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Riflessioni operative sul V.I.T.R.I.O.L. di Luciano Gajà Saggista V.I.T.R.I.O.L. acrostic given by Basilio Valentino, one of the greatest alchemist of hi- story, represents the whole point of reference of the masonic thought. V.I.T.R.I.O.L. stands for a “pure method of exercising” and consists of the explicit invitation to per- manentyl abandon own deadly sins and bad habits, in order to let oneself to the in- teriority down and try, with a lot of hard work and indomitable will, to positively rectify (the transubstantiation of the alchemist) own faults (thoughts and actions). The goal of V.I.T.R.I.O.L. is, by means of continue and virtual “death and rebirth” ex- periences of conscience, making even more improvements up to reach, as far as pos- sible, an exemplary model of ethic behaviour. This methodology leads securely to the development and the exploitation of the inte- rior experiences and than, in some cases, to superior knowledge. Obviously rational knowledge is very important in ordinary life but, with reference to this peculiar kind of experience, it is not so fundamental. In this article, after a description of V.I.T.R.I.O.L., some practical suggestions will be given in order to directly start working without hesitations. P P erché ritornare sul tema del V.I.T.R.IO.L.? Perché il V.I.T.R.IO.L. costituisce la dimensione inizia- tica per eccellenza, il télos dell’esistenza umana, l’oikos di tutte le trasformazioni in- teriori, l’athanor delle esperienze trasmu- tative, come ci ricorda l’insigne G. Porciatti: L’Iniziando […] è commesso all’azione dis- solvente del Vitriolo […] che ha il significato di ricerca, di discesa e penetrazione nell’intimo, di liberazione delle scorie, ed alchemicamente di acido che produce il Sale il quale rappresenta la parte stabile dell’Essere, e simboleggia, dal punto di vista intellettuale, morale e fisico la es- senza stessa della personalità. Simbologia Massonica, Massoneria Azzurra Più in generale possiamo dire che il tema trasmutativo della catàbasi (la discesa di una persona viva nell’Ade, il regno 4/2012 HIRAM HIRAM_4_2012:HIRAM 06/12/12 15:14 Pagina 57

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Riflessioni operative sul V.I.T.R.I.O.L.

di Luciano GajàSaggista

V.I.T.R.I.O.L. acrostic given by Basilio Valentino, one of the greatest alchemist of hi-story, represents the whole point of reference of the masonic thought. V.I.T.R.I.O.L.stands for a “pure method of exercising” and consists of the explicit invitation to per-manentyl abandon own deadly sins and bad habits, in order to let oneself to the in-teriority down and try, with a lot of hard work and indomitable will, to positivelyrectify (the transubstantiation of the alchemist) own faults (thoughts and actions).The goal of V.I.T.R.I.O.L. is, by means of continue and virtual “death and rebirth” ex-periences of conscience, making even more improvements up to reach, as far as pos-sible, an exemplary model of ethic behaviour.This methodology leads securely to the development and the exploitation of the inte-rior experiences and than, in some cases, to superior knowledge. Obviously rationalknowledge is very important in ordinary life but, with reference to this peculiar kindof experience, it is not so fundamental.In this article, after a description of V.I.T.R.I.O.L., some practical suggestions will begiven in order to directly start working without hesitations.

PPerché ritornare sul tema delV.I.T.R.IO.L.? Perché il V.I.T.R.IO.L.costituisce la dimensione inizia-

tica per eccellenza, il télos dell’esistenzaumana, l’oikos di tutte le trasformazioni in-teriori, l’athanor delle esperienze trasmu-tative, come ci ricorda l’insigne G. Porciatti:

L’Iniziando […] è commesso all’azione dis-solvente del Vitriolo […] che ha il significato diricerca, di discesa e penetrazione nell’intimo, di

liberazione delle scorie, ed alchemicamente diacido che produce il Sale il quale rappresenta laparte stabile dell’Essere, e simboleggia, dalpunto di vista intellettuale, morale e fisico la es-senza stessa della personalità.

Simbologia Massonica, Massoneria Azzurra

Più in generale possiamo dire che iltema trasmutativo della catàbasi (la discesadi una persona viva nell’Ade, il regno

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oscuro delle ombre e dei mostri) non è cer-tamente una novità: innumerevoli sono gliesempi nelle varie culturefin dall’antichità più re-mota. Basti ricordareErcole, Polluce, Orfeoper i greci, la babiloneseInanna, l’eroe ittitaKessi, Xolotl in Messico,Enea per i latini e Dantenella letteratura ita-liana. Lo stesso Gesùsarebbe morto per poirisorgere, quindi è ben chiaro come la pos-sibilità di scendere nel regno dei morti perpoi fare ritorno a quello dei vivi sia espres-sione di un ancestrale bisogno degli esseriumani. Naturalmente, i vari miti e raccontidanno adito ad interpretazioni verosimil-mente diverse, ma allo stesso tempo sonosempre riconducibili ad un processo inte-riore catartico dell’Io (anima) o all’ideadella vita eterna con la conseguente scon-fitta della morte.

Così riassumeva Paracelso sul senso“evolutivo” della trasmutazione:

Colui che vuole entrare nel regno divino,deve prima entrare nel corpo di sua madre, emorirci.

A significare che è la materialità che sidistrugge per il ritorno dello spirito a sestesso, unica assoluta libertà conoscitiva,vero dies natalis nel quale co-noscimento èinsieme co-nascimento. Detto altrimenti

con le parole dell’erudito H.C. Alvart1:

ogni evoluzione è una “trasmu-tazione”; e affinchè una qua-lunque forma sia trasmutata èassolutamente necessario chevi sia dapprima la distruzionedi questa forma; poi un lavoroeffettuato all’interno del caosprodotto, che separi il puro spi-rituale dall’impuro materiale; einfine la formazione di una cosanuova, aggregazione del puroseparato che manifesterà la na-

tura dell’essere in questione a una potenza diperfezione superiore alla precedente; cioè tra-smutazione della vecchia forma in una nuova.Un ciclo evolutivo si sarà compiuto.

La domanda latenteÈ ammissibile che il nostro Ordine sia

costituito da uomini che si sono avvicinatiad esso in quanto non hanno trovato nelmondo profano delle convincenti rispostealla loro sete di valori, oppure, per unaqualche altra necessità interiore, anche in-consapevole o inconscia. Uomini, dunque,desiderosi non solamente di soddisfare leproprie potenzialità, che non si acconten-tano di non restare in balia della mera quo-tidianità, ma che stanno cercando diattribuire un senso al proprio essere almondo. Ma potrebbero anche essere degliuomini che si sono avvicinati alla Masso-neria per altre ragioni, per esempio peresorcizzare la paura della morte, perchéavvertono a loro modo il senso della trage-

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1 Pseudonimo (tra i tanti) con cui si è tentato di dare un’identità all’enigmatico e affasci-nante “Fulcanelli”.

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dia della vita, oppure per cercare una ri-sposta che non hanno trovato nel mondoprofano. Infine, molto piùsemplicemente, per cu-riosità o per caso, ma-gari in combinazionecon alcune delle ragionicitate. Persone che pote-vano essere più o menosoddisfatte della societàdi appartenenza, delquotidiano mondo dellavoro e delle relazioniaffettive instaurate, ma lacui tensione interiore era rivolta alla ri-cerca di qualche cosa “in più”, certamentedi “diverso”, che potesse arricchire il loroanimo e la loro comprensione. Nonché illoro spirito critico. Degli individui, quindi,in cerca non solo di semplici e necessarierisposte alla loro legittima curiosità, maanche in cerca di una guida per poter com-prendere gli interrogativi (non sempreconsapevoli) posti dalla coscienza (con leannesse ansie).

In sintesi si tratta di un Ordine nel qualei “ricercatori” tutti dovrebbero essere inqualche modo ripiegati su se stessi, carat-

terizzati da un interrogarsi2 tra mille diffi-coltà, “esploratori” mossi da una rifles-

sione sull’uomo, sullasocietà e sul mondo edalla tensione a rivolgerelo sguardo altrove, al di làdei fantasmi dell’ingannoe al di là dalla serenitàdell’ignoranza illuminata,ove tutto è dato per ac-cettato e per scontato. Unatteggiamento interioreche non riguarda solo il

proprio animo, perché secosì fosse la “ricerca” si ridurrebbe ad unatanto apprezzabile quanto modesta ten-sione intimista, che pur non aliena dal-l’animo del Massone non lo completerebbe,in quanto priva degli interrogativi cono-scitivi, etici, spirituali e filosofici che lo so-spendono nella dimensione delle cose chesono e delle cose che non sono, tra il ciòche appare e il ciò che non appare. Ed è gra-zie a questa dimensione instabile tra luce etenebra che si realizza la condizione del-l’iniziato3, che si accoglie la cifra della pro-pria interiorità, tra le numerose difficoltàche egli incontrerà.

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2 Si tratta, con gradazioni che variano da individuo ad individuo, di un “fuoco” (Eraclito) cheviene alimentato dal “senso dell’obbedienza” quale “disciplina assoluta”. Ad esempio, nella filoso-fia orientale “colta” di origine medievale, questo “ardere” può raggiungere forme estreme di rigore,anche di tipo marziale.3 Estendendo il significato del termine “iniziazione”, possiamo dire che ogni uomo è un ini-ziato per il fatto, pur non intenzionale, di essere nato, cioè la sua iniziazione alla vita, e per quellacontinua ricerca di senso e di ragione che lo accompagna durante l’intera esistenza. Ed ogni uomoè un iniziato anche perché la sua vita è un processo di continuo cambiamento che, se lo si fa pro-prio, converge verso qualche meta finale o intermedia che continua a divergere sempre verso unnuovo altrove.

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Iniziati che hanno accettato di canaliz-zare le loro energie e la loro curiosità cosìsommariamente descrittein una rigorosa “prassi”auto-trasformativa, uo-mini che hanno sceltodi adottare con sensodel dovere (lealtà, obbe-dienza, serietà) e con laforza della volontà, nelTempio ma soprattuttofuori dalle “mura pro-tette”, per come pos-sono e soprattutto perquanto intendono farlo proprio, un metodoformativo che è in grado di fornire lorodelle (parziali) risposte ai loro “perché” edinnumerevoli occasioni di auto-perfezio-namento sul piano esistenziale comunqueinteso (spirituale, filosofico, psicologico,sociale, etico, ecc.). Inutile dire che tale“scuola” è conosciuta come V.I.T.R.I.O.L. laquale, oltre ad offrire gli idonei strumentidi meditazione interiore e di confronto sipone, se praticata, anche come un luogo diconforto spirituale e di umana consola-zione.

A questo punto è forse importante for-nire, perché a mio avviso non è un fattosempre scontato, qualche cenno non solo

sulla portata (profondità, estensione) ditale “pratica”, bensì evidenziare qualche

indicazione spicciola ai“praticanti”. Indica-zioni puramente “ope-rative” che fanno usodella sola guida credi-bile: il mondo dell’espe-rienza4. Suggerimenti etecniche che si ispiranoagli insegnamenti anti-chi, basti ricordare (pernon andare troppo in-

dietro nel tempo) lescuole medioevali dei monaci francesi, unaper tutte quella di Chartres del XII secolo:Bernardo di Chiaravalle5 (mea subtilior, inte-rior philosophia) il primo cancelliere6 che,ispirandosi al pensiero di Platone (soprat-tutto al Timeo), ne ha fatto la gloria. I suoiprincipali precetti: fedeltà alla regola (equi-valente al V.I.T.R.I.O.L.), povertà volontaria(in sostanza la rinuncia ai metalli), umiltà eobbedienza (la disciplina da adottare) e ladisputatio ovvero la discussione (analogodei Lavori Rituali) tra i suoi discepoli.

La teoriaÈ noto a tutti l’acrostico V.I.T.R.IO.L. del-

l’alchimista medievale Basilio Valentino7

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4 Dall’esperienza si genera la “cultura” (e non viceversa), si formano altresì la conoscenzae il discernimento per quanto possibile e compatibilmente con i propri limiti (di elaborazione maanche fisici).5 Celebre il suo motto: Noi siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere piùcose e più lontano di quanto vedessero questi ultimi. Non perché la nostra vista sia più accurata, o la nostraaltezza ci avvantaggi, ma perché siamo sostenuti e innalzati dalla statura dei giganti ai quali ci appoggiamo.6 Con i successori Gilberto Porretano e Teodorico.7 Gli alchimisti, tra i quali Basilio Valentino (monaco benedettino tedesco del XV secolo), fu-

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che per esteso recita Visita Interiora Terrae,Rectificando, Invenies Occultum Lapidem8 eche si può tradurre con “Penetra nelle vi-scere della Terra e, per-correndo il rettosentiero, scoprirai lapietra che si cela aituoi occhi”. Un mes-saggio iniziatico di al-lontanamento dallavita profana e di spo-liazione del denaro edei “metalli”, al qualealludevano i nobiliversi danteschi: O voich’avete li ‘ntelletti sani,mirate la dottrina ches’asconde sotto ‘l velame de li versi strani (In-ferno, Canto IX).

Un tanto evidente quanto nascosto in-vito (le cui radici si innervano nell’ermeti-smo e nella gnosi) a calarsi nel propriomondo notturno al fine di rettificare in-stancabilmente i propri difetti, medianteuna serie di operazioni esoterico-alchemi-che liberatorie di “morte iniziatica” co-

sciente e successiva “autorigenerazione” inuna entità materiale più perfetta9. Una do-lorosa (perché non è certamente una scelta

gradevole quella di procu-rarsi laceranti ma libera-trici ferite) e pericolosa(perché vi è il rischio didisperdere le forze op-pure di illudersi) catarsidi auto-distruzione eauto-trasformazionecontinui10 che potrebbecondurre alla sofferta viadella Conoscenza (nonquella assoluta, riservataal Divino), della scoperta

e dell’affinamento pro-fondo del proprio Sé e della risonanza conla Totalità11. Detto in altri termini si trattadi ammettere che l’Uomo si possa avvici-nare alla soglia di un orizzonte superiore,sconosciuto ed ineffabile (il dantesco “ri-veder le stelle”, Inferno, Canto XXXIV), pel-legrinando sulla Via del Cambiamento,errando lungo un breve (tant’è la duratadella vita adulta) cammino (al di là di una

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rono medici, scienziati e filosofi che, per necessità di difesa (persecuzione della Chiesa romana), do-vettero circondare la loro azione con un linguaggio ermetico basato su simboli, allegorie e formuleincomprensibili ai non iniziati.8 In alcuni casi si trova l’aggiunta “U.M.” (“Veram Medicinam”) che non ne cambia il signi-ficato complessivo.9 L’alchimista Basilio Valentino nell’opera L’Ultimo Testamento distingueva tre livelli dell’es-sere: “Visita Interiora Terrae” corrispondente al filo a piombo, “Rectificando” alla livella” e “Inve-nies Occultam Lapidem” alla squadra.10 Come la fenice che risorge dalle proprie ceneri.11 Tutto è una sola cosa. E quando tu desideri qualcosa, tutto l’universo cospira affinchè tu realizzi iltuo desiderio (L’Alchimista, P. Coelho).

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cultura intrigante e illusoria) che miri allesole “essenze”, agli interrogativi ultimidell’essere, della coscienza,della vita e della morte; sitratta di provare a dare la ri-sposta alle domande disenso: “chi sono?”, “da dovevengo?”, “dove sto an-dando?”, “che cosa posso co-noscere?”: che poi tuttoquesto avvenga, ovviamente,dipende dal destino di cia-scuno di noi, poiché solo co-loro che possiedonocaratteristiche non comunisono in grado di oltrepassarela furia di Cerbero.

Non a caso la scrittaV.I.T.R.I.O.L. che campeggia alettere d’oro nel Gabinetto di Riflessione èposta fra i riferimenti alchemici del sale edello zolfo12 simboleggianti, rispettiva-

mente, il principio di ogni corporeità (lamateria prima del nostro mondo) e lo spi-

rito, tra il corpo e la mente; ela sua azione dissolvente etrasformatrice tende a di-struggere (per purificare)il corpo per trasformarlonello spirito. Affinchèpossa nascere un giornoquello homo novus che co-noscerà “perfettamente”se stesso, in grado di com-prendere appieno la na-tura e conquistare queipoteri che in lui erano la-tenti e, primariamente,conturbanti e penosi. Celo ricordano gravemente,

nel linguaggio psicologico,C.G. Jung durante la descrizione del pro-cesso di integrazione (individuazione)13

dell’Ombra14:

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12 Zolfo, Mercurio e Sale sono sia nell’universo, il “trimundio”, sia nell’uomo; e nell’uomo i“tre mondi” si manifestano come Anima, Spirito e Corpo. J. Böhme diceva: Tutto ciò che cresce, vivee si muove in questo mondo contiene Solfo, e il Mercurio ne è la vita, e il Sale l’essenza corporea della fame delMercurio (De signatura rerum).13 L’individuazione viene definita da Jung (Tipi psicologici) come quel processo di differen-ziazione che ha come mèta lo sviluppo della personalità individuale; essa rappresenta quindi losviluppo delle particolarità di un individuo, sulla base della sua disposizione naturale. Pur costi-tuendo una “via individuale” (La necessità dell’individuazione è una necessità naturale) che può deviarerispetto a quella consueta, essa deve condurre ad uno spontaneo riconoscimento delle norme col-lettive. L’individuazione rappresenta un processo di elevazione spirituale: essa porta infatti ad unampliamento della sfera della coscienza. Il processo psicologico dell’individuazione è strettamente con-nesso con la cosiddetta funzione trascendente, in quanto mediante questa funzione vengono date quelle lineedi sviluppo individuali che non potrebbero mai essere raggiunte per la via già tracciata da norme collettive.14 Così Jung descrive il lato oscuro della vita cosciente dell’uomo. Pertanto l’ombra junghianaè tutto ciò che gli individui rimuovono dalle loro coscienze rendendolo non facilmente accessibilealla consapevolezza, perché diventato qualcosa di vergognoso da rifiutare, da combattere o sem-plicemente da disconoscere. L’ombra grava come un sacco pesante sulle spalle di chi, non riuscendo a li-

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Ognuno di noi è seguito da un’ombra. Menoquesta è incorporata nella vita conscia dell’in-dividuo tanto più è nera e densa.

Tipi psicologici

E nel linguaggio filoso-fico, F. Nietzsche duranteuna descrizione del sensodella tragedia:

Noi preferiamo le vietortuose (indegne) per ar-rivare alla verità (viverepienamente).

Ecce homo15

Proprio perché si tratta di un processodi “integrazione”, è implicito che non si

debba lottare contro le mi-serie del tempo, le pro-prie debolezze e i proprivizi per “eliminarli”,bensì occorre “mobili-tarli” pazientemente16

onde operino nella dire-zione voluta: è in gioco lacapacità di trasformare“naturalmente”17 tutte leenergie primitive, sia

quelle positive sia quelle

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berarsene, ne è eternamente prigioniero, scrive il poeta Robert Bly. Questo mondo che sta sotto e die-tro la maschera dell’individuo e dell’agire sociale Jung lo ha chiamato, con un’espressione che ri-corda Dostoevskij (grande interprete della malattia della coscienza), “sotterranei dell’anima”. È illuogo demoniaco o infero del mito e della rappresentazione religiosa. Vi abitano i mostri e i morti.È la notte della coscienza, ma anche fertile limo terrestre, sottosuolo da cui si risorge. Dunque l’om-bra non cela solo il male. È piuttosto qualcosa di primitivo, infantile e goffo, che renderebbe l’esi-stenza umana più vivace e bella, se non urtasse contro le regole della società e la consapevolezzadell’Io. Tale ombra va guardata in faccia, va conosciuta anche nei suoi tratti penosi e conturbanti.Va accolta per poi darle voce. Solo così non agirà inconsapevolmente e pericolosamente, come ap-pare nel popolare racconto di Stevenson, Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, in cui il pro-tagonista, rispettabile uomo di scienza, vive la propria dimensione d’ombra come fosse un’altrapersona sfuggita al governo dell’Io. 15 Le vie tortuose sono sinonimo di labirinto. Un luogo in cui ci si può smarrire, dove ognunodi noi è imprigionato in un sistema ineluttabile di cammini intricati e fuorvianti, dove la via si fran-tuma, si biforca, nasconde l’inganno e da cui solo la grazia divina o la nostra intelligenza o perspi-cacia potranno preservarci dall’oblio. È anche perdita del centro, è erranza senza direzioni, uncammino tutto nuovo, incerto, tormentato dove però non si ha bisogno dello sguardo del mondo,l’oscurità non è più assenza di luce bensì qualcosa di più tangibile, quasi palpabile, è una continuasperimentazione … è consapevolezza, svelamento, costituisce l’irrazionale della ragione, lo scartoche mette a nudo la verità delle cose.16 Nel Troilo e Cressida di W. Shakespeare è scritto: Chi vuole aver focaccia dal frumento, deveaspettare con pazienza la macinatura.17 È l’esplicitazione della potenza del V.I.T.R.IO.L.: discendere nelle profondità inconsce delproprio essere e rettificarle distaccando le “cieche” potenze della corporeità per portarle in unasfera del tutto diversa dove diventano “alba” di limpida essenza. Io “ho” il corpo, non “sono” il

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negative. Non a caso gli alchimisti si appli-cavano per realizzare mediante la pietra fi-losofale (la via della virtù) latrasformazione del piombo, ocomunque di una materiavile e di scarso valore, nel no-bilissimo oro18, il simboloideale dello spirito. Interes-sante al riguardo il pensierodi H. Hunwald:

L’alchimia è la scienzacomplessiva delle trasmuta-zioni fisiche, biologiche, psichi-che e spirituali, e comprende tuttii regni dell’unica sostanza19.

Ma come dovrebbe agire in concretol’iniziato sulla “pietra grezza” che lo appe-santisce e lo imprigiona? Quali insegna-menti metodologici gli tornerebbero utiliper potersi incamminare e proseguire sullavia che conduce alla purificazione interi-

ore e alla conoscenza? Per scovare la pie-tra celata (Occultam Lapidem)? L’acrostico ci

ricorda che prima biso-gna sprofondarsi nellaregressio ad infera20 (vi-sita interiora terrae) e poiè necessario praticareun’azione di risana-mento delle negatività(rectificando) nel pro-prio crogiolo alche-mico, un lavoro (opus)di “morte” e “rinascita”

spirituale, animica e fi-sica (forse il termine energetico sarebbepiù adatto) che corrisponde alla pazientelevigazione della “pietra”. Un’opera condifficoltà evidenti: tuttavia si tratta delcompito che l’iniziato ha di conoscere sestesso e di conoscere l’essenza delle cose (lacosiddetta “natura”), due conoscenze in re-ciproca armonia.

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corpo e per questo motivo occorre estirpare dentro di noi le radici dell’avere per trasformarlo “ra-dicalmente” in essere, creando così un’unica grande memoria d’amore che lega ed in cui ci si rico-nosce. Il V.I.T.R.IO.L. comporta un capovolgimento della mente e dell’intendere che implica unandare al di là della mente stessa18 Quando nell’Alchimia si lavora con i metalli (le passioni e le emozioni dell’uomo), il piomboviene usato come materiale iniziale. Gli alchimisti sostengono che nel piombo vi è un dèmone chepuò causare la pazzia. 19 Nel processo alchimico i mutamenti subiti dal soggetto messo all’opera sono attribuiti a interventidi energie esterne, astrali e cosmiche di natura “sottile” cioè impercettibile ai sensi, nel loro stato libero, even-tualmente gerarchizzate e riducibili infine alla loro sommità a un agente unico o influsso astrale e celeste de-finito “Spirito Universale”, la cui corporificazione ed esaltazione lo rendono atto all’uso scelto dall’adepto:terapeutico, metallico, magico, sapienziale (B. Husson, Antologia dell’alchimia).20 Questa discesa viene anche chiamata regressus ad uterum, “ritorno nell’utero”, un termineche viene spesso usato nei riti d’iniziazione. È un ritorno simbolico ad un particolare stato pri-mordiale dell’essere che accomuna ogni uomo nell’inconscio collettivo. Luogo di oscurità misticaove sboccerà la Luce della rivelazione.

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Prima di tutto si può dire che l’insegna-mento vitriolico esige che l’iniziato sia con-sapevole del non farsi condizionare daquelle soluzioni scontate esemplificate, addirittura dog-matiche, che la realtà esterna(apparente) continuamente glipropone come “certezze”. Iltermine “visitare”, infatti, ègià uno stimolo che, palesandocontraddizioni di significato,di terminologie e di situazioni,esige ogni possibile dubbio odomanda. Bisogna adottare lamassima attenzione ed ese-guire una profonda indagine at-tivando al massimo le facoltà che sipossiedono, coordinandole e traendo leconclusioni possibili21. Facoltà che rara-mente portano a delle risposte definitive,anzi, di regola conducono alla formula-

zione di nuove domande interiori che ri-portano il discorso sul piano di nuove espe-rienze da gestire con un livello di

consapevolezza e di responsabi-lità (modestamente) perfezio-nate. Con la volontà che spronae la mente che discerne.

La massima impegna coluiche cerca la Verità ad esplorarel’interno di se stesso (visceredella “terra”22) al fine di co-struire (rettificando) una nuovapersonalità rigenerata23, al finedi scoprire la Tintura ovvero lapietra nascosta dei saggi (o pie-

tra filosofale24, il punto culmi-nante della Grande Opera Alchemica),quella sapienza illuminata e illuminanteche conferisce ad ognuno quell’equilibrioe quel discernimento che potrebbero con-durlo fino alla soglia del Divino25. Ecco il

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21 L’iniziato sa che ogni parola, ogni frase e ogni atteggiamento è pregna del disperato ten-tativo di comprendere le assurde profondità delle passioni umane. Conoscendo le proprie, riccoperciò delle scoperte fatte negli abissi vitriolici della sua interiorità, non può fare a meno di colo-rare le sue parole di un’immensa tristezza e di avere per sé un’estrema pietà, perché da un lato ri-tiene la discesa agli inferi una necessità per la conoscenza di se stessi; dall’altro, sa benissimo chenon basta osservare i draghi per vincerli, ma bisogna riconoscerli quali proprie creature.22 Già nel Gabinetto delle Riflessioni si è sottoposti alla prova della Terra e si è chiamati a porre ingiuoco tutte le energie latenti (G. Porciatti, Simbologia Massonica, Massoneria Azzurra).23 Se il seme messo in terra non muore, resta solo; ma se muore, porta molti frutti (Giovanni, 12-44).24 Pietra filosofale significa, secondo il linguaggio sacro, pietra che porta il segno del sole. Lapietra filosofale è innanzitutto la creazione dell’uomo da parte di se stesso, vale a dire l’intera conquista delproprio potenziale e del proprio futuro; è in particolare la completa liberazione della propria volontà, che daràil dominio assoluto sull’Azoth e sul regno del magnetismo, vale a dire il potere assoluto sulla forza magneticauniversale (E. Levi).25 Nell’Esoterismo ebraico la Verità è connessa con il Divino e trova corrispondenza con laparte sottile dell’iniziato localizzata nel suo centro più intimo ove vengono prese le decisioni vitali:il Sancta Sanctorum. Tale termine sta ad indicare che la vera Conoscenza è quella trascendente, èquella che proviene dal luogo dei pensieri non conosciuti e non dall’intelletto.

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senso delle parole cercare di ricongiungere ilDio che è in voi con il divino che è nell’universodi Plotino (Vita di Plotino, Porfirio). È certa-mente un percorso eroico,fondato su una certezza: chel’iniziato ha in sé le potenzia-lità e le capacità di attuare unsimile percorso di ricogni-zione e di svelamento, unpercorso che lo porterà a ri-trovare la fonte della sua es-senzialità, i celati talenti26 insuo possesso, evadendo in tal modo dallaprigione nella quale è convinto di essererinchiuso e fuggendo dalla condanna allaquale egli stesso aveva acconsentito peravere dimenticato la sua origine divina. Il

V.I.T.R.IO.L. è nel destino dell’eroe: non siattua con la sola materialità e neppure conla raffinata intelligenza, ma piuttosto con

quell’elemento centrale e co-stituente l’essenza dell’essereche si è soliti denominare spi-rito. Il quale si assume esserepresente nell’uomo come il ri-flesso (scintilla) di un fuoco(trasmutante il vile metallo inoro) originario presente nellamanifestazione27 e che nell’in-

dividuo sembra farsi presente, se ricercato,in atto, quale intelligenza superiore onous28. Detto altrimenti il V.I.T.R.IO.L. è unavia propriamente noetica29 da perseguire aldi là dell’angusta dimensione razionale

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26 La ricerca che intraprende l’iniziato con indomita volontà, con fatica e per proprio contoha lo scopo di propiziare una “illuminazione” interiore e “risvegliare” facoltà che racchiudiamo innoi stessi.27 Coloro che credono che il mondo manifestato (il mondo dell’essere) sia governato dalla fortuna o dalcaso, e che dipenda da cause materiali, sono ben lontani dal divino e dalla nozione di Uno (Plotino, Enneadi,VI).28 Il nous (“intelletto cosmico”, un’espressione introdotta da Anassagora per indicare il mo-tore originario dell’universo) per Plotino è la prima emanazione dell’Uno e, in quanto tale, parte-cipa più delle altre della natura del divino, ma non è il creatore del mondo perché non è dio; essoemana da Dio, come il profumo da un corpo o la luce da una sorgente. Non è neanche assimilabileal demiurgo platonico perché non opera in vista di un fine: esso genera involontariamente, comeconseguenza del proprio “pensarsi”, del proprio riflettere su se stesso. È in questo modo che dalnous prende vita l’“anima del mondo”, sorgente della vita e dell’universo.29 Il concetto di noesi risale alla filosofia dell’antica Grecia ed indica quel tipo di conoscenzaintuitiva, immediata, pre-discorsiva che non si avvale del ragionamento o della conoscenza sensi-bile. Si tratta di una forma di sapere non spiegabile a parole, che si rivela per lampi improvvisi, esulla cui origine i pareri “ufficiali” sono discordi. Per Platone e per Aristotele era la percezione im-mediata dei princìpi primi, e dunque era espressione di una conoscenza certa perché in essa il pen-siero ha direttamente accesso ai propri contenuti, essendo insieme soggetto (il pensante) e oggetto(il pensato): questi due termini pur contrapposti risultano così complementari e dialetticamente(interagenti) legati tra loro. Kant la formalizzò come “metodo” e la divise tra “intuizione sensi-bile”, ovvero la conoscenza passiva percepita attraverso i sensi, e “intuizione intellettuale”, ovverola percezione immediata che “Io sono” (il pensiero si rende oggetto a se stesso).

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(anch’essa utile alla conoscenza in sensogenerale) per porsi come cammino di espe-rienza umana nella dimen-sione della creatività,dell’immaginazione e, so-prattutto, dell’intuizione.

La tecnicaLa formula V.I.T.R.IO.L.

invita da subito l’iniziato atracciare un bilancio dellapropria vita.

È alla Grande Madreterra (simbolo dell’uomofisico) che ogni vita tornadopo la putrefazione e larinascita sotto un’altraforma. La terra rappre-senta l’athanor della rige-nerazione, la “nutrice” diErmete Trismegisto e ri-corda tanto al recipiendario quanto all’ini-ziato che “chi conoscerà se stessoconoscerà l’Universo e gli Dèi”. Una regolavalevole a partire dal Gabinetto di Rifles-sione per estendersi alla vita intera, chepotrebbe condurre il praticante a trovareun senso alla propria vita: la ragione ultimadegli uomini in ricerca.

La tecnica vitriolica richiede, a mio av-viso, la specificazione dei requisiti (che sa-ranno esaminati nel seguito) e ladefinizione degli strumenti. Gli strumentivitriolici si applicano quando l’iniziato“vive” nella condizione del silenzio: un si-lenzio che è allo stesso tempo “tacere” e“ascoltare”. L’esercizio del silenzio si ot-tiene con un raccoglimento interiore ed èla condizione fondamentale sia per ragio-

nare, per riflettere sulle cose della vita chehanno un senso e che meritano allora di es-

sere ponderate e approfondite;sia e soprattutto per non ra-gionare, ovvero per “spe-gnere” il cervello e porsi inuna condizione di attesa (diseparazione) affinchè affio-rino a livello della coscienzaquei “lampeggiamenti” (in-tuizioni, immaginazioni,ispirazioni) che normal-mente abitano la sfera delprofondo (inconscio) e re-canti con loro un contenutodi conoscenza sovrarazio-nale dal punto di vista evo-lutivo ed iniziatico, uncontenuto rimosso comun-que costitutivo e pervasivo

della personalità. Gli “strumenti” consistono principal-

mente nell’utilizzo della ragione e dell’in-tuizione. Comunque non è da dimenticarel’importanza del confronto tra i Fratelli inTempio, il “luogo esteriore” di scambio ver-bale (razionalizzazione) delle proprie espe-rienze e delle relative analisi.

Cominciamo dalla ragione. Punto dipartenza potrebbe essere il seguente: ilV.I.T.R.IO.L. è come un caos interiore (una“legione” diceva l’esoterista J. Josipovici) ein esso la ragione rappresenta ciò che dà unnome, una posizione e una spiegazione allecose, detto altrimenti la ratio è una forzaordinatrice (e rassicuratrice) della mente.Ragionare nella dimensione vitriolica si-gnifica imparare a porsi le giuste domandeesistenziali, vuol dire soprattutto operare

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una valutazione “realistica”30 della propriavita mettendo a nudo i propri difetti, pren-dendo atto delle attività dellamente, degli impulsi inte-riori a cui poi seguono (nonnecessariamente in ac-cordo) i comportamenti.Con il ragionamento sisvolge, per quanto possibileconsapevolmente e respon-sabilmente, della “terapiapseudorazionale” sulle ne-gatività egoiche (indivi-duate). Come? Osservandocon intransigenza e curio-sità il proprio operato e cri-ticamente analizzandolo sulla base deiseguenti “metalli” di riferimento: igno-ranza, fanatismo, ambizione, orgoglio e va-nità. Utilizzando con onestà intellettualetale matrice interpretativa la parte razio-nale può portare l’iniziato a considerarsi

per quello che è stato e per come ha agitofinora. Successivamente il ragionamento si

ripete con gli occhiali della se-guente serie di “valori” di ri-ferimento31: conoscenza,tolleranza, distacco, umiltà esemplicità. Valutandone“senza pietà” le differenze.Ovviamente bisogna avere lalucidità, la costanza e la mo-destia necessarie per otte-nere anche dei minimirisultati. Si tratta di un proce-dere senza indulgere in faciliperdoni e sentimentalismi.Una lenta depurazione per

tappe con la tecnica dello specchio32 chedovrebbe prima evidenziare le conse-guenze e le dipendenze dall’uso dei metallie poi, soffrendo il pathos del travaglio, con-durre all’abbandono degli stessi dallo stiledi vita allo scopo di rendere il corpo e la

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30 Il primo simbolico viaggio dell’iniziato si svolge all’insegna dell’elemento “terra”: colui cheè stato scelto per intraprendere la nuova via deve meditare sulla propria vita da profano, tirare lesomme della propria esistenza lasciando un testamento, ultimo atto della vita passata, quale espres-sione di intenti futuri. Al contempo dovrebbe (ma è raro) raggiungere la concentrazione necessariaad una meditazione talmente profonda (Visita Interiorae Terrae) da scorgere la scintilla divina (Inve-niens Occultam Lapidem) che ha sempre risieduto, seppur a sua insaputa, nel suo Io più intimo.31 Si deve partire dalla ricerca dei cattivi compagni (ignoranza, fanatismo, ambizione, va-nità, orgoglio) nel proprio atteggiamento di vita quotidiana per tentare la loro trasmutazione inbuoni compagni (conoscenza, tolleranza, distacco, semplicità, umiltà).32 Chi guarda in uno specchio d’acqua, inizialmente vede la propria immagine. Chi guarda se stesso,rischia di incontrare se stesso. Lo specchio non lusinga, mostra diligentemente ciò che riflette, cioè quella fac-cia che non mostriamo mai al mondo perché la nascondiamo dietro il personaggio, la maschera dell’attore. Que-sta è la prima prova di coraggio nel percorso interiore. Una prova che basta a spaventare la maggior parte dellepersone, perché l’incontro con se stessi appartiene a quelle cose spiacevoli che si evitano fino a quando si puòproiettare il negativo sull’ambiente (Tipi psicologici, Jung).

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psiche purificati, al fine di ricominciare acomprendere33 l’oggetto vero e la materiavera dell’opera.

Solamente oggettivando lenegatività è possibile rettifi-carle consapevolmente. La ret-tificazione34 è un processo (deltutto individuale) consapevoledi indirizzamento delle forzeinteriori (emozionali, impul-sive, ecc.), nell’insieme cono-sciute e sconosciute, verso lacostruzione di se stesso. Inquesta dolorosa fase di vera epropria maturazione della per-sonalità, la cosiddetta “rina-scita” dopo la “prima morte” nellinguaggio esoterico, l’iniziato si scontrafatalmente contro l’occultum lapidem vi-triolico in quanto è avvenuta quell’attiva-zione energetica interiore che prima eralatente o bloccata. Lo studioso G. Porciattice lo ricorda nel seguente modo:

(l’iniziato) il più delle volte senza rendersiconto della sua portata […] inizia con l’intimoesame di se medesimo, quel graduale processodi purificazione che ‘rectificando’ dovrà por-

tarlo, lentamente ma sicuramente, se la Vo-lontà non gli viene meno, ad assimilarsiall’uomo tipo, alla Pietra Cubica

Simbologia Massonica, Massoneria Azzurra

Concluderei con la seguente ri-flessione. Lo scrittore e poeta in-glese J. Milton così dissuadeva chiera troppo razionalista:

la mente è luogo a se stessa, e in sestessa può fare del Paradiso un Inferno e

dell’Inferno un ParadisoIl Paradiso perduto, Libro I

Anche per sottolineare che la Via è sem-pre soggetta a errori e a possibili ricadutenel vecchio ed abituale modo di agire, sen-tire e pensare35. Inoltre il bisogno che ha

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33 Da intendersi non solo come la capacità di capire le cose ma soprattutto come “prendereinsieme” (cum-prehendere), accezioni che implicano il silenzio e l’ascolto delle nostre “voci di den-tro”.34 Sono molto interessanti le affinità del termine alchemico “rettificazione” con quello psi-cologico di “riparazione”. La psicologa dell’infanzia M. Klein nella sua Teoria delle relazioni ogget-tuali sosteneva che: La riparazione indica tutti quei tentativi che l’uomo fa, fin da bambino, di rimediare adun danno inferto, in fantasia o in realtà, ad un oggetto d’amore. La riparazione comporta non solo il rimediodi ciò che è stato fatto, ma una nuova azione, reale o fantastica, che produce un cambiamento nel soggetto chela compie e nell’oggetto che la riceve. Contempla quindi un lavoro di ricostruzione del mondo esterno e delmondo interno e si accompagna ad un processo, talvolta lungo e doloroso, di elaborazione della propria am-bivalenza e dei propri conflitti. È dallo sviluppo della capacità riparativa, che implica sforzo intenzio-nale e impegno consapevole per tutto il corso dell’esistenza, che secondo la studiosa si misuranola maturazione e i progressi psicologici di un essere umano.35 […] Dovevamo affrontare un muro, un vero Muro di Berlino, fatto di indifferenza, di ignoranza e diostilità. Humboldt, saggio maestro, lo aveva detto tanto tempo fa: la gente prima nega una cosa poi la svili-sce, poi decide che la si sapeva già da tempo (Il mulino di Amleto, G. de Santillana).

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l’uomo di razionalizzare potrebbe rivelarsialcune volte un errore metodologico anzi-chè una utile protezione dal-l’ignoto (tipo la paura del buio).

Con la ragione si comincia“dinamicamente” a conoscere.Conoscere36 significa trasforma-zione (oggettivazione e rettifi-cazione) della coscienza: nonsignifica semplicemente pren-dere atto o acquisire dei dati,comporta bensì un accrescere inestensione e in profondità que-gli stretti spazi al conoscitoreoriginariamente concessi. Per-ché la conoscenza non è più le-gata al mondo dei metalli in quanto latrasformazione interiore ha portato l’ini-ziato al distacco della sua parte “pesante”,a non essere più coinvolto dal proprio egoquasi fosse divenuto atarassico. Perchè siva acquisendo un diverso modo di pensaree un diverso modo di comprendere che inparte implica un andare al di là della mentestessa. Tenendo sempre a mente quantoammoniva Nietzsche:

Quei pensatori in cui tutte le stelle si muo-vono in orbite cicliche non sono i più profondi;chi scruta entro se stesso come un immenso spa-

zio cosmico e porta in sé vie lattee saanche come siano irregolari tutte le vielattee: esse conducono dentro al caos eal labirinto dell’esistenza.

La gaia scienza

Attraverso la conoscenza siallargano allora le mura della“prigione” e l’iniziato inizia acomprendere come finora siastato un uomo “condannato” enon un uomo “libero”. Come

dire che egli diviene (sempre par-zialmente) artefice del suo destino ogniqual volta la sua coscienza prende atto chenon si “nasce per morire” ma si “muore perdivenire”37. E da “libero” (operativo) potràavvicinarsi a quella Verità (Conoscenza di-vina) che gli alchimisti e gli esoteristi ci ri-cordano essere (per quanto umanamentepossibile) la compartecipazione e la com-prensione ai piani del Grande Architettodell’Universo38.

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36 Per i cabbalisti la conoscenza è posta tra la saggezza (Hocmah, il cervello) e la comprensione(Binah, il cuore) e sono direttamente connesse al Keter (la volontà dell’eterno) dell’albero sefirotico.37 Rendendosi così conto che è possibile stabilire un nuovo rapporto tra la nascita e la mortein grado di invertire la marcia del tempo. Infatti nel concetto esoterico del morire e del rinasceresono annullati i caratteri della fatalità e della ineluttabilità dei due eventi: essi prendono il conte-nuto di puro atto di volontà e perdono il carattere di non contemporaneità. Vale a dire che nelladimensione iniziatica nascere e morire procedono di pari passo: si muore e si nasce continuamentein una nuova modalità dell’esistenza, quella della “rigenerazione” spirituale dell’essere umano e,in ultima analisi, quella dell’immortalità stessa.38 Un’Idea (al di là della mente) che alimenta se stessa con l’alimentare a sua volta delle strut-ture che le conferiscono forma.

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Ma la ragione non è sufficiente. È ne-cessario aggiungere nell’esperienza vitrio-lica della regressio ad infera, la“decantazione” nella propriainteriorità del simbolo qualeveicolo dell’intuizione. Unadecantazione che crea “unanuova disposizione inte-riore”, assai simile alla canti-lena di un mantra39, che siconsuma nella dimensionetragica della vita; e la trage-dia, come insegnava il filosofoAristotele, è catartica, cioèpurificatrice, in quanto con-duce a una riflessione analogica sul temadella morte. Una riflessione che condi-ziona l’esistenza di ciascun uomo: nel suomodo di affrontare e/o concepire la vita, lasua prospettiva immanente e/o trascen-dente, la sua opzione di fronte al misterodell’infinito e del tempo, dell’errore e/odella verità. Inutile ricordare l’importanzadel simbolo quale strumento per la pene-trazione del mistero nonostante il caos pro-

dotto dalla nostra mente, quale mezzo evo-cativo che modella il pensiero, quale arte

di perfezionamento di idee e diconcetti posti al livello di puraintuizione e non diversa-mente esprimibili. In quantomezzo di insegnamento e diaddestramento all’introspe-zione, il simbolo pone l’ini-ziato in rapporto diretto conl’essenza del reale e lo con-duce ad un sapere di conte-nuto universale40. Perriassumere il simbolo, nellasua non-manifestazione e nel

suo non-condizionamento del pensiero,predispone l’iniziato al risveglio dell’intui-zione la quale, non avendo un preciso e unchiaro collocamento sul piano conoscitivo,può essere utilmente adoperata come stru-mento d’invenzione per “provocare” ilflusso del divenire interiore e delle intimereazioni sentimentali ad esso connesse.

L’intuizione si ottiene principalmentecome effetto diretto della meditazione41:

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39 La parola mantra deriva dalla radice verbale vedica man- “pensare, con il suffisso tra-, ilquale indica che si tratta di uno “strumento” del pensiero. I mantra consistono tipicamente nellarecitazione di alcune preghiere rituali (ad esempio i mitzvòt ebraici e i rosari post-mortem) oppuredi alcune formule sonore equivalenti (una o più sillabe, o lettere o frasi) la cui forza non consistenelle singole parole ma nella loro costante ripetizione, al fine di ottenere un estraniamento (astra-zione) dalla realtà ordinaria per presentare un “luogo di eidòs” diversamente inteso da quello so-lito (a parte il cielo stellato).40 Infatti il simbolo, attraverso un graduale e silenzioso itinerario di conoscenza soggettivache secondo alcuni riflette le istanze di un mondo sovrasensibile, secondo altri cela una modalitàdi percezione talmente limpida da superare le distorsioni causate da qualsivoglia preconcetto,svolge la funzione di risvegliare l’intuizione attraverso cui è possibile attingere alla sostanza dellecose e dei fenomeni.41 Allorchè ci si limita ad osservare, la mente si svuota dei pensieri per liberare quella ener-gia che era assorbita dalla mente stessa. Con lo svuotarsi della mente, l’energia diviene una fiamma

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non si tratta di “ragionamento” bensì di“sospensione”42 liberatoria, è pura osser-vazione della mente, laquale piano piano silibera dei pensieri. At-traverso la medita-zione dei simbolil’iniziato si dispone inattesa e nella spe-ranza che maturi l’in-tuizione43 quale Lucefonte di vita, una Lucescaturente per viesconosciute che simanifesta alla co-scienza sotto forma dibagliori a motivo deisuoi limiti, proprio comela vita si manifesta nel macrocosmo. Non acaso l’insigne G. Porciatti ben declinava isimboli con l’intuizione quando affermavache essi sono dei prodigiosi mezzi che conser-vano ricchezza di intimità e di evidenza propriache è lampeggiamento di un tantum colto inuna visione non sensibile. Un tantum che sipalesa come una folgorazione che affioraper un breve attimo alla nostra mente perpoi presentarsi al mondo della ragione (per

essere elaborato). E che per ora è ancoracelato dal velo e pertanto non chiaro, come

recita un antico Rituale diIniziazione: Vidi la grandeluce, ma non capii.

Il secondo strumentovitriolico è quindi identi-ficabile a livello razionalecon la terna simbolo-me-ditazione-intuizione. Unsimbolo per eccellenza dameditare potrebbe esserequello del “lutto” (con lasuccessiva elaborazionetrasformativa), cioè del-l’affrancamento dallacondizione profana; l’in-

tuizione, nonostante sarà di-versa per ciascun Iniziato, tuttavia saràsulla strada che ha un “cuore” e dunqueinerente la possibilità di un “oltre” all’ideadella morte profana, all’idea di un nuovomodo d’esistenza: quella di un essere chenon vive unicamente in una realtà imme-diata. L’opera di introspezione (morte) erettificazione (rinascita) che si compienella cornice tragica e transitoria della vitaè una metamorfosi dell’essere fondata sul-

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di risveglio: senza mente e senza pensieri si diventa consapevoli di se stessi. Al riguardo è benerammentare che la meditazione è essenzialmente “tecnica” che si perfeziona con un lungo tiroci-nio e affinamento delle capacità latenti nell’uomo, una pratica destrutturante fondata principal-mente sull’esercizio regolare, sulla focalizzazione degli sforzi verso una cosa alla volta e sulcontrollo senza reprimerli degli stati emotivi. Ricordava Paramahansa Yogananda: Vita semplice,pensiero elevato. (Non è da confondersi con la meditazione trascendentale).42 L’attesa deve essere naturale, spontanea per poter essere pronti a fare l’esperienza del-l’intuizione. La quale di per sé è solo un barlume della visione piena.43 Dante la chiamava luce intellettuale piena d’amore (Paradiso, Canto XXX).

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l’abbandono dell’ego, è un ponte tra l’es-perienza del sacro e quella del profano, nelsenso che l’uomo abban-dona l’attitudine men-tale alla mondanitàcontinuando tuttavia lasua esistenza pertentare di raggiungereuno stato di accresci-uta coscienza o con-sapevolezza che lopotrà eventualmenteavvicinare alla sfera deldivino.

Nel suo divenire, sitratta della storia ci-clica di ciascun Iniziato:storia biologica, storia interiore, storia co-smica. Testimonianza che ciò che conti-nuamente si trasforma non può deperireanzi, rende eterni, nella consapevolezzache la transitorietà (sacrificale) della forma(il corpo umano) contiene le ineffabilipotenzialità dell’essere.

La dimensione operativa della battagliaNella vita umana vi sono molte vie che

si possono percorrere non solo per soddi-sfare le proprie potenzialità, ma anche percogliere una ragione al proprio stare al

mondo e così tentare di non essere in baliadel non senso e della mera quotidianità44.

Si è nati senza sapere perchée una volta che la coscienzaavverte la consapevolezzadel nostro essere al mondo,allora inizia quella ricercaforzata (come una con-danna) che ci spinge a dareragione della nostra pre-senza. È proprio la nostracoscienza45 che ci induce ariflettere e a porsi do-mande, non solo sul cosasarà di noi dopo la mortema sul come gestire la pro-

pria esistenza oggi e domani.La ricerca, allora, è continua, giornaliera enon può che portarci a dare risposte di-verse per proseguire il cammino terrenoche altri hanno già scoperto ed aperto a no-stra insaputa. Si tratta di un processo pro-fondamente insito nella vita biologicaaccomunata dalla coscienza, come appren-sione di se stessi e della propria presenzaal mondo, e come consapevolezza esplicitadel modo di essere e degli obiettivi che, in-tenzionalmente o meno, si tende a perse-guire: le diverse vie e lo scorrere della vitagiornaliera.

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44 Costretta tra il declino della modernità e l’infausta dimensione cartesiana delle categorie.45 Termine che nella storia del pensiero occidentale ha assunto vari significati specifici in-dipendentemente da quello di semplice consapevolezza. Mi riferisco qui alla coscienza intesa come“voce interiore” in contrasto con le inclinazioni sensibili da cui siamo affetti: essa proclama a chiun-que, nell’intimità del proprio animo, il valore assoluto della legge morale, indipendentemente dalledifferenze intellettuali e culturali (Kant). È il colloquio dell’anima con se stessa: si esprime cosìl’ideale del “saggio”, dell’uomo libero dalle passioni e dagli interessi mondani, tipico del neopla-tonismo (come recita anche il nostro Rituale a proposito delle oscure prigioni al vizio).

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In questa condizione il conflitto inte-riore è aperto e la “battaglia”46 è l’unicoluogo in cui si svolge l’esi-stenza; la battaglia dellapropria coscienza, da unaparte con il mondo, con lesue attrazioni ed i suoi in-ganni e, dall’altra, con i datidella consapevolezza checoglie ogni situazione, chenon sa spesso come indicarele vie per proseguire, che di-sordina quanto si è tentatodi ordinare e che avverte lapsiche che il percorso avràuna fine, che la coscienzastessa è portatrice della suafine, non potendo superarela limitazione insita nella vita.La battaglia rappresenta la dimensione vi-triolica in cui si svolge la vita concreta del-l’iniziato, nel senso che nei limiti dellabattaglia interiore si pongono i limiti stessidella vita esteriore che ne è, per così dire, lasua immagine speculare. La battaglia è ilcampo proprio della coscienza. Essa è persua natura conflittuale: quello che c’è equello che sta per esserci, quello che c’è e alcontempo non c’è più, quello che c’è e che

non trova ragione, quello che non ancorac’è e che si affaccia con prepotenza e scalza

ogni altro contenuto, quelloche c’è e il suo opposto.

La battaglia interiore èaggravata dalla coscienza,una sentinella che osserva enon permette di sfuggire atutto ciò che accade e chelancia grida di allarme adogni piccolo movimento op-pure all’apparizione di qual-cosa all’orizzonte. Unacoscienza che sfugge viatroppo velocemente ri-spetto allo scorrere altret-tanto veloce dell’esistenza.Ci si trova, allora, entro una

coscienza densa di conflittiche si affacciano, la scompigliano e spessonon indicano né soluzioni né vie. Essendola coscienza il luogo della battaglia, ognipercorso umano è un tentativo di control-lare la propria coscienza che sfugge via, esfuggendo sparpaglia ogni cosa che è stataraggiunta: tutto si rimette in gioco, i con-flitti cambiano, i nemici sono amici, ciò chec’è perde di senso e ciò che non c’è sembranon averlo47.

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46 Si tratta di una battaglia interiore che non di rado si appresta nel mondo con qualsiasiarma che l’uomo possa avere a disposizione: d’altronde che la vita sia una battaglia è cosa nota atutti, proprio come avviene nella dimensione evoluzionistica, in cui ogni vivente lotta per la pro-pria sopravvivenza.47 Con il V.I.T.R.I.O.L. si traccia il duplice cammino: la presa d’atto della conflittualità della co-scienza (senza il suo annullamento) e la ricerca continua del tendere verso qualcosa che la co-scienza stessa può formulare. Così lo sforzo dell’uomo è proprio la gestione della coscienza ed, ineffetti, ogni filosofia dell’esistenza, sia formulata da filosofi, esoterici o pensatori, sia intuita daogni uomo, ha l’obiettivo di porre un ordine ai contenuti della coscienza, indicare e controllare il

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In questa dimensione operativa la viainiziatica è quella di una coscienza che nonfornisce la soluzione de-finitiva ai conflitti, nési autocompiace eresta sprofondata inessi ma li affondanella coscienza e alcontempo li afferraper dirigerli in oriz-zonti che non cono-sce. E qui sta la forzadella battaglia: get-tarsi nello scono-sciuto di se stessi e diogni cosa per perdersie ritrovarsi senza unappiglio definitivo edineludibile. Nella battaglia non c’è tempoper il trastullo: si deve essere guerrieri ecombattere. Su due campi di battaglia: lacoscienza, che è vuota e piena allo stessotempo e che rimane sempre aperta, tragi-camente aperta e senza l’illusione di supe-ramenti definitivi, ma con continuisuperamenti e distacchi che non annullanoma portano verso altre sponde del mondo;e l’esistenza, il mondo circostante che flui-

sce inesorabilmente. Il campo di battagliadell’interiorità è certamente quello prima-

rio. In esso l’“iniziato-guer-riero” pone le basi peredificare la sua coscienzagiorno per giorno e perfare in modo di prepararsiper affrontare il mondodelle parvenze e delle illu-sioni che scompaiono soloquando egli fornisce adesse un senso che leponga lontano dalla effet-tiva esistenza interiore. Sitratta di un rapporto con-flittuale che è sia fonte diforza sia fonte di atten-

zione, affinchè ogni conte-nuto interiore non sfugga e sia sempre taleda poter essere affrontato con fermezza echiarezza, in modo da valutarne il senso ela portata e renderlo anche oggetto di tra-sformazione.

L’iniziato è dunque il guerriero che nonaspetta che i conflitti interiori nascanospontaneamente dal lavoro della coscienza,ma si adopera per generarli in modo che adogni contenuto della coscienza ne venga

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suo inevitabile flusso e, ben più difficile, far sì che essa si arresti e venga posta sotto controllo: ov-vero che la coscienza controlli e guidi se stessa. Diversamente dalle filosofie fideistiche che tendonoa far sì che la coscienza si salvi, che il conflitto dimensionale si superi, limitando forzatamente ilfluire della coscienza e in tal modo negando la coscienza stessa, cioè annullando la sua forza e lasua portata dissacrante all’interno della psiche. In termini diversi, ogni via iniziatica è una via chesi proietta all’interno della coscienza e si adopera per far sì che essa sia la guida di se stessa. Ognivia iniziatica, proprio perché si pone questo obiettivo, è una via che si volge nell’aporia e resta sal-damente in essa senza illusioni di un superamento nella costrizione della coscienza. Per questo, lavia iniziatica è sempre tragica e porta l’iniziato ad essere cosciente che la sua vita è una continuabattaglia entro la battaglia interiore della coscienza.

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affiancato un altro parallelo od opposto:egli è così colui che alimenta egenera la sua stessa battagliainteriore e non aspetta che siala spontaneità oppure ilmondo esterno a generarla.Egli combatte non solo perguidare la sua coscienza, nonsolo per sanare i conflitti (su-perandoli o accettandoli) e darloro un nuovo senso, ma so-prattutto per farli affiorarealla consapevolezza, ponendosempre una nuova via ed unanuova alternativa: in ciò consiste la naturadella sua essenza guerriera.

Ma la sua forza interiore non si manife-sta sempre promuovendo lo scontro, a ge-nerare continuamente conflitti, a nonsfuggire mai dal campo di battaglia. Egli saanche essere così distaccato da adoperarsiaffinchè ogni conflitto al di fuori della suacoscienza che lo coinvolge possa essere su-perato con la comprensione della sua na-tura, mediando tra ciò che è e ciò chepotrebbe essere, tra l’una e l’altra spondadel mondo. In questo senso48 egli manife-sta la sua ricchezza e la sua forza proprionella propensione ad attendere, a mediare,

a superare, a considerare ed accettare le di-verse tendenze e posizioni,senza paura di annullarsi maanche sempre pronto a soste-nere la battaglia qualora non sipresenti altra via, senza tregua.Con una coscienza interioreche dibatte tra se stessa e il suofluire, nel mondo delle par-venze e delle illusioni, delleadulazioni e degli inganni, cheappaiono e scompaiono conti-nuamente e confondono la re-

altà. Con una coscienzainteriore costantemente turbata dalle aspi-razioni che l’ignoranza, l’ambizione, il fa-natismo, l’orgoglio e la vanità generanoincessantemente49.Sublimazione e trasformazione

La via del V.I.T.R.I.O.L. è quella della bat-taglia interiore combattuta soprattutto coni mezzi della ragione e dell’intuizione. Conl’iniziato-guerriero sempre affacciato sul-l’abisso, come ricordava magistralmenteNietzsche per bocca dell’“oracolo” Zara-thustra50:

L’uomo è una corda tesa tra l’animale e l’ol-tre-uomo, una corda al di sopra di un precipi-

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48 Per questo la battaglia interiore, per cruenta che sia, si svolge sempre nella dimensionedella tranquillità e della pace interiore, in quanto colui che non viene turbato e resta forte di fronte allagioia e al dolore è pronto a vivere sempre (Bhagavad Gita).49 Questi turbamenti del carattere, come l’ansia, non sono necessariamente negativi se dimodesta entità, in quanto contribuiscono all’autorealizzazione della personalità; lo diventano, nellamaggioranza dei casi, quando sono eccessivi, ovvero quando travalicano il limite di “normalità”.50 Zarathustra si presenta come il depositario e il profeta di una nuova verità, per questoviene deriso e oltraggiato dalla gente, che lo considera alla stregua di un buffone.

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zio. Pericolo passare al di là, pericolo la traver-sata, pericolo il guardare indietro, pericolo rab-brividire e fermarsi. La grandezza dell’uomo stain questo, che egli è un ponte enon uno scopo: ciò che puòfarlo amare è il fatto che egli èun passaggio e un tramonto.

L’uomo è colui che “restain bilico”51, è l’attimo cru-ciale in cui si vive piena-mente il presente (senzapassato da meditare e senzafuturo da programmare);l’animalità (la “scimmia”) staad indicare le caratteristichepiù bestiali dell’essere umano; e l’oltre-uomo (Übermensch) è il senso della terra52,da ricostituire soggettivamente attraversouna perenne tensione verso l’auto-supera-mento, pontificando verso qualcosa d’altroda sé, capacità di reinventarsi nell’istanteirripetibile del senso del proprio essere.L’iniziato-guerriero, in una simile acce-

zione, assomiglia53 molto all’idea di oltre-uomo, a colui che procede al di là delle con-venzioni e dei pregiudizi qualificanti il

comportamento comune, cheha valori diversi da quelli dellamassa aderente alla filosofiadegli imbonitori (e sono di-ventati schiavi di essa): è coluiche sa superare (“tramontarela vita” diceva Nietzsche) ledifficoltà tutte dell’esistenzaproprio perché le accetta a dif-ferenza degli uomini che fug-gono da esse.

Ecco perché è compito fon-damentale dell’uomo conoscere,

sentire ed essere responsabile di tutti i mo-venti delle sue azioni, di tutte le emozioniche risiedono nell’oscurità della sua psiche.La repressione, lo scarto, il dominio inca-tena l’uomo agli oggetti che reprime, ma lapurificazione li sublimerà, li trasmuterà insentimenti più elevati54, in elementi posi-

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51 Sta a lui decidere a quale di questi due termini avvicinarsi, con la volontà di una liberascelta, che lo rende artefice del proprio destino.52 La “terra” indica tutto ciò che ha fatto percepire all’uomo l’appello all’impegno.53 Le differenze esistono e sono molte. L’oltre-uomo di Netzsche è dotato di “volontà di po-tenza”, è contro la morale, gli ideali e la trascendenza ed ha una finalità diversa da quella dell’ini-ziato: egli è il discepolo di Dioniso che dice “sì” alla vita e al mondo con pessimismo coraggioso(unendo il fatalismo alla fiducia), poiché accetta tragicamente la vita in tutte le sue manifestazioni,nel piacere del divenire inteso come alternanza di vita e morte.54 L’Alchimia enfatizza l’azione del purificarsi da tutta la “sporcizia”, da tutte le “scorie”. Sideve lavare “il corpo” per migliorarlo e perfezionarlo, rifuggendo le masse e iniziando un processodi meditatio in silenzio. Anche il Taoismo sottolinea l’importanza della purificazione dalle tendenzeegoistiche che separano l’uomo dalla sua natura eterna. Un uomo che si sforza d’ottenere il Tao deverinunciare alla brama e al desiderio e divenire “un bambino che si unisce al Tao”. Pure il Buddhi-smo insegna la purificazione. L’uomo “ignorante” può arrivare alla salvezza solamente spezzandole catene (i desideri insoddisfatti e senza limiti) della mondanità.

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tivi, portandolo più vicino alla sua vera es-senza55. Fino a quando egli non intrapren-derà consapevolmente laGrande Opera, dolore e sof-ferenza disturberanno lasua vita. Dobbiamo affron-tare i mitici mostri nellaprofondità del nostro in-conscio e illuminarli: essifanno parte dell’essereumano. I mostri della mentenon sono mostri di per sé,sono “soltanto” caratteristi-che della natura umana chesono state distorte. Pos-siamo rettificarle e utiliz-zarle a nostro vantaggio perascendere alla consapevo-lezza del Sé oppure, più mo-destamente, per raggiungere un livellomaggiore di consapevolezza e discerni-mento.

I cardini del V.IT.R.I.O.L. La via del V.I.T.R.I.O.L. comporta un

grande impegno verso un’ampia aperturadel cuore56 e, in qualche modo, della mente.Essa richiede una vera rivoluzione nelmodo di pensare, volere e agire; essa re-clama il suo tempo per essere appresa e,siccome la durata della vita è in generepiuttosto breve, apprendere e non avere iltempo per beneficiare dei risultati sarebbetempo perso inutilmente. Si tratta di un la-

voro duro, difficile, in cui albergano soffe-renza e travaglio, ma è un lavoro molto fe-

condo e risolutivo: il suo fine èquello di proiettare l’ini-ziato verso un mondo“oltre” a quello mondano, ilsuo scopo è quello di porrel’iniziato al di là delle cer-tezze del mondo delle appa-renze. Ovviamente con tuttii rischi dell’abbandono,sempre parziale, delle cosegià possedute. Ne consegueper l’iniziato la necessità diavere delle particolari atti-tudini innate o requisiti dibase per cercare di allonta-narsi dal “vecchio” mondo

sensoriale, il quale è e rimaneil suo punto di riferimento, poichè in essoegli è comunque presente, almeno con ilproprio corpo.

Il fondamentale requisito che si devepossedere è quello dell’umiltà. Una qualitàindispensabile per poter superare le limi-tate conoscenze fenomenologiche legate almondo materialistico e sensoriale e perpoter ricevere un insegnamento “realizza-tivo” sul piano (trascendente) dell’Essere,cioè del sovrasensibile e dell’intelligibile.L’umiltà è la coscienza della propria debo-lezza, è il non perdersi in fantasie vane, ènel dichiararsi della propria ignoranza l’at-titudine al miglioramento, è la condizioneper percepire l’essere delle cose al di là

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55 Di essere parte dei piani architettonici del G.A.D.U.56 Il punto nascosto ove è collocata la parte sottile (sacra) dell’uomo.

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della loro effimera apparenza. Per tali ra-gioni l’umiltà è sostanza, è forza attiva ed èla base della conoscenza, que-st’ultima da intendersi comeil tentativo di emancipa-zione dall’ignoranza. Infattisolo gli umili possono assur-gere alla (modesta) cono-scenza, mentre gli altriabitano un mondo di pura il-lusione anche se gratifi-cante, avente un ordine“personale” ma non “universale”.

Un altro requisito è il saper trovare unaccordo interiore con l’insegnamento ini-ziatico, in quanto mentre per la cono-scenza profana occorrono adeguateintelligenza e memoria, per quella inizia-tica è richiesto un atteggiamento coscien-ziale differente, perché l’insegnamentonon è diretto alla mente bensì alla co-scienza (all’intellezione). Si tratta di unprocesso che non si sostanzia attraverso laprogressiva memorizzazione di dati ogget-tuali (esterni), bensì nasce dall’interno e sipalesa per “bagliori di luce”57, dall’essenzadi cui siamo intessuti, pertanto il suo scopoè quello di “risvegliare” dei contenuti po-tenzialmente già presenti ma al momentodormienti. È inoltre necessaria una rela-zione affine, favorevole, con le questioni vi-trioliche, con le domande che riguardano

l’esistenza umana (conosci te stesso, chisiamo, da dove veniamo, ecc.). L’affinità è

come una fatale attrazione,un’influenza o una forza de-terminante che fa partedella struttura delle cose:con essa gli eventi diven-tano naturali nel senso dellospontaneo realizzarsi. Senon c’è, gli eventi non si rea-lizzano, nonostante il no-

stro volere mentale. Essa èuna predisposizione particolare che siesprime come una possibilità di realizza-zione delle cose e dei rapporti tra le cose(persone, eventi, ecc.), le quali sono sem-pre tra loro libere ma non per principio siassociano. Tale associazione ci rende lecose familiari come se ne fossimo in strettasintonia, nel senso che ne diventiamo in-timi con esse, prendendone atto e facen-done parte in un unico “tutto”. Si tratta diuna tendenza elettiva ad unirsi, ad aggre-garsi, che va vista come antecedente allavolontà ed estranea alla volontà stessa eche si colloca in una dimensione assoluta-mente non razionale, vale a dire che l’affi-nità non è intenzionale, non è prevedibile enon è neppure descrivibile. Essa appartienealla sfera del non conosciuto, è connaturatacon l’uomo (cioè è data all’uomo dalla na-tura stessa) ma non appartiene all’uomo58.

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57 Ricorda Platone: In effetti, la conoscenza di tal verità non è affatto comunicabile come le altre co-noscenze ma, dopo tante meditazioni fatte su questi temi e, dopo una comunanza di vita, di colpo, come luceche si accende dallo scoccare di una scintilla, essa nasce dall’Anima e da se stessa si alimenta (Lettera VII).58 L’affinità, agendo sulle cose/enti le trasforma (le struttura) facendole prendere nuoveforme e fornendo loro nuove funzioni, costruisce così un nuovo ordine del mondo interiore ed este-riore; dando un senso realizzato alle cose stesse, le quali diventano così la causa della nostra con-sapevolezza o conoscenza.

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L’affinità, agendo sulle cose/enti le tra-sforma (le struttura) facendole prenderenuove forme e fornendo loronuove funzioni, costruiscecosì un nuovo ordine delmondo (interiore e este-riore), dando un senso rea-lizzato alle cose stesse, lequali diventano così lacausa della nostra consape-volezza o conoscenza.

Vi è poi il requisito delsilenzio, di cui si è già detto.La pratica del silenzio costi-tuisce la condizione neces-saria sia per riflettere sullecose della vita che meritanodi essere ponderate e ap-profondite, sia per porsi inuna condizione di attesa affinchè affiorinoa livello della coscienza quei contenuti chenormalmente abitano la sfera del profondoe recanti con sé un contenuto di cono-scenza sovrarazionale dal punto di vistaevolutivo ed iniziatico, un contenuto ri-mosso comunque costitutivo e pervasivodella personalità. Appare dunque evidentecome la ricerca spirituale che intraprendel’iniziato debba essere sperimentata con fa-tica e per proprio conto allo scopo di diri-gersi verso una illuminazione interiore, alrisveglio di facoltà che racchiudiamo in noi

stessi. Essa si attiva solo quando, con indo-mita volontà, la coscienza gli si svela, di-

ventando sempre più chiara eluminosa.

Altro importante requi-sito è quello dell’affranca-mento dal concetto di“causalità” tipico della vitaordinaria, un concetto cheaffonda le sue radici in quel-l’angusto spazio ove le cosesono oppresse tra il soggetto“che osserva” e l’oggetto“osservato”, al fine di intra-prendere una conoscenzache si spinga “oltre” la di-mensione sensoriale delcorpo per portarsi al di là,

senza negarla, della pura ra-gione fenomenica. Si tratta di un’“aper-tura” verso una dimensione sconosciuta eper questo misteriosa che è connaturatanell’uomo. Una “scoperta”, un “risveglio”nella coscienza del senso esistenziale, delsenso dell’essere che si costituisce comeun rapporto reale e stupefacente con l’esi-stenza e che l’esoterismo ha denominato“esperienza misterica” o “del sacro”59.L’apertura al mistero è la disponibilità adinoltrarsi non solo verso il “noto” ma so-prattutto ad inerpicarsi coraggiosamenteverso il “buio”, senza sapere dove e cosa

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59 Secondo M. Eliade: Il sacro è un elemento della struttura della coscienza e non un momento dellastoria della coscienza. La conoscenza del sacro è indissolubilmente legata allo sforzo compiuto dall’uomo percostruire un mondo che abbia un significato; ll sacro, per sua natura, è irriducibile al discorso e alle pratichediscorsive e non può che essere un’autonoma manifestazione esistenziale: è una ierofania (dal Discorso pro-nunciato al Congresso di Storia delle religioni di Boston).

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cercare. È l’attrazione a spingersi comun-que, con curiosità e con terrore allo stessotempo, verso gli spazi ignoti che si trovanodietro l’angolo della ragione, verso ciò chec’è ma non si vede e non puòessere espresso perché nonè raggiungibile in pienaconsapevolezza, tuttavia sene constata la sua presenzanella mente e nel mondo.L’apertura al mistero è la di-mensione del vivere “constupore” quello che ci cir-conda, è l’essere continua-mente “strabiliati” da ciòche vediamo e non com-prendiamo e da ciò che forsepensiamo possa esserci al di là di questonostro vedere: quel precipizio sottostanteche sta dietro al mondo e che ci lascia tur-bati e pervasi da un senso di debolezza esi-stenziale e di profonda impotenza nel solovedere e nel tentativo di capire ciò chestiamo vedendo nel mondo.

Infine ricorderei due disposizioni checonsentono di risparmiare tempo ed ener-gie. La prima è quella dell’avere senso pra-tico. Il senso pratico è sempre uncompagno di viaggio utile nella vita, siaprofana sia iniziatica. È una necessità fon-damentale per essere e rimanere realisti,che diventa ancora più efficace se lo si ac-compagna all’onestà: infatti senso pratico eonestà concorrono al riconoscimento deipropri limiti e allo stare attaccati alla so-

stanza delle cose. Mantenere i piedi bensaldi a terra è quella forma di concretezzaove l’iniziato, se è veramente umile, sag-giamente non dimentica mai che non è

come “lui si vede” macome il “G.A.D.U.” lovede. La seconda è quelladella ricerca di un Mae-stro60. Poiché la vita è nonmolto lunga in genere, ri-sulta parecchio impor-tante utilizzare il tempo adisposizione nella ma-niera migliore per il rag-giungimento del piùsignificativo fine inizia-

tico: la conoscenza. Eccoche diventa essenziale lo stare accanto achi è già sulla via della rettificazione percogliere le sintonie e interiorizzarle, eccoche diventa decisivo lo stare accanto a chisi è già posto alcune giuste domande perimparare a ragionare insieme, ecco che di-venta necessario lo stare accanto a chi stagià sperimentando cosa c’è dietro l’angolodell’ovvio per poter scoprire il socratico“conosci te stesso”, andando a cercare quelMaestro più volte per ricevere in amicizia ein fratellanza indicazioni concrete e consi-gli utili al fine di acquisire, per quanto pos-sibile e trasmissibile, ciò che gli potràservire lungo la faticosa via del perfezio-namento.

Per concludere direi che nessuna viainiziatica è credibile senza senso del dovere

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60 Termine sui generis per indicare un modello da seguire, un punto di riferimento a cui ispi-rarsi per conoscenza, responsabilità, esperienza, serietà, saggezza, ecc.

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(“il dovere per il dovere” kantiano). Un do-vere inteso come tensione costante61 versol’Ideale62. L’Ideale (Platonedocet) è quindi il punto diriferimento del doverenei limiti delle possibilitàindividuali63 e della na-tura umana64: se l’uomonasce ignorante e cercaattraverso il V.I.T.R.IO.L.di liberarsi dalle propriedebolezze e dalle miseriedel tempo, è all’Ideale,emblema di cristallina eincorruttibile purezza,che deve rivolgere il suosguardo, in quanto essorappresenta per l’eternità l’idea della per-fezione ovverossia della Totalità e dell’Ar-monia, l’esempio morale da perseguire, ilpunto di incontro con il disegno Divino.L’ideale esprime, in astratto, il riconosci-mento di un ente creatore denominatoGrande Architetto dell’Universo, nessun li-mite alla ricerca della Verità e la lotta con-

tro l’ignoranza in ogni sua forma; in con-creto, invece, si materializza nell’edifica-

zione del Tempio interioremediante la crescita del pro-prio spirito, il quale tende alperfezionamento attraversoesperienze catartiche di rifles-sione, di meditazione, di con-fronto e di approfondimentodei concetti etici e morali uni-versali (cioè noeticamenteorientati).

Sulla conoscenzaUn caro amico mi confi-

dava recentemente che a suaesperienza le creature percepi-

scono i fenomeni mediante un’attività conosci-tiva che dall’interno del corpo si trasferisceall’esterno. Si conosce ciò che si mostra o co-munque appare e se ne fa esperienza. Ogni co-noscenza umana ne modifica l’attivitàconoscitiva: è l’evoluzione. Queste parole sem-brano vibrare con le seguenti: tutte le cosesono piene di segni, ed è un uomo saggio65 chi

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61 Interessante il nesso con lo stoicismo ateniese del 300 a.C. Gli stoici sostenevano le virtùdell’autocontrollo e del distacco dalle cose terrene, portate all’estremo nell’ideale dell’atarassia,come mezzi per raggiungere l’integrità morale e intellettuale. Nell’ideale stoico è il dominio sullepassioni o apatìa che permette allo spirito il raggiungimento della saggezza.62 Al dovere morale (di ispirazione kantiana) l’uomo si assoggetta quando segue questa ten-sione che lo porta oltre le inclinazioni della propria fisicità.63 Si pensi anche all’invincibile arciere Arjuna dell’epico Mahbhrata intento a compiere, inpace e in guerra, la sua parte, a svolgere unicamente il suo sacro dovere. Senza curarsi del destinodel mondo.64 Interessante il nesso con il Dharma vedico che designa i fattori costitutivi della realtà e(l’armonizzazione con) l’essenza ultima di essa, il corpo cosmico del Buddha (Dharmakaya).65 Il saggio sarà felice anche quando arrivano le sventure. Egli pensa: è necessario sopportarle e adat-tarvisi, perché questa è la vita, Plotino.

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riesce ad imparare una cosa da un’altra di Plo-tino. Forse entrambi intendevano (anche)dire che le cose66 recano consé dei segni che vannoanche oltre la cosa in sé (ilcorpo) … E che il saggioconosce (dai segni, intesinell’accezione sia simbo-lica sia semiotica come“qualcosa che sta perqualcos’altro, a qualcunoin qualche modo”) l’im-portanza della relazionetra le cose, cioè che daisegni che lasciano le coseegli capisce le relazioni trale cose e l’importanza delle cose stesse.Dove certi segni sono comprensibili solo inuna realtà “non consensuale”, ovvero inuna realtà non condivisibile attraverso gliorgani di senso della quale tutti hannoesperienza (perchè razionalmente condivi-sibile).

Potremmo allora affermare che le varieforme (sempre parziali e in divenire) dellaconoscenza umana sono essenzialmente le-

gate al corpo (il portatore dei segni) e limi-tatamente alla mente (che abita il corpo

medesimo). Direi che la co-noscenza “è” (o appar-tiene a) il corpo, mentre ilsapere (conoscenza razio-nale) alla mente. Perché ilcorpo è ciò che ponel’uomo in contatto con ilmondo: l’uomo non “ha”un corpo, ma “è” un corpo.Seguendo questa conce-zione, corpo ed anima nonsono separati, ma pureammettendo che tale se-

parazione ci sia, il corpopuò fungere da veicolo per la crescita e perla grandezza dell’anima67. Magistralmenteaffermava lo scrittore inglese Oscar Wilde:

Chi scorge una differenza tra spirito e corponon possiede né l’uno né l’altro.

Dunque si potrebbe attingere alla “co-scienza” come a qualcosa di correlato con il“corpo” nel rapporto originario con il

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66 Dal Sutra dell’“Ornamento del Fiore”: Per comprendere appieno tutti i Buddha del passato, pre-sente e futuro, si dovrebbe contemplare la natura della dimensione del Dharma: ogni cosa è solo una crea-zione della mente.67 Credo in questo contesto specifico che possa essere fuorviante o strumentale l’approccioplatonico (Fedro) secondo cui ciò che conta è l’anima, che è immortale; il corpo è la sua prigione,come una tomba (imprigionati in esso come ostriche nel proprio guscio). Piuttosto da considerare sa-rebbe quello (Menone) dell’apprendere come “un ricordare” (un affioramento alla coscienza deicontenuti dei recessi più segreti) e non come “conoscere ex novo”, dove la mente non è una tavo-letta di cera su cui cominciare a incidere, ma piuttosto un’incisione dalla quale togliere la polveredel tempo per poter leggere di nuovo. Come dire che la memoria è quella facoltà nella quale si tro-verebbe tutta la conoscenza dell’uomo ancor prima che l’individuo nasca.

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mondo. Il corpo sarebbe così qualcosa dacui l’uomo non può assolutamente pre-scindere, che lo pone in con-tatto con il mondo esterno.L’uomo, attraverso i pori delcorpo, che nel terminegreco originario poroi vole-vano dire tanto “vie d’en-trata” quanto “vie d’uscita”,e dunque mediante i proprisensi, si pone in contattocon il mondo e si costituisceuna memoria68. Soltanto ilcorpo mette l’uomo in con-tatto con il mondo e per-tanto il corpo permetteall’uomo l’idea della fedeltàal mondo stesso: anche perquesto è importante “porsi”sempre con i piedi ben saldi per terra. Perdire che l’uomo deve restare non nel corpocome “macchina”, ma nel corpo come “vei-colo di conoscenza e di comunicazione”. Neconsegue che l’autentica conoscenza è unarelazione con la “natura” nella sua totalità,con il mondo, con l’universo stesso. Unaconoscenza, appunto, che è completa-mente diversa da quella intellettuale, perindenderci dalla ragione e dall’intuizione. È

la conoscenza che “arriva” intrinseca-mente dal corpo quale entità in “simbiosi

naturale” con il mondo che locirconda. E pertanto può es-sere “vissuta” (esperita) so-lamente, dentro e fuori dalV.I.T.R.IO.L., anche se nelV.I.T.R.IO.L. trova l’habitatideale.

Per potersi avvicinare atale conoscenza misterica, amio avviso di ordine supe-riore a quella mentale, è ne-cessario un approccio“tecnico”. Precisamente ci sideve porre nelle ideali con-dizioni per potersi ascoltareattraverso dei “veicoli natu-

rali” di transito della cono-scenza. Tali veicoli o canali si possonorecuperare seguendo “la via del bosco”69.La via del bosco è una via di destruttura-zione (liberazione), di amplificazione deifenomeni attenzionati e di conoscenzadella natura fondata sul senso dell’ascoltoil quale, per recuperarlo, è necessario pre-stare (ancora una volta) attenzione alcorpo: soprattutto al ritmo della respira-zione e al battito del cuore70. Ecco perché

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68 Io credo in tre principi […] fondamento di quasi tutte le pratiche magiche: che i confini della nostramente fluttuano e che molte menti possono influire l’una sull’altra; che i confini delle nostre memorie sono allostesso modo fluttuanti e fanno parte di una sola grande memoria; che questa grande memoria e grande mentepossono essere evocate attraverso i simboli […], (Ideas of God and Evil, W.B. Yeats poeta irlandese).69 Termine mutuato da E. Jünger (Il trattato del ribelle).70 Concentrarsi sul respiro e sul battito aiuta ad isolare i pensieri della mente e a porre piùattenzione al corpo. Infatti concentrare l’attenzione su un punto implica il naturale isolamentodal resto.

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si deve “praticare la via” in un ambienteavulso dai suoni della “modernità”, al finedi destrutturare la mente: lavia del bosco è quella viaove l’uomo può “ascoltarese stesso” e (re)integrarsicompletamente nella na-tura (nelle sue immagini enelle sue sonorità dimenti-cate). Certamente si trattadi un processo esotericolento, graduale, non sem-pre continuo e, in ultimaanalisi, incompleto. Manon si può fare diversa-mente.

La conoscenza prove-niente (ascoltata) dal corponon si esaurisce in quellasensoriale71 ed è probabilmente veicolata,stando ai neurofisiologi, dal sistema ner-voso, che è appunto distribuito in tutto ilcorpo. Il suo contenuto è latente: sono “ca-nali” che vengono “aperti” in determinatecircostanze, forse in concomitanza di certistimoli od effetti. Tale conoscenza verràpoi colta dalla mente (dalla coscienza),dove per mente si intende una “energiapsichica di carattere enigmatico” (Jung). Lamente è così il luogo di elaborazione cono-scitiva del corpo, oltre alla produzione deipensieri, delle intuizioni e delle fantasie.

Ma la conoscenza (nel senso ampio del

termine) si esaurisce nel mondo fisico?Non direi, se pensiamo al parere di Jung.

Per lo psicologo svizzero esiste-rebbe un fattore psichico cheè nel mondo (un luogo cele-ste detto “inconscio” di na-tura sconosciuta) dal quale siricavano le conoscenze. Dun-que la conoscenza non si con-suma in un fattoreesclusivamente “fisico”, nelcorpo. Sarà vero? Le mie po-chissime esperienze non con-sensuali, cioè non trasferibilicon la ordinaria (sensoriale)comunicazione umana, sonostate così strabilianti (ovvia-mente l’aggettivo è valido

solo a titolo personale) che nonsi possono trascurare, ragione per cui ar-rivo a pensare che la conoscenza non siatutta derivante dal mondo corporeo. Se èvero che non conosciamo le origini dellaconoscenza e pertanto possiamo attendercisia gli inganni del corpo sia quelli dellamente, potremmo altresì credere che non èla materia ad essere origine e fine di séstessa. Quindi la conoscenza in generalenon si restringe alle cose materiali ma valeanche per quelle sconosciute: non tutti i fe-nomeni si esauriscono nella corporeità, no-nostante la attraversino per mezzo delsistema nervoso in una “logica” fenome-

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71 I sensi servono certamente per gestire “il sapere”, cioè le tecniche (la techne della Greciaclassica) fondamentali alla sopravvivenza psico-fisica dell’uomo. Quel sapere che i monaci del XIIsecolo chiosavano saggiamente nel detto “il sapere è sapere a memoria”. Ma portano alla cono-scenza intellettuale (al mentale) e, in ultima analisi, rischiano di generare sovrastrutture del pen-siero non utili allo sviluppo individuale.

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nica che non è quella del principio di causaed effetto. Non sappiamo con certezza se sitratta di “illusioni” indottedal corpo oppure di effet-tive conoscenze causateda una materia che è“altra” e che noi non av-vertiamo.

Se la conoscenza dellamente è tipicamente con-sensuale (cioè condivisadalla specie umana) e sicompone di pensieri,astrazioni e intuizioni, quella del corpo simanifesta per “bagliori” improvvisi in mo-menti d’incanto (certamente di sospen-sione del pensiero). Si tratta di percezionicorporali perché è il corpo che le avverte,ma si tratta di conoscenze strutturalmentediverse dal pensiero: sono sia più rare siapiù forti, e Jung sosteneva che “costitui-scono un livello di evoluzione superiore”dell’uomo. È come se vi fossero (almeno)due realtà sovrapposte: una che l’uomo co-nosce (consensuale) attraverso i sensi el’elaborazione concettuale comunque in-tesa, e un’altra che l’uomo non conosce(non consensuale) perché non è in grado diconcepire in quanto esula dalla sua espe-rienza. Tale realtà non consensuale po-trebbe essere uno “stato esterno”

dell’uomo che “ogni tanto” viene a cono-scere, differentemente dalla realtà consen-

suale che invece l’uomoconosce “sempre” (e perquesto, forse, diciamoche gli appartiene anchese non la domina).

Mi corre l’obbligo difare una precisazioneconclusiva. Solo le espe-rienze non consensuali72

possono chetare l’arderedel Fuoco73 trasmutativo

(per tornare al linguaggio alchemico) dellaconoscenza, quel continuo porsi delle do-mande sul senso della nostra esistenza e sulposto che occupiamo nel mondo che, in ul-tima analisi, sfocia “spontaneamente” e“consapevolmente” in nuove domande:perché queste esperienze aiutano il corpo(fisico) a rigenerarsi, ad auto-trasformarsi.Proprio come una cura adatta per la malat-tia! Chi riuscirà in vita a raggiungere la finedel processo di trasmutazione risulterà piùdistaccato dalle cose e, in ultimo, da sestesso. Tutto ciò è un fatto, a mio avviso,puramente corporeo.

Sulla consapevolezzaLa consapevolezza è di fondamentale

importanza74. È il fatto della coscienza che

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72 L’accettazione della presenza degli stati non consensuali fa perdere la supposta impor-tanza della vita che, forse, è poi solo un’idea che l’uomo si è fatta nella propria mente.73 Il fuoco costituiva l’anello di congiunzione tra ciò che gli Dèi facevano e ciò che l’uomo poteva fare(Il mulino di Amleto, G. de Santillana).74 Coscienza e conoscenza sono inseparabili: Ciò che uno conosce, di ciò egli è conscio, e quello dicui è conscio, ciò egli conosce, dicono i testi buddhisti.

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“accerta” la “costruzione” in essa di conte-nuti in un dato istante, i quali possono es-sere sia “coscienti”, cioè fruttodell’intenzionalità, sia “in-consci”, cioè che non rag-giungono la consapevolezza.(Per cui si può dire che quelloche siamo è il risultato anchedi come opera la nostra co-scienza senza il nostro inter-vento intenzionale). Tuttaviala consapevolezza non dicenulla dei contenuti esistenti,se non che essi allertano lacoscienza verso se stessa epotenzialmente la indiriz-zano verso le essenze del mondo.

Il lavoro iniziatico consiste allora nonsolo nell’acquisire la consapevolezza deicontenuti in essere alla coscienza, maanche nel “costruire” i contenuti stessi75.Un’attività che deve essere svolta sotto ildominio della responsabilità, il valorefondativo dell’attenzione iniziatica perun’esistenza dedicata alla ricerca del sensodella vita e per raffinare se stessi. Sullaquestione dei contenuti, tutt’altro chescontata, non si può aggiungere nulla senon operare per produrli. Al riguardo è diinsegnamento il magistero di Sri Au-robindo:

Ci sono mille strade per avvicinare e realiz-zare il Divino e ciascuna ha le sue proprie espe-rienze che possiedono la loro propria verità e

poggiano in realtà su unabase, unica in essenza macomplessa negli aspetti,comune a tutte ma nonespressa da tutte allostesso modo. Serve benpoco discutere queste vari-azioni; la cosa importanteè seguire la propria stradabene e fino in fondo. […]ciascun sentiero ha il pro-prio scopo, la propria di-rezione e il propriometodo, e la verità di cias-

cuno non invalida la veritàdegli altri. Il Divino (o se volete, il Sé) ha moltiaspetti e può essere realizzato in molti modi; sof-fermarsi su queste differenze è quindi irrile-vante e inutile.

A questo punto è forse più chiara l’af-fermazione secondo la quale la Via (inizia-tica) della conoscenza è la Via delperfezionamento spirituale nell’area delmistero (sacro), cioè del significato “na-scosto” dell’uomo e dell’universo e delposto occupato dall’uomo in esso. Nono-stante il termine “sacro” sia sovente inter-pretato a livello mentale, ovvero sia untermine che corre spesso il rischio di essere

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75 Ammoniva Dante (Paradiso, Canto X): Or ti riman, lettor, sovra’l tuo banco, dietro pensando aciò che si preliba, s’esser vuoi lieto assai pria che stanco. Messo t’ho innanzi: ormai per te ti ciba; che a sé torcetutta la mia cura quella materia ond’io son fatto scriba. “Ora, o lettore, resta pure seduto sul tuo banco,a meditare su quello di cui ti ho offerto soltanto un assaggio, se vuoi provare la gioia (del sapere)che non lascia avvertire la stanchezza. Ti ho messo in tavola il cibo; ormai puoi servirti da solo;perché l’argomento di cui ho cominciato a scrivere concentra su di sé tutta la mia attenzione”.

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compreso a livello intellettuale (culturale,sociale, religioso, ecc.), è importante riba-dire che invece dovrebbe essere contestua-lizzato esclusivamente sul pianoesperienziale e relazio-nale: per “sacro” si do-vrebbe intendere unaesperienza “magica”nella quale all’uomo“capita”76 di incontrareil Divino. Per dire chel’uomo quasi casual-mente “cade” nell’espe-rienza del mistero; e ilmistero diviene presenteal centro della conoscenza che ne restapervasa: l’iniziato ne è “solamente” testi-mone.

Vi è quindi una stretta connessione tra“sacro” e “conoscenza”, tra “stupore” e“consapevolezza”; anzi, il vertice della co-noscenza è proprio il sacro che si presentafornendo una certezza: la certezza che lecose del mondo “sono proprio così”, unacertezza (ovviamente consapevole) chepuò solamente essere risvegliata o provo-cata, mai insegnata o trasmessa. In questosenso è forse più evidente comprenderecome la conoscenza proietti l’uomo oltrel’idea della vita e della morte.

La domanda di sensoLa via del V.I.T.R.I.O.L è una via miste-

rica di “forza attiva”, una via di “perseve-ranza” e “coraggio” per

quegli uomini audaci cheosano affrontare l’oscuritàdell’anima. La via delV.I.T.R.I.O.L è una via dipura forza che si sviluppaalla stregua di una vera epropria “terapia” sul pianopsicologico (nel senso dicura delle negatività) e sul

piano esistenziale (nel sensostrutturale o formativo della coscienza77).Consiste in una pratica costante e discipli-nata di esperienze che ne affinano la cono-scenza e ne indirizzano responsabilmenteil discernimento, avente lo scopo di confe-rire un autentico senso alla vita dell’ini-ziato; un senso trascendente (ma non pertutti) fortemente innervato nella ricerca78

delle proprie radici, come ricordava l’ora-colo di Delfi:

Ti avverto, chiunque tu sia. Oh tu chedesideri sondare gli Arcani della Natura, se nonriuscirai a trovare dentro te stesso ciò che cer-chi, non potrai trovarlo nemmeno fuori. Se ig-

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76 Il sacro è quel tremendum che noi esseri umani attribuiamo, in modo individuale o collet-tivo, alle fenomenologie (non consensuali) del soprannaturale e/o del divino e solo a quelle in cuici capita di imbatterci. Perché siamo noi gli “osservatori”, il “soggetto percipiente”, siamo noi checon la nostra capacità di osservazione ed elaborazione dei dati diamo i nomi alle cose, alle azionie agli stessi nostri concetti.77 Sotto i vari aspetti etico, sociale, spirituale, ecc.78 È la ricerca di quella pietra nascosta che è il nostro Sale o piombo sulfureo.

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nori le meraviglie della tua casa, come pretendidi trovare altre meraviglie? In te si trova occultoil Tesoro degli Dei. Oh! Uomo conosci te stesso econoscerai l’Universo e gli Dei79.

Si tratta di un mo-nito alla coscienza chepuò essere portatoavanti solo con il do-vuto ardimento80, solose non ci si sbigottiscedi fronte ai pericoli.Colui al quale nella vitamanca il coraggio di es-sere il martello, finirà ine-vitabilmente per assumere il ruolo dell’incudine,così tuonava il filosofo O. Spengler per ri-cordare che nella vita, se non si vuole ca-dere schiavi del “qui ed ora”, bisognaprendere senza esitazioni il coraggio aquattro mani e scegliere una via “forte”,una via di liberazione interiore (i cui bene-fici si proiettano anche all’esterno) nellaquale si possa (ri)trovare un autenticosenso alla propria vita.

Il senso della vità è racchiuso nella ri-cerca delle nostre radici. Scriveva P. Coelhone L’Alchimista:

Il ragazzo cominciò a capire che i presenti-menti erano come delle rapide immersioni del-l’anima in questa corrente universale della vita,dove le storie di tutti gli uomini sono legate in-

timamente fra di loro, e dove possiamo cono-scere tutto, perchè tutto è scritto.

Ma qualcosa dentro di noi agisce comeun pesante fardello checi impedisce di cammi-nare e di proseguire làdove vorremmo arri-vare. Qualcosa che of-fusca la vista e ci famuovere spesso comemai avremmo volutomuovere. Qualcosa checi dice di fare ciò che

non avremmo mai vo-luto fare. Qualcosa che accade continua-mente, che non sappiamo perché accada,ma accade e si ripete anche a nostra insa-puta. Qualcosa che amiamo ci sia e che alcontempo vorremmo che spesso non cifosse. Probabilmente si tratta di una partedi noi stessi alla quale siamo affezionati eche non possiamo negare, una parte dellanostra finitezza umana in conflitto pe-renne con ciò che siamo. Una parte di noiche ci trascina in basso e ci allontana dalfaticoso cammino. Che fare allora se sivuole proseguire oltre quei moti dell’animoche spesso rendono oscure le nostreazioni? Che fare allora per potersi adden-trare lungo la via della conoscenza senzapatire il peso del fardello e contribuire alla

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79 Motto che può ben riassumere l’insegnamento di Socrate a trovare la “verità” dentro noistessi anziché nel provvisorio mondo delle apparenze.80 Virtù appartenente a chi con serenità contrasta i rischi, non si abbatte per i dolori fisicio morali e, più in generale, affronta a viso aperto la sofferenza, il pericolo, l’incertezza e l’intimi-dazione.

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costruzione del Tempio interiore ed ancorpiù per quello alla gloria del Grande Archi-tetto dell’Universo? Ogni iniziato per po-tersi addentrare lungo la via dellaconoscenza deve salirepiù in alto di ogni al-tezza e scendere più inbasso di ogni profon-dità, poiché questa co-noscenza si trova sia nelbasso che nell’alto, ed èconiugando l’uno conl’altro che si può riu-scire ad intravederequalche cosa delmondo, dell’oltre e del-l’invisibile, comunquequest’ultimo venga in-teso. Con altre parole potremmo dire cheogni iniziato deve risalire la corrente delfiume del mondo per risalire alla fonte diogni cosa, ove ogni componente richiamala Totalità e ogni atto si riferisce all’ordineuniversale; nuotando contro corrente edaffrontando l’inevitabile scontro interiorecon l’impeto che pone un freno ed ostacolala via, per trovare le radici e soffermarsi abere l’acqua che permette di poter prose-guire il cammino con se stessi e nel mondo,sempre rivolgendosi verso ciò che non è fa-cile raggiungere.

Che fare se allora si vuole proseguire, sesi intende passare verso l’oltre? Se è veroche in ognuno di noi è stata posta all’ori-gine dei tempi la scintilla divina, non ci

resta che attraversarela corrente di se stessie nuotare verso l’altrasponda, imparare adascoltare le inquietu-dini che affollano la no-stra mente, dominarele passioni e sollevarsidal loro inevitabile sfa-celo, accettare senzasubire quel lato oscuroche solo a fatica ci per-mette di attraversare inostri limiti. Ciò signi-

fica che è necessario sempre superare sestessi e protendere continuamente versouna condizione nella quale sarà dominanteil giudizio morale sulle proprie azioni e suipropri pensieri. Ecco perché facciamo ap-pello alle voci della coscienza, che nient’al-tro sono se non la “diritta via” che liberal’uomo dalla schiavitù del suo lato oscuro81.L’essenza del percorso iniziatico sta pro-prio qui: nel movimento, nella trasforma-zione, nel senso che non ci si può adagiaresu ciò che si è raggiunto ma ci si deve sem-pre porre nuove mète da raggiungere,

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81 Bisogna che ciascuno sia lui stesso, che le nostre azioni e i nostri pensieri siano nostri, che le nostreazioni, buone o cattive, vengano da noi, né bisogna attribuire all’universo la produzione del male. Il male ap-pare solo nell’assenza del bene. Sono la stessa cosa il buono e il bello, oppure il bene e la bellezza. Bisogna dun-que ricercare, con lo stesso metodo, il bello e il bene, il brutto e il male. Ma che resta di noi? Rimane ciò che noisiamo veramente […], asseriva Plotino.

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nuovi perfezionamenti e nuove conoscenzeda conseguire attraverso un forte impera-tivo interiore, seguendo ed inseguendo as-siduamente quelle vocicome fonte di ispira-zione e regola del pro-prio comportamentononché del propriomodo di pensare. Non sipuò mai restare su unasponda del fiume dellaconoscenza, ma bisognasempre rivolgersi versol’altra sponda, non sipuò permanere nellacondizione in cui siamoo in cui pensiamo di essere: esiste sempreun oltre al quale anelare, un oltre che agi-sce come un imperativo morale e ci per-mette di andare avanti, di guardare al di làdi ciò che appare sebbene con fatica.

La ricerca delle radici può svolgersi conl’acquisizione di conoscenze, di valori, diprospettive che permettono di trovare l’ar-chè in ogni dove e in ogni alcunchè82 che locirconda; essa è riferita alla ricerca delle es-senze delle cose, a ciò che possiamo vedere

oltre ad esse e a ciò che possiamo intuire aldi là di esse. Ma ciò non è possibile se lapolvere ci ha sommersi e se siamo troppo

pieni di mondanità perpoter ascoltare lavoce e le parole che ciprovengono da vicinoe da lontano. Non sipuò allora che esserepieni e vuoti allostesso tempo: pieni diciò che abbiamo rag-giunto e vuoti difronte a ciò che pos-siamo raggiungere.Solo così ci presen-

tiamo a noi stessi e al mondo, nudi e tra-sparenti, e ci possiamo aprire alla ricercadelle radici che possiamo trovare a fiancoe lontano e non solo in ciò che riteniamoce le possa palesare, bensì anche in quelloche ci può apparire distante e incapace difornirci qualche spunto per proseguire ilnostro cammino: le archai che ci attendononon si cercano solo dove si pensa di poterletrovare, ma soprattutto là, nell’ignoto dovesi pensa di non trovarle.

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82 Il poeta T.S. Eliot scrisse: Cammina tante strade, ritorna alla tua casa, e vedi ogni cosa come sefosse la prima volta. Vale a dire che ogni cosa intorno a noi è in continuo cambiamento; ogni giornoil sole splende su un nuovo mondo. Ciò che percepiamo come quotidianità è pieno di opportunità.

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