Upload
vanive
View
232
Download
9
Embed Size (px)
Citation preview
CARLO GOLDONI
Carlo Goldoni, nasce a Venezia nel 1707 e muore nel 1793.
L'irrequietezza paterna fu risentita dallo stesso Carlo, che in tutta la sua esistenza oscillò tra una
aspirazione alla stabilità. A Rimini studiò filosofia presso i domenicani ma da lì fuggì; e fu ammesso al
collegio di Pavia, studiando giurisprudenza, ma per uno scritto satirico contro le donne della città fu
espulso e diede inizio a un periodo avventuroso della sua vita, lavorando a Chioggia diventò coadiutore
alla Cancellerie di Feltre dove scrisse, per una compagnia di commedianti, gli intermezzi “ Il buon padre”
e “ La cantatrice” . La passione per il teatro caratterizzò la sua esistenza, e ci lavorò durante la guerra di
successione austriaca. Incontrò nel 1734 a Verona il capocomico Giuseppe Imer e con lui tornò a
Venezia dopo aver ottenuto l'incarico di scrivere testi per il teatro San Samuele. In questa fase compose
tragicommedie in versi tra cui il “ Belisario” , il “ Don Giovanni Tenorio o sia il dissoluto” . Nel 1738 diede al
teatro San Samuele la sua prima vera commedia il “ Momolo cortesan” e continuò col “ Momolo sulla
Brenta” e con “ Il mercante fallito” . Continuò a lavorare nel teatro durante la guerra di successione
austriaca curando gli spettacoli di Rimini, ma dopo aver scritto delle commedie fu convinto dal
capocomico Girolamo Medebac a sottoscrivere un contratto come scrittore stabile.
Alla stagione 1748-'49 appartengono “ L'uomo prudente” , “ La vedova scaltra” , “ La putta onorata”.
Dopo l'insuccesso di “ L'erede fortunata” , Goldoni lancia una sfida al pubblico e a se stesso,
promettendo per la stagione successiva, ben 16 commedie nuove, con uno straordinario superlavoro,
egli realizza in pieno questa promessa: tra le 16 commedie si ricordano
“ Il teatro comico” , “ La bottega del caffè” , “ Il bugiardo” , “ La Pamela” , “ Il
giocatore”, “ La dama prudente” , “ L'avventuriero onorato” , “ I pettegolezzi delle
donne”, “ Il Molìere” , “ L'amante militare” , “ Il feudatario” , “ La serva amorosa” ,
“ La locandiera” e “ Le donne curiose” .
Ma un'insoddisfazione lo portano a rompere con il Medebac e ad assumere un impegno con il
teatro San Luca. La necessità di adattare i propri testi a un edificio teatrale e a un palcoscenico più grandi
lo spingono a esperimenti complicati e spesso artificiosi, ed ebbe un grande successo la cosiddetta “
Trilogia persiana” . L'autore passa di continuo dalla lingua al dialetto e viceversa, il dialetto veneziano non
è per lui uno strumento di gioco, ma un linguaggio concreto e autonomo, distinto in livelli diversi che
corrispondono agli strati sociali dei personaggi che ne fanno uso, ha un interesse anche per il francese.
Un'analisi del ruolo del genere comico nella vita sociale porta Goldoni a rivendicare l'onore e la dignità dei
comici e a criticare dall'interno gli schemi della commedia dell'arte. Il rapporto tra mondo e teatro si lega a
un'ansia di ricerca e di confronto, in questa fase mondo e teatro sembrano spesso procedere ciascuno
per proprio conto. La fase della stagione del San Luca, il suo vigore creativo si regge piuttosto su
un'analisi della disarmonia e della contraddittorietà tra i due termini, e un sotterraneo malessere
individuale e sociale, da cui scaturisce una eccezionale vena di comicità. Un'ultima fase si sviluppa, i
nuovi tentativi teatrali non possono ormai più contare su quel continuo riscontro col mondo veneziano.
Il suo teatro è popolato da figurine minori che non s'identificano in maschere ma come
marionette. La sua ideologia è stata definita dall'illuminismo popolare, dà ampio spazio al conflitto tra
nobiltà e borghesia, egli ritiene che l'individuo possa affermarsi, indipendentemente dalla classe a cui
appartiene c'è un continuo interrogarsi su se stesso e sul mondo. La socievolezza delle scene
goldoniane non nulla di tranquillo e cordiale.
• IL LIBRO DEL MONDO
Gli avvenimenti che nel libro del Mondo si leggono possono essere di segno negativo o positivo:
l'attenzione di Goldoni si rivolge sia ai vizi, si a qualità e virtù delle quali esso vuol mostrare il
valore. Il teatro attinge dal mondo in viene messa in gioco addirittura la persona reale dell'autore.
Il
teatro di Goldoni assume la qualità di un modernissimo realismo.
Nella convivenza di tante classi sociali sulle scende goldoniane, sono i borghesi ad assumere il
ruolo centrale: nelle prime opere essi mostrano una fisionomia tutta positiva, i nobili appaiono
invece privi di solidi valori. I servi mantengono ancora la schematicità di quelli della commedia
dell'arte, tra le commedie esemplari di questa visione dei borghesi, dei nobili, dei servi, si può
ricordare “ La famiglia dell'antiquario” . L'amore è una componente essenziale del mondo,
l'autore pare liberarsi dalla fisicità degli intrecci della commedia dell'arte, rinchiudersi in un altrettanto
schematica sottomissione dei sentimenti a una dimensione economica e moralistica.
• LA FASCINAZIONE E IL MALESSERE DEL TEATRO
Goldoni ha un senso fortissimo della valenza del teatro, il mondo si sottopone a una visione
critica
che turba l'equilibrio dei valori su cui si basa la vita delle classi sociali rappresentate; questa
visione critica si manifesta nei modi più diversi. La socievolezza delle scene goldoniane non ha nullo di
tranquillo e cordiale, si ha quasi la sensazione di un'insanabile irrequietezza. Il lieto fine tradizionale, si
limita a sospendere i conflitti più appariscenti, insieme al comico affiora una fascinazione erotica.
• I CAPOLAVORI GOLDONIANI
1. “ La bottega del caffè” = Tra le 16 commedie emerge “ La bottega del caffè” , opera
significativa per la perfetta organizzazione dello spazio scenico, essa delinea il ritratto
affettuoso di una piazzetta veneziana, animata dalla presenza di una bottega di caffè e di altri
locali che permettono ai personaggi un vivace gioco di entrare e di uscite. Questo
movimento assume un significato opposto per i due personaggi principali, il caffettiere
Ridolfo, cerca di portare le vicende a una esito positivo e onesto, e il nobile don Marzio,
pettegolo e malevolo. La vicenda si conclude con la vittoria del bene.
2. “ La locandiera” = Alla conclusione del periodo di lavoro per il teatro Sant'Angelo risale
“ La locandiera” , in cui la protagonista, attira col suo fascino nella locanda una serie di
nobili corteggiatori, che però mantiene a distanza. Si impegna a far innamorare di sé il
cavaliere di Ripafratta, nemico delle donne e dell'amore, ella respinge il pretendente e sposa
li scialbo servitore. Mirandolina subisce il fascino della finzione teatrale, sulla scena
balenano impossibili e pericolose promesse di felicità.
3. “ Il campiello” = è una commedia corale che narra i diversi momenti della vita quotidiana
del popolo in una piccola piazza veneziana, animato dalla presenza di personaggi femminili,
la struttura metrica, endecasillabi e settenari, dà al dialetto una freschezza e una levità
assolute; rappresenta un cavaliere forestiero che provoca un piacevole condiscendenza le
situazioni che portano alla festosa soluzione con i tre matrimoni finali.
4. “ Gl'innamorati” = Ne “ Gl'innamorati” si rappresenta, in un ambiente di cittadini, che
modella gran parte dei propri comportamenti su quelli della nobiltà, una serie di scontri e di
aspri dissidi originati dalla gelosia turba i rapporti tra Eugenia e Fulgenzio, sotto lo sguardo
- [Pagina 72]
dei servi. Nei dialoghi tra i due giovani si hanno scatti di singolare violenza, mentre i
personaggi sembrano agitati da una forza che li spinge a gridare e a uscire dalla scorza di
buon senso.
5. “ Trilogia della villeggiatura” = Nella “ Trilogia della villeggiatura” , scorrono
tensioni meno esplosive, sono irrise la moda della villeggiatura e la gara di apparenza
sociale a cui essa dà luogo.
6. “ I rusteghi” = “ I rusteghi” si ha un originale conflitto corale tra un gruppo di quattro
vecchi rustici e un gruppo di donne e di giovani, alla finale vittoria dei valori giovanili si
sovrappone, un patetico intenerimento per il mondo rappresentato dai vecchi.
7. “ La casa nuova” = Ne “ La casa nuova” la crisi economica che travolge il giovane
Anzoletto ha come corrispettivo la violenta contesa che oppone la sorella e la moglie, e che
si consuma in un andirivieni tra due case borghesi collocate su piani diversi, la conclusione
positiva della vicenda è possibile solo grazie all'intervento del vecchio zio.
8. “ Sior Todero brontolon” = Nel “ Sior Todero brontolon” tutti gli elementi sociali
e ambientali sono subordinati al conflitto che oppone il tirannico protagonista e la testarda
nuora.
9. “ Le baruffe chiozzotte” = Con “ Le baruffe chiozzotte” , Goldoni presenta la vita
dei pescatori di Chioggia, l'esatta imitazione della natura si regge sull'uso del dialetto di
Chioggia e si anima di una intensa nostalgia.
- [Pagina 73]
9 GIUSEPPE PARINI
Giuseppe Parini nasce a Bosisio nel 1729 e muore nel 1799.
Fu ordinato sacerdote , i suoi interessi si rivolgevano soprattutto alla cultura classica e alla poesia,
nel 1752 pubblicò una raccolta di 94 componimenti di vario genere “ Alcune poesie di Ripano
Eupilino”, in cui prevalevamo da una parte i modelli arcadici e dall'altra quelli della poesia
bernesca. Fu ammesso all'Accademia dei Trasformati, alla cui attività collaborò con
componimenti
poetici tra i quali il “ Dialogo sopra la nobiltà” , il “ Discorso sopra la poesia” . Le sue
condizioni economiche erano difficili, fu precettore del giovane figlio di Giuseppe Maria Imbonati,
per il quale scrisse l'ode “ L'educazione” .
Nel frattempo vennero pubblicati “ Il Mattino” e “ Il Mezzogiorno” . Nel 1768 venne
nominato poeta del Regio teatro ducale, per cui esordì adattando alla scena milanese il libretto
“ Alceste” , continuò curando i prologhi per rappresentazioni di melodrammi metastasiani e
scrivendo i testi per due feste teatrali l' “ Iside salvata” e l' “ Ascanio in Alba” . Dopo le
incertezze provocate dalla brusca attività riformatrice di Giuseppe II, fu nominato sovrintendente
delle scuole di Brera, e nello stesso anno uscì la raccolta delle “ Odi” , mentre restò incompiuta la
stesura finale del “ Giorno” .
La sua cultura si basa su una fedeltà alla tradizione classica, greca e latina, il suo è un
classicismo
integrale, aperto all'analisi della realtà e intreccia la cura per la forma e l'equilibrio espressivo.
Parini si pone come poeta civile. L'aspetto più interessante della sua ideologia sta nel confronto
tra
il suo modello sociale positivo e la società nobiliare contemporanea; alle classi più umili resta il
compito del lavoro manuale. Propone un'educazione alla nobiltà da cui nasce la poesia del
- [Pagina 74]
“ Giorno” . Con un atteggiamento molto diverso da quello degli illuministi del Caffè, egli lega il
suo interesse per la realtà contemporanea alla rivendicazione del valore della poesia e della
tradizione classica. Egli non fa che riproporre la poetica oraziana dell'utile dulci.
Il “ Discorso sopra la poesia” unisce questa tradizionale poetica alle esigenze dello spirito
filosofico contemporaneo e ai principi dell'estetica sensistica.
• IL GIORNO
Parini, ad essa lavorò per lunghi anni lasciando incompiuta. Durante la sua vita egli pubblicò
soltanto, i due poemetti “ Il Mattino” e “ Il Mezzogiorno” . In un primo momento pensava di
farli seguire da un terzo poemetto dal titolo “ La Sera” , ma in seguito progettò di comporre un
unico poema in endecasillabi sciolti, intitolato “ Il Giorno” e articolato in quattro parti: “ Il
Mattino”, “ Il Meriggio” , “ Il Vespro” e “ La Notte” . A lungo Parino lavorò alla revisione
dei primi due poemetti, la parte finale del “ Mezzogiorno” conflui in quella iniziale del
“ Vespro” .
“ Il Giorno” articolato in quattro parti, i complicati problemi filologici posti dai manoscritti
pariniani e dall'incompiutezza del “ Giorno” sono stati risolti dall'edizione critica di Dante Isella.
“ Il Mattino” del 1763 è preceduto da una breve e significativa dedica in prosa “ Alla moda” , e
la vita alla moda di un nobile giovin signore costituisce la materia e l'obiettivo di tutto “ Il
Giorno”, il Parini evita un aggressione diretta e preferisce ricorrere all'ironia, intende indicare al
giovane aristocratico il modo migliore per organizzare la propria giornata; il precettore-poeta
mostra tutto il vuoto e l'assurdità della frivola vita nobiliare, il suo intento ironico è rivelato dal tono
quasi eroico e sublime.
1. “ Mattino” = Nel “ Mattino” la voce del precettore descrive i più minuti movimenti
personali del giovin signore: vengono delineate le occupazioni che seguono il risveglio del
nobile ozioso, il tempo si concentra in una monotonia ripetizione dove emergono diverse e
opposte possibilità, distinguibili in livelli diversi che s'intrecciano e lo spazio e il tempo si
dissolvono, e si chiude con una figura significativa di distruzione.
2. “ Il Meriggio” = Il poeta tende a passare dalla posizione di precettore a quella di cantore.
Qui si ha l'ingresso sulla scena della donna, e le immagini di conflitto tra le classi sociali
sembrano sfumare nel “ Mezzogiorno” , le figure del signore e della dama si perdono
nell'incupirsi del tramonto, che crea una eguaglianza tra ricchi e poveri.
3. “ Il Vespro” = Rimangono solo alcuni versi, che svolgono soprattutto il tema dell'amicizia.
4. “ La Notte” = Qui si trovano i caratteri più inquietanti, è rimasta incompiuta il suo stile si
- [Pagina 75]
allontana da quella complessità sintattica e da quella precisione minuta e ricercata. Parini
interrompe il suo poema con l'identificazione di alcune figure a delle grottesche immagini di
animali, riesce a dare un tratto negativo.
• LE ODI
Composte in momenti diversi le “ Odi” furono in un primo tempo pubblicate separatamente in
manoscritti o in piccoli opuscoli a stampa. La prima ad essere stampata fu “ L'innesto del
vaiuolo”. Solo nel 1791 uscì una raccolta iniziale di 22 “ Odi” . Esse costituiranno un punto di
riferimento essenziale per Foscolo, Manzoni e Leopardi; le strofe delle “ Odi” si snodano in un
movimento sintattico composto e spesso difficile. L'io poetico di trasforma in voce educatrice, si
possono distinguere almeno tre fasi:
1. Una prima fase giunge fino alla soglia degli anni Settanta ed è dominata da una
problematica sociale il poeta si confronta con questioni che riguardano la qualità della vita e
il benessere sociale. Si ricordino “ La vita rusticana” , “ La salubrità dell'aria” ,
“ L'impostura” , “ L'innesto del vaiuolo” , “ Il bisogno” , “ La musica” .
2. La dimensione educativa caratterizza la seconda fase che prende avvio nel 1777 con “ La
Laurea”, e segue “ La recita de' versi” ; al 1785 appartiene “ La caduta” , che è poi
diventata un vero e proprio emblema della moralità pariniana, il cattivo tempo e le gambe
malferme provocano una caduta del poeta, povero e abbandonato; ricordiamo poi “ La
tempesta” e “ La magistratura” .
3. La terza fase delle “ Odi” pariniane può essere esplicitamente definita neoclassica da vita a
sottili e animate immagini di classica bellezza, queste immagini vengono incontro al poeta
come qualcosa di sfuggente, come manifestazioni di un mondo in cui egli ama, ma a cui non
riesce a partecipare fino in fondo. Questo atteggiamento è anticipato da “ Le nozze” e da
“ Il brindisi” , ma trova i risultati più alti in tre odi “ Il pericolo” , “ Il dono” , “ Per
l'inclita Nice” nota col titolo “ Il messaggio” .
Disegnando la nitida bellezza delle gentildonne, che saranno fondamentali anche per le odi
di Foscolo, la bellezza con l'impossibile desiderio del vecchio che si sente ormai prossimo
alla morte.
- [Pagina 76]
10 VITTORIO ALFIERI
Vittorio Alfieri, nasce ad Asti nel 1749 e muore nel 1803.
Alla morte del padre entra all'Accademia in una condizione di militare. Gli insegnamenti ricevuti
furono tutti esteriori che chiamerà di ineducazione e di non studi, le sue letture furono scarse e
marginali. Il giovane iniziò una serie di viaggi come smania di spostarsi e di fuggire, da una
irrequietezza che lo rende spesso indifferente ai paesi che attraversa. Entra in contatto con la
cultura
illuministica e la lingua che egli usa è il francese. Si allontana da ogni attività politica, e l'unica
strada per affermare la propria persona è la letteratura, comincia a interessarsi al mondo letterario
e
teatrale. Nel 1773 compose, in francese l' “ Abbozzo del giudizio universale” .
In mezzo a impeti di amore e di odio, egli aveva composto una tragedia “ Antonio e
Cleopatra”, accompagnata con la farsa satirica “ I poeti” . Il successo mondano lo spinge
definitivamente alla letteratura e alla scrittura di tragedie. Egli rifiuta la vita vana e oziosa, e gran
parte di quella cultura illuministica di cui avverte tutta l'insufficienza e l'inadeguatezza; Alfieri si
immerse nella letteratura di classici e latini.
Dopo un nuovo soggiorno a Pisa si fissò in Alsazia, in questo periodo cura la stesura e l'edizione
di
varie opere, dal trattato “ Del principe e delle lettere” al poema “ L'Etruria vendicata” ,
alle “ Rime” , alla “ Vita” .
• LA SCRITTURA DELLE TRAGEDIE
La struttura esterna della tragedia richiede un lavoro serrato e disciplinato. La tragedia
comportava
una comunicazione di tipo nobile. Egli si crea un metodo a cui resta fedele in tutte le su tragedie,
articolato in tre momenti:
- [Pagina 77]
1. ideare = Il primo momento consiste nel distribuire il soggetto in atti e scene, stabilire e
fissare il numero dei personaggi e scrivere un brevissimo riassunto scena per scena;
2. stendere = La stesura della tragedia nel suo complesso viene eseguita in un secondo
momento e prevede dialoghi in prosa;
3. verseggiare = In una terza fase i dialoghi vengono trasformati in endecasillabi.
Tuttavia, l'ultima di queste fasi lo scrittore solitamente si sofferma a lungo, alla strenua ricerca di
uno stile più rispondente alle sue esigenze espressive. Alcuni scritti nell'edizione parigina delle
tragedie danno una chiara esposizione delle idee dell'Alfieri sulla loro struttura e sul loro stile sono:
la “Risposta dell'autore” alla lettera che gli aveva inviato il Calzabigi sulle quattro tragedie del
primo volume dell'edizione senese, le “ Note” in risposta a una lettera sulle tragedie del terzo
volume senese, e il “ Parere dell'autore su le presenti tragedie” , composto per l'ultimo
volume dell'edizione parigina.
• L'IDEOLOGIA ALFIERIANA
La scelta letteraria è per lui scelta di libertà, e questa libertà la cerca nel mondo dell'assolutismo
significa impegnarsi un uno scontro tragico con il potere e con le sue istituzioni.
• “ Della tirannide” = Il breve trattato “ Della tirannide” costituisce il manifesto di uno
scontro senza quartiere tra l'uomo libero e i poteri assoluti; il primo libro definisce la
struttura della tirannide e dei sentimenti; il secondo i modi di sopportazione. All'assolutismo
che regna viene opposto l'esempio di vita civile dell'antica repubblica romana.
L'ideologia politica dell'Alfieri appare come un modo di porsi dello scrittore e dell'individuo nei
confronti della cultura e dei modelli di comportamento del proprio tempo. Una definizione assai
chiara del rapporto tra universo politico e prospettiva letteraria è contenuta nei tre libri “ Del
principe e delle lettere”, Alfieri cerca qui di integrare il proprio orizzonte classicistico con
alcuni parziali elementi illuministici. Alfieri arriva a una radicale negazione di ogni letteratura
cortigiana e compromissoria e a suggerire, il modello dell'intellettuale sradicato.
Cercando un linguaggio tutto diverso da quello tragico, Alfieri scrive “ Satire” in terza rima,
utilizza un linguaggio realistico toscaneggiante, si rivolgono a situazioni e figure del mondo
contemporaneo.
• IL SISTEMA TRAGICO ALFIERIANO
La sua scena è quella di un teatro vuoto e nudo, la tragedia alfieriana fosse necessaria la
dimensione
classica. Alfieri non fa altro che cercare un linguaggio classico che sia assoluto, lontano da ogni
troppo naturale varietà di linee e di colori. La situazione base della tragedia dell'Alfieri può essere
schematicamente riassunta in uno scontro tra ero positivi, che incarnano la virtù politica o eroi
- [Pagina 78]
negativi, che schiacciano ogni valore umano sotto la tirannica brama del potere. A queste figure
centrali si distinguono figure machiavelliche. Il tiranno e il suo nemico quasi sempre trascinati da
una forza superiore e spesso risulta indefinito il confine che li separa. Tiranno e uomo libero
hanno
infatti bisogno l'uno dell'altro, gli stessi uomini liberi vivono la loro virtù come qualcosa di regale.
A tali contrasti si sovrappone una catena di rapporti familiari, che quasi sempre legano tra loro
l'eroe e l'anteriore e chiamano in causa altri personaggi. Il tiranno e l'antitiranno possono essere
fratelli. Tutto l'insieme delle tragedie di Alfieri può essere cisto come continua variazione su una
serie di rapporti familiari, sembra che l'autore ruoti intorno a un inquietante nodo personale, aul
quale si può fare qualche ipotesi risalendo alla sua infanzia. Il finale di sangue che suggella
tragicamente i conflitti investe con orrore quella rete di rapporti familiari.
• LE TRAGEDIE DAL 1775 AL 1782
1. “ Filippo” = L'Alfieri non inserì il mal riuscito tentativo de l' “ Antonio e Cleopatra”
nel corpus delle sue tragedie. La sua prima tragedia pienamente riconosciuta fu il
“ Filippo” , essa si basa sulla vicenda dell'amore del giovane Carlo di Spagna per Isabella.
Attorno alla crudele figura del padre-tiranno si costruisce il dramma segreto di
quell'impossibile amore. Sopo la morte di Carlo e Isabella la scena si richiude nel silenzio
assoluto imposto dal tiranno.
2. “ Polinice” e “ L'Antigone” = Nelle quattro successive tragedie greche, Alfieri si
confronta con i due classici cicli tragici di Edipo e di Oreste. Con il primo nel “ Polinice” e
ne l' “ Antigone” .
3. “ Agamennone” e “ Oreste” = Col secondo ne l' “ Agamennone” e ne l' “ Oreste” ,
tragedie percorse da un ossessivo ritmo ripetitivo, il gesto assassino con Clitennestra uccide
Agamennone, figura di re e padre buono.
A parte considerate le cosiddetta tragedie di libertà, ambientate tutt'e tre su scenari diversi: dalla
Grecia eroica del “ Timoleone” , la più tesa ed efficace delle tre alla Roma repubblicana retorica e
scultorea della “ Verginia” , per arrivare alla grigia Firenze medicea della “ Congiura de' Pazzi”
ispirata da Machiavelli.
4. Centrate su figure femminili sono le altre due tragedie di tema classico l' “ Ottavia” e la
“ Merope” . La prima è ispirata alla vicenda della fine della moglie di Nerone, narrata da
Tacito, e si incentra sulla testarda volontà di amore con cui la donna resiste alla mediocre e
schematica figura del tiranno, sino a offrirsi serenamente alla morte. La seconda è scritta in
concorrenza postuma con la “ Merope” del Maffei, ed è una tragedia a lieto fine, in cui la
- [Pagina 79]
ricerca di essenzialità si apre a qualche più tenero spunto sentimentale.
• IL SAUL
Attingendo a un tema biblico l'Alfieri costruì la tragedia “ Saul” incentrata sulla figura del re
ribelle alla volontà di Dio, che dopo aver scacciato il successore designato David, perseguita i
sacerdoti, rifiuta l'aiuto di David e la protezione divina, va incontro alla battaglia e alla morte per
mano dei Filistei. Gli aspetti tirannici di questa figura si esprimono attraverso l'esplosione assoluta
di un io che rifiuta ogni limite ma che nello stesso tempo è insediato da una serie di ostacoli
esterni
e di turbamenti interiori che lo conducono all'esito tragico.
• LE ULTIME TRAGEDIE E LA MIRRA
Tra le ultime tragedie spicca la “ Mirra” , priva di risvolti politici, la vicenda si incentra sull'amore
incestuoso di Mirra per il padre Ciniro, narrata da Ovidio nelle “ Metamorfosi” . Mirra non deve
scontrarsi con l'ingiustizia e la prepotenza tirannica, ma solo con il male che sorge dal suo io più
interno. I genitori si preoccupano dell'infelicità della figlia con la cura e la dolcezza di moderni
genitori borghesi, disposti a perdonare i suoi atti inconsulti e le su stesse eventuali colpe
nascoste.
L'amore incestuoso di Mirra emerge come sfida al padre tenero e buono perché si trasformi in
padre
minaccioso e terribile. Mirra arriva a rivelare al padre il proprio segreto.
• L'IMMAGINE DELL'IO E LE RIME
La sua stessa concezione della letteratura spinge Alfieri a modi e a tecniche di scrittura che
mettano
in evidenza l'io.
• “ Rime” = La sua fortissima vocazione autobiografica, già manifestatasi nei “ Giornali”
giovanili, trova nelle “ Rime” e nella “ Vita” i due momenti più espliciti, quasi tra loro
complementari. La scrittura delle “ Rime” accompagna tutta la carriera letteraria
dell'astigiano, come una sorta di diario. La voce dell'io lirico serve qui ad Alfieri per
sceneggiare un ininterrotto mimo personale. Nelle “ Rime” l'esempio petrarchesco agisce
come modello di sublime liricità. Ne risulta un petrarchismo estremizzato e reso più astratto.
Anche nei sonetti amorosi, la figura della donna si manifesta soltanto come un riflesso di
questa scena dell'io. È una lirica che tende all'autoritratto e trova i risultati più significativi
proprio quando ci mostra l'autore travestito da poeta-eroe, come un attore delle sue tragedie.
• LA VITA
La grande diffusione del genere autobiografico nel Settecento, spinse l'Alfieri a raccontare
direttamente la propria vita, intitolata “ Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso” .
- [Pagina 80]
L'opera si sviluppò attraverso un lungo lavoro di redazione e di riscrittura che impegnò l'Alfieri fino
agli ultimi anni della sua vita. La “ Parte prima” è divisa in quattro epoche, dedicate alle diverse
età dell'uomo: Puerizia, Adolescenza, Giovinezza, Virilità; la “ Parte seconda” è concepita
semplicemente come una continuazione della quarta epoca.
La “ Vita” è tutta proiettata a definire la missione dello scrittore, abbiamo una rievocazione di una
vita ancora non cosciente di sé. Nell'epoca terza, con la narrazione dei viaggi giovanili.
Rispetto alle prime tre epoche, appare più monotona e lineare la quarta, dedicata al lavoro dello
scrittore, il senso di tutta quell'esistenza sembra alla fine volersi fissare in un futuro che la rende
postuma a se stessa. Il significato della “ Vita” non si chiude comunque sotto l'immagine del
grande autore tragico che ha compiuto la sua missione, affiora il comico; una trama ironica
percorre
gran parte della “ Vita” . L'autore può rivolgersi al lettore senza attenuare la propria stessa
immagine tragica fino a confrontarla col ridicolo. Il fascino della “ Vita” sta nei modi in cui
l'Alfieri espone il suo io-personaggio al periodo del comico, come la vita dello scrittore nobile non
possa più essere tragica, proprio per sfuggire Alfieri, aveva scelto i modelli letterari del passato e
accettando di vedersi anche sepolto prima di morire.
- [Pagina 81]
11 ALESSANDRO MANZONI
Alessandro Manzoni nasce nel 1785 e muore nel 1873, vive in un primo momento nella casa
paterna, compie i suoi primi esperimenti nella Milano napoleonica, e per sottrarlo dalla vita libera
di
Milano il padre lo invia a Venezia presso il cugino la cui morte lo costringe a tornare a Milano ma
alla morte di Carlo Imbonati raggiunge la madre a Parigi e durante questo soggiorno scrive e
pubblica il carme “ In morte di Carlo Imbonati” , che è inoltre la sintesi della sua conversione,
ed attraverso la madre, intrecciò stretti legami con alcuni degli idèologues frequentandoli
Manzoni
trova sostegno nella sua insoddisfazione per le prospettive illuministiche, si ponevano le basi di
una
vera e propria conversione religiosa e letteraria, che maturò da vari viaggi e da eventi cruciali
come
la morte del padre,in più la sua conversione fu il punto d'arrivo di una ricerca che mirava a un
valore unitario e universale, il Manzoni cattolico vuole porsi come raggiungimento di una
razionalità più alta e universale che non esclude un confronto con le forme laiche della modernità,
l'Autore rifiuta i compromessi e le consolatorie mediazioni tra essere e dover essere, a questa
tensione si adatta la formula di De Sanctis, che vide l' ideale calato nel reale , ma per Manzoni lo
scrittore cristiano continua a cercarla, ma sa che si può realizzare solo nel regno di Dio, la
religione
si pone come difesa contro gli aspetti distruttivi della personalità dell'Autore, quindi si può definire
il Manzoni una persona fragile, questo si può inoltre affermare poiché durante la festa del
matrimonio di Napoleone con Maria Luigia d'Austria, persa Enrichetta tra la folla, Alessandro
ebbe
una crisi d'angoscia che si trasformò in crisi nevrotiche in agorafobia.
Lo scrittore si rivelò con gli “ Inni Sacri” , l'Autore mette mano a una nuova poesia ed abbandona i
modelli classici e gli schemi della letteratura italiana, egli progetta una serie di 12 Inni Sacri
dedicati alle festività fondamentali della liturgia cattolica. Tra il 1812 e il 1815 ne vengono
composti 4: “ La Risurrezione” , “ Il Nome di Maria”, “Il Natale”, “La Passione” e a partire
- [Pagina 82]
al '17 iniziò “ La Pentecoste” . In essa si addensano figure concrete con le vicende umane e
divine,
gli aspetti della natura sembrano riscoprire la loro giovinezza comunicando in modo nuovo con
gli
esseri umani, siamo lontani dagli schemi lirici petrarcheschi, Manzoni ambisce a rifare in chiave
moderna il linguaggio della poesia biblica, ma il linguaggio appare artificiale e fittizio.
Con i nuovi moti e processi portarono lo scrittore a nuove speranze e nuove delusioni ed alla
pubblicazione, delle “ Osservazioni sulla morale cattolica” , de “ Il conte di Carmagnola” . A
Firenze conobbe gli scrittori dell'Antologia e si incontrò anche con Giordani e con Leopardi.
Il tranquillo scorrere della sua vita venne turbato da gravi e dolorosi lutti, lo scrittore li superò
sposandosi in seconde nozze che ne seguì un periodo di rinnovata vitalità creativa che gli
consentì
di concludere il rifacimento linguistico dei “ Promessi Sposi” .
Dopo l'annessione della Lombardia al Piemonte, Vittorio Emanuele II lo nominò senatore, e
partecipò alla pubblicazione del Regno d'Italia, ma pur rimanendo fedele alla sua fede era ostile
al
potere temporale dei papi. Liberata Roma ne accettò il nuovo Comune laico, suscitando l'ira dei
cattolici reazionari.
Gli avvenimenti rivoluzionari, gli fecero assumere atteggiamenti giacobini, questo si può trovare
nel
poemetto-visione, suddiviso in quattro canti in terzine “ Il trionfo della libertà” , seguendo gli
schemi danteschi, ma le reali condizioni dell'Italia lo portarono ad allontanarsi ben presto dalle
originarie posizioni giacobine, svolgendo esperienze letterarie di tipo neoclassico.
• POESIA CIVILE
Manzoni tentò anche una poesia civile ispirata ai valori di una religione combattiva, egli scrisse
due
canzoni civili ancora legate a modelli linguistici petrarcheschi, rimaste incompiute e inedite “ Aprile
1814” e “ Il proclama di Rimini”. Migliori risultati raggiunse più tardi l'ode “ Marzo 1821” , in
appoggio ai moti carbonari: si tratta di un componimento in strofe di decasillabi, di cui Manzoni
distrusse il manoscritto per timore di persecuzioni politiche, e che riscrisse a memoria.
• SCRITTURA TRAGICA
L'interesse di Manzoni per la tragedia si legò al più largo interesse del Romanticismo, egli elaborò
una sua idea di tragedia storica che rifiutava le tradizionali unità aristoteliche di tempo e di luogo e
cercava un intreccio di quadri storici, nel tempo e nello spazio, l'Autore sostiene che deve mettere
in
luce i dolori, gli eroi tragici devono essere degli innocenti, la rappresentazione di una realtà storica
autentica e non romanzesca.
La prima stesura della tragedia manzoniana fu difficile, ed è “ Il conte di Carmagnola” , la sua
complessità è testimoniata da tre stesure autografe che precedono la prima edizione, i 5 atti in
endecasillabi sciolti mettono in scena la vicenda del condottiero quattrocentesco Francesco
Bussone, accusato di tradimento e condannato a morte dal governo della Repubblica. Sulla
scorta di
- [Pagina 83]
ricerche storiche, Manzoni accetta la tesi dell'innocenza del Carmagnola, facendo di lui un
modello
di eroe, condotto alla rovina dagli uomini politici; il linguaggio è pieno di formule e schemi
classicistici, introduce un punto di vista opposto a quello dell'eroe dei personaggi.
Nel soggiorno parigino Manzoni approfondì i problemi del genere tragico, progettò una nuova
tragedia, dedicata al problema del rapporto e dello scontro tra popoli e razze diverse sul suolo
d'Italia. A Milano mise mano a l' “ Adelchi” , incentrato sulla caduta del dominio longobardo in
Italia in seguito alla discesa dei Franchi di Carlo Magno. Una lettera al Fauriel ci rivela forte
insoddisfazione di Manzoni per quei particolari d'invenzione che attribuiscono all'Adelchi un
colore
romanzesco. La struttura dell'Adelchi è più aperta e decentrata procede per tensioni e punti di
vista
contrapposti, ai dati storici si sovrappongono più intensi elementi morali e patetici, un tono di
conversazione percorre l'intera opera.
• SAGGISTA
La composizione delle tragedie poneva Manzoni di fronte ad alcuni fondamentali problemi: egli
sentiva l'esigenza di illuminare fino in fondo i legami tra la sua opera artistica e una concezione
unitaria dell'uomo, egli si presenta qui come saggista , si confronta con punti di vista diversi, con
critiche e confutazioni rigorose, disposto anche a mettere in questione se stesso. Le “
Osservazioni
sulla morale cattolica” furono scritte durante la stesura del Carmagnola , si presentano come una
risposta alle accuse rivolte alla Chiesa cattolica. Manzoni ritiene che la stessa esigenza di
universalità della ragione illuministica possa trovare una piena realizzazione solo accettando una
verità sicura e immutabile come quella cristiana, garantita e trasmessa dalla Chiesa. Egli critica la
storiografia laica e giurisdizionalista e afferma che il suo limite va cercato nella concezione della
storia come scontro tra potenze, tra forze statali.
Tra la composizione delle tragedie e l'inizio del lavoro sul romanzo, la riflessione manzoniana sui
generi e sulle forme letterarie trovò ampia espressione in numerose lettere private. Egli su una
lettera precisa il senso del suo rifiuto delle unità aristoteliche di tempo e di luogo. Manzoni vede
nelle unità aristoteliche il supporto di un tipo di teatro che si incentra su una tematica amorosa e
su
una dialettica delle passioni estremamente astratta, la poesia tragica deve indagare sui
sentimenti
con cui gli uomini vivono gli avvenimenti e su quegli aspetti della storia che sfuggono alla
storiografia vera e propria.
• IL 5 MAGGIO
Caso unico nell'attività letteraria di Manzoni, “ Il Cinque Maggio” fu composto di getto, alla
notizia della morte di Napoleone, l'ode veniva presentata alla censura, che non ne permise la
pubblicazione; ma essa circolò subito manoscritta. Ricco di fratture e di pause, il discorso si
avvolge in oscurità sintattiche e in ardite scelte lessicali. Il fascino del personaggio, che Manzoni
- [Pagina 84]
aveva guardato con diffidenza e ostilità, emerge sotto il segno della sconfitta e della morte, il
poeta
abbandona la sua ricerca di valori storici e guarda alla vicenda di un individuo, che nella vita ha
dato prova di un eroismo tutto indirizzato alla ricerca del potere e della gloria, ma la sconfitta lo
inserisce nel piano della Provvidenza, lo scrittore lo immagina, stanza e deluso, lo immagina nella
speranza della morte cristiana.
• LA PENTECOSTE E GLI INNI SACRI INCOMPIUTI
L'ultimo degli inni sacri portato a termine da Manzoni, “ La Pentecoste” di cui si hanno tre
redazioni diverse. In un succedersi di 18 strofe otto settenari, dominate da un'alternanza di
sdruccioli e piani, e si attenuano la conflittualità e l'asprezza. Nella seconda redazione la discesa
dello Spirito Santo pareva annunciare l'affermazione di un più vigoroso spirito di libertà. La
redazione finale invece pone l'accento sulla conciliazione e sulla solidarietà che lo Spirito
annuncia
all'umanità, la lirica si distende in un ritmo dolcemente liturgico, e ne risulta un perfetto equilibrio.
1. “ Il Natale del 1833” , fa emergere frammenti di dolore e di fede, nelle strofe e nei versi
frammentari la parola interroga Dio sulle ragioni della sofferenza e della distruzione; è un
confronto del poeta, afflitto per la perdita della moglie.
2. “ Ognissanti” , il più ampio frammento dell'inno, in quartine di ottonari, che tocca il tema
della santità solitaria, si avvale di corrispondenze tra immagini e di accostamenti fonici per
cercare qualcosa di segreto, profondo e inafferrabile. Manzoni pare dar voce a qualcosa di
oscuro e d'irrazionale.
• GENESI E STORIA DEL ROMANZO
La ricerca di un pubblico nazionale, Manzoni aveva bisogno di una struttura letteraria più aperta e
disponibile. Per questo egli si accostò al romanzo storico. Iniziò la stesura di un nuovo romanzo
in
prosa ambientato nella Milano del '600, quando il Milanese fu sconvolto da una terribile carestia e
poi da una devastante pestilenza, ha al suo centro due umili popolani, la scelta del secolo XVII
propone un quadro storico lontano da quello contemporaneo; il primo strumento è l'espediente,
del manoscritto ritrovato: l'Autore finge di aver trovato un manoscritto del secolo XVII che narra
quella storia milanese, e inizia il romanzo fingendo di trascrivere le parti iniziali, col linguaggio
seicentesco, ma dopo poche pagine, interrompe la trascrizione e comincia a raccontare la storia
nel
proprio linguaggio. Era probabilmente designato con i nomi dei protagonisti, “ Fermo e Lucia” a
esso si aggiungeva una “ Appendice storica su la colonna infame” . La prima redazione del
romanzo era conclusa in un manoscritto diviso in quattro tomi: il (1) è dedicato agli ostacoli
frapposti alle nozze di Lucia e Fermo, fino alla fuga dal villaggio; il (2) narra le vicende di Lucia,
accolta nel monastero di Monza e poi fatta rapire con la complicità di questa, su richiesta di Don
- [Pagina 85]
Rodrigo; il (3) tomo, la liberazione di Lucia e la sua collocazione in casa di Don Ferrante , si
concentra sulle avventure di Fermo; il (4) è dominato dalla guerra e dalla peste e si conclude col
ritorno di Fermo, il ritrovamento di Lucia e lo scioglimento della vicenda. Questa prima stesura si
basa su blocchi narrativi compatti, ed entro questa struttura si inseriscono ampi spezzoni di storie
relative a singoli personaggi.
Il Fermo e Lucia è simile a un romanzo saggistico, che propone sottili analisi morali e vicende
continuamente passate al vaglio di una interpretazione problematica. Il moralismo di Manzoni è
qui
molto più esplicito che nei Promessi sposi, qui la separazione del bene e del male non ammette
sfumature; da una parte ci sono gli umili sostenuti da i religiosi, dall'altra i potenti perversi; tra i due
gruppi non c'è comunicazione. I personaggi sono sottoposti a un'analisi morale, che giunge a
momenti di vertiginoso acume critico in aggiunte Manzoni evita di rappresentare forme di
malvagità pura e priva di limiti, trionfate e sicura di se; oltre a ciò la frattura tra la lingua parlata e la
lingua scritta aveva suscitato l'attenzione di Manzoni fin dagli anni giovanili, nel primo abbozzo del
romanzo Manzoni si affidò a un italiano comune composto da schemi di varia provenienza la cui
mescolanza lo lasciava piuttosto insoddisfatto e di questa insoddisfazione è prova la seconda
redazione dell'Introduzione , egli prospettava un intervento nella questione della lingua, la lingua
dei Promessi Sposi del '27 si basa su quelle forme di conversazione dell'ambiente lombardo
colto
che appaiono congruenti e conciliabili con un modello toscano. Con l'edizione dei Promessi
Sposi
del ' 40 Manzoni pensò di raggiungere un modello linguistico veramente universale. La lingua dei
Promessi Sposi nella loro redazione finale è lo strumento migliore per quella mediazione tra
soggettività, e gli umili e i potenti parlano la stessa lingua, utilizza un linguaggio sperimentale una
lingua composita, in cui si sovrappongono elementi toscani, lombardi, francesizzanti, in cui si
alternano i livelli stilistici più diversi.
Una volta terminata la prima redazione Manzoni ne intraprese subito una vasta riscrittura e
ristrutturazione, al quale dopo la scelta provvisoria del titolo “ Gli Sposi Promessi” , venne
assegnato il titolo definitivo “ I Promessi Sposi” col sottotitolo “ Storia milanese scoperta
e rifatta da Alessandro Manzoni”. La più generale struttura narrativa si ricollega a uno
schema romanzesco tradizionale, quello dei due giovani innamorati la cui felicità è ostacolata da
forze nemiche, ma che, riescono a ritrovarsi e a sposarsi. La conclusione positiva vede il loro
trasferimento in un altro paese dove Renzo impianta un attività di piccolo imprenditore tessile.
Manzoni rifiuta di concludere la sua storia in quell'illusorio recupero di paradisi originari a cui
approdavano gli schemi romanzeschi tradizionali e quelli dell'idillio. Il disegno del romanzo vuol
essere una ricostruzione dello scontro tra le forze che ostacolano l'esistenza dei due giovani e
quelle
che invece vengono ad aiutarli e sostenerli, si tratta di forze che trovano una giustificazione nei
- [Pagina 86]
piani inconoscibili della Provvidenza divina. Secondo la definizione di Italo Calvino, nei Promessi
Sposi si può riconoscere il «Romanzo dei rapporti di forza».
Il romanzo si sostiene sui rapporti e sulle tensioni di 8 personaggi, di questi otto, 4 appartengono
al
mondo laico : Renzo, Lucia, Don Rodrigo, l'Innominato ; e 4 al mondo ecclesiastico : Don
Abbondio, il cappuccino padre Cristoforo, la monaca Gertrude, il cardinale Federigo
Borromeo.
• MONDO LAICO:
1. Renzo e Lucia = Rappresentano la forza positiva e fanno da centro dell'azione; Renzo è il
personaggio mobile dell'intero romanzo, e i lettori sono sollecitati a ravvisare in lui
un'immagine di cristiano onesto; Lucia appare al contrario un'immagine di troppo stilizzata
femminilità, è colei che illumina una donna angelo, segno di bene e di salvezza;
2. Don Rodrigo (Male) = Ha un capriccio per Lucia e mette in moto tutta l'azione del romanzo,
dalle minacce che fanno a Don Abbondio fino alla richiesta di aiuto al più potente
innominato, che si incarica di far rapire a Lucia, oltre a ciò porta il libertino Don Rodrigo
alla punizione divina;
3. L'Innominato = Cambia improvvisamente posizione e si trasforma in aiutante delle forze
del bene.
• MONDO ECCLESIASTICO:
1. Don Abbondio = Il più vicino alla vita quotidiana dei protagonisti, in tutte le vicende del
romanzo è chiamato in causa controvoglia, inoltre è un personaggio di raccordo tra il mondo
popolare e quello superiore, è una figura comica che richiama su di sé insieme riprovazione
e simpatia;
2. Padre Rodrigo = Principale aiutante dei protagonisti nella fase iniziale, allontanato poi dalla
scena per l'intervento del conte zio, come figura suprema del bene ha la funzione di risolvere
tutta l'azione;
3. Monaca di Monza (Male) = Da aiutante di Lucia si trasforma in aiutante dei suoi rapitori,
ed è travagliato da un groviglio di paure;
4. Cardinale Federigo Borromeo (Bene) = Rappresenta il volto positivo dell'alta gerarchia
ecclesiastica, si pone come aiutante degli umili.
L'analisi del Manzoni scende in fondo nei caratteri morali e nella psicologia dei personaggi: la sua
narrazione è anche indagine sulle contraddizioni del cuore umano. Nel suo racconto troviamo
una
tensione ostinata a illuminare ciò che di confuso e di oscuro c'è nel cuore umano.
A metà del racconto il romanzo raggiunge il suo punto più negativo, si ha l'allontanamento di
Padre
Cristoforo, la fuga di Renzo, il rapimento di Lucia, ed è qua che sia ha conversione
dell'innominato
e l'ingresso in scena del cardinale introducendo decisivi mutamenti, la peste permette il ritorno di
- [Pagina 87]
Renzo ripercorrendo la Lombardia su un carro carico di cadaveri. Questo suo cammino nel
regno
dei morti è il necessario compimento della sua formazione.
Gli eventi possono presentare più facce: il loro senso ultimo deve essere affidato alla
Provvidenza
divina, la voce dello scrittore chiama in causa il pubblico con una ironia che si rivolge verso la
condotta dei personaggi. Questa ironia mette in guardia contro ogni sopravvalutazione dei
rapporti
tra autore, svela l'irrazionalità dei gesti e dei modi con cui gli uomini si relazionano, e a differenza
dell'ironia romantica essa cerca di suggerire un equilibrio tra soggettività e oggettività e non
oscura
la partecipazione dell'autore. Questa partecipazione si rivela con forza nel modo stesso di
accostarsi
al mondo degli umili e nei numerosi casi in cui la narrazione più concreta riesce a caricarsi di
pietà.
La partecipazione soggettiva dell'autore finisce per dare un'immagine ideale e deformata del
mondo
degli stessi umili. Come ha mostrato Antonio Gramsci , l'atteggiamento sociale manzoniano si
risolve in un aristocratico paternalismo.
• ADDIO AL ROMANZO
Il romanzo non appagò Manzoni nella sua ricerca di verità e di storicità, già nella prima edizione
dei
Promessi Sposi egli cominciò a convincersi che la struttura del romanzo storico, implicava una
presenza troppo invadente di elementi soggettivi. Manzoni tendeva ormai a una critica della
letteratura ed egli se ne allontanò impegnandosi in studi filosofici e storici.
- [Pagina 88]
12 Giacomo Leopardi
Giacomo Leopardi nasce nel 1798 e muore nel 1837. La sua prima educazione fu opera di
precettori ecclesiastici, sin da bambino sviluppò il culto per gli eroi antichi e durante l'adolescenza
s'impegno in una serie di letture che gli permisero di acquisire una padronanza assoluta nel
campo
della filologia e dell'erudizione classica. Lo sguardo con cui si affacciava a questo mondo antico lo
faceva sentire diverso dagli angusti spazi del presente, tutto ciò gli fece avvertire un senso di
infelicità e il desiderio di qualcosa di grande glielo fecero negare le sue disgraziate condizioni
fisiche. Per il modo in cui il suo genio veniva coltivato e protetto come in una gabbia. Egli si
allontana dall'ideologia reazionaria del padre, pur continuando ad aderire all'ideologia reazionaria
del padre continuando ad aderire al cattolicesimo e al legittimismo politico. Il desiderio di qualcosa
di assoluto lo induceva a fantasticare l'amore, la più dolce comunicazione con la bellezza
femminile; allo stesso tempo sentiva la perdita di sé, della morte.
Tra il '15 e il '16 il bisogno di nuove esperienze lo spinsero a una nuova passione per il bello,
manifestata da nuovi esperimenti di traduzione e da più originali prove poetiche. Nel '17 iniziò la
sua corrispondenza con Pietro Giordani, che gli aprì più vasti orizzonti culturali e gli diede una più
sicura coscienza del proprio valore intellettuale, questo modello rinsaldò i suoi legami con la
tradizione classicistica e illuministica guidato da un appassionato culto della virtù antica. E nel '17
iniziò la stesura di quello che doveva divenire lo “ Zibaldone” . Leopardi vedeva nel presente
come
corruttrice e nemica dei valori della natura. Nel '19 sentì aggravarsi la sua infelicità per una
malattia agli occhi, e si distaccò definitivamente dalla religione ed aderisce alla filosofia sensistica
e
materialistica, ha una conversione filosofica.
• OPERETTE MORALI
Soggiornando a Roma durante la Restaurazione produsse in Giacomo una nuova delusione
cadono
quegli intellettuali che avevano sperato in una posizione più aperta dei nuovi governi e si sviluppa
la polemica classico-romantica, testimoniata da numerose lettere scritte ai familiari. Sentì ancora
più forte la propria diversità e si convinse dell'impossibilità di fuggire dalla propria condizione, in
- [Pagina 89]
uno stato di distacco e quasi di tranquilla indifferenza rispetto alla sua condizione esistenziale
Giacomo progettava ed elaborava inoltre le “ Operette morali” , erano dei testi in prosa, brevi e
si servì di miti filosofici in negativo, capace di offrire immagini vive dell'infelicità dell'uomo, la sua
misura classica viene da un equilibrio tra caratteri regionali diversi, da un controllato rapporto con
tutta la tradizione della prosa letteraria italiana, al di fuori della questione della lingua , è aperta
verso il futuro ad un pubblico lontano. Le Operette, alcune si svolgono come narrazioni o come
riflessioni di tipo teorico, si servono di un repertorio di tutta la storia della cultura e della letteratura.
Tra i temi fondamentali delle Operette c'è l'indagine sulla felicità e sull'infelicità , che si esprimono
in invenzioni e in situazioni dialogiche, in appassionata tensione verso una impossibile felicità. Il
libro delle Operette morali ha una sua compattezza e organicità, è un'analisi spregiudicata e
intensa
delle forme morali della vita umana.
Nella capitale toscana frequentò vari intellettuali e scrittori, ed ebbe modo di incontrare Manzoni.
Nell'ultimo soggiorno natio sospeso tra i ricordi della giovinezza, nascono quattro dei suoi più
grandi canti che vengono di solito indicati come i grandi idilli per sottolineare la continuità con gli
idilli del '19-'21, ma Leopardi non li indicò mai come tali, e sono:
1. “ Le Ricordanze” = Canzone libera,
2. “ La quiete dopo la tempesta” e “ Il sabato del villaggio” = Sono due canzoni
libere, si propongono come apologhi morali, usa due punti di vista opposti e complementari,
che mostrano ne “ La quiete dopo la tempesta” , come una vera gioia sia negata
all'uomo, che può trovare le sole parvenze del diletto nel guardare al dolore passato e nelle
sue pause; o nel guardare come nel “ Il sabato nel villaggio” , alla felicità futura.
L'originalità e il tono affettuoso dei quadri di vita quotidiana si sostengono proprio su questo
significato così negativo.
3. “ Il canto notturno di un pastore errante dell'Asia” = È concentrato sulla
negatività assoluta della condizione umana, qui il pessimismo di Leopardi si afferma nel suo
nucleo più semplice e cristallino, liberato da ogni riferimento a dati storici e a eventi
personali. In questa poesia si assiste ad un colloquio diretto con l'astro lunare, nella
solitudine notturna di una espressione pura e primitiva essenza umana, s'interroga sul senso
dei processi naturali che chiamano in causa un sapere e un potere ignoti, questo suo
interrogare è animato da un'intensa ricerca di comunicazione con la femminile luna, c'è una
spinta appassionata a superare la distanza che separa il pastore dall'enigmatico astro; non ci
sono risposte e resiste solo un profondo distacco dalla vita, che assale l'uomo anche quando
è privo di sofferenze e di desideri; l'ipotesi che esistano condizioni più felici di quella
dell'uomo, è alla fine annullata da quella dell'infelicità universale.
- [Pagina 90]
4. “ Il passero solitario” = Si ricollega ai caratteri stilistici dei canti recanatesi, si tratta di
una poesia ricca di elementi idillici, composta appositamente dal poeta per aprire la parte del
libro contenente gli idilli. Ha una struttura lineare, articolata in 3 stanze: dedicate la (1) al
passero solitario , animale che per natura vive solo ; la (2) al poeta , che vive la sua
giovinezza senza partecipare alla vita degli altri e alle sue gioie festive; la (3) a un
confronto tra il passero e il poeta, perché mentre il comportamento del passero è naturale,
quello del poeta non lo è, che nella vecchiaia sarà costretto a guardare con rimpianto alla
sua perduta giovinezza.
• FORMAZIONE CULTURALE
La sua è una formazione di tipo arcadico e settecentesco, essenziale è il definirsi in lui un
atteggiamento classicistico, cerca un rapporto diretto con i grandi autori greci e latini con i loro
valori originari. Dal punto di vista ideologico, si muove verso una sorta di cattolicesimo
illuministico, che difende i valori della tradizione cristiana come valori razionali, opponendoli a
tutte le credenze mitiche o superstiziose.
Tra le numerose esercitazioni poetiche puerili ricordiamo le tragedie: “ La virtù indiana” e
“ Pompeo in Egitto” . Inoltre seppe dimostrare una conoscenza delle lingue classiche nei primi
lavori di filosofia e di erudizione. Gli scritti filologici di Leopardi possono distinguersi in 5 gruppi:
1. compilazioni e lavori eruditi dei primi anni , dove già compaiono alcune intuizioni
filologiche;
2. discorsi premessi alle traduzioni ;
3. note filologiche e linguistiche , sparse nello “ Zibaldone”;
4. tre articoli scritti durante il soggiorno romano ;
5. sparse note filologiche scritte o abbozzate .
La ricca erudizione è animata da uno spirito illuministico di denuncia dell'errore e di esaltazione
della ragione, ma anche da una attrazione per le favole, gli errori, le illusioni.
• POLEMICA TRA CLASSICI E ROMANTICI
Leopardi seguì lo svolgersi della polemica tra classici e romantici, scrisse un ampio “ Discorso di
un italiano intorno alla poesia romantica” . In questo Discorso l'Autore espone alcuni
cardini della sua concezione della poesia e con rapporti tra poesia e storia. Nel difendere le
posizioni classicistiche, Leopardi si stacca da ogni atteggiamento retorico e formalistico,
ponendosi
in un'ottica a cui si adatta molto bene la definizione di «primitivismo classico» , così l'imitazione
dei classici viene difesa in quanto essi sono più vicini alla natura, più legati a una vitalità autentica
e
primigenia. Seguendo l'insegnamento di Rousseau, Leopardi vede un'opposizione radicale tra
natura e incivilimento : il rapporto con la natura è fonte di una forte capacità di sentire, produce
- [Pagina 91]
illusioni , capaci di dare un senso alla vita; il mondo antico più vicino alla natura, trova la sua
espressione in una poesia che sa illudere e dilettare . Con lo sviluppo della civiltà materiale, il
mondo moderno ha spento la facoltà dell'immaginare e dell'illudersi, trovando la sua espressione
nella filosofia, in una conoscenza che è anche violenza sulla natura. L'imitazione non non dovrà
però essere servile ma in grado di far rivivere il significato della poesia, che si fonda sulla forza del
cuore , è una poesia originariamente sentimentale .
L'adesione di Leopardi al classicismo resta assai forte, come mostrano la sua base filologica e
letteraria non si allontanano mai da una razionalità comunicativa, nettissimo è il suo distacco dal
Romanticismo italiano, dal classicismo ricava una volontà di esperienza forte ignota ai romantici
italiani, giunge a una poesia assolutamente originale, estranea sia agli schemi classicistici sia a
quelli romantici, egli vede sulla poesia uno strumento di conoscenza di sé e dell'io del poeta nel
suo
essere presente, la poesia è espressione della persona. La lirica appare quello più spontaneo e
originario può realizzare la tendenza autentica della poesia, dando voce alle sensazioni più
indefinite e inafferrabili, non fissate in disegni corposi e in limiti precisi; il suo ambito è quello del
vago, dell'indeterminato, dell'infinito, della memoria e del ricordo. La forma artistica più vicina alla
poesia è la musica.
• LO ZIBALDONE
Nel 1817 Leopardi iniziò a raccogliere gli appunti destinati a costituire lo “ Zibaldone dei
pensieri” a cui continuò a lavorare sino al 1832. Nello Zibaldone la riflessione di Leopardi si
svolge nel modo più libero, si interroga sempre più a fondo sul senso dell'esperienza letteraria,
sul
rapporto dell'uomo con la natura e sul significato dell'esistenza individuale e sociale. Si rivela
l'orizzonte della filosofia di Leopardi, ed emergono i temi del suo pensiero. In vari pensieri dello
Zibaldone, si ha una rivalutazione del senso della vita e dell'amicizia tra gli uomini. Leopardi non
intende recuperare il valore delle «illusioni», ma esprimere un nuovo bisogno di seguire il flusso
delle emozioni e delle sensazioni. La nuova riflessione sulla poesia e la nuova poesia si
inseriscono
totalmente nel pessimismo materialistico e scendono in fondo alla contraddizione tra la
condizione
naturale e i caratteri che al suo interno assume la materia pensante dell'uomo. Questa filosofia
non è
qualcosa di sistematico e di rigidamente tecnicizzato, inoltre si lega ad alcuni svolgimenti del
pensiero illuministico: preferisce svolgersi attraverso interrogazioni e approfondimenti continui,
con
un metodo aperto, suggestivo e modernissimo. Quella di Leopardi è una filosofia che sa
impostare
prospettive essenziali sulla condizione umana, rifiuta i tradizionali schemi istituzionali della
filosofia.
Sia la filosofia che la poesia sono modi convergenti per capire il senso della situazione dell'uomo
nel mondo. Leopardi anticipa le forme più critiche e negative del pensiero contemporaneo.
- [Pagina 92]
• TEORIA DEL PIACERE
Il pensiero di Leopardi non era omogeneo, ma si svolge con alcuni mutamenti, con la
precisazione
di un orientamento pessimistico.
Intorno al 1817 Leopardi elabora il suo cosiddetto pessimismo cosmico, che vede nella natura
una fonte di vitalità, produttrice di generose «illusioni», a cui oppone l'arido «vero», fondamento
delle moderne società «civilizzate» .
Intorno al '19 questa prospettiva si arricchisce e si complica attraverso l'adesione alla filosofia
sensistica e l'abbandono del cattolicesimo. Si registra un continuo, inquieto spostamento del
giudizio sulla natura e sul rapporto tra il «vero» e le «illusioni»: Leopardi si accosta a una
tendenza
essenziale del pensiero illuministico, il meccanismo materialistico .
Intorno al '23 elabora il suo pessimismo cosmico .la natura appare come una forza cieca
« matrigna » e ostile all'uomo; alla vanità delle « illusion i » si oppone la necessità di approfondire
la conoscenza del «vero», della infelicità costitutiva della condizione umana.
Dopo la «conversione filosofica», si inserisce in una visione «sensistica», che mette in primo
piano
il problema della felicità: l'azione delle illusioni sull'uomo deriva da una catena di condizioni date
dai sensi e si spiega attraverso quella che Leopardi definisce la sua teoria del piacere. Secondo
questa teoria, ogni comportamento umano è guidato da un'aspirazione al piacere che non riesce
mai
a realizzarsi totalmente ma si risolve in un continuo desiderio o aspettazione; il raggiungimento di
determinati oggetti di desiderio non soddisfa mai veramente, poiché il desiderio è sempre
«infinito», e ciò spiega l'inclinazione dell'uomo per l'immaginazione come possibilità di «concepire
le cose che non sono» .
Questa teoria già ben definita nello Zibaldone, spiega la disposizione dell'uomo a trovare un
senso
alla propria vita attraverso le illusioni e la stessa esperienza poetica; Leopardi la approfondisce
interrogandosi anche sui rapporti tra il piacere e il suo contrario, il dolore, e constatando
l'inesistenza del piacere presente visibile solo come provvisoria sospensione del dolore.
• CONCETTO DI AMOR PROPRIO
La teoria del piacere si apre a una prospettiva storica, seguendo i mutamenti che il rapporto con
le
illusioni ha subito dal mondo degli antichi a quello della civilizzazione moderna. Nella costruzione
di questa prospetti va storica è essenziale il concetto di amor proprio con cui Leopardi definisce
l'attaccamento naturale di ciascun individuo a se stesso, che per lui è fonte di e origine di tutti gli
affetti e di ogni desiderio di felicità: nelle società più vicine alla natura l'amor proprio è radice di
grandi affetti, che danno un senso alla vita sociale.
Nel mondo civilizzato esso si trasforma in egoismo , chiuso e feroce culto del proprio interesse
personale, derivato proprio dalla caduta delle illusioni. I desideri hanno perduto la loro spinta
- [Pagina 93]
naturale e sono come segnati dallo sguardo sociale . Attraverso l'assuefazione, questa
condizione
non naturale ha creato nell'uomo una seconda natura , che si è sovrapposta a quella originaria,
della
quale si perdono così i caratteri spontanei, collocabili sempre più lontano, nelle immagini del mito
e
della poesia.
• VITA ED ESISTENZA
Sulla base della sua personale esperienza di dolore e di infelicità, Giacomo avverte l'impossibilità
di
conciliare natura e civiltà e giunge a considerare come soli elementi «naturali» della vita umana
quelli fisici e biologici. Leopardi individua una contraddizione tra vita ed esistenza : la natura non
dà la vita, ma solo l'esistenza che tende verso il nulla .
Il vivere è dominato dalla noia , la sofferenza è una minaccia che in ogni momento incombe sui
singoli individui; nei suoi inesorabili cicli di costruzione e di distruzione , la natura tende solo a
conservare se stessa, assolutamente indifferente ai patimenti e ai desideri degli uomini .
• UOMO MATERIA PENSANTE
Immerso totalmente nella materialità, l'uomo è «materia pensante» che ostinatamente
contraddice
al movimento di cui è parte, opponendosi con richiami di vitalità e con un bisogno inappagato di
affetto, all'uomo può toccare solo l'impegno a scavare nel vuoto dell'esistenza, a svelare la
negatività. Ciò comporta anche una critica e un rifiuto delle false illusioni: una polemica sdegnosa
contro la cultura ottimistica e contro i modelli della vita sociale contemporanea.
• GLI IDILLI
“ Gli Idilli” , sono componimenti in endecasillabi sciolti che seguono lo svolgersi di sentimenti,
ricordi, sentimenti all'interno dell'io. Il termine idillio si rifà sia alla letteratura antica, sia a varie
esperienze della letteratura europea; ma per Leopardi esso indica una forma poetica molto
sfumata,
capace di dar voce a sensazioni indefinite; negli idilli il poeta può rivolgere lo sguardo alle forme
della natura esterna e seguire i percorsi mentali e sentimentali che si svolgono nel suo io.
• L'INFINITO
“ L'infinito” ci trasporta verso uno dei momenti più alti della poesia leopardiana, nella misura di
15 versi, il ritmo dell'endecasillabo sciolto è spezzato da una serie di giochi interni, che dà
combinazioni ritmiche diverse. Con questo movimento metrico, si segue l'immergersi dell ' «io»
nella sensazione de l'«infinito», creata dal rapporto con un luogo preciso e definito e con una
attenta misura del tempo e dello spazio.
Il paesaggio naturale è una sorta di limite esterno, da cui nella mente del poeta prende avvio
l'immaginazione di spazi e profondità temporali. Con un linguaggio fermo e definito si registra così
un'ascesi fisico-temporale, con cui la mente tenta di uscire da sé, scavandosi una strada nello
spazio
e nel tempo.
- [Pagina 94]
• ALLA LUNA E LA SERA DEL DÌ DI FESTA
1. “ Alla luna” = Più carica di risonanze sentimentali è l'idillio “ Alla luna” , dove il
colloquio con la «graziosa luna», si proietta nel ricordo che sembra lenire e sospendere il
dolore.
2. “ La sera del dì di festa” = Su un notturno lunare si apre anche l'idillio “ La sera del
dì di festa”, intreccia elementi diversi, sullo sfondo autobiografico di un impossibile
colloquio del poeta con una donna che riposa lontana, ignara di lui e del suo amore; lo
splendore del paesaggio si confronta con tutte le occasioni di sofferenza che gravano sul
cuore del poeta e sull'intera umanità.
• LE CANZONI
Leopardi non rinuncia all'orizzonte letterario più esplicitamente classicistico tentato nelle due
canzoni civili del '18: continua a svolgerne gli schemi, con altre otto canzoni; che insieme alle
prime due costituiranno la sua prima vera raccolta poetica, le “ Canzoni” . L'elaborazione delle
canzoni è sorretta dall'ostinata indagine che il poeta viene svolgendo sul senso e sulla
giustificazione delle «illusioni» nella vita naturale, storica, intellettuale: è il progressivo svelamento
della loro «vanità» che porterà a una definitiva scoperta de l'«arido vero» e dell'ostilità della
natura.
Il linguaggio lirico dà voce soprattutto a personaggi dell'antichità, atteggiati come esempi estremi
di
«virtù».
• L'ULTIMO CANTO DI SAFFO
Al '22 risale l' “ Ultimo canto di Saffo” , in cui Leopardi tocca il tema del suicidio, trasferito
fuori dall'ambito storico e collegato al motivo dell'infelicità personale. Il canto è tutto affidato alla
voce di Saffo , che secondo una leggenda, si uccise disperata per la proprio bruttezza fisica e per
l'infelice amore per Faone: sulla figura greca si sovrappone così un motivo autobiografico
duramente sofferto da Leopardi. La voce femminile di Saffo rende più delicato lo svolgimento di
questo motivo, attraverso un confronto con lo splendore della natura e l'infelice condizione della
donna, esclusa da quella bellezza; e da questo confronto sorgono vibranti interrogazioni sul
senso
dell'esistere. Il suicidio di Saffo è un'ultima affermazione del suo valore personale, ultima
invocazione di una bellezza e di una felicità negate per sempre a lei come a Giacomo: la natura
si
rivela ormai come matrigna.
• ALLA SUA DONNA
Dopo l'esperienza del viaggio a Roma, Leopardi compose l'ultima canzone “ Alla sua donna” . Il
poeta si rifà più direttamente al modello della canzone d'amore petrarchesca, riducendolo a una
misura di essenziale e limpida leggerezza, solcata anche dall'ironia: il canto d'amore si rivolge alla
- [Pagina 95]
«donna che non si trova», a un'immagine assoluta con cui cerca una comunicazione
impossibile,
ma che sola potrebbe dare un senso all'esistenza. L'invocazione a questa donna ideale si tiene
a un
livello nobile e sublime: nonostante la somiglianza alle idee platoniche, siamo molto lontani dai
tradizionali usi dell'amore in chiave mistica e idealizzante. L'inno infatti vuole manifestare una
passione amorosa reale. Amare la donna che non c'è è un estremo segno di vitalità, un modo
per
affermare una passione che vuol essere tanto più reale, quanto più la donna non si incarna nella
realtà quotidiana e resta un illusorio fantasma della mente.
• FUORI DA RECANATI
La partenza da Recanati mette Leopardi a diretto contatto con il mondo editoriale milanese. Egli
elabora progetti, iniziative, lavori rivolti a lettori non specializzati, con l'intento di avvicinarli a testi
complessi e difficili: proprio a questi destinatari si rivolge il commento alle Rime del Petrarca.
• LE CRESTOMAZIE
L'obbiettivo di alta divulgazione si accompagna a un nuovo confronto di Leopardi con la
tradizione
letteraria italiana, i cui risultati si concretano nelle due grandi antologie:
1. la “ Crestomazia italiana” = Con la scelta di luoghi noti o per sentimento o per
locuzione raccolti dagli scritti italiani in prosa di autori d'ogni secolo,
2. “ Crestomazia poetica italiana” = Con la scelta di luoghi in verso italiano noti o per
sentimento o per locuzione, raccolti e distribuiti secondo i tempi degli autori.
Intanto tra il '25 e il '27, Leopardi dà una sistemazione più radicale al suo pessimismo, accettando
le conseguenze della scelta del vero e cerca di allontanare ogni rimpianto delle perdute illusioni.
Leopardi fa sua una morale dell'astensione, per la quale trova un modello essenziale nel
Manuale
del filosofo Epitteto.
Leopardi tende a collocarsi in una posizione di solitario ed estraneo testimone del presente,
eremita
osservatore, che si limita a guardare alle diverse forme della civiltà e agli sviluppi della cultura
umana, senza parteciparvi.
• LA DOPPIA VISTA
La poesia deve esprimere il volgersi di questo sentimento verso la rimembranza. Gli oggetti
interessano la poesia per i ricordi che riescono a evocare, il più profondo carattere della poesia
sta
nel vago, legato alla cosiddetta doppia vista, che fa vedere continuamente il mondo come
doppi. La
sensibilità poetica attribuisce alle cose un valore più forte di quello che esse hanno realmente. La
capacità di provare emozioni, non consente di recuperare l'autentico contatto con la natura.
Questa
nuova poesia si pone in un legame strettissimo con la filosofia, con la scoperta del vero e della
negatività della natura
• A SILVIA
- [Pagina 96]
La celeberrima canzone “ A Silvia” , abbandona ogni schema troppo tragico, trovando una
nuova
eccezionale misura lirica, la riflessione sul rapporto tra l'uomo e la natura si poggia sulla forma
della canzone libera . Il componimento si configura come colloquio con una fanciulla
appartenente
a una famiglia di dipendenti di casa Leopardi. Questo colloquio con la figura femminile si pone
immediatamente come ricordo di una vita giovanile troncata. Tutto il canto è percorso da segni
che
sono allo stesso tempo di comunicazione e di distanza tra il poeta e Silvia. Il mondo di Silvia, la
giovinezza di lei e quella del poeta, la speranza di quest'ultimo, si affacciano come cose perdute
per
sempre e ciò suscita la protesta contro la natura e contro la sua azione distruttrice.
• LE OPERETTE MORALI
Abbandonata per sempre Recanati, e venuto a contatto col mondo fiorentino entra in contatto
con
nuovi ambienti umani e culturali, qui Leopardi avvertì più acutamente il contrasto tra la propria
posizione e le tendenze allora dominanti. Il suo pessimismo si impone come modello di vita e di
comportamento, che si manifesta nelle ultime due “ Operette morali” :
1. “ Dialogo di un venditore d'almanacchi e di un passeggere” = Breve e
semplicissima, priva di ogni residuo letterario, viene come colto a volo un dialogo di strada
in cui si confrontano lo svagato ottimismo di un venditore di almanacchi;
2. “ Dialogo di Tristano e di un amico” = È una difesa del libro Operette morali, una
risposta a quanti svalutavano il pessimismo di Leopardi, attribuendone l'origine alle sue
cattive condizioni fisiche. Attraverso il personaggio, Giacomo rivendica il proprio impegno
nella verità e il proprio rifiuto della cultura contemporanea e denunciando l'ostinata tendenza
degli uomini a ingannarsi, a credere non al vero, ma a ciò che appare loro più conveniente:
mentre tutte le visioni positive della vita si basano sull'autoinganno, Tristano preferisce
ridere e guardare in faccia la realtà. L'operetta si chiude con l'affermazione della scelta
impassibile della morte.
• L'AMORE E LA NUOVA POESIA
Tra le esperienze su cui si fonda la nuova coscienza di sé che Leopardi mostra negli anni
fiorentini
c'è quella dell'amore, vissuto come vicenda interiore assoluta. Per l'infelicissima condizione
umana
del poeta, non si tratta di un rapporto amoroso reale e totale, ma piuttosto di una volontà di sentire
in se stesso l'emozione e l'affetto determinati da incontri con donne reali. Leopardi sente un
bisogno
di più diretti rapporti con figure femminili. Alla frequentazione di Fanny Targioni Tozzetti è
legata una serie di nuovi componimenti poetici, che precorrono le diverse fasi di un'esperienza
amorosa e si sogliono indicare come liriche del “ Ciclo di Aspasia” .
Leopardi si allontana dai richiami della memoria, alla ricerca del vago e dell'indefinito, tende a una
parola che aderisca totalmente al suo io presente.
- [Pagina 97]
• IL PENSIERO DOMINANTE
La più compiuta manifestazione di questa nuova poetica è la canzone “ Il pensiero dominante” ,
grande invocazione del pensiero che pare venire dall'esterno e abitare l'io, con una continua
sfasatura nella disposizione degli endecasillabi e dei settenari e una inquieta frantumazione della
sintassi. Per gran parte del canto il pensiero d'amore si dice quasi per via di negazione, nel
dispregio della volgarità e banalità del mondo contemporaneo, si esprime una sorta di mistica
tutta
negativa e materialistica. Ma poi quel pensiero afferma sempre più la sua fisicità, la cui voce alla
fine si rivolge direttamente alla donna, vedendo nella sua angelica sembianza, il pensiero
amoroso,
è insomma qualcosa che incessantemente si ripete e si prolunga nel presente.
• CONSALVO
Il “ Consalvo” è lontano dal Pensiero dominante, in endecasillabi sciolti, ricco di elementi
patetici e sentimentali che lo avvicinano ai modelli romantici.
• AMORE E MORTE
Nella canzone “ Amore e morte” si intrecciano momenti di tensione energica e momenti di
delicata tenerezza: le due entità sono presentate come figure mitiche, potenze destinate a
sollevare
l'uomo dalla sua infelicità. A differenza degli atteggiamenti romantici, che nel legame amore-
morte
vedevano un fondo misterioso di distruttiva e rovinosa irrazionalità, qui esso si traduce in un
segno
di lucidità, in una spinta a rifiutare gli inganni: la passione amorosa induce a ribellarsi contro i limiti
della condizione umana, e la morte le si offre come l'unico reale superamento di questi limiti. La
voce del poeta trova un supremo segno di comunicazione amorosa nel colloquio con la morte
stessa.
• A SE STESSO
Il movimento della passione verso una donna concreta viene bruscamente e violentemente
negato
nella brevissima stanza “ A se stesso” , che registra la caduta dell'ultima illusione del poeta e
afferma l'aspirazione a una totale e definitiva aridità di sensazioni, che esprime con scatti di
energia,
e un invito a disprezzare l'esistenza e la forza malefica che la regge.
• INNO AD ARIMANE
Questa forza malefica, Leopardi intendeva dedicare un inno, rifacendosi al giovanile progetto di
inni cristiani: ne ha lasciato solo un abbozzo, “ Ad Arimane” .
• ASPASIA
Il tema dell'amore ritorna in “ Aspasia” , componimento in endecasillabi sciolti divisi in quattro
lasse, è un ultimo congedo dalla donna, designata col nome di una celebre cortigiana. Il canto è
costruito su un confronto tra l'immagine della donna che torna ad abitare la mente del poeta, e la
- [Pagina 98]
delusione generata dalla discordanza tra quell'immagine e la donna reale. Il poeta sente
riemergere
tutta la forza della superba vision di lei. Gli errori che questa apparizione ha suscitato agiscono
ancora sul poeta, la cui persona ormai aspira a un'indifferente e immobile passività.
• L'UOMO E LA SOCIETÀ
Fin dalla giovinezza Leopardi si pose più volte il problema dei comportamenti e delle relazioni
collettive; e si è visto come questo interesse sia alla base della sua riflessione filosofica, che punta
sui concetti di seconda natura e di egoismo. Tutta la sua indagine sul vero, la critica alle illusioni, è
rivolta ai fondamenti stessi della vita sociale. Nella filosofia di Leopardi è sempre presente una
lucida e coraggiosa tensione di moralista, volta a mettere in luce le molteplici incarnazioni
dell'egoismo e dell'ipocrisia, della doppiezza, cioè quello che egli definisce machiavellismo
sociale,
al quale dedica molti luoghi dello Zibaldone, e molti passi delle Operette morali.
• I PENSIERI
È un'analisi globale delle dinamiche sociali, atteggiamenti, situazioni e occasioni nel vivere in
società. È una raccolta di 111 aforismi, utilizza spunti diversi e spesso anche rielaborando
appunti
dello Zibaldone. Con un acume e una sottigliezza analitica che fanno pensare a Guicciardini e a
Montaigne, si descrivono qui le ambiguità della vita di relazione e della psicologia degli individui.
Leopardi smaschera le false immagini con cui gli uomini si impongono nei rapporti con gli altri . La
comunicazione tra gli uomini si fonda sul falso, sull'artificio, su deformazioni interessate
all'incongruenza tra parole e comportamenti .
• LEOPARDI SATIRICO
Per questa denuncia dell'impostura dilagante nella vita sociale Leopardi sa servirsi anche del riso
che, gli appare come eccezionale potenza vitale, capace di opporsi in modo fisico alle menzogne
.
Già si è visto come il riso abbia una funzione essenziale nelle Operette morali e come ad esso si
appoggi lo sguardo polemico di Tristano verso l'umanità contemporanea.
• LA PALINODIA AL MARCHESE GINO CAPPONI
Nell'ultima fase della sua esistenza, spinto da un interesse sempre più forte per la vita sociale e
per
il peso deformante esercitato su di essa dalle ideologie. Leopardi si serve sempre più
frequentemente del riso come arma satirica, come strumento aggressivo e critico. Al modello
dell 'ironia pariniana si collega in parte la “ Palinodia al marchese Gino Capponi” , in
endecasillabi sciolti, inserita nella seconda edizione dei Canti: l'autorevole intellettuale fiorentino
che ne è destinatario impersonifica quell'ideologia moderata e progressista, e ad essa Leopardi
finge
ironicamente di aderire, ritrattando col suo pessimismo. Ma in realtà maschera impietosamente
le
illusioni del progresso borghese, che si risolve in un accumulo di beni materiali, cieco di fronte alle
condizioni di infelicità degli uomini concreti.
- [Pagina 99]
• PARALIPOMENI DELLA BATRACOMIOMACHIA
La maggior prova della scrittura satirica di Leopardi è costituita dal poema eroicomico
“ Paralipomeni della Batracomiomachia” , in otto canti in ottave, esso suscitò l'interesse di
Gioberti, che lo definì «libro terribile». In seguito l'opera è stata a lungo trascurata, essa
rappresenta invece un risultato importante e originalissimo tra le opere leopardiane.
Alle sue spalle c'è una lunga tradizione italiana di poesia eroicomica che risale fino al più antico
modello della Batracomiomachia pseudo-omerica, di cui Leopardi aveva compiuto ben 3
traduzioni :
il titolo Paralipomeni indica che si tratta di «cose tralasciate» , che integrano la
Batracomiomachia.
La vicenda narrata continua quella del poema pseudo-omerico, offendendo una vasta serie di
riferimenti alla storia contemporanea. Nella guerra tra i topi e le rane, intervengono in appoggio
alle rane i granchi , che sconfiggono i topi e uccidono il loro capo. I topi inviano in ambasceria al
campo nemico il conte liberale Leccafondi, a cui vengono dettate durissime condizioni dal
generale
avversario, ma gli sconfitti si riorganizzano, istituendo un regime liberale ed eleggendo un re
costituzionale. I granchi non accettano questa situazione e sconfiggono di nuovo i topi; mentre il
re
si accorda subito con i granchi e abroga la costituzione ed il capo dell'opposizione viene costretto
all'esilio.
Nel viaggio viene travolto da una tempesta e ripara presso un uomo, saggio e solitario, che lo
conduce a visitare l'oltretomba degli animali, rappresentato con una ripresa comico-parodica di
schemi danteschi e con un'evidente intenzione satirica nei confronti delle credenze
sull'immortalità
dell'anima; di fronte alle richieste d'aiuto di Leccafondi, i morti si scatenano in un riso incontenibile.
Su questo percorso narrativo, che rimane d'altra parte sospeso, senza una vera conclusione, si
innestano varie digressioni e divagazioni; in cui più esplicite sono la polemica ideologica e la
rappresentazioni delle illusioni e delle ambiguità di tante iniziative politiche contemporanee. Le
figure dei granchi (immagine degli Austriaci e delle forze reazionarie) sono tracciate con cupi
caratteri negativi, ma le posizioni dei topi (immagine dei liberali italiani), con loro vaga aspirazione
alla libertà. Sotto lo schermo delle vicende degli animali, si manifesta il punto di vista negativo
dell'autore. Egli esprime tutta la sua insofferenza per la condizione dell'Italia della Restaurazione e
svolge con anticipo una critica lucida agli equilibri ideologici entro i quali si svolgerà il processo di
indipendenza e di unificazione .
• LA GINESTRA e IL TRAMONTO DELLA LUNA
Nell'ampia canzone “ La ginestra” o “ Il fiore del deserto” , la polemica di Leopardi contro le
ideologie spiritualistiche e progressiste trova uno scatto vigoroso, specchiandosi nelle immagini
suscitate dal paesaggio del Vesuvio, nell'inesorabile violenza della natura.
Questo canto è stato sempre oggetto di interpretazioni contrastanti, ma è impossibile non
avvertire il
- [Pagina 100]
suo fascino, la sua forza di messaggio definitivo da conseguire ai posteri. In 317 versi disposti in
sette stanze il canto svolge un'orchestrazione complessa, che conosce accensioni improvvise e
abbassamenti di tono. La meditazione leopardiana è sicuro di se stessa e nello stesso tempo
piena di
pudore, si appoggia su una retorica nuda, generosa ma cosciente dei limiti di ogni discorso
umano.
La ginestra fiore odoroso che anima il paesaggio vesuviano, è segno di una tenera resistenza
della
vita di fronte alla distruttiva natura, di una umanità indifesa e cosciente della propria infelice
condizione, la stessa poesia trasmette un dolce profumo, una comunicazione affettuosa
nell'arido
deserto dell'esistenza. La visione del paesaggio devastato, e la presunzione degli uomini che
hanno
pensato che un Dio sia sceso per loro sulla terra. Alla mistificazione delle ideologie ottocentesche,
si oppone la luce del pensiero del secolo precedente. Il motivo della «luce», che si oppone alle
«tenebre» in cui gli uomini preferiscono restare immersi, domina tutto il canto, e diviene
aspirazione a una lotta collettiva contro la natura matrigna; lotta che solo un'umanità liberata da
miti
e illusioni protesa contro il «comun fato» potrebbe condurre. Leopardi guarda a una nuova civiltà
fatta di uomini tra loro confederati, a una nuova solidarietà umana fondata sulla conoscenza del
vero e democraticamente sollecita dei deboli e degli indifesi che sono l'immagine più autentica
della
vera condizione naturale.
La ginestra è anche il simbolo di ricatti e complicità sentimentali, assume un carattere eroico, si
tratta di un fiore classico, segno di resistenza della ragione e della bellezza.
Ancora un messaggio conclusivo troviamo nell'ultima canzone scritta da Leopardi “ Il tramonto
della luna”, la cui strofa conclusiva, di mano del Ranieri, sarebbe stata dettata secondo una
tradizione alquanto dubbia. Qui un paesaggio notturna suscita echi e riprese della poesia idillica,
dando a tutto il canto la forma di un ritorno disperato alla fascinazione della giovinezza perduta.
Quest'ultimo notturno si caratterizza per lo sparire della luna, per l'immergersi di tutte le cose nel
buio: al tramonto dell'astro, corrisponde nell'uomo quello della giovinezza, ma a differenza della
luna che risorge sempre nel suo movimento, la giovinezza abbandona gli individui, precipitandoli
irrimediabilmente verso la vecchiaia, al cui termine c'è solo la sepoltura.
• POETA E INTELLETTUALE
nella vita e nell'opera di Leopardi si riconosce una delle più cruciali esperienze di tutta la nostra
letteratura, e si sono attribuiti i significati più diversi, sono sorte discussioni appassionate, tra
adesioni senza riserve e decisi rifiuti.
Non si può in nessun modo ignorare che la letteratura è per Leopardi la via per capire fino in
fondo
l'esperienza: in lui la letteratura scopre questa forza conoscitiva proprio a partire dalla chiusura e
dalla solitudine della sua adolescenza e della sua giovinezza, dai limiti ambientali, familiari, sociali,
dagli ostacoli posti sulla sua vita dalle malattie, dalla sofferenze, dall'infelice condizione personale.
- [Pagina 101]
Al di là questo, la letteratura gli ha dato una capacità di « vedere » che è unica nell'Italia de l'800 e
lo mette all'altezza della cultura europea più radicalmente critica verso lo sviluppo borghese e le
nuove forme della civiltà. Per molti aspetti egli anticipa gli indirizzi « negativ i » di autori come
Baudelaire , Nietzsche; ma nello stesso tempo rifugge da ogni esaltazione degli impulsi oscuri e
del
mistero e si impegna a denunciare l'irrazionalità della società e della natura, a svelare il nulla che
è
fondamento dell'essere. La sua poesia si pone come voce dell'io presente.
L'esperienza della malattia e del proprio corpo infelice ha determinato in modo essenziale
l'attenzione di Leopardi agli aspetti fisici dell'esistenza, acuendo il suo sguardo critico, rendendolo
sdegnoso verso la normalità, il fiducioso progressismo degli uomini sani. A ciò si aggiunse certo
anche un residuo di atteggiamento «aristocratico», di disprezzo verso l'operosità del mondo
borghese e di nostalgia per la grande poesia del passato.
Alcuni critici hanno tentato di negare la forza critica del pessimismo leopardiano, ma questi critici
non intendono affatto come nel caso di Leopardi che la stessa nozione classica di letteratura, la
malattia, l'origine nobile, diventino strumenti di conoscenza e di giudizio e facciamo rivolgere il
rifiuto del presente non verso il passato, ma verso il futuro, verso l'ipotesi di uno sviluppo più
degno
della società umana. La posizione antiborghese di Leopardi è lontanissima da ogni esaltazione
dei
privilegi di classe, il suo ripudio di quelle che saranno le tendenze del Risorgimento italiano lo
colloca su una posizione opposta a quella dell'aristocratico e paternalistico Manzoni e prospetta
una
lotta per una civiltà cosciente dei limiti della condizione umana, molto al di là delle varie e possibili
forme di «progressismo» politico.
Leopardi ha evitato di sviluppare dalla critica delle illusioni, nuove ideologie e nuove illusioni: ha
cercato invece di attribuire il più profondo valore rivoluzionario al «vero». Egli può insegnarci
ancora oggi che un autentico progresso è possibile solo muovendo da una coscienza globale
dei
caratteri naturali e sociali e nello stesso tempo tendono conto dell'insopprimibile aspirazione
umana
alla felicità; tutta la sua opera testimonia la necessità di conquistare una vita che valga la pena di
vivere. La poesia di Leopardi è allo stesso tempo lucidissima coscienza critica della realtà: in
questo
il modello intellettuale leopardiano ha qualcosa di assoluto, quasi di «eroico».
- [Pagina 102]
13 NATURALISMO
Il terreno su cui la letteratura europea si impegna nella rappresentazione della realtà è quello
della
narrativa. Nella seconda metà del secolo, specialmente in Francia, la narrativa realista non
guarda
alla realtà sociale in modi generici, ma elaborando un metodo che si basa sui fatti, su un'analisi
delle
condizioni ambientali e psicologiche che agiscono sui personaggi, e rifiuta ogni ingerenza del
narratore nelle vicende narrate. Si vuole una narrazione oggettiva, che riproduca in modo esatto,
le
circostanze reali, osservano e analizzano le varie classi sociali deve essere una vera e propria
«tranche de vie».
Per definire questo tipo di narrativa si tende a usare il termine naturalismo, spesso esteso a tutte
le
forme narrative che si propongono di riprodurre la «natura» esterna in maniera precisa; questa
scrittura «naturalistica» si basa sulla convinzione che un linguaggio diretto, privo di particolari
artifici stilistici, sia in grado di offrire un'immagine credibile della realtà, essa mira a concentrare
l'interesse sulla materia della narrazione, più che sulle forme .
Nel corso degli anni sessanta il giovane Emile Zola, usa deliberatamente il termine naturalismo e
dà una rappresentazione analitica e scabrosa della vita di un personaggio femminile, iniziando
con il
grande ciclo dei “ Rougon-Macquart” . Il naturalismo di Zola ha un'impronta laica, democratica e
progressista, mira attraverso la conoscenza della realtà sociale a un miglioramento delle
condizioni
di vita.
Accanto al naturalismo in senso stretto, nacque già negli anni ottanta una narrativa, che tentava
soprattutto di svolgere sottili analisi psicologiche. La produzione francese suscita echi continui nel
nostro paese: molti critici e critici-scrittori contribuirono a sostenere e approfondire questo
interesse; oltre a De Sanctis, attento all'opera di Zola; una funzione di diffusione del naturalismo
francese ebbero Felice Cameroni e Luigi Capuana.
La ricerca di De Snactis all'intreccio tra realismo e classicismo che si dà in molte esperienze
poetiche, prima fra tutte quella del Carducci ai molteplici tentativi che si svolgono nell'orizzonte
della “ Scapigliatura” , tutta la letteratura italiana sembra voler cercare la via della «realtà», al di là
dei modelli offerti dalla letteratura romantica e del controllato realismo del Manzoni . In questo
accumularsi di esperienze, si comincia a usare già negli anni Sessanta il termine verismo, per
designare una letteratura che si accosta al «vero», nella sua nuda e semplice evidenza. i
decenni
Sessanta e Settanta sono percorsi da discussioni e tentativi che mirano a precisare i limiti e le
forme
di questa letteratura, a Firenze (svolge il ruolo di capitale del nuovo Stato unitario) e Milano, sono
i
centri di dibattito che si sviluppa nel modo più animato: a Firenze si elabora l'ipotesi di una
rappresentazione «temperata» della realtà , di un misurato equilibrio tra ideale e reale ; ma in
Toscana i risultati più notevoli sono raggiunti dalla pittura dei macchiaioli , aperte alle
- [Pagina 103]
contraddizioni sociali della nuova Italia che hanno il loro punto di riferimento in Milano: la loro
carica di insoddisfazione e di ribellione si riassume nelle diverse tendenze della Scapigliatura e in
un'attenzione verso la narrativa straniera . Gli anni Settanta, per la narrativa italiana, sono
caratterizzati da riprese di modelli narrativi francesi e da varie prove di accostamento al «vero», si
manifesta una nuova attenzione alle realtà locali, che rivelano le difficoltà del loro inserimento
nelle
prospettive di sviluppo del nuovo Stato unitario. Dal confronto con il naturalismo francese e
dall'interesse per le realtà regionali derivano i maggiori risultati del verismo italiano, che trova la
sua massima spinta intorno al 1880, con l'opera di Verga e di Capuana, e l'affermarsi del metodo
dell'impersonalità; nel corso degli anni Ottanta la produzione narrativa è dominata da questo tipo
di verismo. Nel 1889 mentre Verga mette fine alla sua esperienza veristica con “ Mastro-don
Gesualdo”, con “ Il Piacere” si ha l'esordio narrativo di D'annunzio che inaugura un
orientamento estetizzante e decadente, volto alla ricerca di sensazioni e di esperienze
d'eccezione. I
modi di scrittura narrativa restano per tutti gli anni Novanta dominati da schemi di
rappresentazione
di tipo naturalistico.
Il metodo verista viene elaborato nel modo più coerente e con i più alti risultati da alcuni scrittori
siciliani, sensibili alla contraddizione tra la nuova realtà dello Stato unitario e il fondo arcaico della
vita della Sicilia. Capuana, Verga e De Roberto vivono in modi diversi la frattura tra la propria
condizione siciliana, appartenenti a lungo a un mondo rimasto separato dalle tendenze della
cultura
italiana. Da una parte essi sentono la spinta ad allontanarsi dal loro paese, a cercare contatti con i
più vivi centri nazionali, ma dall'immersione in questa vita più mossa, ricevono anche una
sollecitazione opposta a recuperare le proprie radici: ritornano in patria, o fanno del mondo
siciliano
materia centrale della loro narrativa. Condividono gli ideali di Risorgimento e per questo motivo
vivono in modo acuto rispetto agli altri intellettuali, la delusione per la sconfitta di quegli ideali, per
la loro incapacità di trasformare una realtà dura e violenta come quella siciliana.
Questa delusione non li porta però ad assumere posizioni democratiche o progressiste: a
conoscenza
della realtà sociale siciliana li induce a guardare con sfiducia a ogni possibile modificazione, ad
accettare le gerarchie e il sistema sociale presente. La loro narrativa ci offre un'immagine
concreta
della realtà siciliana, di un mondo contadino rimasto fuori dalla storia; Capuana e Verga
espongono per la prima volta questa materia con un linguaggio narrativo nazionale, con una
lingua
che si rivolge a tutta l'Italia borghese; egli negano la possibilità di identificarsi con la materia
narrata, di compiacersi dei caratteri del mondo che descrivono.
Le loro pagine sono dominate da un senso di solitudine e di costrizione, lontanissimo dallo spirito
aperto e nutrito di scambi collettivi che anima il naturalismo francese: ma i rapporti con la narrativa
francese sono essenziali per i veristi siciliani, in particolare per quanto riguarda il canone
dell'impersonalità. Questo canone, che ha uno dei suoi grandi modelli in Flaubert , consiste nel
far
- [Pagina 104]
vivere e parlare direttamente i personaggi, rappresentando la loro realtà mentale e sociale senza
che
l'autore proietti su di loro le proprie idee e i propri sentimenti . Nasce una nuova letteratura che
nella
propria «sicilianità» trova la forza e la capacità di rifiutare tanti miti ed equivoci dell'Italia
moderna .
- [Pagina 105]
14 GIOVANNI VERGA
Giovanni Verga nasce nel 1840 e muore nel 1922 .
Il contatto con le città più vitali del nuovo Stato unitario (Firenze e Milano), con modelli culturali e
un pubblico di tipo nazionale, determina in lui una originalissima riscoperta delle radici provinciali,
una spinta opposta a recuperare la realtà siciliana per dar voce a quel mondo rimasto per tanto
tempo fuori dal divenire, dominato da leggi dure e immutabili. Questo ritorno si lega a una sfiducia
nei confronti della mobile società moderna e a un atteggiamento di sempre più chiuso
conservatorismo sociale; dopo la fase più creativa, lo scrittore ritornato fisicamente in patria, vede
vede inaridirsi la sua vena e si distacca progressivamente dal mondo letterario.
Nel 1860, con l'arrivo dei garibaldini, si arruolò nella Guardia Nazionale; in questi anni collaborò
a riviste letterarie e pubblicò romanzi patriottici “ I Carbonari della montagna” e “ Sulle
lagune”; nel '65 compì il primo viaggio a Firenze, allora capitale d'Italia, dove si inserì nei salotti
intellettuali fiorentini, partecipando alla vita elegante e mondana. Aveva già pubblicato il romanzo
“ Una peccatrice” , ma il successo lo toccò con il romanzo “ Storia di una capinera” : intanto
tentava anche esperimenti teatrali e lavorava al romanzo “ Eva” . Negli anni '70 Verga si trasferì a
Milano e si avvicinò anche qua all'elegante vita dei salotti borghesi: a questo periodo sono
collegati
i nuovi romanzi “ Tigre reale” ed “ Eros” . Ma con la pubblicazione di “ Nedda” , lo scrittore
aveva inaugurato una produzione di novelle e insieme quell'interesse per il mondo popolare
siciliano che doveva poi convertirlo al verismo. Alla fine degli anni '70 nascono le raccolte di
novelle “ Vita dei campi” e “ Novelle rusticane” , la progettazione del ciclo romanzesco de “ I
vinti”, la pubblicazione de “ I Malavoglia” . E nel contempo pubblicava pure opere di
ambientazione siciliana, come il romanzo “ Il marito di Elena” , le novelle “ Per le vie” , e
iniziava la stesura del “ Mastro-don Gesualdo” . Convinto dell'importanza delle sue nuove
opere, egli ne intraprendeva anche la promozione e la diffusione internazionale.
Lo scrittore era deluso per lo scorso successo de “ I Malavoglia” , e nel'84 ottenne un grande
successo a teatro, con il dramma “ Cavalleria rusticana” . Sull'onda di questo successo compì
un altro viaggio a Parigi; Zola pubblicò la traduzione francese de “ I Malavoglia” . L'eccezionale
successo toccato alla “ Cavalleria rusticana” nella versione musicata da Pietro Mascagni, spinse
Verga a una lunga azione legale contro il musicista e l'editore. Al termine della causa Verga si
trasferì definitivamente a Catania, qua egli ridusse la sua attività di scrittore, angosciato di fronte a
ogni novità e di mutamento della vita sociale, preoccupato dell'amministrazione del suo
patrimonio.
Un nuovo interesse per la sua opera si manifestò negli anni della sua estrema vecchiaia: Luigi
- [Pagina 106]
Russo gli dedicò un saggio e affettuosi riconoscimenti gli vennero da Pirandello e da Tozzi.
• PRIMA DEL VERISMO
Una formazione di tipo romantico e patriottico, portò il Verga alla stesura di tre romanzi
storicopatriottici,
costituiti sulla convenzionale letteratura d'appendice:
1. “ Amore e patria” ;
2. “ I Carbonari della montagna” ;
3. “ Sulle lagune” .
A situazioni sentimentali inserite nella vita quotidiana contemporanea, senza più nessun risvolto
politico o patriottico, è dedicata la successiva produzione narrativa di Verga fino all'approdo del
verismo: i cinque romanzi che spesso vengono designati come mondani pongono in primo
piano
l ' incontro-scontro di un personaggio maschile con le attrazioni pericolose della femminilità, con
l'universo mondano che circonda la donna nella società borghese. Essi costituiscono una specie
di
autobiografia fittizia: ci descrivono il giovane provinciale che, in cerca della vocazione artistica,
subisce la seduzione della vita sociale elegante e brillante dei grandi centri borghesi, e insieme
avverte la minaccia di disintegrazione che quella società comporta per la sua esperienza più
autentica e originale.
Discontinui e molto diversi tra loro questi romanzi si adeguano spesso a modelli e immagini
convenzionali, presentano situazioni troppo atteggiate e sovraccariche, non riescono a
equilibrare
sviluppo narrativo e presenza del narratore, e la lingua appare spesso incerta, troppo affrettata e
disinvolta:
1. “ Una peccatrice” = Ha per protagonista un giovane commediografo catanese, che il
rapporto con una seducente contessa riduce a una distruttiva sterilità, a una condizione di
artista fallito;
2. “ Storia di una capinera” = Apparso sulla rivista «La Ricamatrice», è un romanzo
epistolare, che si pone direttamente dal punto di vista di una figura femminile:
3. “ Eva” = Narra la vicenda di un pittore siciliano a Firenze, distrutto dall'amore per una
ballerina;
4. “ Tigre reale” ed “ Eros” = Si orientano in due direzioni diverse, il primo descrive gli
effetti corruttori esercitati sul protagonista da una contessa russa; il secondo registra il
progressivo consumarsi, fino al suicidio, di un «uomo di lusso».
• STRADA DEL VERISMO
Alla metà degli anni '70 si piega verso il verismo; s'impone un nuovo sguardo verso la realtà
siciliana e la ricerca di una narrazione oggettiva, da cui sia allontanata ogni traccia dei sentimenti
- [Pagina 107]
dell'autore. Sono vari i motivi che portano Verga a questa sorta di «conversione»:
1. una sostanziale insoddisfazione per i futili ambienti mondani ;
2. una crescente diffidenza verso il sentimentalismo romanzesco ;
3. l'attenzione al naturalismo francese , stimolata anche dall'amicizia con Capuana ;
4. la nostalgia per la terra natale ;
5. un nuovo interesse per la questione meridionale .
Ma soprattutto egli avverte il bisogno di rappresentare una realtà lontana, che non coincide
con la sua esperienza attuale, collocandosi in un'origine remota.
• NEDDA
Con la novella “ Nedda” Verga tenta per la prima volta di rappresentare il mondo contadino
siciliano, narrando le disgrazie di una povera raccoglitrice di olive: seguendo i modi della
letteratura
campagnola, l'Autore propone al pubblico una commossa partecipazione alle sventure dell'umile
personaggio.
• PADRON 'NTONI
Questa attenzione alla realtà siciliana si acuiva nel «bozzetto marinaresco» “ Padron 'Ntoni”
primo abbozzo dei “ Malavoglia” ; ma scontento di questo bozzetto, rinunciò a pubblicarlo, ma
nel
giro di pochi anni conquistò la nuova ottica verista, progettando un ciclo di romanzi dal titolo “ I
vinti”, lavorando a I Malavoglia e alle novelle raccolte in “ Vita dei campi” e nelle “ Rusticane” .
Da questi anni risulta chiaro come il canone dell'impersonalità si leghi strettamente per Verga alla
necessità di guardare al mondo dei contadini o dei pescatori «da una certa distanza» : egli è
convinto di poter dar forma alla verità di quel mondo solo osservandolo «sotto un dato angolo
visuale», secondo un'ottica lontana.
• I VINTI
Nella parte iniziale della novella “ L'amante di Gramigna” , manifesta l'intenzione di
sviluppare il racconto con parole semplici e pittoresche della narrazione popolare.
Verga inserisce questa dimensione narrativa nella propria visione globale dell'esistenza, che si
riassume nell'ideazione di un ciclo di cinque romanzi, sotto il titolo de “ I vinti” (in un primo
momento “ La Marea” ):
1. “ I Malavoglia” ;
2. “ Mastro-don Gesualdo” ;
3. “ La duchessa di Leyra” ;
4. “ L'onorevole Scipioni” ;
5. “ L'uomo di lusso” .
- [Pagina 108]
In una lettera all'amico Salvatore Paola Verdura, lo scrittore presenta questo ciclo come «una
specie di fantasmagoria della lotta per la vita». In questa lotta per la vita, come indica poi la
prefazione de “ I Malavoglia” , si traduce il cammino fatale dell'umanità verso il progresso,
l'«immensa corrente dell'attività umana», che trascina tutto con sé, indipendentemente dalle
aspirazioni degli individui: lo scrittore si pone come «osservatore» , che si interessa (senza
giudicare) dei vinti , cioè di quanti vengono travolti dalla fiumana del movimento sociale.
• FANTASTICHERIA
Verga inizia dalle classi più basse, da quel mondo popolare siciliano che per secoli era rimasto
ancora ai suoi valori arcaici: la sua lontananza dal mondo borghese e cittadino viene sottolineata
nella novella “ Fantasticheria” . Sotto forma di discorso rivolto a una elegante signora che ha
soggiornato con l'Autore per 48 ore nel borgo di pescatori di Aci Trezza, il testo offre un sintetico
scorcio sul mondo poi rappresentato nel romanzo “ I Malavoglia” . Verga così sottolinea
l'incommensurabilità tra il mondo alto (romanzi precedenti) e il mondo di quei poveri diavoli;
dominato dalla dura necessità della vita dei poveri. Lo scrittore rivendica l'autenticità di questa
esistenza ripetitiva e rassegnata, retta dalla «religione della famiglia» , fatta di poche essenziali
certezze.
• VITA DEI CAMPI
La raccolta “ Vita dei campi” , assai vicine all'elaborazione dei Malavoglia. In cui sono raccolte:
1. “ Fantasticheria” ;
2. “ Jeli il pastore” (1880);
3. “ Rosso Malpelo” (1878);
4. “ Cavalleria rusticana” (1880);
5. “ La Lupa” (1880);
6. “ L'amante di Gramigna” (1880);
7. “ Guerra di santi” (1880);
8. “ Pentolaccia” (1880).
In esse la nuova esperienza veristica si impone con uno scatto di vitalità, che cambia
radicalmente
l'orizzonte della comunicazione narrativa; sconvolgendo i suoi consueti punti di riferimento.
Questo
mondo, appare regolato da una «fatale necessità», che pone i rapporti fatti di cose, di crude
esigenze materiali; la vita della campagna siciliana si rivela attraverso i suoi ritmi sempre uguali.
Verga vede in questo mondo elementare e assoluto una sorta di valore originario. Ma lo scrittore
deve nello stesso tempo affermare l'alterità di quei personaggi e di quel mondo; e la sua nozione
di
impersonalità e la sua poetica della distanza servono a portare fino in fondo questa alterità.
- [Pagina 109]
La materia non viene più proiettata entro il linguaggio e la coscienza dell'Autore; la narrazione
viene da una voce popolare, che racconta i fatti dall'interno di quel mondo a cui i personaggi
appartengono, ma che non delinea i personaggi con una particolare simpatia: spesso essa
descrive
gli eroi protagonisti, il loro tragico destino con sarcasmo e aggressività . Essa procede in modo
rapido e immediato, come se ci si trovasse in una scena teatrale.
• I MALAVOGLIA
Il romanzo “ I Malavoglia” , costituisce la prima tappa del ciclo dei Vinti ed è frutto di un lungo
lavoro di progettazione e di stesura.
Secondo il programma del ciclo, si comincia dal livello sociale più basso: si rappresenta la vita dei
pescatori di Aci Trezza e si narra la vicenda della famiglia Toscano (detta Malavoglia). La famiglia
è guidata dal vecchio padron 'Ntoni; la barca da pesca (la Provvidenza) e la casa patriarcale
detta
«del nespolo» costituiscono i suoi essenziali mezzi e valori di vita. Ma una serie di disastri porta
alla rovina economica e alla disgregazione della famiglia. I Malavoglia perdono la barca e la
casa.
• il nipote 'Ntoni, venuto a contatto con la civiltà in seguito al servizio militare, rifiuta di
tornare al duro lavoro, si dà al contrabbando e a una vita dissipata, e finisce in carcere;
• l'altro nipote Luca muore nella battaglia di Lissa;
• la nipote Lia, fugge a Catania dandosi alla prostituzione;
• solo dopo lunghi sacrifici, il nipote Alessi, riesce a riacquistare la casa del nespolo e a
ricostituire gli essenziali valori familiari.
Questo ritorno è funestato dalla morte del vecchio 'Ntoni lontano da casa, mentre il giovane
'Ntoni uscito dal carcere capisce di non poter più partecipare alla vecchia vita, e abbandona
il suo paese.
La scrittura non è documentaria, non ha la freddezza dell'inchiesta sociale; esclude una diretta
partecipazione dell'Autore. Anche qui lo scrittore realizza il canone dell'impersonalità, dando la
parola a un narratore popolare. Gli eventi appaiono tutti proiettati entro un punto di vista collettivo,
come se a parlare fosse una sorta di coro. Le vicende dei Malavoglia sono sempre pubbliche e
la
voce che racconta dà l'effetto di una comunicazione indifferenziata, coincidono anche il presente
e
il passato, in ogni momento dell'azione, esso si affida alle ripetizioni tipiche dell'epica e della
letteratura popolare.
In questo orizzonte epico e popolare anche il rapporto tra le cose sono caricati di motivazioni e di
significati. La voce popolare mantiene uno scatto di ironia e di aggressività nei confronti dei
personaggi e del loro destino. Il coro è sempre pronto a riconoscere che tutto ciò che accade è
giusto. Verga crea un nuovo organismo che contiene il punto di vista popolare entro il punto di
- [Pagina 110]
vista dello scrittore borghese, ciò comporta l'uso di una nuova lingua, infatti Verga inventa una
nuova lingua, che si allontana dalla tradizione manzoniana, ne emerge una narrazione di
singolare
tono espressionistico e plurilinguistico .
In realtà tutto l'universo dei Malavoglia è in preda a laceranti contrasti: questa società arcaica è
infatti rappresentata nel momento in cui comincia a recepire le trasformazioni destinate a
mutarne i
connotati e a distruggerla. La sventura dei Malavoglia prende avvio proprio dalle prime novità che
la rivoluzione e la formazione dello Stato unitario hanno portato in quel mondo. Il comportamento
del vecchio 'Ntoni e quello del giovane incarnano i due modi diversi, ma entrambi destinati alla
sconfitta, di confrontarsi con le trasformazioni a cui il mondo va incontro: il vecchio cerca di
difendere i valori e le sicurezze della famiglia, ma tenta una nuova strada quella del commercio. Il
giovane 'Ntoni, una volta segnato dal contatto del mondo cittadino, non riesce più a riconoscersi
nei
valori della famiglia e del lavoro tradizionale. La ricostruzione della casa del nespolo e di quella
arcaica religione della famiglia è possibile solo grazie il giovane Alessi, che non è mai stato
tentato
dai richiami del nuovo mondo.
Nei Malavoglia i movimenti, i gesti, le vicende dei personaggi assumono il valore di simboli
assoluti e senza tempo. La grandezza del Verga sta nell'aver creato «un tempo misto, che
concilia
romanzo storico e romanzo etnologico, storia e mito»: il mito è sempre confrontato con la sua
distruzione, l'adesione ai valori arcaici è contraddetta dal punto di vista borghese.
Il lettore deve comprendere che per quel mondo si può provare un'inestinguibile nostalgia solo se
si
è altrove, solo se avverte quanto in esso c'è di irrespirabile e soffocante, solo se si ha coscienza
che
da esso si deve partire, e se si è in grado di intuire che in esso è già presente il germe della
disgregazione. La rappresentazione delle classi subalterne esce dallo spazio comico e
abbandono
l'uso diretto del linguaggio popolare e dialettale: il nuovo originalissimo intreccio tra lingua e
dialetto e la tecnica dell'impersonalità consentono per la prima volta di inserire un mondo
provinciale concreto e circostanziato entro una visuale che nasce dal centro del sistema letterario
nazionale.
• MASTRO-DON GESUALDO
Il secondo romanzo del ciclo dei Vinti è “ Mastro-don Gesualdo” ; nel suo assetto finale,
l'opera rivela una costruzione solidissima, articolata in quattro parti. Al centro è la corposa figura
del protagonista, un muratore di una cittadina nei pressi di Catania, divenuto padrone di una
grande
ricchezza economica che gli consente di trattare con la nobiltà feudale.
La passione di Gesualdo per il lavoro è radicata nel mondo contadino, caratterizzato dal suo
rapporto con Diodata, ma l'ambizione e il successo lo portano lontano da questo suo mondo.
Le vicende del romanzo prendono avvio quando la brama di ascesa sociale spinge Gesualdo
ad
accettare il matrimonio con Bianza, che appartiene ad una famiglia di nobili decaduti ed è
- [Pagina 111]
compromessa da una rapporto con il cugino. Questo nuovo legame con il mondo aristocratico
costringe Gesualdo a rinunziare alla relazione con Diodata e lo mette in contrasto con quasi tutti i
membri della sua famiglia.
La sua posizione non è mai accettata dal ceto nobiliare del paese, che lo vede un estraneo, ed
egli
non riesce a comunicare neppure con la moglie. Nessuna gioia viene a Gesualdo nemmeno
con la
figlia Isabella: la bambina viene educata in collegio, e divenuta donna avvia un rapporto con il
cugino, coperto da un altro matrimonio di convenienza con il duca Leyra, in seguito al quale ella
si
trasferisce a Palermo.
Le ricchezze di Gesualdo vengono dilapidate dal genero, mentre la figlia si vergogna del suo
mondo. Sempre più solo con se stesso, guardato ostilmente da tutti i concittadini, mentre muore
la
moglie. Ormai cosciente della sua lunga lotta per la roba, è costretto ad affidarsi all'ospitalità della
figlia, e nel palazzo di questa, che gli mostra estraneità de astio, muore solo, tra la servitù
indifferente.
Il metodo dell'impersonalità si traduce in uno stile asciutto, in una sintassi fatta di periodi brevi e
incisivi, mette in evidenza i gesti e le azioni: sparisce la voce del narratore popolare e la
narrazione
sembra fondarsi su un'ottica totalmente oggettiva.
I punti di vista dei personaggi sono illuminati dall'interno, attraverso l'uso del discorso indiretto
libero. Tutta la rappresentazione converge sul protagonista, sulla dimensione economica della
sua
esistenza: Gesualdo è un vero eroe della roba, è l'immagine suprema della forza umana. Ma la
sua
forza viene contaminata e piegata dalla sottile vanità che lo induce a voler cambiare classe, ad
abbandonare le sue origini contadine per entrare nel ceto più elevato, tra coloro che hanno
sempre
detenuto il potere. Il suo è un dramma che incarna anche un fenomeno più vasto, quello
dell'ascesa
di una nuova borghesia imprenditoriale, che nella Sicilia, trovava ostacoli gravi. Verga arretra
questo dramma a una fase storica precedente, quando la società siciliana è attraversata da
tensioni e
turbamenti, ma non è ancora a contatto con la modernità e resta chiusa in se stessa.
Il suo dramma nasce dal contrasto tra la fortissima passione con cui egli vive la propria ascesa
sociale e la gelida indifferenza con cui il mondo intorno a lui considera la realtà economica: egli è
costretto a scoprire che l'uso che il mondo fa della roba esclude ogni strenua tensione affettiva. Il
contatto con la nobiltà gli fa progressivamente perdere le ragioni della propria lotta, lo porta a
chiudersi in se stesso come uno sconfitto, fino alla morte in solitudine.
In questa vicenda i dati psicologici del protagonista si intrecciano con il suo essere sociale.
Gesualdo anche all'interno di ogni classe sociale vige una legge di egoismo cieco, che
impedisce
ogni reale comunicazione, che blocca ogni autenticità e sincerità, che rende inattendibile
qualsiasi
sentimento.
L'impassibile realismo di Verga delinea qui un'immagine assolutamente negativa della realtà
- [Pagina 112]
sociale, mostra con tragica potenza come nessun valore autentico sia praticabile in un mondo
pieno
di maschere perverse e di rivoltanti volgarità. A questo mondo tutto negativo, Verga non
contrappone alternative: l'orizzonte del suo grande romanzo risulta ancora più carico di tensione,
come rappreso in un mondo intricato che non prevede alcuna esplosione liberatoria. Questa
analisi
negativa avrebbe dovuto toccare anche gli strati superiori della società contemporanea negli altri
romanzi progettati per il ciclo dei Vinti, dovevano riguardare l'ambiente nobiliare. Ma Verga non
riuscì a continuare il ciclo, e lavorò, con molta fatica alla “ Duchessa di Leyra” .
• TRA MONDO CONTADINO E MONDO CITTADINO
Le due raccolte “ Novelle rusticane” e “ Per le vie” , rappresentano il mondo contadino
siciliano e quello popolare milanese.
Nella prima raccolta (“Novelle rusticane”), la campagna catanese, si presenta nei suoi più colori
accesi e crudi; e gli aspetti ossessivi del paesaggio sia naturale che sociale: le novelle sono
basate a
situazioni collettive, che chiamano in causa numerose figure umane o interi gruppi sociali. Il punto
di vista tende a coincidere con quello dei personaggi: traducendosi in un uso particolare dello stile
indiretto libero; già presente nei Malavoglia, ma che qui diventa direttamente azione, conflitto tra
le
voci dei personaggi.
Le novelle più celebri della raccolta sono:
1. “ La roba” (1880)= Sulla figura di Mazzarò, che dal nulla ha costruito un'immensa
ricchezza agricola, vivendo solo in funzione della sua roba e che vorrebbe portarla via con
sé;
2. “ Libertà” (1882)= Narrazione dei fatti tragici avvenuti a Bronte, della violenta
insurrezione dei contadini contro i ricchi.
Mentre nella seconda raccolta, cioè “ Per le vie” , Verga coglie momenti e frammenti di vita del
mondo popolare milanese; trasferisce la sua curiosità per i poveri dalla sua terra d'origine alla
città.
A questa materia lo scrittore guarda con occhio meno lontano: la vita milanese, fitta di figure grigie
e anonime, di persone chiuse nella loro solitudine, suscita suggestioni vaghe e malinconiche nel
narratore.
• IL MARITO DI ELENA
Sull'opposizione tra la frivolezza cittadina e i solidi valori del mondo contadino si basa il romanzo
“ Il marito di Elena” . La vicenda di Cesare si svolge all'interno della Napoli borghese o
piccoloborghese
contemporanea; è un giovane e povero di provincia, di origine contadina, che con grandi
sacrifici della famiglia ha compiuto gli studi all'università, e che ha sposato Elena, una ragazza di
città. Con linguaggio secco ed essenziale, questo romanzo registra l'assoluta estraneità tra i due
protagonisti, nessuno si trova ad essere depositario di modelli positivi o negativi: una stessa
carica
- [Pagina 113]
critica agisce sulla « cittadina » Elena e sull'inetto « contadino » Cesare che non può più essere
ciò
che era all'origine.
• ULTIME RACCOLTE DI NOVELLE
Le ultime novelle di Verga si allontanano dalla impostazione veristica, ma continuano una ricerca
narrativa intensa, che troverà qualche sviluppo nella novellistica di Pirandello.
1. “ Vagabondaggio” = Nel '87 apparve a Firenze la raccolta “ Vagabondaggio” , 12
novelle, vicine in parte a “ Mastro-don Gesualdo” , e variamente ambientate ma ancora
segnate dalla presenza del mondo agricolo siciliano.
2. “ I ricordi del capitano d'Arce” = Percorre una strada del tutto diversa nella raccolta “ I
ricordi del capitano d'Arce”, la voce di un capitano vi racconta le vicende
sentimentali di Ginevra, moglie di un comandante di marina. Sullo sfondo di un ambiente
ogni gesto appare indecifrabile; gli atti banali della vita dei salotti e degli interni borghesi
sembrano venati da una sorta di malessere, che corrode le figure più eleganti femminili.
3. “ Don Candeloro e C.i” = È il mondo del teatro e degli attori, dove la vita reale non
riesce in nessun modo a separarsi dalla finzione, dalla maschera e dalla scena: nella vita dei
teatranti più poveri, nella loro lotta per sopravvivere di fronte al pubblico di provincia, si
rivela nel modo più semplice e dolente la costrizione a rinunciare a ogni autenticità, a ogni
grande desiderio e ideale.
• IL TEATRO DI VERGA
Fin dalla giovinezza Verga mostrò interesse per il teatro: al '69 risale il dramma “ Rose
caduche”, e la traduzione teatrale della tematica di “ Una peccatrice” . Ma Verga sviluppò un
più diretto impegno teatrale, in funzione di una effettiva pratica scenica, solo dopo l'affermazione
della prospettiva verista.
1. “ Cavalleria rusticana” = Di grande successo, atto unico ricavato dall'anonima novella
rappresentata a Torino, impose anche sulle scene il mondo popolare e diede un fondamentale
impulso allo sviluppo del teatro realistico. L'opera forniva, della Sicilia contadina,
un'immagine fatta di gesti assoluti e definitivi, di figure violente e ricche di colore.
2. “ In Portineria” = Spinto dal successo, Verga tentò anche un teatro ambientato nel mondo
popolare milanese, nel dramma in due atti “ In Portineria” , una rappresentazione carica
di verità, ma troppo patetica .
3. “ La Lupa” = Al mondo di “ Vita dei campi” l'autore tornò più tardi con la versione teatrale
in due atti, de “ La Lupa” , rappresentata a Torino.
• I bozzetti :
- [Pagina 114]
1. “ La caccia al lupo” e “ La caccia alla volpe” = Gli elementi realisti si collegano a più
sotterrane suggestioni simboliche.
2. “ Dal tuo al mio” = Dramma in tre atti, nato per il teatro e poi trasformato in un romanzo
dallo stesso titolo che apparve sulla « Nuova Antologia » , qui l'ambientazione siciliana si
lega a un'analisi dei conflitti sociali contemporanei, l'autore intende ricavare una vera e
propria tesi di morale sociale. Secondo cui l'interesse individuale e l'attaccamento alla roba
soverchiano qualsiasi solidarietà di classe e rendono impossibile ogni prospettiva
democratica o socialista. Nonostante il suo schematismo, il dramma ha momenti di grande
durezza e concretezza rappresentativa; ma, nel momento in cui condanna le lotte operaie, il
pessimismo sociale di Verga perde la sua carica distruttiva.
15 ESTETISMO
Negli anni '80, quando il naturalismo e il positivismo sembrano aver raggiunto la loro massima
presa sulla cultura italiana, cominciano a diffondersi anche da noi quelle tendenze estetizzanti
che
- [Pagina 115]
caratterizzano la più raffinata cultura decadente europea. Un nutrito gruppo di scrittori e
intellettuali
esaltano in primo luogo l'arte come esperienza assoluta, come conquista della bellezza, che si
manifesta anche in forme esteriori che non ci sono in questo estetismo e che animavano
l'orientamento degli scapigliati.
L'estetismo propone modelli eccezionali, offre immagini eleganti, bizzarre, morbose, ha il gusto
dell'inutile e del prezioso, si presenta come il punti d'arrivo di una cultura estenuata e raffinata,
tanto sofisticata da risultare abnorme e distruttiva. L'estetismo nutre un fortissimo disprezzo per la
volgarità e la folla, e nello stesso tempo, un'ossessiva predilezione per la mondanità, per la vita
frivola e capricciosa, per oggetti minuti e preziosi. La vita stessa deve essere vissuta come
un'opera
d'arte.
L'estetismo italiano sembra essere un mezzo per impadronirsi del mercato culturale borghese,
per
incrementare una cultura dell'inutile e della spettacolarità esteriore, per attribuire agli artisti il ruolo
di guide culturali della bellezza e che affermano nello stesso tempo la propria separazione dal
mondo sociale. I caratteri dell'estetismo italiano si riassumono nell'opera e nella vita del suo
grande
propulsore e mediatore Gabriele D'Annunzio; ma il movimento si impose come una vera e
propria
moda culturale, che videro la partecipazione di artisti e scrittori anche molto diversi, e che
diffusero
presso il pubblico uno stile figurativo e decorativo che confluì nel cosiddetto liberty.
Roma fu il centro dell'estetismo, che fruì del nuovo giornalismo e della nuova editoria. Più tardi
l'estetismo d'annunziano, che trovò luogo d'incontro, nel Caffè, allargò i propri riferimenti e si
espresse attraverso una nuova rivista romana « Il Convito » , in cui ebbe un ruolo notevole il
romano
Angelo Conti, che fu il massimo teorico dell'estetismo.
16 GABRIELE D'ANNUNZIO
Gabriele D'Annunzio, nasce nel 1863 e muore nel 1938.
rivelò una precoce passione per la letteratura e insieme una incontenibile smania di primeggiare,
di
- [Pagina 116]
mostrare le proprie doti, già negli anni del collegio pubblicò a spese del nome del padre la sua
prima raccolta poetica “ Primo vere” , che ebbe un buon successo e gli aprì la strada alla
collaborazione ai giornali letterari del tempo.
In breve tempo si conquistò un ruolo di protagonista nella vita culturale romana, sfruttando nel
modo più intelligente il mercato librario e giornalistico; in quella dimensione frivola, tra amori e
frequentazioni di salotti aristocratici, tra avventure e vagabondaggi, egli utilizzò la propria abilità e
raffinatezza di poeta come strumento di successo mondano, sovrapponendo immediatamente
vita e
letteratura.
Dopo il buon esito di due libri pubblicati nel 1882 “ Canto novo” e “ Terra vergine” , l'autore
entrò in un vortice di eventi clamorosi, che trovarono un primo coronamento nella fuga del
matrimonio con la duchessa Maria di Gallese, ma l'unione sarà caratterizzata da tradimenti e
nuovi
innamoramenti del poeta. Al vertice di questa fase dedicata al piacere, alla conquista del
successo,
portò all'elaborazione del romanzo, pieno di risvolti autobiografici “ Il Piacere” . Le energie
erotico-mondane di D'Annunzio trovavano modo di scatenarsi in una relazione con Barbara
Leoni,
ma nel contempo crescevano pericolosamente i suoi debiti, dovuti alla vita dissipata.
L'assedio dei creditori lo convinse ad allontanarsi prudentemente da Roma; dopo un lungo
soggiorno a Francavilla, si trasferì a Napoli dove restò un paio d'anni vivendo un periodo che egli
definì di splendida miseria; collaborò allora ai giornali locali (tra cui al «Mattino») e avviò una
nuova relazione. Per le difficoltà economiche aggravate dalla morte del padre, D'Annunzio
dovette
abbandonare anche Napoli: ritiratosi in Abruzzo, portò a termine il “ Trionfo della morte” , che
segna il punto più alto del suo impegno nel genere del romanzo dopo “ Il Piacere” . Intanto il suo
nome e i suoi testi cominciavano a circolare anche fuori d'Italia.
Le sue ambizioni ora vanno al di là dell'orizzonte mondano, mirano a un'arte suprema, capace di
esprimere energie profonde ed assolute, e si fa banditore della teoria del superuomo, ricavata da
Nietzsche. Dopo il romanzo “ Le Vergini delle rocce” , egli cerca la strada di una grande
tragedia moderna con “ La città morta” , cui segue i primi svolgimenti della poesia delle
“ Laudi” , e il romanzo veneziano “ Il Fuoco” , a ciò si aggiunge pure un impegno politico con il
sostegno della Destra. Nel '900 D'Annunzio lascia clamorosamente la maggioranza e si unisce
alla
Sinistra che attua l'ostruzionismo contro le leggi reazionarie del convegno Pelloux. Dopo un
viaggio in Svizzera, Germania e Austria con la Duse, si presenta alle nuove elezioni come
candidato
della Sinistra, ma non viene eletto. I primi anni del secolo vedono la conclusione dei tre libri delle
“ Laudi” , e la stesura della più fortunata delle sue tragedie “ La figlia di Iorio” . Tra la stesura di
nuove opere teatrali e del romanzo “ Forse che sì forse che no” , il poeta trova modo di
- [Pagina 117]
distinguersi; e partecipa alla vita mondana della belle époque internazionale.
Tra il 1911 e il 1914, fa pervenire dalla Francia al «Corriere della Sera», le prose delle “ Faville
del maglio”; l'occasione di fare buoni guadagni lo induce a scrivere sceneggiature
cinematografiche come “ Cabiria” .
Fu la guerra mondiale a ridargli vitalità e un ruolo di protagonista: il suo estetismo e il suo
superomismo si convertirono in fiammante oratoria nazionalistica; preceduto da una campagna
giornalistica tornò in Italia tiene violenti discorsi interventistici. Entrata anche l'Italia in guerra si
arruolò come tenente e si comportò con coraggio; ferito all'occhio destro, passò una lunga
convalescenza a Venezia senza poter far uso della vista, e al buio nacque la prosa del “
Notturno” ,
nonostante la perdita dell'occhio riprese l'attività militare, impegnandosi in imprese che gli dettero
la fama di eroe.
Alla fine della guerra divenne protagonista politico, guidò l'impresa di Fiume, questa esperienza si
avvicina al fascismo, D'Annunzio si trovò tra propositi diversi. Ma fu tagliato fuori nel corso degli
eventi e preferì ritirarsi nella sua villa, esaltato come eroe, fu nominato principe.
Era inevitabile che in isolamento il vecchio esteta guardasse alla propria vita, che aveva definito
inimitabile, con un'ombra di egoistica malinconia, come a qualcosa di perduto. Appena morì
venne
osannato da numerose celebrazioni ufficiali.
• LA SCRITTURA DANNUNZIANA
Quasi in ogni momento della sua vita D'Annunzio rivela una creatività eccezionale, una
prontezza
nella scrittura, nella manipolazioni di parole e di immagini, e tenne a presentarsi come supremo
artefice e immagnifico. Questa creatività deriva da una singolare recettività di fronte alle letture e
alle esperienze più varie, egli combina modelli antichi e moderni. Lettore attentissimo D'Annunzio
è sempre all'erta per ricavare prodotti letterari dalle fonti più disparate, egli è pronto a far proprio
tutto ciò che gli appare nuovo e più rispondente alle esigenze del pubblico, servendosi di letture
francesi, costruisce con la sua opera una monumentale enciclopedia del decadentismo
europeo.
• DA PRIMO VERE AL POEMA PARADISIACO
La poesia di D'Annunzio è animata da un impulso a dominare lo spazio della parola, a trovare
intonazioni sonore. C'è un'aspirazione onnivora a impadronirsi di tutta la letteratura; di qui una
ricca
varietà di moduli metrici e di scelte linguistiche, una libertà di tipo barocco.
• PRIMO VERE E CANTO NOVO
1. “ Primo vere” = Rivelò la capacità mimetica di D'Annunzio, la nuova edizione apparsa con
un numero molto ridotto di componimenti, con una più accurata resa stilistica, si riallacciava
a miti pagani della natura, metamorfosi della forza rigeneratrice dello spirito della danza,
- [Pagina 118]
nozione ricavata da Nietzsche.
2. “ Canto Novo” = 63 componimenti in 5 libri, i versi si basavano su schemi metrici barbari,
in un lucido e prezioso linguaggio classicistico, ma soprattutto manifestavano
un'affermazione di sensibilità per le forme fisiche della natura. Dappertutto affioravano
fremiti sottili, guizzavano fibre, nervi, si fondevano elementi animali e vegetali, il poeta si
affidava a un linguaggio fisico e corporeo, ma su un tono alto, in modi di grande novità nella
poesia italiana.
3. “ Intermezzo di rime” = Contiene componimenti più consueti della tradizione italiana,
ma svolge una tematica di tipo esplicitamente decadente. Nella nuova e più ampia edizione,
dal più breve titolo “ Intermezzo” ; D'Annunzio modificò la raccolta, che divenne preziosa
immagine di una iniziazione di lussuria, considerata essenziale per la figura del poeta
moderno.
4. “ Isaotta Guttadàuro ed altre poesie ”= Pubblicata ma poi divisa in due raccolte,
apparse in un solo volume con il nome “ L'Isottèo” e “ La Chimera” (quest'ultima con
nuovi componimenti); c'era un pullulare di passi fatti alla maniera di questo e di quell'autore,
un fiorire di figure eleganti e mostruose.
5. “ Elegie romane” = Orientate verso un equilibrato classicismo, che guarda al modello
delle elegie di Goethe, utilizzando schemi carducciani.
6. “ Odi navali” = Vi sono esaltazioni nazionalistiche della Marina militare italiana.
7. “ Poema paradisiaco” = È l'opera che conclude la poesia giovanile di D'Annunzio, il
poeta lo porta verso toni più delicati e smorzati, verso una inquieta malinconia, le scelte
metriche confortano questi nuovi toni. Ma attraverso queste smorzature D'Annunzio cerca di
fare suoi alcuni temi e atteggiamenti del più recente simbolismo. Il poeta vuole apparire
disgustato dell'esaltazione dei sensi, vicino a una disillusa maturità che lo spinge a cercare
ciò che è dentro le cose, a ritrovare una innocenza legata al sogno d'un passato lontano.
• IL PIACERE
Il primo romanzo di D'Annunzio “ Il Piacere” fu scritto nel 1888, ha un impianto narrativo e
strutturale piuttosto esile e modi di rappresentazione che appartengono in pieno al naturalismo,
tenta
di uscirne fuori e di inoltrarsi in sottili analisi psicologiche, di scoprire segreti nessi tra le
sensazioni, di scandagliare le complicazioni della vita intellettuale.
Al centro del romanzo c'è un personaggio intellettuale, che per molti caratteri si identifica con
l'autore, la vita si trasfigura in un modello di distinzione e di eccezionalità. Il protagonista è un
aristocratico, educato dal padre a costruire la propria esistenza come un'opera d'arte, egli
progetta
un'opera unica e assoluta ed è dominata dalla passione dell'artificio e della finzione, che lo
portano
- [Pagina 119]
ad instaurare un rapporto distaccato e ambiguo.
Il romanzo si apre con l'incontro di Andrea con l'antica amante Elena, ricorrendo a un flash-back
lo
scrittore narra le vicende e poi il rinascere di quella passione nel protagonista e il suo desiderio di
riannodare i rapporti con la donna. Al rifiuto di questa si rituffa nella vita mondana di Roma, ferito
in un duello, egli passa la convalescenze presso una cugina dove incontra una donna che
impersona
una femminilità opposta a quella di Elena. Nel nuovo rapporto si inserisce sempre più il
velenosamente il desiderio e l'immagine dell'altra, egli giunge a proferire il nome di Elena mentre
ha tra le braccia l'altra.
Il romanzo svolge un'analisi critica delle deviazioni e delle contraddizioni in cui si inviluppa l'esteta
decadente. Ma questa dimensione critica è molto superficiale, ricalcata su vari modelli della
contemporanea cultura europea: nel “ Piacere” c'è solo qualche vago tratto di stanchezza e di
tristezza; i risvolti tragici di certe situazioni del romanzo non sono altro che ingredienti per fa
meglio risaltare l'artificiale splendore delle vita-opera d'arte; l'autore vuole che il pubblico resti
abbagliato da quelle incertezze, da quella estraneità alle norme morali. Questa prospettiva si
affida a
una prosa che scorre con grande semplicità sintattica.
• L'INNOCENTE
La prova fortunata del “ Piacere” spinse D'Annunzio a un approfondimento dell'analisi
psicologica,
attenta agli stati patologici, ai turbamenti e alle sensazioni sotterranee; lo scrittore avviò subito la
stesura del romanzo “ L'Innocente” ; ideato inizialmente come una novella.
Il romanzo si presenta coma la confessione di un personaggio che appartiene al bel mondo
romano,
un nobile pieno di qualità intellettuali, pronto all'analisi di se stesso e delle proprie passioni. La
voce del narratore condensa in sé la forza incontenibile che lo spinge al delitto, proprio mentre
egli
si nasconde sotto vaghe aspirazioni alla pace e alla mitezza: ma nello svolgimento di questa
doppiezza c'è qualcosa di freddo e impassibile.
• TRIONFO DELLA MORTE
All'inizio del '93 inizia la pubblicazione a puntate sul « Mattino » de “ L'Invincibile” , col nuovo
titolo “ Trionfo della morte” . Articolato in sei libri, indaga il male che mina all'interno il
personaggio principale, il tipico intellettuale. Il protagonista è un nobile e ha molti caratteri in
comune con Andrea Sperelli (personaggio de “Il Piacere”), ed è vittima di sottili turbamenti
psicologici che il narratore analizza con cura. La malattia di Giorgio si riassume nel contrasto tra
una forte volontà di vita, e il fascino che su di lui esercitano la passività e la morte: la sua mente è
continuamente preda di immagini e pensieri inibenti, che bloccano le sue aspirazioni al lavoro e
alla
creazione artistica. D'Annunzio mira a far proprio un tema, quello del fallimento dell'intellettuale,
l'autore intreccia tutta una serie di tonalità e di motivi, facendo somigliare il romanzo a un grande
- [Pagina 120]
melodramma. La dedica al Michetti mette in luce la profonda distanza tra la vicenda dell'autore e
quella del suo personaggio, affermando la nuova fede dannunziana nel superuomo.
• IL SUPERUOMO
D'Annunzio conia alcune espressioni esemplari, che si sono trasformate in veri e propri slogans,
come la « vita opera d'arte » , il « vivere inimitabile » , « rinnovarsi o morire » .
La scoperta di Nietzsche e soprattutto della teoria del superuomo all'inizio degli anni 90 offrì a
D'Annunzio l'occasione di risolvere le contraddizioni del suo estetismo: banalizza il pensiero di
Nietzsche, riducendolo a ideologia di facile consumo, eliminandone la radicale negatività, e per
affermare la positività del divenire della natura e della storia. Con tale teoria l'esteta si trasforma in
eroe, l'artista si attribuisce il compito di guidare l'umanità alla più piena e vigorosa espressione di
sé
e nello stesso tempo alla scoperta delle priorità segrete e profonde della realtà.
Il teatro si rivela ben presto come strumento essenziale per esibire tali facoltà davanti alla folla, per
realizzare un'arte che afferri e unifichi tutte le forme e le tensioni in una sintesi totale.
• LE VERGINI DELLE ROCCE
La nuova prospettiva trova subito manifestazione nel romanzo “ Le Vergini delle rocce” . È
un'opera dominata da una violenta polemica contro il mediocre e volgare mondo borghese
plebeo,
da una riproposizione del culto aristocratico della bellezza, siamo davanti a un protagonista nobile
e
pieno di qualità intellettuali, che cerca una donna di nobile stirpe degna di generare con lui un
figlio
destinato a salvare l'Italia dalla miseria del presente: la ricerca punta su tre sorelle, la cui virtù è
però destinata a fallire, mentre le tre vergini restano come cristallizzate in quel paesaggio di pietre
e
di acque, detta appunto “ La Vergine delle rocce” .
• IL FUOCO
Il libro è scritto in terza persona e propone un protagonista che è ancora una figura
(autobiografica)
di intellettuale, detto l'imaginifico, rappresenta l'incarnazione dell'estetismo dannunziano: è un
superuomo sicuro di sé e della propria capacità di passare attraverso tutte le esperienze. Tutte le
immagini, servono per potenziare il proprio io, egli ambisce ad abbracciare il fondo più intenso e
oscuro della realtà, a sintetizzare il suo istinto e il genio della stirpe, il romanzo narra i rapporti
dell'artista con una grande attrice drammatica; votata a servire l'arte di lui, minacciata da
un'irrequietezza e da segni che annunciano il prossimo sfiorire della sua giovinezza. Mentre la
donna rinuncia all'amante per lasciarlo alla sua arte e alla sua inesauribile vitalità, progetta una
grande tragedia e un nuovo teatro per la stirpe latina.
• FORSE CHE SÌ FORSE CHE NO
Dal progetto di una lunga novella nasce il romanzo “ Forse che sì forse che no” . Qui il
protagonista, ancora un alter ego dell'autore, estende il suo raggio d'interesse e d'azione dall'arte
ai
- [Pagina 121]
nuovi mezzi della tecnica; è un esploratore di nuove strade per l'umanità, proiettato verso la
scoperta e la conquista. Ma questo superuomo è prigioniero di una situazione malsana.
• IL TEATRO
Attraverso il “ Fuoco” D'Annunzio definisce la propria idea di teatro, che sviluppa negli ultimi anni
del secolo sollecitato sia dalla conoscenza di Nietzsche e di Wagner: egli mira a un nuovo teatro
tragico che pone il superuomo in un rapporto supremo con la folla. Di questo programma
discese
una grande quantità di testi teatrali, priva di vera e propria tensione drammatica.
Il lavoro più riuscito è la prima tragedia che D'Annunzio ideò durante il viaggio in Grecia del '95 .
1. “ La città morta” = Destinata inizialmente alla Duse, ma in seguito venne rappresentata
dalla più celebre attrice francese. Si tratta di 5 atti in prosa, ambientati in Grecia, in età
moderna, presso le rovine di Micene. La tragedia intende proiettare in un ambiente borghese
immagini del mito e della tragedia greca. Alcuni motivi originari della tragedia greca
vengono spostati e ricombinati, così da creare un'inquietante atmosfera di attesa, carico di
oggetti simbolici funebri; sulla scena pesa una forza misteriosa, che costringe i personaggi
moderni a ripetere i tragici gesti degli eroi antichi.
2. “ Sogno di un mattino di primavera” e “ Sogno di un tramonto notturno” e
de “ La Gioconda” = Nelle opere che subito seguirono, il neodrammaturgo tentò un teatro
di ambientazione borghese, ma nutrito di una problematica estetica e animato da figure
femminili su misura per la Duse, si tratta di due drammi simbolici.
3. “ La Gloria” = Qua si possono trovare le nuove ambizioni politiche del superuomo, e i
recenti conflitti sociali, è un singolare pasticcio estetizzante.
In seguito D'Annunzio passò a un teatro in versi basato sulla moltiplicazione interminabile della
parola, su una versificazione facile e fluente, su un gioco di echi fonici e su vocaboli rari e
peregrini.
1. “ Francesca da Rimini” e nella “ Perisina” = Il clichè di un'Italia nobiliare tra
Medioevo e Rinascimento, dominata da istinti barbarici e da passioni micidiali, con figure
femminili di incontenibile sensualità.
2. “ La figlia di Iorio” = È il più grande successo teatrale dannunziano, con un adattamento
al mondo pastorale abruzzese. La tragedia si presenta come un canto dell'antico sangue, che
mette in scena un Abruzzo favoloso, dominato da una sensualità. L'autore intende trasferire
tutto il mondo popolare, nell'assolutezza del mito, l'impressione che ne nasce è quella di
essere davanti a curiose e verbose figurine di cartapesta dai colori rutilanti e da gesti
spropositati.
3. “ La fiaccola sotto il moggio” = È un'altra tragedia abruzzese, vi si narra una storia di
- [Pagina 122]
delitti e di vendetta che si svolge all'interno di una nobile famiglia e ha come protagonista
una figura di fanciulla delicata e virtuosa, modellata sulle eroine della tragedia greca.
4. “ Più che l'amore” = Ambientata nella Roma contemporanea e incentrata sullo scacco di
un nuovo superuomo.
5. “ La nave” e “ Fedra” = Sono due tragedie in versi, che evocano la Venezia delle origini e
un Adriatico medievale, barbarico e bizantino, inoltre “ Fedra” è una riscrittura di un mito
classico.
• LE LAUDI
A ridosso delle nuove esperienze teatrali esplode una nuova poesia dannunziana, con una
nuova
attenzione dell'autore al mito classico e dal suo stesso viaggio in Grecia. Si svolge con il ciclo
delle
“ Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi” , con il quale il poeta si propone come
campione di una rinascenza eroica, la conquista del mondo da parte di una nuova umanità
pagana, e
che si ritiene capace di reimmettere nel presente tutta la vitalità del mito antico. Il titolo Laudi
mostra dome D'Annunzio voglia utilizzare la suggestione francescana delle “ Laudes
creaturarum” .
Egli voleva una sorta di poesia continua, in cui dovevano rintracciarsi parti epico-narrative e parti
liriche, secondo una struttura molto articolata che nel piano iniziale prevedeva ben sette libri, ma il
progetto e la stesura ebbero varie fasi e diversi aggiustamenti.
Singole liriche apparvero sui giornali e riviste, finché si arrivò alla pubblicazione di tre libri in due
volumi:
1. il primo con il titolo “ Maia” = Ha la funzione di una accesa premessa epico-ideologica,
dopo due canti che fanno da premessa a tutto il ciclo, un lunghissimo poema “ Laus
vitae”, diviso in 21 parti e fatto di strofe di 21 versi. È una esaltazione della vita e della
varietà dell'universo, i più diversi aspetti del mondo naturale diventano per l'io del poeta
oggetti da ghermire e possedere. A questa esaltazione del possesso l'autore tenta di conferire
un ritmo epico con la narrazione del proprio viaggio in Grecia.
2. il secondo con il titolo “ Elettra” = Contiene componimenti in metri diversi, dedicati
all'esaltazione e alla commemorazione di vari eroi, che il poeta riconosce come altrettanti
specchi di sé e come guide nel suo programma di immersione nell'universo.
3. “ Alcyone” = Costituisce una sorta di tregua del poeta-vate e rappresentare un'immersione
di trionfante sensualità nella gioia e nel calore dell'estate. È una serie di componimenti
organizzati in modo da percorrere l'intero ciclo della stagione. La critica lo considera il
migliore risultato di D'Annunzio, si espande una poesia dell'estate che si era già affacciata in
Canto novo. La gioia per il fisico sprofondarsi degli antichi miti della fertilità, del rigoglio,
della metamorfosi, che spesso D'Annunzio riscrive e sviluppa in nuove figurazioni. Il
- [Pagina 123]
virtuosismo verbale del poeta, non è mai usato così furente e incontenibile: dappertutto cerca
segni di entusiasmo e godimento, il piacere appare ancora una volta narcisistico, teso a
un'espansione dell'io e della sua parola, infatti sospende la parola in una sorta di incantata
allucinazione, la sintassi obbedisce a una metrica ancora tradizionale e procede in modo
flessuoso. Nelle liriche più riuscite la parola pare estenuarsi nell'atto stesso di offrirsi, la
sensualità dannunziana ha i suoi esiti più felici quando si stempera in una dolcissima e tenue
femminilità, quando si fa invadere delle forme vegetali e sembra perdersi in esse, nascono
liriche perfette come “ La pioggia nel pineto” .
Solo più tardi ne aggiunse altri due:
1. “ Merope” .
2. “ Canti della guerra latina” .
• LE FAVILLE DEL MAGLIO
Qua si trova un D'Annunzio diverso, vennero pubblicate sul «Corriere della Sera», si tratta di
scritti
brevi a cui l'autore continuò a lavorare variamente, fino alla pubblicazione di due raccolte la prima
dal titolo “ Il venturiero senza ventura e altri studi del vivere inimitabile” ; e la
seconda “ Il compagno dagli occhi senza cigli” .
In questi scritti si riconoscono una inquieta disposizione lirica e una tendenza all'analisi interiore
che si concretano in piccoli apologhi su figure mitiche o simboliche, in pause meditative.
Nelle prose del “ Venturiero senza ventura” si intrecciano divagazioni preziose, aperture
verso motivi letterari dell'ideologia e dell'immaginario dannunziano. Le faville di tipo
autobiografico si svolgono come una successione di figurazioni esemplari, la più interessante è la
lunga favilla “ Il compagno dagli occhi senza cigli” , l'autore ci descrive la visita inquietante
di Dario un compagno di collegio gravemente malato, l'affacciarsi di tanti ricordi. Domina l'orrore
del ritorno di un passato che proietta riverberi sul presente.
All'ambito delle “ Faville” si possono collegare le prose della “ Contemplazione della
morte” in memoria di Giovanni Pascoli; e il racconto “ La Leda senza cigno” , ambientato
nelle Lande: scritto in prima persona, questo racconto narra una cupa vicenda di delusione, di
fronte
allo svelarsi della volgarità quotidiana. Nell'edizione del 1916, alla Leda fu aggiunta la
“ Licenza” , un ampio testo che elabora ricordi e sogni del periodo francese.
Nell'età politica e militare l'estetismo e il narcisismo di D'Annunzio trovano un immediato pubblico
in quella folle a cui il suo superuomo guardava con disprezzo e dalla quale era nello stesso
tempo
affascinato; la scontentezza dello scrittore per la situazione politica e il suo bisogno di
protagonismo
già dannunziana è orientata verso un orizzonte nazionalistico e imperialistico.
- [Pagina 124]
Egli si serve della dimensione dello spettacolo per farsi protagonista nei nuovi metodi spettacolari
della politica e della guerra, egli sa servirsi dei nuovi mezzi tecnici e degli strumenti di distruzione
costruiti dalla nuova industria. Il punto di partenza della sua politica sarà la parola, tesa ad esaltare
il gusto del rischio e del pericolo mediante modi scattanti e militareschi. Anche se D'Annunzio
rifiutò di impegnarsi direttamente nella politica e nutrì dubbi e riserve sul fascismo, egli fu uno dei
cardini della cultura del regime, e gli va attribuita tutta la responsabilità di aver fatto convergere nel
fascismo e nell'azione di massa una cultura decadente, irrazionalistica, individualistica.
• IL NOTTURNO
La convalescenza per la ferita all'occhio patita durante la guerra indusse il poeta a ritentare un
scrittura intima e segreta, costretto a letto egli cominciò a scrivere una prosa di riflessione e di
ricordo su dei piccoli cartigli. Vennero sistemati da lui in tre parti (chiamate offerte) e pubblicate
solo dopo col titolo “ Notturno” . Quest'opera suscitò entusiasmi, perché svolgeva un'originale
esplorazione dell'ombra, partendo da una condizione di buio, che annullava la presenza fisica e
sensuale della realtà esterna e degli stessi testi letterari, la scrittura si basava su notazioni brevi e
secche, su pause e sospensioni capaci di generare suggestivi effetti. La concentrazione sul
proprio io
sollecita un flusso di sensazioni e di ricordi che si affacciano nel buio, sembra che fa i conti con i
fantasmi tra cui emerge quello della madre malata e poi morta. D'annunzio proietta se stesso e il
mondo della guerra sul piano del mito.
L'ultima opera a cui lo scrittore lavorò s'intitola “ Cento e cento e cento pagine del libro
segreto di Gabriele D'Annunzio tentato di morire”, si può assistere a una frantumazione
del linguaggio, non sa attingere a una negatività radicale: nel suo malumore senile vibra un
estremo
compiacimento di sé, il senso della propria superiorità sul teatro della società, l'ultima traccia di un
invincibile narcisismo.
D'Annunzio è l'uomo dalle mille trasformazioni, egli rivela una sostanziale differenza per
l'autentica
origine degli oggetti estetici e dei modelli di comportamento di cui si serve: nella vita e nell'opera
gli interessa produrre-riprodurre degli oggetti estetici in serie.
L'opera di D'Annunzio ci dà un'immagine ricca e articolata di un uso sociale della cultura da parte
della società borghese a cavallo dei due secoli, una società sospesa tra chiusure provinciali e
ambiziose aperture verso la cultura europea, che si lascia catturare da miti che la convincono
della
sua superiorità e del suo diritto di impossessarsi del mondo.
- [Pagina 125]
17 LUIGI PIRANDELLO
Luigi Pirandello, nasce ad Agrigento nel 1867 e muore nel 1936.
Deciso a dedicarsi alla letteratura, cominciò a impegnarsi nella narrazione in prosa, scrisse il suo
primo romanzo “ L'esclusa” , collaborava spesso a riviste, sia con saggi, sia con novelle. In questi
anni si ebbero anche i suoi primi tentativi di scrittura teatrale.
La famiglia di Pirandello subì un grave dissesto economico; tra cui la notizia causò in Antonietta
delle crisi che compromise il suo equilibrio psichico. Venute meno le rendite familiari. Luigi
- [Pagina 126]
intensificò la collaborazione a giornali e riviste; e vennero composti i romanzi “ Il fu Mattia
Pascal”, “ I vecchi e i giovani” , “ Suo marito” .
Egli lavora anche per la nuova industria del cinema, scrivendo soggetti, di questa attività è frutto il
romanzo “ Si gira..” , pubblicato nella « Nuova Antologia » ; nel 1915 al teatro Manzoni di Milano
va in scena la sua prima commedia in tre atti “ Se non così...” .
Da questa esperienza prende avvio un suo nuovo impegno nella scrittura teatrale, sia in lingua
che
in dialetto siciliano. Pirandello considera la guerra un necessario compimento storico del
Risorgimento, ma ne individua anche gli aspetti negativi e distruttivi: vive drammaticamente il fatto
di appartenere a una generazione a cui è negato un autentico impegno patriottico.
Nel 1920 vi è un affermazione del teatro pirandelliano: il fervore creativo culmina nel capolavoro
dei “ Sei personaggi in cerca d'autore” che trionfa a Milano. Da una vita sedentaria lo
scrittore passa a un' inquieta condizione di viaggiatore, scrivendo negli alberghi, arricchendo il suo
repertorio di nuove commedie, impegnandosi anche in una attività di regista. Egli mostra una
viva
curiosità per le tecniche dello spettacolo, in primo luogo il cinema, che in quegli anni ricava
soggetti da molte sue opere; scrive alcune novelle e cura varie edizioni delle sue opere, mirando
a
una loro sistemazione globale che raccoglie i testi teatrali sotto la denominazione di “ Maschere
nude”.
Pirandello pare attuare una fuga da se stesso, è una paradossale affermazione di sé che si lega
a una
ossessione di presenza pubblica, ma è aliena dal pessimismo con cui egli ha sempre guardato
alla
falsità della vita sociale. I suoi comportamenti pubblici sono caratterizzati da una ambiguità di
fondo, che giustifica anche la sua adesione al fascismo, a una iscrizione formale al partito. I buoni
rapporti con lo stesso Mussolini gli consentono di trovare finanziamenti per un nuovo organismo
teatrale, esso costituì una vera e propria compagnia, diretta dallo stesso Pirandello. Ma il Teatro
d'Arte dovette cessare l'attività, nonostante i suoi sempre più numerosi viaggi all'estero, Pirandello
mantenne stretti rapporti con la cultura ufficiale.
Nel 1934 gli venne assegnato il premio Nobel per la letteratura. Il suo pessimismo lo fece essere
sempre inspiegabilmente altrove, diverso da come era costretto ad apparire. Mentre seguiva
negli
stabilimenti di Cinecittà le riprese di un film tratto dal “ Fu Mattia Pascal” .
Pirandello non intende ricavare dalla letteratura l'esaltazione di una vita esuberante e trionfante,
ma
partire dalle condizioni della vita reale degli uomini, per scoprirne le contraddizioni. Scrivere per lui
è come ruotare attorno a un groviglio di oggetti in cui si coagula una vita che non riesce ad
essere se
stessa, che lotta continuamente con una forma che la insidia. In questo continuo ruotare la
scrittura
si richiama ad alcuni modelli, di individuare elementi diversi:
- [Pagina 127]
1. quelli provenienti da un antico fondo siciliano, dalla durissima vita popolare, dalle leggende
e dalle credenze, da un folclore risalente alle origini greche;
2. quelli ricavati da una sottile attenzione alla vita della piccola borghesia impiegatizia della
Roma umbertina e giolittiana;
3. quelli legati a una coscienza fortissima dei turbamenti ;
4. quelli che risalgono a un'ossessione per tutte le forme di sofferenza e di malessere psichico
che possono sorgere all'interno della famiglia;
5. quelli ricavati da una tradizione di letteratura umoristica italiana ed Europea .
La scrittura pirandelliana tende a costruire un'opera globale, in cui non contano soltanto i singoli
risultati, ma soprattutto l'impegno continuo. In ciò agisce una violenta ossessione originaria:
scrivere è un modo per tenere lontana questa ossessione e insieme di ruotarvi intorno senza
fine.
Gran parte dell'opera pirandelliana può essere vista come una sosta in una «stanza della
tortura» .
• MASCHERE, FANTASMI E PERSONAGGI
Per Pirandello la finzione e l'inganno della vita sociale trovano il loro maggiore strumento nella
maschera: ognuno di noi si presenta allo sguardo degli altri attraverso l'apparenza esterna che
non
corrisponde alla reale natura e da cui è molto difficile, o impossibile, liberarsi. Sciascia ha mostrato
come Pirandello ricavasse quest'idea della maschera dal fondo stesso della realtà sociale
siciliana; a
questo fondo arcaico egli intrecciava poi un'avanzatissima coscienza del carattere artificiale della
vita sociale moderna.
Dalle «filosofia della vita» gli veniva una concezione della realtà come perpetuo e insolubile
conflitto tra vita e forma; la «vita» è flusso continuo che, nella comunicazione tra gli uomini, viene
sempre bloccato, artificializzato da una forma che ne spegne la forza originale e ne porta con sé
la
morte (la maschera non è che una delle manifestazioni essenziali della forma). L'essere stesso
dell'uomo nella società si fonda proprio su una continua lotta contro la forma, in un tentativo di
districarsi dalle maschere artificiali che dominano i rapporti interpersonali.
Maschere e finzioni s'impongono in tutte le opere pirandelliane, sopraffatte dalle maschere, le
persone diventano inafferrabili: il loro posto è preso da esseri astratti, quasi dei fantasmi che
condensano in sé tutta una serie di realtà psichiche, di sensazioni, di desideri, di ossessioni
altrimenti impronunciabili.
Lo scrittore tende a vedere il proprio lavoro come frutto di un rapporto con queste emanazioni
della
sua fantasia, testimoni di un doloroso bisogno di vita, compagni segreti del suo io. Sono fantasmi
che recano su di se il segno della forma che uccide, che vengono spesso dal regno dei morti, da
quest'ossessione nasce la concezione pirandelliana del personaggio, come essere che cerca di
realizzarsi in modo assoluto e vivere una sua vita autentica nella letteratura e poi soprattutto sulla
scena. Questa concezione trova un' essenziale manifestazione nel romanzo “ Il fu Mattia
- [Pagina 128]
Pascal” quello del personaggio senza autore: esso viene impostato in alcune novelle
Questo mito permette all'autore di sentire le proprie opere come organismi in movimento, in cui i
personaggi costruiscono e impongono il proprio essere. L'esperienza teatrale è al centro del
lavoro
di Pirandello imponendo un confronto con la presenza fisica degli attori-personaggi in scena,
approfondisce ulteriormente questo senso dell'autonomia del personaggio.
Pirandello è interessato all'individuo, alla sua angoscia di uomo solo, umiliato e offeso dagli altri e
dalla vita. L'uomo infatti nasce per caso, in un determinato ambiente, in una determinata famiglia,
riceve un nome determinato, e si ritrova a vivere in condizioni che egli non ha scelto, si ritrova
insomma in un'esistenza già organizzata da altri, prima ancora che egli nasca. Le convenzioni
sociali i costumi sono altrettanti schemi precostruiti entro i quali egli è costretto a vivere senza
essere chiamato a decidere. Finché accetta questo stato di cose, come naturale, l'uomo può
vivere
sereno, ma appena si rende conto “ Dello strappo nel cielo di carta del teatrino della
vita”, si rende conto di non vivere per se stesso, con una propria identità precisa, bensì di recitare
una parte che gli altri gli hanno imposto. Tenta allora la rivolta contro le convenzioni sociali che lo
costringono e gli impediscono di essere se stesso.
• IL FU MATTIA PASCAL
1. “ L'Esclusa” e “ Il turno” = Fin dal soggiorno romano, il giovane Pirandello provò la
narrativa in prosa. Scrisse il suo primo romanzo, intitolato originariamente “ Marta
Ajala” e pubblicato col titolo “ L'Esclusa” . Il romanzo è incentrato su un personaggio
femminile, in un mondo stralunato e percorso da lampi di follia, la protagonista sperimenta
un'impossibilità di affermare la propria autenticità personale e il senso di una resa rassegnata
alla mediocrità dell'esistenza quotidiana.
Il breve romanzo successivo “ Il turno” , i personaggi si muovono come marionette e si tratta di
uno scatenato comico.
Il primo grande romanzo di Pirandello, “ Il fu Mattia Pascal” , scritto mentre l'autore assisteva la
moglie malata. All'inizio del secolo ricevette scarsa attenzione e poche valutazioni da parte della
critica. Pirandello fa narrare al protagonista Mattia una singolare vicenda di morte e
reincarnazione.
In seguito a varie disgrazie familiari Mattia fugge da casa e approda a Montecarlo, dove vince
una
fortuna alla roulette. Durante il viaggio di ritorno legge in un giornale del ritrovamento del cadavere
di un suicida presso il suo paese, che la moglie ha identificato in lui stesso: decide allora di
accettare questa morte e di vivere senza più legami sociali, sotto il falso nome di Adriano Meis,
facendo affidamento sulla somma guadagnata al gioco. Va a vivere a Roma in una pensione, e
qui
nasce un sentimento amoroso tra lui e la figlia del padrone di casa, che egli sente quasi come
un'anima gemella; potrebbe iniziare con lei una vita diversa e autentica; ma non può farlo perché
il
- [Pagina 129]
nome che ha assunto non esiste per lo stato civile. Decide allora di abbandonare Roma,
lasciando i
segni di un altro suicidio per annegamento, e di risorgere come Mattia Pascal: tornato al suo
paese,
scopre che la moglie si è formata una nuova famiglia; rinuncia così alla vecchia identità e si
accontenta di vivere in una biblioteca, scrivendo la propria storia e aspettando una terza, definitiva
morte.
L'unità del personaggio che parla in prima persona è frantumata dal suo riferirsi a tre diverse
incarnazioni, ciascuna delle quali impone sul racconto un diverso punto di vista, in narratore pare
cercare una identificazione e sfuggire poi a ogni identificazione. Il passaggio dalla situazione
iniziale a quella finale segue una struttura circolare. La scrittura del «fu» Mattia si dà tutta in
rapporto con la morte, il personaggio pirandelliano oppone al vitalismo la coscienza della finzione
e
del fallimento, la scomparsa di ogni sicurezza e di ogni valore definitivo.
• DA “L'UMORISMO” A “SI GIRA...”
1. “ L'umorismo” = I meccanismi di scomposizione facevano del Mattia Pascal un romanzo
umoristico, al fondo della sua scrittura c'era in effetti una precisa concezione che Pirandello
svolge nel saggio “L'umorismo”. In questo saggio si ripercorre la tradizione della letteratura
umoristica e ne rivendica il valore. Il metodo essenziale dell'umorismo viene individuato
nella scomposizione e nell'intervento della riflessione sul processo creativo, l'autore umorista
scompone i caratteri apparenti ed esteriori della realtà, individua dietro ogni gesto o
espressione il suo contrario. Il comico più in generale viene definito come avvertimento del
contrario, l'umorismo si distingue come sentimento del contrario. Il comico si limita a
farci ridere di una cosa, mentre l'umorismo in un primo momento ci spinge a sorridere, poi
però ci fa riflettere, e di un avvenimento o di una cosa ci fa vedere pure l'aspetto tragico,
dunque l'umorismo non serve solamente per ridere come fa il comico, ma anche per farci
riflettere.
Pirandello fa capire questi concetti con un esempio: immaginate di vedere una signora
vecchia, rugosa, tutta truccata e vestita come una ragazzina; in un primo momento questa ci
suscita l'avvertimento del contrario, cioè ci rendiamo conto che la signora si comporta in
modo contrario alla normalità e dunque ridiamo; se però andiamo oltre e capiamo i motivi
per cui questa donna si rende così ridicola, allora avvertiamo il sentimento del contrario, e la
signora, che fino ad un attimo prima ci ha fatto ridere, ci farà pena, genererà in noi un
sentimento di compassione. In tal modo l'umorismo assumendo la duplice prospettiva di
compassione amara e feroce derisione dell'uomo è la condizione più adatta per
smascherare gli inganni.
L'umorista si sente solidale con le sproporzioni e le deformazioni che mette in evidenza, è
lacerato dalla contraddizione dal contrasto tra vita e forma.
- [Pagina 130]
2. “ I vecchi e i giovani” = È un ampio romanzo, e presenta una applicazione della poetica
dell'umorismo, ricollegandosi ai “ Viceré” di De Roberto, con la narrazione delle vicende
politiche della Sicilia, attraverso il punto di vista di vari personaggi. Le vicende narrate
mostrano la crisi degli ideali risorgimentali, la delusione politica vi si manifesta come una
rivelazione della natura illusoria della realtà. Il romanzo pare tendere a bruciare la storia, le
lotte e i contrasti tra gli uomini, in una beffarda evanescenza.
Manca un vero eroe centrale. La grande varietà dei personaggi dà luogo a una molteplicità di
posizioni e punti di vista, mentre un uso dello stile indiretto libero consente di mettere a
fuoco la posizione dei vari membri della famiglia.
1. “ Suo marito” = È un romanzo che svolge la sua indagine in un'ottica critica e umoristica
nei riguardi del mondo letterario e intellettuale, presentando la storia di una scrittrice che
viene a Roma e giunge al successo sostenuta dal marito.
2. “ Si gira...” = Al tema dell'artificio e della finzione prodotti dall'uso delle macchine, è
dedicato il romanzo “ Si gira...” , pubblicato nel 1925 in edizione riveduta col nuovo titolo
di “ Quaderni di Serafino Gubbio operatore” . Proprio all'inizio della prima guerra
mondiale Pirandello costruisce un romanzo in forma di diario, affidato alla voce di un
operatore cinematografico, costretto dal lavoro a identificarsi con la macchina che usa. Il
personaggio subisce così un processo di meccanizzazione che ne fa uno strumento neutro e
impassibile. Il protagonista diventa una cosa sola con la manovella che è costretto a girare,
sente la realtà dominata dal ronzio della macchina. L'operatore-narratore segue, attraverso il
punto di vista del suo lavoro, tutti i comportamenti artificiali o distruttivi. Il protagonista
avverte il segno di qualcosa che è al di là di questa realtà disgregata. Una tigre, si ribella ad
essere usata durante le riprese e sbrana l'attore che avrebbe dovuto ucciderla. Ma anche
questa violenta liberazione della natura diverrà merce di consumo, dato che è riuscito a
riprendere con la sua macchina tutta la scena, chiudendosi in un muto silenzio che fa di lui
un operatore perfetto.
• LE “NOVELLE PER UN ANNO” E I CARATTERI DELLA
NOVELLISTICA
La produzione di novelle accompagnò Pirandello per tutta la vita, le novelle presentano allo stato
puro eventi e personaggi, che poi l'autore può combinare e ricombinare variamente in altri suoi
scritti, testi originari delle singole novelle vengono corretti e perfezionati più volte in successive
edizioni.
La produzione di novelle fu particolarmente fitta per tutto il primo quindicennio del Novecento,
mentre si diradò successivamente. Esse cominciarono ben presto ad essere variamente
raccolte in
- [Pagina 131]
diversi volumi a partire da “ Amori senza amore” a “ Berecche e la guerra” .
“ Novelle per un anno” = Pirandello iniziò a sistemarle secondo un piano globale sotto il titolo
di “ Novelle per un anno” , che prevedeva una serie di ben 24 volumi, ciascuno con il titolo
tratto dalla prima novella. Negli anni che seguirono egli riuscì a portare a termine la pubblicazione
di soli 14 volumi:
1. “ Scialle nero” (1922);
2. “ La vita nuda” (1922) ;
3. “ La rallegrata” (1922) ;
4. “ L'uomo solo” (1922) ;
5. “ La mosca” (1923) ;
6. “ In silenzio” (1923) ;
7. “ Tutt'e tre” (1924) ;
8. “ Dal naso al cielo” (1925) ;
9. “ Donna Mimma” (1925) ;
10. “ Il vecchio Dio” (1926) ;
11. “ La giara” (1928) ;
12. “ Il viaggio” (1928) ;
13. “ Candelora” (1928) ;
14. “ Berecche e la guerra” (1934) .
Ai quali si aggiunse il postumo “ Una giornata” . Lo stesso titolo generale, intende riferirsi a una
struttura del tutto aperta, una novella al giorno per un anno intero (365 novelle) con un'assoluta
intercambiabilità. Si trattava di un repertorio narrativo rispetto al quale il lettore poteva muoversi
liberamente.
La forma narrativa più immediata e tradizionale, viene confrontata con la frammentarietà
dell'esperienza moderna, con l'impossibilità di ricavare dal narrare un modello di comportamento
e
un rassicurante prospettiva ideologica.
In quasi tutto il suo sviluppo, questa produzione ha al centro l'ambiente siciliano e quello
piccoloborghese
romano. Nelle novelle siciliane, si vedono spesso in azione, in personaggi di tutte le classi
sociali, segni di allucinazione e di follia, che si fissa in maschere grottesche (si ricordino “ La
patente”, “ Ciàula scopre la luna” , “ Male di luna” , “ Il vitalizio” , “ La giara” ). Uno
stravolgimento anche se su fondo meno colorito, tocca ai personaggi del mondo romano. Il caso
o
l'aggressività degli altri giocano a molti di questi personaggi; le loro vite percorse da una pena
- [Pagina 132]
squallida e come in tono minore, sembrano ridurre la follia a qualcosa di normale e di quotidiano.
Nei loro rapporti personali si danno combinazioni paradossali e artificiose, si creano coppie
allucinanti, con una bizzarra insistenza sul tema del doppio (si ricordino “ Pari” , “ Nenè e Ninì” ,
“ Tanino e Tanotto” , “ La disdetta di Pitagora” , “ Due letti a due” ). Dietro tanti casi e
comportamenti si affacciano i segni di fatti, angosciosi richiami a un male iniziale da cui non è
possibile liberarsi (si ricordino “ Notizie del mondo” , “ La berretta di Padova” , “ La
morte addosso”, “ L'illustre estinto” ). Spesso i personaggi sono irresistibilmente astratti da
un senso di assoluto, che li immerge nel flusso della vita che sfugge al loro essere normale ( si
ricordino “ La vita nuda” , “ Il treno ha fischiato...” , “ Il viaggio” , “ La realtà del
sogno”).
Nelle novelle sembra mirare a un singolare svuotamento di quel linguaggio comune e
quotidiano.
Essenziale si rivela il lavoro sulla sintassi: esse mostrano che tra il mondo di miti, di passioni, di
violenze della Sicilia arcaica e il mondo sociale e ufficiale costruito dal nuovo Stato unitario, c'è
un'allucinante solidarietà e continuità.
• IL TEATRO PIRANDELLIANO
L'interesse di Pirandello per il teatro fu molto precoce: diede luogo a progetti ed esperimenti fin
dalla prima giovinezza, nel 1892 pubblicò: l'atto unico “ Perché” e lavorò a “ L'epilogo” , alla
fine del 1895 il dramma “ Il nibbio” . Pirandello debuttò sulla scena con la rappresentazione degli
atti unici “ La morsa” e “ Lumíe di Sicilia” . Ma l'esordio nel grande giro del teatro nazionale
si ebbe con il dramma “ Se non così...” . Risultati più soddisfacenti li ha con il teatro siciliano, che
intorno al 1915 assunse quasi l'aspetto di una conversione dalla narrativa al teatro.
Pirandello sconvolgeva gli schemi del dramma borghese e si presentava con caratteri
dissacranti e
aggressivi, che rispondevano a un sotterraneo disagio, lo stesso che si esprimeva nella sua
narrativa
umoristica. Il teatro in lingua appare guidato da un'attenzione esasperata tra apparenza e realtà.
In
questo teatro, i caratteri dei personaggi si scompongono in uno scontro tra le forme paradossali e
distorte che ciascuno di essi è costretto ad assumere. C'è una continua lotta tra le maschere, e la
vita
sofferente e disperata, che esse nascondono, i personaggi si scontrano con una dialettica
puntigliosa.
I loro movimenti portano all'estremo alcuni degli schemi essenziali della tradizione teatrale. Tutto
sembra subire un'impetuosa meccanizzazione, si mettono in scena rapporti di forza in cui si
svolge
la vita piccolo-borghese contemporanea, che nel processo teatrale acquistano però una sorta di
spettrale peso simbolico. I personaggi si corrodono a vicenda, a questo teatro si adatta la
definizione
di grottesco usata per tutto un gruppo di esperienze drammatiche che esprimono i loro risultati
più
significativi proprio negli anni della prima guerra mondiale.
- [Pagina 133]
Al centro dei drammi e delle commedie in tre atti vi sono quasi sempre rapporti deviati e
raddoppiati entro lo schema di partenza del triangolo tra le opere essenziali occorre ricordare
“ Pensaci Giacomino” , “ Così è (se vi pare)” , “ Il piacere dell'onestà” , “ Ma non è
una cosa seria”, “ L'uomo, la bestia e la virtù” , ed il capolavoro pirandelliano “ Il giuoco
delle parti” dominato da un personaggio che vive il distacco della vita e la rinuncia ai sentimenti
in una geometrica e astratta crudeltà, ha un effetto di vertiginosa astrazione, nell'assoluta e
mortale
estraneità tra la cerebralità del marito e la corporeità irrazionale, la moglie da cui è separato pur
continuando formalmente a sostenere la parte del marito.
Pirandello si dedicò intensamente anche al teatro dialettale, mostrando un eccezionale interesse
per
le forme linguistiche e per le possibilità comiche e grottesche che ne scaturiscono. L'assurdo
appare
qui l'unico modo possibile di comunicazione tra i personaggi, splendide immagini di una follia che
risiede nelle cose, questo si può trovare in alcune commedie, divenute poi celebri nella versione
in
lingua, “ Il berretto a sonagli” centrata sulla figura del cornuto, “ La patente” centrata sulla
figura dello iettatore, “ 'A giara” (“La giara”).
• “ Liolà” = Il testo più strano resta “ Liolà” , redatto inizialmente in dialetto agrigentino, con
una vicenda modellata su uno dei capitoli iniziali del “Fu Mattia Pascal”: qui tutto un gioco
di scambi e raddoppiamenti emana dalla potenza di un protagonista dotato di una trionfante
vitalità fecondatrice, che si afferma in modo cinico e disinvolto sulla passività e sull'ottusità
degli altri personaggi.
• SEI PERSONAGGI IN CERCA D'AUTORE
Per Pirandello il teatro è simbolo di vita, poiché noi nella vita ci ritroviamo a vivere come in un
teatro e recitiamo volta per volta centomila parti simili, questa corrispondenza è evidente col
dramma “ Sei personaggi in cerca d'autore” , con questo capolavoro arrivò a una vera e
propria frattura dell'organismo drammatico e scenico. Il teatro e i suoi meccanismi vengono
messi
violentemente a confronto, mentre una compagnia di attori sta provando “ Il giuoco delle parti” ,
irrompono sulla scena sei spettrali figure, personaggi rifiutati dall'autore che li ha concepiti, i quali
chiedono con insistenza al capocomico di mettere in scena il dramma che hanno vissuto.
Vincolati
da una loro vicenda triste e squallida, i personaggi cercano di riviverne alcune scene traumatiche,
queste scene sono vissute dai personaggi come qualcosa di fissato nell'eternità, che si ripete
all'infinito nel loro essere, ma nei modi più diversi, all'intreccio di vergogna e aggressività.
Alla finzione del teatro e dei suoi meccanismi, i personaggi oppongono così la volontà di vivere la
loro vita autentica e disperata; questa vita autentica non può essere rappresentata in un flusso
continuo, il dramma si può esprimere solo come frantumato, in un conflitto tra «forma epica» e
- [Pagina 134]
«forma drammatica», alla fine l'irruzione lacerante della vita finisce per disintegrare il testo
drammatico e lo spazio teatrale, facendo sparire i personaggi con una sospensione che non è
una
conclusione e lascia l'opera aperta; resta anche aperta la contraddizione tra il desiderio di
sincerità
dei personaggi e l'ossessione con cui quella sincerità cerca di esibirsi sulla scena.
Il conflitto tra la vita autentica e i meccanismi teatrali dà luogo a un «teatro nel teatro», che
comporta una scomposizione critica e razionale delle strutture drammatiche tradizionali.
Pirandello
operò direttamente in altri due testi “ Ciascuno a suo modo” e “ Questa sera si recita a
soggetto” che insieme ai “ Sei personaggi...” vennero a costruire una vera e propria trilogia del
teatro nel teatro.
• DALLA TRAGEDIA AL MITO
Ai personaggi umoristici e grotteschi egli tendeva a sostituire personaggi drammatici e tragici, le
cui angosce risalivano a personalità difficili e problematiche. Ai caratteri dissacranti e irriverenti del
primo teatro pirandelliano, si sostituiva una nuova ricerca di intensità sentimentale e drammatica,
venivano abbandonati quasi del tutto gli ambienti piccolo-borghesi, ai quali si preferiva il mondo
della grande borghesia; alla scomposizione meccanica delle strutture e situazioni del dramma
borghese si sostituiva una sorta di sublimazione tragica. Pirandello cercava la strada della
tragedia
borghese.
Due opere “ Enrico IV” e “ Vestire gli ignudi” , esprimono nel modo più intenso la ricerca di
un destino tragico che viene smentita e contraddetta dalla meschina realtà dei rapporti sociali,
dalla
volgarità dello sguardo degli altri.
• “ Enrico IV” = Si presenta come una tragedia storica, ma ben presto si scopre che si tratta
solo di una tragedia della follia. Il protagonista è un ricco che, in seguito a una caduta
avvenuta durante una cavalcata storica in cui era mascherato da Enrico IV, è divenuto pazzo
e crede di essere veramente l'imperatore medievale. La sua difficoltà a ritornare nella realtà,
lo condanneranno a un tragico gesto finale che lo costringerà per sempre nel suo universo di
follia. In questa tragedia lo scontro tra il mondo sublime della storia e quello volgare della
quotidianità borghese si svolge con una moltiplicazione di piani scenici, in ogni momento
del dialogo vengono a intrecciarsi prospettive opposte.
• “ Vestire gli ignudi” = Al centro di “ Vestire gli ignudi” è un personaggio femminile,
la cui vicenda si consuma nello studio dello scrittore che l'ha accolta, dopo che è stata
sottratta a un tentativo di suicidio, ma sfugge avvelenandosi e morendo, nuda e sola.
Quasi tutti i drammi dell'ultima produzione pirandelliana presentano conflitti e rapporti carichi di
tensione problematica, vissuti da personaggi dell'alta borghesia impegnati a interrogarsi sul
senso
dell'esistenza. La problematica più autentica e sofferta di Pirandello si approfondisce in
un'insistente
- [Pagina 135]
indagine sul contrasto tra la lucidità della coscienza e l'inesplicabilità dell'inconscio, ma finisce per
adattarsi meccanicamente a ogni tema e a ogni circostanza.
Contemporaneamente a questi drammi, Pirandello cerca la via di un grande spettacolo capace
di
riproporre valori universali, di imporsi come immagine della coscienza umana contemporanea.
Costruisce nuovi organismi mitici, sulla base di situazioni che alterano i consueti rapporti con la
realtà, ne deriva un teatro pieno di amplificazioni e complicazioni, dietro cui si manifesta un
proposito di edificazioni e complicazioni; l'intenzione ideologica appare insopportabile e
ridondante
nei due testi esplicitamente designati come miti, “ La nuova colonia” e “ Lazzaro” .
• “ I giganti della montagna” = Di notevole interesse, opera su cui l'autore lavorò a lungo
e che non riuscì a portare a termine. Attraverso una complicata costruzione mitica, si mette a
confronto un repertorio di immagini arcaiche, che affondano nell'infanzia dell'autore, con
un'interrogazione sulla condizione dell'arte nella società moderna.
• PIRANDELLO, LA POLITICA, IL FASCISMO
Per tutto il lungo periodo che precede il successo teatrale Pirandello guardò con distacco al
sistema
di potere giolittiano e agli stessi intellettuali che vi si opponevano, nutrì una forte diffidenza verso
l'idealismo, l'irrazionalismo, l'estetismo. Anche per lui risultò essenziale il contatto con le ideologie
della vita allora circolanti; ma la sua ricerca della vita autentica si fondò su un pessimismo che
svalutava il mondo sociale, la sua posizione di patriottismo conservatore lo portò a un'adesione
all'intervento dell'Italia nella prima guerra mondiale.
In questo stesso periodo Pirandello acquisisce un nuovo senso della modernità, avvicinandosi
alle
avanguardie. Il suo nazionalismo e il suo spirito di conservazione sociale si intrecciano
ambiguamente con questa aspirazione al movimento e all'energia, e lo portano a vedere nel
fascismo una specie di compimento degli ideali risorgimentali.
L'adesione ufficiale di Pirandello al fascismo, volle essere una specie di definitivo rifiuto del mondo
dell'Italia liberale giolittiana. Egli si lasciò in parte coinvolgere dall'ambizione di porsi come
letterato ufficiale.
• L'ULTIMA NARRATIVA
Mentre si confronta con il teatro, Pirandello riduce la sua produzione narrativa, egli cerca di
avvicinarsi a quella virtù nuda di cui nelle altre opere aveva spesso affermato l'inafferrabilità.
• “ Uno, nessuno e centomila” = In questo romanzo si trovano tensioni verso le
prospettive più diverse, Vitangelo Moscarda è il personaggio che riassume in sé i tratti di
molte figure pirandelliane, dissolve ogni coesistenza della realtà narrativa e della sua stessa
persona parlante, oscillando tra una corrosiva comicità e un malinconico furore intellettuale:
come suggerisce il titolo, l'unità del soggetto parlante svanisce ne nulla e nello stesso tempo
- [Pagina 136]
si moltiplica in infinite varianti, regolate dallo sguardo degli altri. Vi è una scappatoia da
parte del personaggio per evadere dalle convenzioni, dalle maschere cui si è prigionieri.
Tutto ciò che si stacca da questo flusso e assume una forma distinta e individuale, si
rapprende, si irrigidisce, comincia secondo Pirandello a, morire.
Così avviene per l'uomo: si distacca dall'universale assumendo una forma individuale entro
cui si costringe, una maschera (persona) con la quale si presenta a sé stesso.
Non esiste però la sola forma che l'io dà a sé stesso, nella società esistono anche le forme
che ogni «io» dà a tutti gli altri. E in questa moltiplicazione l'io perde la sua individualità, da
«uno», diviene «centomila» , quindi «nessuno» .
Purtroppo tutti i personaggi pirandelliani sono destinati ad una sconfitta, in quanto non è
possibile sfuggire alle convenzioni sociali, quando si tolgono una maschera tentando di
vivere diversamente da come avevano vissuto fino a quel momento, sono costretti loro
malgrado ad indossarne un'altra.
Le ultime novelle scritte negli anni Trenta e raccolte nei due ultimi volumi delle “ Novelle per un
anno”, “ Berecche e la guerra” , e “ Una giornata” .
• “ Una giornata” = Suggella tutta l'opera di Pirandello, l'autore riassume tutta la sua vita e
la sua opera vastissima, nel percorso breve e immotivato di un'esistenza di uomo solo,
compiuta come nello spazio di una giornata, in cui non gli è data nemmeno la possibilità di
capire quanto gli accade. Qui l'avventura della letteratura si risolve in un non sapere, e tutte
le scomposizioni, le contraddizioni, le maschere si dileguano in una solitudine angosciosa e
definitiva.
• TEATRO DEL PRIMO '900
Più ricca e intensa fu l'attività scenografica e registica, egli lasciò importanti risultati l'azione
esercitata dal futurismo nel campo della drammaturgia, le serate futuriste furono fenomeni
spettacolari che sconvolsero le tradizionali strutture della rappresentazione.
Si ha una fitta produzione di medio livello, che sii può distinguere in alcune tendenze e linee
generali, che non corrispondono a scuole ma a generi. Schematicamente si possono ricordare:
1. Teatro di poesia = Che si confronta dapprima con i modelli dannunziani con ambizione
lirica;
2. Teatro storico = Con radici dannunziane, ma con molte varianti, che mettono in scena
ambigue maschere come quella dell'Enrico IV;
3. Teatro grottesco = Tende a rompere gli schemi lineari del dramma borghese;
4. Teatro intimista = Rivolto all'indagine di sentimenti privati, di complicazioni e sfumature
sentimentali;
- [Pagina 137]
5. Teatro problematico = Ripropone le forme del dramma borghese toccando problemi di
attualità;
6. Teatro pirandelliano = Segue i temi e gli schemi più esteriori di Pirandello.
18 ITALO SVEVO
Italo Svevo è lo pseudonimo di Ettore Schmitz, adottò tale pseudonimo per indicare la sua
appartenenza all'Italia e all'Austria (poiché quando Svevo nasce a Trieste, questa era una città
austriaca, ma legata territorialmente e in parte linguisticamente all'Italia), egli nasce nel 1861 e
muore nel 1928.
Compie i suoi primi studi legati alla prospettiva di una carriera commerciale, il padre lo fece
educare in un collegio tedesco e lì compì le prime importanti letture. Tornato a Firenze cominciò
molto presto a interessarsi ai problemi culturali e letterari; iniziò una collaborazione al giornale
triestino « L'Indipendente » , con numerosi articoli, soprattutto letterari e teatrali. Tra le sue
numerose
letture, una posizione di primo piano occupavano i grandi narratori francesi dell'Ottocento per la
loro capacità di indagare nei risvolti più contraddittori dei comportamenti umani, andando al di là
della superficie più esteriore della realtà, proprio per questo motivo suscitò la sua attenzione nei
confronti di una cultura negativa; fortissimo era il suo interesse per la filosofia di Schopenhauer. Si
accostava intanto anche alla narrativa, scrivendo le prime novelle e il romanzo “Una vita” sotto il
nome di Italo Svevo.
Intorno al '92 risale il rapporto con Giuseppina Zergol di cui rimane una traccia nel personaggio di
- [Pagina 138]
Angiolina nel successivo romanzo “ Senilità” . Nel dicembre del 1895 si fidanzò con Livia
Veneziani e il “ Diario per la fidanzata” mostra una passione amorosa che si intreccia a una
distanza della donna, legata a sani principi borghesi, dal mondo intellettuale dello scrittore e a un
tentativo di colmare questa distanza attraverso una specie di educazione della fidanzata al
dubbio e
all'inquietudine intellettuale. Il fallimento di questo tentativo è già evidente in “ Cronaca della
famiglia”.
Dopo essersi sposato assume il ruolo di uomo d'affari, e compie lunghi viaggi e soggiorni in
Francia
e Inghilterra, ha successo negli affari, ma non rinuncia alle sue curiosità culturali. Tra il 1908 e il
1910 egli viene a conoscenza delle teorie di Freud e della psicoanalisi.
Nella Trieste del dopoguerra, Svevo collabora con vari articoli, al nuovo quotidiano «La
Nazione»,
e riprende in modo attenuato la sua attività industriale. A partire dal '19 torna con grande impegno
alla letteratura, lavorando al nuovo romanzo “ La coscienza di Zeno” , pubblicato nel '23.
l'amico Joyce gli aprì la strada a un riconoscimento del suo valore da parte dei critici francesi.
Egli vide sempre la scrittura come strumento di conoscenza della realtà; fu lontano da ogni
formalismo a ogni degustazione della bella pagina e della perfezione linguistica; presenta le
proprie
scelte e le proprie convinzioni come un segno di inferiorità, di una incapacità di essere come gli
altri.
Nell'accostarsi alla letteratura egli cercò sin da subito di rappresentare vicende umane sullo
sfondo
di una concreta e specifica società. Prima della fine del secolo compose pochi racconti di tipo
naturalistico, ma aperti verso l'analisi di stati d'animo e verso orizzonti mitici e simbolici. Dopo aver
esordito con la breve novella “ Una lotta” , pubblicò il racconto “ L'assassinio di via
Belpoggio”. Notevole anche il racconto politico allegorico “ La Tribù” , nel quale Svevo
manifesta il proprio pessimismo e la reale possibilità di trasformazione della società.
• UNA VITA E SENILIT À
1. “ Una vita” = Iniziato nel 1888 il primo romanzo di Svevo, il sui titolo originario era “ Un
inetto” venne pubblicato col titolo “ Una vita” . Al centro della narrazione in terza
persona c'è il fallimento intellettuale di Alfonso Nitti, che venuto dalla campagna giunge al
suicidio dopo inutili tentativi di superare i limiti della condizione. Alfonso non rappresenta
alcun modello assoluto o proclama alcun valore ideale o alternativo, tutto ciò che egli
oppone al mondo del lavoro non è che subalternità, autoinganno, passività. Si sottrae a ogni
comunicazione reale con gli altri. Eroe senza qualità, il personaggio è lontano da ogni
compiacimento estetico, la prosa rifugge da ogni ricerca linguistica, si adegua ai caratteri
della realtà che vuole rappresentare, fino ad apparire in alcuni momenti addirittura aspra e
- [Pagina 139]
scorretta.
2. “ Senilità” = Il secondo romanzo “ Senilità” è dotato di una più forte tensione narrativa e
di una eccezionale densità simbolica; il romanzo in un primo momento doveva intitolarsi “ Il
carnevale di Emilio”, venne elaborato nei mesi del rapporto con Giuseppina Zergol,
apparve a puntate su l'«Indipendente»; fu del tutto ignorato dalla critica, venne scoperto solo
dopo l'uscita della “ Coscienza di Zeno” e ritenuto da taluni addirittura superiore al
nuovo romanzo.
Anche qui una narrazione in terza persona si concentra tutta sulle vicende e sul punto di
vista di un personaggio inetto, i cui atteggiamenti sono complicati da un senso precoce di
senilità. Emilio Brentani, intellettuale fallito che conduce una inerte vita di impiegato, vive
un rapporto con la popolana Angiolina, ma in ogni suo gesto sembra mancare di energia
vitale, è tutto rivolto a costruire se stesso, la propria vita sentimentale con un distacco che lo
separa dalle cose e dalle persone, che non gli permette nessuna conoscenza della realtà, ma
lo chiude soltanto in una spirale di autoinganni. La sua esistenza pare essere sempre in attesa
di occasioni che non si realizzano, nel suo comportamento egli si appoggia sempre su
modelli ideali, su miti e falsificazioni di tipo romantico, su pregiudizi e convenzioni alle
quali egli si sente estraneo. Anche nella sua passione per Angiolina egli deve crearsi degli
ostacoli, non sa vivere il presente , perché si sente continuamente minacciato dall'errore.
Svolgendo una impietosa critica della coscienza intellettuale. Svevo fa di Emilio una figura
dell'incapacità di vedere le contraddizioni della realtà e dell'io; la sua è la condizione più
generale dell'uomo moderno.
Questi caratteri del protagonista vivono entro un intreccio che lo lega ad altri tre personaggi,
costruito secondo sottili raccordi e simmetrie:
Stefano Balli= L'amico, personaggio generoso, sicuro e spregiudicato, che per Emilio
rappresenta una figura paterna, un modello di coscienza di sé.
Le due opposte figure femminili, destinate a non incontrarsi mai:
Amalia= La sorella, triste e grigia figura di ragazza condannata all'inerzia sentimentale e alla
moralità casalinga; ed è sconvolta fino alla follia e alla morte da un impossibile e silenzioso
amore;
Angiolina= Donna del popolo, rappresenta la vitalità più libera e aperta, il piacere di
guardare e di essere guardata; appena incontrata Emilio vorrebbe godere della sua vitalità,
egli riesce a vivere questo rapporto solo attraverso intermediari, Emilio si lascia prendere
tanto più fortemente dalla passione per lei. Ad ogni inganno della donna, egli sostituisce
nuove illusioni e nuovi accecamenti. La situazione giunge al suo punto estremo quando
- [Pagina 140]
Emilio incontra per l'ultima volta Angiolina, quasi contemporaneamente alla morte della
sorella. Angiolina sembra trasfigurarsi in una lontananza simbolica, in una «metamorfosi
strana» che ne fa un segno segreto e luminoso a cui la vita di Emilio resta legata.
Tutti i particolari si caricano di significati, vivono nella risonanza della passione e delle
illusioni di Emilio. La narrazione è sostenuta da una prosa incalzante, con intensi accenti
sentimentali e a momenti di contenuta ironia. Il lettore è come chiamato a partecipare a una
storia d'amore che si prolunga ostinatamente.
• GLI SCRITTI SAGGISTICI
Nel ventennio che precede la nascita della “ Coscienza di Zeno” questo impegno analitico non
viene mai meno e trova nuova forza nella più vasta esperienza della modernità che viene ad
acquisire.
In numerosi saggi di difficile datazione Svevo approfondisce una visione negativa dello sviluppo
della civiltà. I nuovi stimoli culturali spingono Svevo a confrontarsi con una letteratura lontana dai
modelli del naturalismo; in procinto di porsi sulla strada del flusso di coscienza e del monologo
interiore; nello stesso tempo egli volgeva la sua attenzione alla letteratura umoristica e
paradossale.
Un posto particolare assumeva la conoscenza della psicoanalisi freudiana, con una attenzione
ossessiva al rapporto tra salute e malattia.
La condizione di inattività a cui Svevo fu costretto dalla guerra, lo vide fermo in una situazione di
attesa, nella coscienza che quei tragici eventi rappresentavano anche la fine di una civiltà
sovranazionale a cui egli aveva partecipato.
Con l'inizio della stesura della “ Coscienza di Zeno” , prende avvio una nuova vitalissima fase di
esperienze narrative e teatrali, accompagnata anche da scritti e interventi di tipo saggistico o
diaristico. Una sorta di sintesi della propria vicenda intellettuale è contenuta nel “ Profilo
autobiografico”.
• LA COSCIENZA DI ZENO
Pochi mesi dopo la fine della guerra, Svevo cominciò a lavorare al nuovo romanzo “ La
coscienza
di Zeno”. Svevo era stato convinto a operare alcuni tagli e correzioni di cui non è oggi possibile
valutare l'entità. Anche questo nuovo romanzo fu accolto all'inizio da una quasi totale indifferenza,
fu essenziale l'intervento di James Joyce, che invitò Svevo a inviarne una copia ad alcuni critici e
scrittori. Fu conosciuto in Italia grazie alla curiosità e all'intelligenza del giovane Eugenio Montale,
che pubblicò sul fascicolo della rivista «L'Esame» un “ Omaggio a Italo Svevo” .
“ La coscienza di Zeno” è scritto in prima persona, esso si presenta come un'autobiografia
aperta. Si tratta di un personaggio fittizio, Zeno Cosini, che non coincide direttamente con l'autore,
è un ricco triestino che, per liberarsi da una nevrosi che si manifesta nei rapporti con se stesso e
con
- [Pagina 141]
gli altri, e col continuo fallimento dei propositi di fumare l'«ultima sigaretta», si è sottoposto in età
abbastanza avanzata, a una cura psicoanalitica e ha ricevuto dal dottor S. l'incarico di ricomporre
per iscritto il proprio passato. Ma questa ricostruzione del passato si compie per salti, senza un
punto di vista risolutivo che riesca a spiegarlo e a interpretarlo; si interrompe a un certo punto,
come
interrotta risulta la cura psicoanalitica, che per l'insofferenza del paziente nei confronti del medico
e
del suo metodo.
Il testo si compone di otto capitoli di diversa misura due brevissimi all'inizio:
1. una Prefazione = In cui il dottore presenta la sua decisione di pubblicare quelle memorie;
2. un Preambolo = In cui lo stesso Zeno ritorna al periodo della sua infanzia e afferma
l'impossibilità di recuperarla.
Seguono altri due capitoli:
1. Il fumo = Dedicato agli infiniti artifici e sotterfugi che il personaggio mette in atto per
evitare di abbandonare le sigarette;
2. La morte di mio padre = Che risale indietro alla sua giovinezza, alla difficoltà dei
rapporti col padre che in punto di morte viene visto come una punizione nei suoi confronti.
Vengono poi capitoli molto ampi:
1. La storia del mio matrimonio = Incentrato sulle vicende che hanno portato Zeno a
frequentare la famiglia Malfenti e le quattro sorelle, nella quale trova la sua moglie ideale in
Augusta, dorata di quella salute di cui egli soffre la mancanza.
2. La moglie e l'amante = In cui Zeno ripercorre le tappe del rapporto clandestino segreto,
con una giovane donna di origine popolare, rapporto che egli vive con senso di colpa e nel
continuo desiderio di troncarlo.
3. Storia di un'associazione commerciale = Che segue la difficoltà di Zeno nel mondo
degli affari, e illumina il complicato rapporto che egli intrattiene con il marito di Ada, la cui
abilità e la cui apparente fortuna è come ribaltata da un fallimento che lo porta al suicidio.
4. Più breve è l'ultimo capitolo , Psico-analisi= In cui si abbandona la narrazione del passato,
dando spazio a una forma di scrittura diaristica, con tre brani datati tra il 1915-1916, qui il
protagonista annuncia la sua decisione di abbandonare la cura, svolge varie critiche alla
psicoanalisi, sostiene di essere guarito dalla malattia grazie a una serie di successi
commerciali.
• IL PERSONAGGIO DI ZENO
Tutto il discorso di Zeno oscilla tra coscienza e inganno, egli è alla ricerca di un equilibrio che gli
sfugge continuamente e che egli stesso sa di non poter conquistare. Estremamente irresoluto
somiglia ai due protagonisti dei precedenti romanzi di Svevo, da cui però lo allontana un distacco
- [Pagina 142]
umoristico da se stesso; invischiato nella sua psicologia Zeno ne segue tutte le pieghe, con una
volontà di scavarla fino in fondo, ma nello stesso tempo impegnato a sfuggirvi.
Egli è immerso in un mondo borghese, di cui il suo racconto ci presenta concretissime figure e
forme, ma in quel mondo egli si sente a disagio, in uno stato di inferiorità che gli impedisce di
comportarsi come si dovrebbe. Questa inferiorità sembra derivare da due opposte motivazioni:
da
una parte la sua disponibilità ai richiami del desiderio, dall'altra il suo eccesso di coscienza .
Nell'ottica di Zeno, i valori su cui si regge la vita borghese non sono altro che inganni e schermi
che
danno un'apparenza di equilibrio alle pulsioni. Egli si ostina a elaborare molteplici strategie per
sottrarsi a quei valori, pur continuando a rispettarli; la sua stessa coscienza è invischiata nei più
sottili autoinganni, che paradossalmente riconfermano i suoi limiti.
Ma a differenza di Alfonso Nitti e di Emilio Bretani, Zeno non è uno sconfitto egli sa di non poter
essere un personaggio serio, inciampa sulle cose e le persone come un personaggio comico,
conserva un impassibile sorriso perfino nella sofferenza e nelle situazioni più drammatiche, ma
curiosamente cade sempre in piedi, vede risolversi la sua inferiorità, in una serie di successi, che
culminano nei successi commerciali.
Zeno si nasconde e si sottrae continuamente a se stesso e al lettore, può essere solo il
protagonista di
un'esperienza singolare, come singolare è l'esperienza di ogni uomo.
Con lui la malattia si configura come la sola autentica possibilità di essere: il personaggio
moderno
si impone come malato, rinunciando a tutte le pretese eroiche dei personaggi tradizionali.
La psicoanalisi si rivela strumento essenziale per la costruzione di questo personaggio, la
suggestione di Freud si sente particolarmente nella rappresentazione dei sogni del protagonista,
nel
suo continuo incorrere in lapsus ed equivoci. Nei termini della psicoanalisi è la nevrosi la malattia
che domina il mondo di Zeno; ma sarebbe sbagliato definire in modo clinico più preciso la natura
di
queste nevrosi, accumulando verità e bugie, avviluppandosi nella sua malattia e continuando
comunque a ricercare la guarigione; Zeno ci presenta una immagine ampia della condizione
nevrotica dell'uomo contemporaneo.
La nevrosi dell'individuo è anche la nevrosi della civiltà e della cultura; la guarigione non esiste,
esistono solo equilibri provvisori che nascono dalla coscienza dell'inevitabilità della malattia. La
malattia diventa strumento fondamentale di conoscenza, fino a identificarvisi con la scrittura e la
letteratura.
“ La coscienza di Zeno” è anche un'opera sul tempo, una sottile indagine sul rapporto tra tempo
della scrittura e tempo della vita, tra il flusso del presente e il flusso dell'esistenza trascorsa e
perduta. È la stessa cura psicoanalitica a imporre un ritorno all'infanzia, a situazioni e a traumi
originari, un riassorbimento di tutto, il vissuto della coscienza del presente, una continua
attenzione
ai ricordi e ai sogni. Ma Zeno si accorge che non è possibile nessun rapporto sicuro e lineare con
il
- [Pagina 143]
tempo: da una parte esso si ripete e si riavvolge su di sé; dall'altra il suo ritornare lo trasforma, ne
lascia solo frantumi eterogenei, lo muove e lo deforma. I ricordi diventano sempre un'altra cosa.
Nell'ultimo capitolo, l'abbandono della cura si collega all'esibizione della distanza che separa il
protagonista dalle sue avventure precedentemente narrate: la scrittura si accanisce a mostrare
come
la cura fosse basata sull'insincerità, arriva a mettere in dubbio la verità della narrazione. È certo
che
la conduzione del romanzo è segnata dall'incombenza della guerra: questa si pone anche come
segno simbolico dell'uscita da un'epoca. Questa guarigione lo riconduce ad allargare lo sguardo
alla
malattia che ha colpito l'intera civiltà umana. Come ha rivelato la guerra, lo sviluppo dei mezzi
industriali e il dominio sulla natura si rovesciano in distruzione e morte; e il romanzo si chiude
proiettando il suo movimento nel tempo verso un futuro minaccioso, dilatando la malattia di Zeno
verso l'ipotesi di una distruzione della terra.
Infatti il personaggio sveviano è sconfitto da qualcosa che è dentro di lui, da una sua incapacità
alla
vita, è il simbolo dell'uomo contemporaneo, che non capisce più il mondo in cui vive e non ha più
nemmeno le certezze del positivismo, e quindi preferisce chiudersi in se stesso e non agire, ma
lasciarsi vivere. I tre protagonisti dei romanzi hanno caratteristiche comuni, e le loro vicende si
svolgono tutte a Trieste, queste vicende ci servono per capire l'interiorità di questi personaggi,
quel
travaglio che li rende incapaci di vivere anche le semplici cose della vita quotidiana.
• POETICA DEL FARO E DELLA FORMICA
Per Svevo sono due i momenti costruttivi dell’arte letteraria.
1. Il primo momento , a priori, è costituto dall’ispirazione e all’intuizione dei dati e degli
oggetti reali. Tale intuizione è chiamata dallo scrittore “ sentimento” .
2. Il secondo momento , a posteriori, è costituito dalla riflessione sui dati, grazie alla quale gli
oggetti non sfuggono dalla mente dello scrittore.
Questa concezione è spiegata da Svevo con l’immagine del faro e della formica:
La luce del faro , come l’ispirazione dell’artista, illumina per un momento con la sua luce
intermittente. La formica, come il poeta che riflette, approfitta di questo momento di luminosità per
trovare la strada che porta al faro. Gli obiettivi dell’artista sono tre:
1. Oggettivazione dei dati soggettivi.
2. Recupero e salvaguardia dell’esistenza mediante la letteratura.
3. La valorizzazione dell’inettitudine vista non come malattia ma come condizione
privilegiata per la difesa della vita. La scrittura diventa la sola terapia contro la
malattia dell’individuo nel mondo.
• VECCHIO E NUOVO ROMANZO
Gran parte dei racconti lasciati interrotti in seguito alla “ Coscienza di Zeno” , ruotano attorno al
tema della vecchiaia, indagando il suo difficile rapporto con la giovinezza, con i ricordi e con il
- [Pagina 144]
presente, il valore che possono assumere la pratica della scrittura e l'indagine su di sé. Il punto di
vita del narratore è quello di chi considera il mondo col senno di poi, eppure continua a
parteciparvi. La scrittura senile è come un'operazione di igiene, di controllo dei propri limiti, di
ostinata difesa del proprio vivere.
1. “ Una burla riuscita” = Segue la beffa giocata a un vecchio letterato, un povero
impiegato che ha pubblicato senza successo un romanzo in giovinezza, a cui a un conoscente
fa credere che un editore austriaco sia interessato a comprare, i diritti per la traduzione;
2. “ Corto viaggio sentimentale” = Rimasto incompiuto, la cui prima traccia risale forse
già agli anni del silenzio di Svevo, segue il percorso di un viaggio in treno di un vecchio
signore da Milano a Trieste;
3. “ Vino generoso” ;
4. “ La novella del buon vecchio e della bella fanciulla” ;
• I frammenti:
1. Il frammento “ L'avvenire dei ricordi” ;
2. Il frammento “ La morte” .
3. “ Un contratto, Le confessioni del vegliardo” , “ Umbertino , Il mio ozio, Il
vecchione”= materiali che avrebbero dovuto condurre a un quarto romanzo, che avrebbe
presentato una struttura più aperta.
• IL TEATRO DI SVEVO
Nonostante l'interesse per il teatro sia stato essenziale lungo tutto l'arco della vita di Svevo, i
numerosi testi drammatici da lui scritti hanno avuto una sfortuna ancora maggiore di quelli
narrativi: durante la sua vita fu pubblicato soltanto il breve monologo “ Prima del ballo” , e
soltanto l'atto unico “ Terzetto spezzato” venne rappresentato. Solo negli anni Sessanta esso
cominciò a interessare gli uomini di teatro e ad avere finalmente delle realizzazioni sceniche.
Si tratta di 13 opere, lo sfondo scenico di questo teatro è sempre quello del salotto borghese,
senza
rompere la struttura del dramma borghese, Svevo ne insegue gli squilibri interni; la parola si
carica
di tensioni e malesseri, rivela come l'apparente civiltà dei rapporti e l'accurato sistema di regole
quotidiane della vita familiare borghese siano gravati da una rete velenosa di prepotenze e
violenze:
e da ciò nascono e si scatenano dissidi e scontri che spesso assumono un irresistibile carattere
comico.
Tra i vari testi:
1. “ Le ire di Giuliano” ;
2. “ Un marito” ;
- [Pagina 145]
3. “ Inferiorità” ;
4. “ Con la penna d'oro” .
5. “ La rigenerazione” = L'ultima commedia merita particolare attenzione, a cui Svevo ci
lavorò negli ultimi anni della sua vita, dominata dalla tematica della vecchiaia e dal motivo
comico dell'operazione per ringiovanire che avrebbe dovuto essere al centro anche del
nuovo romanzo di Zeno; comicamente e tragicamente egli vive il contrasto tra la propria
inerzia carica di passato e il vorticoso consumo di energia della modernità.
• LA SCOMPOSIZIONE DI SVEVO
Svevo opera una sua originalissima scomposizione del personaggio e dei modelli narrativi,
esprimendo la condizione moderna de l'«uomo senza qualità», di una vita borghese che ha
perduto
ogni centro e appare inviluppata in un fascio eterogeneo di errori.
Egli rifiuta ogni assolutizzazione del negativo, ogni traduzione della scomposizione e della perdita
di centro in un nuovo valore assoluto; egli resta ancorato a una posizione laica, la letteratura non
indica per lui valori e modelli assoluti, ma è uno strumento essenziale di conoscenza, capace di
insinuarsi razionalmente nelle pieghe più sottili dell'irrazionalità dei comportamenti.
Da un nesso di contraddizioni personali, egli ricava la capacità di rappresentare la malattia come
carattere costruttivo della modernità; si oppone spontaneamente alle mitologie e alle ideologie
che
in modi diversi esaltano il progresso e lo sviluppo storico, corrodendo con ironia la consistenza
dell'io e quella stessa della società e della civiltà.
La scomposizione messa in atto da Svevo permette di avvicinare la sua esperienza a quella di
Pirandello. Ma le radici triestine di Svevo proiettano la sua opera verso una dimensione più
moderna. L'opera di Svevo, anche per il fatto che egli non fu mai uno scrittore e un intellettuale
professionista è aperta e disponibile; la sua scrittura rifugge con Zeno da ogni possibile mito,
risolve
ogni sofferenza e angoscia nel gesto leggero del clown; l'ingresso di Trieste nell'Italia del
nazionalismo e del fascismo, il triestino Zeno, apparentemente ai margini della storia, insinua un
singolare dubbio sulla consistenza della borghesia e della cultura italiana; ancora una volta fuori
posto portatore di una coscienza più moderna e disillusa.