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Tesi di Laurea Triennale di Alessandro Abbate in Storia delle Tradizioni Popolari
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UIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MESSIA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
CORSO DI LAUREA I STORIA
STORIA E CULTURA DELLA MAA IL PERCORSO DI U «ETTARE CELESTE»
Tesi di Relatore Alessandro Abbate Prof. Mario Bolognari
Anno Accademico 2010-2011
- 2 -
I D I C E I T R O D U Z I O E
p. 5
C A P I T O L O 1 – LA STORIA DELLA MANNA NELL’ANTICHITÀ 1.1 LA MANNA BIBLICA
9
1.2 LA MANNA E IL FRASSINO PRESSO I GRECI TRA IL X E IL III SECOLO A.C.
11
1.3 LA MANNA E IL FRASSINO PRESSO I GRECI E I LATINI TRA IL III A.C. E IL
V SECOLO D.C.
12 C A P I T O L O 2 – LA STORIA DELLA MANNA NEL MEDIOEVO 2.1 DIVERSE TIPOLOGIE DI MANNE E LA LORO DIFFUSIONE NELL’ETÀ DI
MEZZO
17
- 3 -
C A P I T O L O 3 – LA STORIA DELLA MANNA IN ETÀ MODERNA
. E CONTEMPORANEA 3.1 LA MANNA NEL XVI SECOLO E LA SUA DIFFUSIONE IN CALABRIA
23
3.2 IL XVII SECOLO, L’ESPANSIONE DELLA MANNA E IL SUCCESSO DELLA
FRASSINICOLTURA CALABRESE
28 3.3 LO SVILUPPO DELLA MANNA DA FRASSINO NELLA SICILIA DEL XVIII
SECOLO 30
3.4 LA MANNA ORMAI “MONOPOLIO” SICILIANO, DALL’INIZIO DEL XIX
SECOLO ALL’UNITÀ D’ITALIA
35 3.5. LA FRASSINICOLTURA DALL’UNITÀ NAZIONALE ALLA FINE DEL XIX
SECOLO
39 3.6. LA RIPRESA DELL’INDUSTRIA MANNIFERA NEL PRIMO QUARTO DEL XX
SECOLO
41 3.7. IL DECLINO DELLA MANNA NEL CORSO DEL XX SECOLO E LO STATO
ATTUALE DEL SETTORE MANNICOLO
44
- 4 -
C A P I T O L O 4 – IL FRASSINO E IL MANNICOLTORE 4.1 IL FRASSINO, PUNTO DI RIFERIMENTO ALL’INTERNO DEL NUCLEO
FAMIGLIARE
59 4.2 L’INTIMO RAPPORTO TRA IL FRASSINO E IL «MANNALORU»
61
4.3 L’ESPERIENZA DI VITA DI UN FRASSINICOLTORE
63 C A P I T O L O 5 – LA PATRIMONIALIZZAZIONE DEL SETTORE
. MANNICOLO 5.1 LA RETORICA DELLA MANNA
68 A P P E D I C E – IMMAGINI DELLA MANNA
74
B I B L I O G R A F I A
85
- 5 -
I T R O D U Z I O E
La produzione di manna da frassino oggi sopravvive in una ristretta area del
comprensorio delle Madonie, nei territori di Castelbuono e Pollina.
La manna è un prodotto naturale utilizzato da secoli per le sue molteplici
proprietà officinali, che dopo oltre mezzo secolo di crisi sta cercando di trovare la sua
via per non scomparire per sempre1.
Essa è un secreto che si forma per indurimento del liquido che sgorga da incisioni
praticate sul tronco di tre specie di frassino: Fraxinus angustifolia V., Fraxinus
excelsior L. e Fraxinus ornus L.2; tali piante vegetato favorevolmente su terreni
argillosi ed arenacei3, in una fascia altimetrica compresa tra i 300 e i 700 metri sul
livello del mare. La sua coltivazione non richiede cure eccessive, gli interventi dei
«mannalori» si limitano solo a qualche zappatura e ad una leggera ripulitura dei rami4.
Le prime incisioni sul tronco dell’albero, effettuate con il «cuteddu da manna»,
una particolare roncola, vengono praticate quando la pianta è matura, cioè dopo tre
anni circa dalla messa in dimora e nel periodo stagionale che va da fine luglio al mese
1 ANTONINO GALATI, GIUSEPPINA MIGLIORE, CESARE SCAFFIDI SAGGIO, La
rivalutazione della frassinicoltura per la produzione di manna come prodotto officinale, Dipartimento
di Economia dei Sistemi Agro-Pastorali, Università di Palermo, Palermo 2008, p. 287. 2 GIOVANNA URSINO, Il frassino da Manna in Sicilia: Una coltura in regime di Monopolio
Mondiale, Herder, Roma 1995, p.7. 3 FRANCESCO GIULIO CRESCIMANNO, CARMELO DAZZI, GIOVANNI FATTA DEL
BOSCO, GIOVANNI FIEROTTI, GIUSEPPE OCCORSO, Aspetti agro-ecologici della
frassinicoltura da Manna in Sicilia: l’albero e il suo ambiente, Palermo 1991, p. 15. 4 GIOVANNA URSINO, Il frassino da Manna in Sicilia…, p.8.
- 6 -
di settembre, quando la pianta manifesta uno stato di stress che si palesa con
l’ingiallimento delle fronde, che appaiono asciutte ed increspate5.
In questo periodo, ogni giorno procedendo dal basso verso l’alto viene
effettuata un’incisione che si distanzia dalla precedente di due o tre centimetri; per la
vicinanza delle incisioni il liquido essudato dal frassino fuoriesce da esse formando
un’unica massa colante che assume l’aspetto di una stalattite, la quale al contatto con
l’aria e il calore del sole tende a solidificarsi6.
La prima raccolta viene effettuata solitamente dopo circa tre settimane.
La manna è un prodotto molto fragile, che teme l’acqua e l’umidità in genere,
elementi che tendono a far liquefare il prodotto, perciò capita frequentemente che esso
debba essere raccolto prima del previsto, prevenendo gli effetti negativi dei temporali
estivi o di giornate eccessivamente umide.
I «mannalori» eseguono la raccolta nelle ore più calde della giornata, in quanto
il calore favorisce il distacco della manna e impedisce la perdita di succo in via di
condensazione.
La parte più nobile del prodotto, cioè la «manna in cannolo», viene raccolta con
l’«archetto», un legno incurvato alle cui estremità è fissato un filo metallico, che
permette di tagliare con precisione la stalattite di manna, mentre il prodotto rimanente,
attaccato al tronco del frassino, costituente la «manna in rottame», viene raschiato
dalla superficie del tronco per mezzo di una lunga spatola, la «rasula» e fatto cadere in
5 AA.VV., Aspetti agro-ecologici della frassinicoltura da Manna in Sicilia…, p. 32. 6 GIOVANNA URSINO, Il frassino da Manna in Sicilia…, pp. 8-9.
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un contenitore di latta la «scatula»; infine la manna raccolta viene posta, per alcune
settimane, ad asciugare al sole in ampi contenitori in legno, i «stinnituri».
Il presente lavoro vuole brevemente ricostruire la storia e la cultura di questo
prodotto per sottolinearne il suo valore storico, economico e patrimonialistico.
- 8 -
C A P I T O L O 1 – LA STORIA DELLA MAA
ELL’ATICHITÀ
- 9 -
1.1 LA MAA BIBLICA
Quando si parla della manna da frassino non è facile sfuggire alla tentazione di
fare riferimento alla manna biblica.
Nei libri veterotestamentari (Esodo, cap. XVI; Numeri, cap. XI; Giosuè, cap. V)
nei quali è narrato il viaggio degli ebrei dall’Egitto alla «terra promessa», effettuato
intorno al XVI secolo a.C., si riporta che seicentomila uomini adulti, guidati da Mosè,
con a seguito le loro famiglie, muovendosi per terre desertiche e trovandosi a corto di
viveri, ricevettero da Dio la manna: un alimento che cadeva dal cielo ogni notte, tranne
che nelle notti precedenti al sabato7. La caduta era preceduta dalla discesa di una
rugiada, quando questa si scioglieva, sul terreno rimaneva la manna, sostanza minuta,
tonda, sottile come la brina, bianca o color perla, tale sostanza veniva raccolta la
mattina, macinata con delle macine o pestata in mortai, veniva cotta in pentole o se ne
facevano delle focacce8.
Il nome di tale alimento deriverebbe dalla meraviglia degli ebrei di fronte a
questo «dono celeste», infatti il termine manna proverrebbe dall’esclamazione «man
hu?» - «che cosa è questo?»9.
La Manna, secondo il racconto biblico, fu l’unica fonte di nutrimento degli
ebrei durante il loro quarantennale viaggio verso la terra di Canaan10. La manna cessò
7 ESODO, XVI, 25. 8 NUMERI, XI, 8. 9 SANTI FLORIDIA, Le Manne e i Frassini (Fraxinus Ornus – Fraxinus Excelsior), dal XVI secolo
Av. Cr. ai nostri giorni, D’Anna, Messina 1940, p. 7. 10 ESODO, XVI, 35.
- 10 -
di cadere quando la comunità guidata da Mosè raggiunse le campagne di Gerico, dove
poté beneficiare dei campi coltivati a grano di quella regione11.
Ma che cosa è questa manna? Ha qualche legame con la manna da frassino
ancora oggi prodotta sulle Madonie? Con ogni probabilità si tratta di sostanze
differenti.
La «manna celeste» ad oggi non è identificabile con alcun prodotto naturale da
noi conosciuto, in quanto, prendendo alla lettera i testi dell’Antico Testamento, ci
appare alquanto improbabile che seicentomila famiglie si siano cibate per quaranta
anni esclusivamente di manna. Più probabile che un numero di famiglie più esiguo,
durante un periodo di migrazione decisamente inferiore rispetto agli otto lustri riportati
dalla Bibbia (magari una quarantina di giorni), si siano alimentati di qualche prodotto
naturale.
Secondo alcune ipotesi, quella «manna divina» potrebbe essere il prodotto di un
tamarisco, la Tamarix mannifera la quale vegeta tuttora nelle regioni del Sinai e
trasuda una specie di manna di gusto mellifluo; secondo altri, le sostanze ritrovate al
suolo dagli ebrei potrebbero essere dei licheni commestibili come la Lecanora
esculenta e specie affini, che vegetano spontanei nell’altopiano iranico e i cui corpi
fruttiferi agamici sono trasportati dal vento anche a grande distanza12. Quindi è da
escludere che la manna biblica possa essere la manna prodotta dal frassino.
11 GIOSUE’, V, 12. 12 SANTI FLORIDIA, Le Manne e i Frassini…, pp. 9-10.
- 11 -
1.2 LA MAA E IL FRASSIO PRESSO I GRECI TRA IL X E IL III
SECOLO A.C.
Presso gli scrittori greci, dai tempi omerici sino a Teofrasto non troviamo alcun
accenno ad alcuna specie di manna: lo stesso nome «manna» sembra a loro
sconosciuto13, troviamo invece accenni al frassino, utilizzato per il suo legno.
I greci chiamarono il frassino µελία. Esso è ricordato più volte nei poemi
omerici: nell’Iliade si dice che l’asta della lancia di Achille era di frassino «Da parte a
parte passò, il frassino del Pelio, e lo scudo risuonò sotto il colpo»14; e nell’Odissea si
accenna ad imposte in frassino: «Sopra il frassìneo limitar sedea»15. In Teofrasto,
naturalista greco vissuto tra il IV e il III secolo a.C., troviamo un’attenta trattazione sui
frassini. Egli distinse due specie di frassini, una alta, vigorosa, dal legno bianco, liscio
e tenero, propria dei luoghi bassi ed umidi, detta βουµελία e l’altra propriamente detta
µελία, bassa, stentata, dal legno giallino, ruvido e duro, propria dei terreni sterili e
sassosi16. Ma né nel celebre botanico greco, né in altri autori greci a lui precedenti vi è
alcun accenno di manne e neanche di umori trasudanti dalla corteccia del frassino,
eppure i naturalisti greci avevano chiara e precisa la conoscenza dei succhi trasudati da
13 Ivi, p. 12. 14 ILIADE, XX, 277. 15 ODISSEA, XVII, 411. 16 THEOPHRASTOS, Περί φυτων ‘ιστορία, III, 3 e 11, in Le Manne e i Frassini (Fraxinus Ornus –
Fraxinus Excelsior), dal XVI secolo Av. Cr. ai nostri giorni, a cura di S. Floridia, D’Anna, Messina
1940, cit. p. 12.
- 12 -
varie piante. Quindi, data la compiuta informazione naturalistica dei greci, se ne può
dedurre che essi non conoscessero alcuna manna, tanto meno la manna da frassino.
1.3 LA MAA E IL FRASSIO PRESSO I GRECI E I LATII TRA IL III
A.C. E IL V SECOLO D.C.
Negli autori greci e latini successivi al III secolo a.C. continuiamo a trovare
notizie sul frassino, indicato frequentemente come albero da legname, e a volte citato
per alcune utilizzazioni delle sue foglie come foraggio o per trarne sostanze
antivenefiche17.
Virgilio ricorda l’incanto del frassino nei boschi «fraxinus in silvis
pulcherrima»18; la sterilità degli orni vegetanti nei monti sassosi (i latini distinguevano
due differenti specie di frassino, il fraxinus e l’ornus, corrispondenti al Fraxinus
excelsior L. e al Fraxinus ornus L.) «steriles saxosis montibus orni»;19 e cita l’uso di
travi in frassino «fraxineaeque trabes»20.
17 SANTI FLORIDIA, Le Manne e i Frassini…, p. 13. 18 VERGILIUS M., Bucolicon, Ecl. VII, 65. 19 VIRGILIUS, Georgichon, II, 111. 20 VIRGILIUS, Aeneis, VI, 181.
- 13 -
Altri rinvii al frassino li troviamo in Orazio: «qui simul stravere ventos aequore
fervido deproeliantis, nec cupressi nec veteres agitantur ornis»21; «o Naiadum potens
Baccharumque valentium proceras minibus vertere fraxinos»22.
Ovidio sottolinea le qualità del legno di frassino ottimo per fabbricare delle
lance «et coryli fragiles et fraxinus utilis hastis»23; sempre delle proprietà di questo
legno scrive Vitruvio24, mentre Columella, agronomo del I sec. d.C., afferma che le
foglie a volte vengono impiegate come foraggio per ovini25.
Il medico greco Dioscoride scrive che le foglie del frassino possono essere
utilizzate per medicamenti curativi contro il morso della vipera26.
Infine, Plinio il Vecchio riassume le già citate qualità del legno dei frassini e di
quelle antivenefiche delle foglie, giungendo ad esagerare e a ritenere che il fogliame
del frassino tenesse lontane le vipere e addirittura curasse i dolori di fegato e
l’obesità27.
Ma nessuno di questi scrittori accenna alla manna, ciò conferma che anche nel
periodo storico che va del III secolo a.C. al V secolo della nostra era il mondo greco-
romano disconosceva la manna.
21 HORATIUS Q. F., Carmina, I, 9-12. 22 HORATIUS Q. F., Carmina, III, 14-16. 23 OVIDIUS N., Metamorphoses, X, 93. 24 VITRUVIUS M. P., De Architectura, II, 9. 25 COLUMELLA L. J. M., De re rustica, VI, 3. 26 DIOSCORIDES P., De Medica Materia, I, 108, in Le Manne e i Frassini (Fraxinus Ornus –
Fraxinus Excelsior), dal XVI secolo Av. Cr. ai nostri giorni, a cura di S. Floridia, D’Anna, Messina
1940, cit. p. 14. 27 PLINIUS C. S., Historia Aaturalis, XVI, 24 e 30; XXIV 30.
- 14 -
Ciò nonostante per lungo tempo, in particolare nel corso del XV e XVI secolo,
si è ritenuto che greci e latini conoscessero la manna e che alcuni autori l’abbiano
denominata «miele dell’aria» e «rugiada di miele»28. Taluni scrittori classici
accennarono a rugiade di miele. Per esempio, Plinio scrive di «nettare degli Dei» che
cade dalle costellazioni maggiori o dopo l’apparizione di un arcobaleno, fonte di
preziosi medicamenti e tanto dolce e ricco di virtù da richiamare in vita i morti29.
È evidente che queste rugiade o nettari non hanno nulla a che fare con la manna
e non sono altro che «aerii mellis caelestia dona», virgiliano inizio del IV libro delle
Georgiche, il cui tema è l’apicoltura30.
A favorire l’idea erronea che in epoca classica si conoscesse la manna contribuì
anche l’utilizzo del termine «manna» che se ne fece nei primi secoli d.C. Infatti,
manna divenne sinonimo di grani o di sostanza polverosa in genere.
Dioscoride indica col nome di manna i grani d’incenso31, mentre il medico
romano Scribonio Largo denomina la polvere dell’incenso «manna turis»32, e lo stesso
28 SANTI FLORIDIA, Le Manne e i Frassini…, p. 15. 29 PLINIUS C. S., Historia Aaturalis, XVI, 73; XI 12 e 14. 30 SANTI FLORIDIA, Le Manne e i Frassini…, p. 16. 31 DIOSCORIDES P., De Medica Materia, I, 70-72, in Le Manne e i Frassini (Fraxinus Ornus –
Fraxinus Excelsior), dal XVI secolo Av. Cr. ai nostri giorni, a cura di S. Floridia, D’Anna, Messina
1940, cit. p. 18. 32 LARGUS SCRIBONIUS, Compositiones, 81, in Le Manne e i Frassini (Fraxinus Ornus – Fraxinus
Excelsior), dal XVI secolo Av. Cr. ai nostri giorni, a cura di S. Floridia, D’Anna, Messina 1940, cit. p.
19.
- 15 -
Plinio conferma come a Roma la polvere d’incenso veniva chiamata manna: «mica
thuris […] mannam vocamus»33.
Nel II secolo Galeno di Pergamo utilizzò più volte il nome manna per i grani o
la polvere d’incenso: «pulverem ex concussu thure collectum, quem mannam
appellant»34; «mannam nihil a thure trito ac levigato differe»35, ed anche i geoponici
greci del III secolo usano il termine manna per indicare l’incenso «mànnes
libanotoù»36, mentre nel IV secolo riscontriamo il nome manna come sinonimo di
farina, o di sostanza in polvere; in Vegezio, autore di opere militari e di veterinaria,
troviamo «manna croci»37, col significato di polvere di zafferano38.
Dall’insieme di questi fonti è comprovato che il nome manna, di origine
ebraica, si diffuse nel mondo greco-romano intorno al I secolo d.C. e che esso venne
adoperato inizialmente per designare i grani d’incenso e poi nei secoli successivi
assunse l’accezione più ampia di sostanza polverosa o farinosa, ma tale «manna»
greco-romana ha poco a che fare con la manna da frassino a noi oggi nota.
33 PLINIUS C. S., Historia Aaturalis, XII, 32. 34 GALENUS , In Hippocratem de articoli commentariorum, II, in Le Manne e i Frassini (Fraxinus
Ornus – Fraxinus Excelsior), dal XVI secolo Av. Cr. ai nostri giorni, a cura di S. Floridia, D’Anna,
Messina 1940, cit. p. 20. 35 GALENUS, De antidotis, III, 4, in Le Manne e i Frassini (Fraxinus Ornus – Fraxinus Excelsior),
dal XVI secolo Av. Cr. ai nostri giorni, a cura di S. Floridia, D’Anna, Messina 1940, cit. p. 20. 36 ГЕΩΠΟΝΙΚΑ, De re rustica, VI, 6,1; XII,11, 5, in Le Manne e i Frassini (Fraxinus Ornus –
Fraxinus Excelsior), dal XVI secolo Av. Cr. ai nostri giorni, a cura di S. Floridia, D’Anna, Messina
1940, cit. p. 21. 37 VEGETIUS, Medicina Veterinaria, II, 39, in Le Manne e i Frassini (Fraxinus Ornus – Fraxinus
Excelsior), dal XVI secolo Av. Cr. ai nostri giorni, a cura di S. Floridia, D’Anna, Messina 1940, cit. p.
20. 38 SANTI FLORIDIA, Le Manne e i Frassini…, p. 20.
- 16 -
C A P I T O L O 2 – LA STORIA DELLA MAA EL
MEDIOEVO
- 17 -
2.1 DIVERSE TIPOLOGIE DI MAE E LA LORO DIFFUSSIOE
ELL’ETÀ DI MEZZO
Durante i primi secoli del Medioevo in area europea continuiamo a non trovare
alcun accenno alla manna, rileviamo solo alcuni riferimenti sul frassino, come in
Isidoro di Siviglia39, ma non come specie mannifera.
Abbiamo invece notizie di manne d’uso medicinale nel mondo arabo, come
testimoniano le opere dei più celebri medici arabi del tempo.
Yuhanna ibn Masawaiha, medico e filologo arabo-siriano del IX secolo, noto
comunemente col nome di Mesuè il Vecchio o Giovanni di Damasco, scrisse che:
«[…] la manna è rugiada che cade dal cielo sopra alcune piante e sopra le
pietre. La sua materia è vapore che si solleva, si completa e matura nell’aria, quando
questa è serena, feconda, e di lieto aspetto. Varia tuttavia secondo la diversità degli
oggetti su cui cade: cadendo, infatti, sopra le pietre è come piccole gocce, che si
congelano, simili a semi; mentre cadendo sulle piante, prende della essenza delle
piante, ed è mista a particelle di foglie e di fiori […]»40.
Ma non accenna a manna di frassini, pur lodando l’«olio frassinio»41.
39 ISIDORUS H., Aethimologiarum opus, Parrhisii, 1509, cap. VII, 39, in Le Manne e i Frassini
(Fraxinus Ornus – Fraxinus Excelsior), dal XVI secolo Av. Cr. ai nostri giorni, a cura di S. Floridia,
D’Anna, Messina 1940, cit. p. 22. 40 MESUE J., Opera, Tridino De Monte Ferrato, 1541 fl. 55 e 83, in Le Manne e i Frassini (Fraxinus
Ornus – Fraxinus Excelsior), dal XVI secolo Av. Cr. ai nostri giorni, a cura di S. Floridia, D’Anna,
Messina 1940, cit. p. 23. 41 Ibidem.
- 18 -
Abd Allāh ibn Sīnā, celebre come Avicenna, medico e filosofo persiano vissuto
tra il X e il XI secolo, definisce la manna: «qualsivoglia rugiada che cade sopra le
pietre e alberi e sia dolce, e coaguli come miele, si essicchi come gomma»42. Essa
veniva utilizzata come lenitivo ottimamente efficace per la tosse, il mal di petto e
come blando purgante43.
Mentre il medico della «schola salernitana» Matteo Silvatico, nel XIV secolo
afferma la totale diversità della «manna araba» con l’antica «manna d’incenso»,
semplice polvere o grani minuti d’incenso44.
Nel XVI secolo Cristoforo Acosta45 e Garzia da l’Horto46 e poi nel secolo
successivo Paolo Boccone47 ci hanno lasciato precise descrizioni delle diverse manne
allora diffuse nel medioevo presso gli arabi:
42 AVICENNA, Liber canonis, Basileae, 1556, p. 271, in Passato e Presente della Manna – Italia
forestale e Montana n. 2. – anno 2006, a cura di S. Salpietro, cit. p. 157. 43 SANTI FLORIDIA, Le Manne e i Frassini…, p. 23. 44 SYLVATICUS M., Opus Pandectarum Medicinae, Venetia 1540, fl. 76, 138 e 175, in Le Manne e i
Frassini (Fraxinus Ornus – Fraxinus Excelsior), dal XVI secolo Av. Cr. ai nostri giorni, a cura di S.
Floridia, D’Anna, Messina 1940, cit. p. 24. 45 ACOSTA CRISTOFORO AFRICANO, Della Historia, Aatura et Virtù delle droghe
medicinali, e altri semplici rarissimi, che vengono portati dalle Indie orientali in
Europa, Venetia 1585, pp. 308- 312, in Passato e Presente della Manna – Italia forestale e Montana n.
2. – anno 2006, a cura di S. Salpietro, cit. p. 158. 46 GARZIA DA L’HORTO, Dell’Historia dei semplici aromati et altre cose che vengono
portate dall’Indie orientali pertinenti all’uso della medicina, Venetia 1567, pp. 304-305, in Passato e
Presente della Manna – Italia forestale e Montana n. 2. – anno 2006, a cura di S. Salpietro, cit. p. 158. 47 PAOLO BOCCONE, Museo di fisica e di esperienze, Venezia 1697, pp. 79-85, in Passato e
Presente della Manna – Italia forestale e Montana n. 2. – anno 2006, a cura di S. Salpietro, cit. p. 158.
- 19 -
-Il terenjabin, sostanza in grani minuti di color bianco o roseo che si riteneva si
depositasse su certe piante spinose, simili a cardi o ginepri, o cadeva sulle pietre; oggi
è accertato che tale tipologia di manna era il prodotto trasudato da una pianta spinosa,
l’Alhagi mannifera, che trasuda una sostanza melliflua di efficacia blandamente
purgativa.
-Lo xiracost, «latte di albero», era una sostanza granulosa, bianchiccia, dolce
come il miele, che si riteneva fosse una rugiada che cadeva sugli stessi alberi.
-Il guezanguemin, «manna di tamarisco», prodotto della Tamarix mannifera, da
cui a causa di punture d’insetto sgorga un liquido purgativo di colore giallino.
Queste manne, prodotte soprattutto nell’altopiano iranico, raggiungevano gli
importanti mercati di Damasco, Il Cairo, Alessandria d’Egitto, Costantinopoli e
Famagosta, e da questi centri venivano riesportate ad opera di mercanti arabi,
bizantini, ebrei ed italiani, in Italia, in Francia ed in Spagna48.
Tale traffico è attestato dal mercante fiorentino Francesco Balducci-Pegolotti che nella
prima metà del XIV secolo scrive che la manna: «si vende a Costantinopoli, a Pera, a
Famagosta di Cipri, ad Alessandria e a Messina»49.
Un secolo dopo, un altro toscano, Giovanni di Antonio da Uzzano, ci riferisce
che: «per la manna si pagava una gabella a Firenze e a Pisa e che si commerciava a
48 SANTI FLORIDIA, Le Manne e i Frassini…, p. 28. 49 BALDUCCI-PEGOLOTTI FRANCESCO, La pratica della mercatura scritta da Francesco
Balducci Pegolotti e copiata da un codice manoscritto esistente in Firenze nella biblioteca
Riccardiana, in Passato e Presente della Manna – Italia forestale e Montana n. 2. – anno 2006, a cura
di S. Salpietro, cit. p. 157.
- 20 -
Damasco e a Genova»50, mentre Venezia fungeva da crocevia internazionale per il
commercio di questo prodotto51.
Tali notizie sono confermate dal veneziano Bartolomeo Di Pasi che descrivendo
il mercato di Costantinopoli, sul finire del ‘400, scrive: « […] vi si trovano il
rabarbaro, il muschio, la manna, e molte droghe […] Venezia acquista di questi
prodotti […] »52.
Ma se queste manne di provenienza orientale sono largamente attestate, non vi è
traccia della manna dei frassini, ancora oggi prodotta in Sicilia, su tale particolare
manna non troviamo alcun cenno nelle opere di storici, di geografi e naturalisti in tutto
il Medioevo53; in modo particolare non abbiamo alcuna notizia riguardante «manne
nostrane» in tutta l’Italia centro-meridionale, l’area che in epoca successiva produrrà
ed esporterà in maggiori quantità tale prodotto; non vi è riscontro di alcuna manna,
neanche nei numerosi e dettagliati documenti di diritto tributario di svevi, angioini ed
aragonesi54.
Quindi è da ritenere, che per tutto il Medioevo, il frassino continuò ad essere
utilizzato per il suo legname, per le sue foglie e come riporta l’agronomo arabo-iberico
50 GIOVANNI DI ANTONIO DA UZZANO, La pratica della mercatura scritta da Giovanni di
Antonio da Uzzano nel 1442, in Passato e Presente della Manna – Italia forestale e Montana n. 2. –
anno 2006, a cura di S. Salpietro, cit. p. 157. 51 SALVATORE SALPIETRO, Passato e Presente della Manna – Italia forestale e Montana n. 2. –
anno 2006, p. 158. 52 BARTOLOMEO DI PASI, Tariffa de pesi e misure, Venetia 1503, pag. 43, in Le Manne e i Frassini
(Fraxinus Ornus – Fraxinus Excelsior), dal XVI secolo Av. Cr. ai nostri giorni, a cura di S. Floridia,
D’Anna, Messina 1940, cit. p. 29. 53 SANTI FLORIDIA, Le Manne e i Frassini…, p. 31. 54 Ivi, p. 33.
- 21 -
vissuto nel XII secolo Ibn al Awwām, anche per i suoi frutti, prescritti dai medici del
tempo come prodotti energetici55, ma le proprietà mannifere del frassino allora non
erano note.
55 IBN AL AWWAM, Kitab ‘al Felahah, cap. VII, art 50, in Le Manne e i Frassini (Fraxinus Ornus –
Fraxinus Excelsior), dal XVI secolo Av. Cr. ai nostri giorni, a cura di S. Floridia, D’Anna, Messina
1940, cit. p. 32.
- 22 -
C A P I T O L O 3 – LA STORIA DELLA MAA I ETÀ
MODERA E COTEMPORAEA
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3.1 LA MAA EL XVI SECOLO E LA SUA DIFFUSIOE I
CALABRIA
Dal XVI secolo siamo in possesso di numerosi documenti che attestano
l’utilizzo di manne raccolte sul territorio italiano, una di queste fonti è un manuale di
farmacopea conosciuto con i nomi più diversi: Luminare maius, Lumen
apothecariorum, Thesaurus aromatariorum, ecc.; in esso si riporta che: «il syracost e
il terenjabim sono più caldi e più umidi della manna; ma poiché questi sono importati
da noi, in luogo di essi usiamo la manna»56, da questa affermazione se ne deduce che
«la manna», contrariamente al xiracost «latte di albero» e al terenjabin57, era prodotta
in Italia.
Altre notizie ci sono state lasciate dall’umanista Giovanni Gioviano Pontano,
morto nel 1503, che in uno dei suoi carmi dove canta «de pruina, et rore et manna»58
rileva che «nei boschi della Calabria, lungo il Crati, dalle fronde degli alberi fluiscono
latti di divina rugiada che solerte folla raccoglie, come farmaco agli ammalati»59 e nel
1505 Pietro Crinito afferma, in riferimento alla manna che: «ai nostri tempi è molto
56
Luminare maius, Lumen apothecariorum, Thesaurus aromatariorum, apud Gzyphium, Venetia
1546, fl. 83 e 102, in Le Manne e i Frassini (Fraxinus Ornus – Fraxinus Excelsior), dal XVI secolo
Av. Cr. ai nostri giorni, a cura di S. Floridia, D’Anna, Messina 1940, cit. p. 37. 57 Cfr. supra, p. 19. 58 GIOVANNI GIOVIANO PONTANO, De pruina, et rore, et manna, dal Meteororum
liber, in Pontani opera, Venetia 1505, in Passato e Presente della Manna – Italia forestale e Montana
n. 2. – anno 2006, a cura di S. Salpietro, cit. p. 158. 59 GIOVANNI GIOVIANO PONTANO, Pontani opera, Venetia 1513, vol. I, chart. 113, in Le Manne
e i Frassini (Fraxinus Ornus – Fraxinus Excelsior), dal XVI secolo Av. Cr. ai nostri giorni, a cura di
S. Floridia, D’Anna, Messina 1940, cit. p. 38.
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apprezzata quella che chiamiamo calabrese»60, parlando quindi di tale prodotto come
se fosse una merce commercializzata da un certo tempo.
Conferme sulla manna calabrese ci vengono date dall’umanista e medico Pietro
Andrea Mattioli, che nel suo commento alla traduzione del De Medica Materia di
Dioscoride, pubblicato nel 1548, racconta dettagliatamente la raccolta della manna in
Calabria, della sua natura e delle sue utilizzazioni:
« […] caduta dal cielo, la raccogliamo sulle fronde degli alberi, e che come
innocuo purgativo prescriviamo ai bambini, alle donne in stato interessante, e alle
persone deboli, […] è una specie di rugiada, o di soave liquore, che provenendo
dall’aria, si trova depositata sui rami e sulle frondi degli alberi, sulle erbe, sulle pietre
e sul suolo»61.
Tale documento accerta la raccolta di manna in Calabria e testimonia il
fatto che secondo la credenza del tempo la manna cadeva dal cielo, tanto che
Mattioli scrive:
« […] è stato detto che ai nostri giorni in Puglia e in Calabria si ricava manna
in lagrime dal frassino e dall’orneoglosso, incidendone la scorza; ma ciò non è
60 PIETRO CRINITO, De onesta disciplina, Paris, 1508, liber XXV, caput VII, fl. LXXII, in Passato e
Presente della Manna – Italia forestale e Montana n. 2. – anno 2006, a cura di S. Salpietro, cit. p. 158. 61 PIETRO ANDREA MATTIOLI, Commentarii in libros sex Pedacii Dioscoridis Anarzabei De
Medica Materia, Venetia 1565, lib. I, cap. 70-72, in Le Manne e i Frassini (Fraxinus Ornus –
Fraxinus Excelsior), dal XVI secolo Av. Cr. ai nostri giorni, a cura di S. Floridia, D’Anna, Messina
1940, cit. p. 38.
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credibile, perché urta contro l’ordine della natura e contro la ragione. La Manna è
rugiada che scende dall’aria; e non può essere prodotto di frassini o di orni. Che se da
questi alberi, incisi nella scorza, defluisce manna, è segno che un misterioso potere dà
ad essi la proprietà di assorbire la rugiada mannifera caduta su essi, ed emetterla dalla
incisione. Potere misterioso simile è quello, che, per es., fa aderire la forza magnetica
al ferro»62.
Segno che al tempo, in Italia, l’opinione che la manna provenisse dal cielo era
una verità assoluta.
Altre conferme arrivano dallo storico e teologo Leandro Alberti, che nella
seconda metà del 500’, afferma che:
« […] nella valle, che è dirimpetto quasi ad Altomonte e nella pianura ove era
l’antica Turii si raccoglie la Manna, che casca dal cielo ne’ tempi d’estate di sopra
alcuni alberi, ch’hanno le foglie molto simili alle fronde dei succini, o siano silvestri
pruni. E scende maggiormente la notte del giorno, quando è molto furiosamente
piovuto, essendo poi seguìta la bella serenità. E se ne raccogliono quindi di due
differenzie, cioè dalle foglie, e dai tronchi. Ma è più stimata la prima, che quest’altra,
per essere migliore»63.
62 Ivi. pp. 43-44. 63 LEANDRO ALBERTI, Descrittione di tutta l’Italia e Isole pertinenti ad essa, Venetia
1596, fl. 204 e 209, in Le Manne e i Frassini (Fraxinus Ornus – Fraxinus Excelsior), dal XVI secolo
Av. Cr. ai nostri giorni, a cura di S. Floridia, D’Anna, Messina 1940, cit. p. 43.
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Qui Alberti indica precisamente il versante ionico della Calabria settentrionale,
tra Altomonte e la pianura del Crati, come un area in cui si raccoglie la manna ed
anche in lui ferma è la convinzione che la manna cadesse dal cielo.
Solo con Antonio Donato Altomare, autore di un’opera interamente dedicata
alla natura e all’uso della manna, scritta intorno al 156264, abbiamo per la prima volta
l’affermazione che la manna raccolta nel Regno di Napoli non ha provenienza celeste
ma è frutto di succhi prodotti dagli alberi di frassino; il medico napoletano scrive che:
«I raccoglitori di manna mi ànno riferito che trovano la manna sempre e
soltanto in alberi di frassino e di orno. E io ò personalmente constatato: che se le cicale
pungono le frondi di questi alberi, dalle parti punte sgorga l’umore mannifero; se si
incide la scorza del tronco o dei rami di questi alberi, dalle incisioni fluisce l’umore
mannifero […] Prova assolutamente irrefutabile: ò fatto avvolgere frassini in càmici di
lana o di lino, in modo che nessuna rugiada potesse cadere dall’aria su questi alberi; li
ò tenuti così per più giorni e più notti; lì ò fatti, quindi, scoprire; e in essi è stata
raccolta egualmente la manna: ciò che non sarebbe potuto avvenire, se la manna non
fosse stata prodotta dagli stessi alberi»65.
64 SANTI FLORIDIA, Le Manne e i Frassini…, p. 39. 65 ANTONIO DONATO ALTOMARE, De mannae, ut aiunt, differentiis, ac viribus, deque eas
dignoscendi via et ratione, Venetia 1574, fol. 365-374, in Le Manne e i Frassini (Fraxinus Ornus –
Fraxinus Excelsior), dal XVI secolo Av. Cr. ai nostri giorni, a cura di S. Floridia, D’Anna, Messina
1940, cit. pp. 45-46.
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E continua: «Questa manna […] è raccolta in ogni anno in diverse contrade del
Regno Napoletano: non soltanto dai Calabresi, ma anche dai Sanniti, e dai Vestini che
abitano il Monte Gargano e altre parti dell’Apulia, come Castellaneta»66.
Il settore della raccolta della manna divenne così significativo che il governo
spagnolo, sempre vigile dei suoi interessi, intervenne subito e nel 1562 con la
prammatica «De manna colligenda» fissò un dazio che a partire dal 1578 colpì
l’esportazione fuori dal regno con il pagamento di dieci grani a libbra67 e attraverso un
«jus prohibendi» vietava a chiunque di raccogliere manna senza licenza scritta68.
Dalla raccolta di tali documenti possiamo affermare con certezza che nel XVI
secolo in Calabria e probabilmente nel Sannio e in Puglia fosse diffuso l’uso di
raccogliere la manna dei frassini e tale attività progressivamente stava acquistando un
certo rilievo, come dimostrano le prime tassazioni.
66 Ibidem. 67 GIOVANNA URSINO, Il frassino da Manna in Sicilia…, p.11. 68 ALFREDO MARIO LA GRUA, Per una riserva naturale del frassino da manna, Istituto Siciliano
di Studi Politici ed Economici, Palermo 1983, p.16.
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3.2. IL XVII SECOLO, L’ESPASIOE DELLA MAA E IL SUCCESSO
DELLA FRASSIICOLTURA CALABRESE
Nel corso del XVII secolo la raccolta della manna andò generalizzandosi in
tutta l’Italia centromeridionale; in questo periodo sono attestate attività di questo
genere in69:
-in Toscana a Maremma Grossetana allora nota come Maremma di Siena
-nel Lazio, a Civitavecchia, presso il bosco della Tolfa, i cui alberi di proprietà
della Reverenda Camera Apostolica erano ceduti a mezzadria e vi lavoravano oltre
seicento operai; nei territori attorno Roma a S. Felìcita, nella terra della famiglia
nobiliare dei Caetani; a Castro dei Volsci e a Palombara Sabina, nei terreni posseduti
dai Colonna; a Vicovaro e Monte Flavio negli appezzamenti detenuti dagli Orsini,
oltre a Cori, Albano Laziale nelle terre di signori vari.
-in Puglia, sul Gargano, nei territori di Vieste e di Monte S’Angelo.
-in Calabria, a Cerchiara di Calabria, a Castrovillari, a Tarsia, alle falde dei
rilievi prospicienti alla pianura del basso Crati e nella Piana di Sibari; nel versante
orientale della Sila, a Cariati e a Cirò; e a Taverna nella parte meridionale della Sila.
-in Sicilia, nella zona ad ovest di Palermo nei territori di Carini e di Capaci,
soprattutto sulle terre appartenenti ai padri domenicani e alle falde settentrionali delle
69 PAOLO BOCCONE, Intorno la Manna Medicinale prodotta e raccolta in Italia nel secolo corrente
e Intorno le proprietà e l’uso medicinale della Manna di Calabria, Venezia 1697, pp. 79-91, in Le
Manne e i Frassini (Fraxinus Ornus – Fraxinus Excelsior), dal XVI secolo Av. Cr. ai nostri giorni, a
cura di S. Floridia, D’Anna, Messina 1940, cit. pp. 49-50.
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Madonie, nei territori di Gerace, di San Mauro Castelverde, di Castelbuono giungendo
fino a Mistretta.
Tra le regioni produttrici di manna continuava ad esercitare un ruolo egemone
la Calabria, che per quantità raccolta e per la bontà della sostanza, dominava i
commerci nazionali ed internazionali, qui l’industria di tale settore era già molto
progredita, praticata con frassini piantati e coltivati appositamente70; inoltre vi si
raccoglievano tre diverse tipologie di manna71:
-la «manna di corpo», cioè quella che trasudava spontaneamente dai rami e dai
tronchi dei frassini coltivati, era la più rara e pregiata, bianchissima, si trovava in
piccoli grani, poteva raggiungere il prezzo di 15 carlini la libbra; era raccolta
soprattutto a Castrovillari.
-la «manna di foglia», trasudava dalle foglie dei frassini selvatici, di qualità
inferiore rispetto alla manna di corpo, era stimata intorno ai 3 carlini.
-la «manna forzata», veniva estratta dai frassini di montagna, incidendone la
scorza dei tronchi e dei rami, da queste incisioni fluiva la manna come moccoloni di
cera, era la manna più comune, ma anche la meno pregiata.
70 SANTI FLORIDIA, Le Manne e i Frassini…, p. 51. 71 PAOLO BOCCONE, Intorno la Manna Medicinale prodotta e raccolta in Italia nel secolo corrente
e Intorno le proprietà e l’uso medicinale della Manna di Calabria, Venezia 1697, pp. 79-91, in Le
Manne e i Frassini (Fraxinus Ornus – Fraxinus Excelsior), dal XVI secolo Av. Cr. ai nostri giorni, a
cura di S. Floridia, D’Anna, Messina 1940, cit. pp. 50-51.
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Intanto in Europa cresceva l’interesse per la manna, usata come blando purgante
e come sostanza depurativa, e per lo stesso frassino, che veniva studiato per trarre
medicinali dalla scorza, dalle foglie e dai semi72.
La richiesta di manna ed altri derivati del frassino, proveniente soprattutto
dall’aerea tedesca e dalla Francia, favorì ulteriormente l’accrescimento della
frassinicoltura nell’Italia centromeridionale73.
3.3 LO SVILUPPO DELLA MAA DA FRASSIO ELLA SICILIA DEL
XVIII SECOLO
Il XVIII fu il secolo dell’imponente sviluppo dell’industria mannifera siciliana.
La Sicilia, che già negli ultimi decenni del secolo precedente rivestiva un ruolo
significativo tra le regioni produttrici di manna74, ora sollecitata da un mercato in
espansione75 e favorita dalle migliori condizioni climatiche e floristiche, che
rendevano i terreni siciliani, in particolare quelli argillosi ed arenacei dell’area
occidentale dell’isola, ottimamente adatti al frassino ed in particolar modo alla
produzione della manna76, non solo superò la Calabria ma raggiunse a metà del secolo
72 SANTI FLORIDIA, Le Manne e i Frassini…, p. 52. 73 Ibidem.
74 CARMELO TRASSELLI, Mercati forestieri in Sicilia nell’età moderna, in “Storia della Sicilia”,
vol. VII, Soc. ed Storia di Napoli e della Sicilia, 1978, pp. 172-173. 75 GIOVANNA URSINO, Il frassino da Manna in Sicilia…, p.12. 76 AA.VV., Aspetti agro-ecologici della frassinicoltura da Manna in Sicilia…, p. 15.
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livelli di produttività tali che la massima parte della manna in commercio era raccolta
sull’isola77.
L’abate palermitano Arcangelo Leanti, nel 1761 scrive78: «la manna è ormai un
prodotto considerevole della Sicilia, ove è prodotta a migliore condizione di quella
della Calabria […] la maggiore produzione è data dai territori delle Madonie, e
specialmente dal Marchesato di Geraci». Inoltre ci dà notizia di due differenti specie di
manna: la «manna in cannuolo» e la «manna in frasca», ma non ci dà notizia in cosa
esse si differenziassero; invece, ci informa che: «di queste manne si faceva notevole
esportazione da Cefalù e da Palermo, per Livorno, Genova e Marsiglia, donde era
riesportata sino alle più remote province».
Più ampie informazioni raccolse nel 1777 l’abate Domenico Sestini79,
accademico dei Georgofili, egli diede una compiuta descrizione del frassino da manna,
detto in siciliano «middeu» e della coltura di esso, oltre che della raccolta della manna;
per quanto riguarda le specie di manna raccolte in Sicilia riprende la differenziazione
fatta da Leanti: in «manna in cannuolo» e in «manna in frasca», la prima, tratta da
frassini di coltivazione, è bianca e di alto pregio, mentre la seconda, ricavata da
frassini di montagna, è raccolta da terra o dalla raschiatura della corteccia degli alberi,
quindi impura e qualitativamente inferiore. 77 SANTI FLORIDIA, Le Manne e i Frassini…, p. 53. 78 ARCANGELO LEANTI, Lo stato presente della Sicilia, vol. I, pp. 190-93, in Le Manne e i Frassini
(Fraxinus Ornus – Fraxinus Excelsior), dal XVI secolo Av. Cr. ai nostri giorni, a cura di S. Floridia,
D’Anna, Messina 1940, cit. p. 53. 79 DOMENICO SESTINI, Agricoltura, prodotti e commercio della Sicilia, Firenze, 1777, pp. 92-100,
in Le Manne e i Frassini (Fraxinus Ornus – Fraxinus Excelsior), dal XVI secolo Av. Cr. ai nostri
giorni, a cura di S. Floridia, D’Anna, Messina 1940, cit. pp. 53-55.
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Sestini continua indicando con precisione l’area di produzione della manna nei
territori di Capaci, Cinisi e soprattutto a Cefalù, Tusa, Gilbilmanna (il cui nome in
arabo letteralmente vuol dire Monte della Manna80, anche se, come già scritto, nessuna
fonte prima del XVII secolo accenna a manne raccolte in Sicilia), Castelbuono, Geraci
Siculo, Petralia Soprana, Petralia Sottana, Mistretta e nei boschi di Caronia.
L’accademico fiorentino ed esperto di numismatica, riflette anche sul rapporto
tra la manna raccolta in Sicilia e quella calabrese che ancora a quei tempi aveva fama
di essere la migliore e afferma:
« […] bisognerà dire che alla Siciliana convenga, e giustamente il primo posto,
imperocchè questa è stata sperimentata di qualità e di bontà migliore, essendo più asciutta, più
secca, e non tanto grassa come la Calabrese, e in conseguenza non tanto facile a presto
corrompersi, lo che arreca nausea a chi ne fa uso; e molto ancora più le si compete il primo
posto […] come la migliore viene sempre ricercata da tutti, e specialmente dai forestieri per
commercio»81.
Tale descrizione della manna siciliana può essere considerata come
l’esplicazione di una delle cause che portarono al successo della frassinicoltura
dell’isola ai danni di quella calabrese e delle altre regioni dell’Italia centro-
meridionale.
80 SANTI FLORIDIA, Le Manne e i Frassini…, p. 36. 81 DOMENICO SESTINI, Agricoltura, prodotti e commercio della Sicilia, Firenze 1777, pp. 92-100,
in Le Manne e i Frassini (Fraxinus Ornus – Fraxinus Excelsior), dal XVI secolo Av. Cr. ai nostri
giorni, a cura di S. Floridia, D’Anna, Messina 1940, cit. pp. 53-55.
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Inoltre secondo la testimonianza del viaggiatore toscano la manna siciliana non
era usata solo come farmaco pettorale e blando purgativo ma «l’uso più comune al
quale si servono gli Oltremontani della Manna, è quello di dare con essa un corpo e
lucentezza ad alcune sorte di panni»82.
Infine Sestini scrive del gran guadagno che la Sicilia ricava dal commercio della
manna: «il traffico, che di questa se ne fa con l’Estere Nazioni, è di grande
conseguenza, e di un utile sommo per l’Isola, quando si arriva a caricare quasi 2000
cantara siciliane, che valutate ad once 17 il cantaro, producano la somma di once
34.000»83, cifra importante se consideriamo che un’oncia siciliana rapportata in euro
equivale a 48,39€84.
Dati più precisi ci vengono forniti da Giuseppe Maria Galanti85 che raccolse per
alcuni anni dei dati sull’esportazioni di manna dal Regno di Sicilia e di Napoli, nel
1771 l’economista napoletano riporta che fu esportata manna per 3800 ducati
napoletani, mentre per l’anno successivo segnala una vendita di 274,65 cantare (una
cantara equivale a poco più di 89 kg) di «manna ordinaria» (presumo «manna in
frasca») e 2,97 cantare di «manna in cannolo» solo verso la Francia e altri 86 cantare
di «manna in cannolo» dirette verso Malta. Nel 1782 indica un esportazione dal porto
82 Ibidem. 83 Ibidem. 84 MARIO INTRIERI, Situazione Storica, Politica, Economica e Sociale nel Regno delle Due Sicilie
al momento dell’annessione del 1861, Istituto per gli Studi Storici, Cosenza 2009, p 17. 85 GIUSEPPE MARIA GALANTI, Auova descrizione storica e geografica delle Sicilie, Napoli 1786-
1790, tomo II, p. 154, in Le Manne e i Frassini (Fraxinus Ornus – Fraxinus Excelsior), dal XVI secolo
Av. Cr. ai nostri giorni, a cura di S. Floridia, D’Anna, Messina 1940, cit. p. 55.
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di Napoli a quello di Marsiglia per 267.365 libbre, ad un franco francese a libbra,
mentre due anni dopo scrive di 266 casse di manna esportate sempre in Francia per un
totale di 10.640 ducati napoletani; questi dati pur nella loro asistematicità rendono
l’idea di un mercato florido e in crescita.
Il buon andamento del mercato sollecitò la riconversione colturale e, soprattutto
nelle Madonie, nell’ultimo quarto del secolo i nobili più dinamici investirono sulla
manna, come dimostra l’intervento del marchese di Geraci che nel 1775 fece piantare
nel territorio di Pollina 104.400 alberi di frassino86.
A favorire ulteriormente la produzione e l’esportazione intervenne il sovrano
Ferdinando IV di Sicilia (III di Napoli e futuro I del Regno delle Due Sicilie) che nel
luglio 1785 abolì in tutto il regno i vincoli fiscali legati alla manna87, vigenti dal
156288, così la produzione nella sola Sicilia raggiunse a fine secolo la quota di 500.000
libbre89.
Tale favorevole situazione, come avremo modo di rilevare, continuerà ancora
nella prima metà del secolo successivo.
86 GIOVANNA URSINO, Il frassino da Manna in Sicilia…, p.12. 87 Ivi. p.13. 88 Cfr. supra, p. 27. 89 GIOVANNA URSINO, Il frassino da Manna in Sicilia…, p.12.
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3.4 LA MAA ORMAI “MOOPOLIO” SICILIAO , DALL’IIZIO DEL
XIX SECOLO ALL’UITÀ D’ITALIA
Nella prima metà del XIX secolo mentre la frassinicoltura in Calabria è ormai
in declino, della manna in Toscana e nel Lazio non vi è più ricordo e solo in Puglia,
limitatamente all’area del Gargano, vi è ancora una raccolta significativa; l’industria
mannifera siciliana continua a progredire, il suo prodotto continua ad acquistare valore
e a conquistare i mercati internazionali.
L’abate Rosario di Gregorio ad inizio anni venti ci dà notizia che la manna più
pregiata era quella raccolta a Geraci Siculo e che tale prodotto imbarcato a Palermo,
Cefalù e Messina prendeva la via, non più solo delle destinazione solite, quali Livorno,
Genova e Marsiglia, attestate già nel secolo precedente90, ma anche per Venezia e porti
lontani come Amsterdam91.
Il botanico siciliano Antonino Bivona Bernardi, durante gli anni trenta, parla
entusiasticamente della frassinicoltura: «si raccoglie che oltre alla manna, la quale si
vende di presente a prezzi altissimi, l’orneto appresta legno d’opera e da carbone»92.
90 Cfr. supra, p. 31. 91 ROSARIO DI GREGORIO, Discorsi intorno alla Sicilia, Palermo 1821, tomo I, p. 218, in Le
Manne e i Frassini (Fraxinus Ornus – Fraxinus Excelsior), dal XVI secolo Av. Cr. ai nostri giorni, a
cura di S. Floridia, D’Anna, Messina 1940, cit. p. 58. 92 ANTONINO BIVONA BERNARDI, Cenno sulla coltura dell’albero da manna, in L’Economia
della Manna in Sicilia nella sua evoluzione storica, Istituto di Economia e Politica Agraria, Catania
1990, a cura di S. Di Fazio, cit. p. 23.
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Concorde con il pensiero di Bivona Bernardi è Lorenzo Finazzo, che negli
stessi anni, parlando del frassino afferma: «prezioso albero […] fornisce un ramo di
ricchissimo commercio»93.
Sempre di questo decennio abbiamo i primi dati statistici ufficiali
sull’esportazione della manna dalla Sicilia; nel sessennio 1834-39 l’esportazione
media fu di 3.747 quintali, per un valore medio annuo di 202.761 ducati napoletani.
Essa era diretta soprattutto in Francia, Gran Bretagna, Regno di Sardegna e
nell’Impero d’Austria, in minima parte ora anche verso il continente americano. Il
90% della manna esportata era «manna in sorte» (cioè in frasca), venduta a circa 8
ducati al quintale, la restante parte era la più pregiata «manna in cannelli» venduta al
considerevole prezzo di 30 ducati al quintale94.
Ora confrontando questi dati con quelli raccolti sul finire degli anni settanta del
secolo anteriore dall’abate Domenico Sestini e dall’economista Giuseppe Maria
Galanti95, si deduce che in mezzo secolo l’esportazione di manna era aumentata del
50% e il valore pressoché raddoppiato.
In questo periodo nel Regno delle Due Sicilie si iniziò a lavorare per
l’istituzione di un catasto fondiario, tale lavoro portato a termine nel 1854, ci dà
consapevolezza della consistenza del patrimonio frassinico siciliano di allora;
l’estensione dei frassineti fu complessivamente stimata in 1.818 salme legali e 761
93 LORENZO FINAZZO, Sulla coltivazione dell’albero della manna – Istruzione pratica, in
Effemeridi scientifici e letterarie, tomo XIV, anno V, Palermo 1836, p. 139. 94 LODOVICO BIANCHINI, Della Storia Economico-Civile di Sicilia, Napoli-Palermo 1841, vol I, p.
250. 95 Cfr. supra, pp. 33-34.
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millesimi (ogni salma legale equivale a poco meno di 1,75 ettari)96, delle quali il
96,2% si trovavano nella sola provincia di Palermo, in modo particolare in cinque
comuni (Castelbuono, Cefalù, Geraci Siculo, Pollina e S. Mauro Castelverde) che da
soli rappresentavano più dei 4/5 dell’estensione della provincia palermitana. Della
rimanente parte il più si trovava nella provincia di Messina, dove il centro
maggiormente interessato era Tusa, in minima parte veniva toccata la provincia di
Caltanissetta, con meno di una salma nel comune di Resuttana97.
In proporzione i frassineti rappresentavano solo lo 0,135% della superficie
produttiva siciliana, quindi si trattava di una superficie agraria relativamente piccola,
ma tra le colture arboree specializzate seconda solo a oliveti, gelseti e sommaccheti e
fortemente redditizia98, tanto più che «la terra destinata alla coltura dell’amolleo
(particolare specie di frassino) è quella che non si presta ad alcun’altra»99.
Infine negli ultimi anni antecedenti all’unità nazionale, Castelbuono, comune
situato in una delle zone boschive più ricche di frassini delle Madonie, divenne il
centro propulsore della frassinicolura siciliana. Qui si notò che, se la manna tratta dal
Fraxinus ornus L. (detto orno o amolleo) era qualitativamente superiore a quella
96 Sistema metrico siculo, Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali dell’Università della
Calabria, Cosenza 2009, p. 2. 97 VINCENZO MORTILLARO, Aotizie economico-statistiche sui catasti di Sicilia, Stamperia
Oretana, Palermo 1854, vol. VI, in L’Economia della Manna in Sicilia nella sua evoluzione storica,
Istituto di Economia e Politica Agraria, Catania 1990, a cura di S. Di Fazio, cit. p. 33. 98 SANTI FLORIDIA, Le Manne e i Frassini…, p. 59. 99 FRANCESCO MINA’ PALUMBO, Aotizie sui frassini di Sicilia e sulla coltivazione dell’amolleo
in Castelbuono, Stamperia e Legatoria Ruffino, Palermo 1847, pp. 15-16, in L’Economia della Manna
in Sicilia nella sua evoluzione storica, Istituto di Economia e Politica Agraria, Catania 1990, a cura di
S. Di Fazio, cit. p. 31.
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ricavata dal Fraxinus excelsior L. e dal Fraxinus angustifolia V., gli orni maturavano
la manna più tardi, e la tardiva produzione era frequentemente minacciata dalle prime
piogge autunnali; invece gli altri frassini davano una produzione qualitativamente
meno buona, ma più precoce e soprattutto più abbondante e per un più lungo periodo
di anni. Così i «mannaroli» castelbuonesi provvidero a selezionare i migliori frassini
tra le specie excelsior e soprattutto angustifolia e si iniziò a trarre la manna più da
questi che dagli orni. Si incominciò ad avere un prodotto di qualità leggermente
inferiore, ma più abbondante e ciò favorì ulteriormente i redditi dei frassinicoltori100.
Inoltre, a spingere verso una manna che guardasse più alla quantità che alla qualità
intervenne in quegli anni la moderna industria chimica, che con il «metodo di
estrazione con soluzione acquosa», inventato dallo scienziato bergamasco Giovanni
Ruspini101, riuscì ad estrarre anche da manne scadenti, ed in maniera semplice e
fruttuosa, la mannite, «principio attivo della manna»102, sostanza dolce e cristallizabile,
utilizzata soprattutto nel settore farmaceutico. Si iniziarono così a diffondere in Italia,
in modo particolare a Genova e Milano, e sul continente europeo in Francia, Regno
Unito e negli stati tedeschi, aziende estrattrici di mannite103.
Quindi si può affermare che il settore mannifero, ormai divenuto un
«monopolio» siciliano, nel periodo che intercorre tra l’inizio del XIX secolo all’Unità
100 SANTI FLORIDIA, Le Manne e i Frassini…, p. 61. 101 Cfr. GIOVANNI RUSPINI, Estrazione economica della mannite, Milano 1845. 102 FRANCESCO MARIA RAIMONDO, ROBERTO BONOMO e FABIO LENTINI, Il frassino da
manna in Sicilia, pianta officinale da rivalutare, in Giornale Botanico Italiano, Vol. 114, n. 3-4,
Palermo 1980. 103 SANTI FLORIDIA, Le Manne e i Frassini…, pp. 61-62.
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d’Italia, continua a progredire con l’incremento dell’esportazioni e la crescita del
valore della manna, risultati a cui hanno contribuito la selezione arborea attuata dai
«mannaroli» di Castelbuono e soprattutto lo sviluppo dell’industria dell’estrazione
della mannite.
3.5 LA FRASSIICOLTURA DALL’UITÀ AZIOALE ALLA FIE
DEL XIX SECOLO
L’industria legata alla manna negli anni successivi alla proclamazione del
Regno d’Italia, come tutto il settore agricolo-rurale dell’area meridionale della
penisola, iniziò a rallentare i propri ritmi di crescita, per poi entrare sul finire degli
anni settanta in una fase recessiva, complice la situazione economica internazionale e
le misure protezionistiche adottate dal governo Depretis104.
A dimostrazione di ciò vi è l’Inchiesta Agraria Jacini, che si svolse nel 1884,
dalla quale rileviamo che a confronto con i dati pubblicati trenta anni prima dal catasto
del Regno delle Due Sicilie105, la superficie destinata a frassineto risultava
considerevolmente diminuita, ridotta a 2.813 ettari, 363 ettari in meno, pari ad una
riduzione dell’11,4%. Inoltre la coltura del frassino non risultava più presente in tre
104 Cfr. GIOVANNI MONTRONI, La società italiana dall’unificazione alla Grande Guerra, Laterza,
Roma-Bari 2002, pp. 33-53. 105 Cfr. supra, pp. 36-37.
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province, ma solo in due, con la scomparsa della provincia di Caltanissetta, per quanto
irrilevante già nella prima metà del secolo. Oltre a ciò, il territorio provinciale di
Messina coltivato a frassini si era ridotto dell’80% limitandosi ai soli 20 ettari del
comune di Castel di Lucio, ed una rilevante riduzione vi era stata anche nella
Provincia di Palermo, con una perdita di 263 ettari. Tale calo nel palermitano era
accompagnato da una variazione dell’area geografica, con una contrazione
considerevole nei territori di Cinisi e Castelbuono. Quest’ultimo era passato in un
trentennio da 244,059 salme (equivalenti a 426 ettari circa) a soli 122 ettari, mentre la
frassinicoltura si era ampliata nei comuni di Carini, Palermo, Petralia Soprana, Isola
delle Femmine e soprattutto a Geraci che con i suoi 1.000 ettari si attesta in questo
periodo come il centro di maggior raccolta della manna106.
L’involuzione toccò anche l’esportazioni: la quantità media annua esportata in
questo periodo fu di 2.533 quintali, con una calo di oltre 1.200 quintali rispetto alla
media degli anni trenta107 e in conseguenza della notevole flessione dell’esportazione
scese notevolmente anche il prezzo; la manna «in cannolo» si attestò intorno alle 8 lire
al chilogrammo, mentre il valore di quella «in sorte» scese fino 1,50 lire al
chilogrammo108.
Questi dati ci mostrano un periodo negativo abbastanza lungo per il settore della
frassinicoltura, ma come vedremo in seguito, l’industria mannifera, anche per
106 SEBASTIANO DI FAZIO, L’Economia della Manna in Sicilia nella sua evoluzione storica,
Istituto di Economia e Politica Agraria, Catania 1990, p. 36. 107 Ivi. p. 42. 108 GIOVANNA URSINO, Il frassino da Manna in Sicilia…, p.16.
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l’assenza di modelli produttivi locali diversi e più vantaggiosi, seppe resistere e
presentarsi al secolo successivo con nuovo slancio.
3.6 LA RIPRESA DELL’IDUSTRIA MAIFERA EL PRIMO QUARTO
DEL XX SECOLO
Superati gli ultimi due decenni dell’Ottocento, la crisi che aveva messo in
difficoltà la frassinicoltura siciliana era ormai alle spalle.
Con l’inizio del nuovo secolo l’industria mannifera riprese a crescere, favorita
da un tendenza dei prezzi, che, pur nella loro variabilità annuale, manifestavano un
andamento decisamente ascendente, tanto che dalla valutazione della «manna in
cannolo» di 5 lire al chilogrammo del 1901 si salì nel 1914 a quota 14 lire109,
giungendo a toccare nel 1921 il prezzo altissimo di 30,59 lire al chilo110.
Lo schizzare alle stelle dei prezzi fu il volano che fece sì che i terreni coltivati a
frassineto riprendessero ad espandersi, nel 1925 si raggiunse la cifra di 6.085 ettari di
coltura specializzata e 509 in coltura consociata con ulivi e castagni nella sola
Provincia di Palermo, distribuiti in 1.655 ettari nel circondario di Palermo e 4.430 in
109 SEBASTIANO DI FAZIO, L’Economia della Manna in Sicilia…, p. 43. 110 Ivi. p. 45.
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quello di Cefalù111, concentrati massimamente nei comuni di Pollina (934 ha), Geraci
(877 ha), San Mauro Castelverde (806 ha) e soprattutto Castelbuono (1.200 ha)112. Da
segnalare vi è la scomparsa della frassinicoltura dalla provincia di Messina113, area già
scarsamente significativa sul finire del secolo precedente. Di contro il frassino in
questi anni si diffonde in maniera rilevante nel trapanese con 542 ettari tra
Castellammare del Golfo ed Erice114, con una ridistribuzione territoriale di tale coltura
corrispondente ad uno spostamento verso nord-est115.
Se confrontiamo tali dati con quelli del 1884, anno in cui l’Inchiesta Jacini116
attestò complessivamente 2.813 ettari, vediamo come superata la crisi, la superficie
impiegata per la frassinicoltura più che raddoppiò. Ovviamente, con l’aumento dei
terreni al servizio dell’industria mannifera aumentò anche la produzione, che nel
periodo 1923-28 fu mediamente di 9.572 quintali117. Anche se quest’ultimo dato,
pubblicato dal catasto agrario nel 1929, viene rigettato da Santi Floridia, che ritiene
che tale produzione media non sia realistica, frutto del fatto che il Catasto Agrario si
111 RICCARDO VERZERA, Manna e mannite, Casale Monferrato, 1925, pp. 25-26, in Le Manne e i
Frassini (Fraxinus Ornus – Fraxinus Excelsior), dal XVI secolo Av. Cr. ai nostri giorni, a cura di S.
Floridia, D’Anna, Messina 1940, cit. p. 61. 112 SEBASTIANO DI FAZIO, L’Economia della Manna in Sicilia…, p. 48. 113 Ivi. p. 49. 114 Catasto Agrario (1929), Istituto Poligrafico di Stato, Roma, 1935, provincia di Palermo, fasc. 89, in
L’Economia della Manna in Sicilia nella sua evoluzione storica, Istituto di Economia e Politica
Agraria, Catania 1990, a cura di S. Di Fazio, cit. p. 51. 115 GIOVANNA URSINO, Il frassino da Manna in Sicilia…, p.17. 116 Cfr. supra, pp. 39-40. 117 Catasto Agrario (1929), Istituto Poligrafico di Stato, Roma 1935, provincia di Palermo, fasc. 89, in
L’Economia della Manna in Sicilia nella sua evoluzione storica, Istituto di Economia e Politica
Agraria, Catania 1990, a cura di S. Di Fazio, cit. p. 51.
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fosse basato semplicemente sulle rendite potenziali dei terreni, giungendo ad una cifra
eccessiva. Egli, invece, stima tale produttività media annua intorno ai 6.000 quintali118.
In ogni caso, anche tale quantità vista al ribasso rappresenterebbe comunque un record
storico che mai più sarebbe stato raggiunto.
A mostrarci un settore estremamente in salute, vi sono anche i dati riguardanti
l’esportazione di manna nel decennio 1910-1920, nel quale si ebbe una media di 2902
quintali l’anno119, risultato molto lusinghiero se consideriamo le difficoltà dei
commerci a causa del primo conflitto mondiale.
Tradizionali acquirenti di manna si confermano l’Impero Austro-Ungarico e la
Germania (almeno prima del nostro ingresso in guerra), la Francia, la Gran Bretagna,
ma adesso la maggior domanda è proveniente dal continente americano, Argentina,
Stati Uniti, Cuba e Brasile. Quest’ultimo paese, rappresenta nel periodo preso in
considerazione il maggior compratore di manna, superando sia nel 1912 che nel 1918 i
mille quintali di manna importata in un solo anno120.
Inoltre, sempre in quegli anni si venne stabilendo la nuova e più efficace
ripartizione su base qualitativa della manna, che diede maggiore stabilità ai mercati e
suddivise fermamente il prodotto in121:
-«manna in cannolo», la più pura e di conseguenza la più stimata; porosa,
dolciastra, di colore bianco-giallastro, ottenuta tramite incisioni e coagulata nella
118 SANTI FLORIDIA, Le Manne e i Frassini…, pp. 102-103. 119 Ivi. p. 66. 120 SEBASTIANO DI FAZIO, L’Economia della Manna in Sicilia…, p. 60. 121 SANTI FLORIDIA, Le Manne e i Frassini…, pp. 102-103.
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forma di stalattite; tali «cannoli» mediamente raggiungono una lunghezza tra i 20 e i
30 centimetri; le qualità di questo tipo più apprezzate allora erano quelle di Geraci e di
Capaci, tratte dal Fraxinus Ornus L.
-«manna in rottame», prodotto residuato dalla raccolta e dalla manipolazione
dei cannoli.
-«manna in sorte», direttamente defluita in piccole lacrime che cadono a terra o
più spesso su oggetti appositamente disposti al suolo, è mista ad insetti, frammenti di
foglie, scorze e al terriccio, il suo colore è giallo-sporco, il sapore è dolciastro tendente
al nauseante, tale manna è la meno pregiata ed utilizzabile solo ed esclusivamente per
estrarne la mannite.
Dall’insieme di queste dati è evidente come nei primi venti-venticinque anni del
XX secolo l’industria mannifera seppe superare le difficoltà di fine Ottocento ed
espandersi ulteriormente.
3.7 IL DECLIO DELLA MAA EL CORSO DEL XX SECOLO E
LO STATO ATTUALE DEL SETTORE MAICOLO
Quando la crisi di fine secolo era ormai un lontano ricordo e la stessa Prima
guerra mondiale sembrava non aver scalfito eccessivamente il settore della
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frassinicoltura siciliana, prese corpo la grande ed incontrovertibile crisi che si sarebbe
protratta fino all’alba del nuovo millenio.
Tale crisi sarà originata dal quel settore chimico che dalla seconda metà del
secolo precedente aveva dato un impulso fondamentale allo sviluppo dell’industria
della manna.
«All’inizio della campagna mannifera del 1922 […] Circolava in paese la voce
che era possibile fabbricare artificialmente la mannite usando la melassa della
barbabietola dopo l’estrazione dello zucchero […] con una riduzione del costo pari a
5-6 lire al chilogrammo. Se ne riusciva a produrre 500 quintali, un quantitativo cioè
che da solo bastava a coprire il fabbisogno mondiale […] La mannite naturale poteva
batterne la concorrenza solo abbassando i prezzi»122.
L’esportazione di manna iniziò così a contrarsi, lentamente ma inesorabilmente
essa passava dai 2.433 quintali del 1928 ai 1.194 del 1934123, gli stessi prezzi
acquistarono un andamento fortemente decrescente, che va ben oltre la politica di
stabilizzazione monetaria attuata dal regime fascista a partire del 1927. La «manna in
cannolo» dal prezzo del 1926 di 20,95 lire al chilogrammo scese nel 1934 a 8,65
lire124.
122 ORAZIO CANCILIA, Credito e banche in un centro agricolo sotto il fascismo, Catania 1973, pp.
61-62, in L’Economia della Manna in Sicilia nella sua evoluzione storica, Istituto di Economia e
Politica Agraria, Catania 1990, a cura di S. Di Fazio, cit. p. 61. 123 SEBASTIANO DI FAZIO, L’Economia della Manna in Sicilia…, p. 62. 124 Ivi. p. 63.
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Tale situazione destava profonda preoccupazione tra gli operatori, i quali
individuata la causa della crisi nella concorrenza della mannite sintetica, iniziarono a
muoversi richiedendo alle autorità l’istituzione di un Consorzio tra i produttori di
manna da frassino, che attraverso l’unione dei diversi operatori del settore mannicolo
potesse aumentare il loro potere di contrattazione e disciplinare il commercio della
manna, in maniera da tenere ben distinte le qualità in rapporto alla materia prima
utilizzata125.
La richiesta di costituire un consorzio tra i produttori di manna, fu inizialmente
bocciata in quanto nel 1931 il Consiglio dell’Economia si dichiarò contrario
all’istituzione di tale organismo e affermò che il problema poteva essere risolto con
l’ausilio degli ordini corporativi creati precedentemente dal regime126. Ma data la
gravità della situazione i «mannalori» continuarono ad insistere e ottennero il sostegno
dell’Unione Provinciale degli Agricoltori, del prefetto di Palermo, del podestà di
Castelbuono e del locale Fascio di Combattimento127. Alla ripresentazione della
domanda il governo nazionale dovette cedere e con decreto ministeriale il 10 giugno
1936 venne costituito il «Consorzio Provinciale per il miglioramento e l’incremento
della produzione della manna da frassino della Provincia di Palermo» e ne fu nominato
commissario ministeriale Giovanni De Francisci Gerbino, docente di Scienze delle
Finanze ed Economia Politica dell’Università di Palermo. Egli fin da subito si
impegnò fortemente per il rilancio dell’industria mannifera, tale impegno si
125 Ivi. p. 64. 126 Ivi p. 67. 127 Ibidem.
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concretizzò immediatamente nel regio decreto legge dell’8 marzo 1937, n. 529, il
quale in cinque articoli affermava che la denominazione di «Mannite» senza alcuna
aggiunta o specificazione era riservata al prodotto ottenuto dalla lavorazione della
manna da frassino (art.1.) e che tale prodotto non potesse essere mescolato con
qualsiasi altra sostanza (art.2.), inoltre la vendita e la somministrazione della mannite
naturale doveva avvenire soltanto in speciali involucri con un particolare contrassegno
(art.4.)128.
Pochi mesi dopo giunse un altro intervento legislativo, il R.D.L. del 5
novembre 1937, n. 2119, costituito da dieci articoli, che disciplinava il commercio
della manna, imponendo che tutta la manna di produzione nazionale, nonché quella
eventualmente introdotta dall’estero dovesse essere obbligatoriamente conferita
all’ammasso per la vendita collettiva (art.1.), inoltre chiunque non avesse consegnato il
prodotto al fine di cederlo privatamente sarebbe andato incontro ad ammende di
carattere finanziario (art.10.), da parte sua l’ente ammassatore avrebbe dovuto
corrispondere al mannicoltore, in unica soluzione, al momento della consegna del
prodotto i nove decimi del suo valore, l’altro decimo sarebbe stato corrisposto dopo
l’approvazione del rendiconto finale, infine il prezzo base di vendita sarebbe stato
stabilito annualmente dal Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste (art.4.)129.
128 Gazzetta Ufficiale del 1° maggio 1937, n. 101, in L’Economia della Manna in Sicilia nella sua
evoluzione storica, Istituto di Economia e Politica Agraria, Catania 1990, a cura di S. Di Fazio, cit. p.
70. 129 Gazzetta Ufficiale del 29 dicembre 1937, n. 300, in L’Economia della Manna in Sicilia nella sua
evoluzione storica, Istituto di Economia e Politica Agraria, Catania 1990, a cura di S. Di Fazio, cit. p.
72.
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Tali interventi risvegliarono le speranze di poter uscire da una crisi che ormai
durava dalla seconda metà degli anni venti.
Nei primi sei mesi di attività del Consorzio, vennero ammassati ben 856
quintali di manna per drogheria, cioè «manna in rottame» e 4.662 per la lavorazione,
ovvero «manna in sorte» destinata per l’industrie estrattrici di mannite130, inoltre tale
ammasso garantiva ai mannicoltori proventi leggermente più elevati di quelli degli
anni immediatamente precedenti131.
Ma il mercato sia interno che estero non dava segni di ripresa e nel maggio del
1938 il quantitativo di manna venduta era di appena 620 quintali.
Inoltre il Consorzio ebbe breve durata, infatti con la legge del 16 giugno 1938,
n. 1008, i diversi enti settoriali operanti nell’ambito dell’agricoltura venivano unificati
in un unico Consorzio Provinciale tra i produttori agricoli, e questo successivamente
soppresso con il decreto legge del 26 aprile 1945, n.367132.
A complicare la situazione vi è sullo sfondo lo scenario della Seconda guerra
mondiale. Le tristi vicende del conflitto e le problematiche dell’immediato dopoguerra
colpirono ulteriormente il commercio, soprattutto quello estero, e conseguenzialmente
ad un ulteriore calo della domanda di manna, crollò la produzione, che in poco più di
un decennio passava da una media annua, per il triennio 1940-42, di 4.874 quintali a
130 SALVATORE SPINELLO PERTICONE, La verità sul problema della manna, 1939, in
L’Economia della Manna in Sicilia nella sua evoluzione storica, Istituto di Economia e Politica
Agraria, Catania 1990, a cura di S. Di Fazio, cit. p. 76. 131 SEBASTIANO DI FAZIO, L’Economia della Manna in Sicilia…, p. 76. 132 Ivi. p. 75.
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quella di soli 692 quintali per il triennio 1949-51133, rappresentante il minimo storico
per almeno l’ultimo secolo e mezzo.
Nel frattempo giungevano gli anni cinquanta e se l’Italia si rialzava e prendeva
il volo ad un ritmo di crescita economica che aveva del miracoloso, il settore
dell’industria mannifera non accennava alcuna ripresa, i dati dell’esportazione
rimanevano estremamente negativi (nel quinquennio 1951-55 le medie annue
d’esportazione furono inferiori ai 200 quintali)134 ed i prezzi della manna segnavano
un’ulteriore flessione135.
In questi anni di crisi acutissima molti frassineti, malgrado i vincoli forestali,
andarono incontro all’estirpazione indiscriminata, alle volte per vera e propria
disperazione si eliminavano i frassini e si passava alla cerealicoltura o alla viticoltura,
anche quando i terreni erano palesemente inadatti a tali nuove coltivazioni136.
In questa situazione di estrema gravità si costituì un Comitato Civico di
Agitazione che organizzò diverse manifestazioni di piazza nei centri delle Madonie e
sotto le finestre di Palazzo dei Normanni a Palermo137, queste ottennero parecchio
risalto sulla stampa regionale, molti sono gli articoli che in quegli anni riempirono le
133 Ivi. p. 78. 134 GIOVANNA URSINO, Il frassino da Manna in Sicilia…, p.21. 135 SEBASTIANO DI FAZIO, L’Economia della Manna in Sicilia…, p. 81. 136 GIOVANNA URSINO, Il frassino da Manna in Sicilia…, pp. 32-33. 137 ENRICA DONIA, Aspetti e problemi della coltura del frassino da Manna in Sicilia, d.s., Palermo
1995, p. 33.
- 50 -
pagine dei giornali locali descrivendo il grave stato di crisi del settore della manna e
sollecitavano l’intervento delle istituzioni138.
In questo clima l’Assemblea Regionale Siciliana non poté più tirarsi indietro e
con la L.R. del 26 luglio 1957, n.43, avente come titolo «Provvidenze per la manna»,
istituiva nuovamente un organismo atto a difendere l’attività mannicola, che prese il
nome di «Consorzio obbligatorio tra i produttori di manna del territorio della Regione
siciliana», che sul modello dell’organismo soppresso oltre venti anni prima, veniva
incaricato di promuovere gli studi e le ricerche per migliorare le coltivazioni e per
potenziare il commercio della manna e dei suoi derivati, anche attraverso un’adeguata
propaganda.
Vennero ripristinati i magazzini di ammasso, prodotti appositi marchi da
apporre sulle confezioni di mannite, al fine di evitare che la sostanza naturale venisse
confusa con quella prodotta sinteticamente, ed inoltre venne nominata una
commissione composta da nove membri, di cui quattro rappresentati dei
138 Cfr. ANTONIO MOGAVERO FINA, La Manna è un prodotto da difendere e propagandare, in
«Sicilia del Popolo» del 23 aprile 1953; TOMMASO AIELLO, Manna di Sicilia, Pezzino, Palermo
1953; GIOVANNI WIAN, Suscettibile di razionale sfruttamento l’abbondante produzione di manna;
in «Il Giornale d’Italia» del 10 aprile 1954, p. 4; ALFREDO CUCCO, Manna di Sicilia: un problema
complesso, in «Il Giornale d’Italia» del 14 aprile 1954; raccolti in L’Economia della Manna in Sicilia
nella sua evoluzione storica, Istituto di Economia e Politica Agraria, Catania 1990, a cura di S. Di
Fazio.
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mannicoltori139, che ebbe il compito di proporre all’Assessorato regionale
dell’Agricoltura il prezzo del prodotto per ogni annata140.
Nei primi anni di attività del Consorzio, come venne affermato nel Primo
Convegno sulla Manna, che si svolse a Palermo nell’ottobre del 1965141, il Consorzio
aveva ottenuto risultati importanti come il mantenimento del prezzo della manna ad un
livello sufficientemente remunerativo, ma poco o nulla, complici anche i ristretti mezzi
finanziari, era stato fatto per la promozione del prodotto e del suo commercio, tanto
che la domanda di manna da parte dei mercati era in continua flessione, a causa della
più conveniente mannite sintetica:
«Infatti la manna venduta sul mercato dal Consorzio alla fabbriche di mannite aveva un
prezzo medio di £. 1.000 kg, mentre la mannite veniva venduta sul mercato al prezzo di
£ 2.400 kg, se si considera che per la produzione di 1 kg di mannite occorrono circa 3 kg di
manna appare chiara la non convenienza economica della fabbricazione della mannite da
manna»142.
Il fatto che la manna fosse sempre meno richiesta sul mercato determinò che
l’ammasso continuò a crescere anno dopo anno fino a raggiungere complessivamente,
al termine della stagione 1969, la cifra di 14.083 quintali, mentre la manna piazzata sul 139 ENRICA DONIA, Aspetti e problemi della coltura del frassino …, p. 35. 140 Legge regionale 26 luglio 1957, n.43, in L’Economia della Manna in Sicilia nella sua evoluzione
storica, Istituto di Economia e Politica Agraria, Catania, 1990, a cura di S. Di Fazio, cit. p. 87. 141 GIOVANNI FATTA DEL BOSCO, Aspetti agronomici della frassinicoltura in Sicilia. - Convegno
sulla Manna, Palermo 26/10/1965, Palermo 1965, p. 14. 142 ENRICA DONIA, Aspetti e problemi della coltura del frassino …, p. 35.
- 52 -
mercato dalla ricostituzione del Consorzio ad allora ammontava ad appena 2.792143,
questa situazione fece sì che l’esposizione debitoria del Consorzio verso gli istituti di
credito divenne eccessiva, tanto da mettere in pericolo la sopravvivenza dello stesso
organismo in difesa della manna. Rende bene l’idea della situazione debitoria del
Consorzio il dato che, se dal 1957 al 1970 ai mannicoltori vennero corrisposti circa
647 milioni di lire, negli stessi anni il Consorzio aveva incassato poco meno di 110
milioni144, quindi, senza contare i costi gestionali, l’ente aveva una passività di oltre
537 milioni, cifra imponente per l’epoca.
Tali condizioni economiche del Consorzio a sua volta rendevano estremamente
lunghi i tempi con cui le somme dovute ai produttori venivano corrisposte, creando
forti malumori tra i «mannalori», che nuovamente ripresero ad abbandonare i
frassineti145.
In questo periodo molti giovani si allontanarono dalla frassinicoltura, dando
avvio a quel processo che avrebbe nel giro di un paio di decenni creato un’irreparabile
emorragia di manodopera specializzata146. L’abbandono fu così rilevante che dal 1971
in poi, le statistiche ufficiali non riportano più né la produzione né le superfici dei
frassineti147.
I dati dell’ammasso del 1970-71 attestano che il prodotto consegnato in quella
stagione passò dai 2.518,77 quintali dell’anno precedente a 401 quintali, con una
143 SEBASTIANO DI FAZIO, L’Economia della Manna in Sicilia…, pp. 91-93. 144 Ivi. p. 93. 145 Ivi. p. 91. 146 Ivi. pp. 104. 147 ENRICA DONIA, Aspetti e problemi della coltura del frassino …, p. 38.
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diminuzione dell’85% e un dimezzamento degli operatori mannicoli, che nel giro di un
anno si ridussero da 725 a 338148.
Per arginare tale grave situazione, la Regione siciliana promulgò la legge del 14
aprile 1971, n.14, con la quale l’amministrazione regionale concedeva al Consorzio un
contributo di 350 milioni149 al fine di ripianare almeno parzialmente la situazione
debitoria, tale legge però non apportava alcun elemento innovativo che potesse
risollevare le sorti dell’industria mannifera e segnava la strada dell’assistenzialismo
economico150.
Negli anni che seguirono la situazione peggiorò ulteriormente, per rientrare dal
restante passivo il Consorzio decise di svendere la manna ammassata da anni in
magazzino, tra il 1974 e il 1979 questa fu venduta a prezzi anche più bassi di quelli
corrisposti ai produttori negli anni precedenti, tale operazione fece si che la manna
prodotta in quelle stagioni perse di valore. I produttori rimanenti, ormai localizzati
esclusivamente nei territori di Pollina e di Castelbuono151, che ora non riuscivano più a
sostenersi con le somme corrisposte dal Consorzio, iniziarono a protestare
apertamente152.
L’iniziativa che ebbe maggiore risalto mediatico e alla fine si rilevò decisiva per
sollecitare le istituzioni fu l’intervento nel gennaio del 1981, alla popolare trasmissione 148 Ivi. p. 93. 149 Gazzetta Ufficiale del 17 aprile 1971, n.19, in L’Economia della Manna in Sicilia nella sua
evoluzione storica, Istituto di Economia e Politica Agraria, Catania 1990, a cura di S. Di Fazio, cit. p.
95. 150 ENRICA DONIA, Aspetti e problemi della coltura del frassino …, p. 38. 151 Ivi. p. 41. 152 SEBASTIANO DI FAZIO, L’Economia della Manna in Sicilia…, p. 96.
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Portobello, di un mannicoltore di Pollina, Giuliano Musotto. Egli denunciò in diretta
televisiva la situazione d’estrema difficoltà dei frassinicoltori153.
L’apparire sugli schermi televisivi del malcontento dei «mannalori» portò ad
una interpellanza parlamentare siglata da un nutrito gruppo di deputati nazionali di
sinistra154, a cui venne dato seguito in sede regionale con la promulgazione della L.R.
del 6 maggio 1981, n.91, la quale disponeva, al fine di eliminare i ritardi dei pagamenti
del Consorzio, che l’organismo atto a tutelare il settore mannicolo dovesse liquidare i
produttori al momento stesso del deposito, tali risorse sarebbero state anticipate dalla
Regione, mentre gli incassi del Consorzio, ottenuti dalla vendita della manna,
sarebbero dovuti confluire nel bilancio regionale. Inoltre le eventuali perdite sulle
anticipazioni ottenute sarebbero state a carico della Regione (art.37.).
Infine per l’anno 1981 veniva erogato un contributo straordinario di 1.000 lire
per chilogrammo di manna depositato (art.38.)155. Tale contributo, la cui erogazione
doveva essere prevista per il solo 1981, fu estesa anche per gli anni successivi156 ed
153 ALFREDO MARIO LA GRUA, Per una riserva naturale del Frassino da Manna… , p. 21. 154 Cfr. Interpellanza n.856, del 17 marzo 1981, in L’Economia della Manna in Sicilia nella sua
evoluzione storica, Istituto di Economia e Politica Agraria, Catania 1990, a cura di S. Di Fazio, cit. p.
96. 155 Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana del 9 maggio 1981, n.23 (suppl. ordin.), in L’Economia
della Manna in Sicilia nella sua evoluzione storica, Istituto di Economia e Politica Agraria, Catania
1990, a cura di S. Di Fazio, cit. p. 95. 156 Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana del 5 agosto 1982, n.36 (suppl. ordin.), in L’Economia
della Manna in Sicilia nella sua evoluzione storica, Istituto di Economia e Politica Agraria, Catania,
1990, a cura di S. Di Fazio, cit. p. 100.
- 55 -
elevato, a decorrere dal 1986, a 2.000 lire al chilo, senza più alcuna limitazione
temporale157.
E al di là degli interventi legislativi regionali, il Consorzio diede maggiore
consistenza alla sua attività promozionale partecipando a manifestazioni internazionali
riguardanti le piante officinali e l’erboristeria in genere158, oltre ciò si avviò il dialogo
con le università e gli istituti di ricerca, tanto che nel 1986 venne stipulata una
convenzione con la Facoltà di Agraria dell’Università di Palermo affinché si
avviassero studi per nuove tecniche agronomiche159.
Ma malgrado tutti questi provvedimenti alla fine del secolo scorso non c’è stata
alcuna ripresa tangibile del settore, sia a livello della produzione che in quello della
commercializzazione160.
Molto probabilmente gli interventi regionali di sostegno sono arrivati troppo
tardi, quando la maggior parte dei frassineti erano stati già abbandonati o spiantati del
tutto e soprattutto quando gli operatori del settore, per il mancato ricambio
generazionale, erano ormai un numero troppo esiguo.
Inoltre nel corso degli anni novanta il Consorzio ha perso la sua autonomia e di
fatto è stato assorbito dall’Ente Sviluppo Agricoltura. Ciò facendo, gli ultimi
157
Legge Regionale del 15 maggio 1986, n.24, in L’Economia della Manna in Sicilia nella sua
evoluzione storica, Istituto di Economia e Politica Agraria, Catania 1990, a cura di S. Di Fazio, cit. p.
100. 158 ENRICA DONIA, Aspetti e problemi della coltura del frassino …, p. 47. 159 SEBASTIANO DI FAZIO, L’Economia della Manna in Sicilia…, p. 102. 160 Ivi. p. 103.
- 56 -
frassinicoltori, 141 quelli attestati nel 1991161, hanno iniziato a non adempiere più in
maniera rigorosa all’ammasso obbligatorio e hanno iniziato a vendere, soprattutto «il
cannolo», che ha un discreto mercato al di fuori dell’estrazione della mannite,
direttamente ai piccoli rivenditori locali.
Oggigiorno si stima che solo il 70-75% del prodotto raccolto stagionalmente
venga conferito al Consorzio.
Dal 1989 al 2005 sono pervenuti all’ammasso complessivamente soli 1446
quintali, per una media annua di poco di 8500 chilogrammi162.
La scarsa produzione comunque ha fatto sì che i prezzi in questi anni si siano
mantenuti alti, toccando per la «manna in cannolo» i 22 euro al chilo, con un aumento
che nei sedici anni presi in considerazione è stato dell’80% circa163, di gran lunga
superiore all’incremento dell’indice ISTAT.
Questo prodotto attualmente trova la sua collocazione sul mercato nel settore
della cosmesi per le sue particolari qualità emollienti, in erboristeria per la
preparazione di infusi energetici, nell’industria alimentare come dolcificante naturale a
basso potere calorico, inoltre i piccoli rivenditori locali vendono ai turisti, in bustine da
50 grammi, il «cannolo» come prodotto tipico da consumare allo stato naturale.
Sembra quindi che la frassinicoltura siciliana dopo una lunga parabola
discendente durata quasi un secolo, in cui per tanto troppo tempo si è continuato
161 ENRICA DONIA, Aspetti e problemi della coltura del frassino …, p. 47. 162 Dati Ufficiali del Consorzio obbligatorio tra i produttori di manna del territorio della Regione
siciliana. 163
Ibidem.
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ostinatamente a cercare di battere la concorrenza della poco costosa mannite sintetica,
per poi prendere la via dell’assistenzialismo regionale, abbia trovato a cavallo tra il
vecchio e il nuovo millennio la sua piccola ma redditizia dimensione, come costoso
prodotto di qualità.
Ma non per questo le problematiche che attanagliano il settore mannicolo sono
svanite, i «mannalori» attivi attualmente sono 77, di questi solo otto hanno un età
inferiore ai 55 anni, mentre la maggioranza dei mannicoltori ha un età superiore ai 68
anni, di conseguenza se la tendenza all’invecchiamento e alla riduzione dei
frassinicoltori, avviatasi negli anni cinquanta del secolo scorso, si confermerà anche
per gli anni avvenire, nonostante il ritrovato profitto, la Manna corre ancora oggi il
rischio di scomparire per sempre. Affinché ciò non accada si auspica che gli enti locali
intervengano con i giusti incentivi per riavvicinare i giovani madoniti alla
frassinicoltura; e tengo qui a precisare che non si tratta di salvaguardare un particolare
settore produttivo in una regione che dal punto di vista economico è storicamente
sofferente, ma, prima di ogni altra cosa, di difendere e perpetuare un patrimonio
collettivo di inestimabile valore.
- 58 -
C A P I T O L O 4 – IL FRASSIO E IL
MAICOLTORE
- 59 -
4.1 IL FRASSIO, PUTO DI RIFERIMETO ALL’ITERO DEL
UCLEO FAMIGLIARE
Dopo aver descritto il percorso storico ed economico è interessante, per
comprendere l’importanza socio-culturale della mannicoltura, analizzare ciò che la
raccolta della manna simboleggiava per le famiglie dei frassinicoltori e l’intimo
rapporto che si costituiva tra i mannicoltori e il frassino.
Tale approfondimento su queste tematiche socio-culturali, nonostante la quasi
totale assenza di testi che trattino il settore mannicolo attraverso una prospettiva di
carattere antropologico, è stato reso possibile dal personale incontro con uno dei
maggiori produttori di manna ancora oggi attivi nel territorio pollinese, Giulio Gelardi,
che mi ha illustrato tali fenomeni della storia culturale del luogo, in parte da lui stesso
vissuti in prima persona e raccolti nel suo libro Memorie sulle piogge di Manna.
La frassinicoltura oltre ad aver rappresentato nel corso dei secoli una delle
principali forme di sostentamento per le famiglie dell’area madonita, essa delineava
intorno all’albero del frassino gli equilibri all’interno del nucleo famigliare e le tappe
di crescita e maturazione dei componenti164.
Nella tradizione era l’intera famiglia del mannicoltore che nel suo complesso
era coinvolta nelle attività lavorative del settore frassinicolo, i diversi compiti erano
codificati e ripartiti a secondo del ruolo ricoperto nelle gerarchie famigliari: solo agli
164 GIULIO GELARDI, Memorie sulle piogge di Manna, Azienda Agricola Dimanii, Palermo 1989,
pp. 6-7.
- 60 -
individui adulti di sesso maschile era consentito di incidere la pianta; le donne e i
ragazzi subentravano al fianco dei loro padri, fratelli e mariti solo successivamente,
quando si rendeva necessaria la raccolta della manna, e se alle donne e ai ragazzi non
troppo piccoli era concesso raccogliere, tramite l’«archetto» e la «rasula», il prodotto
direttamente dall’albero, i bambini non andavano oltre la raccolta dei frammenti caduti
per terra165.
Quindi è chiaro come per una persona fosse importante passare da un impiego
all’altro. Soprattutto per i soggetti maschi, che con l’ottenimento dell’incarico di
«n’taccaloru», cioè colui che incide l’albero, raggiungevano di fatto la piena maturità;
inoltre tale compito segnava il momento in un cui l’individuo appena divenuto uomo
doveva farsi carico di una grande responsabilità, infatti se le «n’tacche» non fossero
state eseguite correttamente la produzione di quell’albero sarebbe stata inevitabilmente
compromessa166.
Invece un compito che gravava su tutta la famiglia era quello di attenzionare le
dinamiche meteorologiche, tutti i membri della famiglia erano perfettamente consci
del fatto che l’eccessiva umidità, la nebbia o una burrasca estiva poteva portar via in
un istante tutto il prezioso prodotto, quindi tutti costantemente monitoravano lo stato
del tempo e a qualsiasi ora del giorno o della notte rimanevano allerta e se ritenevano
che fosse in pericolo il raccolto accorrevano dal capofamiglia, il quale decideva
all'istante se era necessario o no precipitarsi al frassineto167.
165 Ibidem 166
Ivi. p. 11. 167 Ivi. p. 27.
- 61 -
Se ne evince come l’albero del frassino non solo abbia mantenuto dal punto di
vista alimentare ed economico le famiglie dei frassinicoltori ma sia stato un punto di
riferimento attorno al quale scorrevano e si sviluppavano le diverse dinamiche
famigliari.
4.2 L’ITIMO RAPPORTO TRA IL FRASSIO E IL
«MAALORU»
Il frassino, che come abbiamo visto precedentemente fungeva all’interno del
nucleo famigliare da punto di riferimento, in modo speciale, era legato in maniera
profonda con il suo «n’taccaloru».
Il rapporto tra il frassino e il frassinicoltore era un legame particolare e ricco di
significati culturali, esso trascende le canoniche relazioni che abitualmente
intercorrono tra un comune agricoltore e le sue piante, qui il «mannaloru» entra in
intima relazione con l’albero, giungendo ad un processo di antropomorfizzazione del
frassino, che si traduce in un linguaggio carico di connotazioni affettive168.
Tale processo d’antropomorfizzazione si materializza con l’immagine del
frassino ferito che dissanguandosi dona il suo prezioso «nettare», permettendo così al
mannicoltore e a tutta la sua famiglia di sopravvivere. Tanto che il termine che veniva
168 Ivi. p. 6.
- 62 -
utilizzato dai frassinicoltori per designare la linfa che scorre negli strati corticali
dell’albero era «u sangu»; mentre adoperavano il termine «manna» solo quando la
linfa entrata in contatto con l’aria si era ormai solidificata169.
Questo scorgere da parte del mannicoltore di caratteristiche umane nel frassino,
si esplica anche per le parti del tronco destinate all’incisione, infatti il «mannaloru» per
denominare quei punti usava una terminologia propria dell’anatomia umana: «u pettu»
ovvero il versante dell’albero che sporge maggiormente e «u cuzzu» vale a dire la
nuca, cioè parte di superficie del tronco opposta al petto170.
L’incidere il frassino diventava un’operazione chirurgica da eseguire con
delicati riguardi, come se ciò che il mannicoltore avesse avuto di fronte non fosse stato
un albero ma bensì un familiare da curare; a dimostrazione di ciò il frassinicoltore al
termine dell’incisione bagnava il tronco pieno di «n’tacche» con amorevole impegno,
come se gli stesse lavando il volto al fine di alleviare il bruciore delle «ferite»171.
Quindi è evidente come la manna attorno al suo albero e nel rapporto con il
mannicoltore, abbia rappresentato lungo il suo plurisecolare percorso storico qualcosa
di più di un semplice settore produttivo, divenendo un punto di riferimento di carattere
culturale per tutte quelle comunità che almeno dal XVI secolo in poi sono cresciute e
sviluppate intorno alla frassinicoltura. Proprio per questo è auspicabile che tale
inestimabile patrimonio collettivo, ormai racchiuso esclusivamente nei comuni di
Castelbuono e Pollina, venga difeso, affinché non scompaia per sempre.
169 Ivi. p. 29. 170 Ivi. p. 30. 171
Ibidem.
- 63 -
4.3 L’ESPERIEZA DI VITA DI U FRASSIICOLTORE
Come anticipato all’inizio della trattazione di queste tematiche antropologiche
legate alla frassinicoltura, tale approfondimento culturale è stato reso possibile
dall’incontro con Giulio Gelardi, non solo abile ed intraprendente frassinicoltore, ma
anche incredibile studioso di tutto ciò che riguarda la storia e la dimensione culturale
della manna. Per questo vorrei raccontare brevemente la sua esperienza di
mannicoltore e soprattutto di individuo che sta spendendo la sua esistenza per il
rilancio e la valorizzazione del settore mannicolo.
Tornato in Sicilia nel 1985, dopo alcune esperienze lavorative nell’Italia
settentrionale che nulla avevano a che fare con l’ambito agricolo, prese atto che la
frassinicoltura, lasciata circa dieci anni prima in condizioni di estrema difficoltà, era
ormai in stato comatoso e comprese che non era solo un settore produttivo a stare per
scomparire, ma nel complesso era la cultura dei propri genitori che stava andando
perduta per sempre.
Decise allora di reagire: «Non volevo essere come certi avvoltoi travestiti da
intellettuali che aspettano che un qualcosa muoia per poi comporre ricordi tanto poetici
quanto falsi e patetici, mi piace lo studio della storia e del passato ma provo profondo
disprezzo verso chi vuole rendere archeologia ciò che può essere ancora vivente».
Tale affermazione forte e piena di astio è indirizzata verso tutti quegli
autorevoli studiosi che nel corso degli anni settanta e ottanta a suo dire: «con malcelata
soddisfazione snocciolavano cifre per dimostrare l’inarrestabile declino e l’inevitabile
- 64 -
scomparsa del settore mannicolo». Mi confida che tutto rientrava in quel clima
diffusosi in Sicilia dal secondo dopoguerra, in cui alla ricerca di un miglioramento
sociale generalizzato era di moda cancellare tutto ciò che legava la nostra terra con il
suo passato agricolo.
Così ventisei anni fa Giulio ritornò nel suo comune natale, Pollina, per seguire
il percorso opposto a quello che un gran numero di giovani della sua generazione stava
seguendo, cioè abbandonare definitivamente i propri frassini, se non estirparli del
tutto; egli invece si pose al servizio di suo padre affinché gli insegnasse nelle torride
giornate d’agosto come si riconosce un frassino maturo, come lo si incide e come si
raccoglie il prezioso frutto.
All’inizio suo padre stesso non gli volle fare da maestro in quanto anche lui
permeato da quella convinzione diffusa che la coltura della manna fosse un qualcosa di
regressivo, riteneva una sconfitta che il proprio figlio, che con tanti sacrifici aveva
fatto studiare per allontanarlo dalla terra, ci ritornasse. Segno di come nel corso del
XX secolo sia svanito, per lo meno nell’Italia meridionale, qualunque barlume
d’orgoglio contadino; perché se l’avvocato, il medico o qualunque altro libero
professionista sogna che il figlio segua le sue orme e alle volte si giunge a vere proprie
imposizioni, il contadino se lascia in eredità la terra al figlio lo fa perché questo ci
possa costruire la residenza di villeggiatura, non certo per coltivarla.
Ma con il tempo seppe superare la diffidenza del padre e nel giro di qualche
anno riuscì a padroneggiare pienamente «l’arte del fare la manna».
- 65 -
Erano la fine degli anni ottanta e il settore mannicolo non accennava a
riprendersi, a quel punto decise di superare il padre, non gli bastava più produrre la
manna e depositarla al Consorzio; non ottemperando ad una legislazione ormai
obsoleta, che a suo parere serviva solo a garantire la pensione agli ultimi mannicoltori,
al fine di dichiarare successivamente la morte del settore frassinicolo senza scosse
sociali; iniziò a cercare soggetti interessati ad acquistare il suo prodotto nell’ambito dei
privati, e così colse che la problematica più grave che opprimeva la frassinicoltura era
la scarsa promozione e valorizzazione. Prese contatti con le istituzioni e gli ambienti
culturali locali: «Bussai ad un po’ a tutte le porte, ma all’interno trovai il deserto, non
si conosceva la storia della manna, se la si produceva in altre aree, per giunta non era
noto neanche quando la produzione aveva preso avvio nelle Madonie, mi rispondevano
da secoli come per dire che non ne sapevano nulla».
Giulio non accettò questo stato di cose: «Non volevo che quel prodotto che
rappresentava la cultura dei miei avi si dissolvesse tra l’indifferenza generale». Allora
partì un’altra volta al contrattacco: «Per salvare la manna sapevo che non bastava fare
il contadino, dovevo sostituirmi a coloro che apparivano e appaiono tuttora in
televisione e sanno tutto sulla papaia e altri frutti esotici e quanto questi fanno bene».
Così fece, cercò di pubblicizzare in ogni modo la manna, ricercando spazio in
quotidiani e riviste, apparizioni in televisioni locali, infine giungendo anche a scrivere
il libro sopracitato172.
172 Cfr. supra, p. 59.
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La sua attività promozionale congiunta ad una maggiore sensibilità al tema da parte
degli enti locali ha avuto successo.
Attualmente Giulio vende la «manna in cannolo» ad oltre 22€ al chilogrammo e
ne ricava gran guadagno tanto da ricercare ed essere disposto a pagare bene giovani
del luogo avvezzi al sacrificio e pronti ad apprendere «l’arte della mannicoltura», ma
nonostante la buona busta paga, allettante soprattutto in un periodo di crisi
generalizzata come quello presente, dichiara come sia difficile trovare ragazzi che per
più stagioni si prestino alla frassinicoltura.
E se a tale affermazione mi sono permesso di rispondere ricordandogli che la
floridezza della sua attività al di là dell’efficace lavoro promozionale è anche frutto
della progressiva riduzione degli imprenditori frassinicoli e quindi della
consequenziale penuria di manna sul mercato che fa si che il prezzo del prodotto si
mantenga alto, mi ha risposto a tono: «la manna prima ancora che una fonte di reddito
è un prodotto culturale che può e deve avere un futuro».
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C A P I T O L O 5 – LA PATRIMOIALIZZAZIOE
DEL SETTORE MAICOLO
- 68 -
5.1 LA RETORICA DELLA MAA
Dalla testimonianza del frassinicoltore Giulio Gelardi abbiamo colto la
fondamentale importanza delle attività promozionali per la salvaguardia del settore
mannicolo, ma ancora nulla si è detto sul ruolo propagandistico che gli enti locali
madoniti hanno ricoperto negli ultimi decenni.
Essi partendo dall’esaltazione delle sue caratteristiche officinali, a buon diritto
declamate superiori ad ogni altro prodotto concorrente, hanno attuato un processo che
come esito finale ha portato alla trasformazione del concetto stesso di manna da
frassino.
Se fino agli anni ottanta la manna pur con tutta la sua forte valenza socio-
culturale, esposta nelle pagine precedenti, rimaneva un prodotto agricolo connesso alla
produzione e al commercio, percepito dalla politica come un settore ormai morente, da
assistere solo al fine di evitare tumulti da parte di quegli ultimi ed anziani
mannicoltori173; nel giro di due decadi l’immagine della manna è stata rivoluzionata,
con l’esito che questo prezioso prodotto non è più qualcosa di legato esclusivamente
ad un limitato settore produttivo o all’ambito della cultura contadina ma è stato
elevato, ed in certi casi strumentalizzato, tanto da diventare emblema rappresentativo
di Castelbuono e Pollina; quando fino a tempi recenti questi comuni si erano
disinteressati della frassinicoltura e aspettavano solo la definitiva scomparsa di un
qualcosa valutato come ormai antistorico e non in linea con i tempi174.
173 Cfr. supra, p. 65. 174
Ibidem.
- 69 -
Questo processo è da inquadrare nella più ampia prospettiva della
patrimonializzazione politica del nostro capitale culturale; come bene ha rilevato
Berardino Palumbo175 nell’indagare le dinamiche culturali di una comunità della
Sicilia orientale, dovunque da tempo, siamo alle prese con un’assimilazione possessiva
di ogni aspetto culturale da parte delle istituzioni politiche, a partire dagli enti locali
fino a giungere alle agenzie transnazionali come l’U.N.E.S.C.O.176.
Questo fenomeno, per bocca di politici, economisti e sociologi, dovrebbe
portare, ad una promozione culturale che serva da motore turistico ed in genere da
sviluppo economico di quei luoghi177.
Il raggiungimento di questo obiettivo è stato perpetrato attraverso dei processi
ovunque standardizzati legati ad interventi politici all’interno della sfera culturale. In
ogni dove si è puntato alla costruzione di un sentimento d’appartenenza locale, con
luoghi ristretti che sono diventate «patrie»178 e oggetti rappresentativi della località
diventano «totem» da venerare. In alcuni casi si è giunti, attraverso efficaci retoriche,
all’erezione di una memoria comune attorno a festival, sagre o attività particolari che
175 Cfr. BERARDINO PALUMBO, L’UAESCO e il campanile, antropologia, politica e beni culturali
in Sicilia orientale, Meltemi, Roma 2003. 176 Ivi. pp. 15-20. 177 Ibidem.
178 Recuperando il significato preromantico del termine «patria», letteralmente come «terra dei padri»,
luogo natio dei avi, non identificabile con il grande stato-nazione ma con il borgo o il villaggio in cui
vi si era nati; per tali tematiche inerenti al contesto italiano rinvio a ALBERTO MARIO BANTI,
Sublime madre nostra, La nazione italiana dal Risorgimento al fascismo, Laterza, Roma-Bari 2011.
- 70 -
in realtà non possiedono nessuna profondità storica ma che danno spesso luogo a
fenomeni di rivalità campanilistica tra comuni limitrofi179.
Come già sottolineato, a tali dinamiche non è certamente estranea la Manna e
gli ultimi due comuni che la producono.
Soprattutto Pollina centro più piccolo e storicamente meno rilevante di
Castelbuono180 e di conseguenza provvisto in misura minore di monumenti ed edifici
storici, negli ultimi anni si è fortemente impegnato nella promozione della manna, con
l’organizzazione annuale di una «Sagra della Manna» e la recente apertura di un
museo interamente dedicato a questo prodotto tipico.
Queste operazioni hanno avuto successo e sono riuscite ad ottenere il loro
rendiconto turistico e hanno fatto si, che ormai il turista in visita nel Parco delle
Madonie, catturato da questa propaganda istituzionalizzata, non può più fare a meno di
non andare a Pollina o a Castelbuono ad acquistare la bustina di 50 grammi contenente
il prezioso prodotto, venduto intorno ai 5€, perché senza l’acquisto di tale confezione
alimentare in formato souvenir, la visita in quelle località rimarrebbe inevitabilmente
incompleta, in quanto priva dell’esperienza degustativa di quel prodotto fino a qualche
tempo fa dimenticato, ma oggi pubblicizzato al mondo intero come l’essenza storica e
culturale di quei luoghi.
179 BERARDINO PALUMBO, L’UAESCO e il campanile, antropologia, politica e beni culturali in
Sicilia orientale, Meltemi, Roma 2003, pp. 15-20. 180 Basti ricordare che Castelbuono custodisce all’interno della Cappella Palatina del Castello dei
Ventimiglia il teschio di Sant’Anna, una delle maggiori reliquie della cristianità; rinvio per tali
tematiche a ANTONIO MOGAVERO FINA, Castelbuono, nel travaglio dei secoli: storia, religione,
arte, tradizione, IBIS, Palermo 1965.
- 71 -
Il turista assapora la manna, credendola da sempre prodotta esclusivamente in
quei soli due comuni, spesso ignora del tutto la storia di questo prodotto e la vasta area
del territorio italiano che nei secoli precedenti produceva manna, e se conosce un
passato della manna, non fa altro che ricorrere indietro al racconto biblico, «aiutato»
da un certo messaggio pubblicitario che allude che la «manna celeste» dell’Antico
Testamento sia la stessa di quella che sta gustando.
A questo punto viene da chiedersi se al di là dell’aspetto turistico-economico,
che senza dubbio è qualcosa di estremamente importante e il cui successo ha fatto si
che la manna, dopo una lunga fase di declino abbia ripreso ad essere venduta a prezzo
elevato, quindi dimostrandosi la principale garanzia della sopravvivenza di questo
straordinario prodotto, non sia giunta l’ora di conoscere realmente la storia e la cultura
del frassino e della manna.
Un albero conosciuto ed apprezzato già dal mondo greco-romano ed intorno al
quale con la nascita della frassinicoltura sono fluite per secoli le diverse dinamiche
affettive e di crescita di quelle migliaia di nuclei famigliari impegnati in questo settore
agricolo.
Ed un prodotto, ora di nicchia, ma possessore di un’ampia e profonda storia che
ha attraversato oltre cinque secoli, in quanto la manna iniziatasi a produrre in Calabria
nel XVI secolo e poi diffusasi nel corso del secolo successivo in tutta l’Italia centro-
meridionale, fino alla prima metà del secolo scorso veniva esportata dalla Sicilia in
tutto il mondo.
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Mi ritornano alla mente le parole conclusive del fruttuoso incontro con Giulio
Gelardi: «Ho trascorso gli ultimi anni così, l’estate ad incidere i frassini e l’inverno
nelle biblioteche e negli archivi, perché come la manna non poteva essere fatta morire
per poi essere archeologizzata e studiata, non si può produrla e venderla senza
conoscere il suo passato, non la si apprezza».
È proprio ora che la manna e tutto il settore frassinicolo vengano effettivamente
valorizzati e promozionati alla luce di una corretta prospettiva storico-culturale.
- 73 -
A P P E D I C E
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Castelbuono
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Pollina
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Terreno adibito alla coltura del Frassino da Manna
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Gli strumenti del «mannaloru»: (da sinistra verso destra) l’archetto per raccogliere il
cannolo, la «scatula» dove contenere il prodotto raccolto, la «rasula» per raschiare la
manna dalla superficie del Frassino, il «cuteddu da manna» per incidere la corteccia
dell’albero
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L’incisione del Frassino con il «cuteddu da manna»
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La Manna in formazione
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La «Manna in cannolo»
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La Manna posta ad asciugare nello «stinnituri»
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Giulio Gelardi e il suo prezioso prodotto
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«Il cannolo» venduto in bustine da 50 grammi
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