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1 Ascoltare la Parola di Dio RIVESTIAMOCI DEL SIGNORE CHE VIENE! I Domenica di Avvento 1 Dicembre 2013 «Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà» «La notte è avanzata, il giorno è vicino» (Rm 13,12) Commenti al Vangelo Ancora attesa? Adesso basta, Signore! Siamo stanchi di attendere, Signore. Ogni anno la stessa storia: «Alzate il vostro capo e contemplate: la vostra liberazione è vicina». Eppure anche l’anno che è appena passato sembra essere stato in piena regola con quello che l’ha preceduto (non oso ancora dire “con quello che lo seguirà”). Il Magnificat di tua Madre è ancora lì, promessa tutta ancora da realizzare: i potenti sono saldi sui loro troni e gli umili marciscono nelle loro catapecchie di cartone bagnato, i ricchi hanno ancora le mani piene mentre gli affamati sono a corto di speranza, Israele è ancora una terra/non terra mentre i suoi nemici non cessano di

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Ascoltare la Parola di Dio

RIVESTIAMOCI DEL SIGNORE CHE VIENE!

I Domenica di Avvento

1 Dicembre 2013

«Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà»

«La notte è avanzata, il giorno è vicino» (Rm 13,12)

Commenti al Vangelo

Ancora attesa? Adesso basta, Signore! Siamo stanchi di attendere, Signore. Ogni anno la stessa storia: «Alzate il vostro capo e contemplate: la vostra liberazione è vicina». Eppure anche l’anno che è appena passato sembra essere stato in piena regola con quello che l’ha preceduto (non oso ancora dire “con quello che lo seguirà”). Il Magnificat di tua Madre è ancora lì, promessa tutta ancora da realizzare: i potenti sono saldi sui loro troni e gli umili marciscono nelle loro catapecchie di cartone bagnato, i ricchi hanno ancora le mani piene mentre gli affamati sono a corto di speranza, Israele è ancora una terra/non terra mentre i suoi nemici non cessano di

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esultare. Verrebbe da chiederLe: «Dove hai visto quel film, Maria?». Sono millenni che gli uomini e le donne di periferia invocano da Te un aiuto: le loro gole sono rinsecchite, i loro occhi sono gonfi nel perpetuo sforzo di vederTi, la loro schiena si è incurvata a furia di stare con i sandali ai piedi e la cintura ai fianchi. Sono sprofondati dentro gli abissi del mare, inghiottiti nel letto di fiumi furiosi, raggrinziti sulle coste della disperazione. Li hanno trovati morti abbracciati: morti come sono nati, tenendosi per mano per la paura della solitudine del vivere e del morire. Eppure era gente che in Te stavolta credeva per davvero: «Sarà la volta buona» si confidarono l’un l’altro sulla soglia di casa appena l’Avvento scorso. Invece oggi sono ancor lì, sulla stessa soglia, a constatare che nulla è ancora cambiato, che tutto è come prima: tremendamente insopportabile. Quaggiù ogni Avvento che passa sembra quasi una speranza in meno invece che una certezza in più. E tante domande cucite addosso: credo, non credo, perché dovrei credere? Verrebbe voglia di arrendersi anche stavolta. È ormai troppa la gente che bussa alla porta per chiederti sempre la stessa identica cosa: «Perché continuare a sperare? Perché continuare ad (af)fidarci (a)di Te, Maestro?» – eccola puntuale la bestemmia/invocazione più buffa –. Domanda curiosa, umana, strafottente eppure confidenziale, quasi di figliolanza estrema. Perché c’è un sospetto che ancora ci pungola, l’ultimo forse rimasto: poi avremmo piena ragione noi. Il sospetto di quelle tre parole incastonate nel Vangelo di questa domenica: «Non si accorsero di nulla». Che è come rinfacciare all’uomo la sua distrazione, come ai tempi di Noè, cioè nella notte dei tempi. Distratti da mille informazioni sbagliate (da un’informazione che non tiene in forma), dall’ansia di svelare i tempi di Dio, dall’angoscia di una festa che tarda ad arrivare, dalla mestizia di una promessa difficile da aspettare ancora per un solo attimo. Distratti quando la Promessa ci è passata così vicino da lambire il nostro sguardo che stava puntando altrove. Perché Dio è l’altrove che non t’aspetti: sempre un passo oltre, sempre un lineamento diverso, sempre un Mistero ineffabile da contemplarsi. Per distrazione ci si complica la vita: l’amante rischia di perdere l’amato, il viaggiatore rischia di perdere il treno, il poeta rischia di perdere l’ispirazione. Basta poco e “non si accorsero” di quel volto, di quell’incontro, di quella storia. Di quella sorpresa. Eppure Dio era lì, nascosto per accendere la curiosità, apparentemente lontano per ingelosire il cuore, volutamente diverso per disabituare l’uomo al “già visto”. Maria camminava verso la casa di Elisabetta e Cristo era già nel grembo: nessuno s’accorse, eppure al suo passaggio lambiva i passi di mille altri viandanti. Verso Betlemme quella notte bastava spostare un mantello, un asino, un nonnulla e ci sarebbe stato posto per loro. Invece nessuno s’accorse che assieme a quei due – Giuseppe e Maria – c’era anche Cristo nascente. I Vangeli sono lì apposta per tramandare i disastri della distrazione: “non si accorsero”. Eppure Lui c’era, dentro la ferialità meno sospettata, dentro la storia più insopportabile, dentro il mesto vivere dell’uomo comune. C’era/c’è ma non si accorsero. C’erano occhi distratti quel giorno. Oggi sono i miei occhi ad essere distratti: troppi piccoli dettagli mi sfuggono. Sono i piccoli dettagli che ospitano Dio: mi sfuggono e me Lo rubano, non vedo più Lui. «Uno scultore una volta creò una bellissima statua di legno, che venne apprezzata moltissimo da tutti quale autentica opera d’arte. Anche il suo sovrano, il principe Li, era colmo di ammirazione e gli chiese il segreto della sua arte. Lo scultore rispose: “come potrei io, uomo semplice e vostro servitore, avere un segreto per voi? Non ho alcun segreto né la mia arte è speciale. Intendo tuttavia raccontare com’è nata la mia opera. Dopo essermi prefisso di creare una statua, mi sono accorto che in me c’erano troppa vanità e orgoglio. Mi sono quindi adoperato due interi giorni per liberarmi da questi peccati, finché non ho creduto di essere puro. Ma a quel punto ho capito di essere spinto dall’invidia nei confronti di un collega; per altri due giorni mi sono prodigato e alla fine ho sconfitto la mia invidia. In seguito ho scoperto di desiderare troppo la vostra lode. Far sparire questo desiderio mi è costato un altro paio di giorni. Infine mi sono accorto di pensare a quanto denaro avrei potuto ricevere per la statua. Questa volta ho avuto bisogno di quattro giorni, ma da ultimo mi sono sentito libero e forte. Sono quindi andato nel bosco e quando ho visto un abete che mi è parso adatto, l’ho abbattuto, l’ho portato a casa e mi sono messo al lavoro».

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(Etty Hillesum, Diario, Adelphi, Milano 2012, p. 40) La vecchia catechista oggi riscalderà la solita minestra, con il fornellino del parroco: «Cos’è l’Avvento bambini? Quattro settimane di agitazione per attendere il Bambinello che sta arrivando» (non si sa se col Freccia Rossa, per posta prioritaria o con l’asino di zio Tanuccio, ndr). […] Ricorda ai tuoi bambini anche il contrario: che anche Dio vive l’avvento. Sono migliaia di anni – dal primo Avvento della Creazione – che sta aspettando che l’uomo si decida di ritornare a Lui: anche Dio attende. Peccato che ci sia sempre qualcosa/qualcuno che ci distrae. (a cura di don Marco Pozza)

Fonte: http://www.qumran2.net Come Noè Di già? Riparte l’avvento, l’anno liturgico nuovo, il percorso verso il Natale. Ciò significa che fra un mese saremo di nuovo a tavola ad aprire i doni e a farci gli auguri. Almeno chi ha qualcuno con cui sedersi e quattro soldi per comprare un regalo. E ci guardiamo intorno, spaesati, come chi, dopo una lunga notte di battaglia, vede il bagliore dell’aurora a oriente. Siamo troppo stanchi per gioire. Troppe ferite da curare. Troppa emorragia di speranza per prendere sul serio i poco convinti inviti alla gioia che cominciamo a vedere in televisione. Arriva Natale, certo, e noi qui in mezzo al campo di battaglia. Intenti a cercare il fine, non a invocare la fine. Abbiamo assoluto bisogno di fermarci, almeno qualche minuto, di guardare dove stiamo andando, di trovare un filo a cui appendere, come dei panni, tutte le nostre vicende. Oggi inizia l’avvento: ne avevo bisogno, sinceramente. Anelito

Sono quattro settimane che ci preparano al Natale, un’arca si salvezza che ci viene data per ritagliarci uno spazio di consapevolezza. Un mese per preparare una culla per Dio, fosse anche in una stalla. Non siamo qui a far finta che poi Gesù nasce: è già nato nella storia, tornerà nella gloria. Ma ora chiede di nascere in me. Qui, ora, oggi. In mezzo alla crisi di un mondo in disfacimento, in mezzo ai mille casini che devo quotidianamente affrontare, strappando con i denti un tempo per vivere sul serio. Io voglio prepararmi, ho bisogno di capire come posso trovare il Dio diventato accessibile, fatto volto, divenuto incontrabile. Voglio poterlo vedere questo Dio consegnato, arreso, palese, nascosto in mezzo agli sguardi e ai volti di tanti neonati. Sono poche quattro settimane, lo so. Ma voglio provarci ancora. Perché possiamo celebrare cento natali senza che mai una volta Dio nasca nei nostri cuori. Come dice splendidamente Bonhoeffer: «Nessuno possiede Dio in modo tale da non doverlo più attendere. Eppure non può attendere Dio chi non sapesse che Dio ha già atteso lungamente lui». Uno preso, uno lasciato

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Iniziamo a leggere Matteo, da oggi. Il pubblicano divenuto discepolo, colui che si è fatto bene i conti in tasca, ci accompagna e ci incoraggia sull’impervia strada della conversione. Il brano del Vangelo è faticoso e ostico e rischia di essere letto in chiave grottesca. Gesù, al solito, è straordinario: cita gli eventi simbolici di Noè, dice che intorno a lui c’era un sacco di brava gente che venne travolta dal diluvio senza neppure accorgersene. Perciò ci invita a vegliare, a stare desti, proprio come fa Paolo scrivendo ai Romani. E Gesù avverte: uno è preso, l’altro lasciato. Uno incontra Dio, l’altro no. Uno è riempito, l’altro non si fa trovare. Dio è discreto, modesto, quasi timido, non impone la sua presenza, come la brezza della sera è la sua venuta. A noi è chiesto di spalancare il cuore, di aprire gli occhi, di lasciar emergere il desiderio. Come? Non lo so, amici. Io cerco di farlo ritagliandomi uno spazio quotidiano alla preghiera, per meditare la Parola. Alcuni tra voi riescono a prendersi una domenica pomeriggio per fare un paio d’ore di silenzio e di preghiera, altri fanno una piccola deviazione andando al lavoro per entrare in una chiesa. Se vissuti bene, aiutano anche i simboli del Natale cristiano: preparare un presepe, addobbare un albero, partecipare alla novena. Facciamo qualcosa, una piccola cosa, per chiederci se Cristo è nato in noi, per non lasciarci travolgere dal diluvio di parole e cose che ognuno vive. Ma, ad aggravare la nostra situazione, non dobbiamo solo combattere contro la dimenticanza. Ci tocca pure combattere contro il finto natale. Vendesi

Non capisco perché una festa splendida, la festa che celebra la notizia dell’inaudito di Dio che irrompe nel mondo, sia stata travolta dalla melassa del buonismo natalizio. È un dramma, il Natale, è la storia di un Dio presente e di un uomo assente. Non c’è proprio nulla da festeggiare, non abbiamo fatto una gran bella figura, la prima volta. Natale è un pugno nello stomaco, una provocazione, un evento che obbliga a schierarsi. Natale è l’arrendevolezza di Dio che ci obbliga a conversione. Quindi: viva i regali, viva la festa. Ma che sia autentico ciò che facciamo, che sia presente il festeggiato, Dio, alle nostre ipercaloriche cene, che i bimbi capiscano che è il suo compleanno, e a noi fanno i regali. Svendesi

In questi anni ho visto con sgomento che il Natale, per i poveri veri, per chi ha subito un abbandono, un trauma, un lutto, è diventato una festa odiosa e insostenibile. Di fronte alle immagini stereotipate della famiglia felice intorno all’albero e armonia e canti di angeli che ci propinano i media, chi, invece, vive affettività fragili e solitudini, è travolto da un insostenibile dolore. E questo mi fa impazzire di rabbia. Il Dio dei poveri, il Dio che viene per i pastori, emarginati del tempo, il Dio che non nasce nel Tempio di Gerusalemme, ma nella grotta di Betlemme, viene sostituto dal dio piccino del nostro ipocrita buonismo. Se i nonni soli, se le persone abbandonate, se i feriti dalla vita non hanno un sussulto di speranza nella notte di Natale, significa che il nostro annuncio è ambiguo, travolto e sostituito da un inutile messaggio di generica pace. Esagero? Voglia Dio che sia così. Tra quattro settimane celebreremo il Natale. Non giochiamo a far finta che poi Gesù nasce, Gesù è già nato, morto e risorto, vive accanto a me. Il problema è, semmai, se io sono nato.

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(a cura di Paolo Curtaz)

Fonte: http://www.qumran2.net Avvento, un tempo per desiderare Inizia l’ “Avvento”, un termine latino che significa “avvicinarsi, camminare verso”... Tutto si fa più prossimo, tutto si rimette in cammino e si avvicina: Dio, noi, l’altro, il nostro cuore profondo. L’avvento è tempo di strade. L’uomo d’avvento è quello che, dice il salmo, ha sentieri nel cuore, percorsi dai passi di Dio, e che a sua volta si mette in cammino: «per riscoprirTi nell’ultimo povero, ritrovarTi negli occhi di un bimbo, vederTi piangere le lacrime nostre oppure sorridere come nessuno» (D.M. Turoldo). L’avvento è tempo di attenzione. Il Vangelo ricorda i giorni di Noè, quando «nei giorni che precedettero il diluvio gli uomini mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito e non si accorsero di nulla». Alimentarsi, sposarsi sono azioni della normalità originaria della vita. Sono impegnati a vivere, a semplicemente vivere. Con il rischio però che la routine non faccia avvertire la straordinarietà di ciò che sta per accadere: «e non si accorsero di nulla1. Loro, del diluvio; noi, dell’occasione di vita che è il Vangelo. Lo senti che ad ogni pagina Gesù ripete: non vivere senza mistero! Ti prego: sotto il familiare scopri l’insolito, sotto il quotidiano osserva l’inspiegabile. Che ogni cosa che diciamo abituale, possa inquietarti (B. Brecht). I giorni di Noè sono i giorni della superficialità: «Il vizio supremo della nostra epoca è di essere superficiale» (R. Panikkar). Invece occorre l’attenzione vigile delle sentinelle, allora ti accorgi della sofferenza che preme, della mano tesa, degli occhi che ti cercano e delle lacrime silenziose che vi tremano. E dei mille doni che i giorni recano, delle forze di bontà e di bellezza all’opera in ciascuno, ti accorgi di quanta luce, di quanto Dio vive in noi: «Il vostro male è di non rendervi conto di quanto siete belli!» (Dostoewski). Avvento: tempo per attendere, perché qualcosa o qualcuno manca. Come i soldati romani detti desiderantes che, riferisce Giulio Cesare, attendevano vegliando sotto le stelle i compagni non ancora rientrati all’accampamento dopo la battaglia. Attendere è declinazione del verbo amare. Avvento: tempo per desiderare e attendere quel Dio che viene, dice il Vangelo di oggi, con una metafora spiazzante, come un ladro. Che viene nel tempo delle stelle, in silenzio, senza rumore e clamore, senza apparenza, che non ruba niente e dona tutto. Si accorgono di lui i desideranti, quelli che vegliano in punta di cuore, al lume delle stelle, quelli dagli occhi profondi e trasparenti che sanno vedere quanto dolore e quanto amore, quanto Dio c’è, incamminato nel mondo. Anche Dio, fra le stelle, come un desiderante, accende la sua lucerna e attende che io mi incammini verso casa.

(a cura di padre Ermes Ronchi)

Fonte: http://www.qumran2.net

1 Testo originale: «Avete visto un fatto ordinario, un fatto come se ne verificano ogni giorno. E, tuttavia, ve ne prego, sotto il familiare scoprite l’insolito, sotto il quotidiano svelate l’inspiegabile. Ogni cosa, cosiddetta abituale, possa inquietarvi». (B. Brecht)