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NUMERO GENNAIO/FEBBRAIO 2013 14 contributi di Giovanni Bachelet • Enzo Balboni • Pier Luigi Bersani • Maria Chiara Carrozza • Carlo Dell'Arringa Emma Fattorini • Carlo Galli • Piero Grasso • Roberto Gualtieri • Michela Marzano • Corradino Mineo • Franco Monaco Massimo Mucchetti • Flavia Nardelli • Michele Nicoletti • Vittorio Prodi • Giancarlo Sacchi • Mario Tronti Destra e Sinistra pari non sono

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Il numero 14 di TamTam Democratico

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NUMERO GENNAIO/FEBBRAIO 201314

contributi di Giovanni Bachelet • Enzo Balboni • Pier Luigi Bersani • Maria Chiara Carrozza • Carlo Dell'Arringa

Emma Fattorini • Carlo Galli • Piero Grasso • Roberto Gualtieri • Michela Marzano • Corradino Mineo • Franco Monaco

Massimo Mucchetti • Flavia Nardelli • Michele Nicoletti • Vittorio Prodi • Giancarlo Sacchi • Mario Tronti

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Stefano Di TragliaDirettore responsabile

Franco MonacoDirettore editoriale

Alfredo D’AttorreCoordinatore del Comitato editoriale

Valentina SantarelliSegretaria di redazione

COMITATO EDITORIALE

Massimo AdinolfiMauro CerutiPaolo CorsiniStefano FassinaChiara GeloniClaudio GiuntaMiguel GotorRoberto GualtieriMarcella MarcelliEugenio MazzarellaAnna Maria ParenteFrancesco RussoWalter TocciGiorgio Tonini

SITO INTERNETwww.tamtamdemocratico.it

[email protected]

Tam Tam Democraticospazio di approfondimentodel Partito Democratico

Proprietario ed editore Partito DemocraticoSede Legale – Direzione e RedazioneVIa Sant’Andrea delle Fratte n. 16, 00187 RomaTel. 06/695321Direttore Responsabile Stefano Di TragliaRegistrazione Tribunale di Roma n.270del 20/09/2011I testi e i contenuti sono tutelati da una licenza CreativeCommons 2.5 CC BY-NC-ND 2.5 Attribuzione – Noncommerciale – Non opere derivate

COMUNICAZIONEprogetto grafico/sito internetdol – www.dol.it

4 Custodire le differenzeFranco Monaco

9 Destra/sinistra,vecchio/nuovoCarlo Galli

13 Una coppia che resisteMichele Nicoletti

19 Il lavoro prima di tuttoMario Tronti

23 Lavoro e welfareper giovani e anzianiCarlo Dell'Aringa

27 I maître à penser liberistie la politica industrialeMassimo Mucchetti

31 Diritti e libertàdella personaMichela Marzano

35 Le radici di unalaicità positivaEmma Fattorini

40 Legalità, fronte comunee distinzioni politichePiero Grasso

44 Oltre gli stereotipiCorradino Mineo

47 Partiti e democraziapartecipativaFlavia Nardelli

50 Idee ricostruttiveper la scuolaGiovanni Bachelet e Giancarlo Sacchi

55 La leva strategicadi università e ricercaMaria Chiara Carrozza

59 Sovranità e sostenibilitàVittorio Prodi

63 Politica costituzionale dopoil mito della grande riformaEnzo Balboni

69 Il nuovo europeismoprogressistaRoberto Gualtieri

76 Il futuro dell’Europa,una prospettiva italianaPier Luigi Bersani

84 Destra e sinistra secondoAnthony Giddens

88 Manifesto di Torino: unaunione democratica di pace,prosperità e progresso

DOCUMENTO

SOMMARIO

FOCUS

“L’integrazione europea è stata da molti secoli a questaparte la più grande storia di successo di costruzione pacificadi una sovranità condivisa, di trasformazione delle cause dipotenziale conflitto in fattori di crescita comune, il modelloconcreto che più si è avvicinato all’ideale kantianodi comunità internazionale”

leggi il resto del discorso di Pier Luigi Bersani a pag. 76

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FOCUS

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o notiamo senza ironia: ci fa piacere cheMonti abbia scoperto che PDL e Lega sonopartiti da inscrivere sotto la cifra delpopulismo e dell’antieuropeismo; che la destraitaliana non ha mantenuto una sola delle sue

infinite, mirabolanti promesse; che essa non brilla percultura della legalità; che per anni ha occhieggiatoall’evasione fiscale cavalcando l’equivoca metafora delloStato che mette le mani nelle tasche degli italiani; cheBerlusconi è portatore di un colossale conflitto di interessi;che l’informazione in Italia sconta un intollerabile indice diconcentrazione e un vistoso deficit di effettivo pluralismo;che nell’azione di risanamento avviata lo scorso anno si èacuita la “questione sociale”.

Non ce ne vorrà Monti se, pur senza infierire, tuttavia glifacciamo osservare due cose. La prima relativa al tempo lungodel berlusconismo: noi ce ne eravamo accorti da gran tempo,praticamente da sempre, circa diciotto anni fa, e, umilmente maconcretamente, lo abbiamo denunciato e contrastato.

A volte con successo, a volte meno. Spesso senzatrovare sponde nel mondo di riferimento del professore: leuniversità, l’establishment economico, i gruppi editoriali.Perché Monti non è nato oggi alla vita pubblica: a lungorettore e poi presidente della Bocconi, attivo in vari cda dibanche e imprese, editorialista del “Corriere della sera”.

Perché tutto si può dire di Berlusconi e della Lega menoche essi non siano sempre stati fedeli a se stessi. Laseconda osservazione verte sul passato recente: molti diquei rilievi che oggi Monti fa suoi corrispondonoesattamente alle nostre proposte emendative, di cui c’è

Custodirele differenzeFranco Monaco è senatore del Pd

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puntuale traccia negli atti parlamentari, delle misureadottate dal governo Monti sin dall’atto del suoinsediamento: in tema di fisco, di lavoro, di pensioni, digiustizia e di lotta alla corruzione, di informazione, acominciare dalla governance della Rai, che Monti non hapotuto o voluto riformare.

Su questi temi, la sua proclamata innovazione è statafrancamente timida o del tutto assente. Sotto questo profiloinnovativi, anzi alternativi, lo siamo di sicuro più noi. Ciòdetto – ed è ciò che più conta – resta la nostra convergenzanel giudizio nei confronti del populismo quale cifra distintivadell’asse PDL-Lega. Che ancora c’è, è in campo, rappresentatuttora l’avversario sistemico da battere.

Piuttosto – qui invece sta la contraddizione di Monti –quel giudizio mal si concilia con la programmatica terzietà,con l’ostentata equidistanza. Essa, intanto, è ingenerosaverso la vistosa differenza di comportamento politico-parlamentare tra PD e PDL verso il governo tecnico. Masoprattutto, complice la legge elettorale, quella terzietà sirisolve oggettivamente in un fattore di frammentazione edi instabilità – come ha rilevato il “Financial Times” - epersino in un aiuto offerto al fronte populista che si dicedi voler combattere. Un fonte ferito ma ancora in partita.Ma questa è questione genuinamente politica che lasciamoal confronto elettorale.

In questa sede, ci preme piuttosto avanzare una obiezionedi fondo allo schema teorico-politico sul quale si reggel’iniziativa politica di Monti: la sua pretesa di sostituire lapolarità destra-sinistra, con quella innovazione-conservazione. Una tesi non originalissima, ma francamentedebole, esposta al qualunquismo in versione snob.

Che significa innovazione? Quali riforme? Dipende dalsegno etico-politico di esse. Dare forma nuova ai rapportisociali (questo significa alla lettera riformismo) può esserefatto nelle direzioni più diverse ed opposte. Per noi, nelsenso di un di più di diritti e di giustizia sociale. Questo èl’abc della politica democratica. Mirare al bene comune,all’interesse generale, certo, ma muovendo da una umile,ma dichiarata posizione di parte, cioè da un sistema divalori lealmente espressi.

Sorprende l’approccio persino ingenuamentesemplicistico (politicamente parlando) del premier, il qualenon sembra consapevole della sua possibile deriva verso ilnuovismo (il nuovo sarebbe buono solo in quanto nuovo)

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Dare forma nuovaai rapporti sociali(questo significa allalettera riformismo)può essere fatto nelledirezioni più diverseed opposte. Per noi,nel senso di un dipiù di diritti e digiustizia sociale.

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e la tecnocrazia (la soluzione unica desunta dal pensierounico appaltato ai depositari di un sapere specialistico). Suquesto punto – il ripudio della politica democratica intesacome competizione tra parti, tra visioni e programmidiversamente orientati e messi a confronto – sembra cheMonti non avverta il rischio di un approccio tecnocraticospeculare a quello populista.

Entrambi appunto accomunati dal ripudio della logicaimmanente alla democrazia politica, che è quella dellacompetizione e del confronto tra offerte politiche di parte.Del resto, che la sua non sia una proposta né super né extrapartes è testimoniato da due circostanze.

La prima è l’aperta sponsorizzazione da parte del PartitoPopolare europeo, rispettabile famiglia politica della destraconservatrice del vecchio continente, sempre meno

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ancorata alla originaria ispirazione democratico-cristiana esempre più comprensiva di forze populiste(dall’impresentabile ungherese Orban a Berlusconi, cheancora lì sta, ancorché mal sopportato).

La seconda circostanza che smentisce la pretesasuperiore alterità alla polarità destra-sinistra è il connubiocon il liberismo spinto della pattuglia di Montezemolo, checontestava da quel fronte la stessa azione del governoMonti. A meno che ci si spieghi, come pure di recente si èprovato a fare ma senza convincere, che il liberismosarebbe di sinistra. Nonché la convergenza con l’Udc, unaformazione che affonda le sue radici nella destra doroteaDc, e persino con il Fli di Fini, partiti che è francamentedifficile ascrivere al fronte dell’innovazione.

A quanto si è inteso, è su questo punto che si èmanifestato il dissenso di Passera. Né basta a smentire unatale collocazione di Monti la partecipazione all’impresa dipersonalità cattoliche. Sia perché esse lo hanno fatto atitolo personale, scontando il disagio di larghi settori dellapropria base associativa, sia perché – non è un mistero –decisivo è stato semmai l’input di vertici ecclesiastici, chesino a ieri non avevano lesinato sostegni alla destra e che,in ogni caso, sul terreno dei diritti civili e sociali, èpiuttosto difficile ricomprendere sotto la cifra dell’ audaceriformismo.

In questo numero di Tamtamdemocratico, con ilcontributo di studiosi e politici, e in particolare dipersonalità autorevoli che hanno dato la disponibilità adarricchire le liste del PD, mostreremo in concreto come ledifferenze lungo l’asse destra-sinistra esistano eccome, checustodire ed elaborare (certo creativamente) tali differenzee metterle a tema con trasparenza nel confronto politico-elettorale è la sostanza stessa della democrazia. Unacompetizione-confronto tra parti, ancorché protese ainterpretare e servire il bene comune.

Sul piano economico-sociale nell’articolare libertà euguaglianza, su quello della politica europea ove semmai ilproblema è di portare in Ue un di più e non un di meno dipolitica intesa come aperto confronto tra indirizzi politici,sul piano della politica costituzionale, quello nel quale, piùdi ogni altro, si rivela la fallacia della polarità conservatori-innovatori. Sicuri che discostarsi dai valori e dall’impiantocostituzionale sia buona innovazione, avanzamentoriformista e che, per converso, proporsi di custodire e

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Mostreremo inconcreto come ledifferenze lungol’asse destra-sinistraesistano eccome, checustodire edelaborare (certocreativamente) talidifferenze e metterlea tema contrasparenza nelconfronto politico-elettorale è lasostanza stessa dellademocrazia.

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inverare i principi costituzionali sia ottusoconservatorismo?

Insomma: confutiamo la tesi secondo la quale destra esinistra sarebbero categorie inservibili e prive disignificato, così come dissentiamo dall’idea che il nuovo siabuono in quanto nuovo, che l’opposizione tra chi conservae chi riforma corrisponda all’alternativa tra male e bene.Tutto dipende dai giudizi e dalle scelte di valore. Datrascrivere poi nelle concrete azioni politiche.

Del resto, a divederci da Monti è anche la sua orgogliosarivendicazione dell’idea che improvvisare una iniziativaelettorale in poche settimane intorno a un uomo e aun’agenda concepita per fronteggiare un’emergenza sia unmerito e una virtù da contrapporre alla vecchiezza di chi,da cinque anni (non dal 1921!), si è impegnato a elaborareuna visione di lunga lena che trascenda la competizioneelettorale, a mettere a punto un programma, a costruire unpartito inteso come organismo collettivo e solo infine aproporre una propria offerta elettorale. E a farlo su basedemocratica, con una partecipazione di popolo. Attraversogli strumenti della rappresentanza mixati con elementi didemocrazia diretta quali le primarie.

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a polemica contro la coppia destra-sinistra –che sarebbe obsoleta, arcaica, e che dovrebbeessere sostituita da innovazione-conservazione– è uno degli snodi politici fondamentali della

campagna elettorale. Il Nuovo a cui ci si appella è lacentralità degli imperativi di un’economia interpretata solonell’ottica delle compatibilità di bilancio e dell’attenzione alleesigenze di valorizzazione del capitale. Questo Nuovo è poianche Oggettivo, ovvero è il fondamento indiscutibile dellapolitica, alla quale resta un solo compito: assecondarne losviluppo attraverso un esecutivo a forte competenza tecnica,con l’appoggio di un legislativo ampiamente collaborativo.Chi si oppone al Nuovo è o impreparato e inaffidabile,oppure Vecchio, conservatore; in entrambi i casi è impari aicompiti che la realtà propone.

Esiste quindi un corso della storia talmente cogente eirreversibile da essere un automatismo; ma, al tempo stesso,questa oggettività è fragile e bisognosa di essere tutelata dagliimprovvidi interventi di chi non è adeguato a custodirla. C’èun Destino, quindi; e al tempo stesso c’è, per chi non loriconosce, una Catastrofe in agguato. La coppia destra-sinistra è stata riassorbita nella coppia vecchio-nuovo, e statutta dalla parte del Vecchio.

Al contrario, è proprio la contrapposizione fra destra esinistra a essere originaria: mentre la contrapposizione fraconservazione e innovazione, per quanto importante, èsottoposta a essa.

Va in primo luogo osservato che non sono i contenutia distinguere la destra dalla sinistra: i valori (differenza ouguaglianza fra gli uomini), le opzioni politiche (autorità o

Destra/sinistra,vecchio/nuovoCarlo Galli insegna storia delle dottrine politiche all’Università di Bologna

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libertà, gerarchia o autonomia), le percezioni della storia(conservazione o progresso) sono criteri utili, ma fragili:le tradizioni politiche di destra e sinistra non sonounivoche ma contraddittorie, e si può facilmentedimostrare che dentro i contenitori ‘destra’ e ‘sinistra’ c’èstato tutto e il contrario di tutto.

Ci sono infatti molte destre possibili: la destra dell’Ordinenaturale che si impone sulla libertà degli uomini; la destradella libera iniziativa individuale che nella competizioneeconomica seleziona vincitori e vinti, adatti e inadatti,secondo le leggi del mercato; la destra del comando politicodall’alto, del capo plebiscitario che con la sua decisione ri-organizza, con mezzi extra-legali e extra-istituzionali, l’interocorpo politico. Queste destre hanno idee differenti sullaconsistenza dello spazio politico, sul rapporto fra politica ereligione, fra Stato individuo e popolo, sull’economia.

Allo stesso modo, dentro la sinistra sono collocabili irazionalisti e gli illuministi, in lotta contro l’autoritàtradizionale con l’armamentario della laicità e dei diritti; idemocratici radicali, col loro repubblicanesimo egualitario emoralistico (giacobino o mazziniano); i socialisti, nelle lorovarie e contrapposte famiglie: quelli che Marx definì utopisti,i marxisti (suddivisi fra rivoluzionari e riformisti), glianarchici. Anche quello della sinistra è un mondo distraordinaria varietà e di plurivocità.

Davanti a ciò, e davanti al fatto che destra e sinistra, perdi più, si sono spesso scambiate le argomentazioni e hannocondiviso gli obiettivi polemici, è chiaro che glischematismi sono insufficienti, la storia è ambigua, e ilpresente sembra incerto.

Ma, in realtà, ancora oggi la distinzione fra destra e sinistraè valida, se assunta in senso radicale, cioè con riguardo nontanto ai contenuti quanto all’origine e alla finalità dell’azionepolitica. La politica moderna, che nasce dalla perditadell’Ordine tradizionale nelle guerre civili di religione delCinque e del Seicento, ha due problemi: come si passa daldisordine all’ordine, e quale ruolo politico ha il soggetto.

È rispetto a questi problemi che lo spazio politicomoderno si divide in due: da una parte sono le famigliepolitiche di destra che percepiscono il disordine come datoprimario e insuperabile. Per le destre, infatti, il reale èinstabile, ovvero è un’Oggettività continuamente minacciata.

Nel primo caso la destra esprime l’idea nichilistica che lapolitica può fare di tutto perché nulla è vero e oggettivo, e

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Ancora oggi ladistinzione fra

destra e sinistra èvalida, se assunta in

senso radicale, cioècon riguardo nontanto ai contenuti

quanto all’origine ealla finalità

dell’azione politica.

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tutto è finzione e propaganda (la destra ebbra, Berlusconi);nel secondo caso la destra (quella sobria e moderata, diMonti) esprime l’idea che la politica non può fare nulla nellematerie serie e importanti, perché il loro funzionamento, è sìoggettivo, ma è al tempo stesso così fragile che non lo si puòdisturbare; l’oggettività che questa destra difende, la Legge acui si richiama, non è disponibile per l’agire umanosoggettivo, che attraverso la politica la modifichi, ma soloalla tecnica che ne faccia la manutenzione.

La logica Vecchio/Nuovo è minacciata da chi non vuolecapirla; e a sua volta, a dispetto della sua oggettività, lo trattapolemicamente: definire l’avversario ‘arcaico’ vuol direinfatti, a rigore, considerarlo degno d’estinzione. Le sinistresviluppano invece l’altro lato del Moderno, quell’elementonormativo e ordinativo che è il soggetto, il singolo, lapersona, e per le qualità innate che vi ineriscono (tradotte,del discorso politico moderno, nel sistema dei diritti) loassumono come Valore da affermare, attraverso pratichepolitiche che fanno dell’emancipazione individuale ecollettiva il fine della prassi. È il soggetto, la persona, losnodo attraverso il quale, con la mediazione dei partiti e delleistituzioni, si passa dal disordine all’ordine, dall’ingiustiziaalla democrazia.

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In particolare, la sinistra riformista sa che l’economia nonè neutra ma che in essa c’è chi vince e chi perde, chi hapotere e chi lo subisce; che ogni sviluppo non è unautomatismo ma una scelta fra plurime possibilità, alcunevolte a massimizzare la difesa dell’Ordine dato, altre la libertàe la dignità delle persone. E che quindi la distinzione fradestra e sinistra vale anche riguardo all’economia, e alle suepretese di oggettività e di novità. La sinistra riformistaesprime pertanto l’idea che la politica può fare qualcosarispetto all’economia, per raddrizzarne e guidarne il percorso,per dare apertura umanistica alla sua presunta oggettività, eper interpretarla dal punto di vista del soggetto, della suadignità, della sua sofferenza, della sua speranza.

Quindi, se a essere dirimente non è la mera successionecronologica ma la finalità dell’azione politica, lacontrapposizione vecchio/nuovo non è primaria masubalterna a quella fra destra e sinistra: c’è un Vecchio didestra e un Vecchio di sinistra, un Nuovo di destra e unNuovo di sinistra.

Riconoscere con realismo le trasformazioni del mondo(entrare cioè nella logica Vecchio/Nuovo) non vuol direaccettarle tutte: vuol dire vederle come un terreno aperto perla libertà umana, come una sfida per la politica, che puòmodificarle in una direzione o in un’altra.

Il Nuovo per il Nuovo è avanguardismo nichilistico,oppure è un dogmatismo, una schiavitù rispetto a processiche chiedono sacrifici umani. Ma, d’altra parte, ci può essereanche un rinnovamento che ha finalità emancipative, chevuole affermare la giustizia e la dignità delle persone. Allostesso modo, il Vecchio può essere una tradizione dioppressione, da rifiutare, oppure un consolidato patrimoniodemocratico di diritti e di ideali, da salvaguardare e daimplementare. In generale, c’è politica appunto perchél’ultima parola non è mai data, ma va alle decisioni fra diverseopzioni, di destra e di sinistra.

Infine, a negare la differenza fra destra e sinistra è la destramoderata e sobria ma sempre a rischio di dogmatismo e ditecnicismo; ad accentuare allo spasimo quella differenza è ladestra radicale e nichilista, che nella politica vede soloconflitto (o paranoica propaganda contro il nemico); mentrea riconoscere la differenza fra destra e sinistra, con un occhioalla realtà e uno alla sua possibile trasformazioneemancipativa, è la sinistra riformista, col suo realismoorientato da una scelta politica a misura umana.

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i fronte a chi oggi si chiede se la distinzione tra“destra” e “sinistra” sia ancora utile nelpanorama politico attuale, viene alla mente labattuta del filosofo francese Alain: «Quandoqualcuno mi domanda se abbia ancora un senso

la divisione tra partiti di destra e di sinistra, tra uomini di destrae di sinistra, la prima cosa che mi viene in mente è che lapersona che mi fa questa domanda non è certamente disinistra» (Alain, Propos, in «Droite et gauche», Décembre 1930).Chi infatti si riconosce nella sinistra, discute appassionatamentesu che cosa sia veramente di sinistra, ma non si sogna dimettere in dubbio l’esistenza di una distinzione tra i due campi,perché tale distinzione è in un certo senso alla base della suaidentità politica.

L’identità politica della sinistra, infatti, tende a costruirsi sullabase di una dialettica con la realtà esistente: se essa vieneidentificata con la passione per l’uguaglianza, essa sorge comedenuncia e come rivolta nei confronti delle insopportabili

Una coppia che resisteMichele Nicoletti insegna filosofia politica all’Università di Trento

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ingiustizie dominanti; se essa viene identificata con ilprogressismo, essa sorge come protesta nei confronti delpresente e come lotta per una trasformazione e uncambiamento di ciò che è; se essa viene identificata con la lottaper l’emancipazione, essa sorge come movimento di liberazionedalle catene che imbrigliano l’esistenza. Insomma è aspirazionea qualche cosa di diverso, che ancora non è dato e quando puresi fa governo e a modo suo instaura un ordine esistente, sipremura di affermare che la realtà da essa costruita è solo unabbozzo di ciò che ha in mente e che sarà, ed è comunque altrarispetto a quelle altrove esistenti.

Anche la destra “pura” ha una natura dialettica, in sénegatrice di un’altra parte, la “sinistra” appunto, e non è uncaso che tale destra schietta non abbia nessuna difficoltà ariconoscersi e proclamarsi tale. Chi invece fa fatica a dichiararsie preferisce mettere in dubbio l’esistenza stessa di una destra esinistra è spesso portatore di una posizione di conservatorismo,più o meno illuminato. Proclamandosi al di sopra delle parti odichiarando le parti stesse (destra e sinistra) inesistenti osuperate, mira a costituire attorno alle proprie posizioni unnuovo blocco sociale trasversale che neutralizzi ogni realecambiamento.

Tale atteggiamento nega l’inevitabile parzialità di ogniposizione politica entro una dinamica competitiva, attribuendoa sé l’aura dell’imparzialità propria delle istituzioni. Ma con ciòcompie solo un artifizio retorico di tipo propagandistico,perché anche tale atteggiamento finisce inevitabilmente percollocarsi dall’una o dall’altra parte dello schieramento politicoentro una democrazia parlamentare.

Possono dunque mutare i valori caratterizzanti la dialetticadestra/sinistra a seconda del contesto storico e geografico, maogni presa di posizione politica è occupazione di uno “spazio”politico all’interno di un orizzonte dato e, per quanto essacerchi di scomporre il quadro esistente, essa finisce per doversimisurare con uno scenario più largo che ne definisce i contorni.In questo tentativo di negazione delle opposizioni esistenti enella volontà di proporre un proprio orizzonte oppositivo (adesempio la coppia “conservazione/innovazione” al posto di“destra/sinistra”) non si realizza il superamento della logicadelle parti, ma solo la volontà di introdurre una diversa logica, asé più favorevole. Come sempre la lotta per il potere è anchelotta per l’interpretazione o, più banalmente, lotta perl’individuazione dell’avversario da battere.

Dunque non si tratta di negare la dialettica destra/sinistra,

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Anche la destra“pura” ha una

natura dialettica, insé negatrice di

un’altra parte, la“sinistra” appunto,e non è un caso chetale destra schiettanon abbia nessuna

difficoltà ariconoscersi e

proclamarsi tale.

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ma di reinterpretarla nelle condizioni dell’oggi. E intrecciandomotivi antichi e motivi a noi contemporanei, quattro crinali mipaiono significativi per la ricomprensione dell’essere sinistraoggi.

Il primo di questi è la sfida dell’autogoverno, la sfida di chi vuoleintrodurre un più di autogoverno nella nostra vita di singoli edi comunità di fronte all’incalzare di poteri “altri” da noi checondizionano la nostra esistenza e pretendono di definirne ifini, la natura, i mezzi.

Vedo in questa sfida un capitolo dell’eterna lotta perl’emancipazione: dell’individuo umano che si vuole affermarecome soggetto capace di autogoverno rispetto al dominiopadronale o tribale e si batte per la propria libertà dal giogodell’oppressione altrui. Liberazione mai compiuta che sicompie attraverso atti di raccoglimento e di disciplina, cura disé e ascolto dell’altro, ma che non rinuncia, in ogni caso, aporre la propria impronta sulla vita propria e su quella dellapropria comunità.

L’ideale dell’autogoverno è ideale antichissimo checaratterizza la nascita dell’antica polis greca di fronte ai regimidispotici dell’antichità e che attraversa i secoli ripresentandosiin età moderna e contemporanea come lotta control’assolutismo regio e la visione patriarcale del potere politico,come ideale repubblicano contro ogni autocrazia. Lo troviamoalla base del diritto di resistenza al tiranno, nonché del diritto apensare con la propria testa e dunque a sottomettere ognipotere alla critica della ragione pubblica, alla base delle grandirivoluzioni in America e in Francia e della lotta perl’emancipazione degli schiavi, dei lavoratori sfruttati, delledonne, dei popoli coloniali, delle minoranze di ogni tipo.

Questa è la sfida della democrazia, ideale di persone che sivogliono libere e si riconoscono uguali e per questorivendicano per sé e per gli altri la possibilità di autogovernarsi.Qui democrazia non è semplice selezione di prodotti offerti dalmercato o dalle élites tecnocratiche, ma è fiducia nella capacitàcreativa del soggetto personale e associato di produrre pratichedi governo. Questo bell’ideale repubblicano – oggi così attualedi fronte ai rischi del paternalismo e della tecnocrazia (che sinutrono infatti della sfiducia nelle capacità di autogoverno delsoggetto umano) – è l’ideale in cui si compie l’aspirazioneemancipatoria: per questo oggi il partito della sinistra o delcentrosinistra in Italia si chiama “democratico” perché hariconosciuto nella democrazia il compimento degli ideali diemancipazione ottocenteschi.

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L’idealedell’autogoverno èideale antichissimoche caratterizza lanascita dell’anticapolis greca di fronteai regimi dispoticidell’antichità e cheattraversa i secoliripresentandosi inetà moderna econtemporanea comelotta control’assolutismo regio ela visione patriarcaledel potere politico.

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La democrazia – ossia l’autogoverno – non è più tappaintermedia verso un orizzonte più alto (il socialismo o la nuovacristianità) ma è il fine dell’azione politica e il socialismo o illiberalismo democratico sono semmai pratiche sociali che in undeterminato momento storico possono contribuire a realizzaremeglio il disegno emancipatorio.

Così – con chiarezza – si esprime la nostra Costituzionenell’indicare alla repubblica e ai suoi poteri il compito dirimuovere gli ostacoli al pieno dispiegamento della vitapersonale in condizioni di uguali possibilità. E con ciò si superaanche ogni residuo paternalistico e autoritario pur presente intante tradizioni sociali del passato che attribuivano al ruolo diun partito guida o di un’autorità ecclesiastica il compito diindicare al popolo il proprio destino storico.

Un secondo crinale è quello di un’antropologiaindividualistica o relazionale. Nell’affermazione primariadella sfida dell’autogoverno, che è anzitutto sfida dellalibertà singolare, non deve andare smarrita la trama dellerelazioni umane, che invece l’individualismo tende acancellare o a concepire come mero intralcio, vincolo dacui liberare l’individuo.

L’idea di un individuo atomisticamente concepito èun’astrazione ideologica, una costruzione sociale. L’essereumano che tende alla cura di sé, nasce dalla cura di altri per lui eresta ad altri debitore del suo venire al mondo. La solidarietà neè cifra biologica prima che morale e ne disegna la natura diessere parlante e ragionante in quanto comunicante.

La giustizia allora, valore perenne della sinistra, si scopre cosìinscritta nell’”essere” prima che nell’”agire” dell’uomo, comeobbligo interno alle relazioni umane. E qui sta un temacrucialissimo delle relazioni sociali sia affettive che lavorative:perché l’incontro con l’altro, l’assunzione dell’altro non èriducibile a mero scambio di cose in una dinamica in cuil’essere umano stesso e il proprio fare è ridotto a cosa, astrumento del mio piacere o dominio, a mera merce. L’essereumano non perde mai la propria dignità, la propria eccedenza,la propria realtà indisponibile ad essere del tutto reificata, resainsomma mero oggetto.

Tale responsabilità che si contrae nella relazione, che già dasempre è nella relazione, non si può scaricare totalmente su unterzo (sia esso lo Stato o il mercato) ma rimane consegnata alladimensione interpersonale, cioè propriamente “sociale”. Perchéè proprio il carattere di socius che rimane per l’essere umanoineliminabile e che non può essere dismesso nemmeno nel

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Nell’affermazioneprimaria della sfida

dell’autogoverno, che èanzitutto sfida dellalibertà singolare, nondeve andare smarrita

la trama dellerelazioni umane.

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venir meno della relazione per il sopraggiungere di eventi o dinuove consensuali decisioni.

Da questa combinazione tra singolarità e relazionalitàscaturisce il terzo crinale che è quello del pluralismo edell’alterità. Perché nella relazione con l’altro che mi costituisceviene superato il monismo imperialistico e si apre lo spazio alcoglimento della differenza. E lo spazio dell’umano si rivelacosì – proprio nella comunanza – spazio plurale, spazio sortodall’esistere di una pluralità di esseri umani irriducibili al sé, checostringono il sé ad uscire dalla propria autocontemplazione,dall’illusione di essere tutto il mondo e dunque alla presa dicoscienza della propria relatività.

E in ciò si innesta la coscienza del proprio limite e dunquequello sguardo laico che relativizza ogni propria posizione esa cogliere nello sguardo dell’altro non solo un altro punto divista, ma un altro punto di vista, ossia uno sguardo orientatosul vero e sul bene alla pari del mio, che esigericonoscimento e rispetto.

E ciò è diverso appunto non solo dal monismo imperialistadi chi non riconosce altra posizione se non la propria, maanche dall’oggettivismo tecnocratico che pretende esservi unpunto di vista asettico e neutrale non dipendente da soggettiimmersi nella storia. Ed invece è proprio la trama di dialoghi disoggetti diversi immersi nella storia, capaci di riconoscere eintessere la propria pluralità, che costruisce trame di relazioni edi significati diversi e comuni, che possono orientare esorreggere il mondo.

Infine il quarto crinale è la tensione utopica, la dialettica tra ciòche è e ciò che non è ancora, la passione e la speranza in unpossibile mondo alternativo al presente. Questa tensionecostituisce da sempre la fonte del distacco dall’esistente, ilrifiuto della sacralizzazione del presente, il prodotto inevitabiledella natura creativa e non meramente ripetitiva dell’animaleumano, capace di dare vita a novità e non solo di riprodurremeccanicamente il già visto.

Visione progressista, certo, ma non nel senso banale che ildomani sarà necessariamente migliore dell’oggi, ma nel sensopiù profondo che la storia dell’umano non può essereconsegnata alla definitiva sconfitta da parte della morte e deldolore, ma contiene in sé una possibilità di distacco e disuperamento dell’eterno scacco e che proprio la dimensionetemporale in cui l’esistenza umana è inserita non ne segna solola condanna alla consunzione, ma anche la possibilità di unriscatto. Appunto, come si diceva all’inizio, di una liberazione.

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avoro come parola chiave, funziona sempre.Funziona, paradossalmente, per l’uno e perl’altro degli schieramenti, sociali e politici,contrapposti. O pro, o contro. E se fossereale questa numerazione delle Repubbliche,

se ne potrebbe narrare la storia anche attraverso ilrapporto tra sistema politico e lavoro. Sarebbeinteressante. Quelle che si sono chiamate prima e secondaRepubblica, sono di fatto le due parti in cui si è divisa l’etàrepubblicana fin qui. Immaginando, in mezzo, una data difrattura, direi 1980, la sconfitta operaia alla Fiat,simbolicamente rappresentata dalla marcia dei cosiddettiquarantamila. Uso per prudenza dei congiuntivi, perché levalutazioni sono soggettive e i riscontri empirici sonosempre lì in agguato pronti a smentirti.

Ma insomma, tra anni Settanta e Ottanta, c’è unpassaggio di fase politica e di ciclo economico. Ed èesattamente sul punto lavoro che si fonda il cambio diegemonia culturale da sinistra a destra. L’art. 1 Cost., laRepubblica democratica fondata sul lavoro, era rimastoarchitrave indiscutibile del sistema politico-sociale. Questoha pesato anche nel trentennio seguente, tanto che gliattacchi alla Costituzione formale, sempre più virulenti, sierano comunque fermati davanti a questo principio. È laCostituzione materiale che lo ha di fatto rovesciato. Esarebbe da discutere se il principio sostitutivo reciti: unaRepubblica fondata sull’impresa o una Repubblica fondatasul mercato. Sappiamo teoricamente che tra impresa emercato c’è questo rapporto di ambigua corrispondenza.

Ma, storicamente, chi viene prima, chi è nato prima? Tra

Il lavoro primadi tuttoMario Tronti è Presidente del Centro per la Riforma dello Stato

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mercantilismo e industrialismo, c’è un percorso. E del resto èquando l’impresa diventa fabbrica che il lavoro sale al centro.L’economia politica classica descrive questo passaggio. Ma sipuò, esso, rovesciare, dentro una struttura capitalistica, comesi è tentato di fare, nel ciclo detto neoliberista? E non sta quila causa di fondo dell’attuale crisi? Nella transizione dallacentralità della produzione alla centralità del mercato, per dipiù in un’economia globalizzata, si è costruito più unapparato ideologico che una trasformazione strutturale. Sipuò, a mio parere, ragionevolmente sostenere che la lottacontro il lavoro ha motivato il mutamento di fase politica alpunto tale da obbligare a un mutamento di ciclo economico.:prima si è messo in discussione lo Stato sociale, poi si èpassati all’ideologia dell’autoregolazione dei mercati.

La lettura politica della crisi economica è indispensabileper capire come stanno veramente le cose. Gli economistimainstream dell’ultimo trentennio hanno dimenticato che ilcapitalismo è economia politica, come ci avevano insegnato ipensatori classici. I fattori oggettivi muovono e sono mossiattraverso soggetti, soggettività sociali e persone in carne eossa. Vi ricordate? Sono gli uomini che fanno la storia, anchese in condizioni ben determinate. Il lavoro è, di questo,espressione centrale. Se non lo prendi, e non lo tratti, comeun punto di vista, autonomo, danneggi, non solo l’interessedei lavoratori, anche quello degli imprenditori.

Una cosa chiara bisogna dirla. La lotta di classe c’è. Nonè lì che è avvenuta la fine della storia. È avvenuta piuttostosulla rappresentazione che di essa ha dato, in eccezionaliforme, quel grande secolo che è stato il Novecento. Allalotta di classe è accaduto quello che è accaduto al mondo.Ma la lotta di classe era essa stessa un mondo. Anchequella lotta è diventata unipolare. È ora a senso unico.Viene organizzata da una parte sola. E sappiamo,l’abbiamo imparato una volta per tutte nell’adolescenzaintellettuale, che la lotta, qualunque tipo di lotta, o vieneorganizzata, o non c’è, o è come se non ci fosse.

Esattamente quanto avviene adesso, ovunque, in Usa, inItalia, o in Cina. Chi rappresenta, o dovrebbe rappresentare,il punto di vista lavoro, non preoccupandosi più di dareforma a quella lotta, non la vede neppure più. Non èsbagliato coniugare lavoro e impresa. È sbagliato pensare epraticare il rapporto in un’utopia collaborativa, che non soloesclude ma demonizza il conflitto. Se la Sinistra, quellamaggioritaria, quella riformista, quella di governo, non fa

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La lettura politicadella crisi economicaè indispensabile percapire come stannoveramente le cose.

Gli economistimainstreamdell’ultimo

trentennio hannodimenticato che il

capitalismo èeconomia politica,

come ci avevanoinsegnato i pensatori

classici.

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rientrare nella sua testa, oggi di legno, che il suo luogo dielezione, storicamente naturale, è il conflitto, prima di tuttosociale, non riacquisterà credibilità, e direi legittimità, pressoil suo popolo.

L’arma vincente è mostrare allo stesso interessecapitalistico che il conflitto è il motore dello sviluppo. Le fasidi maggior crescita hanno coinciso con le fasi di maggiorlotta. Le ricette di oggi sono esattamente opposte, dall’una edall’altra parte. La giaculatoria dell’appello alla coesionesociale è una ricetta non di superamento ma diprolungamento della crisi. Non risveglia quelle energiesociali, che, in campo, potrebbero dare la scossa che serve aun’economia reale inceppata.

Abbiamo detto che i capitalisti fanno lotta di classe asenso unico. La fanno male. Perché pensano di farlairrigidendo le sbarre nella gabbia d’acciaio delle compatibilitàdi sistema economico-finanziario. La fanno attraverso ilFondo monetario internazionale, la Banca centrale europea, ivertici, anche lì tecnici, dell’Unione economica europea.

Gli Stati nazionali le manovre le facevano magari contro ilparere dei sindacati e delle forze politiche di opposizione, maprima si misuravano, si confrontavano, se non altro percapire i margini fino a cui spingere la manovra stessa. Questi,li spaventa non solo il conflitto, addirittura la concertazione,il fatto di solo sedersi al tavolo con le cosiddette parti sociali.

È il segno di una condizione, che poi per me è all’originedi tutti i mali presenti: il miserabilismo delle attuali classidirigenti e dominanti. Ci sono vari gradi, nei vari Paesi, diquesta miseria. Qui da noi, è per l’Occidente, quasi il fondo.La stessa postazione di sinistra ne è rimasta gravementedanneggiata. È un miracolo che si veda emergere unagenerazione che vuole ripartire da politica e organizzazione,da autonomia culturale e rinnovato gusto per le lotte: non acaso dicendo “il lavoro prima di tutto”, o come si voglia dire,il lavoro al centro, scegliendo comunque quel punto di vistaper ricementare un campo di forza d’attacco.

Mi sono chiesto spesso: perché questo accanimentocontro le conquiste di redditi, di diritti, di piena occupazione,di welfare, e di presenza, di protagonismo, delle classilavoratrici durante i famosi “trenta gloriosi”, 1945-1975?Perché questo vero e proprio odio contro i soggetti di quelleconquiste, sfociato poi nell’ignobile – ignobile! – principio“meno ai padri e più ai figli”?

Si ragiona oggi di debito e colpa, ebbene debito e colpa

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È un miracolo che siveda emergere unagenerazione chevuole ripartire dapolitica eorganizzazione, daautonomia culturalee rinnovato gusto perle lotte: non a casodicendo “il lavoroprima di tutto”, ocome si voglia dire, illavoro al centro.

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vanno messi sulle spalle dei lavoratori per il fatto cheavevano vinto le loro battaglie, colpa loro e dei sindacati cheli avevano organizzati, dei partiti che li avevano rappresentati,dei governi che li avevano subiti. Racconto, facendo forzasulle mie abitudini, un episodio personale. Ero in Senatoquando c’erano, per mia fortuna insieme, Miglio e Bobbio.Sedevamo in disparte, a conversare, e Miglio dice: sapete qualè una categoria fondamentale della politica? la vendetta.

Bobbio disse subito apertamente di no, io, in cuor mio, midissi, ma forse sì. Di questi tempi, ne ho trovato conferma.La spiegazione del protervo atteggiamento padronale degliultimi trent’anni ingloriosi non sarà tutta qui, ma una partec’è. È dagli anni Ottanta, e il 1989 e il 1991 hanno dato unabuona mano, che questo spirito di rivalsa antilavoro si èimposto, non ha fatto grande storia, piuttosto cronacaquotidiana, ma ha occupato il territorio-mondo e non haancora contro di sé chi lo contrasti al suo livello.

La reazione antinovecentesca ha poi vestito i panni dellagrande innovazione, messa in farsa di quell’atto tragico chenel secolo scorso era stato “la grande trasformazione”. Glisono andati dietro intellettuali liquidi e politici leggeri, ancoraoggi vediamo corrergli accanto, a destra e a sinistra, tuttiquelli che quando sentono la parola lavoro mettono manoalla pistola con il web in canna.

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dati sulle famiglie e sui giovani sono allarmanti. Ela domanda sorge spontanea : cosa dobbiamoaspettarci per il futuro? Cosa fare per migliorare lasituazione ?

La situazione resta grave. Anche gli ultimi dati pubblicatidall’Istat segnalano un peggioramento e le previsioni per unapossibile ripresa dell’economia si sono progressivamentespostate in avanti. In ogni caso prima che riprenda laoccupazione passerà ancora più tempo, perché le impresecercheranno di utilizzare innanzitutto la forza lavoroparcheggiata negli ammortizzatori sociali. E le riforme dellepensioni adottate in questi anni, non aiuteranno. Anchel’ultima riforma, pur importante per mettere i conti pubbliciin sicurezza, produrrà un effetto negativo sul ricambiogenerazionale. Si sono già sentiti gli effetti delle precedentiriforme delle pensioni. In un anno l’occupazione deilavoratori compresi tra 55 e 64 anni di età è aumentata diquasi mezzo milione, mentre il tasso di disoccupazionegiovanile, nello stesso intervallo di tempo, è aumentato dioltre 5 punti percentuali.

Entro il 2020 la forza lavoro anziana aumenterà di oltre unmilione di unità. Solo per dare occupazione a questa offerta dilavoro aggiuntiva occorrerà un aumento del PIL di quasi l’unoper cento all’anno, nei prossimi cinque. E stando alle previsionidell’Istat continueranno ad affluire lavoratori immigrati. Forsein misura minore, se la crisi agirà da deterrente. Ma lo stockcontinuerà ad aumentare, non fosse altro per il fatto che ilnostro sistema produttivo continuerà a produrre posti di lavoropoco qualificati negli unici settori che comunque tenderannoad espandersi ( servizi distributivi, servizi alla famiglia, servizi di

Lavoro e welfareper giovani e anziani

Carlo Dell'Aringa insegna Economia Politica all'Università Cattolica di Milano

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manutenzione, ecc.)Dal momento che sarà ben difficile che nei prossimi

cinque anni il Paese riesca a svilupparsi a tassi che dovrannoessere ben superiori all’uno per cento, per assorbire questoaumento della offerta di lavoro, assisteremo ad un ulterioreaggravamento della situazione in atto, con lavoratori anzianiimpegnati (speriamo con successo !) a mantenere il loroposto di lavoro ( per evitare di stare senza lavoro e senzapensione) , con giovani diplomati e laureati alla ricerca di unposto in settori che hanno ormai chiuso i rubinetti delleassunzioni ( pubblico impiego, banche, ecc.) e con ulterioriimmigrati per lo più segregati nei posti di lavoro menoqualificati e rifiutati dai lavoratori locali.

Questo è il banco di prova delle politiche del prossimoGoverno: quello di risolvere un problema enorme di“mismatch” nel mercato del lavoro, cioè di mancato incontrotra domanda e offerta. Con lavoratori che rimarrannodisoccupati di fronte a posti di lavoro che dovranno esserericoperti da lavoratori di altri Paesi.

I rimedi necessari dovranno seguire due direzioni. Da unlato attuare investimenti diretti ad aumentare produttività equalità dei nuovi posti di lavoro e dall’altro orientare i giovani(e le famiglie, soprattutto!) per indirizzarli e prepararli adoccupare i posti che si renderanno disponibili.

Per fare questo non basteranno le tradizionali politiche dellavoro. Occorrerà uno sforzo congiunto delle forze politichee sociali che dovranno mettere in campo tutti gli strumentinecessari per raggiungere questo difficile obiettivo.

Facciamo qualche esempio. Vi sono Paesi che hanno tassi di disoccupazione dei

giovani che sono almeno la metà del nostro, per non parlaredella Germania dove è un quarto del nostro ( 9 per centocontro 36 per cento).

Cosa ci manca ?Metà dei giovani tedeschi sono apprendisti che, alla fine

del loro percorso di alternanza scuola-lavoro, riesconoagevolmente ad avere un posto stabile. Questo è il modo incui in Germania si incontrano domanda ed offerta di lavoro.

Anche noi abbiamo l’apprendistato, ma non funziona bene,purtroppo. Per farlo funzionare occorrono condizioniambientali ben più favorevoli delle nostre. In Germanial’apprendistato è una istituzione, fortemente voluta dai giovani,dalle famiglie, dalle imprese, dai sindacati , dalle associazioniimprenditoriali e dagli enti pubblici che mettono a disposizione

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il meglio delle loro risorse per farlo funzionare. E nessuno siazzarda a mettere in discussione una istituzione che è radicatanella cultura e nella storia di un Paese.

Noi non siamo riusciti a creare le stesse condizioni e lostesso ambiente favorevole, eppure sono dieci anni che lariforma dell’apprendistato è nell’agenda dei Governi, delleRegioni e delle parti sociali. Finora i risultati sono modesti( ad essere generosi).

Ma quello dell’apprendistato è solo un esempio delleiniziative e degli interventi che dovremmo attivare peraumentare il grado di “occupabilità” dei nostri giovani. Nonabbiamo solo il primato, tra i Paesi sviluppati, di unapercentuale troppo bassa di studenti che praticano qualcheforma di alternanza tra studio e lavoro. Abbiamo anche altritristi primati.

L’apprendimento e i risultati deigiovani a scuola sono scadenti,soprattutto rispetto a quelli di altriPaesi. L’orientamento alle scelte distudio e professionali, poi, è del tuttoinsufficiente. Inoltre non abbiamosviluppato un percorso di formazionedi carattere terziario ( post-secondaria)di tipo tecnico professionale dacollocare accanto a quello accademicouniversitario. Questo è tanto più gravese si considera che il mondo dellepiccole imprese proprio a questo tipodi preparazione dei giovani, sarebbeinteressato. “Dulcis in fundo”, i nostriservizi all’impiego, tranne alcunelodevoli eccezioni, sono assolutamenteprivi delle risorse, professionali,finanziarie ed organizzative, necessarieper accompagnare i giovani verso illavoro, così come si fa negli altri Paesi.

Se la situazione è questa nonpossiamo stupirci che il rendimentodel capitale umano sia così basso nelnostro Paese. Il basso rendimentospiega il basso investimento, come èdimostrato dalla ridotta quota dilaureati rispetto al totale dei giovaniche entrano nel mercato del lavoro.

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Basso investimento e basso rendimento si alimentano in uncircuito perverso: tanti giovani fanno un lavoro per il qualenon è richiesto il titolo di studio posseduto. E ciò creadelusione, frustrazione ed inefficienze.

Occorre un investimento pubblico che accompagnil’investimento privato nel capitale umano dei giovani,attraverso servizi più efficaci che formino, orientino eaccompagnino i giovani verso il lavoro.

Per quanto il problema principale sarà ancora quello deigiovani, non possiamo dare per risolto il problema deilavoratori anziani. Infatti siamo sicuri che quel milione dilavoratori anziani che non potranno più andare in pensione conle vecchie regole nei prossimi sei/sette anni riusciranno amantenere il lavoro che occupano ? Oppure correranno ilrischio di rimanere senza lavoro e senza pensione ? La rispostapurtroppo è positiva : questo rischio esisterà e il problema deilavoratori anziani non sarà risolto definitivamente coiprovvedimenti a favore degli “esodati”. Innanzitutto anche neiconfronti di questi lavoratori occorrerà mettere in campointerventi di politica attiva, di “active aging” e di incentivi neiconfronti delle imprese per impedire che esse si liberino troppopresto di questi lavoratori.

Ma non vi è dubbio che, alle risorse già messe in cantiere,occorrerà aggiungerne di ulteriori. Potranno servire perincentivare forme di part-time intergenerazionale ( di ungiovane e di un anziano, sullo stesso posto di lavoro) oppureper prolungare oltre il 2016 l’attuale sistema diammortizzatori sociali che potrà garantire il sostegno delreddito nel periodo intercorrente tra la fine del lavoro el’inizio della pensione. Non è da escludere infine lareintroduzione di qualche forma di flessibilità nella sceltadell’età pensionabile da parte dei lavoratori anziani,naturalmente con le dovute cautele, che non stravolgano lariforma e mettano a repentaglio i risparmi annuali che, aregime la riforma dovrà garantire.

Sarà difficile trovare nuove risorse e creare posti di lavoroaggiuntivi e di buona qualità senza riprendere decisamente ilcammino della crescita. È difficile fare politica del lavoro epolitica del welfare con lo strumento della “coperta corta” :si tira da una parte , ma ci si scopre dall’altra. La crescita è lavera risposta ai problemi del lavoro e del welfare. Le politichedel lavoro devono essere coniugate con le politichemacroeconomiche, quelle dei settori produttivi e quelle dellacompetitività del sistema economico.

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Occorre uninvestimento pubblico

che accompagnil’investimento privato

nel capitale umanodei giovani, attraversoservizi più efficaci che

formino, orientino eaccompagnino igiovani verso il

lavoro.

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l grande rilievo che il “Corriere della Sera”attribuisce agli scritti di Alberto Alesina eFrancesco Giavazzi fa di loro i principali maitre àpenser del liberismo italiano. Tanto rilievo sigiustifica con la popolarità delle loro tesi presso il

ceto dirigente dell’economia, ancorché, quando convenga,taluni esponenti di questo ceto si riservino il diritto dideviare dal verbo.

Ma il rilievo editoriale e la popolarità presso le elitepossono di per sé ridare consistenza all’idea ottocentesca dellaissez faire? Per conquistare consensi, è possibile sostenere(come hanno fatto Alesina e Giavazzi) che il liberismo sia disinistra? Ne dubito. Si stupirà il borghese, ma poi? Aldunque, covare un uovo di destra in un nido di sinistra,perché di questo si tratta in termini di culture politiche,costituisce una scorciatoia buona soltanto a confondere leacque: non serve alla destra italiana per uscire con piglioeuropeo dal ventennio berlusconiano e non aiuta la sinistra aritrovare sé stessa oltre i miti novecenteschi, pre e postprivatizzazioni.

La Grande Crisi – e lo abbiamo visto nella campagnaelettorale americana – ripropone al centro del dibattitopolitico il ruolo dello Stato nell’economia: se il governodebba limitarsi alla regolazione, la più blanda possibile, o sepossa non solo regolare ma anche intervenire con incentivi edisincentivi e con l’assunzione di partecipazioni al capitale ditalune imprese; più in generale, se tutte le attività dove simaneggia denaro debbano essere votate al massimo profittoo se esistano aree come la sanità, l’istruzione e la previdenzada gestire anzitutto come diritti di cittadinanza.

Questa contesa intellettuale è antica, ma nuovo è ilcontesto. La Grande Crisi mette in risalto la forza delcapitalismo di Stato nelle economie emergenti. Si tratta di un

I maître à penser liberisti

e la politica industriale

Massimo Mucchetti è giornalista

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capitalismo senza alcun riferimento alla culturasocialdemocratica e rooselveltiana, e spesso senza istituzionipolitiche democratiche di tipo occidentale alle spalle. Eppure,esiste e dilaga, forte di radici culturali proprie, extraeuropee.L’energia, per dire del settore più delicato, è sottoposta alferreo controllo dei colossi di Stato di Paesi autoritari.Stiamo a discettare se l’Eni debba essere privatizzato e meno,ma che cosa cambierebbe di fronte alla Saudi Aramco o aGazprom? Meno di nulla.

In Occidente, la crisi ha esaltato la funzione dei governiquali prestatori di ultima istanza con le banche centraliridotte a loro braccio secolare. Il debito del settore privato èstato compensato dall’aumento del debito della manopubblica in quasi tutti i Paesi dell’Ocse. La ripresinaamericana è figlia di giganteschi finanziamenti pubblici.Ovunque la manovra sui tassi d’interesse è artificiale. Qualipossano essere le conseguenze sui sistemi politici non èancora chiaro. Le forze in precedenza predominanti e tuttorain sella cercano di non pagare dazio riproponendosi come

l’architrave dell’unico modellopossibile di capitalismo.

In realtà, il loro sedicenterealismo offre unarappresentazione della realtàpesantemente manipolata.Con la demografia, laproduzione, i commerci e letecnologie attuali, non è inquestione il capitalismo in sécome lo era nella criticamarxiana, ma il modello dicapitalismo – meglio, comedirebbe Amartya Sen, laforma di economia di mercato– che si ritiene più utile alPaese. Ed è in questo quadroche va ridiscusso il ruolo delloStato e del Governo.

Un esempio. Denunciare glisprechi nell’incentivazionedelle fonti rinnovabili per laproduzione elettrica non bastaa smontare l’idea stessa dipolitica industriale come

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pretendono Alesina e Giavazzi. Prima di loro, quando ancorasi poteva fermare lo spreco, altri avevano mosso le stessecritiche suscitando le ire di ministri berlusconiani,associazioni d’impresa e di non pochi esponenti di unasinistra ecologista restia a far di conto. Ebbene, per queiprimi critici – se posso dirlo, ero fra loro – la politicaindustriale non costituisce né un totem né un tabù, ma unaserie di scelte da ponderare nel merito.

Quella politica di incentivazione era il frutto avvelenato dipressioni lobbistiche. Ma l’idea di incentivare la green economyse il mercato latita non è sbagliata di per sé. Da evitare sonogli incentivi più elevati dell’indispensabile e la lorodestinazione verso attività che, a parità di costo per lo Stato,generino meno lavoro e più importazioni.

Il parziale recupero fiscale dei piccoli investimenti sugliedifici ha favorito la spesa dei privati per il risparmioenergetico. L’Italia ha case migliori e ha fatto lavorare leimprese. Anche questa è politica industriale. Che cosa,questa, ha di sbagliato?

Ma il vero chiodo fisso dei liberisti italiani è la Cassadepositi e prestiti ritenuta con sovrana ignoranza il fantasmadell’Iri. Ne propongono la privatizzazione dimenticando chela sua raccolta, effettuata dalle Poste, è garantita dallo Stato. Siangustiano se vara un fondo di private equity che intervieneper ricapitalizzare le medie imprese in crescita restandocomunque in minoranza e non considerano che questainiziativa non impedisce certo agli altri private equity di faremeglio: le medie imprese sono 4-5 mila, c’è gloria per tutti.

Raccontano di una Cassa che ha partecipazioni nell’Enel enelle Poste, mentre non le possiede più da anni.Dimenticano che il pacchetto Eni è un portage per il Tesoro equello Generali è stato affidato in conto vendita dalla Bancad’Italia. La Cassa, certo, ha varato un fondo strategico chepuò investire in alcune grandi aziende, purché sane. Ecomunque gli interventi restano in competizione con ilprivato. Checché se ne dica, i mutui ai Comuni la Cassacontinua a farli come all’epoca di Cavour.

Potrebbero essere di più? Certo. Ma non è la Cassa alesinare. È il Patto di stabilità a fermare gli investimenti deglienti locali. Dà fastidio che la Sace sia pubblica e stia oradentro la Cassa. Ma qual è il Paese che esporta di più? LaGermania, mica il Regno Unito. E chi assicura il creditoall’esportazione tedesca? La società specializzata della KfW,consorella della Cassa italiana. E in ogni caso niente

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Il vero chiodo fisso deiliberisti italiani è laCassa depositi eprestiti ritenuta consovrana ignoranza ilfantasma dell’Iri. Nepropongono laprivatizzazionedimenticando che lasua raccolta,effettuata dalle Poste,è garantita dalloStato.

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impedisce alle banche e alle assicurazioni di fare credito alleesportazioni e garantirlo.

C’è libertà. La si usi. Se ce ne fosse bisogno, in linea diprincipio si potrebbe pure privatizzare la Sace. Ma questonon darà di per sé un servizio migliore. Come testimonia lalunga e triste storia di Telecom Italia, la madre di tutte leprivatizzazioni sulla quale i liberisti tendono a tacere perchémette in croce la loro propensione verso l’economia deldebito. Che senso ha voler scassare la nostra storia, anzichémigliorarla, in nome di una purezza mercatista che nessunoin realtà pratica, a cominciare dagli Usa dove tuttora operanomigliaia di aziende pubbliche di rooseveltiana memoria,finanziate per 2500 miliardi di dollari dal mercato a tassifiscalmente incentivati?

L’ultimo argomento che i liberisti usano per contrastareil “mito neostatalista” è l’innovazione. Nel dopoguerra,dicono, bastava copiare l’America, e dunque la politicaindustriale poteva andar bene all’Italia dell’Iri, di Cuccia edi Agnelli. Ma, adesso che siamo nell’era dell’innovazionepermanente, ve li immaginate quattro burocrati ches’inventano Facebook in una stanza dell’Iri? Purtroppo,quando si riduce a caricatura della storia, la foga polemicafa dimenticare come Facebook, Google e tutti gli altri Overthe top operino su un’infrastruttura, Internet, che è statapromossa dalla Difesa e dalle Università americane conun’operazione di politica industriale classica. D’altra parte,la Cina ha sorpassato gli Usa nel numero di brevettidepositati in un anno. Vogliamo parlarne?

Forse, sarebbe più pertinente domandarsi come mai laprivatissima Fiat investa in ricerca e sviluppo meno dellasemipubblica Volkswagen, e come mai la Montedison, chealla fine degli anni Cinquanta depositava 1600 brevettil’anno, una volta aperta al mercato finanziario, abbiachiuso l’ufficio brevetti così come la Telecom privatizzataabbia smantellato lo Cselt.

Ma così si passerebbe dalle prediche alla classe politica,meritevole di ogni censura e al tempo stesso inoffensiva, alconfronto diretto con chi ancora tiene le chiavi della cassa. Eallora meglio contrastare il concetto astratto di politicaindustriale. Non si rischia di farsi male, ma così non si aiuta ilPaese e nemmeno si aiuta la destra italiana a diventare unadestra europea.

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Nel dopoguerra,dicono, bastava

copiare l’America, edunque la politicaindustriale poteva

andar bene all’Italiadell’Iri, di Cuccia e

di Agnelli. Ma,adesso che siamo

nell’eradell’innovazionepermanente, ve li

immaginate quattroburocrati che

s’inventanoFacebook in unastanza dell’Iri?

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er trasformare la società e costruire un’Italiagiusta, non ci si può accontentare solo dicambiare il modo di fare politica. Non bastasolo promuovere l’onestà, il rigore, la giustizia ela coerenza. Non basta nemmeno cercare

soluzioni economiche efficaci per affrontare i problemi legatialla globalizzazione e allo spread. Tutto ciò è necessario, manon sufficiente.

Ecco perché, all’interno dell’agenda politica della sinistrariformista, la promozione dei diritti e delle libertà individualinon può non occupare un posto assolutamente centrale, adifferenza dell’agenda della destra che si concentra quasiesclusivamente sulla libertà economica promuovendo alivello sociale una visione conservatrice e individualistadell’essere umano.

L’homo homini lupus della tradizione hobbesiana in chiave dicompetizione economica (il “vinca il migliore” per dirla intermini molto semplici) non prende in considerazione ledisuguaglianze e le differenze che caratterizzano l’umanità, ilfatto che esistano fattori sociali, economici, culturali epsicologici che impediscono a molti di poter sviluppare almeglio le proprie competenze, oltre alla banale e sempliceevidenza che il “vivere insieme” non può mai prescinderedalla protezione dei più indifesi, dal rispetto e dalla tuteladelle diversità e dalla promozione delle pari opportunità pertutti, indipendentemente dal sesso, dall’orientamentosessuale, dal colore della pelle, dal credo religioso e dallecondizioni socio-economiche di partenza.

Spesso, non è affatto il migliore a vincere. Vince chi èprivilegiato, vuoi perché nasca in un ambiente favorevole

Diritti e libertà della personaMichela Marzano insegna filosofia morale all'Université Paris Descartes

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grazie al quale può avere accesso a tutte le risorse, vuoiperché corrisponda agli standard di “normalità” promossidalla maggioranza (ma che cosa è “normale” e cosa non loè? chi definisce la “norma”: la natura, il consenso, ilmercato, le élites…?)

La grande sfida della sinistra consiste oggi nelpromuovere, al tempo stesso, l’uguaglianza e la libertà ditutti. È d’altronde puramente illusorio voler separare, oaddirittura contrapporre, questi due concetti. Quando siparla delle persone, non c’è uguaglianza senza libertà,esattamente come non c’è libertà senza uguaglianza.

Soprattutto quando per libertà non si intende solo la“libertà come non interferenza” – la famosa libertà da dellatradizione filosofica liberale – ma anche la “libertà come nondominazione”, ossia la libertà di della tradizione repubblicana:quella libertà effettiva che dovrebbe permette a tutti e a tutte,e in modo egualitario, di partecipare alla “cosa pubblica”.

Per costruire una società giusta, come ci ha insegnato JohnRawls, non basta identificare una serie di meccanismiistituzionali astratti: ognuno di noi non è solo un agenterazionale capace di decidere cosa sia o meno giusto fare“sotto un velo di ignoranza” e quindi indipendentementedalla realtà concreta in cui si iscrive; ognuno di noi è frutto diuna storia determinata e appartiene ad una realtà socio-economica e culturale specifica; ognuno di noi ha le propriefragilità, le proprie fratture, le proprie caratteristicheindividuali che lo rendono unico e diverso da tutti gli altri.Ecco perché solo una società che sia capace di offrire allepersone possibilità concrete per realizzare ciò cuiattribuiscono un certo valore (le “capabilities” di cui ci parlaAmartya Sen) può essere considerata giusta.

Certo, la libertà d’azione non è mai assoluta. Promuovere lalibertà individuale non significa permettere a chiunque di faresempre qualunque cosa desideri: la nostra libertà non può nonessere sottoposta a determinate regole, prima fra tutte ilrispetto degli altri e della loro libertà. Promuovere la libertàsignifica fare in modo che ogni persona abbia il diritto discegliere come condurre la propria vita, senza costrizioni ointimidazioni, indipendentemente dal colore della propria pelle,dalla propria identità e dal proprio orientamento sessuale.

La libertà è, infatti, il cardine dell’autonomia: è ciò chepermette ad ognuno di noi di diventare attore della propriavita. Ecco perché solo una visione della politica centrata suidiritti di ogni persona può permettere di promuovere

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La grande sfidadella sinistra consisteoggi nel promuovere,

al tempo stesso,l’uguaglianza e la

libertà di tutti.È d’altronde

illusorio volerseparare , oaddirittura

contrapporre, questidue concetti.

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l’autodeterminazione individuale: decidere come e con chivivere; se avere o meno dei figli, ricorrendo allafecondazione assistita o adottando, come single o in coppia,sia questa etero o omosessuale; se prolungare o meno lapropria vita quando si è in fase terminale di una malattiaincurabile, ecc.

Come direbbero T.L. Beauchamp et J.F. Childress, autoridel magistrale Principles of Biomedical Ethics (OxfordUniversity Press, 1979), quando si parla di questioni dibioetica, l’unico modo per trovare soluzioni eque ed etiche èquello di combinare tra loro quattro principi: il principio diautonomia, il principio di beneficenza, il principio di nonmaleficenza e il principio di giustizia.

Al tempo stesso, affinché la libertà non resti un valoreastratto, è necessario organizzare le condizioni adatte al suoesercizio, prima tra le quali l’uguaglianza. Se non si hanno glistessi diritti che hanno gli altri e se non si ha la possibilitàmateriale di farli valere, non si può essere liberi né di scegliereciò che si vuole fare né di realizzare ciò che si desidera.

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Ecco perché, tra gli obiettivi che si pone la sinistra, c’èanche quello di lottare contro ogni forma di discriminazione:l’accesso ai diritti (l’istruzione, la sanità, il lavoro, ecc.) nondeve dipendere né dal colore della pelle, né dalla religione, nédal sesso, né dall’orientamento sessuale, né dal proprio stato disalute, né dalle proprie condizioni economiche. Il che implical’impegno di portare avanti una serie di “affermative actions”che permettano tanto alle minoranze quanto alle classi socialipiù svantaggiate di accedere alle stesse opportunità che hannola maggioranza o le classi sociali più abbienti.

È all’interno di questo contesto che la sinistra si impegna apromuovere la piena parità tra gli uomini e le donne,condizione necessaria per il conseguimento degli obiettivi dicrescita, occupazione e coesione sociale; la cittadinanza aifigli degli immigrati nati in Italia; l’autodeterminazione deipazienti; la libertà della ricerca. Abili e disabili; eterosessuali,omosessuali, transessuali e transgender; credenti e atei; tuttidevono poter essere riconosciuti uguali in termini di diritti,nonostante le differenze che li caratterizzano.

Una società giusta che promuova la libertà e l’uguaglianzanon deve negare l’esistenza delle differenze; deve, alcontrario, riconoscerle e valorizzarle in quanto tali, senza chela differenza implichi inegualità di trattamento odiscriminazione. È proprio attraverso quest’evoluzione deidiritti fondamentali che si potrà creare una società che sia altempo stesso più equa e più efficace: l’efficacia di cui parlanotanto alcuni esponenti della destra o del centro non puòessere raggiunta con i mezzi angusti di un liberismo che nonsi preoccupa della complessità antropologica (fatta diricchezza e di fragilità) degli esseri umani, ma con politicheinclusive che rafforzino la libertà e combattanodisuguaglianze e discriminazioni.

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Tra gli obiettivi chesi pone la sinistra,c’è anche quello dilottare contro ogni

forma didiscriminazione:

l’accesso ai diritti(l’istruzione, la

sanità, il lavoro,ecc.) non deve

dipendere né dalcolore della pelle, né

dalla religione, nédal sesso, né

dall’orientamentosessuale, né dalproprio stato disalute, né dalle

proprie condizionieconomiche.

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ome superare quel dannosissimo bipolarismoetico che, nell’ultimo decennio, ha contrappostoi principi morali a un soggettivismo relativista ? Questa sarà una delle sfide difficilissime cheaspettano il nostro paese, non meno delle

questioni economiche .Un terreno complicato per una sinistra che se vuole

governare davvero deve trovare il piano delle possibilità,individuare cioè possibili terreni di intesa su significativi temietici, su quelli che potremmo chiamare “valori umanamenteirrinunciabili” (la definizione: ”principi non negoziabili”, conil suo spirito da vertenza sindacale, non mi sembra adatta allafragilità dei delicati momenti in cui inizia e finisce una vita).E per trovare intese e condivisioni senza scadere incompromissorie terze vie, difensive e false, occorre una piùmatura idea di laicità, una laicità positiva in gran parte dareinventare, essendo logorata quella che esce dalla storia delNovecento.

Non è facile, dicevo, ma io credo sia possibile. Oltre chemoralmente e civilmente necessario. Come prima cosariprendiamo, dunque, i termini essenziali del dibattitosulla laicità.

I regimi di religious freedom che vigono nel mondoanglosassone consentono, assai meglio del modello di laicitèfrancese, una più autentica libertà religiosa del soggetto neiconfronti dello Stato che non si erge a giudice e arbitroassoluto, facendosi paladino della “sua”, unica morale,ritenendola, impropriamente, laica.

Sta qui il primo grande “equivoco” storico-teorico: il nonavere capito la differenza tra illuminismo e liberalismo, tra

Le radici di unalaicità positivaEmma Fattorini insegna Storia contemporanea all'Università «La Sapienza» di Roma

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illuminismo e democrazia: un illuminismo che vede nelcattolicesimo il suo più grande nemico e un liberalismo chepotrebbe aiutare invece la chiesa ad accettare la democrazia ela libertà dei diritti civili. Perché la storia della laicità cattolicasi gioca tutta in quella distinzione.

E, allora, se il modello anglosassone della religious freedom èlontano dalla nostra storia e quello francese della laicitè èprofondamente sbagliato, il percorso tedesco è quello piùsimile al nostro e più utile, in quanto vede l’ intrecciarsicontinuo del tema della responsabilità – libertà – democrazia.L’evoluzione ( e direi più che altro l’involuzione) delconcetto di laicità per i cattolici italiani ha visto passare dallaprogressiva conquista dello stare nel mondo, come tutti gliuomini, al ritorno a volere rimarcare una diversità difensiva,che con la fine della Democrazia cristiana è diventata difesaspaventata dei propri interessi di parte, siano essi spirituali omateriali, gestita in prima persona dalle gerarchie.

Quale laicità, allora? Vorrei segnalare un libro moltoimportante, purtroppo non ancora tradotto, che ci apre allamigliore strada per una laicità positiva: Martin Rhonheimer,Christentum und Saekularer Staat, Herder 2012 ( pp.472).Anche questo cattolico liberale vede nella Dignitatis humanae

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(1965)il punto di arrivo più alto del difficile cammino dellalaicità: con essa si afferma la legittimità della “libertà dicoscienza”, negata strenuamente fino ad allora. Si spezza quiil nesso libertà- verità che limitava la prima al rispetto dellaseconda. Si supera il modello di cristianità riconoscendo ilvalore della laicità dello Stato non più come male minore macome scelta ottimale anche per il cristiano.

È l’incontro pieno dei cattolici con la democrazia, non piùun’ opzione tra le tante possibili ma quella a cui i cattolicidevono concorrere insieme a tutti gli altri cittadini, senzasuperiorità ma senza inferiorità. Secondo la Dignitatishumanae la libertà religiosa deve essere regolata secondocriteri politici e non religiosi. Naturalmente ci sono obiettivicriteri di Verità per la Morale. Ma lo Stato secolare non lipuò garantire in modo assoluto. La morale pubblica, così, èsottoposta sempre anche a un processo culturale e alconsenso politico. È questa la logica democratica.

È nella responsabilità dei cittadini cristiani, ma non dellaChiesa istituzione, di improntare la struttura della società congli obiettivi valori etici. In ultima istanza le proceduredemocratiche, prosegue sempre Rhonheimer, non possonoessere considerate accettabili o meno , legittime o meno,sulla base della congruità dei loro risultati con le legginaturali e le verità rivelate. I limiti invalicabili alla volontàdemocratica sono esclusivamente quelli costituzionali.Giovanni Paolo II fa un passo ancora ulteriore perché mettela persona al centro e con la Centesimus annus vieneassolutamente chiarito che il riferimento della libertà allaverità è proprio della coscienza di ciascuna persona e nonappartiene più alla dialettica tra poteri.

Si precisa che la Chiesa come istituzione non potrà maifarsi democratica e che d’altra parte una dualità tra poteri(spirituale e mondano) è garanzia di libertà come la storiadell’Occidente dimostra. Tuttavia essa può funzionare soloin un quadro di piena distinzione. Solo in tal modo la Chiesadà fondamento valoriale alla democrazia.

Ma questo non può significare che la Chiesa facciadiscendere la legittimazione della democrazia dal suocompimento valoriale. Insomma, la conclusione è che sidebba contrastare ogni relativismo morale pilatesco ma sidebba rispettare serenamente il legittimo relativismopolitico. In questo senso ogni democrazia è politicamente efunzionalmente relativista e cioè aperta all’esito del voto. Lalaicità integralista è dal canto suo intrinsecamente giacobina

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La morale pubblica,così, è sottopostasempre anche a unprocesso culturale eal consenso politico.È questa la logicademocratica.

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e non democratica perché nasconde la spinta a una religiositàsecolare di Stato. Anche per questo bisogna vigilare sempresui sacrosanti limiti della politica.

Ma se alla politica si deve chiedere di essere laica nonmeno lo deve essere la chiesa.

La prolusione tenuta da Bagnasco al Consiglio episcopalepermanente conclusosi il 31 gennaio contiene spunti nonesauribili alla mera cronaca politica: accogliente e nonpunitiva eppure sempre intransigente sui consueti valorinon negoziabili.

L’approccio e la gravità del monito mi ha ricordatoun’altra prolusione : quella della Conferenza episcopale delMezzogiorno nel 1948, ancora oggi così sentita nellecomunità cattoliche meridionali.

Anche allora si chiamavano i cattolici a non disertare leurne e lo si faceva con una premessa: il nesso strettissimo,indistricabile tra la propria fede e l’impegno verso laricostruzione della nazione.

I vescovi del nostro martoriato Sud lo facevanoappellandosi, ripetutamente, a non essere “cattolici difacciata”, a non esserlo solo per tradizione, abitudine ointeresse sociale e neanche per assecondare il propriovescovo o parroco. Insomma incitavano a testimoniare lapropria fede con l’ impegno in una politica che migliorasse lecondizioni materiali di quel paesaggio di macerie. Un testobellissimo tutto da rileggere.

Ma torniamo alla prolusione attuale. Il tono non è quellodella proclamazione astratta di principi non negoziabili, in unvademecum da programma elettorale sui quali tutti icandidati cattolici dovrebbero prestare giuramento di fedeltà.

C’è piuttosto un ragionamento che parte dal senso unitivodella persona, che se non è fatta solo di bisogni materiali e digiustizia sociale, come la chiesa ha sempre giustamenterimproverato alla sinistra, non è neanche solo un purodistillato di principi etici, non negoziali, che sembranoprescinderne. Perché in mezzo c’è la vita concreta dellasingola persona, in altri termini tra l’inizio e la fine della vitac’è la sua durata, la vita concreta nel suo svolgersi.

Insomma bisogna incidere anche sulle ragioni materiali,come la povertà, quando una donna sceglie di abortire osugli interessi economici che stanno dietro le manipolazionidegli embrioni. Il senso più profondo della “questioneantropologica” è quello declinato da Benedetto XVI quando,nella Caritas in veritate afferma che “la questione sociale è

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diventata radicalmente questione antropologica”. Ma perché i principi irrinunciabili, quelli naturali e

universali dell’umano, siano rispettati bisogna che sianodavvero quelli essenziali. Ed è sulla scelta dei quali che lapolitica dopo le elezioni si dovrà misurare.

Non ne faccio ora l’elenco ma ad esempio è difficilepensare che le unioni civili vengano considerate “nonnegoziabili” al pari della procreazione in una unioneomosessuale o che l’eutanasia sia al pari della sospensionedelle cure quando vi fosse un palese accanimento.

Mancanze di distinzioni che sarebbero giustificate dalla“paura del piano inclinato”. Ma se non si inaugura lastagione delle distinzioni, i rischi del piano inclinato simaterializzeranno al contrario, come dimostra il casofrancese. Lasciando una comunità divisa e ferita.

Una cultura della condivisione dei principi essenziali,come la difesa della vita, la libertà di coscienza e la famiglia,non è solo un escamotage politico per aiutare la comunitànazionale a trovare la sua forza e unità in un momento cosìgrave, ma anche il segno di un messaggio pastorale che sirivolge al cuore delle donne e degli uomini cristiani.

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Ma perchè i principiirrinunciabili, quellinaturali e universalidell’umano, sianorispettati bisogna chesiano davvero quelliessenziali. Ed èsulla scelta dei qualiche la politica dopole elezioni si dovràmisurare.

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a mia lunga esperienza professionale inmagistratura mi ha portato a praticare una certaidea della società in base alla quale, percombattere piaghe storiche del nostro paesecome illegalità e impunità, occorre che le

istituzioni e i cittadini siano uniti in un fronte unico.Questa alleanza di civiltà è molto forte quando trova una

sponda nella politica, sia essa di destra o di sinistra. Loschema è semplice: da una parte c’è la mafia, il crimineorganizzato, l’illecito arricchimento, il sopruso e laprepotenza, dall’altra c’è chi vuole combatterli, estirparli.

Non c’è alcun dubbio che i maggiori risultati contro lemafie sono stati raggiunti grazie ad iniziative nate dallacollaborazione a tutto campo delle forze politiche. Facciamoun solo esempio di alto profilo: la legge Rognoni-La Torreapprovata nel settembre del 1982.

L’impegno e l’esperienza di un uomo di eccezionalevalore, un’avanguardia della nostra Sicilia, Pio la Torre,insieme al contributo convinto, serio, di uomini come l’alloraministro della Giustizia, Virginio Rognoni, e dalla gran partedella Democrazia Cristiana – anche di quella siciliana, guidatada un altro uomo di grande coraggio, Piersanti Mattarella –portarono alla attuazione di una normativa di grandespessore giuridico e culturale.

Quella legge introdusse per la prima volta nel nostrocodice penale la previsione del reato di “associazione di tipomafioso” e la conseguenti misure patrimoniali, cioè lapossibilità di confiscare beni derivanti dall’accumulazioneillecita di capitali.

Prima di allora, era molto difficile perseguire un mafioso

Legalità, fronte comune

e distinzioni politiche

Piero Grasso è stato Procuratore nazionale antimafia

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anche perché non c’era un reato specifico, i magistratipotevano applicare solo quello molto generico diassociazione a delinquere.

La legge fu una vera rivoluzione per il nostro paese, forsesarebbe stata impossibile senza una solida convergenzapolitica, che però per realizzarsi ebbe bisogno di ben dueomicidi cosiddetti eccellenti: non solo quello del suoideatore, ma anche del prefetto Dalla Chiesa.

Come magistrato, perciò, ho sempre cercato di lavorareper rendere efficaci i nostri strumenti investigativi, direpressione e prevenzione, sollecitando i responsabilidell’azione legislativa ed esecutiva al di là della loroappartenenza politica o di partito.

Inoltre, ho sempre evitato di mostrare pubblicamente lemie convinzioni o i miei orientamenti politici perché ladiscrezione e la riservatezza sono essenziali per esercitareliberamente e senza nessun tipo di condizionamento l’azionepenale.

È addirittura poco noto, ad esempio, che ho lavorato nelcorso di due legislature come consulente della Commissioneparlamentare antimafia insieme a due presidenti di notevolecalibro, Gerardo Chiaromonte e Luciano Violante.

Ricordo che insieme a Giovanni Falcone ridevamo moltoquando qualcuno tentava di darci una targa politica: aseconda dei soggetti coinvolti nelle nostre inchieste ciattribuivano l’identità di uomini di sinistra o di destra.

Quando Giovanni si fece crescere la barba eranaturalmente molto più di sinistra, proprio come ironizzavaGaber nella sua famosa invettiva e spesso diceva: « possibileche non gli stiamo bene solo come magistrati?». Con lui hoavviato una dura e promettente esperienza di riforme alministero della Giustizia, interrotta dalla strage di Capaci:spero di riannodare quei fili oggi, dai banchi del Senato, conl’unica preoccupazione di capire quali siano le leggi giusteper migliorare il nostro sistema giudiziario.

Detto tutto questo, però, non sono affatto d’accordocon chi dice che oggi le distinzioni tra destra e sinistra noncontano più, sono superate, roba di archeologia politica.Questo è un argomento qualunquista oppure uno slogandalla destra liberale, usato per confondere un po’ le idee, perdire che non ci sono differenze sociali, che basta togliere letasse a tutti, a quelli che guadagnano moltissimo e a quelliche non hanno niente, e poi lasciare a briglie sciolte i mercatiper far andare bene il paese.

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Come magistrato,perciò, ho semprecercato di lavorareper rendere efficaci inostri strumentiinvestigativi, direpressione eprevenzione,sollecitando iresponsabilidell’azionelegislativa edesecutiva al di làdella loroappartenenzapolitica o di partito.

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In realtà, destra e sinistra sono realtà politiche e sociali bendistinte e presenti in tutti i paesi dell’Occidente. Certamentela fine della Guerra Fredda ha attenuato i contrasti ideologicie aperto nuovi orizzonti dentro i quali, tuttavia, sonotutt’oggi sempre valide queste categorie della politica, perchéil riformismo non è affatto un’aspirazione neutra.

Il nostro programma di governo, se vuole restituirefuturo e speranza al nostro paese, non può non essere disinistra e non dobbiamo avere paura a dirlo. Preoccupiamocisolo di combattere il trasformismo, il populismo e lademagogia: questi sono i veri nemici della democrazia, lecarte preferite di tutti i pifferai, qualsiasi sia la faccia con laquale si presentano.

Ma, se destra e sinistra esistono ancora, qual è il lorosignificato attuale? Io credo che la chiave per comprendere epraticare questa diversità sia il valore dell’uguaglianza, cosìcome insegna il filosofo Norberto Bobbio il quale spiegaanche che i concetti di destra e sinistra cambianocontinuamente.

Non c’è dubbio che oggi essi significano qualcosa didiverso rispetto al passato. Dopo la caduta dei fascismi cheavevano imperversato in Europa nei primi decenni delNovecento, la destra sembrava essersi polverizzata. Oggi,dopo la caduta dell'Impero comunista sovietico, ci si chiedese abbia ancora un senso parlare di sinistra.

Ciò nonostante si tratta di concetti ben definiti nella lorospecificità e diversità. La sinistra che si candida a guidare ilpaese si impegna a superare e rimuovere gli ostacoli cherendono meno uguali gli uomini e le donne, come vuole lanostra Costituzione, a superare le discriminazioni di naturasociale, economica, di razza, di religione, di sesso chepersistono e si sono notevolmente accentuate nel nostropaese dopo il ventennio dei governi berlusconiani.

La sinistra che vuole guidare il Paese crede nell’azioneriformatrice e benefica del governo e del legislatore pergarantire una adeguata distribuzione tra tutti i cittadini dellericchezze del paese. Non c’è bisogno di elencare unprogramma di governo di sinistra: non è mio compito farlo.

Voglio però affermare che il presunto superamento dellecategorie di destra e sinistra abbia un’insidia di fondo, ossiafar credere che oggi c’è bisogno di meno ideologia, menopartiti, meno governo, in una parola di meno politica. Ecco,io credo che invece ci sia bisogno molto della politica, intesacome luogo di discussione e di elaborazione degli strumenti

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Il nostro programmadi governo, se vuole

restituire futuro esperanza al nostropaese, non può nonessere di sinistra e

non dobbiamo averepaura a dirlo.

Preoccupiamoci solodi combattere iltrasformismo, ilpopulismo e la

demagogia.

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del cambiamento e del governo del paese. Oggi ce n’è più bisogno di prima, in un certo senso, se

pensiamo alla complessità dei problemi dettati dallaglobalizzazione e dai grandi fenomeni come, ad esempio, acambiamenti climatici: come è pensabile affrontarli senza lapolitica? La destra li ha affrontati con il liberismo sfrenato:non basta per affermare che la loro ricetta è sbagliata?

Oggi, mentre il mondo gira ad una velocità eccezionale,l'Italia, afflitta da un'ultradecennale ingovernabilità, é rimastaferma, anzi in costante recessione. E' venuto il tempo, dopoessere arrivati al fondo del baratro, di una visione chiara delfuturo del Paese, che generi riforme che ne risolvano glieterni problemi su temi concreti, come le tasse, il lavoro, lepensioni, lo sviluppo delle imprese, il ruolo delle banche,l'istruzione, la ricerca, per citare quelli prioritari. E, in nomedell'eguaglianza sociale e del rispetto dei diritti dei deboli, taliscelte riformiste per essere efficaci non possono che essereorganiche, senza compromessi e di sinistra.

La distinzione fra la destra e la sinistra esiste, dunque, ed ènettissima. Dobbiamo riaffermarla con forza e con orgoglioperché le condizioni di vita di milioni di persone, nel nostroPaese e fuori, testimoniano che la sinistra non solo non haancora potuto compiere il proprio cammino, ma ha ancoramolta strada da fare.

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iciamo subito che non sono categorie assolute,destra e sinistra si definiscono l'una in ragionedell'altra. Vediamo cosa è la tua destra e ti diròquanto sei di sinistra. Lenin, per il suorealismo, è stato persino considerato di destra.

Roosevelt di sinistra, perché dopo la Grande Depressioneha provato a introdurre qualche regola che impedisse alcapitalismo finanziario di farsi male.

E diciamo che lo spazio politico non è retto né piano.

Oltre gli stereotipiCorradino Mineo è giornalista

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Paul Sweezy

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Ricordo come Paul Sweezy e il gruppo della Monthly Reviewa un certo punto flirtassero con l'idea che si potessecambiare addirittura la natura umana nel corso di qualchegenerazione. Utopismo molto di sinistra che finisce con ildistruggere ogni sinistra, quando non serve per giustificarePol Pot e la barbarie dei Khmer rossi.

Ma come giudicare un radicale di destra come ilsimpatico Samorì, che vuole interdire per legge il motore ascoppio? Spingendosi troppo oltre, verso destra o versosinistra, non si può mai sapere dove si finisce. La politicanon è una linea retta disegnata sul piano.

Dopo l'illuminismo e la rivoluzione francese, di sinistraè chi si batte per i diritti scritti sulla Carta e per il diritto ditutti ad avere diritti, contro il diritto che il sovrano usurpaa Dio, che è poi diritto al sopruso. Ma dal 1848, sidefinisce di sinistra chi sta dalla parte della classe deiproletari. Mentre la destra sostiene il diritto del capitale adaccumulare, sia che l'accumulazione si serva di dazidoganali sia che abbia bisogno del libero mercato.

La guerra, dal 1970 in poi, è di destra, ma coinvolge edilania le sinistre, fino alla carneficina del 1914, con iproletari che i generali mandano a morte in assalti suicidi omettono al muro per diserzione. Fino alla rivoluzione(russa) che firma la pace con il nemico.

Si può probabilmente sostenere che di destra sia ognitotalitarismo, che irreggimenta le masse in nome dellaragion di stato e promette un'uscita dalla storia. Ma quellostaliniano, non meno bugiardo del nazista, fu vissuto comedi sinistra : non prometteva l'Eden a un popolo e a unarazza ma a tutti i proletari in tutto il mondo.

Con l'avvento della televisione e con il '68 lacontrapposizione destra - sinistra é diventataantropologica. Sei giovane, scommetti sull'impossibile,pretendi più qualità della vita, ami la natura e chiedi che lasi sfrutti in modo sostenibile, preferisci le rivoluzioni alleguerre : di sinistra. Realista, in doppio petto, difensoredella Morale, dello Stato e della Guerra (quando ci vuole),di destra.

Ma poi il capitalismo rampante ha smesso di infilare latesta nel petrolio e si è buttato sul marketingcomunicativo, si è tuffato nella elegante semplicità (perl'utente) dell'informatica, ha puntato sui beni immaterialie sul grande affare dell'ecologia. Ha cominciato a vestirsida fighetto. Di sinistra? Certo, una parte della sinistra lo ha

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Con l'avvento dellatelevisione e con il'68 lacontrapposizionedestra - sinistra édiventataantropologica.

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vissuto come un modello con cui confrontarsi, magari perliberarsi dalla scoria di una ottocentesca e insostenibilepesantezza della spesa per lo stato sociale.

E oggi? Il capitalismo finanziario del secondo millennioha prodotto, con i derivati, un guaio non meno grosso diquello del suo predecessore (il capitalismo) del primonovecento. Ecco che la sinistra cerca regole. E svilupposostenibile. Davanti ai ricchi sempre più ricchi, è di sinistrachi sostiene che tutti debbano contribuire, secondo il lororeddito, alle spese del benessere. La sinistra chiede legalità.Uguali opportunità. E diritti per tutti.

La destra coccola "gli istinti animali" del capitalismo,convinta che scatenandoli senza limiti si possa tornare allacrescita. La destra sostiene la libera circolazione del denaroe delle merci, ma ha orrore della mondializzazione deidiritti. Gli affari, prima di tutto, e la potenza delle armiposta a difesa degli interessi.

E poi, naturalmente, in quanto si muovono in un ambitonazionale, destra e sinistra si caricano di tradizioni, ceti,anomalie particolari. La destra italiana ha ereditato ilsentire delle corporazioni, sa che una parte non marginaledel suo blocco sociale di riferimento è legatoindissolubilmente alla rendita, al capitalismo parassitario,all'intermediazione e confessionalismi. Come sfera comeregno del Sacro, del rito, come affermazione pubblica dellatradizione morale. La sinistra eredità il tema della centralitàdel lavoro, il solidarismo cristiano, l'idea che la verità siarivoluzionaria contro il potere occulto.

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ei dibattiti sulle difficoltà che assediano ledemocrazie contemporanee un temaricorrente è quello della mancanza dipartecipazione politica dei cittadini.

Si tratta però di un paradosso, perchèquello che ancora oggi rende la democrazia un sistemapolitico che seppure imperfetto è l’unico nel quale tutti noivorremmo vivere è appunto la promessa, implicitanell’idea di democrazia, della partecipazione dei cittadinialla gestione della cosa pubblica.

John Dunn ha scritto che “la potenza e l’attrattivaesercitata dall’idea di democrazia provengono dalla suaintrinseca promessa di rendere la vita di una comunitàqualcosa di desiderato e scelto[…] In una societàdemocratica gli individui, il demos, ossia i membri dellasocietà, decidono ciò che deve essere fatto e in questomodo decidono del loro destino” (J. Dunn, Premessa, in Lademocrazia. Storia di un’idea politica, Marsilio, Venezia, 1995,pp.20-21).

In altri termini il fascino ineliminabile della democraziaè in questa promessa di poter, in modi diversi, decidere delproprio destino, di partecipare alla decisione riguardo allequestioni che riguardano il nostro destino. Certamente glistati democratici, in diversi momenti storici, hanno più omeno aumentato o ridotto la distanza tra la realtà e questapromessa. La questione è allora che, soprattutto in questiultimi anni, la lontananza tra la pratica della democrazia ele sue promesse appare sempre più grande.

Nell’Italia che rinasceva repubblicana e democratica altermine della seconda guerra mondiale uno strumento

Partiti e democrazia partecipativa

Flavia Nardelli è segretaria generale dell'Istituto Luigi Sturzo

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essenziale per facilitare la partecipazione dei cittadini allostato democratico furono i partiti di massa: benché i partitisiano citati nella Costituzione esplicitamente soltantonell’articolo quarantanove, appare difficile negare il ruolofondamentale che essi svolsero nel favorire lapartecipazione dei cittadini alla politica e alla democrazia.Certamente si trattava di partiti che avevano un forteradicamento territoriale, che attingevano a un plesso divalori che era un portato storico della nazione italiana, cheavevano una forte struttura organizzativa.

Fenomeni complessi hanno condotto nell’arco di uncinquantennio alla fine dei partiti di massa e all’imporsi deipartiti di programma e poi ai partiti personalistici. Lasecolarizzazione, l’erosione di convinzioni e modelli dicomportamento legati a valori quali la religiosità, la libertà,la solidarietà e l’eguaglianza; il fatto che i partiti di massaabbiano indebitamente occupato pezzi delle istituzionipubbliche; l’affermazione, dopo la fine della guerra fredda,di un mercato globale che detta criteri di scelta e imponemodelli di comportamento , sono tra le principali causedella trasformazione della forma partito.

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John Dunn

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Guy De Borde pubblicò nel 1967 La società dellospettacolo: la spettacolarizzazione della società e dellapolitica veniva indicata come un ulteriore rischio per lademocrazia.Di fronte alla politica spettacolo è diffusa lapercezione che i contrasti tra questo o quel politicoraramente siano in grado di toccare i temi reali cheinteressano la vita dei cittadini:la partecipazione politica,l’elemento centrale della democrazia, rischia di diveniremera passività di fronte alla rappresentazione televisivadella politica.

La questione decisiva è allora quella di individuarestrade per ricreare forme di partecipazione attiva deicittadini: le primarie del Pd hanno segnato un passoimportante in questa direzione.

L’idea che la democrazia partecipativa esprime è quelladi un fecondo rapporto dei cittadini e della società con leistituzioni della politica: in questo senso dare spazio allasocietà civile con la sua ricchezza di legami, di valori e dicreatività è l’antidoto alla indifferenza e alla passività neiconfronti della politica.

Sturzo, in un libro del 1935 , La società, sua natura e leggi ,contestando l’enfasi fascista sulla assoluta centralità dellostato, affermava esplicitamente che la società era ilfondamento della politica e che essa era “una proiezionemultipla , simultanea, continuativa degli individui”. La suarisoluta e coraggiosa difesa della democrazia attingevainfatti alla convinzione che essa, più di ogni altra formapolitica, accettasse e permettesse l’espressione dellemolteplici forze e istanze della società.

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o scorso autunno, distratti da registrazioni eturni di voto, i media non hanno notato chel'Assemblea Nazionale del PD, decidendo leregole con cui ammettere alle primarie più di uncandidato PD, aveva deliberato anche che

"ciascun candidato iscritto al PD, con una dichiarazioneallegata alle firme, riconosce i fondamentali contenuti politicie programmatici deliberati dall’Assemblea Nazionale".

Questa delibera acquista attualità alla vigilia delle elezioni:per l'istruzione, ad esempio, le "10 proposte per la scuola didomani" approvate dall'Assemblea Nazionale a Vareserestano una ineludibile base programmatica. Le "riformeinconcludenti e contraddittorie" citate nella carta degli intentidelle primarie non sono dunque identificabili con quelleavviate da Berlinguer nel primo governo Prodi: il lorocompletamento e rifinanziamento rappresentano anzi, per ilPD, il quadro strategico dell'azione riformatrice del prossimogoverno progressista. Solo in questo quadro si potràrilanciare la scuola, restituirle risorse, efficacia e centralitànella società, ridurne lo spread con il resto d'Europa intermini di successo formativo, valutazione, formazione inservizio di docenti e dirigenti, qualità e sicurezza degli edificiscolastici, trattamento economico di chi ci lavora.

Obiettivamente inconcludente e contraddittorio è statosemmai, dal 2001 ad oggi, il boicottaggio e definanziamentodelle nostre riforme da parte dei governi di destra, che lehanno sterilizzate e sfigurate anche agli occhi di molti che leavevano condivise e guardate con speranza. In una scuolasistematicamente denigrata e saccheggiata non sorprendonodisorientamento e tentazioni di ritorno all'ancien régime.

Idee ricostruttiveper la scuolaGiovanni Bachelet è deputato e presidente del Forum Politiche Istruzione PD

Giancarlo Sacchi è direttore del Forum Politiche Istruzione del PD

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Anzitutto, lo ricordava Andrej Sakharov, "un carro non puòstare a lungo fermo in salita perché alla fine retrocede". Inoltre,anche dopo la caduta di Berlusconi, nel Parlamento e nellastampa è rimasta in ottima salute la "santa alleanza" fra quelliche non hanno mai digerito le riforme, scolastiche e non, dellasinistra al governo. Ne fanno parte pensosi opinionisti,individui e gruppi francamente reazionari, attempati ex giovaniche si divertono piú a denunciare dall'opposizione il massacrodella scuola che a rilanciarla governando, e infine silenziosiconservatori che dal proprio ufficio ministeriale,confindustriale o sindacale non intendono far migrarenemmeno un grammo del proprio potere centrale verso leautonomie scolastiche e territoriali. Di recente in questa santaalleanza si è arruolato il governo Monti: anziché applicare ilTitolo V varando un'intesa Stato-Regioni ferma da anni, hapresentato una nuova riforma costituzionale che per ovvieragioni di tempo non è andata in porto, ma ha anch'essa gettatocattiva luce sulle riforme del primo centrosinistra.

Nelle drammatiche contingenze di questi cinque anni, frafallimentare politica del personale basata su forti riduzionidell'offerta formativa e colpi bassi inferti alla scuola anche dalgoverno tecnico che per il bene del Paese noi stessi avevamofavorito, come riprendere il filo di queste riforme? Comericostruire un pensiero lungo in grado di ispirare un percorsosostenibile di rilancio della scuola italiana verso la pienarealizzazione degli obbiettivi di uguaglianza e sviluppo dellapersona umana e della cittadinanza dettati dalla Costituzione eiscritti nel nostro sogno di un'Europa unita, equa e solidale?Come superare la schizofrenia (o l'ipocrisia) per cui politichescolastiche adottate con successo in Emilia Romagna e inPuglia – dove i leader della nostra coalizione, al governo dellerispettive regioni, hanno valorizzato le sinergie fra autonomiascolastica e enti locali con il governo democratico dellasussidiarietà – diventino un tabú a livello nazionale?

Negli ultimi tre anni il Forum Nazionale Politichedell’Istruzione ha cercato di rispondere a queste domandecon un metodo democratico bottom-up pensato per cittadiniadulti, agli antipodi delle passerelle politico-mediatiche chetrasformano l'elettore in spettatore. Oltre quattrocento fraesperti, leader di associazioni professionali e movimentivariamente collegati al mondo della scuola, sindacalisti,amministratori, dirigenti PD ed esponenti di altri partiti disinistra e di centro (e, volutamente, anche insegnanti,dirigenti, collaboratori e studenti non inquadrati in

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Anche dopo lacaduta diBerlusconi, nelParlamento e nellastampa è rimasta inottima salute la"santa alleanza" fraquelli che non hannomai digerito leriforme, scolastiche enon, della sinistra algoverno.

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organizzazioni) sono stati coinvolti dal nostro Forum, in uncomune sforzo di approfondimento e progettualità.

Questo sforzo si è articolato in seminari specialistici cui hapartecipato in media una ventina di persone (sullavalutazione del sistema scolastico, i livelli essenziali delleprestazioni nell'istruzione, il ruolo del dirigente scolastico e ilrapporto fra musica e scuola), e sessioni di due giorni, cuihanno ogni volta partecipato, organizzate in gruppi di lavoroe sedute plenarie, circa 200 persone.

La prima di queste sessioni ha collocato il tema di unacoerente e credibile valutazione dell’intero sistema scolasticonel piú ampio quadro di una possibile riscossa della scuolabasata su risorse, strutture, valutazione di rango europeo; diinterventi organici di contrasto alla dispersione ededucazione all’interculturalità per i cittadini di domani, dallaprimissima infanzia al cruciale passaggio delle medie e delprimo biennio superiore; della piena attuazionedell’autonomia scolastica e del Titolo V della Costituzionenel quadro di un rilancio dal basso del rapporto dicollaborazione e corresponsabilità fra scuole, famiglie,territorio e enti locali; di rapporto fra scuola e lavoro.

Su questa base il PD ha potuto affrontare con critichepuntuali e costruttive (oltre alle doverose proteste) sial’impianto generale delle cosiddette riforme Gelmini, siainiziative estemporanee di sapore propagandistico messe incampo in relazione a problemi reali: ad esempio la "circolaredel 30%" sull’alta concentrazione di studenti stranieri, oppure laraffica di "conati" valutativi del 2011, il cui problema non eral’Invalsi (Istituto nazionale per la valutazione del sistemaeducativo di istruzione e formazione), ma semmai il suosistematico definanziamento, la non terzietà rispetto alMinistero, l’assenza di un progetto credibile e adeguatamentefinanziato di valutazione e sostegno al sistema scolastico nelsuo complesso. Su terzietà e finanziamenti adeguati anche ilregolamento partorito in extremis dal governo Monti, per altriversi positivo, non va bene.

Al governo e alla rappresentanza delle autonomiescolastiche è stata dedicata l'intera seconda sessione. Qui ilForum ha avuto il merito di mettere in luce una pecca nonmeno grave dei tagli di risorse e personale, indicandocontestualmente una via d’uscita dall’impasse creato dallostrangolamento economico e organizzativo del duoTremonti-Gelmini. La pecca grave è che anche in questicinque anni il completamento dell’autonomia scolastica e

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l’attuazione del nuovo Titolo V della Costituzione nonhanno fatto progressi.

Sul Titolo V abbiamo già detto che il governo Monti nonsi è mosso, anzi si è mosso male. Sull'autonomia scolastica ilgoverno tecnico ha inizialmente assecondato una dellenostre "10 proposte" che avrebbe consentito, a regime, dieliminare il precariato: l'organico funzionale. Purtroppo,dopo averlo definito per legge, Monti, rimangiandosi unapromessa, non l'ha finanziato, lasciandolo allo stadio di gridamanzoniana. Anche la legge parlamentare di riforma degliorgani collegiali si è insabbiata al Senato dopo un colpo dimano PDL ed è rimasta lettera morta, mentre conopportune correzioni poteva rappresentare un tassello utile.

In breve, spetterà al nuovo Parlamento e al nuovoGoverno rilanciare la scuola, perché Monti l'ha lasciata piú omeno al punto in cui stava. La via d'uscita dall'impasse, intempi di crisi e difficoltà a far quadrare i conti dello Stato,rimane nel solco del primo centrosinistra: restituire allascuola le risorse imprudentemente sottratte e attuarel'autonomia scolastica e il Titolo V; restituirle, quindi, non alcentro, bensí agli enti locali e alle scuole autonome. Inquesto spirito il ripristino del modulo alle elementari o delpiano nazionale informatica alle superiori potrebbe avvenirepotenziando, rifinanziando e adeguatamenteresponsabilizzando sia l’autonomia scolastica sia gli entilocali, anziché emettendo un nuovo editto ministeriale che,dopo anni di gestazione, stabilisca di nuovo con infinitodettaglio orari, programmi, curricula uguali per tutti, in barbaa un’Europa che da anni ci parla di obbiettivi formativi e

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competenze di uscita. Questa ipotesi ha spinto il Forum ad una riflessione

specialistica sui LEP (livelli essenziali delle prestazioni) neldelicato passaggio dal regime attuale a quello, previsto per ilfuturo, in cui l'imposizione fiscale e la gestione dell’offertaformativa diventeranno interamente regionali. Le ultimesessioni plenarie del Forum, dedicate agli insegnanti e ai cicliscolastici e allo snodo delle medie, hanno aggiunto altri duetasselli importanti. Tutti sono avvertiti della delicatezza diogni innovazione che abbia ricadute sul contratto nazionaledegli insegnanti, eppure non sono pochi i punti condivisiemersi nel Forum su stato giuridico, formazione iniziale e inservizio, tutele, progressione di carriera e di stipendio,organico funzionale, orario funzionale. Anche sui cicliscolastici sono emersi forti dissensi su come realizzare laconclusione degli studi a 18 anni, ma l'idea di finire a 18 anni,colmando anche qui lo spread con l'Europa, è risultatalargamente condivisa.

Il lavoro bottom-up del Forum Nazionale PoliticheIstruzione, recentemente raccolto nel volumetto "Ideericostruttive per la scuola", ha messo in evidenza un belnumero di punti condivisi dall'area del centrosinistra,sufficiente a ispirare e orientare i primi passi di chi fra brevedovrà scrivere e attuare un programma di governo perrilanciare la scuola. Ha registrato anche punti ancoracontroversi, bisognosi di ulteriore approfondimento econdivisione. Ha infine rivelato che molti di quelli che a variotitolo vivono nella scuola sono portatori di straordinariecompetenze, forte desiderio di partecipazione, ma anche(dopo le esperienze della destra e e dei "tecnici") di tremendadiffidenza verso qualsiasi governo che metta mano allascuola senza restituirle risorse e centralità, senza ascoltarla,senza coinvolgerla nei processi di rilancio e rinnovamento.

Una volta al governo, dunque, sarà bene che consultazioniministeriali come quella svolta l'estate scorsa dal Miur sullenuove indicazioni nazionali per il primo ciclo, cui un enormenumero di scuole ha risposto fornendo le proprieosservazioni, rappresentino la regola e non l'eccezione: cheun approccio bottom-up che prenda sul serio i cittadini e litratti da adulti, insieme ad appropriate decisioni di bilancioche ci riportino in Europa anche sul versante della spesascolastica, ricostruiscano un rapporto di stima e fiduciareciproca fra famiglie, scuola e buona politica, senza il qualeil paese è condannato al declino.

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ntanto, precisiamo: la ricerca scientifica non è né didestra né di sinistra. Un quesito del genere sarebbeincomprensibile in qualsiasi altro Paese, però lo èdiventato in Italia per ragioni non intrinseche allaricerca in sé (che si distingue semplicemente in base

alla valutazione dei risultati come buona ricerca e come cattivaricerca in assoluta terzietà rispetto a politica e ideologie), marelative invece alle politiche della ricerca.

Da anni i governi di destra berlusconiani, ma poi anche e nonmeno pesantemente quello cosiddetto tecnico, hanno trattato laricerca (e la scuola e l’università, luoghi della formazione ad essainestricabilmente connessi) come un settore di spesa da tagliare,non come un motore di sviluppo da incentivare; a questapolitica di tagli la sinistra si è invece costantemente opposta, conparticolare enfasi in questi ultimi anni.

Va infatti ricordato che, mentre il governo tecnico tagliavapesantemente, Bersani ha aperto la campagna per le primarie(cioè l’impostazione del suo programma) con una visita alCERN, seguita da un’altra al Gran Sasso: ed è questo infattiuno dei settori dove l’opposizione politica e parlamentare delPD è risultata più netta. Insomma, il quesito va rimesso neigiusti termini: non già ricerca di destra versus ricerca di sinistra,che è dilemma privo di senso, bensì politica della sinistra per losviluppo della ricerca pubblica e privata versus politica didisincentivazione sistematicamente condotta dalle destre.

Le cifre – ben note e incontrovertibili − sono spietate: neiconfronti degli altri Paesi europei che nel settore hannoinvestito ritenendolo essenziale per l’innovazione tecnologica inproiezione produttiva e per lo stesso sviluppo di scienzesocialmente utili, l’Italia ha invece camminato come ungambero, trattando il settore alla stregua d’un luogo di spesa

La leva strategicadi università e ricerca

Maria Chiara Carrozza è rettore dell'Istituto S. Anna di Pisa e presidente del Forum Università e Ricerca del Pd

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improduttiva su cui risparmiare.Due visioni opposte su come uscire dalla crisi (anche se va

detto, ad ulteriore carico della varia destra nostrana, che altrovei governi europei conservatori si muovono nella stessadirezione in Italia auspicata dalla sinistra …): una progressivaed una recessiva.

Perché un conto è puntare sullo sviluppo attraverso ricerca einnovazione, tutt’altro conto puntare sui tagli lineari proprio nelsettore scuola e ricerca via via ridotto di oltre il 5% a vantaggiodi altri capitoli di spesa (sulla fantastica ricetta berlusconiana,assolutamente sorda a questi aspetti, di favorire la nostraproduzione semplicemente attraverso il ritorno alla lira perpoter attuare politiche monetarie deflattive a vantaggio delleesportazioni non vale la pena di spendere parola).

Operazione poggiata anche su una campagna didenigrazione dell’Università e degli enti di ricerca come luoghidi spreco e di inefficienza: ma la ricetta dei tagli indiscriminati,invece della riforma e della razionalizzazione mirata, stauccidendo il malato invece di curarlo e di irrobustirlo; senza poidire che questo malato, quanto a risultati, risulta assai menocagionevole di quanto si vuol far credere, con molte punte diresistente eccellenza a dispetto dei suoi pessimi medici.

Alla luce di questa premessa, due esigenze non certo peruna ricerca di centrosinistra, ma per una politica delcentrosinistra a vantaggio della ricerca. C’è nell’immediato,con tutta evidenza, la necessità d’un’inversione di tendenzanei finanziamenti, da reincentivare: però questo non puòessere ridotto a problema di semplice tecnica di bilancio darisolvere in una concertazione fra Ministeri (le ben note risseinterministeriali per strapparsi brandelli di risorse), in unsemplice ‘defalco di qua e rialloco di là’, magari – indannatissima ipotesi – dalla sanità o dalle pensioni, chesarebbe la peggior iattura sociale, dunque di sistema.

Come non si rafforza, anzi si indebolisce il sistemasottraendo alla ricerca per dare altrove, così non lo sirafforzerebbe col semplice rovesciamento contabile del darealla ricerca sottraendo ad altri settori strategici per la tenuta, ilriequilibrio, il rilancio del sistema-Paese.

Il Governo nel suo complesso, giovandosi nel modo piùpieno degli indirizzi parlamentari e insieme orientandoli, dovràdefinire in modo sistematico il ruolo della ricerca scientifica (edella pubblica, buona, generalizzata formazione scolastico-universitaria che ne è condizione necessaria) ai finidell’innovazione, non solo per uscire dalla crisi – e chi

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Un conto è puntaresullo sviluppo

attraverso ricerca einnovazione,

tutt’altro contopuntare sui tagli

lineari proprio nelsettore scuola e

ricerca.

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presumesse di farlo col semplice rigorismo monetariocommetterebbe il più grave degli errori – ma per il rilanciodella produttività e del lavoro.

Dalle imprese, da tutte le imprese di ogni settore, sale(insieme a quella essenzialissima della sburocratizzazione) larichiesta – ben più, e ben più crucialmente, che di riduzionedelle tutele del lavoro – di sviluppo della ricerca scientifica, diuna formazione continua di lavoro qualificato. La definizionedi un piano generale per la ricerca, sottoposto alla valutazionedi un organismo ad hoc, è il quadro necessario, nell’ideacomplessiva e unificante di un sistema-Paese, in cui soltanto ilcomunque impellente rifinanziamento degli Enti potrà dare imigliori risultati di prospettiva. Rifinanziare subito, ma per unastrategia lunga.

Seconda considerazione. È ben vero che, come detto inapertura, la ricerca scientifica non veste colori ideologici opolitici: la sua efficienza e la sua credibilità consistono proprionella sua libertà, nella valutazione oggettiva dei suoi risultati. Edesiste una ricerca libera che va in ogni modo incentivata per laricaduta di conoscenze e di innovazione tecnologica checostituisce una sorta di assicurazione, di accumulazione dirisorse per il futuro.

Esiste peraltro – ferma restando l’assoluta neutralità dellaricerca in sé – un’altra prospettiva, quella della ricerca scientificafinalizzata (promossa e monitorata dallo Stato e dai suoi organidi governo e parlamentari) alla innovazione sociale: si trattadell’individuazione di aree di ricerca da privilegiare a fini diequilibrio, sicurezza, stabilità sociale.

Tutela dell’ambiente: nella sua dimensione più ampia dallamessa in sicurezza delle aree a rischio idrogeologico alla stessaprotezione del paesaggio; energia, tema essenziale in un Paesecome il nostro così dipendente dall’estero e dunque così fragilesia per i costi da sostenere sia per la certezza dei rifornimenti;sanità, che per essere sostenuta nella sua universalità e nellaprospettiva di una popolazione sempre più anziana, ha bisogno(anche qui, non di tagli e privatizzazioni come qualcunoadombra ma) di un forte sostegno di nuove tecnologie perl’assistenza alla persona.

Sono esempi schematici: ma servono a comprendere che allapolitica competono – insieme alla responsabilità di tutelarelaicamente la più assoluta libertà della ricerca – compiti sia diincentivazione della ricerca libera, sia di indirizzo e divalorizzazione di determinati settori della ricerca individuaticome strategici per la coesione del Paese, per la ripresa della sua

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Dalle imprese, datutte le imprese diogni settore, sale(insieme a quellaessenzialissima dellasburocratizzazione)la richiesta - benpiù, e ben piùcrucialmente, che driduzione delle tuteledel lavoro - disviluppo della ricercascientifica, di unaformazione continuadi lavoro qualificato.

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economia e del lavoro, per la tenuta dello stato sociale. Libera nei suoi percorsi di lavoro, la ricerca scientifica è però

sistematicamente interconnessa (finanziamenti e obiettivi) allestrategie del Paese. Diciamo allora: appartiene alla nostra destraun suo declassamento a luogo di spesa e di risparmio,appartiene al nostro centrosinistra una visione nazionale diprospettiva europea perché formazione e ricerca sianoconsiderate propulsive del sistema-Paese e perciò valorizzatecome strategiche.

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i fa un gran parlare di destra e sinistra; questitermini, in uso già da tanto tempo, sono ancorain grado di esprimere, pur concisamente, ilposizionamento politico?

Lo spartiacque politico tacitamente evocato èla storica contrapposizione fra lavoro e capitale, ma conimportanti cambiamenti che sono stati provocati inparticolare da liberalizzazioni incontrollate e da una finanzache è stata lasciata a se stessa e quindi ha preso la via dellaspeculazione guidata dall’avidità; ha perso così la capacità disupportare l’economia nell’ottimizzazione dell’impiego dellerisorse finanziarie.

I risultati sono sotto i nostri occhi con la distruzione dirisorse, di posti di lavoro ed una crescente disparità fra pochiche hanno tratto grandi profitti e tanti che sono statiemarginati. Quindi è su questi aspetti, sottolineati daimovimenti degli indignati, “Occupy Wall Street”, chebisogna agire per riportare un po’ più di giustizia e di equitànell’organizzazione della nostra società e nelle relazioni dilavoro. Tuttavia, almeno dal mio punto di osservazione, vedoaltri spartiacque politici che si stanno manifestando e chedebbono essere presi in considerazione come “nuovedimensioni” della politica.

Il primo può essere introdotto dall’osservazione di unainterdipendenza crescente nelle relazioni internazionali. Laconsiderazione immediata è il riscaldamento globale cheinteressa l’intero pianeta, indipendentemente dall’origine deigas a “effetto serra” che sono responsabili del fenomeno.

Se non arriviamo ad un accordo globale, non risolviamo ilproblema. Dobbiamo cioè trovare un consenso su come

Sovranitàe sostenibilitàVittorio Prodi è parlamentare europeo del Pd

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governare questa interdipendenza. Il concetto di sovranitàdeve essere relativizzato; la sovranità è diventata unospartiacque politico fra chi si rende conto di questa necessitàe chi invece è rimasto tenacemente attaccato al concetto disovranità assoluta e quindi reagisce nel solco dei nazionalismie localismi, che abbiamo visto all’opera, anche in casa nostra.

L’Unione Europea è un primo tentativo di prendere attodi questa interdipendenza e di gestirla con regole basate sullagiustizia e sull’equità. Vorrei anche dire, non tantoparadossalmente, che si è preso atto che questainterdipendenza ha già fatto perdere ai singoli Stati membripezzi importanti di sovranità, che possono essere ripresi solose vengono gestiti assieme e consensualmente. Non si trattaquindi di “cedere sovranità” all’Unione Europea.

Il mondo sta guardando con interesse al nostroesperimento perché potrebbe essere ripreso anche a livelloglobale con una riforma della Organizzazione delle NazioniUnite che accolga una partecipazione dei popoli e non solodegli Stati e che esprima una capacità di governo globale.Nonostante questo, gruppi politici nel Parlamento Europeohanno comportamenti di dileggio nella paura di perderequalche piccolo vantaggio, dimenticando le enormipossibilità di un futuro di pace che questa evoluzionepotrebbe portare.

Un’altra considerazione politica dirimente discende dallaconsiderazione della sostenibilità.

Questo è il terzo spartiacque che mi sembra di riconoscerenel nuovo panorama politico. La base di partenza è ilriconoscimento che le risorse naturali sono limitate e questolimite deve essere governato se vogliamo garantire anche allefuture generazioni la possibilità di accedere a queste stesserisorse. Questo deve essere riconosciuto come il dirittofondamentale della Persona.

Una successiva osservazione riguarda l’organizzazionedella nostra società: l’indice dittatoriale del progresso è ilPIL, prodotto interno lordo, che dà una misura dellaproduzione e del consumo dei beni materiali. Il PIL stessodeve essere sempre crescente. C’è allora una contraddizionecon il limite delle risorse naturali. La sostenibilità quindipassa attraverso un impegno all’uso più razionale possibile, alriuso, tenendo in particolare presente la necessità di nondisperdere le risorse naturali.

Tuttavia ho l’impressione che anche questo non bastiproprio per la pressione che è esercitata sul “consumo”.

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Una successivaosservazione

riguardal’organizzazione

della nostra società:l’indice dittatoriale

del progresso è ilPIL, prodotto

interno lordo, che dàuna misura dellaproduzione e delconsumo dei beni

materiali.

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Innanzitutto dovremmo restituirci la dignità di persone erifiutare di essere definiti consumatori. Ma il passo piùimportante è di riconoscere che esistono altri beni, noncompresi nel PIL, che sono almeno altrettanto indispensabiliper la nostra convivenza, basati su due pilastri: la dignitàdella persona e il bene comune.

Già la nostra Costituzione è costruita sul personalismo esu una società che positivamente si pone lo scopo di offrireogni supporto alla crescita e alla consapevolezza dellapersona. Abbiamo bisogno di progredire ancora in questadirezione. Se parliamo di fede nelle persone, dobbiamoanche maturare un’aspettativa che ogni contatto con ognipersona possa portarci un arricchimento. Vorrei riassumerequesto con la necessità di passare dalla tolleranza, che hasempre il sapore di una magnanima concessione, allafraternità.

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Bene comune, a partire dai beni ambientali che sonopatrimonio dell’Umanità e che debbono essere capiti econservati (semmai arricchiti) gelosamente. E poi i benirelazionali e sociali, che chiamo immateriali, perché hannobisogno di meno materia e meno energia per essere prodottie riprodotti, e quindi, oltre a rappresentare un salto in avantidi civiltà, diminuiscono la pressione sul consumo di risorsenaturali e quindi possono dare un contributo sostanziale allasostenibilità. Essi consistono nella capacità di collaborazione,nella convergenza di azioni singole per un vantaggiocomune, in sintesi per il perseguimento di una felicità.Felicità che, come noi tutti sperimentiamo, i soli benimateriali non possono dare.

Nel mio libro “Il mondo a una svolta” (Pdf inwww.vittorioprodi.it) ho cercato di specificare cosa si puòintendere come beni immateriali: mobilitare le risorseindividuali e collettive creando opportunità nell’economiadella conoscenza, rendere accessibili i migliori standard sulpiano dell’istruzione, garantire un’occupazione e uno statosociale dignitoso, valorizzare la riduzione delle differenze dipotere e di ricchezza se queste inibiscono lo sviluppogenerale e rendono meno unita la società, lotta alla povertàcosi che l’individuo non perda autonomia, ecc..

D’altra parte è lo schema che la stessa preghiera del“Padre Nostro” ci propone: nella seconda parte ci indica checosa chiedere. Che cosa c’è di più materiale del PaneQuotidiano? E di più necessario? Ma l’indicazione successivaè: “Rimetti a noi i nostri debiti come noi ai nostri debitori”,che cosa c’è di più immateriale del perdono? Ma ècondizione necessaria di una comunità (è il Noi usato) perassicurare una coesione sociale ed una capacità di pensare edagire nella logica di un bene comune.

Vorrei concludere proponendo una politica che va oltre ilcontrasto sinistra/destra, risalente alla questione sociale: inquanto unidimensionale, non è adatta ad interpretare lacomplessità della politica attuale. Tuttavia, tutte e tre ledimensioni, socialità, sovranità e sostenibilità, hanno incomune un confronto fra equità e speranza da un lato e lapaura di dover condividere troppi beni con troppe personedall’altro. Forse paura e speranza potrebbero esprimeremeglio la sintesi del confronto.

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particolarmente arduo, nel pieno di unacampagna elettorale aspra e fortemente segnatada toni propagandistici e populisti, ragionare diprogrammi istituzionali e di confronto trapolitiche costituzionali. Tuttavia, mi sforzerò di

farlo tenendo fede al criterio generale che informa questonumero della rivista. Le categorie destra/sinistra non paiono,in ogni caso, particolarmente adeguate per distinguere lepolitiche costituzionali dei maggiori schieramenti che sipresentano alle elezioni, tanto più che, adesso, è presente unarobusta variante di “centro” che rende ancora più complicatala collocazione. Infatti, se restiamo alla classica dicotomiaresa popolare presso il largo pubblico dal fortunato libro diBobbio – che era centrato sulla distinzione, grosso modo, tralibertà e giustizia, ma sempre nel senso della prevalenza enon dell’esclusività – non facciamo molta strada.Probabilmente più utile sarebbe introdurre la distinzione,ugualmente grezza, ma più capace di trovare giustificazioniclassificatorie, tra privato e pubblico.

Quest’ultima categoria, infatti, meglio della prima, evocagli estremi ideologici della polarizzazione tra individualismolibertario e collettivismo totalitario, segnalando una diversaconcezione dei diritti di libertà e di proprietà da una parte edelle condizioni di pluralismo e solidarietà dall’altra. Peressere concreti, e riferendoci ad un Paese nel quale ledicotomie destra/sinistra e conservazione/progresso hannopiù senso di quanto non accada in Europa e particolarmentein Italia, dunque negli Stati Uniti d’America, ha ancora sensola distinzione tra il capitalismo compassionevole di GeorgeW. Bush e la garanzia pubblica-nazionale di un livello

Politica costituzionaledopo il mitodella grande riformaEnzo Balboni insegna Diritto costituzionale all’Università Cattolica di Milano

è

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minimo di assistenza sanitaria come apprestato da BarakObama di recente, pur tra grandissime difficoltà.

Sul piano ormai onnivoro e dominante degli scenarieconomici, le dicotomie destra/sinistra, ma anche quellaprivato/pubblico reagiscono in modo differente alle ciclichee ricorrenti crisi dei sistemi economico-finanziari delcapitalismo. Da una parte, con un plus di individualismo,propinando l’amara medicina della competizione tra egoismiindividuali, alla Darwin, e sul piano collettivo e societario conla teoria schumpeteriana e la prassi della vittoria del più fortenella concorrenza tra imprese. Sull’altro fronte, a cominciaredalle soluzioni del New Deal rooseveltiano in poi, mettendoin campo gli sforzi e l’impegno di una comunità che sipercepisca come tale e metta a fattor comune la coesionesociale. Quest’ultima – ma pochi se ne sono accorti – èdiventata da pochi anni parametro costituzionale provenientedall’Unione Europea, ma è stato formalizzato anche per leistituzioni operanti in Italia ed è stata inserita nel nuovoTitolo V della Costituzione italiana (art. 119) con unaprospettiva certamente innovativa e di buona fattura,nonostante le pesanti e spesso immotivate critiche che ilmedesimo titolo V dedicato alle autonomie: (Regioni, Cittàmetropolitane, Province e Comuni), si è attirato negli ultimianni, a ragione ma anche a torto.

Proprio da questa osservazione vorrei cominciare unasintetica analisi delle proposte di politica costituzionalemesse in campo dai tre schieramenti maggiori, andando allaricerca di ciò che nei programmi li distingue, cercando altresìdi cogliere gli elementi comparabili alla stregua delledicotomie già espresse, alle quali possiamo aggiungerne unaulteriore: conservazione/progresso.

Va subito premesso che la ricerca testuale nei treprogrammi disponibili non porta grandi frutti, anche perchésul piano delle dichiarazioni e delle promesse non solo èbello e gratuito promettere la luna, e pertanto non è faciletrovare delle clamorose differenze. Basti dire che non solo ilPD e Scelta Civica utilizzano entrambi in tema difederalismo/regionalismo la medesima espressione di“federalismo responsabile”: ed è perfettamentecomprensibile. E’ peraltro curioso che, a fianco dell’identicaespressione appena citata, il PD collochi le parole “e beneordinato”, il Centro montiano, invece, scrive “solidale”,utilizzando così un aggettivo che ci saremmo aspettatipiuttosto dall’altra parte. Attenzione però: ciò segnala

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Le dicotomiedestra/sinistra, ma

anche quellaprivato/pubblico

reagiscono in mododifferente alle cicliche

e ricorrenti crisi deisistemi economico-

finanziari delcapitalismo.

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soltanto che le parole devono passare alla prova dei fatti peravere un minimo di senso compiuto.

Dal canto suo, il PDL, che presenta un programmaovviamente diverso, sul punto, da quello della Lega Nord,non parla nel suo programma di federalismo solidale, bensìdi “Italia federale e unita”, con buona pace della logica afronte del secessionismo strisciante del suo alleato leghista edell’inverosimile progetto di trattenere nelle Regioni doveesso si forma il 75% del reddito prodotto. Parlare, come fa ilprogramma del PDL, di attuazione di macroregioniattraverso le intese di cui all’art. 117 Cost. è semplicementeun non senso istituzionale, per il fatto che lo strumentogiuridico evocato è del tutto inadeguato al compito che sivorrebbe assolvere e che, nell’intenzione della Lega, ciò èsoltanto una premessa per la secessione delle tre maggioriRegioni del Nord.

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Norberto Bobbio

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Sui partiti e sul punto maggiormente dolente del rapportotra cittadini, partiti e istituzioni, la destra (se vogliamoutilizzare queste distinzioni pur grossolane, ma in questocaso più significative di altre) dichiara molto nettamente divoler abolire il finanziamento pubblico e pertanto ai partitinon dovrebbe arrivare nessun fondo pubblico, neppure – sipresume – sotto forma di rimborsi per le spese elettorali, inqualunque modo documentate. La sinistra e il centro,segnalano che questa strada, che pure appare in discesa perl’acquisizione di facili consensi, si pone in contrasto con lapartecipazione democratica effettiva da parte dei cittadininon dotati di risorse proprie. Da queste due ultime parti, manon dal PDL, si pone l’accento sulla necessità di dareattuazione all’art. 49 Cost. per assicurare la democrazia dei enei partiti, i quali devono riformarsi per essere strumentodell’azione dei cittadini e non luogo opaco di interessiparticolari. Su quest’ultimo punto, è il PD a esprimere ilconcetto con maggiore chiarezza ed incisività.

Un altro punto programmatico che vede accomunatiprogrammi e soluzioni è l’ovvia richiesta di semplificazione ealleggerimento del sistema istituzionale amministrativo, sottola voce – peraltro poco spiegata nei dettagli – di “menoburocrazia”, anche in campo europeo.

Sull’assetto del Parlamento e degli altri organicostituzionali, si segnalano le seguenticonvergenze/divergenze: più di taglio generale la propostadel PD di un sistema parlamentare semplificato e rafforzato,più esplicita sul punto, anche se generica, la proposta Montidi riformare il bicameralismo andando alla ricerca didecisioni più efficaci e rapide. Per entrambi si parla diriduzione del numero dei parlamentari.

Molto più netta (e da verificare nel concreto se e quandose ne presentasse l’occasione) la proposta PDL di dimezzarenon solo il numero dei parlamentari ma dei membri di tuttele assemblee elettive (regionali e comunali), mentre leProvince sarebbero soppresse con modifica costituzionale;del tutto particolare, sempre con provenienza Berlusconi,appare la proposta dell’elezione diretta del Presidente dellarepubblica ed ovviamente il programma non si cura disegnalare le enormi conseguenze che ciò avrebbe sulla formadi governo che, di colpo, cesserebbe di essere una repubblicaparlamentare per aprirsi a scenari avventurosi che nessuno sisogna di dimensionare.

Giunti a questo punto, è però necessario fare una

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riflessione metodologica, perché i documenti che abbiamoindividuato come espressivi dei programmi delle tre forzeche consideriamo non possono essere valutati in modoequivalente. Infatti, se da una parte Scelta civica per Montiha in questa occasione, evidentemente, la prima opportunitàdi rendere palesi le sue proposte programmatiche (e questeappaiono sufficientemente distese e argomentate) il PD hautilizzato una diversa metodologia. Ha scelto infatti dicondensare in un programma breve le questioni maggiori eall’interno di queste lo spazio più rilevante è stato offerto aiproblemi del lavoro, dell’uguaglianza , dello svilupposostenibile e dei beni comuni.

Per il particolare taglio di questo mio contributo vannoinvece letti e confrontati i documenti sulla materiaistituzionale, assai più ampi e dettagliati, rinvenienti daproposte approvate dall’Assemblea nazionale del PD.Quelle di maggior interesse in tema di modernizzazione eriforma democratica dell’ordinamento costituzionale e digiustizia risalgono al maggio del 2010 e non sembra che adessi siano state apportate significative modifiche. Ma pertale ragione diventa difficile un confronto testuale direttocon le proposte concorrenti. Un suggerimento che misento tuttavia di dare è quello di trovare una via di mezzotra l’odierna esposizione programmatica sintetica,grandemente incentrata sui temi del lavoro, dello sviluppo edella tassazione (temi ovviamente sacrosanti, ma nonesaustivi) e i documenti tematici, per di più risalenti neltempo. In tal modo potrebbero risaltare con maggioreplasticità e con i dovuti aggiornamenti le proposte dipolitica costituzionale che il PD intende proporre anche inquesta decisiva occasione.

Riassumendo per sommi capi, si tratta di una ripresa dellabozza Violante del 2009 concernente il bicameralismodifferenziato, il rafforzamento, moderato, dei poteri delPresidente del Consiglio dei ministri (il quale, nonostante ilpianto berlusconiano, ne possiede a sufficienza), unridimensionamento forte dello strumento del decreto legge,e in particolare della pratica abnorme dei maxiemendamentiai quali viene legata la questione di fiducia. Nella stessadirezione, sull’altro versante, andrebbe migliorata l’incidenzadel Parlamento, sia dei gruppi parlamentari, che del singolodeputato o senatore, mettendo mano a una robusta revisionedei regolamenti parlamentari, riorientandoli decisamenteverso un plus di efficienza, con particolare riguardo al

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Sul piano dellagiustizia, moltoopportunamente, ilPD dichiara che ilsuo programmagenerale e specifico sichiamaCostituzione, nelsenso che è a questafondamentalmenteche deve darsi pienaattuazione senzastravolgimentiautoritari.

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controllo ispettivo e alla politica economico – finanziaria.Sul piano della giustizia, molto opportunamente, il PD

dichiara che il suo programma generale e specifico si chiamaCostituzione, nel senso che è a questa fondamentalmente chedeve darsi piena attuazione senza stravolgimenti autoritari,nel rispetto della separazione dai poteri e soprattutto senzaledere in alcun modo il principio dell’autonomia eindipendenza della magistratura – compreso dunque ilpubblico ministero – che ci viene invidiato in tutta Europa.

Ovviamente si può e si deve porre rimedio a diversestorture che riguardano la gestione quotidiana del pianetagiustizia, ma ciò può essere fatto sul piano della legislazioneordinaria e senza interventi punitivi per coloro che devonocontinuare a impersonare un ordine autonomo eindipendente da qualsiasi altro potere.

Sono necessari, pertanto, interventi coraggiosi sul pianodell’efficacia e della resa della giurisdizione: dalladiminuzione della custodia cautelare in carcere alle penealternative alla prigione, dalla deflazione degli appelli e deiricorsi in Cassazione alla revisione dei tempi delleprescrizioni, dal falso in bilancio alla punizione effettiva deireati commessi dai colletti bianchi. Come già detto, si puòfare davvero molto con le leggi ordinarie, ma anche conregolamenti dell’esecutivo e attraverso riorganizzazioniamministrative e miglioramenti gestionali che nonnecessitano di interventi normativi, men che meno a livellocostituzionale.

L’ossessione per una giustizia addomesticata e tale daporre i giudici quali “leoni sotto il trono” (per riesumare unaespressione infelice, che fortunatamente non vedo piùriproposta) è effettivamente, insieme al presidenzialismo e alplebiscitarismo, la cifra distintiva di una politicacostituzionale che, stavolta senza infingimenti e cautele, sipuò chiamare politica della destra.

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l rapporto tra la sinistra e il processo di integrazioneeuropea ha una storia complessa. Se da un lato èindubbio che il socialismo europeo ha storicamenteprivilegiato la dimensione dello Stato nazione comecornice entro cui dispiegare la propria azione

riformatrice, dall'altro lato si può ben dire che la matricesocialista e progressista dell'europeismo è ben solida a fianco diquella cattolico-democratica e liberale. Basti pensare a duefigure decisive nella storia del processo di integrazione comeJean Monnet e Jacques Delors, i veri architetti rispettivamentedella Ceca e della moneta unica, entrambi collocati (sia pure inmodo atipico) nella famiglia progressista e nella cui azione ilnesso stretto tra processo di integrazione e sviluppo delmodello sociale europeo ha sempre assunto un rilievo centrale.Persino sul versante del comunismo italiano l'originaria

Il nuovo europeismo progressista

Roberto Gualtieri insegna Storia contemporanea all'Università "La Sapienza" di Roma ed è deputato europeo del Partito Democratico

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Herman Von Rompuy

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opposizione alla Ceca e alla Cee ha lasciato il posto, man manoche maturava l'opzione eurocomunista, a un atteggiamento dicrescente apertura sfociato in un compiuto europeismosugellato dall'elezione al Parlamento europeo di Altiero Spinellinelle liste del Pci.

Nella seconda metà degli anni novanta questa matriceeuropeistica si è manifestata nel ruolo determinante svolto daigoverni di centro-sinistra (allora maggioritari in Europa) nelcompletamento della terza fase dell'Unione economica emonetaria (cioè l'adozione della moneta comune) enell'ingresso nell'euro dell'Italia, e successivamente, all'inizio delnuovo decennio, nel varo della strategia di Lisbona,nell'approvazione della Carta dei diritti e nell'avvio del nuovocantiere istituzionale che avrebbe portato al Trattatocostituzionale e quindi (dopo il suo affossamento neireferendum francese e olandese) a quello di Lisbona.

Si tratta di risultati importanti, i cui limiti sono tuttaviarisultati evidenti con l'esplosione della crisi economico-finanziaria ed il suo impatto sull'eurozona. Il principale di essiriguarda la difficoltà a mettere in discussione la caratteristicafondamentale del modello di unione economia e monetariaelaborato da Delors e definito nel Trattato di Maastricht: lalimitazione delle competenze dell’Unione alla sfera dellapolitica monetaria, e l'attribuzione ad essa di una semplicefunzione di coordinamento delle politiche economiche, laresponsabilità delle quali restava in capo agli stati membri.

Certo, occorre ricordare che senza questa scelta l'euro nonsarebbe mai nato perché il "modello Delors" era l'unicostoricamente realistico, e che popolari e liberali hanno avuto (edhanno tuttora) una posizione egualmente e anzi maggiormenterestrittiva circa le competenze dell'Unione. E tuttavia, il bilancioassai poco lusinghiero della "strategia di Lisbona” varata nel2001 dimostra chiaramente che il cosiddetto "metodo aperto dicoordinamento" su cui essa, coerentemente alla lettera deiTrattati, era fondata, rappresenta uno strumento del tuttoinadeguato per realizzare lo sviluppo e la convergenza delleeconomie europee e conseguire l'ambizioso obiettivo di porrel'Unione europea all'avanguardia della "economia dellaconoscenza". Soprattutto se la mancata attribuzione di effettivecompetenze di politica economica all'Ue si accompagna, comeè stato fino ad ora, alla limitazione del suo bilancio all'1% delprodotto interno lordo.

Pur essendo dunque stata decisiva per la nascita della monetaunica, la sinistra europea degli anni novanta non è stata in

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La sinistra europeadegli anni novanta

non è stata in gradodi avviare la

costruzione di unavera unione

economica e disuperare il dualismo

tra le suggestioni"mercatiste” della

"terza via” el'orizzonte statal-

nazionale deimodelli di governo

dell'economia tipicidella propria

tradizione.

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grado di avviare la costruzione di una vera unione economica edi superare il dualismo tra le suggestioni "mercatiste” della"terza via” e l'orizzonte statal-nazionale dei modelli di governodell'economia tipici della propria tradizione. La successivaapertura di un lungo ciclo politico di centro-destra vainterpretata anche come la conseguenza di questo limitepolitico-culturale che oggi, di fronte all'epilogo inglorioso dellastagione neoconservatrice, i progressisti europei sono chiamatia superare.

L'affermazione di un nuovo "europeismo progressista"richiede quindi la definizione di una sintesi nuova tra mercato epolitiche pubbliche, tra libertà ed eguaglianza, sul terrenoinedito della costruzione di un vero governo economicoeuropeo. Un governo economico che vada oltre lacombinazione di regole europee di disciplina di bilancio estrumenti intergovernativi di assistenza finanziaria realizzata apartire dal 2010 sotto la guida di Angela Merkel, e che dotil'Unione delle risorse e delle competenze necessarie a realizzareuna vera politica economica comune.

D'altronde, è ormai evidente che tale evoluzione costituiscel'unica condizione per il superamento della linea dell'austeritàimposta dai conservatori, che non solo ha fatto precipitarel'eurozona nella recessione, ma non ha saputo neancheconseguire gli obiettivi di riduzione del deficit e del debito.Tutti i dati ci dicono infatti che per rilanciare la crescita erendere realistico e sostenibile l'abbattimento del debitol'Europa ha bisogno di un motore interno di sviluppo,attraverso un rilancio degli investimenti pubblici, la correzionedegli squilibri macroeconomici interni all'Unione economica emonetaria e una maggiore equità nella distribuzione del reddito.

Ma se tali politiche possono essere realizzate solo in unquadro europeo, l'attuale assetto della governance dell'eurozonanon fornisce gli strumenti per la loro attuazione. In altre parole,venuta definitivamente meno la possibilità di agireesclusivamente sul terreno nazionale, i progressisti devonomettere mano a quella "costituzione economica dell'euro" cheoggi, di fronte ai nuovi meccanismi di disciplina di bilancio, èdivenuta una gabbia troppo stretta e funzionale unicamente allapolitica economica dei conservatori.

Si tratta di un passaggio difficile, che al di là dei nominalismirichiede di intraprendere la strada di una transizione di tipofederale che, per quanto affrontata in modo non giacobino egraduale, comporta l'assunzione di un orizzonte politico nuovoe ricco di insidie soprattutto per quel che riguarda la

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dimensione, certo non secondaria in politica, del consenso. Manonostante l'indubbia delicatezza di un passaggio di questaportata, questo nuovo europeismo progressista sta prendendoforma, ed è ben visibile non solo nell'azione unitaria e coerentedel gruppo dei Socialisti e Democratici al Parlamento europeo,ma anche nella crescente convergenza delle piattaforme deipartiti e dei governi progressisti.

Da questo punto di vista, la "dichiarazione di Parigi"pubblicata nel marzo scorso in occasione del grande eventoorganizzato dalla Fondazione dei progressisti europei (Feps)nella capitale francese a sostegno della campagna presidenzialedi François Hollande costituisce un documento significativo.Alcuni dei punti di quella dichiarazione sono stati assunti conforza dai progressisti e tradotti con successo in iniziativapolitica nonostante gli equilibri politici dell'Ue vedano ancorauna maggioranza conservatrice.

Basti pensare alla tassa sulle transazioni finanziarie, chegrazie all'azione convergente del gruppo S&D, del governoHollande e del gruppo parlamentare dell'SPD ha consentito diavviare la realizzazione (la procedura di "cooperazionerafforzata" è da poco stata approvata da Parlamento eConsiglio) di un provvedimento fondamentale sia sotto ilprofilo dell'equità e dello sviluppo che sotto quellodell'introduzione di nuove "risorse proprie" nel bilancio dell'Ue.O al rafforzamento del ruolo della Bce a sostegno del debitosovrano, che quando fu proposto da Hollande ricevette asprecritiche dai conservatori e che invece nell'estate si è affermatocon un solo voto contrario nel Board dell'istituto diFrancoforte.

E infine, basti pensare alla nuova visione di politiche per lacrescita (che ha avuto la sua prima traduzione nel "Patto per lacrescita e l'occupazione") e in particolare all'idea di una "goldenrule" che scorpori una parte degli investimenti pubblici dalPatto di Stabilità. Su questo punto come si può immaginare leresistenze dei conservatori sono particolarmente accese, etuttavia di fronte all'evidente fallimento della linea dell'austeritàpersino la Commissione Barroso ha annunciato unacomunicazione sulla possibilità di consentire "deviazionitemporanee" dall'Obiettivo di Medio Termine per favorire losvolgimento di programmi di investimenti pubblici dicomprovata sostenibilità nel medio-lungo periodo.

Altrettanto aspro sarà nei prossimi mesi il confronto suglialtri punti qualificanti della piattaforma progressista: ilrafforzamento della capacità fiscale dell'Unione (e

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Altrettanto asprosarà nei prossimimesi il confrontosugli altri punti

qualificanti dellapiattaforma

progressista: ilrafforzamento della

capacità fiscaledell'Unione (e

dell'eurozona) el'attribuzione ad

essa della capacità diemettere titoli.

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dell'eurozona) e l'attribuzione ad essa della capacità di emetteretitoli, e l'introduzione di un "Fondo per la redenzione deldebito" che sostituisca una quota dei debiti sovrani coneurobond garantiti collettivamente.

Ma ciò che conta in questa sede è rilevare come il grado diconvergenza politico-programmatica e il suo tasso di"federalismo implicito" sono sensibilmente superiori a quelliconseguiti in precedenza. Anche sul terreno delle politichesociali, che è sempre stato lasciato al di fuori della sfera dellepolitiche europee (al di là degli interventi sostenuti dal Fondosociale europeo) si registrano novità significative.

La richiesta di un robusto pilastro sociale è infatti uno deglielementi qualificanti della posizione del gruppo S&D nelnegoziato sul futuro dell'Unione economica e monetariacondotto da Herman van Rompuy, e la proposta "garanzia peri giovani", ripresa in parte dal Commissario Andor, contieneuna notevole innovazione sul piano dell'approcciointroducendo per la prima volta degli standard e dei dirittisociali a livello dell'Unione.

Questo nuovo "europeismo progressista" non si limita aitemi pure centrali della governance economica, ma affronta perla prima volta la dimensione della democrazia affermando laprospettiva dell'unione politica. Lo si è visto con la chiaraposizione assunta dal PSE e dal gruppo S&D sull'indicazioneprima delle elezioni di un candidato dei progressisti allaPresidenza della Commissione, e lo si vedrà a breve nel nuovogrande evento internazionale organizzato dalla Feps a Torinol'8 e 9 febbraio e dedicato appunto all'Europa politica, in cuisarà probabilmente varato un nuovo documento comune dichiara ispirazione federalista.

Il cammino da percorrere per porre i progressisti alla guidadi un processo riformatore che doti l'Unione di un verogoverno economico legittimato democraticamente e realizzi unsignificativo passo verso la prospettiva degli Stati Unitid'Europa è ancora lungo.

Ma è altrettanto vero che l'"europeismo progressista"costituisce la principale novità di un processo di revisione e diallargamento dei propri confini con cui la sinistra europea staelaborando una nuova figura del riformismo. Un processo dicui il Partito democratico, con l'originalità della sua matricestorico-politica e con la chiarezza della sua collocazione nelcampo dei progressisti, costituisce un motore e unprotagonista, e che trarrà dalla auspicabile formazione delgoverno Bersani un impulso ancora maggiore.

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Documenti

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Il futuro dell’europa,una prospettIva ItalIana

DOCUMENTO

Proponiamo qui di seguito il discorso pronunciato dal segretario nazionale del PDal German Council on Foreign Relations, a Berlino il 5 febbraio scorso

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Pier Luigi Bersaniiè segretario nazionale del PD

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ignor Presidente,Signore e Signori,desideroinnanzituttoringraziare il

German Council on ForeignRelations per questaopportunità di condividerecon voi alcuni pensieri sulfuturo del progetto europeo,su come esso è vissuto nelmio Paese, l’Italia, su come lointerpreta il PartitoDemocratico, la forza politicaprogressista che ho l’onore diguidare e che mi ha candidatocon la coalizione dicentrosinistra “Italia benecomune” al governo del Paesealle prossime elezionipolitiche, dopo elezioniprimarie cui hannopartecipato oltre 3 milioni dipersone.Questa mia visita a Berlinoavviene alla vigilia di unimportante ConsiglioEuropeo dedicato, fra l’altro, atentare di chiuderepositivamente il negoziato sulprossimo bilanciopluriennale;cade a tresettimane dal rinnovo delParlamento italiano, e all’iniziodell’anno in cui anche il vostroPaese si recherà alle urne.A ottobre terminerà così unciclo di diciotto mesi durante iquali i cittadini di Francia,Italia e Germania (200 milionidi persone e oltre il 60% delPil dell’Eurozona) si sarannoespressi sul futuro politico deipropri Paesi.

L’Italia, come sapete, è semprestata, fin dalle origini, unPaese fortemente europeista,pronto più di altri, specie neimomenti difficili, a rinunciarea qualcosa di sé pur di fareavanzare la costruzionecomune. C’è in noi lamemoria profonda e antica dicosa è stata la storia di questocontinente prima che iniziasseil cammino della nuovaEuropa. Come ricordava l’exPresidente della RepubblicaCarlo Azeglio Ciampi: “cisono 50 milioni di ragioni,cioè i cinquanta milioni dimorti della seconda guerramondiale per essere a favoredi una maggioreintegrazione”.Credo sia ancora giusto partireda lì, dal ricordo di come uncontinente distrutto, affamato,impaurito sia diventato nelmondo, nell’arco di tre solegenerazioni, l’area che hacancellato dalla propria culturapolitica la tentazione che laguerra possa essere unostrumento di affermazionedella propria potenza e dirisoluzione delle controversie,l’area più ricca del pianeta e alcontempo la meno diseguale,l’area dove i nostri figlipossono crescere senza timorigià “europei” viaggiando dauna capitale all’altra perstudiare, visitare musei,stringere amicizie.L’integrazione europea è statada molti secoli a questa partela più grande storia di

successo di costruzionepacifica di una sovranitàcondivisa, di trasformazionedelle cause di potenzialeconflitto in fattori di crescitacomune, il modello concretoche più si è avvicinatoall’ideale kantiano dicomunità internazionale. Secosì non fosse, non sicapirebbe come mai questa èl’unica organizzazione che havisto triplicare negli ultimitrenta anni i suoi Statimembri, che ha Paesi chebussano alle sue porte perentrare, che continua adaggiornare instancabilmentele proprie regole.Io ritengo che per il mioPaese, per l’Italia, tuttora, ilmassimo interesse nazionalecoincida con il proseguimentodell’integrazione. L’Europa haallargato i nostri mercati, hacambiato la cultura dellenuove generazioni,harappresentato spesso il“vincolo esterno” - purliberamente assunto - che ciha obbligato a riformenecessarie. Perciò lavoriamoanche oggi per raggiungerel’Europa massima possibile,non per convivere con quellaminima indispensabile.Arriviamo alla stessaconclusione anche guardandocon realismo il mondo nuovoattorno a noi. Non servonoargomentazioni ricercate percomprendere che come attoreglobale l’Unione Europea –non dimentichiamo mai che è

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solo il 7% della demografiaglobale - pesa di più dellenostre singole ambizioninazionali. E poi, dalla Cinaagli Stati Uniti, per ragionisistemiche e per una piùcorretta distribuzione delleresponsabilità, tutti chiedono“più Europa”, una domandache spesso proprio noi nonsiamo in grado dicorrispondere. È finito il tempo in cui igrandi attori globalipreferivano avere a che farecon ciascun Paese europeosingolarmente. Dunquenessuno, oggi, può desiderareper ragioni di equilibrio

generale che l’area di pacecostruita attorno a noi, lapiattaforma europeaeconomica e industriale, ilvasto mercato interno sipossano indebolire odisgregare. Tuttavia, con altrettantorealismo, non possiamonasconderci che l’Europaaffronta da due anni una sfidaesistenziale, che l’Europa habalbettato davanti alla crisi,che la crisi dell’economia

europea ha rischiato diazzoppare gli sforzi americaniper una strategia dellacrescita, che l’europeismotradizionale è oggi assediatoda fenomeni populistici cherimettono in discussionel’intero percorso, perfinoagitando qua e là fantasmi diun passato da non rivivere:dall’Ungheria di Orban adAlba Dorata in Grecia, alleformazioni razziste di estremadestra che da nord a sudmietono nuovi consensi.Non è questa la sede perraccontare come e perché èarrivata la crisi, comeavremmo potuto agire più

celermente e con minori costi,per ricordare i ritardi di analisie di reazione. Anche il mio Paese ha le sueresponsabilità. Esso non haapprofittato, come invece laGermania, degli enormivantaggi scaturiti dall’arrivodell’Euro, ha sprecato anniimportanti non facendo leriforme necessarie e si ètrovato più vulnerabileall’arrivo della tempesta. Lastoria la conoscete bene. E

sapete anche bene chiguidava in quegli anni ilgoverno dell’Italia.Perciò non è superfluoricordare che dopo quella fase,una lunga fase, di unpopulismo che ha più voltescherzato col fuocodell’antieuropeismo, e che habruciato in parte la credibilitàdel mio Paese, noi – il miopartito – già impegnati conRomano Prodi al tempo delraggiungimento del traguardodella moneta unica, siamo statinuovamente attori decisividella tregua politica dell’ultimoanno e mezzo, e del percorsodi risanamento, faticoso e

indispensabile.Il governo tecnico di MarioMonti – esperienza non nuovain Italia ma che semprerichiede la generosità delleforze politiche piùresponsabili di fare untemporaneo passo indietro – èstato da noi voluto, è statolealmente sostenuto inParlamento nonostante leinsofferenze della destra, èstato spesso migliorato neicontenuti della sua azione per

DOCUMENTO

Come IntendIamo agIre, noI progressIstI ItalIanI,davantI a questa sItuazIone? sul pIano dell’orIzzonte

Ideale, abbIamo IndICato Con semplICIta’ l’obIettIvo

deglI statI unItI d’europa

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corrispondere meglio a unarealtà socio-economicacomplessa, è stato spiegatopazientemente ai cittadini chesoffrivano la durezza dellemisure, evitando così quelletensioni sociali che si sonoviste altrove.In tutto questo c’è statol’impegno generoso del miopartito, che ha messo l’Italiaprima dei suoi interessi politicied elettorali. Siamo arrivaticosì, alla vigilia delle elezioni,consapevoli del lavoro svoltoe soddisfatti per l’avviodell’ennesimo risanamentonazionale per il quale l’Europa– è giusto ricordarlo - non haversato un solo euro, ma cheha visto invece l’Italia nellaposizione di terzocontributore netto per ilsostegno delle crisi altrui. Siamo arrivati qui, però, conun conto pesante. L’Italiaraggiungerà il pareggio dibilancio quest’anno, secondogli impegni assuntiinconsapevolmentedall’on.Berlusconi, caso quasiunico in Europa. Il Paese hagirato il 2012 con un avanzoprimario di oltre il 4% del Pil,uno dei più alti al mondo, masconta ancora un debitorisalito a oltre il 120% del Pil,una recessione attorno al2,5%, la perdita di 700.000posti di lavoro. La strada èancora lunga. Anche nel 2013si prevede una recessione diquasi un punto che sitrasformerà forse in crescita

positiva solamente dal 2014.Sono numeri che sicommentano da soli e cheindicano già un percorso.Sappiamo di dover garantirel’impegno per la stabilità.Sappiamo di dover proseguireil cammino delle riforme. L’Italia ha bisogno di profondicambiamenti, partendo da unadiversa moralità pubblica. Abbiamo l’ambizione diingaggiare nuovamente legiovani generazioni e tutte leforze più dinamiche dellanostra società, l’impresa, laricerca, l’innovazione,perrimettere in movimentol’Italia, per scommettere sulfuturo. La politica da sola,come semplice arte tecnica delgoverno, non basta amodificare profondamente, econ il consenso, gli equilibrisociali.Serve coraggio in chi guida,ma anche la capacità diascoltare una società e diconvincere sulle finalitàpositive di un cambiamento.Siamo consapevoli che lastabilità e il rigore sonocondizioni necessarie in untempo di crisieconomica,quando i partner diun’impresa comune comequella europea devono essererassicurati sulla credibilità eaffidabilità degli impegniassunti.Pensiamo altresì che ilcompletamento del mercatounico possa facilitare la ripresae la crescita.

Ricordo che quando eroMinistro dello SviluppoEconomico nel governo diRomano Prodi nel periodo diavvicinamento all’Euro,questo processo aveva comeriflesso la spinta a politichestrutturali comuni, nel campodell’energia, dei programmi diricerca e di innovazione, dellepolitiche ambientali. L’arrivodella moneta non eradisgiunto dalla percezioneche dovevamocontemporaneamente fare deipassi avanti sui temistrutturali. Così oggi, mentre siperfezionano gli strumentidella disciplina monetaria efiscale comune, deveriprendere l’impulso per uncompletamento del mercatounico.Ricordiamoci poi che davantia noi c’è anche la sfidadell’accordo di liberocommercio fra UnioneEuropea e Stati Uniti, e fraUnione Europea e Mercosur,un doppio appuntamentomolto significativo per lenostre economie.Stabilità, rigore ecompletamento del mercatonon sono però sufficienti senon riparte una strategia diinvestimenti e di crescita suscala continentale, se non siconsente di liberare risorsenazionali per investimenticoncordati con i verticieuropei, se non si permette –come accade in Italia al

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sistema di governo locale – dispendere risorse fresche eimmediatamente disponibiliper un eccesso di vincoli delPatto di Stabilità.Non è solamente unaquestione italiana, anche se larecessione della secondaeconomia manifatturieradell’Unione riverbera i suoieffetti su tutti i mercati.Crescita e occupazione nonsono un lusso da rinviare adomani. Noi abbiamo apprezzato losforzo contenuto nel rapportopromosso dai QuattroPresidenti “Verso una genuinaUnione Economica eMonetaria”e abbiamo seguitopasso passo le decisioniadottate nel corso del 2012. Sitratta delle scelte cheavrebbero dovuto sviluppare iquattro “building blocks” delprogetto: unione bancaria,unione fiscale, unioneeconomica e il rafforzamentodella legittimazionedemocratica dei processidecisionali della zona euro. Sono evidenti i rilevanti passiavanti compiuti sul temadell’unione bancaria, ma èdifficile mascherare ladelusione verso la progressivariduzione delle ambizioniiniziali. In materia di unionefiscale e controllo dei bilancinazionali, dopo il FiscalCompact e i vari “packs”, si èspento il dibattito politicosulle possibili forme dimutualizzazione di parte del

debito (sia gli eurobonds sia ilcosiddetto “redemption fund”pensato proprio qui inGermania) e anche l’ipotesi diuna “fiscal capacity”, di unbilancio autonomo purlimitato all’Eurozona, èrimasto a uno stadio tuttopreliminare. Così come una strategiacomune a favore degliinvestimenti e del lavoro nonha ancora trovato concretezzae dimensione sufficiente. È afronte di questa strategia chenoi siamo pronti a costruireulteriore corresponsabilitàrispetto ai bilanci nazionali.Ancora prima si è fermata lariflessione sugli strumentipossibili di convergenza dellepolitiche economiche e suiprocessi di legittimazionedemocratica nell’Eurozona.Hanno sicuramente pesato inquesto senso l’attesa per leelezioni in alcuni grandi Paesi,attesa che - temiamo -proseguirà per tuttoquest’anno, e il timore diattivare strumenti e regole checomportassero di mettereancora mano ai Trattati.Se dunque resta un dubbiosostanziale rispetto a questocammino, esso riguarda iltempo lungo che richiede. Ilmomento peggiore della crisiè sicuramente passato ma nonsono sicuro che questo lungocalendario ci metta al riparoda crisi future. La discussione sull’architetturapolitica dell’Unione Europea

non ha mai appassionato icittadini. Ne siamoconsapevoli. Paradossalmente,proprio l’area più integrata, lazona Euro, ha costruito lapropria governance attuale suun insieme di strumentiintergovernativi – il piùimportante è l’Euro summit-mentre quella meno integratache la circonda, quella delmercato unico, si sostieneancora mediante strumenti piùcomunitari.L’emergenza dell’area Euro haalimentato politicamente uncircuito vizioso fraallargamento dei populismiche non riconosconolegittimità democratica allescelte di Bruxelles e ricorsocrescente a governi e decisionitecniche, stante la difficoltà disuperare nelle formetradizionali e democratiche lenecessità imposte dalla crisi.Così oggi, noi pensiamo siagiusto superare un modellosolamente intergovernativo,poiché l’assenza di unaprospettiva di sovranitàdemocratica su scala europeagenera entropia, dispersione,ripiegamenti nazionali,insomma la tentazionedell’assalto finale alla cittadelladel sogno europeo.Come intendiamo agire, noiprogressisti italiani, davanti aquesta situazione? Sul pianodell’orizzonte ideale, abbiamoindicato con semplicitàl’obiettivo degli Stati Unitid’Europa. Un’affermazione

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non scontata in questi tempi.Dietro una moneta sola deveesserci un solo sovrano.Non immaginiamo il superStato europeo paventatostrumentalmente in alcuniPaesi e agitato dai populisminazionalisti. Io penso a unpotere federaledemocraticamente legittimato,dotato di un bilancio conrisorse proprie, capace disvolgere specifiche funzioni,dotato di una Banca Centralee di un Tesoro, competentesui temi indispensabili nellascala globale come la difesa, lapolitica estera, le migrazioni, laricerca, l’energia, le retiinfrastrutturali. Questo obiettivo di lungotermine pone una domandaineludibile, cioè quali quote disovranità gli Stati nazionali

sono disposti a cedere perraggiungere questa sovranitàpost-nazionale. Una sovranitàefficace, ancorata alla verascala dei problemi odierni.Perché o la sovranità arrivaalla dimensione dei problemidi oggi, o può esserci solol’illusione della sovranità.Dovremo trovare la sede perrispondere a questo problema.Alla fine, si porrà il tema diuna nuova Convenzione perdiscutere di noi stessi edecidere insieme del nostrofuturo. Capisco le paure di chiteme l’apertura di un vaso diPandora e ricorda l’impasseistituzionale di dieci anni fa,ma non possiamo nemmenopensare che urlino solamentegli euroscettici e che isostenitori di un’Europafederale e politica tacciano.

Che di fronte a noi ci siasolamente la scelta tra fareavanzare segretamente ilprogetto europeo in nomedell’emergenza o retrocederepubblicamente in modoclamoroso quando, e se,sfidati da un referendum. È una questione diresponsabilità che alla fine siporrà. Nel frattempo, vedreivolentieri, se- ad esempio ilparlamento italiano e quellotedesco – convocasseroun’assise congiunta sul futurodell’Europa, aprissero unadiscussione politica. Lapredisposizione dell’Italia edella Germania verso una piùgenuina unione politicapotrebbe essere un buonmodello per altri.Il Presidente della Repubblica,Giorgio Napolitano, ci ha

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invitato più volte a investiremaggiormente nellacostruzione di una sferapolitica europea. Il demoseuropeo non può che forgiarsinel fuoco di una battagliapolitica democratica econtinentale. E’ questa lastrada per superare la spiralefra populismi e tecnocrazie. Ilconsolidamento di un campoeuropeista e progressista, nelquale ci sentiamo collocati, èparte integrante del progettodi costruzione dell’Europapolitica. E riguarda la miacome le altre famiglie politicheeuropee.Con le regole attuali, intanto,potremmo fare già alcunescelte importanti: indicareprima del 2014 i candidati allaPresidenza dellaCommissione, magari anchel’alto Rappresentante dellaPolitica Estera, lavorare perfarli eleggere direttamente e,comunque, lanciare il tema,consentito da Lisbona, dellaunificazione delle funzioni diPresidente della Commissionecon quelle di Presidente delConsiglio, avendo così unaprima figura pilota di“Presidente dell’Europa”.Noi, i Paesi dell’Eurozona,abbiamo il dovere diaffrontare queste scelte conpiù coraggio, chiederci qualipassi siamo disponibili a fareper evolvere verso una piùstringente unione politica. È lacrisi stessa che ci richiama aquesta esigenza di coraggio. O

l’Europa riuscirà a proporsiall’opinione pubblica come lachiave di soluzione concretadei problemi e comeprospettiva credibile, o l’ideastessa di Europa verrà messain discussione. L’Eurozona in particolaredovrà inoltre riflettere sulrapporto con i Paesi che nonne fanno parte, specie conalcuni di questi. È evidente ilriferimento, e non solo per levicende degli ultimi giorni, alRegno Unito di DavidCameron.Per secoli la Gran Bretagna havissuto con l’idea, più chelegittima, di dover evitare chel’Europa continentale trovasseun proprio solido accordopoiché questo avrebbe messoin discussione il suo ruolointernazionale.Un riflesso così antico, nonsolo non scompare da ungiorno all’altro ma è tornatofuori oggi più forte che mai.Londra si è chiamata fuori daipiù indicativi traguardidell’ultimo decennio - l’Euro,Schengen, la Carta Sociale, ilFiscal Compact – e oggi invital’Eurogruppo ad andare avanticon la propria integrazione,riservandosi una decisionedopo un dibattito che impegnila propria opinione pubblica.Noi abbiamo un’idea diversadi cosa sia una “sovranitàefficace” nel mondo di oggi eci piace l’espressione con cuiun grande scrittore inglese,Geoffry Howe, definiva

Robinson Crusoe nella suaisola: “padrone di tutto masovrano di niente”.Come si è compreso, noisiamo perché, senza indugi, ilnucleo dell’Eurozona decidapassi di successivaintegrazione. Ad esempio,suun tema come quello delladifesa, che è elemento chiavedi un’Europa politica adulta, edi una rinnovata amiciziatransatlantica è ovvio che saràin ogni caso necessario trovareuna modalità di rapporto conil Regno Unito.Signor Presidente, Signore eSignori, in questi due anni, l’UnioneEuropea ha sofferto la crisidella propria principalemateria prima: la solidarietà. La conferma più evidenteviene dal difficile negoziatosul bilancio dei prossimigiorni. A forza di comportarsicon realismo, il realismo hasconfitto il buon senso.L’Unione rinvia da troppotempo una decisione strategicasu un bilancio fondatodavvero su risorse proprie, ecosì inciampa in un negoziatosul filo dell’impossibile. Il metodo dei contributinazionali, dove alcuni governinazionali per primi,inevitabilmente seguiti daquasi tutti gli altri,interpretano il negoziato soloin termini di costi/benefici,dato/ricevuto, pretendendoun rimborso in caso disbilanciamento eccessivo, ha

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reso questo esercizio pari allaquadratura del cerchio.Finora, l’Italia rischia didivenire per il futuro il primocontributore netto, inproporzione al proprioreddito, con un disavanzo dioltre 6 miliardi di euro e con ilparadosso di dover pagare ilrimborso a Paesi che hanno -secondo i dati dellaCommissione - un indice diprosperità più alto. Si tratta di una posizioneinsostenibile anche per uneuropeista convinto. Infine,Italia e Germania hannosempre puntatosull’integrazione europea ed ègiusto che proseguanoassieme questo percorso, inforte spirito di amicizia e di

collaborazione.La Germania di oggi puòportare nell’Unione Politicafederale di domani la forza delproprio successo economicoma anche quella del propriomodello sociale e istituzionale.Non ci sono modellialternativi né all’economiasociale di mercato, quicondivisa da decenni da tutte

le principali forze politiche, néa una vita istituzionale benorganizzata sul principio disussidiarietà.Eppure ci sembra di vedereuna riluttanza ad assumere unruolo di leadership politica.Per l’Europa di domani, noiauspichiamo invece che laGermania sappia assumerequelle responsabilità, vogliaandare oltre la stella polare delsuo formidabile rapporto conla Francia, e sappiariconoscere che il suosuccesso economico nelmercato globale sarebbemaggiore e strategicamentepiù sicuro se il nostrocontinente avesse un mercatounico compiuto e menosquilibrato, se ci fosse un

mercato europeo piùdinamico e propulsivo.Il nostro Paese, il miopartito,confermano anche quila consolidata tradizione diamicizia che fa della Germaniail nostro primo partner intermini economici, culturali,politici.Noi siamo interessati asospingere verso nuovi

obiettivi l’integrazione dellenostre economie, lacollaborazione perl’innovazione, gli investimenti,il lavoro.Consentitemi su questo unanota personale. Ho governatoper lunghi anni l’EmiliaRomagna, la regione italianaforse più integrata con laGermania sul pianoproduttivo e industriale. Mi èrimasta la ferma convinzioneche lavorando assieme ancorapiù strettamente ci daremo unfuturo più sicuro.Signor Presidente, Signore eSignori,Tommaso Padoa Schioppa, unnostro grande europeo concui ho condivisoresponsabilità di governo,

invitava i giovani a prenderel’Europa come punto diriferimento, a superare la“malinconia” di questo tempo,li spronava a “guardare in alto,dentro se stessi”. In questotempo difficile, l’Italiaprogressista dei democratici èpronta a ripartire proprio da lì.Grazie per la vostraattenzione.

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Il nostro paese, Il mIo partIto, Confermano anChe

quI la ConsolIdata tradIzIone dI amICIzIa Che fa

della germanIa Il nostro prImo partner In termInI

eConomICI, CulturalI, polItICI

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destra e sInIstraseCondo anthony gIddens

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da La Repubblica del 15 gennaio 2013

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estra e sinistrasarebbero concettisuperati, obsoleti,privi di senso, comequalcuno ora

sostiene nella campagnaelettorale italiana? Non sonod’accordo. Norberto Bobbiodiceva che il significato didestra e sinistra cambiacontinuamente, e non c’èdubbio che oggi entrambi itermini significano qualcosadi diverso rispetto al passato.Ciononostante restano dueconcetti politiciprofondamente differenti econtinuano ad avere unvalore specifico anchenell’odierno mondoglobalizzato.La destra tradizionale di oggi

in Europa e in generale inOccidente crede nel liberomercato, in uno stato pocoinvasivo e contenuto, in unconservatorismo sociale nellasfera privata. La sinistracrede in un governo attivopiù che nello statalìsmo, inuna maggioreregolamentazione delmercato, nel liberalismo

sociale. Le differenze tra idue schieramenti sono benvisibili, sebbene non sianopiù così nette come untempo. A sinistra non c’è piùl’utopia socialista. A destrapossono esserci aperture incampo sociale, comedimostra David Cameron inGran Bretagna schierandosi afavore del matrimonio gay,peraltro con forteopposizione e disagio tramolti membri del suo stessopartito.Inoltre oggi ci sonoquestioni, come quelladell’ambiente, che non sonopiù “di destra” o “di sinistra”sulla base dei vecchiparametri: il cambiamentoclimatico è un problema

grave, urgente e profondo,che travalica ognischieramento ideologico, perlo meno se guardato senzaparaocchi.In parte è vero quel che TonyBlair ha scritto nella suaautobiografia politica, dopoavere lasciato DowningStreet: oggi vi sono forze chesi distinguono per la propria

“apertura” nei confronti dellasocietà e altre che sidistinguono per unacontrapposta “chiusura”.Due diverse mentalità, duemodi di affrontare la realtà:apertura versol’immigrazione, le nuovetecnologie, i cambiamentisociali, in contrasto con chipreferirebbe chiudere lefrontiere respingere leinnovazioni, mantenere lostatus quo. Ma questocontrasto non basta adefinire la lotta politica.Rappresenta un programma euna visione troppo limitati.Ed è portato re di frequenticontraddizioni: vi sonopartiti apertissimi quando sitratta di discutere di libero

mercato che vorrebberoprivo di qualsiasi regola olaccio, e poi chiusissimi scitema dell’immigrazione,senza comprendere chequest’ultima è unacomponente essenziale delliberalismo e che non puòesserci un mercato “aperto”con una chiusura dellefrontiere agli immigrati.

d

norberto bobbIo dICeva Che Il sIgnIfICato dI destra

e sInIstra CambIa ContInuamente, e non C’e’ dubbIo

Che oggI entrambI I termInI sIgnIfICano qualCosa

dI dIverso rIspetto al passato

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La discussione sci presuntosuperamento di concetticome” destra” e “sinistra”ha inoltre un difetto difondo: induce a credere che,nel mondo di oggi, ci siabisogno di meno politica diquello di una volta, ossia dimeno ideologia, menopartiti, meno governo, comese tutto dipendessedall’essere disponibili ocontrari al cambiamentointeso come generaleprogresso dell’umanità. Alcontrario, ritengo invece cheoggi ci sia bisogno di piùpolitica di prima, perché i

problemi globali, dalladrammatica crisi economico-finanziaria all’effetto serra,dimostrano che solo unintervento collettivo,programmatico, di sanagovernance internazionale,può mettere il nostro pianetasulla strada giusta.Una migliore definizione delconfronto politico odiernoverterebbe allora su untermine diventato assai

popolare, seppure utilizzatospesso a sproposito:reformer. Oggi tutti operlomeno tanti siautodefiniscono così. Ma chiè, cos’è, un vero riformatoreo riformista? In Europa ècolui che comprende laprofondità della crisi chestiamo attraversando e sirende conto delle risposteradicali che sono necessarieper superarla. Oggi tutti i Paesiindustrializzati sonofortemente indebitati. Tutti,chi più chi meno, hannoperso competitività sui

mercati. Finora sono stateindicate e discusse due vied’uscita da questa situazione:incoraggiare la crescitaeconomica con investimentipubblici, oppure puntare scirigore, sui tagli alla spesapubblica, sugli aumenti delletasse, in una parola sull’austerità. Ma riproporrel’alternativa tra il metodokeynesiano e il monetarismopotrebbe non bastare più.

Certo, i tagli sono in qualchemisura necessari. A mioparere, tuttavia, sono come lemedicine: se non le prendi, tiammali, ma se ne prenditroppe fai un’ overdose erischi di stare ancora peggio.E allora che fare? Ciò che unautentico riformatoreeuropeo dovrebbe porsicome obiettivo è una ripresasostenibile. Una ripresa ingrado di preservare unwelfare state che richiedesicuramente tagli eaccorgimenti per fare i conticon un nuovo scenariodemografico e sociale; ma

che al tempo stesso nonindirizzi principali beneficidella crescita sullo 0,1percento della popolazione,sulle fasce più alte di reddito.Una ripresa sostenibilesignifica un modelloeconomico che eviti didistruggere l’ambiente c laclasse media: non credo chel’Occidente uscirà dalla crisi ediventerà più competitivosemplicemente vendendo

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la terza vIa va perCIo’ adeguata aI problemI

del ventunesImo seColo, ma anChe alle nuove

opportunIta’ Che Il seColo appena ComInCIato lasCIa

Intravedere, non ultIma quella dI una nuova

rIvoluzIone IndustrIale e teCnologICa

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sempre più automobili allaCina, fino a quando i cinesine avranno tante quanto noi,o di più. Né continuando aindebitarsi, per poi aspettarsiche siano i giovani d’oggi,molti dei quali sonodisoccupati, a pagare i nostridebiti quando sarannodiventati adulti: sia i debiti incampo economico che quelliin campo ambientale.Come realizzare un’impresacosì immane e complessa? locontinuo a credere che siapossibile, attraverso ungenuino riformismo disinistra. 10 stesso spirito diquella Terza Via a cui hodedicato una patte dei mieistudi teorici, il cui primoartefice non è stato in realtàBlair, come si è talvoltaindotti a credere, ma

piuttosto Bill Clinton e ilpartito democratico negliStati Uniti. Dunque unprogressismo capace diconquistare consensi alcentro, comprendendo lelegittime preoccupazioni deiceti medi su questioni comesicurezza, tasse eimmigrazione, ma senzarinunciare alle aspirazioni diuna società più giusta e piùegualitaria, rese ancora piùimpellenti oggi dalleconseguenze del crackfinanziario e dalle minaccedel cambiamento climatico. La Terza Via va perciòadeguata ai problemi delventunesimo secolo, maanche alle nuove opportunitàche il secolo appenacominciato lasciaintravedere, non ultima

quella di una nuovarivoluzione industriale etecnologica, che sarànecessaria perché nessunPaese potrà veramenterisollevarsi dalla crisi se nonproduce più niente. Traqueste opportunità vi sonoquelle che può coglierel’Europa: secondo varistudiosi la nostra Unione,oggi afflitta da lacerazioni edifficoltà, ha il potenziale peruscire da questo periodo nonsolo rinsaldata e rinvigorita,ma perfino più forte degliStati Uniti. È uno scenarioche richiede ottimismo, ma èuno scenario possibile: apatto di usare più politica,non meno politica. E dicredere che “destra” e“sinistra” vogliano ancoradire qualcosa.

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manIfesto dI torIno:una unIone demoCratICa dI paCe,prosperIta’ e progresso

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l 2013 è un annocruciale per l’Europaprogressista. Dopo levittorie dei socialisti inSlovacchia, Francia e

Romania nel 2012, le elezioniin Italia e Germaniapotrebbero cambiare gliequilibri in seno al Consiglio

europeo, aprendo la strada auna maggioranza progressistadopo le elezioni europee del2014. La dichiarazione diParigi e il lancio dell’iniziativa“Renaissance for Europe”nel marzo 2012 si sonoconcentrate sulla necessità diandare oltre le politiche di

austerità, delineando i trattidi un nuovo e più equilibratocorso per un’Europa basatasu stabilità, crescita esolidarietà. A Torinovogliamo elaborare la nostravisione dell’Europa politica:una Unione della democraziabasata su una sovranità

I

Proponiamo qui di seguito il documento conclusivo del convegno su "Renaissance for Europe" svoltosia Torino l'8-9 febbraio, promosso dalla Foundation for European Progressive Studies, cui hanno partecipatoi leader delle formazioni democratiche e progressiste europee a sostegno del centrosinistra italianoe della candidatura a premier di Pier Luigi Bersani

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condivisa, che costituisce lacondizione essenziale peraffrontare la crisi e perrestituire potere ai cittadini efiducia nel progetto europeo.Ciò che vogliamo realizzare èuna Unione di progresso eprosperità per tutti, con unforte mandato da parte deicittadini europei.

Ridefinire i fondamenti:

sviluppare la democrazia

La crisi economica efinanziaria ha evidenziato ladebolezza della governancedell’euro. L’introduzione diuna moneta comune non èstata seguita dalcompletamento di una veraunione economica. Quindi,nonostante l’euro siadivenuto un simboloimportante del progressonell’integrazione, esso non èdiventato sinonimo disicurezza, stabilità e controllodemocratico. L’assenza diuna adeguata architetturaistituzionale si è riflessa in uncompromesso tral’intergovernativismo dellerisorse da un lato, e il metodocomunitario delle regoledall’altro. Il primo haimplicato la canalizzazionedell’aiuto finanziario da partedegli Stati membri attraversoorganismi intergovernativi. Ilsecondo, invece, si è tradottoin regole più severe didisciplina fiscale al livelloeuropeo, con la conseguenteattuazione delle politiche di

austerità. Questo impianto siè dimostrato inefficace, siapoliticamente cheeconomicamente. Non hamigliorato la stabilitàfinanziaria e la sostenibilitàfiscale. Al contrario, ha innescato uncircolo vizioso di recessionee peggioramento dei contipubblici, le cui conseguenzeeconomiche e soprattuttosociali sono devastanti. Ildeficit democratico dellepolitiche europee è arrivatofino agli Stati membri,erodendo il consensopubblico non solo neiconfronti del progettoeuropeo, ma anche dellestesse democrazie nazionali.Un’Unione di regole fiscaligestita da tecnocrati non puòandare oltre l’austerità e privai cittadini del proprio dirittoall’autodeterminazione. Ladisciplina di bilancio devetrasmettere un senso disicurezza, attraversomeccanismi sostenibili e nonsoggetti a continuenegoziazioni tra gli Statimembri e al loro interno. La continua trattativa non fache minare ulteriormente lasolidarietà europea,incentivando un modello digovernance fondato sugliequilibri di potere e unagerarchia basata sullaricchezza, e portando altempo stesso le democrazienazionali in rotta di collisionel’una con l’altra, divise tra

quante sentono di pagare perle altre e quante, invece, sisentono governate dalleprime. Il paradosso è che iltentativo di proteggere lasovranità nazionale ed evitarei trasferimenti fiscali hagenerato un sistema digovernance meno efficace,più invadente e menorispettoso della sovranitàdegli Stati di ogni altromodello federale esistente, eal tempo stesso più onerosoper i contribuenti.

Ristabilire la legittimità:

più potere agli europei

Una autentica Unioneeconomica e monetariarichiede di un diversomodello di governance, che sibasi sui seguenti elementi:• un’attuazione equilibrata delPatto di stabilità e crescita,che riconcili la responsabilitàfiscale con la crescita el’occupazione,salvaguardando gliinvestimenti e i servizipubblici e, allo stesso tempo,perseguendo la riduzione deldeficit e del debito;• un coordinamento più fortee più equilibrato dellepolitiche economiche allivello di UEM e politicheeuropee nuove e potenziate;• un’unione bancariacompleta, una Banca centraleeuropea attiva nellapromozione della stabilitàfinanziaria e una effettivaregolamentazione dei

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mercati, che incentivi gliinvestimenti a lungo terminee scoraggi la speculazione;• le politiche economichedevono essere accompagnateda un robusto sistema dipolitiche sociali responsabili,che divengano obiettivivincolanti e rispondano agliimpegni presi per ilprogresso e la prosperità.Questa è la ragione per cuideve essere elaborato unnuovo patto sociale chedivenga una garanzia per tuttigli europei. L’autonomia deipartner sociali e il loro ruolodevono essere salvaguardati erafforzati, favorendol’emergere di un dialogosociale europeo.• un bilancio dell’Unioneadeguato, fondato su risorseproprie, per promuovere lacrescita e la competitività, peraffrontare gli squilibri ciclici equelli strutturali e sostenerela coesione sociale eterritoriale;• una capacità di emettereeurobond, per darefondamenta più solide allasolidarietà finanziaria efacilitare il riscatto del debito.Questo modello digovernance richiede unamigliore e più chiaradivisione delle competenze edelle risorse tra l’Unione e gliStati membri, oltre a unamaggiore legittimitàdemocratica e responsabilitàa entrambi i livelli. Non devefondarsi sul metodo

intergovernativo, ma sulleistituzioni europee e sul“metodo comunitario”, conuna Commissione europeaforte da un lato, che agiscacome un vero e propriogoverno, e una pienacodecisione tra il Consiglio eil Parlamento europeodall’altro. Il bilancio dell’UE edell’UEM deve venire darisorse proprie chiaramentelegate alla ricchezza generataall’interno dell’Unione e allespecifiche funzioni regolatriciconnesse alle competenzedell’Unione stessa. Gli Statimembri devono mantenere laresponsabilità dell’attuazionedelle linee-guida di politicaeconomica co-decise aBruxelles e dei bilancinazionali all’interno dei limitidel quadro fiscale europeo.Condividere la sovranità suuna base democratica èl’unico modo per ripristinarlae dare potere ai cittadini. IlParlamento europeo e iparlamenti nazionalidovranno essere le forzemotrici di questo processo edovranno cooperarestrettamente, esercitando altempo stesso le rispettiveprerogative sulla base delprincipio che la legittimità e ilcontrollo democraticodevono essere assicurati allivello in cui le decisionivengono prese e attuate.Il completamento diun’autentica Unione

economica e monetariarichiede una revisione deiTrattati. Noi chiediamo laconvocazione di unaConvenzione nel corso dellaprossima legislatura, chepossa costituire l’avvio di unanuova fase deliberativa sulfuturo dell’Europa. Un simileobiettivo deve esserepreparato facendo un prontoe pieno ricorso agli strumentiprevisti dai Trattati esistenti(dalla cooperazionerafforzata all’articolo 136 delTFUE, alla clausola diflessibilità) e con un ampiodibattito pubblico checoinvolga la società civile, leparti sociali, i partiti politici,il Parlamento europeo e iparlamenti nazionali. Lefondazioni di ispirazioneprogressista promuoverannotale dibattito, fornendo ilproprio contributo e leproprie proposte per unavera Unione economica emonetaria in un’Unionedemocratica.

Riaccendere l’ambizione:

ridare speranza

Politiche europee migliori epiù forti non sono possibilisenza una vera politicaeuropea. Un’unione fiscaleed economica, infatti,richiede un’unione politica.Deve emergere una sferapubblica davvero europea,che valorizzi il ruolo dellasocietà civile. Questa unitàdei cittadini d’Europa dovrà

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rispettare pienamente eutilizzare al meglio i valoridel pluralismo culturale edella diversità nazionale,portando il dibattito e ilprocesso decisionaledell’Unione lungo assipolitico-ideologicitransnazionali, invece chelungo le tradizionali divisioninazionali.Le elezioni legislativenazionali devono essereconcepite come parteintegrante del processopolitico europeo. A lorovolta, le elezioni europeenon devono essere piùconsiderate come test dimetà mandato per i partitinazionali nei 28 Paesimembri, bensì come ilmomento in cui il cittadinoeuropeo sceglie la direzioneper l’Europa, offrendo unmandato democratico alParlamento e al governoeuropeo. Il PSE ha giàdeciso di indicare, primadelle elezioni, il propriocandidato “di punta” per ilruolo di Presidente dellaCommissione. Invitiamotutti i partiti europei a fare lostesso, conformandosi allarisoluzione approvata a largamaggioranza dal Parlamentoeuropeo. La nomina di talicandidati deve esserecollegata alla presentazioneagli elettori di programmibasati su politiche europeealternative, sottoscritti daipartiti nazionali e dai loro

candidati al Parlamentoeuropeo.La politicizzazione dellaCommissione el’europeizzazione delleelezioni del Parlamentoeuropeo e dei parlamentinazionali sono tappe crucialiverso una Unione politica,ma non sono sufficienti. Ènecessario promuovere erafforzare la partecipazionediretta dei cittadini alprocesso decisionaleeuropeo. L’Iniziativacittadina europea devediventare uno strumentoordinario per coinvolgere lasocietà civile e i partitipolitici in campagne su basetransnazionale. Gli scioperi ele lotte sociali devono esserecondotti al livello europeo,controbilanciando con ilruolo dei cittadini e deilavoratori il crescente pesodelle lobby e degli interessicostituiti nelle decisionidell’Unione. I gruppisocialisti e democratici alParlamento europeo e neiparlamenti nazionali devonopromuovere una strettacooperazione sia con il PSEche con i partiti nazionali.I giovani devono essere laforza portante del processodi costruzione di una verasocietà europea. Quindi,iniziative fondate su pari equalificanti opportunità,come la Garanzia europeaper i giovani o il programmaErasmus devono essere visti

come un investimento nelfuturo collettivo dell’Unione.I progressisti devonocollaborare per promuovereun dialogo transnazionale eprogrammi di scambio, chefavorirebbero la circolazioneorizzontale delle buonepratiche e delle esperienzenazionali, rafforzando lospirito europeo e la famigliaprogressista. È un modo per recuperare ilsenso della militanza,arricchendola e conferendouna dimensione paneuropeaall’attivismo politico. Ciò sipotrà realizzare attraversol’istituzione di un Erasmusprogressista militante che,grazie allo sforzo collettivodei partiti europei, potràdare la possibilità dieffettuare stage e scambi diattivisti tra le organizzazioninazionali.L’economia globale richiedeuna democraziasovranazionale. Una Unionepolitica è la condizione perpoter dare all’Europa unmodello di governanceefficace e legittimo, chepromuova stabilità, crescita esolidarietà. Una Unionedemocratica è indispensabileper dare agli europei unavoce e la possibilità diincidere sul mondo in cuivivono. L’impegno di “unnuovo Rinascimento perl’Europa” è una propostacredibile su come realizzarequesto sogno ambizioso.

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NUMERI PRECEDENTI

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NUMERO 2

OTTOBRE 2011

NUMERO 5

GENNAIO 2012

NUMERO 1

AGOSTO/SETTEMBRE 2011

NUMERO 4

DICEMBRE 2011

NUMERO 7

MARZO 2012

NUMERO 8

APRILE 2012

NUMERO 9

MAGGIO/GIUGNO 2012

NUMERO 10

LUGLIO 2012

NUMERO 11

OTTOBRE 2012

NUMERO 12

NOVEMBRE 2012

NUMERO 13

DICEMBRE 2012

NUMERO 0

LUGLIO 2011

NUMERO 3

NOVEMBRE 2011

NUMERO 6

FEBBRAIO 2012

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