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Schede sintetiche per matrice ambientale

Schede sintetiche per matrice ambientale - Arpa Umbria (2).pdf · La suddivisione tra i tre settori è quasi uniforme in entrambe le province, così come il quoziente di localizzazione

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Schede sintetiche per matrice ambientale

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Relazione sullo stato dell’ambiente in Umbria l Documento di sintesi - ALLEGATO l Scheda sintetica DETERMINANTI

DETERMINANTI

CARATTERISTICHE GENERALI

L’Umbria rappresenta, con i suoi 8.456 kmq, circa il 2,8% del territorio nazionale, mentre con i suoi circa 840.000 abitanti costituisce l’1,5% della popolazione. In pratica, la regione si presenta con una densità pari a circa la metà del valore medio nazionale (il Trentino Alto Adige ha densità pari alla metà dell’Umbria). Si deve tenere conto del fatto che l’Umbria ha un territorio per due terzi costituito da montagna ed un terzo da collina e non ha alcuna zona di litorale. In termini reali, il Pil in Umbria è andato aumentando quasi regolarmente nel periodo 1995-2001, con una tendenza del 2% annuo (dal –0,07% al 4,5%) per un totale del 12% ascrivibile all’aumento della spesa delle famiglie (+12%). I principali settori economici sono aumentati in modo differenziato: Agricoltura, +0,07%; Industria, +6 %; Servizi, +15% Il prodotto interno lordo dell’Umbria nell’anno 2000 è ammontato a 16.370 milioni di €, pari a circa l’1,4% del valore nazionale ed alla percentuale della popolazione umbra rispetto a quella italiana. La spesa per i consumi delle famiglie rappresenta la principale voce del PIL (60%) che in larga misura è destinata all’abitazione ed alla spese ad essa afferenti.

RESIDENTI

In dieci anni la popolazione regionale è aumentata di 29.859 unità, di cui il 99 % nella provincia di Perugia, con forte accentramento nel capoluogo (+12.535 ab.), mentre la provincia di Terni è praticamente stabile ed il capoluogo presenta una riduzione (-1.910 ab.). L’indice di invecchiamento medio è pari a 22 con un minimo a 18 ed un massimo effettivo di 33 (un caso fino a 54). La densità media è pari a circa 98 ab/km2, sensibilmente inferiore al valore medio nazionale (191 ab/km2) ed europeo (116 ab/km2). L’Umbria ha un saldo negativo della dinamica demografica propria (circa -2.000) che nel complesso dei residenti torna positivo grazie all’apporto dell’immigrazione (+ 7.300). L’indice di invecchiamento medio è pari a 22 con un minimo di 17 ed un massimo di 52 mentre l’indice di carico dei figli è in media pari a 21 con una modesta variabilità tra 14 e 28. La popolazione è distribuita in una parte minoritaria tra 0 e 14 anni (103.000) una parte maggioritaria tra 15 e 64 anni (550.000) e una parte intermedia sopra 65 anni (188.000).

TURISTI

Il totale delle presenze ammonta a circa 4.000.000 di unità. La densità turistica regionale media è di circa 700 (valore medio nazionale pari a 1.000) con una variabilità molto elevata che va da quasi 5.000 a meno di 20. La presenza turistica in Umbria equivale ad un incremento medio della popolazione dell’1,8% circa, contro una media nazionale dell’1,5%. La permanenza media dei turisti è di circa 3 giorni con un massimo fino a 16 giorni, contro la media nazionale di 4 giorni ed il massimo nazionale di 6 giorni.

PRESENZA STUDENTESCA

Al 31 luglio 2002, gli iscritti alle due università regionali ammontano a 33.340 unità; il 93,4 % dei quali presso l’Università italiana, e il restante 6,6 % a quella italiana per Stranieri. I residenti umbri iscritti all’Università degli Studi di Perugia ammontano a 18.090 unità (54,3 % del totale) di cui 14.825 della provincia di Perugia e 3.265 di quella di Terni. Gli iscritti all’Università per Stranieri sono 774 unità (678 residenti nella provincia di Perugia e 96 in quella di Terni). Per quanto riguarda, invece, il numero di iscritti residenti in altre provincie italiane in aggiunta a quelli di provenienza da stati esteri, insieme raggiungono complessivamente 14.476 unità pari al 43,4% del totale. Gli studenti di provenienza da altre provincie italiane (13.494 unità corrispondente al 93,2 % del totale di esterni) rappresentano la quota più rilevante e la maggior parte frequentano l’Università italiana . Gli stranieri (982 unità pari al 6,8% del totale di provenienza esterna) che si insediano e risiedono nella regione per motivi di studio risultano quasi tutti iscritti all’Università per Stranieri

AGRICOLTURA

In Umbria sono presenti circa 57.000 aziende, distinte tra agricole, zootecniche e forestali. Esse utilizzano una superficie agricola (Superficie Agricola Utilizzata SAU) pari a 367.141 ettari a fronte di una Superficie Agricola Totale (SAT) di 642.492 ettari. L’assetto dell’uso del territorio agricolo è variato dal 1990 con una riduzione delle aziende di 1.398 unità (-2,4%), la superficie totale è diminuita di 42.568 ettari (-6,2%) e la SAU è diminuita di 29.044 ettari (-7,3%). L’’uso della SAU per le colture principali, distinte in Seminativi, Colture permanenti e Prati permanenti e Pascoli ha subito riduzioni differenziate tra il 1990 ed il 2000: Seminativi -5,1%, Prati permanenti e Pascoli -17,8 %, Coltivazioni permanenti + 3,2 %. Su questa superficie i Seminativi, che la coprono per il 63,9%, rappresentano la forma di utilizzazione più diffusa praticata dal 73,8% delle aziende. Oltre ai Seminativi una coltura molto diffusa è rappresentata dalle Coltivazioni Legnose agrarie praticate dal 73,4% delle aziende, per una superficie investita pari al 13,5% della SAU, e che hanno registrato un aumento del +3,2% della superficie investita, anche se le aziende interessate sono diminuite (-5,8%) rispetto al 1990. Tra le Legnose agrarie l’olivo rappresenta la coltura più diffusa, presente in circa il 75% delle aziende con Coltivazioni Legnose agrarie per 31.692 ettari corrispondente all’8,6% della SAU ed al 64,0% della superficie investita a Coltivazioni Legnose. Le aziende olivicole nel decennio 1990 - 2000 sono aumentate del 15,3%, mentre la corrispondente superficie è aumentata in misura maggiore pari al +18,1%. Anche la vite risulta abbastanza diffusa essendo condotta nel 57% delle aziende con coltivazioni legnose agrarie e nel 43% di quelle con SAU, per una superficie di 14.227,09 ettari (3,9% della SAU e 28,7% della superficie delle coltivazioni legnose agrarie). Benché questa coltura abbia subito nel decennio 1990-2000 una contrazione nel numero delle aziende (-28%) ed una contrazione della relativa superficie investita a vite (-21%), tale flessione non ha comunque coinvolto le produzioni di qualità, che sono al contrario in crescita. La produzione di vini DOC e DOCG, infatti, ha segnato un aumento del 18,8% nel numero delle aziende coltivatrici mentre la superficie investita ha segnato un aumento del 39,7% a fronte della riduzione del 37,9% di quella per la produzione di altri vini. Nello stesso periodo va rilevata un’evoluzione interessante delle Coltivazioni Legnose Fruttifere che sono state oggetto di impianto fino ad impegnare una superficie regionale di circa 2.895 ettari, con un incremento pari a circa il 95% e interessando circa 4.500 aziende, con un aumento del 42% rispetto al 1990. La forma di utilizzazione dei 367.141 ettari di SAU percentualmente meno diffusa nella Regione Umbria è rappresentata dai Prati permanenti e Pascoli. Essi sono presenti nel 24,6% delle aziende con suolo e coprono il 22,6% della SAU. Per tali coltivazioni il numero delle aziende che le conducono sono aumentate rispetto al 1990 del14% in contrapposizione alla riduzione della superficie interessata del 18%. La superficie media aziendale coltivata a Prati permanenti e Pascoli è così passata da 8,2 a 5,9 ettari per azienda. Le colture più diffuse sono i seminativi, che coprono valori variabili della superficie totale compresi tra il 29% ed il 47% (ad eccezione delle aziende più piccole, con una SAU minore ad un ettaro, nelle quali le superfici a coltivazioni legnose risultano prevalenti). Nelle aziende agrarie con classe dimensionale da 3 a 100 ettari i Seminativi risultano superiori alla quota media regionale del 36,5% mentre l’incidenza massima si manifesta nelle aziende con classe dimensionale da 30 a 50 ettari.

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Relazione sullo stato dell’ambiente in Umbria l Documento di sintesi - ALLEGATO l Scheda sintetica DETERMINANTIZO

OTE

CN

IA

Le aziende agricole dell’Umbria che praticano l’allevamento di bestiame risultano essere 25.526, pari al 44,7% del totale. Si tratta di un dato inferiore del 20,8% a quello rilevato nel 1990, che indica l’abbandono della pratica zootecnica da parte di un gran numero di aziende. Gli allevamenti più diffusi sono quello avicolo (praticato in circa 89 aziende su 100 allevatrici, con oltre 8 milioni di capi), quello dei suini (29% delle aziende allevatrici e 250.492 capi) e quello degli ovini (15% delle aziende allevatrici e 149.814 capi). Seguono gli allevamenti dei bovini (14% delle aziende con allevamenti e 62.994 capi), degli equini (6,7% delle aziende e 8.251 capi) e quello dei caprini (3% delle aziende con allevamenti e 6.302 capi). Tutte le specie di bestiame hanno registrato diminuzioni rilevanti nel numero di aziende allevatrici, ad eccezione dei bufalini, che comunque rappresentano un fenomeno del tutto marginale nella regione. In ordine di importanza, le diminuzioni hanno interessato le aziende che praticano l’allevamento di suini (-48,8%), di ovini (-38,6%), di bovini (-33,6%), di caprini (-34,2%). Meno rilevanti le variazioni negative delle aziende con allevamenti di avicoli (-21,7%) e di equini (-19,1%). Il ridimensionamento del comparto zootecnico appare evidente anche in termini di consistenza degli allevamenti: il numero dei capi bovini è diminuito del 35%, quello dei caprini e dei suini rispettivamente del 36% e 29% e quello degli allevamenti equini del 25%. Al contrario è sensibilmente aumentato il numero di capi per gli allevamenti avicoli (+22%). Questa dinamica trova motivazione nella crisi connessa con la diffusione del rischio di Encefalopatia spongiforme bovina (comunemente chiamato “morbo della mucca pazza”). I settori di Industria, Commercio e Altri servizi, in Umbria contano 60.517 Unità locali, con 223.308 Addetti, di cui il 75% nella provincia di Perugia ed il 25% in quella di Terni. La suddivisione tra i tre settori è quasi uniforme in entrambe le province, così come il quoziente di localizzazione indica una distribuzione relativamente uniforme sul territorio (PG 1,0; TR 0,9), anche nella disaggregazione di livello comunale (0,8-1,4) che presenta solo pochi casi estremi (0,3-1,7). La dinamica dei settori di attività economica è stato molto differenziato nel periodo di analisi con elevati tassi di crescita per: ⇒ Commercio ingrosso e dettaglio, riparazione auto, moto, beni personali (34%); Attività manifatturiere (16%); Attività immobiliare, noleggio, informatica, ricerca,

altre attività professionali ed imprenditoriali (15%); Costruzioni (13%); mentre è risultata praticamente ferma per: ⇒ Estrazione di minerali; Produzione e distribuzione energia elettrica, gas e acqua; Intermediazione monetaria e finanziaria; e solo una modesta crescita (ca. 5%) per: ⇒ Alberghi e ristoranti; Trasporti, magazzinaggio e comunicazione; Altri servizi pubblici, sociali e personali. La dinamica relativa al numero di addetti nei vari settori ha avuto una dinamica simile, con elevati tassi di crescita per: ⇒ Attività manifatturiere (34%); Commercio ingrosso e dettaglio, riparazione auto, moto, beni personali (23%); crescita modesta per: ⇒ Costruzioni (12%); Attività immobiliare, noleggio, informatica, ricerca, altre attività professionali ed imprenditoriali (10%);Trasporti, magazzinaggio e comunicazione (7%); Alberghi e ristoranti (5%); ed una situazione statica per: Altri servizi pubblici, sociali e personali; Intermediazione monetaria e finanziaria; Produzione e distribuzione energia elettrica, gas e acqua; Estrazione minerali. La dimensione media delle unità locali ha subito una riduzione del valore medio da 3,8 a 3,4 , con un aumento dell’intervallo dimensionale che è passato da 2-34 a 1-38.

Produzione di pasta carta, carta e prodotti della carta: 113 unità, 90% nella provincia di Perugia Prodotti alimentari e bevande: 1.211 unità, quasi uniformemente distribuite sul territorio Produzioni

idroesigenti ed idroinquinanti Prodotti chimici e fibre sintetiche: 94 unità, 75% nella provincia di Perugia

Prodotti petroliferi raffinati: 17 unità, 70% nella provincia di Perugia

Prodotti chimici: 67 unità con quoziente di localizzazione più elevato nella provincia di Terni (2,5) rispetto alla provincia di Perugia (0,5).

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Produzioni con emissioni di

sostanze tossiche Metalli non ferrosi: 10 unità con quoziente di localizzazione più elevato nella provincia di Terni (1,6) rispetto a quella di Perugia (0,4).

I consumi finali di energia in Umbria nel periodo 1995-1999 hanno registrato una diminuzione dell’1%, a fronte di un aumento del 9% a livello nazionale, da imputare al calo dei consumi dell’Industria (da 822 a 724 ktep) in rapporto alla riduzione dell’intensità energetica con l’introduzione di processi con maggiore efficienza. L’Industria è ancora il settore di maggior consumo (37% nel 1999) seguita dai trasporti (35% nel 1999) con una dinamica di aumento molto marcato (+9% nel periodo 1995-1999) ma in linea con il dato nazionale. I consumi energetici finali in Umbria nel periodo 1995-1999 sono aumentati del 6% nel Residenziale (18% del totale) e del 14% nel Terziario (8% del totale).

Consumi finali

I consumi finali di energia elettrica nel periodo 1995-1999 sono aumentati del 12%, in linea con la tendenza nazionale (+10%). Una parte considerevole di questo aumento è dovuto all’aumento dei consumi dell’Industria (+12%), settore che al 1999 rappresentava circa il 64% dei consumi finali regionali. Questo dato è notevole poiché a livello nazionale il peso percentuale dell’Industria non supera il 50%. Nel Terziario (16% dei consumi finali regionali al 1999) si è verificato un aumento del 18%, una variazione piuttosto considerevole ma solo lievemente superiore rispetto alla tendenza nazionale. Il Residenziale (che nel 1999 costituiva il 16% dei consumi finali regionali) è stato invece caratterizzato da un incremento percentuale doppio (+12%) rispetto alla media nazionale. Agricoltura e Pesca e Trasporti (ferroviari) incidono per meno del 5% sul totale regionale. L’Umbria ha un’intensità energetica superiore (di circa il 13%) rispetto alla media nazionale, nonostante nel periodo 1995-1999 si sia verificata una diminuzione del 7% (a fronte di un aumento del 2% a livello nazionale). I valori delle intensità settoriali indicano che questo è dovuto ai settori dell’industria manifatturiera e dei trasporti, che fanno registrare dei valori superiori alla media italiana (rispettivamente del 20% e 37%). L’industria manifatturiera, infatti, ha una prevalenza di industrie pesanti e siderurgiche. Nel periodo di riferimento, l’intensità energetica dell’industria manifatturiera rispetto al valore aggiunto è diminuita dell’11%, contro un aumento a livello nazionale del 4%. Per gli altri settori, rispetto ai valori medi italiani, mentre l’intensità energetica dei trasporti ha fatto registrare un aumento in linea con la variazione nazionale, nel terziario l’aumento riscontrato in Umbria è risultato più contenuto. Nel Residenziale e nell’Agricoltura e Pesca sono state osservate invece riduzioni d’intensità energetica rispettivamente del 2% e del 32%.

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Intensità

L’Umbria ha un valore molto elevato di intensità elettrica del PIL, con un aumento del 4% nel periodo 1995-2000, mentre a livello nazionale lo stesso indicatore ha registrato una diminuzione del 9%. Questo è dovuto alla forte domanda dell’industria siderurgica. L’intensità elettrica del Residenziale rispetto ai consumi privati delle famiglie e del Valore Aggiunto del Terziario sono inferiori ai valori medi nazionali. L’intensità elettrica del Terziario è evoluto in linea con l’incremento nazionale. Nel Residenziale l’aumento è risultato in controtendenza rispetto alla tendenza nazionale di lieve diminuzione.

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Relazione sullo stato dell’ambiente in Umbria l Documento di sintesi - ALLEGATO l Scheda sintetica DETERMINANTITR

ASP

OR

TI

In Umbria è rilevato un aumento della mobilità e della congestione stradale, dovuto alla perdita di utenza del trasporto pubblico locale a favore del trasporto privato su strada, proprio sulle maggiori linee di forza della domanda, dove la dotazione infrastrutturale non è sempre adeguata e non consente – soprattutto quella ferroviaria – significativi sviluppi di offerta che consentano di riequilibrare il taglio modale dei flussi e soluzioni più sostenibili, sia dal punto di vista ambientale che del contenimento della diffusione insediativa.

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I

Esistono 16 ambulatori, laboratori ed attività di pronto soccorso ogni 100.000 abitanti con circa 130.000 ricoveri/anno, 2.875 posti letto, con un indice di utilizzazione pari al 81%. 18 strutture ospedaliere pari a 2 ospedali/100.000 abitanti; 3,4 posti letto/1.000 abitanti. La degenza media ha la durata di 6 giorni, si hanno circa 903.000 giornate di degenza/anno, con un tasso di ospedalizzazione di 169 degenti/1.000 abitanti.

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In Umbria prosegue il fenomeno di accentramento demografico nei due capoluoghi di provincia e nei comuni limitrofi, con il conseguente depauperamento degli altri comuni di per se già piccoli. Queste stesse aree maggiormente antropizzate, sono anche le zone a più alta concentrazione di insediamenti produttivi e, quindi, sottoposte a maggior pressione ambientale.

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Relazione sullo stato dell’ambiente in Umbria l Documento di sintesi - ALLEGATO l Scheda sintetica ATMOSFERA E CLIMA (PARTE ARIA)

ATMOSFERA E CLIMA - Parte Aria

PRESSIONI

Emis

sion

i tot

ali

SOX Macrosettori principali: 68% centrali elettriche pubbliche; 23% combustione nell’industria; 5% trasporti Sorgenti principali: centrali termoelettriche di Bastardo e Pietrafitta; cementifici di Gubbio e Spoleto; altri impianti nelle aree industriali di Terni, Narni, Todi, Piegaro, San Gemini. NOX Macrosettori principali: 48% trasporti (autostrada e principali strade extraurbane). 35% combustione nell’industria; 12% centrali elettriche pubbliche Sorgenti principali: centrali termoelettriche di Bastardo e Pietrafitta; cementifici di Gubbio e Spoleto; altri impianti nelle aree industriali di Terni, Narni, Todi, Piegaro, San Gemini. CO Macrosettori principali: 77% trasporto (in particolare stradale con oltre il 76%); 15% combustione nel terziario Sorgenti principali: Area industriale di Narni PM10 Macrosettori principali: 39% trasporti; 39% combustione nel domestico; 7% alla combustione nell’industria; 10% processi produttivi (quasi esclusivamente provenienti dall’estrazione di materiali da cave) Sorgenti principali: centrali termoelettriche nell’area di Bastardo e Pietrafitta, cementifici di Gubbio e Spoleto; acciaierie di Terni COV Macrosettori principali: 37% agricoltura (in particolare allevamenti di suini); 30% trasporti(viabilità urbana); 16% uso di solventi; 8% sorgenti naturali; 3% distribuzione di combustibili fossili (in particolare benzina). Sorgenti principali: centrali termoelettriche di Bastardo e Pietrafitta; altri impianti localizzati nelle aree industriali di Narni e Foligno NH3 Macrosettori principali: 93,7 % agricoltura CO2 Macrosettori principali: 21% trasporti; 36% combustione nell’industria; 10% combustione nel terziario; 19% processi produttivi CH4 Macrosettori principali: 67% agricoltura; 15% smaltimento rifiuti; 8% distribuzione di gas; 8% sorgenti naturali N2O Macrosettori principali: 56% vegetazione agricola; 21% vegetazione naturale; 11% trasporti e combustione nell’industria; 8% terziario e centrali elettriche pubbliche Metalli pesanti Macrosettori principali:combustione nell’industria (As, Cd, Cr, Cu, Hg, Ni, Se, Zn); processi produttivi (As,Cd, Cr, Cu, Hg, Ni, Zn); centrali elettriche pubbliche (As, Hg); combustione nel terziario (Cd); trasporti (Cd Cr, Cu, Hg, Ni, Pb)

Emis

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Carico inquinante Molto alto (> 3.000 t): 4 impianti (centrali termoelettriche, cementifici) Alto (tra 500 e 3.000 t): 7 impianti Medio (tra 50 e 500 t): 17 impianti Basso (fino a 50 t): 91 impianti

EMIS

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Carico inquinante Medio/medio alto: viabilità urbana e arterie autostradali principali

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Relazione sullo stato dell’ambiente in Umbria l Documento di sintesi - ALLEGATO l Scheda sintetica ATMOSFERA E CLIMA (PARTE ARIA)

STATO

Qua

lità

dell’

aria

Per descrivere lo stato della qualità dell’aria ambiente, così come previsto dalla normativa sono stati utilizzati i seguenti indicatori: Media Annuale SO2; Media Annuale NO2; Media Annuale PM10 Media Annuale C6H6, Media massima giornaliera sulle 8 ore di CO; AOT40 O3

Ret

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Ter

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Media Annuale SO2 Progressiva diminuzione delle concentrazioni di SO2 in aria, dovuta all’impiego di gas naturale al posto dei combustibili fossili. Tuttavia, esistono situazioni di criticità sia a Terni sia a Narni, dove si raggiungono concentrazioni invernali vicine al valore limite per la protezione degli ecosistemi. Media Annuale NO2 Per il periodo 2001-2002, i valori misurati nelle diverse stazioni presentano valori pressoché simili e tutti al di sotto del valore limite per la Media Annuale come Protezione della Salute; si avverte una certa diminuzione di alcuni valori nell’arco temporale esteso 1997-2002, ma il confronto dei valori registrati dalle singole stazioni nell’ultimo biennio disponibile 2001-2002, fornisce valori pressoché immutati. Media Annuale PM10 I valori misurati per tutte le stazioni risultano al disotto del Valore limite per la Media Annuale come Protezione della Salute. Media Annuale C6H6 Per tutte le stazioni di monitoraggio della rete il limite è ampiamente rispettato (valori < di 5 µg/m3). Media massima giornaliera sulle 8 ore di CO La media massima giornaliera su 8 ore viene individuata esaminando le medie mobili su 8 ore, calcolate in base a dati orari e aggiornate ogni ora. Ogni media su 8 ore così calcolata è assegnata al giorno nel quale finisce. AOT40 O3 Nel corso degli anni e nelle varie stazioni c’è stata una significativa diminuzione dei valori misurati, che si pongono ampiamente al disotto del livello di Protezione della vegetazione.

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Media Annuale SO2 Il biossido di azoto viene monitorato solamente nella stazione di Parco Cortonese; i valori risultano ampliamente al di sotto del valore limite. Media Annuale NO2 Si osserva, un raggruppamento dei valori di NO2 misurati al di sotto del valore limite per la media Annuale come protezione della salute, fa eccezione la postazione di Fontivegge che registra invece un aumento a conferma che la pressione del traffico in questa zona è crescente. Media Annuale PM10 I valori di PM10 misurati nelle due postazioni della rete di Fontivegge e Ponte San Giovanni, sono risultati prossimi al valore limite per la media Annuale come protezione della salute (43,2 µg/m3), con una inversione di tendenza in aumento, nell’anno 2002 nella postazione di Fontivegge ed una stabilità in quella di Ponte S. Giovanni. Media Annuale C6H6 La concentrazione di benzene nell’aria viene misurata con analizzatore in continuo nella sola stazione di Fontivegge, zona ad alta densità di traffico veicolare. Dal 1999 al 2002 i valori di benzene riscontrati risultano prossimi al valore limite (10 µg/m3) anche se appare sensibile la diminuzione tra il 2001 ed il 2002 Media massima giornaliera sulle 8 ore di CO Nelle postazioni di Parco Cortonese e Porta Pesa i valori delle concentrazioni di CO riscontrate rispettano ampiamente i limiti stabiliti dalla normativa (10 mg/m3), mentre per quanto riguarda Fontivegge, si ha invece il superamento del Valore limite per la protezione della salute umana con valori tra i 10 e i 15 mg/m3; solo nel 2001 si è riusciti a scendere (9,9 mg/m3), di poco, sotto il valore soglia. AOT40 O3 La situazione è abbastanza critica, in quanto i valori misurati risultano superiori al livello di Protezione della vegetazione (18.000 µg/m3*h) in tutti i casi tranne che per la stazione di Fontivegge che risulta in diminuzione.

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Relazione sullo stato dell’ambiente in Umbria l Documento di sintesi - ALLEGATO l Scheda sintetica ATMOSFERA E CLIMA (PARTE ARIA)

IMPATTI

Crit

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tale

La fase valutativa e conoscitiva del Piano Regionale della Qualità dell’Aria è volta all’individuazione dei livelli di priorità ambientale del territorio regionale. In questa fase è stata curata la classificazione del territorio regionale in diverse porzioni, in dipendenza del carico inquinante presente nell’area e della presenza o meno di zone particolarmente sensibili all’inquinamento atmosferico o, in ogni modo, da sottoporre a particolare tutela. L’esame del territorio regionale mostra un elevata sensibilità ambientale dovuta alla presenza di: - centri urbani (popolazione, turismo) - aree boscate - presenza di biotopi - aree protette e siti di interesse comunitario

Prio

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È possibile individuare le aree caratterizzate da recettori sensibili ed appartenenti a gruppi con carico inquinante elevato e in cui quindi è prioritario intervenire. Sono state individuate 4 classi di priorità degli interventi (alta, medio-alta, media, bassa). Aree prioritarie di intervento: - Zona industriale di Perugia - Zona industriale di Terni-Narni - Area urbana di Terni - Zona industriale di Città di Castello - Zona industriale di Foligno-Spoleto

RISPOSTE

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Con il Piano di Risanamento e Tutela della Qualità dell’Aria la Regione dell’Umbria si è dotata di un importante strumento per la tutela dell’ambiente che, oltre a fornire un quadro dettagliato dell’incidenza dell’inquinamento atmosferico sul territorio, fornisce indicazioni sull’evoluzione del fenomeno e traccia le linee d’azione per la salvaguardia della qualità dell’aria nella Regione.

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Il Piano trae spunto dalle esigenze organizzative del territorio e della mobilità regionale ed è orientato verso un sistema dei trasporti coordinato e armonizzato con i principi e le scelte del Piano Urbanistico Territoriale e degli atti di programmazione della Regione. Tra i suoi obiettivi strategici troviamo quello di concorrere al raggiungimento degli obiettivi regionali in materia di tutela ambientale promuovendo, anche in questo settore, scelte coerenti con i principi dello sviluppo sostenibile che consentano il contenimento dei livelli di inquinamento atmosferico ed acustico.

Nor

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Direttiva 2000/69/CE: valori limite per il benzene ed il monossido di carbonio nell'aria ambiente Direttiva 2002/3/CE: ozono nell'aria DM 60/2002 Recepimento della Direttiva 1999/30/CE: valori limite di qualità dell'aria ambiente per il biossido di zolfo, il biossido di azoto, gli ossidi di azoto, le particelle e il piombo e della Direttiva 2000/69/CE: valori limite per il benzene ed il monossido di carbonio nell'aria ambiente Direttiva 96/62/CE: nuovi valori limite, di allarme e obiettivo per specifici inquinanti Direttiva 1999/30/CE: valori limite di qualità dell'aria ambiente per il biossido di zolfo, il biossido di azoto, gli ossidi di azoto, le particelle e il piombo

Ret

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Gli inquinanti che vengono rilevati nelle diverse stazioni della rete sono:

SO2, NO2, PM10, benzene, CO, ozono, IPA, metalli pesanti. Fisse - Rete di monitoraggio provincia di Terni/ARPA (Terni-Narni-Orvieto) - Rete di monitoraggio provincia di Perugia:

- Comune di Perugia - centrale ENEL Bastardo - cementerie Barbetti e Colacem (Gubbio) - Comune di Spoleto

Mobili Comuni di Spoleto, Foligno, Gubbio, Città di Castello, Castiglione del Lago, Assisi (Santa Maria degli Angeli) e Todi.

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Relazione sullo stato dell’ambiente in Umbria l Documento di sintesi - ALLEGATO l Scheda sintetica ATMOSFERA E CLIMA (PARTE CLIMA)

ATMOSFERA E CLIMA

- Parte Clima

INTRODU-ZIONE

Il clima ha un’importanza centrale per il sistema economico in quanto: ⇒ determina la disponibilità di risorse essenziali, come l’acqua, le biomasse naturali, agricole e zootecniche; ⇒ influisce sulla stabilità del territorio; ⇒ influisce sulla salute dell’uomo; ⇒ influenza il normale svolgimento delle attività umane. Per tutti questi motivi, il clima ha un’incidenza marcata sulla capacità di sviluppo socio-economico. I dati degli ultimi cinquanta anni evidenziano che il clima in Umbria tende ad evolvere verso caratteristiche di tipo caldo-arido, come conseguenza del processo di aumento a livello globale dei livelli di gas serra in atmosfera Questa tendenza è accompagnata da un aumento dei fenomeni meteorologici estremi e dei costi che essi comportano alle infrastrutture ed alla produzione In questa situazione di clima tendente a fenomeni più intensi e più rapidamente variabile è necessario: ⇒ disporre di un sistema di rilevamento dati efficiente e in grado di fornire indicazioni previsive in tempo reale; ⇒ ridurre le emissioni di gas serra prodotte a livello regionale in linea con gli impegni assunti dal governo italiano nell’ambito del

trattato internazionale per la prevenzione dei cambiamenti climatici.

Il CLIMA REGIONALE

Il clima della regione è caratterizzato da tre tipi fondamentali di clima: ⇒ con periodo arido, nelle zone di pianura (ad es.: Terni, Umbertide, Todi, Orvieto); ⇒ senza periodo arido nelle zone interne montuose appenniniche (ad es. Norcia); ⇒ con periodo perumido nelle zone alto collinari (ad es. Gualdo Tadino).

ANALISI DEI DATI METEO-

CLIMATICI

I dati climatici (temperatura e precipitazioni) sono raccolti da una rete dotata di numerosi punti, ma gestita fino a due anni addietro da una pluralità di soggetti, anche con finalità diverse. Poche sono le stazioni che presentano risultati continui nel tempo, poiché la manutenzione degli strumenti non sempre è stata tempestiva ed adeguata. Non è mai stata realizzata una campagna di “intercalibrazione” degli strumenti di misura al fine di evidenziare la presenza di errori sistematici. La rete di rilevamento, attualmente tutta sotto la competenza della Regione, non è stata realizzata sulla base di un modello climatico regionale e, quindi, dal punto di vista della significatività della risposta, può risultare eccedente in alcune parti e lacunosa in altre. La necessità di disporre di un sistema significativo, efficiente e pronto, richiede di colmare queste inadeguatezze in modo da disporre di un sistema più idoneo per prevenire danni da eventi climatici estremi. L’analisi del numero e della tipologia degli eventi climatici estremi, condotta sulla base dei contributi erogati per danni a strutture e colture, evidenzia una tendenza di aumento lineare negli ultimi trenta anni.

IL CLIMA DELL’AREA MEDITER-

RANEA

Normalmente, il clima in Italia è determinato dall’azione dei venti occidentali, il cui flusso è “movimentato” dal passaggio di cicloni e anticicloni che si formano lungo il fronte di contatto tra masse d’aria fredda polare e aria calda tropicale. Gli anticicloni (zone di alta pressione) che maggiormente caratterizzano il clima della penisola sono l’anticiclone delle Azzorre e quello russo-siberiano.

L’EVOLUZIO-NE CLIMATICA

GLOBALE

Il clima globale viene studiato da alcuni decenni in rapporto alle modifiche della composizione chimica dell’atmosfera dovuta alle emissioni aeriformi derivanti dall’uso crescente di combustibili fossili. Il Panel Intergovernativo per la Prevenzione dei Cambiamenti Climatici (IPCC) da vari anni ha raccolto tutti questi studi ed ha evidenziato una stretta correlazione tra livelli di anidride carbonica e temperatura a livello della superficie terrestre. Quindi, dato che i primi sono cresciuti del 30% nell’arco degli ultimi trecento anni (con una forte accelerazione negli ultimi cinquanta anni), gli esperti sono abbastanza concordi nel valutare che sia in atto un cambiamento del sistema climatico globale che comporterà, fra l’altro, anche un aumento della temperatura media globale. Si stima anche che negli ultimi cinquanta anni si sia già verificato un aumento della temperatura media globale di circa 0,5°C. La prevenzione di ulteriori cambiamenti climatici richiede la riduzione delle emissioni di anidride carbonica, ovvero una riduzione dell’uso dei combustibili fossili che per il momento è stata proposta in misura modesta (circa 5% nei paesi sviluppati), ma che dovrebbe aumentare attraverso l’impiego di fonti di energia rinnovabili ed un uso più efficiente delle risorse.

L’EVOLUZIO-NE CLIMATICA

IN ITALIA

Le osservazioni degli ultimi decenni, indicano come sempre più consistente l’ipotesi di un’evoluzione climatica legata ad un progressivo spostamento della fascia tropicale verso latitudini più alte (verso il nord) in tutta l’area mediterranea, con relativo conseguente aumento delle temperature e dell’intensità delle precipitazioni, che però nel complesso diminuiscono (tropicalizzazione). Questa tendenza è avvalorata dalla persistenza/imprevedibilità di fenomeni climatici un tempo sconosciuti e che costituiscono un corollario non marginale della tropicalizzazione.

INIZIATIVE REGIONALI

Il sistema di monitoraggio

Ai sensi della legge 267/98, ogni regione deve essere dotata di un sistema previsionale efficace, in grado di cogliere in tempo reale il decorso meteorologico, nonché di individuare tempestivamente le incipienti “anomalie” climatiche per darne immediata informativa (cfr. cap. 13.2.2.). A tal fine la Regione Umbria (Direzione Politiche Territoriali, Ambiente e Infrastrutture, Servizio Difesa del Suolo, Cave, Miniere e Acque Minerali), che dispone già dal 1985 di una rete di monitoraggio ambientale, ha attivato un progetto di potenziamento ed ottimizzazione della stessa prevedendo la realizzazione di un sistema, composto da un numero significativo di stazioni adeguatamente strutturate e dislocate strategicamente sul territorio regionale, che oltre all’attuale rilevazione provveda anche ad una valutazione efficiente e tempestiva degli scenari, riducendo i tempi di acquisizione dei dati (dai 30 min. attuali a 10 min.) e migliorando, così, la gestione degli eventi critici. Inoltre la Regione Umbria sta procedendo alla costituzione di un’unica banca dati comprendente gli archivi sia della Regione dell’Umbria che dell’ex Servizio Idrografico e Mareografico Nazionale di Roma in modo da rendere fruibili in internet, attraverso un portale specifico, tutti i dati termo-pluvio-idrometrici storici. Tale progetto, vista la necessità di informatizzare gran parte dei dati storici dell’ex Servizio Idrografico e Mareografico Nazionale di Roma, si concluderà entro il 2005.

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Relazione sullo stato dell’ambiente in Umbria l Documento di sintesi - ALLEGATO l Scheda sintetica ATMOSFERA E CLIMA (PARTE CLIMA)

INIZIATIVE REGIONALI

La riduzione delle emissioni di gas

serra

La riduzione delle emissioni di gas serra (in particolare anidride carbonica) può essere condotta in vari settori: ⇒ trasporti, attraverso il miglioramento dell’offerta dei sistemi pubblici di trasporto, specialmente quelli

ferroviari, attraverso la realizzazione di mercati locali per il commercio di derrate alimentari; ⇒ industria, migliorando l’efficienza di uso dell’energia nei vari settori produttivi, ad es. con una

maggiore penetrazione dei sistemi di co-generazione e di recupero del calore; incentivando la realizzazione di impianti per la produzione di calore ed energia elettrica dalla fonte solare;

⇒ civile, favorendo e incentivando il miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici esistenti e di quelli nuovi, anche mediante una campagna dimostrativa sugli edifici della pubblica amministrazione.

Attraverso interventi di questo genere si può pervenire a ridurre le emissioni di anidride carbonica anche in misura consistente nell’arco di alcuni anni. Infine, va evidenziata la funzione di mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici che possono svolgere gli ecosistemi naturali (bosco), specialmente quando sono tutelati e mantenuti in buona efficienza, come avviene già oggi all’interno delle Aree Naturali Protette.

Fenomeni idrogeologici (esondazioni,

alluvioni)

Il cambiamento climatico già riscontrabile comporta una diversa dinamica delle precipitazioni, il cui valore complessivo va diminuendo (in media circa il 20% in meno in 50 anni), ma che vanno caratterizzandosi con fenomeni di breve durata ed elevata intensità. Questo comporta l’aumento di fenomeni di ruscellamento delle acque e delle portate dei fiumi e torrenti con conseguenti esondazioni ed alluvioni delle zone vallive. Aumenta altresì il dilavamento e l’erosione del suolo, l’erosione dei versanti e delle linee di costa dei corsi d’acqua. L’alternanza di fenomeni climatici estremi (aridità, piogge intense) amplifica le dinamiche geologiche accelerando fenomeni di frana sui versanti, specie quelli non adeguatamente protetti da vegetazione o modificati dalla presenza di infrastrutture umane. Fenomeni

geologici (frane) La persistenza di periodi di siccità determina alterazioni delle formazioni geologiche superficiali (specie quelle argillose) che inducono fenomeni di dissesto sulle strutture in esse fondate.

CATASTROFI NATURALI E

CLIMA

Disponibilità di risorse idriche

La tendenza alla riduzione delle precipitazioni complessive e la dinamica concentrata in periodi brevi di fenomeni intensi, determina una riduzione della disponibilità di risorsa idrica, maggiormente visibile nei periodi di prolungata aridità. Tale minore disponibilità riguarda le risorse idriche superficiali, in quanto le precipitazioni concentrate tendono a produrre volumi elevati che scorrono via più rapidamente diminuendo la frazione assorbita nelle falde superficiali e profonde che, quindi, subiscono una minore alimentazione che si traduce in una minore disponibilità.

POSSIBILI EVOLUZIONI

È necessario sviluppare un efficiente sistema di monitoraggio climatico regionale al fine di verificare l’evoluzione dei fenomeni sopra indicati e prevenire situazioni di grave danno per il sistema socio-economico. Un aspetto essenziale è costituito dalla presenza di un adeguato sistema di Aree Naturali Protette che consentano di mitigare queste alterazioni e di assicurare i servizi fondamentali necessari alla società regionale (acqua, territorio, natura, produttività).

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Relazione sullo stato dell’ambiente in Umbria l Documento di sintesi - ALLEGATO l Scheda sintetica ATMOSFERA E CLIMA (PARTE RUMORE E RADIAZIONI)

ATMOSFERA E CLIMA - Parte Rumore e Radiazioni

PRESSIONI

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Sorgenti principali - Traffico veicolare (principale sorgente); - ferrovie ed aeroporti; - attività industriali e artigianali; - attività commerciali; - discoteche e i locali musicali.

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Sorgenti principali: - Impianti a radiofrequenza - impianti radiotelevisivi (803) - impianti per la telefonia mobile (383) Sorgenti a frequenze estremamente basse: - linee elettriche ENEL di tutte le tensioni - linee elettriche delle Ferrovie ad alta tensione cabine di trasformazione

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Sorgenti principali: radioattività naturale: - radon - raggi cosmici - centrale a carbone dell’Enel radioattività artificiale: - Particolato Atmosferico: Perugia (postazione Policlinico Monteluce); Terni (non ancora sistematicamente) - Deposizione al suolo: Perugia (postazione Policlinico Monteluce); Terni (con campagne puntuali)

STATO

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MO

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Il numero dei superamenti in rapporto al numero degli interventi è un buon indicatore di stato, utile a descrivere le modificazioni che subisce l’ambiente in funzione delle pressioni che su esso gravano. Il numero di interventi ha avuto un aumento tra il 2000 e il 2001 (da 7 a 21 interventi), seguito da una diminuzione nel 2002 (12) attribuibile anche alla definizione di specifiche procedure operative da parte dell’ARPA con coinvolgimento delle amministrazioni comunali. Gli interventi in questi anni hanno riguardato in maniera preponderante le attività associative oppure attività nelle quali la sorgente disturbante è costituita da impianti di servizio (per es. impianti di condizionamento). Inoltre, viene confermato che un forte elemento di pressione, è rappresentato dalle infrastrutture stradali, che hanno richiesto un’importante presenza dell’ente di controllo.

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Per quanto concerne i controlli effettuati nel periodo gennaio 1999 - giugno 2000, i dati relativi ad impianti per radiotelecomunicazione (SRB e RTV) sono considerati nel loro insieme e presentano il 97% delle misure con valori inferiori a 6 V/m ed il 3% con valori compresi tra 6 V/m e 20V/m; questi ultimi sono esclusivamente relativi ad impianti radiotelevisivi. Il numero dei superamenti del valore limite in tutta la regione è pari a 5 e per questi, in un caso già è in corso il risanamento, in un caso ci sarà il risanamento con supplemento di indagine e per gli altri 3 casi sono stati programmati i risanamenti.

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Nella provincia di Perugia, i controlli effettuati nel 2002 in prossimità di impianti ELF mostrano che nel 40% dei casi i valori sono compresi tra 0,4 e 3 µT e in più del 50% sono inferiori a 0,4 µT. Nella Provincia di Terni invece i controlli del 2002 mostrano una inversione nei valori misurati in quanto nel 2000 e 2001 più del 90% dei valori erano inferiori a 0,4 µT, mentre nel 2002 il 100% dei valori sono compresi nell’intervallo 0,4-3 µT.

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I controlli vengono effettuati giornalmente attraverso un sistema di aspirazione automatico del particolato atmosferico. In accordo al protocollo delle Reti Nazionali, su ogni filtro campionato vengono eseguite misure di beta–totale (i valori di beta totale tengono conto della concentrazione di attività in aria di tutti gli emettitori beta, compreso il cesio, ad esclusione dei naturali a vita breve), mentre su pacchetti mensili di tali filtri di aspirazione vengono eseguite misure di spettrometria gamma; nelle tabelle che seguono vengono presentate le medie annuali.

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La radioattività in aria è dovuta alla presenza di elementi radioattivi di origine cosmogenica (come il 7Be) e di origine naturale appartenenti alla serie dello 238U e del 232Th ed eventualmente alla presenza di radionuclidi di origine artificiale. Il 7Be, radionuclide gamma emettitore prodotto nell’atmosfera dai raggi cosmici, è generalmente misurabile nelle matrici ambientali e mostra una elevata variabilità stagionale.

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Relazione sullo stato dell’ambiente in Umbria l Documento di sintesi - ALLEGATO l Scheda sintetica ATMOSFERA E CLIMA (PARTE RUMORE E RADIAZIONI)

IMPATTI

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Il quadro non è molto ampio, ma si può ritenere significativo in quanto interessa i due capoluoghi di provincia, toccando il 30% della popolazione totale. Per Perugia è stato riscontrato che il 22% della popolazione è residente in aree dove la rumorosità ambientale è maggiore di 55 dBA di notte, mentre per Terni la percentuale è molto più bassa (10%).

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Le indagini strumentali eseguite sul territorio regionale per la valutazione delle emissioni prodotte da impianti a radio frequenza hanno interessato lo studio esteso di porzioni di aree urbane dei maggiori comuni della regione, ovvero Foligno, Perugia e Terni. Foligno Le misure con strumentazione a banda larga sono state eseguite nei punti più esposti, nei pressi degli impianti attivi al momento della sperimentazione, nell’area quadrata di 5 km di lato studiata sul territorio della città di Foligno. La popolazione che risiede in questa zona è circa il 30% della popolazione del comune di Foligno; si può valutare che attualmente il 30% della popolazione è esposta a valori di campo inferiori ai 5 V/m. Considerando che il 94% delle misure risulta essere inferiore a 3 V/m è possibile stimare un’esposizione del 30% della popolazione a valori inferiori a 3 V/m (pari alla metà delle misure di cautela stabilite dalla normativa vigente). Perugia Le misure eseguite con strumentazione in continuo presentano valori, mediati in tutto l’intervallo di tempo del monitoraggio, inferiori a 3 V/m. Essendo l’area studiata non molto ampia (circa 0,21 km2) e caratterizzata dalla presenza di numerosi uffici possiamo ipotizzare una percentuale di circa lo 0,1% della popolazione totale, esposta a valori di campo inferiori alla metà delle misure di cautela stabilite dalla normativa vigente. Terni Le misure, eseguite con strumentazione in continuo, presentano valori, mediati in tutto l’intervallo di tempo del monitoraggio, molto inferiori a 3 V/m.

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Gli effetti biologici e sanitari che le radiazioni ionizzanti hanno sulla salute dell’uomo, oggetto di numerosissimi studi già a partire dai primi anni del secolo scorso, sono noti e continuamente aggiornati; ad oggi però non sono disponibili dati relativi a studi effettuati solo sul territorio della regione Umbria. La radioattività fa parte dell’ambiente in cui viviamo ed ha accompagnato l’intero sviluppo biologico dell’ecosistema terrestre e del genere umano. Ha contribuito ad indurre le mutazioni genetiche sulla cui base, attraverso le ere, sono stati selezionati dalla natura i caratteri genetici dominanti delle specie biologiche, e tra esse la specie umana.

RISPOSTE

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Normativa La Regione Umbria ha recepito quanto previsto dalla legge quadro n. 447/95 e relativi decreti attuativi con la legge n. 8 del 6 giugno 2002, “Disposizioni per il contenimento e la riduzione dell’inquinamento acustico”. La normativa regionale stabilisce principalmente: - i criteri per la classificazione acustica del territorio da parte dei Comuni; - le modalità per il rilascio delle autorizzazioni per lo svolgimento di attività e manifestazioni temporanee; - le competenze delle Province; - i servizi di controllo in materia di inquinamento acustico; - i criteri per la redazione della documentazione relativa alle valutazioni di impatto e alle previsioni di clima acustico; - le procedure e criteri per la predisposizione ed adozione dei piani di risanamento acustico e per l’individuazione delle priorità degli interventi di bonifica acustica del territorio. I Piani di zonizzazione realizzati da tutti i Comuni della Regione riguardano in totale circa 353.000 abitanti e un totale di circa 1.435 km2 di superficie. In generale, appare evidente la scarsa tendenza dei comuni umbri nell’utilizzare questi nuovi strumenti di pianificazione per fronteggiare l’inquinamento acustico quale problema ambientale, tendenza in linea con quanto si verifica anche a livello nazionale. I Comuni che hanno provveduto alla redazione del Piano di Risanamento Acustico sono Perugia, Marsciano, Foligno, Spoleto e Terni. Pur essendo un numero limitato la popolazione complessivamente interessata risulta significativa, ovvero il 30% sul totale della popolazione residente nel territorio umbro.

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ti Controlli per impianti SRB, RTV ed ELF Pareri preventivi per impianti SRB, RTV ed ELF Rete di monitoraggio in continuo delle emissioni prodotte sia da impianti ad alta frequenza che a bassa frequenza

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La normativa nazionale in tema di radiazioni ionizzanti si esplica con il D.Lgs. 230/1995, modificato dal 187/2000 e dal 241/2000 "Attuazione delle direttive 89/618/Euratom, 90/641/Euratom, 92/3/Euratom e 96/29/Euratom in materia di radiazioni ionizzanti". Il Capo IX art. 104 “Controllo sulla radioattività ambientale” definisce il complesso dei controlli articolato in reti di sorveglianza regionale e nazionale. Obiettivo principale delle reti è il rilevamento dell’andamento della radioattività ambientale, al fine della valutazione della dose ricevuta dalla popolazione a seguito dell’esposizione alle radiazioni derivanti dai radionuclidi presenti nell’ambiente. La strumentazione di campionamento è collocata in una postazione nel territorio di Perugia e in un’altra nel territorio di Terni.

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Relazione sullo stato dell’ambiente in Umbria l Documento di sintesi - ALLEGATO l Scheda sintetica ACQUE

ACQUE L’Autorità di Bacino del Fiume Tevere ha individuato otto sottobacini principali che interessano il territorio regionale e vengono assunti come unità territoriali di riferimento per le analisi effettuate

PRESSIONI

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Stime dei prelievi ed usi: - prelievi ad uso civile: 85 Mm3 - prelievi ad uso irriguo: 107 Mm3 - prelievi ad uso zootecnico: 25 Mm3 - prelievi ad uso industriale: 68 Mm3 - prelievi per vari usi (esempio: piscicoltura, idroelettrico, igienico o forza motrice) Carichi inquinanti: - carico civile - carico agricolo - carico zootecnico - carico da attività itticola - carico industriale - carico da prodotti fitosanitari

STATO La Regione Umbria ha individuato i corpi idrici significativi ai sensi del D.Lgs. 152/99, nonché i corpi idrici superficiali a destinazione funzionale.

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Corsi d’acqua naturali: Fiume Tevere, fiume Chiascio, fiume Topino, torrente Marroggia, torrente Teverone torrente Nestòre, fiume Paglia, torrente Chiani, fiume Nera, fiume Corno, fiume Velino Canali artificiali: canale Medio Nera, canale Recentino Laghi naturali : palude di Colfiorito, lago Trasimeno, lago di Piediluco.

Invasi artificiali: Lago di Corbara, lago di Alviano, lago di Valfabbrica, lago di Arezzo, lago di San Liberato, lago dell’Aia

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Vita dei pesci:

Fiume Tevere (fino a Pierantonio), torrente Soara, torrente Menotre, fiume Clitunno, fosso dell’Elmo, fosso Migliari, fiume Nera (monte di Ferentillo), fiume Corno, fiume Sordo, torrente Vigi, torrente Argentina, Castellone.

Balneazione: lago Trasimeno Acqua potabile: Lago Trasimeno e lago di Piediluco

Per la valutazione dello stato delle acque superficiali sono stati esaminati: 1) disponibilità idrica e bilancio delle risorse; 2) qualità delle acque superficiali: la valutazione qualitativa dei corpi idrici significativi viene fatta sulla base dei criteri dettati dal D.Lgs. 152/99, che prevede la definizione dello stato ambientale come incrocio della qualità chimica e della qualità biologica di un corso d’acqua. Nella maggior parte delle stazioni di monitoraggio dei corsi d’acqua la qualità delle acque risulta essere “sufficiente”; solo in alcune stazioni ubicate nel sottobacino del Nera a monte della confluenza con il fiume Velino, e nelle stazioni del fiume Topino fino a valle dell’abitato di Foligno lo stato ambientale risulta “buono”. Una qualità delle acque scadente si ha per le stazioni del torrente Nestore e del fiume Velino. Per i laghi, nella maggior parte delle stazioni la qualità risulta essere pessima, in genere a causa del parametro trasparenza. Fa eccezione il lago di Arezzo, con uno stato sufficiente, e la stazione al centro del lago Trasimeno con stato scadente.

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Acquiferi alluvionali:

Alta Valle del Tevere, Conca Eugubina, Media Valle del Tevere, Valle Umbra, Conca Ternana

Acquiferi carbonatici: Monti di Gubbio, Monte Cucco, Monti delle Valli del Topino e del Menotre, Monti della Valnerina, Monti Martani e d’Amelia

Acquiferi vulcanici:

Complesso vulcanico Orvietano Per la valutazione dello stato delle acque sotterranee sono stati esaminati: 1) disponibilità idrica e bilancio delle risorse; 2) qualità delle acque sotterranee: viene definita in base ai criteri del D.Lgs. 152/99, che prevede l’attribuzione agli acquiferi o a settori di essi di una “classe chimica” in funzione dei risultati del monitoraggio periodico di una serie di parametri chimici e chimico-fisici di base nonché di parametri addizionali scelti in funzione delle caratteristiche del carico antropico presente nel territorio. Ampi settori degli acquiferi alluvionali risultano avere qualità scadente, in genere per problemi legati ad elevate concentrazioni di nitrati o, più raramente, per la presenza di microinquinanti di origine agricola o industriale. Condizioni di acque naturalmente scadenti prevalgono nell’acquifero artesiano di Cannara. La qualità delle acque è migliore negli acquiferi carbonatici, dove si hanno condizioni di basso impatto antropico e caratteristiche idrochimiche pregiate o buone.

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Relazione sullo stato dell’ambiente in Umbria l Documento di sintesi - ALLEGATO l Scheda sintetica ACQUE

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a L’impatto maggiore sull’aspetto quantitativo delle acque superficiali viene dall’uso idroelettrico, che comporta derivazioni di elevate portate dalle aste dei principali corsi d’acqua. Le opere più rilevanti interessano soprattutto il bacino del fiume Nera. Nel tratto montano dal confine regionale a Ponte Chiusita, una serie di sbarramenti precede il Canale Medio Nera che convoglia parte delle acque del fiume, unitamente a parte di quelle dei suoi affluenti, torrente Vigi e fiume Corno, fino al Lago di Piediluco, con una portata media complessiva di circa 15 m3/s. Il rilascio delle acque derivate avviene solo molti chilometri a valle con la confluenza del fiume Velino nel Nera. Nel tratto immediatamente a valle delle derivazioni la portata naturale del fiume risulta fortemente ridotta, poi il deflusso aumenta gradualmente grazie all’alimentazione di sorgenti lineari in alveo. A Torre Orsina, prima di recuperare le acque dalla centrale idroelettrica attraverso l’immissione del Velino, il fiume raggiunge una portata media di circa 5 m3/s, pari a circa un quarto di quella naturale. Altro aspetto importante è che il deflusso dal lago di Piediluco è regolato in funzione della domanda idroelettrica, con portate superiori a 100 m3/s nelle ore diurne, e praticamente nulle durante la notte. Piccoli rilasci, anche questi programmati e limitati ad alcune fasce orarie giornaliere, servono ad alimentare la Cascata delle Marmore per fini turistici. La gestione delle centrali idroelettriche alimentate dal fiume comporta, quindi, che i circa 80 m3/s di portata media complessiva del bacino Nera-Velino defluiscono alla confluenza con il fiume Tevere concentrati in alcune ore della giornata. All’altezza di Terni il canale Recentino deriva gran parte della acque del fiume verso il lago dell’Aia. Anche in questo caso il rilascio delle acque derivate avviene alcuni chilometri più a valle della derivazione, in località Nera Montoro. Nel suo tratto finale infine, il fiume viene imbrigliato con una diga a scopi idroelettrici che crea l’invaso di San Liberato, la cui gestione ripropone le stesse modalità di deflusso delle altre centrali idroelettriche.

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tici La componente fondamentale per lo studio dell’impatto sui corpi idrici è la vita acquatica, rappresentata significativamente dalle

popolazioni di macroinvertebrati. Questi costituiscono, attualmente, i bioindicatori più adatti a valutare le condizioni di stress degli ecosistemi fluviali e in Italia vengono utilizzati per il calcolo dell’Indice Biotico Esteso (IBE). Tevere: l’insieme dei dati mostra come le comunità macrobentoniche riscontrate nei vari punti del Tevere siano, di solito, tipiche di una terza classe di qualità (ambiente inquinato o comunque alterato). Chiascio-Topino: tutte le stazioni presentano valori di IBE ricadenti all’interno delle classi intermedie: 43% II classe, 41% III classe, 16% IV classe, non sono state più riscontrate stazioni di qualità pessima (V classe), ma neppure stazioni in I classe. Nera-Velino: non sono state riscontrate, stazioni ricadenti in V classe (ambiente fortemente inquinato), la percentuale di quelle in IV è pari al 3%, mentre quella in III classe è del 21%; le stazioni di buona qualità (II classe) sono pari al 70 % e c’è un 6% di stazioni che presentano un ambiente non inquinato (I classe). Nestore: le stazioni presentano valori di IBE ricadenti all’interno delle classi intermedie: 47% II classe, 33% III classe, 13% IV classe, c’è un 7% di stazioni che ricadono nella qualità pessima (V classe).

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in Umbria fino ad oggi le fonti di approvvigionamento di acqua potabile sono sempre stati i corpi idrici sotterranei ad eccezione del lago Trasimeno da cui vengono prelevate acque da destinare, previo trattamento di potabilizzazione, al consumo umano. Si tratta comunque di una portata limitata. La carenza quantitativa di risorsa idrica in alcune aree del territorio, è solo una delle cause che concorrono a determinare la criticità dell’approvvigionamento idropotabile della regione. Altrettanto determinanti sono i problemi legati alla qualità delle acque sotterranee degli acquiferi alluvionali che in alcuni settori sono andate sempre più contaminandosi tanto da rendere necessario il loro abbandono. Il diffuso inquinamento da nitrati di origine agricola ha reso di fatto non idonee al consumo umano le acque di ampi settori di acquiferi alluvionali.

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Relazione sullo stato dell’ambiente in Umbria l Documento di sintesi - ALLEGATO l Scheda sintetica ACQUE

RISPOSTE

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Aggiornamento del Piano Regionale di risanamento delle acque (PRRA). Piano Regolatore Generale degli Acquedotti (PRGA) Piano Irriguo Regionale Piano emergenza idrica Piano stralcio del Trasimeno Piano di bacino del Fiume Tevere Piano di Assetto Idrogeologico (PAI)

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- monitoraggio quantitativo delle acque superficiali; - monitoraggio qualitativo delle acque superficiali; - monitoraggio quantitativo e qualitativo delle acque sotterranee.

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I controlli ambientali possono essere distinti in tre categorie: - interventi a seguito di segnalazioni/esposti da parte di enti e/o privati; - monitoraggio: sorveglianza periodica del territorio; - vigilanza e controllo: attività riguardante singoli insediamenti. Lo scopo fondamentale dei controlli ambientali è l’accertamento del rispetto delle prescrizioni e degli adempimenti previsti dalla normativa vigente. Inoltre i risultati dei controlli ambientali insieme ai monitoraggi rappresentano i principali indicatori di efficacia dell’attività di prevenzione. ARPA, in un anno di controlli (settembre 2001- agosto 2002) ha inserito nel sistema SPINA, sistema di gestione dei programmi ed interventi di controllo ambientale, 440 aziende e di queste 88 sono risultate non conformi alla normativa vigente in materia ambientale con una percentuale del 20% sul totale dei controlli effettuati.

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Le azioni tese a conseguire il contenimento del consumo da parte dell’utenza sono identificabili in: 1. applicazione di erogatori o acceleratori di flusso ai rubinetti di lavelli e docce; 2. installazione di miscelatori di acqua (calda e fredda) e di fotocellule o pulsanti per l’apertura e chiusura dei rubinetti; 3. installazione di cassette per i servizi igienici a doppio scomparto o con tasto di stop; 4. impiego di elettrodomestici a basso consumo idrico; 5. eliminazione perdite interne da rubinetti e water; 6. installazione di impianti a goccia per ridurre i consumi di irrigazione delle piante da vaso e giardini; 7. recupero di acqua piovana mediante apposite cisterne per giardinaggio, lavaggio auto, ecc. Tutte queste azioni, da adottarsi tanto nel settore pubblico, inteso come collettività, quanto nel settore privato, vanno sostenute con azioni di condizionamento e incentivi.

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L’Aggiornamento del Piano Regionale di Risanamento delle Acque, individua come visto le aree classificabili come sensibili e le zone vulnerabili ai nitrati di origine agricola ai sensi del D.Lgs. 152/99 presenti sul territorio regionale. Sulla base di tali indicazioni, dei dati derivati dal monitoraggio degli ultimi due anni e delle elaborazioni prodotte è iniziato nel 2002 il processo di individuazione e perimetrazione delle aree sensibili. Le aree individuate comprendono: - il lago di Piediluco; - il lago Trasimeno; - la palude di Colfiorito; - il lago artificiale di Alviano; - il tratto del fiume Nera fino a Scheggino; - il tratto del fiume Clitunno dalla sorgente fino alla località Casco dell’Acqua.

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La Regione dell’Umbria, in attuazione della legge 36/94, ha individuato all’interno del territorio regionale tre Ambiti Territoriali Ottimali tramite la legge regionale 43/97. A partire da gennaio 2003 la gestione del Servizio Idrico Integrato all’interno di ogni ATO è stata affidata a società per Azioni a maggioranza pubblica, che rappresentano ad oggi il gestore unico del Servizio Idrico Integrato all’interno di ciascun ambito. L’ATO1 comprende 38 comuni della provincia di Perugia, l’ATO2 comprende i 32 comuni della provincia di Terni, l’ATO3 comprende 22 Comuni della parte sud orientale della Provincia di Perugia.

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Relazione sullo stato dell’ambiente in Umbria l Documento di sintesi - ALLEGATO l Scheda sintetica SUOLO E RIFIUTI (PARTE SUOLO)

SUOLO E RIFIUTI

- Parte Suolo

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In Umbria esistono 57.153 aziende (agricole, zootecniche e forestali) che utilizzano una Superficie Agricola (SAU) di 367.141 ha, a fronte di una Superficie Agricola Totale (SAT) di 642.492 ha. Dal 1990 al 2000 si è registrata una tendenza alla diminuzione sia nel numero di aziende (-2,4%) che nella SAU (-7,3%) che nella SAT (-6.2%). Dal 1990 al 2000 si è registrata una diminuzione del 5,1% della superficie agricola utilizzata per quanto riguarda i seminativi, del 17,8% per i prati permanenti e pascoli e un aumento del 3,2% per le coltivazioni legnose agrarie. Per quanto riguarda la forma di utilizzazione delle superficie agricole in Umbria è che i 367.141 ettari di SAU sono utilizzati dal 98,5% delle aziende con suolo. Su questa superficie i Seminativi, che la coprono per il 63,9%, rappresentano la forma di utilizzazione più diffusa praticata dal 73,8% delle aziende con superficie. Oltre ai Seminativi una coltura molto diffusa è rappresentata dalle coltivazioni legnose agrarie praticate dal 73,4% delle aziende con terreni, e per una superficie investita pari al 13,5% della SAU. Tali colture legnose seppure hanno subito un aumento pari al +3,2% della superficie investita esse vengono condotte in un numero inferiore di aziende pari a -5,8% rispetto al 1990 determinando così un aumento del suo valore medio da 1,08 a 1,18 ettari per azienda coltivatrice. La forma di utilizzazione dei 367.141 ettari di SAU percentualmente meno diffusa nella Regione Umbria è rappresentata dai prati permanenti e pascoli. Essi sono presenti nel 24,6% delle aziende con suolo e coprono il 22,6% della SAU. Per tali coltivazioni il numero delle aziende che le conducono sono aumentate rispetto al precedente censimento del 1990 per il 14% in contrapposizione ad una diminuzione della superficie coperta pari al 17,8%. Da questa condizione ne risulta che nel decennio 1990-2000 si è assistito ad una riduzione del valore della superficie media aziendale coltivata a Prati permanenti e Pascoli e pari a circa 2,30 ettari, determinando una contrazione tale che si passa da 8,21 a 5,91 ettari per azienda coltivatrice. La contrazione del -5,1% subita dalle superfici destinate ai Seminativi nel decennio 1990-2000 è da imputare alla riduzione della SAU nell’anno 2000, per la coltivazione delle colture industriali in senso lato e delle foraggere avvicendate, mentre le superfici destinate ai cereali da granella si mantengono pressoché costanti. Le superfici destinate ai Prati permanenti ed ai Pascoli pur presentando una contrazione pari a -17,8% mantengono la tendenza all’aumento a partire dal 1998. Infine l’aumento pari a +3,2% delle superfici destinate alle Coltivazioni permanenti è il risultato di un incremento nell’anno 2000 della coltivazione di fruttiferi ed olivi. I risultati che emergono dall’analisi della distribuzione delle classi agricole per ambiti territoriali sono tali che relativamente alla categoria dei terreni coltivati e non si assiste ad una distribuzione abbastanza equilibrata tra le aree pianeggianti, le aree basso collinari ed i sistemi alto collinari. Gli oliveti invece sono distribuiti maggiormente nei sistemi alto collinari e, quasi in eguale misura, in aree basso collinari e sui rilievi montuosi. Infine i igneti sono presenti per oltre la metà della loro superficie totale nelle aree basso collinari per poi distribuirsi verso le aree pianeggianti o i sistemi alto collinari.

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La realtà agricola umbra, relativamente alle lavorazioni del suolo, ha evidenziato la tendenza, dalla metà del ‘900, all’aumento della meccanizzazione, ed alla maggiore potenza dei mezzi per unità di superficie, a cui ha corrisposto l’aumento della profondità di lavorazione e della larghezza di lavorazione. Negli ultimi anni però si è giunti alla consapevolezza che sistemi di lavorazione troppo intensivi accentuino i fenomeni di erosione del suolo o il declino del suo contenuto di sostanza organica. Il compattamento del suolo è un elemento che può essere imputato a diversi fattori. Esso può essere determinato da fattori intrinseci del terreno, da condizioni di saturazione perdurante o deficit idrico, dall’esecuzione di lavorazioni scorrette, dal traffico frequente di macchine ed attrezzature. In generale però tale condizione è andata accentuandosi con l’evoluzione della meccanizzazione verso l’introduzione di macchine ed attrezzature di massa e dimensioni sempre maggiori. Il compattamento del suolo quindi è un elemento da tenere in considerazione e sotto controllo nell’ambito di una gestione agricola sostenibile. Dai dati disponibili emerge che le aziende che utilizzano mezzi meccanici di uso agricolo (di proprietà, in comproprietà o forniti da terzi) sono pari all’85,8% del totale. Tra queste il 56% possiede piccoli mezzi (motocoltivatore, motozappa, motofresatrice, motofalciatrice) mentre il 52% possiede mezzi grandi (trattrici). Le aziende proprietarie di mietitrebbiatrici sono solo il 2,6% delle aziende con seminativi. Per gli anni 1990, 1996 e 1998 sono stati calcolati il numero di trattrici per ettaro di SAU e la potenza delle trattrici per ettaro di SAU. Da tale analisi emerge che il numero delle trattrici per ettaro è salito da 0,10 nel 1990 a 0,14 nel 1998. Un andamento crescente è stato registrato anche in relazione alla potenza delle trattrici per ettaro che sale da circa 5,5 CV nel 1990 a circa 8 CV nel 1998.

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Uso di fertilizzanti di sintesi Lo sviluppo tecnologico e le strategie commerciali volte a massimizzare i profitti ed a minimizzare i costi ha determinato un consumo crescente di fertilizzanti ed altri prodotti di sintesi con il conseguente inquinamento delle acque del suolo e dell’aria, la degenerazione degli ecosistemi, l’alterazione del paesaggio e la perdita di biodiversità. Il regolamento CEE 2079/92, che incentiva il riequilibrio tra attività agricola e ambiente, (attuato con il Programma Regionale Agroambientale dell’Umbria dal 1994) ed il successivo Piano di Sviluppo Rurale 2000-2006 (che prevede tra le azioni la riduzione dell’impiego di fertilizzanti chimici e l’introduzione dei metodi di agricoltura biologica), ha determinato nel periodo 1995-2000 una sensibile riduzione dei quantitativi di azoto e fosforo (20%-25%) somministrati alle colture e dell’azoto lisciviato. Uso di prodotti fitosanitari Il carico totale di prodotti fitosanitari è stato ricavato dai dati del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali disponibili per il periodo 1994-1998, in base alle dichiarazioni dei rivenditori al Sistema Informatico Agricolo Nazionale (SIAN). Pertanto, la loro rappresentatività è limitata dal fatto che le quantità vendute si riferiscono al formulato commerciale e non alle quantità effettive dei principi attivi; derivano dalle dichiarazioni dei venditori; il venduto a livello regionale può non coincidere con le quantità effettivamente utilizzate; è possibile una contabilizzazione doppia o plurima nel caso di commercializzazione tra rivenditori. In Umbria risultano venduti 229 prodotti dei 400 autorizzati in Italia. Del totale commercializzato (ca 1.650 t nel 1998), il 79% è stato venduto nella Provincia di Perugia. A livello regionale, nel periodo di riferimento l’impiego è diminuito da 9,3 kg/ha del 1995 a 6,4 kg/ha del 1998 con una diminuzione del 38% ca. Carico dei reflui zootecnici L’elevata presenza di aziende zootecniche, prevalentemente a ciclo aperto per l’ingrasso del suino pesante da trasformazione, a carattere intensivo e in molti casi “senza terra” (più di 100 aziende per un totale di 250.000 capi, localizzate soprattutto nella zona di Bettona e Marsciano dove sono in funzione due impianti consortili di depurazione che coprono circa il 60% dei reflui), comporta la produzione di notevoli quantità di effluenti e di un carico diffuso che impatta sui corpi idrici superficiali e sotterranei. L’apporto di sostanze azotate, in eccesso rispetto ai fabbisogni delle colture, mediante l’utilizzazione dei liquami sui terreni in anticipo rispetto alla fase di accrescimento delle colture può determinare residui (nitrati) soggetti a ruscellamento e lisciviazione che possono compromettere la qualità delle acque. Una più corretta gestione dei sistemi di allevamento, potrebbe consentire la riduzione dei reflui e l’aumento della produzione di letame, in modo da ridurre i costi di smaltimento, ridurre l’impatto sulla qualità delle acque ed espandere la produzione di fertilizzanti ed ammendanti organici naturali.

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Relazione sullo stato dell’ambiente in Umbria l Documento di sintesi - ALLEGATO l Scheda sintetica SUOLO E RIFIUTI (PARTE SUOLO)

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L’analisi della capacità d’uso e dell’attitudine all’uso è stata condotta con vari metodi basati su principi diversi quali: l’uso attuale del territorio; la capacità d’uso; la suscettività o attitudine. I risultati ottenuti con il primo sono normalmente riportati come dato territoriale, anche in base ai monitoraggi periodici ed ai censimenti. I risultati ottenuti con il secondo metodo della capacità d’uso non riguardano la redditività o fertilità dei terreni, bensì gli interventi da porre in essere per la loro conservazione, attraverso l’analisi di molte caratteristiche quali: la profondità effettiva dei terreni; la tessitura; la suscettibilità all’erosione; l’erosione precedente; il drenaggio complessivo; la pietrosità e rocciosità; la pendenza; la salinità; la capacità utile di campo; le condizioni climatiche; le caratteristiche chimico-mineralogiche; la vegetazione naturale; la frequenza inondazioni; il substrato pedogenetico. In particolare, è stato dimostrato che nei territori umbri è particolarmente urgente la definizione dell’intensità dell’uso potenziale dei suoli, soprattutto nelle aree di collina e montagna, specificando bene le limitazioni intrinseche, di ordine geomorfologico e climatico, prevedendo ove necessario anche destinazioni non produttive. Un’ulteriore valutazione è quella basata sulla attitudine all’uso, che ha avuto come risultato anche la realizzazione di una cartografia dettagliata, in fase di pubblicazione, che valuta il territorio ad un approccio multidisciplinare, e basato su: modi di utilizzazione (tipi d’uso ampi, come agricoltura irrigua e non, allevamento, forestazione; o tipi d’uso specifici, come coltura di mais da granella, frumento duro, coltura legnosa tipi pioppo, ecc); confronto dei vantaggi in rapporto ai differenti costi dei tipi d’uso; caratteristiche fisiche, economiche e sociali delle varie zone; ordini di attitudine (se è adatto o no ad un particolare uso e la definizione è fondamentalmente economica: S adatto, Sc condizionatamente adatto, N non adatto); classi di attitudine (sono i gradi di attitudine e sono definite in base al numero e intensità delle limitazioni fisiche con implicazioni economiche: S1 altamente adatto, S2 moderatamente adatto, S3 marginalmente adatto, N1 attualmente non adatto, N2 permanentemente non adatto, NC non classificato); sottoclassi di attitudine (indicano i tipi di limitazioni o di miglioramenti necessari all’uso ottimale); unità di attitudine (indicano le differenze minori di conduzione).

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La fertilità del suolo dipende da numerosi ed eterogenei fattori che determinano gli equilibri chimico- fisico- biologici. Gli organismi animali svolgono un ruolo importante primario (in un metro quadrato di superficie di terreno agrario si trovano fino ad un milione di Artropodi ed un numero superiore di Nematodi e Protozoi, distribuiti in strati che vanno dai primi 8 cm fino a più di 30 cm di profondità), sviluppando un numero enorme di complesse interazioni tra loro e con altre componenti biologiche che determinano la struttura, la fertilità, la formazione del terreno agrario, ecc. Da questa complessa organizzazione ne deriva che qualsiasi alterazione esterna che alteri metabolicamente tale sistema biologico possa compromettere la dinamica della fertilità di un suolo. Fattori come l’abbandono delle rotazioni colturali, l’intensificazione delle monocolture, l’incremento della potenza per ettaro della meccanizzazione e soprattutto l’impiego eccessivo di prodotti di sintesi, soprattutto antiparassitari, pur determinando un incremento delle produzioni e del reddito agricolo unitario, ha provocato alterazioni sulle risorse naturali. Lo stato attuale vede i suoli dove maggiori sono gli apporti esterni dall’uomo, fortemente compromessi nello strato che costituisce l’habitat degli organismi terricoli a causa delle sostanze chimiche che hanno determinato: il depauperamento della fauna terricola (riducendone la concentrazione); la conseguente contaminazione della fauna vertebrata, collocata nei livelli superiori delle reti trofiche; la predisposizione del terreno all’erosione e la progressiva diminuzione della sua fertilità. Attualmente i terreni agrari condotti con i sistemi convenzionali sono a grave rischio, perché saturi di sostanze inquinanti. Infatti, indagini mirate allo studio della fauna terricola, condotte in alcune aziende agricole dell’Umbria, hanno evidenziato che l’uso continuato dei fertilizzanti di sintesi, degli antiparassitari, ecc. sta determinando una graduale mineralizzazione del terreno agrario e la distruzione degli organismi in esso viventi. Per questi ultimi terreni il processo di recupero della fauna responsabile della fertilità del suolo, alla densità teorica del terreno originario, può richiedere 15- 20 anni. In tal senso sarebbe auspicabile costruire una rete di monitoraggio del territorio agrario regionale per la fauna ipogea, al fine di avere un quadro dettagliato dell’evoluzione della fauna terricola e delle esigenze di ripristino graduale della fertilità. La sostanza organica rappresenta uno dei fattori interni del sistema suolo a cui è legata la fertilità.In Umbria non sono disponibili dati definitivi circa la situazione della sostanza organica nel suolo e, quindi, potrebbero essere fatte solo delle valutazioni circa la velocità di degrado della sostanza organica e sulla sua misurazione, utilizzando un modello sperimentale di misurazione (non ancora applicato in Umbria) basato su Qualità e Turnover della Sostanza Organica nel suolo. Con Sostanza Organica (SO) del suolo si intende l’insieme dei componenti organici umificati o non umificati, viventi e non. L’umificazione è il processo mediante il quale avviene la degradazione e la polimerizzazione della SO che viene così trasformata in un prodotto con caratteristiche colloidali diverse dall’originario. Il turnover della SO è rappresentato dalla velocità di metabolizzazione del carbonio in forma organica presente nel suolo o comunque dal suo periodo di permanenza nel suolo; esso è molto importante poiché dal suo valore si può determinare la scorta di SO, il periodo di efficacia dell’apporto di ammendanti ed il fabbisogno di fertilizzanti organici. Il turnover della SO dipende da diversi fattori tra cui il clima, la giacitura del suolo, le pratiche colturali adottate, la presenza di costituenti inorganici, la vegetazione presente, ecc. L’agricoltura tradizionale ha utilizzato il letame quale componente base per il ripristino della fertilità organica del suolo. L’impiego di tale materiale prevedeva e prevede tuttora l’interramento di letame all’atto della lavorazione principale del terreno (aratura) per ospitare una coltura da rinnovo o una coltivazione legnosa permanente; in viticoltura e frutticoltura è abbastanza diffusa e senz’altro consigliata anche la concimazione organica di copertura. Le quantità utilizzate variano da 40 a 80 t/ha, soprattutto a seconda delle disponibilità locali di sostanza organica e delle condizioni pedoagronomiche. Per quanto riguarda il compost si valuta un apporto congruo in circa 30 t/ha. Per quanto riguarda le caratteristiche fisiche, un importante strumento è stata la predisposizione della CARTA DEI PEDO-PAESAGGI DELL’UMBRIA che è il risultato del primo anno di attività di questo programma che prevede la realizzazione di una banca dati georeferenziata dei suoli. In pedologia per paesaggio si intende un insieme particolare di caratteri territoriali che vengono considerati discriminanti e che caratterizzano i diversi paesaggi; in paesaggi diversi si formano e si ritrovano suoli diversi; l’insieme dei caratteri territoriali che caratterizzano un paesaggio e dei suoli che vi si ritrovano viene definito pedo-paesaggio. Incrociando i dati di molte tematiche a varie scale gerarchiche è stata realizzata un’interpretazione paesaggistica, che ha consentito la delineazione dei sistemi di terre, con un’elencazione di 121 sistemi ottenuti considerando i caratteri morfologici e litologici come discriminanti e l’uso del suolo solo come carattere descrivente. Scendendo al livello di sottogruppo è stato possibile proporre un primo contenuto pedologico ai sistemi individuati che hanno assunto, quindi la valenza di pedopaesaggi.

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Relazione sullo stato dell’ambiente in Umbria l Documento di sintesi - ALLEGATO l Scheda sintetica SUOLO E RIFIUTI (PARTE SUOLO)

IMPATTI DECLINO DEL SISTEMA SUOLO Il terreno agrario rappresenta un ecosistema (agroecosistema) dotato di forti peculiarità e molto diffuso che, con l’adozione delle pratiche agricole “moderne”, a partire dal primo dopoguerra, ha subito alterazioni globali. Pur in presenza di un aumento delle produzioni agricole unitarie è aumentata la pressione sulle risorse del suolo (entità limitate), interferendo negativamente sugli equilibri biologici del sistema a scapito dell’autonomia del processo produttivo e della sua sostenibilità. La conseguenza macroscopica che ne è derivata è l’aumento del disordine biologico che si manifesta con l’incremento dell’incidenza dei patogeni e dei parassiti sulle colture e soprattutto con l’impoverimento della dotazione di humus dei suoli. Da tale situazione deriva il declino del suolo, che è un fenomeno che si associa ad eventi e cambiamenti ambientali quali la stanchezza del suolo, le patologie ed i parassitismi, impoverimenti nutrizionali ed al collasso della struttura. Questi processi sono accompagnati a vari fattori e condizioni, tra i più importanti vi sono quelli di seguito elencati. Relativamente al fenomeno della Stanchezza del Suolo: la riduzione della Biodiversità, la monocoltura e l’abbandono delle rotazioni agrarie poliennali; la riduzione delle Reti Biomiche; l’Erosione Genetica che ha determinato la riduzione della base genetica delle colture e la loro diversità biologica; la riduzione della Sostanza Organica nel Suolo. Riguardo al Parassitismo i fattori causali che lo determinano sono legati a: Monocoltura, Uso dei pesticidi, Concimazioni minerali elevate in assenza di Humus. L’Impoverimento Nutrizionale è invece legato a: riduzione degli apporti organici e dell’umificazione, con il conseguente incremento della mineralizzazione e della riduzione dei livelli degli elementi nutrizionali per lisciviazione del suolo. Il Collasso della Struttura del suolo infine può essere strettamente correlato alla mancanza di humus oltreché risentire dell’effetto destrutturante delle concimazioni minerali sui reticoli cristallini dei colloidi minerali. Allo stato attuale non esistono strategie generali atte a recuperare gli equilibri persi nel caso di un declino biologico dei suoli coltivati e delle manifestazioni di sofferenza delle colture. Spesso infatti gli interventi sono limitati a combattere le singole patologie e parassitismi come se fossero le cause dirette piuttosto che l’effetto di uno stato di degrado in corso. Seppure in Umbria non esistono ad oggi studi specifici di settore atti a monitorare i parametri diretti ai quali è correlato questo fenomeno degenerativo del sistema suolo, si ritiene opportuno porre l’attenzione ai fattori che determinano il declino del suolo. Infatti, il crescente uso di concimi minerali in campo agricolo, la non conoscenza puntuale delle dotazioni di sostanza organica nei suoli della regione, la riduzione delle rotazioni colturali (spesso rotazioni biennali) a cui gli agricoltori si stanno spingendo, soprattutto per effetto delle politiche comunitarie di sostenimento a poche colture seminative, l’incremento della potenza per ettaro di superficie delle macchine agricole, ecc. sono condizioni che dovrebbero stimolare all’approfondimento della conoscenza dello stato in cui versa il suolo dell’Umbria. EROSIONE E PERDITA DEL SUOLO Tra le conseguenze di maggiore spicco dell’attività antropica sul suolo, c’è sicuramente la maggiore suscettibilità del suolo al fenomeno erosivo che non riguarda solo la semplice sottrazione di suolo, ma un cambiamento dell’intero ecosistema. L’erosione del suolo è un fenomeno naturale, non sempre necessariamente disastroso, dove il fattore predisponente è ovviamente il tipo litologico affiorante, vi sono fattori determinanti che possono essere distinti in: - attivi: clima (venti, temperature e, soprattutto, intensità della precipitazioni, loro durata e coefficienti di deflusso); - passivi: morfologia (acclività, orientamento, lunghezza del pendio); - caratteristiche fisiche; - copertura vegetale (presenza e grado di protezione) che è certamente il più importante e più efficace fattore di contenimento; - uso del suolo non appropriato da parte dell’uomo, che ha influenzato e influisce tuttora su alcune fattori passivi, come le caratteristiche fisico-chimiche del suolo, la presenza di copertura vegetale, ecc, avendo come conseguenza un notevole aumento nel verificarsi di fenomeni di dissesto idrogeologico, specialmente in concomitanza di eventi meteorici particolarmente sfavorevoli Per valutare l’effetto combinato sulla dinamica del versante di diversi fattori quali la topografia dell’area (l’acclività del terreno è uno dei fattori più importanti dell’erosione dei suoli), il substrato geolitologico, il clima (si valuta la capacità erosiva della pioggia), la componente pedologica (la tessitura del suolo che è correlata al contenuto di limo; la struttura dei suoli strettamente connessa con il contenuto di sostanza organica) e i criteri di utilizzazione del suolo (la copertura vegetale e la profondità di lavorazione), in alcune zone dell’area appenninica Umbro Marchigiana è stato utilizzato il modello di previsione delle perdite di suolo di Wischmeier e Smith.

RISPOSTE PSR 2000- 2006 Misure agroambientali e normativa regionale L’attuale periodo di programmazione è caratterizzato in Umbria dal Piano di Sviluppo rurale 2000-2006 nella cui stesura si è tenuto conto degli obiettivi globali quali l’ammodernamento e sviluppo sostenibile del sistema agricolo, agroalimentare e forestale; la qualificazione e certificazione delle produzioni alimentari a garanzia del consumatore; lo sviluppo dell’occupazione e della occupabilità, prioritariamente giovanile; la Tutela e valorizzazione dell’ambiente e del territorio e della biodiversità; il Mantenimento dei livelli demografici nei territori rurali. Questi obbiettivi generali hanno portato alla definizione di Assi prioritari d’intervento: - ammodernamento del sistema agricolo, agroalimentare e forestale; - tutela e valorizzazione del patrimonio ambientale e paesaggistico; - sostegno ai territori rurali. Tra questi si sottolinea soprattutto l’asse 2 che ha le maggiori implicazioni con il sistema suolo e all’interno del quale sono stati evidenziati gli obbiettivi operativi: - mantenimento dell’agricoltura in aree a svantaggio naturale; - tutela di ambienti agricoli e forestali ad alto valore naturale; - mantenimento della diversità genetica; - salvaguardia del paesaggio e delle caratteristiche tradizionali dei terreni agricoli e forestali; - sviluppo di sistemi produttivi a basso impatto ambientale; - miglioramento e conservazione di ambienti forestali; - miglioramento e conservazione dei sistemi idrici naturali; - incremento delle superfici boscate. CODICE DI BUONA PRATICA AGRICOLA Il Reg. (CE) 1257/99 prevede che le misure agroambientali e le indennità compensative per le zone svantaggiate nell'ambito dei piani di sviluppo rurale tengano conto della buona pratica agricola definita come "l'insieme dei metodi colturali che un agricoltore diligente impiegherebbe nella regione interessata." REVISIONE DI MEDIO TERMINE DELLA POLITICA AGRICOLA COMUNITARIA La Commissione europea nel 2002 ha introdotto la comunicazione sulla revisione intermedia della politica agricola comune per valutare l'andamento del processo di riforma della PAC dal 1992 ad oggi. Sulla base di questa proposte la Commissione dovrà attuare delle iniziative finalizzate a: - Migliorare la competitività dell'agricoltura europea facendo dell'intervento una vera e propria rete di sicurezza, permettendo ai produttori europei di rispondere ai segnali di mercato e proteggendoli dalle fluttuazioni estreme dei prezzi. - Promuovere un'agricoltura sostenibile che risponda maggiormente alle esigenze del mercato completando la transizione dagli aiuti al prodotto agli aiuti al produttore, attraverso l'introduzione di un unico pagamento per azienda disaccoppiato dalla produzione, determinato in base ai riferimenti storici e subordinato al rispetto di norme ambientali, in materia di benessere degli animali e di sicurezza alimentare. Ciò dovrebbe consentire di rende più efficaci gli aiuti al reddito dei produttori. - Garantire un sistema più equilibrato di aiuti e rafforzare lo sviluppo rurale trasferendo risorse dal primo al secondo pilastro della PAC attraverso l'introduzione di un sistema comunitario di modulazione e ampliando il campo d'applicazione degli attuali strumenti a favore dello sviluppo rurale, nell'intento di promuovere la qualità alimentare, il rispetto di norme più rigorose e un maggior benessere degli animali.

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Relazione sullo stato dell’ambiente in Umbria l Documento di sintesi - ALLEGATO l Scheda sintetica SUOLO E RIFIUTI (PARTE RIFIUTI)

SUOLO E RIFIUTI - Parte Rifiuti

Rifiuti speciali (tonnellate)

Anni Rifiuti non pericolosi Rifiuti pericolosi Totale rifiuti speciali 1998 843.407 17.889 861.297 1999 1.253.105 21.054 1.274.159 2000 1.501.679 22.862 1.524.541 2001 1.647.246 33.478 1.680.725

Rifiuti urbani (tonnellate)

Anni Provincia di Perugia Provincia di Terni Umbria 1998 298.586 98.611 397.197 1999 331.003 103.242 434.245 2000 342.754 109.686 452.440 2001 343.983 109.581 453.564

PRODUZIONE

2002 357.427 110.506 467.933 I rifiuti speciali inerti, quali vetri, ceramiche cotte, rifiuti da costruzione e smaltimento, vengono smaltiti in discariche di seconda categoria tipo A (DPR 915/82). In Umbria le discariche di seconda categoria tipo A ad oggi autorizzate ai sensi degli artt. 27 e 28 del D.Lgs. 22/97, sono 6, e tutte in provincia di Perugia. La discarica di Collerolletta a Terni è chiusa dal 2002. I restanti rifiuti speciali pericolosi e speciali non pericolosi vengono smaltiti in impianti fuori Regione, in quanto in Umbria non esistono impianti idonei ed autorizzati ai sensi degli artt. 27 e 28 del D.Lgs. 22/97. Le due discariche di seconda categoria tipo B presenti in provincia di Terni sono private (Azienda Alcantara di Narni e Acciaierie Speciali di Terni) e non sono autorizzate a ricevere rifiuti provenienti da altre Aziende; nel 2001 hanno smaltito un quantitativo di rifiuti pari a circa 490.576 t. In Umbria, nel 2001, la quantità maggiore di rifiuto speciale non smaltito in discarica subisce un trattamento biologico (D8) o fisico-chimico (D9).

SMALTIMENTO

Come per i rifiuti speciali, anche per gli urbani, la forma di gestione predominante continua ad essere lo smaltimento in discarica, anche se in Umbria, come nel resto del Paese, negli ultimi anni si è riscontrato un cambiamento di tendenza in merito al trattamento dei rifiuti.

RACCOLTA DIFFERENZIATA

In Umbria nel 2002 la quantità di rifiuti urbani raccolti in modo differenziato è stata del 15,6%, valore ancora ben lontano dagli obiettivi fissati dal D.Lgs. 22/97. Le tipologie raccolte che hanno inciso maggiormente sono state la carta e il cartone ed il vetro; risulta ancora irrilevante il prelievo della sostanza organica e della plastica. L'obiettivo proposto dal Piano regionale, prevede che tutti i Comuni dell'Umbria e i 4 ATO conseguano i seguenti risultati di Raccolta Differenziata, rapportata alla produzione totale dei rifiuti:

Anno 2002: 28,5% Anno 2003: 35% Anno 2006: 45%

Gli obiettivi sopraindicati dovranno essere raggiunti, mediante: - raccolta differenziata spinta; - compostaggio domestico; - prelievo generalizzato presso tutte le famiglie della frazione umida presente nei rifiuti (FOU); - raccolte porta a porta.

IMBALLAGGI E RIFIUTI DA

IMBALLAGGIO

La Direttiva 94/62/CE relativa agli imballaggi e rifiuti di imballaggio è stata recepita in Italia con il D.Lgs.. 22/97 e s.m.i. Ai fini del raggiungimento degli obiettivi globali di recupero e riciclaggio, i produttori e gli utilizzatori, ai sensi dell’art. 41 del D. Lgs 22/97, hanno istituito il Consorzio Nazionale Imballaggi (CONAI) ed i Consorzi di filiera: - CIAL per gli imballaggi in alluminio; - COMIECO per gli imballaggi cellulosici; - COREPLA per le materie plastiche - COREVE per gli imballaggi in vetro; - Consorzio Nazionale Acciaio per i prodotti in acciaio e banda stagnata; - RILEGNO per gli imballaggi legnosi. Complessivamente dai dati forniti dal CONAI, emerge un ritardo dei Comuni Umbri relativamente alla stipula delle Convenzioni. Da evidenziare che i Consorzi COMIECO (carta) e COREPLA (Plastica) rispettivamente con il 65% e 55% dei comuni serviti hanno stipulato un maggior numero di Convenzioni. Per quanto concerne gli altri Consorzi, i dati rivelano un forte ritardo: per il legno risultano solo 2 soggetti convenzionati, seguono l’acciaio con 18 comuni serviti, l‘alluminio con 28 comuni e il vetro con 35 comuni, rispetto ai 92 Comuni della Regione Umbria. Complessivamente nel triennio sono stati raccolti 32.970 t di rifiuti di imballaggio; da segnalare in particolare la carta con 18.112 t, il vetro con 4.400 t e la plastica con 2.359 t.

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Relazione sullo stato dell’ambiente in Umbria l Documento di sintesi - ALLEGATO l Scheda sintetica SUOLO E RIFIUTI (PARTE RIFIUTI)

Relativamente alle Imprese che effettuano in Umbria operazioni di recupero dei rifiuti speciali in procedura semplificata (artt. 31, 33 del D.Lgs. 22/97), sono iscritte circa 300 Aziende al registro della provincia di Perugia e circa 100 Aziende nel registro provinciale di Terni. RECUPERO

RIFIUTI Per quanto riguarda la quantità di rifiuti urbani recuperata in Umbria, la tecnologia maggiormente utilizzata risulta essere la R3 (riciclo/recupero delle sostanze organiche non utilizzate come solventi) con il 52% rispetto al totale, seguita dalla R5 (riciclo/recupero delle sostanze inorganiche).

NORMATIVA

La legge regionale 14 del 31/07/02 (Norme per la gestione integrata dei rifiuti) La nuova legge ha individuato le competenze spettanti ai singoli Enti territoriali (Regione, Provincia, Comune), ricalcando le competenze individuate rispettivamente dagli artt. 19, 20 e 21 del D.Lgs. 22/97 ed ha individuato nell’Ambito Territoriale Ottimale (ATO) la dimensione territoriale ottimale per la gestione integrata dei rifiuti urbani e assimilati. Ha istituito inoltre l’Osservatorio regionale sulla gestione dei rifiuti, organo di consulenza e assistenza della Giunta regionale per l’elaborazione e la gestione del piano regionale dei rifiuti, oltreché dotato di altre peculiari funzioni. Infine ha dettato i criteri per la predisposizione del secondo Piano regionale di gestione dei rifiuti, da articolare in:

a) Piano di gestione dei rifiuti urbani; b) Piano di gestione dei rifiuti speciali, anche pericolosi; c) Piano per la bonifica delle aree inquinate.

Secondo Piano Regionale di gestione dei rifiuti Il Secondo Piano regionale per la gestione integrata e razionale dei residui e dei rifiuti (agosto 2002), di durata quinquennale, è inteso come strumento flessibile e aperto alle necessarie verifiche. Esso individua le nuove strategie che, nel rispetto delle disposizioni delle Direttive comunitarie, del D.Lgs. 22/97 e s.m.i., puntino al mantenimento dell’autosufficienza dello smaltimento dei rifiuti urbani, massimizzando la raccolta differenziata collocabile sul mercato del riciclaggio e del recupero. ll Piano considera strategico attuare le seguenti azioni: - rendere la gestione integrata dei rifiuti urbani più flessibile, - ottenere miglioramenti significativi nella gestione complessiva (aumentare la raccolta differenziata, raggiungendo l’obiettivo del 45% entro il 2006 nei 4 ATO previsti dal Piano;contenere la produzione di rifiuti urbani entro un tasso annuo massimo di incremento del 2,5%; incentivare la produzione di compost di qualità; portare la produzione di CDR di qualità a 70.000 t/anno; migliorare la gestione dei beni durevoli a fine vita con particolare riferimento alla attivazione sul territorio regionale di una piattaforma polifunzionale; migliorare la gestione dei rifiuti da liquami zootecnici); - innescare un processo di sensibilizzazione presso le imprese e gli Enti Locali dell’Umbria verso le opportunità derivanti dalla registrazione EMAS; - promuovere le attività relative all’applicazione sperimentale del CHECK RIF in ambito regionale. Il Piano stabilisce inoltre la dimensione territoriale ottimale (ATO) nella quale i Comuni realizzano la gestione integrata dei rifiuti urbani e assimilati. In Umbria sono stati individuati 4 ATO: ATO1 – Alto Tevere, Eugubino, Gualdese; ATO2 – Perugino, Trasimeno, Marscianese, Tuderte; ATO3 – Folignate, Spoletino, Valnerina; ATO4 – Ternano, Orvietano.

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Relazione sullo stato dell’ambiente in Umbria l Documento di sintesi - ALLEGATO l Scheda sintetica SOTTOSUOLO

SOTTOSUOLO

PRESSIONI Pressioni antropiche: - attività estrattiva di minerali di 2a categoria (minerali di cava) a cielo aperto; - attività estrattiva di minerali di 1a categoria (minerali di miniera) a cielo aperto; - estrazione di CO2 ; - estrazione di acque minerali; - estrazione di acqua da pozzi per usi agricoli ed acquedottistici; - scavi per realizzazione di opere di ingegneria civile, idraulica, infrastrutturale. Pressioni naturali: - l’elevata frequenza di fenomeni sismici; - eventi meteo climatici eccezionali.

STATO

Atti

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Miniere: Le miniere attive in Umbria sono 7 ed interessano lo 0,6% (3.74 ha) del territorio regionale. 5 miniere (4 ricadenti nel comune di Gubbio ed 1 nel comune di Foligno) estraggono marne: 1 (comune di Piegaro) estrae lignite e la restante (comune di Castel Giorgio) CO2 . Quest’ultima ha la maggior estensione ricoprendo circa la metà (1952 ha) dell’intera superficie interessata da miniere. Cave attive: Dal 1976 al 2001/2002 il numero di cave attive in Umbria si è praticamente dimezzato, passando da 277 a 147. Il calo significativo si è registrato nella Provincia di Perugia (da 225 a 101). Dei 147 siti segnalati al 2001 solo 132 risultano in esercizio. Analizzando i mc di materiale estratto al 2001 si nota come la maggior parte della produzione riguardi il materiale calcareo, che rappresenta il 53% della produzione totale, seguito dalle ghiaie e sabbie per il 23% e dalle argille per il 12%. Dal 1987 al 2002, si denota un andamento decrescente (da circa 7.000.000 a circa 5.000.000), conforme alla diminuzione del numero di siti, fatta eccezione per il 1991 in cui si registra il massimo picco e per il 2002 con un lieve incremento. La diminuzione dei quantitativi estratti dal 1991 al 2001, riguarda per lo più le cave di terra, che con una riduzione di sole 24 unità hanno fornito, nel 2001, circa la metà del materiale prodotto nel 1991. Nel medesimo periodo di riferimento le cave di calcare scendono di 42 unità, mentre la produzione si abbassa solo di 1/3 rispetto al dato del 1991.Tra il 1991 ed il 2001 si assiste ad una decrescita del numero di cave ma ad un aumento del numero di cave di grosse dimensioni. Si passa da 17 siti che estraggono più di 100.000 di mc all’anno nel 1991 a 22 nel 2001. Infine si evidenzia come (al 2000 ) il 90% della produzione interessa il settore degli inerti, rappresentati per il 50% dai materiali lapidei calcarei s.l. e, per la restante parte, dalle ghiaie e dalle sabbie. La lettura per ambiti territoriali evidenzia che, ad oggi, le cave sono per lo più concentrate nei territori montuosi, basso collinari e pianeggianti. Analizzando i dati dei quantitativi di materiale estratto nel 2001 emerge che circa il 50% della produzione proviene dall’ambito montuoso. La lettura per bacini idrografici ha consentito di evidenziare come il 33% del totale del materiale estratto al 2001 provenga dal sottobacino Topino-Maroggia, seguito dal Bacino del Paglia-Chiani e da quello del Tevere a monte dell’Aniene. Cave inattive: Dal 1988 al 2001 si assiste ad una progressiva diminuzione delle cave attive sul nostro territorio e di conseguenza, anche se non proporzionalmente, ad un aumento dei siti riferibili a cave inattive (quasi raddoppiati nel periodo considerato). Al 2001 circa 1/6 dei 485 siti inattivi segnalati, necessitano di recupero ambientale. Acque minerali: In Umbria vengono imbottigliati 16 diverse acque minerali, di cui 14 oligominerali e 2 minerali, caratterizzate da effervescenza naturale. Dal 1981 ad oggi i volumi di acqua minerale imbottigliata sono decuplicati seppure la crescita non sia stata lineare. Infatti nel 2002 si è registrato un calo di produzione di quasi 100 milioni di litri, pari all’8% in meno rispetto al 2001. in Umbria sono presenti 6 sorgenti di acque minerali termali, di cui 5 fredde e solo una (Parrano) ipotermale.

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Stabilità dei versanti: L’8,9% del territorio regionale risulta in frana di cui il 72% nella Provincia di Perugia ed il restante in quella di Terni. Si tratta per lo più di scorrimento. Procedendo ad una lettura per comuni si è rilevato che i comuni maggiormente interessati da frane (percentuale di territorio in frana superiore al 15% del territorio comunale) sono per la Provincia di Perugia: Sant’Anatolia di Narco, Montecastello di Vibio, Monte S. Maria Tiberina, Pietralunga, Montone, Valfabbrica e Umbertine; per la Provincia di Terni: Penna in teverina, Allerona, Castel Viscardo, Giove e Baschi. I complessi litologici più franosi sono il complesso ligure (42,8% in frana), seguito dal complesso terrigeno (circa il 30%) ed dai depositi plio-pleistocenici (10,7%). Da specificare che il complesso ligure, ossia quello più penalizzato si estende per solo 40 km2. Il 51,6% delle aree in frana ricade nei sistemi alto-collinari, seguiti dai sistemi basso colliari (27,2%) e dai rilievi montuosi (15,6%). L’85,3% delle aree in frana ricade in territorio sottoposto a vincolo idrogeologico, che rappresenta circa il 70% dell’intero territorio regionale. L’analisi per sottobacini è riferita al bacino del Tevere dal quale risulta escluso solo il 4% del territorio regionale e in cui ricadono circa il 90% delle aree in frana. Il sottobacino del Tevere maggiormente interessato da frane è quello “Tevere a monte del Chiascio” (13,72% della superficie in frana). Il rischio di frana: Sono state perimetrate 134 situazioni a rischio molto elevato (R4) ed elevato (R3) che interessano un totale di 45 Comuni. Per interventi di sistemazioni montane e forestali intensive sono stati stimati costi di oltre 300.000 €, mentre per gli interventi in situazioni di rischio R3 e R4 circa 43.5 milioni di euro.

Sism

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Per quanto riguarda la localizzazione dei terremoti umbri si è osservato che gli epicentri sono mediamente distribuiti, seppur non in maniera uniforme, lungo una fascia larga una quarantina di Km orientata all’incirca NW-SE, che dall’Alta valle del Tevere, attraverso il preappennino eugubino e le strutture di Gualdo Tadino e Nocera Umbra, raggiunge le zone di Colfiorito e Sellano. La profondità dei terremoti varia tra 7 e 14 Km circa; le profondità minori si registrano lungo il lato sud-ovest della fascia attiva (Valtiberina e preappennino, Valle Umbra), quelle più elevate nella parte nord-orientale della stessa (zona di Cagli, di Gualdo Tadino-Fabriano, di Nocera Umbra-Colfiorito-Preci e zona di Norcia e Cascia). L’intensità dei terremoti umbri è strettamente connessa alla profondità: i più severi (Magnitudo > 5.5) sono quelli più profondi (parte nord-est della fascia sismica), mentre quelli più blandi (Magnitudo<5.5) sono quelli più superficiali (parte sud-ovest). La maggior parte dei terremoti umbri mostrano meccanismi focali di tipo distensivo. La classificazione sismica: Con il DM 26/06/1981 il territorio regionale fu riclassificato secondo criteri comuni a tutto il territorio nazionale, basati essenzialmente su tre parametri: - Massima intensità macrosismica riportata nei cataloghi esistenti per ciascun sito dei terremoti; - L’intensità osservata all’interno di un periodo di ritorno dell’evento per valori assegnati; - Valore del coefficiente C della normativa antisismica. Con tale decreto l’Umbria vede classificati in II categoria 69 comuni su 92. I restanti, per lo più della Provincia di Terni, non sono classificati sismici. Tale classificazione non consente, comunque una reale suddivisione del territorio in zone a diversa pericolosità sismica. Recenti studi a livello nazionale hanno definito la pericolosità sismica attraverso l’utilizzo di più parametri tra cui i principali sono l’intensità macrosismica e l’accelerazione orizzontale di picco. Tali parametri, unitamente alle normative di recente emanazione consentiranno di definire il rischio sismico regionale, in modo da poter indirizzare le scelte di programmazione e di pianificazione territoriale, in attesa della nuova classificazione sismica prevista dall’Eurocodice sperimentale EC8 e proposta dal C.M. con ordinanza n. 3274/2003 in linea con l’EC8 (con tale ordinanza sono stati approvati i criteri sulla base dei quali le regioni dovranno provvedere all’individuazione, alla formazione ed all’aggiornamento dell’elenco delle zone sismiche). Con Delibera di Giunta n. 852 del 18/06/2003, la Regione Umbria ha approvato la nuova classificazione sismica secondo le linee della suddetta ordinanza. Tale classificazione individua 18 comuni in zona 1, 51 comuni in zona 2 e 23 in zona 3. Il rischio sismico: Per definire il rischio sismico di un territorio è necessario considerare le caratteristiche geologiche e sismologiche (utili a definire la pericolosità sismica di detto territorio, la vulnerabilità del patrimonio edilizio e il valore esposto a rischio). La regione Umbria ha avviato studi approfonditi sulla variazione della pericolosità sismica e sulla vulnerabilità delle strutture, secondo le metodologie della microzonazione sismica integrata nella pianificazione urbanistica e territoriale. Nel PUT sono state redatte 3 tavole: la n. 3 illustra una ipotesi di microzonazione sismica, finalizzata alla pianificazione territoriale ed urbanistica, sulla base dei risultati e degli studi condotti a livello nazionale, in attesa della riclassificazione sismica. Nelle tavole 1 e 2 sono rappresentati: - il livello di pericolosità sismica di base del territorio regionale (mediante i valori max di intensità macrosismica e i valori assoluti di accelerazione orizzontale di picco

co tempo di ritorno di 475 anni, come previsto dall’Eurocodice8); - la vulnerabilità delle abitazioni per ambito comunale, associata alla popolazione residente (Istat, 1991) nelle abitazioni più facilmente danneggiabili; - la sintesi degli studi condotti a livello nazionale per ciascun comune e l’ammontare annuo dei danni al patrimonio abitativo; - i valori dell’indice di rischio come definito dall’ordinanza 2788/98.

Aree di particolare interesse geologico (geositi) Nel territorio umbro sono stati selezionati 42 geositi, particolarmente significativi per valore scientifico, per rarità o in quanto parti integranti di ambienti fisici e naturali di particolare pregio.

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Relazione sullo stato dell’ambiente in Umbria l Documento di sintesi - ALLEGATO l Scheda sintetica SOTTOSUOLO

IMPATTI

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Gli impatti da attività estrattiva si distinguono (PRAE) in contestuali, ossia strettamente legati all’attività di escavazione (diretti) e di trasformazione del materiale (indiretti) e in differiti,ossia emergenti alla fine dell’attività. Gli impatti contestuali diretti sono: - impatto visivo sul paesaggio - polveri - reflui ed acque di scarico e di lavorazione - rumori e vibrazioni - traffico pesante - airblast (sovrappressione atmosferica) - proiezione di frammenti - modificazione del regime idrografico ed idrogeologico Gli impatti contestuali indiretti sono: - polveri - rumori - inquinamento dell’aria - inquinamento dell’acqua Gli impatti differiti sono: - impatto sul paesaggio - instabilità strutturale - dissesto idrogeologico - erosione dei suoli - ripercussione socio-economiche Per quanto riguarda il recupero ambientale, nel 2001 erano presenti 485 cave dismesse di cui 398 sono state soggette a verifica. Ne è risultato che 126 siti di cava dismessi sono recuperati, 65 necessitano di recupero e 205 non ne necessitano.

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Il progetto SCAI ha messo in luce che esistono nel territorio regionale 41 centri abitati da consolidare (17 in Provincia di Perugia e 24 nella Provincia di Terni). L’abitato di Attigliano è stato dichiarato da trasferire. Lo stesso studio ha individuato 61 centri abitati potenzialmente vulnerabili da calamità naturali. Il Rapporto conclusivo CNR-IRPI mette in evidenza l’incidenza dei fenomeni franosi sulle diverse categorie di uso del suolo. Dall’analisi svolta risulta che in ambito regionale circa l’8,8% delle aree forestali, l’8,2% dei terreni destinati a seminativo, a prati, pascoli ed incolti e il 2,8% delle aree urbane risultano interessati da movimenti franosi. È stata anche stimata l’incidenza dei fenomeni franosi sulla rete viaria. I fenomeni franosi interessano circa il 3% delle autostrade, il 6,6% delle strade statali, il 4,3% di quelle regionali, il 6.5% delle Provinciali, il 4% delle Comunali e infine il 2,9% delle linee ferroviarie. Effetti da attività sismica Sono stati evidenziati i danni al patrimonio umano ed abitativo conseguenti all’evento sismico che ha interessato l’Umbria nel 1997/98. A seguito di tale evento in alcuni comuni si è provveduto ad evacuare la popolazione. Dal comune di Nocera Umbra circa il 75,7% della popolazione residente è stata evacuata, dal comune di Valtopina il 54,1%, dal comune di Sellano il 50%, da quello di Preci il 19,5%, da Gualdo Tadino il 16,9%, da Foligno il 15,6%. Riguardo ai danni alle strutture sono risultati danneggiati 69.737 edifici di privati, 2.545 edifici pubblici e 2.316 edifici compresi nei beni culturali, 1.021 aziende agricole,1.039 aziende extra agricole per un totale di 74.598 edifici e 2.060 aziende danneggiate. Al settembre 2002 il 62% della popolazione evacuata è rientrata nelle abitazioni riparate, il 60% degli interventi è concluso per una spesa totale di 1.603 mld di euro.

RISPOSTE

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Attività sismica: Per il monitoraggio sismico la legge sulla difesa del suolo (183/89) prevede che il Servizio Sismico Nazionale (SSN) si avvalga dell’Istituto Nazionale di Geofisica (ING) per realizzare un sistema di rilevamento e sorveglianza sismica esteso all’intero territorio nazionale, come risultato dell’integrazione delle reti sismiche esistenti. Lo scopo è di approfondire la conoscenza dei processi geodinamici attivi sul territorio, attraverso l’identificazione e lo studio delle strutture sismogenetiche e di effettuare un controllo dell’attività sismica. In conclusione la finalità è quella di valutare e mitigare il rischio sismico. In Italia il monitoraggio è affidato a: Rete sismometrica nazionale centralizzata (RSNC) dell’ING, Rete accelerometrica a copertura nazionale con registrazione locale (RAN) e Reti sismometriche ed accelerometriche regionali, locali ed osservatori sismici. In riferimento alla RAN in Umbria ci sono 14 postazioni analogiche. In riferimento alle reti ed agli osservatori sismici locali l’Umbria ha 13 stazioni della rete sismica locale, 7 stazioni della rete di sorveglianza del Chiascio, 8 stazioni dell’Osservatorio sismico Andrea Bina e dal punto di monitoraggio del Sacro Convento di Assisi. L’Umbria è anche inserita nella rete sismometrica marchigiana e nella rete dell’Italia Centrale (Osservatorio sismico Adriatico). Attività estrattiva: la legge regionale 2/2000 e successive modifiche e il RTA n. 4/2000 prescrivono l’obbligatorietà, per i titolari di autorizzazioni, di trasmettere al Comune ed alla Provincia competenti per territorio, una perizia giurata, a cadenza annuale, che attesti lo stato di avanzamento dell’attività. Per quanto riguarda l’estrazione di acque minerali e termali, i titolari di concessioni sono obbligati (legge regionale 48/87 e successive modifiche) all’istallazione di contatori volumetrici per monitorare i quantitativi prelevati. Dall’1 gennaio 2003 i dati relativi ai quantitativi idrici prelevati ed imbottigliati vengono trasmessi a cadenza trimestrale. Dissesto idrogeologico: per quanto concerne le aree in frana la Regione con il 7° progetto obiettivo dell’Area Ambiente e Infrastrutture 1999 “Inventario delle aree in dissesto sottoposte a sorveglianza con strumentazioni e reti geodetiche” ha censito le aree in frana sottoposte a monitoraggio.

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Piani di settore più significativi per la componente sottosuolo sono: PAI (Piano stralcio di Assetto Idrogeologico), PS2 (II Stralcio del Piano di Bacino idrografico del Fiume Tevere relativo al bacino del Lago Trasimeno), PS3 (III Stralcio funzionale per la salvaguardia delle acque e delle sponde del Lago di Piediluco), PUT (Piano Urbanistico Territoriale), PRAE (Piano Regionale Attività Estrattive), PTCP (Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale), PDT (Piano interventi urgenti sui dissesti idrogeologici).

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Relazione sullo stato dell’ambiente in Umbria l Documento di sintesi - ALLEGATO l Scheda sintetica FORESTE

FORESTE

PRESSIONI

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Bilancio tra incremento ed utilizzazioni legnose negli ultimi 10 anni: Nel decennio 1993-2002 le utilizzazioni legnose ammontano a 3,7 milioni di mc, vale a dire ad un prelievo medio annuo di 1,4 mc/ha. Annualmente, nel decennio considerato, il prelievo risulta piuttosto costante fatta eccezione per il 1998 dove viene registrato un forte incremento. I prelievi fuori foresta riguardano l’8,4% mentre in foresta il restante 91,6%. I prelievi medi annui sono comunque sempre stati inferiori all’incremento medio annuo. In funzione delle forme di governo si registrano infatti ritmi di crescita che oscillano tra 2,7 mc per il ceduo ai 3,6 mc per le fustaie. Impieghi energetici delle biomasse legnose compresi gli scarti e sottoprodotti legnosi: La legna per combustibile rappresenta il 91% dei prelievi e ha sostanzialmente quale unica provenienza il bosco, mentre il legname da opera proviene con quantità simili da prelievi in foresta (conifere) e fuori foresta (pioppo). Quantità della raccolta di funghi, tartufi, castagne e dei prelievi venatori: Al 2001 la superficie dedicata alla raccolta del tartufo era complessivamente di 2.510 ha, di cui 2.230 di superficie naturale vocata e 280 ha interessati da impianti di specie micorizzate. Nel medesimo anno in Umbria sono state rinnovate 6.200 licenze. Per quanto riguarda il prelievo venatorio nell’anno 1999, la superficie in cui risulta consentita la caccia è 635.362 ha, mentre le aziende faunistico venatorie e gli agriturismi turistico venatori ricoprono rispettivamente 22.812 ha e 13.209 ha. Il numero dei cacciatori tesserati (1993-2001) ha segnato il suo valore minimo nel 1997. Ad oggi si è verificato un aumento seppur minimo. Altri prelievi: prelievi di legname negli impienti di arboricoltura da legno e il carico di pascolo in foresta. Entrambe non risultano applicabili.

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Quantità totale e cambiamenti negli ultimi 5 anni delle deposizioni di inquinanti nell’aria: Il monitoraggio degli effetti dell’inquinamento atmosferico sugli ecosistemi, è stato avviato nel 1996, nell’ambito del Progetto CON.ECO.FOR, con l’istallazione di una stazione di monitoraggio ozono a Pietralunga. Tale campagna svolta nel periodo 1996-1999 ha accertato la presenza di elevate concentrazioni di ozono sia come massime settimanali che come medie. Una precedente campagna di biomonitoraggio sul Nicotiana Tabacum cv., svolta nell’estate del 1990, ha dimostrato il raggiungimento di livelli di ozono tali da recare danno alle foglie delle piante di tabacco, soprattutto in ambiente rurale collinare (300m s.l.m.) Dal 1997 al 2001 la regione ha attivato il Progetto ”Individuazione di forme appropriate di Trattamento Selvicolturale per il Mantenimento ed il recupero di Foreste degradate” denominato TraSForM. Nell’ambito della sezione Bioindicatori è stato sviluppato un set di indicatori capaci di evidenziare possibili sintomi legati all’ozono e di quantificarli. Un potenziale rischio per gli ecosistemi forestali umbri esiste.

Fruizione turistico-ricreativa: non applicabile

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Superficie forestale classificata secondo le tipologie, la proprietà, le classi cronologiche e l’origine Il 31,6% del territorio regionale è coperto da boschi. A partire dagli anni ‘60 si registra una crescita graduale e continua della superficie a bosco dovuta essenzialmente ad un parallelo aumento del ceduo. In contrasto con la dinamica espansiva delle superfici boscate, il bosco conferma il suo ruolo marginale nell’ambito delle aziende agricole, dove la superficie forestale attivamente gestita è in progressiva diminuzione. Secondo il Censimento dell’Agricoltura la superficie forestale per la quale si individua un conduttore è diminuita del 1,3% tra il 1970-1990 e del 4,6% tra il 1990-2000. I principali fattori sono: l’aumento dei costi di manodopera che non consentono di sostenere i costi di produzione dei prodotti legnosi; la natura orografica del territorio che rende il legno una risorsa poco accessibile; la frammentazione della proprietà forestale che ostacolano le economie di gestione. Il 72% dei boschi ricade in proprietà private dove il ceduo predomina. Nonostante il progressivo abbandono delle attività silvane e la realizzazione dei tagli in conversione, l’85% dei boschi sono governati a ceduo (l’Umbria è una delle regioni dove predomina il ceduo). Le aree boschive sono essenzialmente dominate da cerro, roverella, leccio, carpino nero. Oltre 153.000 ha sono occupati da boschi misti meso-xerofili, costituiti da carpino nero, orniello, roverella con aceri e altre querce. Nei cedui prevalgono cerro (36%) e roverella (28%), nei cedui in conversione prevale sempre il cerro e poi la roverella, nelle fustaie c’è la presenza uniforme di roverella,pino nero, pino d’Aleppo e cerro. Nell’ambito dei boschi cedui prevalgono i cedui matricinati, mentre 1/3 sono invecchiati. Tra i soprassuoli in conversione più della metà lo sono per invecchiamento. Le fustaie sono costituite da boschi con strutture irregolari e da soprassuoli derivanti dalla diffusione e/o persistenza di piante forestali su ex coltivi e ex pascoli. Imboschimento: - Con il Regolamento 2080/92 (finalizzato ad incentivare in aree ad agricoltura intensiva l’attività di imboschimento) è stata imboschita una superficie di 7.456 ha prevalentemente utilizzando latifoglie nobili (noce e ciliegio) per il 95%.

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Variazioni nel volume totale e nel volume medio della biomassa legnosa. Il volume totale della biomassa legnosa (IFR) ammonta a circa 23 milioni di mc, per il 77% rappresentato dal ceduo. Il volume medio regionale è di circa 77 mc/ha e varia dai 70 mc/ha nei boschi cedui, a 130 nei cedui in conversione a 113 nelle fustaie. Le fustaie e i cedui in conversione pur presentando valori di volumi totali contenuti (poco estesi) risultano le formazioni con i maggiori accumuli di biomassa legnosa.

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Lo stock totale di carbonio fissato nelle formazioni forestali e le relative variazioni Non si rilevano dati utili per l’applicazione di tale indicatore. Inoltre le metodologie ufficiali definite in sede internazionale per la costruzione di bilanci nazionali di carbonio sono, per il settore forestale, ancora in fase di precisazione. L’unico dato definibile a livello regionale, attraverso i dati dell’IFR, è un limite inferiore della capacità di assimilazione del carbonio della risorsa forestale. Si parla di limite inferiore in quanto non vengono considerate nel calcolo la superficie fogliare e le radici ma solo la densità basale del legno delle specie rappresentative di ogni tipo fisionomico individuato. Il calcolo è stato sviluppato considerando un valore medio del contenuto di carbonio dei tessuti vegetali pari al 42% del peso secco, vale a dire che per produrre 1g di sostanza secca sono necessari mediamente 0,42g di carbonio, ovvero 1,54 g di CO2.

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Relazione sullo stato dell’ambiente in Umbria l Documento di sintesi - ALLEGATO l Scheda sintetica FORESTE

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Variazioni di fenomeni di gravi defogliazioni negli ultimi 5 anni, rilevati secondo la classificazione UN-ECE e EU Attraverso vari progetti regionali (“Analisi di metodologie integrate per l’osservazione e la misurazione dei danni cagionati alle foreste in ambiente sub-mediterraneo e appenninico” e TraSFoRM) è stato possibile stimare, per il periodo 1992–2001, la salute e la vitalità di alberi campioni (soprattutto cerro e roverella) basandosi sulla trasparenza della chioma. Il risultato è che sia per la roverella che per il cerro si assiste ad un peggioramento della condizione tra il 1992 ed il 1994, ad un successivo miglioramento (fino al 1998 per la roverella e fino al 1999 per il cerro) e ad un nuovo peggioramento sino al 2001.

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Gravi danni causati da insetti e malattie L’analisi relativa alla trasparenza della chioma fornisce informazioni anche in merito ai danni causati da agenti biotici (soprattutto insetti). Sia per il cerro che per la roverella è stato evidenziato un aumento della frequenza di alberi con trasparenza spiegabile (riconducibile a determinati agenti causali) superiore al 10%, soprattutto tra il 1999 e il 2001.

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Dal 1991 al 2001 l’analisi dei dati relativi al numero di incendi ed alla superficie boscata e non interessata da questi mostra un andamento nel tempo “sinusoidale” con un picco massimo registrato nel 1993. Dall’esame dei dati dell’intero periodo considerato si osserva una linea di tendenza in leggera diminuzione sia della superficie boscata incendiata sia nel numero di eventi registrati in bosco. Negli ultimi anni analizzati (dal 1999 al 2001) è stato registrato un aumento sia nel numero di eventi che nella superficie percorsa dal fuoco. I dati del 2001 (135 incendi boschivi e 520.6 ha interessati) confrontati con il dato nazionale e con i dati delle diverse regioni, evidenziano che l’Umbria è stata tra le regioni con minime densità di incendi e con minore percentuale di boschi incendiati. La principale origine di incendio è quella dolosa. Nel 2001 l’80% della superficie percorsa dal fuoco è da legare ad incendi innescati volontariamente.

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Al momento non vi è disponibilità di dati per l’applicazione di questo indicatore. Nell’ambito del Programma interregionale denominato “Agricoltura e Qualità” è stata individuata la misura 5 “realizzazione di una carta pedologica nazionale a scala 1:25.000” che consentirà di individuare come e dove il suolo è funzionale al mantenimento o all’incremento della qualità dell’ambiente e dei prodotti agricoli

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le Superficie boscata gestita secondo piani di assestamento o secondo linee guida di gestione

L'art. 130 della legge Serpieri (RDL 3267/23) stabilisce l’obbligatorietà del piano di assestamento per i boschi pubblici e per quelli gestiti da enti. In effetti la percentuale di foresta gestita secondo piani di assestamento rilevata a livello regionale nel 2002 non raggiunge il 2% della superficie forestale. I piani di assestamento attualmente in vigore sono stati redatti nell’ambito del Progetto Integrato Valnerina (P.I.V.) che prevedeva, fra le varie azioni, la predisposizione di piani di gestione forestale per i boschi di proprietà pubblica (Comuni e proprietà collettive). Tale azione, che rientra nell’ambito dell’intervento “Valorizzazione delle terre di proprietà pubblica”, è stata finalizzata alla regolamentazione dell’esercizio dei diritti di godimento del patrimonio forestale nel quadro di un equilibrato utilizzo e sostenibile gestione delle risorse silvo-pastorali.

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- RDL 3267/1923. Riordinamento e riforma della legislazione in materia di boschi e di terreni montani (“Legge Serpieri”); - legge 97/1994. Nuove disposizioni per le zone montane; - legge 124/1994. Ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla biodiversità; - legge 490/1999. Testo unico in materia ambientale; - D.Lgs. 227/2001. Legge di orientamento per la razionalizzazione e l’ammodernamento del settore forestale; - legge regionale 40/1995. Provvedimenti per lo sviluppo delle attività economiche della montagna e per la tutela e la valorizzazione del

territorio rurale; - DGR 652/1999. Piano forestale regionale per il decennio 1998/2007; - legge regionale 19/2000. Nuove disposizioni per le Comunità montane; - legge regionale 28/2001. Testo unico regionale per le foreste; - DGR 1622/2002. Regolamento attuativo della legge regionale 28/2001. Già dal 1923, a seguito della legge Serpieri, la quasi totalità del patrimonio forestale nazionale è sottoposta a vincolo idrogeologico; ogni variazione nelle forme d’uso dei terreni forestali deve essere quindi preventivamente autorizzata dall’amministrazione forestale. La politica di vincolo delle risorse è stata successivamente rafforzata dalla normativa in materia di tutela delle risorse naturali che ha esteso il vincolo paesaggistico a tutte le risorse forestali (L. 490/1999). A partire dagli anni ’90 la Regione Umbria ha compiuto una serie di passi al fine di adeguare i propri strumenti normativi agli indirizzi comunitari, fino a giungere alla predisposizione del testo unico forestale e del suo regolamento attuativo che recepiscono i vincoli paesaggistici della L 490/1999 e i criteri di una selvicoltura più prossima alla natura ed aderente alle accresciute e mutate esigenze ambientali.

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Gli strumenti legalmente vincolanti attualmente in essere in Italia per la protezione degli ecosistemi forestali dai danni indotti dall’inquinamento atmosferico (acidificazione, eutrofizzazione e ossidazione fotochimica) sono la conseguenza diretta dell’adesione del nostro Paese alla Convenzione di Ginevra firmata il 13 novembre 1979 (ratificata dal Parlamento italiano con la legge 27.4.1982, n. 289). In ambito nazionale la normativa relativa alla protezione di ecosistemi naturali si riassume in: DM 16 maggio 1996: "Attivazione di un sistema di sorveglianza di inquinamento da ozono"; Direttiva 1999/30/CE che stabilisce nuovi limiti alle concentrazioni di inquinanti dell'aria (valore limite per la protezione degli ecosistemi 20 µg/m3 per il biossido di zolfo e 30 µg/m3 per gli ossidi di azoto).

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i Le prime norme in materia sono state emanate in applicazione degli indirizzi dettati dalla legge 984/77, settore forestazione, in particolare le leggi regionali 12/2000 e 47/87 (in fase di modifica) concernenti rispettivamente la raccolta dei funghi e la tartuficoltura.

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Una delle ultime ed importanti iniziative a livello comunitario è la Dir. 43/1992 denominata Habitat, il cui obiettivo è quello di contribuire a salvaguardare la biodiversità nel territorio comunitario mediante la conservazione degli habitat naturali, della flora e della fauna selvatiche. Gli Stati membri devono provvedere all’individuazione dei Siti di Importanza Comunitaria (SIC), cioè aree in cui si intende conservare o ripristinare a livello soddisfacente particolari habitat naturali o specie di flora o fauna selvatiche. I siti definitivamente inseriti da ogni Stato membro nell’elenco dell’Unione Europea diventano Zone Speciali di Conservazione (ZSC), categoria nella quale sono automaticamente trasformate le Zone di Protezione Speciale (ZPS), definite secondo la Dir. 409/1979 sulla protezione dell’avifauna migratoria. L’insieme delle zone speciali di conservazione della UE costituiranno una rete ecologica denominata “Natura 2000”. In attuazione della direttiva Habitat l’Italia ha avviato il progetto Bioitaly, per identificare le zone del territorio nazionale da inserire nella rete ecologica Natura 2000.

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Relazione sullo stato dell’ambiente in Umbria l Documento di sintesi - ALLEGATO l Scheda sintetica FLORA E VEGETAZIONE

FLORA E VEGETAZIONE

PRESSIONI Numerosi aspetti interpretabili come fattori di Pressione non sono infatti quantificabili poiché non sono disponibili i dati relativi; non esistono inoltre, per il territorio umbro, degli studi specifici che possano evidenziare direttamente gli Impatti di ciascuna fonte di disturbo sulla flora e sulla vegetazione. Principali fattori di pressione: - Immissione di sostanze inquinanti nell'aria; - Immissione di sostanze inquinanti a livello di falda e di corpi d'acqua superficiali; - Bonifica, regimazione e captazione di sorgenti; bonifica, rettificazione e canalizzazione dei corsi d'acqua; - Sottrazione di superfici e mancato rispetto dei limiti vitali delle fitocenosi (superficie minima degli habitat); - Eccessiva vicinanza di infrastrutture e coltivi (contrasto); allargamento delle carreggiate stradali; - Accorpamento dei poderi con abbattimento dei filari; - Meccanizzazione dell'agricoltura; - Cattiva gestione aree protette; - Abbandono della pastorizia ed in generale interruzione o decremento nell'attività della filiera agro-silvo-pastorale; - Abbandono delle attività di sfalcio; - Sovrapascolamento; -Normativa inerente l'attività di ceduazione non adeguata ed incentrata principalmente sugli aspetti quantitativi (numerici) piuttosto che qualitativi (specie); - Gestione del bosco ad elevato impatto; - Presenza di grandi arterie stradali e ferroviarie.

STATO

Tallofite: assenza di liste aggiornate delle specie presenti nel territorio regionale. Il numero di specie di Macrofunghi attualmente censite per la Regione Umbria è passato da 154 a 256, numero a detta degli Autori alquanto esiguo che dovrà essere ampiamente rivisto con l'acquisizione di ulteriori dati; un ultimo aggiornamento porterebbe il numero a 262 specie. Il numero complessivo di entità di Muschi attualmente censite per la Regione Umbria è di 169, relative a 61 segnalazioni precedenti al 1950 e 108 successive a tale epoca. Le specie di Epatiche indicate per l'Umbria sono complessivamente 55, di cui 16 segnalate precedentemente al 1950 e 38 successivamente a tale data. Il numero complessivo di Muschi ed Epatiche indicate per l’Italia ammonta a 1097 specie l’Umbria ne ospita quindi il 20,4% ed è al terz'ultimo posto tra le regioni, seguita solo da Molise e Basilicata; pur tenendo conto della ridotta superficie regionale, il basso numero di entità conosciute evidenzia il ridotto livello conoscitivo. Il numero complessivo di specie licheniche note ammonta a 348 per il dato italiano ammontante a 2.145, la flora umbra ne rappresenta il 16,2%. Cormofite, ovvero le cosiddette “piante superiori”. Ad oggi l'unico documento sintetico pubblicato che proponga una stima d'insieme del patrimonio floristico nazionale e regionale risale al 1982. Per quanto riguarda l’Umbria tra il 1929 e il 1933, sono state elencate circa 1.573 entità tra specie e sottospecie; in seguito (1982/84) il numero è stato valutato in 1935 specie e quindi nel 1988 in circa 2.750, pari quasi al 50% della flora italiana. Quest’ultimo dato non si basa però su una misurazione diretta ma su una stima indicativa fondata sostanzialmente sulle caratteristiche territoriali della regione. Sulla base dei dati forniti nel 1982, la flora umbra comprende il 34,6% delle 5.599 specie segnalate per l’Italia. Un aggiornamento delle conoscenze floristiche regionali sulla base di tutte le segnalazioni bibliografiche effettuate dal 1900 ad oggi comprende un numero di entità pari a 2787 suddivise in 143 famiglie e 775 generi. Sulla base di una ulteriore documentazione, che non può ancora considerarsi definitiva, la flora umbra ammonterebbe a 2.167 specie. Nonostante il gran numero di contributi floristici prodotti per alcune aree della regione grandi porzioni di territorio rimangono inesplorate dal punto di vista floristico. Lo Spettro biologico è un grafico in cui viene rappresentata la percentuale di presenza di ciascuna forma biologica sul totale della flora di un territorio. Oltre che caratterizzare il patrimonio floristico di ciascuna zona, esso può fornire informazioni indirette sulle caratteristiche climatiche del territorio stesso. Dall’analisi dello spettro biologico delle Cormofite si evidenzia la predominanza netta delle Emicriptofite, specie indicatrici di climi temperati centro-europei, che sono rappresentate dal 40,1% delle specie, seguite a breve distanza dalle Terofite (30%), legate invece al clima mediterraneo, compresenza perfettamente in linea con le caratteristiche climatiche del territorio regionale, che si pone a cavallo tra la Macrobioregione Temperata e quella Mediterranea. Lo Spettro corologico misura la percentuale di presenza di ciascun Corotipo sul totale della flora di un territorio, oltre che caratterizzare il patrimonio floristico di ciascuna zona, esso può fornire informazioni indirette sulle caratteristiche storiche ed ecologiche del territorio stesso. Per l’Umbria emerge una netta preponderanza delle entità Eurasiatiche (30,3%) la cui distribuzione è continentale a baricentro medioeuropeo con possibili estensioni sia verso Est che in aree submediterranee. La dominanza di questo corotipo esprime il legame biogeografico dell’Umbria con l’Europa media. Le Stenomediterranee e le Eurimediterranee, specie ad areale mediterraneo più o meno stretto, ammontano complessivamente al 28,3%, giungendo quasi ad eguagliare le Eurasiatiche ed evidenziando la profonda influenza esercitata sulla flora regionale dal contesto mediterraneo da cui il territorio è praticamente circondato. La compresenza di elementi temperati e mediterranei è tipica del territorio umbro, come è emerso anche dall’analisi dello Spettro biologico; si conferma quindi l’esistenza di un complesso di tensioni bioclimatiche e biogeografiche che influenzano profondamente il contingente floristico regionale. Una percentuale bassa ma significativa è costituita dalle specie Endemiche (3,9%), entità di grande valore naturalistico che rappresentano la peculiarità floristica di un territorio e in questo senso necessitano di particolari forme di tutela, in un’ottica di salvaguardia della biodiversità locale. Il valore indicato è di particolare rilievo considerato che l’Umbria non possiede territori costieri e presenta solo una piccolissima estensione di zone di alta quota, entrambe tipiche aree di segregazione degli endemismi. L’indicatore di stato, rapporto tra numero di specie aliene e di specie autoctone, evidenzia come la frazione di specie ad ampia distribuzione, in rapporto al totale delle specie della flora umbra (1982), è pari a 0,13; in particolare per le specie avventizie il rapporto con il numero totale di specie è pari a 0,04. Si tratta evidentemente di dati medi; è presumibile che tali indici assumano valori ben più elevati nelle aree tabulari e di pianura dove il grado di antropizzazione è marcatamente più elevato, ed al contrario presentino valori minimi in corrispondenza dei rilievi montuosi. Per l’indicatore di stato, numero e percentuale sul totale delle specie di particolare interesse, sono state prese in considerazione le entità rare a livello regionale e nazionale, quelle endemiche per l’Italia centrale (Lazio, Umbria, Marche, Abruzzo), quelle di particolare valore fitogeografico per l’Umbria. Si evidenzia che il 5,2% del totale specie presenti (2002) rivestono particolare interesse dal punto di vista fitogeografico, l’1,7% sono rare a livello nazionale, il 17,4% sono rare a livello regionale e lo 0,6% sono endemiche dell’Italia centrale. Le specie delle suddette categorie costituiscono il vero patrimonio floristico dell'Umbria e ne marcano le differenze rispetto alle altre regioni italiane; devono perciò essere oggetto di attenta gestione, finalizzata alla conservazione e al mantenimento della biodiversità. Le praterie naturali e seminaturali delle aree collinari e montane rivestono un interesse che va al di là del reddito prodotto dalle attività agro-zootecniche. Alle funzioni produttive, alle quali queste formazioni vegetali sono strettamente legate sia per la loro origine che per la loro stessa conservazione e rigenerazione, si aggiungono una serie di funzioni extraproduttive considerate attualmente quelle di maggior interesse: conservazione di biodiversità specifica e fitocenotica, prevenzione dalle catastrofi naturali (dissesto idrogeologico, erosione, incendi boschivi etc.), disponibilità di habitat per la fauna selvatica, diversificazione del paesaggio e degli spazi fruibili. Le praterie secondarie sono presenti con una discreta percentuale territoriale nell’ambito dei rilievi montuosi umbri, dove occupano quasi il 15% del totale mentre i sistemi alto-collinari presentano una percentuale di circa il 6% di questa tipologia vegetazionale, gli altri Ambiti territoriali omogenei oscillano tra 3,77 e 0,50%, minimo assoluto riferito alle aree tabulari dove le praterie sono praticamente assenti. L’indice di antropizzazione rappresenta una misura diretta del rapporto tra la superficie delle aree artificializzate a vario livello (coltivate, urbanizzate ecc.) e quella delle cenosi naturali e seminaturali (comprendenti le formazioni arboree, arbustive ed erbacee); l’aumento di presenza antropica è un indubbio determinante degli impatti sull’ambiente naturale; emerge chiaramente dall’analisi dei dati che il livello di antropizzazione è elevatissimo nelle aree pianeggianti (11), dove l’indice raggiunge valori di c.a 10 volte superiori a quelli medi regionali (intorno ad 1), le aree tabulari e basso collinari presentano valori medi (c.a. 3) mentre i sistemi alto collinari e i rilievi montuosi mostrano valori bassi (<1). Il concetto di serie di vegetazione risulta particolarmente adatto per la comprensione del paesaggio e la valutazione delle sue trasformazioni, in quanto esso consente di interpretare anche quegli aspetti semi-naturali che si originano ad opera dell’attività umana, come conseguenza della frammentazione degli ecosistemi. Lo studio delle serie di vegetazione analizza infatti la disposizione spaziale non solo degli elementi naturali (vegetazione, clima, morfologia, litologia. ecc.) ma anche di quelli antropici (strade, edificati, aree soggette ad agricoltura intensiva etc.) nonché i fattori che ne regolano il funzionamento. Si riporta l’elenco delle serie e geoserie di vegetazione note per il territorio regionale, ricostruito sulla base dei dati bibliografici esistenti e delle recenti acquisizioni in materia. Sono stati inoltre applicati per ogni serie e geoserie i seguenti indicatori: Indice di diversità seriale, indice di prossimità alla vegetazione potenziale, Rarità della serie nel territorio, Qualità floristica della serie, Valore fitogeografico della serie, Presenza di tappe ad elevato valore naturalistico, Completezza della serie, i cui risultati sono riportati nelle apposite tabelle.

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Relazione sullo stato dell’ambiente in Umbria l Documento di sintesi - ALLEGATO l Scheda sintetica FLORA E VEGETAZIONE

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Principali Impatti su flora e vegetazione in relazione alle pressioni: - Scomparsa di specie sensibili, alterazione floristica e strutturale. - Alterazione del flusso idrico e della falda freatica e conseguenti alterazione, frammentazione, riduzione e progressiva scomparsa della flora e della vegetazione

legate ai corsi e agli specchi d'acqua o alla presenza di falda superficiale. - Dimensioni delle cenosi vegetali inferiori al limite minimo di sopravvivenza: maggior rischio di inquinamento floristico, minore resistenza agli attacchi parassitari,

scomparsa di specie sensibili, alterazione floristica e strutturale, aumento della frammentarietà. - Inquinamento floristico con diffusione di specie sinantropiche, elevato apporto di sostanze inquinanti con diffusione di specie nitrofile, scomparsa di specie

sensibili, alterazione floristica e strutturale. - Impoverimento floristico e vegetazionale con scomparsa di specie e fitocenosi, in particolare quelle arbustive (danni alla fauna, banalizzazione del paesaggio,

eliminazione dei mantelli arbustivi e conseguente inquinamento floristico, minore resistenza agli attacchi prarassitari, alterazione floristica e strutturale). - Scomparsa di specie ed habitat ad elevato valore naturalistico. - Riduzione e progressiva scomparsa delle praterie secondarie; omogeneizzazione del paesaggio, banalizzazione del paesaggio. - Impoverimento floristico e diffusione di specie sinantropiche, nitrofile e ruderali: frammentazione del cotico erboso. - Alterazione della composizione floristica e conseguente omogeneizzazione delle cenosi arboree, impoverimento flogistico. - Alterazione della flora nemorale, eccessiva riduzione della volta arborea con alterazione del microclima del sottobosco e conseguenti modificazioni floristico-

strutturali, erosione del suolo. - Realizzazione di barriere ecologiche, diffusione di specie esotiche. Sulla base di un preciso set di criteri stabiliti dall’IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) è stato valutato il rischio di estinzione di ciascuna entità specifica e sottospecifica. In Umbria sono state individuate 361 specie vulnerabili, minacciate, estinte. La presenza di specie vulnerabili, minacciate o estinte è un aspetto di notevole rilevanza poiché rappresenta un’espressione diretta dell’impatto antropico sulla biodiversità specifica. La conoscenza e la catalogazione delle entità esposte ad un più alto rischio di estinzione è inoltre di fondamentale importanza se si vuole evitarne la definitiva scomparsa. L’elemento che emerge è il rilevante aumento del numero di entità considerate vulnerabili, minacciate, estinte, che passa dallo 0,6% del 1992 al 16,8% del 1997, percentuale calcolata in rapporto al totale della flora regionale. L’indicazione e, ove possibile, la quantificazione delle associazioni vegetali la cui distribuzione all’interno di un dato territorio sia soggetta a rischio di riduzione o scomparsa è considerata un indicatore di impatto; il numero assoluto e la percentuale sul totale di associazioni vulnerabili (V), Minacciate (M) o a Rischio di Scomparsa (S) presenti in Umbria mostrano un andamento crescente dal 1997 al 2001 che non va interpretato come aumento della minaccia a carico di alcune cenosi (aspetto peraltro non monitorabile allo stato attuale, poiché non sono disponibili studi di dettaglio), ma è attribuibile sostanzialmente al miglioramento delle conoscenze che ha consentito l’individuazione di associazioni di elevato valore naturalistico delle quali in precedenza si ignorava la presenza in Umbria.

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Specie protette da legislazione regionale, nazionale e comunitaria Molti documenti normativi presentano elenchi di specie vegetali sottoposte a tutela; sulla base di tali liste è stata fatta una stima quantitativa delle entità tutelate ed è evidente la tendenza alla crescita del suo numero complessivo sia grazie al continuo perfezionamento del patrimonio conoscitivo che alla crescente sensibilità verso queste tematiche anche presso le istituzioni. Nello specifico, le specie legnose mostrano un decremento, riconducibile al fatto che nei documenti legislativi più vecchi erano sottoposte a tutela anche numerose essenze forestali esotiche presenti all’interno dei rimboschimenti, di dubbio valore naturalistico. Al contrario, le erbacee sottoposte a tutela sono interessate da un forte incremento numerico a testimonianza dell’avvenuta presa di coscienza da parte delle istituzioni dell’importanza della salvaguardia della biodiversità specifica. Limitazione all’introduzione di specie alloctone per imboschimenti e rimboschimenti Le specie di origine alloctona, non originarie cioé di un certo territorio ma introdotte per attività colturali o per imboschimento o per cause fortuite, rappresentano una fonte di inquinamento floristico per il patrimonio specifico autoctono. In particolare, il rischio diviene significativo quando la specie è in grado di riprodursi spontaneamente (come nel caso delle entità “spontaneizzate” o “naturalizzate”) e mostra la tendenza all’espansione, soppiantando le specie locali in virtù di una maggiore adattabilità o di una più ampia tolleranza allo stress ambientale. Può quindi essere utile tenere sotto controllo, ove possibile, la diffusione di tali essenze, oltre ad evitare di incrementarne direttamente la diffusione. In questo senso, si ritiene opportuno segnalare il fatto che purtroppo, all’interno degli elenchi ufficiali di specie arboree utilizzabili per imboschimenti e rimboschimenti, vengono comunque indicate specie di derivazione esotica. Aree Protette La superficie protetta nel territorio è stata proposta come indicatore di Risposta nell’ambito delle tematiche relative alla biosfera Sono stati presi in considerazione i Parchi Nazionali e Regionali presenti nel territorio umbro le superfici sono risultate 17790 ha pari al 2.2% della superficie totale regionale per il Parco Nazionale, 40875 ha pari al 4.8% per i Parchi Regionali e 4535 ha pari allo 0.5% per le altre aree naturali protette come lo STINA per un totale di aree protette in Umbria pari a c.a. il 7.5 % della superficie regionale. Aree umide di interesse internazionale In Umbria esiste solo la Palude di Colfiorito come zona umida di importanza internazionale riconosciuta nell’ambito della Convenzione di Ramsar sulla conservazione delle Zone Umide e degli uccelli acquatici; essa ha una estensione di 157 ha (0.186% del territorio regionale) ed è ricompresa nell’omonimo Parco Naturale Regionale. Siti di Interesse Comunitario e Zone di Protezione Speciale Il numero e la superficie dei pSIC e delle ZPS rappresentano buoni indicatori di Risposta, nel territorio umbro, allo stato attuale risultano individuati 99 pSIC (zone proponibili per una identificazione come Siti di Importanza Comunitaria), di cui 76 nella Provincia di Perugia e 23 nella Provincia di Terni, e 7 ZPS (Zone di Protezione Speciale), rispettivamente 3 e 4 nelle due provincie. La superficie totale in Umbria delle aree pSIC è di 100479.50 ha pari al 11.89% della superficie regionale mentre delle aree ZPS è di 47231 pari al 5.58% della superficie regionale; va sottolineato che tali dati non possono essere sommati tra loro e con le aree a parco in quanto in alcune aree sono più volte classificate.

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Produzione di pubblicazioni di settore Il quadro generale evidenza come il livello di conoscenza floristico-vegetazionale del territorio umbro non sia omogeneo; il fenomeno è da imputare da un lato alla carenza di competenze locali in alcuni settori specifici, d’altro lato, anche nei settori in cui tradizionalmente è più consolidata la ricerca scientifica, si osserva una forte frammentazione delle conoscenze territoriali ed un livello di approfondimento molto eterogeneo nei diversi comparti regionali. Allo scopo di delineare lo stato delle conoscenze concernenti la flora e la vegetazione in Umbria (auspicandone il monitoraggio nel tempo), sono state censite tutte le pubblicazioni di settore realizzate per il territorio, edite ad oggi, ed è stato analizzato l’incremento nel tempo di tale produzione scientifica e risulta che il numero di pubblicazioni prodotte per intervalli di 5 anni registra due picchi, nei quinquenni 1978-1982 e 1993-1997. Unità fitosociologiche di vegetazione (syntaxa) segnalate Il numero di associazioni ad oggi censite per il territorio regionale rispecchia sostanzialmente il livello raggiunto dalle ricerche di settore e non può essere preso in considerazione come misura esaustiva del patrimonio regionale, la cui conoscenza è lungi dall’essere completa. L'elenco delle tipologie vegetazionali note su base bibliografica per il territorio umbro evidenzia una generale tendenza all’aumento, dal 1997 al 2001, a livello di tutti i syntaxa considerati. Superficie coperta da documenti cartografici della vegetazione Le carte della vegetazione rappresentano la diversità delle tipologie vegetazionali osservabili o potenzialmente prevedibili all’interno di un territorio. Ne esistono di vari tipi, in base al criterio seguito nella rappresentazione: alcune tra le più diffuse sono le carte della vegetazione naturale attuale, le carte dinamiche (carte delle serie di vegetazione), le carte della vegetazione potenziale. In Umbria sono stati realizzati diversi documenti cartografici a differenti scale, per le scale medie e grandi il panorama riportato nella prima RSA dell’Umbria (1997) è rimasto pressoché immutato mentre per quanto riguarda i documenti cartografici a piccola scala hanno visto la luce alcuni nuovi contributi: la “Carta geobotanica con principali classi di utilizzazione del suolo alla scala 1: 100.000” e la “Carta della vegetazione naturale potenziale dell'Umbria alla scala 1:200.000”, relative all'intero territorio regionale, realizzate nell'ambito del Piano Urbanistico Territoriale; la “Carta delle Serie di Vegetazione della Provincia di Terni alla scala 1: 100.000”, realizzata nell'ambito del PTCP della Provincia di Terni. Tuttora gran parte del territorio regionale resta esclusa da indagini cartografiche di matrice vegetazionale (68.57% della superficie regionale).

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FAUNA

PRESSIONI

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- inquinamento di corpi idrici: l’indice IBE permette una valutazione dello stato di ambiente più o meno inquinato dei corsi d’acqua nei bacini idrografici umbri.

- sbarramenti lungo i corsi d’acqua: l’80% dei corsi d’acqua dell’Umbria presenta, in media 4 sbarramenti lungo il proprio corso. Il bacino idrografico che presenta una pressione diffusa maggiore è quello del Topino-Chiascio in quanto gli sbarramenti sono presenti sul 100% dei corsi d’acqua anche se il valore di pressione sul corso d’acqua è la minore (media di 2 sbarramenti); il bacino del Nera pur presentando un pressione diffusa minore (56% dei corsi d’acqua con sbarramenti) ha un numero di sbarramenti per corso d’acqua molto elevato (media di 7.9 sbarramenti)

- gestione forestale: il trend di diminuzione delle superfici a fustaie (c.a. 15% del totale) a favore del ceduo (c.a. 85% del totale) negli ultimi 80 anni è stimato nel 95%.

Altre azioni non quantificabili: - uso di fitofarmaci e biocidi; - occupazione di aree non urbanizzate per espansioni edilizie, insediamenti produttivi, infrastrutture, ecc.; - eliminazione di siepi, filari, “piantate”, alberi isolati, muri a secco ed altri elementi rurali tipici; - modificazioni di edifici tipici e/o storici (monumentali, dei centri storici, rurali); - eliminazione di orti; - apposizione di reti paramassi ed altri interventi sulle pareti rocciose; - dismissione di attività agricole e pastorali in aree montane; - apertura di strade in aree montane; - presenza di elettrodotti; - presenza di impianti eolici; - presenza di insediamenti turistici, camping, aree attrezzate, impianti di risalita; - bonifica di corpi idrici e captazioni da sorgenti e corsi d’acqua; - alterazione di sponde e letti naturali o naturaliformi di corpi idrici; eliminazione della vegetazione ripariale.

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Prelievo venatorio e ittico Il numero dei cacciatori in Umbria è diminuito nel periodo 1983/2001 del 38%, con una inversione di tendenza dal 1997 (minimo storico) dal quale si è registrato un aumento annuo pari all’1,0%. La densità di cacciatori sul territorio regionale è stimata nel 2001 in 4.8 cacciatori/kmq. Introduzione di specie o sottospecie alloctone L’immissione di specie estranee al popolamento originario della regione è misurato dall’indice QUAL, pari a 0,36 (36% delle specie presenti sono state introdotte), mentre per la fauna ad usi venatori si segnala l’introduzione di coturnice pernice, starna e fagiano e, in ultimo, di cinghiale e nutria. Altre azioni non quantificabili: - bracconaggio e forme di persecuzione diretta di specie animali protette; - prelievo di uova e nidiacei di uccelli per collezionismo e falconeria.

Atti

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Azioni non quantificabili: - free-climbing, palestre di roccia, arrampicata sportiva in genere; - escursionismo, mountain-byking, deltaplano e parapendio; - canoismo, fossismo, torrentismo, canyoning e rafting; - speleologia sensu lato; - caccia fotografica e bird-watching; - transito di veicoli a motore al di fuori della rete rotabile.

STATO

Inve

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Assenza di liste aggiornate delle specie presenti nel territorio regionale. Esiste una valutazione dello status per le specie di rilevante interesse e/o minacciate di estinzione; su 99 siti Bioitaly la quasi totalità (90%) è segnalata in non più di 10 siti. Risultano particolarmente importanti per le specie trattate gli ambienti acquatici, dalle sorgenti agli stagni, dalle paludi ai corsi d’acqua montani, e le formazioni forestali mature, con presenza di alberi senescenti, dalle zone planiziali a quelle montane.

Vert

e-br

ati L’elenco è aggiornato al 2003 redatto in occasione della presente RSA. Risultano complessivamente presenti 306 specie (indicatore: ricchezza

assoluta di specie); rispetto al territorio nazionale (indicatore: ricchezza relativa rispetto al territorio nazionale) sono presenti sul territorio regionale il 51% di specie, con particolare abbondanza per gli uccelli nidificanti (57,6%) ed i mammiferi (59,1%). Il 49,7% delle specie umbre ricopre rilevante interesse scientifico-conservazionistico (RISC).

Hab

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Le aree rupestri i corpi idrici e le praterie, pur rappresentando il 10.2% dell’estensione della superficie regionale presentano valori intrinseci dell’habitat (% specie RISC/specie totali) tra il 61,7% ed il 78,9%, largamente superiori rispetto alla media 53,7%. Si sottolinea pertanto come habitat di limitata estensione o elementi singoli risultino di fondamentale importanza per i popolamenti animali.

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Sono storicamente da considerare estinti la Starna italica (anni ’70) e il Corvo imperiale (anni ’70), l’Orso bruno (XIX sec.), le popolazioni autoctone di Cinghiale, Capriolo e Cervo (XIX sec.). Specie estremamente rarefatte risultano l’Aquila reale (in circa 15 anni il decremento è stato pari al 60%, da 5 a due coppie nidificanti), la Coturnice (rilievi del Parco Nazionale dei Monti Sibillini e l’Oasi di Protezione di Monte Coscerno) e la Lontra (presente in due nuclei isolati tra loro mentre era diffusa in tutti i maggiori corsi d’acqua della regione fino ai primi decenni del XX secolo e popolava il bacino del fiume Nera ancora negli anni ’70). Presente ancora intorno al 1950 in quasi tutta l’Umbria, il Lupo ha conosciuto nei primi anni ’70 la massima rarefazione (alcuni rilievi dell’Umbria sud-orientale al confine con la Sabina e l’Ascolano-Maceratese) e successivamente, in concomitanza del diffuso “ritorno” del Cinghiale dovuto a immissioni per scopi venatori ha gradualmente ricolonizzato il territorio regionale riguadagnando la situazione di partenza. Segnalazioni di Orso bruno nell’area sud-orientale della regione riferite al processo spontaneo di espansione di areale in atto lungo i rilievi appenninici; segnalazioni di Lince eurasiatica nelle stesse zone, ascritte a immissioni clandestine operate intorno al 1990; Cinghiale e Capriolo sono tornati a far parte del popolamento regionale, per immigrazione spontanea da limitrofi ambiti marchigiani e toscani, e come oggetto di mirate immissioni a scopo di reintroduzione operate in più zone del territorio regionale. Fenomeni di comparsa spontanea di “nuove” specie di uccelli nidificanti si sono manifestati in Umbria nell’ultimo decennio. Nella “garzaia” di Castiglion del Lago si riproducono Nitticora, Sgarza ciuffetto e Garzetta. Nel 2001 è stata osservata per la prima volta, nello stesso sito del Trasimeno, la nidificazione dell’Airone guardabuoi. Il numero di siti di riproduzione accertata (coppie) di Pellegrino è passato da 11 nel 1991 a 26 nel 2002.

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IMPATTI

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- L’inquinamento dei corpi idrici determina rarefazione o scomparsa di organismi con effetti sui successivi livelli trofici degli ecosistemi acquatici,

come ad esempio sui pesci e sugli uccelli acquatici. - L’eliminazione di piccoli stagni ed aree temporaneamente allagate, e le captazioni da sorgenti senza il rilascio della quantità minima vitale,

determinano la scomparsa locale di anfibi che utilizzano questi ambienti come siti esclusivi di riproduzione. - La cementificazione delle sponde e dei letti di torrenti e fossi sottoposti a regimazione idraulica determina la scomparsa di siti riproduttivi esclusivi

per alcune specie di uccelli. - L’eliminazione della vegetazione ripariale legnosa lungo i corsi d’acqua e i loro fondivalle, nonché intorno alle sponde di bacini naturali e artificiali,

determina la scomparsa dei siti riproduttivi d’elezione degli Ardeidi (aironi). - La presenza di sbarramenti realizzati per scopi idraulici o idroelettrici “parcellizza” i corsi d’acqua impedendo ai pesci il libero trasferimento da un

tratto all’altro, condizionando così la composizione dei popolamenti e la potenzialità riproduttiva delle specie. - Il massiccio uso di fitofarmaci e biocidi in pratiche agricole di tipo intensivo, determina un impoverimento della fauna invertebrata e, di

conseguenza, dei livelli trofici superiori costituiti ad esempio dagli anfibi e dagli uccelli e dai mammiferi insettivori. - L’occupazione di aree non urbanizzate determinate da espansioni edilizie, insediamenti produttivi e da opere infrastrutturali causa localmente la

perdita di habitat e conseguentemente della biodiversità in generale. - L’eliminazione degli elementi del paesaggio agrario tradizionale (siepi, filari, “piantate”, alberi isolati, muri a secco, ecc.) determina la perdita dei

tipici siti di riproduzione di numerose specie di uccelli. - Alcuni interventi di restauro e/o ristrutturazione di edifici monumentali o comunque tipici, sia in aree urbane (mura, torri, campanili, ecc.) che rurali

(torri colombaie, stalle, etc.), possono determinare la scomparsa dei preferenziali siti di riproduzione di numerose specie di uccelli. - L’eliminazione di orti interni alle cinte murarie determina una perdita dell’offerta trofica nei confronti delle specie di uccelli che si riproducono nelle

aree urbane. - L’assenza di formazioni e individui legnosi maturi, associati alla forma di governo a fustaia e meglio ancora a pratiche di “selvicoltura

naturalistica”, determina una mancata offerta rifugio-trofica nei confronti di invertebrati come i grandi coleotteri xilofagi e di uccelli come i piciformi ed alcuni rapaci diurni forestali. I rimboschimenti di conifere hanno determinato una mancata offerta ambientale nei confronti di specie di vertebrati tipiche di aree aperte quali in particolare i pascoli montani.

- Gli interventi di “messa in sicurezza” delle pareti rocciose, con l’apposizione di “reti paramassi”, impediscono l’utilizzazione dei siti di nidificazione esclusivi delle specie di uccelli rupicole, tra cui alcuni rapaci diurni e notturni, i passeriformi, i corvidi.

- L’abbandono delle pratiche agricole e zootecniche nelle aree montane causa la ricolonizzazione da parte di specie erbacee e legnose spontanee; la scomparsa di campi, prati e pascoli, sostituiti da arbusteti o boschi, determina una mancata offerta nei confronti di numerose specie di vertebrati tipici delle aree aperte quali ad esempio i galliformi, che si traduce in una minore disponibilità di potenziali prede per consumatori secondari come l’Aquila reale.

- La realizzazione di strade in zone montane determina una indiscriminata accessibilità, e conseguente disturbo, di ambiti di notevole importanza faunistica quali ad esempio le praterie utilizzate come territorio preferenziale di caccia da numerosi rapaci diurni.

- L’impatto con i cavi degli elettrodotti e l’elettrocuzione sono tra le più frequenti cause di mortalità di numerose specie di uccelli di taglia medio-grande, in particolare di numerosi rapaci diurni e notturni.

- La presenza di generatori eolici provoca morte per collisione e perdita di habitat di numerose specie di uccelli, dai piccoli passeriformi ai grandi rapaci; diminuzioni fino al 95% del numero di uccelli presenti in un raggio di 500 metri dagli impianti; va tenuto inoltre conto della associata realizzazione di strade di accesso e di elettrodotti.

- La presenza di camping, aree attrezzate, impianti di risalita ed altri insediamenti permanenti di strutture e attrezzature turistiche, sportive e ricreazionistiche, se localizzate in ambiti di particolare pregio faunistico, provoca oltre all’alterazione fisica dei luoghi, un disturbo ai cicli biologici delle specie dovuto alla più intensa frequentazione da parte dell’uomo.

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- Il prelievo venatorio costituisce per certe specie di uccelli e mammiferi una delle principali cause di rarefazione e scomparsa. Analogamente il

prelievo ittico non commisurato può determinare un depauperamento delle popolazioni di pesci di corsi d’acqua e bacini. - Il bracconaggio (prelievo di specie cacciabili in aree, tempi, quantità e modi non consentiti) e la persecuzione diretta di specie protette, con arma

da fuoco o altri mezzi, costituiscono ulteriore causa di rarefazione e scomparsa tanto per specie di interesse venatorio che di interesse scientifico-conservazionistico.

- L’introduzione di specie o sottospecie non originarie dei luoghi comporta in molti casi conseguenze negative sulle comunità animali e vegetali. Tra i vertebrati le comunità ittiche appaiono le più esposte alle conseguenze di immissioni illegali di specie non indigene; tali conseguenze consistono in fenomeni di competizione e predazione a danno delle specie autoctone.

- Il prelievo di uova e nidiacei di uccelli per collezionismo e falconeria, da non escludere anche per l’Umbria, è rivolto per lo più a specie rare e minacciate e può contribuire a determinarne l’estinzione locale.

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- L’arrampicata sportiva è riconosciuta come una seria causa di disturbo alle specie di uccelli che si riproducono sulle pareti rocciose, dal

fondovalle alle quote più elevate. Gli effetti del disturbo arrecato consistono nell’interruzione delle attività riproduttive in corso e, nel tempo, nell’abbandono dei territori di riproduzione.

- La pratica dell’escursionismo a piedi e in mountain-byke determina talvolta una frequentazione assidua di aree fondamentali per la biologia di alcune specie di vertebrati, quali in particolare le praterie montane utilizzate come preferenziale territorio di caccia dai rapaci diurni. La presenza umana in tali ambiti inibisce l’attività di ricerca dell’alimento limitando di fatto l’offerta trofica dell’ambiente. Effetti analoghi sono causati dall’utilizzazione delle praterie montane come aree per la pratica del volo con deltaplano e parapendio.

- Lo sviluppo di attività come canoismo, rafting, fossismo, torrentismo e canyoning determina una presenza umana anche assidua e continua in ambiti in precedenza poco o nulla frequentati. In molti casi i corsi d’acqua interessati risultano di fondamentale importanza per la biologia di alcune specie di vertebrati rare e localizzate. In particolare vengono esposte a rischio di danneggiamento le aree riproduttive.

- La frequentazione delle cavità ipogee (speleologia sensu lato), e la loro eventuale manomissione, può determinare un disturbo ai popolamenti di invertebrati e vertebrati (tra questi il Geotritone italiano e numerose specie di Chirotteri) derivante anche dall’alterazione delle peculiari condizioni ambientali.

- La caccia fotografica e il bird-watching hanno più spesso come oggetto le specie rare e minacciate, quali numerosi rapaci diurni, in particolare sottoposte a tali pratiche durante le delicate fasi riproduttive (riprese e osservazioni ai nidi). Gli effetti del disturbo arrecato dalla presenza umana possono consistere nell’interruzione della nidificazione e, nel tempo, nell’abbandono dei territori di riproduzione.

- Il transito di veicoli a motore al di fuori della rete rotabile, vietato per legge, causa alterazione dei substrati percorsi (lettiere dei boschi, vegetazione erbacea di prati e pascoli, letti di corsi d’acqua) e provoca disturbo alla fauna selvatica in genere.

Si sottolinea come le specie maggiormente esposte agli effetti negativi dei fattori di pressione risultino proprio quelle di rilevante interesse scientifico-conservazionistico.

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RISPOSTE

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ti - Attività della Regione dell’Umbria - Osservatorio Faunistico Regionale; - Attività della Regione dell’Umbria: Programma triennale 2000/2002 per la conservazione e la valorizzazione delle risorse ittiofaunistiche e

degli ecosistemi acquatici; - Ricerche e studi dell’Università degli Studi di Perugia: la “produzione” di studi, per lo più relativi alle classi Uccelli e Mammiferi, mostra una

decisa tendenza all’incremento negli ultimi 20 anni, con un valore medio di circa una tesi di laurea l’anno nel decennio 1983-1992 che passa a 3,4 nel decennio 1993-2002; vanno inoltre ricordati i numerosi programmi di ricerca in corso del Dipartimento di Biologia Animale ed Ecologia;

- Attività delle Provincie; - Attività dei Parchi; - Atlanti distributivi dei Vertebrati.

Atti

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- Istituzione di Aree Protette ai sensi della Legge 394: la superficie di aree protette in Umbria è passata, in circa 10 anni da 0 a 63.200 ettari

che corrisponde al 7,5% della superficie regionale complessiva, a fronte del valore del 10% riferito al territorio nazionale. Un’efficace quantificazione degli effetti di questa risposta nell’intento di conservare e riqualificare i popolamenti faunistici, consiste nei risultati dei censimenti di uccelli acquatici svernanti in alcune zone umide della regione, e in particolare nel Lago Trasimeno. L’analisi del fenomeno dal 1988 al 2003 evidenzia come l’incremento, in particolare di anatre selvatiche e di Folaga, sia di fatto corrispondente a quello della superficie protetta.

- Individuazioni del Piano Urbanistico Territoriale: le Zone di particolare interesse faunistico individuate occupano in totale circa 200.000 ettari, pari a circa il 23% della superficie regionale; le Zone critiche di adiacenza tra insulae (corridoi ecologici) sono 7 sempre corrispondenti ad aree di fondovalle, per uno sviluppo lineare complessivo di circa 140 chilometri.

- Applicazione della normativa comunitaria: Progetti Bioitaly e IBA: sono classificati nel territorio regionale 92 SIC (88.870 ettari) e 7 ZPS (46.678 ettari) (oltre a 7 siti di interesse regionale - SIR), ambiti in cui è stata verificata una particolare concentrazione di habitat e specie d’interesse comunitario; essendo alcuni SIC ricompresi in toto o in parte all’interno di ZPS, la superficie regionale da essi interessata è di circa 100.000 ettari, pari al 12% di quella complessiva; il dato percentuale riferito al territorio nazionale è pari al 13%. Obiettivo del progetto IBA “è quello di identificare e proteggere su scala biogeografia una rete di aree critiche per la sopravvivenza nel lungo termine di popolazioni di uccelli che in esse vivono, con particolare riferimento a quelle specie di uccelli per la cui conservazione è appropriato un approccio basato sulla conservazione dei siti”. Le IBA italiane, secondo il recente aggiornamento sono in totale 192; 4 di esse ricadono esclusivamente o anche nel territorio umbro:

- Piani e strumenti di gestione faunistico-venatoria; - Piani e strumenti di gestione ittiofaunistica; - Normativa faunistica.

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PAESAGGIO INTRODUZIONE DESCRIZIONE

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Le analisi hanno permesso l’individuazione delle macro-configurazioni strutturali del Sistema ambientale e territoriale dell’Umbria che sono il riferimento delle relazioni e connessioni biologiche del sistema ambientale e svolgono precise funzioni di regolazione dell’equilibrio ecologico dello stesso sistema territoriale. La lettura ha portato all’individuazione delle seguenti macro-configurazioni strutturali: grande corridoio ecologico dell’Appennino Centrale, corridoio ecologico preappenninico, corridoio ecologico dei Monti Amerini e Monti Narnesi, corridoio ecologico dei Monti Martani, macchia boschiva Monte Peglia e Monte Piatto, macchia boschiva meridionale Monti Miranda-Stroncone, corona di macchie ad elevata eterogeneità Monte Santa Maria Tiberina - Monte Favalto - Monte Civitella, Monte Malbe, Monte Tezio – Monte Acuto, serbatoio di naturalità del Monte Subasio, corridoio ecologico d’acqua Sistema fluviale del Tevere, corridoi ecologici d’acqua dei sistemi fluviali Chiascio-Topino, Paglia Chiani e Nera-Velino. Tali ambiti non sono solo storicamente le strutture portanti del paesaggio, nelle sue componenti naturali ed antropiche, ma ricoprono per il territorio regionale il ruolo di un esteso, complesso e connesso serbatoio di naturalità a cui sono state riconosciute forti valenze naturalistiche e ambientali con l’individuazione nei vigenti indirizzi pianificatori regionali di aree naturali protette, geotopi e biotopi. La lettura per sistemi paesaggistici delle trasformazioni dell’uso del suolo tra il 1940-60 e l’attuale 1993-96 permette di focalizzare le principali dinamiche di modificazioni del territorio, caratterizzate da processi che si sono svolti con tempi e modalità quasi simili per l’intero ambito regionale: - in ambito montano l’abbandono dei pascoli, soprattutto nelle aree di crinale e di sommità, ha determinato un fenomeno di aumento e di compattazione delle macchie boschive formando così i grandi corridoi e/o serbatoi verdi, tale aumento del bosco non ha però comportato uno sviluppo delle aree ad alto fusto e di riqualificazione vegetazionale, - in ambito alto collinare la prevalente trasformazione dei seminativi arborati in seminativi semplici e/o in aree ben definite di oliveti e di vigneti specializzati, si rileva inoltre un forte sviluppo del bosco lungo la rete idrografica e in aree abbandonate dall’attività agricola. Tali nuovi corridoi vegetazionali promuovono una diversa immagine del paesaggio alto collinare con un aumento della eterogeneità paesistica. - in ambito collinare prevale un contenuto sviluppo del bosco, la predominanza del seminativo semplice e l’aumento dei vigneti ed oliveti specializzati, - le aree vallive e le pianure sono state oggetto non solo della perdita della matrice del seminativo arborato, trasformato in semplice, e della storica rete minore delle recinzioni di filari e siepi, ma anche da un massiccio processo di antropizzazione con fenomeni di concentrazione e condensazione edilizia in prossimità delle aste fluviali e delle principali infrastrutture, trasformandosi così negli ambiti con maggiore criticità ambientale e più vicine al limite della capacità di autoregolazione dell’ecosistema.

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Il Piano Urbanistico della Regione Umbria (legge regionale 27/2000) costruisce il "Quadro ambientale della Regione" nel quale cardine del processo di territorializzazione della politica ambientale è la individuazione delle “unità ambientali” o zone omogenee di base, risultato di una lettura integrata del territorio regionale sotto i diversi profili meteo-climatico, geomorfologico e geoidrogeologico. All’interno delle “unità ambientali” si realizza quel sistema di protezione paesaggistica e faunistico-ambientale. Le quattro zone omogenee sono: - Insulae ecologiche, porzioni del territorio regionale occupate da vegetazione legnosa spontanea polifitica permanente, costituenti il fattore ecologico più rappresentativo dell'habitat dei macromammiferi terrestri umbri, - Zone critiche di adiacenza tra insulae, dove si rinvengono formazioni lineari continue di vegetazione legnosa spontanea, costituenti corridoi ecologici e faunistici che collegano nello spazio due o più insulae tra loro, - Zone di discontinuità ecologica, dove la vegetazione legnosa spontanea è sostituita, per oltre il 75% e fino al 100% della superficie occupata, da altri fattori componenti il paesaggio geografico regionale, - Zone di particolare interesse faunistico, ove è ospitata la fauna stabile di recente o storico infeudamento, di interesse comunitario. Inoltre nel sistema ambientale il PUT individua e norma: le zone di elevata diversità floristico-vegetazionale, i Siti di interesse naturalistico (SIC, ZPS, SIR), le Aree di particolare interesse naturalistico ambientale, le Aree boscate, le Aree di particolare interesse geologico e singolarità geologiche, le Aree naturali protette.

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I due Piani Territoriali Provinciali, seppure con metodologie e strumenti diversi per l’analisi e le valutazioni delle Unità di Paesaggio (UDP), hanno elaborato indicatori che permettono di confrontare e relazionare i dati stessi e quindi di redigere delle valutazioni fondamentali per la pianificazione e programmazione territoriale dell’Umbria. Relativamente al PTCP di Perugia le classi di appartenenza delle UDP (trasformazione, evoluzione e conservazione) che esplicano la dinamica del paesaggio e del territorio sono state elaborate in base alle percentuali di uso del suolo trasformato all'interno di un processo storico. Analizzando i dati per la Provincia di Perugia si evidenzia che tutti i comuni presentano UDP in trasformazione e in evoluzione, in particolare alcuni comuni presentano forti trasformazioni del territorio e si evidenzia l’asse Perugia - Città di Castello come a forte trasformazione e rilevante criticità emersa per l’Unità di Paesaggio di Monte Malbe che si configura, ad oggi, come una rilevante risorsa semi-naturale. I dati di altri due centri quali Foligno e Spoleto, evidenziano che Foligno presenta una parte dell’unità di paesaggio in trasformazione, il resto in evoluzione con una sola UDP in conservazione mentre Spoleto è caratterizzato da un territorio maggiormente salvaguardato. Inoltre anche i comuni che sono simbolo del paesaggio collinare e montano presentano un’elevata percentuale di territorio in trasformazione, ciò segnala che il paesaggio collinare del centro Umbria sta modificando il suo stato di equilibrio diminuendo la propria capacità portante. I dati elaborati per la Provincia di Terni sono certamente più approfonditi ed articolati e consentono di elaborare una analisi maggiormente dettagliata infatti l'uso degli indicatori dell'Ecologia del Paesaggio permette di capire la capacità portante di una unità di paesaggio e focalizzare quanto l'Habitat naturale e l'eterogeneità dell’ecomosaico possono contribuire ad aumentare le risorse di una UDP per mantenere il suo equilibrio. Da tale analisi risulta che il territorio provinciale è lontano dal limite della capacità portante del suo paesaggio e che il valore della biopotenzialità dell’Habitat Naturale segnala il contributo medio che esso può offrire per l'aumento della capacità portante, mentre l'eterogeneità elevata della Provincia contribuisce fortemente al mantenimento dell'equilibrio. È da evidenziare che circa un terzo dei comuni presentano UDP vicino al limite della capacità portante con il rischio di trasformazione del paesaggio in un altro caratterizzato da una minore capacità ad assorbire le trasformazioni e quindi a riconquistare l’equilibrio, evitando il degrado generale del sistema degli ecosistemi.

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Relazione sullo stato dell’ambiente in Umbria l Documento di sintesi - ALLEGATO l Scheda sintetica PAESAGGIO

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L’indicatore Habitat standard (Hs) misura il carico antropico che insiste effettivamente su di una certa area e si esprime in mq/ab. Pertanto l'HS non considera tutto lo spazio disponibile di un certo ambito territoriale, ma solo l'Habitat umano, cioè quel territorio realmente occupato dall'uomo per l'espletamento delle sue funzioni vitali (residenza, cultura e ricreazione, produzione di cibo e materiali necessari alle attività ldi avoro, spostamenti e utilizzo dei servizi tecnologici, miglioramento del microclima e della qualità ambientale); sono escluse le aree dell’Habitat naturale e seminaturale dove l'uomo si inserisce più di rado utilizzando al minimo l'energia prodotta. In base ai valori dell’Habitat standard viene definita la tipologia di paesaggio dell'ambito considerato, caratterizzata da precisi valori. Da questo scaturisce la seguente classificazione dei paesaggi: agricolo, HS > di 6700 mq/ab., l’UDP produce energia maggiore di quella che si consuma; rurale produttivo, 2.600 mq/ab<HS< di 6.700 mq/ab., l’UDP produce energia uguale a quella che si consuma; rurale povero,1.640 mq/ab.<HS<2.600 mq/ab., l’UDP produce energia necessaria a mantenere in vita un uomo in economia di sussistenza; suburbano, 780 mq/ab.<HS<1.640 mq/ab.,l’energia prodotta dall’UDP non è sufficiente al consumo, necessita un apporto di energia da altre UDP limitrofe; urbano rado, 500 mq/ab.<HS<780 mq/ab.,l’UDP produce energia insufficiente per il consumo, aumenta la quantità di energia richiesta alle UDP limitrofe; urbano, 260 mq/ab.<HS<500 mq/ab., l’UDP diminuisce la quantità di energia prodotta e lo svolgimento delle sue funzioni iniziano a dipendere quasi totalmente dall'apporto esterno; urbano denso, 80 mq/ab.<HS<260 mq/ab., l’UDP non produce energia e dipende interamente dall'apporto esterno. I suddetti valori di Habitat standard sono di riferimento generale e possono essere "personalizzati" per le diverse regioni, in riferimento alle caratteristiche specifiche delle stesse, in base alla produttività dei suoli, alla capacità di resilienza degli ecosistemi, alle caratteristiche generali di equilibrio del sistema territoriale. I valori dell’Habitat standard dell’Umbria dal 1963 al 1993 indicano chiaramente che il territorio regionale è caratterizzato da un processo evolutivo del suo paesaggio da agricolo verso la tipologia del rurale produttivo, confermata dai dati rilevati dalla Corine Land cover/’93 che rilevano in modo chiaro questa trasformazione del paesaggio in una tipologia che “produce un’energia uguale a quella che si consuma”. Si rileva inoltre che dal 1963 al 1970 si ha un leggero calo della popolazione per poi aumentare fino al 1991 con un incremento totale del 2,6%; il calo dei valori dell’Habitat Standard non è quindi dovuto solo al leggero incremento di popolazione ma anche da una diminuizione della superficie dell’Habitat umano dovuto sicuramente ad un incremento del bosco e delle aree abbandonate dall’agricoltura. Il lieve aumento della popolazione ha causato una minima pressione sul territorio regionale, mentre i dati indicano che l'habitat umano interessa solo alcune parti del territorio come le valli e le aree collinari, concentrando in questi ambiti la pressione antropica che è minore nelle zone alto collinari e quasi nulla in quelle montane. I dati degli abitanti residenti ed i valori degli Habitat standard della Provincia di Perugia rilevano i seguenti processi: calo della popolazione negli anni 70 per avere successivamente negli anni novanta un aumento del 4,11%; i valori dell’Habitat standard dal 1963 al 1991 si mantengono costantemente al di sopra della soglia minima del paesaggio agricolo. Questi valori sono dovuti soprattutto a un aumento della superficie dell’Habitat umano scaturito da un forte aumento del seminativo semplice (del 38,72%), quasi una totale scomparsa del seminativo arborato (che si riduce dell’1,31%) e da una crescita nella superficie dell'insediamento urbano e delle infrastrutture dell'1,79%. Si evidenzia inoltre che purtroppo ad un incremento dell'Habitat standard corrisponde un decremento dei valori della biopotenzialità dell’Habitat umano dagli anni '60 ai '90. Tale calo denuncia un degrado dell'Habitat antropico, che ha minore capacità di automantenimento, minore capacità di risposta ai disturbi e sempre più necessità di energia esterna artificiale, da importare dall’Habitat naturale e seminaturale. La lettura dei valori dell’Habitat standard testimonia che il processo evolutivo del territorio della Provincia di Terni dagli anni '50 si è stabilizzato nella tipologia di paesaggio del "rurale produttivo" come, solo dagli anni '90, per l'intera Umbria, con valori molto alti rispetto alla soglia critica di passaggio ad una tipologia "rurale povero" che presenterebbe un maggiore degrado. Il notevole incremento della popolazione del 116% tra il 1890 e il 1950 con leggeri decrementi e stabilizzazioni negli anni successivi ha determinato il passaggio dalla soglia del paesaggio agricolo al rurale produttivo che è avvenuto negli anni '50 per la pressione causata dal notevole aumento della popolazione. La stabilizzazione del territorio nel paesaggio rurale produttivo è accompagnata da valori più alti della Biopotenzialità territoriale dell’Habitat Umano rispetto al territorio perugino ed all’intera Umbria. Inoltre la stabilizzazione del paesaggio si accompagna ad una stabilità dei valori di biopotenzialità dell’Habitat umano dagli anni '60 agli anni '90.

STATO

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La Biopotenzialità territoriale (BTC) è una grandezza che si esprime in mcal/mq/anno e dipende dalla misura di biomassa, respirazione e produzione primaria di un elemento del paesaggio, tali valutazioni richiedono tempi lunghi e tecnologie assai complesse, perciò nella normale prassi si effettua una stima. Un paesaggio in realtà è composto da elementi a bassa metastabilità, con poca resistenza ai disturbi, ma rapida capacità di recupero (alta resilienza) e di elementi di buona metastabilità con alta capacità di resistenza ai disturbi, ma bassa resilienza. La BTC oltre a stimare l’energia latente insita negli ecosistemi considerati, è in grado di misurare la capacità di automantenimento (o autoriequilibrio) del paesaggio: un alto valore di BTC significa alta potenzialità energetica ed alta capacità di risposta alle pressioni, quindi un alto contributo alla stabilità, viceversa un basso valore di BTC significa bassa potenzialità energetica, bassa capacità di risposta alle perturbazioni, necessità del sistema di acquisire energia esterna per sopravvivere. Ad ogni elemento del paesaggio presente in un certo territorio è associabile un valore unitario di BTC che moltiplicato per la superficie occupata dall’elemento stesso, fornisce il valore di BTC di quell’elemento. Il territorio provinciale di Terni presenta dagli anni '60 agli anni '90 valori della BTC media più alti rispetto ai valori regionali e a quelli della Provincia di Perugia, negli anni '90 il distacco è consistente, A conferma di quanto detto i valori calcolati dal PTCP di Terni registrano al 1999 un valore di BTC media di 3,75. Questo ci sta ad indicare come il Sistema degli ecosistemi nella sua interezza della Provincia di Terni ha maggiori capacità di mantenere il proprio autoequilibrio rispetto alla totalità del territorio regionale, configurandosi come un territorio lontano dal limite della capacità portante dell'ambiente. Certamente questo non significa che alcune delle unità di paesaggio non presentino valori di habitat standard vicinissimi alle soglie critiche delle tipologie di paesaggio e che alcune UDP siano caratterizzati da paesaggi con bassa potenzialità energetica, bassa capacità di risposta alle perturbazioni e necessità di acquisire energia esterna per sopravvivere. Le analisi evidenziano un andamento assai significativo di quest'indice: un calo piuttosto sensibile della BTC media dal 1890 al 1950 (da 3,58 Mcal/mq anno a 3,05), e un valore in aumento da 3,03 Mcal/mq al 1996 a 3,75 nel 1999. ciò significa che il sistema a livello provinciale è stato in grado di incorporare le trasformazioni avvenute, ma gli equilibri locali si sono modificati sensibilmente. In particolare assistiamo ad un degrado generale degli habitat umani e ad un miglioramento dell'Habitat naturale. L’eterogeneità (H) è l’altro indicatore utilizzato per analizzare lo stato dei Paesaggi, esso viene applicato agli ecotopi o alle singole macchie considerando la superficie occupata, anziché il numero di individui ed esprime la probabilità di incontrare elementi diversi in un certo areale; tale indice dipende dal rapporto tra la superficie occupata dell’elemento paesaggistico e l’area considerata. Un alto valore di eterogeneità può corrispondere ad un’alta capacità di auto-equilibrio di fronte a perturbazioni. Un basso valore di eterogeneità generalmente significa banalizzazione del sistema con conseguente scarsa capacità di auto-equilibrio. Un incremento di valore troppo elevato può, però, causare aumento eccessivo di frammentazione con conseguente perdita della matrice e destrutturazione del paesaggio. Per questo motivo è importante valutare il rapporto H/Hmax (Hmax è il valore della eterogeneità quando tutti gli elementi sono presenti in uguale quantità, pertanto non è possibile avere elementi o gruppi di elementi preponderanti sugli altri che possano costituire la matrice). Infatti, non è vero in assoluto che più alto è il valore etoregeneità, migliore è la stabilità paesistica. Se il valore di H si avvicina ad Hmax è praticamente impossibile avere una matrice paesistica. L’esperienza dell’applicazione dell’indicatore H/Hmax ha portato a considerare positivamente un valore oscillante tra 0,50 e 0,70 per i paesaggi prevalentemente antropici. In una unità di paesaggio l'eterogeneità delle componenti è fondamentale per l'aumento del potenziale energetico e l'aumento della capacità di autoriequilibrio. Al momento attuale non sono mai stati elaborati valori dell’indicatore eterogeneità (H) e del rapporto H/Hmax relativamente alla Regione Umbria e alla Provincia di Perugia, né alle diverse soglie storiche, né in riferimento a un preciso anno; la Provincia di Terni tramite il piano territoriale di coordinamento ha elaborato questi valori per l’intero territorio provinciale e per unità di paesaggio (uso del suolo 1999). Analizzando i valori dell'indice di Eterogeneità per le unità di paesaggio dei quattro subsistemi del PTCP della Provincia di Terni si rileva che generalmente i valori dell'Eterogeneità sono valori medi o alti per il tipo di paesaggio della stessa UDP. In via generale il territorio ternano si presenta con valori significativi che esprimono quanto le eterogeneità degli elementi paesistici contribuisce ad aumentare le capacità energetiche dell'ambito territoriale per il mantenimento dell'equilibrio ambientale e per alzare la capacità portante dell'ambiente stesso.

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Relazione sullo stato dell’ambiente in Umbria l Documento di sintesi - ALLEGATO l Scheda sintetica PAESAGGIO

IMPATTI La matrice paesistica è il tipo di elemento più estensivo e più connesso e che gioca un ruolo funzionale determinante nel paesaggio. Per definire la matrice è quindi necessario valutare il tipo di elemento del paesaggio prevalentemente presente. Quando non è più possibile individuare la matrice, il paesaggio è destrutturato, sono inesistenti gli scambi funzionali tra le componenti (o strutture) paesistiche, il paesaggio non solo ha terminato le capacità energetiche di autoriequilibrio, ma ha perso gli elementi caratterizzanti della sua identità. Un elevato valore di elementi (componenti diversi) può causare una eccessiva frammentazione con conseguente perdita della matrice, destrutturazione del paesaggio e perdita delle connessioni. Gli indicatori della connettività e della circuitazione possono essere considerati come indicatori dell’impatto che misurano gli effetti di degrado del paesaggio che pesano sulla salute degli uomini e degli animali. L’indicatore connettività misura quanto sia connesso (spazialmente continuo) un tipo di elemento in un paesaggio e precisamente misura le effettive possibilità di scambi funzionali all’interno delle strutture paesistiche, mettendo in relazione i nodi, i legami strutturali, corridoi e connessioni all’interno delle macchie. È un indicatore applicabile sia ai sistemi antropici, sia a quelli naturali. Quindi questo indicatore concorre alla valutazione della funzionalità delle strutture paesistiche. L’indicatore circuitazione misura l’efficienza di sistemi a rete, rapportando il numero dei circuiti esistenti con quello massimo del sistema studiato; valori troppo bassi significano notevoli difficoltà di interazione tra gli elementi considerati. I suddetti indicatori connettività e di circuitazione ad oggi non sono stati mai elaborati per il territorio Umbro, mentre la individuazione della matrice è stata elaborata per le unità di paesaggio del PTCP della provincia di Terni, pur senza verificarla qualitativamente.

RISPOSTE

Si sono individuate cinque strategie di risposta e precisamente: - Monitoraggio dei Paesaggi e dell'uso degli indicatori nella pianificazione e programmazione territoriale; - Aggiornamento costante dell'uso e consumo di suolo del territorio regionale tramite l'aggiornamento dei Sistemi informativi territoriali Provinciali e Regionali e di una classificazione omogenea delle tessere dell'ecotessuto; - Elaborazione di una normativa articolata in indirizzi e prescrizioni che sia in grado di intervenire sui processi di evoluzione dei paesaggi; - Controllo sull'elaborazioni dei nuovi Piani regolatori strutturali finalizzato a verificare il ruolo che viene assegnato alle unità di Paesaggio e quanto la relativa norma tecnica tenda ad affrontare e risolvere le problematiche dei processi di degrado dei paesaggi stessi. Individuazione di fondi di finanziamento ministeriale e europeo per fornire un'assistenza tecnica qualificata ai comuni per affrontare e risolvere le problematiche relative ai processi evolutivi dei Paesaggi. - Attivazione dell'Agenda 21 regionale e del relativo Forum (tra gli Enti ai diversi livelli amministrativi, le associazioni ambientali e culturali, le forze economiche della Regione), mirata ai Paesaggi Umbri e ai loro processi evolutivi ed a attivare quel processo culturale regionale essenziale alla elaborazione delle nuove politiche di co-programmazione e co-pianificazione. Le cinque strategie individuate cercheranno di rispondere alle forti problematiche connesse con il Paesaggio Umbro, problematiche che richiedono un impegno di Co-pianificazione e co-programmazione tra gli Enti, ai diversi livelli amministrativi, che fino a questo momento non è stato attivato, anche se i due Piani Provinciali territoriali di Coordinamento segnalano questo impegno come essenziale per la nuova progettazione territoriale. La disciplina dell’Ecologia del Paesaggio proietta la pianificazione territoriale verso un iter mirato a realizzare un giusto equilibrio tra le esigenze del sistema antropico e di quello naturale, ponendo ambedue i sistemi all’interno di un unico ecosistema ricco di una fitta maglia di relazioni. La lettura degli indicatori è uno degli strumenti per tale elaborazione ed il PTCP di Terni, basandosi sui valori degli indicatori, ha prescritto dei limiti di crescita in percentuale della popolazione e/o delle aree urbanizzate per ciascuna unità di paesaggio. Ha inoltre, per unità di paesaggio, dettato indirizzi relativamente ai seguenti punti: - Scelta delle specie delle fitocenosi che costituiscono la serie di vegetazione da utilizzare nei recuperi e ripristini ambientali; - Gestione ed utilizzazione delle fitocenosi, degli agrosistemi e dei rimboschimenti; - Connettività e reti ecologiche minori; - Elementi strutturanti il paesaggio agricolo; - Forme insediative e tipologie rurali; - Elementi archeologici caratterizzanti; - Integrazioni tra reti ecologiche e reti infrastrutturali. Le norme tecniche del PTCP della provincia di Perugia relativamente ai temi sopra elencati non dettano precise prescrizioni, ma indirizzi e linee guida per le scelte progettuali più corrette.

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