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Spunti teologici sulla madre di Dio
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Meter Theon = Madre di Dio
L’iscrizione dell’icona
non serve in verità a far
riconoscere il
personaggio ma a
proclamare anche con
la scrittura e la Parola,
la verità di fede. Non si
tratta cioè di una
didascalia, ma di una
homologia, ossia di una
professione di fede
attraverso la quale il
credente proclama: Io
credo che questa donna
è la Madre di Dio !
Orientamenti teologici attuali
Maria vergine, la quale all'annunzio dell'angelo accolse nel cuore e nel corpo il Verbo di Dio e portò la vita al mondo, è riconosciuta e onorata come vera madre di Dio e Redentore. Redenta in modo eminente in vista dei meriti del Figlio suo e a lui unita da uno stretto e indissolubile vincolo, è insignita del sommo ufficio e dignità di madre del Figlio di Dio, ed è perciò figlia prediletta del Padre e tempio dello Spirito Santo; per il quale dono di grazia eccezionale precede di gran lunga tutte le altre creature, celesti e terrestri (LG 53).
Non c’è nessun
dogma mariologico:
c’è un solo dogma
cristiano, il cui oggetto
è Dio Salvatore (Eb
11,6), cioè il Cristo.
Maria si trova
implicata nel Cristo,
come parte integrante
della salvezza in Gesù
Cristo.
• Renè Laurentin solleva a questo riguardo il problema del linguaggio, in quanto ritiene l’espressione “dogma mariano”impropria: isola la Vergine Maria e rischia di tagliare i legami con Cristo e con la Chiesa; adoperarla significherebbe entrare, almeno formalmente e linguisticamente, nell’empasse di una mariologia chiusa in se stessa.
Il dogma è:
- per il suo contenuto, una
verità rivelata;
- per la sua forma, una
proposizione dottrinale;
- per la sua validità
oggettiva, un enunciato
infallibile di fede;
- per la sua pretesa
soggettiva di validità, una
norma che impegna, sul
piano della coscienza, ogni
fedele della Chiesa;
- per il suo sviluppo, una
precisazione che la Chiesa
fa nel corso della sua storia
e nel suo itinerario di fede
“sotto” la Parola di Dio.
Per la tradizione cristiana, il grembo verginale di Maria, fecondato dal pneuma divino senza intervento umano (cf. Lc 1,34-35), è divenuto come il legno della croce (cf. Mc 15,39) o le bende della sepoltura (cf. Gv 20, 5-8), motivo e segno per riconoscere in Gesù di Nazaret il
figlio di Dio.
Se la fonte prima per incontrare la fede è certamente la Scrittura, tuttavia, la Paradosis Ecclesiaeveicola al credente la vivente realtà del passato e istilla un habitus mentale che lo rende docile all’azione dello Spirito.
L’ermeneutica oggi considera le
difficili questioni del linguaggio
usato e del momento storico
nella formulazione del dogma.
I teologi sostengono che, pur
nella intangibilità dell'autentico
contenuto di fede, esso è
sempre suscettibile di diverse
modalità di approccio e di
una lettura sempre nuova,
essendo il nocciolo dogmatico
sempre nuovo e vitale,
partecipando dell’evento-mistero
dell’autocomunicazione
dell’Unitrino.
In tale contesto, è perciò
valida la proposta di
un'ermeneutica globale:
fedeltà al passato,
risposta al presente, cui
deve seguire il momento
della comprensione del
passato
e del presente nella
prospettiva del futuro.
Non quindi sola
Scriptura, sola Traditio, o
solum magisterium, ma
nemmeno sola existentia
o sola experientia.
Nella teologia ecumenica
contemporanea si avverte
l’esigenza di integrare ogni
dogma nell’insieme di tutti i
dogmi (prestando attenzione
al principio della «gerarchia
delle verità») e l’insieme dei
dogmi nella totalità della
dottrina e della vita ecclesiali
(paradosis). Nello stesso
tempo si ha la convinzione
che «ogni dogma
ecclesiastico non è mai
soltanto conclusione di una
discussione, ma sempre
anche un nuovo inizio».
La verità è sempre una e i diversi misteri hanno un nexus tra loro ma in riferimento a un princeps: Gesù Cristo Salvatore assoluto della storia umana.
Oggi si assiste ad una positiva riscoperta e
rivalutazione del linguaggio
simbolico come via feconda per accostarsi alla
realtà trascendente.
In mariologia i simboli, i tipi, le figure, le icone teologiche che si
riferiscono alla Madre del Signore, infatti, sono così numerose e
diversificate, da far pensare a un ginepraio inestricabile, per cui
diventa necessario apprendere l'alfabeto del linguaggio simbolico
prima di intraprendere la lettura dei “testi mariani” (dogmatici,
teologici, liturgici...) scritti con tale sistema linguistico.
Il titolo Madre di Dio è strettamente unito al dogma cristologico più importante quello dell’unione ipostatica: nella persona (o nell’ipostasi) del Figlio di Dio sono unite la natura umana e la natura divina.
Per confutare le opinioni degli gnostici Apelle e Valentino che attribuivano a Cristo un “corpo celeste”, Cirillo di Gesulemme († 387) nelle Catechesi spiegò che l’umanazione di Cristo si attuò non in apparenza, né in immaginazione, ma in tutta verità. “Non passò per la Vergine come per un canale, ma veramente prese carne da lei e veramente fu nutrito da lei col latte, mangiando come noi, realmente e realmente come noi bevendo”.
Perciò il simbolo di fede Costantinopolitano(381):
Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria virgine, ethomo factus est
e non dia (per)
Mentre gli alessandrini sono più disposti ad accettare Maria come Madre di Dio, gli antiochieni fanno fatica, perché tendono a distaccare il Figlio di Dio da Gesù Cristo, in cui il Figlio abita come in un tempio. Malgrado lo scetticismo dei teologi antiochieni, il titolo Theotókos alla fine del IV secolo è universalmente diffuso in Oriente.
Quando Nestorio, patriarca di Costantinopoli dal 428, della scuola antiochena che non accettava l’unione ipostatica in Cristo (in cui l’unica persona è portatrice degli attributi divini e umani) propose per Maria il titolo Christotókos provocò la decisa reazione di Cirillo d’Alessandria.
Non diciamo, infatti, che la
natura dal Verbo si sia incarnata
mutandosi, né che fu
trasformata in un uomo,
composto di anima e di corpo.
Diciamo, piuttosto, che il Verbo,
unendo a se stesso
ipostaticamente una carne
animata da un'anima razionale,
si fece uomo in modo ineffabile
e incomprensibile e si è
chiamato figlio dell'uomo; non
assunse la natura umana solo
secondo la volontà e nemmeno
assunse un’altra persona.
Sono diverse, cioè, le nature
che si uniscono, ma uno solo
è il Cristo e Figlio che risulta
da esse; la differenza delle
nature non è cancellata
dall’unione, ma piuttosto la
divinità e l'umanità formano
per noi un solo Signore e
Cristo e Figlio…;
(Non dobbiamo pensare),
infatti, che prima sia stato
generato un uomo qualsiasi
dalla santa Vergine, e che poi
sia disceso in lui il Verbo: ma
che, invece, unica realtà fin
dal seno della madre, sia nato
secondo la carne, accettando la nascita della propria carne.
Theotókos significa
letteralmente colei
che ha generato Dio.
È chiaro che si tratta
unicamente della
generazione umana di
Gesù, non della
generazione eterna
della Santissima
Trinità. Da Maria il
Verbo “è nato
secondo la carne” (Gv 1,14)
L’icona ha nella pietà e nella
dottrina delle Chiese greco-slave
un posto che non ha equivalenti in
occidente.
Nel II Concilio di Nicea (787) viene
presentata la teologia delle
immagini basata sui Padri
cappadoci attraverso i dottori
dell’epoca iconoclasta. Mentre
l’Oriente cristiano gli ha riservato
sempre un posto importante non è
stato così nella Chiesa
d’occidente.
A partire dagli anni '30 del secolo XX si è manifestato in tutto il cristianesimo occidentale un interesse nuovo per la teologia e la liturgia bizantine .Da quegli anni infatti si cominciano ad avvertire nel mondo cattolico e protestante gli effetti della presenza a Parigi di un folto gruppo di teologi e pensatori russi ortodossi che, in parte raccolti attorno all'Istituto San Sergio, fanno conoscere alla teologia occidentale la ricchezza e la profondità dell'esperienza spirituale bizantina e della filosofia religiosa russa.
Grazie a Pavel Evdokimov con una sua opera assai diffusa e
suggestiva, La teologia della bellezza (1970).
viene riscoperta l’icona bizantina. Il suo valore quasi
sacramentale, il suo significato teologico, la sua qualità
mistagogica convergono nel conferirle valore e dignità, anzi
una certa quale superiorità sulla concezione occidentale
dell'arte sacra.
Lo straordinario
successo teologico -
e spirituale - del
termine icona ha
portato ad una
riduzione di
significato del
termine immagine,
come se esso
indicasse la
rappresentazione
puramente esteriore
di una realtà,
e ad una sua
notevole eclisse nel
linguaggio religioso.
Ha determinato però al tempo stesso un ampliamento considerevole del significato dell'icona che è andato oltre il riferimento alla sacra icona per esprimere da una parte l'immagine di valore genericamente religioso e dall'altra parte ogni tipo, di realtà nella quale si possa ritrovare una dialettica tra "visibile concretezza"' e "invisibile profondità"
Abbiamo così due
modalità teologico-
spirituali di uso del
termine icona, che
sono diverse anche
se in qualche misura
sovrapposte: icona
nel senso di icona
sacra; icona nel
senso di realtà
visibile che rinvia ad
un significato
teologico salvifico
generale.
«Perciò del Dio invisibile non
fare nessuna immagine, ma
da quando tu vedi
l'incorporeo divenuto uomo,
fa l'immagine della forma
umana; quando l'invisibile
diventa visibile nella carne,
dipingi la rassomiglianza
dell'invisibile, quando ciò che
non ha né quantità né misura
né figura per l'eminenza della
sua natura, quando colui che
era in forma di Dio prende la
forma di uno schiavo e per
questa riduzione assume la
quantità, la miseria e i
caratteri del corpo, …
…disegna allora sulla tua
tavola e proponi alla
contemplazione colui che ha
accettato di essere visto,
esprimi la sua indicibile
condiscendenza, la sua
Nascita dalla Vergine, il
Battesimo al Giordano, la
Trasfigurazione sul Tabor, la
Passione che dona
l'impassibilità, i miracoli, le
manifestazioni della sua
natura e della sua
operazione divina, compiute
attraverso le operazioni della
carne, la tomba salutare del
Salvatore, l'Ascensione al
cielo, illustra tutto ciò in
parola e in pittura nei libri e
sulle tavole di legno»
(Giovanni Damasceno).
Secondo le parole del Damasceno «l'icona dunque è somiglianza, modello, rappresentazione che mostra attraverso sé colui di cui essa è immagine. L'icona però non è lo stesso prototipo» (PG 94, 1337B). La natura dell'icona è una natura "relativa", rinvia al prototipo, all'originale. Ad essa pertanto non va una latreia, ovvero un culto di adorazione che è proprio solo di Dio, ma una proskynèsisschētiché' o timētiké, una venerazione relativa che onora nell'icona l'originale.
Una volta legittimata la
possibilità delle icone di
Cristo e della loro
venerazione, è possibile
legittimare quelle della
Vergine e dei santi: «Noi
facciamo la proskynesis
innanzitutto di fronte a quelli
nei quali Dio, il solo Santo,
riposa: la santa Madre di Dio
e tutti i santi. Per quanto è
possibile essi sono simili a
Dio, per la loro libera scelta,
per l'inabitazione in essi di
Dio e delle sue energie.
Giustamente li si chiama dèi
non per natura, ma per
grazia» (PG 94, 1352)
La prima caratteristica dell'icona si può definire epifanica, giacché manifesta l'invisibile agli occhi della carne. L'icona infatti cerca di rappresentare o, per meglio dire, di rendere visibile attraverso i mezzi tecnici e le materie proprie dell'arte pittorica la verità spirituale, il mondo come appare ai sensi spirituali. C'è infatti, al di là del cosmo visibile, il mondo che solo lo sguardo spirituale può cogliere, il mondo attraversato e trasfigurato dalla gloria di Dio. L'icona consente all'invisibile di farsi accessibile ad ogni uomo, anche se è privo di occhio spirituale.
L’ immagine della Theotokos occupa il primo posto dopo quella di Cristo e le fa da pendant; si distingue dalle icone degli altri santi e degli angeli sia per la varietà dei tipi iconografici che per il loro numero e l'intensità della loro venerazione
La varietà e il
numero
non facilita la
classificazione
tipologica
delle sacre icone
mariane.
Tuttavia, si può operare
una generale distinzione
tra le icone nelle quali la
Madre di Dio è
rappresentata in rapporto
immediato o meno con i
misteri della vita di Cristo e
con le feste dell'anno
liturgico, spesso basate sui
vangeli apocrifi, e le icone
che esprimono contenuti
della fede, interpretazioni
spirituali e in ogni caso
contemplazioni del ruolo
della Vergine Maria in
rapporto al Cristo e alla
Chiesa.
La Donna Maria
“aveva un’intimità così
profonda col suo Dio,
che il suo Dio,
nell’intimità che aveva a
sua volta con lei,
volle farsi uomo
diventando carne della
sua carne”.
La natura umana portava il Verbo, ma era il Verbo che sosteneva la natura umana
“E questa
maternità di
Maria perdura
senza soste
dal momento
del
consenso. . . ”
Maria ha espresso
il suo consenso
alla
richiesta di Dio, ha
messo nel mondo
l’Unigenito Figlio
suo, l’ha accolto,
curato ed educato.
Con la sua
premurosa
maternità ha
collaborato a
sottrarre la vita di
ogni vivente
alla morte.
In Maria,
l’alfabeto della vita
Maria è la prima del lungo
corteo di questa umanità
incamminata, caduta ma
incamminata, prodiga ma
incamminata: in lei c’è
l’alfabeto della vita.
Nel patrimonio della prima
cellula è già contenuto un
progetto, l’energia e i codici
perché la persona futura abbia
tutta la sua bellezza e la sua
potenzialità, e quelle
caratteristiche che la faranno
unica. Così Maria è come il
DNA della Chiesa e di ogni
discepolo, in lei la Chiesa si
forma e si riforma su Maria.
Se Maria è «icona del mistero», è ugualmente icona di ogni discepolo. L’immagine del DNA può aiutarci a capire in che modo la presenza di Maria sia operante: non come un modello di riferimento passivo, non come una semplice intercessione misericordiosa, ma come forza di vita germinante.
La sua maternità non è
conclusa, si occupa ancora e
continuamente di noi, nell’oggi
di Dio, ci guida dall’interno,
sospingendoci al destino che è
il suo. In un lavorio continuo, in
una dinamica creativa, in una
germinazione perenne, in
analogia con l’invisibile e
fortissimo lavoro che il
patrimonio genetico della mia
prima cellula continua a
svolgere in me, nel mio
organismo, nel mio crescere e
maturare. La maternità di
Maria è il diffondersi del
patrimonio originario del
credente autentico, da lei,
prima cellula della Chiesa, a
ogni cellula del corpo. La
Chiesa infatti prolunga Maria,
non Cristo. Cristo è il capo di
questo corpo.
“Il discorso di fede
sulla Vergine Madre è
tutto relazionale. Non
si può
parlare di Maria
senza parlare del
mistero del Verbo
incarnato, e perciò
della
Trinità, dell’uomo e
della Chiesa, della
storia e soprattutto
dell’escatologia”
“La sua è dunque una maternità impegnata e significa ch’ella si occuperàmaternamente dei suoi figli. Il vincolo oggettivo che lega la maternitàdivina alla nostra vita cristiana ha dunque, ancor prima che noi ne siamoconsapevoli, da parte della Vergine, un carattere personalistico e non puòessere considerato un rapporto impersonale”
“L’esistenza della Vergine–Madre è
segno di tutti i misteri cristiani:
del mistero trinitario, per essere
figlia eletta del Padre,
madre santa del Figlio, sposa
amorosa dello Spirito;
del mistero dell’incarnazione, per la
sua maternità divina;
del mistero pasquale–pentecostale
per il suo essere stata
“socia del Salvatore” sotto la croce
e compagna degli apostoli nel
cenacolo;
del mistero della Chiesa, per
essere sua madre e suo modello;
del mistero della fine, per essere
già assunta nella gloria trinitaria”
La maternità iscritta nel
corpo di ogni donna è il
fondamento
della capacità femminile di
“farsi spazio accogliente”
per l’altro. Questa
connotazione umana
sessuata
femminile è un dono
speciale di Dio
all’umanità. La donna
che possiede una
specificità biologica di un
corpo capace
di dare spazio ad un altro
è cifra somigliante del
mistero
trinitario.
“Si ritiene
comunemente
che la donna
più dell’uomo
sia capace di
attenzione
verso la
persona
concreta
e che la
maternità
sviluppi ancora
di più questa
disposizione”
“Assumere un’attitudine materna
significa offrirsi come grembo che
accoglie e rigenera” [. . . ]
“L’esperienza della maternità, non
tanto in termini
fisiologici, ma come fattivo
orientamento di vita tradotto
nell’accoglienza e
nella creatività dell’amore, risulta a tal
punto determinante soprattutto per la
donna, che qualora venga disattesa o
contraddetta provoca gravi squilibri
dalle dolorose ripercussioni personali e
sociali. Mentre è sintomatico notare
che la maternità si dilata per così dire
all’infinito nelle persone radicate in
una verginità e in una sponsalità
totalmente dedite alla causa del regno”
Ogni anima che crede, concepisce e genera il Verbo di Dio…Se secondo la carne una sola è la madre di Cristo,secondo la fede tutte le anime generano Cristo quando accolgono la sua parola (S. Ambrogio)
Chi non crede che Gesù è Dio non può dire a Maria che è la
Madre di Dio
Il fatto che Dio sia sceso dalla
sua sovranità, incarnandosi
nel grembo di Maria, è un
invito per noi a scendere dalla
nostra superbia, sia nei
confronti di Dio, sia nei
confronti degli uomini. Il
grande peccato dell’orgoglio
è sempre in agguato. Ogni
giorno è un combattimento
per restare a galla, per non
essere schiacciato dall’altro,
per primeggiare e prevalere
sull’altro.