Upload
coppini-trading
View
221
Download
2
Embed Size (px)
DESCRIPTION
Numero 34 - Nadal: a che punto siamo? - Il digiuno della cannibale (Serena Williams) - I paradossi del tennis - Tanti articoli per migliorare la prestazione in campo
Citation preview
Nadal,achepuntosiamo?
byMarcoDiNardo
La�fine�del�2015�aveva�dato�segnali�positivi,�poi
l'avvio�di�questo�2016�aveva�fatto�ripiombare
Rafa�Nadal�in�quello�stato�mentale�negativo
che�non�gli�permette�di�esprimere�il�suo�miglior
tennis�ormai�dalla�prima�metà�del�2014.
Proprio�così,�perché�il�vero�Nadal,�quello�che
sulla�terra�non�dà�scampo�ad�alcun�rivale�e
sulle�altre�superfici�resta�comunque
difficilissimo�da�battere,�non�lo�vediamo�più�da
molto�tempo.�Però�da�Indian�Wells�qualcosa
sembra�essere�cambiato,�e�non�parliamo�più�di
semplici�segnali�positivi,�ma�di�veri�e�propri
risultati�che�somigliano�molto�a�quelli�che�lo
spagnolo�otteneva�nelle�migliori�annate.�Senza
considerare�la�sconfitta�subita�all'esordio�a
Miami�per�ritiro,�contro�un�avversario�come
Dzumhur�che�in�condizioni�normali�avrebbe
battuto�quasi�sicuramente,�Rafa�ha�infatti
infilato�un�parziale�di�9�vittorie�nelle�ultime�10
partite�giocate,�con�l'unica�sconfitta�arrivata�sul
cemento�di�Indian�Wells�contro�il�numero�1
Djokovic,�tra�l'altro�giocando�alla�pari�per�un
set�e�mezzo,�fino�al�6-7�(con�un�set-point�non
convertito�in�risposta�sul�5-4�in�proprio�favore)
e�2-2�nel�secondo�parziale.�Con�la�semifinale
ottenuta�a�Indian�Wells�e�il�nono�successo�in
carriera�ottenuto�sulla�terra�di�Monte-Carlo,�il
maiorchino�ha�già�migliorato�lo�score�personale
del�2015,�in�cui�giocando�tutti�i�nove�Masters
1000,�aveva�raggiunto�solo�una�finale�(a
Madrid)�e�una�semifinale�(a�Shanghai).�Risultati
che,�come�abbiamo�detto,�non�possono�quindi
essere�considerati�come�semplici�segnali�di�un
risveglio�che�ormai�è�realtà.
�
La�buona�notizia,�oltre�alla�ritrovata�fiducia
derivante�dalle�tante�vittorie,�molte�delle�quali
arrivate�al�set�decisivo,�è�che�Nadal�ha�davanti
a�sé�la�parte�di�stagione�in�cui�riesce�ad
esprimere�il�proprio�miglior�tennis:�Barcellona,
Madrid�e�Roma,�tornei�davvero�importanti�per
il�fenomeno�di�Manacor,�che�in�caso�di�ulteriori
successi�potrebbe�davvero�ripresentarsi�a
Parigi�come�primo�favorito,�o�almeno�come
numero�2�alle�spalle�di�Djokovic�in�un'ipotetica
griglia�di�partenza�dei�principali�favoriti�al
Roland�Garros.
�
Numero�2�che�poi�non�è�nemmeno�così
lontano�per�Nadal:�non�nella�classifica
mondiale,�in�cui�è�ancora�al�numero�5,
comunque�molto�più�vicino�a�Wawrinka
(numero�4)�di�quanto�non�fosse�un�paio�di
mesi�fa;�ma�nella�Race,�la�classifica�che�tiene
conto�solo�dei�risultati�ottenuti�nel�2016,�in�cui
Rafa�è�al�momento�il�numero�4,�ad�appena�130
punti�da�Milos�Raonic,�appunto�numero�2�di
questa�graduatoria.�Il�sorpasso�potrebbe�giù
avvenire�dopo�il�torneo�di�Barcellona,�in�cui�lo
spagnolo�cerca�in�nono�titolo,�per�pareggiare�il
conto�dei�trofei�vinti�proprio�con�Monte-Carlo,
oltre�che�il�Roland�Garros.�In�caso�di�vittoria�nel
torneo�catalano,�sarebbe�inoltre�per�lui�l'ottava
doppietta�Monte�Carlo-Barcellona�(dopo�quelle
dal�2005�al�2009,�2011�e�2012).
�
Quello�che�è�veramente�cambiato�nel�Nadal
delle�ultime�settimane,�è�stata�la�capacità�di
giocare�i�punti�importanti�e�di�reagire�alle
situazioni�di�difficoltà�incontrate�nel�corso�dei
match.�A�partire�da�Indian�Wells�con�la�vittoria
in�3�set�su�Muller,�poi�i�3�set-point�consecutivi
annullati�nel�tie-break�del�secondo�set�a
Verdasco,�per�proseguire�con�il�successo�su
Alexander�Zverev�annullando�un�match-point�e
rimontando�da�2-5�nel�terzo�parziale.�Anche
l'apparente�agevole�vittoria�su�Nishikori�è
iniziata�da�una�situazione�quasi�disperata,�con
Nadal�che�è�partito�da�uno�svantaggio�di�1-3
15-40�nel�primo�set,�ma�ha�saputo�recuperare
Nadal,achepuntosiamo?
byMarcoDiNardo
La�fine�del�2015�aveva�dato�segnali�positivi,�poi
l'avvio�di�questo�2016�aveva�fatto�ripiombare
Rafa�Nadal�in�quello�stato�mentale�negativo
che�non�gli�permette�di�esprimere�il�suo�miglior
tennis�ormai�dalla�prima�metà�del�2014.
Proprio�così,�perché�il�vero�Nadal,�quello�che
sulla�terra�non�dà�scampo�ad�alcun�rivale�e
sulle�altre�superfici�resta�comunque
difficilissimo�da�battere,�non�lo�vediamo�più�da
molto�tempo.�Però�da�Indian�Wells�qualcosa
sembra�essere�cambiato,�e�non�parliamo�più�di
semplici�segnali�positivi,�ma�di�veri�e�propri
risultati�che�somigliano�molto�a�quelli�che�lo
spagnolo�otteneva�nelle�migliori�annate.�Senza
considerare�la�sconfitta�subita�all'esordio�a
Miami�per�ritiro,�contro�un�avversario�come
Dzumhur�che�in�condizioni�normali�avrebbe
battuto�quasi�sicuramente,�Rafa�ha�infatti
infilato�un�parziale�di�9�vittorie�nelle�ultime�10
partite�giocate,�con�l'unica�sconfitta�arrivata�sul
cemento�di�Indian�Wells�contro�il�numero�1
Djokovic,�tra�l'altro�giocando�alla�pari�per�un
set�e�mezzo,�fino�al�6-7�(con�un�set-point�non
convertito�in�risposta�sul�5-4�in�proprio�favore)
e�2-2�nel�secondo�parziale.�Con�la�semifinale
ottenuta�a�Indian�Wells�e�il�nono�successo�in
carriera�ottenuto�sulla�terra�di�Monte-Carlo,�il
maiorchino�ha�già�migliorato�lo�score�personale
del�2015,�in�cui�giocando�tutti�i�nove�Masters
1000,�aveva�raggiunto�solo�una�finale�(a
Madrid)�e�una�semifinale�(a�Shanghai).�Risultati
che,�come�abbiamo�detto,�non�possono�quindi
essere�considerati�come�semplici�segnali�di�un
risveglio�che�ormai�è�realtà.
�
La�buona�notizia,�oltre�alla�ritrovata�fiducia
derivante�dalle�tante�vittorie,�molte�delle�quali
arrivate�al�set�decisivo,�è�che�Nadal�ha�davanti
a�sé�la�parte�di�stagione�in�cui�riesce�ad
esprimere�il�proprio�miglior�tennis:�Barcellona,
Madrid�e�Roma,�tornei�davvero�importanti�per
il�fenomeno�di�Manacor,�che�in�caso�di�ulteriori
successi�potrebbe�davvero�ripresentarsi�a
Parigi�come�primo�favorito,�o�almeno�come
numero�2�alle�spalle�di�Djokovic�in�un'ipotetica
griglia�di�partenza�dei�principali�favoriti�al
Roland�Garros.
�
Numero�2�che�poi�non�è�nemmeno�così
lontano�per�Nadal:�non�nella�classifica
mondiale,�in�cui�è�ancora�al�numero�5,
comunque�molto�più�vicino�a�Wawrinka
(numero�4)�di�quanto�non�fosse�un�paio�di
mesi�fa;�ma�nella�Race,�la�classifica�che�tiene
conto�solo�dei�risultati�ottenuti�nel�2016,�in�cui
Rafa�è�al�momento�il�numero�4,�ad�appena�130
punti�da�Milos�Raonic,�appunto�numero�2�di
questa�graduatoria.�Il�sorpasso�potrebbe�giù
avvenire�dopo�il�torneo�di�Barcellona,�in�cui�lo
spagnolo�cerca�in�nono�titolo,�per�pareggiare�il
conto�dei�trofei�vinti�proprio�con�Monte-Carlo,
oltre�che�il�Roland�Garros.�In�caso�di�vittoria�nel
torneo�catalano,�sarebbe�inoltre�per�lui�l'ottava
doppietta�Monte�Carlo-Barcellona�(dopo�quelle
dal�2005�al�2009,�2011�e�2012).
�
Quello�che�è�veramente�cambiato�nel�Nadal
delle�ultime�settimane,�è�stata�la�capacità�di
giocare�i�punti�importanti�e�di�reagire�alle
situazioni�di�difficoltà�incontrate�nel�corso�dei
match.�A�partire�da�Indian�Wells�con�la�vittoria
in�3�set�su�Muller,�poi�i�3�set-point�consecutivi
annullati�nel�tie-break�del�secondo�set�a
Verdasco,�per�proseguire�con�il�successo�su
Alexander�Zverev�annullando�un�match-point�e
rimontando�da�2-5�nel�terzo�parziale.�Anche
l'apparente�agevole�vittoria�su�Nishikori�è
iniziata�da�una�situazione�quasi�disperata,�con
Nadal�che�è�partito�da�uno�svantaggio�di�1-3
15-40�nel�primo�set,�ma�ha�saputo�recuperare
quel�quinto�game,�portandosi�sul�2-3�quandopoteva�trovarsi�indietro�0-5�con�ben�tre�break
subiti�(anche�nel�primo�game�della�partitaaveva�tenuto�il�servizio�annullando�una�palla-break),�per�poi�completare�la�rimonta�e�vinceresenza�grossi�problemi�anche�il�secondo�set.�
Anche�nella�sconfitta�di�Miami�contro�Dzumhur,
Nadal�era�stato�bravissimo�a�vincere�il�primo
set,�nonostante�le�9�palle-break�non�sfruttate
nel�secondo�game�del�match,�in�cui�il�bosniaco
aveva�poi�tenuto�la�battuta.�In�altri�periodi�Rafa
avrebbe�potuto�soffrire�mentalmente�il�fatto�di
aver�sprecato�così�tante�chances,�ma�in�questo
caso�non�lo�ha�fatto.�Poi�purtroppo�le
condizioni�estreme�lo�hanno�costretto�al�ritiro
nel�corso�del�terzo�set,�ma�si�erano�comunque
visti�ulteriori�passi�in�avanti�anche�in
quell'incontro.
Infine�Monte-Carlo,�la�ciliegina�sulla�torta�in�un
periodo�che�era�già�positivo,�anche�in�questo
caso�grazie�a�vittorie�in�partite�molto
complicate,�come�quella�contro�Thiem,�battuto
per�7-5�6-3�annullando�15�delle�17�palle-break
concesse,�e�i�due�successi�al�set�decisivo�contro
Murray�e�Monfils,�in�semifinale�e�finale.
�
Ora�manca�solo�la�prova�del�nove,�che
potrebbe�arrivare�nei�prossimi�tornei�sulla�terra.
Test�che�serviranno�a�Nadal�sia�per�capire�se�ha
davvero�ritrovato�se�stesso,�che�per�capire�se
potrà�presentarsi�a�Parigi�per�cercare�di
ottenere�il�suo�decimo�successo�al�Roland
Garros,�obiettivo�che�sicuramente�è�nella�sua
testa.�Prossimi�risultati�a�parte,�Rafa�sembra
comunque�sulla�strada�giusta�per�tornare�ad
essere�il�migliore�sulla�sua�terra�rossa.�E�il
ritorno�al�numero�2�a�fine�anno�non�sembra�più
essere�un�miraggio...
quel�quinto�game,�portandosi�sul�2-3�quandopoteva�trovarsi�indietro�0-5�con�ben�tre�break
subiti�(anche�nel�primo�game�della�partitaaveva�tenuto�il�servizio�annullando�una�palla-break),�per�poi�completare�la�rimonta�e�vinceresenza�grossi�problemi�anche�il�secondo�set.�
Anche�nella�sconfitta�di�Miami�contro�Dzumhur,
Nadal�era�stato�bravissimo�a�vincere�il�primo
set,�nonostante�le�9�palle-break�non�sfruttate
nel�secondo�game�del�match,�in�cui�il�bosniaco
aveva�poi�tenuto�la�battuta.�In�altri�periodi�Rafa
avrebbe�potuto�soffrire�mentalmente�il�fatto�di
aver�sprecato�così�tante�chances,�ma�in�questo
caso�non�lo�ha�fatto.�Poi�purtroppo�le
condizioni�estreme�lo�hanno�costretto�al�ritiro
nel�corso�del�terzo�set,�ma�si�erano�comunque
visti�ulteriori�passi�in�avanti�anche�in
quell'incontro.
Infine�Monte-Carlo,�la�ciliegina�sulla�torta�in�un
periodo�che�era�già�positivo,�anche�in�questo
caso�grazie�a�vittorie�in�partite�molto
complicate,�come�quella�contro�Thiem,�battuto
per�7-5�6-3�annullando�15�delle�17�palle-break
concesse,�e�i�due�successi�al�set�decisivo�contro
Murray�e�Monfils,�in�semifinale�e�finale.
�
Ora�manca�solo�la�prova�del�nove,�che
potrebbe�arrivare�nei�prossimi�tornei�sulla�terra.
Test�che�serviranno�a�Nadal�sia�per�capire�se�ha
davvero�ritrovato�se�stesso,�che�per�capire�se
potrà�presentarsi�a�Parigi�per�cercare�di
ottenere�il�suo�decimo�successo�al�Roland
Garros,�obiettivo�che�sicuramente�è�nella�sua
testa.�Prossimi�risultati�a�parte,�Rafa�sembra
comunque�sulla�strada�giusta�per�tornare�ad
essere�il�migliore�sulla�sua�terra�rossa.�E�il
ritorno�al�numero�2�a�fine�anno�non�sembra�più
essere�un�miraggio...
Dopo�l’annata-flop�targata�2015,�il�cambio�della
guardia�in�panchina�e�la�separazione�con�Maria
Sharapova,�Grigor�Dimitov�sembra�ancora
avvolto�nelle�sue�inquietudini,�imbrigliato�in�un
limbo�troppo�penalizzante�per�uno�dotato�del
suo�talento�ad�un’età�in�cui�il�margine�ormai�si
assottiglia�pericolosamente.
�
Urge�una�svolta,�un’inversione�di�tendenza.
Dimitrov�ha�bisogno�del�fatidico�salto�di�qualità
che,�però,�a�furia�di�tardare�potrebbe�non
realizzarsi�mai.
�
Ma�cos’è�che�è�cambiato�(in�peggio)�dopo
quel�2014�che�prometteva�futuri�splendori�e
che�invece,�ad�oggi,�risulta�essere�un
estemporaneo�exploit?
�
I�numeri�nel�tennis�hanno�una�discreta
importanza,�non�preminente�rispetto�ad�altri
sport,�ma�restano�comunque�un�buon�giudice.
Per�quanto�riguarda�il�bulgaro�è�piuttosto
interessante�constatare�come�sia�stato�il
servizio�il�colpo�in�meno.�Quel�servizio�che,�a
ben�vedere,�è�stato�e�per�certi�versi�continua
ad�essere�la�miglior�caratteristica�del
ventiquattrenne�di�Haskovo.
�
Prima�dell’avvio�della�stagione�sul�rosso,
Dimitrov�nel�2016�ha�scagliato�118�ace�in�21
incontri.�Sostanzialmente�poco�più�di�5�a
partita,�il�che�lo�porta�in�ventiseiesima
posizione.�Addirittura�peggio�dello�scorso�anno
quando�chiuse�con�396�in�54�match�chiudendo
al�ventunesimo�posto.�Poco,�molto�poco,�se
relazionato�al�biennio�precedente�(2013-2014)
dove�per�numero�di�ace�era�ai�margini�dei�primi
dieci�(rispettivamente�tredicesimo�e
dodicesimo).
�
Ancora�più�indicativa�è�la�resa�della�prima�palla
di�servizio.�Quest’anno�il�bulgaro�ottiene�poco
più�del�70%�con�la�prima�attestandosi
addirittura�al�quarantacinquesimo�posto.�Per
Grigor
Dimitrov:
lacrisiparte
dalservizio?
byFedericoMariani
intenderci,�una�percentuale�pari�a�gente�come
Seppi,�Goffin,�Mannarino�ed�Haase,�ovverosia
giocatori�che�chiedono�(ed�ottengono)�davvero
poco�alla�battuta.�Una�quarantacinquesima
piazza�dal�sapore�ancor�più�amaro�se
rapportata,�come�in�precedenza,�alle�annate
passate.�Lo�scorso�anno�Dimitrov�si�attestava
al�75%�di�resa�al�ventesimo�posto,�mentre�nel
2014�era�undicesimo�ed�un�anno�prima
addirittura�ottavo�con�una�resa�del�77%.�Ad�un
occhio�distratto�due�punti�percentuali�possono
sembrare�pochi,�ma�invece�hanno
un’importanza�notevole�in�quanto�si�riferiscono
a�67�incontri.
�
Nel�tennis�odierno,�molto�(se�non�di�più)
dipende�ed�è�correlato�al�rendimento�del
servizio.�Il�tennis�di�Dimitrov�necessita�di�una
buona�dose�dei�cosiddetti�punti�gratis�per
poter�essere�brillante�altrimenti�rischia�di
disinnescarsi�da�solo,�diventando�un�giocatore
innocuo�che�tenderà�a�vincere�con�un�certo
tipo�di�giocatori�per�il�vantaggio�tecnico�che�ha
e,�dall’altra�parte,�tenderà�sempre�a�perdere
con�chi�è�più�avanti�n�classifica,�ovverosia�quel
tipo�di�partite�che�occorrono�per�fare�lo�step�in
più.
�
Che�sia�una�mossa�quella�di�prendersi�meno
rischi�con�la�prima�di�servizio�per�aumentare�la
percentuale�di�prime�palle�in�campo?�I�numeri,
anche�in�questo�caso,�dicono�di�no.�Dimitrov,
infatti,�negli�ultimi�quattro�anni�si�attestato�su
percentuali�pressoché�identiche,�che�oscillano
tra�il�61%�ed�il�62%.
�Se�di�scelta�si�tratta,�ad�ogni�modo,�vaconsiderata�controproducente.�E�se�neanche�ilcontributo�di�un�coach�valido�ed�esperto�comeFranco�Davin�sta�conducendo�ai�risultati
sperati,�forse�allora�tutte�le�speranze�riposte�in
Dimitrov�sono�state�sopravvalutate�ed�illusorie.Eccolo�in�azione�a�Monte�Carlo�contro�Simon.
intenderci,�una�percentuale�pari�a�gente�come
Seppi,�Goffin,�Mannarino�ed�Haase,�ovverosia
giocatori�che�chiedono�(ed�ottengono)�davvero
poco�alla�battuta.�Una�quarantacinquesima
piazza�dal�sapore�ancor�più�amaro�se
rapportata,�come�in�precedenza,�alle�annate
passate.�Lo�scorso�anno�Dimitrov�si�attestava
al�75%�di�resa�al�ventesimo�posto,�mentre�nel
2014�era�undicesimo�ed�un�anno�prima
addirittura�ottavo�con�una�resa�del�77%.�Ad�un
occhio�distratto�due�punti�percentuali�possono
sembrare�pochi,�ma�invece�hanno
un’importanza�notevole�in�quanto�si�riferiscono
a�67�incontri.
�
Nel�tennis�odierno,�molto�(se�non�di�più)
dipende�ed�è�correlato�al�rendimento�del
servizio.�Il�tennis�di�Dimitrov�necessita�di�una
buona�dose�dei�cosiddetti�punti�gratis�per
poter�essere�brillante�altrimenti�rischia�di
disinnescarsi�da�solo,�diventando�un�giocatore
innocuo�che�tenderà�a�vincere�con�un�certo
tipo�di�giocatori�per�il�vantaggio�tecnico�che�ha
e,�dall’altra�parte,�tenderà�sempre�a�perdere
con�chi�è�più�avanti�n�classifica,�ovverosia�quel
tipo�di�partite�che�occorrono�per�fare�lo�step�in
più.
�
Che�sia�una�mossa�quella�di�prendersi�meno
rischi�con�la�prima�di�servizio�per�aumentare�la
percentuale�di�prime�palle�in�campo?�I�numeri,
anche�in�questo�caso,�dicono�di�no.�Dimitrov,
infatti,�negli�ultimi�quattro�anni�si�attestato�su
percentuali�pressoché�identiche,�che�oscillano
tra�il�61%�ed�il�62%.
�Se�di�scelta�si�tratta,�ad�ogni�modo,�vaconsiderata�controproducente.�E�se�neanche�ilcontributo�di�un�coach�valido�ed�esperto�comeFranco�Davin�sta�conducendo�ai�risultati
sperati,�forse�allora�tutte�le�speranze�riposte�in
Dimitrov�sono�state�sopravvalutate�ed�illusorie.Eccolo�in�azione�a�Monte�Carlo�contro�Simon.
Rapportata,�ovviamente,�alla
sua�abitudine�di�dominare�e
sbarazzarsi�di�chiunque�provi�a
mettersi�sul�suo�cammino�e
perciò�definibile�in�questo
modo�dopo�un�digiuno�di
successi�che�perdura
“solamente”�da�agosto�del�2015.
La�numero�1�al�mondo�vinceva
uno�dei�tornei�“meno”�graditi
come�quello�di�Cincinnati,
sollevando�per�la�seconda�volta
in�carriera�il�trofeo�al�cielo�dopo
la�finale�portata�a�casa�con
Simona�Halep.�S
�
embrava�solamente�l’antipasto
prima�del�piatto�principale,�il
successivo�Us�Open�in�cui
avrebbe�potuto�spazzare�via
un’infinità�di�record,�ma
soprattutto�raggiungere�Steffi
Graf�e�completare�il�Grande
Slam.�Tra�lei�e�la�gloria�eterna,
però,�una�incredibile�Roberta
Vinci.�In�quell’11�settembre,
quello�bello,�da�ricordare�la
tarantina�faceva�impazzire
Serena,�mandandola�in�tilt�con
soluzioni�di�tocco�e�discese�a
rete.�Strappava�applausi�al�“suo”
pubblico�sull’Arthur�Ashe.
Conquistava�l’accesso�alla�finale
dopo�tre�set�da�urlo,�spedendo
l’americana�in�un�vortice�di
insicurezze.�Niente�finale�di
stagione,�niente�Finals,
addirittura�le�indiscrezioni�di
una�gravidanza�lanciate�dalla
band�di�Drake�che�avrebbero
segnato�la�fine�della�sua
carriera.
�
Giungiamo�così�ai�giorni�nostri:
Serena�c’è�ancora�e�smentisce
Ildigiunodella
Cannibale
byValerioCarriero
tutti�con�un�outfit�che�lascia�scoperto�un�addome�tirato
a�lucido,�altro�che�gravidanza.�In�campo,�però,�la�sbornia
post-Us�Open�non�sembra�essere�assorbita�del�tutto.
Dopo�il�ritiro�alla�Hopman�Cup,�la�grande�sorpresa�agli
Australian�Open:�Angelique�Kerber�batte�per�la�prima
volta�dopo�cinque�anni�Serena�Williams�in�una�finale
Slam.�Un�campanello�d’allarme�che�poi�si�trasforma�in
una�vera�e�propria�sirena�tra�Indian�Wells�e�Miami:
un’altra�finale�persa,�questa�volta�da�una�stratosferica
Azarenka,�la�prima�in�un�Mandatory�addirittura�dopo
sette�stagioni,�poi�il�crollo�verticale�con�Kuznetsova�con
la�miseria�di�tre�giochi�conquistati�tra�secondo�e�terzo
set.
�
Così,�la�numero�1�al�mondo�arriva�alla�stagione�su�terra
senza�alcun�titolo�in�bacheca:�non�succedeva�dal�2012,
quando�un�infortunio�alla�caviglia�rimediato�a�Brisbane�la
costrinse�a�restare�ai�box�dopo�gli�Australian�Open,
rientrando�solo�sulla�terra�verde�di�Charleston.�Otto�mesi
di�punti�interrogativi,�forse�anche�di�stimoli�venuti�meno.
�
Serena�non�ha�mai�dato�in�questo�avvio�di�2016
l’impressione�di�poter�azzannare�i�suoi�match,�pococarica�emotivamente.�
L’unico�sfogo,�probabilmente,�è�arrivato�durante�la�finale
contro�Azarenka,�in�cui�disintegrò�al�cambio�campo�la
racchetta.�Forse�uno�scatto�d’orgoglio,�punto�nel�vivo�da
un’avversaria�a�tratti�ingiocabile�e�dimostratasi
tennisticamente�superiore.
�
Può�quindi�definirsi�“crisi”?
�
Sì,�Serena�non�perdeva�due�finali�consecutive�e�così
ravvicinate�dal�2004,�una�vita�fa.�Qualcosa�vorrà�pur
dire.�Sarebbe�comunque�paradossale�pensare�ad�una
Williams�arrendersi�sul�più�bello,�ad�un�solo�Slam�di
distanza�dai�22�di�Steffi�Graf:�dopo�aver�superato
infortuni�di�ogni�sorta�e�addirittura�una�grave�embolia
polmonare�non�sarà�di�certo�questo�piccolo�grande
periodo�di�appannamento�ad�arrestare�la�fame�di
successi�della�cannibale.
�
Probabilmente�basterà�sbloccarsi,�in�fondo�si�sa,
l’appetito�vien�mangiando.
tutti�con�un�outfit�che�lascia�scoperto�un�addome�tirato
a�lucido,�altro�che�gravidanza.�In�campo,�però,�la�sbornia
post-Us�Open�non�sembra�essere�assorbita�del�tutto.
Dopo�il�ritiro�alla�Hopman�Cup,�la�grande�sorpresa�agli
Australian�Open:�Angelique�Kerber�batte�per�la�prima
volta�dopo�cinque�anni�Serena�Williams�in�una�finale
Slam.�Un�campanello�d’allarme�che�poi�si�trasforma�in
una�vera�e�propria�sirena�tra�Indian�Wells�e�Miami:
un’altra�finale�persa,�questa�volta�da�una�stratosferica
Azarenka,�la�prima�in�un�Mandatory�addirittura�dopo
sette�stagioni,�poi�il�crollo�verticale�con�Kuznetsova�con
la�miseria�di�tre�giochi�conquistati�tra�secondo�e�terzo
set.
�
Così,�la�numero�1�al�mondo�arriva�alla�stagione�su�terra
senza�alcun�titolo�in�bacheca:�non�succedeva�dal�2012,
quando�un�infortunio�alla�caviglia�rimediato�a�Brisbane�la
costrinse�a�restare�ai�box�dopo�gli�Australian�Open,
rientrando�solo�sulla�terra�verde�di�Charleston.�Otto�mesi
di�punti�interrogativi,�forse�anche�di�stimoli�venuti�meno.
�
Serena�non�ha�mai�dato�in�questo�avvio�di�2016
l’impressione�di�poter�azzannare�i�suoi�match,�pococarica�emotivamente.�
L’unico�sfogo,�probabilmente,�è�arrivato�durante�la�finale
contro�Azarenka,�in�cui�disintegrò�al�cambio�campo�la
racchetta.�Forse�uno�scatto�d’orgoglio,�punto�nel�vivo�da
un’avversaria�a�tratti�ingiocabile�e�dimostratasi
tennisticamente�superiore.
�
Può�quindi�definirsi�“crisi”?
�
Sì,�Serena�non�perdeva�due�finali�consecutive�e�così
ravvicinate�dal�2004,�una�vita�fa.�Qualcosa�vorrà�pur
dire.�Sarebbe�comunque�paradossale�pensare�ad�una
Williams�arrendersi�sul�più�bello,�ad�un�solo�Slam�di
distanza�dai�22�di�Steffi�Graf:�dopo�aver�superato
infortuni�di�ogni�sorta�e�addirittura�una�grave�embolia
polmonare�non�sarà�di�certo�questo�piccolo�grande
periodo�di�appannamento�ad�arrestare�la�fame�di
successi�della�cannibale.
�
Probabilmente�basterà�sbloccarsi,�in�fondo�si�sa,
l’appetito�vien�mangiando.
Immaginate�il�tennis�senza�alcuna�sorpresa,
seguendo�un�filo�logico�che�non
permetterebbe�di�assistere�a�colpi�di�scena
impensabili.�Cosa�ne�sarebbe�di�uno�sport
che�vive�dell’imprevedibilità,�di�partite�che
girano�su�un�paio�di�punti?�Di�uno�sport�che
proprio�per�questo�motivo�dà�un’occasione
nuova�ogni�settimana,�per�trasformarla�nel
torneo�della�vita�o�in�una�cocente�delusione
per�l’obiettivo�sfumato�e�rinviato�all’anno
successivo.�Nascono�così�alcune�situazioni
paradossali,�vediamo�quali�sono�le�più
eclatanti�dell’ultimo�decennio.
�Iniziamo�da�Juan�Martin�Del�Potro.
Indiscutibile�il�valore�dell’argentino�(e�nonsolo�dal�punto�di�vista�sportivo),riabbracciato�dal�circuito�da�poco�dopo�un
calvario�apparentemente�infinito.�La�torre�diTandil�fu�autore�di�una�splendida�estate�nel2009,�culminata�con�il�trionfo�agli�Us�Open
contro�Federer�in�finale.�Il�paradosso?L’albiceleste�non�ha�in�bacheca�nessunMasters�1000,�gradino�“inferiore”�rispetto�ai
Major.�
Ancor�più�curioso�il�caso�di�un�altro�suo
connazionale,�David�Nalbandian.�“El�Rey”
vanta�solamente�una�finale�Slam,�quella�persa
a�Wimbledon�nettamente�da�Hewitt,�ma�può
comunque�considerarsi�“Maestro”:�sue�le
Finals�del�2005�in�una�drammatica�finale,
ancora�una�volta,�con�Federer,�in�cui�rimontò
uno�svantaggio�di�due�set.�Un�talento
cristallino�che�si�manifestò�probabilmente�in
tutto�il�suo�splendore�in�quelle�due
magnifiche�settimane�nell’autunno�del�2007,
quando�mise�in�riga�Federer�e�Nadal�nell’asse
Madrid-Bercy:�lui,�che�non�aveva�mai�vinto
un�1000,�ne�vinse�due�di�fila.
�
Ne�sa�qualcosa�anche�Nikolay�Davydenko,altro�“maestro”�senza�“laurea”.�L’uomo“playstation”�sorprese�tutti�nell’ultimo�torneostagionale�del�2009,�superando�nel�giro�di
pochi�giorni�tutti�i�campioni�Slam�di�quellastagione:�Nadal�nel�girone,�Federer�in�semi,�eDel�Potro�in�finale.
�Anche�la�Wta�ha�un�suo�caso�e�risponde�al
nome�di�Agnieszka�Radwanska.�Alla�polacca
si�rimprovera�da�sempre�la�scarsa�consistenza
nei�Major�(solamente�una�finale�a
Wimbledon),�ma�a�novembre�dello�scorso
anno�è�arrivato�il�successo�più�importante
della�sua�carriera,�approfittando�dell’assenza
di�Serena�Williams�e�scampando�per�miracolo
all’eliminazione�nel�Round�Robin.
Iparadossideltennis
byValerioCarriero
Immaginate�il�tennis�senza�alcuna�sorpresa,
seguendo�un�filo�logico�che�non
permetterebbe�di�assistere�a�colpi�di�scena
impensabili.�Cosa�ne�sarebbe�di�uno�sport
che�vive�dell’imprevedibilità,�di�partite�che
girano�su�un�paio�di�punti?�Di�uno�sport�che
proprio�per�questo�motivo�dà�un’occasione
nuova�ogni�settimana,�per�trasformarla�nel
torneo�della�vita�o�in�una�cocente�delusione
per�l’obiettivo�sfumato�e�rinviato�all’anno
successivo.�Nascono�così�alcune�situazioni
paradossali,�vediamo�quali�sono�le�più
eclatanti�dell’ultimo�decennio.
�
Iniziamo�da�Juan�Martin�Del�Potro.
Indiscutibile�il�valore�dell’argentino�(e�nonsolo�dal�punto�di�vista�sportivo),riabbracciato�dal�circuito�da�poco�dopo�un
calvario�apparentemente�infinito.�La�torre�diTandil�fu�autore�di�una�splendida�estate�nel2009,�culminata�con�il�trionfo�agli�Us�Open
contro�Federer�in�finale.�Il�paradosso?L’albiceleste�non�ha�in�bacheca�nessunMasters�1000,�gradino�“inferiore”�rispetto�ai
Major.�
Ancor�più�curioso�il�caso�di�un�altro�suo
connazionale,�David�Nalbandian.�“El�Rey”
vanta�solamente�una�finale�Slam,�quella�persa
a�Wimbledon�nettamente�da�Hewitt,�ma�può
comunque�considerarsi�“Maestro”:�sue�le
Finals�del�2005�in�una�drammatica�finale,
ancora�una�volta,�con�Federer,�in�cui�rimontò
uno�svantaggio�di�due�set.�Un�talento
cristallino�che�si�manifestò�probabilmente�in
tutto�il�suo�splendore�in�quelle�due
magnifiche�settimane�nell’autunno�del�2007,
quando�mise�in�riga�Federer�e�Nadal�nell’asse
Madrid-Bercy:�lui,�che�non�aveva�mai�vinto
un�1000,�ne�vinse�due�di�fila.
�
Ne�sa�qualcosa�anche�Nikolay�Davydenko,altro�“maestro”�senza�“laurea”.�L’uomo“playstation”�sorprese�tutti�nell’ultimo�torneostagionale�del�2009,�superando�nel�giro�di
pochi�giorni�tutti�i�campioni�Slam�di�quellastagione:�Nadal�nel�girone,�Federer�in�semi,�eDel�Potro�in�finale.
�Anche�la�Wta�ha�un�suo�caso�e�risponde�al
nome�di�Agnieszka�Radwanska.�Alla�polacca
si�rimprovera�da�sempre�la�scarsa�consistenza
nei�Major�(solamente�una�finale�a
Wimbledon),�ma�a�novembre�dello�scorso
anno�è�arrivato�il�successo�più�importante
della�sua�carriera,�approfittando�dell’assenza
di�Serena�Williams�e�scampando�per�miracolo
all’eliminazione�nel�Round�Robin.
Iparadossideltennis
byValerioCarriero
E�per�i�big�del�circuito�maschile?�Anche�perloro�alcune�situazioni�paradossali.�In�ordine
gerarchico,�partiamo�da�Novak�Djokovic.Numero�1�indiscusso�e�dominatore�del�circuitoma�a�caccia�perennemente�del�Career�Slam.�ANole�manca�l’affermazione�nel�Roland�Garros,vero�e�proprio�caso�particolare�considerando
che�il�serbo�ha�nel�palmares�ben�sette�Masters1000�sul�mattone�tritato.�
Per�Rafael�Nadal,�invece,�il�problema�sembra
essersi�spostato�(soprattutto)�sull’erba�di
Wimbledon.�Dopo�le�5�finali�consecutive��non
contando�l’assenza�del�2009��dal�2006�al
2011,�il�maiorchino�non�si�è�più�nemmeno
affacciato�ai�quarti,�raggiungendo�al�massimo
gli�ottavi�prima�di�venire�eliminato�da�Kyrgios
nel�2014.
�
E�Federer?�Roger�ha�paradossalmente�vinto
l’oro�olimpico�in�doppio�e�non�in�singolare
(“solo”�argento),�specialità�in�cui�ha�disputato
solamente�218�partite�dal�1998.
�
Chiudiamo�con�qualche�caso�curioso
riguardante�le�finali.�Il�più�famoso,�ovviamente,
è�il�triste�record�di�Julien�Benneteau�fermo�a
0-10�negli�atti�conclusivi�sul�circuito�maggiore.
Il�francese�è�probabilmente�il�tennista�più�forte
a�non�mai�aver�assaporato�la�gioia�del�trionfo.
�
Al�contrario,�uno�come�Ernests�Gulbis,�che
non�fa�proprio�della�continuità�il�suo�punto�di
forza,�ha�per�ora�un�record�immacolato:�6�su�6.
�
E�nel�femminile�è�Sloane�Stephens�sulle�sue
tracce:�sulla�terra�verde�di�Charleston,l’americana�ha�portato�a�casa�il�suo�quartotitolo�su�quattro�finali�disputate…
E�per�i�big�del�circuito�maschile?�Anche�perloro�alcune�situazioni�paradossali.�In�ordine
gerarchico,�partiamo�da�Novak�Djokovic.Numero�1�indiscusso�e�dominatore�del�circuitoma�a�caccia�perennemente�del�Career�Slam.�ANole�manca�l’affermazione�nel�Roland�Garros,vero�e�proprio�caso�particolare�considerando
che�il�serbo�ha�nel�palmares�ben�sette�Masters1000�sul�mattone�tritato.�
Per�Rafael�Nadal,�invece,�il�problema�sembra
essersi�spostato�(soprattutto)�sull’erba�di
Wimbledon.�Dopo�le�5�finali�consecutive��non
contando�l’assenza�del�2009��dal�2006�al
2011,�il�maiorchino�non�si�è�più�nemmeno
affacciato�ai�quarti,�raggiungendo�al�massimo
gli�ottavi�prima�di�venire�eliminato�da�Kyrgios
nel�2014.
�
E�Federer?�Roger�ha�paradossalmente�vinto
l’oro�olimpico�in�doppio�e�non�in�singolare
(“solo”�argento),�specialità�in�cui�ha�disputato
solamente�218�partite�dal�1998.
�
Chiudiamo�con�qualche�caso�curioso
riguardante�le�finali.�Il�più�famoso,�ovviamente,
è�il�triste�record�di�Julien�Benneteau�fermo�a
0-10�negli�atti�conclusivi�sul�circuito�maggiore.
Il�francese�è�probabilmente�il�tennista�più�forte
a�non�mai�aver�assaporato�la�gioia�del�trionfo.
�
Al�contrario,�uno�come�Ernests�Gulbis,�che
non�fa�proprio�della�continuità�il�suo�punto�di
forza,�ha�per�ora�un�record�immacolato:�6�su�6.
�
E�nel�femminile�è�Sloane�Stephens�sulle�sue
tracce:�sulla�terra�verde�di�Charleston,l’americana�ha�portato�a�casa�il�suo�quartotitolo�su�quattro�finali�disputate…
Costruirsiun'armavincente
byFedericoCoppini
I�grandi�campioni�hanno�spesso�un�colpo�che
li�caratterizza�e�che�conferisce�loro�quel
qualcosa�in�più�,�rispetto�agli�altri�giocatori.
Così�Andre�Agassi�ha�nel�diritto�l'arma�vincente
che�tutti�gli�avversari�cercano�di�evitare,�Jimmy
Connors�giocava�il�rovescio�come�pochi�altri
giocatori�al�mondo�e�Goran�Ivanisevic
(ricordiamo�i�206�aces�messi�a�segno�nel
torneo�di�Wimbledon)�ottiene�dal�suo�servizio
tantissimi�punti�preziosi.�E�ancora�Stefan
Edberg�e�Martina�Navratilova�facevano�del
serve�&�volley�il�punto�fermo�su�cui�basare�il
loro�gioco�d'attacco.
�
Questi�e�tanti�altri�campioni,�quando�sono
chiamati�a�dare�il�massimo�danno�sfogo�alla
loro�combattività�attraverso�il�gesto�tecnico
che�li�contraddistingue.
�
Dopo�la�sconfitta�patita�ad�opera�di�Ivanisevic
nei�quarti�di�finale�di�Wimbledon'92,�un
frustrato�Stefan�Edberg�ha�rilasciato�la
seguente�dichiarazione:�"Nel�quinto�set�ho
avuto�subito�una�palla�break�e�lui�l'ha�annullata
con�un�ace.�Poi�sono�arrivato�5-3�15/40�e�lui�ne
ha�tirati�altri�due.�Poi�ancora�una�palla�break�e
ancora�un�ace.�Di�solito�hai�la�speranza�di
giocarti�qualche�break-point�su�una�seconda�di
servizio,�ma�con�Goran�non�funziona�così".�Da
non�dimenticare�inoltre�come�Jimmy�Connors
abbia�sempre�basato�le�sue�rimonte�impossibili
sull'anticipo�del�suo�rovescio�e�sulla�cieca
fiducia�che�Jim�Courier�ripone�nel�suo�diritto.
�
Facendo�le�debite�proporzioni,�anche�un
giocatore�di�club�può�perfezionare�un�aspetto
del�proprio�tennis�per�dare�una�connotazione
precisa�al�proprio�gioco�e�avere�così�un�solido
punto�di�riferimento�su�cui�fare�affidamento
per�demolire�la�resistenza�degli�avversari�e�al
quale�aggrapparsi�nei�momenti�difficili.�
Per�prima�cosa�è�necessaria�la�giusta�dose�di
obiettività�per�capire�quale�sia�realmente�il
colpo�che�può�essere�trasformato�in�un'arma
vincente�e�non�fare�scelte�poco�avvedute�solo
per�emulare�il�campione�preferito.�Una�volta
stabilito�il�colpo�su�cui�puntare�dobbiamo
allenarlo�con�cura�in�modo�da�eliminare
eventuali�problemi�tecnici�e�da�incrementare
sempre�più�la�fiducia�che�riponiamo�nelle�sue
capacità�offensive.�Il�colpo�preferito�deve
essere�tenuto�costantemente�sotto�controllo;
ciò�non�significa�che�bisogna�dare�meno
importanza�agli�altri�aspetti�del�gioco,�al
contrario,�è�consigliabile�però�dedicare
quotidianamente�una�parte�dell'allenamento�al
colpo�in�questione�per�mantenere�sempre�vivo
il�timing�(tempismo)�sulla�palla�e�per�non
smarrire�tutte�quelle�sensazioni�coordinative
(oculomanuali�e�spazio-temporali)�e
psicologiche�che�stanno�alla�base�della
sicurezza�del�giocatore.
�Supponendo�che�la�nostra�arma�vincente�sia�ildiritto,�ecco�alcuni�suggerimenti�per
l'allenamento:�
1)�Esercitazioni�in�fase�di�palleggio�a�ritmo
medio-basso�per�"sentire"�la�palla,�privilegiando
la�fluidità�di�movimento,�l'impatto�bene�davanti
al�corpo�e�il�trasferimento�del�peso�del�corpo
sulla�palla.
�2)�Esercitazioni�a�cestino�e�in�palleggio�per
allenare�il�colpo�alle�diverse�altezze:�A�=�Basso(impatto�al�di�sotto�dell'altezza�delle�ginocchia)
B�=�Medio�(impatto�compreso�fra�le�ginocchia�ele�spalle)�C�=�Alto�(impatto�sopra�l'altezza�dellespalle).�
Non�bisogna�dimenticare�di�fare�riferimento�ai
diversi�settori�dei�campo�dove�il�giocatore�può
trovarsi�a�colpire�e�dove�dovrà�applicare�le
opportune�variazioni�tecnico-tattiche.
L'allenamento�deve�prevedere�quindi
esercitazioni�a�cestino�e�in�palleggio�con
spostamenti�e�impatto�nelle�diverse�zone�del
campo:�a)�2-3�metri�dietro�la�linea�di
fondocampo�b)�in�prossimità�della�linea�di
fondo�e)�a�3/4�di�campo�d)�a�metà�campo�e)�in
prossimità�della�rete�f)�diritto�anomalo�giocato
nella�zona�di�campo�riservata�comunemente�alrovescio.�
3)�Allenare�l'anticipo,�cercando�di�colpire�lapalla�in�fase�ascendente.�
4)�Giocare�punti�"spingendo"�con�il�diritto�ericercando�soluzioni�vincenti�dalle�varieposizioni�del�campo.
�
Non�sempre�però�le�caratteristiche�tecniche�e
fisiche�di�un�giocatore�gli�consentono�di
eccellere�in�un�fondamentale.
�
Per�arma�vincente,�non�si�intende
necessariamente�un�colpo,�ma�anche�qualità
fisiche�e�mentali�che�all'occorrenza�possono
fare�la�differenza�trascinare�il�tennista�alla
vittoria.Esemplare�è�il�caso�di�Emilio�Sanchez
che�è�riuscito�a�issarsi�fino�ai�7°�posto�del
ranking�mondiale�(30�aprile�1990)�senza
possedere�colpi�particolarmente�incisivi,�ma
basando�tutto�il�suo�tennis�sul�gioco�di�gambe.
L'atleta�spagnolo,�ha�così�fatto�tesoro�della�sua
rapidità�di�spostamento�che�spesso�è�risultata
determinante�per�dominare�i�suoi�avversari.
Costruirsiun'armavincente
byFedericoCoppini
I�grandi�campioni�hanno�spesso�un�colpo�che
li�caratterizza�e�che�conferisce�loro�quel
qualcosa�in�più�,�rispetto�agli�altri�giocatori.
Così�Andre�Agassi�ha�nel�diritto�l'arma�vincente
che�tutti�gli�avversari�cercano�di�evitare,�Jimmy
Connors�giocava�il�rovescio�come�pochi�altri
giocatori�al�mondo�e�Goran�Ivanisevic
(ricordiamo�i�206�aces�messi�a�segno�nel
torneo�di�Wimbledon)�ottiene�dal�suo�servizio
tantissimi�punti�preziosi.�E�ancora�Stefan
Edberg�e�Martina�Navratilova�facevano�del
serve�&�volley�il�punto�fermo�su�cui�basare�il
loro�gioco�d'attacco.
�
Questi�e�tanti�altri�campioni,�quando�sono
chiamati�a�dare�il�massimo�danno�sfogo�alla
loro�combattività�attraverso�il�gesto�tecnico
che�li�contraddistingue.
�
Dopo�la�sconfitta�patita�ad�opera�di�Ivanisevic
nei�quarti�di�finale�di�Wimbledon'92,�un
frustrato�Stefan�Edberg�ha�rilasciato�la
seguente�dichiarazione:�"Nel�quinto�set�ho
avuto�subito�una�palla�break�e�lui�l'ha�annullata
con�un�ace.�Poi�sono�arrivato�5-3�15/40�e�lui�ne
ha�tirati�altri�due.�Poi�ancora�una�palla�break�e
ancora�un�ace.�Di�solito�hai�la�speranza�di
giocarti�qualche�break-point�su�una�seconda�di
servizio,�ma�con�Goran�non�funziona�così".�Da
non�dimenticare�inoltre�come�Jimmy�Connors
abbia�sempre�basato�le�sue�rimonte�impossibili
sull'anticipo�del�suo�rovescio�e�sulla�cieca
fiducia�che�Jim�Courier�ripone�nel�suo�diritto.
�
Facendo�le�debite�proporzioni,�anche�un
giocatore�di�club�può�perfezionare�un�aspetto
del�proprio�tennis�per�dare�una�connotazione
precisa�al�proprio�gioco�e�avere�così�un�solido
punto�di�riferimento�su�cui�fare�affidamento
per�demolire�la�resistenza�degli�avversari�e�al
quale�aggrapparsi�nei�momenti�difficili.�
Per�prima�cosa�è�necessaria�la�giusta�dose�di
obiettività�per�capire�quale�sia�realmente�il
colpo�che�può�essere�trasformato�in�un'arma
vincente�e�non�fare�scelte�poco�avvedute�solo
per�emulare�il�campione�preferito.�Una�volta
stabilito�il�colpo�su�cui�puntare�dobbiamo
allenarlo�con�cura�in�modo�da�eliminare
eventuali�problemi�tecnici�e�da�incrementare
sempre�più�la�fiducia�che�riponiamo�nelle�sue
capacità�offensive.�Il�colpo�preferito�deve
essere�tenuto�costantemente�sotto�controllo;
ciò�non�significa�che�bisogna�dare�meno
importanza�agli�altri�aspetti�del�gioco,�al
contrario,�è�consigliabile�però�dedicare
quotidianamente�una�parte�dell'allenamento�al
colpo�in�questione�per�mantenere�sempre�vivo
il�timing�(tempismo)�sulla�palla�e�per�non
smarrire�tutte�quelle�sensazioni�coordinative
(oculomanuali�e�spazio-temporali)�e
psicologiche�che�stanno�alla�base�della
sicurezza�del�giocatore.
�Supponendo�che�la�nostra�arma�vincente�sia�ildiritto,�ecco�alcuni�suggerimenti�per
l'allenamento:�
1)�Esercitazioni�in�fase�di�palleggio�a�ritmo
medio-basso�per�"sentire"�la�palla,�privilegiando
la�fluidità�di�movimento,�l'impatto�bene�davanti
al�corpo�e�il�trasferimento�del�peso�del�corpo
sulla�palla.
�
2)�Esercitazioni�a�cestino�e�in�palleggio�per
allenare�il�colpo�alle�diverse�altezze:�A�=�Basso(impatto�al�di�sotto�dell'altezza�delle�ginocchia)
B�=�Medio�(impatto�compreso�fra�le�ginocchia�ele�spalle)�C�=�Alto�(impatto�sopra�l'altezza�dellespalle).�
Non�bisogna�dimenticare�di�fare�riferimento�ai
diversi�settori�dei�campo�dove�il�giocatore�può
trovarsi�a�colpire�e�dove�dovrà�applicare�le
opportune�variazioni�tecnico-tattiche.
L'allenamento�deve�prevedere�quindi
esercitazioni�a�cestino�e�in�palleggio�con
spostamenti�e�impatto�nelle�diverse�zone�del
campo:�a)�2-3�metri�dietro�la�linea�di
fondocampo�b)�in�prossimità�della�linea�di
fondo�e)�a�3/4�di�campo�d)�a�metà�campo�e)�in
prossimità�della�rete�f)�diritto�anomalo�giocato
nella�zona�di�campo�riservata�comunemente�alrovescio.�
3)�Allenare�l'anticipo,�cercando�di�colpire�lapalla�in�fase�ascendente.�
4)�Giocare�punti�"spingendo"�con�il�diritto�ericercando�soluzioni�vincenti�dalle�varieposizioni�del�campo.
�
Non�sempre�però�le�caratteristiche�tecniche�e
fisiche�di�un�giocatore�gli�consentono�di
eccellere�in�un�fondamentale.
�
Per�arma�vincente,�non�si�intende
necessariamente�un�colpo,�ma�anche�qualità
fisiche�e�mentali�che�all'occorrenza�possono
fare�la�differenza�trascinare�il�tennista�alla
vittoria.Esemplare�è�il�caso�di�Emilio�Sanchez
che�è�riuscito�a�issarsi�fino�ai�7°�posto�del
ranking�mondiale�(30�aprile�1990)�senza
possedere�colpi�particolarmente�incisivi,�ma
basando�tutto�il�suo�tennis�sul�gioco�di�gambe.
L'atleta�spagnolo,�ha�così�fatto�tesoro�della�sua
rapidità�di�spostamento�che�spesso�è�risultata
determinante�per�dominare�i�suoi�avversari.
Intervista:sport
agonisticofin
dallateneraeta’,
proecontro
byFedericoCoppini
Ho�pensato�di�proporvi
questa�intervista�perchè
avendo�un�bimbo
primogenito�di�7�anni�e
vivendo�in�un�paese
estremamente�competitivo
riguardo�sia�alle�attività
scolastiche�che�extra-
scolastiche�stavo�riflettendo
ultimamente�su�quale�sia
l’atteggiamento�giusto�da
tenere�come�genitore.�Alle
volte�mi�viene�da�difendere�imiei�figli�e�proteggerli�dallacompetizione�ma�poi�penso
che�una�“sana”�competizionee�una�“sana”�ambizionesiano
utili�nella�vita�e�vadanocoltivate�fin�da�piccoli.�
Ma�come?Io�da�piccola�ero�moltocompetitiva,�mi�piaceva�faresport�in�modo�agonistico�mami�veniva�anche�voglia�di
cambiare�spesso,�forse�unpo’�troppo.�Mi�sono�dedicatamolto�anche�alla�musica�ma
un�po’�non�volevo�rinunciaretroppo�al�tempo�libero,�unpo’�consideravo�la�scuolacomunque�il�mio�impegnoprincipale.�I�miei�genitorierano�abbastanza�neutralisulle�mie�passioni,�comunque
per�loro�la�scuola�era�la�cosa
più’�importante.�E�così’
nessun�“talento”�è�sfociato�in
qualcosa�di�più’�serio.
�Da�chi�dipende?�Dal
bambino�o�dalla�spinta/appoggio�dei�genitori?�Come�cercare�i�talenti�dei
nostri�figli�e�comeappoggiarli�tenendocomunque�presente�chestanno�costruendo�il�loro
futuro�e�la�loro�indipendenzada�noi?�Come�insegnare�loroche�una�volta�scoperto�unproprio�talento,�questo�va
coltivato�a�volte�anche�contantisacrifici?�Per�esplorare�meglio�qualedeve�essere�l’atteggiamentoda�genitore�nei�confronti�diun�bambino/a�che�dimostra
un�reale�interesse�per�uno
sport,�ho�pensato�di
intervistare�una�mamma,
Elena�Petrucciano,�che�è
stata�unatennista�di�serie�A�e
ha�anche�finito�l’università�in
modo�brillante.�Certo�è�un
esempio�speciale,�ma�può
essere�utile�per�capire�come
è�la�stata�la�sua�giovinezza�e
quanto�i�suoi�genitori
abbiano�influito�sui�suoi
successi.
�Ciao�Elena,�ti�presentibrevemente�?
Sono�una�napoletana�dinascita,�vissuta�sempre�aRoma.�Fino�a�diciotto�annisono�stata�una�sportiva�atempo�pieno.�Primapattinatrice�di�buon�livello,poi�tennista.�Ero�tra�le�prime
d’Italia�e�d’Europa�del�mio
anno,�convocata�dallanazionale�juniores,�ho
giocato�dai�14�anni�nelcircuito�pro�WTA,�vinto�laserie�A�a�squadre�e�vari�titolinazionali�e�internazionali.�Poifinito�il�liceo�ho�deciso�di
lasciare�la�carriera�daprofessionista�e�di�iscrivermiad�Economia.�Mi�sonolaureata�con�lode�e�in�tempibrevi�e�ho�iniziato�a�lavorarenel�marketing�in�una
multinazionale�ma�non�homai�lasciato�il�tennis.�Hocontinuato�a�giocare�la�serieA�e�ho�iniziato�ad�insegnare.
Nel�2011�mi�sono�trasferita�aSan�Francisco�con�miomarito�e�l’anno�scorso�ho
avuto�il�mio�primo�figlio,�unbellissimo�maschietto�dinome�Nicolas.
�
Raccontaci�come�è�iniziato
il�tuo�percorso�sportivo.�A
che�età�hai�iniziato�a
giocare�a�tennis?
Il�mio�percorso�sportivo�è
iniziato�molto�presto,�prima
del�tennis.�Avevo�tre�anni
quando�ho�cominciato�a
pattinare�e�a�sei�già�facevo
delle�gare�in�giro�per�l’Italia.
Il�pattinaggio�è�uno�sport
molto�precoce�e�già�così
piccola�facevo�l’agonistica.�Il
tennis�l’ho�iniziato�piuttosto
tardi�paragonandomi�ad�altre
tenniste,�avevo�8�anni.�Nel
frattempo�ho�fatto�altri�sport
come�ginnastica�artistica,
nuoto�e�cavallo,�ma�non�ad
alto�livello.�
Hanno�subito�individuatoche�avevi�un�vero�talentoper�il�tennis?�Come�l’hannopresa�i�tuoi?
Quando�ho�iniziato�a�giocare
a�tennis�il�fatto�che�fossi�già
un’atleta,�con�il�fisico�e�la
mentalità�da�agonista,�non�è
sfuggito�ai�miei�primi�maestri
di�tennis.�Hanno�visto�in�me
delle�buone�potenzialità�e
hanno�chiesto�ai�miei
genitori�se�volessi�passare
subito�ad�un�livello�più
avanzato�ed�allenarmi
meglio.�Il�fatto�che�fosse�una
scuola�tennis�tra�le�migliori�di
Roma�in�quegli�anni�ha
sicuramente�giocato�un�ruolo
fondamentale�nella�mia
crescita�tennistica.�I�miei
genitori�erano�contenti�di
questa�mia�dote�sportiva�e�si
sono�dati�da�fare�per
coltivarla.�Mi�hanno
accompagnato�e
“scarrozzato”�in�giro�per
anni.
�
Come�è�stata�la�tua
infanzia/adolescenza?�A
cosa�hai�dovuto�rinunciare?
Hai�sofferto�o�è�andato
tutto�liscio?
Pensandoci�ora,�vedendo�lecose�in�modo�obiettivo�eparagonando�la�mia
adolescenza�a�quella�dei�mieiamici,�penso�di�essere�statamolto�fortunata�e�di�aver
Intervista:sport
agonisticofin
dallateneraeta’,
proecontro
byFedericoCoppini
Ho�pensato�di�proporvi
questa�intervista�perchè
avendo�un�bimbo
primogenito�di�7�anni�e
vivendo�in�un�paese
estremamente�competitivo
riguardo�sia�alle�attività
scolastiche�che�extra-
scolastiche�stavo�riflettendo
ultimamente�su�quale�sia
l’atteggiamento�giusto�da
tenere�come�genitore.�Alle
volte�mi�viene�da�difendere�imiei�figli�e�proteggerli�dallacompetizione�ma�poi�penso
che�una�“sana”�competizionee�una�“sana”�ambizionesiano
utili�nella�vita�e�vadanocoltivate�fin�da�piccoli.�
Ma�come?Io�da�piccola�ero�moltocompetitiva,�mi�piaceva�faresport�in�modo�agonistico�mami�veniva�anche�voglia�di
cambiare�spesso,�forse�unpo’�troppo.�Mi�sono�dedicatamolto�anche�alla�musica�ma
un�po’�non�volevo�rinunciaretroppo�al�tempo�libero,�unpo’�consideravo�la�scuolacomunque�il�mio�impegnoprincipale.�I�miei�genitorierano�abbastanza�neutralisulle�mie�passioni,�comunque
per�loro�la�scuola�era�la�cosa
più’�importante.�E�così’
nessun�“talento”�è�sfociato�in
qualcosa�di�più’�serio.
�Da�chi�dipende?�Dal
bambino�o�dalla�spinta/appoggio�dei�genitori?�Come�cercare�i�talenti�dei
nostri�figli�e�comeappoggiarli�tenendocomunque�presente�chestanno�costruendo�il�loro
futuro�e�la�loro�indipendenzada�noi?�Come�insegnare�loroche�una�volta�scoperto�unproprio�talento,�questo�va
coltivato�a�volte�anche�contantisacrifici?�Per�esplorare�meglio�qualedeve�essere�l’atteggiamentoda�genitore�nei�confronti�diun�bambino/a�che�dimostra
un�reale�interesse�per�uno
sport,�ho�pensato�di
intervistare�una�mamma,
Elena�Petrucciano,�che�è
stata�unatennista�di�serie�A�e
ha�anche�finito�l’università�in
modo�brillante.�Certo�è�un
esempio�speciale,�ma�può
essere�utile�per�capire�come
è�la�stata�la�sua�giovinezza�e
quanto�i�suoi�genitori
abbiano�influito�sui�suoi
successi.
�Ciao�Elena,�ti�presentibrevemente�?
Sono�una�napoletana�dinascita,�vissuta�sempre�aRoma.�Fino�a�diciotto�annisono�stata�una�sportiva�atempo�pieno.�Primapattinatrice�di�buon�livello,poi�tennista.�Ero�tra�le�prime
d’Italia�e�d’Europa�del�mio
anno,�convocata�dallanazionale�juniores,�ho
giocato�dai�14�anni�nelcircuito�pro�WTA,�vinto�laserie�A�a�squadre�e�vari�titolinazionali�e�internazionali.�Poifinito�il�liceo�ho�deciso�di
lasciare�la�carriera�daprofessionista�e�di�iscrivermiad�Economia.�Mi�sonolaureata�con�lode�e�in�tempibrevi�e�ho�iniziato�a�lavorarenel�marketing�in�una
multinazionale�ma�non�homai�lasciato�il�tennis.�Hocontinuato�a�giocare�la�serieA�e�ho�iniziato�ad�insegnare.
Nel�2011�mi�sono�trasferita�aSan�Francisco�con�miomarito�e�l’anno�scorso�ho
avuto�il�mio�primo�figlio,�unbellissimo�maschietto�dinome�Nicolas.
�
Raccontaci�come�è�iniziato
il�tuo�percorso�sportivo.�A
che�età�hai�iniziato�a
giocare�a�tennis?
Il�mio�percorso�sportivo�è
iniziato�molto�presto,�prima
del�tennis.�Avevo�tre�anni
quando�ho�cominciato�a
pattinare�e�a�sei�già�facevo
delle�gare�in�giro�per�l’Italia.
Il�pattinaggio�è�uno�sport
molto�precoce�e�già�così
piccola�facevo�l’agonistica.�Il
tennis�l’ho�iniziato�piuttosto
tardi�paragonandomi�ad�altre
tenniste,�avevo�8�anni.�Nel
frattempo�ho�fatto�altri�sport
come�ginnastica�artistica,
nuoto�e�cavallo,�ma�non�ad
alto�livello.�
Hanno�subito�individuatoche�avevi�un�vero�talentoper�il�tennis?�Come�l’hannopresa�i�tuoi?
Quando�ho�iniziato�a�giocare
a�tennis�il�fatto�che�fossi�già
un’atleta,�con�il�fisico�e�la
mentalità�da�agonista,�non�è
sfuggito�ai�miei�primi�maestri
di�tennis.�Hanno�visto�in�me
delle�buone�potenzialità�e
hanno�chiesto�ai�miei
genitori�se�volessi�passare
subito�ad�un�livello�più
avanzato�ed�allenarmi
meglio.�Il�fatto�che�fosse�una
scuola�tennis�tra�le�migliori�di
Roma�in�quegli�anni�ha
sicuramente�giocato�un�ruolo
fondamentale�nella�mia
crescita�tennistica.�I�miei
genitori�erano�contenti�di
questa�mia�dote�sportiva�e�si
sono�dati�da�fare�per
coltivarla.�Mi�hanno
accompagnato�e
“scarrozzato”�in�giro�per
anni.
�
Come�è�stata�la�tua
infanzia/adolescenza?�A
cosa�hai�dovuto�rinunciare?
Hai�sofferto�o�è�andato
tutto�liscio?
Pensandoci�ora,�vedendo�lecose�in�modo�obiettivo�eparagonando�la�miaadolescenza�a�quella�dei�miei
amici,�penso�di�essere�statamolto�fortunata�e�di�aver
avuto�una�bellissima
adolescenza.�Sempre�all’aria
aperta,�in�giro�per�l’Italia�e
l’Europa,�in�circoli�e�posti
belli,�ottenendo�spesso
soddisfazioni,�premi�etc.�In
quegli�anni�invece�pensavo
di�essere�l’unica�tra�i�miei
compagni�a�non�uscire�la
sera,�credevo�che�loro
facessero�chissà�cosa�e
quindi,�anche�se�mi�divertivo
molto�in�giro�per�tornei,
pensavo�di�rinunciare�e
perdermi�qualcosa.�Certo,
non�è�andato�tutto�liscio
sempre.�Mi�sono�spesso
allenata�da�sola,�ho�viaggiato
da�sola�tante�volte�e�la
comitiva�o�le�uscite
pomeridiane�non�sapevo
cosa�fossero.
Per�te�il�tennis�era�propriouna�passione�per�cuiavresti�lottato�anche�da
piccola�o�ti�ci�seisemplicemente�trovata�in
mezzo?
Mi�ci�sono�trovata.�Mia
mamma�mi�ha�iscritto
perché�un�suo�collega
portava�la�figlia�in�quel
circolo�e�dicevano�che�era
una�buona�scuola�tennis.�Le
sembrava�un’ambiente
migliore�del�pattinaggio�e
così�mi�ha�fatto�provare.�Il
fatto�che�poi�i�maestri�mi
abbiano�subito�spronato�e
incoraggiato�molto�mi�ha
esaltato�e�da�buona
competitiva�quale�ero�ho
cominciato�ad�appassionarmi
a�questo�sport.
Come�hai�vissuto�ilrapporto�con�la�scuola?Sono�stati�i�tuoi�a
trasmetterti�l’importanzadi�continuare?�
L’ho�vissuto�sempre�molto
serenamente,�e�secondo�me
è�stato�merito�sia�del�mio
carattere�diligente�che�dei
miei�genitori�che�non�mi
hanno�mai�imposto�nulla.�I
compiti�e�la�scuola�erano�una
mia�responsabilità�e�sapevo
che�non�avrei�potuto�mai
essere�bocciata,�ma�per�il
resto�me�la�potevo�gestire�io
come�volevo.�I�compiti�li
facevo�nei�ritagli�di�tempo�e
non�mi�piaceva�fare�brutte
figure�né�a�scuola,�né�a�casa,
quindi�studiavo�e�andavo
bene.�La�scelta
dell’Università�al�posto�della
carriera�da�professionista�poi
è�stata�assolutamente�una
mia�scelta.�I�miei�hanno
pianto�per�questo!
�
Cosa�ne�pensi�di�in�tuttiquei�numerosi�sportivi�che
cercano�di�fare�dello�sportun�lavoro�ma�magari�nonriescono�ad�arrivare�a�livellitop?
Penso�che�se�un�ragazzo�ha
talento,�ha�dei�buoni�risultati
e�una�forte�passione�è�giusto
che�ci�provi.�Il�fatto�che�io
fino�a�diciotto�anni�abbia
“lavorato”,�allenandomi�quasi
sette�ore�al�giorno�tutti�i
giorni,�andando�a�scuola�fino
alle�11�di�sera�e�non�abbia
fatto�vacanze�anziché�essere
andata�in�giro�nel�pomeriggio
e�in�Sardegna�d’estate,�mi�ha
solo�agevolato�poi�nella�vita.
Per�me�tutto�è�diventato
meno�faticoso�negli�anni
successivi.�Mi�sono�accorta
che�l’università,�il�lavoro�e�la
vita�in�generale�per�me�sono
vissuti�in�modo�più�semplice
di�come�la�vivono
mediamente�gli�altri,�perché
per�anni�io�ho�messo�a�dura
prova�il�mio�fisico�e�la�mia
mente�e�mi�sono�allenata�a
ritmi�duri.
�
Come�ti�comporterai�con
tuo�figlio�nell’età�dei�primi
approcci�sportivi:
sperimentazione�o
focalizzazione?�Mio�figlio
per�esempio�a�7�anni�è
ancora�nella�fase�in�cuivuole�fare�3�sport�diversi
senza�scegliere.
Quasi�tutti�i�bambini,
giustamente,�tendono�solo�a
divertirsi�quando�fanno�gli
sport.�Vogliono
sperimentare,�stare�con�gli
amichetti�e�scherzare.�Ed�è
giusto�che�sia�così.�Sono
pochissimi�i�bambini�che�da
soli�decidono�di�ammazzarsi
di�fatica�per�raggiungere�un
obiettivo�o�un�traguardo.
Quello�della�focalizzazione�è
un�concetto�che�va
insegnato�e�secondo�me�è
molto�importante�perché
aiuta�nella�vita.�Mio�padre�lo
ha�trasmesso�a�me�e�io�farò
altrettanto�con�i�miei�figli.�è
giusto�provare�diversi�sport
quando�si�è�molto�piccoli�ma
poi,�se�si�vuole�ottenre
qualche�soddisfazione�e
risultato,�bisogna�impegnarsie�concentrarsi�su�una�sola
cosa.�Essere�bravi�inqualcosa�e�non�dei�medi�intutto,�accresce�moltol’autostima�di�un�ragazzo.�
Cosa�ti�ha�insegnato�lo
sport�vissuto�così
intensamente�fin�da
piccola?�Come,�secondo�te,
ha�influenzato�lo�sviluppo
del�tuo�carattere?
Lo�sport�mi�ha�reso�moltodisciplinata�e�responsabile.Mi�ha�insegnato�a�nonmontarmi�la�testa�quando�le
cose�vanno�bene�e�a�saperperdere�quando�vanno�male.Mi�ha�insegnato�che�non
sempre�si�vince�anche�se�sida�il�massimo,�bisognarispettare�se�stessi�e�i�propri
limiti.�Mi�ha�insegnato�arimanere�concetrata�e�lucidaper�ore�e�a�superare�i
momenti�di�stanchezza�e
fatica.�Infine,�lo�sport�mi�ha
aiutato�nella�gestione�e
organizzazione�del�tempo.
Quando�il�tempo�è�poco�per
far�tutto�non�si�può�sprecare
un�minuto!
�Quanti�talenti�“sprecati”�cisono�in�giro,�secondo�te,�equanto�dipende�dalla
famiglia�il�loro�emergere�omeno?
Molti.�La�famiglia�è
sicuramente�fondamentale
per�far�emergere�uno
sportivo,�però�ci�vuole�anche
molta�fortuna�nel�trovare�lo
sport�e�la�struttura�giusta.
Un�ragazzo�con�un�grande
talento�per�il�tennis�ad
esempio,�con�un�maestro
non�bravo�non�potrà�mai
diventare�forte.�E�se�un
ragazzo�avesse�un�talento
per�uno�sport�che�non�ha
mai�provato�sarebbe�un
peccato,�ma�d’altronde�è�un
po’�come�i�fidanzati..non�si
possono�provare�tutti�per
sapere�quale�sia�il�migliore!
�Ti�auguri�un�figlio�sportivoagonista�o�uno�che�havoglia�semplicemente�di
divertirsi�e�tenersi�informa?�
Io�mi�auguro�di�riuscire�a
trasmettere�a�mio�figlio�la
passione�per�lo�sport,�per�la
vita�sana�e�all’aria�aperta.
Avereserietà�nelle�cose�che
si�fanno�è�molto�importante
secondo�me,�ma�non�per
forza�deve�essere�uno�sport.
Anche�la�musica,�l’arte�o�lo
studio�se�fatti�seriamente
possono�dare�gli�stessi
benefici�e�insegnamenti�dello
sport.�Quindi�spero�di�essere
in�grado�di�identificare�il
talento�di�mio�figlio�e�far�sì
che�lo�coltivi�e�impari�che�se
vuole�diventare�bravo�e
ottenere�qualche�risultato�il
talento�non�basta.�Le
soddisfazioni�non�arrivano
solo�con�il�divertimento�e
dote�naturale,�ma�anche�con
qualche�sacrificio�e�forza�di
volontà.
�Ha�senso�dedicarsi�solo�allosport�trascurandocompletamentel’educazione�accademica?
Dipende�da�che�età�si�parla
secondo�me.�è�chiaro�che
fino�a�diciotto�anni�la�scuola
è�obbligatoria.�è�un�diritto�e
un�dovere�di�ognuno�per
poter�vivere�nella�società.
Per�quanto�riguarda
l’università�invece�è�tutto�un
altro�discorso.�Non�tutti�sono
portati�per�lo�studio�e�non
vedo�perché�si�debbano
perdere�anni�di�vita�preziosa
per�fare�esami�di�cui�non�si�è
interessati�quando�si
potrebbe�utilizzare�quel
tempo�per�imparare�un
mestiere�e�fare�qualcosa�di
più�adatto�alle�proprie
potenzialità.�A�diciotto�anni
secondo�me�si�è�grandi�e
bisogna�prendersi�le�proprie
responsabilità.�Se�uno
ragazzo�è�veramente
intenzionato�a�fare�il
cantante,�lo�sportivo,�il
musicista,�l’artista,�lasciando
completamente�gli�studi,�si
spera�che�sappia�che�la
strada�verso�il�successo�è
molto�difficile�e�tortuosa�e�se
nonostante�ciò�ci�vuole
provare�bisogna�appoggiarlo,
ma�mettendo�in�chiaro�che�si
assume�la�responsabilità
delle�sue�azioni�e�se�la�dovrà
cavare�da�solo�se�dovesse
andar�male�poi.�Continuare�a
studiare�invece�dà�sempre
una�chance�in�più�secondo
me.�Una�sorta�di�piano�B�che
è�bene�avere.�Ma�ognuno�fa
le�sue�scelte!
�
Per�finire,�com’è
l’ambiente�sportivo?�Credi
che�il�tennis�abbia�delle
caratteristiche�diverse�o�si
vive�un�po’�in�tutti�la�stessa
atmosfera?
Direi�che�ormai�sono�più�o
meno�tutti�simili�gli�ambienti.
Prima�alcuni�sport�erano�solo
per�ricchi�e�altri�per�poveri.
Adesso�anche�il�golf,�sport
per�ricchi�per�eccellenza,�è
diventato�accessibile�quasi�a
tutti.�E�così�il�tennis.�è
sempre�uno�sport�caro�ma
non�più�di�altri.�In�generale
direi�che�si�trovano�ovunque
i�genitori�fanatici�e
maleducati�e�quelli�pacati�e
tranquilli.�Anche�tra�i�maestri
c’è�un�po’�di�tutto!�Quello
che�è�importante�è�scegliere
il�posto�giusto�dove�fare
sport.�Una�buona�struttura�e
un�maestro�serio�e
competente�possono
veramente�fare�del�bene�ai
bambini,�qualsiasi�livello�essi
raggiungano,�perché�lo�sport
insegna.
Comeaffrontare
unmancino
byFedericoCoppini
Innanzitutto�questi�pessimi
"clienti"�stravolgono�la�nostra
concezione�del�match:
utilizzano�angoli�che�non
siamo�abituati�a�coprire,
invertono�rotazioni�e
direzioni�del�gioco.�E�si
trovano,�per�esempio,�a
utilizzare�il�loro�servizio�più
insidioso�nelle�situazioni
cruciali�del�gioco,�cioè�sui
"vantaggi".�Per�semplificare
le�cose�ho�individuato�quella
che�è�a�mio�parere�la
tipologia�classica�del
mancino:�prevalentemente
in�back,�dritto�più�solido�e
"arrotato",�insidioso�servizio
slice,�specie�"ad�uscire"
(avete�presente�McEnroe?).
�una�schematizzazione,�e
bisogna�sempre�tenere�a
mente�che�ogni�avversario,
sul�campo,�ha�le�sue
caratteristiche.�Ma�torniamo
al�nostro�avversario�"ideale":
cercheremo�di�metterlo�in
difficoltà�con�le�sue�stesse
armi,�e�di�colpirlo�nei�suoi
punti�deboli.
�
Uno�dei�punti�forti�dei
mancini�è�il�servizio�slice
giocato�da�sinistra�verso
destra.�Proviamo�dunque�a
rubargli�l'idea�e,�quando
serviamo�da�destra�mettiamo
anche�noi�un�po'�di�rotazione
slice�nella�nostra�battuta,
andando�a�"cercare",�con�una
traiettoria�più�lenta�ma
insidiosa,�il�rovescio
dell'avversario.
�
Il�back�del�mancino�potrebbe
avere�difficoltà�a�contrastare
un�servizio�del�genere;�nel
caso�di�una�risposta�corta�noi
saremo�già�pronti�a�entrare
in�campo�e�ad�attaccare
verso�il�lato�del�campo
scoperto.
�
L'avversario,�infatti,�tenderà
istintivamente�a�coprire�il
lato�del�rovescio,�dove�si
sente�più�debole,
concedendo�metri�preziosi�al
nostro�approccio.
Ricordatevi,�invece,�quando
voi�vi�troverete�a
fronteggiare�il�servizio,�di
non�"aspettare"�la�palla,�ma
al�contrario�di�entrare�in
campo�per�tagliare�la
traiettoria�slice�evitando�che
la�rotazione�vi�allontani
troppo�dalla�riga.
Equilibriotra
stresse
recupero
byFedericoCoppini
Il�concetto�di�allenamento�è
basato�sulla�gestione�dello
stimolo�del�lavoro,�cioè�dello
stress.
�
Il�corpo�si�adatta
gradualmente�all’aumento
del�livello�di�stress�e�diventa
a�poco�a�poco�suscettibile�di
una�maggiore�capacità�di
lavoro.�Quando�lo�stimolo
del�lavoro�è�eccessivo,�il
risultato�spesso�è�di�scarsa
performance,�ma�anche�uno
stress�insufficiente�conduce
ad�una�cattiva�performance
e�quindi�ad�un
miglioramento�scarso�o
nullo.
�Ecco�allora�10�regole�daseguire:�1.�L’allenamento�deve�essere
mirato�all’equilibrio�tra�lo�stresse�il�recupero;�
2.�Il�rapporto�stress/recupero
deve�essere�controllato
accuratamente,�se�la�massima
performance�è�avvenuta�nel
periodo�desiderato;
�3.�I�cicli�di�lavoro�e�riposo
devono�essere�precisati�inanticipo�su�apposite�tabelle;
�
4.�Lo�stress�deve�essere
correttamente�alternato�al
recupero,�altrimenti�non�può
essere�ottenuta�una�buona
performance;
�
5.�Non�ci�si�può�allenare�sempre
ai�massimi�livelli;
�
6.�Periodi�lunghi�di�stressportano�ad�una�scarsaperformance;�7.�I�periodi�di�riposo�sono�tantoimportanti�quanto�quelli�di
lavoro;�8.�Esiste�una�relazione�tra�stresse�divertimento;�
9.�Lo�stress�è�sia�fisico�che
psichico;�
10.�Quando�lo�stimolo�di
lavoro�è�eccessivo�rispetto�ai
periodi�di�recupero,�il
meccanismo�di�stress�si
ferma.�Le�pulsazioni�sono
una�forma�di�alternanza
quasi�ondulata�tra
consumazione�di�energia
(stress)�e�recupero�di
energia.�Ogni�cellula�del
corpo�batte�secondo�il�suo
ciclo�stress/recupero.
Pulsazioni�del�cuore�e
attività�celebrale�e
muscolazione�producono
onde�misurabili�che
rispecchiano�i�cilci�di�stress/
recupero.�Il�massimo�della
performance�e�della�salute�si
raggiunge�quando�tutti�gli
orologi�vengono
perfettamente�sincronizzati.
�
Ciò�si�può�realizzare
controllando�le�pulsazioni�del
cuore�durante�gli
allenamenti,�in�modo�che�i
periodi�di�stress�siano
bilanciati�da�intervalli�di
recupero�e�rilassamento.
Alla�fatidica�domanda�riguardo�quale�parte
del�bicchiere�si�guardi�più�spesso,�non�tutti
rispondono�il�"bicchiere�mezzo�pieno".
�
Una�buona�parte�della�popolazione,�infatti,
tende�a�porre�maggior�attenzione�al�negativo("bicchiere�mezzo�vuoto").�
E�succede�che�ciò�che,�inizialmente,�sembra
essere�solo�una�predisposizione�poi�diventa
inevitabilmente�un'abitudine.�E'�proprio�così,
nella�grande�differenza�interindividuale,�c'è
chi�spontaneamente,�aprendo�la�porta�di�una
stanza�sconosciuta�(come�la�vita),�guarda�(o
cerca)�prevalentemente�gli�oggetti,�gli�arredi,
le�cose�piacevoli�e�chi,�invece,�altrettanto
naturalmente,�guarda�(o�cerca)
prevalentemente�gli�oggetti,�gli�arredi,�le
cose�spiacevoli.�Il�perché�di�tale�realtà�è,
certamente,�radicato�su�dinamiche
psicologiche�complesse�che,�a�seconda�dei
casi,�poi�trova�conferme�e/o�disconferme
nell'esperienza�della�quotidianità.
�
Una�verità�ancor�più�importante�è�che�in
ogni�individuo,�senza�alcuna�ombra�di
dubbio,�il�positivo�c'è.�In�alcune�persone�è
chiaro,�evidente�ed�in�bella�mostra,�in�altre�è
da�ricercare�con�il�lumicino,�ma�c'è.�Il
pensiero�positivo,�quindi,�prima�ancora�di
essere�una�tecnica�di�preparazione�mentale,
è�una�filosofia�di�vita.
�
Senza�tale�approccio�interiore,�senza�cioè
ricercare�il�positivo�esistente�negli�altri,�è
davvero�difficile�e�quantomeno�bizzarro
utilizzare�questa�importante�tecnica�di
mental�training.
�Si�cadrebbe,�empaticamente,�in
contraddizione.�
La�tecnica.
Per�poter�effettuare�tale�pratica,�è
importante�che�lo�psicologo�sportivo�conosca
bene�l'atleta�in�modo�da�sapere�qual'è�la�sua
predisposizione�iniziale�"a�pensare�positivo".
�
Bisogna�capire�come�l'individuo,�che�si�vuole
preparare,�vive�gli�eventi�positivi�e�quelli
negativi.�In�seguito�a�cosa,�a�suo�avviso,�si�è
vinto�o�perso.
�
Bravura,�fortuna,�fatalità?
Anche�da�questi�elementi�è�possibile�valutare
l'autostima�dell'atleta�e�l'autoefficacia
(autostima�gesto-specifica)�sapendo�che�chi
pensa�spesso�in�negativo,�probabilmente,�ha
una�bassa�autostima�E'�bene,�pertanto,�aiutare
l'atleta�a�cercare,�inizialmente�insieme,�ciò�che
di�lui�è�positivo�per�poi�cominciare�a�"tirarlo
fuori".
�E'�un�allenamento�continuo:�spostare�ilnegativo,�vedere�positivo,�stoppare�i�pensieri
neri,�far�avanzare�solo�quelli�chiari.�
Mano�a�mano,�ciò�che�sembra�uno�sforzo
diventa�naturale.�L'atleta�scopre�che�ha
imparato�a�pensare�positivo.
�
E�siccome�il�pensiero�positivo�è�"contagioso",
senza�rendersene�pienamente�conto,�l'atleta
comincia�ad�insegnare�a�pensare�in�positivo�a
chi�sta�accanto�a�lui.�Questa�è�la�migliore�prova
che�la�tecnica�è�stata�compresa,�accettata�e
praticata.
Qualeatteggiamentoèutile
ingara?
byFedericoCoppini
Si�provi�a�chiedere�ad�un�atleta�qual'è�stata�la
sua�prestazione�migliore.
�
Si�scoprirà�(e�la�sorpresa�non�sarà�solo
dell'intervistatore)�che�egli�di�quella�gara
ricorda�praticamente�tutto.
�
La�data,�l'orario,�la�città,�il�campo�da�gioco,�le
condizioni�atmosferiche,�gli�avversari,�la�giuria,
ma�soprattutto�le�sensazioni�interne.�Quelle
sensazioni�positive�che�il�proprio�fisico�gli
"rimandava"�e�che�hanno�preceduto�e
accompagnato�una�grande�prestazione,�si
noterà,�sono�state�"scolpite"�nella�memoria.
�
L'atleta,�probabilmente�non�se�ne�è�nemmeno
accorto,�ma�da�quel�fatidico�giorno�qualcosa
dentro�di�lui�è�cambiato,�cambiato�in�positivo.
�
Nel�momento�della�sua�prestazione�migliore
(Peak�Performance)�ha�sperimentato�delle
sensazioni�interne�così�diverse,�coinvolgenti�e
particolari�che�hanno�reso�quella�esperienza�di
gara�diversa�da�tutte�le�altre.
�
Se�l'atleta�racconta�che�tutto�era�facile,
naturale,�automatico,�piacevole,�che�il�tempo
era�sembrato�fermarsi,�molto�probabilmente,
durante�quella�competizione�egli�è�andato
incontro�ad�uno�stato�di�Flow;�per�tale�motivo,
la�sua�mente�ha�"deciso"�di�fissare�per�sempre
quei�momenti�assieme�a�quelli�immediatamente
precedenti�o�successivi�l'evento.
Approfondendo�i�concetti�di�Flow�e�di�Peak
Performance,�si�capirà�come�quella
meravigliosa�esperienza,�che�tutt'ora�l'atleta
ricorda,�può�aiutarlo�ancora�nel�raggiungimento
di�obiettivi�sempre�più�alti�e�straordinari.
�
Lo�stato�di�Flow.�Può�essere�definito�come
l'esperienza�ottimale�in�cui�si�è�così�immersi�in
ciò�che�si�sta�facendo,�che�tutto�il�resto�sembra
non�avere�importanza.�E'�un�esperienza
estremamente�entusiasmante,�fonte�di
soddisfazione�e�motivazione�profonda.
�
E'�caratterizzato�da�un�equilibrio�tra�sfida�ed
abilità,�unione�tra�azione�e�coscienza,�mete
chiare,�feedback�immediato,�concentrazione�sul
compito,�senso�di�controllo,�perdita�della
autoconsapevolezza,�destrutturazione�del
tempo,�esperienza�autotelica.
�
Peak�Performance.�E'�una�prestazione
superiore�allo�standard�individuale�ed�è
caratterizzata�da�forti�contenuti�emozionali�di
gioia�e�di�profondo�appagamento.�E'
caratterizzata�da�un�focus�attentivo�chiaro,�alto
livello�di�performance,�iniziale�fascino�per�il
compito,�spontaneità,�forte�senso�di�sé.�Vedi
relazione�tra�Flow�e�Peak�Performance.
�
Appare�chiaro,�a�questo�punto,�come�uno�degli
obiettivi�principali�della�preparazione�mentale
sarà�quella�di�ricreare�tutte�quelle�condizioni
psicologiche�affinché�l'atleta�possa�ri-
sperimentare�uno�stato�di�Flow�con�la
conseguente�maggior�probabilità�di�effettuare
una�Peak�Performance.�Gli�strumenti�che
meglio�di�altri�possono�favorire�tale�obiettivo
sono:�·�visualizzazione�·�concentrazione�·
propriocettivit��imagery�o�allenamento�ideo
motorio
Qualeatteggiamentoèutile
ingara?
byFedericoCoppini
Si�provi�a�chiedere�ad�un�atleta�qual'è�stata�la
sua�prestazione�migliore.
�
Si�scoprirà�(e�la�sorpresa�non�sarà�solo
dell'intervistatore)�che�egli�di�quella�gara
ricorda�praticamente�tutto.
�
La�data,�l'orario,�la�città,�il�campo�da�gioco,�le
condizioni�atmosferiche,�gli�avversari,�la�giuria,
ma�soprattutto�le�sensazioni�interne.�Quelle
sensazioni�positive�che�il�proprio�fisico�gli
"rimandava"�e�che�hanno�preceduto�e
accompagnato�una�grande�prestazione,�si
noterà,�sono�state�"scolpite"�nella�memoria.
�
L'atleta,�probabilmente�non�se�ne�è�nemmeno
accorto,�ma�da�quel�fatidico�giorno�qualcosa
dentro�di�lui�è�cambiato,�cambiato�in�positivo.
�
Nel�momento�della�sua�prestazione�migliore
(Peak�Performance)�ha�sperimentato�delle
sensazioni�interne�così�diverse,�coinvolgenti�e
particolari�che�hanno�reso�quella�esperienza�di
gara�diversa�da�tutte�le�altre.
�
Se�l'atleta�racconta�che�tutto�era�facile,
naturale,�automatico,�piacevole,�che�il�tempo
era�sembrato�fermarsi,�molto�probabilmente,
durante�quella�competizione�egli�è�andato
incontro�ad�uno�stato�di�Flow;�per�tale�motivo,
la�sua�mente�ha�"deciso"�di�fissare�per�sempre
quei�momenti�assieme�a�quelli�immediatamente
precedenti�o�successivi�l'evento.
Approfondendo�i�concetti�di�Flow�e�di�Peak
Performance,�si�capirà�come�quella
meravigliosa�esperienza,�che�tutt'ora�l'atleta
ricorda,�può�aiutarlo�ancora�nel�raggiungimento
di�obiettivi�sempre�più�alti�e�straordinari.
�
Lo�stato�di�Flow.�Può�essere�definito�come
l'esperienza�ottimale�in�cui�si�è�così�immersi�in
ciò�che�si�sta�facendo,�che�tutto�il�resto�sembra
non�avere�importanza.�E'�un�esperienza
estremamente�entusiasmante,�fonte�di
soddisfazione�e�motivazione�profonda.
�
E'�caratterizzato�da�un�equilibrio�tra�sfida�ed
abilità,�unione�tra�azione�e�coscienza,�mete
chiare,�feedback�immediato,�concentrazione�sul
compito,�senso�di�controllo,�perdita�della
autoconsapevolezza,�destrutturazione�del
tempo,�esperienza�autotelica.
�
Peak�Performance.�E'�una�prestazione
superiore�allo�standard�individuale�ed�è
caratterizzata�da�forti�contenuti�emozionali�di
gioia�e�di�profondo�appagamento.�E'
caratterizzata�da�un�focus�attentivo�chiaro,�alto
livello�di�performance,�iniziale�fascino�per�il
compito,�spontaneità,�forte�senso�di�sé.�Vedi
relazione�tra�Flow�e�Peak�Performance.
�
Appare�chiaro,�a�questo�punto,�come�uno�degli
obiettivi�principali�della�preparazione�mentale
sarà�quella�di�ricreare�tutte�quelle�condizioni
psicologiche�affinché�l'atleta�possa�ri-
sperimentare�uno�stato�di�Flow�con�la
conseguente�maggior�probabilità�di�effettuare
una�Peak�Performance.�Gli�strumenti�che
meglio�di�altri�possono�favorire�tale�obiettivo
sono:�·�visualizzazione�·�concentrazione�·
propriocettivit��imagery�o�allenamento�ideo
motorio
Primadirispondereal
servizio,salta
byFedericoCoppini
Quali�sono�i�colpi�più�importanti�nel�tennis?
�
Tutti.�Il�servizio�e�la�risposta�al�servizio�sono
però�quelli�che�negli�ultimi�anni�sono�stati
oggetto�di�maggior�sviluppo�e�interesse.
Campi�veloci,�racchette�leggere,�giocatori�alti�e
le�scoperte�della�biomeccanica�hanno�fatto�del
servizio�un'arma�letale�che�arriva�a�scagliare
palline�oltre�i�200�km/h.�Trovarsi�di�fronte�a
certi�“bombardieri”�ha�necessariamente
aumentato�la�ricerca�di�un�modo�migliore�e�più
efficace�per�rispondere�ed�evitare�di�perdere�i
games�a�“zero”.
�
La�risposta�al�servizio�deve�essere�allenata
per�due�ragioni�principali:�
1-�saper�tener�testa�e�mandare�al�di�là�della
rete�le�fucilate�di�servizio�dell'avversario
2-�aggredire�i�servizi�più�lenti�e�prendere�così�il
controllo�dello�scambio
�
Roba�da�professionisti?Assolutamente�no!
Anche�gli�atleti�dei�club�affrontano�giocatori
che�utilizzano�un�servizio�più�o�meno�potente�e
angolato,�quindi�se�vogliamo�migliorare�il
nostro�gioco�dobbiamo�allenare�anche�la
risposta.
�
Dove�mettersi?�Sulla�linea�di�fondo�campo,�vicino�alla�linea�delsingolo.�
Che�posizione�assumere?Posizione�d'attesa�con�la�racchetta�davanti�alcorpo,�gomiti�in�avanti,�peso�sugli�avampiedi�e
piedi�larghi�oltre�le�spalle.�
E�poi?Effettuare�lo�split�step�e�andare�a�colpire.�
Cos'è�lo�split�step?
E'�il�saltello�che�si�deve�fare�quando�l'avversario
sta�per�colpire�la�palla�e�una�volta�atterrati�cipermette�di�essere�in�equilibrio�pronti�ascattare�verso�la�direzione�della�pallina�senzaperdite�di�tempo.
La�risposta�al�servizio�è�caratterizzata�anche
dallo�spostamento�verso�la�palla,�dal
movimento�della�racchetta,�dalla�posizione�da
assumere�dopo�l'impatto�e�varia�in�base�a
fattori�come�le�abitudini�di�servizio
dell'avversario,�le�rotazioni�e�dove�vogliamo
giocare�la�palla.�
E'�molto�importante�però�iniziare�dallo�split
step.�Troppo�spesso�infatti�giochiamo�male�la
risposta�perchè�ce�ne�stiamo�fermi�ad�aspettare
con�le�gambe�dure�e�impotenti�di�fronte�al
servizio�dell'avversario�sperando�in�un�suo
errore�o�perchè�impigriti�dal�concetto�che�la
risposta�si�gioca�“da�fermi”.
�La�prossima�volta�che�sarete�alla�rispostaprovate�a�fare�un�saltino�quando�l'avversariosta�per�impattare�la�palla�e�vedrete�la
differenza!
Primadirispondereal
servizio,salta
byFedericoCoppini
Quali�sono�i�colpi�più�importanti�nel�tennis?
�
Tutti.�Il�servizio�e�la�risposta�al�servizio�sono
però�quelli�che�negli�ultimi�anni�sono�stati
oggetto�di�maggior�sviluppo�e�interesse.
Campi�veloci,�racchette�leggere,�giocatori�alti�e
le�scoperte�della�biomeccanica�hanno�fatto�del
servizio�un'arma�letale�che�arriva�a�scagliare
palline�oltre�i�200�km/h.�Trovarsi�di�fronte�a
certi�“bombardieri”�ha�necessariamente
aumentato�la�ricerca�di�un�modo�migliore�e�più
efficace�per�rispondere�ed�evitare�di�perdere�i
games�a�“zero”.
�
La�risposta�al�servizio�deve�essere�allenata
per�due�ragioni�principali:�
1-�saper�tener�testa�e�mandare�al�di�là�della
rete�le�fucilate�di�servizio�dell'avversario
2-�aggredire�i�servizi�più�lenti�e�prendere�così�il
controllo�dello�scambio
�
Roba�da�professionisti?Assolutamente�no!
Anche�gli�atleti�dei�club�affrontano�giocatori
che�utilizzano�un�servizio�più�o�meno�potente�e
angolato,�quindi�se�vogliamo�migliorare�il
nostro�gioco�dobbiamo�allenare�anche�la
risposta.
�
Dove�mettersi?�Sulla�linea�di�fondo�campo,�vicino�alla�linea�delsingolo.�
Che�posizione�assumere?Posizione�d'attesa�con�la�racchetta�davanti�alcorpo,�gomiti�in�avanti,�peso�sugli�avampiedi�e
piedi�larghi�oltre�le�spalle.�
E�poi?Effettuare�lo�split�step�e�andare�a�colpire.�
Cos'è�lo�split�step?
E'�il�saltello�che�si�deve�fare�quando�l'avversario
sta�per�colpire�la�palla�e�una�volta�atterrati�cipermette�di�essere�in�equilibrio�pronti�ascattare�verso�la�direzione�della�pallina�senzaperdite�di�tempo.
La�risposta�al�servizio�è�caratterizzata�anche
dallo�spostamento�verso�la�palla,�dal
movimento�della�racchetta,�dalla�posizione�da
assumere�dopo�l'impatto�e�varia�in�base�a
fattori�come�le�abitudini�di�servizio
dell'avversario,�le�rotazioni�e�dove�vogliamo
giocare�la�palla.�
E'�molto�importante�però�iniziare�dallo�split
step.�Troppo�spesso�infatti�giochiamo�male�la
risposta�perchè�ce�ne�stiamo�fermi�ad�aspettare
con�le�gambe�dure�e�impotenti�di�fronte�al
servizio�dell'avversario�sperando�in�un�suo
errore�o�perchè�impigriti�dal�concetto�che�la
risposta�si�gioca�“da�fermi”.
�La�prossima�volta�che�sarete�alla�rispostaprovate�a�fare�un�saltino�quando�l'avversariosta�per�impattare�la�palla�e�vedrete�la
differenza!
Iltenniselapostura
byMarcoBucciarelli-fisioterapista
In�questi�ultimi�anni�molti�esperti�di�scienzebiomeccaniche�stanno�studiando,�nei�vari�sport,i�movimenti�degli�atleti�nel�compiere�il�gesto
tecnico�nelle�varie�fasi�di�gioco,�tutto�questograzie�anche�all’ausilio�di�sofisticati�macchinariche�consentono�di�valutare�la�massimaefficienza�nel�gesto.�
Lo�scopo�è�proprio�quello�di�raggiungere�la
massima�efficacia�tecnica�con�il�minor�sforzo
fisico.�E’�necessario�mettere�in�evidenza�che,
quando�si�ripete�per�infinite�volte�un
movimento�personalizzato�al�fine�di�ottenere
un�risultato�agonistico�migliore,�si�va�incontro�a
seri�traumi�sia�per�le�articolazioni�che�per�le
fasce�muscolari.
�Nel�tennis�i�muscoli�sono�fortemente�sollecitati.
Cambi�di�superficie,�lunghi�spostamenti,�tempi
di�recupero�ridotti,�gesti�atletici�ripetuti�spesso
in�condizioni�di�una�scorretta�postura,�possono
esser�causa�di�una�lesione�muscolare�o
articolare.�Ciò�accade�sia�nell’atleta
professionista,�sia�nell’atleta�che�svolge
l’attività�fisica�a�livello�non�agonistico.�Causa
principale�dell’insorgere�di�problemi�fisici
nell’amatore�sono�una�cattiva�preparazione
atletica,�un�inadeguato�allenamento�e�un
ridottissimo�riscaldamento�muscolare.
�
Sicuramente�riuscire�a�mantenere�una�buona
postura�ergonomica,�mirata�e�studiata�per�ogni
singolo�movimento,�può�aiutare�ad�ottenere
due�benefici:�in�primis�la�potenza�muscolare
che�lavora�sullo�scheletro�e�produce�la�massima
efficienza,�portandoci�a�ridurre�la�possibilità�di
piccoli�stiramenti�o�incidenti;�in�seguito
l’autonomia,�che�garantisce�il�controllo�del
corpo�in�movimento�in�modo�coordinato,�ed
attiva�tutti�i�circuiti�funzionali�che�con�i�loro
muscoli�pluri-articolari�e�mono-articolaripropongono�l’azione�motoria�coordinata�dallatesta�alla�mano�e�dalla�testa�al�piede.
�
Quindi�è�necessario�che�il�tennista�sviluppi�la
propria�consapevolezza�corporea,�la�stabilità
dei�propri�movimenti�e�la�coordinazione�occhio
mano.�Occorre�sottolineare�come�sia�il�tennis
che�tanti�altri�sport�asimmetrici�influiscano�in
positivo�sui�dismorfismi�della�colonna
vertebrale�come�ad�esempio�la�scoliosi.�Sport
come�il�tennis�o�la�scherma�possono�sviluppare
di�più�i�muscoli�di�un�lato�del�corpo,�ma�non
provocare�o�far�peggiorare�una�scoliosi�in�fase
iniziale.
�
L’attività�fisica�deve�essere�sempre
accompagnata�anche�da�una�ginnastica
posturale�o�correttiva�al�fine�di�consentire�il
recupero�dell’equilibrio�dei�due�emilati�corporei
e�correggere�gli�squilibri�di�movimenti
disfunzionali�in�schemi�motori�corretti.
Ilvento:amicoonemico?
byFedericoCoppini
Quante�volte�avete�pronunciato�la�frase:"�ma�con
questo�vento�non�riesco�proprio�a�giocare"�oppure
prima�di�una�gara:�"�proprio�oggi�che�ho�una�partita
importante�doveva�esserci�vento,�sarà�un�disastro"
oppure�"�oggi�non�è�stato�divertente�giocare�con
questo�vento".
�
Dai�bambini�agli�adulti�passando�per�gli�atleti,�in�tanti
anni�di�lavoro�sui�campi�ne�ho�sentite�di�tutte�i�colori
inclusi�i�classici�lamenti�e�le�solite�scusanti:�sole,
campi,�palle,�rumori�e�movimenti�esterni�sono�tutti
fattori�che�contribuiscono�al�calo�della�qualità�in�una
partita�ma�quello�che�l'ha�sempre�fatta�da�padrone�e'
il�Dio�dei�venti:�Mr.�Eolo!
�
Combattere�con�il�vento�non�piace�a�nessun
giocatore�perché�tutte�le�situazioni�di�gioco�saranno
diverse�e�più'�difficili.�Il�proprio�standard�e�la�propria
performance�non�potranno�essere�realizzati�in�un
giorno�ventoso.�Il�problema�e'�proprio�qui....riuscire�a
capire�che�quel�giorno�le�nostre�aspettative�dovranno
essere�diverse,�le�nostre�capacità�dovranno�essere�di
adattabilità�superiore�alle�difficoltà�presenti�e�che
l'indirizzò�mentale�dovrà�essere�spostato�nella
situazione�specifica.
�
Un�giocatore�di�medio�-�alto�livello�alla�domanda�se
preferirebbe�giocare�con�vento�contro�o�a�favore�ti
guarderebbe�con�l'aria�disorientata�chiedendosi�se,
chi�gli�ha�posto�la�domanda�e'�un�pazzo�o�un
incapace.�Naturalmente�tutti�i�bravi�players
vorrebbero�sempre�il�vento�a�favore�ma�quelli�di
basso�livello:�no!!!�Questo�perché�il�controllo�della
palla�risulta�più�facile,�la�spinta�contro�dell'aria�ti
perdona�il�colpo�senza�però�realizzare�che�il�territorio
non�verrà�mai�conquistato�e�la�difesa�sarà�eterna.
�
Come�è�possibile�risolvere�il�problema?�Cambiando
semplicemente�i�riferimenti,�sempre�comunque�se�il
nostro�atteggiamento�mentale�sarà�pronto�ad
affrontare�la�situazione.
�Vento�a�favore�e�colpo�da�fondo�campo:�Atteggiamento�prudente�e�di�attesa�per�l'attacco
-�non�giocare�troppo�profondo-�non�giocare�teso-�non�giocare�troppo�piano�
Gioca�con�rotazione�più�alto�sopra�la�rete�mirando
nei�pressi�della�metà�campo�avversaria,�la�palla�si
allungherà�in�sicurezza�e�dominerai�il�campo�così'
alla�prima�palla�più�corta�attaccherai�ma�sempre�in
sicurezza�lontano�dalle�righe.
�Vento�contro�e�colpo�da�fondo�campo:�
Atteggiamento�pronto�al�sacrificio,�difesa�inattesa�dell'errore�dell'avversario-�non�giocare�teso
-�non�provare�a�chiudere�
Gioca�spinto�e�alto�mirando�almeno�sulla�trequarti
avversaria�così�proverai�a�non�perdere�troppo
campo�e�quando�capiterà�(raramente)�una�palla
corta�attacca�e�il�vento�ti�proteggerà�dal�pallonetto
�
Come�in�tutte�le�difficoltà�nella�vita�anche�nel�tennis
sapersi�adattare�e'�la�prima�regola�per�raggiungere
dei�buoni�risultati.
�
Quindi:�chi�si�adatta�correttamente�al�vento
non�solo�avrà�un�grande�alleato�con�sè�
ma�migliorerà�le�sue�capacità�interiori.
Ilvento:amicoonemico?
byFedericoCoppini
Quante�volte�avete�pronunciato�la�frase:"�ma�con
questo�vento�non�riesco�proprio�a�giocare"�oppure
prima�di�una�gara:�"�proprio�oggi�che�ho�una�partita
importante�doveva�esserci�vento,�sarà�un�disastro"
oppure�"�oggi�non�è�stato�divertente�giocare�con
questo�vento".
�
Dai�bambini�agli�adulti�passando�per�gli�atleti,�in�tanti
anni�di�lavoro�sui�campi�ne�ho�sentite�di�tutte�i�colori
inclusi�i�classici�lamenti�e�le�solite�scusanti:�sole,
campi,�palle,�rumori�e�movimenti�esterni�sono�tutti
fattori�che�contribuiscono�al�calo�della�qualità�in�una
partita�ma�quello�che�l'ha�sempre�fatta�da�padrone�e'
il�Dio�dei�venti:�Mr.�Eolo!
�
Combattere�con�il�vento�non�piace�a�nessun
giocatore�perché�tutte�le�situazioni�di�gioco�saranno
diverse�e�più'�difficili.�Il�proprio�standard�e�la�propria
performance�non�potranno�essere�realizzati�in�un
giorno�ventoso.�Il�problema�e'�proprio�qui....riuscire�a
capire�che�quel�giorno�le�nostre�aspettative�dovranno
essere�diverse,�le�nostre�capacità�dovranno�essere�di
adattabilità�superiore�alle�difficoltà�presenti�e�che
l'indirizzò�mentale�dovrà�essere�spostato�nella
situazione�specifica.
�
Un�giocatore�di�medio�-�alto�livello�alla�domanda�se
preferirebbe�giocare�con�vento�contro�o�a�favore�ti
guarderebbe�con�l'aria�disorientata�chiedendosi�se,
chi�gli�ha�posto�la�domanda�e'�un�pazzo�o�un
incapace.�Naturalmente�tutti�i�bravi�players
vorrebbero�sempre�il�vento�a�favore�ma�quelli�di
basso�livello:�no!!!�Questo�perché�il�controllo�della
palla�risulta�più�facile,�la�spinta�contro�dell'aria�ti
perdona�il�colpo�senza�però�realizzare�che�il�territorio
non�verrà�mai�conquistato�e�la�difesa�sarà�eterna.
�
Come�è�possibile�risolvere�il�problema?�Cambiando
semplicemente�i�riferimenti,�sempre�comunque�se�il
nostro�atteggiamento�mentale�sarà�pronto�ad
affrontare�la�situazione.
�
Vento�a�favore�e�colpo�da�fondo�campo:�Atteggiamento�prudente�e�di�attesa�per�l'attacco
-�non�giocare�troppo�profondo-�non�giocare�teso-�non�giocare�troppo�piano�
Gioca�con�rotazione�più�alto�sopra�la�rete�mirando
nei�pressi�della�metà�campo�avversaria,�la�palla�si
allungherà�in�sicurezza�e�dominerai�il�campo�così'
alla�prima�palla�più�corta�attaccherai�ma�sempre�in
sicurezza�lontano�dalle�righe.
�Vento�contro�e�colpo�da�fondo�campo:�
Atteggiamento�pronto�al�sacrificio,�difesa�inattesa�dell'errore�dell'avversario-�non�giocare�teso
-�non�provare�a�chiudere�
Gioca�spinto�e�alto�mirando�almeno�sulla�trequarti
avversaria�così�proverai�a�non�perdere�troppo
campo�e�quando�capiterà�(raramente)�una�palla
corta�attacca�e�il�vento�ti�proteggerà�dal�pallonetto
�
Come�in�tutte�le�difficoltà�nella�vita�anche�nel�tennis
sapersi�adattare�e'�la�prima�regola�per�raggiungere
dei�buoni�risultati.
�
Quindi:�chi�si�adatta�correttamente�al�vento
non�solo�avrà�un�grande�alleato�con�sè�
ma�migliorerà�le�sue�capacità�interiori.