration of depressive symptoms. TheBDI is a 21-item self-report questionnaire to assess thelevel of depressive symptoms during the past week(Beck et al., 1979). The BDI reliably discriminatesbetween clinically depressed and nondepressed per-sons. BDI cutoff scores for depression severity are asfollows: a score , 10 signifies no or minimal depres-sion, 10 – 18 mild to moderate depression, 19 – 29moderate to severe depression, and 30 – 63 severedepression (Beck, Steer, & Garbin, 1988). The BDI’spsychometric properties have repeatedly been re-ported to be good. The average Cronbach’s a fornonpsychiatric samples is .82 (Richter, Werner,Heerlein, Kraus, & Sauer, 1998). In our sample, an aof .89 was found.

To estimate the duration of the depression, theparticipants were asked to indicate in the generalquestionnaire of the pretest how long they had beenexperiencing depressive symptoms. The four optionswere less than 3months, from 3 to 6months, from 6 to12 months, and more than 12 months.

Stressful life events and long-term difficulties. Boththe number of chronic stressors and the number ofnegative life events in the past month were assessedby means of an 11-item checklist derived from aDutch questionnaire for life events, the Survey ofRecent Life Experiences, and the long-term difficultiesquestionnaire (De Jong, Timmerman, & Emmelkamp,1996). The areas covered by these two instrumentswere pregnancy, delivery, infant health, relationshipswith the partner, family, others, bereavement,divorce, family health, financial situation, housing,employment, legal matters, and other miscellaneousproblems.

Home-Visiting Intervention for Depressed Mothers 553

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Statistical analyses. The effects of the interventionon the quality of the mother – child interaction wereanalyzed for the three assessments and the level ofdepression using a general linear model (GLM) withrepeated measures (significance level p , .05).Independent-samples t tests were used to comparethe average infant attachment security and socioemo-tional functioning in the experimental and controlgroups (significance level p , .05).

Results

Descriptive Statistics and Relationships of the StudyVariables

Table 3 presents the intercorrelations and descrip-tive statistics of the outcome variables at pretest andfollow-up test. The posttest correlations were notincluded because the correlations were similar tothose in the follow-up test for the three dimensionsof mother – child interaction. The distribution of thescores for internalizing symptoms showed moderateskewness, which is why the variable was normalizedby means of a log transformation. All other variableswere normally distributed. The mother – child inter-action variables were concurrently correlated bothat the pretest and at the 6-month follow-up test andshowed comparable correlations over the threemeas-urements. The externalizing, internalizing, and dys-regulation scores reflecting infant socioemotionalfunctioning were all significantly interrelated. Com-petence, the fourth scale for infant socioemotionalfunctioning, was unrelated to the other scales. Infantattachment security proved significantly related tothe mother – child interaction variables at the follow-up test and to three of the four socioemotional func-tioning scales, with the exception of the internalizingscale.

Effects of the Intervention on the Mother – InfantInteractions and the Level of Depression

Table 4 shows the means and standard deviationsfor the two groups at each of the three assessments foreach dimension of the mother – child interaction weevaluated. A GLM repeated measures procedure wasused for each dependent variable, with group (exper-imental group vs. control group) as the between-subject variable and time (pretest, posttest, andfollow-up) as the within-subject variable. Durationof depression and severity of depression at baseline(BDI)were included as covariates to examinewhetherthe chronicity and severity of the depression affected

the efficacy of the intervention. A significant Group!Time interaction effect showed the effect of theintervention on the mother – child interaction to besignificant for four dimensions: maternal sensitivity,F(2, 68) 5 13.06, p , .01, g2 5 .28; maternal structur-ing, F(2, 68) 5 6.28, p , .01, g2 5 .16; child respon-siveness, F(2, 68) 5 3.88, p , .05, g2 5 .10; and childinvolvement, F(2, 68) 5 4.85, p , .01, g2 5 .13. Theabsence of significant Group ! Time ! DepressionDuration and Group ! Time ! Depression Severityinteraction effects indicates that the interventioneffects were not related to the chronicity or theseverity of maternal depression. The significant effectof the intervention on the four mother – child interac-tion dimensions is graphically presented in Figure 2.No intervention effects were found for the maternalnonintrusiveness and nonhostility dimensions.

Table 4 shows that the level of depressiondecreased over time for both the experimental andthe control groups. A GLM for repeated measureswith the BDI scores as the dependent variable, theexperimental versus control group as the between-subjects factor, and repeated measures time as thewithin-subject variable revealed no significant differ-ence in level of depression between the groups.Furthermore, the analysis showed a significant reduc-tion over time in the level of depression, both in theexperimental group and in the control group

Differences Between the Conditions as Regards InfantAttachment Security

Table 5 shows the means and standard deviationsof the AQS security scores for the experimental andcontrol groups. A t test for independent samplesyielded a significant difference between the twogroups at follow-up, t(69)5 1.92, p, .05. As expected,the infants in the experimental group had signifi-cantly higher scores for attachment security in thefollow-up assessment than the children in the controlgroup.

Difference Between the Conditions as Regards InfantSocioemotional Functioning

The effects of the intervention on the four aspects ofthe children’s socioemotional functioning are listed inTable 5. A t test for independent samples revealedthat the children in the experimental group weresignificantly more competent at the follow-up testthan the children in the control group, t(69) 5 2.64,p, .01. No significant differences were found for theother three domains, that is, externalizing, internaliz-ing, and dysregulation symptoms (Table 5).

554 van Doesum, Riksen-Walraven, Hosman, and Hoefnagels

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79

Table

3

Correlations,Means,Standard

Deviations,andRangesofOutcom

eVariables

forthePretestandFollow-U

pAssessm

ents(n

571

)

Outcomevariable

12

34

56

78

910

1112

1314

1516

17M

SD

Min

–Max

Qualityofmother

–ch

ildinteraction

Pretest

1.Maternal

sensitivity

—4.35

2.02

1to

8

2.Maternal

structuring

.66**

—2.51

1.32

1to

5

3.Maternal

nonintrusiven

ess

.52**

.34**

—3.40

1.15

1to

5

4.Maternal

nonhostility

.24**

.05

.38**

—4.88

0.43

3to

5

5.Childresp

onsiven

ess

.65**

.62**

.29**

.13

—3.87

1.73

1to

7

6.Childinvolvem

ent

.63**

.53**

.34**

.11

.89**

—3.73

1.83

1to

7

Follow-uptest

7.Maternal

sensitivity

.37**

.38**

.43**

.25*

.25*

.21*

—4.39

2.02

1to

8

8.Maternal

structuring

.31**

.35**

.34**

.16

.23*

.17

.87**

—2.89

1.30

1to

5

9.Maternal

nonintrusiven

ess

.04

.14

.45**

.36**

!.01

!.01

.66**

.55**

—3.34

1.35

1to

5

10.M

aternal

nonhostility

!.10

.11

.14

.35**

!.12

!.11

.32**

.17

.45**

—4.80

0.60

2to

5

11.C

hildresp

onsiven

ess

.23*

.28**

.19

.13

.24*

.20*

.77**

.76**

.36**

.21*

—4.06

1.66

1to

7

12.C

hildinvolvem

ent

.17

.20*

.17

.22*

.27*

.21*

.73**

.71**

.43**

.25*

.91**

—3.90

1.86

1to

7

Attachmen

tat

follow-uptest

13.A

ttachmen

tsecu

rity

.22*

.30**

.16

.09

.21*

.15

.36**

.39**

.18

!.16

.36**

.37**

—0.30

0.28

!0.27

to0.75

Childsocioem

otional

functioningat

follow-uptest

14.E

xternalizing

!.15

!.11

!.26*

!.02

.08

!.01

!.05

!.04

.02

.11

.12

.13

!.45*

*—

0.59

0.34

0.04

to1.67

15.Internalizinga

.06

.08

!.06

.20

.10

.10

.11

.10

.00

.16

.15

.14

!.03

.25*

—0.42

0.19

!0.85

to0.06

16.D

ysreg

ulation

!.25*

!.21*

!.15

.01

!.10

!.08

!.24*

!.21*

.02

.00

!.14

!.11

!.39*

*.65**

.33**

—0.47

0.26

0.06

to1.32

17.C

ompeten

ce.07

.10

.01

.09

.18

.06

.31**

.30**

.14

.07

.36**

.43**

.44*

*!.09

.09

!.19

—1.31

0.31

0.53

to1.89

aMCorrelationsafterthescoreshad

beentran

sform

edto

norm

ality.

*p,

.05.

**p,

.01,

one-tailed

.

Home-Visiting Intervention for Depressed Mothers 555

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80

Discussion

In accordance with our first hypothesis, the mother –baby intervention proved effective in enhancing thequality of the mother – child interaction. This showsthat a short, moderately intensive intervention canachieve a significant and relatively long-term pre-ventive effect (6 months after the intervention) ina sensitive period of a child’s development. Mostimportantly, the experimental group saw an increasein maternal sensitivity, which is one of the mostimportant components of parenting known to predictpositive outcomes in children (Bakermans-Kranen-burg, van IJzendoorn, & Juffer, 2003; Teti & Cande-laria, 2002). The intervention had a positive effect onthe mothers’ ability to provide adequate structure fortheir infants as well; this is remarkable, given that theintervention was primarily directed at improvingmaternal sensitivity, and did not focus on the otherqualities of maternal behavior assessed in this study.In this light, the absence of an intervention effect formaternal nonintrusiveness and nonhostility was notsurprising.

The 6-month follow-up also confirmed our secondhypothesis, in that the experimental group had sig-nificantly higher scores for infant attachment securityand social competence than the control group. Theaverage attachment security score of the infants in thecontrol group (M5 0.23) was comparable to the levelthat is characteristic of clinical cases (M 5 0.21; van

IJzendoorn et al., 2004). In contrast, in the experimen-tal group the average infant attachment security score(M5 0.36) was at the level that is characteristic of thenormal population (M 5 0.32; van IJzendoorn et al.,2004). The same trend was observed for child compe-tence: The mean score of the control group in thisstudy (M 5 1.22) was significantly lower than thatof the normal American population of children inthe 18 – 23 months age range (M 5 1.37, Carter et al.,2003). In the experimental group, on the other hand,the mean competence score (M 5 1.40) proved com-parable to the competence scores of the normalAmerican population (see above). Although thesescores cannot be assessed at the time these at the agethese children were pretested, the intervention ap-peared to promote the development of more secureattachments to mothers and to improve socioemo-tional competence, in comparison to controls. Itshould be noted that because both attachment secu-rity and child competence cannot be validly assessedbefore age 1, only the mother – infant interaction wasassessed at pretest. Given that themothers and infantswere randomly assigned to the experimental condi-tions, and given that maternal sensitivity, the mostimportant determinant of attachment security (see DeWolff & van IJzendoorn, 1997), did not differ betweenmothers in the experimental and control groups atpretest, it can be assumed that the significant groupdifferences we recorded for attachment at the follow-up test reflect an effect of the intervention. The

Table 4

Means and StandardDeviations for theMother – Child Interaction Scores andMaternal Depression for the Experimental and Control Groups at the Three

Assessments

Pretest M (SD) Posttest M (SD) Follow-up test M (SD)

Experimental group (n 5 35)

Maternal sensitivity (scale 1 – 9) 4.08 (2.03) 4.82 (1.78) 5.18 (2.01)

Maternal structuring (scale 1 – 5) 2.37 (1.44) 3.12 (1.09) 3.12 (1.09)

Maternal nonintrusiveness (scale 1 – 5) 3.40 (1.17) 3.56 (1.56) 3.57 (1.27)

Maternal nonhostility (scale 1 – 5) 4.89 (0.47) 4.89 (0.41) 4.80 (0.67)

Child responsiveness (scale 1 – 7) 3.86 (1.63) 4.26 (1.48) 4.60 (1.77)

Child involvement (scale 1 – 7) 3.66 (1.83) 3.74 (1.83) 4.57 (1.91)

BDI score 25.3 (12.2) 18.9 (11.0) 17.2 (11.9)**

Control group (n 5 36)

Maternal sensitivity (scale 1 – 9) 4.63 (2.01) 3.79 (1.86) 3.63 (1.76)

Maternal structuring (scale 1 – 5) 2.68 (1.23) 2.71 (1.06) 2.44 (1.30)

Maternal nonintrusiveness (scale 1 – 5) 3.47 (1.17) 3.24 (1.15) 3.11 (1.40)

Maternal nonhostility (scale 1 – 5) 4.89 (0.39) 4.84 (0.56) 4.81 (0.52)

Child responsiveness (scale 1 – 7) 4.00 (1.87) 3.18 (1.74) 3.52 (1.36)

Child involvement (scale 1 – 7) 3.87 (1.88) 2.79 (1.91) 3.25 (1.59)

BDI score 22.0 (9.3) 17.2 (9.3) 15.2 (9.8)**

Note. BDI 5 Beck Depression Inventory.**p , .01 for reduction of level of depression over time for each group.

556 van Doesum, Riksen-Walraven, Hosman, and Hoefnagels

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81

conclusion about the effect of the intervention on thechildren’s competence should be treated with morecaution, however. We did not find any effect on theother domains of the child emotional functioning.Furthermore, it should be noted that the instability ofinfant socioemotional functioning that has often beenreported may have accounted for our failure to findintervention effects in the domains of externalizing,internalizing, and dysregulation symptoms.

Contrary to our expectations, we failed to finda difference between the two groups for the other

three domains of infant socioemotional functioning(externalizing, internalizing, and dysregulation). Thismight be attributed to the relatively short intervalbetween the end of the intervention and the follow-upassessment; 6 months may have been too short aperiod for any intervention effects on the children’ssocioemotional problems to manifest themselves. A1-year follow-up might have been more appropriateto demonstrate treatment efficacy for these behavioralaspects. Another explanation is the children’s de-velopment over time; because the child is maturing,it is more difficult to measure problem behaviorcompared to nonproblem behavior (i.e., a child’scompetence).

The improvement in the mother – child interactionin the intervention group cannot be ascribed solely tothe treatment of themothers’ depression.Allmothers,both in the intervention group and in the controlgroup, were receiving treatment (medication and/ortherapy) for their depressive symptoms from thebaseline assessment and throughout the intervention.The average BDI score decreased in both the experi-mental and the control groups.Neither the pretest northe posttest assessments revealed significant groupdifferences in terms of BDI scores. Nevertheless,maternal sensitivity only increased in the interventiongroup but not in the control group. Evidently, there-fore, treatment of maternal depression alone did notautomatically result in increasedmaternal sensitivity.This confirms the results of studies by Field (1998) andby Murray, Cooper, Wilson, and Romaniuk (2003),who found that treatment and alleviation of depres-sive symptoms alone is not enough to improve thequality ofmother – child interaction.Our results showthat the intervention did not reduce the mothers’depression. This is not surprising, given that the

Maternal Sensitivity

1

2

3

4

5

6

Pretest Posttest Follow-Up

Experimental

Control

Maternal Structuring

1

2

3

4

Pretest Posttest Follow-Up

Experimental

Control

Child Responsiveness

1

2

3

4

5

Pretest Posttest Follow-Up

Experimental

Control

Child Involvement

1

2

3

4

5

Pretest Posttest Follow-Up

Experimental

Control

Figure 2. Mean scores for maternal sensitivity, maternal structur-ing, child responsiveness, and child involvement for the experi-mental and control groups at the three assessments.

Table 5

Means and Standard Deviations for Attachment Security and Child

Socioemotional Functioning in the Experimental and Control Groups and

t Values for the Differences

Experimental group,

n 5 35, M (SD)

Control group,

n 5 36, M (SD) t values

Attachment

AQS security 0.41 (0.30) 0.26 (0.35) 1.92*

Child socioemotional functioning

Externalizing 0.60 (0.39) 0.57 (0.30) !0.34

Internalizing 0.45 (0.23) 0.39 (0.16) !1.29

Dysregulation 0.46 (0.26) 0.48 (0.26) 0.33

Competence 1.40 (0.28) 1.22 (0.30) !2.64**

Note. AQS 5 Attachment Q-set.*p , .05. **p , .01, one-tailed.

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primary aim of the intervention was to improve thequality of the mother – child interaction and not toreduce depression. That such an effect was not foundcan be explained by various factors. For example,a positive effect of the improvement in infant behav-ior toward the mother may have been masked by theeffects of other factors that have a stronger impact onmaternal depression, such as lack of social support,biological factors, or the effect of the ongoing treat-ment for depression. Alternatively, it may take a longtime before an improvement in infant behaviortoward themother starts to decreasematernal depres-sion, so that an effect of the intervention ondepressionmay only emerge later on.

It is intriguing that improvement of maternalsensitivity proved possible despite the relative sever-ity of the mothers’ depression. Our analyses showedthat that the effects of the intervention were notdifferent on severely or chronically depressed moth-ers compared to mothers who were less depressedor had a shorter duration of depression. Other re-searchers have argued strongly that it is very difficultsimply to ‘‘teach’’ depressed parents to be better par-ents. This line of reasoning assumes that depressedmothers do know how to parent but cannot do sobecause they are overwhelmed by sad affect, distress,and self-absorption. Our findings contradict thisassumption to a certain extent, but it should be notedthat the present intervention was implemented incombination with depression treatment. Whetherthe intervention would also be effective for motherswho are not in treatment is an open question, whichcould not be examined because our sample did notinclude untreated mothers.

It should also be noted that the larger amount ofattention received by the intervention mothers ascompared to the control mothers may at least partlyexplain the effects of the intervention. This is difficultto prove, however, as the studydesign did not includea third condition, in which the mothers received thesame number of home visits but without the inter-vention program.

Although the AQS is a well-acknowledged, validinstrument to measure attachment security (Carteret al., 2003), it has a drawback in that it does notdistinguish between attachment types. In this respect,it differs from the Strange Situation Procedure, whichdifferentiates between secure attachment and threetypes of insecure attachment, namely, insecure –avoidantattachment, insecure – ambivalentattachment,and disorganized attachment (Ainsworth, Blehar,Waters, & Wall, 1978; Main & Solomon, 1990). Inclinical samples, disorganized attachment inparticularhas been found to be associated with maternal prob-

lems (van IJzendoorn, Goldberg, Kroonenberg, &Frenkel, 1992). Moreover, disorganized attachmenthas been shown to predict later child psychopathology(Lyons-Ruth & Jacobvitz, 1999). Thus, although ourintervention showed positive differences in attach-ment security, it remains unclear if the program alsohelped prevent attachment disorganization.

Another limitation of this study is that we did notscreen the mothers for Axis II disorders, especiallyborderline personality disorder. Several studies haveshown that interaction with borderline mothers hasa serious impact on child problem development(Crandell, Patrick, & Hobson, 2003; Weiss, Zelkowitz,Feldman,Heyman, & Paris, 1996). Furthermore, stud-ies have suggested that comorbid diagnosis indepressed parents increases children’s risk of psy-chopathology in general (Carter, Garrity-Rokous,Chazan-Cohen, Little, & Briggs-Gowan, 2001; Rutter& Quinton, 1984). A recent study by Abela, Skitch,Auerbach, and Adams (2005) showed that children ofparents with comorbid Borderline Personality Disor-der and Major Depressive Disorder were 6.84 timesmore likely to have a current or past diagnosis ofmajor depressive disorder. In the future, our inter-vention will need to address this risk group as well.The question whether the intervention needs to beadapted in terms of focus, content, or duration needsto be examined.

The evaluation of our early intervention programhas several interesting implications for clinicians.Compared to other existing programs for depressedmothers and infants (Field, 1998; Gelfand et al., 1996;Lyons-Ruth et al., 1990), the current mother – babyintervention is short (comprising 8 – 10 home visits)and has a distinctive key focus, that is, the improve-ment of maternal sensitivity. The intervention istailored to the mothers’ strengths and needs andcould serve as a candidate intervention for all de-pressed mothers and their babies. Finally, thismother – baby intervention is relatively easy to imple-ment as part of the treatment that the mothers re-ceive for their depression.Clinicians involved in adultcare frequently do not see the need to refer depressednew mothers to a mother – baby intervention whenthe child does not (or not yet) exhibit problembehavior. However, it should be stressed that infantsof depressed mothers are at high risk of developingsocioemotional problems at a later stage in their livesand that the present intervention aims to prevent suchproblems. In this context, it is also worth mentioningthat the intervention is now widely implemented inadult mental health care and adult psychiatry in theNetherlands, and comments concerning its efficacyhave been favorable.

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This by no means excludes the need for additionalscrutiny, however. The present study warrants repli-cation and the program could benefit from a broaderimplementation in other settings (i.e., primary care)and from standardization. Thus, future researchshould address several topics. First, risk assessmentresearch could help to better identify depressedmothers most at risk of poor mother – child interac-tion and insecure attachment. Second, further out-come research needs to establish which mothers andinfants benefit most from the intervention; suchmother – infant dyads could then be specifically tar-geted by the prevention program. For example, itcould be examined which of the different strategiesthat the home visitor offered, orwhich combination ofstrategies, was most effective in enhancing maternalsensitivity and whether a longer duration wouldmake the program more effective. Another aspectthat could be examined is whether the age of the childis important in determining the effect of the interven-tion. We explored whether the age of the childrenpredicted the effect of the intervention on maternalsensitivity but found no such effect. Future researchneeds to examine which participant and programcharacteristics might act as effect predictors. Third,research is needed to test if adding new elements tothe program (e.g., strengthening extrafamily supportor follow-up interventions)would further improve itsoutcomes.

Furthermore, the present group of mothers andchildren warrants follow-up to examine if the 6-month intervention effects are maintained in lateryears, for example, after the children have enteredprimary school. Such a study is now underway. Afurther study is being prepared that will focus onwhether the current intervention (or a modified ver-sion) is suitable for application in a wider group ofyoung mothers with other mental illnesses, such aspsychotic disorders, borderline personality disorder,and substance dependence, as well as depressedmothers with comorbid diagnoses.

To conclude, replication of the present study iswarranted to see whether the current results can beconfirmed. If this reportwere to induce other countriesto adopt the current intervention, it might create newopportunities for a further evaluation of its efficacy.

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Postpartum Depression: How Childbirth Educators Can Help Brea... http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2684038/?tool=p...

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Journal List > J Perinat Educ > v.18(2); Spring 2009

J Perinat Educ. 2009 Spring; 18(2): 23–31.doi: 10.1624/105812409X426305

PMCID: PMC2684038

Copyright © A Lamaze International Publication

Postpartum Depression: How Childbirth Educators Can Help Break the Silence

Cheryl Zauderer, MS, RN, CNM, NPP

CHERYL ZAUDERER is a certified nurse-midwife and a psychiatric nurse practitioner with 23 years of nursing experience in the maternal-newborn field and 5 years of experience in the psychiatric field. Currently, she is a full-time instructor in the Department of Nursing, School of Health Professions, Behavioral, and Life Sciences, at the New York Institute of Technology and has a private psychotherapy practice specializing in postpartum depression.

Abstract

The voices of women suffering from postpartum depression are often silent. Women are reluctant to

reveal to others that they are unhappy after the birth of their babies. Much has been written on

possible causes, risk factors, and treatments for postpartum depression, but little has been done to

investigate why women take so long to seek help. Early detection and treatment are key to a full

recovery. Childbirth educators are in the position to offer anticipatory guidance on possible

complications of the postpartum period, including postpartum depression. This article explores why

women with postpartum depression choose to suffer in silence and suggests how childbirth educators

can help new mothers find their voices.

Keywords: postpartum depression, childbirth education, anticipatory guidance

Pregnancy, the postpartum period, and parenting present a multitude of challenges for many women

and their partners. Findings from the Listening to Mothers II survey demonstrate that many new

mothers experience a variety of physical and emotional symptoms after birth (Declercq, Sakala, Corry,

& Applebaum, 2006). Survey results found that “improving the knowledge and skills of childbearing

women” (p. 14) must be a priority, in addition to providing reliable and trustworthy maternity care.

POSTPARTUM DEPRESSION

Pregnancy, labor, and birth are perhaps the most significant life experiences that a woman and her

partner will encounter. It is a time of extreme physical and emotional transition with intense hormonal,

psychological, and biological changes, all of which can have an effect on the central nervous system

(Studd & Panay, 2004). The puerperium may be a time of high vulnerability for women, coupled with

feelings of loss of control. Tremendous changes occur in the mother's interpersonal and familial world.

The birth of a new baby is expected to be a joyful milestone in a woman's life, but that is not always

the case. Some women experience minor adjustment issues, and others experience a grave and

debilitating mood disorder, known as postpartum depression. More than half of the women with PPD

go undetected and undiagnosed because the new mother may be unwilling to reveal how she is

feeling to her provider or close family members, including her spouse (Beck, 2006). She may be

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Postpartum Depression: How Childbirth Educators Can Help Brea... http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2684038/?tool=p...

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embarrassed by her symptoms, or afraid that, if revealed, she will be institutionalized and separated

from her baby (Kennedy, Beck, & Driscoll, 2002).

Postpartum depression occurs in approximately 13% of new mothers (Gaynes et al., 2005; O'Hara &

Swain, 1996). It is usually detected between 2 and 6 weeks postpartum and can last up to 2 years.

Beck (2006) describes PPD as a “crippling mood disorder” (p. 40) often overlooked by health-care

providers, which can cause the woman anxiety and confusion.

CHILDBIRTH EDUCATION AND POSTPARTUM DEPRESSION

Morton and Hsu (2007) investigated ways for childbirth educators to enhance the curricula in their

classes in order to remain current and accommodate a new generation of consumers. Childbearing

couples are attending childbirth education classes with a new set of eyes. Young couples today are

more technologically savvy and have many alternatives to education, including the Internet (Declercq

et al., 2006). Many of those who do attend childbirth education classes have broader interests than

simply learning the Lamaze way of breathing (Morton & Hsu, 2007). Childbirth educators are modifying

their curricula to support the social and cultural changes of the childbearing community and including

topics such as postpartum care, newborn care, and the prevention and identification of early signs of

postpartum depression.

Childbirth education classes provide an opportunity to teach a new mother to anticipate the help and

support she might need for the birth of her child. According to Day (2007), depression and abuse are

not adequately attended to prior to childbirth, and weaknesses exist in identifying and supporting

women at risk. Day (2007) suggests ways to improve communication and support among childbirth

education class members, including maintaining contact via e-mail, sending photos to each other, and

even getting together for a reunion. All of these techniques may help to keep the lines of

communication open. It is known that social isolation as well as the strong desire for social support

during the postpartum period are related to the development of postpartum depression

(Martinez-Schallmoser, Telleen, & MacMullen, 2003).

Lothian (2007) notes that childbearing women want information regarding complications and risks of

childbirth, including caesarean section, epidural analgesia, and induction. Although often a hidden

occurrence of illness, postpartum depression is believed to be the leading complication of childbirth

today (Gaynes et al., 2005). It is an illness that is often undetected and usually obscured by the

woman, which causes her to suffer in silence. The new mother who is depressed is deprived of the

pleasures and joy of giving birth and caring for her newborn baby (Kennedy et al., 2002).

Childbirth educators can play a significant role in helping to break this silence, first by providing the

necessary education to help women and their partners recognize the early signs and symptoms of

postpartum depression (PPD). Second, educators can help increase a woman's understanding of how

to meet her own needs. This approach can improve a woman's overall state of mental wellness,

thereby possibly preventing or lessening the experience of PPD. Although prevention of PPD may not

be completely possible, health professionals can help recognize and reduce key risk factors. Dennis

(2004) found that several interventions—including providing antenatal classes, information during the

antenatal period, intrapartum support, early postpartum checkups, and continuity of care—may have

significant nonpharmacological preventative results. Ogrodniczuk and Piper (2003) conducted a

literature review to analyze results from studies that examined the relationship between prevention of

PPD and selective interventions. Interventions assessed included postpartum debriefing, continuity of

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care in the postpartum period, education in the prenatal period, early postpartum checkups, support at

home following childbirth, and social support in the postpartum period. An overview of such studies

provides support for introducing and discussing these topics and preventative methods during

childbirth education classes. The childbirth education class is an ideal environment because the

educator usually has the attention of both parents or a mother and her significant other.

The overall subject matter of childbirth education should include the postpartum period as well as

newborn and infant care and expectations (Kattwinkel et al., 2004). Through childbirth education,

health-care professionals can also reach out to new fathers. Men often complain about not being an

integral part of the childbirth experience. In a study conducted by Premberg and Lundgren (2006),

fathers felt that the information obtained through childbirth classes was inadequate for their particular

needs. However, they also reported that the classes not only helped prepare them for the labor and

birth experience, but also gave them anticipatory guidance for what to expect when bringing the

newborn infant home. A new mother may be overwhelmed and sleep deprived while caring for her

newborn; thus, it is often the father (or partner) who may recognize the early signs and symptoms of

PPD. The new mother may not want to admit to having these symptoms, but the father/partner can

encourage or urge her to seek help when needed. If the father or partner learns about the early

warning signs of PPD during classes, he or she will be in a better position to assess and notice these

changes and to encourage the new mother to seek help.

POSTPARTUM MOOD DISORDERS AND SYMPTOMS

Bennett and Indman (2003) classify postpartum mood disorders into five categories: (1) postpartum

depression and/or anxiety; (2) postpartum obsessive-compulsive disorder; (3) postpartum panic

disorder; (4) postpartum psychosis; and (5) postpartum posttraumatic stress disorder. Each disorder

presents a range of mood changes and physical complaints. Bennett and Indman (2003) also note

that postpartum “blues” is not considered a disorder; it is regarded as part of the normal postpartum

adjustment.

Postpartum “Blues”

According to Bennett and Indman (2003), normal postpartum adjustment and the “blues” represent

normal biological and psychosocial adjustments to giving birth and do not impair the daily functioning

of the mother or impinge on the maternal-newborn bonding experience. Approximately 80% of

postpartum women experience the “blues,” which are mild hormonal changes that take place within the

first 48 hours after giving birth. These symptoms may last up to 6 weeks (Bennett & Indman, 2003).

Symptoms of the “blues” include mood instability, weepiness, sadness, anxiety, lack of concentration,

and feelings of dependency (Beck, 2006). If symptoms last longer than 6 weeks or worsen during the

6-week interval, a woman meets the criteria for being diagnosed with PPD.

Postpartum Depression and/or Anxiety

Symptoms of PPD and anxiety are presented in a number of ways. They may include excessive worry

or anxiety; irritability or short temper; feelings of being overwhelmed; feeling very sad, guilty or phobic;

hopelessness; sleep disturbances (either too much or too little sleep); excessive physical complaints;

loss of focus or concentration (frequently missing appointments); loss of interest or pleasure in

anything; lack of libido; and changes in appetite (weight loss or gain) (Bennett & Indman, 2003).

Postpartum Obsessive-Compulsive Disorder

Postpartum obsessive-compulsive disorder presents in 3% to 5% of new mothers (Bennett & Indman,

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2003). The primary symptom consists of repetitive and unrelenting thoughts, fears, or images. The

thoughts appear spontaneously and may or may not involve harming the baby either intentionally or

accidentally.

Postpartum Panic Disorder

Postpartum panic disorder occurs in about 10% of postpartum women (Bennett & Indman, 2003).

Feelings come on suddenly, and the woman experiences extreme anxiety. An episode includes

physical symptoms such as shortness of breath, chest pain, and sensations of choking, dizziness,

derealization, hot or cold flashes, trembling, restlessness, palpitations, numbness, or tingling (Beck &

Driscoll, 2006).

Postpartum Psychosis

According to Bennett & Indman (2003), postpartum psychosis is the most extreme of all the

postpartum mood disorders. It is rare, occurring in 1 to 3 mothers per 1,000 births. Onset is within the

first 24 to 72 hours after giving birth. Postpartum psychosis has a 5% suicide and a 4% infanticide

rate. Afflicted women have an abnormal thought process and lose touch with reality. Considerable

confusion, poor judgment, delusions, and hallucinations are noted, usually with a religious quality.

Postpartum psychosis can be life-threatening to both the mother and the baby (Bennett & Indman,

2003).

Postpartum Posttraumatic Stress Disorder

According to Bennett and Indman (2003), postpartum posttraumatic stress disorder is usually

connected to a specific trauma relating to the birth of the baby or an event from the woman's past. A

new mother who is reminded of this past trauma can often suffer from panic attacks. Symptoms may

include recurrent nightmares, extreme anxiety, or reliving past traumatic events, including sexual

trauma, physical or emotional trauma, and childbirth (Bennett & Indman, 2003).

A COMPLEX HEALTH PROBLEM

The occurrence of PPD is rapidly being recognized as a major public health problem (Gaynes et al.,

2005). Furthermore, the occurrence of PPD is an apparent paradox. It is an unusual disparity for a

woman to become clinically depressed just weeks after giving birth, a time when one would assume

the new mother is happy and joyous. Although PPD mimics a traditional clinical depression, there are

major symptomatic differences between the two disorders. Women who suffer from PPD usually

manifest symptoms that are much more severe than women who suffer from a major depressive

disorder that is unrelated to the postpartum period (Jacobsen, 1999).

Mauthner (2002) conducted interviews and found that women with PPD perceive themselves and

those around them with trepidation. These women assume a passive attitude, and they will often

isolate themselves from others due to fear and a lack of understanding of their illness. Women with

PPD would rather separate themselves from friends and loved ones than reveal what they are

experiencing, especially when it goes against social and cultural standards and expectations. Their

fear of being labeled as a nonperfect mother creates the silence that makes their illness difficult to

endure and their recovery complex.

SIGNS, SYMPTOMS, AND BEHAVIORAL CHANGES IN WOMEN WITH

POSTPARTUM DEPRESSION

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A variety of symptoms of PPD contribute to the silence in sufferers. The experience from one woman

to the next varies tremendously, which results in confusion for the woman who tries to distinguish and

understand what she is experiencing (Venis & McClosky, 2007). Some women may feel that they do

not have PPD because they do not feel “depressed.” Instead, they may be experiencing severe

anxiety, disrupted sleep, loss of appetite, and obsessive thoughts about their newborn. Some women

actually feel as if they are “going crazy” because their symptoms do not match what they read or hear

about, and they are afraid to reveal the things that are really going on inside their heads. These

symptoms can lead to feelings of worthlessness and of being a bad mother, no interest in previous

enjoyable activities, little interest in her newborn, and obsessive worry over the baby's health. If left

untreated, a new mother can begin to experience repeated thoughts of death or suicide, which can

occur in any major depressive illness (Beck, 2002).

Postpartum depression has become a type of psychological block for women who suffer. According to

Gilligan (1982), when a girl grows into womanhood, she is expected to become a selfless individual.

Attachment or bonding is fundamental in the development of a loving and trusting relationship

between a mother and her newborn baby. What new mothers do not realize is that bonding with their

infant can take some time and effort. A new mother's expectation of an immediate bonding can cause

her to feel incompetent. A combination of physical, psychological, and biopsychosocial factors can

cause this bonding experience to go awry. The social stigma of a lack of bonding or the possibility of a

new mother not feeling complete bliss over the birth of her child causes the woman to remain silent.

“This loss of relationship leads to a muting of voice, leaving inner feelings of sadness and isolation. In

effect, the young woman becomes shut up within herself” (Gilligan, 1995, p. 125). The woman with

PPD may feel a loss of relationship with her newborn, spouse, friends, and even her own mother.

Women have described feeling totally alone, unaware that they may be causing their own isolation.

WHY THE SILENCE?

Women with PPD tend to suffer with their symptoms for quite some time before admitting to their

symptoms or seeking help. Some women never get help and just wait until the symptoms dissipate

with time. Many choose to suffer alone, unable to tell their friends, spouse or health-care provider what

is happening. They often struggle with this decision, knowing that by not seeking help they are being

irresponsible, placing themselves and their new baby in possible danger, yet they still choose to

remain silent.

Mauthner (2002) found that many new mothers are afraid to admit to their symptoms of PPD and are

disinclined to seek any form of medical or psychotherapeutic help because they are fearful of the

consequences. These women know that, if they admit to having thoughts of harming their newborn or

themselves, they will be hospitalized. They are also terrified of having their baby taken away from

them. These women are concerned about the public humiliation. They do not want to feel different

from other mothers, and they are apprehensive about the stigma related to depression and being

under the care of a mental health provider. Some women, especially those who grew up in a cultural

community that has high expectations of motherhood and parenting, may be afraid of disapproval by

others in their society. They are gravely concerned about their future relationship with their child and

how their depression will affect the child's development.

Childbirth education classes provide information about the process of pregnancy, childbirth, and the

early stages of becoming a parent. The purpose is to help expectant couples gain awareness and

prepare for their birthing experience and to provide them with comfort and pain-management skills

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(Nichols & Humenick, 2000). Although the general philosophy of Lamaze International (2007) is to

promote normal birth, according to Lothian (2007), childbirth educators have a captive audience and

can broaden their curricula. Childbirth classes are an ideal time to introduce the possibility that things

may not go as planned and to provide content about signs and symptoms of PPD.

Mauthner (1999) argues that women, in general, are deeply concerned with relationships and become

somewhat vulnerable and dependent on others. Their vulnerability intensifies when they have a new

baby and realize that the workload, sleep deprivation, responsibilities, and social isolation are not what

they anticipated. This creates a sense of loss of control, causing depression to set in. Mauthner

(1999) believes that mothers are constantly belittled, and motherhood is viewed in a negative light.

Women who are career-oriented are looked upon more favorably in the public eye and are viewed as

independent. Mauthner (1999) states, “Postpartum depression occurs when women are unable to

experience, express and validate their feelings and needs within supportive, accepting and

non-judgmental interpersonal relationships and cultural context” (p. 160).

In Lauer-Williams’ (2001) phenomenological research study on women with PPD, a general theme that

emerged was guilt, humiliation, and a feeling of not being an average mother. These women wanted

to fit in with everyone else and felt somewhat disgraced by the fact that they did not. Lauer-Williams

(2001) concludes that women with PPD who choose to remain silent are more concerned about their

exposure to the public than they are about what is going on inside of themselves. They seem to have

high expectations of themselves around caring for their newborn, tending to their physical

appearance, their homes, breastfeeding around the clock, and so on. Their silence may stem from

that fastidiousness, vying for perfection, and not being able to admit that they might be less than a

perfect mother.

Edhborg, Friberg, Lundh, and Widstrom (2005) found that the new mothers in their study tried so hard

to manage their newborn and their feelings that they were afraid to show any kind of weakness. The

women were not willing to discuss their feelings with anyone, even close friends and family. Mauthner

(1999, 2002) found that women with PPD are often thankful when they discover they have a

diagnosable illness as opposed to being “crazy” or “bad mothers.” Lamberg (2005) notes that

health-care providers may not be able to pick up on symptoms of depression because the symptoms

often mimic other perinatal disorders, such as anemia, thyroid disease, and gestational diabetes.

Women with PPD may not report their symptoms to their health-care provider due to stigmatization,

and they may refuse psychotropic medications, thinking the medication will harm their newborn if they

are breastfeeding. Most of the studies on PPD have included women who presented with symptoms in

their health-care provider's office or clinic. Study results reveal that not many women seek treatment

on their own. Women who do seek treatment are probably more symptomatic than those who do not,

and they may also have had a prior history of depression (Battle, Zlotnick, Miller, Pearlstein, & Howard,

2006).

Edwards and Timmons (2005) found that five out of six women in their study were reluctant to come

forward about their illness and, therefore, did not receive treatment for PPD in a timely manner. The

women all felt that their symptoms were a reflection of them as mothers, and if they were perceived as

unable to cope with motherhood, their babies would be taken from their care. They felt that they did

not have the natural maternal instincts that other mothers reported, and even though they were caring

for their infants in a mechanical way, they feared that even those tasks might become difficult as their

illness progressed. Once the women were told that they actually had a treatable illness, they were

quite relieved.

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Childbirth educators can offer anticipatory guidance and instruction by increasing awareness of

possible mental health changes in the postpartum period. According to results in a study by Roux,

Anderson, and Roan (2002), postpartum women are unprepared for the feelings of stress, loneliness,

and seclusion that they experience. Ho and Holroyd (2002) found that the women in their study who

attended childbirth education classes did not feel prepared for motherhood. Although they felt

confident in their knowledge regarding self and newborn care, they were unprepared for the demands

of the first postpartum month. However, couples who attended a subsequent class on emotional

issues felt prepared for the demands of bringing home a newborn, as well as the possibility of mood

disorders, and were told to alert their spouses for help if symptoms of mood disorders became

apparent. According to Roux et al. (2002), childbirth and Lamaze educators need to be upfront with

couples and provide information on postpartum changes and possible mood disorders, offering them

appropriate resources on where to get help if the need arises.

PRACTICE IMPLICATIONS

Nurses and childbirth educators in all clinical areas need to be aware of the signs and symptoms of

PPD and increase awareness that PPD is a treatable disorder. By teaching women and their partners

about symptoms of PPD, educators can increase the chance that an afflicted woman will receive

proper screening, diagnosis, and treatment. Couples who have been educated about the signs and

symptoms of PPD will be aware and alert if and when the disorder occurs. Knowing that PPD is an

illness that does happen on occasion, and the odd feelings they may experience are all part of the

syndrome, will help new mothers come forward and not feel stigmatized. This knowledge will enable

them to ask for help and to seek out the necessary resources for their care.

INCORPORATING POSTPARTUM DEPRESSION CONTENT INTO THE LAMAZE

CURRICULUM

According to Humenick (2002), it is during the prenatal period that couples are most receptive to the

changes that are happening in their lives, and they are willing to take in and absorb a great deal of

information on their pregnancy and beyond. Even though educators try to maintain a sense of

“normalcy” in childbirth and do not want to instill fear in couples, approaching the possible challenges

couples may face in the postpartum period may prevent serious consequences that can happen from

delayed diagnosis and treatment.

Stress Importance of Advance Planning Prior to Birth

The topic of PPD can be added to the last class in the series when the discussion mostly focuses on

preparation for labor, the hospital, bringing the newborn home, and what to expect in the postpartum

period. Couples can be encouraged to do some after-birth planning such as interviewing pediatricians,

preparing their hospital bag, and stocking up on all the necessities and paraphernalia that they will

need for their arrival home from the hospital with their newborn. This is also a good time to discuss

breastfeeding.

The last class may also be reserved for discussions on how couples can prepare their home in order to

make life as easy as possible. Most new couples are unaware of the magnitude of bringing a newborn

home. Educators can suggest that the couples prepare meals in advance or obtain takeout menus

from local restaurants. Most of all, they can be encouraged to arrange in advance for domestic help

during the postpartum period. Many new mothers are unaware of how tired, sore, and overwhelmed

they will be during the postpartum period. There is also always the possibility of having an unplanned

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caesarean section, which can further immobilize the mother in the first few days after birth. By making

advance arrangements—with her mother, mother-in-law, or even hired help such as a doula—the new

mother can anticipate the ability to get the rest that she needs. According to Simkin (2001), a new

mother's most important tasks in the early postpartum period are to initiate a good feeding relationship

with her newborn, to get enough rest, and to eat properly in order to give both partners an opportunity

to get to know their newborn.

Stressing the importance of planning in advance for help during the postpartum period may prevent

the fatigue, sleep deprivation, and/or social isolation that can sometimes create vulnerability in

postpartum women and, in turn, may make them more likely to develop PPD. According to Sichel and

Driscoll (1999), women may have various psychological or psychosocial issues or stressful life events

that occur over time. The weight of these life events can disrupt the balance of the brain biochemistry,

resulting in a sort of “emotional earthquake” (Sichel & Driscoll, p. 99).

Introduce Possibility of Developing Postpartum Depression

Studies have shown that many physiological, biological, and psychosocial factors may contribute to

the etiology of PPD. Some of the physiological factors include fatigue, pain, thyroid abnormalities,

weakened immune system, and elevated cholesterol (Kendall-Tackett, 2005). Some of the

psychosocial factors include alterations in self-esteem, expectations of motherhood, a sense of loss,

prior psychiatric diagnosis, family history of psychiatric illness, history of abuse or violence, parenting

difficulties, stressful life events, socioeconomic status, social support, and cultural rituals

(Kendall-Tackett, 2005).

Again, the final childbirth education or Lamaze class, which typically focuses on the postpartum

period, is an appropriate time to introduce the possibility of developing PPD. A brief discussion of

normal postpartum adjustment issues and postpartum blues can be presented, followed by a

discussion of more severe emotional reactions such as PPD. Because the spectrum of symptoms can

vary, it is important to review the five categories of postpartum mood disorders, as described by

Bennett and Indman, (2003). Sometimes, a postpartum woman will feel a variety of symptoms and not

be aware that she is experiencing PPD because she is having more anxiety than depression.

Providing a list of warning signs (Table 1) will help couples understand what to look for and when to

know to seek help. It is important to emphasize that early detection and treatment is the fastest way to

recovery. It is also important to explain to the couples how to differentiate between normal postpartum

adjustment, postpartum blues (Table 2), or a postpartum mood disorder.

TABLE 1

Warning Signs of Postpartum Mood Disorders (Onset May Occur at 4 Weeks up to

1 Year)

TABLE 2

Postpartum Blues (Lasts from a Few Days to 3 Weeks)

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It is probably wise to approach the subject of PPD gently and to ease it into an already established

curriculum. Some childbirth educators and Lamaze instructors address postpartum emotions during the

class scheduled for discussion of possible complications in labor and caesarean sections. Potential

complications in the postpartum period and warning signs such as increased bleeding and fever are

typically discussed; this would be a good opportunity to mention the possibility of developing

postpartum blues, which is very normal, and, if the depression worsens, that a small percentage of

women can develop PPD. A discussion of risk factors (e.g., prenatal depression, childcare stress, life

stress, a lack of social support, prenatal anxiety, marital conflicts, a prior history of depression,

postpartum blues, single parenting, and low self-esteem) can alert parents to their risks of developing

PPD and increase their awareness of these factors (Beck, 2006).

Many different resources are available to postpartum women. The two largest national organizations

are Depression After Delivery and Postpartum Support International. These organizations focus on

helping women through education, information, support, and referrals in the event of difficulties after

birth. They also offer support-group information, conferences, recommended reading lists, and lists of

mental health providers in every state. Postpartum Support International has a Web site that includes

information about PPD and offers self-help suggestions. Web sites are a good source of information

for childbirth educators to keep up on current information regarding postpartum mood disorders. They

are also helpful for couples to access information on their own, so they can recognize their symptoms

and not feel as if they are completely alone. A list of Internet resources is presented in Table 3.

TABLE 3

Internet Resources for Postpartum Depression

CONCLUSION

The veil of the stigma associated with PPD will slowly lift as more women struggle to find their voice.

Childbirth educators and Lamaze instructors are in the front line to alert expectant couples to the

possibility of a postpartum mood disorder. Many obstetrics and pediatric offices now provide screening

tests for women who exhibit signs and symptoms of PPD. However, many of these women will still be

reluctant to admit to or come forward with their symptoms. By educating them in their prenatal classes,

it is hoped that these women will be empowered to admit that they are having a problem. Likewise,

their spouse or significant other will also be more aware of the signs and symptoms and encourage

the new mother to seek help.

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