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Storia di Bogno
Appunti raccolti da Claudio Binda
Ultimo aggiornamento : 2255 LLuugglliioo 22001133
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Volendo scrivere una storia su Bogno, ci troviamo in difficoltà sin dalle prime righe.
Infatti, come si può scrivere una storia di un paese in cui non è mai accaduto nulla di
particolare e non è mai nato alcun personaggio celebre; però, come si legge e si sente da
più parti, la storia non è fatta di monumenti, battaglie, grandi avvenimenti ecc.. ma di
uomini, e di uomini in un paese pur piccolo come il nostro ce ne sono passati tanti nel
corso dei secoli che hanno piantato i semi per poter far crescere le radici della nostra
esistenza, del nostro modo di vivere, costruendo quella tradizione a cui tutti noi ci
aggrappiamo; cioè la nostra storia.
Naturalmente la storia di un piccolo paese come il nostro, sarà molto simile alla storia di
tanti paesi vicini della nostra zona, ma pensiamo che questo più che una noiosa
ripetizione di altre opere già scritte serva a mantenere viva l‟attenzione sulle tradizioni
del nostro territorio.
Terminata questa breve premessa, iniziamo col chiedere al lettore una buona dose di
immaginazione perché come abbiamo detto, mancando di documenti importanti si dovrà
sopperire a ciò con il ragionamento e con un poco di fantasia e sforziamoci di
dimenticare alcune nozioni errate che ci sono state imposte da cinema e letteratura
fantascientifica.
Carichiamoci quindi sulle spalle il nostro zaino pieno di fantasia e partiamo a ritroso nel
tempo fino a circa 70.000 anni fa.
Perché Bogno esisteva già 70.000 anni fa?
No. non esageriamo.
Sappiamo che la terra dalla sua formazione, avvenuta circa cinque miliardi di anni fa, ha
subito continue trasformazioni, (attività vulcaniche colossali, terremoti, maremoti, ecc.)
e varie glaciazioni.1
L‟ultima di queste glaciazioni, detta di Wurm ebbe inizio circa 70.000 anni fa e
raggiunse il suo culmine circa 15.000 anni fa, quindi iniziò a regredire attorno a 10.000
anni fa; si presume che, sulle nostre località, lo strato di ghiaccio abbia raggiunto lo
spessore di 1.000/1.200 metri.
Le acque prodotte dallo scioglimento di una massa di ghiaccio di così enormi
proporzioni, scavò vallate, costruì colline, depositò materiale colmando precedenti
depressioni, formò dei laghi dando così un nuovo aspetto a tutta la zona;
successivamente si alternarono vari periodi di freddo intenso a periodi con temperature
più miti con conseguente avanzamento ed arretramento dei ghiacciai che scendevano
dalle nostre montagne contribuendo così con il loro movimento alla conformazione del
terreno come noi oggi lo vediamo.
1 Le prime glaciazioni conosciute risalgono a circa 600/800 milioni di anni fa.
Conosciamo “in epoca più recente” le glaciazioni di Gunz fra 620/680 mila anni fa; Mindel fra 240/455
mila anni fa; Riss fra 125/200 mila e Wurm fra 10/70 mila anni fa.
Molte altre di minore intensità avvennero negli anni intermedi fra queste grandi glaciazioni.
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Perciò noi stiamo vivendo da circa 10.000 anni in un periodo climaticamente stabile.
Chi sta pensando che anche ai nostri tempi stiamo vivendo una situazione simile perchè
vi è magari un‟estate particolarmente calda o un autunno molto piovoso, si sta
sbagliando, infatti i periodi a cui stiamo accennando corrispondono a centinaia di anni
od addirittura a millenni.
Quindi se pensiamo che il nostro territorio era ricoperto da centinaia di metri di
ghiaccio, è pressoché impossibile pensare, nonostante la più ottimistica immaginazione,
che potesse essere abitato prima di quest‟epoca, anche se in altre parti della terra, dove
il clima poteva permettere un‟esistenza, l‟uomo aveva iniziato la sua lenta e continua
evoluzione già da circa 5 milioni di anni.
Ma l’uomo quando arrivò ad abitare il nostro territorio?
Prima di rispondere a questa domanda sarà bene fare un piccolo accenno a quella che è
stata l‟evoluzione dell‟uomo.
L‟uomo iniziò il suo cammino nel centro dell‟Africa, come è confermato da
ritrovamenti fossili, vivendo raccogliendo bacche e frutti, riparandosi sugli alberi, come
le proprie antenate scimmie e cacciando animali con delle rudimentali armi di osso o di
pietra che lui stesso si costruiva.
Cacciava anche i dinosauri?
No!
Questo è il più grosso inganno che alcuni cineasti ci hanno proposto, infatti questi erano
già scomparsi dalla terra da almeno 50 milioni di anni.
Per poter sopravvivere l‟uomo era costretto a continui spostamenti sia per seguire gli
animali che cacciava, sia al mutare delle stagioni per la raccolta dei frutti.
Durante questo suo peregrinare abitava in caverne per periodi più o meno lunghi come è
stato confermato dai ritrovamenti archeologici in più parti del mondo.
L‟uomo continuò nella sua lenta evoluzione per millenni e millenni sino a circa l‟ottavo
millennio prima di Cristo, quando forse anche a causa delle stabilizzate condizioni
ambientali, lo portò a stabilire le proprie dimore in un posto fisso, fenomeno questo
apparentemente di poco conto, che fu invece una delle maggiori concause per il nuovo
balzo in avanti che l‟umanità stava per compiere.
Mentre nella maggior parte dell‟Europa continentale dovette persistere ancora per vari
secoli, una certa economia ristagnante di tipo mesolitico2, in talune zone del Medio
Oriente, e sopratutto in un‟ampia zona detta “mezzaluna fertile” che abbraccia i territori
che a sud del Mar Nero e del Mar Caspio, si estendono dal Mediterraneo al Golfo
Persico, andavano maturando le condizioni che dovevano condurre a tempi nuovi.
2 Mesolitico = Periodo intermedio dell‟età della pietra fra 12.000/8.000 anni fa.
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Le zone ora ricordate comprendevano talune ridenti vallate, circondate da rilievi
montuosi, che parevano ben prestarsi a racchiudervi il bestiame in uno stato di semi
cattività, in tal modo l‟uomo potè evitare di rincorrere la selvaggina, come aveva fatto
per millenni e da puro cacciatore divenne pastore, badando a talune specie di animali
alquanto docili, come bovini, caprini, ovini e suini.
Nel breve volgere di alcuni secoli, dalle prime forme di cattività si passò alla
domesticazione, per passare poi ad un vero e proprio allevamento, a cui si giunse ben
presto seguendo il naturale evolversi degli eventi.
La fissazione delle dimore, che fu una causa e al tempo stesso una conseguenza delle
nuove condizioni ambientali verificatesi, consentì una più attenta osservazione dei cicli
vegetativi di alcune piante, da cui l‟uomo traeva i frutti, al punto che si potè giungere a
facilitare tali raccolte seminando appositamente talune essenze, in primo luogo taluni
cereali.
Con questi primi passi della coltivazione del terreno si ebbe ben presto l‟avvento
dell‟agricoltura, che costituì per l‟umanità un gigantesco passo innanzi.
Per seguire lo sviluppo vegetale si arrivò a costruire semplici zappette, di legno o di
corno, appesantendole con delle pietre per ottenere migliori risultati: più tardi vennero
inventati i veri aratri, con vomeri di pietra o di corno, trainati dapprima dall‟uomo
stesso, poi dagli animali ormai domestici.
Le messi furono raccolte con ingegnosi falcetti, ottenuti ponendo una serie di taglienti
lamette di selce una accanto all‟altra su appositi sostegni di legno o di osso, mentre i
cereali potevano essere ridotti in farina con l‟impiego di appositi macinelli strofinati su
piatte pietre.
Con i prodotti dei raccolti in genere, così come le sementi e gli alimenti, si vide la
necessità di conservarli entro silos scavati direttamente nel terreno, od entro recipienti,
dapprima di legno, di vimini, di cuoio, di pietra, poi di terracotta; veniva così inventata
la ceramica.
E‟ difficile dire con sicurezza come sia nata la ceramica; probabilmente, come molte
altre scoperte, hanno concorso a tale invenzione sia il caso fortuito che lo spirito di
osservazione, lo scambio di esperienze, la somma dei ricordi.
Sicuramente deve aver contribuito l‟aver notato che il terreno argilloso attorno ai
focolari, spesso accesi all‟interno delle capanne, con l‟azione del fuoco si induriva; e
forse fra i primi recipienti possiamo annoverare proprio soltanto i fori o pozzetti scavati
sul fondo delle capanne e induriti alle pareti dal calore.
L‟invenzione della ceramica, oltre che portare utilità alla vita quotidiana dei nostri
antenati, è di notevole importanza anche ai nostri giorni, perché tramite essa i nostri
archeologi riescono a ricostruire e a risalire alla civiltà di appartenenza; in pratica è il
primo libro della storia, anche se scritto inconsapevolmente.
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Col V° millennio A. C. circa ebbe inizio una sequenza di irradiazioni verso i paesi
dell‟Europa Occidentale, con varie ondate che si succedettero per alcuni millenni.
Le genti in possesso delle più arcaiche culture di quell‟epoca, provenendo come si è
detto, dal bacino del Mediterraneo Orientale, erano andate approdando dapprima sulle
coste dell‟Italia Meridionale e della Sicilia, poi su altre zone costiere, come quelle
liguri; da qui la penetrazione verso il retroterra.
Nel territorio che ci interessa più da vicino, una certa consistente occupazione può
essere ravvisata perciò solo a cominciare dal IV° millennio a.C. nelle zone più ospitali,
cioè quelle in cui il territorio meglio si presentava adatto alle nuove forme d‟economia,
basata sopratutto sull‟allevamento del bestiame e sulla coltivazione di piante alimentari
e dove, al medesimo tempo, corsi d‟acqua, laghi, paludi percorribili, offrivano la
possibilità di agevoli spostamenti, con le primitive imbarcazioni scavate in tronchi
d‟albero, per il trasporto di persone e di prodotti e per tutte quelle altre necessità ed
esigenze che il crescente dinamismo delle varie comunità rendeva sempre più
imperioso.
Sorsero così, specialmente attorno agli specchi d‟acqua che oggi formano i laghi di
Varese, di Monate, di Comabbio, di Biandronno, nonchè sulle sponde del Verbano, i
primi villaggi.
Chi erano i primi abitanti delle nostre zone?
Innanzi tutto bisogna ricordarsi che a quei tempi non c‟era il concetto di stato e di
conseguenza di popolo come siamo abituati a vedere ai nostri giorni, ma più
semplicemente questa invasione territoriale è stata portata da piccoli gruppi che si
spostavano alla ricerca di una più semplice sopravvivenza.
Gli storici unendo tutti i possibili indizi (ritrovamenti, leggende, toponomastica, ecc..)
sono giunti ad affermare che popolazioni Liguri si spinsero nel Varesotto sino ad
incontrare le prime colline, (Zona di Gallarate) essi erano di norma del buoni agricoltori
“coltivatori di legumi, (LIGURIUM) da cui sembri derivare il nome”e quindi si
limitarono alla zona pianeggiante ; ancora ai nostri giorni si notano alcune assonanze e
similitudini fra il dialetto parlato in Busto Arsizio e quello Genovese.
La zona più a nord, quella che ci interessa più da vicino, fu “invasa” da popolazioni
Celtiche, provenienti dal nord Europa, questa affermazione è possibile da similitudine
ritrovate sui tipi di inumazione dei morti, riti di culto, ecc..
Le tracce più antiche della presenza dell‟uomo nel varesotto sono state trovate nella
grotta situata ai piedi della Rocca di Angera e denominata “Tana del lupo” o “Antro
Mitriaco” e risalgono circa al 5000 a. C.
Queste popolazioni raggruppate in piccoli villaggi, anche se a pochi kilometri di
distanza fra loro, secondo il nostro sistema attuale di valutazione molto vicine, ma
“enormemente distanti” a quei tempi, durante “l’età del bronzo” tra il 1.800 A.C. e il
900 A.C. portarono queste genti ad uno sviluppo culturale diverso, tanto da indurre gli
studiosi ad assegnare loro delle nomenclature differenti :
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Cultura di Golasecca, tra le sponde del Ticino a sud di Sesto Calende.
Cultura della Lagozza, in zona di Besnate.
Cultura delle palafitte, sul lago di Varese, in località Bodio, Bardello ed in special modo
all‟isolino di Biandronno, dove sono stati individuati indizi tali da far risalire che l‟isola
fosse abitata già dal 3.000 A.C.
E‟ da notare come le varie culture si sono sviluppate in modo differente; infatti, mentre
dalle nostre parti, si viveva ancora in caverne o sulle palafitte, in altre parti del mondo,
come ad esempio in Egitto, le piramidi avevano già compiuto più di mille anni.
Ma torniamo a noi.
Sforziamoci ad immaginare di essere nel punto più alto della collina che attualmente è
coperta dall‟abitato di Bogno e guardiamoci attorno, con nostro grande stupore ci
accorgeremo di essere immersi in un‟enorme foresta verdeggiante, solo guardando
attraverso gli alberi scopriremmo i laghi, circa delle stesse dimensioni attuali e sullo
sfondo la catena delle Alpi con il massiccio del Monte Rosa che la sovrasta.
Una foresta formata in maggior parte da alberi di querce, castagni e olmi con un ricco
sottobosco molto intricato; il terreno è asciutto sui rilievi, mentre le zone più basse sono
ridotte a enormi acquitrini, solo qualche piccola radura verde si apre ogni tanto in
mezzo alla foresta.
Ma nel territorio di Bogno vi era qualche villaggio preistorico?
Nel gennaio del 2001 in località Brocchino in un modo tanto fortunato quanto casuale
venne alla luce una bellissima punta di freccia in selce, nello strato superficiale del
terreno, rimosso da una talpa.
La punta misura 45 mm. di lunghezza ed è larga 15 mm, ed è di selce grigiastra ben
lavorata, ma è leggermente spuntata.
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Essendo stato il terreno del ritrovamento rovistato più volte a causa della costruzione di
una casa, senza dare il minimo sentore dell‟esistenza di un villaggio palafitticolo, ed
essendo anche il luogo piuttosto elevato nei confronti del livello del lago, si presuppone
che la freccia sia stata persa magari durante una battuta di caccia, confermando ancora
più la fortunata coincidenza del ritrovamento.
Nel 2010 durante i lavori di posa di un metanodotto, sono stati rinvenuti tracce di un
insediamento preistorico, al termine della discesa che dalla località Brocchino porta
verso il lago, a circa 200 metri dal ritrovamento della freccia sopra indicata; sono
intervenuti i competenti organi dei Beni Culturali ed Archeologici che hanno fatto i
rilievi del caso; e per il momento rimaniamo in attesa dei risultati dell‟indagine
avvenuta.
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Ma come era un villaggio palafitticolo, e come vivevano i suoi abitanti?
Il villaggio: un agglomerato di capanne, erette con pietre e legname e spesso rivestite ed
irrobustite con lische e cannette, ottenute dalle piante palustri e tenuto a posto con
impasti di argilla indurita, mentre il tetto era di norma ricoperto di paglia e lische.
Poste su di un impalcato di qualche decina di centimetri sulla superficie dell‟acqua,
tenute ferme da pali fissati nel terreno ed unito alla terraferma attraverso una passerella,
che in caso di pericolo, poteva essere rimossa.
I nostri antenati vivevano con i proventi della pesca e coltivando alcuni cereali e verdure
sulla vicina costa, mentre si avventuravano a caccia all‟interno dei boschi circostanti.
La caccia era una delle attività indispensabili, anche se pericolosa, considerando il
rudimentale armamento che possedevano e la presenza nelle nostre zone di animali
anche di grosse dimensioni come cervi, cinghiali ed orsi, perchè oltre a procurare la
carne per l‟alimentazione forniva anche pelli per ripararsi dal freddo ed ossa per la
fabbricazione di utensili ed armi.
Sicuramente non esistendo una organizzazione statale e legislativa come intendiamo ai
nostri giorni, ogni singolo villaggio, formato da pochi nuclei familiari era gestito in modo autonomo, comandato, o meglio diretto dall‟esperienza dei più anziani.
In altre parti del mondo frattanto le varie popolazioni si riunivano in grandi gruppi,
dando così vita alle prime città.
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La nascita delle città costrinse gli abitanti a darsi una organizzazione, delle regole,
nascono così le prime leggi ed una conseguente burocrazia.
Inoltre gli abitanti dei villaggi per forza dovevano fare, per necessità, ogni tipo di
lavoro, mentre in città gli abitanti si specializzavano nei vari lavori, nascevano così le
varie attività artigianali e conseguentemente le attività commerciali.
In questa epoca, la città che prese decisamente il sopravvento su tutte le altre, fu Roma.
La sua continua espansione giunse anche nelle nostre terre, che furono conquistate dai
Consoli Gneo Cornelio Scipione e Marco Claudio Marcello, nel 221 a.C., con ogni
probabilità senza eccessive difficoltà, in quanto pensiamo che i “nostri” piccoli villaggi
ben poco potevano fare contro la grandezza, sia numerica che organizzativa
dell‟esercito romano.
Nell‟89 a.C. con la lex Pompea fu concesso il diritto di latinità.
Successivamente gli abitanti furono aggiudicati alla tribù Ufentina, come provano varie
iscrizioni su lapidi ed altari, ritrovati in zona.
Nel 44 a.C. alla morte di Giulio Cesare le nostre terre erano ancora territorio di confine
dello stato romano.
Bogno ha contribuito a confermare la presenza romana nei nostri territori in quanto
nel 1885 nei pressi del lavatoio pubblico di via Monteggia, in un piccolo loculo di
mattoni, fu trovata una grossa caldaia in bronzo con manico in ferro contenente circa 30
Kg. di monete romane.
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Questo tesoretto è andato purtroppo disperso, ma le informazioni che si hanno su di
esso, indicano che le monete furono coniate tra il 253 ed il 268 d.C. e quindi nascoste
dopo tale data, in un periodo di minacciosi movimenti delle popolazioni barbariche e di
grande instabilità dell‟impero romano.
Assieme alla caldaia, furono trovate anche tre zappe in ferro che evidentemente erano
considerate di valore anche quelle,
ed una bottiglia in bronzo molto elegante, questo tipo di bottiglia, che si presume
fabbricata nel territorio lombardo è stata ritrovata in varie parti d‟Italia e del Nord
Europa, gli studiosi la indicano come “tipo Bogno”, forse perché qui avvenne il primo
ritrovamento.
Tutto il materiale trovato in Bogno, tranne logicamente le monete che sono andate
perse, si trova esposto presso il Civico Museo di Varese.
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Il periodo storico dell‟Alto Medioevo è molto difficile da ricostruire, anche per territori
e città più grandi ed importanti, figuriamoci per un piccolo paese come il nostro, a causa
del continuo avvicendarsi al potere dei vari re, imperatori, barbari, vassali, conti, ecc…
Con ogni probabilità anche i nostri antenati dovevano faticare a seguire le vicissitudini
del governo centrale; immaginiamoci quali potevano essere e con quale rapidità agivano
i sistemi informativi di allora.
Unica cosa certa di quel periodo, è che con l’avvento della conquista romana (2° - 3°
secolo) si introdusse nel nostro territorio anche la religione cattolica, utilizzando la
stessa metodologia già sperimentata con successo dal potere centrale dell‟impero
romano, cioè, non imponendosi, ma sostituendosi gradatamente ai vari culti religiosi ed
in molti casi integrandosi con essi.
Ancor oggi in alcune feste tradizionali si può notare come si mischiano tra loro credenze
religiose e pagane.
Nel 313, con l‟Editto di Costantino, fu concessa la libertà di culto, e nel 391 il
Cristianesimo divenne “Religione di Stato”
Come si sa i romani adoravano moltissime divinità e costruirono diversi templi e
tantissimi altari (Are) e piccoli luoghi di culto addirittura nelle singole abitazioni (Lari).
Ancora ai nostri giorni possiamo notare un certo numero di piccole chiese, capellette
sparse per le campagne poste agli incroci di vie di comunicazione, angoli delle case o in
posizione piuttosto elevata.
A conferma di quanto detto è il ritrovamento nelle vicinanze di questi luoghi di culto
cattolico di are e altro materiale che fa risalire a culti precedenti pagani; scavando nella
pavimentazione di alcune chiesette poste alla cima di qualche piccolo colle si è potuto
rinvenire i resti di templi romani, ciò è successo a S.Clemente sopra Sangiano e
S.Michele in Valcuvia.
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L‟usanza di costruire piccole edicole con immagini sacre in special modo agli angoli
delle strade si protrasse sino all‟inizio del XX° sec. a dimostrazione di una grande
devozione e nello stesso tempo aveva un secondo scopo, con la posa di lumini, candele
e lucerne si praticava un primo rudimentale impianto di illuminazione stradale.
Il nostro territorio come tutto quello a nord di Milano era chiamato nel linguaggio
dell‟amministrazione romana la Liguria, divenuta poi sulla bocca dei Longobardi
Neustria, quindi Longobardia e in fine Lombardia.
Facciamo un balzo in avanti sino all’agosto dell’anno 1000, dove troviamo il più
antico documento che parla di Bogno, è una pergamena3 che tratta di un semplice atto
di vendita, ma che è in grado di darci varie ed interessanti notizie utili e spunti per
chiarire la nostra storia.
Questo documento che si trova trascritto nel “Codex Diplomaticus Longobardiae” cita
la vendita fatta dal conte Guibertus, figlio di Dodone a favore del presbitero Berno per
150 monete d‟argento di “casis ed castro con sedimines, servi set ancillas” localizzate in
Bogno.
L‟atto notarile è stato redatto in località “Agammi o Gammi”, forse l‟odierna Ganna.
Chi siano i personaggi citati non ci è dato sapere, ma in un altro documento del 1030
veniamo a conoscenza di un certo Dodone, padre di Uberto conte di Stazzona (Angera),
pertanto è possibile ipotizzare che il nostro Guibertus fosse fratello del Conte di Angera.
Il Brunella Lodovico, detto “cercasass” noto ricercatore ed amante della storia locale,
nel suo libro “Frammenti di storia Besozzese” dice che si tratta di Giuberto conte di
Ghemme.
Con ogni probabilità si tratta di una diversa interpretazione dello stesso documento.
Una diversa interpretazione di un documento antico non è sinonimo di incapacità ed
incompetenza, ma testimonia l‟effettiva difficoltà di tale lavoro, dobbiamo pensare che
detti documenti venivano scritti a mano utilizzando penne d‟oca o bastoncini di legno
appuntiti intinti in inchiostro; trattandosi per la maggior parte di compra-vendita o
testamenti, venivano redatti in più copie divenendo così un lavoro veramente lungo e
pesante, perciò si utilizzavano in abbondanza delle abbreviazioni.
A conferma delle difficoltà di trascrizione aggiungiamo il fatto che erano scritti nella
maggior parte in latino, non certo scolastico, ed oltre a ciò bisogna tener conto dello
3 La pergamena, detta anche cartapecora, è ottenuta da pelli animali, prevalentemente ovini,
perfettamente scarnite e rasate, conciate con calce e lisciate con pomice
Il nome deriva dall‟antica città di Pergamo nell‟Asia Minore dove nel II° secolo a.C. si produceva su
larga scala, ma se ne conosce il suo uso già nel v° sec a.C., sebbene il suo uso abituario venne in epoca
più remota.
In epoca romana soppiantò il papiro per le sue qualità : Vi si poteva scrivere su ambo i lati – Vi si poteva
produrla agevolmente dappertutto con relativa facilità – Si poteva raschiare e scrivere di nuovo e inoltre
consentì il passaggio del libro dalla forma a rotolo a quella di quaderno; tra il IV° e il XIII° secolo fu il
materiale scrittorio più usato, sino a quando poi la carta ne prese il suo posto.
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scolorimento dell‟inchiostro, dell‟accumularsi di muffe, macchie, lacerazioni, che col
passare degli anni si sono sovrapposte sulle pergamene.
Anche di Berno non conosciamo nulla, ma si pensa che esso agisse a nome della chiesa
Pievana di Brebbia, questa affermazione è possibile in quanto analizzando i documenti
dei notai Vivonius e Lanfranco di Brebbia fra il 1183 e il 1215, riguardanti i beni della
Pieve di Brebbia e dell‟Arcivescovo di Milano, ritroviamo la copia del nostro
documento di circa 200 anni prima, quindi sicuramente ritenuto di grande importanza.
Ma cosa si può dedurre dal documento ?
Innanzi tutto la presenza di un “castro” castello in Bogno, di una Pieve e di un castello
Arcivescovile in Brebbia.
Cerchiamo di dare una ragione a ciò; in primis la necessità durante il periodo medievale
dei castelli, i quali oltre che alla protezione dagli attacchi e dalle scorrerie dei nemici e
dall‟incertezza interna dovuta alla frammentazione politica ed alla mancanza di un
potere centrale forte; avevano anche motivazione economiche di non poco conto perché
i grandi proprietari, dei castelli e dei terreni adiacenti, offrivano protezione ai coltivatori
delle loro aziende evitandone la fuga in caso di pericolo.
A partire dal X secolo, il moltiplicarsi degli insediamenti fu anche la conseguenza
diretta della ripresa demografica e dei traffici che a causa dell‟insicurezza generale in
cui versava la società imponeva il sorgere di nuovi ripari e fortificazioni.
La conformazione dei castelli era molto varia a secondo del luogo in cui sorgevano,
delle soluzioni difensive e degli elementi costruttivi.
Anche le dimensioni erano ovviamente diverse, elementi fondamentali di un castello
erano naturalmente le mura, la torre (raramente più d‟una), destinata ad ospitare una
guarnigione di armati, e che prendeva il nome di “torrione” o “mastio”.
Fossati pieni d‟acqua a protezione delle mura erano possibili solo in pianura.
All‟interno del castello viveva una popolazione più o meno numerosa ospitata in case di
muratura o legno con tetti di paglia separate fra loro da orti ed in caso di pericolo
davano alloggio anche agli abitanti delle cascine dei dintorni.
Quasi sempre al suo interno vi era una Chiesa e dei locali adibiti a magazzino e stalle,
sia per preservare le masserizie da eventuali razzie, sia per sopravvivenza in caso di
assedio.
Solo nei castelli sede di Signori più ricchi o di corti regie vi era la presenza di edifici
architettonicamente complessi, talvolta confortevoli e lussuosi.
I castelli costituivano anche una fonte di controllo del territorio, in special modo per il
controllo delle poche vie di comunicazione (strade e vie d‟acqua), perciò erano poste
sulle alture.
Grazie alla costruzione dei castelli, la società subì profonde trasformazioni.
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I proprietari si appropriarono di fatto del potere lasciato vacante dalle autorità centrali,
assumendo via via, dopo i compiti di protezione delle popolazioni rurali, anche quelli
politici e amministrativi.
Tali poteri detti “di Banno” (ovvero di comandare, costringere e punire), venivano
esercitati non soltanto sui servi e coloni che mantenevano rapporti di dipendenza, ma
anche sull‟intiera popolazione che risiedeva sul territorio di pertinenza del signore.
Questa “Signoria territoriale” consentì, nei territori circostanti il castello, una vera e
propria giurisdizione che conferiva al Signore pieni poteri su tutti gli abitanti.
Forme caratteristiche di queste dipendenze erano il pagamento al signore di un
contributo in denaro, (la “taglia”) che, almeno teoricamente, ripagava la protezione da
questi accordata loro, e l‟obbligo di utilizzare il mulino, il frantoio e il forno signorile
pagando con parte del prodotto.
Ovviamente il processo di trasformazione non fu uniforme; nel tempo si assistè ad una
sempre maggiore contrattazione delle prestazioni d‟opera fra contadini e proprietari del
castello, spesso convertiti in canoni in denaro.
Nacquero anche nuovi tipi di “corvèes”, principalmente rivolte alla costruzione e al
mantenimento del castello e delle sue mura
La trasformazione della società in “ Signoria territoriale” non fu certo un processo
indolore, né tanto meno stabile, quasi ovunque si verificarono fenomeni di
sovrapposizione e contrasti, spesso violenti.
A essere in conflitto erano soprattutto i proprietari dei castelli e i semplici signori
fondiari.
Forti delle loro strutture difensive, i primi tentavano di sottrarre terre ai secondi
richiedendo ai loro contadini canoni e corvèes, togliendo così ai secondi la possibilità di
controllare i beni e le persone che si trovavano sul territorio sottoposto alla giurisdizione
del castello.
Come mai l’Arcivescovo di Milano era proprietario del Castello di Brebbia?
Alla fine dell‟Impero Romano d‟Occidente, avvenuta nel 476, con il graduale
disfacimento delle istituzioni e strutture poste a governo del territorio, si susseguirono
una infinità di lotte per la conquista del potere nell‟Italia Settentrionale.
Carlo Magno divise il suo vasto regno in marche e contee.
Il Varesotto formò il Contado del Seprio ed il suo capoluogo fu Castelseprio, località
fortificata non lontano dall‟odierna Tradate.
Negli anni fra il 960 ed 970, dopo varie vicissitudini militari, l‟imperatore Ottone I° di
Germania sconfisse Berengario II° ed affidò il controllo del territorio coi loro castelli,
(probabilmente terre sottratte ai seguaci di Berengario II°), ai suoi amici alleati più
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fidati fra i quali l‟Arcivescovo di Milano Valperto che divenne così proprietario di vari
castelli nella zona della sponda orientale del lago Maggiore.4
Il castello di Bogno, posto con ogni probabilità sul luogo di cui oggi ne rimane solo il
nome, risulta, come è indicato nel libro di A.A.Settia “Castelli e villaggi dell’Italia
Padana – Popolamento, potere e sicurezza fra il IX° e XIII° sec.” fra i più piccoli dei
castelli lombardi con una superficie di “circa” 1031 mq.; dal nostro documento si
deduce che era recinto da mura e contornato da “terra vacua iusta castro”, cioè terreno
vuoto, come era consuetudine costruttiva dell‟epoca, che corrispondeva alle prime più
elementari misure difensive di non dare agli eventuali assalitori la possibilità di
nascondersi e ripararsi dietro ostacoli di qualsiasi tipo mentre si avvicinavano.
I due castelli di Bogno e di Brebbia così vicini, facevano parte evidentemente di uno
stesso sistema difensivo e con ogni probabilità condivisero anche la stessa fine il (5
maggio) 1263 ad opera dei Torriani che li distrussero durante le lotte per il dominio
della città di Milano, fra i Della Torre ed i Visconti.
Le ridotte dimensioni del castello di Bogno, confermerebbero questa tesi, di essere non
una costruzione autonoma, ma un inserto di un complesso difensivo più ampio.
Unica prova, per ora, venuta alla luce durante lavori di giardinaggio sul luogo dove
sorgeva il castello; è il ritrovamento di un bel cucchiaio in bronzo che confrontato con
altri conservati in vari musei si può dedurre essere stato prodotto fra il XII° - XIII°
secolo, quindi in epoca in cui il nostro castello era ancora in piena attività.
Il cucchiaio ha una lunghezza totale di circa 15 cm. : la parte concava è quasi circolare,
misura infatti 5 x 5,5 cm, il manico molto sottile ha inciso delle decorazioni
geometriche ed ha la parte terminale un poco appiattita “tipo spatola”.
4 Da “Historia mediolanansis” di Landulfi Seniores.
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Sia sulla parte terminale che al centro del manico si intravedono altri tipi di decorazione
che purtroppo il tempo e l‟uso ha reso illeggibili.
All‟interno del cucchiaio vi è stampigliato un piccolo simbolo stlizzato: sembrerebbe un
fiore, forse un giglio.
Cucchiaio : il nome deriva dal latino “cochlea – chiocciola” forse perché i primi
rudimentali cucchiai erano formati da una conchiglia.
Inizialmente il cucchiaio non ebbe l‟utilizzo attuale ma una funzione liturgica: infatti
fino al „700 nelle Chiese cattoliche ne esistevano a fori sottilissimi per far passare il
vino durante la celebrazione della Messa, come, esistono tuttora cucchiai da incenso;
mentre nelle chiese di rito greco, copto e siriaco esistono cucchiai da “comunione”.
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Nel Medioevo la gente a tavola mangiava abitualmente con le mani, e ciò, per il canone
dell‟epoca, non era certo indice di maleducazione, nemmeno in ambito nobiliare; ci si
aiutava con un coltello appuntito che serviva anche per infilare pezzi di carne o cibi
solidi da portarsi alla bocca e si bevevano zuppe, brodo e farinate direttamente dalle
ciotole.
Per evitare di scottarsi le dita coi cibi caldi, le persone nobili e ricche utilizzavano delle
specie di ditali, di solito d‟argento; mentre per i più poveri , si diceva, bastava
l‟esperienza e la fame ad evitare scottature.
I cucchiai nel medioevo erano una rarità e non venivano utilizzati come oggi.
Nella maggor parte dei casi erano fabbricati in legno ed essendo molto grandi per poter
essere introdotti in bocca, si impugnavano , e si beveva dal cucchiaio come fosse una
piccola scodella.
Solo in pochi casi si fabbricavano in metallo. Il manico del cucchiaio di norma era
piuttosto corto e sottile e terminava all‟estremità o a forma di piccola spatola o ad una o
due punte e poteva quindi essere usato anche come forchetta; utensile che apparve sulla
tavola solo a partire dal secolo XIV°.
Un cucchiaio faceva parte degli effetti personali, era un articolo di lusso, nella maggior
parte dei casi era d‟argento e per i suoi possessori rappresentava più di un semplice
strumento per mangiare ed era segno di prestigio presentarsi ad un banchetto con un
cucchiaio.
Ma torniamo al “nostro” documento.
Oltre al castello, sullo stesso, viene citata anche la vendita di case in “cantone qui
dicitur Bunio medio”, quindi una distinzione fra il castello con le eventuali abitazioni
accessorie ad esso e quello che potremmo definire il paese.
Vengono anche venduti 112 terreni arabili, 46 appezzamenti di boschi di castagne, 45
prati ed 11 gerbi ed 11 servi; questo fa intendere come a quei tempi uomini e terreni
erano strettamente legati e considerati come semplice proprietà.
Non dobbiamo considerare la vendita di servi come un atto di schiavitù, ma bensì come
atto di solidarietà, infatti se questi servi, con probabilmente i loro familiari, traevano
sostentamento dal lavoro su queste proprietà con la vendita abbinata terreno/servi, gli si
garantiva il posto di lavoro.
Se vogliamo conoscere le cause che portarono alla distruzione dei nostri castelli
dobbiamo allargare un poco lo sguardo e vedere cosa stava succedendo in quegli anni
fuori di casa nostra, in special modo in Milano, da cui noi dipendevamo.
Gli inizii del XIII° secolo furono caratterizzati, in Italia, dalle lotte che videro
contrapposti papato ed impero.
I milanesi al fine di assicurare un periodo di stabilità politica alla propria città avevano
conferito ogni potere al Marchese Lancia dell‟Incisa, che di fatto aveva instaurato la
propria signoria in Milano.
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Nel 1256 al termine della Signoria Lancia, i milanesi si trovarono divisi sull‟elezione
del podestà, che rappresentava la massima carica civile.
Da un lato l‟Arcivescovo, Leone da Perego, appoggiato dalla maggior parte della
nobiltà fra cui i Visconti e i Crivelli, nominarono Paolo da Soresina, mentre dall‟altro
canto i Della Torre, con l‟appoggio del popolo, elessero Martino della Torre.
Le lotte che scaturirono dalle divisioni che si erano verificate in Milano, costrinsero
l‟Arcivescovo Leone da Perego e gli esponenti della nobiltà a rifugiarsi nei vari castelli
all‟esterno della città.
Più documenti testimoniano, in questo periodo, la presenza dell‟Arcivescovo di Milano
nel castello di Brebbia; non siamo a conoscenza dei motivi che indussero l‟Arcivescovo
a scegliere come propria dimora Brebbia, essendo egli proprietario di diversi castelli
della nostra zona; si potrebbe di fatto azzardare una ipotesi, che essendo in pratica
circondato da castelli di sua proprietà e da lui controllati, automaticamente il castello di
Brebbia diventava il più sicuro.
Alla morte dell‟Arcivescovo Leone da Perego, nel 1257, che aveva tentato invano di
restaurare l‟autorità vescovile nel governo della città, a risanare la situazione fra i
milanesi, si celebrò la così detta “Pace di S.Ambrogio”, così chiamata perché siglata
all‟interno della Basilica Ambrosiana.
La pace durò poco, già l‟anno successivo, ripresero i conflitti a causa delle lotte per il
predominio dell‟Italia Settentrionale fra Ezzelino da Romano, sostenuto dai nobili e
Manfredi di Svevia, sostenuto dai Torriani e dal popolo.
La città di Milano anche in questa occasione si divise in due raggruppamenti e nel
conseguente caos causato dalle lotte fra le fazioni, i Torriani riuscirono ad imporre
Martino della Torre quale signore di Milano, anche con l‟aiuto di Uberto Pallavicino
signore di Cremona, dando così avvio alla Signoria dei Della Torre (Torriani), la quale
si protrasse alla guida della città sino al 1277.
Le lotte civili che si era susseguite, impedirono l‟elezione del nuovo Arcivescovo per
ben 6 anni.
Nel 1262 unico candidato alla dignità arcivescovile era rimasto Raimondo della Torre;
quindi i Torriani si stavano impadronendo oltre che del potere civile anche dell‟autorità
ecclesiastica.
Il Papa Urbano IV, intervenne di persona per porre fine alla questione nominando
Ottone Visconti Arcivescovo di Milano, malgrado la sua appartenenza ad una famiglia
tradizionalmente legata all‟Imperatore (Ghibellini).
Le intenzioni del Papa erano quelle di dividere i poteri cittadini, accontentando
entrambe le fazioni e portare un poco di tranquillità all‟interno della città di Milano; ma
ottenne l‟effetto contrario.
All‟inizio del 1263, Ottone Visconti partì da Roma per prendere possesso delle sue
funzioni in Milano, ma non potendo entrare in città a causa dell‟opposizione dei
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Torriani, con una nutrita schiera di esuli milanesi, nel mese di aprile occupò il castello
di Arona in attesa di nuovi eventi.
Martino Della Torre pose d‟assedio il castello di Arona, che dopo un mese capitolò, ma
l‟Arcivescovo coi suoi più fidati collaboratori riuscì a fuggire.
L‟ira dei Torriani si abbattè allora sulle proprietà Arcivescovili ed i castelli di Arona,
Brebbia, Bogno e molti altri della zona furono distrutti.
La pace però era ancora lontana da venire, negli anni successivi, si verificarono in
Milano e nel contado, malcontenti e disordini per l‟inasprimento dei tributi, imposti da
Napo Della Torre che nel frattempo era succeduto al cugino Martino, dovuti in principal
modo per il mantenimento dell‟esercito, composto in maggior parte da mercenari.
Gli esuli sostenitori dell‟Arcivescovo, naturalmente, cercavano di trarre profitto dalla
situazione e fomentavano in continuazione delle rivolte all‟interno delle varie città del
contado, contando anche su molti sostenitori all‟interno di esse; e nel 1271 nominarono
Podestà di Milano, anche se di fatto non ne prese mai possesso, Goffredo da Langosco
Conte di Lomello, che divenne di fatto capo della fazione sostenitrice dell‟Arcivescovo.
Nel 1276 Goffredo da Langosco, alla testa dei fuoriusciti milanesi, occupò Arona
unitamente ad alcune postazioni strategiche dell‟Ossola, col favore delle popolazioni
locali fedeli all‟Arcivescovo.
Quindi sbarcò ad Angera con 3-4 mila5 uomini e si impossessò della Rocca
Napo Della Torre reagì inviando ad Angera il proprio figlio Cassone con un esercito
rinforzato anche da una schiera di 500 soldati tedeschi inviati dall‟Imperatore Rodolfo
d‟Asburgo.
I Torriani si accamparono nella piana del torrente Guassera “Quassa” nei pressi del
Lago Maggiore al confine fra gli odierni comuni di Ispra e Ranco, e posero d‟assedio la
Rocca di Angera.
Nel frattempo Goffredo da Langosco, con un esercito di circa 5 mila armati composta
da fuoriusciti Milanesi, Pavesi e del Seprio, oltre che da genovesi e spagnoli, partendo
da Arona, si portò più a nord, attraversò il lago, occupò quei territori, incorporando
nelle proprie file anche i locali fedeli all‟Arcivescovo e ridiscese verso Angera.
L‟esercito Visconteo piombò su quello Torriano, che fu colto di sorpresa mentre ancora
stava allestendo l‟accampamento; la battaglia scoppiò fra gli acquitrini e le zone
paludose attorno al fiumiciattolo Guassera e i Viscontei ebbero facile sopravvento sui
Torriani e lo stesso capo dei tedeschi Hans Lauser, venne ucciso.
5 La radicata abitudine medievale di aumentare la consistenza numerica, porta ad un errata valutazione
degli avvenimenti, questo perché i cronisti dell‟epoca non usavano i numeri come dati specifici, ma come
espediente letterario per stupire o sgomentare il lettore.
Anche l‟uso, ancora molto frequente, della numerazione romana, non contribuiva alla chiarezza, vista
l‟inclinazione all‟arrotondamento.
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Il Langosco, forse troppo fiducioso del suo esercito, di gran lunga più numeroso dei
Torriani, non si preoccupò di predisporre una difesa che potesse coprire i suoi uomini
durante l‟attacco; infatti Napo Della Torre stava congiungendosi con il figlio con un
esercito di 10.000 uomini e piombò alla spalle dell‟esercito Visconteo che già
intravvedeva la vittoria vicina, ed in breve tempo la situazione fu ribaltata.
A causa del terreno paludoso molti cavalieri vennero catturati e uccisi dopo che i loro
cavalli si erano letteralmente impantanati, sembra che lo stesso Goffredo Langosco
caduto col proprio cavallo nei pressi del torrente Guassera venne accerchiato e catturato,
portato alla presenza di Napo della Torre venne ucciso, sembra, per mano dello stesso.
Per la fazione Viscontea fu un vero disastro, Angera ed Arona tornarono in mano ai
Della Torre, molti vennero uccisi sul campo di battaglia, pochi superstiti fuggirono e
molti furono fatti prigionieri e condotti a Milano.
Giunti a Gallarate, non si conoscono le cause scatenanti, 34 di essi scelti tra gli
appartenenti alla nobiltà milanese, fra cui anche Teobaldo Visconti, nipote di Ottone e
padre di Matteo, futuro Signore di Milano, vennero decapitati sulla pubblica piazza.
La lotta tra Viscontei e Torriani non si calmò, i due eserciti si scontrarono anche a
Castelseprio, dove prevalsero i Torriani con l‟appoggio della popolazione locale.
Ottone Visconti si rifugiò in Canton Ticino, nel castello di Locarno, per riorganizzare la
controffensiva.
Le truppe viscontee al comando di Simone da Locarno, muovendosi via lago
ingaggiarono una battaglia navale, risultata vittoriosa, nei pressi di Germignaga, e
cinsero d‟assedio le rocche di Arona ed Angera, ma l‟intervento delle milizie di Napo
Della Torre costrinsero all‟abbandono dell‟assedio e al conseguente spostamento dei
viscontei verso est nella zona comasca, dove però trovarono appoggio da parte delle
popolazioni locali e quindi fu facile prendere possesso di Lecco, Civate e dintorni e da lì
proseguire verso Milano.
Napo anziché attendere i nemici in Milano, decise di uscire incontro con la sua
cavalleria e si rinchiuse nel borgo di Desio.
All‟alba del 21 gennaio 1277, i Viscontei attaccarono improvvisamente Desio, i
Torriani non poterono sfruttare la potenzialità della loro cavalleria, stretti all‟interno del
borgo. vennero sopraffatti, anche perché gli abitanti di Desio, visto come si stavano
evolvendo gli esiti della battaglia si ribellarono, dando così il colpo di grazia ai Torriani.
Napo Della Torre fu salvato, con atto di clemenza, dall‟Arcivescovo Ottone Visconti e
consegnato ai Comaschi, che, invece ferocemente, lo rinchiusero insieme a 5 suoi
congiunti (il figlio, un fratello e 3 nipoti) in una gabbia di ferro appesa esternamente alla
Torre del castello del Baradello, sopra Como, dove trovò la morte il 16 agosto 1278.
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Ottone Visconti quando finalmente si insediò sulla cattedra arcivescovile di Milano, si
ricordò dell‟aiuto dato dalle popolazioni Sepriesi a Napo Della Torre e nel 1287 emise
un editto: “che Castelseprio sia smantellato e tenuto distrutto in perpetuo; e nessuno osi
più abitare su quel monte” e così fu fatto, furono risparmiate solo le chiese, ma alla loro
rovina provvide il tempo e l‟abbandono.
Torniamo al nostro documento in cui viene indicato anche che il paese apparteneva
alla Pieve di Brebbia.
Il termine Pieve, ai nostri giorni sta ad indicare una porzione di territorio comprendente
più paesi, o meglio parrocchie limitrofe, ed è usato quasi esclusivamente in ambiente
ecclesiastico.
Il suo nome deriva da “plebs, plebis = Plebe, popolo” e deriva dal fatto che durante i
primi secoli di espansione del cattolicesimo, dopo l‟Editto di Costantino del 313 vi era
libertà di culto e quindi coesistevano più religioni contemporaneamente; la fede
cattolica dato i suoi principi di carità ed aiuto ai più bisognosi, ebbe più facile presa
verso il popolo più povero e meno verso i ceti più abbienti maggiormente legati alle
tradizioni del governo centrale, si vennero così a delineare due fazioni, oggi diremmo
caste, dei notabili – pagani – e del popolino – cattolico-, pertanto con il termine “plebe”
si indicava il popolo seguace della religione cattolica.
Successivamente si indicò con Pieve una circoscrizione civile e religiosa facente capo
ad una chiesa con battistero, detta “chiesa matrice” o “chiesa battesimale” alla quale
sono riservate alcune funzioni liturgiche e da cui dipendevano altre chiese e cappelle dei
dintorni.
I sacerdoti officianti risiedevano presso la pieve in comunità ed erano chiamati canonici
da “canon”, elenco di ministri di una chiesa.
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In seguito si stabilirono presso le singole chiese succursali, che in molti casi nel
frattempo si erano fornite di fonte battesimale e di cimitero, dette “curanzie”, rette da un
Curato, dando inizio al processo di formazione delle parrocchie.
All‟arrivo dei Longobardi6 si formarono due classi distinte dei “conquistatori” e dei
“conquistati”, il termine “plebe”, che in un primo momento indicava la comunità dei
battezzati passò in seguito ad indicare le persone tenute a pagare le tasse ed i vari
contributi; il termine infine passò a caratterizzare la contrapposizione culturale e sociale
fra i “sudditi”, romani, e la “classe dominante”, longobardi.
Su tutti gli atti notarili più antichi le persone indicate vengono specificate in “di legge
romana o di legge longobarda”.
Sui vari documenti il paese di Bogno è indicato in vari modi (Bunio, Loci Bonii, Bugno,
locum Bonium, Bogno), quale sia il vero significato del nome è difficile stabilirlo, forse
vista la conformazione del terreno il più probabile sembra derivare da bugno, tipico di
un muro bugnato, in dialetto “Bugnun” (foruncolo) cioè di qualcosa che si eleva.
(essendo di Bogno mi piacerebbe che l‟origine provenisse da “Loci Bonii”, luoghi buoni
o luogo dei buoni; ma la traduzione è forse un po‟ troppo partigiana).
Da un solo documento si è visto quanti spunti è possibile ricavare, ma si potrebbe
proseguire ancora, ad esempio approfondendo le ricerche sul valore delle 150 monete
d‟argento o sulla data di compilazione, visto che il calendario7 attuale è entrato in
vigore nel 1500.
Fra le testimonianze del periodo medievale sono di grande importanza le due tombe
rinvenute in Bogno intorno al 1913 durante la costruzione della villa Malaspina
(Ronzoni) in via Monteggia; nonostante le tombe risultassero già state aperte in
precedenza, si rinvennero due spade in ferro, una punta di lancia
6 I Longobardi, popolo di origini germaniche, giunsero in Italia nel 568 guidati dal loro re Alboino e
partendo dal Veneto orientale si insediarono in buona parte del territorio italiano. I Longobardi erano un
popolo in armi guidato da un‟aristocrazia di cavalieri e da un re guerriero ed inizialmente si comportarono
come dei conquistatori, animati da spirito di conquista e saccheggio, in seguito, anche a causa
dell‟adesione al cristianesimo si integrarono con la cultura latina, sino a divenire una delle basi
dell‟italianità. Il dominio longobardo si articolava in numerosi ducati, che godevano di una certa
autonomia rispetto al potere centrale dei sovrani che risiedevano a Pavia. Il regno cessò di essere un
organismo autonomo nel 774 a cui subentrarono i Franchi guidati da Carlo Magno. 7 Il calendario – l‟anno cominciava con la Pasqua, ed essendo questa variabile anno per anno ,
normalmente si preferiva fissare la data d‟inizio anno al 25 marzo.
Inoltre a complicare le cose, era in uso non indicare i giorni con numeri progressivi, ma facendo
riferimento a festività religiose, esempio : 2 giorni prima di Natale, o il lunedì dell‟Epifania, la terza
domenica di Quaresima, il giorno di S. Giovanni ecc….
Il calendario attuale fu introdotto il 15 Ottobre 1582, vennero soppressi 10 giorni dal 4 ottobre si passò
direttamente al 15 ottobre; in pratica i giorni che vanno dal 5 al 14 ottobre 1582, non sono mai esistiti.
Il nuovo calendario, chiamato Gregoriano dal nome del Papa Gregorio XII° che lo ha promulgato,
impiegò circa 200 anni per divenire di uso comune.
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ed un umbone di scudo in ferro con borchie,
segni evidenti che il proprietario doveva essere un cavaliere di notevole importanza.
Tutto il materiale fa bella mostra in una vetrina del Civico Museo di Varese.
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Nel 1920 nel parco della villa Ronzoni, nei pressi del ritrovamento delle due tombe
barbariche furono effettuate degli scavi alla ricerca di nuove tracce archeologiche, si
rinvennero una decina di tombe formate con lastre di pietre, ma al loro interno non si
rinvennero che piccoli frammenti di ossa, pur mancando di elementi su cui giudicare, si
rittennero anche queste di origine barbariche.
Tratto da “Penna e Pugno” –
Giornale edito in Besozzo nel 1923
Quando si parla di storia di un paese, non si può non parlare della Chiesa, sia per la
posizione sociale, culturale e ovviamente religiosa, ma specialmente come fonte di
ricerca storica per i documenti conservati nei suoi archivi.
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Come abbiamo già detto il Vangelo iniziò la sua diffusione a partire dal II° secolo; e per
quanto riguarda Bogno il primo segno della presenza cristiana risale al 1145 dove risulta
esistere la chiesa di S.Vito, come appare dal libro “L’antiquario della Diocesi
Milanese” del Sac. Francesco Bombognini edito nel 1790.
Dove fosse questa chiesa non ci è dato sapere, si potrebbe ipotizzare, come d‟altronde
era uso a quel tempo, fosse collocata all‟interno del castello.
Nel libro “ Frammenti di storia Besozzese” del Brunella viene citata la presenza di due
chiese sulla strada che da Bogno porta a Besozzo Sup.; la prima presso la frazione di S.
Vittore in territorio di Besozzo; la seconda, dedicata a S.Martino, in territorio di Bogno,
subito prima del ponte della ferrovia sulla sinistra, andando verso Besozzo, a conferma
di ciò, durante la costruzione della villa precedente all‟attuale, durante dei lavori di
scavo vennero alla luce i resti di alcune fondazioni, a confermare quanto finora era
riportato solo dalla tradizione.
Sul “Liber notitiae Sanctorum Mediolani” scritto da Goffredo da Bussero, cappellano di
Rovello, (nato nel 1220 e morto fra il 1304 e il 1311), vengono elencati tutti gli altari e
le chiese della Diocesi di Milano, per quanto riguarda Bogno, in una prima nota si
indica la presenza degli altari di S.Vito e S.Romano nella chiesa di S.Maria e in una
seconda nota viene segnalata nella chiesa di S.Maria l‟altare dedicato a S.Vito.
Dove fosse ubicata questa chiesa è ancora più difficile, in quanto nel frattempo il
castello (dai dati in nostro possesso) era stato completamente distrutto.
La chiesa attuale è stata costruita sul finire del 1500.
Sul luogo della sua costruzione si possono fare alcune considerazioni; se si considera
che a quei tempi il paese di Bogno era formato da un agglomerato di case presso
l‟attuale via Binda ed un altro nucleo di abitazioni presso la Piazza (inizio via Piave) più
alcune cascine sparse;la scelta del luogo dove doveva sorgere la nuova chiesa sarebbe
stata più logica farla ricadere in mezzo ai due nuclei abitativi o almeno presso uno di
essi.
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Ipotesi di come doveva esere Bogno alla fine del 1500.
Perché la chiesa fu costruita lontano dalle case e fuori dal paese?
Forse in loco vi era già qualche chiesetta, o qualche convento o forse più semplicemente
qualche rudere di torre, facente parte del sistema difensivo del castello posto più in alto.
Ad avvalorare quest‟ultima ipotesi, sta il campanile attuale della chiesa, che come
risulta anche dalle ultime indagini tecniche eseguite durante l‟ultimo restauro del
1993/94, conferma essere in stile preromanico e quindi databile intorno all‟anno 1000,
solo la cella campanaria è databile agli ultimi anni del XVI° secolo.
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Da due documenti conservati presso l‟Archivio della Curia Arcivescovile, nel primo
redatto fra gli anni 1567 e 1572 risulta Alessandro Feretto capellanus Bonij, (vedi
Appendice 1 ) nel secondo compilato fra il 1574 e il 1590 dal Prevosto di Besozzo
Prospero Colonna, nel quale si elencano tutti i preti della Pieve di Besozzo/Brebbia; tra
questi, Petrus Antonius Ferettus ha la sua prebenda8 in loco Bonij. (vedi Appendice 2 )
Quindi se vi erano dei preti incaricati ad assistere religiosamente la popolazione di
Bogno, è facile supporre l‟esistenza di qualche chiesa, prima della costruzione
dell‟attuale.
Analizzando i documenti conservati nell‟Archivio della Curia Arcivescovile di Milano
risulta che nel 1574 i lavori della costruzione della chiesa erano ancora lontani dalla loro
conclusione, in quanto manca completamente il tetto sia della chiesa che della sacrestia,
oltre a tutta la pavimentazione.
In un altro documento di 4 anni dopo vi è riportata una supplica degli uomini di Bogno
per poter usare i materiali di una chiesa di campagna di Brebbia dedicata a S. Protaso
(evidentemente distrutta o abbandonata) per poter portare a termine i lavori.
La Parrocchia fu ufficialmente eretta con la fondazione del Beneficio Parrocchiale a
ciò concorsero tre atti notarili il primo nel 1518, il secondo in data 21 Dic. 1548 a rogito
del Notaio Dott. Besozzi de Rabaglione Bartolomeo ed un terzo in data 17 Luglio 1581
8 Prebenda – Porzione di beni di un capitolo o colleggiata destinata a fornire un reddito a un ecclesiastico
che ne sia beneficiario (raramente tale beneficio è appannaggio di laici).
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con atto rogato dal Notaio Gerolamo Luino di Leggiuno ; in esso atto gli uomini di
Bogno si impegnarono per sé e per i propri eredi e discendenti a pagare annualmente al
Parroco pro tempore locale, per il proprio mantenimento, 50 Scudi d‟oro, detti Scudi di
Filippo II°. ( vedi Appendice 3 )
Non sempre questo impegno preso dalla Comunità di Bogno venne rispettato, tantè che
nel 1861 il Parroco pro tempore di allora D. Gioachino Trabattoni dovette far ricorso al
Tribunale Civile per far valere i propri diritti; successivamente nel 1909 il Comune si
rifiutò di pagare l‟assegno annuale (che nel frattempo in seguito ai vari adeguamenti
monetari avvenuti negli anni precedenti era divenuto di £. 293,53), al Parroco D. Dellea
Protaso, il quale dovette far ricorso al Tribunale, che dopo un lungo iter processuale,
anche questa volta diede ragione al Parroco ed obbligò il Comune al pagamento oltre
che il dovuto al Parroco (£. 293,53) anche di tutte le spese processuali che
ammontarono a £. 1052,11.
Non è detto che tutti i documenti portano un tassello più o meno piccolo, ma importante
per completare il mosaico della nostra storia; alcuni, anziché portare chiarezza
aggiungono nuove incertezze; il primo in data di poco posteriore al 1589 indica che il
giorno 18 novembre (9bris) si celebra la dedicazione della chiesa parrocchiale di S.Vito
“per consuetudine immemorabile”.
Un secondo di poco posteriore indica le dimensioni della chiesa in 20 braccia di
lunghezza, 10 in larghezza e 15 in altezza (ossia ml. 12 x 6 x 9).
Un terzo documento del 1748 riporta le dimensioni della chiesa, consistente in un‟unica
navata con le seguenti misure: lunghezza 30 cubiti, larghezza 15, altezza 18 (ossia circa
ml. 13,20 x 6,60 x 7,90).
Le misure non hanno alcun riscontro con l‟attuale struttura esistente, anche prendendo
in considerazione la sola navata centrale, che misura circa ml. 8 x 17; unico possibile
riscontro è dato dall‟altezza di ml. 9, la quale però è in contrasto con la notizia che nel
1854 la chiesa è stata innalzata con l‟abbassamento di 5 metri del pavimento.
Infatti dal “Liber cronicon” della Parrocchia di Bogno apprendiamo che nel 1854,
mentre era parroco Don Gioachino Trabattoni, con la spesa di 12.000 lire e con la mano
d‟opera prestata gratuitamente dagli uomini di Bogno, si innalzò la chiesa stessa (si noti
bene) con l‟abbassamento del pavimento di circa 5 metri e cioè fino al pavimento delle
tombe mortuarie antiche e sottomurando conseguentemente tutti i muri della chiesa
stessa e della torre del campanile. (vedi Appendice 4)
Attualmente a causa dell‟avanzamento del bosco si può notare con difficoltà, ma i più
anziani si ricorderanno della conformazione della collinetta su cui si erge la chiesa
perfettamente tondeggiante, segno evidente di una forma artificiale prodotta dal
riversamento di terreno dall‟alto.
L‟anno successivo (1855) venne altresì allungata di 8 metri dalla parte corale (la sezione
semisferica ove attualmente vi è l‟altare) e si completò la chiesa anche nella parte
vecchia, con cornici, colonne e capitelli.
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Nel 1858 si completò la facciata della chiesa su disegno dell‟Ing. Galeazzo Garavaglia e
sotto la direzione del Capomastro Bianchi Ferdinando di Gemonio; il tutto con la spesa
di £. 1318,71 sostenuta completamente dal Parroco Don Gioachino Trabattoni.
Davanti alla chiesa venne pure costruita un‟ampia piazza (circa la metà di quella
attuale).
Durante la dominazione straniera – tra „700 ed „800 - 2 erano le monete che circolavano
nei nostri territori, con valori diversi: la Lira Imperiale Austriaca e la Lira Milanese.
Erano divise in Denari, Soldi e Lira ed occorrevano 12 Denari per fare un Soldo e 20
Soldi per comporre una Lira.
Il Parroco che subentrò nel 1880 a Don Trabattoni, cioè Don Giosuè Parietti confermò
nel “Liber Cronicon” l‟esecuzione di tali lavori forte anche della testimonianza degli
“operai intelligenti che con gran pericolo allora lavorarono e che ancora ci sono”.
Negli anni successivi non si fecero grandi lavori, tali da sconvolgere l‟architettura
generale della chiesa, ma continui lavori atti a rendere la stessa più bella e consona alle
nuove esigenze che man mano si rendevano necessarie.
Per quanto riguarda gli arredi interni della chiesa poco si sa prima del suo ampliamento
del 1854/55; sicuramente il battistero in legno è antecedente a tale data come pure le
statue di S. Giuseppe e della B.V. del Rosario, che vennero già restaurate nel 1876;
(vedi Appendice 5) la statua della Madonna ottenne un ulteriore restauro con indoratura
nel 1909 ad opera dei fratelli Vismara di Lecco.
Prima di tale data la chiesa era provvista di un pulpito in legno fatto costruire nel 1833.
Nel 1909 venne installato l‟Organo dal sig. Maroni Giorgio di Varese, e nel 1912 venne
collocato, a spese del Parroco Don Protaso Dellea, l‟orologio sulla torre campanaria.
Da tenere presente che durante la visita pastorale del 2 agosto 1939 il Card. Schuster
approvò il progetto di ampliamento e risistemazione del campanile e della chiesa
ritenuta di ampiezza insufficiente per i bisogni attuali.
Tale progetto non venne mai attuato, probabilmente per il sopraggiungere della guerra.
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L‟altare marmoreo fu posato nel 1940 dal marmista Dansi di Viggiù su disegno
dell‟arch. Ugo Zanchetta, donato dall‟allora Parroco D. Amos Usuelli.
Nel 1945 si riprese l‟idea di ristrutturazione di tutto il complesso edilizio parrocchiale.
Per ampliare la chiesa si pensò di abbattere completamente il campanile liberando
spazio all‟interno della stessa, distruggendo così l‟unica opera architettonica di un certo
valore; a giustificazione dei progettisti possiamo dire che essendo il campanile
completamente intonacato non potevano conoscerne la vera antichità dello stesso.
Dovevano essere abbattuti la casa parrocchiale e tutti gli edifici appoggiati al fianco
della Chiesa, e costruiti staccati e completamente ex novo sia il campanile che la casa
del Parroco,
31
successivamente si pensò di unire la Chiesa e la casa parrocchiale con un porticato.
Il progetto si doveva completare con l‟abbattimento di tutti gli altri edifici rurali, stalle e
cascine, ottenendo una ampia piazza di fronte alla Chiesa e con la costruzione del nuovo
oratorio circa nella stessa posizione dell‟attuale.
32
Non si sa perché tutto ciò non venne mai realizzato, sicuramente essendo da poco
terminata la guerra e persistendo una grande povertà fra la popolazione di Bogno da sola
non era in grado di sostenere una spesa di così notevole proporzione; ma il Comm.
Angelo Ronzoni, proprietario dell‟omonimo cotonificio (Scissun) garantì la copertura
finanziaria dell‟intera opera fino all‟ultimo centesimo.
33
All‟esterno della chiesa, la grotta della Madonna di Lourdes fu costruita nel 1954.
Un ultimo restauro con consolidamento di tutta la struttura della chiesa è stato effettuato
nel 1993 / 1994; venne rifatto la pavimentazione e tutta la decorazione della stessa; al
campanile venne tolto l‟antico intonaco fatiscente riportandolo all‟antico splendore, e le
originali bifore non vennero riaperte per non indebolirne la struttura.
Durante la posa della pavimentazione nei pressi dell‟altare maggiore si rinvenne una
fondazione in pietrame di forma leggermente ellittica, forse la fondazione di una
vecchia abside o di una torre difensiva.
34
Vennero fatti tutti i rilievi del caso con l‟intervento della Soprintendenza Archeologica
ma, considerando il ritrovamento di nessun interesse artistico e storico, si decise di
ricoprire lasciando il tutto allo stato originale.
La Parrocchia fu istituita in via ufficiale il 17 luglio del 1581, dopo tre atti notarili per
l‟istituzione del Beneficio Parrocchiale, il primo del 1518, un secondo del 21 dicembre
1548 a rogito del notaio Dottor Besozzi Bartolomeo de Rabaglione ed infine un terzo
del 14 luglio 1581 a rogito del Notaio Dottor Gerolamo Luino di Leggiuno, come
abbiamo già visto in precedenza.
Don Giovanni Angelo Luino fu il primo Parroco eletto nel 1599, dopo di lui seguirono
altri 17 Parroci sino a Don Giuseppe Zocchi, che lasciò il suo incarico nel 2010.
Dei vari Parroci non conosciamo molto, fra loro si può osservare che ad esempio D.
Carlo Maria Bertano rimase al suo posto per ben 66 anni dal 1641 al 1707.
Altro meritevole di menzione è D. Pietro Antonio Monteggia, Parroco di Bogno per 49
anni dal 1782 al 1831, originario di Laveno, che con suo testamento del 17 ottobre 1830
lasciò tutti i suoi beni, consistenti in denaro e terreni, circa 150 pertiche, situati nei
comuni di Laveno e di Mombello alla comunità di Bogno.
La rendita di questi beni doveva servire in parte per incrementare la congrua al Parroco
ed in parte doveva essere distribuita per aiutare i più poveri di Bogno e servire per
l‟acquisto di medicinali ai bisognosi. (vedi Appendice 6)
Il Comune di Bogno ringraziò intestando a suo nome per perenne ricordo la via
principale che conduce a Besozzo Superiore.
Un ringraziamento particolare va fatto a D. Gioachino Trabattoni, che rimase fra noi per
40 anni fra il 1840 ed il 1880, il quale oltre ad aver ampliato e sistemato la chiesa come
oggi noi la vediamo, ha permesso a noi di ricostruire la storia del nostro paese; infatti la
composizione dell‟archivio parrocchiale formato da circa 900 documenti oltre ai vari
registri anagrafici la si deve nella quasi totalità alla sua volontà di conservare e
tramandare le notizie sui fatti avvenuti nel passato.
In un documento della Curia Arcivescovile di Milano risulta che la chiesa di Bogno,
come molte altre della zona, subì un saccheggio da parte delle truppe francesi allo
sbando, dopo la battaglia di Tornavento del 22 giugno 1636, fra il giugno e luglio di
quell‟anno. (Vedi Appendice 7)
I danni furono ingenti, furono distrutte tutte le suppellettili della chiesa, spezzate le
pietre delle sepolture e il tabernacolo sopra l‟altare, si salvò solo il Santissimo
Sacramento “perché il Curato l’haveva consumato” e pochi oggetti nascosti dal
Parroco;”il medemo curato è stato spogliato di tutto il suo mobile di casa, di vestiti,
bancaria, vino e grano. La sua entrata consiste in £.360, che li sono date dal popolo, il
quale sarà inabile a pagare per un pezzo, per essere stata la terra abbrugiata per la
metà, che prima era fuochi 30 circa”.
35
Sullo stesso foglio vi è un‟annotazione successiva da parte della Curia Arcivescovile in
cui si indica di dare £. 40 alla chiesa e £.40 al Curato per le prime necessità.9
E‟ difficile immaginare una chiesa senza il suo campanile e conseguentemente le sue
campane con il loro suono “in codice” che avvisava la popolazione dell‟imminente
inizio di funzioni religiose o di chiamata a raccolta della popolazione per il Consiglio
Comunale, ma anche per comunicare momenti di pericolo e di morte o più
romanticamente il semplice inizio della giornata o il sopraggiungere della sera; era
insomma il sistema più diffuso di ciò che oggi chiameremmo “comunicazione di
massa”.
Proprio a causa di questo compito di avvisare i cittadini sia per questioni civili che
religiose, le campane e la loro manutenzione erano a carico del comune; non a caso in
molte città la torre campanaria è staccata dalla chiesa o addirittura conglobata nel
palazzo comunale.
Non sappiamo quando le campane iniziarono a diffondere la loro armonia in Bogno; ma
si presume da moltissimi anni.
Dai documenti dell‟Archivio Parrocchiale si apprende che il problema delle campane fu
di grande attualità a Bogno negli anni dal 1842 al 1870.
Nel 1842 la chiesa vendeva dei terreni, delle piante e le vecchie campane, ricavando una
somma di lire Milanesi 1.823,75.
Unitamente ad altre offerte, versava detta somma, come spontaneo contributo, al
Comune che si era impegnato a far rifondere le campane.
L‟incarico fu affidato alla Ditta Michele Comerio di Milano e il nuovo concerto fu
installato sul campanile nel 1842.
La Deputazione Comunale non fu però soddisfatta della campana maggiore, che, a detta
del fonditore era riuscita “non troppo levigata, ma senza difetti di suono”, e ne chiese la
rifusione.
9 L‟esercito Francese, comandato dal Maresciallo Crequi, alleato ai Piemontesi, aveva varcato il fiume
Sesia, allora confine tra Lombardia e Piemonte e volgeva verso Milano con l‟ambizioso disegno di
occupare la città. Il Governatore Spagnolo Marchese di Laganes, partendo dal suo Quartier Generale di
Abbiategrasso, andò incontro agli invasori e riuscì a fermare i Franco-Piemontesi sulle rive del Ticino nei
dintorni di Tornavento, paese nei pressi di Lonate Pozzolo: era il 22 Giugno 1636.
La battaglia fu violentissima: alla fine si contarono 2000 morti e 1000 feriti fra i Francesi e 800 morti e
500 feriti tra gli Spagnoli.
Entrambe le fazioni si attribuirono la vittoria, gli uni per aver respinto gli invasori; gli altri per aver
violato il suolo lombardo dopo aver attraversato senza perdite il Sesia. Unica cosa certa fu, che la
mancata conquista di Milano portò alla rottura del patto di alleanza fra Francesi e Piemontesi con la
conseguenza che l‟esercito francese, formato in stragrande maggioranza da mercenari, fu abbandonato a
sé stesso sul suolo nemico e durante il rientro in patria, attraverso la Svizzera, si divise in piccoli gruppi i
quali si abbandonarono a saccheggi e vandalismi contro le popolazioni inermi in molte parti del
Varesotto.
36
La nuova campana riuscì più leggera della precedente (Rubbi 50,20 contro 53)10
e “di
tono un po’ calante”, ma il concerto ottenne il collaudo del Maestro di Cappella di
S.Vittore, Pietro della Valle che, il 16 aprile 1844, dichiarò “le tre campane in giusto
concerto di scala armonica, sonore e chiare di voce, eseguite secondo contratto”
Il collaudo, che costò 32,50 lire austriache (10 per il cavallo, 8 per il rinfresco e pranzo
del vettorale, 1,5 di mancia a stallieri e camerieri e 13 di perizia) fu liquidato con lire
30.
La liquidazione del conto della fusione delle campane, di lire milanesi 3173 presentata
dal fonditore fu assai più laboriosa.
Il Comune versò subito un acconto di lire 2015 e lasciò passare 15 mesi di garanzia e
manutenzione senza far pervenire alcun reclamo al fonditore.
A Bogno però il suono delle campane faceva discutere e il Comune, fatta rieffettuare
una nuova perizia, deliberò a pieni voti la rifusione completa dell‟intero concerto “per il
suono che distona affatto all’orecchio comune a cui si aggiunge il pubblico lamento per
tutte e tre, che per il tenue peso e forse per la posizione della torre troppo distante dalla
comune abitazione non davano suono sufficiente all’esigenze dei loro bisogni”.
Il fonditore fu chiamato presso l‟I.R. Commissione Distrettuale di Gavirate il 18
settembre 1846 dove fu stipulato un nuovo contratto che impegnava il Comune a pagare
il debito ridotto a lire 757, e il fonditore stesso alla fusione di un altro concerto di
campane di maggior peso che sarebbe stata pagata con “altra determinata somma”.
Ma, al principio del 1848, i sopravvenuti sconvolgimenti politici e le conseguenti
circostanze economiche negative, impedirono al Comune di dare l‟ordine della nuova
fusione e quindi di procedere al pagamento del debito che alla fusione stessa era
vincolato.
Nel 1849 morì il Comerio e gli Eredi, non sentendosi più obbligati a quel contratto,
chiedevano con istanze amichevoli la liquidazione delle 757 lire e relativi interessi.
Le cose si trascinarono fino al 1858 quando gli Eredi Comerio citarono in giudizio il
comune di Bogno.
Si venne ad una convenzione giudiziale che obbligava al pagamento del debito
annullando quanto stabilito nel 1846, ma la Delegazione Provinciale di Gavirate non
approvava.
A questo punto era il comune di Bogno a chiedere all‟Intendenza Generale di Como di
voler chiudere la vertenza nel timore che, trascinandosi le cose, persistendo anche
l‟impossibilità di far rifondere le campane, gli Eredi Comerio pretendessero l‟intera
somma su cui il fonditore nel 1846 aveva operato un forte sconto.
10
Rubbo = Unità di misura usato per determinare il peso delle campane, vale circa 8 Kg.
37
Finalmente con sentenza del 27 settembre 1859, l‟Intendenza Generale della Provincia
di Como, dichiarò valida la convenzione giudiziale del 1858 e il Comune, pagando 757
lire, chiuse la vertenza.
Ma il problema delle campane non era ancora risolto.
Lo scampanio che da Bogno salutò le vittorie del‟59 e del‟60 sarà infatti stato ben
misero se come risulta da una nota dell‟allora parroco Don Gioachino Trabattoni “la
prima campana, la più grossa, non può accordare in armonia con le altre due, e
l’orecchio di chicchesia può giudicare del distono, di più minaccia quasi di cadere
dalla torre per la ruota che non è più suscettibile di aggiustature.
La seconda è pure mal franca per sconnessa inceppatura con ruota assai logora.
La terza poi essendo rotta non può dar suono” (Vedi Appendice 8)
Insomma doveva essere un gran bel concerto.
L‟esigenza di rinnovare il concerto per tanti anni e per tante avversità rimandata, restava
più che mai viva.
Nel 1868, la Fabbriceria della Chiesa, dopo una nuova vendita di terreni e piante,
indirizzava al Consiglio Comunale una lettera nella quale chiedeva di concorrere alla
rifusione della campana maggiore; a carico della chiesa restava la spesa di rifusione
delle altre due.
Si sarebbe ovviato finalmente all‟evidente continua confusione nel dare i segni delle
sacre funzioni che provocavano il giusto e insistente lamento della popolazione.
Il Consiglio Comunale accolse la richiesta e la fusione fu affidata alla ditta Bizzozero di
Varese.
Il concerto delle campane fu collaudato il 17 ottobre 1870 dal sac. Giuseppe Della
Valle, che lo trovò “in ottimo reciproco accordo del tono di sol maggiore, dotato di voce
chiara e animata, fornito di oscillazione ricca e sommamente armonica”.
La più grossa pesava Rubbi 54, le altre erano in proporzione.
Negli anni successivi le nostre campane svolsero il loro lavoro dignitosamente sino al
1943; solo nel 1910 il castello che sorreggeva le stesse ebbe bisogno di un restauro.
Dal “Liber Cronicon” parrocchiale apprendiamo che nel 1943 il Governo Italiano
decideva di prelevare almeno il 60 % delle campane (per motivi bellici); così a Bogno
vennero tolte il 30 gennaio 1943 due campane con gran dolore dei parrocchiani, si può
dire tra il pianto.
L‟incarico della rimozione fu affidato al Sig. Bianchi di Varese, titolare della omonima
fabbrica.
Rimase la più grossa, ad annunciare col suo suono grave che i tempi erano proprio
difficili e dolorosi.
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Nel 1951, dopo circa 8 anni di assenza, ritornano sul campanile le due campane tolte
durante la guerra.
Fuse dalla ditta Bianchi di Varese furono benedette il 18 febbraio dal Rev.do D. Felice
Pontiggia per delega del Cardinale Arcivescovo.
Pochi giorni dopo furono issate sul campanile a completare il concerto di tre.
Anche il 1980 passerà alla storia di Bogno come l‟anno delle nuove campane essendosi
installato il concerto di cinque campane, ed elettrificato il suo funzionamento.
In Bogno esiste anche un’altra piccola chiesa in via Lago; per conoscere la storia
della Chiesetta, bisogna partire dalle vicende legate al lascito da parte del Canonico Don
Carlo Ottavio Cusani per la celebrazione di una Messa festiva in perpetuo a favore della
comunità di Bogno, ed ai relativi istrumenti di compra vendita degli stabili di sua
proprietà.
Il testamento (uno fra i più antichi documenti conservati nell‟Archivio Parrocchiale)
(Vedi Appendice 9) del Canonico Don Carlo Ottavio Cusani rogato, il 9 Luglio 1746,
viene ratificato con atto notarile del 30 Giugno 1748 rogato dal Notaio Antonio Filippo
Luini in Bogno alla presenza del Console, dei rappresentanti della Comunità e di tutti
gli uomini di Bogno; detto istromento venne registrato presso il Senato Ecclesiastico di
Milano il 26 Dicembre 1749.
Da detto istromento :
“ . . . . . Si certifica che il Molto Reverendo Canonico Don Carlo Ottavio Cusani del
quondam Nobile sig. Alessandro abitante nel detto luogo di Bogno Pieve di Brebbia
Ducato di Milano, ha costituito un perpetuo legato di Messa Festiva da celebrarsi nella
Parrocchiale di Bogno dopo la Messa Parrocchiale a favore della medesima Comunità
mediante l’impiego fatto di lire tremila imperiali, quali sono di presente nelle mani del
sig. Carlo Colosso del detto luogo di Bogno, sotto l’annuo interesse da convenirsi tra
detto sig. Colosso, e la detta Comunità di Bogno alla morte di detto sig. Canonico
Cusani.
Pertanto, il Console, Comune, ed uomini della medesima comunità, convocati e
congregati nella pubblica piazza di detto luogo di Bogno, il cui vogliono come
consuetudine sempre convocarsi, e congregarsi circa le cose attinenti, e pertinenti alla
loro comunità, ammesso prieramente il solito segno della campana, e resi tutti avvisati
dall’infrascritto console, sono chiamati a vigilare acciò il detto perpetuo legato sortisca
il suo plenario effetto.
Unanimi e concordi, e niuno di loro discorde, né di volontà indifferente, hanno
sottoscritto con particolare loro giuramento tutti gli uomini di detta Comunità, che
hanno voce, e che abitano in detta comunità di Bogno, a nome loro e di tutte le persone
assenti, o per qualunque causa impediti.
In esecuzione di detta convocazione hanno li suddetti Console, Comune e uomini
determinato di far ricorso al Senato Ecclesiastico di Milano per avere le opportune
lettere patenti, affine di potersi obbligare all’esecuzione di detta Messa Festiva
perpetua, subito dopo la morte del suddetto Canonico Cusani, a favore della comunità,
come pure di mantenere per quella li necessari paramenti, cera, ed altro bisognevole ed
39
altresì l’assistenza del sagrestano, con la riserva, che detta Comunità intende avere la
piena ed assoluta padronanza d’eleggere quel Sacerdote che sarà dalla comunità
benvisto, ne possa persona veruna in particolare avere ragione d’eleggere il detto
Sacerdote, per celebrare detta Messa dopo la Messa parrocchiale, a favore della
Comunità ed a suffragio dell’anima del suddetto sig. Canonico Cusani, e dei suoi
antenati defunti.
Tanto che in qualunque caso volesse il sig. Colosso, o suoi successori, restituire
detto capitale di lire tremila, presso di lui impegnate, che la detta comunità di Bogno sii
tenuta et obbligata ad impiegare detto capitale in proprietà idonea per avere l’interesse
pronto di trimestre in trimestre da pagarsi al sacerdote per la celebrazione di detta
Messa.
In caso che dalla detta Comunità non venisse adempita tale celebrazione di detta
Messa festiva, o per mancanza del Sacerdote, ovvero, perché quello assegnato fosse
indisposto, o per qualunque altro motivo non potesse quella celebrare, in tal caso e non
altrimenti, il detto sig. Canonico Cusani, intende e vuole, che detta Messa venga
celebrata dal Rev.do sig. Curato di Bogno nel giorno di Sabato, ed all’altare della
Beata Vergine del Santo Rosario in detta parrocchia di Bogno, recitando, prima della
Messa, ad alta voce unitamente col popolo un Salve Regina.
I Signori Reverendi Curati saranno tenuti a controllare che la volontà del sig.
Canonico venga rispettata, con l’esecuzione delle messe, come pure circa l’impiego di
detto capitale di lire tremila venisse restituita dal sig. Colosso o da suoi eredi al
comune di Bogno, affinché detto capitale resti di sicuro impiego per ricavare l’interesse
necessario all’adempimento delle messe come sopra.
Li detti sig.ri Curati saranno tenuti a vigilare a quanto sopra, nel caso il detto
capitale , restituito alla Comunità dal sig. Colosso, non dovesse dare i frutti necessari
al mantenimento della Messa festiva perpetua, o che venisse a perdersi del tutto,
dovranno obbligare il comune a pagare del proprio, così come li detti uomini di questa
comunità, si obbligano e promettono, perché così è. . .. . . “
Dopo la morte del Canonico Cusani avvenuta nel 1757 avvenne una innovazione in
punto al legato, di cui si ragiona, poiché il sig. Carlo Colosso, dichiaratosi creditore
verso l‟eredità Cusani della somma di Imperiali lire 900, faceva valere il diritto di
compensarsi sulle lire 3000 presso di lui giacenti di ragione del Canonico Cusani, e che
questi aveva assegnato a dote dell‟opera di culto da lui istituita.
Siccome in tal modo il capitale ridotto a sole 2.100 lire non avrebbe fruttato sufficiente
interesse per far celebrare le Messe, il sig. Colosso in concorso con i terrieri di Bogno
raggiunsero un accordo che venne confermato con l‟istromento del 26 Dicembre 1758
rogato dal Notaio Giò Batta Besozzi Rabaglioni allora residente in Besozzo.
Da detto istromento :
“ . . . . . . Il sig. Carlo Colossi rinunciò di vantare il suo credito di Imperiali lire 900,
e riconobbe il proprio debito verso l’eredità Cusani nell’integrale somma di imperiali
lire 3.000 . . . .
. . . . . . . .Ed il Comune di Bogno accordò al sig. Colossi il suo assenso onde la messa
istituita dal Canonico Cusani fosse celebrata d’allora innanzi in un oratorio, che il
Colossi, ed il Cusani a comuni spese avevano fatto erigere in Bogno stesso. . . . . .
40
. . . . . . . . Il Colossi inoltre riservò per se stesso, e suoi eredi e discendenti il diritto
prima concesso al Comune di Bogno di scegliere quel sacerdote che meglio fosse
piaciuto, salvo però il diritto di potersi affrancare da tale obbligo mediante lo sborso di
imperiali lire 3.000, o la cessione d’un corrispettivo in stabili. . . . . .
. . . . . . . . Ma in pari tempo si assunse l’obbligo di sottostare a tutte le spese
occorrenti per la manutenzione dei paramenti, per la prestazione della cera, per
l’assistenza d’un sagrestano, e per quanto altro si fosse richiesto per la celebrazione
della messa stessa. . . . .
. . . . . . . . Pel caso poi, che gli eredi, o discendenti del Colossi non avessero voluto
sostenere si fatte spese, si convenne, che in allora avrebbe potuto la Comunità di Bogno
far celebrare di bel nuovo la suddetta messa nella Chiesa Parrocchiale, riassumendo a
proprio carico le surriferite spese di manutenzione. . . . . . “
Canonico Carlo Ottavio Cusani morto in Bogno nel 1757 sig. Carlo Colosso morto in
Bogno il 2 Settembre 1795 d‟anni 84 circa.
E’ quindi da ritenersi certa la costruzione della Chiesetta attorno alla metà del 1700
Fino a quando il sig. Colossi, e suoi eredi, e discendenti abbiano fatto uso delle riserve
convenute a proprio favore,( scelta del Sacerdote e di far celebrare la Messa nel proprio
Oratorio), e se abbiano o meno continuato a soddisfare gli assunti impegni di
manutenzione; questo non è attestato da alcun documento.
Nel catasto detto di Maria Teresa, dei primi anni del 1700,non si ha alcun segno della
presenza della Chiesetta; risulta che i fabbricati sulla destra guardando la facciata della
Chiesetta erano di proprietà del sig. Carlo Colossi; quelli a sinistra del Canonico Don
Carlo Ottavio Cusani; quando e come divennero entrambi di proprietà Colossi, non e
dato a sapersi.
Nell‟eredità di detto Colossi, successe la figlia sig.ra Teresa Colossi moglie di Pasquale
Tinelli e madre dei sig.ri Ferdinando Carlo e Pasquale Tinelli, che in occasione delle
divisioni fra essi fratelli seguita all‟eredità materna, al sig. Ferdinando, è aggiunto, in
confronto a quello degli altri fratelli condividenti, la maggiore annua rendita di milanesi
lire 150 per la messa festiva da celebrarsi nell‟Oratorio di Bogno; come da istromento
del 24 Giugno 1802 in rogito dal Notaio Giovanni Maria Vegezzi.
La proprietà della Chiesetta passò quindi da Carlo Colossi alla figlia Teresa e quindi al
figlio di questa Tinelli Ferdinando.
Con istrumento 8 Novembre 1813 ratificato il 28 Giugno 1814 in rogito del Dottor
Giuseppe Besozzi Notaio residente in Milano in cui il sig. Ferdinando Tinelli fece
vendita dei suoi beni situati in Bogno, e derivati dall‟eredità Colossi, alla sig.ra Donna
Francesca Porta fu Alessandro moglie del sig. Dottor Gerolamo Agazzi, alla quale fra
gli altri obblighi vedasi imposto nel paragrafo IV° il seguente che si accenna cogli stessi
termini.
Dall‟istrumento 28 Giugno 1814 :
“ . . . . . .IV° - Dovrà la compratrice serbare indenne, e rilevato indenne il venditore
dall’adempimento del legato di messe esistenti sui detti beni, e dell’annua ammontanza
41
di lire Austriache centoquindici, centesimi dodici, e millesimi otto, pari a lire
centocinquanta di Milano, ritenuta la deduzione da farsi nella stima soprascritta dei
beni medesimi dal Perito Ingegnere della somma capitale di lire austriache
milletrecentodue, e centesimi cinquantasei. . . . . . “
La Chiesetta diventa proprietà Agazzi.
Al contrario da quanto disposto la Messa settimanale si celebra non già nell‟oratorio
suddetto eretto dal sig. Colosso e Canonico Cusani, ma bensì, da molto tempo, nella
Chiesa Parrocchiale a cura del Parroco di Bogno, il quale ne esige la limosina da chi è
tenuto a corrisponderla, ed i pesi richiesti per la relativa celebrazione anziché dagli
Eredi Colossi, è la Chiesa Parrocchiale che vi sopperisce del proprio.
Alla sig.ra. Francesca Porta subentrarono i propri figli Alessandro e Sacerdote
Cesare,(Istrumento del 9 Aprile 1853 rogato dal Dott. Gerolamo Maffei Notai in
Varese) i quali già come fece la propria madre, intendono di non aver maggiore obbligo
al suddetto intento di corrispondere una somma di milanesi lire 120, come si paga
attualmente, mentre invece il Parroco, e la Deputazione comunale ritengono che i
suddetti siano tenuti alla corresponsione di milanesi lire 150 annue.
Atto notarile 5 Agosto 1853 rogato Maffei con cui la sig.ra Francesca Porta fu
Alessandro vedova del consigliere Gerolamo Agazzi, ha fatto vendita ai di lei figli
Alessandro e Sacerdote Cesare dei fondi posti in Cardana, Bogno e Brebbia.
Al patto II° leggersi = come segue : Gli acquirenti sig.ri Fratelli Alessandro e
Sacerdote Cesare Agazzi saranno tenuti a soddisfare al peso che ritiensi onerante ad
alcuni degli stabili suindicati che erano di esclusiva proprietà della sig.ra Donna
Francesca Porta di far celebrare in Bogno una messa ogni settimana, e di sopportare
conseguentemente la relativa spesa nella misura che sarà di dovere, essendosi a tutto
avuto il conveniente riguardo nelle determinazione del prezzo di vendita.
A conferma della giusta pretesa da parte del Parroco e del Comune stanno gli atti di
iscrizione ipotecaria presso l‟Ufficio di conservazione delle ipoteche in Varese :
N° 412 vol. 46 pag. 39 del 23 Giugno 1828 a garanzia di detto legato valutato austriache
lire 2648,27 per una rendita annuale di austriache lire 132,41; detta ipoteca venne
confermata il 12 Giugno 1840 n° 707 e il 24 Maggio 1850 N° 929.
A nulla vale l‟obbiezione dei fratelli Agazzi, che la subentrante legislazione Austriaca
limita l‟interesse legale nella misura del 4 per cento, in quanto la rappresentanza del pio
legato Cusani può pretendere un capitale di lire 3000.
Non essendoci contratti posteriori all‟istromento 28 Giugno 1814 che favorisca i sig.ri
Agazzi, e prima di essi la sig.ra D. Francesca Porta loro madre, non sono più in
possesso dei vantaggi (scelta del sacerdote e de luogo di celebrazione) accordati al
Colossi, che riservò quei vantaggi per se, suoi eredi, e discendenti.
Passate in mano di estranei le proprietà Colossi il capitale delle tremila lire non è più da
ritenersi un mutuo coi relativi interessi, ma bensì un censo legato a terreni e caseggiati,
per cui i sig.ri Agazzi non avrebbero che la qualità di debitori.
42
La rappresentanza del Legato Cusani,il 15 Febbraio 1854, dopo aver chiesto parere a
vari avvocati, chiede all‟ I. R. Delegazione Provinciale l‟autorizzazione a procedere per
via giudiziale con la richiesta; di obbligare i fratelli Agazzi al versamento dovuto di 150
lire annue, corrispondenti alle attuali Austriache lire 132,44
Di obbligare gli Agazzi a rifondere al Parroco, od alla Rappresentanza Comunale di
Bogno la somma di Milanesi lire 1140, equivalente alle attuali austriache lire 1032, 72
per le milanesi lire 30, pari ad austriache lire 26,48 pagate in meno dall‟anno 1815 a
tutto il 1853.
Il 24 Marzo 1854 la Delegazione Provinciale autorizza la rappresenta del Legato Cusani
a procedere per vie legali, facendosi rappresentare da un abile giureconsulto.
Per risolvere la questione, si giunse ad una soluzione :
I fratelli Agazzi versano alla Fabbriceria di Bogno lire Austriache 2000; altre lire
austriache 400 sono date dall‟attuale Parroco Sacerdote Gioachino Trabattoni.
Con questa operazione si intendono liberare completamente dai loro impegni, sia i
fratelli Agazzi, sia la Comunità di Bogno; la fabbriceria della Chiesa Parrocchiale di
Bogno, assicura il pagamento per la celebrazione delle Messe del legato Cusani ed a
garanzia di questo mette ipoteca su dei terreni di proprietà della Chiesa
Il Parroco si obbliga a non pretendere né rimborso, né compenso alcuno per le suddette
lire 400 austriache.
Tale liquidità si rende particolarmente utile visto l‟imminente inizio dei lavori per
l‟ampliamento della Chiesa Parrocchiale.
Il Sacerdote Don Cesare Agazzi morì in Bogno il 7 Ottobre 1855
E‟ da ritenersi che fino a tale data la Chiesetta rimase aperta al pubblico, anzi durante la
proprietà Agazzi probabilmente veniva celebrata la Messa regolarmente da Don Cesare
Agazzi, anche sembra a causa delle sue precarie condizioni di salute, (celebrava
praticamente in casa.)
Il Sacerdote Cesare Agazzi in alcune carte viene denominato coadiutore di Bogno.
Per quasi settant‟anni non si hanno documenti che parlano della Chiesetta di via
Lago,fino al 1927, quando dal “Liber Cronicon” Parrocchiale apprendiamo che fu in
quest‟anno redenta la Chiesola della Madonna delle Grazie di proprietà del sig. Porrini,
già Agazzi, che si cercò di riportarla nel miglior modo possibile onde poterla adattare al
Culto essendo in precedenza completamente abbandonata.
Il 23 Maggio 1929 si acquistò per atto privato l‟Oratorio della casa situata alla Goda
appartenente ai sig. Porrini Paolo e Riva Virginia in Catalani. (vedi Appendice 10)
Per il restauro il principale benefattore fu la famiglia Viola di Milano stretti parenti del
Parroco Don Protaso Dellea.
43
Il 4 Ottobre 1930 fu aperta al pubblico, vi si spesero £. 2.000
Nel 1932 si procurarono le stazioni della via Crucis, offerte dalla signora Checchi di
Gavirate, e nel 1933 dalla stessa furono regalate le due campanelle.
L‟edificio attuale sembra corrispondere all‟originale edificazione, infatti non si notano
particolari modifiche, a parte in sagrestia, (forse aggiunta successivamente); unica
modifica, la chiusura di una porta laterale verso il fondo della parete sinistra, che
permetteva l‟ingresso in Chiesa direttamente dal cortile dei proprietari.
Essendo le campane poste nel 1933 è da ritenersi che anche il piccolo campanile sia
stato edificato in tale occasione.
Analizzando la storia della Chiesetta è balzato agli occhi che un gruppo di case (una
buona fetta di paese, per quei tempi) era di proprietà di un religioso; il Canonico Cusani.
Bisogna rammentare che fino a non molti anni fa il paese era praticamente di proprietà
di due sole famiglie, Agazzi (come si è visto) e Quaglia; la curiosità è che questa
seconda famiglia ottenne i suoi beni in Bogno per via ereditaria; infatti la proprietà
giunse a Giuseppe Quaglia tramite la moglie Bollini Carola, figlia di Angelo e di
Fernandez Margherita a sua volta figlia di Pietro Fernandez e Marianna Maccagni.
Marianna Maccagni di Milano ottenne le proprietà di Bogno come lascito ereditario da
parte dello zio Don Pietro Belegotti Canonico della Collegiata di S.Tommaso in Terra
Amara di Milano11
.12
Come e perché la quasi totalità del paese fosse proprietà di due religiosi, non abbiamo
trovato documenti che potessero chiarire questa curiosità.
Visto che lo abbiamo nominato, vediamo più da vicino l‟Ing. Giuseppe Quaglia, anche
perché è l‟autore di quello che potremmo definire il simbolo di Bogno; “il Torrino”, ora
parco comunale.
Il Torrino fu costruito nella seconda metà del 1800 dall‟Ing. Giuseppe Quaglia; è
costituito da due soli locali sovrapposti, uno era adibito a studio privato, mentre quello
superiore fungeva da camera da letto; sulla terrazza da dove si può godere di una
grandiosa vista, ora vi è un tavolino in pietra, ma da voci riportate dai più anziani del
11
Attuale chiesa di S. Tommaso in via Broletto in Milano. 12
Nel 1574 L‟Arcivescovo Carlo Borromeo elevò S. Tommaso in Terra Amara (in seguito denominata
anche in Terra Mala o Terramala) presso Porta Comasina a colleggiata, trasferendovi 6 canonicati da
Brebbia e 6 da Monate; il capitolo fu soppresso il 19 maggio 1798, il suo archivio fu trasferito presso la
Curia Arcivescovile di Milano ed è da questa fonte che provengono i vecchi documenti che riguardano il
nostro territorio. (Vedi Allegati 11)
44
paese sembra che durante le torride giornate estive vi si allestiva un letto coperto da una
tenda, infatti sull‟inferriata di protezione si notano ancora i sistemi di fissaggio dei pali
che sorreggevano il tendaggio.
Non essendo ancora stato inventato il condizionatore d‟aria, il nostro ingegnere nelle
giornate più torride dormiva in un luogo sicuramente fra i più arieggiati e di
conseguenza più freschi di tutto il paese.
Nel libro “Frammenti di storia Besozzese” il Brunella afferma che la torre fu eretta su
un basamento di una costruzione circolare più antica, forse di origine longobarda.
L‟Ing. Giuseppe Quaglia nacque a Cazzago Brabbia il 31 marzo 1819, dopo gli studi
superiori e la laurea conseguita presso l‟Università di Pavia, si trasferì a Varese dove
svolse la libera professione.
Sposò Carola Bollini di Milano e si trasferì nella villa di proprietà della moglie a
Bogno, dove morì per un improvviso attacco cardiaco la mattina di domenica 18 giugno
1893.
Fu un uomo di ingegno, dotato di un acuto spirito di osservazione e di sottile senso
dell‟umorismo, aveva saputo in breve volgere di anni, acquisire una solida posizione
economica e professionale.
Oltre alla villa di Bogno aveva numerose proprietà in Varese, Biandronno e Besozzo.
Quando il 8 agosto 1865, la casa Ducale Litta Visconti Arese, vendette la proprietà del
lago di Varese e della Bozza, alienò anche la proprietà del laghetto di Biandronno che
venne acquistata dal Quaglia.
Il Quaglia era benvoluto e stimato per le sue doti umane e per la fermezza del carattere
che lo spronò a tentare imprese grandiose di pubblica utilità, alle quali diede cospicuo
apporto di studio e di capitali.
Era fra i più convinti fautori dell‟abbassamento del livello del lago di Varese; non cessò
mai di sostenere con insistenza la necessità di quell‟opera nell‟interesse dell‟igiene,
dell‟agricoltura e dell‟industria che, in particolare, avrebbe potuto usufruire di nuove e
poderose forze idrauliche sul fiume Bardello e con il prosciugamento della palude
Brabbia ricavare una gran quantità di terreno coltivabile e contemporaneamente
eliminare le cause di possibili focolai di malaria ed altre malattie infettive causate dalle
zone paludose.
Da parte sua iniziò il prosciugamento del laghetto di sua proprietà, con la costruzione di
una galleria sotto la strada fra la chiesa ed il cimitero di Biandronno; l‟opera ancora
funzionante raggiunse solo in parte l‟obiettivo prefissato, infatti per lo svuotamento
completo si doveva attendere l‟abbassamento del lago di Varese, creando quindi un
maggior dislivello.
45
Due erano gli obiettivi del Quaglia, il primo di natura economica; infatti col
prosciugamento si poteva ricavare un‟enorme quantità di torba, materiale allora molto
ricercato, che si usava come combustibile.
Il secondo obiettivo era più umanitario in quanto avrebbe bonificato una vasta area
paludosa, ritenuta allora portatrice di malattie e pestilenze.
Con altrettanto ardore si dedicò alle ricerche ed agli studi archeologici nel Circondario
di Varese, tanto da acquisire in materia una competenza non comune.
Raccolse le memorie dell‟età preistorica in una ricca raccolta di fossili ed oggetti vari,
che poi donò nel 1891 al Museo Kircheriano Nazionale Preistorico Pigorini di Roma.
Scrisse tre libri “ Dei sepolcreti antichi in 11 Comuni del Circondario di Varese” nel
quale elenca le sue scoperte; “Laghi e torbiere del Circondario di Varese”, ritenuto
ancora oggi fra gli studi più approfonditi di tale materia.
Un terzo libro in cui diede libero sfogo alla sua ironia ed umorismo fu stampato, ma non
venne mai distribuito, sembra su veto dei familiari, i quali diedero più peso al quieto
vivere che all‟arte letteraria, perché coinvolgeva personaggi noti e potenti della zona.
Re Umberto I° gli conferì l‟onorificenza di Commendatore della Corona d‟Italia per i
suoi meriti professionali e culturali.
L‟Ing. Quaglia lasciò in Bogno un segno ben visibile fino ai nostri giorni; infatti
effettuò sostanziali modifiche alla viabilità e grosso modo così come la vediamo oggi la
si deve al suo operato.
46
Dobbiamo pensare che nei primi anni dell‟ottocento il paese era formato da un gruppo
di case presso la Piazza, un altro gruppo lungo il primo tratto dell‟attuale via Lago, un
gruppo a Masserano ed uno alla Binda; oltre a varie cascine sparse, inoltre vi era un
gruppetto di case ed un cortile dove ora sorge la scuola, dal ricordo dei nostri vecchi era
denominato Borghetto, nome abbastanza significativo che indica una parte staccata da
quello che era il paese.
Quali erano le strade: una che conduceva dalle case della Piazza alla Chiesa e tramite
l‟attuale via degli Alpini al Cimitero e proseguiva a fianco di esso giù verso il fiume e
da qui a Ronchèe, non ci risulta ci fosse qualche ponte, forse più probabilmente qualche
guado per i carri ed una passarella pedonabile per le persone, infatti nel Consiglio
Comunale di Bogno tenutosi il 19 Novembre del 1861 si delibera “di rimettere a nuovo
delli ponticelli da pedone sul fiume a Ronchèe e alla Bozza.”
47
La strada verso Besozzo proseguiva quindi sino al termine della discesa, da dove
risalendo sulla sinistra, si portava verso Besozzo Superiore, non c‟era ancora il raccordo
con Besozzo inferiore; anche perché a quei tempi Besozzo era solo quello superiore,
l‟inferiore si sviluppò solo in seguito, con l‟avvento della ferrovia e conseguente
stazione.
Dalla Piazza attraverso una scalinata, ancora esistente anche se in disuso, si poteva
accedere alla campagna.
Certamente esisteva, anche se non si conosce esattamente dove passasse la strada che
univa la Piazza alla Binda, da qui attraverso l‟attuale strada comunale Motta di Pozzolo,
ci si poteva portare in quel di Masserano ed attraversando l‟attuale proprietà “ex
Quaglia” si raggiungeva “la Goda”sino circa a metà dell‟attuale via Lago da dove
svoltando verso la campagna si scendeva ad essa e qui si poteva raggiungere il “Mulino
Nuovo” e quindi Brebbia.
Per andare a Monvalle bisognava proseguire da Masserano su quella che oggi è strada
Consorziale, ma in quelli anni comunale, sino a raggiungere la cascina Durì e da lì
Turro.
Altra via di comunicazione coi paesi vicini era la strada che da via Quaglia, di fronte
alla “Cappelletta”, scendeva verso Cascina Brugusciolo e da qui si poteva risalire verso
Besozzo Superiore o andare verso Castelletto e quindi a Turro; anche dalla Binda si
poteva scendere a detta strada.
Le strade a quei tempi erano sterrate, larghe pochi metri, solo lo stretto necessario per il
passaggio di un carro e dove era possibile viaggiavano sulle alture, onde evitare quello
che a quei tempi poteva essere il maggior inconveniente, cioè quello di rimanere
impantanati.
Le strade univano i vari paesi o contrade, ma praticamente non esistevano nei centri
abitati, in quanto in essi si transitava passando da un cortile all‟altro; inoltre vi era un
nutrito intreccio di sentieri e scorciate varie; quanto asserito lo si può notare ad esempio
osservando il primo tratto dell‟attuale via Lago, non è che il nostro ingegnere non fosse
capace di tracciare una strada diritta o peggio al momento della stesura del progetto
fosse ubriaco, ma più semplicemente perché la strada dall‟interno dei cortili fu trasferita
sul retro delle case seguendo col suo tracciato le abitazioni già esistenti.
Vediamo più in dettaglio i lavori svolti:
Partendo dalla Piazza anziché passare fra i cortili si tracciò una strada diritta in
direzione della Chiesa e di Besozzo, questi lavori furono svolti nel 1891 come è
dimostrato dall‟incisione su di un masso posto ai piedi del muro di pietra sulla sinistra
di chi scende.
L‟attuale via Monteggia fu costruita quasi completamente ex novo, partendo dal
cancello d‟entrata alla villa “ex Quaglia” si scende sino ad incrociare la strada che univa
la Binda col Borghetto e con la Piazza, quindi anziché scendere verso cascina
Brugusciolo per poi risalire a Besozzo, si scelse il nuovo attuale tracciato sicuramente
più scorrevole.
48
Con un pezzo di strada rettilinea si congiunse la Piazza con la via Lago, che nel
frattempo passò sul retro delle case e la detta via proseguì sino al Lago Maggiore
incrociando la strada che da Brebbia porta a Monvalle.
Inoltre partendo dalla Piazza si costruì ex novo il primo tratto di via Masserano,
passando sul retro delle case esistenti, abbattendo anche un pezzo di cantina e delle
cascine.
Quest‟ultimo lavoro consentì di chiudere il vecchio passaggio fra la via Lago e
Masserano e di conseguenza il Quaglia potè unire la sua villa ed il suo giardino con
quella che possiamo definire la sua “dependance” “il Torrino”.
Oltre alle strade non dobbiamo dimenticarci di un‟altra opera pubblica, che ai nostri
giorni sembrerebbe di secondaria importanza, ma importantissima a quei tempi, non
esistendo ancora l‟acquedotto comunale; la costruzione della fontana pubblica “navell”;
essa non era certamente l‟unica in paese, ma con la costruzione di un acquedotto che
partiva dal “Praa funtana” collocato fra le vie Arì e Masserano, garantiva l‟acqua alla
fontana pubblica per tutto il corso dell‟anno, ciò che non sempre era possibile per le
altre fontane del paese, e le nostre nonne non erano più costrette, specialmente durante il
periodo estivo a caricare tutto l‟occorrente sulla carriola e portarsi sino al fiume per fare
il bucato “la bugadaa”
L‟ultimo lavoro viario di una certa consistenza è stata la costruzione del pezzo di strada
che congiunge la via Sotto campagna a via Piave sino ai piedi della Chiesa, attuale via
Gorizia, per i nostri vecchi la “strada nouva”.
Se vogliamo fare un paragone coi nostri tempi, ci sembra quasi impossibile che lo
sconvolgimento viario di un intero paese si sia potuto realizzare in così pochi anni,
pensiamo ai progetti, autorizzazioni, burocrazia, ecc…
La risposta è abbastanza semplice e ovvia; l‟ing. Quaglia era oltre che il Progettista, il
proprietario della quasi totalità del paese.
Prima si era parlato del Lago della Bozza, infatti in territorio di Brebbia, dove ora vi è la
palude (ex sabbie d‟oro) vi era un laghetto alimentato dalle acque del fiume Bardello e
con scarico verso il Lago Maggiore.
Vediamo di allargare un poco la nostra storia per seguire quella che ha coinvolto i laghi,
anche perché Bogno, non dimentichiamocelo, confina con il lago Maggiore e quindi la
storia dei laghi è anche storia nostra.
Nel febbraio 1423, la Ducale Camera di Milano emise un decreto con cui si riservava il
diritto patrimoniale sui laghi del territorio varesino, comprese ovviamente le ragioni di
pesca e di caccia, il provvedimento colse di sorpresa coloro che da anni si
consideravano a tutti gli effetti giuridici,proprietari di quelle acque sulle quali
esercitavano quei diritti.
Non esisteva in Lombardia una legislazione delle acque che distinguesse, in termini
precisi, le acque pubbliche da quelle private.
49
Valeva prevalentemente, in quel tempo, il criterio ricavato dalle vecchie leggi romane,
di considerare demaniali le acque aventi caratteristiche di navigabilità e, private, le altre.
Tuttavia, proprio nello Stato di Milano, la distinzione fu ancorata non solo al concetto
della navigabilità ma anche, per i corsi d‟acqua, a quello della loro origine, se cioè
fossero derivanti da fondi privati o da terreni pubblici.
Il malumore ed il risentimento dilagò fra la gente del lago, in special modo fra le
famiglie nobiliari che da tempo immemorabile si ritenevano proprietarie dei suddetti
laghi, e da parte degli abitanti delle comunità dei paesi rivieraschi particolarmente dediti
alla pesca.
Secondo un‟antica usanza, i proprietari affittavano l‟amministrazione del lago e
l‟esercizio del diritto di pesca, a dei fittavoli con i quali stipulavano un contratto,
regolarmente redatto da un notaio e rinnovabile ogni nove anni, in cui si
puntualizzavano le modalità di gestione, diritti e doveri che le parti si impegnavano a
rispettare.
Nel corso degli anni, fra continui ricorsi ed appelli, nulla mutò sui diritti di proprietà dei
laghi.
Tuttavia con il mutare della situazione politica e l‟avvento degli spagnoli, la vicenda
assunse toni di rinnovata vitalità.
Gli anni della dominazione spagnola furono, inefficienza amministrativa, esosità fiscale,
soprusi ed ingiustizie di ogni genere.
Il Governo pose in atto i più insensati criteri di ripartizione e riscossione, pur di
assicurarsi la disponibilità di nuovi balzelli; venivano riaffermati gli invocati diritti di
dominio ad alcuni dei più grossi proprietari, nel contempo negandoli ad altri.
L‟Autorità ricorreva a qualsiasi mezzo pur di poter aumentare le rendite e i beni
patrimoniali dello Stato; l‟organo di Governo aveva emanato un editto in cui
prescriveva a tutti coloro che avanzavano pretese su detti laghi di produrre, a far tempo
trenta giorni, i relativi documenti di proprietà, altrimenti gli asseriti diritti sarebbero
stati avocati al Regio Fisco.
Il 20 dicembre 1621, data in cui ebbe luogo la riunione delle parti avanti il Giudice
ordinario, prese storicamente avvio l‟interminabile causa, tra il Fisco e i privati
possessori dei laghi.
La vertenza si concluse, alcuni decenni più tardi, con l‟acquisizione dell‟intera proprietà
dei laghi, da parte della Regia Camera e loro successiva vendita, decretata dal
Magistrato Straordinario dello Stato di Milano.
Il Fisco era pervenuto alla decisione di considerare “beni regali” il lago di Gavirate e
quelli limitrofi, annullando in tal modo tutte le investiture e sentenze emesse fino ad
allora, sia sulla base delle delazioni ricevute, sia sulle notizie fornite rispettivamente dal
50
Questore Vimercati e da Giò Antonio Pissina, ingegnere camerale incaricato di svolgere
indagini sul posto.
Determinante fu, in particolare, la relazione tecnica del Pissina il quale, dopo aver preso
in esame la natura idrografica dei quattro laghi, anche in rapporto alle acque affluenti e
defluenti, ritenne che essi si dovessero considerati aggregati al Verbano, come bracci e
membri del medesimo, con il quale comunicavano attraverso vene sotterranee.
Questa conclusione offrì al Fisco un appiglio valido a sostegno della tesi di demanialità
dei laghetti varesini in quanto il lago Maggiore già era incluso fra i beni patrimoniali del
Ducato di Milano, per le sue caratteristiche di navigabilità.
L‟ing. Angelo Alessandro Benzone fece un sopraluogo in data 13 settembre 1647 e
dalla sua relazione risultò che il laghetto della Bozza era molto pescoso, popolato in
specie da tinche e lucci e le venne assegnato un valore di 1.500 lire imperiali d‟oro.
Con un decreto del settembre 1650, venne infatti deliberata la definitiva presa in
possesso dei laghi, a nome della Regia Camera; il 1° Aprile dell‟anno successivo furono
pubblicate, in tutti i comuni della Pieve di Varese e di Brebbia, le cedole per la vendita
o l‟affitto dei diritti di pesca o dell‟intera proprietà.
Nessuno dimostrò tuttavia interesse all‟acquisto di tale diritto che molti ritenevano di
poter esercitare ancora a pieno titolo.
Il Fisco decise di procedere eclusivamente alla vendita dei laghi e delle loro pertinenze,
sulla base del valore indicato dai periti ingegneri Pissina e Benzone.
Non fu tuttavia facile trovare l‟acquirente, anche perché la somma richiesta era, per quei
tempi, abbastanza cospicua.
Un‟offerta pervenne da parte di Giuseppe Del Conte procuratore del Vescovo Francesco
Biglia di Pavia, con il quale vennero intraprese le preliminari trattative.
Andata poi deserta l‟asta con la quale si sperava di conseguire un maggior introito dalla
vendita, i cinque laghi, compreso quello della Bozza, furono aggiudicati al Biglia per
100.000 lire imperiali.
Francesco Biglia era stato assegnatario della commenda dell‟abbazia della SS.Trinità di
Capo Lago, che resse per oltre 35 anni.
Direttamente coinvolto nella responsabilità di gestione del monastero, il Biglia ebbe
così modo di interessarsi alle vicende del lago di Varese ed uniti che, proprio in quegli
anni, erano al centro di contestazioni, tra presunti proprietari e Governo Spagnolo.
Altre ragioni lo legarono alla conoscenza di quei luoghi: il castello di Caidate, proprietà
di famiglia, ove aveva trascorso ore serene della sua infanzia.
Da parte del Pontefice Innocenzo X° fu elevato alla sedia vescovile nel 1648, e gli fu
assegnata la Diocesi di Pavia.
51
Il laghetto della Bozza sebbene fosse compreso tra i laghi acquistati dal Biglia, né lui né
successivamente i suoi eredi, trassero mai profitto dalla pescagione, la cui rendita per
antica consuetudine andava alla Casa Borromeo, feudataria di Brebbia.
Il 14 marzo 1858 si stipulò un contratto di affitto per il laghetto della Bozza fra la Casa
Litta (attuali proprietari) ed i fratelli Giovanni, Antonio e Giuseppe Bardelli, nativi di
Brebbia, il cui padre Carlo Antonio, e prima di lui nonni e bisnonni, avevano esercitato
la pesca in quel luogo, fornendo un eccezionale esempio di continuità in un mestiere
tramandato da padre in figlio; il canone di affitto annuo venne convenuto in lire
austriache 375 e dopo l‟unità d‟Italia, in lire italiana 324.
Per la pesca venivano usati “burchielli” e “navi” a fondo piatto di proprietà degli
affittuari.
Sul finire del 1800 si deviò il corso del fiume Bardello facendolo defluire direttamente
nel lago Maggiore, ponendo così fine al laghetto della Bozza.
L‟ultimo tratto del fiume che sfocia nel lago Maggiore dai più anziani è sempre stato
chiamato canale, che denota la sua costruzione in modo artificiale.
Perché fu fatto questo lavoro, non lo conosciamo.
Se vi fu un tentativo di eliminare un lago con la sua relativa zona paludosa, come era di
gran moda a quei tempi, visto il risultato ottenuto, fu un enorme sbaglio; oppure il
canale serviva a qualche cosa d‟altro?
Ma . . . lasciamo il lago e torniamo in paese e cerchiamo di capire come era
amministrata la nostra comunità.
Dell‟antichità non sappiamo nulla, i primi dati certi ci pervengono dai pochi documenti
in nostro possesso dei secoli XII e XIII e con questi cerchiamo di ampliare le nostre
conoscenze di come era il nostro paese e di come vivevano i nostri antenati.
Bisogna ricordare che durante tutto il medioevo pochi erano i proprietari terrieri, la
maggior parte delle terre era del demanio, quindi proprietà del Re e di chi ne faceva le
veci.
Dette terre venivano date in concessione per un certo periodo di tempo in cambio di
favori o in cambio di un affitto prestabilito (decime).
In seguito, si introdusse il diritto di successione, cioè il diritto che il Re aveva concesso
fosse utilizzato anche dagli eredi, in un primo momento ciò fu concesso solo ai grandi
feudatari (nell‟anno 877 - Capitolare di Quiesy).
Durante le secolari dispute per il controllo del potere in Italia fra la Chiesa e
l‟Imperatore; Corrado II° con l‟intento di coinvolgere a favore della sua linea di
condotta i piccoli feudatari, che nel frattempo avevano raggiunto una notevole forza, sia
politica che numerica, il 28 Maggio del 1037 promulgava “Edictum de beneficiis Regni
52
Italici”, noto come “Costitutio de feudis” in virtù del quale anche i piccoli feudatari
godevano del diritto di trasmissione ereditaria dei loro benefici.
L‟eredità dei feudi minori avrebbe dovuto valere esclusivamente per il regno d‟Italia,
ma la sua applicazione finì per essere estesa ovunque e contribuì alla decadenza del
sistema feudale.
Infatti, con l‟ereditarietà ogni feudo finiva per diventare un piccolo Stato monarchico, il
controllo dell‟Imperatore veniva a mancare e la disgregazione dell‟impero diveniva un
fatto irreparabile.
Sempre dai documenti del XIII sec. apprendiamo che i terreni della chiesa di S.Pietro di
Brebbia, compresi nel territorio di Bogno, ammontavano a 6 jugeri - 113 pertiche - 936,
5 tavole e 58 piedi;13
pari a m2 - 147.137, 77.
Questo solo sommando i documenti conosciuti, quindi si presume che le proprietà
fossero molte di più.
Il fatto che molti terreni di Bogno fossero di proprietà della Chiesa di Brebbia,
dimostrerebbe ulteriormente il legame esistente fra i Signori di Brebbia (Arcivescovo di
Milano e Priore della Pieve di Brebbia) ed i relativi castelli.
Questi terreni venivano affidati ad abitanti del luogo con un contratto d‟affitto
(investitura “ad massaricium”) e nonostante i documenti siano pochi, i nomi di persona
e dei terreni si ripetono con frequenza.
In alcuni casi sullo stesso documento, o su documenti redatti a distanza di pochissimi
giorni, l‟affittuario rinuncia all‟investitura, e subito dopo viene riconfermato come
massaro degli stessi terreni; oppure viene sostituito da uno dei figli.
Questo modo di procedere si pensa servisse per aggiornare il canone di affitto e
principalmente per confermare chi era il legittimo proprietario, teniamo presente che in
quei tempi, non esistendo una qualsiasi forma di catasto, risultava difficile anche
dimostrare la legittima proprietà.
Gli affitti venivano pagati in natura, nella maggior parte dei casi, da qui si può
conoscere quali erano i tipi di coltivazioni e di allevamento che consistevano in
frumento, siligo14
e panico15
, vino e polli.
13
Le misurazioni dei terreni variavano da zona a zona, assumendo oltre a valori diversi anche delle
denominazioni diverse.
Lo “Jugero” corrispondeva a 24 “pertiche” che erano formate da 24” tavole” ed a sua volta era composta
da 24 “piedi” - Il termine “Jugero” deriva dal latino “jugum” = gioco ed equivaleva all‟area che era
possibile arare in una giornata di lavoro con una coppia di buoi aggiogati. In alcune zone il termine
cambiò denominazione come: biolca, giornata piemontese, tornatura, ma tutte con lo stesso significato 14
Siligo = tipo di frumento di prima qualità. 15
Panico = una qualità di miglio molto usata per l‟ottima resa produttiva e resistenza ai parassiti, venne
abbandonata e sostituita la sua coltivazione con l‟avvento del mais.
53
Spulciando fra i vari documenti possiamo ricostruire anche come il pagamento di questo
affitto veniva effettuato in due rate a secondo della tipologia dei prodotti: a S.Lorenzo
(10 agosto) per i cereali e a S.Martino (11 novembre) per il vino e per i polli.
La raccolta era affidata a due canonici che prelevavano le masserizie presso i vari
fittavoli e li portavano in una “caneva”16
presso la canonica di Brebbia; è da notare
come il canone di affitto comprendeva anche 1 pasto per 2 uomini composto da tre
portate o una colazione composta da pane, vino e formaggio.
Scarsa era la circolazione monetaria, in quei tempi, e il baratto o il pagamento con
prodotti naturali era l‟abitudine.
La “decima” era il pagamento utilizzato quando il contadino doveva versare, al
legittimo proprietario, come canone d‟affitto una decima parte del prodotto ricavato
dalla lavorazione del terreno.
In seguito il termine decima veniva usato per indicare l‟obbligo di un pagamento,
poteva essere un affitto, un debito ecc…, anche se il dovuto non corrispondeva al
decimo del reddito, ma era stabilito di volta in volta a seconda della necessità e delle
situazioni.
Possiamo quindi immaginare il paese in mano a pochi o ad un unico proprietario e tutto
il resto della popolazione contadina costretta a lavorare come servi e solo in alcuni casi
come affittuari, pagando le decime.
Sino a pochi decenni fa la nostra era una società prettamente agricola e quindi il
controllo e la gestione delle acque era una questione della massima importanza.
L‟acqua serviva come fonte diretta per il sostentamento di uomini e di animali come
pure per l‟irrigazione di orti e giardini in caso di scarsa precipitazione ed era fornita
quasi esclusivamente da pozzi.
Il luogo di costruzione di nuove case e stalle pertanto era determinata dalla presenza o
meno di un pozzo d‟acqua, indispensabile per vivere, al contrario di quanto succede
oggi che le scelte cadono magari su di un luogo isolato e con un bel panorama.
Il controllo dei corsi d‟acqua era di primaria importanza in quanto spesso venivano usati
come comoda via di trasporto, come pure erano una preziosa forma di energia per
procedere alla trasformazione dei prodotti cerealicoli tramite dei mulini.
I mulini ad acqua erano già conosciuti sin dai tempi dei romani, quindi da oltre 2000
anni, ma quasi sicuramente sono molto più antichi.
Nel nostro territorio una sicura testimonianza dell‟esistenza di un mulino risale ad un
documento notarile del 26 marzo 1183, nel quale risulta la costituzione di una vera e
propria società stipulata fra Lanfranco rappresentante della Chiesa di S.Pietro di
Brebbia, con il consenso dei confratelli, ed Adamo figlio di Pagano “murinarius” di
16
Caneva = cantina, magazzino.
54
Bogno per la costruzione di un mulino “infra cantonem de Ruvina” con comune spesa
sia per il mulino che per gli edifici ad esso connessi; ognuno dei contraenti è
proprietario della metà con il vicendevole diritto di subentrare l‟uno nella proprietà
dell‟altro.
La costruzione di un mulino comportava un notevole sforzo economico, quindi era
riservata a pochi facoltosi: nobili locali o istituzioni religiose.
L‟opportunità da parte della Chiesa di Brebbia di cimentarsi in una impresa di carattere
commerciale era forse dovuta alla necessità di macinare i propri cereali provenienti
dagli affitti raccolti presso i suoi massari.
La chiesa ha contribuito per la metà alle spese di costruzione, mentre non si conosce
come veniva suddiviso il relativo guadagno, forse il gestore versava un affitto alla
Chiesa di Brebbia.
Un secondo documento del 1215 ci informa che detto mulino è stato gestito per molti
anni dal suddetto Adamo figlio di Pagano Murinarius e da suo figlio Guifredo, essi
abitavano sul posto in località denominata “ad molendinos de Bunio”
Col passare degli anni il mulino cambiò padrone e i nuovi proprietari divennero Jacobo
e Alberto figli di Burro di Besozzo, che pagano 4 moggi17
al preposto della Pieve di
Brebbia al posto di Guifredo Murinarius di Bogno; il nuovo abitante e gestore del
mulino è Pietro de Vinea.
Visto così la gestione del mulino di Bogno sembrerebbe chiara, ma la realtà è diversa,
perché negli anni successivi vi furono varie liti con conseguenti sentenze a riguardo
degli affitti del mulino fra il gestore, la chiesa di Brebbia et “familia de Besutio”.
Su di un documento del 1278 risulta che sul fiume Bardello sono in funzione altri due
mulini; uno il località “Ronco di Brebbia”, gestito da Jacobatus Mullinarius, con ogni
probabilità di Bogno, in quando lascia in eredità alla chiesa di Brebbia delle sue vigne
in Bogno; il secondo gestito da Beninos Mullus “qui habitat in mollinis de Bergo”: si
ignora dove fossero ubicati questi mulini.
Particolari statuti regolavano le strutture e il pagamento del servizio prestato, che
variavano da luogo a luogo.
Essendo i mulini di proprietà del “Domini locii” era praticamente impossibile costruirne
altri, anche perché le acque erano sotto il suo controllo, pertanto vi era un vero regime
di monopolio.
I contadini dovevano quindi obbligatoriamente recarsi per macinare i propri cereali
presso il mulino del proprio padrone dovendo così pagare un‟ulteriore tassa oltre a
quella già sborsata per l‟affitto del terreno.
17
Moggio = antica unità di misura per cereali e liquidi, corrispondeva a 146,23 litri ed i suoi
sottomultipli erano :
staio = 18,27 mina = 9,13 quartaro = 4,56 metà = 1,14 e quartino = 0,28 litri.
55
Come si chiamavano i primi abitanti di Bogno di cui abbiamo notizie; anche qui
partiamo ad analizzare il nostro documento dell‟anno 1000 ed i successivi e possiamo
elencare solo a titolo di curiosità i vari nomi senza avere la pretesa di ricostruire un
eventuale albero genealogico sino a quei tempi, in quanto impossibile, perché le
informazioni che abbiamo, determinate anche dalle usanze di quei tempi, sono molto
frammentarie ed incomplete.
Nei documenti si riportava solo il nome (anche questo in molti casi distorto od
abbreviato), il nome del padre e poche volte anche il luogo di provenienza.
Il cognome come lo intendiamo ai nostri giorni venne in uso solo secoli più tardi,
quando si introdusse la proprietà privata e quindi era richiesta una più dettagliata e
precisa distinzione per la conseguente eredità.
Anno 1000 Guibertus, figlio di Dodone
1034 Remedio, detto anche Remizo, diacono della chiesa di S.Pietro, figlio di
Adalberto, di legge longobarda
1118 Alberto et Ugonis, fratelli e figli di Nazaro, di legge longobarda
Alda, figlia di Mauro Draco
1125 Pagano di Adamo Drago et Adilia, coniugi di legge romana
Aurico di Morone Vualfredi
Alda coniuge di Dagiberto
Giovanni di Albrico et Oliva, coniugi di legge romana
1145 Arnolfo del fu Vuibello, chierico di S.Pietro, di legge romana
Aurico e Viviano, fratelli, detti Spiringoni
Stratiacani
Otonis
1147 Ottone detto Guibeli e Alda, coniugi di legge longobarda
Loterio detto de Coco
1148 Ambrogio di Pietro Spiliado e Viviana, coniugi di legge longobarda
1159 Rodolfo di Daiberto e Richilda, sua moglie e Giovanni e Lanfranco loro
figli
1170 Ottone e Giovanni figli di Guibello e Guglielmaccio figlio di Ottone
1199 Viviano de Iura
Miscadino e Guidino, padre e figlio, di legge longobarda
1221 Lombardo de Maxerano
Giovanni de Gronio
Miscarino de Vira
Vivra de Legodano
Dai vari documenti si può osservare come i nomi di alcune famiglie appaiono più di
frequente sia come diretti interessati in atti di compra vendita, sia di semplici testimoni
o fideiussori.
56
Ciò testimonia uno speciale rapporto con la chiesa Pievana di Brebbia.
Troviamo a partire dal 1199 Mazus de Mascerano come proprietario terriero; mentre più
tardi Pietro figlio di Pietro de Mascerano insieme al fratello viene investito a titolo di
massaricio di ben 32 terreni di proprietà della chiesa di Brebbia situati in Bogno, che
prima erano tenuti da Guido de Mascerano.
Conferma questa dei buoni rapporti fra Pieve e i de Mascerano.
Difficile dire se questa famiglia abbia dato il nome alla località di Masserano, o
viceversa, infatti troviamo anche dei terreni denominati de Mascarano e Cantone de
Mascerano.
In altri atti di compra/vendita ritroviamo membri della famiglia de Mascerano; Madius e
i fratelli Lombardo e Nigro vengono nominati massari di Guido da Calavate;
quest‟ultimo doveva essere persona di un certo rilievo sociale, in quanto nei documenti
è sempre citato con l‟appellativo di “Ser” o “Dominus”.
Tra le nomine a massari troviamo anche Maifredus, Trussus, Pagano figlio di Truso,
tutti appartenenti alla famiglia “de Legodano”.
Sia come massari che proprietari terrieri abbiamo i “de Vira”, “de Gronio”, fra i quali
Johannes nel 1220 viene indicato come console del comune di Bogno.
E‟ abbastanza facile intuire dove fossero le case ed i terreni dei Mascerano, visto
l‟esistenza attuale della via Masserano, mentre per i “de Legodano” si può supporre
siano le case nei pressi della Chiesetta di via Lago; in dialetto “la goda” o “legode”
Se vogliamo ricostruire il nostro albero genealogico il materiale più antico a cui
possiamo fare riferimento sono i registri di Battesimo, Matrimonio e Morte conservati
nell‟archivio parrocchiale, questi partono dai primi anni del XVII sec., e pur con
notevoli difficoltà a causa di una descrizione non molto dettagliata degli stessi, è pur
sempre una buona base di partenza.
I nomi dei terreni e delle località riportate sui documenti più antichi trovano riscontro
solo in alcuni casi con l‟attuale, troviamo : Peciole Caldirola, Silvani Planam, Binda de
sotto, Spanela, Pradale, Pradariolo, Subtus Lagodani, Closo de Lagodani, Bixii, Pezoi,
Toredana, Cagalli, Bedesco, Saxo, Folliaroni, Saxellum, Rianam de Canzello, ad
fontanam de Caldirola, Oro de Bosco, Oro de Binda, Brebiasca, Perzego, Cuvascam,
ecc.., approfondendo le ricerche in questo settore, ci potremmo trovare di fronte a delle
piacevoli curiosità.
Per dare una spiegazione a nomi di persona così diversi dagli attuali non dobbiamo
dimenticare che i Longobardi guidati dal re Alboino giunsero in Italia nel 568 e
raggiunsero le sponde del Lago Maggiore e quindi le nostre terre intorno al 572 e la loro
dominazione terminò nel 774.
Le tracce del passaggio di un popolo e della sua cultura e civiltà rimangono
inesorabilmente sul posto, come resti archeologici, sia materialmente che sotto l‟aspetto
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più immateriale sotto forma di usi, costumi, feste popolari, nomi di località e dialetti
locali.
Prendiamo in esame quest‟ultimo aspetto e partiamo da un nome diffusissimo in Bogno,
sia perché indica una località sia perché è il cognome di tanti bognesi: Binda.
Binda indicava una striscia di terra a campi o a bosco, e guarda caso il declivio della
collina di Bogno, verso Cardana, è proprio interrotto da una striscia di terra
pianeggiante, attuale via Binda; il nome ha corrispondenza con l‟antico tedesco
“bindan”,l‟attuale “binden”, da cui deriva l‟italiano benda, per non parlare del dialetto
“bindel”e “bindaa”, tutti nomi che hanno in comune il significato di striscia, nastro,
legare, avvolgere, ecc..
Molti nomi dialettali hanno affinità con il tedesco, in specie quello più antico,
vediamone alcuni:
“stain e stein” in tedesco pietra e “berga o bergen”, alloggio , protezione, per noi una
casupola di piccole dimensioni e malsicura è una stamberga.
Il “palk” (travatura, assito) diventa palco in italiano e “palchet” in dialetto per indicare
qualcosa di elevato.
“skur”, luogo coperto, riparo, in dialetto prende vari significati “skur” per indicare il
buio o le imposte esterne delle finestre e con la variante “skuroo” un piccolo locale buio
senza aperture, ed anche il luogo buio e chiuso della chiesa dove viene riposta l‟Ostia
Santa il venerdì santo.
“stock”, tronco d‟albero, palo di sostegno, per noi è un travetto, puntello, di solito di
legno.
“bredel, predel” tavoletta, assicella piana – diventa “preda, predela, predelin”. Predella,
poggia piedi, sgabellino.
Proseguiamo con “skranha”, sedile; in dialetto “skagn, skagnet, skagnetin” sedia,
sgabello, sgabellino.
“scherpa”, in tedesco oggetto di valore, suppellettili; si trasforma nel nostro dialetto in
“schirpa” e diventa il corredo della sposa.
“federa e fazzjo” cuscino, cencio, straccio; diventa la custodia dell‟imbottitura del
cusino e “fazulet” il fazzoletto.
“skaus” lembo di un abito; diventa nella forma dialettale “scusàa”, grembiule; “scoss” e
“scusalina”, qualcosa che sporge, come il grembo materno o il davanzale di una
finestra.
Il Longobardo “supfa” sta a significare una specie di polentina; per noi e la “supa”,
minestra; il “thanf” vapore, fumo; da noi diventa “tanf” per aria viziata, puzza “tanfa”,
odore sgradevole.
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“asks” e “bras”, cenere e brace; da noi rimane invariato per la brace “bras” e diventa
“barnasch” per la paletta del camino adatta a rimuovere la cenere.
Da “krupp” nodo, deriva “grop” nodo, “grupaa” annodare “gropa” schiena, “grupun”
grossa schiena adatta a sopportare grossi carichi.
Lo stesso vale per “sterz” manico dell‟aratro; da cui deriva “sterz” sterzo, “sterzaa”
girare,”sterza” movimento brusco che provoca dolore.
Nomi come “skid” pezzo di legno e “stee” piolo, verga si sono tramutati nel nostro
dialetto in “skaia” scheggia e nei derivati “skaià” scheggiato, “skaiun” qualcosa di
lungo e magro e “steck” per indicare un lungo e sottile pezzo di legno come
stuzzicadenti o anche persona magrissima.
Anche la caccia e la pesca ci tramandano nomi derivati dal vecchio linguaggio
longobardo, come “trappa” trappola e “wada” rete da pesca da cui derivano i vari
“trapula” “trapun” e “vadin” trappola, talpa e attrezzo da pesca.
Varie le voci che fanno riferimento al corpo umano “nappja” naso, “strozza” gola,
“mago” stomaco, “skena” osso; diventano “canapja” grosso naso, “canapiun” nasone,
“struzaa” strozzare, “struzin” usuraio strozzino, “stroz” termine del gioco delle carte,
“magun” stomaco del pollame o dispiacere, rimorso, magone, nodi di pianto,
“rosmagun” il pettirosso,”skena” schiena.
A questo punto sembra chiaro da quale origine derivi il nostro dialetto, si potrebbe
proseguire con un lunghissimo elenco, ma limitiamoci a pochi altri esempi:
“slita” slitta ; “slita” “slitaa” “slisigaa” “slisigun” slitta, slittare, scivolare, scivolone.
“bera e beran” barella da portare; “barela” “bara”, barella, lettiga, bara.
“strae” teso, tirato; “strack” “stakàa” stanco, stancare
“gram” “list”,triste, irato, astuzia; “gram” “lest” persona o cibo cattivo,veloce,rapido.
“slahn” pazzo; “bislac” uomo strano.
“blauz” nudo; “biot” nudo, “sbiutaa” denudare, “balabiot” poco di buono.
“bison” puntura di insetto; “bisii, bisiàa”, puntura di insetti o di serpi, “bisa” biscia.
“skrafjan” grattare; “sgrafignaa” grattatare o rubare, “sgrafignada” graffio.
“slappon” divorare, inghiottire; “lapàa” mangiare velocemente, “lepàa” leccare, “lapa”
loquacità.
“trinkan” bere ; “trinkàa” bere eccessivamente.
“shahnan” fendere ; “skanàa” e “spakàa” scannare, rompere.
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“thukkjan” pigiare ; “trucàa” schiacciare il terreno.
“skerzan” scherzare ; “scherz” “scherzaa” scherzo, scherzare.
“storna” stornire ; “storn” “sturnii” sordo, assordare . . . e si potrebbe continuare.
A livello amministrativo il Comune era inteso come un‟organizzazione che gestiva
terreni e diritti comuni a tutta la popolazione; in un atto del 1209, in apparenza simile ad
altri, Goffredo de Monte, i fratelli Pietro e Giovanni de Monte, Ugeto figlio di Picino de
Monte et Ugo detto Cillina, tutti di Bogno, cedono dei terreni alla Chiesa di Brebbia.
In questo documento si legge “actum est hoc in loco Bunio in illo loco ubi vicini
conveniunt”; l‟atto e redatto quindi in Bogno nel luogo in cui i vicini (intesi come
proprietari terrieri) si radunavano abitualmente.
Ciò dimostra l‟esistenza di un luogo di riunione dell‟assemblea per la discussione dei
problemi che interessavano la comunità, con ogni probabilità era la pubblica piazza.
In atti del 1220 e 1265 Johannes de Gronio e Dominicus de Spazingono vengono
indicati come “consule et castaldo domini Archiepiscopi in ipso loco Bunio” ciò
dimostra come l‟organizzazione comunale di Bogno è strettamente collegata al potere
esercitato dall‟Arcivescovo di Milano sulle nostre terre.
In un documento fra i più antichi riguardante la popolazione di Bogno, non troviamo
nulla di diverso dall‟attuale, infatti si parla di tasse; già nel 1346 la comunità di Bogno
doveva contribuire, non si sa in che modo e in che misura, alla manutenzione della
strada di Rho, detta strada che univa Milano con il Verbano percorreva in pratica
l‟attuale statale del Sempione.
E‟ interessante notare che il 22 Agosto 1537 durante la visita pastorale dell‟Arcivescovo
di Milano alla Pieve di Brebbia, viene annotato che in Bogno vi sono 5 fuochi, cioè
famiglie patriarcali, e precisamente:
Baptista di Ronche masar et consule
Pedrolo da maserano masar
Andrea della piaza masar
Felipo della Binda masar
Bapta della godda masar
Da questo documento si deduce la presenza di un console, quindi un responsabile della
comunità, e della mancanza dei cognomi come intendiamo oggi.
In uno degli atti di fondazione della Parrochia di Bogno in data 17 Luglio 1581 rogato
da Gerolamo Luvino appaiono in qualità di Console, Evangelista della Godana di
Battista; Sindaci il Sig. Giulio De Ferrettis del fu Sig. Bernardo e Gian Giacomo della
Binda di Gian Angelo; Sindaco Generale, Giuliano de Angelono di Angelone.
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Sicuramente fra gli abitanti di Bogno non erano certamente tutte rose e fiori, ma degli
screzii più o meno gravi si verificarono anche da noi, come d‟altronde pensiamo siano
successi in ogni paese.
Nell‟Archivio Parrocchiale si è ritrovato un documento in cui si parla in modo chiaro di
un tentativo di incendio andato a vuoto in data 26 9bris 1658; mentre il 18 Genaro 1659,
notte seguente circa alle otto hore, l‟attentato incendiario alla casa dei Cochiti in Bogno
riuscì e causò ingenti danni.(Vedi Allegato 12)
“Il manoscritto si limita alla pura annotazione del fatto, non fa ipotesi sui motivi che
avrebbero spinto qualcuno ad appiccare il fuoco, nè ci sono altri documenti a chiarire
il mistero su questo antico fatto di cronaca che riporta a momenti non proprio
tranquilli nei rapporti interpersonali fra gli abitanti dei nostri paesi.”
Come si misurava il tempo?
Sino ai primi anni del 1800 le giornate erano divise anch‟esse in 24 ore, come
attualmente, ma non terminavano od iniziavano alla mezzanotte, ma bensì al tramontare
del sole; pertanto l‟inizio del giorno era variabile e seguiva il mutare delle stagioni.
Quindi la prima ora del giorno iniziava approssimativamente alle 9 di sera durante
l‟estate e circa alle 6, sempre di sera durante l‟inverno.
Era anche frequente indicare l‟orario partendo dal sorgere del sole, quindi per esempio,
“hora quarta” individuava che il sole era già sorto da 4 ore: in questo caso si usava
specificare anche se si trattava di ora di giorno o di notte.
Evidentemente in quei tempi durante il trascorrere della giornata non era necessario
conoscere con precisione il trascorrere del tempo.
Nel 1751 il comune era infeudato al Conte Giulio Visconti, cui si corrispondevano 35
lire all‟anno per ragione feudale.
Non vi risiedevano giudici.
I giudizi si tenevano presso il Podestà di Gavirate, cui si dava un contributo annuale di 7
lire, 6 soldi e 6 denari.
Il Comune non aveva consiglio generale né particolare.
Gli ufficiali erano il Cancelliere, che risiedeva a Besozzo, il console e i sindaci, che
cambiavano ogni anno.
Quando si doveva prendere decisioni rilevanti per la comunità, il console dava avviso ai
capifamiglia e li convocava nella pubblica piazza, in un giorno feriale.
Le scritture comunali si riducevano al libro del catasto, ai riparti annuali dei carichi e
delle ricevute di pagamento.
In seguito all‟unione temporanea delle provincie lombarde al Regno di Sardegna, in
base al compartimento territoriale stabilito con la legge 23 ottobre 1859, il comune di
Bogno con 473 abitanti, retto da un consiglio di 15 membri e da una giunta di 2
membri,fu incluso nel Mandamento VII di Gavirate, Circodario II di Varese, provincia
di Como.
61
Alla costituzione nel 1861 del regno d‟Italia, il comune aveva una popolazione residente
di 476 abitanti.
In base alla riforma dell‟ordinamento comunale del 1865 il comune veniva
amministrato da un sindaco, da una giunta e da un consiglio.
Da un documento del 1877 Bogno aveva
39,80.00 Ettari di bosco, di cui
29,59.08 Comunali
e 10,23.92 Privati
Venivano allevati 131 bovini da parte di 47 proprietari
121 ovini “ “ “ 21 “
Non risultavano allevamenti di cavalli e suini.
Nel 1927 il comune di Bogno terminò di essere autonomo e venne aggregato al
Comune di Besozzo e inserito nella nuova provincia di Varese.
Quanti erano gli abitanti? Un primo dato ci viene fornito dal liber cronicon parrocchiale
ed indica nel 1748 la presenza in Bogno di 281 anime, di cui 197 comunicate.
Un forte incremento si ebbe nel 1780, si giunse in poco più di trent‟anni a 401 abitanti.
Nel 1911 si raggiunse quota 893 ed al 31 dicembre 1944 in totale in Bogno vi erano 780
abitanti più 220 sfollati a causa della guerra.
Un contributo importante per la conoscenza dei nostri antenati ci è fornita da un
censimento effettuato in data 3 – 4 luglio 1865 dall‟allora Parroco Don Gioachino
Trabattoni.
Da questo registro, compilato con molto scrupolo e precisione, sono evidenziate l‟età
delle persone, il loro stato civile, le parentele, ecc… e ciò permette di ricavare varie
osservazioni.
Il totale degli abitanti del Comune di Bogno erano 489.
La popolazione era decisamente giovane, ben il 64,20 % era inferiore ai 30 anni.
Solo 10 persone avevano un‟età superiore ai 70, di cui una sola superava gli 80.
Il più anziano del paese era il Sig. Binda Farè Innocente di Giovanni, nato in Bogno il
28 dicembre 1780, quindi di quasi 85 anni; morì 5 anni più tardi il 12 maggio 1870.
62
Analizzando più a fondo i registri dei morti conservati nell‟Archivio Parrocchiale
possiamo notare che la mortalità infantile era sicuramente la causa maggiore di morte
infatti sino alla fine dell‟800 i bimbi che non riuscivano a raggiungere il primo anno di
vita erano una percentuale oscillante dal 29 al 43 % di tutti i morti della parrocchia.
Non è poi, una volta superato il primo anno, che la vita si presentasse più rosea, infatti i
pericoli di morte rimanevano anche con il passare degli anni, se pensiamo che nei
periodi analizzati non raggiungevano i 10 anni ben il 55 – 65 % dei bambini;
proseguendo nell‟analisi si deduce che a secondo dei vari periodi il 68 – 76 % dei
Bognesi morivano prima di aver compiuto il quarantesimo anno di vita.
Con l‟inizio del „900 la situazione migliorò un poco pur rimanendo una mortalità molto
alta in specie se confrontata coi nostri giorni, la mortalità nel primo anno di vita era
scesa al 18 %, chi non superava i 10 anni era il 28 % circa e circa il 58 per cento
riusciva a superare la soglia dei quarant‟anni.
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La causa della morte sui registri parrocchiali è segnalata solo in circa il 35 per cento dei
casi, e nella maggior parte in modo sommario, come ad esempio: dopo lunga malattia,
improvvisamente ecc…
Una delle maggiori cause di morte erano le varie epidemie che si abbattevano
periodicamente sulle popolazioni e sicuramente Bogno non ne fu esente, ma solo per
l‟anno 1654 è indicata la causa di morte per colera di ben quindici persone.
Oltre alle grandi epidemie tipo colera, peste ecc. è da tener presente, anche se ai nostri
giorni non causa più alcuna paura, le varie forme influenzali che puntualmente
sopraggiungevano con i primi freddi ed a causa della mancanza di antibiotici portavano
ad aggravamenti della malattia sino alla morte.
I cognomi più diffusi erano : Binda n° 151 pari al 30,88 %
Mattioni n° 45 “ 9,20 %
Realini n° 20 “ 4,08 %
Sartori n° 18 “ 3,68 %
Marzetta n° 17
Fondini n° 17
Del Motto n° 16
Giubellini n° 14
I nuclei abitativi erano n° 42, identificati con dei numeri civici progressivi, in alcuni
casi sono indicati per esempio: 10.0 – 10.1 – 10.2 – 10.3 ecc…, evidentemente per
distinguere le abitazioni all‟interno di uno stesso cortile.
Le cascine sparse per il territorio del Comune oltre al numero civico, sono indicate
anche con il nome; troviamo infatti:
Cascina Rii Cascina Ratt
Cascina Costiole Cascina Bojoni
Cascina Duri Cascina Bozza
Cascina Nuova Cascina Pampagana
Cascina Brocchino Cascina Alfieri
Cascina Marsciè
La frazione “Molino della Bozza”, del comune di Brebbia, apparteneva alla Parrocchia
di Bogno, e quindi rientrò nello stesso censimento.
Il totale degli abitanti della Frazione Molino della Bozza era di 45 persone.
A proposito dell‟età della popolazione, valgono le considerazioni fatte per il comune di
Bogno.
Per quanto riguarda i cognomi, la fanno da padroni:
i Binda con 21 persone, paria al 46,66 %
e i Bardelli con 14 persone, pari al 31,11 %.
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Un numero così elevato di persone con lo stesso cognome (Binda), ha portato
inevitabilmente al formarsi di soprannomi; infatti troviamo i Binda Pidinetto, i Binda
Farè, i Binda Topia, . . . di David, . . . di Vigna, . . . di Vanangelo, . . . della Piazza, . . .
Patan, . . . Boff, ecc…
Nel „900 i soprannomi si estesero anche ad altri cognomi e divennero il riconoscimento
ufficiale dei varii gruppi familiari (Patan, Bulgitt, Brisit ecc..).
Le origini di questi soprannomi sono state fra le più varie; se ad esempio il marito
partiva per le Americhe in cerca di fortuna senza dare sue notizie per anni, la moglie
Valeria rimasta a casa doveva provvedere da sola a mantenere sè ed i propri figli
divenendo in realtà il vero capo famiglia; per logica conseguenza i figli e discendenti
divennero “quei dii Valeri”.
Altro esempio i “Leura”, il nome deriva da una antica usanza, ancora di moda in diversi
paesi del meridione d‟Italia, di esporre all‟esterno dell‟abitazione un segno, in genere
una frasca, un ramo di pino o un simbolo che sta ad indicare la possibilità di poter
acquistare prodotti alimentari di loro produzione (olio, vino, verdura, frutta ecc.).
Anche in Bogno si verificava ciò quando il vino di propria produzione era superiore ai
propri bisogni, si esponeva il segno e si procedeva alla vendita e se uno di questi faceva
qualcosa di nuovo e di originale attaccando sopra la porta una bella lepre imbalsamata,
automaticamente i discendenti di tale famiglia divennero quelli del “Leura”.
In queste osterie “a termine” si vendeva praticamente solo vino, infatti la maggior parte
rimaneva aperta solo pochi mesi da Ottobre, dopo la vendemmia e vinificazione, sino ad
esaurimento e prosciugamento delle botti.
Da ricordi tramandatoci sappiamo che nei primi decenni del „900 ben nove erano le
osterie aperte contemporaneamente in paese; infatti partendo dall‟incrocio con la strada
provinciale Brebbia/Monvalle, salendo per la via Lago già alla prima curva ed alla
prima casa ci si poteva dissetare, sino a poco tempo fa si poteva leggere ancora sulla
facciata, sebbene sbiadita, l‟indicazione dell‟osteria.
Si doveva poi raggiungere il termine della via Lago per trovare il secondo punto di
ristoro “alla Croseta”; mentre le altre erano dislocate: all‟inizio della via Masserano,
quella del “Leura”; all‟inizio della via Monteggia “ul Tabachin” e proseguendo per la
stessa via “l‟Oropa” che in seguito assorbì “ul Tabachin”, prendendone anche il nome;
più avanti il “Circolo Cooperativa”; scendendo dalla Piazza verso la Chiesa si trovava
subito un‟osteria rimasta aperta sino ai primi anni ‟60, ultimamente detta “dell‟Oliva”;
più avanti all‟interno di un cortile si trovava l‟osteria “degli Americani”; l‟ultima di
queste osterie si trovava di fronte alla cappelletta di via Monteggia, prima della discesa
per Brugusciolo.
L‟andare all‟osteria era l‟unico svago del paese per la popolazione maschile adulta ed
anche se non vi era un vero e proprio divieto, la sola entrata in osteria di un ragazzo o di
una donna era sicuramente mal vista.
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Il clou delle presenze era sicuramente la domenica pomeriggio, oltre a bere si poteva
giocare a carte (i giochi preferiti erano: scopa, briscola e tresette) e a “morra”
quest‟ultimo gioco però provocava enormi discussioni che sfociavano in molti casi in
rissa, specialmente se i partecipanti avevano già bevuto in abbondanza, tanto che le
autorità ne proibirono la pratica in luoghi pubblici,
Come abbiamo detto il vino che si vendeva nelle nostre osterie era in prevalenza di
produzione propria quindi ognuno di questi poteva avere un sapore diverso a secondo
del produttore, ma una caratteristica comune a tutti era la bassa gradazione alcolica
dello stesso, che non consentiva una lunga conservazione, infatti verso la primavera
sulla superficie del vino conservato in damigiane o botti non era raro il formarsi di una
specie di muffa “faa ul fior”, primo segnale di una prossima trasformazione dello stesso
in aceto.
La bassa gradazione alcolica consentiva di poterne bere anche in quantità elevata senza
gravi danni per la salute, infatti un vecchio detto diceva che “bisogna beven una
brenta18
per ciapàa la cioca”.
Il vino nella cultura popolare aveva un ruolo di primo piano nell‟alimentazione
giornaliera, oltre che piacevole al palato era ritenuto molto energetico, infatti lo si
prescriveva agli ammalati, e anche disinfettante, perciò veniva aggiunto all‟acqua da
bere; acqua che nella quasi totalità proveniva da pozzi pochi profondi e quindi
facilmente inquinati.
Il vino veniva consumato da tutti i componenti della famiglia, per donne e bambini con
aggiunta di acqua, puro per gli uomini, servendosi per la mescita non di bicchieri ma
della “tazina” (scodella).
Per questo motivo si destinava buona parte del terreno coltivabile alla coltivazione
dell‟uva piuttosto che ad altre produzioni.
Nel corso dell‟ottocento la coltivazione della vite ha subito un gravissimo danno, e non
solo la nostra zona, ma l‟intera Europa ha rischiato di rimanere per sempre priva della
sua produzione vitivinicola.
La causa di ciò è stato un minuscolo insetto la “filossera”.
Dopo la scoperta dell‟America si iniziò a importare in Europa varie e nuove qualità di
piante alimentari che si mostraro utilissime, tipo la patata, il pomodoro, il mais, ecc., ma
con loro purtroppo entrarono clandestinamente anche molte varietà di parassiti ed insetti
che si svilupparono molto velocemente anche a causa della quasi inesistente lotta
antiparassitaria e della mancanza totale di insetticidi.
18
Brenta = misura di capacità per liquidi = 75,55 litri
66
Inoltre si organizzavano speciali viaggi alla ricerca delle più svariate qualità di piante,
tanto che era diventata una moda particolarmente apprezzata il poter mostrare nel
proprio giardino le più strane piante provenienti da paesi lontani.
I Re di Francia non vollero essere da meno e spedirono il loro giardiniere, Jean Robin,
alla ricerca di nuove piante esotiche, fra le tante importate, una che porta il suo nome
“Robinia”, si diffuse tanto rapidamente anche a causa delle sue caratteristiche, di veloce
crescita e di essere ottima legna da ardere, tale da divenire in breve tempo la varietà più
diffusa in Europa.
La filossera trovò facile presa sulla vite, ne attaccava le radici e ne procurava
l‟essicamento della pianta nel giro di poco tempo.
Fu una vera calamità tanto che il Governo dovette intervenire con sovvenzioni ai
contadini che avevano subito una tale sventura.
Con Decreto Legislativo n°19192 del 15 Ott. 1856 anche al Comune di Bogno venne
assegnato un indennizzo, da dividersi fra i coltivatori, di £. 1912,80 per gli anni 1854 –
1855 ”quale compenso in causa di fallito prodotto delle uve”.
Si pose rimedio a tale disastro importando dall‟America pianticelle di vite, che
risultavano immuni all‟attacco della filossera, ed innestandovi le varietà di vite
nostrane.
Tale calamità in Europa perdurò per oltre 50 anni e fu debellata solo quando
praticamenta la coltivazione vitivinicola fu rinnovata completamente
Alcune osterie rimanevano aperte tutto l‟anno, oltre al vino di propria produzione
offrivano ai propri clienti vino che importavano dal meridione d‟Italia in special modo
dalla zona di Trani nelle Puglie, tanto che in alcuni paesi e specie in Milano in nome
Trani divenne sinonimo di osteria; questo tipo di vino aveva una gradazione alcolica
decisamente superiore a quello prodotto nella nostra zona e ciò portava a grosse
ubriacature a quelle persone che non volevano perdere le abitudini di berne in quantità.
In conclusione spero di non aver soddisfatto appieno tutte le voglie di sapere e di
conoscenza sul Nostro paese, ma di averne semplicemente stimolato la curiosità per far
si che ognuno di noi sia invogliato a ricordare e riportare ciò che è di loro competenza,
perché è con l‟insieme di tante piccole cose e ricordi che si può risalire alla storia di un
paese pur piccolo come il nostro, cioè la Nostra Storia.
67
APPENDICE
68
Appendice 1
Archivio della Curia Arcivescovile di Milano
Sez. Visite Pastorali, Pieve di Besozzo/Brebbia
--------------------------------------------------------------------------------------------------
----
Vol.2 q.15:
1567 ÷ 1574 - Elenco del clero e osservazioni sui disordini morali
nella pieve f.5r
Questo elenco del clero, con le seguenti interessanti osservazioni, e' stato
scritto dal vicario Contorbia, come dice l'annotazione archivistica alla riga 2. Si
può collocare tra il 1567 e il 1574, periodo del prevosto Gentile Besozzi.
69
f.5r
Pieve di Brebia et Lugiuno
[nota archivistica] scrittura del Contorbia
Il Reverendo preposto di Lugiuno non ha cherico che lo servi all'altare
Messer pre Nico Besozzo canonico di Brebia pontatore della collegiata
| 5
Messer pre Giovan Jacomo Besozzo canonico di Monà pontatore in quella
collegiata
Messer pre Filippo Crivelli vice rettore di Tarnà pontatore alle congregazioni
Il Reverendo messer pre Gentile preposito di Brebia pontatore a funerali
Messer pre Giovan Jacomo canonico di Monà
messer pre Alluiggi Rettore di Cocho atti ad esser notari nella
|10
messer pre Ettore Besozzo pieve di Brebia et Lugiuno
Messer pre Battista Asconini Rettore in Mombello
Messer pre Giovanni Antonio Comabio
Messer pre Antonio Feretto canonico di Brebia
Messer pre Francesco Carnagho mastri di choro
|15
Messer pre Giorgio Bazzo mastri delle cerimonie ambrosiane
Messer pre Battista Asconini di Mombello a tutte le feste e funerali
Messer pre Aluigi Rettore di Cocho
Messer pre Francesco Carnagho per leggere et insegnar a cherici
Messer pre Battista di Mombello per repettere le lettioni
|20
Il prevosto di Brebia per substituto in licentiar per andar a Milano
Messer Pietro Antonio Besozzo depositario delli terzi et d'ogni altro per la pieve di
Brebia
Messer Giovan Battista Besozzo di Lugiuno per depositario ut supra nella pieve
Niuno si trovi hora atto a parrochiale
- confessori nella pieve di Brebia:
|25
Il preposto di Brebia
pre Aluiggi di Cocho
pre Ettore Besozzo
pre Giovanni Antonio rettore di Comabio
pre Bartolomeo rettore di Cardana
|30
pre Bartolomeo cu.... di Cardana
pre Bernardino di Bardello
- confessori nella pieve di Lugiuno:
Il prevosto di Lugiuno
Il Carnagho soprascripto
capellano di Mombello
5,7 - pontatore=puntatore, il religioso che annotava i presenti e gli assenti nelle
riunioni e cerimonie religiose.
21 - terzi: le terze parti delle prebende dei canonici non residenti, che per
disposizione di S.Carlo dovevano essere versate al capitolo.
70
f.5v
- capelle titulari vaccante con carico di cura nella Pieve di Brebia, et gli huomini
paghino il sacerdote:
chiesa di santo Quirico Parrochiale di Tarnà vacante
Chiesa di santa Margarita di Cazagho
Santo Hippolito e Cassiano di Comero
Santo Vito di Bogno
| 5
Santo Cosmo e Damiano di Osmà
Santo Martino di Bregano
- chiese alpestre nella pieve di Brebia .... di £ 35 l'anno le 2 prime in tutto, né si sa
chi li havesse in titulo:
Santo Michele di Malgesso
Santo Paolo di Brebia
|10
Santo Nazaro di Turro
- Canonicato già di messer Francesco Bianco nella pieve di Lugiuno vacante, cesso
per messer Giovanni Andrea Castilione, di £ 30 l'anno, usurpato dalli Padri di santa
Caterina del Sasso da anni 9 in qua
- atti ad intrar nella canonica:
Messer pre Andrea Gabardo di Cocho
Messer pre Alessandro Ferreto di Bogno
|15
Per impiegar in cure hora non vi si trovi persona nelle soprascripte pieve atto.
Le paghe delli Rettori d'ambi le pieve nei funerali sono diverse: altri di ss.10 per
volta, altri ss.4 et ss.5, altri niente, se ben li dolenti si trovino in modo.
Nella pieve di Brebia non vi è uso di quarta per non esservi frati; |20
quella di
Lugiuno vi è l'uso della quarta nei funerali con li Padri di santa Caterina del Sasso.
In ambi le pieve di Brebia et Lugiuno si pesca, si macina, si stendeno bugade, si
secchi il grano nelle feste indifferent... et alle volte si careggi. Il medemo usasi nella
pieve d' |25
Angera et Arona, et li marescharli ferrino li cavalli, et alle vendemie si
portino le uve a casa.
Le feste di voto è consuetudine ?iudarsi nel ?plicio del stato li sacerdoti che si
troverano la maggior parte il resto lo ...... il clero
-------
24 - si careggi: si fanno trasporti
25 - marescarli: maniscalchi
71
f.6r
Le communità d'ambi le pieve di Brebia e Ludegiuno, quando li essecutori della
Camera reggia o d'altro li venghino per essequir contra loro per debiti camerali, vano a
primo volo a pignorare li massari delle chiese mandati dalle communità, se ben li | 5
massari per il lor havere hanno pagato, il che porta grandissimo preiuditio al clero; saria
bene inhibire che si stessero, il che si puotria fare con un publico edito, o vero a ciascun
curato darli provisione di usarle alle occorrenze.
Gli medici osservano la bolla di Nostro Signore quando visitano li infermi.
- di Besozzo inconfessi dui anni sono:
|10
Il signor Alessandro Besozzo concubinario
Polissena sua concubina
Jacomo del Torcio
sua moglie (consenzienti)
Marcellina già concubina del detto Besozzo, |15
quale per non essersi partita di casa
di quello non si vol confessar per la mormoratione.
Antonio Maria Ronchino per inimicitia seben egli è stato l'offendente per un anno
(tutti di Besozzo)
La volpe di Cocho publica meretrice inconfessa per detta causa.
|20
Il preposito di Brebia fu della prepositura sua provisto dal Illustrissimo alli 14
marzo 1567 per una cessione fattali da pre Pietro Martignono come si vede dalla stato
de' sacerdoti.
Il preposito di Lugiuno è stato provisto a Roma da Paolo 4/1555 per una
ressignatione fattali da messer Lionardo suo fratello ultimo preposito di quella |25
(dies
deest culpa dicti prepositi qui diem illius ommissit)
La vita cristiana pocco si essercita dal clero per colpa delli figliuoli che non venghino
alle feste quantunque pregati siano.
In Besozzo si sol predicare tanto et non altrove in dette pieve.
---------------------------
9 - bolla: dopo 3 visite il medico doveva controllare che il malato si fosse
confessato e comunicato
21 - il prevosto precedente, Pietro Martignoni, era stato condannato alle galere
72
Appendice 2
Archivio della Curia Arcivescovile di Milano
Sez. Visite Pastorali, Pieve di Besozzo/Brebbia ------------------------------------------------------------------------------------------------------
Vol.13 q.14:
>1574 - Nota degli annuali che si facevano a Brebbia ed ora
si fanno a Besozzo f.2r
1567÷1572 - Elenco dei canonici residenti nella canonica di Brebbia f.3r
Elenco dei canonici assenti f.3v
Sottoscrizioni di mano di vari canonici f.4r
Nota dei conti delli terzi scossi per me Gentil Besozzo
da 1567 a 1571 f.7r
Nota dei canonici assenti dalla pieve o dalla canonica f.9r
-o-
Il quinterno e' datato tra il 1567 e il 1572 dal Palestra, evidentemente in base ai
periodi in carica dei vari canonici elencati, tuttavia gli elenchi di decime e di annuali
nei primi 2 fogli sono posteriori al 1574. La scrittura e' di mani diverse.
73
f.2r
Besozzo
Anualli che si faceuano nella chiesa collegiata
di Brebbia et adesso si fanno nella chiesa di Bes.o
per il medemo cap^lo trasferto à Besozzo
5 Adi 28 di genaro Anualle per d'no Regnerio Preuosto
Adi 20 di Marzo Annualle per D.pre Andrea Besozzo
Adi 28 d'Aprile Annualle per D.Beltramo
Adi 5 de Maggio Annualle per D.filipo de Corte
Adi 10 de Maggio Annuale per D.Giouanina Besozzo
10 Adi 11 de Maggio An^le per D. Paulino Besozzo
Adi 16 de Maggio An^le per D.Giouanni del vezza di Brebia
Adi 26 de Maggio Annuale per D. Bernardino can.co
Adi 3 de Giunio Annualle per D. Arnaldo di Brebbia
Adi 18 de Giunio Annualle per D. Ubaldo Preuosto
15 Adi 3 de lulio Annualle per D. X^poforo di Cardana
Adi 17 de lulio Annuale per D. pre Jacomo de Cadreza
Adi 30 Agosto Annualle per D. Madalena Besozza
Adi 14 de 7^bre Annualle per D. Guido Preuosto
Adi 19 de 7^bre Annualle per D. Giouanni de Jntragna
20 Adi 1 de 8^bre Annualle per D. Alberto Preuosto de Cocho
Adi 5 8^bre Annualle per D. pre Andrea de Brebbia
Adi 23 de 8^bre Annualle per D. Pietro Ant.o da Brebbia
Adi 2 de 9^bre Annualle per D. Giouanni de Gauira
Adi 12 de 9^bre Annualle per D. lafrancho rastello de Bes.o
25 Adi 15 de 9^bre annualle per D. Aldrico de Boscha
Adi 22 de 9^bre annualle per D. pre Giouanni
-o-
2 - il titolo ci permette di datare questa nota a dopo il 1574.
18 - Guido: risulta un Guido prevosto di Brebbia nel 1323.
20 - "Alberto prevosto di Cocquio"= risulta un Alberto prevosto di Brebbia nel 1208;
forse e' questo (naturalmente sarà stato un Besozzi!)
74
f.2v
Adi 24 9^bre vn Annualle del quale non si puo ueder il
nome per la uechiaia della scritura
Adi 27 9^bre Annuale per D. Andr. preuosto
Adi 3 x^bre annuale per D. lanfranco preuosto
5 Adi 17 x^bre annuale per D. leonardo Bessozo
Adi 20 x^bre Annualle per Adam Besozzo
-o-
4 - Lanfranco: risulta un Lanfranco prevosto di Brebbia nel 1152.
75
f.3r
Bona resid.ae
Residentes in Canonica
Brebie
R. D. Gentilis Besutius Prepositus
5 eius Prebenda est in loco Triui
saghi est redditus ------------------------ y 80
R. D. Preb^r Petrus Antonius Ferettus
Canonicus. eius Prebenda est
in loco bonij, est redditus -------------- m.a 12
10 et brete .3. de uino et pagha scuti
set' de Pensione al sig.r Gio: Tanello y 41 ss 6
Ferarese con uno agrauio de dar
una refectione al Capitolo de Bre=
bia et a tutti gli homini de Bonio
15 cio e uno per casa
R. d. Preb^r Bernardus Ferettus Cano.us
eius Prebenda è Decima Malgessij
est redditus ------------------------------- y 45
super qbus fit Pensio scutor. sex
20 R.do D'no Don Paulo santello man=
tuano --------------------------------------
R. D. Preb^r Georgius Batius Can^icus
eius Prebenda est in loco Bregani
est redditus modior. quindecim m.a 15
25 super qbus fit pensio librar. 40 y 40
D'no Eurialo Glusiano scriptor Archi=
uij -----------------------------------------
-o-
La questione della "residenza" era importante a quell'epoca perché il Concilio di
Trento aveva imposto l'obbligo della residenza in sede per tutti i titolari di benefici
(curati, canonici, cappellani ecc.) mentre invece prima spesso il religioso non risiedeva,
godendo però la prebenda.
E' interessante l'elenco delle "prebende", l'allusione alle "pensioni" (subaffitti delle
prebende?) e inoltre il fatto che ci sono dichiarazioni di pugno dei vari canonici, il che
ci permette di identificare la loro scrittura.
6 ecc. - y=abv.di lire
9 - m(odi)a
11,19,25 - pensione=?
76
f.3v
R. D. Preb^r Nicho Besutius Canonicus
eius prebenda e^ in loco Bonij est
redditus modior. duodecim et brentar. m.a 1
.3. uini super quibus fit prandium br. 3
5 unum Capitulo Brebie et uni pro
qualib^ familia supras^pti loci bonij
R. D. Petrus Maria de Tognetis de Brebia
Canonicus et Custos eius Prebenda
est in loco Cardane eius redditus
10 est librar. ------------------------------- y 28
Can^i Absentes
R. D'nus Luduicus Besutius
R. D. Antonius Castrobesutius
R. D. Theodorus Castrobesutius
15 R. D. Preb^r Hector besutius
D'nus Constantius Besutius
D'nus Ambrosius Besutius
Jo: Maria Besutius de Cocho dictus il ciola
R. D. Preb^r Antoninus de Tognetis
20 R. D. Fran.cus
Clapis Can^icus in Ecc^a s.ti Ambrosij M^li
R. D. Fran.cus
Argenteus seminarij Clericus
-o-
Tra i canonici assenti troviamo Gio.Maria Besozzi di Cocquio detto "il ciolo" (che
tra l'altro era sposato con figli) e inoltre notiamo che spicca massiccio il gruppo dei
Besozzi, che evidentemente non si degnavano di stare in un posto decaduto come
Brebbia.
18 - Gio.Maria Besozzi detto "il ciola": e' citato nello stato d'anime del 1576 al n.72 di
Cocquio, con moglie e tre figli, però il soprannome "ciollo" non e' suo, ma di
M.Francesco Besozzi. Tra l'altro, la noncuranza con cui, qui e altrove, si cita il
soprannome "ciollo/ciola", fa supporre che non avesse connotazione ingiuriosa o
ridicola; a meno che non fosse un soprannome "familiare", quindi tramandato di
padre in figlio.
20 - addirittura un canonico di S.Ambrogio di Milano!
77
f.4r
Canonicatus tres vacant, qui sunt redditus
librar. octo pro singulo ------------- y 8
Mazaconicatus
R. D. Preb^r Petrus de Tognetis
5 Mazaconicus
Cimiarcha
Jacet in dicta Ecc^a Capella s.te Margarite
quam possidet R. D^nus luduicus Besutius
predictus
10 Jo Gentil Besozzo affermo essere stato affittato
per M.pre Pietro Martignono come di sop^
et ne rogat. M. Gio: Pietro luino hora
affitato per me mozia dodeci et cara duoi
vino et lib^ sedeci et cosi affermo per la
15 verita
Jo prette pietro ant.o ferretto can:
co ressidente nella
ss.ta can:
ca dico cauare li frutti ss.
ti della prebenda
dil mio can:to
con il carico como di sopra et
per fede mi sono sottoscritto di mia mano per
20 Ego p^br Bernardinus Cas ut supra affirmo ut supra et
subscribo
Ego Preb^r Georgius Batius affirmo ut supra
-o-
5,6 - mazzaconico (insegnante) e cimiliarca (custode delle reliquie): due cariche
antichissime nel capitolo di Brebbia.
10,16,20,22 - le dichiarazioni sono scritte dai vari interessati.
78
f.7r
Adi 17 marzo 1572
Hauuto dal s.' Gio: Ambrosio besozzo
di bardello in due partite
v.di
21 per un ------------------- J 123 ss 16
5 Jtem da q^lli di malgesi per il 3.o
del Can.to
del Caculo per l'
anno 1572 v.di
6 J 35 ss 8
---------------
J 159 ss 4
---------------------------------------------------------------------------------------
La spesa delli ss.ti
10 Denari per me fata
Dato alli maestri cio e M.ro
Pietro di cure di lugano
p^nte M.ro
Thomaso della
caldana di accordio v.di
15 21 br^ due vino per far
rebocar' et inbianchir'
vna naue della chiesa
con le br^ due vino p'tiato v.di
2 J 135 ss 16
Jt. per calzina per me data in
20 particolar adaquata J 8
Jt. alli lauoratori J 4 ss --
---------------
J 147 ss 16
-o-
Questa pagina fa parte della "Nota dei conti delli terzi scossi per me Gentil Besozzo
da 1567 a 1571"; si tratta di note spese interessanti. I "terzi" significano "le terze parti"
delle varie decime, assegnate ai singoli canonici; quelli non residenti, per decreto di
S.Carlo, furono obbligati a versare alla plebana un terzo della prebenda.
4 - v.di
= scudi; lo scudo corrente era lo scudo d'oro di Carlo V, del valore di Lire
imperiali 5 e 3/5; qui però e' calcolato £.5 e soldi 18.
13 - Mastro Tommaso della Caldana: e' citato nello stato d'anime del 1576 al n.11 di
Caldana; nello stato del 1577 e' detto "muratore". Compare inoltre in alcuni atti
notarili conservati all'ASMI.
15 - br(ente)
19 - calzina=calcina
79
f.7v
10 [1574] 1573 per il 3.o
del Can.to
del bracho per
la x.ma
de inarsio per me
scossi J 36 J 36 ss
Li q~lli Denari sono stati spesi
15 in andare a Mil^o per ordine
del Capitulo tre volte et
dare a procuratori nella
causa contra M. Polidoro
Horighono per Deffender la x.ma
-o-
80
f.9r
y^hs
Notta delli Canonici et altri Beneficiati
Absenti dalla Plebe di Brebbia
prima: m. Fran.co
Argenteo
5 M. Jacobo Pedrino
M. Prete Bernardo Feretto
M. Theodoro Besozo
M. Fran:co
Clapis
M. Jacomo Boniperto
10 M. Gio: Maria Besozo da Coco
M. Ant:o Maria besozzo capellano di s:
ta maria di besozzo
M. prospero colona Cappell:o titulare della Nontiatione della Vergine di
besozo
Absenti dalla Canonica sono gli infras:ti Cioe
M. Prete Hector Besozo
15 Jl s.r Ludouico Besozo. Canonico et Capelano della Capella
di s.ta Margaritta in detta Canonica
M. Prete Antonino Tognetto
M. Pietro Maria Tognetto
M. pre Jo Ant:o besozzo capellano titulare di Carnisio absente dalla
20 diocesi
M. Pietro Ant:o besozzo capell
o di s:
to Ant:
o di besozzo
-o-
12 - Prospero Colonna: sarà poi nominato prevosto da S.Carlo dopo la visita del
1574.
19 - assente dalla diocesi: in realtà stava poco distante, a Caravate (diocesi di Como),
dove era curato, e comunque usurpava la cappellania.
11,12,19,21 - queste righe sono di mano del Contorbia, priore di Besozzo e poi vicario
foraneo della pieve dal 1574.
81
Appendice 3
Copia autenticata della fondazione della Parrocchia
82
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84
85
86
87
88
89
Appendice 4
Specifica delle spese sostenute dal Parroco di Bogno P.te Gioachino Trabattoni per
l'ingrandimento della Chiesa Parrocchiale di Bogno e di varie altre fatture alla med.ma
Chiesa di rimborsarsi dalla med.ma Chiesa e per essa dalla Fabbriceria al sud.to Parroco
come d'intelligenza della stessa Fabbriceria=
L'opera incominciò col giorno 28 Luglio 1846 e terminò col giorno 31 ottobre 1846.
1846
28 luglio alla Fornace di Cabiaglio .. 12 di calce £.2:10 Mil.£ 30
id. a Giò Antonio Tatti per varie condotte di acqua, sabbia pagato. 6 .10
1 Ag. a Vincenzo Beltramini di Azio muratore giornate 3.2/4 a £. 2:5 8 8 9
a Francesco Fondini per giornate 3. 2/4 da manovale a £.1.2 " £ 3 17
8 al med.mo capo mastro Vinc, Beltramini p. g.te 7
assieme al suo fratello muratore " £. 15 10
10 al picapietre di Besozzo per g.te 6 pagato " £. 14
12 al falegname giò Batta Fondini per g.te 2 ".£. 4
16 dal 1 agosto al 16 in cibarie cioè pane e formaggio ai condottieri
di mattoni, sabbia, agli scava sabbia fuori del vino, che si noterà in fine " £. 8 5 6
14 al sud.to capo mastro Vinc. Belt.ni per giornate 5 " £ 11 5
id. ad altri due muratori cioè Eugenio Beltramini e Francesco Vincenti
i Azio pagato per g.te 5 cad.no a £.2 cad.no .".£. 20
15 al falegname sud.to Fondini per assi da esso ceduti alla Chiesa. 7
22 Agosto pagato ai muratori per g.te 18 " £. 37 10
25 alla fornace di calce di Cabiaglio pagato per ... 15 a £. 2.10 al peso " £. 37 10
a Venanzio Binda Toppia consegnato per pagare i manovali come nella sua specifica, essendosi
convenuto coi parrocchiani che giusta la destinazione del sud.to Venanzio Binda agente comunale si
sarebbero prestati nei lavori da manovale, e per altre opere occorrenti, ed avrebbero ricevuto dal
med.mo quella mercede al sabbato, che si saranno meritato giusta la qualità dei lavori, e delle persone
che avranno lavorato,
consegnato il g.no 13 agosto " £. 28 7 6
29 al med.mo Binda Toppia Venanzio da pagare come sopra 24 15
31 a Giovanni Mattione detto Gian per giornate 25 .... dal
principio a questo giorno 18 15
dal 19 al 31 agosto per cibaria come sopra a tutto, meno il vino, speso 8 4
4 settembre pagato ai muratori per g.te 37 delle quale n°12 a £. 2.5 77
5 a Giò Ant.o Tatti per 5 condotte di acqua " £. 1 5
5 al sud.to falegname Fondini per giornate 4 " £ 8
Mil.£. 377 2 9
90
retro somma Mil.£. 377 2 9
5 sett.bre al sud.to falegname Fondini per assi da lui
venduti alla Chiesa pagato " £. 4
6 al picapietre di Besozzo per g.te 2.2/4 pagato 6
13 al sud.to falegname Fondini per fattura delle due mezze
lune e porticina per le donne pagato 30
al med.mo falegname Fondini per altre opere a fattura 5
14 a Giò Ant.o Tatti per n° 20 condotte d'acqua a 10 ... cad.no 10
al med.mo per condotte di mattoni dalla fornace 2
17 Dal 30 agosto sinora in cibaria agli uomini condottieri mattoni etc
. e scavatori sabbia in tutto speso 17 8
17 a Venanzio Binda Toppia pel suindicato oggetto consegnato 50
id. al sud.to Binda Toppia pel il suindicato oggetto consegnato 2 10
18 ai muratori due sud.tti per g.te 18 a £. 2 36
id. al sud.to Capo mastro Vin. Belt. per g.te 5 11 5
id. al falegname Fondini per g.te 4.2/4 £. 9
id. al med.mo per altre g.te a £. 1.15 2 12. 6
id. al med.mo per altre g.te 6 a £.1 6
in tutto pagate £. 17 12 6
27 a Gaetano Miglierini per g.te 6 6 12
idem a Baldassare Giubellini per g.te 2 2 8
idem a Fortunato Fondini e Binda David Pietro di Canzio
in tutto giornate 6 ass. 18 5 12 6
30 dal giorno 17 al 30 Sett. per cibaria come sopra in tutto speso 5 14 6
idem alle fornaci di Ispra di calce ... 38 in due volte cioè al 21 e
27 pagato alla med.ma per altri ... 18 in tutto ... 56 in tre
volte pagato 121 10
26 settembre pagato ai muratori sud.ti per g.te 8 a £. 2 16
id. pagato al capo mastro sud.to per giornate 6 a £. 2.5 13 10
idem pagato al falegname sud.to per g.te 6 a £. 2 £. 10
idem al med.mo per altre g.te 6 a £. 1.15 10 10
idem al med.mo per altre g.te 3.2/4 a £. 1 3 10
pagato 24
Il giorno 3 Ottobre 1846 pagato a Baldassare Giubellini per g.te 6 5 8
idem a Giovanni Binda Vanangelo per g.te 6 a ... 18 5 8
idem a Binda Pietro di Canzio per g.te 6 a ... 15 4 10
idem al sud.to falegname Fondini Battista per g.te6 a £. 2 £. 12
idem al sud.to per g.te 6 a £. 1.15 £. 10 10
in tutto 22 10
idem al muratore Binda Eliseo per g.te 6 a £. 1 £. 6
idem al sud.to capo mastro Vincenzo Beltramini per g.te 6 a £.2.5 13 10
idem agli altri due muratori sud.ti per g.te 12 a £. 2 pagato 24
Mil. £. 845 11 3
91
Somma retro Mil. £. 845 11 3
Il giorno 3 ottobre pagato a Giò Antonio Tatti per condotta d'acqua
ed altra dalla fornace per condotta quadrelli, in tutto pagato 3 4
idem a Francesco Binda Rossetti per giornate 3 a .... 18 pagato 2 14
idem a Antonio Binda Farè per giornate 2.2 pagato 2 15
5 8bre per cibaria agli uomini pel suindicato oggetto dal g.no 1 al 5 3 15 6
6 ottobre a Binda Eliseo muratore per giornate 1 pagato 1
8 idem a Giò Ant.o Tatti e Sartori Francesco per due condotte
dalla fornace in tutto 2 14
idem a Ferretti Pietro per 3 condotte d'acqua pagato 1 5
idem a Gaetano Migliarini per aiutare a condurre acqua pagato 10
10 idem al sud.to Capo Mastro per giornate 6 a £. 2.5 pagato 13 10
idem agli altri due muratori per g.te 12 a £. 2 pagato 24
idem a Binda Eliseo muratore per g.te ...
questi venne pagato dal Binda Venanzio sud.to idem a
Baldassare Giubbellini per giornate 6 a ... 18 pagato 5 8
Idem al sud.to falegname Fondini Battista per g.te 6 a £ 2 12
Idem al med.mo per altre g.te 6 a £ 1,15 10 10
18 ottobre al sud.to Capo Mastro Vinc. Belt. per g.te 6 a £.2.5 13 10
al suo fratello Eugenio muratore per g.te 4 a £. 2 pagato 8
idem al sud.to falegname Fondini Batta per g.te 2 a £.2 = £. 4
idem al medesimo per altre g.te 2 a £. 1.15 =£.3.10 in tutto pagato 7 10
idem al sud.to manovale Pietro Binda per g.te 6 a ... 15 " 4 10
idem a Francesco Binda Rossetti per g.te 3 non compiute ... 18 2 10
idem a Giubellini Baldassare per g.te 1 pagato 18
21 ottobre al sud.to falegname Batta Fondini per g.te 1 e2/4pagato 2 17 6
23 ottobre a Binda Toppia Eliseo muratore per g.te 5 pagato 4 10
idem al sud.to Binda Pietro manovale per g.te 4 e 3/4 pagato 3 10
il g.no 7 8bre per calce fatta venire dalla Rasa ... 12 a £. 2.12.6 31 10
il g.no 25 ottobre a Giò Antonio Tatti per 7 condotte gerone a..5 cad. 1 15
idem a Giubellini Baldassare per g.te 2 e 1/4 pagato 2 6
idem a Francesco Binda Rossetti per g.te 4 e 2/4 " 4 11
idem a Francesco Giubellini per g.te 3 e 2/4 pagato 3 3
idem a Binda Giovanni Venanzio per g.te 1 pagato 18
idem a Franzetti Alessio per g.te 6 pagato 5 8
dal g.no 18 al 31 Ottobre il sud.to Capo Mastro Vincenzo Belt ha fatto
gionate n°11 a £. 2.5 quindi pagatogli £. 24 15
Ottobre 31 a Binda Francesco Rossetti per g.te 3 pagato 2 14
idem a Baldassare Giubbellini per g.te 2 pagato 1 16
Mil. £. 1059 12 9
92
Somma retro di Mil. £. 1059 12 9
31 ottobre a Binda Eliseo muratore per g.te 2 pagato 2
idem a Binda Pietro muratore per g.te 2 " 1 10
Il g.no 18 agosto per vino provveduto dal M.R.S.Coadiutore di Besozzo
Brenta 1 a £. ... pagato al dud.to a mano della Fabbriceria di Bogno 21 5
Riguardo poi a tutto l'altro vino tanto prima del sud.to giorno 18 come dopo .......
il sud.to vino provveduto, fu tutto comprato del mio vino, dandone un boccale al
giorno ai singoli muratori e falegnami, n°3 bicchieri agli uomini di giornata,
ai caratori nella loro condotta ed anche agli scava sabbia, del quale mio vino
tenuto esatta nota dal mio servo Felice Sartori ha rilevato essersene consumato,
compreso anche il vino occorso per il suolo della nuova fabbrica a fianco dell'Altar
Maggiore, Brenta due, staja due .... uno. Diconsi B.te 2 St. 2 ..... 1 che a
Mil. £. 26 come l'ho venduto ad altri formano la somma di 73 15
Il g.no 5 ottobre al fornasajo di Beverina sotto Besozzo
Tanchino Giovanni acconto dei materiali somministrati alla
Chiesa pagato Mil. £. 77 17 6
Il giorno 25 ottobre 1846 dato al med.mo fornasajo altre £. 113
Il g.no 28 febbraro 1847 pagato al med.mo fornasajo a
pieno saldo di tutta la sud,ta somministrazione £. 7
Il g.no 19 novembre 1846 al fabbro ferrajo di Besozzo a conto
delle fatture di ferro, e ferramenta somministrati alla Chiesa
come da sua specifica pagato £. 56 15
a Crescenzio Binda Toppia per vetri alla mezza luna, ed
alle finestre come da specifica pagato 24 10
Il g.no 25 9bre 1846 a Binda Toppia Venanzio per avere egli
speso del proprio di più di quanto a lui consegnato da me come
qui sopra notato nel pagare i lavoratori come da sua specifica
pagato a pieno saldo Mil. £. 36 7 3
Il g.no 10 Dicembre 1846 pagato a Delmenico Giovanni Svizzero
fornasajo in Besozzo per somministrazione di materiali come
da sua specifica Mil. £. 74 5
Il g.no 12 Dicembre 1846 pagato al fabbro ferraio di
Besozzo Giovanni Biganzoli a pieno saldo della sua
specifica di £. 194.3 altre Mil. £. 125
Il g.no 14 Dicembre 1846 pagato al Sig. Natale Passera
della Bozza per somministrazione di assi, ..... ed.altre
come da sua specifica Mil. £. 90
Mil. £ 1762 17 6
93
Appendice 5
Comune di Bogno = Mandamento di Gavirate
Dichiaro io sott.o Colombo Giuseppe di professione
pittore domiciliato in Varese di aver fatto in pittura le
seguenti operazioni di restauri a nome e commissione della
Fabbriceria di Bogno alli
I° ai quattro busti intagliati a £. 10 cadauno £. 40
II° all'immagine della Beata Vergine in detta Parrocchia £. 30
III° alla statua di S.Giuseppe – vero capolavoro, altre £. 30
del totale importo di £. 100
E ho ricevuto dalla sudetta Fabbriceria
di Bogno a mano del Sig. Parroco
sud.to D. Gioachino Trabattoni,
l'intiera predetta somma
In fede
Colombo Giuseppe
Pittore
Bogno adì 19 Agosto 1876
94
95
Appendice 6
Dalla Pia Causa Monteggia dal 7 febbraio 1844 pella distribuizione ai poveri di Bogno giusta
l'intenzione del testatore Pio Parroco a mezzo dell'amministratore Sig. Paolo Pirinoli di Besozzo
a tutto il 1847 incluso ho ricevuto la somma in varie volte di mil. £. 1938,10 = della quale
somma al 31 Dicembre 1847 come da mie annotazioni nei singoli mesi di essi anni compreso
l'importo dei medicinali ho distribuito mil. £. 1755.0.3
rimanenza dunque da distribuire ancora mil. £. 183.9.9
1849 10 Maggio dall'amministratore ricevuto " 200
14 Settembre " 200
1850 18 Aprile ricevute dal medesimo " 69
5 Giugno ricevuto, altre 2 Luglio 1850 ricevute altre " 131
1850 27 Agosto " 200
dal 1 Gennaio 1848 in avanti, nulla più avendo ricevuto dall'amministratore
med.mo pella distribuizione rimangono in cassa da distribuire £. 983.9.9
Distribuito dal 1 Gennaio 1848 a tutto febbraio 1848 £. 45.1
in Marzo ed Aprile " 18.17
Maggio e Giugno " 19.8
Luglio ed Agosto " 15.15.6
Settembre ed Ottobre " 17.3
Novembre e Dicembre " 41.6 .
In tutto il 1848 mil. £. 157.10.6
Distribuizione 1848 mil.£. 157.10.6
in tutto l'anno 1849 " 299.15
" " " 1850 " 277.10.9
" 734.16.3
nel 1851 distribuito " 94.15
in tutto il 1852, 1853 " 13.10
843.01.3
1851 in gennaio £. 40.18.3
febbraio " 2.16
marzo " 6.8
aprile " 9. 7.9
maggio " 3. 9
giugno " 14.11.6
luglio " 3.13
Agos, Sett, Ott, Nov, Dic. " 13.11.6
94.15. --
Quindi ricevuto in tutto compresa la
rimanenza al 31 Dicembre 1847 di mil. £. 183.9.9
in totale da distribuire mil. £. 983.9.9
Dal 1 Genn. 1848 a tutto il 1853 - 843.1.3
rimarrebbero da distribuire mil. £. 140.8.6
96
Appendice 7
Archivio della Curia Arcivescovile di Milano
Sez. Visite Pastorali, Pieve di Besozzo/Brebbia
--------------------------------------------------------------------------------------------------
------
Vol.6 q.20:
1636 - Relazione dei danni subiti per l'incursione della
Lega antispagnola
Intestazione f.1r
Lettera di accompagnamento del visitatore; Besozzo f.2r
Inarzo e Bernate f.4r
Cazzago f.4v
Ternate f.5v
Comabbio f.6v
Osmate f.7v
Cadrezzate f.8r
Travedona f.8v
Brebbia f.9v
Biandronno f.10r
Bardello f.10v
Gavirate f.11r
Bogno f.11v
Carnisio f.12r S.Andrea f.12v
Cardana, Monvalle f.13r
Ispra, Cocquio, Comerio f.13v
-o- E' la bella copia dell'elenco dei danni subiti dalle chiese della pieve ad opera delle truppe
alleate di Francia, Savoia e Parma durante la Guerra dei Trent’anni; dopo la battaglia di
Tornavento (22 giugno 1636), dall’esito incerto, esse si sparsero a saccheggiare nel Varesotto
fino a metà luglio, e precisamente nelle pievi di Busto, Gallarate, Somma, Mezzana, Arsago,
Angera, Besozzo, Leggiuno e fino a Gemonio nella Valcuvia (diocesi di Como).
Nel vol.19 q.28 c'e' una minuta, con aggiunte e correzioni, e ci sono poi altri frammenti
della stessa relazione nel vol.6. In questa copia si trovano delle annotazioni a margine, prob.
scritte dal Vicario generale, riguardo alle sovvenzioni da concedere, limitate naturalmente allo
stretto necessario per la celebrazione delle funzioni.
Molti parroci riuscirono a salvare parte degli arredi sacri, fuggendo in genere al di là del
lago (Intra, Pallanza, Cannobio) ma anche a Luino o a Lugano. Il più efficiente fu il curato di
Ternate, che salvò quasi tutto e se la cavò solo con la perdita delle provviste, mentre il più
inetto fu il curato di Brebbia, anche a motivo della sua disabilità (era sordo). Il curato di
Biandronno si ritirò a casa sua in Valcuvia conducendo con sé il popolo. A Gavirate invece il
danno fu fatto non dal nemico, ma dalle truppe amiche provenienti da Varese.
Questa relazione e' indirizzata all'arcivescovo; l'inviato che scrive potrebbe essere il
visitatore della 2.a regione mons.Casati.
Questo documento e' già stato trascritto da L.Giampaolo sulla Riv.Soc.Storica Varesina,
luglio 1973.
La scrittura e' larga, rotonda e chiara.
97
f.1r
Plebis Besutij
Relatione del Danno che hà patito
la seconda Regione, et del stato
nel quale si ritrova di presente
5 per l'Jncursione fatta jn essa
Da francesi. ~ alibi. 1636
-o- 3 - 2.a regione: la Diocesi di Milano era suddivisa in regioni, e la 2.a regione comprendeva le pievi
di Angera, Brebbia/Besozzo, Leggiuno, Travaglia e Cannobio.
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------
f.2r
Em.mo
et Reu.mo
Sig.re
Per essecutione dell'ordine col quale .V.E. mi comandò di
andare nelle
Pieui della seconda Regione, per uedere, et riferirgli li
danni che le chiese, et Clero di esse hanno patiti dall'
5 incursioni del nemico francese fatta puoco fà in questa
Diocesi, essendomi assicurato che solam.te quelle di
Besozzo,
Leggiuno, et Angera erano soggiaciute à tali incursioni
mi sono transferto ad esse, et hauendole transcorse tutte
à Terra per Terra, le ho ritrouate nel stato che hora
10 son per riferire à V.E. et è il seguente.
Pieue di Besozzo.
Besozzo.
Nella chiesa Prepos.le
Plebana di Besozzo per la uenuta
iui dell'essercito francese che ui dimorò undeci giorni
15 continoui, è seguito l'infr^o danno.
Si sono persi vna Pianeta di Damasco Bianco.
Segli dano Palij di seta n.° 10: Touaglie n.° 10.
scudi dieci Touaglie n.° 10. Pissidi n.° 2.
per rifare il Calici n.° 2. Vn Tabernacolo gestatorio. Tabernacolo gestatorio
-o-
16 - pianeta: veste del sacerdote
17 - palii: drappi per le varie funzioni
19 - tabernacolo gestatorio: adatto al trasporto, nelle processioni.
98
f.2v
Cera per il ualore di scudi 30.
Rotto il Tabernacolo dell'Altare
Stracciate in Bende le Tapezzarie, cioe.
Pezzi di Corame n.° 4.
5 Leuati li coralli dal collo alla B.V.
Leuato dal Tabernacolo un Padiglione di Tela s.Gallo.
Leuate, et portate uia le canne dell'organo quale
hanno spezzato.
Li Vasi di Rame per seruicio della chiesa, et sacristia
10 in tutto, per il ualore di scudi 400.
Vn quadro di ualore di J 100.
L'altre cose più pretiose, cioe argenti, et paramenti
più pretiosi si sono conseruati.
Nella chiesa Di s.ta Maria jn Besozzo.
15 Auisare li padroni/ Capell.a Jusp'ronato De ss.
ri Besozzi.
Leuati calici n.° 2. con la coppa d'Argento.
Patene n.° 2. Corporali n.° 2.
Touaglie n.° 2. con un camice, et frontali 2.
Vn quadro di valore di J 200.
-o-
4 - corame: cuoio
17 - patena: piattino che si mette sotto al calice
17 - corporale: quadrato di lino su cui si posano le Specie eucaristiche e i vasi
sacri
18 - frontali: veli di tela frangiata per coprire gli altari
99
f.3r
Nella Chiesa Di S.to
Antonio
Jusp'ronato Gio. Besozzo.
Hanno leuato Touaglie n.° 3.
Palio uno, frontale uno, et sciugatore uno.
5 Nella casa annessa à questa chiesa, la quale è la ressi-
S'auisino li denza del Theol.° di questa collegiata, hanno leuato
Patroni./ vino, grano, Biancaria, et Letti, in tutto per il
ualore de scudi 200.
Nella chiesa Di s.to
Nico jn Besozzo.
10 Vn calice con la Patena; Pianete n.° 3.
Camici n.° 2. Touaglie n.° 6.
Tutti li veli delli calici; seta lib^ 4.
Nella casa Prepositurale hanno leuato tutti li quadri
di ualore di J 400.
15 Brente di uino n.° 360.
Peltro, Rame, Biancaria, maiolica spezzata,
letti, alla somma computato il uino di scudi 1500.
Alli Massari della Prep.ra
, Bestie per il ualore di Δ.ti 350.
A tutto il capitolo, cioe Massa Ressidentiale sono stati
-o-
15 - 1 brenta = litri 75
19 - massa residenziale: beni del capitolo, ossia dei canonici residenti
100
f.3v
abrugiati cinque massaritij, cioè uno nel luogo di
Osmate, duoi à Cadrezzate, uno in Brebbia, un'altro
in Jnarsi, insieme con tutti li frutti, che à quel tempo
si ritrouano raccolti, cioe frumento, segale, fabe,
5 auena, e simili, che sarà di danno alla detta massa
ressidentiale de Δ.ti 300. d'entrata per l'anno
presente, oltre quello della case abrugiate che si
doueranno reparare, et delli crediti che tiene il
Capitolo contro detti Massari.
10 Perciò si mette in consideratione à S.E. come puotranno
li Titolari, et massime li Capitolari far la ressidenza
et sodisfare alle altre obligationi, non potendo essigere
li frutti come sopra, sendo li Massari, altri abrugiati
altri amalati, altri sacchegiati, et leuate tutte le
15 Bestie, massime douendoseli dar da seminare, et non
dandosi restaranno li Beni inculti, et leuate l'entrate
per gl'anni seguenti.
Per i sodetti rispetti, et per il mancam.to
degl'habiti cho-
rali, la Ressidenza resta sospesa.
20 Besozzo farà fuochi n.° 150: sono statte abrugiate
case n.° 20. frà quali uene sono cinque de nobili, nel
-o-
15 - da seminare: mediamente si doveva metter da parte ¼ del raccolto per la
semina
101
f.4r
capo della Terra. Le altre case sì del clero, et nobili
come del Popolo tutte sacchegiate, et leuato ogni cosa
fuori che qualche puoco di legname, puoiche quello
non puotero portare seco, et dispensare; lo gettor-
5 no nè Pozzi et lo dispersero alla peggio che seppero.
Jnarsi e Bernate.
Queste Chiese hanno un solo Curato il quale se bene al p.°
auiso che i francesi s'auicinauano alle sud.e Terre, si
sforzò di portare seco sopra le proprie spalle fugendo
10 le cose di mag.r ualore, ad ogni modo per la fretta non
puotè dar in parte al tutto, onde fù necessitato lasciar
l'infr^e, le quali restano preda del nemico.
Nella chiesa d'Jnarsi. Pianete n.° 7. Due di Damasco,
le altre di seta; Palij n.° 3. Camici n.° 2.
15 Touaglie n.° 5. Sciugatori n.° 2.
Jl Padiglione del Tabernacolo, con un Piuiale.
Jl Baldachino per portare il S.mo
Sac.to
agl' infermi.
Una Nauicella per l'incenso.
Trè frontali, vna continenza; sei lib^ di cera inc.a
20 Nella chiesa di Bernate; Touaglie n.° 2.
-o-
16 - piviale: indumento tipo mantello per celebrazioni liturgiche diverse dalla
messa
19 - continenza: velo per proteggere il Ss.mo
quando il sacerdote da' la
benedizione oppure lo porta agli infermi.
102
f.4v
Vn Camice, vna Pianeta di seta.
Jl velo del crocefisso; lib^ 6. inc.a di cera.
Dalla Casa Parochiale, hanno leuato segale mog. 4.
et altretanti di frumento.
5 Tutta la Biancaria, Vino, Rame, Peltro, et altri
mobili, et utensilij, et doppò la Terra è anche tem-
pestato.
Jl Curato hà d'entrata J 300. l'anno che gli paga-
no gli huomini della Cura, parte in grano et
10 parte in uino, et parte in danari.
Per la metà Per suo solleuamento, questo Curato sup.ca
V.E. à far
della dozina gratia ad' un suo Nipote, per nome Carlo fran.co
Ran-
con che proueda zano, che hà in seminario della Dozena.
il uino per dir Le sud.e Terre hanno patito il fuoco in trè delle mi-
15 la messa et mi gliori Massarie, et faranno frà tutte due fuochi
nistrar i sacram.ti n.° 35.
Cazzago.
Jn questa chiesa sono statti usati termini straordinarij
di Hostilità.
20 Hanno spezzato il vase dell‟acqua Battismale
-o-
2 - 1 libbra (piccola) = gr.327
3 - 1 moggio = 8 staia = litri 146,2
6 - tempestato: grandinato
13 - la "dozzina" e' la retta del seminario, che paga il Curato per suo nipote.
Questo nipote e' citato nell'elenco dei chierici del vol.19 quint.33.
103
f.5r
se gli diano li uasi e gettatala per terra; portati uia li vasi degl' oglij
degl'ogli sacri, sacri; Aperta una sepoltura, e gettatoui dentro
et una Pisside per un cane che ui è statto uiuo quindeci giorni,
gl'infermi./ spezzate le cassette, et Bussole, e leuate l'elemos.e
5 Portati uia duoi camici, vna Pianeta bianca
vna Pisside, tutti li Purificatori; la coperta
del Battist.° e dell'Altare.
Jl Curato hà conseruato il calice, et una sola Pia-
neta; si può aggiutare questa chiesa con la lic.a
10 di lauorare la festa, et in part.e di pescare, et
aplicare il guadagno ad'essa.
Sono fuori dei danari di questa chiesa da scudi cento inc.a:
hauer il nome procurare con precetti di rescuotergli, altrimente il
de debitori, et metter l'interdetto alla chiesa, sè frà tanto tempo
15 mandargli gli non si pagaranno. questo raccordo è statto datto da
precetti. alcuni Principali della Terra.
questa chiesa è in fabrica, et è in assai buon termine
et quest'anno si sono fatte dal Commune due
campane, et campanile, con spesa effettiua
20 di mille, e cento lire.
Jl Curato è rimasto dannificato nelle cose seguenti.
-o-
4 - bussole: cassapanche
6 - pisside: vaso sacro che contiene le ostie per la comunione
6 - purificatore: fazzoletto di lino 25x40 che serve nella messa per asciugare le
dita, le labbra, il calice e per purificare la patena e il calice
12 - sono fuori: cioè sono in mano a debitori
13 - precetti: ingiunzioni di pagamento
15 - cioè questa notizia e‟ stata data da alcuni notabili del paese
17 - la chiesa di S.Carlo di Cazzago era in fabbrica da più di trent'anni
104
f.5v
Tutto il uino che haueua in casa, Due cotte,
Vna sottana, et la ueste Parochiale.
Tutta la Biancaria, Due Vacche, et un Vitello.
Tutta la Prouisione cibaria
5 formento st.a 12. et altritanti di legumi.
Abrugiata la casa del Massaro col grano che
ui era dentro del suo fitto, e però non sà con
che uiuere l‟anno seguente.
La sua entrata è de J 300. inc.a in tanti Beni,
10 et Primitia.
La Terra è abrugiata per un quarto
Ternate.
Questa Parochiale è statta anch'essa mal trattata
mà non al pari dell'altre, perche il Curato si
15 ritirò per tempo à Palanza, e portò seco le sup-
pellettili migliori di essa.
Gli hanno però leuato Palij n.° 5.
Vna Pianeta di seta Pauonazza.
Vn Piuiale di Damasco bianco.
20 Due Touaglie dell'Altare, et alcuni corporali.
-o-
105
f.6r
Jl Tabernacolo gestatorio, Tutta la Cera, et Oglio,
Jl Curato hà perso tutto il mobile di casa, grano, uino,
fieno, et quanto haueua.
Hà d'entrata J 500. inc.a in tanti Beni, et Primitia.
5 Hà bisogno d'un Piuiale rosso, et d'un Tabernacolo
gestatorio.
Si diano scudi Jn questa chiesa al p^nte non si Batteza, perche
dieci da spen- hanno guasto il vaso Battismale, et dispersa
dersi nelle cose l'acqua.
10 piu necess.e con quest'anno questa chiesa sè abbellita più di quello
participat.e del era, et si è incominciata la cinta del Cimiterio.
ver... Jl s.r Gio: Besozzo in chiasc.° giorno di uenerdì è tenuto
far celebrare una messa in questa chiesa, al qual
Procurar che si obligo un pezzo fà non si sodisfa, si puotria ap-
15 sodisfi plicare il decorso per la reparatione delle sud.e cose
Similm.e i sig.
ri Trecchi da Verano membro di questa
Jl Promotore de Cura deuono far celebrare tutti i giorni festiui di
legati pij precetto, et trè feriati per settimana, mancano
faci le sue per trè anni dalla celebrat^ne; Jl curato dimanda
20 dilig.e l'essecutione anco per questi, perche in tal modo
si solleuarebbono uno puoco li sacerdoti uicini, da quali
-o-
20 - l‟esecuzione: giudiziaria, cioè che siano costretti a pagare
106
f.6v
si farebbono dire le messe mancate, et per questo
effetto si puotrebbono sequestrare i frutti presso gl'
affittuarij de d.i signori, nel medemo luogo di
Varano.
5 Comabio.
Per l'occasione sud.a questa chiesa è statta spogliata de
duoi Palij, vna Pianeta, vn Camice,
Duoi Padiglioni del Battist.°, vna Pisside picciola
per gl'infermi, tutte le Touaglie dell'Altari.
10 J Purificatori, et Candeglieri d'ottone.
L'Jmagine della B.V. spogliata à fatto.
Jl resto della supellet.le
è statta conseruata dal Cur.°
che la portò seco à luino, oue si ritirò.
Dalle case del Cur.° sono statte leuate br^e .18. di uino
15 trè letti, con un matterazzo, Peltro, Rame,
Maiolica, jl tutto per ualore de Δ.ti 50.
Centanara .50. di fieno condotto uia, et Dieci
vanelli di tenuta di br^e 3. e 4. l'uno.
quatro Mogia di grano ch'hauea in casa.
20 Per l'abrugiamento delle case de massari
-o-
17 - 1 centinaio = 100 lib.grosse = kg.76,25
18 - vanelli: tinozze
107
f.7r
in un partito ha perso mog.a 8. et st.
a 4. segale.
et mog.a 2. formento; in un'altra partita mog.
a 4.
segale, et 2. formento, in un'altra partita mog.a
4. segale, et st.a 4. formento.
5 Due Vacche di prezzo di J 120.
Vn paio de Boui tolti alli Massari di ualuta di J 200.
Vn scrittorio di ualuta de J 125.
Danno Dato Alla Capella, et
Capell.° Della stessa chiesa
10 Di Comabio.
Alla capella hanno leuato una Pianeta di Damaschino
et un camiso con suo Amito, cordone, stola, et Mani-
polo, Due Touaglie tolte giù dagl'Altari.
e la coperta degl'Altari, et Ancona.
15 Al Capellano hanno leuato sei mog.a di segale che
haueua in casa, cinque che gli restaua il Massaro
al quale l'hanno leuato i francesi, et strame per
dieci scudi; sei brente di uino, una cotta,
tutta la Biancaria, tutti gl'Vtensilij di casa.
20 Jl danno che seguirà per non essersi puotuto seminare
il miglio, et coltiuare il già seminato.
-o-
14 - ancona: pala d‟altare
108
f.7v
et per le messe mancate nel tempo che è statto absente.
Questa Terra hà patito danno dal fuoco per un terzo, et
è de fuochi n.° 50.
Osmate.
5 Sono statte leuate à questa Parochiale, Pianete due di
rasetto di uarij colori, Duoi camisi, vn calice,
vna Pisside, Duoi corporali, Duoi veli da calice.
Si proueda di Duoi veli d'Altare, gli vasi degl'oglij sacri.
un calice con Al Curato è statta tolta tutta la Biancaria,
10 la coppa d'argento. vna Veste, et un Mantello.
Hà d'entrata J 500.
Jn questa Terra che è de fuochi 19. sono abrugiate
quatro case de Massari.
Jl Curato si ritirò à Lugano per 12 giorni,
15 Jl mag.r bisogno che habbia questa cura adesso è
d'un camiso, d'una Pianeta, e dei vasi degl'oglij
sacri, non essendoui in essa alcuna forma di proue-
derui, per la pouertà dei Parochiani, i quali fugen-
-do andorno dispersi per le montagne uicine, lascian-
20 do in preda le loro case, et mobili al nemico.
-o-
109
f.8r
Cadrezzate.
Questa Parochiale non hà patito molto danno quanto alle
cose della chiesa, perche il curato che hebbe tem-
po di ritirarsi à Canobio, portò seco tutto il meglio
5 di essa.
quei puochi paramenti che per esser uecchi lasciò à
dietro, li hanno fatti in pezzi, et anco spezzato l'
ostiolo del Tabernacolo sopra l'Altare, qual'erà
uoto; furno aperte le sepolture, et spezzate le
10 pietre di esse;
Sono abrugiati duoi terzi, e più di questa Terra
la quale farà fuochi 45.
Jl Curato hà perso tutto il grano che è il mag.r neruo
di tutta la sua entrata; cent.a 40. di fieno.
15 Tutta la Biancaria, et Mobile.
Jl danno in tt.° sarà de Δ.ti 400.
questo Curato è ben nato, et hà buoni talenti, e già
hauea sup.to
.V.E. per il bisogno che hà di assistere alla m^re uecchia, et à duoi suoi fr^elli, et ad'una sorella che
tengono casa
20 in Ml^no, et hora di nouo hum.te
gle né fà instanza
-o-
8 - ostiolo: porticina
10 - le lastre di copertura delle tombe
110
f.8v
Trauedona.
Sè bene il Curato nel principio di questi romori partendo dalla
Cura per andar à Locarno, oue si ritirò, portò seco tutte
le robbe più pretiose di essa, hà però patito la perdita,
et
5 danno delle seguenti.
Spezzatagli l'inuitriata auanti l'imagine della B.V.
leuandogli dai Deti un'anello d'oro, et duoi d'argen-
-to, e dal collo della medema due fille de coralli,
di peso di on^ 4. et da dosso, vn manto fatto à fiori
10 con li Pizzi d'oro fino, e più leuato l'oro fino dalle
vesti della stessa B.ma
V.
Spogliato il Bambino che hà in braccia d'una uestina
di Brocatello, et anco toltagli la tenda che si
tiraua auanti la d.a s.
ta Jmagine.
15 Due Touaglie all'Altare di s.Rocho.
La Tenda dell'Ancona del med.° Altare.
La coperta del crocefisso di ormesino cremesino
con li pizzi d'oro attorno.
Libre 30. di cera noua.
20 quatro corporali, jl Turibolo, et Nauicella.
-o-
9 - 1 oncia = gr.27,2
17 - ormesino: tela leggera di seta, detta anche "moire" alla francese 20 - turibolo: attrezzo per bruciare l‟incenso, formato da una navicella sospesa a tre
catenelle
111
f.9r
Vna Pianeta di Raso giallo.
Vn'altra di veluto nero con lauori d'oro.
Vn Camice frusto, Due Borse degl'oglij santi.
Le frangie d'oro, et seta de duoi Palij.
5 Jn sagrestia, rotto il Vestiario, et Bussola.
Vna continenza di uelo con oro falso.
Al Cur.° sono statte leuate le infr^e robbe.
Brente n.° 6. inc.a di uino rosso, et bianco.
Abrugiata una saletta inferiore, un Lettera, Letto,
10 et Paiazzo.
Stara .10. segale, vna caldara di tenuta d'una brenta.
Molti pezzi di ferro per uso della casa.
Vn' Letto con li cossini.
Vn sacco de Panni per inuerno, qual'era riposto
15 nella sagrestia, con una coperta noua.
questa Terra è de fuochi 72., et hà patito il fuoco
senon in due case, il resto però è stato tutto sac-
chegiato.
L'entrata del Curato è de J 800.
20 questa chiesa è in fabrica, et à quest'hora è fatta
del tutto la capella mag.re;
il resto bisognarà
-o-
5 - vestiario: armadio
9 - lettéra: telaio di legno del letto
112
f.9v
aspettare mag.r bonazza di tempo per compirlo.
Nella chiesa di Monate membro di questa Parochiale
hanno portato uia le sac. reliquie, et non altro,
per esser quella chiesa pouera.
5 Jl capellano di Monate haurà patito danno per
mobili rubati in casa circa J 100.
Brebbia.
La Parochiale di Brebbia ha hauto l'infr^o danno.
Gli hanno leuato dai calici due Pissidi
10 Vna pianeta et il Tabernacolo gestatorio, Turibolo, et Nauicella
di caneuazzo bianco Sedelino dell'acqua santa, Palij 3. duoi di
di seta. il velluto, et uno d'ormes.° bianco.
s.r faccio la darà./ quatro Pianete, Duoi veli con frangia d'oro.
Vn velo di Camisi, e tutta la Biancaria della sagrestia.
15 calice, et un Jl Baldachino di velluto con frangie d'oro.
corporale./ li vasi degl'oglij sacri, la lampade.
Jn somma questa chiesa è rimasta spogliata d'
ogni cosa fuorche d'un Pallio.
questi danni si puotranno riparare in parte con
20 far fare che gli debitori della chiesa paghino
-o-
11 - sedelino: secchiello
13 - sig. Faccio: citato anche al f.12r, prob. era il tesoriere della visita
113
f.10r
et di già si sono fatti consignare al s.r Preuosto di
Besozzo Vicario foraneo dieci scudi, da un debitore
della chiesa per comprare un calice, et una Pis-
side per gl' infermi.
5 Jl Curato hà perso tutto il suo mobile, grano, et uino,
per il ualore de scudi cento.
Gli sono abrugiati trè sedimi di case dei Massari
della chiesa.
Si ritirò à Jntra, e non portò seco cosa alcuna, è inha-
10 bile à fatto à far cura d'anime per esser sordo,
per il qual rispetto anco è accaduta à questa
chiesa tanta rouina.
è abrugiata la metà della Terra che farà
fuochi 45.
15 Biandronne.
questa Parochiale hà patito puoco danno cioe solam.te
Delle Touaglie dell'Altare et
Se gli crompino Dei vasi degl'oglij sacri, De duoi ueli d'ormesino
li uasi degli ogli con frangie d'oro, e della continenza.
20 sacri./ L'Jmagine della B.V. è restatta spogliata del tutto.
-o-
114
f.10v
Jl resto della suppellettile si è conseruato per opera del
Curato chel nascose, il quale si ritirò à casa sua
in Valcuuia col suo Popolo che lo seguitò.
Jl Curato hà patito il danno de scudi 25. ò 30. inc.a
5 per il uino, et mobile che gli fù leuato.
questa Terra non hà patito danno alcuno dal fuoco
Bardello.
Magiore è statto il danno di questa, perche essendo
10 statta colta alla sprouista, non hebbe tempo di
dare in parte à cosa alcuna.
Gli furno però leuati gli vasi degl'oglij sacri fatto in Pezzi il ciborio del Battist.°
Tutta la cera che sarà pesata lib^ 15.
15 Camisi 3. con suoi amiti et cordoni.
Duoi corporali, Tutti li Purificatori.
quello che è rimasto, cioe calici, Pissidi è
tutto guasto, perche nel nasconderli, si rup-
pero per far la cosa in fretta.
20 Jl Curato hà patito danno de tutto il suo mobile
-o-
13 - ciborio: coperchio del fonte battesimale
15 - amitto: indumento liturgico di lino che copre il collo e le spalle del
sacerdote
115
f.11r
Tutte le cotte, et vesti, Biancaria
Brente 24. di uino, tutto il grano
Abrugiate 3. cassine della chiesa con un
Torchio di valore in tutto di scudi 800.
5 questa Terra farà fuochi 25. et è abrugiata la
metà.
Gauirate.
questa chiesa non hà patito alcun danno da
francesi per la diligenza del Curato che essendo
10 più lontana delle altre, hebbe tempo di tras-
ferire ogni cosa in luogo sicuro.
Ma il danno l'hà patito il proprio Curato nella
Si diano al casa, et nella persona da quelli di Varese, et di
Curato dieci Biumo, il capo de quali fù Carlo Carcano, qual
15 ducatoni./ sotto pretesto di perseguitare i francesi, entrò
hostilm.te
nella casa Parochiale, la quale
spogliorno à fatto di quanto si trouaua dentro,
sì di grano, e uino, come de suppellettile, prouis.e
cibaria, et d'ogn'altra cosa.
20 Dà francesi però, sono rimaste abrugiate in questa
-o-
1 - cotte: tonache
116
f.11v
Terra case 17. et farà fuochi 130.
Bonnio.
questa Parochiale hà patito il danno d'un Palio et
Si diano alla Touaglie 3. Cotte 2. Vn camise, et sciugatori .5.
5 chiesa J 40. Vn Baldachino per il s.mo
sac.to
per far un bal- Cera lib^ 37.
dachino, et J 40. Sono statte aperte, e spezzate le Pietre delle sepolture
per il curato./ spezzato il Tabernacolo s.a l'Altare, mà non ui
era il s.mo
sacram.to
perche il curato l'haueua
10 consumato il quale anco hauea datto in parte
al rimanente della suppell.le della chiesa.
Jl medemo Curato è statto spogliato di tutto il suo
mobile di casa di uestiti, Biancaria, uino,
grano.
15 L'entrata di lui consiste in J 360. che li sono
datte dal popolo, il quale sarà quasi inhabile
à pagare per un pezzo, per esser statta la Terra
abrugiata per la metà che p.a era fuochi
30. inc.a
-o-
117
f.12r
Jl Curato di Brebbia è debitore alla fabrica di questa
che paghi/ chiesa di J 50. lasciateli da una donna che l'
instituì herede con questo carico.
La casa Par^le è in fabrica, ma per questi accidenti
5 non si puotrà ridurre à stato di poterla habitare
sì per l'impotenza degl'huomini, come per essere
statta spogliata di tutto il mobile, onde il curato si
che il popolo è ritirato à casa sua à Laueno discosto 4. miglia
li troui un' da doue uiene ogni giorno alla cura, mà l'inuerno
10 altra casa. non lo puotrà fare così frequentem.te
Carnisio Membro Della Cura Di Cuoco.
A questa chiesa è statto leuato il calice con la
Jl calice Patena, Due Touaglie, Vna cotta.
del refugio l'jnstromento per dare la Pace
15 s.r fassio./ J vasi degli oglij sacri; sei lib. di cera.
Nella casa del Titolare, vino, grano,
Rame, et altra suppellettile alla somma
de scudi cento.
-o-
14 - lo strumento per dare la pace= e' relativo alla cerimonia del "bacio della
pace"
18 - scudi 100= lire 625, una grossa cifra per Carnisio
118
f.12v
S.to
Andrea.
A questa chiesa sono statte leuate Touaglie .7.
Camisi .3. la coperta dell'Altare.
vna Pianeta di ormesino uerde.
5 Due cotte;
Jl resto fù conseruato dal curato che lo trasportò
in luogo sicuro.
L'entrata di questo Cur.° è di J 400. che gli paga
il Popolo, del quale son rimaste abrugiate
10 undeci masserie, e prima erano in tt.° fuochi
n.° 40.
A questo Curato .V.E. fece dare quà à Ml^no quatro
scudi di elemosina, e li aplicò anche quell'altra
che il giorno di s.to
Bartol.° si farà quest'anno
15 ad un oratorio membro di d.a Cura, per la perdita
che hà fatto di tutto il suo mobile.
-o-
12 - qua a Milano: sappiamo che la chiesa di S.Andrea fu interdetta dal 1633 al
1636 e in quegli anni il curato era a Milano all'Ospedale Maggiore con una
rendita.
119
f.13r
Cardana.
La chiesa Paro^le di Cardana è statta dannegiata dall'
incursioni de francesi nelle seguenti robbe.
Vna Patena, vn Turribolo, e Nauicella.
5 Vn Pallio Pauonazzo di Damasco.
Due Pianete, tutto l'oglio, e cera della chiesa
per il ualore de scudi quatro.
Le altre cose furno conseruate dal curato, trans-
portandole dilà dal lago; la cui entrata è
10 de J 400.
Se gli proueda questa chiesa hà bisogno d'una Patena
della patena./ Jl Curato trà grano uino, et decima non scossa
et mobili dissipatili, hà patito danno di Δ.ti 20.
La Terra è de fuochi 28. et hà hauto il fuoco
15 in una sola masseria
Moalle.
La chiesa non è statta dannegiata in cosa alcuna
mà si bene la casa Parochiale, dalla quale
-o-
120
f.13v
è statto leuato tutto il grano, uino, rame, Peltro,
Biancaria, vesti del curato, et ogn'altro mobile.
Jl danno ascenderà alla somma de J 700. et altre
tanto è l'entrata del curato la quale consiste
5 parte in Beni stabili, parte in primicia,
mà quest'anno non si puotrà scuodere, per
essere li Parochiani tutti restati spogliati.
questa Terra farà massericie 18. delle quali
ne sono rimaste abrugiate 4.
10 Jspra.
questa Paro^le non hà patito danno di considerat.e
perche il Curato haueua datto ordine ad'ogni
cosa; solo la casa Parochiale è statta sacche-
giata di tutto quello che si ritrouaua, cioe grano,
15 uino, et vtensilij.
Sono rimaste abrugiate 3. cassine sottoposte à questa
Cura.
A' Cuoco, et Comerio Terre di questa Pieue non è arriuata
la furia del nemico, forsi per esser statte piu lontane
20 dell'altre da tutto il corpo dell'essercito, dal quale
si diffondeuano à depredare.
-o-
18 - e' strano comunque che non siano passati per Cocquio, mentre sono stati a
Gavirate, S.Andrea e Carnisio, e addirittura 3 volte a Gemonio.
121
Appendice 8
Onorevole Consiglio
Per la terza volta la Fabbriceria della Chiesa Parrocchiale di Bogno si rivolge a
codesto Onorevole Consiglio comunale di Bogno pregandolo a voler concorrere
a spesa comunale alla spesa della refusione delle tre campane esistenti sulla torre
parrocchiale, la cui necessità è tanto urgente che non ammette ulteriore
dilazione.
La prima campana, cioè la più grossa, che nel 1843 venne rifusa, e rifatta in tre
rubbi meno di metallo della prima, epperò non può accordare in armonia
coll'altre due, e l'orecchio di chicchesia può giudicare del distono scalare nel loro
intiero suono; di più minaccia quasi di cadere dalla torre per di fatti già visitati e
riconosciuti, e massimo la ruota che più non è suscettibile di aggiustature già
varie volte praticate a spesa comunale.
La seconda è pure malfranca per sconnessa inceppatura con ruota assai logora.
La terza poi essendo rotta non può più dar suono.
Da tutto ciò è evidente la continua confusione nel dare i segni per le sacre
funzioni parrocchiali, e quindi il giusto ed insistente lamento generale della
popolazione, e ciò molto più al rammentarsi del già fatto, ed approvato
superiormente progetto, ed incassata la quasi totale relativa somma a carico
comunale fin dal 1846.
Quindi è che la sottoscritta Fabbriceria avendo riguardo anche alle attuali
circostanze finanziarie, per rimediare ad un tanto difetto ed in pari tempo
colmare l'effervescente lamento popolare, colla presente si permette d'invocare
almeno un sussidio da codesto Onorevole Consiglio a carico Comunale, che
valga a sopportare la spesa di rifusione della prima indicata campana la quale
approssimativamente come da osservazione fatta dal fonditore Sig.Felice
Bizzozzero di Varese sarebbe nella misura di It.£. 463.75 ed eccone il modo.
Premesso che detta campana maggiore per dare il suono scalare in armonia
coll'altre due che verrebbero rifuse portante il loro primiero peso, abbisogna che
porti 3 rubbi di più della attuale portante il solo peso di rubbi 50.
122
Quindi per la rifusione di detta campana, compreso il relativo consumo
abbisognano in metallo 56 che a It.£. 25 importano la somma di It.£.1400.00
per la mano d'opera pei risultanti rubbi 53 a £. 3.75 198.75
ed altri serramenti 80.00
Per giornate N° 10 da falegname a £. 2 20.00
Per corda e catena a servizio del suono 15.00
Totale importo della spesa It. £. 1713.75
Da questa somma però detratto il valore dell'attuale campana in metallo di rubbi
50 che al medesimo prezzo di £. 25 cadauno importa la somma di £. 1250.00
Quando codesto Consiglio voglia assumere la spesa della fusione o
rifusione della campana maggiore che serve anche per tutti i bisogni
comunali non avrebbe a concorrere, anche in via di offerta, che colla somma di
£. 463.75.
Rimanendo così a tutto carico della Chiesa, con quast'altri mezzi di concorrenza
che le saranno possibili, la rifusione delle altre due, e relativa posizione.
Tanto implorano e sperano da codesto Onorevole Consiglio
Bogno il giorno 18 di Novembre 1868
All'Onorevole Consiglio Comunale che si terrà in Bogno nel giorno 26
Novembre 1868
Della Fabbriceria Parrocchiale di Bogno all'appello come entro
Ricavo dei fondi della Chiesa
e piante . . . . . £. 1089.77
273
pari a (mil) £. 1362
dalla compagnia £. 100
in offerta £. 150
campane vecchie di
Rubbi 26-10 . . . . 31 806
2418
123
124
125
Appendice 9
1748 30 Giugno in Bogno Havendo il Nobile, e Molto Reverendo Signor Canonico Don Carlo Ottavio Cusani del quondam Nobile
Sig. Alessandro habitante nel detto luogo di Bogno Pieve di Brebbia Ducato di Milano di mera sua
volontà costituito un perpetuo Legato di Messa Festiva da celebrarsi nella Parrocchiale di Bogno predetto
doppo la messa Parrocchiale à favore della medesima Comunità mediante l'impiego fatto di lire tremila
Imperiali, quali sono di presente nelle mani del Si. Carlo Colosso di detto luogo di Bogno, sotto l'annuo
interesse da convenirsi tra detto Sig. Colosso, e la detta Comunità alla morte di detto Sig. Canonico
Cusani, e quelle come da pubblici documenti risultano à qualis: Per cui dovendosi la detta comunità
obbligare tanto rispetto al supplimento, quanto alla manutenzione perpetua per detta Messa Festiva
perpetua come sopra costituita da prefato Sig. Canonico, ne potendo la medesima comunità obbligarsi à
quanto resta convenuto tacitamente, stante la minorità che gode, quindi il Console, Comune, ed homini
della medesima communità in adempimento di quanto sopra, ed acciò il detto perpetuo legato sortisca il
suo plenario effetto per farne l'opportuno ricorso al Senato Ecclesiastico, affine d'ottenere da quello la
necessaria dispensa per tale obbligazione dà farsi, convocati, e congregati nella pubblica Piazza di detto
luogo di Bogno, in cui vogliono sempre convocarsi, e congregarsi circa le cose attinenti, e pertinenti alla
loro Comunità, ammesso prieramente il solito segno della campana, e resi tutti avvisati dall'infrascritto
Console, nella qual convocazione, e congregazione v'erano e sono li seguenti, cioè.
Carlo Binda detto de Pedinetti del quondam Bernardino, Console
Pietro Binda detto Davidini quondam Francesco, Sindaco
Pietro Antonio Binda quondam Evangelista altro Sindaco
Francesco Antonio Signorelli figlio di Giò Batta
Vincenzo Biasino del quondam Carlo
Giovanni Nangerone quondam Giò Batta
Bartolomeo Arias Richelme Regente di Casa figlio del quondam Alfiere Pietro
Domenico Marzetta q.m Cristoforo
Stefano Rossetti q.m Pietro Antonio
Carlo Antonio Franzetto q.m Ambroggio
Giò Batta Ferretti detto de Borghi q.m Alessandro
Antonio Binda detto Feraro quondam Giò Pietro
Vitto Mattione figlio di Giò Pietro
Carlo Francesco Luisetti quondam Giò Batta
Rocco Roncaro del quondam Carlo
Francesco Tatto del quondam Carlo Antonio
Giò Angelo Binda del quondam Giaccomo
Carlo Binda detto de Gasperini figlio di Gaspare assente
Giò Pietro Binda detto di Carlo Andrea figlio di Carlo assente
Antonio Rossetti quondam Pietro Antonio
Bartolomeo Binda detto Farè quondam Giò Batta
Stefano Miglierina del quondam Francesco
Giaccinto Cattalano del quondam Giovanni
Giovanni Bajo quondam Andrea
Domenico Binda del quondam Giò Pietro
Pietro Ferretti q.m Giò Batta
Santino Roncaro del quondam Paolo
Francesco Binda detto de Pedinetti del quondam Giovanni
Pietro Binda detto Foppina del quondam Francesco
Carlo Antonio Mattione figlio di Carlo Giò attesa l'assenza di suo padre
Giovanni Binda detto di Vigna quondam Giò Pietro
Francesco Antonio del Micotto del q.m Giò
Giò Binda detto Ferraro del quondam Giò Pietro.
126
Tutti unanimi, e concordi, e niuno di loro discorde, nè di volontà indiferente, quali sono due parti delle
tre, e più come hanno a mè sottoscritto Notaro con particolar loro giuramento detto, delli uomini di detta
Communità, che hanno voce, e che habitano in detta Communità di Bogno, quali fanno le suddette, ed
infrascritte cose non tanto à nome loro proprii, e di loro persona rispettivamente propria, ma altresì à
norma, e con promissione di veto di tutti l'altrui assenti, e per qualunque legitima causa impediti, per li
quali come sopra hanno promesso, e promettono di vero, e con la a rinnovazione e certificati da me
infrascritto Notaro per detta promessa.
In esecuzione adunque di detta convocazione hanno li sodetti Console, Comune ed homini determinato,
che vi facci l'opportuno ricorso al Senato Ecclesiastico di Milano per haverne l'opportune lettere patenti,
affine di poter per pubblico instromento obbligarsi per la manutenzione della detta Messa festiva come
sopra costituita dal prefato Sig. Canonico Cusani à favore della medesima Communità, come pure di
mantenere per quella li necessarii Paramenti, cerra, ed altro bisognevole ed altresì l'assistenza del
Sagrestano à quel Sig. Sacerdote sarà eletto dalla detta Communità per la celebrazione di detta Messa
Festiva perpetua dà celebrarsi, immediatamente dopo la morte di detto Sig. Canonico Cusani, con la
riserva, che detta Communità intende averne la medesima piena ed assoluta padronanza d'elegere quel
Sacerdote sarà alla medesima beneviso, ne possa persona veruna in particolare havere ragione d'elegere il
detto Sacerdote, quale habbi à celebrare detta Messa doppo la Messa Parrocchiale per comodo de
(derrezani)è beneficio di quelli, e come più diffusamente s'esprimerà con quelli patti, modi, e forme
nell'istromento da stipularsi dalla predetta Communità con quella solennità saranno espedienti, e
necessarie, riportata sarà tale dispensa à favore della medesima Communità obbligandosi altresì la
medesima à tutte le spese necessarie abbisogheranno farsi sino alla totale definizione, in quorum fidem.
Nota degli uomini intervenuti al presente istromento.
Giovanni Pietro Binda quondam Carlo, Console
Giovanni Binda quondam Francesco, Sindaco
Pietro Binda quondam Francesco, Sindaco
Giò Battista Signorelli quondam Carlo Antonio Cancelliere
Francesco Tatti quondam Carl'Antonio
Stefano Rossetti quondam Pietro Antonio
Camillo Binda quondam Giò Batta
Bartolomeo Arias figlio del Sig. Alfiere quondam Pietro
Rocco Roncari quondam Carlo
Carlo Francesco Luvisetti quondam Giò Batta
Antonio Binda quondam Carlo
Stefano Contino quondam Francesco
Vincenzo Biasino quondam Carlo
Giò Domenico Marzetta quondam Cristoforo
Vitto Mattione figlio di Giò Pietro
Francesco Binda detto de Pedinetti quondam Giovanni
Giò Ferretti detto de Borghi quondam Giò Batta
Giacinto Cattalano quondam Giovanni
Domenico Franzetto quondam Carl'Antonio
Giovanni Nangerone quondam Giò Batta
Stefano Miglierina quondam Francesco
Pietro Binda quondam Giuseppe
Gaspare Binda figlio di Carlo attesta l'assenza di suo padre
Antonio Rossetti quondam Carl'Antonio
Carlo Giuseppe Binda detto Farè di Francesco
Francesco Antonio Signorelli figlio di Giò Batta
Carlo Binda detto de Pedinetti quondam Bernardino
Giò Binda quondam Giò Pietro
Carlo Maria Mascione quondam Alessandro
Francesco delle Donne quondam altro Francesco.
127
Fatto è che succedendo la morte di detto Sig. Canonico Cusani, debba la detta Communità di Bogno, e sii
tenuta et obbligata immediatamente eleggere un Sacerdote per la celebrazione di detta Messa festiva per
esso costituita, ed alla medesima Communità assegnata, quali resti sempre applicata in suffragio
dell'anima di detto Sig. Canonico Cusani Costituente, et assegnante, e de suoi antenati defunti e giusta la
sua mente d'esso Sig. Canonico, perchè così è.
Tanto è che in qualunque caso volesse detto Sig. Colosso, e suoi sucessori restituire detto capitale delle
dette lire tre mila presso del medesimo impigate, che la detta Communità sii tenuta, et obbligata dentro
dell'anno di detta restituzione quelle impiegare in proprietà idonea per haverne l'interesse pronto di
trimestre in trimestre da pagarsi al Sig. Sacerdote sarà eletto per la celebrazione di detta Messa festiva
assegnata come sopra,ed in caso venisse ritardato tale pagamento, che detta Communità debba pagare la
medesima al prefato Reverendo Sig. Sacerdote quella somma di danaro sarà dovuta al medesimo Sig.
Sacerdote, sino a tanto che havrà scosso l'interesse maturato, come così li detti Consoli ed homini di sopra
nominati anche à nome di tutta la Communità predetta hanno promesso e promettono sotto obbligazione,
perchè così è.
Patto è che in caso della detta Communità non venisse adempita tale celebrazione di detta Messa festiva
come sopra costituita, ed assegnata dal prefato Sig. Canonico, o per mancanza di Sacerdote, ovvero,
perchè quello fosse indisposto, o per qualunque altra via non potesse quella celebrare, che in tal caso, e
non altrimenti il detto Sig. Canonico Cusani intende, e vole, che detta Messa venghi celebrata dal Rev.
Sig. Curato di Bogno pro tempora nel giorno di Sabbato, ed all'altare della Beata Vergine del Santissimo
Rosario nella detta Parrocchiale, con pagarne al medesimo l'intiera elemosina restarà assegnata al Rev.do
Sig. Sacerdote deputato à tale celebrazione, con che detto Sig. Curato avanti principiare la sua Messa
debba recitare una Salve Regina ad alta voce unitamente col Popolo, e ciò sempre sino in perpetuo nel
modo espresso nel presente patto, perchè così è.
Patto è che tutti li Signori Reverendi Curati saranno per tempo come esecutori costituiti dal prefato Sig.
Canonico Cusani colla celebrazione di detta Messa festiva, come pure circa l'impiego de detta Capitale
Somma di lire tre mila in caso venisse quella restituita dal detto Sig. Colosso, e da suoi eredi, e Sucessori
ad effetto che detta Capitale Somma debba sempre restar in sicuro impiego per ricavarne l'interesse da
pagarsi come sopra di Trimestre in Trimestre al Sig. Sacerdote sarà eletto, e deputato per la detta
celebrazione di detta Messa festiva, ed anche affine non venghi ritardato il Suffragio per mancanza di
detta Messa, incaricando li detti Sig.ri Curati saranno per tempo ad invigilare à quanto sopra, e se à caso
venisse tale Capitale delle lire tre mille male impiegato dalla detta Communità, che venisse à perdersi in
tutto, overo in parte che in tal caso debbano li Signori Curati, saranno per tempo obbligare ciò non ostante
la detta Communità à pagare del proprio detta festiva Messa per esso costituita et assegnata in quella
quantità resta come sopra censita tale Messa, e di trimestre in trimestre per commodo del Signor
Sacerdote, come così li detti uomini si obbligano, e promettono, perchè così è.
Questo patto, che la detta Communità sii tenuta à tutte le spese si faranno per tale assegno di detta Messa
festiva, ne possa restar veruna altra persona agravata di spesa veruna, e ciò tanto rispetto à quelle di già
fatte, come da farsi sucessivamente in ogni cosa, e particolarmente al presente Istromento, d'assegno, ed
obbligo e tanto per il Rogito, viaggio, come per l'esplezione, scrittura, e copia autentica da farsi al prefato
Sig. Canonico Cusani, come così s'obbligano, e promettono, perchè così è.
Questo patto, che la detta Communità sii tenuta, ed obbligata far celebrare un officio da morti per l'anima
di detto Sig, Canonico di numero Sei Sacerdoti seguita la sua morte, e ciò perchè dal Sig. Colosso pagasi
annualmente l'interesse lire cento quarant'una cioè lire cento cinque per un Capitale di lire due mille, e
cento e lire trentasei per l'altro Capitale di lire novecento, come così detti uomini promettono durando
tal'interesse in detto Sig. Colosso, e non altrimenti perchè così è.
128
Appendice 10
129
130
Appendice 11
La leggenda di San Tommaso in Terra Amara.
(Dal Corriere della Sera del )
Giovanni Maria Visconti come ogni sera stava attraversando le vie cittadine a bordo del suo
cocchio per andare a fare quattro passi nel parco alle spalle del Castello di Porta Giovia.
La serata era calda e nel silenzio dell‟imbrunire il signore di Milano sentì il pianto lancinante di
una donna arrivare fin dentro la sua carrozza.
Giovanni fece cenno al servitore che gli sedeva davanti.
L‟uomo subito scattò in piedi e si sporse fuori dalla carrozza per dire al postiglione di fermarsi.
La carrozza si arrestò dolcemente.
Il Visconti ordinò a uno dei soldati della scorta di andare a vedere chi stesse piangendo un
dolore tanto profondo.
«Si tratta di una giovane donna, mio signore», così disse il militare al suo ritorno, «suo
marito è morto questa mattina per una tragica fatalità.
Ma il suo dolore è acuito dal fatto che il prete che dovrebbe occuparsi della cerimonia funebre si
rifiuta di farlo perché la donna non ha i soldi per sostenere le spese delle esequie».
Giovanni Maria restò pensieroso alcuni istanti. Trovava sconfortante che un rappresentate di
Dio in terra non volesse regalare il conforto cristiano a un povero defunto solo perché la vedova
non aveva un pugno di gioielli da dargli in pegno.
Era un atteggiamento che andava punito.
Dispose che uno dei suoi uomini andasse ad avvisare la donna che le esequie si sarebbero svolte
regolarmente il giorno successivo senza che lei dovesse sborsare una sola moneta.
Poi disse al cocchiere di dirigere la carrozza verso la chiesa di San Tomaso dove si trovava il
prete incriminato.
Il prete di San Tomaso sentì bussare forte alla porta e quasi perse il fiato quando fuori trovò
quattro uomini armati con le insegne dei Visconti che lo attendevano.
Subito dietro vide Giovanni Maria. «Mi dicono che sei un prete avido e che ti rifiuti di svolgere
le tue funzioni se non sei adeguatamente pagato. È vero?».
Il prete chinò il capo in segno di ossequio.
Sapeva di essere in una pessima posizione.
Aveva davanti l‟uomo più potente di Milano, se non dell‟intera Italia, che lo stava accusando di
qualcosa che lui e i suoi colleghi facevano abitualmente e di cui mai nessuno si era lamentato.
«Ovviamente no, mio signore. Evidentemente qualcuno ha erroneamente interpretato qualcosa
che ho detto...».
Giovanni Maria lo interruppe con un gesto imperioso della mano. «Taci!», sentiva montare
dentro una rabbia per quell‟uomo viscido che cercava di giustificare le sue scelte disumane
sfregandosi le mani e abbassando il capo.
«Domani celebrerai le esequie di un pover‟uomo e ti premurerai di coprire tutte le spese con i
tuoi soldi. Quelli che in questi anni hai rubato a tanta povere gente distrutta dal dolore».
Senza dire altro e senza dare possibilità al prete di replicare, il Visconti si voltò per tornare al
suo cocchio.
Gli uomini della scorta spinsero il prete dentro casa sua.
Il giorno successivo verso l‟imbrunire una piccola folla di popolani assisteva a capo chino alla
cerimonia funebre dell‟uomo morto il giorno prima. I
l prete pronunciava brevi frasi in latino il cui significato era ignoto ai più, mentre la moglie del
poverino, meno affranta del giorno precedente, continuava a piangere sul bordo della fossa in
cui era già stata calata la cassa.
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L’incedere di una carrozza cigolante si sovrappose a questi pochi suoni.
Il cocchio si arrestò a pochi metri dalla funzione.
Calò il silenzio.
Una decina di cavalieri armati scortarono Giovanni Maria verso la fossa.
Il Visconti prese posto tra i suoi cittadini stringendo mani e facendo le condoglianze a tutti.
Poi fece cenno al prete di finire la cerimonia.
Poche frasi in latino ancora.
Una benedizione con l‟acqua santa porta da un giovane chierichetto in un secchiello d‟argento e
la cerimonia era terminata.
I becchini cominciarono subito a spalare la terra per coprire la cassa.
Ma due dei soldati del Visconti li fermarono e li allontanarono.
Giovanni Maria fissò con odio il prete.
Poi parlò: «Entra nella bara».
Le sue parole potevano apparire uno scherzo, ma il prete, che lo stava fissando negli occhi, capì
che non era così.
Capì che per lui era finita.
Si guardò intorno sperando che quel gruppetto di persone chiedesse di risparmiarlo, ma la gente
lo fissava indifferente.
Per un attimo gli parve che sul volto della vedova comparisse anche l‟ombra di un sorriso.
Il prete tentò di discolparsi ma fu sufficiente un gesto del Visconti perchè due uomini lo
afferrassero per le braccia e lo spingessero a forza dentro la cassa insieme al morto.
I becchini furono lasciati liberi di compiere il loro dovere e riempirono la fossa mentre le urla
strazianti del prete che implorava pietà venivano smorzate dalla terra che lo stava ricoprendo.
I milanesi da allora cominciarono a chiamare la chiesa di San Tomaso, San Tomaso in Terra
Amara per ricordare quanto amara fu la terra del piccolo cimitero per l‟avido prete.
Con il passare degli anni il nome si storpiò in San Tomaso in Terra Mala e così la chiamiamo
ancora oggi.
Secondo altre leggende invece il nome Terra Mala deriva dal fatto che la chiesa sorgerebbe in
un luogo in cui, in tempi antichi, si usava torturare e uccidere i cristiani.
O nel ricordo di un cruento scontro tra Sant‟Ambrogio e gli ariani che vide restare morti sul
campo molti seguaci del vescovo di Milano.
Per quanto riguarda Giovanni Maria Visconti, più noto per aver dato il via alla costruzione del
Duomo che per aver seppellito preti vivi, fu pugnalato a morte poco tempo dopo, il 16 maggio
1412, sulla soglia della chiesa di San Gottardo.
Evidentemente la pessima reputazione che si era fatto spinse qualcuno a toglierlo di mezzo.
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Appendice 12 INCENDIO A BOGNO 1659
“Testo integrale del documento ritrovato nell'Archivio Parrocchiale.”
Mille seicento cinquantanono adì deciotto genaro notte seguente circa alle otto hore fù
attaccato in più lochi il foco alla casa dei Cochiti di Bogno, e brugiò gran quantità di
strame paglia,asse di assai valore, sette pecore, molta robba per il mangiare bestie e più
di dieci caro di fieno, una (canepa) un superiore, stalla, portico con rottura circa 6000
copi, e per carità essendo venuto alcune donne per agiustare come in fatti agiustarono
col robarli molta biancaria,non pochi danari, e molte altre cose, brugiò una casa a
Cherubino Binda annessa, con tutto il grano di Stefano Catalano, che in quella abitava
con una cassa piena di biancaria di Angiolita Cochita.
Essendosi prima alli 26 9bre 1658 statale posto in un grosso moggio di paglia un palmo
di corda di moschetto con molti zofarghetti in fondo, essendo tutti dui li homini a
Milano cioè Giò Pietro e Alessandro, come parmente erano absente anche adesso, se
bene, per particolare grazzia d'Iddio, e lì cera, e l'altra notte tempo sia sempre venuto a
casa il suddetto Giò Pietro e la prima volta mandato a dimandare da me circa alle tre
hore di notte, nel qual tempo giunse da Milano, andò, essendo oscuro, per pigliareun
poco di paglia per servirsene per ciaro, e s'incontrò nel loco dove era nascosta la corda
accesa, e così la portò avanti a mè, nel stato nel quale la ritrovò.
La seconda volta venne parimente a casa di notte il suddetto Gioò Pietro e sul tardi fatta
diligenza attorno alla casa tutta, ne trovando altro, andò a dormire, e nel primo sonno
sentì un gran fracasso, uscì dal letto, e trovò affogata la casa tutta, si salvò mota robba
per il concorso della gran moltitudine di gente, e buona parte della casa, ne si sa sin hora
il malfattore, havendo adoprato della paglia in cima ad una pertica di attaccare il fuoco
attorno alle cassine, e stalle, ma ad alto solo,benchè descendesse anche il basso.
“Il manoscritto si limita alla pura annotazione del fatto, non fa ipotesi sui motivi che
avrebbero spinto qualcuno ad appiccare il fuoco, nè ci sono altri documenti a chiarire
il mistero su questo antico fatto di cronaca che riporta a momenti non proprio
tranquilli nei rapporti interpersonali fra gli abitanti dei nostri paesi.”