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Teramani n. 94 dicembre 2013
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mensile di informazione in distribuzione gratuita
Dicembre 2013
n. 94
MAZZITTISCENDE IN CAMPOpag. 6
PAOLOROLLERIpag. 12
FORGIVEN
pag. 26
64021 Giulianova (Te) c.so Garibaldi, 6564100 Teramo (Te) via Vincenzo Irelli, 31 - c/o Obiettivo CasaTel: 085 8001111 - 085 8007651 Fax: 085 [email protected] - www.juliaservizi.it
Il risparmio sul gas metano.JULIA SERVIZI PIÙgestione vendita gas metano
È arrivata la tuanuova vicina di casa.
Risparmia subito il 10%sulla bolletta del gas metano.
SOMM
ARIO 3 Ci sono bandiere e bandiere
4 Teramo Culturale 6 Mazzitti scende in campo 7 Coldiretti informa 8 Il libro del mese 10 Aphra Katzø 12 Sarà Paolo Rolleri... 14 La dislessia 15 Piccoli Artisti crescono 15 Monet 18 Truth will out 20 Musica Medori 22 Musica Carbone 24 Note Linguistiche 24 Dura Lex sed Lex 26 Cinema 28 In giro 30 Pallamano
www.teramani.infoè possibile scaricare il pdf di questo e degli altri numeri dal sito web
dallaRedazione
l’Editorialen. 94
Direttore Responsabile: Biagio TrimarelliRedattore Capo: Maurizio Di Biagio
Hanno collaborato: Mimmo Attanasii, Maurizio Carbone, Maria Gabriella Del Papa, Maurizio Di Biagio,Maria Gabriella Di Flaviano, Maria Cristina Marroni, Fabrizio Medori, Silvio Paolini Merlo,Leonardo Persia, Sergio Scacchia, Alfi o Scandurra,Yuri Tomassini, Massimiliano Volpone.
Gli articoli fi rmati sono da intendersi come libera espressionedi chi scrive e non impegnano in alcun modo né la Redazionené l’Editore. Non è consentita la riproduzione, anche soloparziale, sia degli articoli che delle foto.
Progetto grafi co ed impaginazione: Antonio Campanella
Periodico Edito da “Teramani”, di Marisa Di MarcoVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930per l’Associazione Culturale Project S. Gabriele
Organo Uffi ciale di informazionedell’Associazione Culturale Project S. GabrieleVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930
Registro stampa Tribunale di Teramo n. 1/04 del 8.1.2004Stampa: Gruppo Stampa Adriatico
Per la pubblicità: Tel. 0861 250930347.4338004 - 333.8298738
Teramani è distribuito in proprio
64021 Giulianova (Te) c.so Garibaldi, 6564100 Teramo (Te) via Vincenzo Irelli, 31 - c/o Obiettivo CasaTel: 085 8001111 - 085 8007651 Fax: 085 [email protected] - www.juliaservizi.it
Il risparmio sul gas metano.JULIA SERVIZI PIÙgestione vendita gas metano
È arrivata la tuanuova vicina di casa.
Risparmia subito il 10%sulla bolletta del gas metano.
La caparbietà, se non la genuina
testardaggine, è la prerogativa dei
Pretuzi, della popolazione montana
in particolare, dei Teramani duri e puri. E
non so fi no a quando questa qualità che si
affi bbia generalmente ai muli possa invece
essere stonata verso quella maliziosa dei
cammelli. Dico questo perché nel numero
di ottobre di Teramani un elzeviro poneva a
confronto due bandiere, quella scintillante
sventolata, da un auto d’epoca in corsa,
dal nostro sindaco per bearsi di un’opera
come il secondo tratto del Lotto zero appena
inaugurata e l’altra invece, che insisteva e
insiste tuttora proprio dinanzi alla Pinacoteca
Civica di Viale Bovio, rotta e sbrindellata da
ormai mesi, senza nessuno che gli presti
cura, garrula e malata di fronte all’incuria e
pressapochismo di tutti. O meglio, facemmo
il confronto del tre per due (giusto per la
rima) a mo’ di countdown collocato tronfi o
a Piazza Garibaldi e lo stendardo pochi metri
più in là, dimesso, accartocciato di sghembo,
triste, fi nal y solitario. Un contrattempo da
poco scrivemmo, del resto rimane sempre
una bandiera che è poco visitata ed è lì,
incassata timida dietro i alberi maestosi del
viale, con pezzi di grondaia abbandonati a
terra, un niente dinanzi ai reali problemi della
città, ma comunque molto emblematica
dei tempi che corriamo, suscettibili di
annunci e di trionfi ma poco attenti al
particolare e soprattutto alla cultura (come
confermato dall’Assessore regionale Mauro
Di Dalmazio). Ebbene, oggi a quel vulnus
non è stato ancora posto rimedio. A questo
punto il nostro testardo incaponimento
(c’è un precedente che vi ricorderemo
laddove….), da vero mulo abruzzese,
direbbe Marco Pannella, non vuole essere
più una sfi da all’amministrazione per
monitorare l’inedia del Palazzo, bensì una
bandiera dell’ineffi cienza della macchina
amministrativa da sventolare al momento
opportuno, un metro di giudizio per misurare
la vacuità di questo governo cittadino,
certamente non il migliore del Dopoguerra.
Quell’umile stendardino sventola anchilosato
per voi miei cari amministratori a denunciare
la vostra sconfi tta.
P.S. Se vorrete autorizzarci, e visto che a
Natale siamo tutti più buoni, provvederemo
noi, a nostre spese, al suo.
Cordiali saluti,
la Redazione tutta di Teramani. n
Ci sono bandieree bandiere
(parte 2)
Teramo culturale4diSilvioPaolini Merlo [email protected]
n.94
ArnaldoPossentiA dieci anni dalla scomparsa,il ricordo di un maestro dell’insegnamento
Di quest’uomo ancora oggi, nella stessa
sua città, si sa poco. Poco della sua vita
privata, riservatissima, poco dei suoi studi,
coltivati con metodica abnegazione. Eppu-
re egli è stato certamente uno dei migliori esempi
della vita culturale della Teramo repubblicana,
esempio del quale a distanza di trent’anni dal
mio incontro con lui e a dieci dalla scomparsa
- moriva a Teramo a 83 anni nel dicembre 2003 -
ricordo nitidamente molte cose. Ebbi la fortuna, di
quelle che solo il tempo ci aiuta a comprendere,
di far parte della sua ultima classe ginnasiale:
allora, davvero, egli era un’autorità indiscussa del
nostro liceo classico. Non solo il migliore grecista
e latinista di Teramo, al pari forse del solo Cle-
mente Cappelli, ma una delle pochissime figure
nobili di maestro e di educatore.
Quello che si sa è anzitutto la sua discendenza,
ammantata di una certa aura mitica, dai Possenti
originari di Assisi, e da quel Sante Possenti, go-
vernatore pontificio della città sotto Gregorio XVI
e Pio IX, che con l’undicesimo dei suoi figli fornirà alla congregazione
abruzzese il proprio santo patrono, e una delle icone più celebrate della
perfetta vita cristiana: Gabriele dell’Addolorata, al secolo Francesco
Possenti, morto a Isola del Gran Sasso nel 1862. Della lunga attività di
studioso di Possenti è finora riemerso unicamente il commento al se-
condo libro dell’Eneide virgiliana, quello del Cavallo di Troia, del perfido
Sinone, della morte di Priamo, della fuga di Anchise sorretto da Enea,
curata per l’editore Paravia nel 1971.
Di quell’Eneide conservo ancora l’edizione che egli ci fece adotta-
re, un’edizione precedente, curata nel 1963 da Adriano Bacchielli,
cattolicissimo anche lui. Inutile nascondere quali curvature, non di
rado pedantesche sino al filisteismo, si nascondano in quella lettura
bacchielliana dei classici, come in tante altre letture della scuola italiana
del tempo. Ma quanto di questo spirito era in Possenti? Molto, ritengo,
e nello stesso tempo poco. Quali fossero le sue idee è facile dedurlo. Ri-
penso alla volta che ironizzò sul progressivo storpiamento del grecismo
“cinematografo”, da “cinema” a “cine”, e a quanto in questo puntiglio vi
si trovasse di fiero conservatorismo, di sarcasmo antitecnocratico.
Ma il marchio ricevuto da lui sta in altro, nella grazia del suo parlare,
nell’abilità con la quale sapeva dosare severità estrema ed estrema
affabilità, specie nella sua attenzione, nella sua vicinanza. Come quando
apprese della mia attività poetica, stimolandomi, dopo aver richiesto
espressamente di poter leggere alcuni dei miei primi tentativi, a coltivar-
la. I versi di gusto alquanto carducciano che gli consegnavo, sedicenne,
nell’ottobre del 1983 in occasione della cerimonia di commiato per il
pensionamento, dinanzi a tutti i docenti e gli allievi dell’istituto, furono
anche un modo per dimostrargli la mia riconoscenza. Con lui studiare
era come intraprendere un viaggio. Era uno di quei rari insegnanti che,
molto prima del proprio sapere, aveva il dono di trasmettere il proprio
entusiasmo. E davvero, posso dire, la mia passione per gli studi ha avuto
inizio solo allora.
Gli anni del ginnasio restano per me il più bel momento, forse l’unico
bel momento della mia formazione preuniversitaria. Le altre figure al
confronto, alcune peraltro valide, hanno lasciato
in me ricordi fievoli e sbiaditi. Caso a parte forse
quello di Italia Binchi, mia maestra elementare,
appartenuta anche lei a quella generazione di
insegnanti capaci di ergersi a sintesi vivente
del sapere, quando di metodologie interattive
dell’apprendimento, di interdisciplinarismo, mal-
grado l’attivismo americano, Piaget, la Montesso-
ri e via dicendo, ancora neppure si sognava nella
scuola italiana. Tutto il resto è nebbia, grigi, tristi
e dimenticabili ricordi. Compagni elogiati come
semidei solo perché abili nel pappagallismo no-
zionista, insegnanti poco preparati o preparatis-
simi ma del tutto privi di comunicativa, svogliati,
quando non arroganti e incivili. E intanto, una
rock band inglese additava il sistema scolastico
come another brick in the wall.
Ripenso alle letture in classe che dei miei temi
Possenti fece, un paio di volte, in quarta ginnasio.
Non che fossero niente di speciale, ma è che gli
piaceva notare in me il desiderio di capire, di arti-
colare pensieri e ragionamenti, esporli con un mi-
nimo di logica e di stile. E penso a quello che mi capitò più tardi al liceo,
con insegnanti di tutt’altra risma. In particolare un tema su questioni di
attualità nel quale auspicavo l’applicazione didattica su larga scala del
computer e delle nuove tecnologie, allora ancora bersaglio - internet e
“sussidi informatici” erano in mente dei - del pregiudizio ludicista che
li vedeva solo come passatempo per lavativi, e l’accusa che mi vidi
rivolgere (al di là del “quattro”) di essere una testa calda, un contesta-
tore incosciente, e, chissà, forse persino un potenziale sovversivo. La
realtà, a me sembra, è che al mondo esistono insegnanti che insegnano
e insegnanti che sono quello che insegnano.
I primi nell’allievo vedono anzitutto ciò che non va, ciò che non sa, i suoi
limiti, le sue inevitabili mancanze, e per questo cercano con ogni mezzo
di reprimerle, per farlo essere ciò che non è. I secondi sono quelli che
nell’allievo sanno vedere ciò che c’è, le mille potenzialità nascoste in lui,
e che l’aiutano a tirarle fuori, a tradurle in un senso e uno scopo capaci
di alimentare ogni momento della sua esistenza. n
Walter Mazzitti è un romantico. Romantico perché amò Berlu-
sconi, anche se solo per due anni. Fu uno dei venti fondatori
di Forza Italia che nel lontano 1993 davanti al caminetto di
Arcore progettava, architettava, ruminava un Ventennio.
Scrisse anche buona parte del programma di governo. “Ogni movimento
rivoluzionario è romantico per definizione” sanciva Antonio Gramsci e
a quel tempo il Burlesque forse era veramente rivoluzionario dinanzi al
potere costituito di una sinistra già consolidata e che si avviava a vince-
re un match senza avversari.
A Mazzitti le sfide lo esaltano:
“Ho dato 15 ore al giorno della
mia vita, non ho preso mai le
ferie in cinque anni, ho lavora-
to il sabato e la domenica, ho
sottratto il mio tempo alla fa-
miglia, però quando mi hanno
mandato via non è che hanno
mandato via solo me, bensì
hanno creato un problema al
territorio”. Così parlò l’avvocato teramano nel 2007 una volta via dall’en-
te Parco in un’intervista rilasciata proprio a Teramani. L’avvocato è
stato anche uno dei primi in Italia a fondare una lista civica: in consiglio
comunale si sedeva allora tra Bettini, Scuccimarra e Pannella, “grandi
personaggi”. Per pietà non facciamo paragoni con la pochezza d’oggi.
“Sono stato a fianco di personaggi famosi come Veltroni e D’Alema e
nel mio impegno europeo ho mediato tra Arafat e il re di Giordania”.
Romantico lo è proprio: basta sentirlo quando parla della sua città, con
una severa riflessione, che sfiora l’amarezza, propria di chi ha amato
tanto ma in qualche modo non è stato ripagato. Non a caso possiede
proprio quell’aurea poco mediocritas e molto intensa, culturalmente
vivace, che allontana il volgo, quel volgo che in genere in questi casi, in
tempi soprattutto di elezioni, mostra la diffidenza di una serva davanti a
mele e pere nel mercato del sabato. La sua scorza apparentemente da
grand commis di stato, forse non lo agevolerà a farsi digerire dall’elet-
torato che va avanti a slogan, soprattutto in un paese dove più del 50%
quest’anno non ha letto neanche un libro. Ma lui va avanti per la sua
strada perché l’amore è anche schiavitù: le catene hanno bisogno di
ideali per essere rotte e a Walter l’occasione per innamorarsi di nuovo si
è presentata pochi anni fa a Santo Stefano di Sessanio. Lì ha conosciuto
Matteo Renzi, a quel tempo in veste di presidente della Provincia: in
ballo il recupero del borgo. “I Medici hanno dominato quelle lande che
erano solcate da sette milioni di pecore: il paesino con la torre rappre-
sentava all’epoca, si parla del ‘500, una sorta di piccola Patagonia dove
i Benetton di allora tosavano per portare in città la lana per adornare
i capi di abbigliamento. La collaborazione con il rottamatore proseguì
nella città gigliata, quando il Mazzitti del Parco, fors’anche un po’ in
vena a scimmiottare Oliviero Toscani, fece esporre in riva all’Arno uno
striscione provocatorio recante lo skyline di Santo Stefano, con la dici-
tura “Tornate a casa”, dove per casa chiaramente s’intendeva il vecchio
feudo mediceo. Ancora una volta al cuor non si comanda. “Matteo Renzi
è un promettente giovane di 38 anni – ha riferito l’avvocato -; di lui dob-
biamo capire
l’espressione
coraggiosa, le
idee chiare, la
comunicazio-
ne che rico-
pre sempre le
istanze e che
dà speranza e
rassicurazio-
ne; il mio da-
tore di lavoro
(Letta jr nda)
non è così
capace. Dare sostegno a Renzi resta l’unica opportunità di riscatto per
il paese perché non ne abbiamo altre”. E’ sicuramente amore a prima
vista. Di nuovo. Il consigliere giuridico del primo ministro si è dunque
già tuffato nell’agone politico. Si scaglia contro la Regione Abruzzo: “Non
conta nulla, come se non esistesse, tanto che in una guida giapponese
al posto del suo nome ci sono solo trattini grigi, che umiliazione!”. Stes-
so energico trattamento è riservato all’attuale politica teramana. Senti-
te: “La nostra città è diventata ormai una grande periferia senza identità
e valore, vent’anni fa era ridente ora invece è inutile perché anch’essa
non ha più un progetto. Ai giovani, che vivono in un altro mondo, fuori
dai principi ispiratori della nostra società, dico che non hanno più un
futuro qui, dovranno andare via al più presto perché Teramo è stata
azzerata economicamente e socialmente. Questo è il momento più
difficile della nostra storia: l’unico faro resta Matteo Renzi”. Mazzitti si
auspica una svolta culturale per il capoluogo ma anche per la nazione,
a partire dalla scuola: “Non stiamo preparando le future generazioni in
questo paese depresso dove purtroppo mancano gli esempi positivi”.
“Io sono a disposizione” ha infine dichiarato. E di mezzo c’è la corsa
per il Palazzo, per il Municipio, per sfilare lo scranno a Maurizio Brucchi.
“Metto in gioco la mia vita e professionalità” è il suo obbedisco. Mazzitti
metterebbe a disposizione le sue competenze, i suoi notevoli know
how, per cercare di rottamare la vecchia politica che è diventata “una
classe dirigente inefficace e incapace di dare risposte”. n
Politica teramana6n.94
Da Berlusconia Renzi: Mazzitti scende in campo
diMaurizioDi Biagio www.mauriziodibiagio.blogspot.com
La mobilitazione della Coldiretti “La
battaglia di Natale: scegli l’Italia” che si
è estesa dal Brennero a Roma in Piazza
Montecitorio per difendere l’economia e
il lavoro dalle importazioni di bassa qualità che
varcano le frontiere per essere spacciate come
italiane ha evidenziato che il 27 per cento dei
170 tir, camion e container fermati e controllati
al presidio di agricoltori ed allevatori al valico
del Brennero trasportava prodotti alimentari
stranieri destinati ad essere venduti come
Made in Italy. “Abbiamo verificato personal-
mente quanto sia grave il problema della
mancanza di trasparenza sull’origine degli
7Coldiretti informa
alimenti che ogni giorno portiamo in tavola
e che fanno concorrenza sleale alle nostre
produzioni”, ha affermato il presidente della
Coldiretti nell’apprezzare il sostegno delle Isti-
tuzioni alla battaglia della Coldiretti per avere
al più’ presto l’obbligo di indicare in etichetta
la provenienza di prodotti agroalimentari. E’
sconvolgente trovare spaghetti cinesi in un
camion ceco diretto a Firenze, tipico esempio
di triangolazione Cina-Paese dell’Est europeo-
n.94
Diecimila allevatori e coltivatori alValico del Brennero
diMassimilianoVolpone Direttore Coldiretti Teramo
Italia, ma è impressionante constatare la
quantità di latte proveniente da Germania
e Polonia e destinato a aziende private e a
cooperative italiane per diventare latte a lunga
conservazione e formaggi “italiani”. Mozzarelle
provenienti dalla Germania e destinate alla Si-
cilia, latte proveniente dalla Polonia e destinato
alla Lombardia, cagliate industriali per fare il
formaggio provenienti dal Belgio e destinate a
Verona, prosciutti provenienti dalla Germania
e destinati a Modena. Sono solo alcuni degli
“inganni” smascherati al valico del Brennero
dalle migliaia di agricoltori della Coldiretti. Tra
i tanti prodotti trasportati dai Tir che entra-
vano nel nostro Paese, i carabinieri dei Nas
hanno prelevato dei campioni di prosciutti non
timbrati sui quali fare delle analisi. L’inventario
del “falso Made in Italy” stilato al presidio dalla
Coldiretti per difendere l’economia e il lavoro
dalle importazioni di bassa qualità che dopo
aver oltrepassato le nostre frontiere vengono
spacciate per italiane, conta anche piante olan-
desi dirette a Latina, fiori prodotti in Equador,
transitati in Olanda e diretti in Veneto e in To-
scana, patate tedesche destinate a un mercato
ortofrutticolo della Sicilia. Ma non mancano
il pane precotto congelato con destinazione
Bolzano e Mantova dove andrà a “spiazzare” i
pani artigianali italiani che sono spesso simbolo
di identità territoriale e gli albumi d’uovo prove-
nienti dall’Olanda con destinazione Veneto. n
per la battaglia di Natale del Made in Italy
L’ opera di Thomas Mann, La monta-
gna incantata, cambia finalmente
nome. È appena uscita una nuova
edizione della Mondadori (Collana
I Meridiani), a cura del noto germanista
Luca Crescenzi, con la traduzione di Re-
nata Colorni, che ha scelto di modificare
l’aggettivo da “incantata” a “magica”.
Non è stata un’impresa facile, perché
ormai la traduzione italiana aveva divul-
gato l’altro titolo, diventato comune per
i tanti lettori. Tuttavia Der Zauberberg,
(come Zauberflöte che è Il flauto magico)
si traduce proprio con “La montagna
magica”, come aveva già proposto il noto
traduttore Ervino Pocar.
Il romanzo, progettato in principio come
un racconto breve, trae ispirazione dalla
permanenza della moglie di Mann nel
sanatorio svizzero di Davos. La narrazio-
ne però si amplifica fino alla versione
attuale.
Siamo nell’estate del 1907 e Hans Ca-
storp, il protagonista del romanzo, si reca
in visita al cugino Joachim, malato di tisi,
presso il sanatorio di Davos in Svizzera.
Lì rimane stregato dal fascino di quel
luogo paradisiaco, per l’incanto delle Alpi,
per le sane abitudini dei cittadini, per la
conoscenza di persone stimolanti, come
l’italiano Lodovico Settembrini e l’ebreo
Leo Naphta. Vi incontra anche un’affasci-
nante donna, la russa Claudia Chauchat,
di cui si innamora profondamente, senza
però riuscire a manifestarle il suo senti-
mento. In origine Hans doveva trattenersi
in Svizzera per tre settimane, in realtà vi
rimane per sette anni, poiché scopre di
essere affetto da una malattia polmonare,
risvegliata proprio dall’aria d’alta quota.
Hans comincia allora a trovare difficile
l’idea del ritorno nel mondo di “laggiù”,
dove vivono uomini ordinari, seppure
spronato in tal senso da Settembrini.
Durante una festa di carnevale, Hans
confessa il suo amore a Claudia, che lo
respinge brutalmente e l’indomani abban-
dona persino il sanatorio. Si ripresenterà
più tardi con un brillante olandese, Pieter
Peeperkorn, che raffigura l’edonismo e
la gioia, in contrapposizioni al razionali-
smo e alla compostezza di Settembrini
e Naphta. Nel frattempo l’ansia e il
tormento, che precedono lo scoppio della
Prima guerra mondiale, invadono anche il
mondo di “lassù”. Allora anche Hans deve
abbandonare quel luogo incantato per
andare a combattere.
È difficile classificare La montagna
magica in modo univoco: esso infatti è
insieme romanzo psicologico, romanzo di
formazione, romanzo di idee.
La complessità dell’opera richiama la
tessitura delle opere musicali (lo stesso
Mann consigliò di leggerlo almeno due
volte per coglierne tutta l’essenza), vi
si concentrano infatti la filosofia e la
scienza del periodo, le teorie estetiche, la
psicanalisi, proposta da poco da Sigmund
Freud.
Il romanzo apre a una riflessione di
natura filosofica e politica. “L’apoliticità
non esiste. Tutto è politica”, scrive Mann,
invitando gli uomini a una partecipazione
concreta alle criticità della propria epoca.
Nulla è estraneo all’uomo quanto l’indif-
ferenza verso i propri simili: “La morte di
un uomo è meno affar suo che di chi gli
sopravvive”.
Il personaggio di Settembrini rappresenta
le idee illuministiche settecentesche, è
infatti assertore della preminenza della
ragione sul sentimento. La ragione può
sollevare l’uomo dal tormento e dal peri-
colo della morte. In opposizione alle idee
di Settembrini, si muove la concezione
esistenziale di Naphta, che nega come
possibile la felicità e fa proprio il pessimi-
smo di Schopenauer e Nietzsche, filosofi
molto cari a Mann.
“L’autore sente che il mondo borghese al
quale egli stesso appartiene è spiritual-
mente impoverito e malato; il sanatorio
di Davos non è che una rappresentazione
parodistica di quel mondo che sublima
la malattia come uno stato che rende il
malato eccezionale e intellettivamente
superiore rispetto al sano”.
Mann rigetta questa convinzione e con-
danna l’idea secondo la quale “l’essere
fuori dal mondo” possa condurre l’indivi-
duo alla felicità e a una forma superiore
di conoscenza. Solo nella società e non al
di fuori di essa, attraverso la scelta di un
impegno responsabile, si può realizzare la
propria umanità. “Le opinioni non posso-
no sopravvivere se uno non ha occasione
di combattere per esse”.
Nel finale del libro Mann abbandona
il lettore a un interrogativo che ha il
sapore di una sentenza inappellabile:
“Chissà se anche da questa mondiale
sagra della morte, anche dalla febbre
maligna che incendia tutt’intorno il
cielo piovoso di questa sera, sorgerà un
giorno l’amore?”. n
Il libro del mese8 [email protected]
La montagnamagica (incantata)
n.94
diMaria Cristina Marroni
Satira10n.94
Sono trascorsi tempi biblici da quando questo periodico
approfittò con tempismo e in esclusiva, nell’articolo “La
redistribuzione dei pesi sociali”, numero 23 del marzo 2006, di
raccontare le aspre vicissitudini di quel
che divenne poi noto con il nome di Aphra
Katzø, profugo norvegese, illustre luminare del-
le osservazioni atomiche. Grande studioso di
mutamenti genetici, esperto di nanotecnologie
e precursori nanofasici, dispositivi mesoscopici,
dottrine della manipolazione nucleare, assem-
blaggi di nanostrutture e fullereni aggregati.
Nel 2014 (d. C.), dopo i chiodi storti malmessi
nell’intonaco corrotto, di umide pochezze, in un
territorio schernito con politiche improbabili,
chiodi dozzinali, materiale scadente svenduto
tra gli scaffali e il becerume di una ferramenta
marcata dai più nefasti familismi amorali e
nepotismi, tanto credi che finalmente scenda
giù per sempre la saracinesca, a farla finita su quella bottega, cupola
di famiglie di amici di amici, la speranza in un risorgimento non sarà
più l’ultima a morire. Forse si tornerà a votare. In un giorno risaputo
soltanto da chi greppia nelle caste.
“In cima al Castello Della Monica gruppi di persone si erano radunati
per vedere il ritorno delle macchine; attraverso questo canale di po-
vertà e paralisi fluiva il benessere, la forza delle industrie. Di tanto in
tanto, dai gruppi di persone in attesa, si levava alto il grido di saluto
degli oppressi, oppressi e contenti di esserlo” (Joyce) .
Paese iniquo quello dove il potere è giunto a livelli di disinteresse
e miserabilità d’animo, che arriva a frantumare la cultura politica,
nebulizzare il senso dell’etica civile, ammettendo e legittimando
come locuzione gestuale, seppure condizionata da riflessi ingestibili
ereditati da una dubbia educazione, il rozzo portamento del dito
medio esibito solitario nella mano chiusa a pugno di compagno e
concluso da esponenti di rilievo in un panorama impresentabile di
politici nominati ed eletti già prima nelle segreterie di partito. Paese
iniquo perché in Parlamento siedono ancora indisturbati telefoni-
sti da linea rossa, come caricature fuori del tempo, a fare il verso
alle schermaglie telefoniche dei John Fitzgerald Kennedy e Nikita
Sergejevic Kruscev. Una contestazione pacifica e democratica si
sarebbe dovuta abbandonare a rinunce dai lavori parlamentari fino a
quando l’operatore del call center customer non si fosse dimesso dal
perseverare nel marketing di uno squallido “Chiamami e presto sarai
fuori dal carcere”.
Paese iniquo e popolo iniquo. Il concepimento senza alcuno sdegno
dell’arricchimento illegale dei furbastri. Il menefreghismo. Una proget-
tazione studiata in anni di spazzatura mediatica che ha delimitato la
decenza del popolo esterrefatto dai Truman Show brianzoli al di sotto
dello scroto. Con la differenza che Truman riuscirà a ribellarsi al proprio
pirandelliano autore per trovare la sua libertà. Nel nostro territorio, sem-
pre in controtendenza, il Christof, deus ex machina del reality realizzato
da Peter Weir, con passo felino e ingordigia persevera nei suoi plagi, dai
prodromi oscuramente ereditari. Popolo iniquo che costeggia i perimetri
di una persona ostile alle regole e alle leggi, i contorni nebulosi di chi ha
preteso dalle più alte cariche dello Stato l’accettazione di esposizioni
sulla magistratura: «L’escalation è inarrestabile: si parte sostenendo che
per fare il lavoro di magistrati bisogna essere malati di mente o che i
magistrati (variazione leggiadra) sono un cancro da estirpare; si prose-
gue invocando una commissione d’inchiesta col compito di stabilire che
la magistratura è un’associazione a delinquere
con fini eversivi» (Gian Carlo Caselli, Corriere
della Sera, 27 aprile 2011). Uno strapazzato
della e non dalla politica ha avuto l’ardire, mi
si perdonerà l’eufemismo forzato, di formulare
un assunto dogmatico sulla presunzione di
responsabilità da parte di un notabile abruzzese
dipartito per essere stato il fondamento di un
sistema che ha traghettato la nostra regione da
una architettura produttiva schiettamente agri-
cola verso un disegno imprenditoriale progredito
e redditizio. Quello dell’industria, del terziario,
della conoscenza.
“Per competere con parolai incapaci di
pensare per sessanta secondi di seguito? Per
sottomettersi alla critica di una classe borghese che aveva messo la
morale nelle mani della polizia e le arti in quelle degli impresari? No,
grazie!”. Questa la chiosa di Aphra Katzø. n
Aphra Katzø denuncia e svuota il saccoLa redistribuzione dei pesi sociali
diMimmoAttanasii
Gli esercenti diVia Roma e Via Tevere
Sarà dunque il 52enne genovese Paolo Rolleri a reggere le sorti
di Circonvallazione Ragusa. Succederà a Giustino Varrassi,
ingabbiato tra i suoi problemi giudiziari e l’ostracismo palesato
da molti assessori della giunta Chiodi, che nel momento della ri-
conferma l’hanno ritenuto più un peso che un valore aggiunto. Advisor
della Kpmg, società di consulenza cui è stato affidato dalla Regione
Abruzzo il Piano di rientro, è stato fino al 19 Aprile scorso il direttore
generale dell’Irccs San Raffaele Pisana e precedentemente presidente
del Centro di Biotecnologie Avanzate, nonché Consigliere per la sanità
della Regione Liguria. Si definisce assolutamente un tecnico e conosce
bene le problematiche sanitarie della nostra regione. Chiodi ha apprez-
zato molto il suo lavoro e non è un caso che oggi sia qui. Su Teramo
ha le idee chiare: “E’ una buona Asl – dice - non solo in Abruzzo, ma
in Italia”. In cima ai suoi grattacapi da subito, liste di attesa e mobilità
passiva. “Voglio essere giudicato sui fatti” conclude.
Rolleri, quando ha saputo della notizia della nomina?“Poche ore prima di quel lunedì 25 novembre; da due giorni venni a
sapere che c’era questa possibilità, poi c’è stata un’evoluzione rapida”.
Conosce la situazione della Asl teramana?“Conosco bene la situazione abruzzese, sono due anni che non vengo
qui: prima ero consulente Kpmg per il Piano di rientro sanitario; c’è
stata sicuramente un’evoluzione da quando sono andato via Conosco
in particolare la Asl di Teramo che è una buona Asl, questo non solo
nel panorama abruzzese ma nazionale”.
Difatti ha un attivo di 23 milioni ma anche tanti altri guai.“Sì, una controtendenza iniziata qualche anno fa e sta continuando in
maniera assolutamente positiva come in tutto l’Abruzzo, per il resto
devo ancora verificare”.
Mi dia un giudizio sull’operato di Varrassi.“L’ho conosciuto poco perché non abbiamo avuto molti contatti,
sinceramente, per quanto ne so, è una persona di profilo scientifico
importante ma non lo conosco abbastanza per dare un giudizio, a
parte che non do giudizi sulle persone in generale, non è il mio ruolo.
Sono abituato a guardare avanti, non indietro, cerco di risolvere i
problemi, se ce ne sono, poi ognuno porta la sua esperienza nel lavoro
che svolge, la mia ha molteplici aspetti”.
Partiamo con alcuni problemi della nostra Asl: liste di attesa.“È un problema che presenta diverse sfaccettature, i cittadini non pos-
sono più aspettare e le prestazioni che vengono fornite devono essere
appropriate, bisogna dare risposte certe con prestazioni appropriate.
A parole è facile ma mettere in pratica ciò è abbastanza difficile. Non
si può fare un discorso generale, ma affrontare gli argomenti caso per
caso, prestazione per prestazione, cercando di vedere come poter
intervenire. In sanità l’offerta genera la domanda”.
Altra spada di Damocle: la mobilità passiva.“Questo è un problema generale a tutte le regioni e le Asl di confine,
non solo di Teramo. E’ molto facile per un privato dire vieni da me do-
mani: è una concorrenza difficile, bisogna lavorare molto sulla qualità
dei servizi, cercare di rendere affidabile i servizi interni in un tempo
ragionevole, perché altrimenti il privato ha buon gioco”.
Lei come si sente: più tecnico o politico?“Sono assolutamente un tecnico. Ho avuto la fortuna di avere persone
che mi ha scelto per quello che pensavano che io potessi dare”.
Che rapporti ha avuto con il governatore Chiodi?“Ho avuto modo di conoscerlo attraverso il ministero della salute e
dell’economia, con la redazione del piano di rientro, evidentemente ha
apprezzato il mio operato”.
Che impressioni ha ricevuto dall’Abruzzo?“Ottima. Mi sono trovato sempre bene in Abruzzo: in cinque anni ho
lavorato per il ministero almeno due-tre giorni alla settimana , mi
sono trovato sempre bene, sia con le persone che con gli uffici, ed
anche con il modo che ha il presidente di affrontare i problemi che è
un approccio da tecnico, di quelli che le cose vanno fatte, punto. E a
me piace questo, io non amo chiacchierare, provo anche a risolverli i
problemi, spero di riuscirci”.
Lei è dg dell’Irccs del San Raffaele di Roma?“Lo sono stato. Mi sono dimesso il 19 aprile scorso”.
Ma davvero è stato consulente di Tremonti?“Sono stato consulente in qualità di advisor di kpmg di alcuni ministri,
non di Tremonti”.
Verrà da solo a Teramo o con la famiglia?“Da solo, sono sempre stato zingaro e non ho mai coinvolto la mia
famiglia in queste cose, purtroppo il mio lavoro mi porta ad andare in
giro per l’Italia, sarebbe assurdo far fare questa vita alla mia famiglia”.
Allora Rolleri, buon lavoro.“Grazie tante. Guardi a me piace collaborare con la stampa, così
come con tutti gli operatori del settore: voglio avere informazioni so-
prattutto dal basso, lavorando sul territorio. E’ molto difficile vedere
i problemi stando seduti su di una poltrona, non lo farò sicuramente:
amo girare per i reparti per vedere i servizi, per capire quali siano
i problemi, però non posso capire tutto, sono aperto a qualunque
segnalazione di problemi”. n
Sanità12n.94
SaràPaolo Rolleri il sostitutodi Varrassi
diMaurizioDi Biagio www.mauriziodibiagio.blogspot.com
Un advisor al quinto pianodella Asl di Teramo
La dislessia è un disturbo che si manifesta nella difficoltà di ap-
prendere a leggere nonostante un’istruzione idonea, un’intel-
ligenza adeguata, un’integrità neurosensoriale e un ambiente
socioculturale favorevole.Essa dipende da disabilità cognitive
di base che sono frequentemente di origine costituzionale (world
Federation of Neurology, cit. in Ellis, 1984).
E’ caratterizzata dalla difficoltà nella lettura e nella scrittura, ma
può riguardare anche altri ambiti cognitivi come la memoria e
l’organizzazione spazio-temporale e talvolta è associata a difficoltà
matematiche (Discalculia). Compare all’inizio dell’attività scolastica
e il primo segnale è la lentezza nell’associare una lettera scritta
ad un suono. Si confondono così suoni simili, come “D” e “T”, “P” e
“B”, “F” e “V”. La lettura risulta difficoltosa, lenta e scorretta, e na-
turalmente questo viene trasferito nella scrittura. La dislessia non
è conseguenza di problemi di ordine psicologico, come per tanti
anni si è creduto. Non è una malattia. I dislessici sono persone sane
che non hanno deficit sensoriali di udito o di vista e che non hanno
alcun disturbo neurologico o psichico, inoltre il loro quoziente di
intelligenza è nella norma o addirittura superiore. Anzi, è proprio
questo uno degli elementi diagnostici per stabilire che si tratta di
dislessia, ovvero di un “ disturbo dell’apprendimento”.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità classifica la dislessia e altri
disturbi specifici di apprendimento come disabilità, per cui non è
possibile apprendere la lettura, la scrittura o il calcolo aritmetico
nei normali tempi e con i normali metodi di insegnamento.
Un dislessico non guarisce (in quanto affetto da malattia), ma so-
prattutto migliora, e a volte riesce quasi interamente a superare lo
svantaggio che questa sua disabilità costituzionale gli procura.”
La dislessia non dipende dal quoziente intellettivo, infatti questa è
una breve lista dei più famosi dislessici.
Scuola14n.94
La dislessia
diMaria Gabriella Del Papa [email protected]
Disturbi specifici di apprendimentoi (dsa): un’emergenza educativa
Grande innovazione risulta essere l’arrivo della legge 8 ottobre
2010, n. 170 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 244 del 18
ottobre 2010. In nove articoli riconosce e definisce la dislessia
(lettura), discalculia (calcolo), disgrafia e disortografia (scrittura),
stabilisce le finalità, la diagnosi, la formazione nella scuola ed offre
misure educative e didattiche di supporto, misure per i familiari e
disposizioni di attuazione.
Si è giunti, finalmente, a formulare una legge che tuteli e difenda i
DSA, ma perché questa legge?
Innanzitutto poiché è il continuum di un iter legislativo “ stori-
co”: sancisce i principi generali che devono guidare gli interventi
educativi, sanitari, riabilitativi; rimette in discussione atteggiamenti
culturali consolidati come indifferenza, delega ecc; rappresenta
un’opportunità per ampliare, migliorare, innovare l’offerta formativa
della scuola.
E’ importante riconoscere la dislessia, vi sono potenziali segnali
di allarme come il permanere di una lettura sillabica ben oltre la
metà della prima classe primaria, la tendenza a leggere la stessa
parola in modi diversi nel
medesimo brano, il perdere
frequentemente il segno o
la riga; a livello scritto errori
che si presentano a lungo
e in modo non occasionale,
nei ragazzi più grandi estre-
ma difficoltà a controllare
regole ortografiche o pun-
teggiatura.
L’osservazione delle
prestazioni atipiche risulta
essenziale per una diagnosi,
bisognerebbe in una prima
fase, d’interesse scolasti-
co, osservare le specifiche
abilità nei domini anch’essi specifici; nella seconda intervenire sul
piano educativo specifico con attività di recupero e potenziamento;
in una terza fase una comunicazione alla famiglia per una consu-
lenza specialistica (diagnosi).
La scuola ha quindi il compito di offrire una didattica individualizza-
ta con attività specifiche di recupero ed avere flessibilità nell’orga-
nizzazione didattica.
Ha inoltre l’obbligo di provvedere all’introduzione di strumenti
compensativi, compresi i mezzi di apprendimento alternativi e le
tecnologie informatiche, nonché misure dispensative da alcune
prestazioni non essenziali ai fini della qualità dei concetti da ap-
prendere (art. 5 comma b).
Risulta essere molto importante curare, in particolar modo, la
dimensione relazionale e le variabili emotive in gioco nell’alunno
con DSA, affinché siano positive tutte le attività e proficui gli sforzi
fatti lungo il percorso integrativo dei soggetti. A tal proposito biso-
gnerà promuovere il successo scolastico, rafforzare l’autostima, la
motivazione, lo stile attributivo, il senso di autoefficacia, il clima di
classe inclusivo e la partecipazione dei compagni.
Ricordiamo tre parole essenziali in tutto questo processo educati-
vo: conoscere, riconoscere e intervenire. n
Nel Parco Fluviale del Vezzola , il Comune
di Teramo ha realizzato un Micronido “La
Casetta sul fiume”, rivolto ai bambini da
18 a 36 mesi, gestito dall’Amministrazione
Comunale di Teramo attraverso l’ATI , costituita
dalle Cooperative Sociali: Nuovi Orizzonti – Leo-
nardo - Filadelfia. La gestione avviene mediante le
direttive e i parametri organizzativi determinati dal
Comune di Teramo. L’ubicazione è nell’oasi del Parco, un luogo privile-
giato di giochi, conoscenze, colori, suoni, emozioni…
Per i bambini, il gioco oltre ad essere una forma di conoscenza del
mondo rappresenta una forma di comunicazione e di esperienze emo-
tive. Nel servizio educativo, mediante la condivisione delle tematiche
pedagogiche con le famiglie dei bambini si è in grado di affrontare la
complessità in campo educativo, rispondendo ai diritti fondamentali
dei piccoli come il diritto all’accoglienza , alla cura, al sostegno nella
costruzione della dimensione sociale e cognitiva, il diritto ad un’inte-
grazione delle differenze. Un servizio in grado di promuovere la cultura
dell’infanzia e il coinvolgimento dei quartieri, dei cittadini, scuole,
agenzie educative e culturali. Il Micronido, frequentato da 54 bambini,
rappresenta una notevole opportunità per i piccoli che sono accolti da
un Personale Educativo competente, in grado di proporre significative
esperienze: di socializzazione, apprendimento, laboratori creativi ed arti-
stici. Nelle sezioni “I Gufetti” e “ L’Isola felice”, le insegnanti: Adelina Ra-
gonici, Cinzia Mercuri, Elisabeth Lorenz, Antonella Pepe, Giuseppina Di
Silvestre, Lidia Merlini, con l’aiuto delle collaboratrici Barbara Andreoni e
Monica Graziano, seguono con impegno, entusiasmo e passione i piccoli
allievi, rendendo gli ambienti luoghi di incontri, scambi, relazioni e lin-
guaggi creativi. Luoghi costruiti per i bambini che diventano protagonisti
delle proprie conoscenze. Il 29 novembre si è svolto il Consiglio di Nido
per l’elezione dei rappresentanti dei genitori dei bambini iscritti. Dopo
la presentazione del Progetto Didattico “ Piccoli
Artisti crescono” da parte della Direttrice e del
Coordinatore dell’ATI Dott.ssa Alessia Frattaroli, si
è proceduto , in un contesto sereno e collabora-
tivo , alle elezioni dei rappresentanti. Sono state
elette le signore: Presidente del Consiglio di Nido
Melissa Nori - Rappresentante della Sezione “l
Gufetti” Francesca Tritapepe – Rappresentante
della Sezione “L’Isola felice” Olimpia Centurami.
Durante l’Assemblea gli intervenuti hanno ap-
prezzato la qualità del servizio offerto dal Comu-
ne di Teramo ed il delicato lavoro educativo delle
maestre, in grado di far raggiungere ai bambini
obiettivi importanti per la loro crescita. In particolare il Progetto annua-
le “Piccoli Artisti crescono” consentirà ai piccoli , mediante la realizza-
zione di laboratori creativi all’insegna dell’arte, di imparare a conoscere
le proprie emozioni e in un ambiente colorato da un’atmosfera serena
a dare voce anche a momenti di affettività negativa.
È noto nel campo della ricerca psicopedagogica che i bambini educati
a conoscere le proprie emozioni, in futuro sapranno dare colore e forma
alla propria dimensione interiore. Ai piccoli verrà proposta la fruizione
di opere pittoriche in cui artisti famosi come Van Gogh, Monet… hanno
rappresentato, attraverso il linguaggio artistico, le proprie emozioni. Nei
laboratori espressivi, i piccoli allievi mediante “l’imparare facendo”, con
l’attenta regia educativa delle maestre che promuoveranno atteggia-
menti di scoperta, utilizzando strategie didattiche basate sull’apprendi-
mento attivo, diventeranno dei piccoli artisti in erba. n
15La Teramo dei piccoli
Piccoli Artisti crescono
diFlorianaFerrari [email protected]
n.94
nella Casetta sul Fiume
Claude Monet, oltre a dipingere alcune
albe e tramonti che hanno dato l’avvio
all’arte moderna, amava le donne e gli
abiti di classe. Da ragazzo iniziò a accumulare
delle somme rispettabili schizzando caricature
dei commercianti di Le Havre che vendeva per
qualche decina di franchi: ‘Se avessi conti-
nuato’ ricordava l’artista tempo dopo ‘sarei
diventato milionario’. Ma l’amore per la pittura
gli fece preferire all’inizio una vita di stenti.
Giovane e spesso in bolletta scompariva not-
tetempo dalle locande con la compagna per
non pagare il conto, ma in fatto di gonnelle
e eleganza era intransigente: ‘Io vado a letto
solo con le duchesse e con le cameriere.
Possibilmente le cameriere delle duchesse’.
Figlio di un commerciante in società con
una zia, amava farsi confezionare gli abiti su
misura, ma non era altrettanto disposto a
ricompensare con moneta contante le fatiche
dei sarti. Una volta un onesto costumista ne
ebbe abbastanza e pretese il saldo del debito.
‘Monsieur’ protestò il pittore ‘se continuate a
infastidirmi in questo modo, mi vedrò costret-
to a servirmi altrove’. Lo sfortunato creditore
pensò bene che valeva la pena continuare a
vestire un gentiluomo squattrinato. n
Monet,le donnee i vestiti
Vite inauditedi Yuri Tomassini
Gli esercenti di Viale CrucioliGli esercenti di Viale Crucioli
Gli esercenti di Viale Crucioli
Satira18n.94
I finti poveri sono costati 2 miliardi e 22 milioni di euro all’erario,
le truffe invece solo 1 miliardo e 358 milioni. In poco meno di
10 mesi sono stati denunciati 5.073 dipendenti pubblici. Gente
senza vergogna, senza requisiti e con la
faccia come il culo, che ha ottenuto benefici
impropri. Prestazioni sociali agevolate con-
cesse a 2500 soggetti non aventi diritto e
risultati tali dopo gli 8 mila controlli eseguiti
da parte della Guardia di Finanza (Il Mes-
saggero.it, 1 dicembre 2013). Benefit sociali
quanto l’accesso preferenziale ai servizi per
l’infanzia, la riduzione dei costi per le mense
scolastiche, i buoni libro e le borse di studio
a studenti indigenti con 600 mila euro sul
conto corrente distratto ad arte, piuttosto
ai non abbienti con papà e una Ferrari. E di
certo, non poteva mancare il classico “Cin-
gue e ‘qquattra nove”.
Per intendere appieno quest’ultima frase
andrebbero fatte ruotare le dita della mano
al vento, a un palmo dal naso, in segno di
evidente perseveranza di ruberie. I servizi
socio sanitari domiciliari, le agevolazioni per
i servizi di pubblica utilità, luce e gas. Al di
sotto della Gran Bretagna sugli aiuti pubblici
all’industria. Ultimi in Europa dopo Bulgaria
ed Estonia. Ultimi in Europa nel leggere, scrivere e fare di conto. Un
momento! Chi adesso, se la prendesse con i soliti e solpsistici poli-
ticanti mezze calzette che vagano scoglionati trascinandosi da una
tazzina di caffè all’altra, nella quotidiana perimetrazione con il culo
posto al sicuro contro i muri delle piazze, commetterebbe sciente-
mente un grossolano errore di valutazione.
Da questi elenchi di nefandezze e piccole miserie compiute da chi
fino al momento prima di essere beccato con le dita nella marmella-
ta si è promosso tranquillo, sereno e comunque incorrotto, al netto
della propria indiscussa rispettabilità, esce fuori un disegno parodi-
stico della società. Chi può dirsi debitamente legittimato a scagliare
la prima pietra? Certo, a sentirli parlare dentro la mente, intanto che
si risolvono sui giornali le ridondanze lessicali del beota di turno,
beato per altri confuso, è difficile non transustanziare nell’idrofobia.
Leggere con gli occhiali a mezza lente poggiato a metà naso con i
gomiti sul frigo dei gelati frasi stupide come “abbiamo idee nuove”, è
nel nostro slogan, siamo convinti di quello che diciamo... è pura isti-
gazione a delinquere nei confronti della logica, a cercare di appurare
quali processi di riflessione siano da convalidare e quali da rescinde-
re con un vaffanculo con dedica.
Ampolle di parole svuotate senza ritegno: “liste civiche vere, non di
facciata. Costruite attorno a persone e volti reali che conoscono i
problemi della collettività. Ed è proprio con loro che miriamo al rag-
giungimento di una investitura di qualità della rappresentanza am-
ministrativa per irrobustire il legame di attendibilità verso i cittadini,
ricominciando da ciò che è già stato realizzato”. Ma il canta cazzate
di turno accende la platea prezzolata con la pippa dello psicopom-
po, in una singolare reinterpretazione da parte di Thomas Mann,
nel suo romanzo La morte a Venezia: una immancabile indicazione
della via retta da seguire, la proposta di una manutenzione morale
quale singolarità inderogabile di una essenzialità e verifica dei criteri
politici. Una messa a punto dell’amministrazione della cosa pubblica,
che salvaguardi le fasce deboli a sostegno
dei servizi sociali e non pregiudichi le pre-
gevolezze del passato. Semplicemente una
proposta che unisce il vecchio con il nuovo
simulato, un insieme di sprovvedutezza e
goliardia che giunge da “L’isola che non c’è”
dei talenti nostrani.
Di “eccellenze del cazzo” che hanno ubbi-
dito alla politica per tormento esistenziale,
per mettere a disposizione della comunità
il proprio bagaglio, mai disfatto per non
rifarlo. Un effimero ghiribizzo, un arche-
tipo di ideologie stucchevoli. Il politico,
un gobbo. Un promontorio granitico che
resiste e divide come il colle del Corcovado
a Rio de Janeiro. Il Cristo Redentore che
allarga le braccia in segno di disperazione:
“Non c’è più nulla da fare!”. Una fabbrica di
menzogne che scalda i motori nelle soffe-
renze altrui. E le bugie continuano ad avere
le gambe corte. Al Comune e una pure alla
Regione, le consultazioni elettorali per il
rinnovo degli esecutivi sono visibili all’oriz-
zonte di questa nostra “Povera Patria” (Franco Battiato). Basterebbe
dire una cosa e farne un’altra.
Nel segreto dell’urna, si può provare a ridisegnare un altro destino.
“Truth will out” (La verità verrà fuori). n
Truth will outLa verità verrà fuori
diMimmoAttanasii
Gli esercenti diVia Capuani e Via Duca D’AostaVia Capuani e Via Duca D’Aosta
Fino ad oggi ho parlato sempre e sol-
tanto di musica italiana, questo mese,
invece, voglio parlare del gruppo più fa-
moso e più importante di tutta la storia
della musica popolare, i Beatles. Non è che
io possa pretendere di raccontarvi qualcosa
di nuovo sui “Fab Four”, ma ogni tanto mi
vengono in mente degli episodi che mi fanno
pensare che, se dopo oltre cinquant’anni di
attività, e a più di quarant’anni dallo sciogli-
mento, i Beatles sono ancora così attuali, un
motivo ci deve pur essere. La prima consi-
derazione sul fenomeno, viene dal fatto che
i Beatles hanno inventato un genere nuovo,
il Rock, che prima del loro successo non esi-
steva. Esisteva il Rock’n’Roll, quello classico
di Elvis Presley, Chuck Berry, Little Richard
e tutti gli altri; esisteva il blues, da Muddy
Waters a Howlin’ Wolf; esisteva lo Skiffl e, la
musica giovane dei primi anni 60, ed esiste-
vano i musical, che da Broadway invadevano
il mondo. Niente di tutto questo poteva far
immaginare che, nel giro di qualche mese,
potesse arrivare un gruppo di ragazzini a
sconvolgere tutto. E invece, quattro musicisti
– cantanti – compositori rivoluzionarono il
mondo musicale, la moda e la società del
loro tempo. La prima cosa che salta all’occhio
è che dopo i Beatles, una serie di gruppi fece
il suo ingresso sul mercato del pop, a partire
dai Rolling Stones, da sempre considerati ri-
vali dei quattro di Liverpool, sebbene in realtà
fossero molto amici. Per chiudere immediata-
mente la diatriba, basta notare che il secondo
45 giri dei Rolling Stones, “I wanna be your
man”, porta la fi rma di Lennon e McCartney,
e non era neanche un brano di punta del
loro repertorio, visto che era stato riservato
all’interpretazione del loro batterista, Ringo.
La leggenda – o forse qualcosa di più – narra
che pochi anni dopo, ad una festa in casa di
Mick Jagger, durante la quale ci fu un’irruzio-
ne della polizia, con conseguente arresto di
Jagger, della sua fi danzata Marianne Faithful
e di Keith Richards, ci fossero anche un paio
di “scarafaggi”, pare Lennon e Harrison, e si
dice che furono fatti scappare da una porta
sul retro. La stampa, che ancora oggi collega i
Rolling Stones alla classe operaia ed i Beatles
– i baronetti! – all’alta borghesia inglese, con
aspirazione alla nobiltà, dimentica che nella
realtà era esattamente il contrario, i Beatles
venivano da desolanti sobborghi di una città
industriale, mentre le famiglie degli Stones
appartenevano all’aristocrazia londinese. Per
concludere il rapporto con il gruppo di Jagger
e Richards, basta dare un’occhiata alla coper-
tina di “Sgt. Pepper’s” per trovare la scritta
“Welcome the Rolling Stones”, e cercare
con lo sguardo fra il pubblico presente alla
prima esecuzione (in mondovisione) di “All
you need is love”, per trovare – nel coro – i
soliti Jagger, Richards, Brian Jones e Marianne
Faithful. Negli anni, poi, ho scoperto anche
qualche altra cosa. Ringo, per esempio,
universalmente conosciuto come uno dei
peggiori batteristi della storia del rock, è
veramente un gigante della musica. Prima di
tutto sfi do chiunque ad aggiungere un solo
colpo di percussione in più su una qualsiasi
canzone dei Beatles senza peggiorarla, poi
ho scoperto che la grandezza del “piccoletto”
risiede nell’usare la batteria in modo molto
simile a come vengono usate le percussioni
classiche nell’orchestra sinfonica: non per
mettersi in mostra ma, al contrario, per far
risaltare gli altri strumenti in determinate
parti delle composizioni, infi ne perché, fi n
dagli esordi (There’s a place, sul primo disco)
Ringo è l’artefi ce di un suono che ancora oggi
è all’avanguardia. Un piccolo mito da sfatare
è quello secondo il quale John Lennon, in
un’intervista, avrebbe detto che i Beatles era-
no ormai diventati una specie di religione, e
che, all’epoca, erano diventati già più famosi
di Gesù Cristo. In realtà, quello che Lennon
esprimeva nell’intervista originale, erano
timore e preoccupazione per il fatto che la
fame planetaria del gruppo non consentiva
loro di fare una vacanza in nessun posto del
mondo dove potessero passare inosservati,
la loro popolarità, semplicemente, aveva
invaso tutto il globo, oltrepassando i limiti
imposti da civiltà e religioni. In realtà, oltre un
anno più tardi, qualche frase dell’intervista
era stata utilizzata per compilare un articolo,
su una rivista americana, e la frase, denudata
del suo signifi cato originale, era stata sparata
nel titolo. Fin dagli esordi, racconta invece
Paul, avevano studiato dei travestimenti – a
tutt’oggi mai svelati – grazie ai quali potevano
allontanarsi dai teatri e dalle arene dove il
gruppo si esibiva, sfuggendo all’asfi ssiante
assedio delle fans. A proposito di McCart-
ney e di leggende, qualcuno ha mai sentito
parlare della presunta morte del bassista dei
Beatles, in un incidente stradale, nel 1966?
Ne riparleremo presto. n
Musica20 [email protected]
n.94
diFabrizio Medori
Due o tre cose che so deiBeatles
Via G. De Vincentiis • TERAMO • Tel. 0861.24.23.08
Sì, la spesa che Vale!TERAMO
Via G. De Vincentiis
Tel. 0861242308
Via G. De Vincentiis • TERAMO • Tel. 0861.24.23.08Via G. De Vincentiis • TERAMO • Tel. 0861.24.23.08
Il personale tutto Augura Buon Natale
ed un Brillante Anno Nuovo
CD - GeffenUniversal - 1996
Once Upon A Time: no! Non è l’incipit
una di fiaba ma, di una bella storia
iniziata nel 1985 in quel di Toronto
(Ontario), Canada. Non lasciatevi
depistare dal nome della Band: Cowboy
Tossici (?), tutt’altro! L’album della Famiglia
Timmins (di questo si tratta), è autorevole,
papà Noah, Ispettore minerario, fondatore
della cittadina Timmins appunto, nella Re-
gione canadese, ha avuto il conforto di aver
generato una famiglia di Artisti: Michael,
musicista geniale (guitars), produttore,
ricercatore... Peter, drummer efficace, Alan
Anton, bassist discreto e funzionale e...
Mrs. Margot Timmins, lead singer fascino-
sa e talentuosa. Per la verità ci sono ancora
due fratelli, l’uno musicista, l’altra Cali,
attrice, non c’è che dire, proprio una bella
famiglia! L’esordio discografico è di quelli
col ‘botto’, i quattro si chiudono nella chiesa
(sconsacrata) della Santa Trinità di Toronto
per incidere The Trinity Session, RCA Victor/
BMG, appunto, ricordo come la stampa mu-
sicale definì capolavoro questo debutto, il
disco conteneva Sweet Jane (Velvet Under-
ground - Lou Reed, citazione doverosa alla
luce della recente scomparsa), “la più bella
cover mai registrata” a detta dello stesso
Reed. La discografia dei COWBOY JUNKIES,
è piuttosto corposa: 27 albums fra studio,
live, anthology e altro, a proposito, nel 2007
hanno reinciso l’edizione del ventennale
delle ‘Trinity Session’.
Il CD oggetto di questa recensione è (parere
estremamente soggettivo), uno dei segreti
meglio custoditi della discografia interna-
zionale alternative-country/rock-college/
rock-pop/rock (?). Il package piuttosto
spartano, copertina che ritrae i 4 musici-
sti, seduti sulle rispettive sedie, foto b/n,
ripetute nel booklet che, contiene anche i
testi, appena il laser decodifica il dischetto
argentato, inizia la...meraviglia! Something
More Besides You? anticipa la prima ‘perla’:
Common Disaster, autentico gioiellino
elettro-acustico, chitarra, basso, batteria
e... la magica voce di Margot Timmins che
si dispiega in tutta la sua stupefacente
bellezza, timbro, estensione, melodia e
ritmo, notevole assolo finale di Michael alla
chitarra, altrochè il ‘comune disastro’! Il
sound delle tracce successive, Lay It Down
e Hold On To Me, si rivela propedeutico alla
seconda little-great song, Come Calling,
impianto metronomico perfetto sul quale
s’innesta la splendida voce della cantante,
brano mosso, suggestivo, tocca le corde più
sensibili dell’individuo.
Ancora il grande lavoro di Michael alle chi-
tarre (acustiche ed elettriche) in Just Want
To See e Lonely Sinking Feeling, dove trova-
no la giusta collocazione i violini (struggenti)
di Carl e Peter Schab, la viola di Dave Henry,
il violoncello di Tim White e l’organo di Jeff
Bird che, cuce tutto a meraviglia! Arriva
con Angel Mine, un’altro picco creativo,
chitarra acustica, chiara, limpida, ancora
l’organo e “l’angelica” voce di Margot che
si materializza, 3’ 59” di stupenda intensità.
Bea’s Song (River Song Trilogy: part III), fa
ancora da prologo all’ennesima top-song:
Musical Key, quasi 4 minuti d’incanto e/o di
autentica magia:” my Mother sang the swe-
etest melody...my Father sang in perfect
harmony”, straordinaria canzone, melodica
(appunto), struggimento, commozione, il
‘solito’ cantato di Margot, amplifica ulte-
riormente queste sensazioni, vera e propria
‘chiave musicale’. Il livello, incredibilmente
elevato delle songs, continua con Spea-
king Confidentially, perla, diamante, giada,
ambra, rubino, smeraldo, quale altra pietra
preziosa scovare per la nostra/vostra col-
lezione? Segue la (Her Song) Come Calling
version, più lenta, intima, l’arrangiamento
‘soft’ e il filo di voce, la rende ancor più
d’atmosfera. Il CD si chiude emblematica-
mente con Now, I Know. Sono trascorsi 51
minuti e 19 secondi, sono sembrati un atti-
mo, se avete un caminetto, mi raccomando,
fuoco acceso!, comoda poltrona, lasciatevi
deliziare da un microcosmo di emozioni/
sensazioni particolari, non potrete farne a
meno, può un disco del 1996, generare tut-
to questo? Ancora oggi, il 2013 in dirittura
d’arrivo, ascoltando quà e là, non riscontro
tanta creatività nel panorama discografico,
è stato sufficiente un piccolo, quasi ano-
nimo compact disc, registrato ad Athens,
GA (U.S.), senza grandi mezzi finanziari,
sovraproduzioni, arrangiamenti, mixaggi e
altre diavolerie tecnologiche, tre fratelli, un
amico e qualche altro strumento, per recu-
perare una dimensione ‘altra’ ma, autentica.
I CJ, sono ancora ‘attivi’, hanno pubblicato
di recente 4 volumi della serie “Nomad Se-
ries, volume 1 -2 -3 - 4” , l’ultimo di questi,
The Wilderness, richiama le sonorità di Lay
It Down: un consiglio, sarebbe peccato non
far parte della Timmins Family.
Voto: 9 pieno. n
Write about... the records!22 [email protected]
n.94
diMaurizio Carbone
Lay It Down Cowboy Junkies
Note linguistiche24diMaria Gabriella Di Flaviano [email protected]
n.94
Gli aggettivi qualificativiLa collocazione
Si osservino i seguenti esempi:
- Una brava cuoca, una cuoca brava
- Una vergognosa azione, un’azione vergognosa
Da essi si evince che gli aggettivi brava e vergognosa possono es-
sere collocati prima o dopo il sostantivo cui sono riferiti. Molte volte, però,
la posizione dell’aggettivo non è indifferente; infatti, se lo collochiamo
prima del nome intendiamo indicare una qualità generica, ma riconosciu-
ta come propri del nome a cui è riferito; se invece lo collochiamo dopo il
nome intendiamo indicare che la qualità è posta in particolare evidenza
da chi parla o scrive, ed è contrapposta ad altre possibili qualità.
Così, se diciamo: “il freddo inverno ci costringe a stare in casa”, vogliamo
genericamente riferirci ad una qualità propria di questa stagione: infatti
l’inverno è sempre freddo. Invece, se diciamo: “l’inverno freddo ci costrin-
ge a stare in casa”, intendiamo mettere in evidenza il particolare rigore
dell’inverno di cui parliamo.
Si osservino i seguenti esempi:
- Un pover’uomo, un uomo povero.
- Un solo ragazzo, un ragazzo solo.
L’espressione un pover’uomo indica una persona verso la quale nutriamo
un sentimento di compassione; questa persona potrebbe anche essere
ricchissima, ma trovarsi ad attraversare, per esempio, un momento
difficile, tale da farlo apparire appunto un pover’uomo. Al contrario,
l’espressione un uomo povero indica una persona che si trova in difficoltà
economiche. Così ancora, con l’espressione un solo ragazzo ci riferiamo
al fatto che egli è unico (in classe c’era un solo ragazzo); mentre con
l’espressione un ragazzo solo ci riferiamo alla sua condizione di solitudine
(Luigi è un ragazzo solo, ossia non ha, ad esempio, il conforto dell’amicizia
di altri ragazzi). n
La sovranità dello Stato Italiano si esplica
attraverso tre poteri fondamentali, rie-
cheggiando principi filosofici adottati dalle
democrazie occidentali: potere legislativo,
potere esecutivo e potere giudiziario, realiz-
zando così la separazione dei poteri. Tali poteri
rappresentano (insieme con il Presidente
della Repubblica, Corte Costituzionale ecc..) i
massimi organi costituzionali, su cui si basa la
Costituzione Italiana, che ha fissato i principi
generali su cui essi si fondano e si esplicano
nella affermazione del carattere di indipen-
denza. Si può, quindi, affermare che la Magi-
stratura (potere od ordine giudiziario) viene
posta come forma tipica di applicazione della
legge, amministrando la giustizia nel nome
del popolo e confermando che i giudici sono
sottoposti solo alla legge (art. 101 Costituzione
Italiana). Al vertice dell’ordine giudiziario è
posto il Consiglio Superiore della Magistratura,
istituito nel proposito costituzionale di svinco-
lare i giudici dal potere esecutivo (così come lo
era nel passato) realizzando in certo qual modo
l’autogoverno dei magistrati (art. 104 Cost.).
Il dibattito sulla Costituzione ha rilevato che già
un Consiglio Superiore della Magistratura pre-
esisteva, ma con funzioni consultive (legge 511
del 1907) istituito presso il Ministero di Grazia e
Giustizia. Con la legge 24.03.1958 n. 195 invece
sono stati dettati nuovi criteri, attraverso cui
non sono stati rilevati dalla dottrina dubbi sulla
sua essenza di organo costituzionale e ponen-
dolo in una posizione giuridica di indipendenza
ed autonomia rispetto agli altri organi dello
Stato, sebbene sempre in coordinazione.
Tutto ciò è stato tradotto in direttive generali
che possano essere così sintetizzate:
1. la Presidenza del Consiglio Superiore della
Magistratura resta affidata al Presidente
della Repubblica;
2. il Presidente della Corte di Cassazione ed il
Procuratore Generale della stessa Corte ne
sono membri di diritto;
3. un terzo dei componenti deve restare
estraneo alla Magistratura;
4. il Ministro della Giustizia è escluso dalla
partecipazione, anche se gli resta affidata
la responsabilità dell’organizzazione della
giustizia, nonché la facoltà di promuovere l’a-
zione disciplinare nei confronti dei magistrati;
5. i due terzi del Consiglio sono eletti dagli
stessi magistrati.
Quanto sopra può essere riassunto nel fatto
che il Consiglio Superiore della Magistratura,
nel rispetto della normativa di cui alla legge
44 del 2002, è composto da 24 componenti,
di cui 16 scelti tra i giudici (togati) e 8 eletti dal
parlamento in seduta comune scelti tra avvo-
cati, professori universitari ecc.., a cui vanno
aggiunti, come detto, i 3 membri di diritto, e
cioè il Presidente della Repubblica, il Primo
Presidente ed il Procuratore Generale della
Corte di Cassazione e quindi raggiungendo il
numero complessivo di 27.
Resta da dire che al Consiglio Superiore della
Magistratura spettano le norme sulle assun-
zioni, assegnazioni e trasferimenti dei magi-
strati, nonché le promozioni e i provvedimenti
disciplinari. Come può essere evinto l’istituto
sopradescritto riguarda solo la Magistratura
ordinaria e non le Magistrature speciali (Consi-
glio di stato, corte dei Conti), che sono rette da
norme speciali. n
Brevi Note sul ConsiglioSuperiore della Magistratura
Dura Lex Sed Lexdi Alfio Scandurra
L’immaginazione al potere domina
invitta Invictus. Il Mandela di Clint
Eastwood stra-trionfa nella reinven-
zione di sport, politica ed esistenza.
Tre aspetti mortificati e degenerati dal mal
essere contemporaneo, che qui invece
abbagliano per virtù in essi trasfusa. Al
punto che pensiamo di assistere a un
ulteriore fantastic voyage, un’utopia ai
confini della realtà. Johannesburg come
Pandora. Dove un neo-presidente, con 27
anni di carcere alle spalle, fa ri-nascere
una nazione divisa in due, unificandola per
tramite dello sport nazionale, il rugby, e la
squadra (quasi) all-white rappresentante,
quegli Springboks (o Springbokke) natural-
mente odiati dai neri.
Lo sguardo (impassibile), la battuta affa-
ticata ma ferma, il sorriso largo quando è
proprio il caso svelano il volto prosciugato
di Clint dietro quello di Morgan Freeman
alias Mandela, dal cui accento sudafrica-
no, imitatore dello speech del Presiden-
te, ogni tanto affiora pure la raucedine
inconfondibile dell’ispettore Calla(g)han.
Quelli che accusavano l’Eastwood attore
di avere due sole espressioni, una col cappello, l’altra senza, avreb-
bero dovuto ormai capire che trattavasi di scelta estetica, spostata
ora sul versante registico. Clint gira come intepreta (economia di
stile, volto – cioè sguardo – non in mostra, sintesi pluri-rifrangente
del discorso) e fa recitare i suoi attori, perlomeno il protagonista,
come fossero lui.
A forza di sottrarre, arriviamo a questo film senile, saggio e distac-
cato, dove ogni passione (negativa) è spenta, massimalizzata nella
sua riduzione a puro concetto, astratta filosofia. Un Gertrud ameri-
cano, dove i temi tipici di Eastwood, vendetta e perdono (sinonimi,
non contrari), sono portati alle estreme conseguenze spirituali e di
Cinema
aspirazione all’in-dipendenza. Anche la narrazione (che dallo script
di Anthony Peckham si evince tonda) si fa ascetica, contemplativa,
da camera (di gabinetto). Tutt’altro che stanca. È in sintonia con il
leader che rappresenta. Muove le sorti con lo sguardo, il pensiero.
Attraverso l’immaginazione. Mandela mandala. Corpo lento, idee
veloci e trionfanti. Clint più Clint. Regista e attore (quest’ultimo sia
pure per interposta persona).
Risplende dello stesso pensiero che pervade un romanzo senega-
lese uscito proprio all’inizio dell’indipendenza del paese (Les bouts
de bois de Dieu di Ousmane Sembène). Si concludeva, abbattendo
davvero ogni dipendenza, con la frase «felice chi combatte senza
odio». Anche qui, a casa Pienaar, dove c’è l’atleta François che sta
a Mandela, con qualche variante, come il giovane asiatico stava a
Wally in Gran Torino, si teme che nel Sudafrica liberato la situazione
degeneri. Effetto Angola, Mozambico e Zimbabwe. Ma «Forgiveness
removes fear» (e probabilmente anche l’odio, la diffidenza). Forse
per questo Unforgiven (Gli spietati) era dominato dalla paura e
Invictus dalla calma. Arriva un furgone
sospetto, i due uomini della scorta di
Mandela cominciano a temere per lui,
troppo «easy target», ma si tratta solo
di un distributore di giornali. Prima
della partita decisiva, un aereo vola a
strapiombo sullo stadio. Un attentato?
No, vuole semplicemente augurare buona
sorte alla squadra.
Al regista di Changeling non ha mai inte-
ressato la politica ortodossa. Gli attacchi
preventivi. I trucchetti che demagogica-
mente devono per forza sedurre la gente.
In Italia, e non solo, sappiamo dove ci
hanno portati. Il suo Mandela considera
invece 12 voti «a luxury» e non fa del
passato un ricatto o un alibi. Si perita
di affiancare alla scorta nera anche dei
colleghi bianchi, perché «they’ve a lots of
experience, they protected De Klerk»; e,
peggio, decide di non abolire ma far trion-
fare la squadra simbolo dell’apartheid. Lo
accusano per questo, da parte nera, di
«autocratic leadership», di prendere deci-
sioni contro il voto unanaime della gente.
Lui risponde per aforismi quasi zen nella
loro profonda semplicità: «One team, one
country»; «I need to know my enemy»; «We have to be better than
them». Altro che agiografia, come hanno sparato in molti. Clint non
ci mostra il Presidente, ma Madabi, l’uomo (non) comune. Quello
che i bianchi conservatori, all’inizio del film, quattro anni prima
dell’elezione-plebiscito, definiscono terrorista, mentre i bimbi neri
salutano con entusiasmo. The «Comrade President», ma senza
stalinismi di sorta. Resi tossici dalla politica sporca, gli elettori-
standard odiano chi si comporta così. Se non è stronzo, corrotto,
incapace, non lo vogliono. Ed esigono che il personaggio pubblico,
proprio come recita una vecchia regola di scena, non sia mostrato
in ciabatte. Clint apre proprio con Morgan Freeman a letto, poi in
26
Forgiven
diLeonardoPersia [email protected]
n.94
In occasione della scomparsa di Nelson Mandela, ripubblichiamo questo articolo apparso sulle nostre colonne nel 2009, e relativo al film Invictus di Clint Eastwood. Attraverso l’analisi del film, Leonardo Persia sintetizza quella che è stata la visione umana e politica dell’indimenticabile Presidente del Sud Africa.
27pantofole, infine allo specchio mentre si
rade (senza alcuna sanguinaria big shave).
Ma soprattutto ce lo descrive troppo “quo-
tidiano” nel considerare gli altri (nessuno
invisibile per lui, dirà una delle guardie
del corpo bianche); troppo astratto, cioè
concreto, nelle sue strategie. In vista di un
meeting taiwanese, pensa solo a trascri-
vere, per il “nemico” François Pienaar, una
vecchia poesia vittoriana di William Ernest
Henley (l’Invictus che dà il titolo al film).
Oppure a studiarsi i nomi della squadra
degli Springboks, per poter augurare buona
fortuna a ognuno di loro, sapendo chi ha
davanti. Interrompe persino una riunione
di gabinetto, ridendo divertito quando alla
tv vede che i suoi metodi stanno fruttan-
do. Siamo uomini o presidenti? Anche, se
dall’elicottero, veglia la squadra del cuore
(e della ragione), come fosse un dio (salvo
poi dire «I’m honored, gentleman. Truly
honored», per il cappello della squadra
ricevuto in dono). Anche se, dopo il tè con
lui, Pienaard si sente ipnotizzato, rapito,
quasi catapultato in un’altra dimensione.
È lo sguardo, anche registico, che trafigge
con la verità, non con il potere. Per questo
il film è spirituale, mistico. Nel senso radi-
cale della parola. In termini espressamente
black (alla cui cultura Clint ha reso più di
un non superficiale omaggio). Se in Xala,
sempre di Sembène, la politica finta ren-
deva impotenti, qui l’incontro con il Vero
erotizza. Sia Madabi, che con una fascinosa
danzatrice, fa il galante, rimpiangendo
di non essere poligamo, come da clan
Xhosa; sia François che, ubriaco del nuovo
sguardo immessogli dall’inaspettato Amico,
cede comunque alle profferte della sposa.
Body… And Soul, con l’equiparazione
Pienaar/Mandela. Il primo si chiude nell’an-
gusta cella di prigionia dell’altro, aprendo
le braccia per misurarne la larghezza (stret-
tezza) e scorgendone l’anima (dell’amico e
sua). Ma anche immedesimazione totale,
quasi magica e ritualistica, del Prez con i
Springboks.
Mandela è sopraffatto da un malore, cade
n.94
a terra. Contemporaneamente, veniamo a
sapere che Chester Williams, l’unico nero
della squadra, si è infortunato. Guarisce
l’uno, riscende in campo, inaspettato,
l’altro. Ri-anima-zione. Qualcosa di più
profondo della reincarnazione. Ottenuta
senza alcun montaggio parallelo facile
hollywoodiano, ma con dilatazione stupita
dei tempi incrociati, climax vudù. Come in
quel meraviglioso ralenti che congela palla,
giocatori e sguardi speranzosi del pubblico
davvero in «one team, one country». Clint
rallenta. Non ha alcuna fretta. Lo fa dire
pure a Madabi, alla fine, quando l’autista
vorrebbe eludere la folla plaudente. «It’s no
hurry. No hurry at all».
È il culmine dei festeggiamenti per la
vittoria, che Clint regista allarga restringen-
dolo nei particolari. La padrona abbraccia
la serva. I poliziotti bianchi sollevano in alto
il bambino nero che poco prima avevano
maltrattato. Due uomini della scorta, dai
colori opposti, abbattono le inibizioni e
si danno la mano. Un corpulento boe-
ro abbraccia il bodyguard black ancora
perplesso, ma confuso e felice come prima
Pienaar. È il (per)dono della politica (vera).
Essere minus (da cui ministro) per essere
più. Da «Captain of my soul» a capitano
degli Springboks. E viceversa. n
In giro28diSergioScacchia paesaggioteramano.blogspot.it
n.94
Le pietre parlanti
Ripattoni
Così vicino nello spazio, così lontano nel
tempo.
Penso a questo mentre affacciato sul
muro del belvedere di Ripattoni, ai
miei occhi si apre una finestra sull’immensità
di colline e montagne che regalano pace
all’anima. Ma c’è anche una valle, quella del
Tordino, pesantemente cementificata, dove
scorre veloce e puzzolente il traffico della
superstrada che porta a Roma.
Qui però, a pochi chilometri sopra, è tutto un
altro mondo. È l’alternativa all’aggressione
del bitume, il trionfo di un quieto paesaggio
bucolico.
Il silenzio della campagna riesce a dare l’idea
del tempo che si è fermato. Di certo non è
solo pace. C’è anche tanta storia, per giunta
sontuosa. L’atmosfera del borgo di Ripattoni
è qualcosa d’incantevole in grado d’ispirare
la sensibilità di artisti e il gusto del bello dei
turisti.
L’armonia delle testimonianze monumentali
è preservata da quest’angolo di medioevo
intatto, tra acciottolati, scalinate, palazzi,
portici e anfratti fatti di pietre che raccontano
la storia e l’identità del vecchio e minuscolo
borgo.
Nella mente torna la frase del grande repor-
ter Ansel Adams che diceva:
“La fotografia non è sola quello che vedete
ma anche e soprattutto quello che sentite”.
Per restituire a un pubblico ignaro di tanta
bellezza la realtà del piccolo paese, occorre-
rebbe la magia che grandi fotografi hanno nel
loro bagaglio tecnico.
“Il cuore di Ripattoni è fatto di pietra”, recita
il simpatico libercolo realizzato da una vulca-
nica Pro Loco che organizza tante iniziative
per condividere con più persone possibili la
bellezza di “Ripa Actonis”. La Rupe di Attone
era il regno del principe longobardo che pos-
sedeva tante terre tra Teramo e Bellante.
Poi venne il dominio degli onnipresenti
Acquaviva, che incastellarono mirabilmente
l’abitato. Ancora oggi c’è una fantastica torre
trecentesca in pietra e laterizio che è il vero
simbolo del luogo, a base quadrangolare, ai
piedi della quale si trova l’anonima chiesa dei
santi Silvestro e Giustino.
Il gioiello del paese però è sicuramente il
possente Palazzo Saliceti, da poco restituito
alla fruizione pubblica con mostre di notevole
interesse. Nacque proprio qui il patriota
Aurelio Saliceti (1804-1862), ammirato
giureconsulto e tra i primi affiliati alla storica
Giovane Italia, ministro di Grazia e Giustizia
nel Regno delle Due Sicilie. Poco lontano dal
borgo, assolutamente da visitare è la chiesina
campestre di Santa Maria in Herulis.
Ripattoni sazierà la vostra voglia di scoprire,
ne sono certo. Un percorso affascinante
sorprendentemente dietro casa. n
L a Teknoelettronica Teramo ha
concluso il girone di andata con una
vittoria contro l’Ancona, ribadendo
la propria candidatura ad un posto
che sembra ormai certo nei play off,
dopo aver anche acquisito la certezza
di disputare le finali di Coppa Italia. Ac-
cingendosi ad iniziare il girone di ritorno
dove la Teknoelettronica dovrà affrontare
fuori casa le squadre più forti, corre voce
che ci potrebbe essere un ridimensiona-
mento dell’organico per motivi di ordine
economico.
Qualora ciò si dovesse verificare sarebbe
un vero peccato perché si vanifichereb-
be quanto di buono fatto fino a questo
momento. In ogni caso la conquista della
quarta piazza, valida per l’accesso ai play
off, resta un obiettivo concretamente
raggiungibile, anche con l’inserimento
nella rosa della prima squadra di giovani
del vivaio.
Per quanto concerne invece la Artrò
Globo Allianz, questa dopo essere stata
sull’orlo di una profonda crisi, sembra
mostrare segni concreti di ripresa. Infatti
la squadra ha inanellato due successi con-
secutivi, prima con il Casalgrande e poi a
Palermo contro la squadra locale. Le due
Sport30 dallaRedazione [email protected]
n.94
vittorie le hanno consentito di abbando-
nare l’ultimo posto in classifica generale
chiudendo il girone di andata con la
prospettiva di agganciare il treno dei
play off. Qualche perplessità per noi che
scriviamo è destata dalle modalità con cui
vengono affrontate le trasferte. Prenden-
do in esame quella di Palermo, la squadra
sembra sia partita da Teramo in minibus
la sera del venerdì ed ha affrontato il
Palermo il sabato, dopo un viaggio di oltre
15 ore, nelle condizioni fisiche che tutti
possiamo immaginare. Nonostante ciò è
arrivata una vittoria dovuta esclusivamen-
te allo spirito di sacrificio delle ragazze
e dell’allenatore che ha saputo gestire la
condizione della squadra, reagendo così
alle inopportune critiche societarie.
La pausa natalizia consentirà di riordinare
le idee. n
Maschile e femminile
Pallamano