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Anno scolastico 2013-14 Maggio 2014 Numero III L’Associazione A.F.I.A. (Famiglie Ipoacusici Abruzze- si), con sede a Tollo, ha indetto il IV Premio di disegno, musica, poesia e narrativa giovanile Gianluca Vitale. Il tema del concorso è “Sentire.. sognare”, e prevedeva la realizzazione di poesie, racconti editi ed inediti sul tema della sordità. Molti studenti del nostro Istituto hanno pre- so parte alla manifestazione. A seguire, verranno presentati gli abstract degli elaborati degli alunni del Gonzaga e, soprattutto, il componimento poetico di Niccolò De Cecco della classe I A del Liceo Socio-Psico-Pedagogico, che ha vinto il primo premio nella sezione Poesia e narrativa giovanile. A Niccolò vanno i complimenti di tutta la scuola! I mesi sono volati le stagioni sono passate ed io non ho sentito. Sono passate davanti ai miei occhi feste, cerimonie e baldorie. Quanto sarebbe bello sentire, udire e ascoltare….! Qual è il danno che ho fatto per portarmi appresso questo masso? Per fortuna la scienza, la tecnologia e la chirurgia si sono fatte avanti ora posso sentire discorsi, schiamazzi e canti. Senza gli aiuti forniti non vivrei, non ce la farei a perdermi tutto quello che porta, nel nostro mondo, la gioia di sentire! Ora posso sentire ma, per mia sfortuna, sento cose sconcertanti, che provocano molti danni facendo vergognare tutto il mondo. Comunque l’angoscia è passata: posso sentire…..ma non smetto di sognare. Sogno una vita migliore, piena di gioia e senza dolore. Sogno una vita di uguaglianza fra giovani e vecchi, donne e uomini fra sani e malati, ricchi e poveri dove il potere non esiste e viviamo tutti in pace e in armonia con la natura sentendo i suoi suoni e ammirando la sua bellezza. Sogno una vita migliore dove viviamo tutti insieme con un senso di fratellanza. Questo lo sogno…… questo lo sento. Nicolò De Cecco classe 1A Sento…...Sogno…... Speciale concorsi Speciale concorsi Speciale concorsi

Sento…Sogno… · Sai, forse sento più di tutti voi messi insieme. Voi, nel vostro caos quotidiano, dimenticate quanto è bello ascoltare il vostro cuore batte-re, mentre scandisce

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Page 1: Sento…Sogno… · Sai, forse sento più di tutti voi messi insieme. Voi, nel vostro caos quotidiano, dimenticate quanto è bello ascoltare il vostro cuore batte-re, mentre scandisce

Anno scolastico 2013-14

Maggio 2014

Numero III

L’Associazione A.F.I.A. (Famiglie Ipoacusici Abruzze-

si), con sede a Tollo, ha indetto il IV Premio di disegno,

musica, poesia e narrativa giovanile Gianluca Vitale. Il

tema del concorso è “Sentire.. sognare”, e prevedeva la

realizzazione di poesie, racconti editi ed inediti sul tema

della sordità. Molti studenti del nostro Istituto hanno pre-

so parte alla manifestazione.

A seguire, verranno presentati gli abstract degli elaborati

degli alunni del Gonzaga e, soprattutto, il componimento

poetico di Niccolò De Cecco della classe I A del Liceo

Socio-Psico-Pedagogico, che ha vinto il primo premio

nella sezione Poesia e narrativa giovanile.

A Niccolò vanno i complimenti di tutta la scuola!

I mesi sono volati

le stagioni sono passate

ed io non ho sentito.

Sono passate davanti ai miei occhi

feste, cerimonie e baldorie.

Quanto sarebbe bello sentire, udire e ascoltare….!

Qual è il danno che ho fatto

per portarmi appresso questo masso?

Per fortuna la scienza, la tecnologia e la chirurgia si sono

fatte avanti

ora posso sentire discorsi, schiamazzi e canti.

Senza gli aiuti forniti non vivrei,

non ce la farei a perdermi

tutto quello che porta, nel nostro mondo,

la gioia di sentire!

Ora posso sentire

ma, per mia sfortuna, sento cose sconcertanti,

che provocano molti danni

facendo vergognare tutto il mondo.

Comunque l’angoscia è passata:

posso sentire…..ma non smetto di sognare.

Sogno una vita migliore,

piena di gioia e senza dolore.

Sogno una vita di uguaglianza

fra giovani e vecchi, donne e uomini

fra sani e malati, ricchi e poveri

dove il potere non esiste

e viviamo tutti in pace e in armonia con la natura

sentendo i suoi suoni e ammirando la sua bellezza.

Sogno una vita migliore

dove viviamo tutti insieme con un senso di fratellanza.

Questo lo sogno……

questo lo sento.

Nicolò De Cecco classe 1A

Sento…...Sogno…...

Speciale concorsiSpeciale concorsiSpeciale concorsi

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Sentire…sognare!

Caro amico,

quante ore, quanti giorni, quanti mesi passati a cercare di comprendere il mondo che ho intorno!

I miei primi dieci anni di vita sono stati così belli! Amavo la musica, la ascoltavo, la vivevo. Poi, quel giorno

maledetto di metà settembre. Qualcosa è andato storto durante lo scorrere della notte e quel mattino le

mie orecchie vedevano il buio. Ti starai chiedendo: come fanno le orecchie a vedere? Beh, sappi che vedo-

no e anche bene!

All’inizio di questi sei lunghi anni vedevano il vuoto, poi hanno incominciato a scoprire tanti colori. E sai

come? Proprio grazie alle persone che mi dicevano che ne sarei venuta fuori, che presto avrei potuto pas-

sare di nuovo ore ed ore vicino ad uno stereo a fantasticare; ma anche grazie a chi mi scriveva su un fo-

glio “Arrenditi, perché non puoi più sentire!”; oppure a chi di me ha visto solo la diversità; grazie a chi mi

ha lasciata sola e mi ha messa da parte con un

“Tanto sei sorda!”. Ma sorde erano proprio

queste persone, che non sentivano il mio gri-

do tanto forte da poter frantumare i vetri,

abbattere i muri, ribaltare i mondi. Grazie a

tutte queste persone, grazie alla musica ne sto

venendo fuori, nonostante la consapevolezza

di non poter più recuperare l’udito. Ma chi vi

assicura (dico a te e a tutta la gente) che io

non senta?! Le analisi cliniche? Sì, ma non ba-

stano! Sai, forse sento più di tutti voi messi

insieme.

Voi, nel vostro caos quotidiano, dimenticate

quanto è bello ascoltare il vostro cuore batte-

re, mentre scandisce ogni attimo della vostra

vita, un metronomo fisso che non vi abbandona mai! Quante volte vi dimenticate che toccare è sentire?

Che provare una sensazione di caldo, di freddo, di dolore, di rabbia, di amore è sentire? Quante volte

pensate che sfiorare un tavolo di legno o di metallo, un foglio di carta, una matita, una chitarra è sentire?

Sento che le persone fanno tanto rumore, con i profumi che si spruzzano sui vestiti e sul corpo, con le

strette di mano tra la folla in un treno, con le loro emozioni che faticano a contenersi in un corpo. Sento

il dolore di avere solo un ricordo delle voci amiche, sento la mancanza dei richiami di mia madre, sento di

essere di troppo quando bisogna spiegare che in fondo non sono “normale”.

Io sento! Sono in ascolto dentro! E sai, ogni giorno mi chiudo in camera, metto le cuffie nelle orecchie e

sento una musica che sovrasta il rumore della gente, che mi fa sentire viva! E il mio cuore e la mia mente

sognano, perché sento. E forse quel giorno di metà settembre non lo maledico più, perché sento. Perché

sentire è sognare!

Bacioni

Stella

Buccione Valeria Classe 3N

Pag ina 2 La Voce del Gonzaga

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Pag ina 3 La Voce del Gonzaga

Quel grande silenzio non c'è più. Le voci che non pote-

vo più ascoltare sono tornate. Intorno a me c'è un bel

prato verde da cui proviene una sinfonia di grilli che,

unita a quella degli uccelli, costituisce una vera e pro-

pria composizione musicale.

Nell'aria sento il tagliaerba di papà, le grida di mio fra-

tello, che sta facendo una partita a pallone con i suoi

amici e la conta di mia sorella, che sta giocando a na-

scondino con la figlia della vicina. Poi entro in casa e

sento qualcosa di incredibile: la voce di mia madre, al-

terata perché le si sta bruciando la torta! Non è possi-

bile! La mamma ci ha lasciati tanti anni fa e adesso è qui

di fronte a me: vedo il suo sorriso e ascolto la sua vo-

ce!

I nostri sguardi si incrociano per un momento, come se

in un attimo volessimo raccontarci tutti quegli anni pas-

sati senza di lei da quel giorno, da quel tragico giorno.

Tutto cominciò tanti anni fa quando un semplice ope-

raio, Gianni, incontrò una giovane commessa, Monica:

si innamorarono a prima vista e si sposarono. Poi ebbe-

ro Tom, me e mia sorella Susan. La nostra vita era feli-

ce: i miei genitori avevano un buon lavoro, io e i miei

fratelli eravamo bravi a scuola e, soprattutto, eravamo

una famiglia unita.

Purtroppo un giorno, però, le cose cambiarono. Era un

martedì, io mi sentii male a scuola e chiamai la mamma

perché mi venisse a prendere. Ma, uscite per andare

nel parcheggio, mentre attraversavamo sulle strisce

pedonali, un’auto che andava ad alta velocità ci investì.

Mamma per proteggermi cercò di farmi scudo e la

macchina la prese in pieno. In ospedale non mi resi

conto, ma in realtà intorno a me c'era solo silenzio.

Improvvisamente mi accorsi che papà, Tom e Susan

piangevano, ma non emettevano suoni. Poi chiesi come

stesse la mamma. Papà mi rispose, ma io non capii. Da

quel momento di una sola cosa ero certa: il mio mondo

sarebbe stato silenzioso per sempre. Cominciai a cam-

minare per il corridoio del reparto: i nonni piangevano,

gli zii piangevano e persino l’equipe medica aveva un'a-

ria commossa. A quel punto compresi che la mamma

non c'era più. Nei giorni successivi al funerale di mam-

ma provai un profondo senso di vuoto. Molte delle co-

se che faceva lei in casa dovetti farle io. La mia vita era

cambiata..

Quando tornai a scuola, se prima ero la migliore della

classe, ora mi ritrovai l'insegnante di sostegno. Se pri-

ma andavo a fare la spesa e la commessa mi diceva

quanto c’era da pagare, adesso dovevo leggere il prez-

zo sul display della cassa. Se prima mi accorgevo che la

lavatrice aveva ultimato il lavaggio dal piano di sopra,

perché non faceva più rumore, ora dovevo scendere

per vedere se la spia fosse rossa o verde. Ma soprattut-

to c’era l'angoscia di non poter sentire più la voce della

mia migliore amica, mia madre.

Poi un giorno mi sedetti e pensai che in realtà noi sia-

mo dotati di cinque sensi, a me ne erano rimasti quat-

tro, che non erano pochi e che, quindi, quindi mi sareb-

be bastato potenziare quei quattro per compensare il

quinto. Mi allenai e i risultati si videro. Per esempio un

giorno un uomo gettò nel giardino della vicina, pieno di

foglie secche, una cicca accesa di sigaretta ed io, appena

sentii l'odore del fumo, mi misi in allerta. Mio padre e i

miei fratelli, invece, dovettero aspettare le urla dei vici-

ni per capire cosa stesse succedendo.

Perdere l'udito mi aveva anche permesso di ascoltare

in un altro modo, di sentire con gli occhi e col cuore.

Infatti, avevo imparato a comprendere bene gli altri,

non solo quando parlavano, ma, in base alle loro

espressioni, sapevo cosa volessero dire anche quando

non si esprimevano. Per esempio, spesso papà non par-

lava, ma nei suoi occhi leggevo la mancanza della donna

che amava e la preoccupazione di crescere tre figli da

solo.

Così andavo da lui e lo abbracciavo per trasmettergli

tutto il mio amore.

La vita è stata dura per me da quel martedì, che giorno

dopo giorno mi sono portato sulla coscienza. Se non

mi fossi sentita male a scuola, mamma non se ne sareb-

be andata e io ... io sarei stata una ragazza serena e

spensierata! E’ questo ciò che ho pensato, ogni giorno,

in ogni situazione.

Ma ora mi trovo qui, finalmente di fronte alla mia mam-

ma, indaffarata ai fornelli. Sto per abbracciarla, è lì, ad

un passo da me. Una strana sensazione: cos’è che mi

tira via lontano da lei? E' mia sorella che mi sta stratto-

nando nel letto, perché è ora di andare a scuola. E' sta-

to solo un sogno! Ma io non dispero; so che il mio so-

gno presto diventerà realtà, perché è Dio stesso, nelle

Scritture (1), a promettermi che si realizzerà. Non ci

saranno più le malattie e io riavrò l'udito, potremo

riabbracciare i nostri cari che sono morti, poiché ver-

ranno risuscitati e godremo di una vita serena e piena.

Apocalisse 21:3,4; Isaia 33:24

Di Naomi Tortora Classe 3L

Sentire e sognare…

Una promessa

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Sentire….Sognare

“ Immagina che non ci sia il Paradiso. Prova, è facile. Nessun inferno sotto ai piedi, sopra di noi solo il cielo.

Immagina che la gente viva al presente. “ -

-- 12 novembre 2012.

In una fredda e piovosa giornata di novembre, me ne stavo seduta sul divano di camera mia, accanto alla

finestra. Ero sola, rimasta ad osservare uno scenario maledettamente triste. Pioggia incessante, che invece

di lavar via le memorie impresse nel marciapiede del mio cuore, non faceva altro che batterci sopra, come

per amplificare ogni mio dolore. Rimasi per parecchio tempo con uno sguardo assente a fissare il vuoto.

Distante sia dalla realtà che dalla fantasia e con un nodo alla gola che non mi permetteva di respirare, mi

sentivo come imprigionata in un mondo senza luce, sola e abbandonata. La mia vita era triste e monotona,

aveva bisogno di un senso, che non riuscivo a trovare. Armata di cuffie auricolari e un’infinita playlist di

canzoni dei Beatles, riuscii a calmarmi, uscii e dopo aver camminato per qualche minuto, mi sedetti su una

panchina gelida. La loro musica era la mia unica ancora di salvezza. Ogni volta che li ascoltavo mi sentivo

libera da ogni pensiero, preoccupazione, rimorso. Mi sentivo bene. Le loro parole e la loro musica entra-

vano a far parte di me e non potevo far a meno di sorridere e sentirmi viva. E me ne stavo seduta lì ad

ascoltarli sul mio mp3, mentre la pioggia iniziava a farsi sempre più fitta e il cielo a ricoprirsi di un manto

scuro e tenebroso. Mi incamminai per tornare a casa, quando improvvisamente incrociai lo sguardo di un

ragazzo. I suoi occhi erano marroni, i suoi capelli credo che fossero color castano chiaro. Non so il per-

ché, ma il suo sguardo aveva attirato la mia attenzione. I suoi occhi sembravano infinitamente profondi,

era come se mi ci stessi perdendo dentro. Tutto questo accadde però in un solo attimo e fu tutto così

fugace e inaspettato che non riuscii neanche a capire chi fosse. Tornai a casa e chiamai il mio gruppo per

provare. Ci chiamavamo i Reckless, ovvero gli spericolati. La nostra band si era formata da un anno. Erava-

mo in quattro. Ricky suonava la batteria, Alessandra la chitarra, Noemi al basso ed io ero la voce. Andava-

mo forte, ma fino ad allora non avevamo mai suonato davanti a molta gente, non eravamo mai riusciti ad

esprimere noi stessi davanti a delle persone. Ogni tanto componevamo canzoni di genere rock, ma solita-

mente facevamo cover. I nostri grandi ispiratori erano i Beatles, i maestri del rock, i nostri idoli. Era la pas-

sione per questo gruppo che ci aveva congiunti. Quando suonavamo, per ognuno di noi era come espri-

mere i propri sentimenti, gridare emozioni, gridare noi stessi.

-- 24 gennaio 2013.

Era il gran giorno. Il giorno in cui finalmente avrei cantato con il mio gruppo davanti ad un vero pubblico.

Il giorno in cui insieme avremmo affrontato tutte le nostre paure, le nostre incertezze, cercando di espri-

merci e di emozionare chi ci avrebbe ascoltato. Lo zio di Alessandra aveva appena aperto il suo locale, e

ci aveva chiesto di fare un piccolo spettacolo per la sua inaugurazione. Eravamo eccitatissimi. Quando

Matteo, il proprietario, ci presentò alla gente, ero in ansia. Ma salii sul palco, chiusi gli occhi e incominciai

a cantare, e d’un tratto tutto passò. Lasciai uscire dalla mia anima ogni sentimento, ogni emozione. Mi di-

vertii come non mai. Era come se dentro ognuno di noi ci fosse un drago da liberare. Quella sera aprim-

mo i cancelli del nostro cuore e ci lasciammo andare. Arrivati a metà del nostro repertorio, facemmo una

pausa. Prima di riprendere però mi accorsi di uno sguardo familiare, tra la folla. Lo riconobbi solo quando,

mentre stavamo suonando ‘Allmyloving’, canzone dei nostri idoli rock, ritrovai quegli occhi color nocciola.

Era lui, il ragazzo che avevo incontrato in quella giornata maledettamente triste. Quel ragazzo che col suo

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Sentire … sognare.

Le grida, i sorrisi, le emozioni, gli applausi erano lì per me. Piena di sudore e affaticata avevo comunque

fatto sentire la mia musica a tutte quelle persone. Ogni passo era a tempo come ogni emozione arrivava ad

ogni plauso. Lì, in piedi, con il cuore in festa e i muscoli completamente distrutti, avevo solamente comin-

ciato a camminare per me ma in realtà mi sbagliavo.

Iniziato con un pezzo funk finii con grinta e potenza nella dubstep. Interpretare quella musica con le mie

sole sensazioni era talmente eclatante che mi commossi. Un solo essere umano capace di emozionare tanta

gente, in verità aveva fatto parlare la musica per tutti ma soprattutto per lei. Quell’essere umano sono io e

tutto questo era ciò che mi distoglieva dai problemi e dalle paure quando arrivò un uomo in camice bianco

e che con grande autorità disse a mia madre che avevo perso l’udito e che non avrei più potuto ballare.

Piansi giorno e notte come se fosse morta una persona cara, come se un padre avesse lasciato la propria fa-

miglia, come se un’amica avesse cercato di suicidarsi, come se un ragazzo avesse i minuti contati per una

malattia, come se… Mi chiedevo se ci fosse qualcosa di più brutto dell’aver perso la cosa più bella al mon-

do e se avessi fatto qualcosa di sbagliato per meritarmi un torto simile. Ero sorda non solo fisicamente ma

anche al mondo. Lui, che gridava dicendomi di rialzarmi, farmi forza, ricominciare perché poi un giorno

avrei rivisto quei sorrisi e tutte quelle persone in festa per me. Ero talmente sorda da non aver capito che

quello era solo l’inizio di un nuovo cammino da completare.

Passò un anno e non mi resi conto che ormai anche parlare era diventato impossibile. Il mio diciassettesimo

compleanno fu un totale disastro e non solo, a Natale mi chiedevano ancora che regalo desiderassi ma non

sguardo m’aveva fatto riflettere. Lo guardai bene e mi accorsi che era di una bellezza incredibile. Distratta

da cotanta meraviglia, non mi accorsi che anche lui mi stava guardando, e quando mi sentii talmente in

imbarazzo. Abbassai rapida lo sguardo, poi mi misi a pensare e mi accorsi di un leggero fastidio al petto e

di un tremolio alle gambe che non avevo mai avuto prima d’allora. Mi chiedevo come fosse possibile che

io provassi ciò per una persona che neanche conoscevo. Alla fine dello spettacolo andai a cambiarmi e,

una volta uscita dal camerino, mi precipitai sul bancone del bar per

bere qualcosa. Quando chiesi al barista il conto però, mi disse che

qualcuno lo aveva già pagato. Mi chiesi chi potesse essere stato,

poi mi voltai e vidi quel ragazzo sorridermi. Bizzarro il modo in cui

si accese in me una forte sensazione di felicità. Si avvicinò e inco-

minciammo a parlare. Ci guardammo negli occhi e solo allora co-

noscemmo bene i nostri volti ma non serviva, perché noi già ci

amavamo. Probabilmente passarono due ore prima che mi riac-

compagnasse a casa. Il suo nome era Marco. Aveva 19 anni e si era

da poco trasferito dalla Spagna. Parlammo in breve delle nostre vite, ci raccontammo l’essenziale. Entram-

bi amavamo la musica rock. Fu questo ad accomunarci maggiormente. Col tempo scoprii che era una per-

sona sensibile, romantica, dolce, ma col suo lato.. ‘rock’. Sapeva capirmi e starmi vicino. Sapeva farmi feli-

ce. Fummo ottimi amici, per un po’ di tempo, anche se sapevamo di appartenerci, sapevamo di provare

l’un per l’altro qualcosa di ben più profondo. Non pensavo di poter mai provare certi sentimenti per qual-

cuno, soprattutto durante quel periodo buio della mia vita. Provammo, a distanza di un anno e più, a scri-

vere una nostra storia d’amore nel destino. Eravamo felici, e lo siamo tutt’ora, a distanza di tanti anni, ri-

pensiamo a come una grande passione ci avesse uniti, facendoci scoprire nuovi orizzonti e nuove speran-

ze. Oggi, insieme, senza più timore di vivere, godendoci il presente, canticchiamo ‘All my loving’ e conti-

nuiamo a sognare che il nostro amore non finisca mai.

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sapevano che quello che volevo l’avevo perso. Il sedici giugno feci una sorpresa a Dario, il mio insegnante

di danza. Mi presentai al saggio però senza farmi vedere. Davvero stupendo lo spettacolo con quelle luci e

lui aveva ballato “non bene ma di più”, come diceva a lezione, e le mie amiche…mi avevano lasciata senza

fiato. Tutto spettacolare se non fosse per le mie orecchie. Quanto mi mancava la musica.

Entrai negli spogliatoi e tutte, piangendo, mi abbracciarono forte. Dario mi fissava, quasi come fosse spa-

ventato. Forse non sapeva cosa dirmi, o credo, come farmelo capire. Poi, all’improvviso, un brivido mi

passò per le vertebre fino alla testa quando mi abbracciò. Lui che mi aveva asciugato le lacrime quando era

necessario, che mi aveva insegnato tutto, anche a vivere. Lì, in quella piccola sala dove avevo scoperto me

stessa. Tra quelle mura piene di scritte colorate avevo imparato a convivere con me stessa e a sopportarmi

un po’ di più. Un abbraccio mai avuto prima che mi fece capire quanto fosse in pena per me. Ad un tratto,

mi prese per le mani e mi disse che sarei dovuta passare il martedì seguente a scuola perché mi avrebbe

dato una notizia importante.

Quel martedì mi presentai a scuola. Mi guardò e con un accennato sorriso mi fece gesto di seguirlo. Entrati

in sala mi diede l’ordine di ballare. Non capivo, o meglio, non volevo capire. Poi mi mise la mano sul cuo-

re e mi guardò negli occhi ordinandomi nuovamente di ballare. Chiusi gli occhi…stavo ballando.

Dovevo partecipare ad una gara, mi aveva chiesto Dario, così consegnai una scheda da compilare a mia

madre. Con un’occhiata violenta mi fece capire che

era contraria poiché mi riteneva ancora troppo fragi-

le e impotente. La feci sedere e le dissi: ” Io urlo,

ormai urlo da un anno. Non vi siete mai accorti

quanto stessi male. Non potevate capire quanto mi

mancasse. Adesso, ti prego, di appoggiarmi anche se

sei preoccupata per me. Se mi vuoi vedere felice

prendi questa penna e compila quel foglio”. Detto

questo, con molte difficoltà, prese a scrivere ed io a

provare il pezzo con Dario. Per capire la musica, mi

aiutava con le mani e la bocca. Non so come ma da

quei movimenti capivo tutto di quei suoni e più mi

allenavo e più miglioravo.

Arrivarono le gare e non ricordandomi come fosse

aspettare dietro il palco presi ad agitarmi. Lo stoma-

co mi si chiuse, la testa mi girava e le mie gambe non volevano smettere di tremare. Stare lì dietro era una

tortura perché non ci si aspetta mai tutto quel pubblico. Mancava una ragazza e poi sarei salita io. Non riu-

scivo a respirare. Visto il mio panico negli occhi, Dario mi guardò, sicuro che avrei fatto tutto come previ-

sto. Così, presa di coraggio, mi avvicinai, chiusi gli occhi cercando di ricordare ogni singolo passo. Quan-

do Dario mi fece cenno di salire ero ormai un’altra persona.

Meno trentotto secondi…meno venticinque secondi…meno due secondi e…quei volti sorridenti. Di nuovo

in piedi, tutti, uno a uno, per me. Di nuovo libera, finalmente. Mi ritrovai circondata dalle altre ragazze e

Dario che prese il microfono e parlò della mia situazione. I giudici si alzarono e, senza neanche esitare, mi

consegnarono la coppa del primo posto, riempiendomi di congratulazioni e abbracci. Ovviamente, non vo-

levo vincere in quel modo così lasciai il trofeo alla ragazza che aveva ballato prima di me e chiesi sola-

mente un ultimo saluto dal pubblico. Un ultimo grido, sorriso e applauso da quelle persone che con un solo

minuto avevo fatto emozionare, di nuovo.

Ilaria Pietrangelo Classe 3N

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Aprii gli occhi, quasi di scatto, e mi resi conto con

sorpresa che era già mattina. I timidi raggi del sole

penetravano dalla finestra socchiusa e donavano alla

mia camera mille sfumature pastello. Mi alzai leggia-

dra e mi affacciai alla finestra. Era primavera e chissà

che meravigliosi suoni echeggiavano nell’aria. Provai

ad immaginare i cinguettii allegri degli uccellini, il

ronzio musicale delle api a lavoro e il rumore della

brezza primaverile che si muoveva delicata tra le

foglie. Non avrei mai potuto contemplare piena-

mente quel paesaggio senza sentirne i suoni, ma al-

meno potevo arrivarci con la fantasia. Era un giorno

assai importante per me, un giorno che forse avreb-

be potuto cambiare la mia vita. Uscii dalla camera

diretta in cucina, dove mamma mi stava sicuramente aspettando per fare colazione. Appena varcai la so-

glia della porta, mamma mi salutò con la mano e mi

fece cenno di sedermi. La tavola era apparecchiata e

piena di tutti i miei dolci preferiti: pancake, muffin e

cioccolato. Dopo una colazione come quella avrei

potuto scalare anche il monte Everest senza mani.

Mamma prese il telefono ed iniziò a parlare, proba-

bilmente di lavoro, non so con chi. Mentre mastica-

vo, guardavo la sua bocca cercando di capire cosa

stesse dicendo poi, quando dedussi che non era nul-

la di interessante, tornai a fissare il cibo che mi si

poneva davanti. Iniziai a pensare alla voce di mia ma-

dre. Chissà com’era e chissà cosa poteva trasmet-

termi. Era dolce? Sì, sicuramente. Il mio sguardo si

bloccò in quel pensiero. Conoscevo tutto di mia

madre: le sue movenze, il modo di comportarsi, lo

sguardo … ma non conoscevo la sua voce. Non

l‘ho mai sentita dirmi “ti voglio bene”, ma ho potuto

dedurlo sempre dai suoi gesti. (…) Poi, quando le

chiesero che nome volesse darmi, lei rispose

“Hope, che significa speranza”, lasciando tutti i me-

dici allibiti. Amo mia madre e non riesco ad immagi-

nare la mia vita senza di lei. Inoltre se non fosse per

lei non avrei conosciuto la mia più grande passione:

la danza. Mamma era una ballerina ma, dopo aver

avuto me, aveva dovuto abbandonare i suoi sogni e

cambiare vita. Qualche anno dopo la mia nascita,

era riuscita ad aprire la sua scuola di danza avendo

molto successo. È lì che ho mosso i miei primi passi

ed è quello il luogo che mi è più caro, dopo casa mia. Mia madre mi ha insegnato tutto ciò che ha po-

tuto, facendomi diventare una brava ballerina. Con-

siderati i miei problemi ho sempre ballato con i suoi

“metodi speciali”. Erano passati ormai quattro mesi

da quando mamma aveva accettato, per la mia insi-

stenza, di portarmi in una nuova scuola nei pressi

della capitale. Mi ero preparata a fondo per quella

prova che la vita mi poneva davanti.

Avrei frequentato dei corsi con i migliori maestri

del mondo e, alla fine del semestre avrei avuto la

possibilità di fare un’audizione per la compagnia na-

zionale di balletto classico. Era tutto troppo impor-

tante e volevo che fosse perfetto. Dopo aver finito

di mangiare, corsi in bagno per una bella doccia ri-

lassante poi mi misi davanti allo specchio e pettinai

accuratamente i miei capelli color mogano, lunghi

fino alla schiena e li raccolsi in una perfetta crocchia

sulla cima della testa. Andai in camera e aprii l’arma-dio alla ricerca di quella bellissima busta rossa. Mesi

prima, infatti, io e mamma ci eravamo recate in uno

dei negozi di articoli per la danza migliori della zona.

Lì avevamo acquistato due nuovi meravigliosi body e

scarpette da punta “Serenade”. Rovistai nell’arma-

dio con fare felino e, dopo alcuni minuti, riuscii a

trovare la busta. Infilai le calze rosa pelle, il body e

poi presi un vestitino primaverile da usare come

“copricostume”. Mi girai verso il letto dove troneg-

giava la mia grande valigia azzurra. In testa mi frulla-

vano mille domande “Sarò pronta a tutto questo”

mi chiesi. Andare in quella scuola voleva dire andare

via di casa e vivere da sola, responsabilizzarmi ed

affrontare la gente da cui mamma mi aveva sempre

protetto. No! Non potevo arrendermi, era convinta

di ciò che volevo ed ero pronta ad affrontare qual-

siasi cosa per ottenerlo. Presi la valigia dal letto,

scesi le scale e salii in macchina dove mamma mi

aspettava nervosa. La scuola distava quattro ore dal-

la nostra piccola villetta di periferia e qualcosa mi

diceva che mamma le avrebbe passate dandomi rac-

comandazioni su raccomandazioni. (…)

L’insegnante mi fece segno di andare da lui. Chissà

cosa voleva dirmi, non ero pronta ad affrontare altri

insulti. Mi impegnai a fondo per leggere il labiale,

anche se parlava troppo veloce “Tu sei Hope giu-

sto?” io annui “Sei scoordinata cerca di migliorare

altrimenti questo non è il posto giusto per te. Hai

l’apertura, la grazia, ma è come se non sentissi la

musica… ora vai”. Quelle parole mi fecero ancora più male. Come avrei potuto affrontare il semestre?

Mi recai nella mia stanza che si trovava nel plesso b

ANCHE I SOGNI SI AVVERANO (ABSTRACT)

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Pag ina 8 La Voce del Gonzaga

della scuola. Una volta entrata mi buttai sul letto a

piangere. Dopo poco però una vocina nella testa mi

disse “Hope non devi arrenderti, è il tuo sogno e ce

la puoi fare”; e così smisi di piangere. Mi infilai sotto

le coperte calde, poiché ero stremata, e pregai il

Signore in un domani migliore (…). Nessuno sapeva

che non potevo né sentire né parlare, ma probabil-

mente molto presto mi sarebbe toccato confessare

il mio segreto.(…) “Come ti chiami?” io non risposi

perché non potevo e ogni parte del mio corpo si

era immobilizzata. “Io sono William e studio batte-

ria e chitarra al conservatorio; molto piacere!”. E

ancora: “Sei nuova qui? Non ti ho mai visto”. Aspet-

tava una risposta con occhi curiosi, ma non potevo

dargliela. “Ok, ho capito; sei una di poche parole. Ti va se scendiamo al bar a bere qualcosa, almeno ti

torna il sorriso, dai!”. Io annuii. Ci sedemmo ai tavo-

lini della caffetteria e lui iniziò a fissarmi ancora con

occhi curiosi e interessati. Quanto avrei voluto par-

largli, raccontargli la mia storia e i miei problemi. Ma

avevo paura che sarebbe scappato via. “Allora per-

ché non dici niente? Non ti mangio mica!” disse im-

paziente ed allegro. Raccolsi tutto il coraggio che

avevo nel mio gracile corpo ed iniziai a muovere le

mani sperando che conoscesse il linguaggio dei se-

gni. Inizialmente mi guardò incuriosito poi, quando

comprese la situazione, il suo volto si rabbuiò leg-

germente.

“Non conosco il linguaggio dei segni, mi dispiace“.

Poi prese un foglio dal suo quaderno e mi disse sor-

ridendo “Scrivi coraggio”. Non era scappato e ma

aveva capito tutto in pochi istanti. Presi il foglio

sgualcito e vi scrissi sopra il mio nome poi glielo

porsi con allegria. “Hope è davvero uno splendido

nome, mi piace molto” continuava a sorridermi in

modo incondizionato. Le mie guance scottavano e

sicuramente erano rosse come rose primaverili. “Le

tue compagne ti prendono in giro perché sei sor-

da?” io feci cenno di no e scrissi nuovamente sul

foglio e lui lesse curioso “Non sanno che sei sorda?

Ma perché non lo dici a tutti? Magari ti capirebbero

meglio”. Effettivamente aveva ragione. Se avessero

saputo del mio problema forse avrebbero capito

perché sbagliavo. William mi prese la mano e disse

“Vieni con me ti faccio visitare la scuola”. Così ci ritrovammo a girovagare insieme tra le numerose

aule dell’edificio. Ad un certo punto William si girò

e mi disse “ Ti faccio vedere una cosa”. Scendemmo

una scalinata e ci trovammo in una stanza buia. Wil-

liam accese le luci ed ecco la meraviglia. Quella stan-

za era piena di tutù e mi venne la voglia irrefrenabile

di provarli tutti. Mi chiesi come facesse ed avere il

permesso di stare lì, ma non mi importava più di

tanto. Rovistando tra i costumi, presi un tutù rosa e

bianco. Era ricamato in maniera impeccabile e sem-

brava uno di quei piccoli ciclamini che mamma met-

teva sul balcone d’estate. Lo indossai e William mi

guardò “ Wow ti sta veramente bene … ora fammi

vedere come balli” io feci cenno di no. Ero imbaraz-

zata, ma poi lui mi guardò dolcemente e allora, do-

po aver indossato le punte, iniziai a muovermi legge-

ra come una farfalla. Lui mi guardava estasiato in

piedi vicino alla porta. Ad un certo punto la punta si

bloccò su un chiodo del parquet e persi l’equilibrio.

Lui mi riprese al volo. Poi mi aiutò ad alzarmi e ci

guardammo intensamente negli occhi. Mi passò una mano sotto il mento ed esclamò “Sappi che d’ora in

poi se qualcuno ti dà fastidio io sono qui pronto a

difenderti”. I nostri volti si avvicinarono e ci baciam-

mo dolcemente. Era davvero stato un colpo di ful-

mine come quelli dei film. Ero finalmente felice e

non potevo crederci. Prima di tornare nella sua

stanza mi disse che il giorno successivo sarebbe ve-

nuto a vedere la mia lezione e che poi saremmo sta-

ti insieme. La mattina dopo la lezione andò molto

meglio del solito, forse perché William mi aveva re-

sa troppo felice. Il maestro si stupì e si congratulò

per i miei progressi. Uscita dall’aula, vidi William

correre veloce verso di me. Fermandosi giusto in

tempo mi disse “Ho una soluzione! Ho una soluzio-

ne! Vieni forza … o mio Dio sono troppo conten-

to!”. Mi portò nella sua stanza e accese le casse del-

la sua chitarra, poi mi si avvicinò e mi disse “metti la

mano qui”, indicandomene una. William inizio a suo-

nare e io, stranamente, riuscii a percepire il ritmo

della canzone. Mi guardò “La senti vero? Si, lo sape-

vo -aggiunse- Ho passato tutta la notte a fare ricer-

che”. Si bloccò e mi disse a gesti che era contento.

Finalmente avevo trovato la soluzione. Durante le

settimane che seguirono, migliorai sempre di più e i

maestri, dopo aver appreso della mia sordità, erano

molto più buoni e clementi con me. Nessuno mi

prendeva più in giro, anzi tutte mi guardavano con

rispetto. Passarono mesi bellissimi e William non mi

abbandonò. Ormai mancavano pochi giorni all’audi-

zione. Ripetevo la mia variazione venti o trenta volta al giorno, perché non ero mai soddisfatta. Volevo

che fosse perfetta ed impeccabile. (…). L’audizione

si sarebbe svolta nel salone principale della scuola.

Io, dato il mio cognome, sarei stata tra le ultime.

Quella mattina mi svegliai e mi preparai al meglio

alla sbarra, poi mi recai veloce nel salone. Indossavo

un tutù bianco molto semplice e una piccola tiara

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Pag ina 9 La Voce del Gonzaga

sulla cima della testa. Quando arrivai mi misi in fila e

William era lì ad aspettarmi. Per tutto il tempo non

fece altro che rassicurarmi. Quando arrivò il mio

turno, entrai e i giudici accesero lo stereo ma, a

causa dell’agitazione, mi dimenticai del mio rituale

abituale. Iniziai a danzare e, dopo il primo fuettè,

caddi a terra. Mi rialzai e, con passo lento, mi avvici-

nai allo stereo e misi le mani sulle casse sotto lo

sguardo stupito dei giudici. La musica iniziò a risuo-

narmi in testa. Ballai benissimo quasi come fossi una

farfalla o una rosa delicata. Ero energia pura, spriz-

zavo elettricità. Quando ebbi terminato, uscii dalla

sala e mi sedetti vicino a William in attesa. Lui mi

disse “Sei stata meravigliosa, se non ti prendono

sono degli sciocchi”. Dopo pochi minuti uno dei giu-dici venne a chiamarmi. L’uomo, basso e tarchiato

sulla cinquantina, mi disse con il linguaggio dei segni

qualcosa di meraviglioso e impensabile. “Sei forse il

talento migliore di questa scuola e noi della Compa-

gnia Nazionale di danza, saremmo felici di averti nel-

la capitale il prossimo semestre. Congratulazioni

Hope, ce l’hai fatta!”. Mi strinse la mano e se ne an-

dò soddisfatto. William mi guardava preoccupato,

ma io gli corsi incontro e lo abbracciai forte. In fon-

do era tutto merito suo. “Sapevo che ce l’avresti

fatta. Sei la mia stella”. Alla fine ero arrivata in cima

e avevo ottenuto quel che volevo. Nessuno dei nu-

merosi ostacoli che avevo dovuto affrontare era

riuscito a fermarmi. Nonostante la mia sordità e i

miei problemi avevo coronato il mio sogno. Sarei

diventata una vera ballerina.

Rossana Vincitorio Classe 2L

BE THE LIGHT

Alcuni giorni passano semplicemente,

Altri sono indimenticabili.

Non possiamo decidere la ragione per cui sia così

Ma possiamo scegliere cosa fare

Dal giorno seguente.

Così con questa speranza,

con questa determinazione

Rendiamo l’oggi

Un giorno luminoso e migliore.

Ho letto queste parole nel testo di una canzone, alcuni

anni fa, eppure, non mi hanno mai abbandonato. Ci

sono frasi che si incastonano perfettamente nel nostro

cuore e che ci accompagnano per il resto della nostra

vita, chiare ed indelebili. Qualsiasi cosa abbia fatto que-

ste parole sono tornate a far capolino nella mia mente

e mi hanno dato coraggio, erano calde come i ricordi a

cui le associavo.

Nella mia vita non ho mai ascoltato la musica, non ho

mai potuto ed è per questo, forse, che la ritengo così

importante. La musica l’ho sempre creata dentro di

me ed anche per queste parole l’ho immaginata. Ades-

so il mio concetto di musica è così ben chiaro che non

vorrei mai sapere com’è in realtà, nel mio piccolo

mondo la musica è esattamente come la immagino io.

È così anche per le voci delle persone che amo, per i

rumori, per i suoni. Non ho mai conosciuto queste

realtà e, per questo, le ho immaginate, rendendole

mie.

Tutto questo può sembrare strano, ma è un principio

importante per raccontare la mia storia. Senza questo

aspetto di me, quello che tutti definiscono un handi-

cap, non sarei veramente e completamente io. Parlare

di questo nei primi anni della mia vita non è stato affat-

to facile ed odiavo la mia condizione. Era come se ve-

dessi una costante distanza tra me ed il resto del mon-

do. Fin da bambina avevo imparato che possedevo

qualcosa in meno degli altri, che ero in svantaggio.

Per un bambino accettare una cosa simile non è affatto

semplice e nemmeno per la mia famiglia lo era. Tutti

mi vedevano incompleta ed anch’io mi vedevo così,

semplicemente perché non mi era stato insegnato a

considerare la realtà da un’altra prospettiva.

In fondo, come può mancarti qualcosa che non hai mai

posseduto? A rivolgermi per la prima volta questa do-

manda fu un ragazzo che conobbi in un campo estivo e

questa domanda mosse in me il cambiamento. Ricordo

l’agitazione di quei giorni. Non ero mai stata per più di

un giorno lontana da casa e restare con i miei amici,

senza la mia famiglia, per ben due settimane, mi agitava

terribilmente.

Era un’esperienza nuova per me e mi stupivo per ogni

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Pag ina 10 La Voce del Gonzaga

piccola cosa. Per la priva volta capii che la mia vita an-

dava avanti anche senza i miei genitori, riuscivo a ge-

stirmi da sola e a tenere in ordine la stanza senza bi-

sogno che fossero loro a ricordarmi di farlo. Mi senti-

vo forte, stavo crescendo.

Nessuna delle mie compagne di classe aveva voluto

condividere la stanza con me e quelle con cui ero ca-

pitata erano state scelte dalla professoressa. Leggevo

perfettamente la rabbia nei loro occhi. Mi vedevano

come un’intrusa e nessuna aveva mai provato a strin-

gere amicizia con me. Tutto questo mi faceva soffrire,

ma non dicevo niente. Ogni volta che aprivo bocca le

persone ridevano ed ero arrivata a credere che la mia

voce avesse un suono ripugnante. Per me era faticoso

parlare, sentivo soltanto le mie corde vocali vibrare e

non riuscivo a capire come dovessi moderare il tono

della voce.

Era la vacanza dell’estate dopo l’esame di terza media.

Dopo quell’anno i miei compagni di classe non li avrei

più visti ed avrei avuto occasione di ricominciare la

mia vita daccapo. Inizialmente in vacanza non volevano

nemmeno invitarmi, ma si erano trovati costretti.

Quando tutti ballavano nella piccola sala vicino alla

mensa, io restavo immobile e li guardavo invidiosa. Io

non potevo sentire la musica e non sapevo come si

ballasse. Per le prime due sere me ne andavo in came-

ra e piangevo tutta sola nel buio, nascosta tra le co-

perte.

Conobbi quel ragazzo durante una lezione di canoa.

Era diverso dai ragazzi che avevo conosciuto fino ad

allora. Lui non aveva mai provato a ridere di me o a

prendermi in giro e questo mi apparve fin da subito

molto strano.

Anche lui non aveva un compagno per la canoa ed

andammo insieme. Non era bravo a remare ed io gli

insegnai come fare. In quell’occasione ero molto timo-

rosa e non volevo che sentisse la mia voce. Mi espri-

mevo a gesti e sorridevo, cercando di fargli capire che

ero felice di insegnargli come fare. Aveva capito che

fossi sorda, ma sembrò non importargli. Per lui sem-

brava non fare la minima differenza.

Di sera il ragazzo, vedendomi in disparte, mi afferrò

per un braccio e, senza dir niente, mi condusse verso

la mensa. Tutti i tavolini erano stati puliti e la stanza

era vuota. Ci accomodammo ad un tavolino e lui pre-

se dalla macchinetta due caffè.

Parlava lentamente ed io riuscivo a capire perfetta-

mente il suo labiale. Sorridevo e partecipai timidamen-

te al discorso.

-La tua voce è davvero molto bella – mi disse.

Nessuno mi aveva mai detto una cosa simile, anche i

miei genitori lo davano per scontato. Ma io avevo bi-

sogno di sentirmelo dire. Avevo bisogno che qualcuno

mi rassicurasse, volevo essere certa di non avere nulla

di diverso dagli altri.

Ripensare alla sua dolcezza mi colpisce ancora. A di-

stanza di anni rimango colpita da certi ricordi. Nella

vita si possono incontrare poche persone in grado di

cambiarcela per sempre ed io ero stata fortunata.

Era vero, il mio “problema” non poteva essere un far-

dello per sempre. Che io lo volessi o no, non sarei

mai cambiata e non dovevo rassegnarmi, dovevo sem-

plicemente dire a me stessa – Sono così, poco impor-

ta se gli altri sono diversi da me. –

Le chiacchiere di fronte ad un bicchierino di caffè con-

tinuarono quasi ogni sera, quando non eravamo impe-

gnati con le attività sportive. L’ultima sera, prima di

ripartire, offrii io il caffè e lo bevemmo sulla spiaggia,

seduti sulla sabbia.

Grazie a quell’incontro colsi l’inizio delle superiori per

migliorare. Non avevo più così paura della sordità, ci

convivevo da tutta la vita ed avevo appreso altri modi

per capire le persone, oltre che ascoltarle.

Gli occhi, ad esempio, parlano più di tutto il resto. E

poi ci sono i gesti, la frequenza del respiro.

Io e quel ragazzo restammo in contatto anche quando

la gita terminò ed io lo usai come espediente per im-

parare a decifrare le persone.

Di carattere non parlava molto ma il suo corpo, i suoi

piccoli gesti, i dettagli, comunicavano per lui. In questo

eravamo molto simili.

Nei pomeriggi in cui ci incontravamo era come se

scoprissimo il mondo insieme.

Più di tutto ricordo un pomeriggio d’autunno. Gli al-

beri del parco avevano le foglie di colori irreali. Noi

camminavamo lungo lo stretto viale di terriccio e le

foglie secche scricchiolavano sotto i nostri piedi. Mi

stringeva la mano e per me, ormai, era divenuto un

gesto naturale, colmo di una dolcezza infinta.

In quel momento, forse per la prima vera volta nella

mia vita, mi accorsi di quanto il mondo che abitavo

fosse silenzioso. Vedevo quei colori, sentivo il vento

soffiarmi contro il viso, ma, in fondo, era come se fos-

si ad anni luce di distanza da quel luogo. Appreso que-

sto mi bloccai. La mia mente girò a vuoto ed io, im-

mobile, sentii mancarmi il respiro.

“Com’è il mondo che gli altri vivono?” mi chiesi.

È una domanda banale per chiunque tranne che per

me. Mi vergognavo a chiederlo, avevo paura di sem-

brare stupida, eppure, non riuscii a trattenermi.

-Andrea, il tuo mondo com’è? – chiesi.

Immaginai come la mia voce fosse risuonata, come si

fosse congiunta al soffio del vento che l’aveva già por-

tata via.

Le parole non avevano senso. Io spendevo tanta fatica

per pronunciarle e loro volavano via. Non capivo pro-

prio perché gli altri le trovassero così importanti. Le

parole non sono fatte d’altro che d’aria e si dissolvono

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Pag ina 11 La Voce del Gonzaga

prima che possano raggiungerci il cuore. Il mio univer-

so, ai miei occhi, era molto più infinito e sensato ri-

spetto a quello delle persone che avevo conosciuto.

Lui restò qualche minuto in silenzio. Mi sembrava di

vedere gli ingranaggi della sua mente girare per elabo-

rare una frase. Non ci aveva mai pensato al suo mon-

do, forse.

-Il mio mondo è vuoto ed io ci galleggio dentro. – ri-

spose semplicemente.

In quel momento compresi che lui era esattamente

come me. Forse tutti quei pensieri, quelle inquietudini,

perseguitavano anche lui. Ma lui aveva le parole, eppu-

re, non le usava.

-E ti basta vivere così? –

Lui mi sorrise. Il mio cuore sembrò svegliarsi ed agi-

tarsi.

-Mi bastava. Poi sei arrivata tu –

Le sue braccia strinsero la mia vita e mi baciò.

Era la prima volta che un ragazzo mi stringeva in quel

modo. Fu una sensazione che non dimenticherò mai, è

rimasta impressa sulla mia pelle. Il momento in cui il

ragazzo che stavo iniziando ad amare mi strinse per la

prima volta, io mi sentii infinitamente piccola. Mi senti-

vo come se quelle braccia non mi avrebbero mai la-

sciata cadere, ero sicura di questo. È una delle sensa-

zioni più simili all’amore.

Da allora compresi qualcos’altro di importante. La vita

non inizia il giorno della propria nascita, bensì nel mo-

mento in cui ci si rende conto di essere in vita, di ave-

re un cuore che batte coraggiosamente e di avere tut-

to il tempo e la forza per fare qualsiasi cosa.

La mia vita iniziò in quel momento. Non perché la mia

esistenza dipendesse da lui, no, ma perché avevo capi-

to di non essere la sola a galleggiare nell’universo.

La sera del mio compleanno entrò dalla finestra della

mia stanza, si accomodò sul mio letto e mi svegliò con

un bacio. Aveva lasciato una torta con le candeline

accese sul pavimento e lui era seduto di fianco a me,

con la chitarra fra le mani. La luce soffusa delle cande-

le illuminava parte del suo viso ed il resto era avvolto

dal buio.

-Ho scritto una canzone per te – disse.

Io sorrisi, era un’idea davvero romantica. Ero felice,

poi mi ricordai di chi fossi.

Lui iniziò a suonare ed io non sentivo niente. Niente,

esattamente niente. Il mio mondo era silenzioso come

al solito ed io non potevo fare nulla per alzare il volu-

me.

Iniziai a piangere, con disperazione, carica di ogni de-

lusione possibile.

Fu in quel momento che lui mi strinse a sé e guardan-

domi dritto negli occhi mi disse.

-Chiudi gli occhi, ascolta soltanto il tuo cuore e senti-

rai la mia canzone. –

Nessuno mi aveva mai detto qualcosa di così bello. Il

suo cuore aveva creato quella melodia ed anche se le

mie orecchie non potevano sentirlo, il mio cuore lo

avrebbe fatto.

Chiusi gli occhi e respirai lentamente. La musica la

sentii davvero e mi riempì il cuore di speranza.

Quando lui ascoltava la musica a me faceva leggerei

testi e mi diceva che avevo la fortuna di immaginarla.

Quei momenti erano gioiosi e mi facevano sentire

speciale. La mia vita appena iniziata sembrava piena di

belle aspettative.

Il tempo non può distruggere ricordi così belli. È vero,

le cose finiscono e ci si sta male, ma odiare il passato

semplicemente perché si è andati avanti è un crimine.

Anche la nostra storia finì. La vita è fatta anche di que-

ste cose e le storie d’amore, se ci si pensa, non fini-

scono mai per un motivo vero.

Credevo di morire senza di lui. Ero appena riuscita e

riemergere e stavo di nuovo affogando nel mondo. Ma

non sono morta, non potevo ora che avevo saputo

come fosse bello vivere.

Io non vedo più il mio “difetto” come un problema,

non dico che la mia vita sia semplice, ho tante difficol-

tà ma tutti le hanno. In compenso ho avuto una vita

tutto sommato tranquilla, ma ho amato con sincerità

e di questo, anche se spesso non è finita come avrei

voluto, non potrò mai pentirmi.

Quella felicità così pura e semplice non l’ho più vissu-

ta, solo lui poteva donarmela ed io non avrei mai pro-

vato a sostituirlo. Ogni esperienza è un caso a sé e

quando ci penso mi commuovo ancora.

Se lo rincontrassi lo abbraccerei e gli direi semplice-

mente : -Grazie – perché con lui ho imparato a vivere.

Benedetta Iezzi Classe 3E

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Pag ina 12 La Voce del Gonzaga

IL SOGNO DELLA REALTA' (ABSTRACT)

Le pareti della mia cameretta sono di un rosa sbiadito dal tempo, il colore del soffitto è bianco con delle

venature che dimostrano come la vecchiaia marchi anche la semplice pittura bianca utilizzata tanto tempo

fa.

Mentre sto osservando attentamente quelle venature - distesa a pancia in su sopra al mio letto - immagi-

no figure che non ci sono e sorrido, sorrido in parte perché mi è sempre sembrato di vedere una princi-

pessa con una corona sul capo e il mento troppo grande per essere di un umano, e in parte perché mi

tornano in mente le parole della mia amica del cuore: "le rughe creeranno soltanto dei disegni sulla pelle

quando saremo anziane, le avremo anche noi, proprio come sul soffitto della tua camera ci sono le vena-

ture che "compongono" i disegni."

Sa quanto mi disgustano le rughe, non vorrei mai arrivare ad averle. Lei che prende tutto con filosofia s'è

inventata la storia dei disegni sopra la pelle per far sì che mi piacciano di più queste rughe, che le apprezzi

e le veda come una parte inevitabile e positiva della vecchia.

Come sempre quando penso alla mia amica, il cellulare vibra avvisandomi di un SMS in attesa di essere

letto: al solito è da parte sua.

Mi scrive: Sto arrivando. 5 min e sn lì.

Le invio un ok con tanto di faccina sorridente.

Sparse un po' sul muro, alla mia destra, sono attaccate col nastro adesivo le foto degli attimi passati con la

mia migliore amica o anche "amica del cuore". Le ripercorro una ad una con lo sguardo, giudicando più

belle le foto scattate in montagna. C'eravamo state per festeggiare il quindici agosto.

Non riesco mai a capacitarmi di quanto ci assomigliamo fisicamente. Anche in questo momento me ne sto

stupendo, come ci osservo nelle foto. Bussano alla porta della camera. Corro

ad aprire.

Eccola Anna, in piedi di fronte a me e sulla soglia della porta. La mia migliore

amica … se qualcuno sta cercando degli argomenti per giustificare la tesi che

afferma che le persone amiche hanno caratteristiche fisiche in comune, noi

possiamo essere giusto i due "argomenti" perfetti.

Stessa altezza, stessi occhi verdi e stessa misura del naso: piccolo e alla fran-

cese. Perfino la stessa espressione del viso ... l'unica differenza è il colore dei

capelli, ma a questo ho posto rimedio, appena l'anno scorso ho cambiato co-

lore, da bruna a rossa, proprio come lei.

D'istinto le porto dietro l'orecchio una ciocca di capelli lisci che le copre l'occhio destro, e tocco il suo

apparecchio acustico che le permette di sentire: Anna è sorda dalla nascita.

Ci accomodiamo sul letto e dice a fatica che si è preoccupata, perché per alcuni giorni non ho risposto ai

suoi messaggi. Non potendo sentire, Anna non ha imparato ad articolare bene le parole, così mi concen-

tro a capirla. Purtroppo conosco soltanto pochi gesti in lingua dei segni e quest'ultimi non sono sufficienti

a portare avanti un discorso, ma sto cercando d’imparare, piano piano.

La mia amica mi sta insegnando. Spero di riuscire prima o poi ad apprendere un vocabolario più vasto

possibile in modo da non farla affaticare.

(…) Mi ricordo la tenacia che Anna metteva nel provare ad integrarsi nel gruppo di bimbe che si era forma-

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to in classe ai tempi delle elementari. Quella testardaggine mi infastidiva come non mai e infastidiva anche

le altre e per questo la isolavamo ignorandola, soprattutto quando cercava di dirci la sua.

“Credo che non abbia..”, tentò di partecipare un giorno.

“Tu non c'entri niente!”, ricordo che la interruppe una bimba del gruppo. Come al solito al quel punto la

mia bocca si azionò prima che mettessi correttamente in funzione il cervello e ne approfittai per spararne

una delle mie: “Non sei entrata a far parte del gruppo. Devi andartene. Tu vai raccontando tutto a tutti e

qui diciamo cose serie.”

Le altre assentirono silenziosamente a ciò che avevo detto. Anna scoppiò in lacrime. Si allontanò, mortifi-

cata e in lacrime. Quel giorno lo ricordo particolarmente triste, dopo il suo pianto.

Il giorno seguente, la mamma di Anna mi incontrò per parlarmi di persona, per cercare di farmi capire che

dovevo smetterla di inveire contro e sulla sua bambina sorda, che tornava sempre a casa in lacrime dopo

essere uscita da scuola ed indicava me, come colpevole principale di ogni sua tristezza.

Mia madre, assistendo al rimprovero, a sua volta intervenne: “Se stai comportandoti male quella bimba,

Cory, smettila. Non tutti hanno un carattere forte come il tuo.”

Mi stupisco ora che nemmeno mia mamma avesse compreso la sofferenza di Anna. Non si trattava di ave-

re o meno un carattere forte!

Cavolo, la sua era veramente tenacia! Essere respinta e sentirsi rifiutata più e più volte, nonostante tutto

lo sforzo compiuto per poter essere accettata. E’ normale che sia frustrante fino alle lacrime: lei era forte.

Lo è e lo è sempre stata più di me.

Per cinque anni d'elementari, comunque, continuai a proteggermi a mio modo dalla paure: incosciente e

principalmente incurante d'ogni rimprovero.

Quando i miei compilarono il modulo d'iscrizione per iniziare a frequentare i tre anni delle medie, sapevo

che nello stessa scuola si sarebbe iscritta anche lei, Anna. Mi informai a proposito della sezione nella quale

si sarebbe ritrovata e scongiurai i miei genitori in ogni modo possibile, perché facessero in modo che non

venissi inserita nella sua stessa classe. E invece fecero esplicita richiesta proprio per quella che, purtroppo,

si diceva fosse la migliore sezione e lì c’era anche lei. Non contarono nulla le mie preghiere, i miei pianti

considerati stupidi e le storie che inventai su di Anna: andai a finire lo stesso in quella sezione.

Primo giorno di scuola. Cercai di non guardarla, ma le mie compagne di banco non facevano altro che

prenderla in giro mentre la osservavano e io mi adeguai molto facilmente.

I giorni e i mesi trascorsero e le cose rimasero più o meno le stesse: la mia paura era diminuita e crescen-

do e quindi maturando –come allora credevo- un po', ero arrivata a non considerarla nemmeno parte del-

la classe, perciò non inveivo più su di lei.

Ci fu quel sogno, poi –ancora non mi spiego perché- che mi indusse a modificare la visione delle cose e mi

cambiò la vita.

Da quel qualcosa in poi fu come se avessi un paio di occhi nuovi. Come se la persona che consideravo la

mia nemica, per me non rappresentasse più una fonte di preoccupazione, anzi. Fu come un campanello

d'allarme che disse: "Togli i paraocchi e tutto andrà più che splendidamente."

(…) “Era un sogno molto vivido, di emozioni che provavo per davvero. E’ iniziato che, come stavo facendo

nella realtà, dormivo …”

“La solita pigra.”, mi interrompe Anna. Io rido.

“Sì. Ad un certo punto però mi sveglio e, consapevole di dovermi alzare per andare a scuola, provo un

senso di agitazione come … paura. Cosa che sarebbe stata anche ordinaria, in caso di interrogazione ma

sentivo di non dover affrontare nessuna verifica a scuola quel giorno. Era come se fossi angosciata a causa

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Pag ina 14 La Voce del Gonzaga

di qualcuno.

Mia mamma nel sogno mi prepara la colazione e, come vado per dirle di passarmi un cucchiaino, apro na-

turalmente le labbra, ma non sento la voce che percepisco passarmi per la gola! All'improvviso, nel mio

sogno, avevo perso l'udito. Non credo di essermi mai spaventata tanto. La mamma mi guardava con un'e-

spressione amorevole e allo stesso tempo triste nel vedermi in difficoltà. Poi veramente l’inverosimile.

Una voce diversa dalla mia parlò nella mia testa, la voce di mia mamma diceva: "Povera bimba mia, se non

fosse nata sorda ora non la vedrei sforzarsi così." Sorda io! Mi sentii offesa per il fatto che mia mamma mi

pensasse " povera ", solo perché non riuscivo in qualche modo a sentire più i suoni attorno a me. Insom-

ma, io non volevo fare compassione a nessuno, io rimanevo sempre Corinna, una persona come tutte le

altre.

Accompagnata a scuola da mio padre, riuscii a scoprire che il suo pensiero era più o meno lo stesso di

quello che aveva avuto mia madre e questo contribuì

ad abbattermi, ma anche a darmi la forza per affron-

tare la giornata scolastica, nonostante l'angoscia che

continuavo a sentire nei riguardi della scuola.

Entrando in classe, mi accorsi di riuscire a sentire

nella mente i pensieri di tutta la classe e per scioc-

chezza per cui sentivo i miei compagni lamentarsi, mi

veniva da pensare ancor di più al dramma che io sta-

vo vivendo. Mi sentii giudicata dagli altri, quando ri-

masi sola durante la pausa pranzo e triste, quando

vedevo tutti essere amichevoli con tutti tranne che

con me. Non era giusto, e proprio nel sogno riflette-

vo: "Ogni essere è diverso l'uno dall'altro e non è

certo perché la mia diversità è più evidente di quella

degli altri, che devo essere evitata. Anzi, è proprio

questo mio essere così che mi permette di capire

maggiormente le altre persone, riuscendo addirittura

ad ascoltarne pensieri." Lo so che la telepatia non è possibile, ma il sogno mi dimostrò che non sentendo

con le orecchie come tutti, avevo affinato una sensibilità più potente e sofisticata: quella di ascoltare con

la mente.

Risvegliandomi dal sogno, mi venne naturale riportarne il senso su di te, Anna: ti vidi per la prima volta,

per ciò che sei e capii che ciò che sei non doveva assolutamente turbarmi, anzi il contrario.”

Terminato di raccontare, Anna mi abbraccia. Il suo sorriso si riempie di luce e realizzo che sta per rivelar-

mi un pensiero profondo dei suoi.

Invece di parlare, decide di scrivere su un foglio bianco: " I sogni sono figli delle stelle." Le sorrido.

Nessuno sa realmente perché delle persone sono destinate ad incontrarsi ed altre meno. Credo che ab-

bia a che vedere con le stelle, appunto. Quando le costellazioni che ci rappresentano su nel cielo si incro-

ciano tra loro, il nostro destino è quello di incontrarci, prima o poi.

E se i sogni - come Anna afferma - sono figli delle stelle, il mio è nato da quella che mi ha portata a cono-

scere la mia migliore amica, per sempre.

Di Iorio Nadia Classe 5L

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Pag ina 15 La Voce del Gonzaga

Si conclude il 27° Concorso scolastico europeo:

Strasburgo ospiterà di nuovo una nostra alunna!

Valeria Buccione della classe 3N del Liceo linguistico “I. Gonzaga”, si aggiudica il I° Premio del concor-

so organizzato dal Movimento per la vita, dal titolo: “Matrimonio: vuoi unire la tua vita alla mia?”. La nostra

alunna si recherà dal 17 al 20 dicembre 2014 a Strasburgo, sede del Parlamento Europeo, ospite dell’orga-

nizzazione del concorso. Il II° Premio, un buono spesa di 50 euro, è stato vinto da Filoso Mariagiulia e

Ricci Beatrice (III N), Cucchia Guido (IV C), Di Ruscio Michela (IIID).

Si sono, inoltre, distinti i seguenti alunni: Cocco Sara (IV C), Di Marcoberardino Laura, Di Salvo

Patricia, Di Vincenzo Sara, Primiterra Gloria (V D), Magliano Valeria (III D).

La premiazione è stata effettuata il 24 maggio nella Sala del Museo Universitario a Chieti e la cerimonia è

stata animata dai ragazzi musicisti del Gonzaga. Nel corso di questa manifestazione, è stata premiata anche

Pellegrini Benedetta della classe II D, che ha partecipato alla I° edizione del Concorso fotografico on

line, a “Iolanda Di Renzo”. A Benedetta, un buono acquisto di 200 euro.

A seguire, il testo di Valeria Buccione, vincitrice assoluta del Concorso scolastico europeo. Complimenti

ragazzi!

Marzo, il mare, i ciottoli, il sole, il vento gelido, la

testa piena di pensieri, il cuore pieno di emozioni.

Oggi è stata dura in classe, i miei alunni erano tutti

scossi dalla situazione di Tommaso. Avranno capito

la parabola? O meglio, chissà se mi stavano almeno

ascoltando! A dire il vero, però, neanche io sono

stata tanto brava. Pensavo solo: “Come dico al mio

piccolo Davide che il papà deve stare un altro mese

in Iran con gli altri militari?”

Tommaso. I suoi genitori “hanno litigato davvero”

come dice lui. La separazione è vicina. Tommaso e

Gaia, la sorellina di sei anni, non vedranno più il pa-

dre. L’amore di cui hanno bisogno questi bambini

dov’è adesso? Due nonni sono morti, gli altri vivono

in Australia, il papà cerca di comprarli solo con i giocattoli, la mamma lavora in tre luoghi diversi per

poter riuscire ad arrivare a fine mese, dato che il

papà è in cassa integrazione e non ha i soldi per pa-

gare gli alimenti e versare un assegno di manteni-

mento con regolarità.

Anna, la mia collega di italiano, mi ha fatto leggere il

tema che Tommaso ha scritto giorni fa. “Voglio un

abbraccio”, “Perché noi non siamo d’intralcio, ve-

ro?”, “Amore”. Queste parole mi hanno colpita nel

profondo. Poi è arrivato il colpo al cuore: “ Mam-

ma, papà e Gaia sono la MIA famiglia”.

Sento dei passi tanto pesanti e stanchi da rompere il

mio silenzio e da sovrastare il rumore dei miei pen-

sieri.

Ilaria si siede vicino a me. Lei è la mamma dei due

piccoli, è uscita prima dal lavoro perché oggi è la

festa della donna. Ha un’ora per sé prima di andare

a prendere i bambini e portarli in piscina. Ilaria, in

fondo, mi cercava. I suoi occhi gridavano aiuto.

“Perché sposarsi e unire due vite per sempre?”. La

sua domanda mi trafigge come la lama affilata di una

spada. Che tempismo! Mio marito è fuori da tre

mesi ed io ho il terrore che lì, in Iran, dove scoppia

una bomba ogni tre ore, lui possa morire. Provo a

rispondere con qualcosa che la rassicuri, ma cosa

dici a una donna in quelle condizioni?

Vedo il mio portachiavi: due pezzi di puzzle che rap-presentano il giorno e la notte e che si incastrano

perfettamente. “Ilaria, vedi questi due pezzi di puzz-

le? Prima di sposarti questi due pezzi combaciavano,

ma avevano un difetto: erano in bianco e nero. Con

il matrimonio questi si sono colorati.” Il silenzio era

più forte di qualsiasi grido. Continuo: “Adesso uno

dei punti di incastro si è rotto, ma non si è perso,

attenzione! Con un po’ di scotch o di colla, comba-

ceranno di nuovo, non credi?”. Quello scotch era

un po’ un cerotto, uno di quelli super resistenti, che

avrebbe funzionato praticamente sempre e che

avrebbe anche un po’ protetto dalla corrosione del

Due vite ed un puzzle. Per sempre.

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Pag ina 16 La Voce del Gonzaga

tempo quei pezzi di cartone che si sarebbero logo-

rati cadendo, piegandosi e bagnandosi.

Ilaria aveva lo sguardo perso, i suoi occhi celesti

avevano preso il colore del mare e allo stesso tem-

po del cielo, annegavano e volavano nello stesso

tempo. E i minuti passavano, scorrevano inesorabil-

mente. La mia domanda, rimasta senza risposta, for-

se preferiva buttarla nel dimenticatoio. O forse

avrebbe voluto premere il tasto shuffle, non dell’i-

Pod bensì della sua vita.

“A cosa stai pensando?” mi chiede con voce rotta

dal un carico di emozioni. “A mio figlio. Ai tuoi fi-

gli.” Rispondo con fermezza. Uno sguardo a dir po-

co fulminante: “A cosa pensi?” ribatte. “Sai, ho mio

marito in missione in Iran, vivo con la paura che lui

non rientri a casa. Ho un figlio da crescere. Sono

una mamma che si deve mostrare forte, ma che de-

ve anche crescere insieme a lui. La parola madre

non vuole dire essere la donna che è chiusa in casa

a pulire, a cucinare, a stirare, a fare lavatrici. Essere

padre non significa portare soldi a casa a fine mese e

buttarsi in poltrona appena tornato dal lavoro. La

madre e il padre devono crescere una famiglia che

hanno deciso di creare nel momento in cui hanno

scelto di camminare insieme, per sempre. Essere

famiglia secondo te significa solo vivere in una casa

comune? Sai, non è così. Essere famiglia è mangiare

insieme, confrontarsi, preoccuparsi degli altri, amar-si, aiutarsi, lottare insieme e affrontare tutti i pro-

blemi essendo uniti. La famiglia è un nucleo compo-

sto da un uomo e una donna e dai figli, che bisogna

crescere con amore. E questi figli vanno educati.

Educati alla vita, al rispetto, all’amore. Io credo in

queste due parole: padre e madre.

Hai pensato ai tuoi figli quando hai minacciato di

togliere la tutela al padre? Hai pensato a cosa prova-

no loro? A quanto possa influire su di loro il peso di

vivere senza quella figura indispensabile chiamata

papà?”.

Ilaria, evidentemente toccata nel profondo, cerca di

dire qualcosa, ma le lacrime irrompono sul suo viso.

Dopo un abbraccio e qualche minuto di silenzio si

alza e propone di andare a prendere i bambini a

scuola. Decidiamo di saltare la lezione di nuoto e

andiamo tutti insieme al parco. Vedo Ilaria e Tom-

maso seduti su un cavallo con la molla. Insieme. Par-

lano, lei lo abbraccia, sorridono. Mentre gioco con

Davide e Gaia, si avvicinano. Squilla un cellulare, è suo marito. Lei risponde e gli propone di vedersi tra

dieci minuti al parco. Prendo i piccoli e li porto sulla

ruota panoramica. I due genitori si incontrano e non

so esattamente di cosa parlino. Intanto cerco di

spiegare a mio figlio che il papà tornerà più tardi,

esattamente con qualche giorno di ritardo. Lui mi

dice “Papà torna presto mamma, non ti preoccupa-

re! E poi, lui ti ama quindi farà di tutto per rivederti!

E noi…noi siamo la sua famiglia!”. Ora, onestamen-

te, da un bambino di dieci anni puoi aspettarti una

risposta del genere? Aveva capito tutto, più di quan-

to avessi capito io di me stessa. Dopo un abbraccio

di gruppo, scendiamo dalla ruota e torniamo dai ge-

nitori rimasti a terra. Gli occhi di Ilaria avevano un

colore diverso. Stavolta proprio il colore del cielo,

del cielo libero, senza un’ombra di nuvole! Entrambi

prendono i piccoli per mano e tornano a casa. Co-

me una famiglia!

Prendo mio figlio e decidiamo di andare a mangiare

una pizza, non prima di aver chiamato il suo papà.

In pizzeria mi arriva un SMS, sarà Ilaria? No. È mio

marito. Bene, chissà cosa sarà successo ora.

“Torno presto, ci sono comunque! Vite mie, vi

amo!”. Sto per piangere quando arriva un altro SMS.

“Noi non vogliamo rinunciare alla bellezza, alla gioia,

allo stupore del matrimonio. Rompere tutto que-

sto? No, non lo vogliamo! Grazie di cuore!”. Indovi-

na un po’?! Ilaria!

Non so cosa si siano detti i due sposi, ma spero che

questa unione duri per sempre!

Buccione Valeria 3N

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Pag ina 17 La Voce del Gonzaga

In data 4 aprile, noi alunne della classe 4^M Elsa

La Cioppa, Lorenza Santella e Benedetta Trivel-

li, insieme a Matteo Sigismondi, Maria Giulia

Filoso e Maria Antonella Rosa (3^N), ci siamo

recate a Chianciano Terme (SI), accompagnate

dalla nostra professoressa di lettere Simona

D'Angelo. Questo viaggio ci ha permesso di par-

tecipare al Campionato Italiano di Cultura Gene-

rale e di ritirare l'attestato per il nostro Giornali-

no d’Istituto. In realtà, il campionato avrebbe

dovuto essere riservato ai fortunati ragazzi delle

diverse scuole italiane che si sono classificati

primi giocando sul sito Internet del rispettivo

campionato; il bravissimo vincitore della nostra

scuola è stato, appunto, Matteo, classificatosi

con tutte le risposte esatte! Nonostante ciò, i re-

sponsabili dell'associazione, chiamata

“Alboscuole”, hanno dato la possibilità ad altri

ragazzi di prendere parte ad un campionato pa-

rallelo.

Per raggiungere Chianciano, abbiamo preso l'au-

tobus da Chieti Scalo, per poi viaggiare in treno

dalla stazione Roma Tiburtina, dove abbiamo

incontrato un altro gruppo di ragazze provenienti

da Lanciano; dopo qualche ora, siamo finalmen-

te arrivati a destinazione. Il viaggio è stato al-

quanto faticoso, ma non ci siamo di certo an-

noiati tra foto, musica e tante risate! Da non di-

menticare i buonissimi panini alla “mortazza”

preparati dalla prof.!

Al nostro arrivo in albergo, dopo una veloce rin-

frescata, abbiamo raggiunto il PalaMontepaschi,

dove si sarebbero svolte le varie premiazioni. La

prima premiazione era riservata ai giornalini del-

le numerose scuole presenti; e proprio il nostro

giornalino, “La voce del Gonzaga”, si è classifi-

cato tra i migliori giornali cartacei di tutta Italia!

Meritatissimo, l’attestato di riconoscimento con-

segnatoci. Siamo molto fieri del nostro risultato,

dovuto soprattutto al grande contributo dato da

tutti gli alunni e da tutti i docenti nella realizza-

zione del giornalino. La serata si è poi conclusa

tra balli e tanto divertimento. La mattina seguen-

te si sono svolte le gare del campionato. Durante

il pomeriggio abbiamo approfittato del sole per

fare una piacevole passeggiata, ansiosi di sapere

l'esito della gara. La sera ci hanno finalmente

comunicato i risultati finali, che sono ora consul-

tabili nella bacheca della scuola. Ci sembra do-

veroso, però, rendere noto il super risultato della

nostra Benedetta Trivelli: è arrivata decima su

84 concorrenti! Complimenti Benedetta!!!

Dopo canti e balli, siamo tornati in albergo, poi-

ché al mattino seguente ci aspettava il viaggio di

ritorno. E' stato un viaggio piacevole, che diffi-

cilmente riusciremo a dimenticare. Abbiamo

avuto modo di metterci in gioco e di conoscere

persone nuove. Ringraziamo la nostra scuola per

averci dato l'opportunità di intraprendere questa

interessante esperienza; e complimenti di nuovo

a tutti i ragazzi che hanno partecipato!

Elsa La Cioppa, Lorenza Santella

e Benedetta Trivelli 4M

Matteo Sigismondi, Maria Giulia Filoso

e Maria Antonella Rosa 3N

Campionato Italiano di Cultura Generale

Il Gonzaga va a Chianciano Le “eccellenze” della scuola e la premiazione del Giornalino La Voce del Gonzaga

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Pag ina 18 La Voce del Gonzaga

Razza: Americana

Mi presento: mi chiamo Andrea Katherine Ro-binson e ho diciassette anni. Come si può capi-re già dal nome, sono Americana e sono arriva-ta in Italia, senza alcun avvertimento, senza alcun addio, quando avevo sei anni. Pensavo fosse una semplice vacanza ed ero emoziona-tissima: che bella l'Italia, finalmente la visiterò anch'io come fece il mio fratellone!, pensavo. Non sapevo che sarei rimasta per sempre. Non sapevo che Alisha e Jimmy, i miei migliori amici, li avrei lasciati lì, con un semplice "Ci ri-vediamo quando torno, vi racconterò tutto!". Non sapevo che Granma Janet e Grampa Ron non li avrei più rivisti. Il mio cagnone Tommy fu stato dato via e, ov-viamente, io non ne sapevo nulla. Non sapevo che mio padre se ne sarebbe tor-nato in America dopo un mese, che i miei sta-vano separandosi. Avevo solo sei anni, ovvio che non lo sapevo. E il ricordo del giorno in cui il mio papà se ne andò per tornare in America è così vivido. Ri-cordo di quando mi rifiutavo di parlare l'inglese, arrivando al punto di dimenticarlo del tutto, per non sentire così fortemente la mancanza di mio padre e della mia famiglia. Durante tutto questo, per chi sa quale motivo, sorridevo sempre e amavo sempre di più l'Ita-lia. Amavo la gente, i sapori, gli odori, i paesag-gi, la lingua. Ma specialmente, amavo i miei compagni di classe, che mi accolsero come usa fare una famiglia. Non importava se ancora parlavo bene l'italiano, perché riuscivo a farmi capire. Mi riempivano di domande, che a loro volta venivano risposte con diverse domande. Volevano imparare tutto della mia cultura, e io non vedevo l'ora di conoscere l'Italia, di avere confidenza con Lei. Ma poi cominciai a notare una cosa, che acca-deva ogni giorno. Io non ero l'unica straniera in classe. Ricordo ancora il suo nome, ma non come si scrive. Valentina Ma-qualcosa. Questa era una bellissima bimba, dai capelli color cioccolato fondente 89%, la pelle oliva-stra, con gli occhietti da cerbiatta. Veniva dalla Jugoslavia ed era timida, riservata e nessuno aveva voglia d'imparare qualcosa del suo pae-se. Io e lei eravamo amiche, confrontavamo

costantemente le tradizioni che avevamo, era-no così tante che ogni giorno ce ne veniva in mente una, e ci insegnavamo parole a vicenda, come se ci arricchissimo reciprocamente di di-versità. E io amavo questa diversità, ma a quanto pare, gli altri si sceglievano quale acco-gliere. Col passare degli anni mi resi conto che non erano solo loro a voler imparare dell'America e non della Jugoslavia o dell'Albania. Perché, fi-nite le elementari, arrivai alla scuola media, e nella nuova classe erano presenti due ragazzi-ne albanesi, cugine: Kamilla e Sophia. La pri-ma era timida e introversa, come Valentina. La seconda era estroversa e affamata di amicizia, come me. Il suo problema fu che non riusciva a far incuriosire i nostri compagni. Non riusciva a farsi chiedere come si dice "sei uno scemo" in albanese, o come si mangia nel suo paese. Agli altri non interessava. Io ero sempre l'unica a voler sapere queste cose, ed ero sempre l'u-nica a rispondere alle solite domande. Tutto ciò non era giusto: la Jugoslavia e l'Alba-nia erano perfino più interessanti degli Stati Uniti. Ma io ero l'unica ad aver avuto il privilegio di saperlo. E, purtroppo, resterò sempre l'unica ad aver avuto interesse. A volte ripenso a loro, domandandomi se ora, arrivate alle superiori, hanno incontrato perso-ne incuriosite, se ricevono "l'intervista" che, in fondo, da sempre sognavano. Chi sa se sono felici e se ricordano la loro infanzia in Italia con tristezza, se non vedono l'ora di tornare nel loro paese, o se ci sono già tornate. Io non darei loro torto, se così fosse: il razzismo non è più tollerabile, ora persino i bambini ne sono "affetti". Dobbiamo cambiare il modo in cui pensiamo alla identità, a cosa significa davvero essere Italiani. Italiano non è un etnicità, è una cultura, un senso di esperienze condivise e valori co-muni e una lingua che riflette tutto ciò. Proprio come Jugoslavo e Albanese, o Mongolo e Viet-namita.

Robinson Andrea Katherine 3M

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Pag ina 19 La Voce del Gonzaga

Chieti, 8 maggio 2014

Il Liceo Linguistico Gonzaga ospite dell’Ambasciata Britannica

Gli studenti del Liceo Linguistico Gonzaga ospiti dell’ambasciatore Britannico a Villa

Wolksonky a Roma. Grande l’emozione dei ragazzi della 3L coinvolti nel Progetto Read

On promosso dal MIUR in collaborazione con il British Council. Il video da loro realizzato

è stato premiato ed adottato dai promotori dell’iniziativa come spot del progetto e dif-

fuso in tutta Italia. Il Dirigente Scolastico Annunziata G. Orlando, con grande soddisfazio-

ne, aggiunge che per i ragazzi è stata una

grande opportunità poiché hanno potuto

mostrare i loro lavori alla presenza di per-

sone autorevoli del British Council, del

MIUR e del padrone di casa, l’ambasciatore

britannico Mr Prentice. Il progetto premia-

to prevede la lettura di cento audiolibri in

inglese in due anni da parte di ogni alunno

della classe e la realizzazione di produzioni cartacee e digitali per documentare il pro-

cesso di apprendimento linguistico. La classe III L si è distinta per l’originalità dei lavori e

per la padronanza linguistica acquisita, tanto che due studentesse, Alessia Galli e Virginia

D’Alessandro, sono state scelte come testimonial per concludere con un intervento la

manifestazione.

Prof.ssa Annalisa Settimio

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Pag ina 20 La Voce del Gonzaga

Chieti-Bescanò

Bescanò, paesino che fa parte della Catalogna, conta all’incirca 3.309 abitanti. È lì che siamo arrivati dome-

nica 30 marzo alle ore 20:00 dopo essere partiti dall’aeroporto di Pescara alle ore 15:00. Lo scambio cul-

turale, ha reso partecipi di una esperienza indimenticabile, gli alunni meritevoli delle classi 2°A,C,D,E, M e

N dell’ Istituto “ Isabella Gonzaga”, accompagnati dalle prof.sse Marcantonio e Dossena, Siamo stati subito

accolti dalle famiglie e da lì è iniziata la nostra avventura! Il giorno seguente abbiamo fatto dei laboratori

linguistici per conoscerci meglio. Il secondo giorno ci siamo recati nella città di Barcellona e ne abbiamo

ammirato lo splendore. Il mercoledì siamo andati a Girona dove ci siamo divisi in gruppi e abbiamo parte-

cipato ad una caccia al tesoro per conoscere le sue strade e i suoi monumenti. Il giovedì eravamo tristi

per la partenza, ma l’unica cosa che ci ha rincuorati è stata la certezza che a maggio ci saremmo rivisti.

Bescanò-Chieti

Domenica 11 maggio: i nostri amici spagnoli sono arrivati a Chieti intorno alle ore 15. Da lì è iniziata la

loro avventura! Li abbiamo accolti con grande gioia e li abbiamo fatti sentire come se fossero stati a ca-

sa loro, il tutto all’ insegna del “Porque mi casa es tu casa!”

In questi cinque giorni abbiamo visitato Fossacesia, Lanciano, San Vito Chietino. I nostri coetanei hanno

avuto modo di ammirare il centro storico di Chieti, i musei di Villa Frjgeri e della Civitella, la galleria d’ar-

te di Palazzo De Mayo e il Teatro Marrucino. Purtrop-

po il giorno degli addii è arrivato in fretta. Giovedì ci

siamo incontrati nell’atrio della scuola per darci gli ulti-

mi saluti. Tutti eravamo con le lacrime agli occhi …

Dopo vari inconvenienti sono partiti e hanno lasciato

dentro noi dei bellissimi ricordi accompagnati da un

po’ di malinconia.

L’esperienza vissuta è stata fantastica e ci ha dato mo-

do di fare nuove amicizie e di conoscere una nuova

cultura, ben diversa dalla nostra! Manterremo per

sempre questa amicizia perché sappiamo che:

“La distancia separa cuerpos, no corazones!”

Di Marcoberardino Luisa, Ialacci Vittoria,

Rocci Claudia e Varanese Federica 2D

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Pag ina 21 La Voce del Gonzaga

Lo scambio culturale con il liceo linguistico Oscar-Von-Miller di Monaco di Baviera è stata un'esperienza

molto emozionante. Per molti di noi è stata la prima visione di un mondo che avevamo solo studiato sui

libri di scuola e su cui avevamo fantasticato molto,

senza mai davvero sapere come fosse. È stata un'e-

sperienza molto istruttiva, che ci ha fatto capire che

per imparare davvero bene qualcosa, oltre che a

studiarla con tanto impegno, bisogna soprattutto

viverla. È stata la prima volta che noi alunni abbiamo

applicato fattivamente nella vita reale i nostri studi e

ciò ci ha fatto sentire molto soddisfatti perché final-

mente abbiamo visto i risultati del nostro impegno

per lo studio della lingua che nel nostro Liceo è

molto importante, il tedesco. È stata anche un'espe-

rienza che ci ha fatto maturare, perché abbiamo

capito quanto è importante essere propensi all'adattamento in situazioni diverse da quelle della nostra vita

quotidiana. Infatti ci siamo inoltrati in un'altra quotidianità, fatta di tradizioni e modi di vivere diversi dai

nostri, da cui abbiamo colto le differenze non solo linguistiche ma anche culturali tra il nostro Paese e la

Germania. L'avere accanto, durante tutto questo

percorso, un partner è stato molto importante, so-

prattutto perché con loro e senza professori ci sia-

mo sentiti davvero dei ragazzi di Monaco di Baviera.

Abbiamo visitato i luoghi più importanti e più belli

della città, ci siamo divertiti veramente tanto e sono

nate delle bellissime amicizie vere che hanno dimo-

strato che non è assolutamente la differenza lingui-

stica che divide, anzi questa è stato proprio il moto-

re che ci ha spinto a comunicare con loro per am-

pliare le nostre conoscenze e le loro. Lo scambio

culturale è un'esperienza che tutti coloro che stu-

diano una lingua dovrebbero fare, sia perché è un

incentivo nello studio di quella lingua e sia perché ti

fa davvero capire cosa stai studiando e in che mondo ti ritroverai finiti gli studi. Un'esperienza piena di

novità, conoscenze, amicizia e divertimento, che noi abbiamo amato e che sicuramente vogliamo rifare.

Classe 2L

Scambio linguistico a Monaco

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Pag ina 22 La Voce del Gonzaga

Il Prof. Philipp Volk ringrazia il Gonzaga

Austausch München – Chieti; Folge 2

Als 22 Schüler des Istituto Isabella Gonzaga in Chieti am 20. März 2014 in München eintrafen, kam

es allen fast so vor, als würde man sich schon eine halbe Ewigkeit kennen, obwohl die Schüler des Oskar-

von-Miller-Gymnasiums erst wenige Wochen vorher den Kontakt aufgenommen hatten. Die Partner wa-

ren von den Lehrern zugewiesen worden, was aber so gut wie keine größeren Probleme verursachte.

Die modernen Kommunikationsmedien waren jedenfalls schon optimal genützt worden.

Für die Deutschen war schon der Besuch der Italiener in München ein tolles Erlebnis, das große

Highlight sollte aber für uns der bevorstehende Besuch in den Abruzzen werden, dem alle nach der Ab-

fahrt der italienischen Gruppe aus München sehr ungeduldig entgegenfieberten.

Unsere Reise nach Italien vom 30. April bis 8. Mai 2014 war nach meiner Einschätzung ein grandio-

ser Erfolg. Es herrschte eine wunderbar freundschaftliche Atmosphäre und das Programm war in der be-

währten Weise von der sympathischen und engagierten Kollegin Frau Angela Natale zur vollsten Zufrie-

denheit von allen Beteiligten organisiert worden. Auch das Wetter, das vielleicht ein wenig kühler als er-

wartet war, konnte die Stimmung nicht stören und

schon gar nicht die Deutschen davon abhalten, sich bei

nur mäßig warmen Temperaturen in die Fluten der

Adria zu stürzen. Mir persönlich – wie sicher auch den

meisten Italienern – wäre das jedoch zu kalt gewesen!

Am Anfang war die Kommunikation im abruzzesischen

Alltag für manche doch eine gewisse Herausforderung,

und man bediente sich aller zur Verfügung stehenden

Sprachen, Italienisch, Deutsch und auch Englisch. Nach

einer gewissen Gewöhnungsphase gelang es aber dann

doch den meisten Schülern, ordentlich auf Italienisch

zu kommunizieren, was den Lehrer der Deutschen

natürlich sehr erfreute.

Insgesamt scheint es ein durchaus erfolgreiches Modell

zu sein, die Jugendlichen aus der deutschen Großstadt in die mittelitalienische „Provinz“ zu schicken. Bei-

de Seiten erfahren so nicht nur die grundsätzlichen kulturellen Unterschiede zwischen Deutschland und Italien, sondern erleben auch den Kontrast Großstadt – Kleinstadt, was durchaus interessant ist. Und es

ist aus meiner Sicht auch gerade gut, sich in diese vom Massentourismus noch wenig beeinflusste Gegend

zu begeben, da man so die Erfahrung einer authentischen italienischen Umgebung machen kann, was na-

türlich die unschlagbare italienische Gastfreundschaft mit einschließt. Jetzt wissen alle deutschen Teilneh-

mer des Austausches ganz genau, was ein trabocco ist, wie arrosticini schmecken und wo sich die Maiella

befindet.

Nach diesen ersten beiden erfolgreichen Jahren des Austausches kann man nur hoffen, dass unsere

Schulpartnerschaft noch möglichst lange bestehen bleiben möge, damit beide Seiten davon profitieren

können.

Schlussendlich geht mein ganz herzlicher Dank an alle in Italien und Deutschland, die dazu beigetra-

gen haben, diesen Austausch zu einem so großen Erfolg zu machen; an die beiden Schulleiter, die Schüler

und natürlich auch die überaus freundlichen Kollegen in Chieti. Last but not least verdienen aber auch

alle beteiligten Eltern - in Italien und Deutschland - Dank und Anerkennung. Nur durch ihre Bereitschaft

und Flexibilität kann eine solche Veranstaltung überhaupt zu einer so positiven Erfahrung für alle werden.

Der diesjährige Austausch war aus meiner Sicht absolut ideale Werbung für eine weitere, eventuell

vertiefte Zusammenarbeit zwischen dem „Oskar“ und dem Istituto Gonzaga.

Viva l’amicizia tra Monaco di Baviera e Chieti – e alla prossima!

Philipp Volk (responsabile per l’italiano all’Oskar-von-Miller-Gymnasium, Monaco di Baviera)

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Pag ina 23 La Voce del Gonzaga

Traduzione a cura del gruppo di tedesco della classe 3N

Scambio culturale Monaco-Chieti

Quando i 22 studenti dell’Istituto Isabella Gonzaga di Chieti sono arrivati a Monaco il 20 marzo

2014,sembrava che si conoscessero da un’eternità, sebbene gli studenti dell’Oskar-von-Miller-

Gymnasium avessero preso i contatti soltanto

qualche settimana prima. I partner erano stati asse-

gnati dai professori, cosa che però non ha causato

grandi problemi. I moderni mezzi di comunicazione

erano stati tuttavia sfruttati al meglio. Per i tede-

schi la visita degli italiani a Monaco era già stata una

bella esperienza, anche se il momento forte sareb-

be stato l’imminente viaggio in Abruzzo, atteso

con impazienza dopo la partenza del gruppo italia-

no da Monaco. Il nostro viaggio in Italia dal 30 apri-

le all’8 maggio è stato, a mio avviso, un grande suc-

cesso. Regnava una fantastica atmosfera di amicizia

e il programma –come di consueto ben collaudato

- è stato organizzato dalla simpatica e impegnata

collega, professoressa Angela Natale, con grande

soddisfazione di tutti i partecipanti. Anche il tempo, un po’ meno caldo di quanto ci si aspettava, non è

riuscito a rovinare l’atmosfera e non ha impedito affatto ai tedeschi di tuffarsi nelle onde dell’Adriatico

nonostante le temperature moderatamente calde (per me, come anche per la maggior parte degli italia-

ni, sarebbe stato comunque troppo freddo.)

All’inizio la comunicazione nella vita quotidiana abruzzese è stata per alcuni una vera e propria sfida con il

ricorso a tutte le lingue a disposizione, italiano, tedesco ed anche inglese. Dopo una fase di adattamento

molti sono riusciti a comunicare in modo ordinato in italiano, cosa che ai professori tedeschi ha fatto

gran piacere.

Complessivamente appare senz’altro un gran successo mandare dei ragazzi di una grande città tedesca,

come Monaco, in una provincia dell’Italia centrale, come Chieti. Entrambi i gruppi dei ragazzi vengono a

conoscenza non solo delle basilari differenze tra la cultura tedesca e quella italiana, ma vivono anche il contrasto tra una grande ed una piccola, il che è senz’altro molto interessante. A mio avviso, è anche

molto positivo che ci si rechi in una regione che poco conosce il turismo di massa, poiché si può fare

un’autentica esperienza dell’ambiente italiano, il che naturalmente include l’insuperabile ospitalità italiana.

Adesso tutti i ragazzi tedeschi che hanno preso parte allo scambio sanno benissimo cosa sia un trabocco,

quanto siano buoni gli arrosticini e dove si trovi la Maiella.

Dopo questi primi due anni di successo dello scambio, si può solo sperare che il nostro gemellaggio pos-

sa durare il più a lungo possibile, affinché tutti i gruppi possano trarre profitto da questa esperienza.

E per finire, il mio più sentito ringraziamento va a tutti gli italiani e a tutti i tedeschi che ci hanno permes-

so di fare questo scambio di così grande successo; ad entrambi i Dirigenti Scolastici, agli studenti e natu-

ralmente ai colleghi estremamente cordiali di Chieti. Ultimo ma non per importanza, meritano un parti-

colare ringraziamento e riconoscimento anche tutti i genitori coinvolti in Italia e in Germania. Solo at-

traverso la loro disponibilità e la loro flessibilità, un tale evento può diventare un’esperienza così positiva

per tutti.

Lo scambio di quest’anno è stato una pubblicità ideale per un’ulteriore più approfondita collaborazione

tra l’Oskar-von-Miller Gymnasium e l’Istituto Gonzaga.

Viva l’amicizia tra Monaco di Baviera e Chieti – e alla prossima.

Philipp Volk (responsabile per l’italiano all’Oskar-von-Miller-Gymnasium, Monaco di Baviera)

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GLI STUDENTI DEL LICEO LINGUISTICO GONZAGA E LA LORO ESPERIENZA IN COSTA AZZURRA

7 GIORNI TRA PROFUMI E COLORI DELLA PROVENZA CANNES, NIZZA, MARSIGLIA, ANTIBES E IL PRINCIPATO DI MONACO: QUESTE LE TAPPE PIU’ IMPORTANTI DELLO STAGE LINGUISTICO DEL GONZAGA

“Entusiasmante, divertente, formativa, ma troppo

breve…”: così definiamo la nostra esperienza estera

nella regione PACA, nel sud della Francia.

La sera del 16 febbraio 2014 siamo “sbarcati” in

questa terra dove regna sovrano l’immenso mare

blu. L’accoglienza e la gentilezza delle famiglie delle

quali siamo stati “figli” per una settimana, sono state

certamente due protagoniste della nostra perma-

nenza, nonché fattori contribuenti a rendere piace-

vole ed irripetibile il nostro viaggio.

Le giornate erano scandite in due momenti. La mat-

tina, dedicata allo studio, la trascorrevamo presso il

liceo internazionale “Pierre Overall”, che permette

agli studenti desiderosi di perfezionare il loro fran-

cese, di seguire lezioni tenute da professori madre-

lingua. Quest’ultime, basate sulla conversazione,

erano incentrate su tematiche diverse sulle quali

abbiamo discusso e espresso le nostre opinioni.

Il pomeriggio era interamente dedicato alla scoperta

della Costa Azzurra, dei suoi magnifici paesaggi e del

suo meraviglioso mare; accompagnati dalla nostra

prof.ssa di francese Rita Morelli, dalla lettrice Sylvie

Lecomte e dal dirigente d’Istituto prof.ssa Annunzia-

ta G. Orlando.

Cannes è stata la nostra prima meta, con il suo bel-

lissimo lungomare e il suo celeberrimo “Palais du

Festival”, al quale, nel mese di maggio accorrono

attori e attrici da tutto il mondo come in passato

fecero Sophia Loren, Angelina Jolie e Silvester Stal-

lone. A seguire Nizza con le sue vie affollate e piene

di colori grazie al carnevale, a tema gastronomico,

che dal 14 febbraio al 5 marzo ha rallegrato l’intera

città, snodandosi tra sfilate di carri e battaglie di fio-

ri. Infatti in Francia vi è una notevole produzione di

fiori, che la città di Grasse, sede della più antica

profumeria d’Europa, “Fragonard”, sfrutta sapiente-

mente per produrre profumi e saponi. Poi ancora

Marsiglia con i suoi antichi palazzi e la cattedrale di

“Notre Dame de la Garde” che dalla sommità di

una collina protegge tutta la città. Antibes rinomata

per essere stata per molti anni la casa di Pablo Pi-

casso, e che proprio per questo ospita diverse sue

opere. Ed infine Saint Paul De Vence, borgo medie-

vale, in cui la pietra grigia delle case si alterna a va-

riopinte gallerie d’arte.

L’esperienza, valida e formativa sia dal punto di vista culturale che educativo, è stata all’altezza delle no-

stre aspettative. Essa ha fortificato le nostre cono-

scenze linguistiche in francese, certificate tramite un

attestato di partecipazione. E’ importante ricordare

che lo stage è stato accessibile a tutti grazie alla re-

ferente prof.ssa Morelli che con prezzi abbordabili è

riuscita ad organizzare e pianificare il soggiorno con

un ottimo rapporto qualità prezzo.

Abbiamo lasciato a malincuore l’incantevole terra

francese, il suo mare, le sue distese di lavanda e fo-

reste di mimose portandoci nel cuore un ottimo

ricordo dell’esperienza e della meravigliosa acco-

glienza.

Classe 3L

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Pag ina 25 La Voce del Gonzaga

NEL CASTELLO DELLA GRANCONTESSA

In un periodo storico dominato dall’accesa lotta per le investiture, spicca la figura di Matilde di Canossa,

arbitra nel continuo scontro tra papato e impero.

In seguito al ‘’Dictatus papae’’ di Gregorio VII, Enrico IV lo depone e lo stesso papa lancia poco dopo la

scomunica a al sovrano. Qui è determinante il ruolo del castello di Canossa, residenza di Matilde, fuori

dal quale nel Gennaio del 1077 Enrico IV rimase per tre gior-

ni e tre notti per chiedere la revoca della scomunica al papa.

Proprio per questo episodio il castello divenne famoso in

tutto il mondo e da qui nacque anche l’espressione idiomati-

ca ‘’andare a chiedere perdono a Canossa”. Noi alunni

delle classi 4c, 3C, 3D, 3E abbiamo avuto il piacere di visitare

il castello in questione. Esso sorge sostanzialmente isolato su

un’ampia distesa di colli, delimitata da una parte da un insie-

me di caratteristici calanchi che lo rendono un ambiente par-

ticolarmente evocativo, soprattutto se si pensa al trascorso

del luogo. Essendo posizionato, appunto, in una zona elevata

dell’appennino Reggiano, affinché fosse possibile scorgere da

lontano eventuali nemici, abbiamo affrontato una dura cam-

minata in salita per raggiungerlo: tra flora, fauna e paesaggi mozzafiato, siamo finalmente giunti di fronte a

quella che un tempo era l’entrata. Qui abbiamo incontrato una guida molto competente (che poi abbia-

mo scoperto essere di Chieti) che ci ha narrato, in maniera molto sentita, tutti gli avvenimenti più im-

portanti che ebbero come protagonisti Matilde e la sua reggia. Dopo aver apprezzato i cenni storici, sia-

mo entrati nella residenza vera e propria, nella quale abbiamo osservato il plastico dell’originaria tenuta

di Canossa, un reperto di una fonte battesimale di

origine Romanica e i vari arazzi della famiglia. Con-

clusa la visita e dopo un’ultima veloce occhiata al

panorama complessivo, siamo tornati sull’autobus e

abbiamo argomentato sui vari spunti offerti dalla

visita guidata. Siamo tutti rimasti affascinati dalla fi-

gura della contessa, essendo quest’ultima riuscita a

spiccare tra le due figure maschili del papa e dell’im-

peratore, che nel medioevo rappresentavano i punti

di riferimento per tutta la popolazione. E’ interes-

sante sapere come una donna sia stata capace, con

le sue sole forze, di diventare così influente e famosa in tutto il mondo. Non per nulla, la sua storia vie-

ne tutt’oggi studiata da noi alunni e in particolare da noi ragazze che vediamo in Matilde (come in altre

tante donne della storia) un punto di riferimento.

Danese Alessia Sammartino Vanessa 4C

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Visita alla

“Casa Mater Populi Teatini – Caritas Diocesana Chieti Vasto”

In questo anno scolastico, sulla base dei progetti inerenti l’ intercultura e la diversità, gli alunni delle

classi 3 sez A e 4 sez A, sono stati in visita nei centri di accoglienza per stranieri e per le persone in

difficoltà della città. Il giorno 31 gennaio accompagnati dai docenti prof.ssa Marulli e prof.ssa Di Cecco

ci siamo recati prima in “Curia” dove siamo stati accolti dal nostro Vescovo Padre Bruno, da Don Enri-

co responsabile della Caritas e dal sig. Olivieri responsabile della casa di accoglienza. La visita comin-

cia con la visione di un video molto interessante che spiegava la storia dell’immigrazione dagli inizi degli

anni 90’ ad oggi. Le statistiche sono aumentate negli ultimi anni, se agli inizi del 90’ si contavano circa

un milione di immigrati, oggi se ne contano più di 5 milioni. Le cause dell’immigrazione sono varie, dalle

persecuzioni, alle disagiate condizioni eco-

nomiche e politiche, alle violazioni dei dirit-

ti umani. Abbiamo riflettuto anche sul fatto

che molti di loro, non sono mai arrivati

perché dispersi nel Mar Mediterraneo. In-

fatti le cifre dei morti per emigrazione

sono drammatiche, centinaia di persone

muoiono perché affondati con le loro car-

rette o ammassati senz’aria nei Tir che

arrivano dall’Est dell’Europa. Il problema

dell’immigrazione in Italia è molto sentito e

solo uno sforzo unitario che coinvolge tutti

potrà essere in grado di migliorare questa

condizione per un futuro migliore. Bisogna accettare e convivere con tutte le differenze e questo rap-

presenta non un limite, bensì la vera ricchezza del nostro paese. La visita è continuata al “Centro di

Ascolto “ della Caritas dove alcuni volontari insieme a psicologhe ci hanno spiegato il loro compito

cioè quello di ascoltare i bisogni di chi si rivolge a loro. Spesso si ha paura di quello che non si cono-

sce, ma la storia ci suggerisce che il migliore antidoto alla paura è la conoscenza, l’incontro e il dialogo

con l’altro. Infine siamo arrivati alla “Casa Mater Populi Teatini” luogo di accoglienza per chi non ha

più una casa per motivi economici o sociali e non ha più un lavoro. Questa struttura accoglie anche

alcune persone che, usciti dal carcere, non sanno dove andare. Il tempo di accoglienza è di un mese e

la casa collabora in sinergia anche con i servizi sociali territoriali. Dopo questa visita, noi ragazzi ci sia-

mo resi conto che la nostra società è indifferente alle diversità, forse perché non conosce i veri proble-

mi di chi ci vive accanto, oltre ad essere incapaci di riconoscere i fondamentali valori e diritti umani.

Non esiste politica di immigrazione senza cultura dell’immigrazione e quindi del pluralismo e della com-

plessità multiculturale.

Di Renzo Sara e Sigismondi Lorenza 3A

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“Un nido, una scuola, luoghi speciali, in cui gli esseri umani sono invitati a crescere nella mente,

nella sensibilità e nell’appartenenza ad una comunità più ampia”

Jerome Bruner

LO STUPORE DEL CONOSCERE

Ogni anno Bruner si reca al centro internazionale Loris Malaguzzi di Reggio Emilia e lascia

una riflessione ai docenti, ai bambini, al mondo sociale e politico. Il 15 aprile noi alunni

delle classi 3C,3E,3D e 4C, abbiamo visitato il centro Reggio Children. Siamo stati accolti

da pedagogisti e psicologi che ci

hanno illustrato le motivazioni

teoriche che guidano le attività di

queste scuole. Non c’è stato diffi-

cile collegare quanto ascoltato, al

nostro percorso di studi. Successi-

vamente, abbiamo avuto la possibi-

lità di osservare tutte le attività

didattiche che si svolgono nelle

scuole comunali della città: abbia-

mo “vissuto” in prima persona i

laboratori sulla luce, sul suono e sul riciclo. Avevamo effettuato già una stage a Novembre

nelle scuole dell’infanzia della nostra città; abbiamo potuto constatare le differenze strut-

turali, ma soprattutto metodologiche fra le due scuole… Per molti di noi queste espe-

rienze hanno sollecitato ed aumentato la passione verso il mondo dell’infanzia.

Classe 3D

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Classe 3E

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Ammirate nel cielo

Le stelle che risplendono

Per voi , per Noi.

Questo è il momento

di viver d’Amore

per l’eterno andare

degli scompigliati astri

nel caotico frastuono

dell’insensata vita.

Seguite con gli occhi

Il buio dei sensi

E l’incertezza del cammino.

Voi guidate

Il vostro cuore

In taluni cunicoli

E tra l’oscuro

Lo perdete.

Non ascoltate

Le sue urla.

La puzza

Del suo cadavere

Ancora si sente.

Ingrati sporchi luridi,

vigliacchi innamorati,

luridi scampati

alla fine tragica

che l’amore ha promesso.

Leonardo Scogna 5M

(T)ERRORE

Il bambino

è fatto di cento.

Il bambino ha

cento lingue

cento mani

cento pensieri

cento modi di pensare

di giocare e di parlare

cento sempre cento

modi di ascoltare

di stupire di amare

cento allegrie

per cantare e capire

cento mondi

da scoprire

cento mondi

da inventare

cento mondi

da sognare.

Il bambino ha

cento lingue

(e poi cento cento cento)

ma gliene rubano novantanove.

Gli dicono:

di pensare senza mani

di fare senza testa

di ascoltare e di non parlare

di capire senza allegrie

di amare e di stupirsi

solo a Pasqua e a Natale.

Gli dicono:

di scoprire il mondo che già c’è

e di cento

gliene rubano novantanove.

Gli dicono:

che il gioco e il lavoro

la realtà e la fantasia

la scienza e l’immaginazione

il cielo e la terra

la ragione e il sogno

sono cose

che non stanno insieme.

Gli dicono insomma

che il cento non c’è.

Il bambino dice:

invece il cento c’è.

Loris Malaguzzi Fondatore del Centro

Internazionale “Regio Children”

Invece il cento c’è

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Ciao piccolo angelo, ci sembra strano parlarti attraverso queste righe e non averti vista entrare in classe questa mattina, sorridente come al solito… con i tuoi occhi azzurri come il cielo: li ricordiamo ancora, il primo giorno di scuola, pieni di lacrime. Forse eri spaventata o forse troppo emozionata, ma di certo desidero-sa di tornare a vivere tra i banchi di scuola. Ed è proprio lì che ci hai dato l’opportunità di scoprire la tua grande forza, spesso celata dal-la tua riservatezza e dalla tua debolezza. Perdonaci per non aver capito prima l’enorme sforzo che ogni giorno compivi per coltivare la tua grande passione: lo studio. Perdonaci per non esserti state abbastanza vi-cine, per non averti aiutata a superare – anche in minima parte – il grande ostacolo che ti ha portata via. Ci tornano in mente le tue battute durante le lezioni, che sdrammatizzavano le cinque ore di scuola… quando eri l’unica ad avere il corag-gio di rimproverare i professori perché spiega-vano troppo velocemente, e tu non volevi per-dere neanche una loro parola. Ricordiamo quando entravi in classe, tutta imbacuccata, col cappello di lana, gli occhiali da sole e la tua inconfondibile tracolla rosa. Come sempre, sedevi sulla morbida sedia che, con tanto amore, il personale della scuola ti aveva pro-curato per farti stare comoda, in quel banco vicino al termosifone che rimarrà per sempre tuo. Sei rimasta un esempio per tutte noi, di forza, costanza e impegno, ma soprat-tutto non dimenticheremo l’amore che mettevi in tutto ciò che facevi. Ci hai lasciato un grande insegnamento: affrontare la vita come se fosse una gara, con la voglia di vincere. Noi la vinceremo per te, consapevoli del fatto che, lassù, questa gara l’hai già vinta. Ti vogliamo bene, e te ne vorremo per sempre.

Le tue compagne e amiche

della classe 4 D

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I RINGRAZIAMENTI DELLA REDAZIONE

E’ doveroso ringraziare tutti gli studenti e i docenti che, nel corso di questo anno scolastico, hanno contribuito alla realiz-zazione del nostro giornalino d’Istituto. Ogni articolo è stato scritto con grande passione, impegno e senso di responsabili-tà. Sicuramente la strada per raggiungere la perfezione è an-cora lunga e tortuosa, ma il coraggio e la caparbietà non mancano affatto.

Crediamo fermamente di possedere gli ingredienti giusti, poi-ché…

…“un’idea mediocre, ma capace di generare entusia-smo, farà più strada di una grande idea incapace di generare emozioni “

Mary Kay Ash

Responsabile Grafica

Prof.ssa Lorella Frastornini

Direttore Responsabile

Prof.ssa Simona D’Angelo