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mensile di informazione in distribuzione gratuita Dicembre 2013 n. 94 MAZZITTI SCENDE IN CAMPO pag. 6 PAOLO ROLLERI pag. 12 FORGIVEN pag. 26

Teramani 94

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Teramani n. 94 dicembre 2013

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Page 1: Teramani 94

mensile di informazione in distribuzione gratuita

Dicembre 2013

n. 94

MAZZITTISCENDE IN CAMPOpag. 6

PAOLOROLLERIpag. 12

FORGIVEN

pag. 26

Page 2: Teramani 94

64021 Giulianova (Te) c.so Garibaldi, 6564100 Teramo (Te) via Vincenzo Irelli, 31 - c/o Obiettivo CasaTel: 085 8001111 - 085 8007651 Fax: 085 [email protected] - www.juliaservizi.it

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Page 3: Teramani 94

SOMM

ARIO 3 Ci sono bandiere e bandiere

4 Teramo Culturale 6 Mazzitti scende in campo 7 Coldiretti informa 8 Il libro del mese 10 Aphra Katzø 12 Sarà Paolo Rolleri... 14 La dislessia 15 Piccoli Artisti crescono 15 Monet 18 Truth will out 20 Musica Medori 22 Musica Carbone 24 Note Linguistiche 24 Dura Lex sed Lex 26 Cinema 28 In giro 30 Pallamano

[email protected] a

www.teramani.infoè possibile scaricare il pdf di questo e degli altri numeri dal sito web

dallaRedazione

l’Editorialen. 94

Direttore Responsabile: Biagio TrimarelliRedattore Capo: Maurizio Di Biagio

Hanno collaborato: Mimmo Attanasii, Maurizio Carbone, Maria Gabriella Del Papa, Maurizio Di Biagio,Maria Gabriella Di Flaviano, Maria Cristina Marroni, Fabrizio Medori, Silvio Paolini Merlo,Leonardo Persia, Sergio Scacchia, Alfi o Scandurra,Yuri Tomassini, Massimiliano Volpone.

Gli articoli fi rmati sono da intendersi come libera espressionedi chi scrive e non impegnano in alcun modo né la Redazionené l’Editore. Non è consentita la riproduzione, anche soloparziale, sia degli articoli che delle foto.

Progetto grafi co ed impaginazione: Antonio Campanella

Periodico Edito da “Teramani”, di Marisa Di MarcoVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930per l’Associazione Culturale Project S. Gabriele

Organo Uffi ciale di informazionedell’Associazione Culturale Project S. GabrieleVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930

Registro stampa Tribunale di Teramo n. 1/04 del 8.1.2004Stampa: Gruppo Stampa Adriatico

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Teramani è distribuito in proprio

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La caparbietà, se non la genuina

testardaggine, è la prerogativa dei

Pretuzi, della popolazione montana

in particolare, dei Teramani duri e puri. E

non so fi no a quando questa qualità che si

affi bbia generalmente ai muli possa invece

essere stonata verso quella maliziosa dei

cammelli. Dico questo perché nel numero

di ottobre di Teramani un elzeviro poneva a

confronto due bandiere, quella scintillante

sventolata, da un auto d’epoca in corsa,

dal nostro sindaco per bearsi di un’opera

come il secondo tratto del Lotto zero appena

inaugurata e l’altra invece, che insisteva e

insiste tuttora proprio dinanzi alla Pinacoteca

Civica di Viale Bovio, rotta e sbrindellata da

ormai mesi, senza nessuno che gli presti

cura, garrula e malata di fronte all’incuria e

pressapochismo di tutti. O meglio, facemmo

il confronto del tre per due (giusto per la

rima) a mo’ di countdown collocato tronfi o

a Piazza Garibaldi e lo stendardo pochi metri

più in là, dimesso, accartocciato di sghembo,

triste, fi nal y solitario. Un contrattempo da

poco scrivemmo, del resto rimane sempre

una bandiera che è poco visitata ed è lì,

incassata timida dietro i alberi maestosi del

viale, con pezzi di grondaia abbandonati a

terra, un niente dinanzi ai reali problemi della

città, ma comunque molto emblematica

dei tempi che corriamo, suscettibili di

annunci e di trionfi ma poco attenti al

particolare e soprattutto alla cultura (come

confermato dall’Assessore regionale Mauro

Di Dalmazio). Ebbene, oggi a quel vulnus

non è stato ancora posto rimedio. A questo

punto il nostro testardo incaponimento

(c’è un precedente che vi ricorderemo

laddove….), da vero mulo abruzzese,

direbbe Marco Pannella, non vuole essere

più una sfi da all’amministrazione per

monitorare l’inedia del Palazzo, bensì una

bandiera dell’ineffi cienza della macchina

amministrativa da sventolare al momento

opportuno, un metro di giudizio per misurare

la vacuità di questo governo cittadino,

certamente non il migliore del Dopoguerra.

Quell’umile stendardino sventola anchilosato

per voi miei cari amministratori a denunciare

la vostra sconfi tta.

P.S. Se vorrete autorizzarci, e visto che a

Natale siamo tutti più buoni, provvederemo

noi, a nostre spese, al suo.

Cordiali saluti,

la Redazione tutta di Teramani. n

Ci sono bandieree bandiere

(parte 2)

Page 4: Teramani 94

Teramo culturale4diSilvioPaolini Merlo [email protected]

n.94

ArnaldoPossentiA dieci anni dalla scomparsa,il ricordo di un maestro dell’insegnamento

Di quest’uomo ancora oggi, nella stessa

sua città, si sa poco. Poco della sua vita

privata, riservatissima, poco dei suoi studi,

coltivati con metodica abnegazione. Eppu-

re egli è stato certamente uno dei migliori esempi

della vita culturale della Teramo repubblicana,

esempio del quale a distanza di trent’anni dal

mio incontro con lui e a dieci dalla scomparsa

- moriva a Teramo a 83 anni nel dicembre 2003 -

ricordo nitidamente molte cose. Ebbi la fortuna, di

quelle che solo il tempo ci aiuta a comprendere,

di far parte della sua ultima classe ginnasiale:

allora, davvero, egli era un’autorità indiscussa del

nostro liceo classico. Non solo il migliore grecista

e latinista di Teramo, al pari forse del solo Cle-

mente Cappelli, ma una delle pochissime figure

nobili di maestro e di educatore.

Quello che si sa è anzitutto la sua discendenza,

ammantata di una certa aura mitica, dai Possenti

originari di Assisi, e da quel Sante Possenti, go-

vernatore pontificio della città sotto Gregorio XVI

e Pio IX, che con l’undicesimo dei suoi figli fornirà alla congregazione

abruzzese il proprio santo patrono, e una delle icone più celebrate della

perfetta vita cristiana: Gabriele dell’Addolorata, al secolo Francesco

Possenti, morto a Isola del Gran Sasso nel 1862. Della lunga attività di

studioso di Possenti è finora riemerso unicamente il commento al se-

condo libro dell’Eneide virgiliana, quello del Cavallo di Troia, del perfido

Sinone, della morte di Priamo, della fuga di Anchise sorretto da Enea,

curata per l’editore Paravia nel 1971.

Di quell’Eneide conservo ancora l’edizione che egli ci fece adotta-

re, un’edizione precedente, curata nel 1963 da Adriano Bacchielli,

cattolicissimo anche lui. Inutile nascondere quali curvature, non di

rado pedantesche sino al filisteismo, si nascondano in quella lettura

bacchielliana dei classici, come in tante altre letture della scuola italiana

del tempo. Ma quanto di questo spirito era in Possenti? Molto, ritengo,

e nello stesso tempo poco. Quali fossero le sue idee è facile dedurlo. Ri-

penso alla volta che ironizzò sul progressivo storpiamento del grecismo

“cinematografo”, da “cinema” a “cine”, e a quanto in questo puntiglio vi

si trovasse di fiero conservatorismo, di sarcasmo antitecnocratico.

Ma il marchio ricevuto da lui sta in altro, nella grazia del suo parlare,

nell’abilità con la quale sapeva dosare severità estrema ed estrema

affabilità, specie nella sua attenzione, nella sua vicinanza. Come quando

apprese della mia attività poetica, stimolandomi, dopo aver richiesto

espressamente di poter leggere alcuni dei miei primi tentativi, a coltivar-

la. I versi di gusto alquanto carducciano che gli consegnavo, sedicenne,

nell’ottobre del 1983 in occasione della cerimonia di commiato per il

pensionamento, dinanzi a tutti i docenti e gli allievi dell’istituto, furono

anche un modo per dimostrargli la mia riconoscenza. Con lui studiare

era come intraprendere un viaggio. Era uno di quei rari insegnanti che,

molto prima del proprio sapere, aveva il dono di trasmettere il proprio

entusiasmo. E davvero, posso dire, la mia passione per gli studi ha avuto

inizio solo allora.

Gli anni del ginnasio restano per me il più bel momento, forse l’unico

bel momento della mia formazione preuniversitaria. Le altre figure al

confronto, alcune peraltro valide, hanno lasciato

in me ricordi fievoli e sbiaditi. Caso a parte forse

quello di Italia Binchi, mia maestra elementare,

appartenuta anche lei a quella generazione di

insegnanti capaci di ergersi a sintesi vivente

del sapere, quando di metodologie interattive

dell’apprendimento, di interdisciplinarismo, mal-

grado l’attivismo americano, Piaget, la Montesso-

ri e via dicendo, ancora neppure si sognava nella

scuola italiana. Tutto il resto è nebbia, grigi, tristi

e dimenticabili ricordi. Compagni elogiati come

semidei solo perché abili nel pappagallismo no-

zionista, insegnanti poco preparati o preparatis-

simi ma del tutto privi di comunicativa, svogliati,

quando non arroganti e incivili. E intanto, una

rock band inglese additava il sistema scolastico

come another brick in the wall.

Ripenso alle letture in classe che dei miei temi

Possenti fece, un paio di volte, in quarta ginnasio.

Non che fossero niente di speciale, ma è che gli

piaceva notare in me il desiderio di capire, di arti-

colare pensieri e ragionamenti, esporli con un mi-

nimo di logica e di stile. E penso a quello che mi capitò più tardi al liceo,

con insegnanti di tutt’altra risma. In particolare un tema su questioni di

attualità nel quale auspicavo l’applicazione didattica su larga scala del

computer e delle nuove tecnologie, allora ancora bersaglio - internet e

“sussidi informatici” erano in mente dei - del pregiudizio ludicista che

li vedeva solo come passatempo per lavativi, e l’accusa che mi vidi

rivolgere (al di là del “quattro”) di essere una testa calda, un contesta-

tore incosciente, e, chissà, forse persino un potenziale sovversivo. La

realtà, a me sembra, è che al mondo esistono insegnanti che insegnano

e insegnanti che sono quello che insegnano.

I primi nell’allievo vedono anzitutto ciò che non va, ciò che non sa, i suoi

limiti, le sue inevitabili mancanze, e per questo cercano con ogni mezzo

di reprimerle, per farlo essere ciò che non è. I secondi sono quelli che

nell’allievo sanno vedere ciò che c’è, le mille potenzialità nascoste in lui,

e che l’aiutano a tirarle fuori, a tradurle in un senso e uno scopo capaci

di alimentare ogni momento della sua esistenza. n

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Walter Mazzitti è un romantico. Romantico perché amò Berlu-

sconi, anche se solo per due anni. Fu uno dei venti fondatori

di Forza Italia che nel lontano 1993 davanti al caminetto di

Arcore progettava, architettava, ruminava un Ventennio.

Scrisse anche buona parte del programma di governo. “Ogni movimento

rivoluzionario è romantico per definizione” sanciva Antonio Gramsci e

a quel tempo il Burlesque forse era veramente rivoluzionario dinanzi al

potere costituito di una sinistra già consolidata e che si avviava a vince-

re un match senza avversari.

A Mazzitti le sfide lo esaltano:

“Ho dato 15 ore al giorno della

mia vita, non ho preso mai le

ferie in cinque anni, ho lavora-

to il sabato e la domenica, ho

sottratto il mio tempo alla fa-

miglia, però quando mi hanno

mandato via non è che hanno

mandato via solo me, bensì

hanno creato un problema al

territorio”. Così parlò l’avvocato teramano nel 2007 una volta via dall’en-

te Parco in un’intervista rilasciata proprio a Teramani. L’avvocato è

stato anche uno dei primi in Italia a fondare una lista civica: in consiglio

comunale si sedeva allora tra Bettini, Scuccimarra e Pannella, “grandi

personaggi”. Per pietà non facciamo paragoni con la pochezza d’oggi.

“Sono stato a fianco di personaggi famosi come Veltroni e D’Alema e

nel mio impegno europeo ho mediato tra Arafat e il re di Giordania”.

Romantico lo è proprio: basta sentirlo quando parla della sua città, con

una severa riflessione, che sfiora l’amarezza, propria di chi ha amato

tanto ma in qualche modo non è stato ripagato. Non a caso possiede

proprio quell’aurea poco mediocritas e molto intensa, culturalmente

vivace, che allontana il volgo, quel volgo che in genere in questi casi, in

tempi soprattutto di elezioni, mostra la diffidenza di una serva davanti a

mele e pere nel mercato del sabato. La sua scorza apparentemente da

grand commis di stato, forse non lo agevolerà a farsi digerire dall’elet-

torato che va avanti a slogan, soprattutto in un paese dove più del 50%

quest’anno non ha letto neanche un libro. Ma lui va avanti per la sua

strada perché l’amore è anche schiavitù: le catene hanno bisogno di

ideali per essere rotte e a Walter l’occasione per innamorarsi di nuovo si

è presentata pochi anni fa a Santo Stefano di Sessanio. Lì ha conosciuto

Matteo Renzi, a quel tempo in veste di presidente della Provincia: in

ballo il recupero del borgo. “I Medici hanno dominato quelle lande che

erano solcate da sette milioni di pecore: il paesino con la torre rappre-

sentava all’epoca, si parla del ‘500, una sorta di piccola Patagonia dove

i Benetton di allora tosavano per portare in città la lana per adornare

i capi di abbigliamento. La collaborazione con il rottamatore proseguì

nella città gigliata, quando il Mazzitti del Parco, fors’anche un po’ in

vena a scimmiottare Oliviero Toscani, fece esporre in riva all’Arno uno

striscione provocatorio recante lo skyline di Santo Stefano, con la dici-

tura “Tornate a casa”, dove per casa chiaramente s’intendeva il vecchio

feudo mediceo. Ancora una volta al cuor non si comanda. “Matteo Renzi

è un promettente giovane di 38 anni – ha riferito l’avvocato -; di lui dob-

biamo capire

l’espressione

coraggiosa, le

idee chiare, la

comunicazio-

ne che rico-

pre sempre le

istanze e che

dà speranza e

rassicurazio-

ne; il mio da-

tore di lavoro

(Letta jr nda)

non è così

capace. Dare sostegno a Renzi resta l’unica opportunità di riscatto per

il paese perché non ne abbiamo altre”. E’ sicuramente amore a prima

vista. Di nuovo. Il consigliere giuridico del primo ministro si è dunque

già tuffato nell’agone politico. Si scaglia contro la Regione Abruzzo: “Non

conta nulla, come se non esistesse, tanto che in una guida giapponese

al posto del suo nome ci sono solo trattini grigi, che umiliazione!”. Stes-

so energico trattamento è riservato all’attuale politica teramana. Senti-

te: “La nostra città è diventata ormai una grande periferia senza identità

e valore, vent’anni fa era ridente ora invece è inutile perché anch’essa

non ha più un progetto. Ai giovani, che vivono in un altro mondo, fuori

dai principi ispiratori della nostra società, dico che non hanno più un

futuro qui, dovranno andare via al più presto perché Teramo è stata

azzerata economicamente e socialmente. Questo è il momento più

difficile della nostra storia: l’unico faro resta Matteo Renzi”. Mazzitti si

auspica una svolta culturale per il capoluogo ma anche per la nazione,

a partire dalla scuola: “Non stiamo preparando le future generazioni in

questo paese depresso dove purtroppo mancano gli esempi positivi”.

“Io sono a disposizione” ha infine dichiarato. E di mezzo c’è la corsa

per il Palazzo, per il Municipio, per sfilare lo scranno a Maurizio Brucchi.

“Metto in gioco la mia vita e professionalità” è il suo obbedisco. Mazzitti

metterebbe a disposizione le sue competenze, i suoi notevoli know

how, per cercare di rottamare la vecchia politica che è diventata “una

classe dirigente inefficace e incapace di dare risposte”. n

Politica teramana6n.94

Da Berlusconia Renzi: Mazzitti scende in campo

diMaurizioDi Biagio www.mauriziodibiagio.blogspot.com

Page 7: Teramani 94

La mobilitazione della Coldiretti “La

battaglia di Natale: scegli l’Italia” che si

è estesa dal Brennero a Roma in Piazza

Montecitorio per difendere l’economia e

il lavoro dalle importazioni di bassa qualità che

varcano le frontiere per essere spacciate come

italiane ha evidenziato che il 27 per cento dei

170 tir, camion e container fermati e controllati

al presidio di agricoltori ed allevatori al valico

del Brennero trasportava prodotti alimentari

stranieri destinati ad essere venduti come

Made in Italy. “Abbiamo verificato personal-

mente quanto sia grave il problema della

mancanza di trasparenza sull’origine degli

7Coldiretti informa

alimenti che ogni giorno portiamo in tavola

e che fanno concorrenza sleale alle nostre

produzioni”, ha affermato il presidente della

Coldiretti nell’apprezzare il sostegno delle Isti-

tuzioni alla battaglia della Coldiretti per avere

al più’ presto l’obbligo di indicare in etichetta

la provenienza di prodotti agroalimentari. E’

sconvolgente trovare spaghetti cinesi in un

camion ceco diretto a Firenze, tipico esempio

di triangolazione Cina-Paese dell’Est europeo-

n.94

Diecimila allevatori e coltivatori alValico del Brennero

diMassimilianoVolpone Direttore Coldiretti Teramo

Italia, ma è impressionante constatare la

quantità di latte proveniente da Germania

e Polonia e destinato a aziende private e a

cooperative italiane per diventare latte a lunga

conservazione e formaggi “italiani”. Mozzarelle

provenienti dalla Germania e destinate alla Si-

cilia, latte proveniente dalla Polonia e destinato

alla Lombardia, cagliate industriali per fare il

formaggio provenienti dal Belgio e destinate a

Verona, prosciutti provenienti dalla Germania

e destinati a Modena. Sono solo alcuni degli

“inganni” smascherati al valico del Brennero

dalle migliaia di agricoltori della Coldiretti. Tra

i tanti prodotti trasportati dai Tir che entra-

vano nel nostro Paese, i carabinieri dei Nas

hanno prelevato dei campioni di prosciutti non

timbrati sui quali fare delle analisi. L’inventario

del “falso Made in Italy” stilato al presidio dalla

Coldiretti per difendere l’economia e il lavoro

dalle importazioni di bassa qualità che dopo

aver oltrepassato le nostre frontiere vengono

spacciate per italiane, conta anche piante olan-

desi dirette a Latina, fiori prodotti in Equador,

transitati in Olanda e diretti in Veneto e in To-

scana, patate tedesche destinate a un mercato

ortofrutticolo della Sicilia. Ma non mancano

il pane precotto congelato con destinazione

Bolzano e Mantova dove andrà a “spiazzare” i

pani artigianali italiani che sono spesso simbolo

di identità territoriale e gli albumi d’uovo prove-

nienti dall’Olanda con destinazione Veneto. n

per la battaglia di Natale del Made in Italy

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L’ opera di Thomas Mann, La monta-

gna incantata, cambia finalmente

nome. È appena uscita una nuova

edizione della Mondadori (Collana

I Meridiani), a cura del noto germanista

Luca Crescenzi, con la traduzione di Re-

nata Colorni, che ha scelto di modificare

l’aggettivo da “incantata” a “magica”.

Non è stata un’impresa facile, perché

ormai la traduzione italiana aveva divul-

gato l’altro titolo, diventato comune per

i tanti lettori. Tuttavia Der Zauberberg,

(come Zauberflöte che è Il flauto magico)

si traduce proprio con “La montagna

magica”, come aveva già proposto il noto

traduttore Ervino Pocar.

Il romanzo, progettato in principio come

un racconto breve, trae ispirazione dalla

permanenza della moglie di Mann nel

sanatorio svizzero di Davos. La narrazio-

ne però si amplifica fino alla versione

attuale.

Siamo nell’estate del 1907 e Hans Ca-

storp, il protagonista del romanzo, si reca

in visita al cugino Joachim, malato di tisi,

presso il sanatorio di Davos in Svizzera.

Lì rimane stregato dal fascino di quel

luogo paradisiaco, per l’incanto delle Alpi,

per le sane abitudini dei cittadini, per la

conoscenza di persone stimolanti, come

l’italiano Lodovico Settembrini e l’ebreo

Leo Naphta. Vi incontra anche un’affasci-

nante donna, la russa Claudia Chauchat,

di cui si innamora profondamente, senza

però riuscire a manifestarle il suo senti-

mento. In origine Hans doveva trattenersi

in Svizzera per tre settimane, in realtà vi

rimane per sette anni, poiché scopre di

essere affetto da una malattia polmonare,

risvegliata proprio dall’aria d’alta quota.

Hans comincia allora a trovare difficile

l’idea del ritorno nel mondo di “laggiù”,

dove vivono uomini ordinari, seppure

spronato in tal senso da Settembrini.

Durante una festa di carnevale, Hans

confessa il suo amore a Claudia, che lo

respinge brutalmente e l’indomani abban-

dona persino il sanatorio. Si ripresenterà

più tardi con un brillante olandese, Pieter

Peeperkorn, che raffigura l’edonismo e

la gioia, in contrapposizioni al razionali-

smo e alla compostezza di Settembrini

e Naphta. Nel frattempo l’ansia e il

tormento, che precedono lo scoppio della

Prima guerra mondiale, invadono anche il

mondo di “lassù”. Allora anche Hans deve

abbandonare quel luogo incantato per

andare a combattere.

È difficile classificare La montagna

magica in modo univoco: esso infatti è

insieme romanzo psicologico, romanzo di

formazione, romanzo di idee.

La complessità dell’opera richiama la

tessitura delle opere musicali (lo stesso

Mann consigliò di leggerlo almeno due

volte per coglierne tutta l’essenza), vi

si concentrano infatti la filosofia e la

scienza del periodo, le teorie estetiche, la

psicanalisi, proposta da poco da Sigmund

Freud.

Il romanzo apre a una riflessione di

natura filosofica e politica. “L’apoliticità

non esiste. Tutto è politica”, scrive Mann,

invitando gli uomini a una partecipazione

concreta alle criticità della propria epoca.

Nulla è estraneo all’uomo quanto l’indif-

ferenza verso i propri simili: “La morte di

un uomo è meno affar suo che di chi gli

sopravvive”.

Il personaggio di Settembrini rappresenta

le idee illuministiche settecentesche, è

infatti assertore della preminenza della

ragione sul sentimento. La ragione può

sollevare l’uomo dal tormento e dal peri-

colo della morte. In opposizione alle idee

di Settembrini, si muove la concezione

esistenziale di Naphta, che nega come

possibile la felicità e fa proprio il pessimi-

smo di Schopenauer e Nietzsche, filosofi

molto cari a Mann.

“L’autore sente che il mondo borghese al

quale egli stesso appartiene è spiritual-

mente impoverito e malato; il sanatorio

di Davos non è che una rappresentazione

parodistica di quel mondo che sublima

la malattia come uno stato che rende il

malato eccezionale e intellettivamente

superiore rispetto al sano”.

Mann rigetta questa convinzione e con-

danna l’idea secondo la quale “l’essere

fuori dal mondo” possa condurre l’indivi-

duo alla felicità e a una forma superiore

di conoscenza. Solo nella società e non al

di fuori di essa, attraverso la scelta di un

impegno responsabile, si può realizzare la

propria umanità. “Le opinioni non posso-

no sopravvivere se uno non ha occasione

di combattere per esse”.

Nel finale del libro Mann abbandona

il lettore a un interrogativo che ha il

sapore di una sentenza inappellabile:

“Chissà se anche da questa mondiale

sagra della morte, anche dalla febbre

maligna che incendia tutt’intorno il

cielo piovoso di questa sera, sorgerà un

giorno l’amore?”. n

Il libro del mese8 [email protected]

La montagnamagica (incantata)

n.94

diMaria Cristina Marroni

Page 9: Teramani 94
Page 10: Teramani 94

Satira10n.94

[email protected]

Sono trascorsi tempi biblici da quando questo periodico

approfittò con tempismo e in esclusiva, nell’articolo “La

redistribuzione dei pesi sociali”, numero 23 del marzo 2006, di

raccontare le aspre vicissitudini di quel

che divenne poi noto con il nome di Aphra

Katzø, profugo norvegese, illustre luminare del-

le osservazioni atomiche. Grande studioso di

mutamenti genetici, esperto di nanotecnologie

e precursori nanofasici, dispositivi mesoscopici,

dottrine della manipolazione nucleare, assem-

blaggi di nanostrutture e fullereni aggregati.

Nel 2014 (d. C.), dopo i chiodi storti malmessi

nell’intonaco corrotto, di umide pochezze, in un

territorio schernito con politiche improbabili,

chiodi dozzinali, materiale scadente svenduto

tra gli scaffali e il becerume di una ferramenta

marcata dai più nefasti familismi amorali e

nepotismi, tanto credi che finalmente scenda

giù per sempre la saracinesca, a farla finita su quella bottega, cupola

di famiglie di amici di amici, la speranza in un risorgimento non sarà

più l’ultima a morire. Forse si tornerà a votare. In un giorno risaputo

soltanto da chi greppia nelle caste.

“In cima al Castello Della Monica gruppi di persone si erano radunati

per vedere il ritorno delle macchine; attraverso questo canale di po-

vertà e paralisi fluiva il benessere, la forza delle industrie. Di tanto in

tanto, dai gruppi di persone in attesa, si levava alto il grido di saluto

degli oppressi, oppressi e contenti di esserlo” (Joyce) .

Paese iniquo quello dove il potere è giunto a livelli di disinteresse

e miserabilità d’animo, che arriva a frantumare la cultura politica,

nebulizzare il senso dell’etica civile, ammettendo e legittimando

come locuzione gestuale, seppure condizionata da riflessi ingestibili

ereditati da una dubbia educazione, il rozzo portamento del dito

medio esibito solitario nella mano chiusa a pugno di compagno e

concluso da esponenti di rilievo in un panorama impresentabile di

politici nominati ed eletti già prima nelle segreterie di partito. Paese

iniquo perché in Parlamento siedono ancora indisturbati telefoni-

sti da linea rossa, come caricature fuori del tempo, a fare il verso

alle schermaglie telefoniche dei John Fitzgerald Kennedy e Nikita

Sergejevic Kruscev. Una contestazione pacifica e democratica si

sarebbe dovuta abbandonare a rinunce dai lavori parlamentari fino a

quando l’operatore del call center customer non si fosse dimesso dal

perseverare nel marketing di uno squallido “Chiamami e presto sarai

fuori dal carcere”.

Paese iniquo e popolo iniquo. Il concepimento senza alcuno sdegno

dell’arricchimento illegale dei furbastri. Il menefreghismo. Una proget-

tazione studiata in anni di spazzatura mediatica che ha delimitato la

decenza del popolo esterrefatto dai Truman Show brianzoli al di sotto

dello scroto. Con la differenza che Truman riuscirà a ribellarsi al proprio

pirandelliano autore per trovare la sua libertà. Nel nostro territorio, sem-

pre in controtendenza, il Christof, deus ex machina del reality realizzato

da Peter Weir, con passo felino e ingordigia persevera nei suoi plagi, dai

prodromi oscuramente ereditari. Popolo iniquo che costeggia i perimetri

di una persona ostile alle regole e alle leggi, i contorni nebulosi di chi ha

preteso dalle più alte cariche dello Stato l’accettazione di esposizioni

sulla magistratura: «L’escalation è inarrestabile: si parte sostenendo che

per fare il lavoro di magistrati bisogna essere malati di mente o che i

magistrati (variazione leggiadra) sono un cancro da estirpare; si prose-

gue invocando una commissione d’inchiesta col compito di stabilire che

la magistratura è un’associazione a delinquere

con fini eversivi» (Gian Carlo Caselli, Corriere

della Sera, 27 aprile 2011). Uno strapazzato

della e non dalla politica ha avuto l’ardire, mi

si perdonerà l’eufemismo forzato, di formulare

un assunto dogmatico sulla presunzione di

responsabilità da parte di un notabile abruzzese

dipartito per essere stato il fondamento di un

sistema che ha traghettato la nostra regione da

una architettura produttiva schiettamente agri-

cola verso un disegno imprenditoriale progredito

e redditizio. Quello dell’industria, del terziario,

della conoscenza.

“Per competere con parolai incapaci di

pensare per sessanta secondi di seguito? Per

sottomettersi alla critica di una classe borghese che aveva messo la

morale nelle mani della polizia e le arti in quelle degli impresari? No,

grazie!”. Questa la chiosa di Aphra Katzø. n

Aphra Katzø denuncia e svuota il saccoLa redistribuzione dei pesi sociali

diMimmoAttanasii

Page 11: Teramani 94

Gli esercenti diVia Roma e Via Tevere

Page 12: Teramani 94

Sarà dunque il 52enne genovese Paolo Rolleri a reggere le sorti

di Circonvallazione Ragusa. Succederà a Giustino Varrassi,

ingabbiato tra i suoi problemi giudiziari e l’ostracismo palesato

da molti assessori della giunta Chiodi, che nel momento della ri-

conferma l’hanno ritenuto più un peso che un valore aggiunto. Advisor

della Kpmg, società di consulenza cui è stato affidato dalla Regione

Abruzzo il Piano di rientro, è stato fino al 19 Aprile scorso il direttore

generale dell’Irccs San Raffaele Pisana e precedentemente presidente

del Centro di Biotecnologie Avanzate, nonché Consigliere per la sanità

della Regione Liguria. Si definisce assolutamente un tecnico e conosce

bene le problematiche sanitarie della nostra regione. Chiodi ha apprez-

zato molto il suo lavoro e non è un caso che oggi sia qui. Su Teramo

ha le idee chiare: “E’ una buona Asl – dice - non solo in Abruzzo, ma

in Italia”. In cima ai suoi grattacapi da subito, liste di attesa e mobilità

passiva. “Voglio essere giudicato sui fatti” conclude.

Rolleri, quando ha saputo della notizia della nomina?“Poche ore prima di quel lunedì 25 novembre; da due giorni venni a

sapere che c’era questa possibilità, poi c’è stata un’evoluzione rapida”.

Conosce la situazione della Asl teramana?“Conosco bene la situazione abruzzese, sono due anni che non vengo

qui: prima ero consulente Kpmg per il Piano di rientro sanitario; c’è

stata sicuramente un’evoluzione da quando sono andato via Conosco

in particolare la Asl di Teramo che è una buona Asl, questo non solo

nel panorama abruzzese ma nazionale”.

Difatti ha un attivo di 23 milioni ma anche tanti altri guai.“Sì, una controtendenza iniziata qualche anno fa e sta continuando in

maniera assolutamente positiva come in tutto l’Abruzzo, per il resto

devo ancora verificare”.

Mi dia un giudizio sull’operato di Varrassi.“L’ho conosciuto poco perché non abbiamo avuto molti contatti,

sinceramente, per quanto ne so, è una persona di profilo scientifico

importante ma non lo conosco abbastanza per dare un giudizio, a

parte che non do giudizi sulle persone in generale, non è il mio ruolo.

Sono abituato a guardare avanti, non indietro, cerco di risolvere i

problemi, se ce ne sono, poi ognuno porta la sua esperienza nel lavoro

che svolge, la mia ha molteplici aspetti”.

Partiamo con alcuni problemi della nostra Asl: liste di attesa.“È un problema che presenta diverse sfaccettature, i cittadini non pos-

sono più aspettare e le prestazioni che vengono fornite devono essere

appropriate, bisogna dare risposte certe con prestazioni appropriate.

A parole è facile ma mettere in pratica ciò è abbastanza difficile. Non

si può fare un discorso generale, ma affrontare gli argomenti caso per

caso, prestazione per prestazione, cercando di vedere come poter

intervenire. In sanità l’offerta genera la domanda”.

Altra spada di Damocle: la mobilità passiva.“Questo è un problema generale a tutte le regioni e le Asl di confine,

non solo di Teramo. E’ molto facile per un privato dire vieni da me do-

mani: è una concorrenza difficile, bisogna lavorare molto sulla qualità

dei servizi, cercare di rendere affidabile i servizi interni in un tempo

ragionevole, perché altrimenti il privato ha buon gioco”.

Lei come si sente: più tecnico o politico?“Sono assolutamente un tecnico. Ho avuto la fortuna di avere persone

che mi ha scelto per quello che pensavano che io potessi dare”.

Che rapporti ha avuto con il governatore Chiodi?“Ho avuto modo di conoscerlo attraverso il ministero della salute e

dell’economia, con la redazione del piano di rientro, evidentemente ha

apprezzato il mio operato”.

Che impressioni ha ricevuto dall’Abruzzo?“Ottima. Mi sono trovato sempre bene in Abruzzo: in cinque anni ho

lavorato per il ministero almeno due-tre giorni alla settimana , mi

sono trovato sempre bene, sia con le persone che con gli uffici, ed

anche con il modo che ha il presidente di affrontare i problemi che è

un approccio da tecnico, di quelli che le cose vanno fatte, punto. E a

me piace questo, io non amo chiacchierare, provo anche a risolverli i

problemi, spero di riuscirci”.

Lei è dg dell’Irccs del San Raffaele di Roma?“Lo sono stato. Mi sono dimesso il 19 aprile scorso”.

Ma davvero è stato consulente di Tremonti?“Sono stato consulente in qualità di advisor di kpmg di alcuni ministri,

non di Tremonti”.

Verrà da solo a Teramo o con la famiglia?“Da solo, sono sempre stato zingaro e non ho mai coinvolto la mia

famiglia in queste cose, purtroppo il mio lavoro mi porta ad andare in

giro per l’Italia, sarebbe assurdo far fare questa vita alla mia famiglia”.

Allora Rolleri, buon lavoro.“Grazie tante. Guardi a me piace collaborare con la stampa, così

come con tutti gli operatori del settore: voglio avere informazioni so-

prattutto dal basso, lavorando sul territorio. E’ molto difficile vedere

i problemi stando seduti su di una poltrona, non lo farò sicuramente:

amo girare per i reparti per vedere i servizi, per capire quali siano

i problemi, però non posso capire tutto, sono aperto a qualunque

segnalazione di problemi”. n

Sanità12n.94

SaràPaolo Rolleri il sostitutodi Varrassi

diMaurizioDi Biagio www.mauriziodibiagio.blogspot.com

Un advisor al quinto pianodella Asl di Teramo

Page 13: Teramani 94
Page 14: Teramani 94

La dislessia è un disturbo che si manifesta nella difficoltà di ap-

prendere a leggere nonostante un’istruzione idonea, un’intel-

ligenza adeguata, un’integrità neurosensoriale e un ambiente

socioculturale favorevole.Essa dipende da disabilità cognitive

di base che sono frequentemente di origine costituzionale (world

Federation of Neurology, cit. in Ellis, 1984).

E’ caratterizzata dalla difficoltà nella lettura e nella scrittura, ma

può riguardare anche altri ambiti cognitivi come la memoria e

l’organizzazione spazio-temporale e talvolta è associata a difficoltà

matematiche (Discalculia). Compare all’inizio dell’attività scolastica

e il primo segnale è la lentezza nell’associare una lettera scritta

ad un suono. Si confondono così suoni simili, come “D” e “T”, “P” e

“B”, “F” e “V”. La lettura risulta difficoltosa, lenta e scorretta, e na-

turalmente questo viene trasferito nella scrittura. La dislessia non

è conseguenza di problemi di ordine psicologico, come per tanti

anni si è creduto. Non è una malattia. I dislessici sono persone sane

che non hanno deficit sensoriali di udito o di vista e che non hanno

alcun disturbo neurologico o psichico, inoltre il loro quoziente di

intelligenza è nella norma o addirittura superiore. Anzi, è proprio

questo uno degli elementi diagnostici per stabilire che si tratta di

dislessia, ovvero di un “ disturbo dell’apprendimento”.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità classifica la dislessia e altri

disturbi specifici di apprendimento come disabilità, per cui non è

possibile apprendere la lettura, la scrittura o il calcolo aritmetico

nei normali tempi e con i normali metodi di insegnamento.

Un dislessico non guarisce (in quanto affetto da malattia), ma so-

prattutto migliora, e a volte riesce quasi interamente a superare lo

svantaggio che questa sua disabilità costituzionale gli procura.”

La dislessia non dipende dal quoziente intellettivo, infatti questa è

una breve lista dei più famosi dislessici.

Scuola14n.94

La dislessia

diMaria Gabriella Del Papa [email protected]

Disturbi specifici di apprendimentoi (dsa): un’emergenza educativa

Grande innovazione risulta essere l’arrivo della legge 8 ottobre

2010, n. 170 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 244 del 18

ottobre 2010. In nove articoli riconosce e definisce la dislessia

(lettura), discalculia (calcolo), disgrafia e disortografia (scrittura),

stabilisce le finalità, la diagnosi, la formazione nella scuola ed offre

misure educative e didattiche di supporto, misure per i familiari e

disposizioni di attuazione.

Si è giunti, finalmente, a formulare una legge che tuteli e difenda i

DSA, ma perché questa legge?

Innanzitutto poiché è il continuum di un iter legislativo “ stori-

co”: sancisce i principi generali che devono guidare gli interventi

educativi, sanitari, riabilitativi; rimette in discussione atteggiamenti

culturali consolidati come indifferenza, delega ecc; rappresenta

un’opportunità per ampliare, migliorare, innovare l’offerta formativa

della scuola.

E’ importante riconoscere la dislessia, vi sono potenziali segnali

di allarme come il permanere di una lettura sillabica ben oltre la

metà della prima classe primaria, la tendenza a leggere la stessa

parola in modi diversi nel

medesimo brano, il perdere

frequentemente il segno o

la riga; a livello scritto errori

che si presentano a lungo

e in modo non occasionale,

nei ragazzi più grandi estre-

ma difficoltà a controllare

regole ortografiche o pun-

teggiatura.

L’osservazione delle

prestazioni atipiche risulta

essenziale per una diagnosi,

bisognerebbe in una prima

fase, d’interesse scolasti-

co, osservare le specifiche

abilità nei domini anch’essi specifici; nella seconda intervenire sul

piano educativo specifico con attività di recupero e potenziamento;

in una terza fase una comunicazione alla famiglia per una consu-

lenza specialistica (diagnosi).

La scuola ha quindi il compito di offrire una didattica individualizza-

ta con attività specifiche di recupero ed avere flessibilità nell’orga-

nizzazione didattica.

Ha inoltre l’obbligo di provvedere all’introduzione di strumenti

compensativi, compresi i mezzi di apprendimento alternativi e le

tecnologie informatiche, nonché misure dispensative da alcune

prestazioni non essenziali ai fini della qualità dei concetti da ap-

prendere (art. 5 comma b).

Risulta essere molto importante curare, in particolar modo, la

dimensione relazionale e le variabili emotive in gioco nell’alunno

con DSA, affinché siano positive tutte le attività e proficui gli sforzi

fatti lungo il percorso integrativo dei soggetti. A tal proposito biso-

gnerà promuovere il successo scolastico, rafforzare l’autostima, la

motivazione, lo stile attributivo, il senso di autoefficacia, il clima di

classe inclusivo e la partecipazione dei compagni.

Ricordiamo tre parole essenziali in tutto questo processo educati-

vo: conoscere, riconoscere e intervenire. n

Page 15: Teramani 94

Nel Parco Fluviale del Vezzola , il Comune

di Teramo ha realizzato un Micronido “La

Casetta sul fiume”, rivolto ai bambini da

18 a 36 mesi, gestito dall’Amministrazione

Comunale di Teramo attraverso l’ATI , costituita

dalle Cooperative Sociali: Nuovi Orizzonti – Leo-

nardo - Filadelfia. La gestione avviene mediante le

direttive e i parametri organizzativi determinati dal

Comune di Teramo. L’ubicazione è nell’oasi del Parco, un luogo privile-

giato di giochi, conoscenze, colori, suoni, emozioni…

Per i bambini, il gioco oltre ad essere una forma di conoscenza del

mondo rappresenta una forma di comunicazione e di esperienze emo-

tive. Nel servizio educativo, mediante la condivisione delle tematiche

pedagogiche con le famiglie dei bambini si è in grado di affrontare la

complessità in campo educativo, rispondendo ai diritti fondamentali

dei piccoli come il diritto all’accoglienza , alla cura, al sostegno nella

costruzione della dimensione sociale e cognitiva, il diritto ad un’inte-

grazione delle differenze. Un servizio in grado di promuovere la cultura

dell’infanzia e il coinvolgimento dei quartieri, dei cittadini, scuole,

agenzie educative e culturali. Il Micronido, frequentato da 54 bambini,

rappresenta una notevole opportunità per i piccoli che sono accolti da

un Personale Educativo competente, in grado di proporre significative

esperienze: di socializzazione, apprendimento, laboratori creativi ed arti-

stici. Nelle sezioni “I Gufetti” e “ L’Isola felice”, le insegnanti: Adelina Ra-

gonici, Cinzia Mercuri, Elisabeth Lorenz, Antonella Pepe, Giuseppina Di

Silvestre, Lidia Merlini, con l’aiuto delle collaboratrici Barbara Andreoni e

Monica Graziano, seguono con impegno, entusiasmo e passione i piccoli

allievi, rendendo gli ambienti luoghi di incontri, scambi, relazioni e lin-

guaggi creativi. Luoghi costruiti per i bambini che diventano protagonisti

delle proprie conoscenze. Il 29 novembre si è svolto il Consiglio di Nido

per l’elezione dei rappresentanti dei genitori dei bambini iscritti. Dopo

la presentazione del Progetto Didattico “ Piccoli

Artisti crescono” da parte della Direttrice e del

Coordinatore dell’ATI Dott.ssa Alessia Frattaroli, si

è proceduto , in un contesto sereno e collabora-

tivo , alle elezioni dei rappresentanti. Sono state

elette le signore: Presidente del Consiglio di Nido

Melissa Nori - Rappresentante della Sezione “l

Gufetti” Francesca Tritapepe – Rappresentante

della Sezione “L’Isola felice” Olimpia Centurami.

Durante l’Assemblea gli intervenuti hanno ap-

prezzato la qualità del servizio offerto dal Comu-

ne di Teramo ed il delicato lavoro educativo delle

maestre, in grado di far raggiungere ai bambini

obiettivi importanti per la loro crescita. In particolare il Progetto annua-

le “Piccoli Artisti crescono” consentirà ai piccoli , mediante la realizza-

zione di laboratori creativi all’insegna dell’arte, di imparare a conoscere

le proprie emozioni e in un ambiente colorato da un’atmosfera serena

a dare voce anche a momenti di affettività negativa.

È noto nel campo della ricerca psicopedagogica che i bambini educati

a conoscere le proprie emozioni, in futuro sapranno dare colore e forma

alla propria dimensione interiore. Ai piccoli verrà proposta la fruizione

di opere pittoriche in cui artisti famosi come Van Gogh, Monet… hanno

rappresentato, attraverso il linguaggio artistico, le proprie emozioni. Nei

laboratori espressivi, i piccoli allievi mediante “l’imparare facendo”, con

l’attenta regia educativa delle maestre che promuoveranno atteggia-

menti di scoperta, utilizzando strategie didattiche basate sull’apprendi-

mento attivo, diventeranno dei piccoli artisti in erba. n

15La Teramo dei piccoli

Piccoli Artisti crescono

diFlorianaFerrari [email protected]

n.94

nella Casetta sul Fiume

Claude Monet, oltre a dipingere alcune

albe e tramonti che hanno dato l’avvio

all’arte moderna, amava le donne e gli

abiti di classe. Da ragazzo iniziò a accumulare

delle somme rispettabili schizzando caricature

dei commercianti di Le Havre che vendeva per

qualche decina di franchi: ‘Se avessi conti-

nuato’ ricordava l’artista tempo dopo ‘sarei

diventato milionario’. Ma l’amore per la pittura

gli fece preferire all’inizio una vita di stenti.

Giovane e spesso in bolletta scompariva not-

tetempo dalle locande con la compagna per

non pagare il conto, ma in fatto di gonnelle

e eleganza era intransigente: ‘Io vado a letto

solo con le duchesse e con le cameriere.

Possibilmente le cameriere delle duchesse’.

Figlio di un commerciante in società con

una zia, amava farsi confezionare gli abiti su

misura, ma non era altrettanto disposto a

ricompensare con moneta contante le fatiche

dei sarti. Una volta un onesto costumista ne

ebbe abbastanza e pretese il saldo del debito.

‘Monsieur’ protestò il pittore ‘se continuate a

infastidirmi in questo modo, mi vedrò costret-

to a servirmi altrove’. Lo sfortunato creditore

pensò bene che valeva la pena continuare a

vestire un gentiluomo squattrinato. n

Monet,le donnee i vestiti

Vite inauditedi Yuri Tomassini

Page 16: Teramani 94

Gli esercenti di Viale CrucioliGli esercenti di Viale Crucioli

Page 17: Teramani 94

Gli esercenti di Viale Crucioli

Page 18: Teramani 94

Satira18n.94

[email protected]

I finti poveri sono costati 2 miliardi e 22 milioni di euro all’erario,

le truffe invece solo 1 miliardo e 358 milioni. In poco meno di

10 mesi sono stati denunciati 5.073 dipendenti pubblici. Gente

senza vergogna, senza requisiti e con la

faccia come il culo, che ha ottenuto benefici

impropri. Prestazioni sociali agevolate con-

cesse a 2500 soggetti non aventi diritto e

risultati tali dopo gli 8 mila controlli eseguiti

da parte della Guardia di Finanza (Il Mes-

saggero.it, 1 dicembre 2013). Benefit sociali

quanto l’accesso preferenziale ai servizi per

l’infanzia, la riduzione dei costi per le mense

scolastiche, i buoni libro e le borse di studio

a studenti indigenti con 600 mila euro sul

conto corrente distratto ad arte, piuttosto

ai non abbienti con papà e una Ferrari. E di

certo, non poteva mancare il classico “Cin-

gue e ‘qquattra nove”.

Per intendere appieno quest’ultima frase

andrebbero fatte ruotare le dita della mano

al vento, a un palmo dal naso, in segno di

evidente perseveranza di ruberie. I servizi

socio sanitari domiciliari, le agevolazioni per

i servizi di pubblica utilità, luce e gas. Al di

sotto della Gran Bretagna sugli aiuti pubblici

all’industria. Ultimi in Europa dopo Bulgaria

ed Estonia. Ultimi in Europa nel leggere, scrivere e fare di conto. Un

momento! Chi adesso, se la prendesse con i soliti e solpsistici poli-

ticanti mezze calzette che vagano scoglionati trascinandosi da una

tazzina di caffè all’altra, nella quotidiana perimetrazione con il culo

posto al sicuro contro i muri delle piazze, commetterebbe sciente-

mente un grossolano errore di valutazione.

Da questi elenchi di nefandezze e piccole miserie compiute da chi

fino al momento prima di essere beccato con le dita nella marmella-

ta si è promosso tranquillo, sereno e comunque incorrotto, al netto

della propria indiscussa rispettabilità, esce fuori un disegno parodi-

stico della società. Chi può dirsi debitamente legittimato a scagliare

la prima pietra? Certo, a sentirli parlare dentro la mente, intanto che

si risolvono sui giornali le ridondanze lessicali del beota di turno,

beato per altri confuso, è difficile non transustanziare nell’idrofobia.

Leggere con gli occhiali a mezza lente poggiato a metà naso con i

gomiti sul frigo dei gelati frasi stupide come “abbiamo idee nuove”, è

nel nostro slogan, siamo convinti di quello che diciamo... è pura isti-

gazione a delinquere nei confronti della logica, a cercare di appurare

quali processi di riflessione siano da convalidare e quali da rescinde-

re con un vaffanculo con dedica.

Ampolle di parole svuotate senza ritegno: “liste civiche vere, non di

facciata. Costruite attorno a persone e volti reali che conoscono i

problemi della collettività. Ed è proprio con loro che miriamo al rag-

giungimento di una investitura di qualità della rappresentanza am-

ministrativa per irrobustire il legame di attendibilità verso i cittadini,

ricominciando da ciò che è già stato realizzato”. Ma il canta cazzate

di turno accende la platea prezzolata con la pippa dello psicopom-

po, in una singolare reinterpretazione da parte di Thomas Mann,

nel suo romanzo La morte a Venezia: una immancabile indicazione

della via retta da seguire, la proposta di una manutenzione morale

quale singolarità inderogabile di una essenzialità e verifica dei criteri

politici. Una messa a punto dell’amministrazione della cosa pubblica,

che salvaguardi le fasce deboli a sostegno

dei servizi sociali e non pregiudichi le pre-

gevolezze del passato. Semplicemente una

proposta che unisce il vecchio con il nuovo

simulato, un insieme di sprovvedutezza e

goliardia che giunge da “L’isola che non c’è”

dei talenti nostrani.

Di “eccellenze del cazzo” che hanno ubbi-

dito alla politica per tormento esistenziale,

per mettere a disposizione della comunità

il proprio bagaglio, mai disfatto per non

rifarlo. Un effimero ghiribizzo, un arche-

tipo di ideologie stucchevoli. Il politico,

un gobbo. Un promontorio granitico che

resiste e divide come il colle del Corcovado

a Rio de Janeiro. Il Cristo Redentore che

allarga le braccia in segno di disperazione:

“Non c’è più nulla da fare!”. Una fabbrica di

menzogne che scalda i motori nelle soffe-

renze altrui. E le bugie continuano ad avere

le gambe corte. Al Comune e una pure alla

Regione, le consultazioni elettorali per il

rinnovo degli esecutivi sono visibili all’oriz-

zonte di questa nostra “Povera Patria” (Franco Battiato). Basterebbe

dire una cosa e farne un’altra.

Nel segreto dell’urna, si può provare a ridisegnare un altro destino.

“Truth will out” (La verità verrà fuori). n

Truth will outLa verità verrà fuori

diMimmoAttanasii

Page 19: Teramani 94

Gli esercenti diVia Capuani e Via Duca D’AostaVia Capuani e Via Duca D’Aosta

Page 20: Teramani 94

Fino ad oggi ho parlato sempre e sol-

tanto di musica italiana, questo mese,

invece, voglio parlare del gruppo più fa-

moso e più importante di tutta la storia

della musica popolare, i Beatles. Non è che

io possa pretendere di raccontarvi qualcosa

di nuovo sui “Fab Four”, ma ogni tanto mi

vengono in mente degli episodi che mi fanno

pensare che, se dopo oltre cinquant’anni di

attività, e a più di quarant’anni dallo sciogli-

mento, i Beatles sono ancora così attuali, un

motivo ci deve pur essere. La prima consi-

derazione sul fenomeno, viene dal fatto che

i Beatles hanno inventato un genere nuovo,

il Rock, che prima del loro successo non esi-

steva. Esisteva il Rock’n’Roll, quello classico

di Elvis Presley, Chuck Berry, Little Richard

e tutti gli altri; esisteva il blues, da Muddy

Waters a Howlin’ Wolf; esisteva lo Skiffl e, la

musica giovane dei primi anni 60, ed esiste-

vano i musical, che da Broadway invadevano

il mondo. Niente di tutto questo poteva far

immaginare che, nel giro di qualche mese,

potesse arrivare un gruppo di ragazzini a

sconvolgere tutto. E invece, quattro musicisti

– cantanti – compositori rivoluzionarono il

mondo musicale, la moda e la società del

loro tempo. La prima cosa che salta all’occhio

è che dopo i Beatles, una serie di gruppi fece

il suo ingresso sul mercato del pop, a partire

dai Rolling Stones, da sempre considerati ri-

vali dei quattro di Liverpool, sebbene in realtà

fossero molto amici. Per chiudere immediata-

mente la diatriba, basta notare che il secondo

45 giri dei Rolling Stones, “I wanna be your

man”, porta la fi rma di Lennon e McCartney,

e non era neanche un brano di punta del

loro repertorio, visto che era stato riservato

all’interpretazione del loro batterista, Ringo.

La leggenda – o forse qualcosa di più – narra

che pochi anni dopo, ad una festa in casa di

Mick Jagger, durante la quale ci fu un’irruzio-

ne della polizia, con conseguente arresto di

Jagger, della sua fi danzata Marianne Faithful

e di Keith Richards, ci fossero anche un paio

di “scarafaggi”, pare Lennon e Harrison, e si

dice che furono fatti scappare da una porta

sul retro. La stampa, che ancora oggi collega i

Rolling Stones alla classe operaia ed i Beatles

– i baronetti! – all’alta borghesia inglese, con

aspirazione alla nobiltà, dimentica che nella

realtà era esattamente il contrario, i Beatles

venivano da desolanti sobborghi di una città

industriale, mentre le famiglie degli Stones

appartenevano all’aristocrazia londinese. Per

concludere il rapporto con il gruppo di Jagger

e Richards, basta dare un’occhiata alla coper-

tina di “Sgt. Pepper’s” per trovare la scritta

“Welcome the Rolling Stones”, e cercare

con lo sguardo fra il pubblico presente alla

prima esecuzione (in mondovisione) di “All

you need is love”, per trovare – nel coro – i

soliti Jagger, Richards, Brian Jones e Marianne

Faithful. Negli anni, poi, ho scoperto anche

qualche altra cosa. Ringo, per esempio,

universalmente conosciuto come uno dei

peggiori batteristi della storia del rock, è

veramente un gigante della musica. Prima di

tutto sfi do chiunque ad aggiungere un solo

colpo di percussione in più su una qualsiasi

canzone dei Beatles senza peggiorarla, poi

ho scoperto che la grandezza del “piccoletto”

risiede nell’usare la batteria in modo molto

simile a come vengono usate le percussioni

classiche nell’orchestra sinfonica: non per

mettersi in mostra ma, al contrario, per far

risaltare gli altri strumenti in determinate

parti delle composizioni, infi ne perché, fi n

dagli esordi (There’s a place, sul primo disco)

Ringo è l’artefi ce di un suono che ancora oggi

è all’avanguardia. Un piccolo mito da sfatare

è quello secondo il quale John Lennon, in

un’intervista, avrebbe detto che i Beatles era-

no ormai diventati una specie di religione, e

che, all’epoca, erano diventati già più famosi

di Gesù Cristo. In realtà, quello che Lennon

esprimeva nell’intervista originale, erano

timore e preoccupazione per il fatto che la

fame planetaria del gruppo non consentiva

loro di fare una vacanza in nessun posto del

mondo dove potessero passare inosservati,

la loro popolarità, semplicemente, aveva

invaso tutto il globo, oltrepassando i limiti

imposti da civiltà e religioni. In realtà, oltre un

anno più tardi, qualche frase dell’intervista

era stata utilizzata per compilare un articolo,

su una rivista americana, e la frase, denudata

del suo signifi cato originale, era stata sparata

nel titolo. Fin dagli esordi, racconta invece

Paul, avevano studiato dei travestimenti – a

tutt’oggi mai svelati – grazie ai quali potevano

allontanarsi dai teatri e dalle arene dove il

gruppo si esibiva, sfuggendo all’asfi ssiante

assedio delle fans. A proposito di McCart-

ney e di leggende, qualcuno ha mai sentito

parlare della presunta morte del bassista dei

Beatles, in un incidente stradale, nel 1966?

Ne riparleremo presto. n

Musica20 [email protected]

n.94

diFabrizio Medori

Due o tre cose che so deiBeatles

Page 21: Teramani 94

Via G. De Vincentiis • TERAMO • Tel. 0861.24.23.08

Sì, la spesa che Vale!TERAMO

Via G. De Vincentiis

Tel. 0861242308

Via G. De Vincentiis • TERAMO • Tel. 0861.24.23.08Via G. De Vincentiis • TERAMO • Tel. 0861.24.23.08

Il personale tutto Augura Buon Natale

ed un Brillante Anno Nuovo

Page 22: Teramani 94

CD - GeffenUniversal - 1996

Once Upon A Time: no! Non è l’incipit

una di fiaba ma, di una bella storia

iniziata nel 1985 in quel di Toronto

(Ontario), Canada. Non lasciatevi

depistare dal nome della Band: Cowboy

Tossici (?), tutt’altro! L’album della Famiglia

Timmins (di questo si tratta), è autorevole,

papà Noah, Ispettore minerario, fondatore

della cittadina Timmins appunto, nella Re-

gione canadese, ha avuto il conforto di aver

generato una famiglia di Artisti: Michael,

musicista geniale (guitars), produttore,

ricercatore... Peter, drummer efficace, Alan

Anton, bassist discreto e funzionale e...

Mrs. Margot Timmins, lead singer fascino-

sa e talentuosa. Per la verità ci sono ancora

due fratelli, l’uno musicista, l’altra Cali,

attrice, non c’è che dire, proprio una bella

famiglia! L’esordio discografico è di quelli

col ‘botto’, i quattro si chiudono nella chiesa

(sconsacrata) della Santa Trinità di Toronto

per incidere The Trinity Session, RCA Victor/

BMG, appunto, ricordo come la stampa mu-

sicale definì capolavoro questo debutto, il

disco conteneva Sweet Jane (Velvet Under-

ground - Lou Reed, citazione doverosa alla

luce della recente scomparsa), “la più bella

cover mai registrata” a detta dello stesso

Reed. La discografia dei COWBOY JUNKIES,

è piuttosto corposa: 27 albums fra studio,

live, anthology e altro, a proposito, nel 2007

hanno reinciso l’edizione del ventennale

delle ‘Trinity Session’.

Il CD oggetto di questa recensione è (parere

estremamente soggettivo), uno dei segreti

meglio custoditi della discografia interna-

zionale alternative-country/rock-college/

rock-pop/rock (?). Il package piuttosto

spartano, copertina che ritrae i 4 musici-

sti, seduti sulle rispettive sedie, foto b/n,

ripetute nel booklet che, contiene anche i

testi, appena il laser decodifica il dischetto

argentato, inizia la...meraviglia! Something

More Besides You? anticipa la prima ‘perla’:

Common Disaster, autentico gioiellino

elettro-acustico, chitarra, basso, batteria

e... la magica voce di Margot Timmins che

si dispiega in tutta la sua stupefacente

bellezza, timbro, estensione, melodia e

ritmo, notevole assolo finale di Michael alla

chitarra, altrochè il ‘comune disastro’! Il

sound delle tracce successive, Lay It Down

e Hold On To Me, si rivela propedeutico alla

seconda little-great song, Come Calling,

impianto metronomico perfetto sul quale

s’innesta la splendida voce della cantante,

brano mosso, suggestivo, tocca le corde più

sensibili dell’individuo.

Ancora il grande lavoro di Michael alle chi-

tarre (acustiche ed elettriche) in Just Want

To See e Lonely Sinking Feeling, dove trova-

no la giusta collocazione i violini (struggenti)

di Carl e Peter Schab, la viola di Dave Henry,

il violoncello di Tim White e l’organo di Jeff

Bird che, cuce tutto a meraviglia! Arriva

con Angel Mine, un’altro picco creativo,

chitarra acustica, chiara, limpida, ancora

l’organo e “l’angelica” voce di Margot che

si materializza, 3’ 59” di stupenda intensità.

Bea’s Song (River Song Trilogy: part III), fa

ancora da prologo all’ennesima top-song:

Musical Key, quasi 4 minuti d’incanto e/o di

autentica magia:” my Mother sang the swe-

etest melody...my Father sang in perfect

harmony”, straordinaria canzone, melodica

(appunto), struggimento, commozione, il

‘solito’ cantato di Margot, amplifica ulte-

riormente queste sensazioni, vera e propria

‘chiave musicale’. Il livello, incredibilmente

elevato delle songs, continua con Spea-

king Confidentially, perla, diamante, giada,

ambra, rubino, smeraldo, quale altra pietra

preziosa scovare per la nostra/vostra col-

lezione? Segue la (Her Song) Come Calling

version, più lenta, intima, l’arrangiamento

‘soft’ e il filo di voce, la rende ancor più

d’atmosfera. Il CD si chiude emblematica-

mente con Now, I Know. Sono trascorsi 51

minuti e 19 secondi, sono sembrati un atti-

mo, se avete un caminetto, mi raccomando,

fuoco acceso!, comoda poltrona, lasciatevi

deliziare da un microcosmo di emozioni/

sensazioni particolari, non potrete farne a

meno, può un disco del 1996, generare tut-

to questo? Ancora oggi, il 2013 in dirittura

d’arrivo, ascoltando quà e là, non riscontro

tanta creatività nel panorama discografico,

è stato sufficiente un piccolo, quasi ano-

nimo compact disc, registrato ad Athens,

GA (U.S.), senza grandi mezzi finanziari,

sovraproduzioni, arrangiamenti, mixaggi e

altre diavolerie tecnologiche, tre fratelli, un

amico e qualche altro strumento, per recu-

perare una dimensione ‘altra’ ma, autentica.

I CJ, sono ancora ‘attivi’, hanno pubblicato

di recente 4 volumi della serie “Nomad Se-

ries, volume 1 -2 -3 - 4” , l’ultimo di questi,

The Wilderness, richiama le sonorità di Lay

It Down: un consiglio, sarebbe peccato non

far parte della Timmins Family.

Voto: 9 pieno. n

Write about... the records!22 [email protected]

n.94

diMaurizio Carbone

Lay It Down Cowboy Junkies

Page 23: Teramani 94
Page 24: Teramani 94

Note linguistiche24diMaria Gabriella Di Flaviano [email protected]

n.94

Gli aggettivi qualificativiLa collocazione

Si osservino i seguenti esempi:

- Una brava cuoca, una cuoca brava

- Una vergognosa azione, un’azione vergognosa

Da essi si evince che gli aggettivi brava e vergognosa possono es-

sere collocati prima o dopo il sostantivo cui sono riferiti. Molte volte, però,

la posizione dell’aggettivo non è indifferente; infatti, se lo collochiamo

prima del nome intendiamo indicare una qualità generica, ma riconosciu-

ta come propri del nome a cui è riferito; se invece lo collochiamo dopo il

nome intendiamo indicare che la qualità è posta in particolare evidenza

da chi parla o scrive, ed è contrapposta ad altre possibili qualità.

Così, se diciamo: “il freddo inverno ci costringe a stare in casa”, vogliamo

genericamente riferirci ad una qualità propria di questa stagione: infatti

l’inverno è sempre freddo. Invece, se diciamo: “l’inverno freddo ci costrin-

ge a stare in casa”, intendiamo mettere in evidenza il particolare rigore

dell’inverno di cui parliamo.

Si osservino i seguenti esempi:

- Un pover’uomo, un uomo povero.

- Un solo ragazzo, un ragazzo solo.

L’espressione un pover’uomo indica una persona verso la quale nutriamo

un sentimento di compassione; questa persona potrebbe anche essere

ricchissima, ma trovarsi ad attraversare, per esempio, un momento

difficile, tale da farlo apparire appunto un pover’uomo. Al contrario,

l’espressione un uomo povero indica una persona che si trova in difficoltà

economiche. Così ancora, con l’espressione un solo ragazzo ci riferiamo

al fatto che egli è unico (in classe c’era un solo ragazzo); mentre con

l’espressione un ragazzo solo ci riferiamo alla sua condizione di solitudine

(Luigi è un ragazzo solo, ossia non ha, ad esempio, il conforto dell’amicizia

di altri ragazzi). n

La sovranità dello Stato Italiano si esplica

attraverso tre poteri fondamentali, rie-

cheggiando principi filosofici adottati dalle

democrazie occidentali: potere legislativo,

potere esecutivo e potere giudiziario, realiz-

zando così la separazione dei poteri. Tali poteri

rappresentano (insieme con il Presidente

della Repubblica, Corte Costituzionale ecc..) i

massimi organi costituzionali, su cui si basa la

Costituzione Italiana, che ha fissato i principi

generali su cui essi si fondano e si esplicano

nella affermazione del carattere di indipen-

denza. Si può, quindi, affermare che la Magi-

stratura (potere od ordine giudiziario) viene

posta come forma tipica di applicazione della

legge, amministrando la giustizia nel nome

del popolo e confermando che i giudici sono

sottoposti solo alla legge (art. 101 Costituzione

Italiana). Al vertice dell’ordine giudiziario è

posto il Consiglio Superiore della Magistratura,

istituito nel proposito costituzionale di svinco-

lare i giudici dal potere esecutivo (così come lo

era nel passato) realizzando in certo qual modo

l’autogoverno dei magistrati (art. 104 Cost.).

Il dibattito sulla Costituzione ha rilevato che già

un Consiglio Superiore della Magistratura pre-

esisteva, ma con funzioni consultive (legge 511

del 1907) istituito presso il Ministero di Grazia e

Giustizia. Con la legge 24.03.1958 n. 195 invece

sono stati dettati nuovi criteri, attraverso cui

non sono stati rilevati dalla dottrina dubbi sulla

sua essenza di organo costituzionale e ponen-

dolo in una posizione giuridica di indipendenza

ed autonomia rispetto agli altri organi dello

Stato, sebbene sempre in coordinazione.

Tutto ciò è stato tradotto in direttive generali

che possano essere così sintetizzate:

1. la Presidenza del Consiglio Superiore della

Magistratura resta affidata al Presidente

della Repubblica;

2. il Presidente della Corte di Cassazione ed il

Procuratore Generale della stessa Corte ne

sono membri di diritto;

3. un terzo dei componenti deve restare

estraneo alla Magistratura;

4. il Ministro della Giustizia è escluso dalla

partecipazione, anche se gli resta affidata

la responsabilità dell’organizzazione della

giustizia, nonché la facoltà di promuovere l’a-

zione disciplinare nei confronti dei magistrati;

5. i due terzi del Consiglio sono eletti dagli

stessi magistrati.

Quanto sopra può essere riassunto nel fatto

che il Consiglio Superiore della Magistratura,

nel rispetto della normativa di cui alla legge

44 del 2002, è composto da 24 componenti,

di cui 16 scelti tra i giudici (togati) e 8 eletti dal

parlamento in seduta comune scelti tra avvo-

cati, professori universitari ecc.., a cui vanno

aggiunti, come detto, i 3 membri di diritto, e

cioè il Presidente della Repubblica, il Primo

Presidente ed il Procuratore Generale della

Corte di Cassazione e quindi raggiungendo il

numero complessivo di 27.

Resta da dire che al Consiglio Superiore della

Magistratura spettano le norme sulle assun-

zioni, assegnazioni e trasferimenti dei magi-

strati, nonché le promozioni e i provvedimenti

disciplinari. Come può essere evinto l’istituto

sopradescritto riguarda solo la Magistratura

ordinaria e non le Magistrature speciali (Consi-

glio di stato, corte dei Conti), che sono rette da

norme speciali. n

Brevi Note sul ConsiglioSuperiore della Magistratura

Dura Lex Sed Lexdi Alfio Scandurra

Page 25: Teramani 94
Page 26: Teramani 94

L’immaginazione al potere domina

invitta Invictus. Il Mandela di Clint

Eastwood stra-trionfa nella reinven-

zione di sport, politica ed esistenza.

Tre aspetti mortificati e degenerati dal mal

essere contemporaneo, che qui invece

abbagliano per virtù in essi trasfusa. Al

punto che pensiamo di assistere a un

ulteriore fantastic voyage, un’utopia ai

confini della realtà. Johannesburg come

Pandora. Dove un neo-presidente, con 27

anni di carcere alle spalle, fa ri-nascere

una nazione divisa in due, unificandola per

tramite dello sport nazionale, il rugby, e la

squadra (quasi) all-white rappresentante,

quegli Springboks (o Springbokke) natural-

mente odiati dai neri.

Lo sguardo (impassibile), la battuta affa-

ticata ma ferma, il sorriso largo quando è

proprio il caso svelano il volto prosciugato

di Clint dietro quello di Morgan Freeman

alias Mandela, dal cui accento sudafrica-

no, imitatore dello speech del Presiden-

te, ogni tanto affiora pure la raucedine

inconfondibile dell’ispettore Calla(g)han.

Quelli che accusavano l’Eastwood attore

di avere due sole espressioni, una col cappello, l’altra senza, avreb-

bero dovuto ormai capire che trattavasi di scelta estetica, spostata

ora sul versante registico. Clint gira come intepreta (economia di

stile, volto – cioè sguardo – non in mostra, sintesi pluri-rifrangente

del discorso) e fa recitare i suoi attori, perlomeno il protagonista,

come fossero lui.

A forza di sottrarre, arriviamo a questo film senile, saggio e distac-

cato, dove ogni passione (negativa) è spenta, massimalizzata nella

sua riduzione a puro concetto, astratta filosofia. Un Gertrud ameri-

cano, dove i temi tipici di Eastwood, vendetta e perdono (sinonimi,

non contrari), sono portati alle estreme conseguenze spirituali e di

Cinema

aspirazione all’in-dipendenza. Anche la narrazione (che dallo script

di Anthony Peckham si evince tonda) si fa ascetica, contemplativa,

da camera (di gabinetto). Tutt’altro che stanca. È in sintonia con il

leader che rappresenta. Muove le sorti con lo sguardo, il pensiero.

Attraverso l’immaginazione. Mandela mandala. Corpo lento, idee

veloci e trionfanti. Clint più Clint. Regista e attore (quest’ultimo sia

pure per interposta persona).

Risplende dello stesso pensiero che pervade un romanzo senega-

lese uscito proprio all’inizio dell’indipendenza del paese (Les bouts

de bois de Dieu di Ousmane Sembène). Si concludeva, abbattendo

davvero ogni dipendenza, con la frase «felice chi combatte senza

odio». Anche qui, a casa Pienaar, dove c’è l’atleta François che sta

a Mandela, con qualche variante, come il giovane asiatico stava a

Wally in Gran Torino, si teme che nel Sudafrica liberato la situazione

degeneri. Effetto Angola, Mozambico e Zimbabwe. Ma «Forgiveness

removes fear» (e probabilmente anche l’odio, la diffidenza). Forse

per questo Unforgiven (Gli spietati) era dominato dalla paura e

Invictus dalla calma. Arriva un furgone

sospetto, i due uomini della scorta di

Mandela cominciano a temere per lui,

troppo «easy target», ma si tratta solo

di un distributore di giornali. Prima

della partita decisiva, un aereo vola a

strapiombo sullo stadio. Un attentato?

No, vuole semplicemente augurare buona

sorte alla squadra.

Al regista di Changeling non ha mai inte-

ressato la politica ortodossa. Gli attacchi

preventivi. I trucchetti che demagogica-

mente devono per forza sedurre la gente.

In Italia, e non solo, sappiamo dove ci

hanno portati. Il suo Mandela considera

invece 12 voti «a luxury» e non fa del

passato un ricatto o un alibi. Si perita

di affiancare alla scorta nera anche dei

colleghi bianchi, perché «they’ve a lots of

experience, they protected De Klerk»; e,

peggio, decide di non abolire ma far trion-

fare la squadra simbolo dell’apartheid. Lo

accusano per questo, da parte nera, di

«autocratic leadership», di prendere deci-

sioni contro il voto unanaime della gente.

Lui risponde per aforismi quasi zen nella

loro profonda semplicità: «One team, one

country»; «I need to know my enemy»; «We have to be better than

them». Altro che agiografia, come hanno sparato in molti. Clint non

ci mostra il Presidente, ma Madabi, l’uomo (non) comune. Quello

che i bianchi conservatori, all’inizio del film, quattro anni prima

dell’elezione-plebiscito, definiscono terrorista, mentre i bimbi neri

salutano con entusiasmo. The «Comrade President», ma senza

stalinismi di sorta. Resi tossici dalla politica sporca, gli elettori-

standard odiano chi si comporta così. Se non è stronzo, corrotto,

incapace, non lo vogliono. Ed esigono che il personaggio pubblico,

proprio come recita una vecchia regola di scena, non sia mostrato

in ciabatte. Clint apre proprio con Morgan Freeman a letto, poi in

26

Forgiven

diLeonardoPersia [email protected]

n.94

In occasione della scomparsa di Nelson Mandela, ripubblichiamo questo articolo apparso sulle nostre colonne nel 2009, e relativo al film Invictus di Clint Eastwood. Attraverso l’analisi del film, Leonardo Persia sintetizza quella che è stata la visione umana e politica dell’indimenticabile Presidente del Sud Africa.

Page 27: Teramani 94

27pantofole, infine allo specchio mentre si

rade (senza alcuna sanguinaria big shave).

Ma soprattutto ce lo descrive troppo “quo-

tidiano” nel considerare gli altri (nessuno

invisibile per lui, dirà una delle guardie

del corpo bianche); troppo astratto, cioè

concreto, nelle sue strategie. In vista di un

meeting taiwanese, pensa solo a trascri-

vere, per il “nemico” François Pienaar, una

vecchia poesia vittoriana di William Ernest

Henley (l’Invictus che dà il titolo al film).

Oppure a studiarsi i nomi della squadra

degli Springboks, per poter augurare buona

fortuna a ognuno di loro, sapendo chi ha

davanti. Interrompe persino una riunione

di gabinetto, ridendo divertito quando alla

tv vede che i suoi metodi stanno fruttan-

do. Siamo uomini o presidenti? Anche, se

dall’elicottero, veglia la squadra del cuore

(e della ragione), come fosse un dio (salvo

poi dire «I’m honored, gentleman. Truly

honored», per il cappello della squadra

ricevuto in dono). Anche se, dopo il tè con

lui, Pienaard si sente ipnotizzato, rapito,

quasi catapultato in un’altra dimensione.

È lo sguardo, anche registico, che trafigge

con la verità, non con il potere. Per questo

il film è spirituale, mistico. Nel senso radi-

cale della parola. In termini espressamente

black (alla cui cultura Clint ha reso più di

un non superficiale omaggio). Se in Xala,

sempre di Sembène, la politica finta ren-

deva impotenti, qui l’incontro con il Vero

erotizza. Sia Madabi, che con una fascinosa

danzatrice, fa il galante, rimpiangendo

di non essere poligamo, come da clan

Xhosa; sia François che, ubriaco del nuovo

sguardo immessogli dall’inaspettato Amico,

cede comunque alle profferte della sposa.

Body… And Soul, con l’equiparazione

Pienaar/Mandela. Il primo si chiude nell’an-

gusta cella di prigionia dell’altro, aprendo

le braccia per misurarne la larghezza (stret-

tezza) e scorgendone l’anima (dell’amico e

sua). Ma anche immedesimazione totale,

quasi magica e ritualistica, del Prez con i

Springboks.

Mandela è sopraffatto da un malore, cade

n.94

a terra. Contemporaneamente, veniamo a

sapere che Chester Williams, l’unico nero

della squadra, si è infortunato. Guarisce

l’uno, riscende in campo, inaspettato,

l’altro. Ri-anima-zione. Qualcosa di più

profondo della reincarnazione. Ottenuta

senza alcun montaggio parallelo facile

hollywoodiano, ma con dilatazione stupita

dei tempi incrociati, climax vudù. Come in

quel meraviglioso ralenti che congela palla,

giocatori e sguardi speranzosi del pubblico

davvero in «one team, one country». Clint

rallenta. Non ha alcuna fretta. Lo fa dire

pure a Madabi, alla fine, quando l’autista

vorrebbe eludere la folla plaudente. «It’s no

hurry. No hurry at all».

È il culmine dei festeggiamenti per la

vittoria, che Clint regista allarga restringen-

dolo nei particolari. La padrona abbraccia

la serva. I poliziotti bianchi sollevano in alto

il bambino nero che poco prima avevano

maltrattato. Due uomini della scorta, dai

colori opposti, abbattono le inibizioni e

si danno la mano. Un corpulento boe-

ro abbraccia il bodyguard black ancora

perplesso, ma confuso e felice come prima

Pienaar. È il (per)dono della politica (vera).

Essere minus (da cui ministro) per essere

più. Da «Captain of my soul» a capitano

degli Springboks. E viceversa. n

Page 28: Teramani 94

In giro28diSergioScacchia paesaggioteramano.blogspot.it

n.94

Le pietre parlanti

Ripattoni

Così vicino nello spazio, così lontano nel

tempo.

Penso a questo mentre affacciato sul

muro del belvedere di Ripattoni, ai

miei occhi si apre una finestra sull’immensità

di colline e montagne che regalano pace

all’anima. Ma c’è anche una valle, quella del

Tordino, pesantemente cementificata, dove

scorre veloce e puzzolente il traffico della

superstrada che porta a Roma.

Qui però, a pochi chilometri sopra, è tutto un

altro mondo. È l’alternativa all’aggressione

del bitume, il trionfo di un quieto paesaggio

bucolico.

Il silenzio della campagna riesce a dare l’idea

del tempo che si è fermato. Di certo non è

solo pace. C’è anche tanta storia, per giunta

sontuosa. L’atmosfera del borgo di Ripattoni

è qualcosa d’incantevole in grado d’ispirare

la sensibilità di artisti e il gusto del bello dei

turisti.

L’armonia delle testimonianze monumentali

è preservata da quest’angolo di medioevo

intatto, tra acciottolati, scalinate, palazzi,

portici e anfratti fatti di pietre che raccontano

la storia e l’identità del vecchio e minuscolo

borgo.

Nella mente torna la frase del grande repor-

ter Ansel Adams che diceva:

“La fotografia non è sola quello che vedete

ma anche e soprattutto quello che sentite”.

Per restituire a un pubblico ignaro di tanta

bellezza la realtà del piccolo paese, occorre-

rebbe la magia che grandi fotografi hanno nel

loro bagaglio tecnico.

“Il cuore di Ripattoni è fatto di pietra”, recita

il simpatico libercolo realizzato da una vulca-

nica Pro Loco che organizza tante iniziative

per condividere con più persone possibili la

bellezza di “Ripa Actonis”. La Rupe di Attone

era il regno del principe longobardo che pos-

sedeva tante terre tra Teramo e Bellante.

Poi venne il dominio degli onnipresenti

Acquaviva, che incastellarono mirabilmente

l’abitato. Ancora oggi c’è una fantastica torre

trecentesca in pietra e laterizio che è il vero

simbolo del luogo, a base quadrangolare, ai

piedi della quale si trova l’anonima chiesa dei

santi Silvestro e Giustino.

Il gioiello del paese però è sicuramente il

possente Palazzo Saliceti, da poco restituito

alla fruizione pubblica con mostre di notevole

interesse. Nacque proprio qui il patriota

Aurelio Saliceti (1804-1862), ammirato

giureconsulto e tra i primi affiliati alla storica

Giovane Italia, ministro di Grazia e Giustizia

nel Regno delle Due Sicilie. Poco lontano dal

borgo, assolutamente da visitare è la chiesina

campestre di Santa Maria in Herulis.

Ripattoni sazierà la vostra voglia di scoprire,

ne sono certo. Un percorso affascinante

sorprendentemente dietro casa. n

Page 29: Teramani 94
Page 30: Teramani 94

L a Teknoelettronica Teramo ha

concluso il girone di andata con una

vittoria contro l’Ancona, ribadendo

la propria candidatura ad un posto

che sembra ormai certo nei play off,

dopo aver anche acquisito la certezza

di disputare le finali di Coppa Italia. Ac-

cingendosi ad iniziare il girone di ritorno

dove la Teknoelettronica dovrà affrontare

fuori casa le squadre più forti, corre voce

che ci potrebbe essere un ridimensiona-

mento dell’organico per motivi di ordine

economico.

Qualora ciò si dovesse verificare sarebbe

un vero peccato perché si vanifichereb-

be quanto di buono fatto fino a questo

momento. In ogni caso la conquista della

quarta piazza, valida per l’accesso ai play

off, resta un obiettivo concretamente

raggiungibile, anche con l’inserimento

nella rosa della prima squadra di giovani

del vivaio.

Per quanto concerne invece la Artrò

Globo Allianz, questa dopo essere stata

sull’orlo di una profonda crisi, sembra

mostrare segni concreti di ripresa. Infatti

la squadra ha inanellato due successi con-

secutivi, prima con il Casalgrande e poi a

Palermo contro la squadra locale. Le due

Sport30 dallaRedazione [email protected]

n.94

vittorie le hanno consentito di abbando-

nare l’ultimo posto in classifica generale

chiudendo il girone di andata con la

prospettiva di agganciare il treno dei

play off. Qualche perplessità per noi che

scriviamo è destata dalle modalità con cui

vengono affrontate le trasferte. Prenden-

do in esame quella di Palermo, la squadra

sembra sia partita da Teramo in minibus

la sera del venerdì ed ha affrontato il

Palermo il sabato, dopo un viaggio di oltre

15 ore, nelle condizioni fisiche che tutti

possiamo immaginare. Nonostante ciò è

arrivata una vittoria dovuta esclusivamen-

te allo spirito di sacrificio delle ragazze

e dell’allenatore che ha saputo gestire la

condizione della squadra, reagendo così

alle inopportune critiche societarie.

La pausa natalizia consentirà di riordinare

le idee. n

Maschile e femminile

Pallamano

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