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Gennaio 2016 Australian Open Rafael Nadal Kerber Serena Williams Hewitt e il suo addio Tennis & Salute Il buttafuori Nano -- tanto altro
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Lacittàdeltennis
byGiulioNicoletti
Arrivare�a�Melbourne�Park�non�è�complicato.�È�di�lato�alla�zona�più�centrale�della�città,�quella�del
grattacielo�Rialto�e�della�Flinders�Station,�poco�dopo�il�Birrarung�Marr�Park,�a�due�passi�dallo
Yarra�River,�a�non�più�di�tre�dal�Melbourne�Cricket�Ground,�l'enorme�Victoria�Stadium,�dove�nei
giorni�del�cricket�si�consuma�una�delle�feste�sportive�più�tipiche�della�tradizione�aussie.�È�come
una�gita�fuori�porta,�la�partita�di�cricket.�I�centomila�che�in�queste�occasioni�riempiono�lo�stadio
portano�cestini�da�picnic,�prendono�il�sole�sugli�spalti�distrattamente�attratti�dal�gioco,�si
dedicano�ai�bimbi�che�corrono�e�fanno�il�trenino�fra�le�gambe�degli�spettatori.�Non�li�vedi�entrare,
e�non�li�vedi�uscire.�Ma�dalle�finestre�del�vicino�Hilton,�per�chi�ha�avuto�la�fortuna�di�esserne
ospite,�lo�stadio�appare�pieno�fino�ai�gradoni�più�vicini�al�tetto,�dove�i�gabbiani�dello�Yarra
attendono�per�banchettare�con�gli�avanzi�della�festa.�
Si�può�scegliere�di�prendere�uno�dei�numerosi�mezzi�che�portano�a�Federation�Square�e�da�lì
passeggiare�piacevolmente�lungo�lo�Yarra�fino�all'ingresso�di�Batman�avenue.�Oppure�salire�su
uno�degli�sferraglianti�tram�che�conducono�fino�alla�Rod�Laver�Arena.�Il�tennis�è�lì.�Al�centro�della
città.�E�attende�di�diventare�una�parte�memorabile�di�essa.�Fra�due�anni�sarà�così.
�
Il�contratto�che�lega�la�città�al�torneo�scade�nel�2036.�Al�momento�opportuno�altre�città
australiane�si�faranno�sotto,�per�strappare�a�Melbourne�uno�dei�quattro�tornei-simbolo�del
tennis.�E�non�saranno�solo�città�australiane.�Proprio�com'è�accaduto�nel�2006,�quando�accanto�a
Sydney,�i�competitors�si�chiamavano�Dubai�e�Shanghai,�le�città�del�nuovo�mondo�che�si�affaccia
al�nostro�sport.�Melbourne�ha�resistito,�ha�vinto,�e�ha�fatto�una�promessa:�in�breve,�il�tennis�a
Melbourne�Park�diventerà�uno�dei�salotti�della�città,�un�complesso�architettonico�e�sportivo�che
meriterà�ampie�segnalazioni�sulle�mappe�turistiche.�Da�visitare�anche�se�non�ci�saranno�Federer�e
Lacittàdeltennis
byGiulioNicoletti
Arrivare�a�Melbourne�Park�non�è�complicato.�È�di�lato�alla�zona�più�centrale�della�città,�quella�del
grattacielo�Rialto�e�della�Flinders�Station,�poco�dopo�il�Birrarung�Marr�Park,�a�due�passi�dallo
Yarra�River,�a�non�più�di�tre�dal�Melbourne�Cricket�Ground,�l'enorme�Victoria�Stadium,�dove�nei
giorni�del�cricket�si�consuma�una�delle�feste�sportive�più�tipiche�della�tradizione�aussie.�È�come
una�gita�fuori�porta,�la�partita�di�cricket.�I�centomila�che�in�queste�occasioni�riempiono�lo�stadio
portano�cestini�da�picnic,�prendono�il�sole�sugli�spalti�distrattamente�attratti�dal�gioco,�si
dedicano�ai�bimbi�che�corrono�e�fanno�il�trenino�fra�le�gambe�degli�spettatori.�Non�li�vedi�entrare,
e�non�li�vedi�uscire.�Ma�dalle�finestre�del�vicino�Hilton,�per�chi�ha�avuto�la�fortuna�di�esserne
ospite,�lo�stadio�appare�pieno�fino�ai�gradoni�più�vicini�al�tetto,�dove�i�gabbiani�dello�Yarra
attendono�per�banchettare�con�gli�avanzi�della�festa.�
Si�può�scegliere�di�prendere�uno�dei�numerosi�mezzi�che�portano�a�Federation�Square�e�da�lì
passeggiare�piacevolmente�lungo�lo�Yarra�fino�all'ingresso�di�Batman�avenue.�Oppure�salire�su
uno�degli�sferraglianti�tram�che�conducono�fino�alla�Rod�Laver�Arena.�Il�tennis�è�lì.�Al�centro�della
città.�E�attende�di�diventare�una�parte�memorabile�di�essa.�Fra�due�anni�sarà�così.
�
Il�contratto�che�lega�la�città�al�torneo�scade�nel�2036.�Al�momento�opportuno�altre�città
australiane�si�faranno�sotto,�per�strappare�a�Melbourne�uno�dei�quattro�tornei-simbolo�del
tennis.�E�non�saranno�solo�città�australiane.�Proprio�com'è�accaduto�nel�2006,�quando�accanto�a
Sydney,�i�competitors�si�chiamavano�Dubai�e�Shanghai,�le�città�del�nuovo�mondo�che�si�affaccia
al�nostro�sport.�Melbourne�ha�resistito,�ha�vinto,�e�ha�fatto�una�promessa:�in�breve,�il�tennis�a
Melbourne�Park�diventerà�uno�dei�salotti�della�città,�un�complesso�architettonico�e�sportivo�che
meriterà�ampie�segnalazioni�sulle�mappe�turistiche.�Da�visitare�anche�se�non�ci�saranno�Federer�e
Djokovic�a�fare�da�chaperon.�
Curioso…�Gli�Australian�Open�già�vantano�uno
degli�impianti�più�moderni�del�tennis
internazionale,�di�certo�il�più�innovativo�fra
quelli�dello�Slam.�I�due�stadi�"tettuti",�ovverosia
muniti�di�tetto,�hanno�imposto�anche�alla
concorrenza�di�porre�mano�al�portafoglio�e�di
ristrutturare�gli�impianti�esistenti.�Lo�ha�fatto
Wimbledon,�sta�per�farlo�un�po'
cervelloticamente�il�Roland�Garros,�finirà�per
farlo�anche�lo�Slam�americano,�seppure�fra
grandissime�difficoltà,�dovute�alla�presenza
nelle�viscere�di�Flushing�Meadows�di�ciò�che
resta�di�una�delle�più�grandi�e�antiche
discariche�di�New�York,�cosa�che�rende�il
terreno�particolarmente�friabile�(è�probabile
dunque�che�innalzeranno�un�tetto�solo�per�il
secondo�stadio,�quello�dedicato�ad�Armstrong).
Ciò�nonostante,�i�cambiamenti�che�gli
Australian�Open�hanno�deciso�sono�tanti�e
rivoluzioneranno�drasticamente�la�struttura
esistente.�Si�lavora�a�fasi,�con�la�prima�in
scadenza�nel�2015.�Le�novità�saranno
introdotte�dunque�dal�torneo�del�2016,�anno�di
grazia.�I�lavori�principali�riguarderanno�la
Margaret�Court�Arena,�il�piazzale�d'ingresso�agli
stadi,�la�costruzione�dei�nuovi�campi,�il
parcheggio�multilivello�e�i�due�nuovi�ingressi
della�HiSense�Arena.�
�
Il�terzo�campo,�dedicato�a�Margaret�Court,�con
buona�pace�della�comunità�gay�di�Melbourne
che�spesso�ha�ingaggiato�battaglia�con�la�ex
campionessa�sulla�questione�dei�diritti�civili,
diventerà�il�terzo�fornito�di�tetto�scorrevole.�La
capienza,�oggi�intorno�ai�7000�posti
aumenterà�di�1500�poltrone.�Cambierà�aspetto
anche�l'involucro�che�conterrà�il�primo�(la
Laver�Arena)�e�il�terzo�stadio�(la�Margaret…),
che�diverranno�un�tutt'uno.�Nella�Eastern�Plaza
verrano�costruiti�21�nuovi�campi�di�cui�otto
indoor,�che�dunque�porteranno�oltre�i�40
campi�la�dotazione�dell'impianto.�All'interno�di
quest'area�ne�sarà�creata�una�più�piccola�e
appartata,�ma�comunque�aperta�al�pubblico,
per�gli�allenamenti�dei�giocatori.�Il�nuovo
ingresso�che�accoglierà�gli�spettatori�verrà
sistemato�lungo�l'Olympic�Boulevard.�Sarà
questa�la�parte�architettonica�più�dedicata�alla
città,�un�ampio�spiazzo�aperto�tutto�l'ano�alla
cittadinanza.�Lì�nei�pressi�il�parcheggio
multilivello�che�ospiterà�1000�vetture.�
�
Un�solo�problema,�chiaro�e�visibile�a�occhio
nudo,�per�chi�abbia�voglia�di�immaginare
l'immensità�della�nuova�area�che�conterrà
tutte�queste�novità,�costituita�dall'attuale
impianto�e�dai�suoi�ampliamenti.�Dal�campo
più�estremo�alla�destra�della�HiSense�Arena,
che�sorgerà�a�un�passo�dall'incrocio�con�la
grande�arteria�che�porta�al�mare�di�Santa�Kilda,
a�quello�più�estremo�in�direzione�opposta,
verso�la�Batman�Avenue,�vi�sono�non�meno�di
due�chilometri�e�mezz'ora�di�passeggiata.�A
meno�che�non�mettano�un�trenino�in�grado�di
trasportare�velocemente�gli�spettatori�che
vogliano�andare�su�un�altro�campo.
�
Melbourne�Park�compie�quest'anno�25�anni.�Se
fosse�un�tennista�sarebbe�al�picco�della�sua
carriera�ma�come�evento�è�ancora�un�pulcino
in�attesa�di�dispiegare�le�ali.�Le�fasi�del
cambiamento�prenderanno�complessivamente
12�anni,�dunque�nel�2016�verranno�aperte�solo
alcune�nuove�zone.�Sarà�una�faticaccia,�perché
ogni�anno�cambieranno�ingressi,�parcheggi,
permessi�e�percorsi.�Ma�gli�Open�devono
continuare�a�crescere.�La�fase�1�ha�visto�un
investimento�di�363�milioni�di�dollari�e
altrettanti�soldi�sono�stati�messi�in�budget�per
la�Fase�2.�Ma�terminati�i�lavori�Melbourne�sarà
davvero�la�nuova�città�del�tennis.
Djokovic�a�fare�da�chaperon.�
Curioso…�Gli�Australian�Open�già�vantano�uno
degli�impianti�più�moderni�del�tennis
internazionale,�di�certo�il�più�innovativo�fra
quelli�dello�Slam.�I�due�stadi�"tettuti",�ovverosia
muniti�di�tetto,�hanno�imposto�anche�alla
concorrenza�di�porre�mano�al�portafoglio�e�di
ristrutturare�gli�impianti�esistenti.�Lo�ha�fatto
Wimbledon,�sta�per�farlo�un�po'
cervelloticamente�il�Roland�Garros,�finirà�per
farlo�anche�lo�Slam�americano,�seppure�fra
grandissime�difficoltà,�dovute�alla�presenza
nelle�viscere�di�Flushing�Meadows�di�ciò�che
resta�di�una�delle�più�grandi�e�antiche
discariche�di�New�York,�cosa�che�rende�il
terreno�particolarmente�friabile�(è�probabile
dunque�che�innalzeranno�un�tetto�solo�per�il
secondo�stadio,�quello�dedicato�ad�Armstrong).
Ciò�nonostante,�i�cambiamenti�che�gli
Australian�Open�hanno�deciso�sono�tanti�e
rivoluzioneranno�drasticamente�la�struttura
esistente.�Si�lavora�a�fasi,�con�la�prima�in
scadenza�nel�2015.�Le�novità�saranno
introdotte�dunque�dal�torneo�del�2016,�anno�di
grazia.�I�lavori�principali�riguarderanno�la
Margaret�Court�Arena,�il�piazzale�d'ingresso�agli
stadi,�la�costruzione�dei�nuovi�campi,�il
parcheggio�multilivello�e�i�due�nuovi�ingressi
della�HiSense�Arena.�
�
Il�terzo�campo,�dedicato�a�Margaret�Court,�con
buona�pace�della�comunità�gay�di�Melbourne
che�spesso�ha�ingaggiato�battaglia�con�la�ex
campionessa�sulla�questione�dei�diritti�civili,
diventerà�il�terzo�fornito�di�tetto�scorrevole.�La
capienza,�oggi�intorno�ai�7000�posti
aumenterà�di�1500�poltrone.�Cambierà�aspetto
anche�l'involucro�che�conterrà�il�primo�(la
Laver�Arena)�e�il�terzo�stadio�(la�Margaret…),
che�diverranno�un�tutt'uno.�Nella�Eastern�Plaza
verrano�costruiti�21�nuovi�campi�di�cui�otto
indoor,�che�dunque�porteranno�oltre�i�40
campi�la�dotazione�dell'impianto.�All'interno�di
quest'area�ne�sarà�creata�una�più�piccola�e
appartata,�ma�comunque�aperta�al�pubblico,
per�gli�allenamenti�dei�giocatori.�Il�nuovo
ingresso�che�accoglierà�gli�spettatori�verrà
sistemato�lungo�l'Olympic�Boulevard.�Sarà
questa�la�parte�architettonica�più�dedicata�alla
città,�un�ampio�spiazzo�aperto�tutto�l'ano�alla
cittadinanza.�Lì�nei�pressi�il�parcheggio
multilivello�che�ospiterà�1000�vetture.�
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Un�solo�problema,�chiaro�e�visibile�a�occhio
nudo,�per�chi�abbia�voglia�di�immaginare
l'immensità�della�nuova�area�che�conterrà
tutte�queste�novità,�costituita�dall'attuale
impianto�e�dai�suoi�ampliamenti.�Dal�campo
più�estremo�alla�destra�della�HiSense�Arena,
che�sorgerà�a�un�passo�dall'incrocio�con�la
grande�arteria�che�porta�al�mare�di�Santa�Kilda,
a�quello�più�estremo�in�direzione�opposta,
verso�la�Batman�Avenue,�vi�sono�non�meno�di
due�chilometri�e�mezz'ora�di�passeggiata.�A
meno�che�non�mettano�un�trenino�in�grado�di
trasportare�velocemente�gli�spettatori�che
vogliano�andare�su�un�altro�campo.
�
Melbourne�Park�compie�quest'anno�25�anni.�Se
fosse�un�tennista�sarebbe�al�picco�della�sua
carriera�ma�come�evento�è�ancora�un�pulcino
in�attesa�di�dispiegare�le�ali.�Le�fasi�del
cambiamento�prenderanno�complessivamente
12�anni,�dunque�nel�2016�verranno�aperte�solo
alcune�nuove�zone.�Sarà�una�faticaccia,�perché
ogni�anno�cambieranno�ingressi,�parcheggi,
permessi�e�percorsi.�Ma�gli�Open�devono
continuare�a�crescere.�La�fase�1�ha�visto�un
investimento�di�363�milioni�di�dollari�e
altrettanti�soldi�sono�stati�messi�in�budget�per
la�Fase�2.�Ma�terminati�i�lavori�Melbourne�sarà
davvero�la�nuova�città�del�tennis.
Lediecicosechefannodi
MelbourneParkunoSlam
diversodaglialtri
byFrancescaCicchitti
1)�Le�grandi�piante�di�eucalipto�che�si
trovano�lungo�la�strada�che�porta�all’ingresso
del�magnifico�impianto�di�Melbourne�Park,
emanano�un�odore�così�intenso,�piacevole�e
inebriante�soprattutto�durante�le�giornate
più�umide,�subito�dopo�un�acquazzone,�che
fanno�diventare�piacevole�persino�la�pioggia.
�
2)�Una�volta�arrivati�all’ingresso�principale,�è
impossibile�non�notare�una�statua
sproporzionata,�di�un�omino�con�la�racchetta
in�mano.�Ci�colpisce�perché�non�ce�ne�sono
altre,�per�fortuna,�di�così�brutte�davanti�a
nessun�altro�stadio�del�tennis.�Guardandola
meglio�ci�rendiamo�conto�che�l’infedele
scultura,�di�uno�scultore�del�quale
preferiamo�non�svelare�il�nome,�è�quella�del
grande�giocatore�australiano�Rod�Laver
l’ultimo�ad�aver�ottenuto,�41�anni�fa,�il
“Grande�Slam”.�La�statua�è�stata�eretta�nel
gennaio�del�2000�quando�lo�stadio�centrale,
la�Rod�Laver�Arena�appunto,�gli�è�stato
dedicato.
�
3)�Inoltrandoci�all’interno�dell’impianto�di
dimensioni�enormi,�come�solo�in�Australia�è
possibile�fare�(hanno�lo�spazio�necessario,�a
tutti�gli�effetti),�vediamo�un�cartellone�con�il
futuro�progetto�di�Melbourne�Park.�Qualcosa
di�“mostruoso”�per�grandezza�e�maestosità.
L’ampliamento�prevede�l’aumento�di�circa�sei
mila�posti�e�la�copertura�del�campo�Margaret
Court�Arena.�Diventerebbe�quindi�il�primo
torneo�dello�Slam�ad�avere�tre�campi�coperti.
Un�unico�problema…�Dall’ultimo�campo�sulla
destra�della�Rod�Laver�Arena,�all’ultimo�dalla
parte�opposta,�sulla�sinistra�dell’HiSense
Arena,�corrono�due�chilometri�buoni.
Suggerimenti�per�gli�spostamenti?�1)
Prendere�il�trenino�che�corre�accanto
all’impianto;�2)�Acquistare�un�monopattino.
A�voi�la�scelta…
�
4)�Da�quest’anno,�già�possiamo�vedere�una
delle�prime�innovazione�del�futuro
ampliamento.�C’è�una�nuova�area�chiamata
“the�oval”,�l’ovale,�che�è�una�specie�di
immenso�villaggio�dedicato�agli�spettatori
che�dopo�aver�visto�una�partita�possono
divertirsi�a�comprare�un�ricordo�in�uno�dei
tantissimi�stand.�Ci�sono�grandi�chioschi�che
vendono�cibo�e�bevande�per�tutti�i�gusti.
Immensi�hot-dog�ripieni�di�senape,�maionese�e
ketchup,�enormi�patate�fritte,�panini�imbottiti,
birra�e�bibite�gassate�a�volontà,�il�tutto
accompagnato�da�un�sottofondo,�avvolte�anche
un�po’�assordante,�di�musica�hard-rock.�Del�resto
la�musica,�in�tutte�le�sue�note,�è�la�grande
compagna�dei�giorni�tennistici�in�Australia.�C’è�il
palco,�di�lato�all’ovale�dove�staziona�il�pubblico,�e
il�programma�prevede�quindici�giorni�di�rock�con
gli�artisti�più�in�vista�della�Melbourne�rockettara.
Oppure,�c’è�la�soluzione�“fai�da�te”,�con�tre
musicanti�ingaggiati�direttamente�dal�torneo�(si
muovevano�infatti�tranquillamente�fra�players
lounge�e�corridoi�“privati”),�scelti�per�intrattenere
il�pubblico�con�musiche�a�richiesta.
A�Melbourne�Park�pesino�il�modo�di�fare�la
pubblicità�ci�lascia�stupiti�e�ci�fa�divertire�per
l’originalità.�Camminando�intorno�alla�Rod�Laver
Arena�di�fronte�ad�una�delle�entrate,�vediamo
quattro�ragazzi�travestiti�da�pinguini�ballare�la
break�dance,�mentre�cantano�il�ritornello�di�una
pubblicità�di�una�compagnia�telefonica.
�
6)�Durante�questo�torneo,�gli�spettatori�hanno�la
fortuna�di�potersi�andare�a�rilassare�allo�standdell’acqua�Evian.�Delle�esperte�ragazze�praticanoun�massaggio�rilassante�al�viso,�alle�tempie�e�al
collo.�Per�finire�applicano�un�impacco�rinfrescanteovviamente�a�base�di�acqua�Evian.
7)�Lo�stand�più�divertente,�è�quello�dove�ci
si�può�far�pitturare�il�viso�con�dei�colori�che
non�fanno�male�alla�pelle�e�che�si�lavano�via
facilmente�con�dell’acqua�e�sapone.�Due�abili
pittrici,�eseguono�sul�viso�un�disegno�a�scelta
dei�ragazzi�e�dei�bambini�che�sono�disposti�a
fare�file�lunghissime,�anche�di�un’ora�nella
speranza�di�farsi�notare�dalle�telecamere.�Per
la�maggiore�vanno�disegni�delle�bandiere
rappresentanti�il�proprio�paese,�oppure�fiori
o�animali�tipici�australiani.
�
8)�Il�folclore�della�gente�di�Melbourne�è
unico�e�raro,�non�lo�si�trova�in�nessun�altro
torneo.�Le�ragazze�sono�le�più�originali�e�non
lasciano�alcun�particolare�al�caso.�Le�si�vede
girare�in�costume�da�bagno�e�pantaloncini
cortissimi,�altre�con�la�bandiera�dell’Australia
a�mo’�di�mantello,�oppure�travestite�da
hawaiane.
�
9)�Unico�è�lo�stand�delle�poste�dov’è
possibile�farsi�fare�i�francobolli
personalizzati.
Un�fotografo�competente�scatta�una�foto�a
grandezza�di�francobollo,�simile�a�quella�che
si�fa�per�il�passaporto�ma�con�la�differenza
che�si�può�ridere�o�fare�smorfie.
Il�prezzo�è�di�quindici�dollari�e
novantacinque�centesimi�per�dieci
francobolli.
�
10)�E�per�finire�nessun�“bivacco”�è�come
quello�che�possiamo�trovare�a�Melbourne
Park.
Un�tappeto�di�persone,�soprattutto�ragazzi,
che�non�sono�riusciti�a�trovare�un�bigliettoper�il�centrale,�muniti�di�bibite�e�cibo�sisdraiano�sul�prato�e�guardando�la�partitasullo�schermo�gigante,�come�vuole�latradizione�di�uno�Slam.
Quelgeniodel
mioamico
byFrancescaCicchitti
Ci�siamo�fatti�raccontare�da
Martin�Mulligan,�che�lo
incontrò�nella�finale�di
Wimbledon,�
i�segreti�del�“piccolo-grande�uomo”
Nella�sua�casa�in�California,
Rod�Laver�usa�l’Anthony
Wilding�Memorial�Trophy,
come�ferma�porta.�In�quel
periodo,�quando�il�tennis�era
ancora�uno�sport
dilettantesco,�si�vincevano
solo�delle�belle�e�grandi
coppe,�e�il�“Memorial
Trophy”,�è�uno�tanti�trofei
che�Rodney�intascò�durante
quell’indimenticabile�1962,
anno�in�cui�“Rocket�il�razzo”,
all’età�di�24�anni,�vinse�il�suo
primo�Grand�Slam�da
dilettante,�per�poi�ripetere
l’impresa�7�anni�dopo,�nel
1969,�quella�volta�però�da
professionista.�Nessuno
dopo�di�lui�vi�è�mai�più
riuscito.
�
«Rod�nel�1962�dominò
l’anno,�fu�incredibile�quello
che�riuscì�a�fare»,�racconta
Martin�Mulligan,�suo
avversario�nella�finale�a
Wimbledon�del�1962.
�Rod�era�un�omino�piccolo�diappena�68�chili�che�con�unaracchetta�sapeva�fare�di
tutto,�e�lasciava�il�pubblico
incantato.�Per�capire�come
riuscisse�in�ogni�colpo,�gli
misurarono�persino
avambraccio�e�polso,�fu�così
che�si�accorsero�che�il�primo
era�grande�come�quello�di
Rocky�Marciano,�l’altro�delle
stesse�dimensioni�di�quello
di�Floyd�Patterson.�«Fu�lì
che�si�capi�tutto!»
�
«Sapeva�giocare�tutti�icolpi»
Nessuno�meglio�di�Mulligan,
australiano�come�Laver,
poteva�riferirci�le�gesta�di
quel�fenomeno�inarrestabile.
Ce�le�racconta�col�sorriso
sulle�labbra,�con�grande
ammirazione:�«Rod�era�un
esempio�per�noi�che
eravamo�più�giovani,�e
cercavamo�di�imparare�da
lui.�Era�davvero�bravo,velocissimo,�aveva�tutti�i
colpi:�il�servizio�slice,scendeva�a�rete,�potevagiocare�da�fondo�campo�epoi�fu�il�primo�mancino,�afare�il�rovescio�in�top-spin.
Fu�Charles�Hollis�il�suo�primomaestro,�a�insegnarglielo,�mafu�fondamentale�il�suosuccessivo�allenatore,�HarryHopman.�Insomma,�Rod�cifaceva�rimanere�tutti�a�bocca
aperta�con�il�suo�gioco».��
La�cosa�più�bella�e
ammirevole�di�Laver�era�la
sua�semplicità,�la�sua
umanità�e�la�gentilezza�con
la�quale�si�poneva�nei
confronti�dei�compagni,�degli
avversari,�o�dei�giornalisti.
Un�uomo�rimasto�con�i�piedi
per�terra,�che�aveva�vinto
tutto�ma�non�si�era�mai
montato�la�testa.�«Davvero
un�grande�uomo�Rod»,
prosegue�Mulligan,�«l’ho
conosciuto�quando�eravamo
nella�squadra�di�Coppa�Davis
australiana,�ed�è�sempre
stato�gentile�con�tutti�noi.
Poi,�è�normale,�nel�tempo�è
nata�un�po’�di�rivalità,�che
però�finiva�in�campo.�Tutti
volevamo�vincere,�ma�fuori
dal�“court”�eravamo�amici.
Rod�è�così�anche�oggi».�
�
Marty,�ha�giocato�tante�volte
contro�“Rocket”,�ed�è�riuscito
a�batterlo�un�paio�di�volte.
«La�prima�nei�campionati
Australiani�sulla�terra�battuta
e�la�seconda�a�Sydney
sull’erba.�E�pensare�che�in
entrambe�quelle�due�finali
“Rocket”�aveva�avuto�il
matchball,�ma�poi�ho�vinto
io».�“Rocket”�era�il
soprannome�che�gli�diede
Harry�Hoppman,�quando�lo
vide�giocare�per�prima�volta
a�Wimbledon�nel�’56.�Lo
soprannominò�così�sia�per�il
nome�della�sua�città�di
provenienza,�Rockhampton,
sia�per�la�sua�velocità,�quella
di�un�razzo.
�
Tra�i�tanti�aneddoti�che
Martin�Mulligan�ci�ha
raccontato,�il�più
interessante�è�quello�sulla
finale�di�Wimbledon,�dove
Martin�venne�battuto�da�Rod
con�un�pesante�risultato,�62
62�61.�Mulligan�non�era
affatto�emozionato�prima
della�partita.�In�quel�periodo
la�finale�si�giocava�di�sabato,
il�giovedì�aveva�giocato�la
semifinale�e�il�venerdì�si�era
allenato.�«Le�cose�allora
erano�diverse,�veniva�una
Rolls�Royce�a�prenderci�in
albergo�e�ci�portava�al
Club».�Persino�quando�si
trovò�all’interno�di�quella
lussuosissima�automobile,
Martin�rimase�tranquillo;
oltre�tutto�quell’anno,�per�la
prima�volta,�la�Regina
Elisabetta�II�sarebbe�andata
a�vedere�la�finale.
L’emozione�si�fece�sentire
solo�quando�mise�il�piede�in
campo.�«Fu�allora�che�mi
mancò�il�respiro.�Sapevo�che
Rod�voleva�dimostrare�la�sua
superiorità,�e…�Devo�dire
che�ci�riuscì�davvero�bene!
Lui�che�era�famoso�per�i
lunghi�match,�mi�ha�liquidato
velocemente�in�tre�set!».
Conclude�con�una�simpatica
risata.�
�L’ultimo�Grand�Slam?
Secondo�Martin�Mulligan,
non�si�possono�fare�dei
confronti�tra�Laver�e�i
campioni�odierni,�erano
epoche�troppo�differenti.
«Tutto�è�possibile,�ma�non
credo�ci�sarà�mai�più�un
giocatore�che�possa�ottenere
per�due�volte�un�Grand�Slam
come�lui».
�A�essere�d’accordo�conMulligan�ci�sono�due
giornalisti�italiani,�che�in�quelperiodo�conobbero�bene�e
divennero�amici�di�RodLaver.�Gianni�Clerici�loricorda�come�una�persona
civilissima,�di�grande�semplicità,�e�molto
simpatico.�Un�giocatore�unico,�corretto�che
aveva�raggiunto�altissimi�livelli�ma�che�era
rimasto�umano:�«La�sera�si�usciva�insieme�a
cena,�si�chiacchierava�di�tutto,�anche�di
tattiche,�mi�ricordo�quando�Laver�mi�chiese
come�giocava�Pietrangeli,�quali�fossero�i�suoi
punti�di�forza.�Erano�altri�tempi.�Non�posso
dire�che�nessuno�riuscirà�a�fare�un�Grand
Slam,�ma�tutto�è�possibile».
�
Anche�Rino�Tommasi,�dice�le�stesse�cose:
«Era�un�uomo�e�un�giocatore�alla�mano,�una
persona�che�per�essere�arrivata�a�dei�livelli
così�alti,�non�si�è�mai�montata�la�testa.�Era
sempre�disponibile�al�dialogo,�se�lo�incontri
oggi�è�ancora�così.�Pochi�anni�fa�lo�incontrai
a�Sydney,�in�aeroporto�e�abbiamo�avuto�una
piacevolissima�conversazione.�Qualcuno�dei
campioni�attuali,�forse,�potrebbe�fare�un
Grand�Slam…�Ma�due�è�davvero�difficile».
�
E�se�lo�domandiamo�a�Rod�Laver?�Anche�lui
ci�ha�risposto�che�nulla�è�impossibile,�e�se
nella�vita�si�vuole�qualcosa,�con�il�sacrificio�la
si�può�ottenere.�«Quando�ho�vinto�il�primo
Grand�Slam�nel�1962�è�stato�molto�duro�per
me,�ma�guardandomi�indietro�quello�del�‘69
lo�è�stato�ancora�di�più,�perché�avevo�di
fronte�avversari�forti,�dei�professionisti,�ed�è
stato�per�me�il�Grand�Slam�che�mi�ha�dato
maggiori�soddisfazioni».
L’ultimo
fighter
byFedericoMariani
“Mi�sforzo�di�sorridere,�sapendo�che�la�mia
ambizione�ha�superato�di�gran�lunga�il�mio
talento.�Ormai�non�trovo�più�cavalli
bianchi�o�belle�donne�alla�mia�porta”.
�
Non�può�che�sorridere�Lleyton�Hewitt�dopo
aver�tirato�in�corridoio�l’ultimo�passante�della
sua�vita�sul�circuito�Atp.�Gli�occhi�non
tradiscono,�ed�è�estremamente�affascinante
ammirare�il�volto�di�un�uomo�nell’istante�che
segue�la�fine�di�tutto�ciò�che�è�stato.�E’�un
sorriso�sincero�quello�del�ragazzo�della�Gold
Coast�dopo�il�matchpoint�dell’ultima�partita
tra�i�professionisti,�nella�sua�Melbourne,�nella
sua�Rod�Laver�Arena.
�
Come�George�Jung��protagonista�di�Blow,
cui�Johnny�Depp�presta�magistralmente
corpo�ed�arte��l’ambizione�di�Hewitt�ha
superato�ciò�che�Madre�Natura�gli�ha�donato
sotto�forma�di�talento.�“Non�ha�il�colpo�del
k.o.,�l’arma�in�più�che�ti�lascia�fermo,�il
vincente”.�Quante�volte�addetti�ai�lavori,
appassionati�e�tifosi�hanno�ripetuto�come�un
mantra�questa�frase�riferendola�al�tennis�di
Lleyton.�Ed�effettivamente�il�colpo�risolutore,
quello�che�ruba�l’occhio�e�fa�innamorare
l’anima�Hewitt�non�l’ha�mai�avuto.�Non�è
dotato�di�un�dritto�fulmineo�o�di�un�servizio
poderoso,�in�definitiva�non�ci�sono�mai�stati
punti�gratis�nell’arsenale�di�Rusty.�Ogni
quindici�è�costruito,�ogni�situazione
premeditata.�Al�tennis�hit&run�moderno,
Hewitt�ha�risposto�con�un�saggio�di�tattica
applicata�al�Gioco,�straordinario�nella�sua
complessità.
�
L’australiano�ha�tratto�il�massimo�da�ciò�che
aveva,�forse�di�più.�Quel�massimo�si�traduce
in�soldoni�con�due�titoli�del�Grande�Slam�a
New�York�e�Wimbledon,�quasi�sgraffignati�in
quell’esile�terra�di�mezzo�tra�due�generazioni
di�fenomeni.�Ha�trionfato�nei�primi�anni�del
nuovo�millennio�alle�Atp�Finals�per�due�volte
consecutive,�cui�vanno�aggiunte�due�edizioni
della�Coppa�Davis�vinte�con�l’Australia�per�un
totale�di�trenta�successi.�E’�stato�il�più
giovane�della�storia�del�tennis�maschile�a
salire�sul�trono�più�alto�del�mondo,
restandoci�per�ottanta�settimane.
�
“Non�si�apprezza�mai�quello�che�si�ha
finché�non�lo�si�perde”
La�vetta�del�ranking,�tuttavia,�non�ha�donato
a�Hewitt�l’amore�e�la�fama�degni�di�un
numero�uno.�Vuoi�per�un�gioco�che�può
sembrare�noioso�ad�un�occhio�distratto,�vuoi
per�un�atteggiamento�da�vero�fighter�che
talvolta�è�scivolato�oltre�il�confine
dell’arroganza,�è�stata�impresa�difficile�scovare
tifosi�di�Rusty�al�di�fuori�della�cerchia�degli
storici�fanatics�o,�più�in�generale,�oltre�i�confini
della�nativa�Australia.�Come�detto�in
precedenza,�Hewitt�s’è�cibato�principalmente
del�vuoto�generazionale�a�cavallo�tra�la�fine�di
Sampras-Agassi�(ma�non�solo�ovviamente)�e
l’avvento�dell’Era�Federer�poi�coabitata�ed
arricchita�da�Nadal�prima�e�Djokovic�poi.�Uno
spazio�temporale��quello�dell’interregno�
troppo�breve�per�far�innamorare�le�folle�di
questo�ragazzo�biondino�un�po’�troppo
irrequieto,�di�certo�non�propriamente�in�linea
coi�canoni�tradizionalisti�del�tennista.�E,�se
anche�fosse�accaduto,�l’imminente�ascesa�di
Federer�è�stata�troppo�travolgente�per�evitare
che�quel�ragazzo�venga�parzialmente�messo�in
disparte,�bravo�sì,�campione�sì,�ma�totalmente
scarico�d�appeal�se�relazionato�all’elvetico,�the
next�big�thing,�molto�big!
�
Gli�appassionati�di�tennis�hanno�imparato
gradualmente�ad�innamorarsi�di�Hewitt,�anche
se�pare�più�opportuno�parlare�di�rispetto�più
che�di�amore.�Tutti�quei�“C’mon”�eccessivi
sbattuti�in�faccia�agli�avversari,�o�l’episodio�con
James�Blake�a�New�York�dove�Rusty�accusò
Bernardes�di�un�fantomatico�di�razzismo
invertito,�o�ancora�tutte�le�bagarre�con�gli
argentini�(Coria,�Chela,�ma�anche
Nalbandian…),�non�hanno�certo�aiutato
l’immagine�di�Lleyton�agli�occhi�del�mondo.�E’
solo�in�un�secondo�momento�che�lo�spettatore
ha�capito�appieno�lo�spirito�del�guerriero
australiano,�forse�con�eccessivo�ritardo.
�
Un�uomo��ancor�prima�di�un�giocatore��chesubisce�tre�operazioni,�che�riemerge�sempre,che�dona�il�suo�stesso�corpo�per�amore�del
Gioco,�che�pur�essendo�un�campione�accetta�il
fatto�di�vestire�i�panni�del�comprimario�prima
ed�ancora�meno�poi.�Uno�che�si�fa�impiantare
una�placca�metallica�nel�piede�sinistro�solo�per
riuscire�a�fare�qualche�giro�in�più,�per�sentirsi
ancora�vivo,�per�sentirsi�ancora�parte�di�quello
che�era�(e�sarà)�il�suo�tutto.�Ecco,�davanti�ad
uno�così�si�deve�chinare�il�capo�e�dire�grazie.
�
E’�strano�il�tennis.�E’�uno�sport�in�cui�vigespietata�la�legge�della�vittoria,�ma�che�spesso�fainnamorare�grazie�alla�sconfitta.�E’�questo�ilcaso�di�Lleyton,�troppo�spesso�odiato�per
quello�status�di�cattivo�cucito�sulla�pelle,�etroppo�tardi�apprezzato�quando�i�“C’mon”
hanno�cominciato�a�superare�di�gran�lunga�le
vittorie�sul�circuito.�Negli�ultimi�sette�anni�un
solo�quarto�di�finale�Slam�è�il�magro�bottino
raccolto�da�Rusty�che,�al�tempo�stesso,�ha
dovuto�subire�copiose�sconfitte,�forse�più�di
quanto�l’ego�del�campione�possa�sopportare,
ma�meno�di�quante�l’infinito�amore�per�il�tennis
possa�perdonare.�Ed�è�proprio�l’ultima�versione
�quella�perdente��che�è�stata�in�grado�di
amplificare�ed�in�un�certo�senso�a�purificare
l’immagine�di�chi�avrà�un�posto�al�tavolo�delle
leggende�del�Gioco.
�
Dopo�l’ultimo�incontro�che�lo�ha�visto�perdereal�secondo�turno�dello�Slam�di�casa�controDavid�Ferrer,�Hewitt�ha�salutato�la�compagnia
ricevendo�il�saluto�sul�maxischermo�dei
campionissimi�di�oggi.�Anziché�cominciare�a
godersi�sin�da�subito�un’agognata�(e�dorata)
pensione�lontano�dal�rettangolo�di�gioco,
tuttavia,�quattro�giorni�dopo�Hewitt�era
nell’angolo�di�Bernard�Tomic�durante�gli�ottavi
di�finale�che�vedevano�il�talento�aussie
fronteggiare�Murray.�Questo�è�Hewitt:�un
uomo�totalmente�innamorato�del�tennis�che�nel
tennis�continuerà�a�stare.�L’Australia�dopo
svariati�anni�di�magra,�ha�tre�potenziali�assi
nelle�maniche,�tutti�giovani,�tutti
tremendamente�promettenti.�Ah�se�solo
avessero�metà�del�furore�di�quel�ragazzo�di
Adelaide�ormai�in�pensione…
sembrare�noioso�ad�un�occhio�distratto,�vuoi
per�un�atteggiamento�da�vero�fighter�che
talvolta�è�scivolato�oltre�il�confine
dell’arroganza,�è�stata�impresa�difficile�scovare
tifosi�di�Rusty�al�di�fuori�della�cerchia�degli
storici�fanatics�o,�più�in�generale,�oltre�i�confini
della�nativa�Australia.�Come�detto�in
precedenza,�Hewitt�s’è�cibato�principalmente
del�vuoto�generazionale�a�cavallo�tra�la�fine�di
Sampras-Agassi�(ma�non�solo�ovviamente)�e
l’avvento�dell’Era�Federer�poi�coabitata�ed
arricchita�da�Nadal�prima�e�Djokovic�poi.�Uno
spazio�temporale��quello�dell’interregno�
troppo�breve�per�far�innamorare�le�folle�di
questo�ragazzo�biondino�un�po’�troppo
irrequieto,�di�certo�non�propriamente�in�linea
coi�canoni�tradizionalisti�del�tennista.�E,�se
anche�fosse�accaduto,�l’imminente�ascesa�di
Federer�è�stata�troppo�travolgente�per�evitare
che�quel�ragazzo�venga�parzialmente�messo�in
disparte,�bravo�sì,�campione�sì,�ma�totalmente
scarico�d�appeal�se�relazionato�all’elvetico,�the
next�big�thing,�molto�big!
�
Gli�appassionati�di�tennis�hanno�imparato
gradualmente�ad�innamorarsi�di�Hewitt,�anche
se�pare�più�opportuno�parlare�di�rispetto�più
che�di�amore.�Tutti�quei�“C’mon”�eccessivi
sbattuti�in�faccia�agli�avversari,�o�l’episodio�con
James�Blake�a�New�York�dove�Rusty�accusò
Bernardes�di�un�fantomatico�di�razzismo
invertito,�o�ancora�tutte�le�bagarre�con�gli
argentini�(Coria,�Chela,�ma�anche
Nalbandian…),�non�hanno�certo�aiutato
l’immagine�di�Lleyton�agli�occhi�del�mondo.�E’
solo�in�un�secondo�momento�che�lo�spettatore
ha�capito�appieno�lo�spirito�del�guerriero
australiano,�forse�con�eccessivo�ritardo.
�
Un�uomo��ancor�prima�di�un�giocatore��chesubisce�tre�operazioni,�che�riemerge�sempre,che�dona�il�suo�stesso�corpo�per�amore�del
Gioco,�che�pur�essendo�un�campione�accetta�il
fatto�di�vestire�i�panni�del�comprimario�prima
ed�ancora�meno�poi.�Uno�che�si�fa�impiantare
una�placca�metallica�nel�piede�sinistro�solo�per
riuscire�a�fare�qualche�giro�in�più,�per�sentirsi
ancora�vivo,�per�sentirsi�ancora�parte�di�quello
che�era�(e�sarà)�il�suo�tutto.�Ecco,�davanti�ad
uno�così�si�deve�chinare�il�capo�e�dire�grazie.
�
E’�strano�il�tennis.�E’�uno�sport�in�cui�vigespietata�la�legge�della�vittoria,�ma�che�spesso�fainnamorare�grazie�alla�sconfitta.�E’�questo�ilcaso�di�Lleyton,�troppo�spesso�odiato�per
quello�status�di�cattivo�cucito�sulla�pelle,�etroppo�tardi�apprezzato�quando�i�“C’mon”
hanno�cominciato�a�superare�di�gran�lunga�le
vittorie�sul�circuito.�Negli�ultimi�sette�anni�un
solo�quarto�di�finale�Slam�è�il�magro�bottino
raccolto�da�Rusty�che,�al�tempo�stesso,�ha
dovuto�subire�copiose�sconfitte,�forse�più�di
quanto�l’ego�del�campione�possa�sopportare,
ma�meno�di�quante�l’infinito�amore�per�il�tennis
possa�perdonare.�Ed�è�proprio�l’ultima�versione
�quella�perdente��che�è�stata�in�grado�di
amplificare�ed�in�un�certo�senso�a�purificare
l’immagine�di�chi�avrà�un�posto�al�tavolo�delle
leggende�del�Gioco.
�
Dopo�l’ultimo�incontro�che�lo�ha�visto�perdereal�secondo�turno�dello�Slam�di�casa�controDavid�Ferrer,�Hewitt�ha�salutato�la�compagnia
ricevendo�il�saluto�sul�maxischermo�dei
campionissimi�di�oggi.�Anziché�cominciare�a
godersi�sin�da�subito�un’agognata�(e�dorata)
pensione�lontano�dal�rettangolo�di�gioco,
tuttavia,�quattro�giorni�dopo�Hewitt�era
nell’angolo�di�Bernard�Tomic�durante�gli�ottavi
di�finale�che�vedevano�il�talento�aussie
fronteggiare�Murray.�Questo�è�Hewitt:�un
uomo�totalmente�innamorato�del�tennis�che�nel
tennis�continuerà�a�stare.�L’Australia�dopo
svariati�anni�di�magra,�ha�tre�potenziali�assi
nelle�maniche,�tutti�giovani,�tutti
tremendamente�promettenti.�Ah�se�solo
avessero�metà�del�furore�di�quel�ragazzo�di
Adelaide�ormai�in�pensione…
RAFA,ci
risiamo!by�Marco�Di�Nardo
RAFA,ci
risiamo!by�Marco�Di�Nardo
Il�peggio�sembrava�essere�passato�per�Rafael
Nadal,�autore�di�un�2015,�soprattutto�nella
prima�metà,�davvero�disastroso.�Tante
sconfitte,�anche�sulla�terra�rossa,�superficie�che
anche�nelle�annate�meno�positive�gli�aveva
sempre�permesso�di�restare�in�alto,
assicurandogli�almeno�un�paio�di�Masters�1000
e�un�titolo�dello�Slam�praticamente�in�tutte�le
stagioni�dal�2005�in�avanti.
�
Dopo�la�sconfitta�subita�contro�Fabio�Fogniniagli�U.S.�Open,�in�una�partita�in�cui�Nadal�si�eratrovato�a�condurre�per�due�set�a�zero,�prima�di
essere�sorprendentemente�rimontato,�lospagnolo�era�finalmente�tornato�in�buonecondizioni�-�in�particolare�quella�mentale,decisiva�per�il�suo�calo�di�rendimento�-�a
partire�dal�torneo�di�Pechino�dello�scorso�anno,in�cui�aveva�dato�il�via�ad�una�serie�di�buonirisultati,�utile�soprattutto�a�ritrovare�fiducia�in
vista�della�nuova�annata.�
Il�2016�doveva�quindi�diventare�la�stagione
della�rinascita.�D'altronde�negli�ultimi�anni�tutti
i�"Big-4",�ad�esclusione�di�Novak�Djokovic,
hanno�avuto�un'annata�negativa,�prima�di
tornare�in�alto.�Nel�2013�era�stata�la�volta�di
Roger�Federer,�che�aveva�chiuso�al�numero�6
della�classifica�mondiale,�prima�di�tornare�al
numero�2�l'anno�successivo;�nel�2014�era
invece�stato�Andy�Murray�a�finire�addirittura
fuori�dalla�Top-10�per�un�breve�periodo,�per
poi�tornare�anch'egli�al�numero�2�lo�scorso
anno.�Nadal,�nelle�difficoltà,�è�stato�il�giocatore
ad�aver�perso�meno�terreno,�avendo�chiuso�il
2015�al�numero�5�del�Ranking�ATP,�mentre�i
due�giocatori�citati�precedentemente,�nella�loro
annata�di�"pausa"�non�erano�andati�oltre�al
numero�6.�Anche�per�questo�motivo,�aspettarsi
un�grande�ritorno�del�maiorchino�nel�2016�era
abbastanza�prevedibile,�seppur�non�del�tutto
scontato.
Il�peggio�sembrava�essere�passato�per�Rafael
Nadal,�autore�di�un�2015,�soprattutto�nella
prima�metà,�davvero�disastroso.�Tante
sconfitte,�anche�sulla�terra�rossa,�superficie�che
anche�nelle�annate�meno�positive�gli�aveva
sempre�permesso�di�restare�in�alto,
assicurandogli�almeno�un�paio�di�Masters�1000
e�un�titolo�dello�Slam�praticamente�in�tutte�le
stagioni�dal�2005�in�avanti.
�
Dopo�la�sconfitta�subita�contro�Fabio�Fogniniagli�U.S.�Open,�in�una�partita�in�cui�Nadal�si�eratrovato�a�condurre�per�due�set�a�zero,�prima�di
essere�sorprendentemente�rimontato,�lospagnolo�era�finalmente�tornato�in�buonecondizioni�-�in�particolare�quella�mentale,decisiva�per�il�suo�calo�di�rendimento�-�a
partire�dal�torneo�di�Pechino�dello�scorso�anno,in�cui�aveva�dato�il�via�ad�una�serie�di�buonirisultati,�utile�soprattutto�a�ritrovare�fiducia�in
vista�della�nuova�annata.�
Il�2016�doveva�quindi�diventare�la�stagione
della�rinascita.�D'altronde�negli�ultimi�anni�tutti
i�"Big-4",�ad�esclusione�di�Novak�Djokovic,
hanno�avuto�un'annata�negativa,�prima�di
tornare�in�alto.�Nel�2013�era�stata�la�volta�di
Roger�Federer,�che�aveva�chiuso�al�numero�6
della�classifica�mondiale,�prima�di�tornare�al
numero�2�l'anno�successivo;�nel�2014�era
invece�stato�Andy�Murray�a�finire�addirittura
fuori�dalla�Top-10�per�un�breve�periodo,�per
poi�tornare�anch'egli�al�numero�2�lo�scorso
anno.�Nadal,�nelle�difficoltà,�è�stato�il�giocatore
ad�aver�perso�meno�terreno,�avendo�chiuso�il
2015�al�numero�5�del�Ranking�ATP,�mentre�i
due�giocatori�citati�precedentemente,�nella�loro
annata�di�"pausa"�non�erano�andati�oltre�al
numero�6.�Anche�per�questo�motivo,�aspettarsi
un�grande�ritorno�del�maiorchino�nel�2016�era
abbastanza�prevedibile,�seppur�non�del�tutto
scontato.
L'inizio�di�questo�2016�sembrava�dare�ragione�a
chi�sosteneva�che�Nadal�potesse�tornare�ad
altissimi�livelli.�Al�Mubadala�World�Tennis
Championship,�torneo�di�esibizione,�che�però
viene�giocato�da�tutti�i�protagonisti�come�se
fosse�un�evento�ufficiale�-�anche�per
l'importante�montepremi�di�500.000�dollari�-,
Rafa�è�infatti�tornato�a�vincere,�battendo�due
Top-10�come�David�Ferrer�e�Milos�Raonic,
conquistando�il�suo�terzo�trofeo�ad�Abu�Dhabi
ed�eguagliando�il�record�di�Novak�Djokovic.
�
La�settimana�successiva�è�quindi�arrivato�il
primo�torneo�ufficiale,�l'ATP�250�di�Doha,�con
un�campo�di�partecipazione�più�simile�a�quello
di�un�Masters�1000�che�a�quello�di�molti�ATP
500,�nonostante�si�tratti�di�un�torneo�di
categoria�inferiore�ad�entrambi.�Lì�Rafa�ha
confermato�i�suoi�progressi,�battendo�uno�dopo
l'altro�Pablo�Carreno�Busta,�Robin�Haase,
Andrey�Kuznetsov�e�Illya�Marchenko�-�autore
dell'eliminazione�del�campione�uscente�David
Ferrer�al�primo�turno�-,�conquistando�la�finale.
Nel�match-clou�non�c'è�stata�storia,�Novak
Djokovic�ha�vinto�facilmente�per�6-1�6-2,�ma
Nadal�era�comunque�contento�del�suo�gioco,
fiducioso�per�un�Australian�Open�finalmente�da
protagonista.
�
E�invece�proprio�in�Australia�è�arrivata�una
delusione�che�potrebbe�farlo�sprofondare
nuovamente�in�quella�crisi�mentale�che�lo
aveva�attanagliato�per�tutto�il�2015.�Complice
un�sorteggio�non�fortunatissimo,�Rafa�si�è
ritrovato�ad�affrontare�al�primo�turno�quel
Fernando�Verdasco�che�nel�2009�lo�aveva
costretto�al�quinto�set�nella�semifinale�dello
stesso�torneo.�Anche�questa�volta�i�due�sono
approdati�al�parziale�decisivo,�ma�l'esito�è�stato
differente,�confermando�le�difficoltà�di�Nadal
nei�momenti�decisivi.�Sconfitto�per�7-6�4-6�3-6
7-6�6-2,�Rafa�per�la�seconda�volta�nella�sua
carriera�si�è�trovato�a�dover�abbandonare�un
Major�senza�aver�vinto�nemmeno�un�match,�e
ora�diventa�davvero�difficile�dimenticare�un
risultato�negativo�soprattutto�per�il�momento
in�cui�è�arrivato,�in�un�periodo�nel�quale�il
numero�1�spagnolo�sembrava�aver�ritrovato�un
tennis�vicino�a�quello�dei�migliori�tempi.
�A�questo�punto�diventano�decisivi�i�tornei�suterra�battuta�del�mese�di�febbraio,�cheanticipano�i�due�Masters�1000�sul�cemento
americano.�Per�Nadal�potrebbe�essere�l'ultimaspiaggia,�perdere�sulla�sua�superficie,�comesuccesso�lo�scorso�anno,�in�un�momentoimportante�come�questo,�potrebbe�davverorivelarsi�letale�da�un�punto�di�vista�sportivo.
L'inizio�di�questo�2016�sembrava�dare�ragione�a
chi�sosteneva�che�Nadal�potesse�tornare�ad
altissimi�livelli.�Al�Mubadala�World�Tennis
Championship,�torneo�di�esibizione,�che�però
viene�giocato�da�tutti�i�protagonisti�come�se
fosse�un�evento�ufficiale�-�anche�per
l'importante�montepremi�di�500.000�dollari�-,
Rafa�è�infatti�tornato�a�vincere,�battendo�due
Top-10�come�David�Ferrer�e�Milos�Raonic,
conquistando�il�suo�terzo�trofeo�ad�Abu�Dhabi
ed�eguagliando�il�record�di�Novak�Djokovic.
�
La�settimana�successiva�è�quindi�arrivato�il
primo�torneo�ufficiale,�l'ATP�250�di�Doha,�con
un�campo�di�partecipazione�più�simile�a�quello
di�un�Masters�1000�che�a�quello�di�molti�ATP
500,�nonostante�si�tratti�di�un�torneo�di
categoria�inferiore�ad�entrambi.�Lì�Rafa�ha
confermato�i�suoi�progressi,�battendo�uno�dopo
l'altro�Pablo�Carreno�Busta,�Robin�Haase,
Andrey�Kuznetsov�e�Illya�Marchenko�-�autore
dell'eliminazione�del�campione�uscente�David
Ferrer�al�primo�turno�-,�conquistando�la�finale.
Nel�match-clou�non�c'è�stata�storia,�Novak
Djokovic�ha�vinto�facilmente�per�6-1�6-2,�ma
Nadal�era�comunque�contento�del�suo�gioco,
fiducioso�per�un�Australian�Open�finalmente�da
protagonista.
�
E�invece�proprio�in�Australia�è�arrivata�una
delusione�che�potrebbe�farlo�sprofondare
nuovamente�in�quella�crisi�mentale�che�lo
aveva�attanagliato�per�tutto�il�2015.�Complice
un�sorteggio�non�fortunatissimo,�Rafa�si�è
ritrovato�ad�affrontare�al�primo�turno�quel
Fernando�Verdasco�che�nel�2009�lo�aveva
costretto�al�quinto�set�nella�semifinale�dello
stesso�torneo.�Anche�questa�volta�i�due�sono
approdati�al�parziale�decisivo,�ma�l'esito�è�stato
differente,�confermando�le�difficoltà�di�Nadal
nei�momenti�decisivi.�Sconfitto�per�7-6�4-6�3-6
7-6�6-2,�Rafa�per�la�seconda�volta�nella�sua
carriera�si�è�trovato�a�dover�abbandonare�un
Major�senza�aver�vinto�nemmeno�un�match,�e
ora�diventa�davvero�difficile�dimenticare�un
risultato�negativo�soprattutto�per�il�momento
in�cui�è�arrivato,�in�un�periodo�nel�quale�il
numero�1�spagnolo�sembrava�aver�ritrovato�un
tennis�vicino�a�quello�dei�migliori�tempi.
�A�questo�punto�diventano�decisivi�i�tornei�suterra�battuta�del�mese�di�febbraio,�cheanticipano�i�due�Masters�1000�sul�cemento
americano.�Per�Nadal�potrebbe�essere�l'ultimaspiaggia,�perdere�sulla�sua�superficie,�comesuccesso�lo�scorso�anno,�in�un�momentoimportante�come�questo,�potrebbe�davverorivelarsi�letale�da�un�punto�di�vista�sportivo.
Efinalmentegiunsel'oradi
MilosRaonic
byGiorgioGiannaccini
Il�suo�ultimo�Australian�Open�non�ci�può
lasciare�indifferenti:�Milos�Raonic�finalmente�è
giunto�alla�maturazione�definitiva�che�da�tempo
aspettavamo.�Il�suo�è�stato�sicuramente�il�caso
di�un�ragazzo�già�da�tempo�annunciato�come
papabile�grande�giocatore�ma�che�ha�dovuto
conoscere�un�processo�di�maturazione�molto
ma�molto�lungo,�passando�anche�per�diversi
coach�che�lo�hanno�migliorato�e,�ancor�più
probabilmente,�fatto�capire�cosa�fosse�in�realtà
il�tennis.
�
Sembra�ieri�quando�Milos�era�un�ragazzo�alto�e
mingherlino�dal�potente�servizio�con,�ahimè,
dei�pessimi�spostamenti�laterali�che�ne
limitavano�talvolta�i�colpi�-�visto�che�la�ricerca
della�palla�era�molto�goffa�-�e�lo�rendeva
praticamente�nullo�in�fase�difensiva.
�
Quel�ragazzo�che�aveva�due�solidi
fondamentali,�nei�quali�tra�l'altro�era
impossibile�non�ammettere�una�certa
naturalezza,�aveva�bisogno�di�un�serio�lavoro
fisico,�altrimenti�sarebbe�stato�difficile�vederlo
pienamente�realizzato�in�un�tennis,�come
quello�di�oggi,�così�affine�ad�un�forte�atletismo.
�
Nonostante�un�cambio�di�guida�verso�fine
2010,�quando�rimpiazzò�coach�Frederic
Niemeyer�con�l'ex�tennista�spagnolo�Galo
Blanco,�la�rivoluzione�tanto�attesa�non�arriva.
Milos�deve�attendere�l'avvento�di�Ivan�Ljubicic,
che�si�sederà�sulla�sua�panchina�nel�giugno�del
2013,�per�ottenere�risultati�importanti.
�
La�ricetta�è�semplice,�lavorare�su�quello�che�il
canadese�non�aveva�mai�fatto�in�vita�sua:�gli
spostamenti.�Ed�è�con�questo�primo�principio
che�Raonic�migliora�i�colpi�stessi;�avendo�un
appoggio�più�stabile�ne�consegue�anche�un
notevole�miglioramento�nell'impattare�la�palla
in�ogni�colpo,�specialmente�con�quel�suo�dritto
così�potente�e�che�fa�male�a�tutti.
�
Non�basta�però,�ci�sono�ancora�tante�e�troppe
lacune�da�migliorare�per�formare�un�tennista
veramente�forte,�come�ad�esempio�quel�suo
scellerato�rovescio�bimane.�Anche�qui�la�ricetta
di�Ivan�Ljubicic�è�tanto�saggia�quanto�semplice,
quella,�cioè,�di�provare�a�giocare�quando,�ce�n'è
l'opportunità,�un�approccio�a�rete�col�back
lungolinea�di�rovescio�e�coprire�la�rete�con
quella�sua�immensa�copertura�alare,�data
peraltro�dai�suoi�196�cm.
Tutto�il�gioco�bene�o�male�viene�rivisto,�eanche�lo�stesso�rovescio�a�due�mani�migliora,seppur�non�in�modo�eclatante,�e�il�dritto,�fresco
di�una�condizione�fisica�ora�buona,�miglioranotevolmente.�
I�risultati�cominciano�a�dare�ragione�al�coachcroato,�Raonic�ottiene�nel�2014�diversi�risultatinon�da�poco:�primo�su�tutti�i�quarti�sulla�terra
rossa�del�Roland�Garros,�arrendendosi�soloall'allora�numero�2�del�mondo�Novak�Djokovic.
Poche�settimane�dopo�si�riconferma�alla�grande
anche�a�Wimbledon,�arriva�in�semifinale�e
anche�qui�si�arrende�a�chi�è�quasi�imbattile
sull'erba,�sua�altezza�reale�Roger�Federer.�Fino
ad�arrivare�a�un�agrodolce�Us�Open,�dove�sarà
sconfitto�al�quarto�turno�da�Kei�Nishikori,�in
una�lotta�protratta�fino�al�quinto�set.�Torneo
che�vedrà,�guardo�caso,�proprio�il�nipponico�in
finale.
�
La�qualificazione�alle�Finals�di�fine�anno�è�certa,
sebbene�poi�perderà,�nel�girone�del�torneo,�2
set�a�0�sia�contro�Roger�Federer�che�con�Andy
Murray.
�
L'anno�dopo,�prima�conquista�la�finale�del
torneo�di�Brisbane,�venendo�poi�sconfitto
all'ultimo�atto�da�Roger�Federer,�in�più�ottiene
nel�torneo�australiano�per�eccellenza��gli
Australian�Open��i�quarti�di�finale,
sconfiggendo�Feliciano�Lopez,�ma�trovando
successivamente�sulla�sua�strada�Novak
Djokovic,�finendo�così�sconfitto�nuovamente�da
un�altro�mostro�sacro.
�Ma�lo�scalpo�grosso�lo�ottiene�a�Indian�Wells.
Conquista�la�semifinale�del�torneosconfiggendo�Rafael�Nadal�e�facendolo�in�modo
pirotecnico:�ovvero�annullando�3�match�pointnel�tie-break�del�secondo�set�e�affermandosiper�4-6�7-6(10)�7-5.�
Aggiungendo�a�questo�risultato�anche�i
prestigiosi�quarti�ottenuti�successivamente�a
Monte�Carlo�e�poi�a�Madrid,�Raonic�migliora
così�tanto�il�suo�ranking�da�arrivare�nei�primi�4
della�classifica�mondiale,�ma�sul�più�bello�un
infortunio�al�piede�gli�fa�saltare�il�torneo�di
Roma�e�il�Roland�Garros,�presentandosi�a
Wimbledon�in�condizioni�fisiche�non
freschissime,�così�da�perdere�al�terzo�turno
dall'ostico�Nick�Kyrgios.�Sebbene�il�passo�falso
agli�Us�Open�dello�stesso�anno�con�la�sconfitta
al�terzo�turno�subita�per�mano�di�Feliciano
Lopez�(avversario�comunque�molto�tosto�negli
Slam�e�sul�veloce)�e�il�passaggio�del�mago�Ivan
Ljubicic�alla�corte�di�Re�Roger,�nel�2016�Milos
parte�fortissimo.�Sotto�la�guida�del�nuovo
coach�Carlos�Moya�(in�coppia�sempre�con
Riccardo�Piatti)�questa�volta�si�riprende�la
rivincita�in�finale�a�Brisbane�contro�Federer,
dominandolo�nettamente�per�6-4�6-4.
�
E�come�detto,�agli�ultimi�Australian�Open,�ha
confermato�quanto�di�buono�aveva�fatto
intravedere�a�Brisbane,�mostrando�un
repertorio�nuovamente�aggiornato.�Un�rovescio
sì�altalenante�ma�più�potente�e�molto�più
costante�di�prima,�un�gioco�iper-offensivo
farcito�da�almeno�40�discese�a�rete�a�partita,
tra�cui�annoveriamo�anche�serve�and�volley.�Il
risultato�è�una�semifinale�persa�contro�Andy
Murray�più�per�sfortuna,�e�per�i�soliti�acciacchi
fisici,�che�per�demeriti�propri.�Su�queste�basi�è
roseo�il�futuro�di�Milos�Raonic,�e�nell'immediato
futuro�saranno�quasi�sicuramente�lui�e�Nick
Kyrgios�a�contendere�il�trono�a�Novak�Djokovic.
Efinalmentegiunsel'oradi
MilosRaonic
byGiorgioGiannaccini
Il�suo�ultimo�Australian�Open�non�ci�può
lasciare�indifferenti:�Milos�Raonic�finalmente�è
giunto�alla�maturazione�definitiva�che�da�tempo
aspettavamo.�Il�suo�è�stato�sicuramente�il�caso
di�un�ragazzo�già�da�tempo�annunciato�come
papabile�grande�giocatore�ma�che�ha�dovuto
conoscere�un�processo�di�maturazione�molto
ma�molto�lungo,�passando�anche�per�diversi
coach�che�lo�hanno�migliorato�e,�ancor�più
probabilmente,�fatto�capire�cosa�fosse�in�realtà
il�tennis.
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Sembra�ieri�quando�Milos�era�un�ragazzo�alto�e
mingherlino�dal�potente�servizio�con,�ahimè,
dei�pessimi�spostamenti�laterali�che�ne
limitavano�talvolta�i�colpi�-�visto�che�la�ricerca
della�palla�era�molto�goffa�-�e�lo�rendeva
praticamente�nullo�in�fase�difensiva.
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Quel�ragazzo�che�aveva�due�solidi
fondamentali,�nei�quali�tra�l'altro�era
impossibile�non�ammettere�una�certa
naturalezza,�aveva�bisogno�di�un�serio�lavoro
fisico,�altrimenti�sarebbe�stato�difficile�vederlo
pienamente�realizzato�in�un�tennis,�come
quello�di�oggi,�così�affine�ad�un�forte�atletismo.
�
Nonostante�un�cambio�di�guida�verso�fine
2010,�quando�rimpiazzò�coach�Frederic
Niemeyer�con�l'ex�tennista�spagnolo�Galo
Blanco,�la�rivoluzione�tanto�attesa�non�arriva.
Milos�deve�attendere�l'avvento�di�Ivan�Ljubicic,
che�si�sederà�sulla�sua�panchina�nel�giugno�del
2013,�per�ottenere�risultati�importanti.
�
La�ricetta�è�semplice,�lavorare�su�quello�che�il
canadese�non�aveva�mai�fatto�in�vita�sua:�gli
spostamenti.�Ed�è�con�questo�primo�principio
che�Raonic�migliora�i�colpi�stessi;�avendo�un
appoggio�più�stabile�ne�consegue�anche�un
notevole�miglioramento�nell'impattare�la�palla
in�ogni�colpo,�specialmente�con�quel�suo�dritto
così�potente�e�che�fa�male�a�tutti.
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Non�basta�però,�ci�sono�ancora�tante�e�troppe
lacune�da�migliorare�per�formare�un�tennista
veramente�forte,�come�ad�esempio�quel�suo
scellerato�rovescio�bimane.�Anche�qui�la�ricetta
di�Ivan�Ljubicic�è�tanto�saggia�quanto�semplice,
quella,�cioè,�di�provare�a�giocare�quando,�ce�n'è
l'opportunità,�un�approccio�a�rete�col�back
lungolinea�di�rovescio�e�coprire�la�rete�con
quella�sua�immensa�copertura�alare,�data
peraltro�dai�suoi�196�cm.
Tutto�il�gioco�bene�o�male�viene�rivisto,�eanche�lo�stesso�rovescio�a�due�mani�migliora,seppur�non�in�modo�eclatante,�e�il�dritto,�fresco
di�una�condizione�fisica�ora�buona,�miglioranotevolmente.�
I�risultati�cominciano�a�dare�ragione�al�coachcroato,�Raonic�ottiene�nel�2014�diversi�risultatinon�da�poco:�primo�su�tutti�i�quarti�sulla�terra
rossa�del�Roland�Garros,�arrendendosi�soloall'allora�numero�2�del�mondo�Novak�Djokovic.
Poche�settimane�dopo�si�riconferma�alla�grande
anche�a�Wimbledon,�arriva�in�semifinale�e
anche�qui�si�arrende�a�chi�è�quasi�imbattile
sull'erba,�sua�altezza�reale�Roger�Federer.�Fino
ad�arrivare�a�un�agrodolce�Us�Open,�dove�sarà
sconfitto�al�quarto�turno�da�Kei�Nishikori,�in
una�lotta�protratta�fino�al�quinto�set.�Torneo
che�vedrà,�guardo�caso,�proprio�il�nipponico�in
finale.
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La�qualificazione�alle�Finals�di�fine�anno�è�certa,
sebbene�poi�perderà,�nel�girone�del�torneo,�2
set�a�0�sia�contro�Roger�Federer�che�con�Andy
Murray.
�
L'anno�dopo,�prima�conquista�la�finale�del
torneo�di�Brisbane,�venendo�poi�sconfitto
all'ultimo�atto�da�Roger�Federer,�in�più�ottiene
nel�torneo�australiano�per�eccellenza��gli
Australian�Open��i�quarti�di�finale,
sconfiggendo�Feliciano�Lopez,�ma�trovando
successivamente�sulla�sua�strada�Novak
Djokovic,�finendo�così�sconfitto�nuovamente�da
un�altro�mostro�sacro.
�Ma�lo�scalpo�grosso�lo�ottiene�a�Indian�Wells.
Conquista�la�semifinale�del�torneosconfiggendo�Rafael�Nadal�e�facendolo�in�modo
pirotecnico:�ovvero�annullando�3�match�pointnel�tie-break�del�secondo�set�e�affermandosiper�4-6�7-6(10)�7-5.�
Aggiungendo�a�questo�risultato�anche�i
prestigiosi�quarti�ottenuti�successivamente�a
Monte�Carlo�e�poi�a�Madrid,�Raonic�migliora
così�tanto�il�suo�ranking�da�arrivare�nei�primi�4
della�classifica�mondiale,�ma�sul�più�bello�un
infortunio�al�piede�gli�fa�saltare�il�torneo�di
Roma�e�il�Roland�Garros,�presentandosi�a
Wimbledon�in�condizioni�fisiche�non
freschissime,�così�da�perdere�al�terzo�turno
dall'ostico�Nick�Kyrgios.�Sebbene�il�passo�falso
agli�Us�Open�dello�stesso�anno�con�la�sconfitta
al�terzo�turno�subita�per�mano�di�Feliciano
Lopez�(avversario�comunque�molto�tosto�negli
Slam�e�sul�veloce)�e�il�passaggio�del�mago�Ivan
Ljubicic�alla�corte�di�Re�Roger,�nel�2016�Milos
parte�fortissimo.�Sotto�la�guida�del�nuovo
coach�Carlos�Moya�(in�coppia�sempre�con
Riccardo�Piatti)�questa�volta�si�riprende�la
rivincita�in�finale�a�Brisbane�contro�Federer,
dominandolo�nettamente�per�6-4�6-4.
�
E�come�detto,�agli�ultimi�Australian�Open,�ha
confermato�quanto�di�buono�aveva�fatto
intravedere�a�Brisbane,�mostrando�un
repertorio�nuovamente�aggiornato.�Un�rovescio
sì�altalenante�ma�più�potente�e�molto�più
costante�di�prima,�un�gioco�iper-offensivo
farcito�da�almeno�40�discese�a�rete�a�partita,
tra�cui�annoveriamo�anche�serve�and�volley.�Il
risultato�è�una�semifinale�persa�contro�Andy
Murray�più�per�sfortuna,�e�per�i�soliti�acciacchi
fisici,�che�per�demeriti�propri.�Su�queste�basi�è
roseo�il�futuro�di�Milos�Raonic,�e�nell'immediato
futuro�saranno�quasi�sicuramente�lui�e�Nick
Kyrgios�a�contendere�il�trono�a�Novak�Djokovic.
La�vendetta�è�un�piatto�che�va�servito�freddo,
ne�sa�qualcosa�Fernando�Verdasco�che�ha
aspettato�7�anni�prima�di�potersi�vendicare�di
Rafael�Nadal.
�
Erano�gli�Australian�Open�del�2009�quando�il
mancino�spagnolo�di�Madrid�si�presentava�in
grande�forma.�Già�prima�di�quel�torneo�aveva,
per�poco,�perso�la�finale�di�Brisbane�contro�un
Radek�Stepanek�in�discrete�condizioni,�e�per�di
più�al�terzo�set,�ma�non�c'era�da�preoccuparsi,
Fernando�si�sentiva�comunque�in�forma.
�Gli�inizi�infatti�di�quegli�Australian�Open�furonofulminanti,�Verdasco�fa�da�tritacarne�contro�gliindifesi�transalpini�Mannarino�prima�e�Arnauld
Clement�dopo�nei�primi�due�turni.�A�entrambi
concede�appena�4�game�su�tre�set�giocati�e
stravinti�in�fretta.�Il�gioco�sembrava�dover
diventare�serio�solo�al�terzo�turno,�visto�che�il
caso�aveva�voluto�mettere�sul�tavolo�proprio�la
rivincita�di�Brisbane�contro�Stepanek.�Dopo�un
primo�set�tirato�e�finito�per�6-4�in�favore
dell'iberico,�ecco�che�la�partita�cambia
totalmente,�e�con�un�incredibile�KO�tecnico�sia
il�secondo�set�che�il�terzo�finiscono�6-0�in
favore�di�Verdasco;�sembra�incredibile�ma�è
vero,�aveva�di�nuovo�lasciato�la�miseria�di�4
giochi�all'avversario�per�la�terza�volta�di
seguito.
�
La�marcia�continua,�e�questa�volta�ad
aspettarlo�al�quarto�turno�c'è�Andy�Murray,
VperVerdasco
byGiorgioGiannaccini
numero�4�del�mondo,�avversario�moltocomplicato,�anzi�da�impresa,�nonostante
Verdasco�sia�comunque�il�numero�15�delmondo.�
Dopo�un�primo�set�perso�6-2,�il�secondo�vinto
6-1,�si�trova�nuovamente�sotto�nel�terzo�e�lo
perde�6-1.�Ma�qui�c'è�la�rabbia�e�lo�scatto
d'orgoglio�dello�spagnolo�che�in�un�impeto�di
foga�prima�intasca�il�quarta�parziale�per�6-3�poi
completa�l'opera�con�un�serrato�6-4�nel�set
conclusivo.�Fernando�ora�può�sognare,�ma
dall'altra�parte�della�rete�ci�sarà�Jo-Wilfred
Tsonga,�un�peso�massimo�in�tutto�e�per�tutto,
ma�anche�prestigiatore�dal�tocco�fine,�e�altro
top�ten,�che�tra�l'altro�conobbe�fama�proprio
mettendosi�in�luce�agli�Australian�Open
dell'anno�precedente.
�
Dopo�un�primo�set�molto�lottato�nel�quale�però
il�transalpino�si�scioglie�proprio�nel�finale,
perdendo�al�tie-break�per�7�a�2,�ecco�che
Tsonga�reagisce�e�con�un�perentorio�6-3
pareggia�il�conto�dei�set.�Verdasco�non�ci�sta,�e
piazza�a�sua�volta�un�6-3�in�proprio�favore.�Il
francese�nel�quarto�set�è�sulle�gambe�e
Fernando�piazza�il�colpo�decisivo,�affossandolo
definitivamente�per�6-2.
�
Un'altra�impresa�è�compiuta,�e
inaspettatamente�ha�conquistato�una
semifinale�da�urlo�in�un�torneo�dello�Slam.�Ora
però�c'è�da�tornare�alla�realtà:�il�suo�prossimo
avversario�sarà�Rafa�Nadal,�il�numero�1,�il
dominatore�del�mondo,�colui�che�è�quasi
imbattile�da�mandare�in�manicomio�pure
Federer�e�che�sulla�terra�non�ha�rivali.
Ormai�nessuno�può�più�credere�in�un'altra�sua
impresa,�sarebbe�troppo,�forse�nemmeno
Verdasco�stesso�ci�crede�in�fondo,�parliamo�pur
sempre�di�Rafael�Nadal!
La�partita�invece�sarà�epica,�e�sarà�ancora�più
sorprendente�vista�la�sconfitta�improvvisa�e
sicuramente�immeritata�di�Verdasco.�Ma
andiamo�con�ordine.�Nel�primo�set�entrambi
partono�in�quinta:�botte�da�orbi�a�destra�e
manca,�servizi�assassini�specialmente�quelli�di
Verdasco�e�un�equilibrio�al�limite�del
paranormale.�Ma�la�spunta�alla�fine�Verdasco�al
tie-break,�lasciando�l'avversario�a�4�punti.�La
seconda�ripresa�non�si�fa�meno�violenta�di
prima,�anzi�persiste�la�stessa�intensità�di�gioco
e�di�agonismo,�e�alla�fine��non�fa�notizia��è
Verdasco�a�cedere�il�break�al�decimo�gioco,
consegnando�così�il�secondo�set�a�Nadal.�La
lotta�che�cominciava�a�essere�estenuante,�si�fa
ancora�più�aspra,�violenta�ed�equilibrata.
Verdasco�e�Nadal�sono�due�pugili�che
continuano�a�colpirsi,�a�scambiarsi�ganci
mancini�e�bordate�sempre�più�potenti.�Il�terzo
set�se�lo�aggiudica�Nadal�con�sofferenza�al�tie-
break�dove�però�lascia�appena�2�punti�a
Verdasco.�Non�da�meno�si�dimostra�la�reazione
di�Verdasco:�altra�lotta,�altro�equilibrio�massimo
al�quarto�set,�ma�il�madrileno,�giunto
nuovamente�al�tie-break,�ora�fa�suo�il�quarto
set�con�ancora�maggiore�impeto,�lasciando�un
misero�punto�a�Nadal�nel�tie-break.�I�duellanti
non�ne�vogliono�sapere�di�smettere,�e�in�quel
caldo�torrido�ancora�devono�finire�di�regolare�i
conti.�Ma�Verdasco,�chiamato�a�servire�per
rimanere�nel�match�nel�quinto�set�sul
punteggio�di�4-5,�si�trova�sotto�30-40,�e�lì,�uno
sciagurato�quanto�inopinato�doppio�fallo,�piega
definitivamente�la�resistenza�del�madrileno
contro�il�maiorchino.�Nadal�vince�un�incontro
epico�durato�5�ore�e�14�minuti�e�che�ha�poco�da
invidiare�a�quel�famoso�incontro�di�boxe�tra�Alì
e�Foreman�avvenuto�nel�1974�a�Kinshasa,�nel
Congo.
�
Nonostante�quella�battaglia,�il�giorno�dopo
Nadal�piegherà�anche�Roger�Federer,�sempre�al
quinto�set,�in�un'altra�maratona
forse�meno�violenta�ma�più
elegante,�conclusa�6-2
nell'ultimo�parziale,�e
regalandosi�per�la�prima�volta�la
vittoria�agli�Australian�Open.
�
Sono�passati�7�anni�e�questa
volta�la�rivincita�è�stata�di
Fernando.�Altra�battaglia,�altro
duello�finito�al�quinto�set�ma
questa�volta�è�stato�il�madrileno
ad�affondare�il�decaduto�Rafa�
divenuto�ormai�mortale�e�non
più�la�divinità�del�passato��con
un�6-2�finale�nel�primo�turno
degli�Australian�Open.
�
Ma�si�sa,�una�volta�che�lo�batti
in�campo�devi�stare�attento�alla
sua�maledizione:�quella�che�ha
visto�Verdasco�come�il�21esimo
caso�su�26�in�cui�un�giocatore
dopo�aver�battuto�il�maiorchino,
in�un�qualsiasi�torneo,�poi�perda
al�turno�successivo.�La
maledizione�Nadal�-�peggio
ancora�di�quella�di�Montezuma�-
continua�a�mietere�vittime...�e
con�loro�la�convinzione�che
forse�nessuno�riuscirà�mai�a
vendicarsi�di�Nadal!
Semprepiu ̀
Serena,anzino!
byGiorgioGiannaccini
Semprepiu ̀
Serena,anzino!
byGiorgioGiannaccini
Serena�ha�preso�gusto�a�illuderci,�l'aggancio�a
Steffi�Graf�a�22�Slam�che�tanto�incredibilmente
non�avvenne�a�New�York�per�mano�della�Vinci,
sembrava�in�questo�Australian�Open�prendere
forma:�mai�Serena�Williams�era�partita�così�in
sprint�in�un�torneo�del�Grande�Slam.�Dopo�aver
battuto�la�puledra�italo-argentina�Camila�Giorgi
-�giocatrice�molto�più�giovane�e�minuta�di�lei
ma�dotata�della�stessa�potenza�nei�colpi�-�con
un�combattuto�ma�sicuro�6-4�7-5,�Serena
aveva�cominciato�a�maltrattare�tutte�le
avversarie��tennisticamente�parlando��come
non�mai.
�
Al�secondo�turno�Su-Wei�Hsieh,�numero�90�del
mondo,�racimolava�appena�3�giochi,�non
andava�meglio�nel�turno�successivo�a�Daria
Kasatikna,�alla�quale�Serena�concedeva�a
malapena�2�game.�L'ecatombe�continua�anche
al�quarto�turno,�la�povera�russa�Margarita
Gasparyan�le�prova�tutte�ma�-�come�nel�caso
della�Hsieh��più�di�3�miseri�giochi�non�fa.
�
Ai�quarti�però�sarebbero�dovute�cominciare,�in
teoria,�le�partite�serie�per�Serena:�infatti�ecco
un�match�che�la�vedeva�opposta�a�Maria
Sharapova.�La�bella�ma�anche�combattiva�Maria
non�ci�sta�a�perdere,�ma�la�Williams�alla�fine�le
strappa�il�primo�set�con�un�tiratissimo�6-4.�Il
secondo�set�è�invece�un�monologo�della
statunitense,�con�Serena�che�timbra�la�vittoria
con�un�netto�6-1�conclusivo.�La�semifinale�che
la�vedeva�opposta�alla�polacca�dalle�mille�vite
Agnieszka�Radwanska,�non�era�sulla�carta�un
match�facile.�La�Williams�è�molto�più�pesante
nei�colpi,�Aga,�al�contrario,�è�fin�troppo�leggera
ma,�una�tenuta�atletica�veramente�rara,�e�una
intelligenza�tattica�fuori�dal�comune,�la
rendono�una�giocatrice�ostica�per�chiunque.
�
Eppure�Serena�è�una�cannibale:�inizia�a�tutto�il
match�con�una�furia�devastante,�e�rifila�un
Serena�ha�preso�gusto�a�illuderci,�l'aggancio�a
Steffi�Graf�a�22�Slam�che�tanto�incredibilmente
non�avvenne�a�New�York�per�mano�della�Vinci,
sembrava�in�questo�Australian�Open�prendere
forma:�mai�Serena�Williams�era�partita�così�in
sprint�in�un�torneo�del�Grande�Slam.�Dopo�aver
battuto�la�puledra�italo-argentina�Camila�Giorgi
-�giocatrice�molto�più�giovane�e�minuta�di�lei
ma�dotata�della�stessa�potenza�nei�colpi�-�con
un�combattuto�ma�sicuro�6-4�7-5,�Serena
aveva�cominciato�a�maltrattare�tutte�le
avversarie��tennisticamente�parlando��come
non�mai.
�
Al�secondo�turno�Su-Wei�Hsieh,�numero�90�del
mondo,�racimolava�appena�3�giochi,�non
andava�meglio�nel�turno�successivo�a�Daria
Kasatikna,�alla�quale�Serena�concedeva�a
malapena�2�game.�L'ecatombe�continua�anche
al�quarto�turno,�la�povera�russa�Margarita
Gasparyan�le�prova�tutte�ma�-�come�nel�caso
della�Hsieh��più�di�3�miseri�giochi�non�fa.
�
Ai�quarti�però�sarebbero�dovute�cominciare,�in
teoria,�le�partite�serie�per�Serena:�infatti�ecco
un�match�che�la�vedeva�opposta�a�Maria
Sharapova.�La�bella�ma�anche�combattiva�Maria
non�ci�sta�a�perdere,�ma�la�Williams�alla�fine�le
strappa�il�primo�set�con�un�tiratissimo�6-4.�Il
secondo�set�è�invece�un�monologo�della
statunitense,�con�Serena�che�timbra�la�vittoria
con�un�netto�6-1�conclusivo.�La�semifinale�che
la�vedeva�opposta�alla�polacca�dalle�mille�vite
Agnieszka�Radwanska,�non�era�sulla�carta�un
match�facile.�La�Williams�è�molto�più�pesante
nei�colpi,�Aga,�al�contrario,�è�fin�troppo�leggera
ma,�una�tenuta�atletica�veramente�rara,�e�una
intelligenza�tattica�fuori�dal�comune,�la
rendono�una�giocatrice�ostica�per�chiunque.
�
Eppure�Serena�è�una�cannibale:�inizia�a�tutto�il
match�con�una�furia�devastante,�e�rifila�un
impietoso�6-0�alla�polacca�che�poco�può�fare�ai
colpi�di�bazooka�dell'americana.�Aga,
intelligente�come�sempre,�prende�le
contromisure�a�Serena,�ma�la�Williams�è�troppo
in�forma,�volente�o�nolente�la�polacca�si�deve
piegare,�e�la�statunitense�si�impone�nel
secondo�set�per�6-4.
�
La�finale�sembrava�già�scritta,�contro�di�lei�c'era
la�rivelazione�del�torneo�Angelique�Kerber,�la
tennista�tedesca�meno�nota�e�amata�in�patria,
dimagrita�di�parecchi�chili�e�come�non�mai�in
forma�fisica,�ma�questo�sicuramente�non
bastava�per�spaventare�Serena.
�
E�invece�no,�è�Angelique�ad�aggiudicarsi�la
finale,�lottando�contro�una�Williams�inviperita
(diversi�saranno�le�sue�urla�“Come�on”�durante
il�match)�ma�troppo�fallosa.�6-4�il�primo
parziale�per�la�teutonica,�6-3�il�secondo�per
Serena,�6-4�il�terzo�per�la�Kerber�che,�avanti
5-3�e�servizio,�trema�di�paura�e�si�fa�dare�un
break,�ma�la�bionda�tedesca�riprende�coraggio
e�piazza�il�contro-break�che�significa�vittoria.
�
A�mente�fredda�però�c'è�da�analizzare�il�perché
di�questa�sconfitta�a�dir�poco�clamorosa.
Certamente�è�stata�meritata�la�vittoria�della
Kerber�visto�il�coraggio�e�la�tenuta�mentale
dimostrata,�nonché�un'abnegazione�e�una
generosità�unica�che�l'ha�vista�più�di�una�volta
essere�sballottata�a�destra�e�sinistra�per
difendersi�dalle�bordate�al�fulmicotone�della
Williams.�Ma�tutto�questo�non�può�bastare
come�spiegazione,�premesso�che�la
statunitense�non�era�in�giornata.�Probabilmente
Serena�ha�perso�stimoli�non�avendo�rivali�allo
stesso�livello,�giusto�la�Sharapova�è�una�degna
rivale�se�in�forma.�Parliamo�di�un�divario�troppo
ampio�tra�lei�e�le�altre�tenniste�del�circuito�che
certamente�non�ha�spinto�la�Williams�a�doversi
migliorare�notevolmente�per�essere�sempre�più
competitiva.�Dinamica�invece�diversa�quella�che
ha�pervaso�il�mondo�maschile:�Federer�è
dovuto�migliorare�per�poter�battere�Nadal�sulla
terra,�e�lo�stesso�Nadal�per�avere�la�meglio�su
Federer�nell'erba.�Non�è�tutto,�pensiamo�anche
a�Djokovic�che�per�poter�diventare�quello�che�è
adesso�ha�dovuto�fare�molti�sacrifici��in�primis
la�dieta�celiaca��e�molti�allenamenti�per
dominare�chi�prima�dominava�lui,�ovvero
Federer�e�Nadal.
�
Altro�fattore:�la�tenuta�fisica.�Federer�se�non
facesse�una�preparazione�fisica�adeguata,
sarebbe�nullo�in�campo,�Nadal�peggio�ancora.
Djokovic�domina�gli�altri�tennisti�proprio�perché
ha�una�continuità�fisica�in�campo�da�paura,�ogni
giorno�è�sempre�al�top�fisicamente.�Lo�stesso
Andy�Murray�si�esprime�ai�massimi�livelli
proprio�quando�è�a�puntino�fisicamente.
Serena�non�ha�mai�lavorato�troppo�sul�suo
fisico,�ha�potenza�e�spara�missili�quando�vuole,
per�carità,�ha�anche�grande�tocco,�ma�questa
mancanza�di�stimolo,�probabilmente,�le�ha
impedito�di�fare�il�vero�salto�di�qualità.�Sembra
assurdo�dire�ciò�di�una�immensa�giocatrice�che
ha�vinto�21�prove�dello�Slam�ma�forse,
soprattutto�oggi,�è�così.
La�vera�nemica�di�Serena�Williams�è�se�stessa.
E�a�New�York�contro�la�Vinci,�se�andiamo�a
guardare�bene,�la�paura�di�vincere�è�venuta
proprio�perché,�nell'anno�scorso,�di�ostacoli
veri�per�Serena�non�ce�ne�sono�stati,�e�trovatasi
davanti�al�primo�vero�impedimento,�la�testa�ha
ceduto�in�modo�irreversibile.
�
La�vera�disgrazia�della�Williams,�non�è�stata�il
non�essere�riuscita�a�completare�lo�Slam,�ma�la
mancanza�di�rivali�degni�negli�ultimi�due�anni
che�ne�hanno�impigrito�l'indole�competitiva�e�il
gioco.
impietoso�6-0�alla�polacca�che�poco�può�fare�ai
colpi�di�bazooka�dell'americana.�Aga,
intelligente�come�sempre,�prende�le
contromisure�a�Serena,�ma�la�Williams�è�troppo
in�forma,�volente�o�nolente�la�polacca�si�deve
piegare,�e�la�statunitense�si�impone�nel
secondo�set�per�6-4.
�
La�finale�sembrava�già�scritta,�contro�di�lei�c'era
la�rivelazione�del�torneo�Angelique�Kerber,�la
tennista�tedesca�meno�nota�e�amata�in�patria,
dimagrita�di�parecchi�chili�e�come�non�mai�in
forma�fisica,�ma�questo�sicuramente�non
bastava�per�spaventare�Serena.
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E�invece�no,�è�Angelique�ad�aggiudicarsi�la
finale,�lottando�contro�una�Williams�inviperita
(diversi�saranno�le�sue�urla�“Come�on”�durante
il�match)�ma�troppo�fallosa.�6-4�il�primo
parziale�per�la�teutonica,�6-3�il�secondo�per
Serena,�6-4�il�terzo�per�la�Kerber�che,�avanti
5-3�e�servizio,�trema�di�paura�e�si�fa�dare�un
break,�ma�la�bionda�tedesca�riprende�coraggio
e�piazza�il�contro-break�che�significa�vittoria.
�
A�mente�fredda�però�c'è�da�analizzare�il�perché
di�questa�sconfitta�a�dir�poco�clamorosa.
Certamente�è�stata�meritata�la�vittoria�della
Kerber�visto�il�coraggio�e�la�tenuta�mentale
dimostrata,�nonché�un'abnegazione�e�una
generosità�unica�che�l'ha�vista�più�di�una�volta
essere�sballottata�a�destra�e�sinistra�per
difendersi�dalle�bordate�al�fulmicotone�della
Williams.�Ma�tutto�questo�non�può�bastare
come�spiegazione,�premesso�che�la
statunitense�non�era�in�giornata.�Probabilmente
Serena�ha�perso�stimoli�non�avendo�rivali�allo
stesso�livello,�giusto�la�Sharapova�è�una�degna
rivale�se�in�forma.�Parliamo�di�un�divario�troppo
ampio�tra�lei�e�le�altre�tenniste�del�circuito�che
certamente�non�ha�spinto�la�Williams�a�doversi
migliorare�notevolmente�per�essere�sempre�più
competitiva.�Dinamica�invece�diversa�quella�che
ha�pervaso�il�mondo�maschile:�Federer�è
dovuto�migliorare�per�poter�battere�Nadal�sulla
terra,�e�lo�stesso�Nadal�per�avere�la�meglio�su
Federer�nell'erba.�Non�è�tutto,�pensiamo�anche
a�Djokovic�che�per�poter�diventare�quello�che�è
adesso�ha�dovuto�fare�molti�sacrifici��in�primis
la�dieta�celiaca��e�molti�allenamenti�per
dominare�chi�prima�dominava�lui,�ovvero
Federer�e�Nadal.
�
Altro�fattore:�la�tenuta�fisica.�Federer�se�non
facesse�una�preparazione�fisica�adeguata,
sarebbe�nullo�in�campo,�Nadal�peggio�ancora.
Djokovic�domina�gli�altri�tennisti�proprio�perché
ha�una�continuità�fisica�in�campo�da�paura,�ogni
giorno�è�sempre�al�top�fisicamente.�Lo�stesso
Andy�Murray�si�esprime�ai�massimi�livelli
proprio�quando�è�a�puntino�fisicamente.
Serena�non�ha�mai�lavorato�troppo�sul�suo
fisico,�ha�potenza�e�spara�missili�quando�vuole,
per�carità,�ha�anche�grande�tocco,�ma�questa
mancanza�di�stimolo,�probabilmente,�le�ha
impedito�di�fare�il�vero�salto�di�qualità.�Sembra
assurdo�dire�ciò�di�una�immensa�giocatrice�che
ha�vinto�21�prove�dello�Slam�ma�forse,
soprattutto�oggi,�è�così.
La�vera�nemica�di�Serena�Williams�è�se�stessa.
E�a�New�York�contro�la�Vinci,�se�andiamo�a
guardare�bene,�la�paura�di�vincere�è�venuta
proprio�perché,�nell'anno�scorso,�di�ostacoli
veri�per�Serena�non�ce�ne�sono�stati,�e�trovatasi
davanti�al�primo�vero�impedimento,�la�testa�ha
ceduto�in�modo�irreversibile.
�
La�vera�disgrazia�della�Williams,�non�è�stata�il
non�essere�riuscita�a�completare�lo�Slam,�ma�la
mancanza�di�rivali�degni�negli�ultimi�due�anni
che�ne�hanno�impigrito�l'indole�competitiva�e�il
gioco.
Angelique
Kerber
byGiogioGiannaccini
La�volèe�di�Serena�Williams�è�di�poco�uscita
dopo�la�linea�di�fondo�consegnando�la
vittoria�alla�tedesca�Angelique�Kerber,�la�sua
prima�vittoria�Slam,�alla�prima�apparizione�in
una�finale,�e�mandando�ancora�una�volta�in
fumo�la�speranza�di�grande�slam�per
l’americana.
�
La�Kerber�nata�a�Brema�il�18�gennaio�1988�,diventa�professionista�nel�2003,�e�fino�al
2011,�quando�raggiunge�le�semifinali�degliUsOpen�,�non�ottiene�grossi�risultati.�Nel�2012,�primo�titolo�Wta�a�Parigi,poiCopenaghen,�l’anno�seguente�vince�Linz�ed
arriva�in�finale�in�altri�due�tornei.�
Nel�2014�la�stagione�è�avara�di�soddisfazione,
forse�qualche�chilo�di�troppo�condiziona�il
suo�rendimento,�la�tedesca�è�una�gran
lottatrice�dotata�di�tutti�i�colpi,�ma�le�manca
ancora�qualcosa�per�fare�il�grande�salto.
�
Si�presenta�all’avvio�di�stagione�2015,�conqualche�chilo�di�meno,�esce�in�semifinale�aBrisbane,�eliminata�al�primo�turno�agli
Australian�Open,�ad�Indian�Wells�ancoraun’eliminazione�al�primo�turno,�e�sembra�cheil�lavoro�svolto�non�stia�pagando,�ma�da
Aprile�la�tedesca�inzia�a�macinare�gioco,vincendo�Charleston�e�Stoccarda,quest’ultimo�dopo�una�gran�battaglia�controCaroline�Wozniacki.�
Vince�inoltre�l’Aegon�classic�di�Birmingham�eil�torneo�di�Stanford,�contro�un’altra�tennistain�ascesa�come�Karolina�Pliskova.�
Prima�degli�Australian�open�di�quest’anno
aveva�disputato,�perdendola�per�mano
dell’Azarenka,�la�finale�di�Brisbane,�dopo�un
primo�turno�in�cui�ha�rischiato�l’eliminazione
con�la�Doi,�il�suo�torneo�è�decollato,�fino�a
quando,�ha�vinto�in�due�set�ai�quarti�di�finale
contro�Vika�Azarenka�che�fino�a�quel
momento�era�sembrata�inarrestabile.
�
La�semifinale�con�la�Konta�è�stata�una
formalità�e�come�molti�si�aspettavano,con�la
finale�aveva�raggiunto�il�massimo�risultato
possibile,�visto�chi�l’aspettava�dall’altra�parte
del�campo.
�
La�Kerber�invece�ha�vinto�usando�le�stesse
armi�messe�in�mostra�da�Roberta�Vinci�agli
UsOpen,�cioè�le�variazioni�nel�gioco,�unico
modo�per�poter�vincere�contro�Serena.
Dotata�probabilmente�della�miglior�difesa�del
circuito,�la�tedesca�è�riuscita�più�volte�a
tramutare�in�attacco�situazioni�di�gioco�in�cui
sembrava�in�svantaggio,�sfondando�il�muro�di
certezze�dell’americana.
�
Alcune�fasi�del�match�hanno�fatto�tornare�alla
mente�il�match�degli�UsOpen�contro�RobertaVinci.
La�reazione�dell’americana�alle�due�palle�corte
giocate�dalla�Kerber�nel�terzo�set�hanno
ricordato�quando�durante�la�semifinale
l’americana,�si�accasciò�sui�tabelloni�totalmente
scoraggiata�.
�
Molti�dicono�che�dalla�sconfitta�con�la�Vinci,�la
Williams�sia�rimasta�segnata�e�non�sia�più�la
stessa,�più�probabile�che�abbia�fatto�crescere
nelle�rivali�la�convinzione�che�sia�battibile,�e
che�la�tattica�messa�in�campo�dalla�nostra
Roberta�sia�stata�presa�come�esempio.
�
Sicuramente�il�successo�della�Kerber�non�è
casuale,�ma�frutto�di�tanto�lavoro�e
probabilmente�non�sarà�l’unico,considerando
che�anche�su�terra�è�sempre�andata�bene
potrebbe�esser�anche�in�terra�francese�un
cliente�scomodo.
�Personalmente�consiglierei�anche�a�MariaSharapova�di�dar�un’occhiata�a�questi�dueincontri..
Brevelavita
felicediDaphne
laBella
byFabrizioFidecaro
La�vincitrice�degli�Australian
Open�è�premiata
tradizionalmente�con�la
Daphne�Akhurst�Memorial
Cup.�Questo�trofeo�dagli
ampi�manici,�con�in�cima�e
sul�basamento�due�racchette
incrociate�dietro�a�una
corona�d’alloro,�fu�donato
all’organizzazione�dalla�New
South�Wales�Lawn�Tennis
Association�nel�1934:�la
fuoriclasse�che�si�intendeva
onorare�era�mancata�dodici
mesi�prima,�ad�appena
ventinove�anni.
�
La�vita�di�Daphne�Jessie
Akhurst�fu�breve�e�intensa.
Seconda�figlia�del�litografo
Oscar�James�Akhurst�e�di
Jessie�Florence�Smith,
Daphne�nacque�il�22�aprile
1903�ad�Ashfield,�Sydney.�Da
bambina�denotò�un�precoce
talento�da�pianista:�vinse
parecchie�gare�e�continuò
sempre�a�coltivare�questa
passione,�tanto�che,�ormai
cresciuta,�frequentò�con
profitto�lo�State
Conservatorium�of�Music,
divenne�insegnante�di
musica�e�si�esibì�spesso�in
concerti�nei�teatri�e�nei�club.
�Pianista�e�tennista
A�regalarle�la�fama,�però,
sarebbe�stato�il�tennis.�Le
sue�doti�cominciarono�a
emergere�alla�Normanhurst
School,�un�istituto�superiore
particolarmente�attento�allo
sviluppo�mentale�e�fisico
delle�proprie�allieve.�La
direttrice,�Miss�Evelyn�Mary
Tildesley,�organizzò�a�partire
dal�1918�un�torneo�di�tennis
per�team�scolastici,�il
Tildesley�Shield,�e�ad
aggiudicarsi�l’edizione
inaugurale�fu�proprio�la
Normanhurst,�trascinata
dall’irresistibile�Daphne,�che
già�nel�1917�aveva�ottenuto�il
primo�dei�suoi�quattro�titoli
consecutivi�nei�New�South
Wales�Schoolgirls’
Championship.
�
Timida�e�introversa,�la
Akhurst�cambiava
radicalmente�atteggiamento
sul�campo,�dove�appariva
decisa�e�sicura�di�sé.�Grande
agonista,�era�dotata,�al
contempo,�di�una�tecnica
raffinata.�La�sua�prima
vittoria�maggiore�giunse�nel
1923,�nel�singolo�della
contea�di�Cumberland,�e
rappresentò�l’inizio�di�una
lunga�serie.�Nel�gennaio�1924
fece�il�suo�esordio�agli
Australasian�Championships,
in�scena�all’Albert�Park�di
Melbourne:�arrivò�in
semifinale,�battuta�da�Esna
Boyd,�ma�conquistò�il�titolo
sia�nel�doppio,�assieme�a
Sylvia�Lance�Harper,�sia�nel
misto,�con�Jim�Willard.
�
Trascorse�un�anno�e,�nel
1925,�alla�Rushcutters�Bay�diSydney,�i�tempi�erano�ormaimaturi�per�la�piena
esplosione.�Daphne�faticò�al
debutto�con�Muff�Wilson,
una�rivale�dei�tempi�della
scuola,�ma�poi�la�brillante
forma�fisica,�la�rapidità�di
gambe�e�la�capacità�di
attaccare�al�momento�giusto
la�condussero�dritta�in�finale.
La�nuova�sfida�con�la�Boyd
creò�una�tale�spasmodica
attesa�da�far�relegare�il
match�clou�maschile�su�un
campo�secondario.�Il�piano
tattico�di�Esna�fu�subito
chiaro:�aggredire�ogni�palla
per�impedire�alla�rivale,�più
giovane�di�4�anni,�di
prendere�l’iniziativa.�In�avvio
la�Boyd�riuscì�nell’intento:
colpendo�profondo�negli
angoli�e�issandosi�a�rete�con
continuità,�dominò�il�primo
set�(61).�Alla�lunga,�però,
emerse�la�miglior�tecnica
della�Akhurst,�che�fece�suo�il
secondo�parziale�per�86.�Nel
terzo�Esna�ebbe�ancora�la
forza�di�portarsi�sul�4-1,�ma
perse�gli�ultimi�5�game�di�fila.
Oltre�al�primo�titolo�nel
singolo,�Daphne�confermò�i
successi�nel�doppio�e�nel
misto,�con�i�medesimi
partner�di�dodici�mesi�prima.
�Europa,�eccomi!
Alcune�settimane�dopo,�la
NSW�Tennis�Association
finanziò�la�prima�trasferta�in
Europa�di�un�team�femminile
australiano.�La
rappresentativa�oceanica,�di
cui�facevano�parte�anche
Boyd�e�Harper,�prese�parte
al�World�Tour,�antenato�della
Fed�Cup:�Galles,�Scozia,
Irlanda�e�Olanda�furono
sconfitte,�ma�l’esperienza�di
Inghilterra,�Francia�e�Stati
Uniti�si�dimostrò
insormontabile.�La�Akhurst,
da�outsider,�raggiunse�i
quarti�a�Wimbledon,�battuta
in�rimonta�dall’inglese�Joan
Fry,�e�si�guadagnò�i
complimenti�del�“Times”,�che
lodò�la�sua�grande
combattività.�Daphne�prese
parte�anche�ad�altri�eventi,
sfiorando�il�successo�agli
Irish�Championships�di
Dublino�(a�fermarla�fu
proprio�la�Boyd)�e�a
Deauville,�dove�in�finale
incappò�niente�meno�che
nella�“Divina”�Lenglen,�cui
strappò�solo�due�game�per
set.
�L’anno�d’oroRientrata�in�patria,�riprese�la
sua�marcia.�Nel�’26,�adAdelaide,�nonostante�uninfortunio�al�ginocchio,
Brevelavita
felicediDaphne
laBella
byFabrizioFidecaro
La�vincitrice�degli�Australian
Open�è�premiata
tradizionalmente�con�la
Daphne�Akhurst�Memorial
Cup.�Questo�trofeo�dagli
ampi�manici,�con�in�cima�e
sul�basamento�due�racchette
incrociate�dietro�a�una
corona�d’alloro,�fu�donato
all’organizzazione�dalla�New
South�Wales�Lawn�Tennis
Association�nel�1934:�la
fuoriclasse�che�si�intendeva
onorare�era�mancata�dodici
mesi�prima,�ad�appena
ventinove�anni.
�
La�vita�di�Daphne�Jessie
Akhurst�fu�breve�e�intensa.
Seconda�figlia�del�litografo
Oscar�James�Akhurst�e�di
Jessie�Florence�Smith,
Daphne�nacque�il�22�aprile
1903�ad�Ashfield,�Sydney.�Da
bambina�denotò�un�precoce
talento�da�pianista:�vinse
parecchie�gare�e�continuò
sempre�a�coltivare�questa
passione,�tanto�che,�ormai
cresciuta,�frequentò�con
profitto�lo�State
Conservatorium�of�Music,
divenne�insegnante�di
musica�e�si�esibì�spesso�in
concerti�nei�teatri�e�nei�club.
�Pianista�e�tennista
A�regalarle�la�fama,�però,
sarebbe�stato�il�tennis.�Le
sue�doti�cominciarono�a
emergere�alla�Normanhurst
School,�un�istituto�superiore
particolarmente�attento�allo
sviluppo�mentale�e�fisico
delle�proprie�allieve.�La
direttrice,�Miss�Evelyn�Mary
Tildesley,�organizzò�a�partire
dal�1918�un�torneo�di�tennis
per�team�scolastici,�il
Tildesley�Shield,�e�ad
aggiudicarsi�l’edizione
inaugurale�fu�proprio�la
Normanhurst,�trascinata
dall’irresistibile�Daphne,�che
già�nel�1917�aveva�ottenuto�il
primo�dei�suoi�quattro�titoli
consecutivi�nei�New�South
Wales�Schoolgirls’
Championship.
�
Timida�e�introversa,�la
Akhurst�cambiava
radicalmente�atteggiamento
sul�campo,�dove�appariva
decisa�e�sicura�di�sé.�Grande
agonista,�era�dotata,�al
contempo,�di�una�tecnica
raffinata.�La�sua�prima
vittoria�maggiore�giunse�nel
1923,�nel�singolo�della
contea�di�Cumberland,�e
rappresentò�l’inizio�di�una
lunga�serie.�Nel�gennaio�1924
fece�il�suo�esordio�agli
Australasian�Championships,
in�scena�all’Albert�Park�di
Melbourne:�arrivò�in
semifinale,�battuta�da�Esna
Boyd,�ma�conquistò�il�titolo
sia�nel�doppio,�assieme�a
Sylvia�Lance�Harper,�sia�nel
misto,�con�Jim�Willard.
�
Trascorse�un�anno�e,�nel
1925,�alla�Rushcutters�Bay�diSydney,�i�tempi�erano�ormaimaturi�per�la�piena
esplosione.�Daphne�faticò�al
debutto�con�Muff�Wilson,
una�rivale�dei�tempi�della
scuola,�ma�poi�la�brillante
forma�fisica,�la�rapidità�di
gambe�e�la�capacità�di
attaccare�al�momento�giusto
la�condussero�dritta�in�finale.
La�nuova�sfida�con�la�Boyd
creò�una�tale�spasmodica
attesa�da�far�relegare�il
match�clou�maschile�su�un
campo�secondario.�Il�piano
tattico�di�Esna�fu�subito
chiaro:�aggredire�ogni�palla
per�impedire�alla�rivale,�più
giovane�di�4�anni,�di
prendere�l’iniziativa.�In�avvio
la�Boyd�riuscì�nell’intento:
colpendo�profondo�negli
angoli�e�issandosi�a�rete�con
continuità,�dominò�il�primo
set�(61).�Alla�lunga,�però,
emerse�la�miglior�tecnica
della�Akhurst,�che�fece�suo�il
secondo�parziale�per�86.�Nel
terzo�Esna�ebbe�ancora�la
forza�di�portarsi�sul�4-1,�ma
perse�gli�ultimi�5�game�di�fila.
Oltre�al�primo�titolo�nel
singolo,�Daphne�confermò�i
successi�nel�doppio�e�nel
misto,�con�i�medesimi
partner�di�dodici�mesi�prima.
�Europa,�eccomi!
Alcune�settimane�dopo,�la
NSW�Tennis�Association
finanziò�la�prima�trasferta�in
Europa�di�un�team�femminile
australiano.�La
rappresentativa�oceanica,�di
cui�facevano�parte�anche
Boyd�e�Harper,�prese�parte
al�World�Tour,�antenato�della
Fed�Cup:�Galles,�Scozia,
Irlanda�e�Olanda�furono
sconfitte,�ma�l’esperienza�di
Inghilterra,�Francia�e�Stati
Uniti�si�dimostrò
insormontabile.�La�Akhurst,
da�outsider,�raggiunse�i
quarti�a�Wimbledon,�battuta
in�rimonta�dall’inglese�Joan
Fry,�e�si�guadagnò�i
complimenti�del�“Times”,�che
lodò�la�sua�grande
combattività.�Daphne�prese
parte�anche�ad�altri�eventi,
sfiorando�il�successo�agli
Irish�Championships�di
Dublino�(a�fermarla�fu
proprio�la�Boyd)�e�a
Deauville,�dove�in�finale
incappò�niente�meno�che
nella�“Divina”�Lenglen,�cui
strappò�solo�due�game�per
set.
�L’anno�d’oroRientrata�in�patria,�riprese�la
sua�marcia.�Nel�’26,�adAdelaide,�nonostante�uninfortunio�al�ginocchio,
trionfò�agli�Australasian
Championships�senza
perdere�un�set�e�infliggendo
un�secco�61�63�in�finale�alla
Boyd.�A�suggello�del�suo
dominio�vinse�l’ultimo�game
a�zero,�concludendo�con�un
ace�centrale.�Nel�’27�solo�la
sfortuna�le�impedì�il�tris.
Nella�prima�edizione�al
Kooyong�e�con�la
denominazione�“Australian”
al�posto�di�“Australasian”,
una�forma�influenzale�la
costrinse�al�forfait�negli
ottavi�contro�Dorothy
Weston.�La�Boyd,�dopo
cinque�finali�perse,�riuscì�a
conquistare�il�titolo.
�
Fu�il�1928�l’anno�d’oro�della
Akhurst.�Cominciò�tornando
a�imporsi�nello�Slam�di�casa,
a�Sydney,�ancora�senza
cedere�un�set�e�di�nuovo�in
finale�sull’eterna�rivale�Boyd.
Proprio�con�Esna�si
aggiudicò�il�doppio�e�centrò
la�sua�seconda�tripla�corona
nel�misto�al�fianco�del
“moschettiere”�Jean�Borotra
(anche�lui�vincitore�in�tutti�e
tre�i�tabelloni).�Poi�si
imbarcò�per�l’Europa,�leader
di�un�nuovo�agguerrito�team
australiano,�che,�stavolta,
vinse�tutti�e�13�gli�incontri
disputati.�
�Confronti�al�verticeArrivarono�soddisfazioni
anche�dalle�prove�individuali:una�splendida�vittoria�adAmburgo�(con�un’impetuosa
rimonta�in�finale�sulla
Aussem),�i�quarti�nella�sua
unica�partecipazione�al
Roland�Garros�e,�soprattutto,
un�torneo�di�Wimbledon�da
protagonista.�L’All�England
Club�la�vide�semifinalista�in
singolare�(batté�Helen
Jacobs�86�al�terzo�prima�di
cedere�a�Lily�de�Alvarez)�e�in
doppio�(con�la�Boyd)�e
finalista�nel�misto�(assieme�a
Jack�Crawford,�sconfitti�per
75�64�da�Patrick�Spence�ed
Elizabeth�Ryan�dopo�aver
condotto�per�5-3�nel�primo
set).�Fu�quella�la�seconda�e
ultima�presenza�nell’evento
londinese.�
�A�fine�anno,�Daphne�fuclassificata�da�Arthur�Wallis
Myers�del�“Daily�Telegraph”,dal�“Daily�Mail”�e�dall’”Ayres’Almanac”�al�terzo�posto�del
ranking�mondiale,�alle�spalle
di�Helen�Wills�e�della�de
Alvarez.�Il�“Referee”,�più
generoso,�la�collocò�in�prima
posizione.
�
Nel�’29,�ad�Adelaide,�giunse�il
quarto�titolo�nel�Major�di
casa,�in�finale�sull’amica
Louie�Bickerton,�che�le�tolse
un�set.�Insieme�si
aggiudicarono�il�doppio�e�la
Akhurst�fece�suo�anche�il
misto�con�il�connazionale
Gar�Moon,�ottenendo�così�la
terza�tripla�corona.�Nel�’30,
alla�vigilia�del�torneo,�la
Akhurst�annunciò�il�suo
matrimonio�e�l’imminente
ritiro�dalle�competizioni�di
singolo.�Occorreva�chiudere
in�bellezza,�ma�la�condizione
fisica�non�era�delle�migliori.
A�Kooyong�faticò�per�tre�set
nei�quarti�con�Kath�Le
Mesurier,�svenendo�sul
campo�dopo�il�matchpoint
vincente.�Caparbia�come
sempre,�si�riprese,�travolse�in
semi�Emily�Hood�e�in�finale
affrontò�una�dura�battaglia
con�la�veterana�Sylvia�Lance
Harper.�Nel�primo�Daphne
s’impose�10-8,�attaccando�a
ripetizione�sul�rovescio
dell’avversaria.�A�quel�punto,
la�Harper�impostò�una
tattica�più�aggressiva:�vinse
10�dei�12�giochi�seguenti,
issandosi�4-0�nel�terzo.
Sembrava�finita,�ma�la
Akhurst�non�mollò.�Mentre
l’avversaria�inevitabilmente
calava,�recuperò�punto�su
punto�fino�a�prevalere�con�lo
score�di�108�26�75.�Fu�un
magnifico�abbandono�delle
gare�individuali,�con�il�quinto
titolo�in�sette�partecipazioni.
L’anno�successivo,
impegnata�solo�in�doppio,
Daphne�conquistò�con�la
Bickerton�il�quinto�trofeo
nella�specialità,�il�14esimo�e
ultimo�nello�Slam�down
under.
�
Una�fine�improvvisa
Le�nozze�con�il�giovane
produttore�di�tabacco
Royston�Stuckey�Cozens,
celebrate�il�26�febbraio�1930
alla�St.�Philip�Church�of
England�di�Sydney,�furono
allietate,�nel�luglio�di�due
anni�dopo,�dalla�nascita�di�un
figlio.�Il�destino,�però,�era�in
agguato.�Poco�dopo�Daphne
rimase�nuovamente�incinta,
ma�le�fu�diagnosticata�una
gravidanza�ectopica.�Il�9
gennaio�1933�si�sottopose�a
un�delicatissimo�intervento
per�evitare�complicazioni,�ma
la�situazione�precipitò.
Daphne�era�ancora�sotto
anestesia�quando�spirò.
Appena�una�settimana�prima
aveva�vinto�per�l’ottava�volta
a�Pratten�Park�i�Cumberland
Champs�di�doppio,�assieme
all’amica�Louie�Bickerton.�In
seguito,�fra�l’altro,�il�suo
giovane�vedovo�sposò�in
seconde�nozze�proprio
Louie:�entrambi�vissero�a
lungo,�fino�al�1998.
�
Daphne�è�stata�introdotta
nella�Hall�of�Fame
australiana�al�termine�di�una
toccante�cerimonia�svoltasi
nel�2006�alla�Rod�Laver
Arena.�Nell’occasione,�un
busto�in�bronzo�che�la
rappresenta�è�stato�scoperto
a�Garden�Square�in
Melbourne�Park,�accanto�a
quelli�degli�altri�grandi
d’Australia.�Il�giusto
riconoscimento�per�una
campionessa�tanto�grande
quanto�sfortunata.
EvonneGoolagong:
l'aborigenaneltennis
byStefanoSemeraro
Suo�padre�Kenny�vestiva�come�un�dandy,��di
mestiere�“tosava�le�pecore,�raccoglieva�frutta,caricava�fieno�e�puliva�i�silos”,�ma�nel�tempolibero�sapeva�cavarsela�benissimo�a�golf.�Suobisnonno�Jimmy�Goolagong�era�un�grandegiocatore�di�rugby�League,�il�rugbyprofessionistico�che�si�gioca�in�tredici,�“e
festeggiava�ogni�meta�facendo�una�capriolaall’indietro�nell’area�di�meta”.�Il�suo�trisavolo,Old�Bob�Goolagong,�era�l’Ibrahimovic�delfootball�aborigeno.�Sua�bisnonna�Dolly�era�una
famosa�giocatrice�di�hockey,�“e�insieme�alle�suesei�sorelle�formava�la�spina�dorsale�dellasquadra�femminile�di�hockey�su�prato�di
Condobolin�negli�anni�‘30”.��L’altra�sua�bisnonna,�Agatha,�“saltava�su�una
bici�da�corsa,�alzava�la�gonna�infilandosela�nellemutande�per�evitare�che�scendesse,�e�via�cheandava.�In�una�corsa,�avrebbe�battuto�i�maschi
di�metri”.Certe�cose�le�hai�nel�sangue,�ti�abitano�dentro.Sono�doni�ancestrali.
�Quando�Evonne�GoolagongEvonne,�o�Yvonne�come�avrebbe�dovuto
chiamarsi,�o�“Miss�Sunshine”,�come�laribattezzarono�nel�tennis,�la�prima�campionessaaborigena,�venuta�dall’Australia�molto�prima�di
Cathy�Freeman�a�mostrare�i�miracoli�atletici�diun�popolo�gentile,�sapiente,�umiliato.��
La�prima�(e�per�ora�ultima)�aborigena�capace�di
vincere�Wimbledon�e�il�Roland�Garros�nel�‘71,
ad�appena�vent’anni,�battendo�6-4�6-1�il
monumento�australiano,�e�sua�compagna�di
doppio,�Margaret�Court:�“Durò�sessantatrè
minuti.�Non�molto�lunga,�come�finale�di
Wimbledon,�ma�lunga�abbastanza�da�cambiarela�mia�vita�per�sempre”.��
Una�fuoriclasse�venuta�dal�bush�e�capaceprendersi�quattro�Australian�Open,�quattrofinali�a�New�York,�e�la�Fed�Cup.�Di�uscire�e
rientrare�nel�tennis�come�in�un�“walk-about”indigeno,�rivincendo�uno�Slam�da�mamma,molto�prima�di�Kim�Clijsters�e�sessantasei�anni
dopo�Dorothea�Lambert�Chambers.�AWimbledon,�nel�1980,�contro�la�Signorina�diferro�Chrissie�Evert:�“Fu�la�prima�finale�di
Wimbledon�decisa�da�un�tie-break,�e�la�prima�incui�in�66�anni�in�cui�a�vincere�avrebbe�potuto
essere�una�mamma.�Se�ce�l’avessi�fatta�miavrebbero�potuto�chiamare�‘Supermum’�(gliinglesi�abbreviano�‘mother’�in�‘mom’,�gliaustraliani�in�‘mum’,�ndr).�E�lo�fecero.�
Nel�primo�set�vinsi�6-1,�giocando�in�maniera
quasi�perfetta.�Nel�secondo�Chris�servì�per�il
set�sul�6-5,�ma�sapevo�di�non�potermi
permettere�di�andare�al�terzo�con�lei.�Il�punto
cruciale�fu�sul�3-3,�uno�scambio�da�31�colpi,�e
per�una�volta�fu�Chris�a�sbagliare�per�prima.�Lepartite�di�tennis�non�sono�cose�per�cui�valga�lapena�piangere.�Vinte�o�perse,�ci�ho�raramente
versato�sopra�delle�lacrime.�Ma�il�4�luglio�del1980�lo�feci.�E�mentre�andavo�versoKnightsbridge�in�macchina�per�cambiarmi�per�il
ballo,�mia�figlia�Kelly�sulle�ginocchia,�mio�maritoRoger�a�fianco,�ancora�con�gli�occhi�lucidi�rividiKenny�Goolagong�che�nel�pub�mi�stringeva�al
suo�petto�e�con�l’alito�puzzolente�di�birra�misussurrava�all’orecchio�‘Vai�e�spaccali�tutti,�Eve.Fagli�vedere�quello�che�sai�fare”.
�
Dopo�il�tennis,�per�vent’anni,��diventata�signora
Cawley,�ha�abitato�negli�States.�Nel�’91�è�morta
sua�madre,�la�bella�e�saggia�Melinda�che�era
nata�in�una�capanna�di�fango�appena�fuori�dalla
missione�di�Warangesda,�a�Darlington�Point,�e
lei�ha�deciso�di�tornare�all’Origine.�
�Di�abitare�a�Noosa,�del�Queensland�quest’annodevastato�da�alluvioni�e�uragani,�e�rivedereBarellan,�paesino�di�900�anime�nell’outbackaustraliano�dove�i�Goolagong,�quando�Evonne
nacque�nel�luglio�1951,�erano�l’unica�famiglia
aborigena:�“A�parte�la�mia�vittoria�a�Wimbledon
nel�1971�il�giorno�più�glorioso�nella�storia�di
Barellan�fu�il�2�gennaio�1932,�quando�116
squadre�di�cavalli�scaricarono�nei�silos�13.000
sacchi�di�fieno,�stabilendo�un�nuovo�record�per
l’Australia”.
�Partendo�alla�ricerca�dei�ricordi�della�sua�“smalltown”�Evonne�ha�seguito�il�serpente,�l’animale-guida�dei�suoi�antenati,�ripercorso�le�vie�deicanti�dormendo�in�tenda.�In�una�notte�magicaha�ascoltato�gli�avi�popolare�la�sua�anima�e
capito�che�suo�padre�“sapeva�esattamente�ilsuo�posto�nell’Universo,�e�che�la�Old�People,�gliaborigeni�vivi�e�morti,�non�conoscono�ilsentimento�dell’odio”.
�
Oggi�Evonne�ha�quasi�sessant’anni,�vive�ancora
a�Noosa,�non�gioca�più�a�tennis.�“L’anca�me�lo
impedisce.�Ma�lo�guardo�ancora,�specie�se�c’è
Federer�in�campo”,�sorride�luminosa�come
sempre.�“Ho�visto�anche�la�vostra�Schiavone:�a
Parigi�ha�battuto�un’australiana,�Sam�Stosur,�ma
l’ho�ammirata.�Che�giocatrice�fantastica:�una
guerriera”.�
�Tutta�la�sua�svelta,�morbida�efficacia�oggi
Evonne�la�usa�per�avvicinare�i�giovani�aborigeniallo�sport,�attraverso�il�suo�personale�“camp”�ein�collaborazione�con�la�federtennis�australiana,
che�proprio�agli�Australian�Open�ha�annunciatoun�nuovo�stanziamento�di�750.000�dollari�per�iprogetti�che�tanto�le�stanno�a�cuore.��
Il�Goolagong�Development�Camp�è�al�settimo
anno”,�spiega.�“E’�dedicato�a�ragazzi�aborigeni,
tennisti�da�un�po’�tutta�l’Australia.�Ai�ragazzi
più�promettenti�diamo�borse�di�studio,�oggi
con�noi�ci�sono�5�coach�“indigeni”�in�grado�di
insegnare�ovunque.�Il�mio�obiettivo�è�trovare
fondi�per�far�funzionare�il�camp�tutto�l’anno,�e
in�tutta�l’Australia.�Lavoriamo�insieme�con
EvonneGoolagong:
l'aborigenaneltennis
byStefanoSemeraro
Suo�padre�Kenny�vestiva�come�un�dandy,��di
mestiere�“tosava�le�pecore,�raccoglieva�frutta,caricava�fieno�e�puliva�i�silos”,�ma�nel�tempolibero�sapeva�cavarsela�benissimo�a�golf.�Suobisnonno�Jimmy�Goolagong�era�un�grandegiocatore�di�rugby�League,�il�rugbyprofessionistico�che�si�gioca�in�tredici,�“e
festeggiava�ogni�meta�facendo�una�capriolaall’indietro�nell’area�di�meta”.�Il�suo�trisavolo,Old�Bob�Goolagong,�era�l’Ibrahimovic�delfootball�aborigeno.�Sua�bisnonna�Dolly�era�una
famosa�giocatrice�di�hockey,�“e�insieme�alle�suesei�sorelle�formava�la�spina�dorsale�dellasquadra�femminile�di�hockey�su�prato�di
Condobolin�negli�anni�‘30”.��L’altra�sua�bisnonna,�Agatha,�“saltava�su�una
bici�da�corsa,�alzava�la�gonna�infilandosela�nellemutande�per�evitare�che�scendesse,�e�via�cheandava.�In�una�corsa,�avrebbe�battuto�i�maschi
di�metri”.Certe�cose�le�hai�nel�sangue,�ti�abitano�dentro.Sono�doni�ancestrali.
�Quando�Evonne�GoolagongEvonne,�o�Yvonne�come�avrebbe�dovuto
chiamarsi,�o�“Miss�Sunshine”,�come�laribattezzarono�nel�tennis,�la�prima�campionessaaborigena,�venuta�dall’Australia�molto�prima�di
Cathy�Freeman�a�mostrare�i�miracoli�atletici�diun�popolo�gentile,�sapiente,�umiliato.��
La�prima�(e�per�ora�ultima)�aborigena�capace�di
vincere�Wimbledon�e�il�Roland�Garros�nel�‘71,
ad�appena�vent’anni,�battendo�6-4�6-1�il
monumento�australiano,�e�sua�compagna�di
doppio,�Margaret�Court:�“Durò�sessantatrè
minuti.�Non�molto�lunga,�come�finale�di
Wimbledon,�ma�lunga�abbastanza�da�cambiarela�mia�vita�per�sempre”.��
Una�fuoriclasse�venuta�dal�bush�e�capaceprendersi�quattro�Australian�Open,�quattrofinali�a�New�York,�e�la�Fed�Cup.�Di�uscire�e
rientrare�nel�tennis�come�in�un�“walk-about”indigeno,�rivincendo�uno�Slam�da�mamma,molto�prima�di�Kim�Clijsters�e�sessantasei�anni
dopo�Dorothea�Lambert�Chambers.�AWimbledon,�nel�1980,�contro�la�Signorina�diferro�Chrissie�Evert:�“Fu�la�prima�finale�di
Wimbledon�decisa�da�un�tie-break,�e�la�prima�incui�in�66�anni�in�cui�a�vincere�avrebbe�potuto
essere�una�mamma.�Se�ce�l’avessi�fatta�miavrebbero�potuto�chiamare�‘Supermum’�(gliinglesi�abbreviano�‘mother’�in�‘mom’,�gliaustraliani�in�‘mum’,�ndr).�E�lo�fecero.�
Nel�primo�set�vinsi�6-1,�giocando�in�maniera
quasi�perfetta.�Nel�secondo�Chris�servì�per�il
set�sul�6-5,�ma�sapevo�di�non�potermi
permettere�di�andare�al�terzo�con�lei.�Il�punto
cruciale�fu�sul�3-3,�uno�scambio�da�31�colpi,�e
per�una�volta�fu�Chris�a�sbagliare�per�prima.�Lepartite�di�tennis�non�sono�cose�per�cui�valga�lapena�piangere.�Vinte�o�perse,�ci�ho�raramente
versato�sopra�delle�lacrime.�Ma�il�4�luglio�del1980�lo�feci.�E�mentre�andavo�versoKnightsbridge�in�macchina�per�cambiarmi�per�il
ballo,�mia�figlia�Kelly�sulle�ginocchia,�mio�maritoRoger�a�fianco,�ancora�con�gli�occhi�lucidi�rividiKenny�Goolagong�che�nel�pub�mi�stringeva�al
suo�petto�e�con�l’alito�puzzolente�di�birra�misussurrava�all’orecchio�‘Vai�e�spaccali�tutti,�Eve.Fagli�vedere�quello�che�sai�fare”.
�
Dopo�il�tennis,�per�vent’anni,��diventata�signora
Cawley,�ha�abitato�negli�States.�Nel�’91�è�morta
sua�madre,�la�bella�e�saggia�Melinda�che�era
nata�in�una�capanna�di�fango�appena�fuori�dalla
missione�di�Warangesda,�a�Darlington�Point,�e
lei�ha�deciso�di�tornare�all’Origine.�
�
Di�abitare�a�Noosa,�del�Queensland�quest’anno
devastato�da�alluvioni�e�uragani,�e�rivedereBarellan,�paesino�di�900�anime�nell’outbackaustraliano�dove�i�Goolagong,�quando�Evonne
nacque�nel�luglio�1951,�erano�l’unica�famiglia
aborigena:�“A�parte�la�mia�vittoria�a�Wimbledon
nel�1971�il�giorno�più�glorioso�nella�storia�di
Barellan�fu�il�2�gennaio�1932,�quando�116
squadre�di�cavalli�scaricarono�nei�silos�13.000
sacchi�di�fieno,�stabilendo�un�nuovo�record�per
l’Australia”.
�
Partendo�alla�ricerca�dei�ricordi�della�sua�“smalltown”�Evonne�ha�seguito�il�serpente,�l’animale-guida�dei�suoi�antenati,�ripercorso�le�vie�deicanti�dormendo�in�tenda.�In�una�notte�magicaha�ascoltato�gli�avi�popolare�la�sua�anima�e
capito�che�suo�padre�“sapeva�esattamente�ilsuo�posto�nell’Universo,�e�che�la�Old�People,�gliaborigeni�vivi�e�morti,�non�conoscono�ilsentimento�dell’odio”.
�
Oggi�Evonne�ha�quasi�sessant’anni,�vive�ancora
a�Noosa,�non�gioca�più�a�tennis.�“L’anca�me�lo
impedisce.�Ma�lo�guardo�ancora,�specie�se�c’è
Federer�in�campo”,�sorride�luminosa�come
sempre.�“Ho�visto�anche�la�vostra�Schiavone:�a
Parigi�ha�battuto�un’australiana,�Sam�Stosur,�ma
l’ho�ammirata.�Che�giocatrice�fantastica:�una
guerriera”.�
�
Tutta�la�sua�svelta,�morbida�efficacia�oggi
Evonne�la�usa�per�avvicinare�i�giovani�aborigeniallo�sport,�attraverso�il�suo�personale�“camp”�ein�collaborazione�con�la�federtennis�australiana,
che�proprio�agli�Australian�Open�ha�annunciatoun�nuovo�stanziamento�di�750.000�dollari�per�iprogetti�che�tanto�le�stanno�a�cuore.�
�
Il�Goolagong�Development�Camp�è�al�settimo
anno”,�spiega.�“E’�dedicato�a�ragazzi�aborigeni,
tennisti�da�un�po’�tutta�l’Australia.�Ai�ragazzi
più�promettenti�diamo�borse�di�studio,�oggi
con�noi�ci�sono�5�coach�“indigeni”�in�grado�di
insegnare�ovunque.�Il�mio�obiettivo�è�trovare
fondi�per�far�funzionare�il�camp�tutto�l’anno,�e
in�tutta�l’Australia.�Lavoriamo�insieme�con
Tennis�Australia,�ma�non�è�facile�trovare�soldi
per�le�racchette,�per�l’abbigliamento�da�dare�ai
ragazzi.�L’estate�scorsa�ce�n’era�uno�che
giocava�con�gli�infradito,�le�scarpe�da�tennis
che�gli�abbiamo�dato�sono�state�il�primo�paio�di
scarpe�in�assoluto�della�sua�vita.�Il�prossimo
fuoriclasse�aborigeno?�C’è�una�14enne�molto
promettente.�Si�chiama�Ashleigh�Barty,�ha�le
qualità�per�diventare�forte”.
�
Nel�1971�la�Goolagong�accettò�di�partecipare,
come�“onorary�white”,�“bianca�per�meriti”�a�un
torneo�nel�Sud�Africa�dell’apartheid,�molti�in
Patria�non�glielo�perdonarono.�Alan�Trengrove,
il�decano�dei�tennis�writer�aussie,�scrisse�una
lettera�aperta�definendo�quella�trasferta�“il�più
grande�errore�della�sua�carriera”,�e�John
Newfong,�uno�dei�leader�del�movimento�per
l’integrazione�degli�indigeni,�la�definì�“una�che
sarà�ricordata,�non�per�le�sue�vittorie,�ma�per
aver�barattato�la�responsabilità�nei�confronti
della�sua�razza�con�la�prospettiva�di�essere
‘bianca’�per�un�giorno.�Qualcuno,�ancora�oggi,
pensa�che�Evonne�avrebbe�dovuto�alzare�più�la
voce�per�difendere�i�diritti�degli�aborigeni,
umiliati�per�decenni�dalla�politica�cruda�dei
vecchi�governi�“aussie”�di�Menzies,�e�oggi
spesso�avviliti�dalla�disoccupazione�e
dall’alcolismo.
�
“Lottare�per�i�propri�diritti?�
Allora�avevo�19�anni,�non�sapevo�neppure�cosa
fosse�l’apartheid.�Ma�quando�tornai�in�Sud
Africa�l’anno�seguente�lo�feci�da�nera,�in
compagnia�di�di�altri�neri�come�l’americana
Bonnie�Logan�e�Wanaro�N’Godrella.�Quell’anno
a�un�nero�sudafricano,�Dan�Beuke,�poté�giocare
il�torneo�di�casa�sua.�Furono�piccoli�passi�in
avanti,�ma�comunque�miglioramenti.�Oggi
credo�che�per�me�sia�più�importante�avvicinare
i�giovani�allo�sport,�dare�loro�una�chance”.
Risponde�con�un�lampo�metallico�nello�sguardo,
la�ex�ragazzina�prodigio�adottata
tennisticamente�dal�guru�tennistico�(e
molestatore)�Vic�Edwards.�La�cucciola�di
campionessa�che�viveva�nella�sede
abbandonata�del�quotidiano�locale,�il�“Barellan
Leader”�(“una�baracca�di�latta”),�recuperava
palline�sgonfie�nella�carcassa�di�una�vecchia
Chevrolet,�giocava�scalza�e�a�volte�doveva
saltare�i�pasti.�Il�tennis�lo�aveva�scoperto�a�7
anni�nel�piccolo�club�locale,�improvvisando
partite�con�i�fratelli�con�le�racchette�prestate�da
un�vicino�di�casa�che�si�chiamava,�forse�non�a
caso,�mister�Dunlop.�“Credo�che�chiunque�sia
destinato�a�diventare�atleta�in�una�qualsiasi
disciplina�passi�un�periodo�di�apprendistato�
ha�scritto�la�Goolagong�nella�sua�autobiografia
“Home!”,�un�longseller�in�Australia�-,�un�periodo
in�cui�realizzano�istintivamente�che�quello�è�il
loro�gioco,�che�quella�diventerà�la�loro�vita.
Credo�che�a�me�sia�accaduto�nelle�due�estati�in
cui�il�War�Memorial�Tennis�Club�di�Barellan
divenne�il�mio�giardino”.
�
Le�ci�sono�voluti�altri�cinquant’anni,�una
manciata�di�Slam�tanta�felicità�qualche
amarezza�e�la�voglia�di�ritrovare�se�stessa�“nel
grande�rosso�della�Terra�Australis”,�per
ritornare�a�casa.�Lasciare�la�strada�maestra�e
risalire�i�luoghi,�e�i�nomi�dei�luoghi,�dove�suo
padre�e�sua�madre�si�erano�conosciuti�e
innamorati�di�una�passione�nomade�ma�solida,
che�ha�generato�otto�figli�e�un�continente�di
ricordi.
�
Barellan,�Narrandera,�Cummeragunga,
Menindee,�Wilcannia,�Moulamein,�Goodoga,
Angledool,�le�tappe�di�un�viaggio�iniziatico
“Cummeragunga.�Ho�sempre�amato�il�suono
lirico�di�quel�nome.�Significa�“il�mio�Paese”,
nella�lingua�della�mia�gente.�A�Menindee�entrai
in�uno�spaccio�prima�di�continuare�il�mio
viaggio.�‘Ti�conosco’,�mi�disse�la�donna�che
stava�al�bancone.�‘Tua�madre�veniva�sempre
qui’.�E�fu�così�in�tutto�il�paese.�Linda�Goolagong
era�stata�una�donna�famosa�a�Menindee:�lo
avevo�sempre�saputo”.�
�Alla�fine,�provvisoria,�del�suo�walkabout�Evonne
capii�che�le�sue�due�metà�si�erano�ricongiunte.
“Dal�1953�i�miei�hanno�vissuto�in�una�città�di
bianchi��ha�scritto�in�“Home!”�-��e�dal�1966�io
ho�vissuto�in�una�società�bianca,�ma�la�prima
non�ha�fatto�di�me�una�bianca�e�la�seconda�non
ha�mai�fatto�di�me�niente�di�diverso�da�quello
che�sono,�una�orgogliosa�donna�aborigena”.
�
A�Noosa��mi�ha�raccontato�a�Melbourne�-��una
volta�organizzai�una�vendita�di�vestiti�e
racchette�per�raccogliere�fondi�per�la�gente
Pitjantjatjara,�per�le�donne�che�mi�hanno
accolto�fra�di�loro.�Oggi�collaboro�con
l’Indigenous�Land�Corporation,�che�si�occupa�di
ricomprare�terra�per�gli�aborigeni�dallo�stato�e
dare�loro�un’opportunità.�Ci�sono�ancora
problemi�per�la�mia�gente,�per�risolverli�occorre
creare�posti�di�lavoro.�Nel�resort�di�Uluru�(il
nome�aborigeno�di�Ayers�Rock,�ndr)�c’è�solo
una�persona�indigena�impiegata:�triste,�no?
Quando�ero�giovane�quelli�del�mio�popolo�non
potevano�neppure�entrare�nei�circoli�tennis,�e�si
dedicavano�al�calcio,�al�football�australiano,�al
rugby.�Molti�ragazzi�indigeni�hanno�grandi
riflessi,�perfetta�coordinazione�fra�occhi�e�mani:
io�voglio�che�giochino�a�tennis.�Se�quando�ero
ragazzina�non�ci�fosse�stata�la�gente�di�Barellan
a�comprarmi�vestiti�e�le�valigie�per�andare�a
Sydney,�non�sarei�qui.�Il�mio�compito�ora�è�di
fare�lo�stesso�con�altri�bambini”.
�
E’�un�viaggio�antico�che�continua.�“Sì,�sto
ancora�seguendo�il�serpente,�sto�ancora
imparando�molto�sulla�cultura�del�mio�Paese�e
sulle�mie�origini.�Io�sono�una�Wiradjuri�Koori,
una�donna�della�tribù�Wiradjuri,�il�mio�cognome
in�quella�lingua�si�pronuncia�gulagallang,�e
significa�“grande�gruppo”,�ma�anche�teppaglia.
Il�mio�primo�sogno�è�stato�vincere�gli�Australian
Open,�poi�Wimbledon.�Il�terzo�è�insegnare
quello�che�ho�imparato.�I�ragazzi�che�incontro
non�sanno�chi�sono.�Spiego�loro�che�ho�vinto
Tennis�Australia,�ma�non�è�facile�trovare�soldi
per�le�racchette,�per�l’abbigliamento�da�dare�ai
ragazzi.�L’estate�scorsa�ce�n’era�uno�che
giocava�con�gli�infradito,�le�scarpe�da�tennis
che�gli�abbiamo�dato�sono�state�il�primo�paio�di
scarpe�in�assoluto�della�sua�vita.�Il�prossimo
fuoriclasse�aborigeno?�C’è�una�14enne�molto
promettente.�Si�chiama�Ashleigh�Barty,�ha�le
qualità�per�diventare�forte”.
�
Nel�1971�la�Goolagong�accettò�di�partecipare,
come�“onorary�white”,�“bianca�per�meriti”�a�un
torneo�nel�Sud�Africa�dell’apartheid,�molti�in
Patria�non�glielo�perdonarono.�Alan�Trengrove,
il�decano�dei�tennis�writer�aussie,�scrisse�una
lettera�aperta�definendo�quella�trasferta�“il�più
grande�errore�della�sua�carriera”,�e�John
Newfong,�uno�dei�leader�del�movimento�per
l’integrazione�degli�indigeni,�la�definì�“una�che
sarà�ricordata,�non�per�le�sue�vittorie,�ma�per
aver�barattato�la�responsabilità�nei�confronti
della�sua�razza�con�la�prospettiva�di�essere
‘bianca’�per�un�giorno.�Qualcuno,�ancora�oggi,
pensa�che�Evonne�avrebbe�dovuto�alzare�più�la
voce�per�difendere�i�diritti�degli�aborigeni,
umiliati�per�decenni�dalla�politica�cruda�dei
vecchi�governi�“aussie”�di�Menzies,�e�oggi
spesso�avviliti�dalla�disoccupazione�e
dall’alcolismo.
�
“Lottare�per�i�propri�diritti?�
Allora�avevo�19�anni,�non�sapevo�neppure�cosa
fosse�l’apartheid.�Ma�quando�tornai�in�Sud
Africa�l’anno�seguente�lo�feci�da�nera,�in
compagnia�di�di�altri�neri�come�l’americana
Bonnie�Logan�e�Wanaro�N’Godrella.�Quell’anno
a�un�nero�sudafricano,�Dan�Beuke,�poté�giocare
il�torneo�di�casa�sua.�Furono�piccoli�passi�in
avanti,�ma�comunque�miglioramenti.�Oggi
credo�che�per�me�sia�più�importante�avvicinare
i�giovani�allo�sport,�dare�loro�una�chance”.
Risponde�con�un�lampo�metallico�nello�sguardo,
la�ex�ragazzina�prodigio�adottata
tennisticamente�dal�guru�tennistico�(e
molestatore)�Vic�Edwards.�La�cucciola�di
campionessa�che�viveva�nella�sede
abbandonata�del�quotidiano�locale,�il�“Barellan
Leader”�(“una�baracca�di�latta”),�recuperava
palline�sgonfie�nella�carcassa�di�una�vecchia
Chevrolet,�giocava�scalza�e�a�volte�doveva
saltare�i�pasti.�Il�tennis�lo�aveva�scoperto�a�7
anni�nel�piccolo�club�locale,�improvvisando
partite�con�i�fratelli�con�le�racchette�prestate�da
un�vicino�di�casa�che�si�chiamava,�forse�non�a
caso,�mister�Dunlop.�“Credo�che�chiunque�sia
destinato�a�diventare�atleta�in�una�qualsiasi
disciplina�passi�un�periodo�di�apprendistato�
ha�scritto�la�Goolagong�nella�sua�autobiografia
“Home!”,�un�longseller�in�Australia�-,�un�periodo
in�cui�realizzano�istintivamente�che�quello�è�il
loro�gioco,�che�quella�diventerà�la�loro�vita.
Credo�che�a�me�sia�accaduto�nelle�due�estati�in
cui�il�War�Memorial�Tennis�Club�di�Barellan
divenne�il�mio�giardino”.
�
Le�ci�sono�voluti�altri�cinquant’anni,�una
manciata�di�Slam�tanta�felicità�qualche
amarezza�e�la�voglia�di�ritrovare�se�stessa�“nel
grande�rosso�della�Terra�Australis”,�per
ritornare�a�casa.�Lasciare�la�strada�maestra�e
risalire�i�luoghi,�e�i�nomi�dei�luoghi,�dove�suo
padre�e�sua�madre�si�erano�conosciuti�e
innamorati�di�una�passione�nomade�ma�solida,
che�ha�generato�otto�figli�e�un�continente�di
ricordi.
�
Barellan,�Narrandera,�Cummeragunga,
Menindee,�Wilcannia,�Moulamein,�Goodoga,
Angledool,�le�tappe�di�un�viaggio�iniziatico
“Cummeragunga.�Ho�sempre�amato�il�suono
lirico�di�quel�nome.�Significa�“il�mio�Paese”,
nella�lingua�della�mia�gente.�A�Menindee�entrai
in�uno�spaccio�prima�di�continuare�il�mio
viaggio.�‘Ti�conosco’,�mi�disse�la�donna�che
stava�al�bancone.�‘Tua�madre�veniva�sempre
qui’.�E�fu�così�in�tutto�il�paese.�Linda�Goolagong
era�stata�una�donna�famosa�a�Menindee:�lo
avevo�sempre�saputo”.�
�
Alla�fine,�provvisoria,�del�suo�walkabout�Evonne
capii�che�le�sue�due�metà�si�erano�ricongiunte.
“Dal�1953�i�miei�hanno�vissuto�in�una�città�di
bianchi��ha�scritto�in�“Home!”�-��e�dal�1966�io
ho�vissuto�in�una�società�bianca,�ma�la�prima
non�ha�fatto�di�me�una�bianca�e�la�seconda�non
ha�mai�fatto�di�me�niente�di�diverso�da�quello
che�sono,�una�orgogliosa�donna�aborigena”.
�
A�Noosa��mi�ha�raccontato�a�Melbourne�-��una
volta�organizzai�una�vendita�di�vestiti�e
racchette�per�raccogliere�fondi�per�la�gente
Pitjantjatjara,�per�le�donne�che�mi�hanno
accolto�fra�di�loro.�Oggi�collaboro�con
l’Indigenous�Land�Corporation,�che�si�occupa�di
ricomprare�terra�per�gli�aborigeni�dallo�stato�e
dare�loro�un’opportunità.�Ci�sono�ancora
problemi�per�la�mia�gente,�per�risolverli�occorre
creare�posti�di�lavoro.�Nel�resort�di�Uluru�(il
nome�aborigeno�di�Ayers�Rock,�ndr)�c’è�solo
una�persona�indigena�impiegata:�triste,�no?
Quando�ero�giovane�quelli�del�mio�popolo�non
potevano�neppure�entrare�nei�circoli�tennis,�e�si
dedicavano�al�calcio,�al�football�australiano,�al
rugby.�Molti�ragazzi�indigeni�hanno�grandi
riflessi,�perfetta�coordinazione�fra�occhi�e�mani:
io�voglio�che�giochino�a�tennis.�Se�quando�ero
ragazzina�non�ci�fosse�stata�la�gente�di�Barellan
a�comprarmi�vestiti�e�le�valigie�per�andare�a
Sydney,�non�sarei�qui.�Il�mio�compito�ora�è�di
fare�lo�stesso�con�altri�bambini”.
�
E’�un�viaggio�antico�che�continua.�“Sì,�sto
ancora�seguendo�il�serpente,�sto�ancora
imparando�molto�sulla�cultura�del�mio�Paese�e
sulle�mie�origini.�Io�sono�una�Wiradjuri�Koori,
una�donna�della�tribù�Wiradjuri,�il�mio�cognome
in�quella�lingua�si�pronuncia�gulagallang,�e
significa�“grande�gruppo”,�ma�anche�teppaglia.
Il�mio�primo�sogno�è�stato�vincere�gli�Australian
Open,�poi�Wimbledon.�Il�terzo�è�insegnare
quello�che�ho�imparato.�I�ragazzi�che�incontro
non�sanno�chi�sono.�Spiego�loro�che�ho�vinto
93�tornei,�che�ho�incontrato�il
Presidente�degli�Stati�Uniti�e�la
Regina�d'Inghilterra,�che�ho
viaggiato�in�tutto�il�mondo.�Poi
prendo�un�pezzo�di�legno,�come
quello�con�cui�giocavo�da
bambina,�faccio�vedere�come�ho
iniziato.�Spalancano�gli�occhi,�e
io�dico�loro�che�puoi�iniziare
ovunque,�con�qualsiasi�cosa,�se
davvero�hai�un�sogno.�E�che�se
lo�sogni�abbastanza�forte,�si
realizzerà".�Tennista,
campionessa,�mamma,
educatrice.�C’è�una�cosa�-�le�ho
chiesto�prima�di�salutarla�sulla
scalinata�della�Rod�Laver�Arena
-�che�vale�più�di�tutte�la�pena�di
insegnare?
�
Sì,�c’è�una�cosa�che�l’Occidente
può�imparare�dalla�mia�gente�
ha�risposto�-.�E’�un�concetto
semplice,�sta�in�due�frasi:
prenditi�cura�degli�altri.�Prenditi
cura�della�tua�terra”.
Tornei�dello�Slam:�lestatistihe�che�nessunoconosceby�Marco�Di�Nardo
Ci�sono�statistiche�che�tutti�gli�esperti�di�tennis
conoscono,�essendo�impossibile�raccontare�o
parlare�di�questo�sport�senza�tenerne�conto.
Sono�probabilmente�le�più�importanti,�perché
permettono�di�delineare�un�quadro�dei�migliori
giocatori�e�anche�di�farsi�un'idea�sulla�carriera
di�un�determinato�atleta.�Ci�si�riferisce
ovviamente�a�statistiche�come�quella�dei�titoli
dello�Slam�vinti�in�totale,�o�delle�finali�giocate
nei�major,�partite�vinte�ecc.
�
Esistono�poi�tantissime�altre�graduatorie
statistiche�che�il�tennis�ci�permette�di�stilare,
anche�grazie�al�particolare�punteggio�che�lo
caratterizza,�e�alle�varie�categorie�di�tornei�in
cui�viene�praticato.�In�questo�articolo�ci
occuperemo�della�categoria�più�alta�che
riguarda�il�nostro�sport,�quella�dei�tornei�del
Grand�Slam,�proponendo�delle�interessanti
statistiche�inedite.
�
Inizieremo�con�il�record�di�partite�vinte�e�persenei�tornei�dello�Slam�dopo�aver�vinto�i�primidue�set;�proseguiremo�con�il�numero�maggiore
di�partite�vinte�consecutivamente�nella�stessasituazione�(avendo�vinto�i�primi�due�parziali);poi�passeremo�al�record�di�partite�consecutivesenza�mai�andare�indietro�per�2�set�a�0�negli
Slam,�indipendentemente�dal�risultato�finale;quindi�il�record�negli�Slam�dopo�aver�vinto�ilprimo�set;�infine�analizzeremo�i�record�turnoper�turno�dai�quarti�di�finale�in�avanti�nei�torneidello�Slam�(quarti,�semifinali,�finale).�
Vittorie/sconfitte�dopo�aver�vinto�i�primi�dueset�nei�tornei�dello�Slam�(almeno�80vittorie).�In�questa�graduatoria�comanda�lo
svedese�Mats�Wilander,�che�nelle�95�volte�in
cui�si�è�trovato�avanti�per�2�set�a�0�negli�Slam,
ha�sempre�portato�a�casa�il�successo�finale.
Imbattuto�in�questa�situazione�anche�Bjorn
Borg,�che�si�è�però�fermato�a�quota�85�vittorie.
�1.�Mats�Wilander�95-0,�100%
2.�Bjorn�Borg�85-0,�100%3.�Jimmy�Connors�161-1,�99,4%4.�Andre�Agassi�156-1,�99,4%5.�Novak�Djokovic�152-1,�99,3%6.�Rafael�Nadal�151-1,�99,3%7.�Pete�Sampras�146-1,�99,3%
8.�John�McEnroe�117-1,�99,1%�Vittorie�consecutive�dopo�aver�vinto�i�primi
due�set�nei�tornei�dello�Slam.�Il�dominatore�in
questa�seconda�graduatoria�è�Roger�Federer,
che�prima�della�sconfitta�nei�quarti�di�finale�di
Wimbledon�2011�contro�Jo-Wilfried�Tsonga,
aveva�messo�insieme�178�vittorie�consecutive
nei�tornei�dello�Slam�dopo�essere�andato�avanti
per�2�set�a�0.�Sambrava�potesse�essere
raggiunto�da�Rafael�Nadal,�che�però�si�è
fermato�a�151�prima�della�sconfitta�contro�Fabio
Fognini�a�New�York�nel�2015.�Terzo�è�Pete
Sampras,�la�cui�serie�di�146�sarebbe�ancora
aperta�se�non�si�fosse�ritirato:�Pistol�Pete�perse
infatti�il�primo�incontro�Slam�della�sua�carriera
dopo�essersi�trovato�avanti�per�2-0,�dopodiché
rimase�imbattuto�fino�al�suo�ritiro�nel�2002�in
questa�particolare�circostanza.
�1.�Roger�Federer�1782.�Rafael�Nadal�1513.�Pete�Sampras�1464.�Stefan�Edberg�120
5.�Ivan�Lendl�1196.�Andy�Murray�113�
Partite�consecutive�senza�mai�andare
indietro�per�due�set�a�zero�negli�Slam.Anche
la�serie�più�lunga�di�partite�Slam�senza�mai
perdere�i�primi�due�set�è�di�Roger�Federer,
capace�per�99�volte�di�fila�di�vincere�almeno
uno�dei�primi�due�parziali�dei�suoi�incontri�negli
Slam�tra�il�2004�e�il�2008.
�
1.�Roger�Federer�99�(2004-2008)2.�Novak�Djokovic�49�(2013-2015)3.�Pete�Sampras�45�(1993-95)4.�Ivan�Lendl�43�(1988-90)5.�Jim�Courier�42�(1992-93)6.�Bjorn�Borg�38�(1979-80)
7.�Andy�Murray�36�(2012-2013)�Dopo�aver�vinto�il�primo�set�nei�tornei�dello
Slam�(almeno�150�vittorie).�In�questa
graduatoria�a�comandare�è�Rafael�Nadal,�il�cui
record�di�173�vittorie�e�4�sconfitte�dopo�aver
vinto�il�primo�set�negli�Slam�è�davvero
impressionante.
�1.�Rafael�Nadal�173-4,�97,7%2.�Novak�Djokovic�189-7,�96,4%3.�Jimmy�Connors�205-8,�96,2%
4.�Roger�Federer�269-13,�95,4%5.�Pete�Sampras�173-10,�94,5%�
Record�nei�quarti�di�finale�Slam�(almeno�15
vittorie).�La�miglior�percentuale�di�partite�vinte
nei�quarti�di�finale�dei�tornei�dello�Slam,�è
quella�di�Roger�Federer,�vincitore�di�39�dei�suoi
47�quarti�a�livello�major.
�
1.�Roger�Federer�39-8,�83%2.�Novak�Djokovic�29-6,�82,8%3.�Ivan�Lendl�28-6,�82,3%4.�Bjorn�Borg�17-4,�80,9%5.�Rafael�Nadal�23-6,�79,3%5.�Pete�Sampras�23-6,�79,3%�
Record�nelle�semifinali�Slam�(almeno�15vittorie).�Passando�al�turno�successivo,�le
semifinali�dei�tornei�del�Grand
Slam,�il�miglior�record�è�quello
di�Bjorn�Borg,�che�ha�un
impressionante�bilancio�di�16
vittorie�e�1�sconfitta.
�1.�Bjorn�Borg�16-1,�94,1%2.�Rafael�Nadal�20-3,�87%3.�Pete�Sampras�18-5,�78,3%4.�Roger�Federer�27-11,�71,1%5.�Ivan�Lendl�19-9,�67,9%
�Record�nelle�finali�Slam
(almeno�8�vittorie).
Concludiamo�questo�articolo�di
interesse�statistico�con�la
percentuale�di�vittoria�nelle
finali�Slam,�in�cui�è�Pete
Sampras�il�migliore,�grazie�alle
14�vittorie�ottenute�sulle�18
finali�disputate.
�1.�Pete�Sampras�14-4,�77,8%2.�Rafael�Nadal�14-6,�70%
3.�Bjorn�Borg�11-5,�68,8%4.�Roger�Federer�17-10,�63%
5.�Novak�Djokovic�10-8,�55,6%
GliEroi
silenziosi
dellaDavis
byValerioCarriero
Siamo�abituati�ad�intendere�il
tennis�come�uno�sport
individuale,�con�un�concetto�di
squadra�che�non�può�sposarsi
realmente�neppure�nella
disciplina�del�doppio.�Eppure,
c’è�una�competizione
dall’irresistibile�fascino�e�storia
capace�di�stravolgere�tutto.�In
Coppa�Davis,�è�l’unione�a�fare�la
forza.�C’è�un�Capitano�che
spesso�può�finire�sul�banco
degli�imputati�per�alcune�scelte,
inevitabilmente�una�superstar
da�cui�ci�si�attende�spesso�un
solo�risultato��la�vittoria��e
qualche�comprimario,�dalla
caratura�inferiore,�ma�dal�quale
paradossalmente�può
dipendere�l’esito�finale.�Sono
proprio�loro�a�far�pendere�l’ago
della�bilancia�a�favore�della
propria�squadra,�sovvertendo
pronostici�alla�vigilia�chiusissimi
con�delle�vere�e�proprie
imprese.
�
Il�2015�è�stato�l’anno�della�Gran
Bretagna�trascinata,
ovviamente,�da�un�perfetto
Andy�Murray�che�ha�chiuso�la
competizione�da�imbattuto.�Ma
la�rincorsa�dei�“Leoni”�parte�da
lontano,�dal�primo�turno�a
Glasgow�contro�gli�Usa.�Il�nr.
2�al�mondo�ha�battuto�non
senza�affanni�in�4�set�Donald
Young,�poi�tocca
all’insospettabile�James
Ward�indirizzare�il�confronto.
In�quella�che�sembrava
normale�amministrazione�per
Isner�avanti�due�set�a�zero,�il
numero�111�del�ranking�riesce
ritagliarsi�uno�spazio�sempre
più�grande�fino�a�dipingere
un�capolavoro.�Punto�dopo
punto�il�britannico�la�trascina
al�quinto,�il�gigante
americano�fatica�sempre�più
ma�resiste�annullando�match
point�su�match�point�grazie
al�suo�servizio.�Murray�freme
in�prima�fila,�suggerisce
addirittura�qualche
accorgimento�a�Smith�da
riportare�al�compagno�Ward,
e�l’epilogo�arriva�sul�14-13
quando�finalmente�arriva
l’ultima�pennellata.Un’impresa�che�ha�spianatola�strada�alla�Gran�Bretagna
non�solo�per�l’accesso�aiquarti�(vitale�il�punto�insingolare�di�Ward:�grazie�ai
Bryan�in�doppio,�la�sfida�sisarebbe�conclusa�solamente
all’ultimo�singolare),�ma�perla�conquista�dell’Insalatiera.Murray�eroe�e�super-celebrato�in�patria,ovviamente�e�come�giustoche�sia,�ma�questa�Davis�haanche�l’importante�firma�del
piccolo�grande�James.
�2006,�Olympic�Stadium�diMosca,�terra�indoor.Semifinale�tra�Russia�e�StatiUniti�sul�2-1�dopo�le�prime
due�giornate,�con�i�padronidi�casa�privi�di�Davydenko,
nr.5�al�mondo�del�momento,
ma�non�ancora�recuperato
dopo�il�forfait�a�Pechino.�Con
Nikolay�in�campo,�più
avvezzo�a�certe�superfici,
sarebbe�stato�tutto�più
semplice.�Invece,�la
responsabilità�è�tutta�sulle
spalle�del�(mentalmente)
fragile�Dmitry�Tursunov
contro�l’ex�nr.1�al�mondo
Roddick.�Lo�statunitense�non
è�di�certo�un�terraiolo,�tanto
da�andar�sotto�per�due�set�a
zero,�ma�carisma�ed
esperienza�gli�consentono�di
riequilibrare�il�tutto
trascinando�la�contesa�al
quinto.�Ad�un�passo�dal
tracollo,�con�il�break�subito
sul�5-5,�Tursunov�però�riesce
clamorosamente�a�rientrare
in�carreggiata�regalando�al
suo�pubblico�un�pirotecnico
successo�per�17-15,�dopo�4
ore�e�48�di�battaglia�e�72
giochi�(pareggiando�il
passato�record�di�Clement�e
Rosset�dall’introduzione�del
tiebreak�nel�1989)�e�la
qualificazione�per�la
finalissima�contro
l’Argentina.�Scese�in�campo
solamente�nel�cruciale
doppio�del�sabato,�poi�fu
Safin�a�regalare�il�punto
decisivo�nel�quinto�match
contro�Acasuso.�Era�la�Russia
dei�più�quotati�Nikolay�e
Marat,�ma�quella�seconda�(e
finora�ultima)�Insalatiera�è
anche�di�Dmitry.
�
Nel�2010�fu�la�volta�della
Serbia,�quella�storica�Davis
vinta�che�fece�da�trampolino
di�lancio�per�un�Djokovic�per
la�prima�volta�alieno�nel
2011.�Nole�è�sicuramente
l’icona�del�movimento
tennistico�serbo,�non
potrebbe�essere�altrimenti
considerando�i�suoi�passati�e
recenti�risultati.�Ma�quella
Davis�fu�anche�di�Janko
Tipsarevic�e�Viktor�Troicki.�Il
primo�si�rivelò�fondamentale
in�semifinale�con�la
Repubblica�Ceca,�quando
mise�in�riga�in�singolo�prima
Berdych�e�poi�Stepanek,�il
secondo�sia�nel�confronto
con�gli�USA�che�nella
finalissima�con�la�Francia,
distruggendo�in�tre�set
Llodra�sulla�complicata
situazione�di�2-2.
�
Anche�nel�tennis,�essere
numero�1�o�2�al�mondo,�in
una�squadra,�non�può
bastare.
LeslidingdoorsdiAgnieszkaRadwanska,la
MagadiventataMaestra
byMatteoDiGangi
E'�lunedi�25�Maggio�e�ci�troviamo�sul�campo�numero�6�del�complesso�tennistico�francese�più
importante,�situato�a�Bois�de�Boulogne�dove�si�sta�giocando�il�Roland�Garros.�Le�protagoniste�di
questo�primo�turno�sono�la�polacca�Agnieszka�Radwanska�e�la�tedesca�Annika�Beck.�La�favorita�è
senza�dubbio�la�prima,�ma�il�suo�gioco�vario�e�preciso�non�riesce�a�far�breccia�nel�cuore�della
teutonica,�la�quale�controbatte�alla�grande�e�scaglia�ben�41�colpi�vincenti.�La�tennista�di�Cracovia�è
eliminata�in�tre�set.�E'�un�piccolo�dramma�per�la�Radwanska,�che�,come�testimonia�la�classifica
aggiornata�al�dopo�Roland�Garros,�è�scesa�addirittura�al�26°�posto�per�quel�che�concerne�i�punti
conquistati�nel�2015,�solo�926.�La�Road�to�Singapore�è�la�classifica�che�regala�l'accesso�alle�WTA
Finals,�kermesse�di�lusso�di�fine�anno�dove�si�sfidano�le�migliori.�Ma�il�distacco�della�polacca�è�più�di
1000�punti�rispetto�all'ottava�posizione,�occupata�dalla�svizzera�Timea�Bacsinszky.�Un�miraggio
utopico.�
�Ma�lo�sport�e�il�tennis�in�particolare�sono�una�fucina�di�storie�imprevedibili�che�si�compiono�proprionel�momento�in�cui�sembrano�impossibili�anche�al�mero�pensiero.�La�risalita�di�AgnieszkaRadwanska�parte�proprio�da�questa�sconfitta�al�Roland�Garros:�riesce�a�trovare�fiducia�nei�tornei
erbivori�e�dopo�aver�vinto�Tokyo�e�fatto�una�semifinale�a�Pechino,�riesce�incredibilmente�aqualificarsi�per�Singapore�vincendo�il�torneo�di�Tianjin.�
All'alba�della�45°edizione�delle�Finals�manca�la�regina�incontrastata�del�2015,�ovvero�Serena
Williams.�C'è�spazio�per�tutte.�Si,�perchè�Maria�Sharapova�praticamente�è�al�rientro�dopo
Wimbledon,�Simona�Halep�non�è�in�perfette�condizioni�e�di�certo�Lucie�Safarova�e�Petra�Kvitova
non�vivono�una�situazione�più�rosea.�Ed�è�qui�che�torniamo�alla�nostra�protagonista.�"Maga�Aga"�-
la�cominciamo�a�chiamare�cosi�-�gioca�una�buona�partita�contro�la�Sharapova,�ma�non�basta�e�si
deve�arrendere�in�tre�set.�Dopo�due�giorni�riscende�in�campo�opposta�alla�Pennetta�ed�è�sconfitta
in�due�set.�Agnieszka�ha�pochissime�chance�di�passare�il�turno,�avendo�racimolato�due�sconfitte�con
un�solo�set�vinto.
�
L'unica�sua�speranza�è�che�batta�in�due�set�una�Halep�che�ha�bisogno�di�vincere�e�che�la�Sharapova
faccia�il�suo�contro�la�Pennetta.�Sul�5-5�del�tiebreak�del�primo�set�ci�ritroviamo�nella�stessa
situazione�di�qualche�mese�fa,�in�quel�pomeriggio�di�maggio,�la�polacca�è�appesa�ad�un�filo�e�le
basta�poco�per�scendere�giù�nel�burrone�in
maniera�definitiva.�Ma�ancora�una�volta�non
accade.�Agnieszka�vince�il�tiebreak,�domina�il
secondo�set�e�con�la�concomitante�vittoria
della�Sharapova�accede�in�maniera�insperata
alla�semifinale.�Semifinale�che�si�gioca�il
giorno�di�Halloween�e�chi�meglio�di�Agnieszka
Radwanska�può�architettare�uno�scherzetto
diabolico�alla�giocatrice�che�più�aveva
impressionato�sino�a�quel�momento,�ovvero
Garbine�Muguruza?�E'�una�super�partita,�la
polacca�vince�dopo�una�battaglia�pazzesca�e
si�guadagna�il�palcoscenico�più�importante
della�sua�carriera,�paragonato�solo�alla�finale
di�Wimbledon�del�2012�contro�Serena
Williams.�Ma�stavolta�non�avrà�la�statunitense
di�fronte,�ma�Petra�Kvitova�(capace�di�vincere
il�torneo�nell'edizione�2011).�E'�una�finale
storica.�Si,�storica.�Entrambe�le�giocatrici�ci
arrivano�con�una�sola�vittoria�nel�Round
Robin,�una�combinazione�mai�accaduta�prima.
�
Agnieszka�domina�per�un�set�e�mezzo,�è
totalmente�padrona�del�campo,�ma�accade
qualcosa�di�imprevisto,�qualcosa�che�rende
ancor�più�incerto�il�finale�di�questo�libro
cominciato�mesi�fa.�La�Kvitova�rimonta,�vince
il�secondo�set�e�ora�è�lei�ad�avere�l'inerzia
dalla�sua,�avanti�di�un�break�nella�frazione
decisiva.�L'istinto�e�le�emozioni�fioccano�come
neve�in�una�serata�invernale,�la�Radwanska
rimonta�e�con�il�suo�muoversi�in�campo
silenzioso,�con�i�suoi�tagli�magici�scrive�la
pagina�più�importante�della�sua�carriera.
Scoppia�in�lacrime.�
L'hanno�sempre�chiamata�"Maga�Aga",�ma�in
quella�sera�di�Singapore�è�diventata�Maestra.
In�quel�lunedi�25�Maggio�alzi�la�mano�chiavrebbe�pensato�ad�un�finale�del�genere.
Nessuno.Neanche�lei.
Master1000�di�Parigi.
�
Il�2005�è�condizionato�da�infortuni�alle
ginocchia�e�lo�svedese�esce�praticamente
sempre�al�primo�turno,�scende�in�classifica�fino
alla�97°�posizione�recuperando�con�qualche
buon�risultato�l’anno�successivo�chiudendo�alla
25.
�
Nel�bienno�2007-2008,�una�condizione�fisica
precaria�e�una�discontinuità�di�risultati�non�gli
permettono�di�esser�costante�nelle�vittorie.
�
A�fine�anno�conferma�Magnus�Norman�come
allenatore�entrato�dopo�la�rottura�con�Carllson:
sarà�la�svolta�della�carriera.
�
Dopo�un�inizio�difficile,�a�Parigi�arriva�la
consacrazione,�batte�Nadal�al�quarto�turno,diventando�il�primo�giocatore�a�sconfiggere�ilmaiorchino�a�Parigi�interrompendo�la�striscia
positiva�di�31�match�vinti,�unico�a�riuscirci�finoa�Djokovic�nella�scorsa�edizione.�
Lo�svedese�perderà�poi�in�finale�da�Federer,
ma�con�questa�prestazione�raggiungerà�la
dodicesima�posizione�della�classifica�ATP.
RobinSoderling
byAlexbisi
23�Dicembre�2015,�Robin�Soderling,
attraverso�un�tweet�sul�suo�profilo,annunciail�ritiro�da�tennis�giocato.�
Assente�dal�2011�dal�circuito,�per�una�grave
forma�di�mononucleosi,�mancava�di�fatto�la
sola�ufficialità�per�confermare�quello�che�gli
appassionati�sapevano�già,�che�non�sarebbe
più�tornato�a�calcare�un�rettangolo�di�gioco,
nonostante�più�volte�avesse�annunciato�un
imminente�ritorno.
�
Giocatore�dotato�di�un�servizio�e�dritto
molto�potenti,�è�salito�alla�ribalta�nel�2009
battendo�Nadal�a�Parigi,�salvo�poi�perdere�in
finale�contro�Federer,�in�quella�che�è�l’unica
affermazione�in�terra�francese�per�lo
svizzero.
�
Diventato�professionista�nel�2002,�l’annosuccessivo�risale�100�posizioni,�migliorandoulteriormente�nel�2004�arrivando�alla�39°posizione,�vincendo�il�suo�primo�titolo�aLione,�e�raggiungendo�i�quarti�al
Dopo�Parigi,�con�una�nuova�iniezione�di�fiducia,raggiunge�gli�ottavi�a�Wimbledon�e�i�quarti�agli
Us�Open,�battuto�sempre�da�Federer.�Altre�ottime�prestazioni�in�altri�tornei,�gli
consentono�di�entrare�in�top�10.�Convocato�a�Londra�per�le�finals�come�primariserva,�gioca�al�posto�di�Roddick�e�piazza�duevittorie�da�urlo�contro�Nadal�e�Djokovic,�ma
viene�sconfitto�in�semifinale�da�Del�Potro.�Inizio�molto�tentennante�nella�stagione�2010,dove�esce�al�primo�turno�nello�slamaustraliano,�semifinale�nei�1000�americani,�poi
un�deludente�inizio�della�stagione�su�terra,�fino
all’appuntamento�francese�dove�deve
dimostrare�che�la�finale�dell’anno�precedente
non�è�stato�un�exploit.
�
Lo�svedese�non�delude,�vince�ai�quarti�contro
Federer,�batte�Berdych�in�semifinale�ma�è
Nadal�a�riprendersi�lo�scettro�battendolo
nettamente�in�finale.
�
La�conferma�della�finale�gli�vale�il�sesto�posto�inclassifica,�e�con�i�quarti�di�Wimbledon,�battutoancora�da�Nadal,�guadagna�un’altra�posizione.
�La�costanza�di�rendimento�resta�comunque�ilproblema�principale�per�Soderling,�dopo�lo�slaminglese�,�gioca�male�fino�al�torneo�americano,
dove�raggiunge�i�quarti,�ancora�una�voltaestromesso�da�Federer.�
Vince�il�master�1000�di�Parigi�in�finale�controMonfils�e�con�il�quarto�posto�in�classifica,centra�anche�l’accesso�alle�finals�di�Londra,
dove�a�differenza�dell’anno�precedente�vieneestromesso�dal�torneo�al�round�robin.
�Con�la�stagione�si�conclude�anche�lacollaborazione�con�Norman,�e�al�suo�posto�per
la�stagione�2011�assume�Claudio�Pistolesi.�
Dopo�qualche�vittoria,�inizia�un�periodo�di
brutte�prestazioni,�e�poco�prima�del�Roland
Garros,�dove�uscirà�ai�quarti�per�mano�del
solito�Nadal,�annuncia�la�separazione�dal�nuovo
allenatore.
�
Lo�svedese�fa�poca�strada�anche�a�Wimbledon,accusa�i�primi�seri�problemi�fisici�alla�gola,�tornain�campo�vincendo�il�torneo�di�Bastad,�ultimasua�apparizione�ufficiale.
�
Al�momento�dell’annuncio�della�mononucleosi
è�quinto�in�classifica,�progetta�più�volte�il
ritorno,�ma�nonostante�ammetta�di�esser
guarito�non�riesce�a�ritornare�all’attività
agonistica�lamentando�una�continuaspossatezza�fisica�fino�al�definitivo�ritiro�nelnatale�scorso.
�La�carriera�di�Soderling�ruota�attorno�a�quelmatch�di�Parigi�con�Nadal,�che�l’ha�messo
definitivamente�sotto�i�riflettori�e�donato�linfavitale�ad�un�periodo�di�alti�e�bassi.�
Peccato�che�la�sua�carriera�sia�durata�così�poco,
soprattutto�che�non�sia�riuscito�a�mantenere�un
rendimento�costante,�quale�compete�ai�big,
perché�in�giornata�poteva�eliminare�davvero
chiunque.
�
Nel�periodo�lontano�dai�campi,�si�è�lanciato�in
attività�sempre�a�sfondo�tennistico,�ha�infatti
prodotto�una�linea�di�palline�approvate�dalla�Itf
e�una�serie�di�corde�monofilamento,�ora�che�ha
definitivamente�chiuso�con�il�tennis�giocato
magari�sentiremo�parlare�di�lui�come�manager
di�successo.
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byAlexbisi
L’avvento�degli�smartphone
ha�portato�la�nostra
quotidianità�a�connetterci
ovunque�ed�in�ogni
momento.
�
Così�noi�appassionati�di
tennis�possiamo�seguire�la
moltitudine�di�tornei�in
tempo�reale�e�seguire�anche
le�avventure�dei�nostri
tennisti�preferiti,�che�sanno
quanto�sia�importante�la
medianicità�e�son�sempre
più�presenti�nei�profili�social.
�
Diamo�un’occhiata
utilizzando�Twitter,
solitamente�il�social�a�cui�si
fa�riferimento�per�popolarità,
i�numeri�dei�tennisti�e
tenniste�del�panorama
mondiale.
�
Contrariamente�a�quanto�si
possa�pensare�il�più
“followato”�è�Rafa�Nadal�con
8,85�milioni�di�followers,
seguito�da�Novak�Djokovic
con�4,89�milioni,�dato�che
dimostra�che�il�serbo�è
amato�dai�tifosi,�dopo�che
sono�usciti�svariati�articoli
dopo�la�finale�degli�Us�Open
che�parlavano�di�come�il
serbo�non�riesca�a�far
breccia�nel�cuore�dei�tifosi.
Roger�Federer�segue�con4,4milioni�con�i�suoi�fan�che
si�scatenano�quando�ilcampione�lancia�l’hastag#AskRF,�mandando�Twitterin�tilt�con�milioni�didomande.
�
Murray,�l’ultimo�dei�fab�four
è�a�quota�3,41.
�
Le�cifre�scendonovertiginosamente�con�gli
“altri”.�Berdych�solamente�255.000Wawrinka�565.000,�mentre
Ferrer�902.000,�li�surclassaentrambi.�
Nick�Kyrgios�salito�alla�ribalta
nell’ultimo�periodo�per
vicende�extra�tennistiche,�è
a�quota�162.000�mentre
Dimitrov�239mila.
Tra�i�francesi�i�più�seguiti
sono�Tsonga�con�794mila�e
Monfils,�691mila,�mentre
Gasquet�non�riscuote�molto
successo,�con�solo�76.300
followers.
�
�
Basti�pensare�che�giocatorimento�quotati�come�Karlovice�Dustin�Brown�ne�hannorispettivamente�101.000�e67.300.
�
Il�gigante�Karlovic�è�molto
seguito�soprattutto�per
svariati�tweet�divertenti�tipo
quello�sul�terremoto�causato
da�Serena�Williams�in
Australia.
Entrambi�molto�disponibili�aldialogo,�basti�pensare�che
rispondono�abbastanzaspesso�a�tweet�di�sempliciappassionati.
L’ucraino�Sergiy�Stakhovsky
ha�più�volte�twettato�in
maniera�molto�pungente
toccando�temi�spinosi�come
l’omosessualità�nello�sport,
dicendo�che�non�avrebbe
mai�mandato�sua�figlia�a
giocare�a�tennis�in�quanto
nel�tennis�femminile�son
tutte�lesbiche,�oppure
discutendo�con�altri
giocatori,�ultimo�Sam�Groth
dopo�un�loro�match�a
Stoccarda.
�
Chiudiamo�il�discorso�ATP
con�i�nostri�italiani,�Bolelli�eFognini,�rispettivamente14.600�e�63.300�followers
con�il�taggiasco�molto�attivosui�social.
�Tra�le�donne�impressionantecome�sempre�il�divario�traSerena�Williams�e�le�altre,6,01milioni�per�lei�che�lascia
al�palo�Maria�Sharapovovacon�1,92milioni�e�sua�sorellaVenus�con�1.36milioni.�Vika�Azarenka�decisamenteattiva�sul�suo�profilo�conta
71.400�followers,�staccate�dinon�poco�Kvitova�e�Halepcon�284milla�e�38.100.�
La�bella�Ana�Ivanovic�resistecon�662mila.
Tra�le�giovani�leve,�moltoattiva�la�Bouchard,�secondo
qualcuno�uno�dei�motivi�deisui�scarsi�risultati,�con584.000,�poi�Bencic�con28.400�e�la�finalista�diWimbledon�Garbine�Mugurza
con�113mila.�Chiudiamo�con�le�nostreragazze,�anche�loro�spessodisponibili�al�dialogo,�FlaviaPennetta�guida�con�274mila,
a�seguire�Sara�Errani�con118mila,�seguono�Vinci�eSchivone�con�90.500�e9.647�followers.
IlButtafuori
Nano
byAndreaGuarracino
Nel�Paese�dei�contrari�c’erauna�sola�discoteca.�A�protezione�del�suoingresso,�tutte�le�sere�vilavorava�un�buttafuori�nano.
Era�così�basso�da�far
sembrare�il�politico�Brunetta
un�pivot�NBA�e�così�grasso
da�far�credere�che�Giuliano
Ferrara�sia�affetto�da�una
grave�forma�di�anoressia.
Eppure,�malgrado�la�sua
altezza�ridicola�e�la�sua
mobilità�inesistente
terrorizzava�tutti�gli
avventori�del�locale�che�si
guardavano�bene�dall’entrare
nella�discoteca�senza�il�suo
benestare,�atterriti�dal�suo
sguardo�torvo�e�dai�suoi
denti�così�aguzzi�da�far
sembrare�quelli�dello�squalo
bianco�una�limetta�per
unghie�per�signora.
�
Non�ci�crederete�ma�il�sonno
della�maggior�parte�dei
tennisti�dilettanti�che�ho
conosciuto�nella�mia�vita�è
infestato�da�questo�incubo,�il
cui�ricordo�svanisce�col
risveglio�al�mattino,
lasciando�però�loro�in�dono
una�profonda�sensazione�di
insicurezza�che�li�attanaglia
inconsapevolmente�ogni
volta�che�mettono�piede�suun�campo�da�tennis�per�un
incontro.�
Allora…�avete�capito�qual�è�il
loro�buttafuori�nano!?
Ma�come�no!
Lo�avete�di�fronte�tutte�levolte�che�provate�a�vincereuna�partita�e�si�frapponeinesorabilmente�fra�voi�e�ilvostro�avversario�come�lastriscia�di�Gaza�divide�gli
israeliani�dai�palestinesi.�
Vi�do�qualche�ulteriore
indizio,�alto�meno�di�un
metro�e�poco�più�di�esso�in
punta�di�piedi,�largo�più�di
10�metri�…�a�meno�male…
ora�ci�siete�arrivati…�sto
ovviamente�parlando�della
rete�da�tennis.
Alta�91.4�centimetri�al�centro
e�107�ai�lati,�larga�poco�più�11
metri,�ai�tennisti�amatoriali
sembra�più�invalicabile�di
quanto�sia�stato�nel�secolo
scorso�il�muro�di�Berlino.
�
Spesso�i�soci�del�mio�club�o�i
miei�allievi�mi�vengono�a
chiedere�quale�tipo�di
racchetta�o�quale�modello�di
corde�potrebbe�aiutarli�a
migliorare�il�loro�tennis�e�mi
viene�da�sorridere�vedendoli
giocare�e�perdere
un’incredibile�quantità�di
punti�con�colpi�che�si
infrangono�nella�rete�come
le�onde�sulla�barriera
corallina.
�
La�rete�è�quindi�il�primo
nemico�da�sconfiggere�per
entrare�nel�mondo�del�tennis
dalla�porta�principale.
Sembra�una�cosa�ovvia�e
scontata,�ma�nella�mia
esperienza�di�maestro�ho
spesso�constatato�che�non�lo
è�affatto,�anzi�…
Eppure�per�sconfiggerla�eper�farla�scomparire�dagli
incubi�mentali�che�ciattanagliano�ogni�volta�checolpiamo�la�palla�bastapensare�non�in�linea�retta,ma�curvilinea�come�fa�unarciere�prima�di�scoccare�la
sua�freccia�sul�bersaglio.�Ai�miei�allievi�ricordo�sempreche�i�colpi�di�un�buon
giocatore�passanomediamente�circa�1�metrosopra�il�net�e�se�ci�mettiamo
lateralmente�ad�osservarli,�leloro�traiettorie�sonocurvilinee�come�le�forme
generose�di�una�bella�donna.
Per�ottenere�tutto�ciò
dovete�sempre�ricordarvi�di
usare,�per�colpire�la�palla,
una�ampia�base�di�appoggio,
di�abbassare�il�baricentro�e
di�far�scendere�al�termine
della�preparazione�la�testa
della�racchetta�sotto�il�punto
di�impatto,�per�portarla�poi
verso�di�esso�con�una�decisa
e�veloce�azione�in�avanti
alto,�senza�preoccuparvi
all’inizio�di�fare�errori�di
lunghezza�o�di�larghezza�che
si�ridurranno�con�il�tempo,
perché�in�questo�modo
imparerete�non�solo�a
superare�la�rete�e�a�dare
facilmente�profondità�ai
vostri�colpi,�ma�anche�ad
imprimere�naturalmente�alla
palla�le�rotazioni�in�avanti
che�sono�alla�base�del�gioco
moderno.
Gli�americani�che�sono�un
popolo�molto�pratico,�dicono
infatti�che�il�tennis�è�un
gioco�di�sollevamento�:
”tennis�is�a�lifting�game”.
�E�tu�che�sei�arrivato�vivo�a
leggere�fin�qui�senza�averancora�maturato�l’idea�didarti�al�curling,�sei�sicuro�chei�tuoi�inconsapevoli�incubinotturni�non�siano�ancorainfestati�dalla�presenza�del
buttafuori�nano�….?�
Spero�per�te�di�no,�altrimenti
corri�subito�sul�campo�ad
allenarti�…,�questa�volta,
però,�per�bene�!
IlButtafuori
Nano
byAndreaGuarracino
Nel�Paese�dei�contrari�c’erauna�sola�discoteca.�A�protezione�del�suoingresso,�tutte�le�sere�vilavorava�un�buttafuori�nano.
Era�così�basso�da�far
sembrare�il�politico�Brunetta
un�pivot�NBA�e�così�grasso
da�far�credere�che�Giuliano
Ferrara�sia�affetto�da�una
grave�forma�di�anoressia.
Eppure,�malgrado�la�sua
altezza�ridicola�e�la�sua
mobilità�inesistente
terrorizzava�tutti�gli
avventori�del�locale�che�si
guardavano�bene�dall’entrare
nella�discoteca�senza�il�suo
benestare,�atterriti�dal�suo
sguardo�torvo�e�dai�suoi
denti�così�aguzzi�da�far
sembrare�quelli�dello�squalo
bianco�una�limetta�per
unghie�per�signora.
�
Non�ci�crederete�ma�il�sonno
della�maggior�parte�dei
tennisti�dilettanti�che�ho
conosciuto�nella�mia�vita�è
infestato�da�questo�incubo,�il
cui�ricordo�svanisce�col
risveglio�al�mattino,
lasciando�però�loro�in�dono
una�profonda�sensazione�di
insicurezza�che�li�attanaglia
inconsapevolmente�ogni
volta�che�mettono�piede�suun�campo�da�tennis�per�un
incontro.�
Allora…�avete�capito�qual�è�il
loro�buttafuori�nano!?
Ma�come�no!
Lo�avete�di�fronte�tutte�levolte�che�provate�a�vincereuna�partita�e�si�frapponeinesorabilmente�fra�voi�e�ilvostro�avversario�come�lastriscia�di�Gaza�divide�gli
israeliani�dai�palestinesi.�
Vi�do�qualche�ulteriore
indizio,�alto�meno�di�un
metro�e�poco�più�di�esso�in
punta�di�piedi,�largo�più�di
10�metri�…�a�meno�male…
ora�ci�siete�arrivati…�sto
ovviamente�parlando�della
rete�da�tennis.
Alta�91.4�centimetri�al�centro
e�107�ai�lati,�larga�poco�più�11
metri,�ai�tennisti�amatoriali
sembra�più�invalicabile�di
quanto�sia�stato�nel�secolo
scorso�il�muro�di�Berlino.
�
Spesso�i�soci�del�mio�club�o�i
miei�allievi�mi�vengono�a
chiedere�quale�tipo�di
racchetta�o�quale�modello�di
corde�potrebbe�aiutarli�a
migliorare�il�loro�tennis�e�mi
viene�da�sorridere�vedendoli
giocare�e�perdere
un’incredibile�quantità�di
punti�con�colpi�che�si
infrangono�nella�rete�come
le�onde�sulla�barriera
corallina.
�
La�rete�è�quindi�il�primo
nemico�da�sconfiggere�per
entrare�nel�mondo�del�tennis
dalla�porta�principale.
Sembra�una�cosa�ovvia�e
scontata,�ma�nella�mia
esperienza�di�maestro�ho
spesso�constatato�che�non�lo
è�affatto,�anzi�…
Eppure�per�sconfiggerla�eper�farla�scomparire�dagli
incubi�mentali�che�ciattanagliano�ogni�volta�checolpiamo�la�palla�bastapensare�non�in�linea�retta,ma�curvilinea�come�fa�unarciere�prima�di�scoccare�la
sua�freccia�sul�bersaglio.�Ai�miei�allievi�ricordo�sempre
che�i�colpi�di�un�buon
giocatore�passanomediamente�circa�1�metrosopra�il�net�e�se�ci�mettiamo
lateralmente�ad�osservarli,�leloro�traiettorie�sonocurvilinee�come�le�forme
generose�di�una�bella�donna.
Per�ottenere�tutto�ciò
dovete�sempre�ricordarvi�di
usare,�per�colpire�la�palla,
una�ampia�base�di�appoggio,
di�abbassare�il�baricentro�e
di�far�scendere�al�termine
della�preparazione�la�testa
della�racchetta�sotto�il�punto
di�impatto,�per�portarla�poi
verso�di�esso�con�una�decisa
e�veloce�azione�in�avanti
alto,�senza�preoccuparvi
all’inizio�di�fare�errori�di
lunghezza�o�di�larghezza�che
si�ridurranno�con�il�tempo,
perché�in�questo�modo
imparerete�non�solo�a
superare�la�rete�e�a�dare
facilmente�profondità�ai
vostri�colpi,�ma�anche�ad
imprimere�naturalmente�alla
palla�le�rotazioni�in�avanti
che�sono�alla�base�del�gioco
moderno.
Gli�americani�che�sono�un
popolo�molto�pratico,�dicono
infatti�che�il�tennis�è�un
gioco�di�sollevamento�:
”tennis�is�a�lifting�game”.
�
E�tu�che�sei�arrivato�vivo�a
leggere�fin�qui�senza�averancora�maturato�l’idea�didarti�al�curling,�sei�sicuro�chei�tuoi�inconsapevoli�incubinotturni�non�siano�ancorainfestati�dalla�presenza�del
buttafuori�nano�….?�
Spero�per�te�di�no,�altrimenti
corri�subito�sul�campo�ad
allenarti�…,�questa�volta,
però,�per�bene�!
TENNISESALUTE:Analisi
degliinfortuninelmondo
deiprofessionisti
byAdrianoS.
Analizzando�i�dati�provenienti�da�studiclinici,�ITF,�STMS�e...dai�nostri�taccuini,abbiamo�realizzato�una�panoramica'infortunistica'�nel�mondo�del�tennis.
Il�tennis�continua�ad�essere�un�cosiddetto�'low-
injured�sport',�interessando�prevalentemente�la
parte�inferiore�del�corpo.�Ciò�vale�per�lo�più
negli�infortuni�traumatici,�quindi�in�acuto,�dove
l'infortunio�più�frequente�e�che�più�facilmente
porta�al�ritiro�è�la�distorsione�della�caviglia.
Risultati�confermati�da�un�recente�studio
statunitense�che�include�dati�di�atleti�della
National�Collegiate�Athletic�Association�dal
2009�al�2015,�e�da�cui�si�evince�che�la
maggiorparte�degli�infortuni�legati�al�tennis
colpisce�le�estremità�inferiori�(47%�nei�maschi,
52%�nelle�femmine),�in�percentuale�ben
maggiore�rispetto�alle�estremità�superiori
(24%)�e�al�tronco�(17%).
Nelle�donne�gli�infortuni�muscolari�alle�cosce
sono�tuttavia�in�deciso�aumento,�mentre�nei
giovanissimi�(under�15)�è�la�lombalgia�il
problema�più�importante.
Le�patologie�croniche�interessano�invecemaggiormente�la�parte�superiore�del�corpo�dei
tennisti:�la�spalla�rappresenta�il�distrettocorporeo�maggiormente�interessato.�Il�polsocontinua�ad�avere�alte�percentuali,�con�Monacoultimo�nome�altisonante�a�far�da�compagnia�ailungodegenti�Robson�e�Del�Potro.�Menofrequenti�gli�infortuni�ai�gomiti�e�alla�colonna.
Solo�nel�2015�abbiamo�registrato�più�di�250
ritiri,�la�maggiorparte�a�novembre,�per�lo�più
nei�circuiti�minori�maschili.�I�forfait�in�Wta
superano�invece�generalmente�quelli�in�Atp.Inutile�ripetere�come�i�campi�in�cementofacilitino�il�verificarsi�degli�infortuni�di�natura
muscolotendinea.
Cresce�il�numero�di�forfait�dovuto�adinfezioni�di�vario�genere
Influenza�e�gastroenteriti�sono�frequenti�e
spesso�causa�di�forfait�nei�circuiti
professionistici,�ma�crescono�anche�i�casi�di
mononucleosi:�l'ultimo�anno�vittime�eccellenti
in�Repubblica�Ceca,�con�Kvitova�e�Safarova
debilitate�dal�virus�che�costò�in�passato�il�ritiro
a�top�ten�del�calibro�di�Ancic�e�Soderling,�e�che
colpì�persino�Federer�poco�meno�di�10�anni�fa.
Crescono�anche�i�ritiri�dovuti�a�malessere�in
campo,�spesso�da�colpo�di�calore,�in�un�mondo
ormai�vittima�del�surriscaldamento�globale.
Spunta�fuori�anche�un'infortunio�poco
pronosticabile�in�uno�sport�privo�di�contatto
fisico�come�il�tennis,�ossia�il�trauma�cranico,�che
è�costato�una�fetta�di�stagione�ad�Eugenie
Bouchard�e�Casey�Dellacqua.�Cosa�fare�dopo�un�infortunio?�
Le�possibilità�terapeutiche�sono�tante�e
andrebbero�discusse�caso�per�caso.�Ma�dal
mondo�medico�riguardante�i�circuiti
professionistici�emerge�questo:�difficile�fare
miracoli,�difficile�fare�riposare�animali�da
competizione,�spesso�è�più�facile�pensare�a
piani�di�recupero�a�lungo�termine.
Come�prevenirli?�
Stretching,�allenamenti�mirati,�stimolazione
della�propriocezione�e�studio�delle�catene
cinetiche,�alimentazione�e�stile�di�vita...più�una
bella�fetta�di�fortuna.
TENNISESALUTE:Analisi
degliinfortuninelmondo
deiprofessionisti
byAdrianoS.
Analizzando�i�dati�provenienti�da�studiclinici,�ITF,�STMS�e...dai�nostri�taccuini,abbiamo�realizzato�una�panoramica'infortunistica'�nel�mondo�del�tennis.
Il�tennis�continua�ad�essere�un�cosiddetto�'low-
injured�sport',�interessando�prevalentemente�la
parte�inferiore�del�corpo.�Ciò�vale�per�lo�più
negli�infortuni�traumatici,�quindi�in�acuto,�dove
l'infortunio�più�frequente�e�che�più�facilmente
porta�al�ritiro�è�la�distorsione�della�caviglia.
Risultati�confermati�da�un�recente�studio
statunitense�che�include�dati�di�atleti�della
National�Collegiate�Athletic�Association�dal
2009�al�2015,�e�da�cui�si�evince�che�la
maggiorparte�degli�infortuni�legati�al�tennis
colpisce�le�estremità�inferiori�(47%�nei�maschi,
52%�nelle�femmine),�in�percentuale�ben
maggiore�rispetto�alle�estremità�superiori
(24%)�e�al�tronco�(17%).
Nelle�donne�gli�infortuni�muscolari�alle�cosce
sono�tuttavia�in�deciso�aumento,�mentre�nei
giovanissimi�(under�15)�è�la�lombalgia�il
problema�più�importante.
Le�patologie�croniche�interessano�invecemaggiormente�la�parte�superiore�del�corpo�dei
tennisti:�la�spalla�rappresenta�il�distrettocorporeo�maggiormente�interessato.�Il�polsocontinua�ad�avere�alte�percentuali,�con�Monacoultimo�nome�altisonante�a�far�da�compagnia�ailungodegenti�Robson�e�Del�Potro.�Menofrequenti�gli�infortuni�ai�gomiti�e�alla�colonna.
Solo�nel�2015�abbiamo�registrato�più�di�250
ritiri,�la�maggiorparte�a�novembre,�per�lo�più
nei�circuiti�minori�maschili.�I�forfait�in�Wta
superano�invece�generalmente�quelli�in�Atp.Inutile�ripetere�come�i�campi�in�cementofacilitino�il�verificarsi�degli�infortuni�di�natura
muscolotendinea.
Cresce�il�numero�di�forfait�dovuto�adinfezioni�di�vario�genere
Influenza�e�gastroenteriti�sono�frequenti�e
spesso�causa�di�forfait�nei�circuiti
professionistici,�ma�crescono�anche�i�casi�di
mononucleosi:�l'ultimo�anno�vittime�eccellenti
in�Repubblica�Ceca,�con�Kvitova�e�Safarova
debilitate�dal�virus�che�costò�in�passato�il�ritiro
a�top�ten�del�calibro�di�Ancic�e�Soderling,�e�che
colpì�persino�Federer�poco�meno�di�10�anni�fa.
Crescono�anche�i�ritiri�dovuti�a�malessere�in
campo,�spesso�da�colpo�di�calore,�in�un�mondo
ormai�vittima�del�surriscaldamento�globale.
Spunta�fuori�anche�un'infortunio�poco
pronosticabile�in�uno�sport�privo�di�contatto
fisico�come�il�tennis,�ossia�il�trauma�cranico,�che
è�costato�una�fetta�di�stagione�ad�Eugenie
Bouchard�e�Casey�Dellacqua.�Cosa�fare�dopo�un�infortunio?�
Le�possibilità�terapeutiche�sono�tante�e
andrebbero�discusse�caso�per�caso.�Ma�dal
mondo�medico�riguardante�i�circuiti
professionistici�emerge�questo:�difficile�fare
miracoli,�difficile�fare�riposare�animali�da
competizione,�spesso�è�più�facile�pensare�a
piani�di�recupero�a�lungo�termine.
Come�prevenirli?�
Stretching,�allenamenti�mirati,�stimolazione
della�propriocezione�e�studio�delle�catene
cinetiche,�alimentazione�e�stile�di�vita...più�una
bella�fetta�di�fortuna.