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Rassegna Stampa del giorno 16 Gennaio 2013
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
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via Modena, 5 - 00184 ROMA
Tel. 06.4746351 - Fax 06.4746136 e-mail: [email protected] Sito: www.fiba.it
Aderente alla UNI (Union Network International), alla CES
(Confederazione Europea dei Sindacati) e alla CISL Internazionale
RASSEGNA STAMPA MERCOLEDÌ 16 GENNAIO 2013
UN AFORISMA AL GIORNO: ««LLaa ssaaggggeezzzzaa ddeellll’’aannzziiaannoo èè iill rriiaassssuunnttoo ddeell ppaassssaattoo,,
mmaa llaa bbeelllleezzzzaa ddii uunnaa ddoonnnnaa èè llaa pprroommeessssaa ddeell ffuuttuurroo!!»»..
((OOlliivveerr WWeennddeellll HHoollmmeess,, sseenniioorr))
La crisi colpisce l’economia tedesca....................................................................... 2 BTp a 15 anni, boom di richieste ............................................................................ 3 UniCredit cresce all’Est, in aumento utili e impieghi .......................................... 4 Tassara sceglie Ubs per cedere Alior Bank In pole l’austriaca Erste ................. 5 I segreti della Professoressa Madoff ...................................................................... 6 Il Credito Valtellinese torna a collocare bond Domanda elevata ........................ 7 Burberry accelera nel trimestre .............................................................................. 8
Redditometro, tutti gli «sconti» del Fisco ............................................................. 9 L’inflazione rallenta a dicembre Ma la spesa quotidiana sale del 4,3% ............. 10 Crescita, la prima frenata di Berlino ...................................................................... 11 La Bundesbank si riprende l’oro da Parigi e New York ........................................ 12 Generali, i golden boy di Greco La squadra (internazionale) del Leone ............ 13 La guerra delle valute, l’Europa perde colpi ma l’euro è il più forte .................. 14
La locomotiva tedesca frena, Eurolandia trema .................................................... 15 Carrello della spesa più caro del 4,3% ................................................................... 16 L’Est europeo guarda a Russia e Cina
“Lì hanno i fondi, Eurozona al verde” ................................................................. 17
Rassegna Stampa del giorno 16 Gennaio 2013
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*il Sole 24ORE* Mercoledì, 16 Gennaio 2013 Dal nostro corrispondente Alessandro Merli
LE RICETTE ANTI-CRISI
La crisi colpisce l’economia tedesca
La flessione degli investimenti fa arretrare dello 0,5% il Pil nel quarto trimestre dell'anno
scorso
LE PROSPETTIVE
La ripresa è già in corso ma si annuncia debole: oggi il Governo taglierà da +1% a +0,4% le
stime per il 2013
FRANCOFORTE.
Brusca frenata nel 2012 per l'economia tedesca, che nel quarto trimestre ha accusato una contrazione più forte
del previsto a causa di una netta riduzione degli investimenti. Gli economisti sono divisi sulla possibilità di un
recupero in tempi rapidi nel 2013 e quindi sulla capacità della Germania di fare da traino a un'Eurozona in
recessione, mentre oggi il Governo annuncerà un taglio di oltre la metà delle sue previsioni.
Il Pil della Germania, secondo la prima stima di Destatis, l'ufficio federale di statistica, è cresciuto dello 0,7%
l'anno scorso (0,9 tenendo conto dei diversi giorni lavorativi), al di sotto delle aspettative di mercato di (+0,8) e
in drastico calo rispetto al 3% del 2011. Si tratta di una performance migliore rispetto a quella degli altri grandi
Paesi dell'area euro, ma indica che la crisi dell'euro ha cominciato a mordere anche in Germania. Il dato è al di
sotto della media dell'1,3% dopo la riunificazione, dal 1992 a oggi e la decelerazione dovrebbe continuare nel
2013: la Bundesbank prevede che la crescita scenderà allo 0,4%, una cifra alla quale dovrebbe uniformarsi oggi
il Governo, che finora aveva previsto un'espansione dell'1%.
Un economista di Destatis ha dichiarato, alla presentazione dei numeri dell'anno scorso, che dal quarto trimestre
emergerà probabilmente una crescita negativa dello 0,5%, anche questa peggiore delle attese. Il rallentamento
dell'economia tedesca è in atto da tempo, dice Lucrezia Reichlin, della London Business School: l'indice Now-
Casting elaborato dalla stessa Reichlin puntava verso una contrazione del Pil negli ultimi tre mesi del 2012 di
queste dimensioni già nel luglio scorso. Secondo la Bundesbank, l'economia dovrebbe quanto meno
stabilizzarsi nei primi tre mesi di quest'anno, evitando la recessione.
Il dato della crescita 2012 ha avuto un contributo importante (+1,1%) dal saldo commerciale netto, ma questo,
osserva Philippe Waechter, di Natixis Asset Management, è stato dovuto soprattutto alla minor crescita delle
importazioni, mentre l'export si è rivelato meno dinamico che in passato. Oltre al resto dell'area euro, hanno
rallentato nel 2012 anche i Paesi asiatici, che avevano rappresentato un significativo mercato alternativo per le
esportazioni tedesche. Negativo il contributo della domanda interna, per effetto del calo degli investimenti, un
fenomeno che a quanto pare si è accentuato nel finale di anno, e nonostante le favorevoli condizioni finanziarie
per le imprese. Il rilancio degli investimenti dev'essere ora la priorità, secondo Rolf Schneider, economista di Allianz, il quale sostiene tuttavia che il dato negativo del 2012 non è ragione di pessimismo sulle prospettive
dell'economia tedesca. Quello dei bassi investimenti dell'industria è considerato da tempo uno dei punti deboli
della Germania, secondo l'Ocse. Andreas Rees, di Unicredit, ritiene che gli investimenti rimbalzeranno già da
questo trimeste e la crescita dovrebbe registrare un +0,3% nei primi tre mesi del 2013.
L'aumento dell'indice Ifo delle aspettative degli operatori economici sembra puntare a una ripresa nel corso di
quest'anno. L'andamento del mercato del lavoro (la disoccupazione è vicina ai minimi ventennali) e dei redditi
dovrebbero assicurare la tenuta dei consumi.
Intanto, il buon risultato delle entrate fiscali e dei versamenti contributivi ha portato nel 2012 i conti pubblici in
attivo, di uno 0,1%, cosa che non accadeva dal 2007. L'anno elettorale condurrà probabilmente a un ritorno del
deficit, ma difficilmente il Governo tedesco accoglierà le sollecitazioni, lanciate anche ieri dal primo ministro
spagnolo Mariano Rajoy, di sposare una politica di espansione per rilanciare la ripresa nell'Eurozona.
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*il Sole 24ORE* Mercoledì, 16 Gennaio 2013 di: Maximilian Cellino [email protected]
LA GIORNATA
BTp a 15 anni, boom di richieste Collocati 6 miliardi a fronte di una domanda da 11 miliardi - Rendimento al 4,805%
GLI ORDINI
Forte attenzione da compagnie assicurative e fondi pensione Gli investitori esteri tornano a
manifestare interesse Oggi i dati ufficiali del Tesoro Sei miliardi di euro, proprio come tre anni fa. Il Tesoro archivia con successo il ritorno all'emissione di un BTp
a 15 anni dopo la bufera finanziaria che ha investito l'Europa e il nostro Paese. Ieri, attraverso un collocamento
privato affidato a un gruppo di banche (Banca Imi, Barclays, Credit Agricole, Goldman Sachs e Jp Morgan), ha
piazzato appunto titoli per 6 miliardi con scadenza settembre 2028 e cedola del 4,75% annuo al prezzo di
100,017, corrispondente a un rendimento lordo annuo a scadenza del 4,805%: 30 punti base in più rispetto al
titolo più «vicino», il BTp marzo 2026.
Nel settembre del 2010 quel BTp a 15 anni era andato sul mercato al 4,543%, ma i tempi erano decisamente
differenti e il risultato di ieri può essere archiviato con soddisfazione. Anche perché il Tesoro ha ricevuto
richieste probabilmente ben superiori alle attese, 11 miliardi di euro (erano state di poco inferiori ai 10 miliardi
3 anni fa), a testimonianza di quel ritorno di interesse e fiducia nei confronti del nostro Paese che si intuisce
anche dalla forte riduzione dei rendimenti dei titoli italiani e dal restringimento dello spread nei confronti del
Bund tedesco. Una domanda che ha permesso di elevare a 6 miliardi l'ammontare collocato rispetto ai 3-5
miliardi attesi alla vigilia.
Sarà particolarmente interessante capire la distribuzione delle richieste fra gli investitori – sia a livello di
provenienza territoriale, sia per la tipologia del richiedente – un dato che il Tesoro diffonderà però oggi. Le
prime indicazioni «ufficiose» dei trader parlano di una domanda proveniente da soggetti tipicamente interessati
a un investimento con orizzonte di lungo periodo, quali fondi pensione e compagnie assicurative, e soprattutto
ben distribuita fra investitori nazionali ed esteri.
Il ritorno di interesse da oltre confine è l'elemento che probabilmente sta più a cuore al Tesoro per sondare la
disponibilità degli investitori esteri ad acquistare come in passato i titoli di casa nostra. Nell'ultimo
collocamento attraverso sindacato di un BTp a 15 anni, per esempio, la quota finita in mani italiane era stata di
appena il 37%. Il resto si era distribuito all'estero, con prevalenza di investitori britannici (30%) ed europei in
genere, mentre al di fuori del Vecchio Continente era finito appena il 3 per cento dell'operazione. Una
situazione che si è praticamente capovolta negli ultimi mesi, visto che la quota di titoli di Stato italiani detenuta
dagli investitori stranieri si è ridotta a circa il 25,5% rispetto al 46,8% del giugno 2011.
Il Tesoro può adesso guardare con fiducia ai prossimi appuntamenti con il mercato (le consuete aste di fine
mese a breve e medio-lungo termine) e soprattutto allungare di nuovo la durata media finanziaria del debito
italiano, scesa a fine novembre a 6,49 anni rispetto al 7,20 di fine 2010. «L'emissione di un nuovo benchmark a
15 anni – conferma Chiara Cremonesi, strategist sul reddito fisso di UniCredit – rappresenta un segnale
veramente positivo in termini di normalizzazione dei mercati finanziari e aiuterà anche il Tesoro a raggiungere
uno dei suoi principali obiettivi strategici del 2013: l'allungamento della maturity media del debito».
Visto il buon esito dell'operazione di ieri, non è da escludere che nei prossimi mesi l'Italia possa di nuovo
tornare in asta riaprendo la stessa emissione, a maggior ragione se la situazione sui mercati finanziari dovesse
restare favorevole. In alternativa, secondo gli analisti, il Tesoro potrebbe «sondare» entro il 2013 altri tratti di
curva, proponendo per esempio un nuovo trentennale sempre attraverso sindacato. L'ultima operazione di
questa durata è infatti ormai datata settembre 2009 (il BTp con scadenza settembre 2040), un'emissione riaperta
successivamente più volte, ma mai dopo il maggio 2011 e quindi mai dopo la deflagrazione della crisi del
debito pubblico.
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*il Sole 24ORE* Mercoledì, 16 Gennaio 2013 Dal nostro inviato Vittorio Da Rold
Banche. I risultati in Europa orientale: ricavi +13,8%, il credito sale, più sostegno alle Pmi
UniCredit cresce all’Est,
in aumento utili e impieghi Il gruppo diventa il terzo player nei bond locali
VIENNA.
«Gli utili netti di UniCredit nell'Europa centro-orientale nei primi nove mesi del 2012 sono in crescita del
13,8% rispetto allo stesso periodo del 2011», ha detto Gianni Franco Papa, capo della Divisione Europa centro-
orientale della banca italiana durante una conferenza stampa a Vienna, a margine del meeting annuale di
Euromoney sui paesi della Cee (Europa centro orientale) dove è intervenuto fra gli altri Suma Chakrabarti,
presidente della Banca europea per lo sviluppo e la ricostruzione che ha invitato i paesi a fare riforme strutturali
per aumentare la competitività.
Un dato molto positivo (1.274 milioni nei primi nove mesi 2012 contro 1.120 milioni nel 2011) che indica la
determinazione a restare il player numero uno dell'area con 140 miliardi di euro di asset nella regione e che si
accompagna con la notizia che 450 nuove società italiane sono state aiutate da UniCredit nel 2012 a entrare nel
dinamico mercato centro-orientale europeo raggiungendo un totale di 4mila imprese tricolori presenti nell'area,
con sostegni nella consulenza e assistenza per l'export-import, lettere di credito o i pagamenti diretti, a
dimostrazione della ormai consolidata esperienza nel valutare il rischio paese e nella capacità di assistere gli
imprenditori all'estero grazie all'assistenza capillare con le sue 3.793 filiali in 19 paesi nella Cee.
Non solo. UniCredit è diventata il terzo player nell'area dopo Jp Morgan e Crédit Agricole Cib per il
collocamento di bond sia sovereign che corporate con un volume passato dal 2011 da 2,1 miliardi di euro a 3,7
miliardi di euro nel 2012 e un incremento del 76% nel volume e del 100% in numero di emissioni tra cui quella
del municipio di Praga che torna sul mercato dopo dieci anni di assenza con UniCredit. «La chiave del nostro
successo consiste nella forte sinergia tra la presenza sul territorio e la piattaforma globale di prodotto e di
distribuzione. Il nostro punto di forza rispetto agli altri gruppi internazionali è che aggiungiamo una forte
presenza sul mercato locale», dice Gianfranco Bisagni, capo del corporate investment bank Cee. «Negli Usa il
rapporto tra bond e credito bancario è del 70% e 30%, in Europa siamo al 50% mentre nella Cee siamo tra il 20-
30% al 70-80%, con ampi margini di sviluppo», conclude Bisagni.
Il gruppo bancario italiano, presente complessivamente in 22 paesi al mondo, intanto continua a ottenere il 24%
dei ricavi da questa parte del globo che resta il motore della crescita di UniCredit: un'area che – prevede Gianni
Papa – «crescerà nel 2013 in media del 2,9% rispetto all'1,2% nell'Europa occidentale e con punte di eccellenza
come la Turchia e la Russia che correranno al 4,4%». «La Russia, dove abbiamo la sesta banca del paese, la
prima privata e la prima straniera con il 2% del mercato, prevediamo che supererà la Germania nella vendita di
auto», spiega Papa. «Anche la Turchia non è più una "alfa-beta country", cioè non ha più i picchi e le frenate
improvvise grazie a una politica fiscale e monetaria molto più stabile». «In questa quadro la banca punterà
soprattutto su quattro paesi dell'area: Polonia, Turchia, Russia e Repubblica ceca, scelti per la loro maggiore
potenzialità di sviluppo in profittabilità e liquidità». «La Cee – ha detto Papa – segnala ancora forti prospettive
di sviluppo nel medio termine se comparata con l'Europa occidentale. Un'occasione per una banca cross-
border».
Circa il rischio di delevereging nella regione, Papa ha negato vi sia stato un tale processo mostrando che il
totale degli asset nella Cee è continuato ad aumentare del 45% con circa 0,7mila miliardi (quasi un trilione) di
euro aggiunti tra il settembre 2008, anno del fallimento di Lehman Brother, e il settembre 2012, anche se
evidentemente a un passo di crescita inferiore rispetto ai livelli pre-crisi. Anzi UniCredit ha aumentato i prestiti
del 18,7% in Russia, dell'11,9% in Turchia e dell'8,8% in Serbia mentre sono diminuiti in Lituania (-8,3%), in
Ungheria (-6,3%) e Lettonia (-8,3%), confermando che in generale il delevereging non è un problema di offerta
ma di scarsa domanda locale.
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*il Sole 24ORE* Mercoledì, 16 Gennaio 2013 di: Carlo Festa
M&A. Parte l'asta per la vendita del 34%
Tassara sceglie Ubs
per cedere Alior Bank
In pole l’austriaca Erste IL SALVATAGGIO
La quota di controllo nell'istituto polacco vale 330 milioni e permetterà di ridurre
l'esposizione bancaria di Zaleski
La Carlo Tassara del finanziere Romain Zaleski si affida alla banca svizzera Ubs per la cessione del 34% della
polacca Alior Bank. L'advisor sarebbe stato scelto, secondo le indiscrezioni, nelle scorse settimane in modo da
arrivare alla vendita della quota di controllo di Alior entro la fine dell'anno. Si tratta di un passaggio cruciale nel
percorso che vede la Carlo Tassara impegnata a rimborsare i 2,5 miliardi di prestiti verso il sistema bancario.
Anche se un processo non si sarebbe ancora aperto ufficialmente, già ci sarebbero alcuni potenziali interessati
all'acquisto di Alior. E ai nastri di partenza per la quota in vendita di Alior ci sarebbero, secondo i rumors,
almeno 3-4 player. Tra questi ci sarebbe in particolare il gruppo austriaco Erste, già presente in forze
nell'Europa centrale e nell'Est Europa. Erste conosce bene Alior in quanto è stato co-lead manager nella
quotazione del gruppo bancario polacco alla Borsa di Varsavia.
Secondo gli addetti ai lavori sarebbero invece scese le chance del colosso russo Sberbank, interessato anch'esso
all'acquisto del 34 per cento. Un ingresso di Sberbank in Alior sarebbe infatti visto con minor favore dalle
autorità bancarie polacche rispetto ad altri pretendenti interessati. Sembrano basse anche le chance come
potenziale acquirente di Raiffeisen: il gruppo austriaco era stato tra i probabili candidati fino a qualche mese fa,
prima che tuttavia rilevasse le attività polacche della banca greca Eurobank. Sulla stampa di Varsavia, nelle
ultime settimane, era poi uscito anche il nome di Intesa Sanpaolo come potenziale interessato all'acquisizione:
ma fonti vicine al gruppo guidato da Enrico Cucchiani hanno smentito qualsiasi interesse a comprare una quota
della banca di Zaleski.
Alior è stata quotata in dicembre alla Borsa di Varsavia a un prezzo di 57 zloty. Ieri ha chiuso le contrattazioni
a 62,50 zloty: quindi con un rialzo di quasi il 10% dall'Ipo. Ora l'istituto presieduto da Helene Zaleski, figlia del
finanziere, viene valorizzato attorno ai 4 miliardi di zloty, ossia più o meno 980 milioni di euro. Il 34%,
dunque, può valere almeno 330 milioni di euro. L'incasso andrà a ridurre l'esposizione bancaria di 2,5 miliardi
di euro.
Nel 2013 la Carlo Tassara, presieduta da Pietro Modiano, procederà a grandi passi verso la liquidazione dei
propri asset e nei prossimi mesi dovrebbe procedere alla vendita delle partecipazioni azionarie secondo
l'accordo di stand still siglato con le banche creditrici.
Il portafoglio della Carlo Tassara, oltre agli asset esteri (come appunto la polacca Alior Bank e della quota nella
francese Eramet), contempla anche il 19,1% di Mittel, 1,7% di Intesa Sanpaolo, 1,2% di Mediobanca, 1,4% di
Ubi, 2,5% di A2a e l'1,1% di Monte dei Paschi.
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*il Sole 24ORE* Mercoledì, 16 Gennaio 2013 di: Ivan Cimmarusti
Scandali finanziari. Si allunga la lista dei presunti truffati, un medico veronese dichiara di
aver perso 850 mila euro
I segreti della Professoressa Madoff LA VICENDA GIUDIZIARIA
La docente «prestata alla finanza» si dice pronta a fare dichiarazioni spontanee alla
magistratura sul raggiro da 20 milioni di euro
Dalle indagini in corso delle Fiamme Gialle spunta un nuovo, inquietante, particolare sulla presunta truffa dei
titoli falsi: l'insospettabile docente potrebbe aver architettato l'operazione, stimata in circa 20 milioni di euro,
con altre persone al momento ignote. L'inchiesta della procura pugliese, dunque, potrebbe svelare un sistema
ben articolato di raggiri in cui la professoressa Caterina Coco avrebbe giocato solo un ruolo. Ci sarebbero,
dunque, altri insospettabili che l'avrebbero affiancata.
Al momento le bocche sono cucite ma sembra che dalle audizioni delle vittime stiano emergendo particolari
non di poco conto sulla partecipazione di altri soggetti. Per il resto, tutti hanno definito la Coco «una
professionista» di cui si fidavano e a cui affidavano i risparmi per fare investimenti. C'è chi, però, già da agosto
scorso aveva fiutato che qualcosa non andasse per il verso giusto. Perchè nel presunto vantaggioso investimento
era spuntata la promessa di rendite annue con un interesse molto alto, troppo. Il tasso del sei per cento sui nuovi
investimenti era apparso un'offerta eccessiva. «Voleva fare il colpo prima di sparire» ha detto una delle vittime
alla Gdf. Agli atti della procura di Bari risultano almeno due denunce dettagliate, presentate dagli avvocati
Michele Mitrotti e Vito Petruzzelli. In esse sono ricostruite le tecniche con cui la docente avrebbe compiuto le
truffe.
Da una parte c'era l'uso di false ricevute di investimenti in titoli - altrettanto falsi - di Iccrea Banca, per
convincere i più sospettosi. Dall'altra parte c'erano gli ingenui, abbindolati con le promesse di ricchi interessi
difficili da trovare sul mercato. I rendimenti ipotizzati, però, non erano liquidati a fine anno ma, secondo
quando avrebbe indicato la stessa Coco, reinvestiti. In realtà il denaro sarebbe sempre rimasto sul suo conto
corrente personale fino ad almeno novembre scorso, quando la docente è scomparsa nel nulla. L'imbroglio è
stato scoperto dopo che una coppia di coniugi si è rivolta alla Iccrea Banca per avere notizie del proprio
investimento. La risposta, dopo un incontro svoltosi il 18 dicembre scorso, è stata secca: «Facendo seguito
all'incontro nei locali di Iccrea Banca spa vi confermiamo che la documentazione da voi sottoposta alla nostra
attenzione non è prodotta da Iccrea Banca e i contenuti in essa riportati non sono in alcun modo riconducibili a
strumenti finanziari e/o prodotti bancari di qualsiasi tipo emessi da questo istituto». Infine, hanno concluso che
«Iccrea Banca nello svolgimento della sua attività di collocamento di titoli di propria emissione non opera
direttamente su clientela al dettaglio». In sostanza, una truffa bella e buona. La Coco, attraverso il suo
difensore, l'avvocato Maurizio Giannone, ha fatto sapere che è pronta a collaborare con la magistratura. Già nei
prossimi giorni la professoressa, ordinaria all'ateneo di Bari, potrebbe chiedere di essere ascoltata dai pubblici
ministeri pugliesi per rendere dichiarazioni spontanee. Ma del denaro finora atteso dai risparmiatori imbufaliti
non c'è traccia: sembra scomparso nel nulla.
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*il Sole 24ORE* Mercoledì, 16 Gennaio 2013 di: Giovanni Vegezzi
Credito. Titoli per 400 milioni, rendimento al 4,125%
Obbligazioni
Il Credito Valtellinese
torna a collocare bond
Domanda elevata Bpm verso un'emissione da 500 milioni
LO SCENARIO
L'operazione del Creval riapre il mercato del debito per gli istituti di medie dimensioni
Richieste anche dall'estero
Dopo i campioni nazionali, ora tocca anche alle banche di media dimensione. È tornato il sereno sul mercato
del debito e riparte così anche l'emissione di bond bancari: a fare da apripista il Credito Valtellinese, che ha
lanciato ieri un'obbligazione senior da 400 milioni a 2,5 anni sull'euromercato ottenendo, a quanto spiega la
banca, «un'ottima risposta» da parte degli investitori istituzionali. È di fatto la prima emissione senior in euro di
una banca commerciale, visto che il bond da 3,5 miliardi di dollari lanciato da Intesa Sanpaolo l'8 gennaio era
destinato al mercato americano. E il fatto che il libro ordini per il Creval si sia chiuso dopo solo due ore, è un
segnale che la fiducia sta tornando non solo nei confronti dell'istituto valtellinese ma più in generale verso il
comparto bancario italiano.
L'emissione, guidata da Natixis e Mediobanaca, prevede una cedola del 4% con un prezzo sotto la pari e un
rendimento del 4,125%, 355 punti base sopra il midswap (il tasso interbancario adottato dalle banche per
scambiarsi il denaro). L'esito positivo dell'offerta è dimostrato dal collocamento sulla parte bassa della forchetta
dei rendimenti (prevista fra 4,125 e 4,25%) e da una domanda che è arrivata a superare i 500 milioni. A portarsi
a casa i titoli dalla banca valtellinese sono soprattutto le omologhe italiane, con un collocamento che vede
protagonisti gli investitori nazionali con l'87% e in particolare le banche che, nel dettaglio, hanno avuto un peso
superiore al 60%. Da non sottovalutare però, come segnale della riapertura del mercato anche il contributo dei
fondi e degli operatori internazionali (circa il 13%)
La reazione fa ben sperare e prepara la strada anche ad altri istituti di dimensioni simili, interessati a tornare sul
mercato dopo la lunga parentesi di gelo causata dall'aumento degli spread. Dopo il buon esito dell'emissione del
Creval, infatti, scalda i motori anche la Popolare di Milano che - stesso rating della banca valtellinese Baa3 di
Moody's, ultimo livello prima della categoria junk - starebbe preparando un bond senior da 500 milioni a tre
anni con l'appoggio di Banca Akros, JP Morgan, Societe Generale e Ubs.
Creval, del resto era stato uno degli ultimi istituti ad approfittare del mercato nel maggio 2011 e ora torna a
rifinanziarsi per sostituire le emissioni in scadenza. Il fatto però che la data di scadenza del bond - il 24 luglio
2015 - vada sei mesi oltre il raggio dell'ultimo finanziamento Ltro della Bce a tre anni, indica anche che gli
istituti stanno approfittando dell'abbassamento dei tassi per iniziare a smarcarsi dai finanziamenti di Francoforte
e tornare alla normalità pre-crisi. Quella normalità che – come ha segnalato ieri il direttore generale dell'Abi,
Giovanni Sabatini di fronte ai corrispondenti della stampa estera – permetteva di superare il funding gap degli
istituti: «Le nostre banche impiegano dei confronti di imprese e famiglie più di quanto non raccolgano – ha
detto Sabatini –.Un funding gap da 200-250 miliardi che prima dell'innalzamento degli spread veniva colmato
sul mercato internazionale».
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*il Sole 24ORE* Mercoledì, 16 Gennaio 2013 Dal nostro corrispondente Leonardo Maisano
Performance in crescita oltre le previsioni e a Londra il titolo mette a segno un +4%
Burberry accelera nel trimestre I RISULTATI
Le vendite salgono del 9% a 613 milioni sterline grazie ai maggiori consumi cinesi Superata
la fase di crisi ora le attese sono favorevoli
LONDRA.
Il regalo di Natale, Burberry se lo è fatto con qualche giorno di ritardo. Ha atteso la chiusura dell'ultimo
trimestre del 2012 per scoprire che ha fatto boom. Forte abbastanza da andare oltre le attese degli analisti con
613 milioni di sterline di fatturato a fronte di stime unanimi che veleggiavano fra i 600 e i 602 milioni.
Significa un aumento del 9 % rispetto alle vendite dello stesso periodo del 2011, ma soprattutto significa la fine
dell'incubo di settembre quando Burberry sorprese tutti lanciando un profit warning che fece scivolare il titolo
ora in costante ripresa con un più 18% fatto registrare nelle ultime settimane. E ieri il balzo s'è consolidato con
un più 4% generato dall'ottimo andamento dei conti.
La geografia del business non è però omogenea. A indicare il trend del gruppo guidato da Angela Ahrendt è
stata ancora una volta la Cina, Hong Kong inclusa. Nel terzo trimestre (quello chiuso a dicembre 2012 secondo
l'anno fiscale inglese) le vendite indicano una crescita tendenziale a due cifre, una progressione molto migliore,
quindi, di quel giudizio "marginalmente positivo" che fu la causa dello scivolone nel secondo trimestre. Il
rallentamento cinese, in altre parole, pare superato per il mercato del lusso. Stacey Cartwright, cfo di Burberry
lo conferma. «L'andamento migliore della Cina è conseguenza del più fiducioso atteggiamento dei consumatori
ma anche dall'adozione di misure specifiche». L'outlook è positivo per Pechino e dintorni. «Tutti gli indicatori
economici – ha precisato il cfo – suggeriscono che la crescita continuerà e sarà solida per tutto il settore del
lusso».
La Cina non è però l'Europa da dove i numeri restano «sostanzialmente gli stessi», come è stato precisato nella
presentazione dei risultati. In realtà gli scenari sono differenti se si considerano le vendite retail nei negozi
Burberry che sono andate molto bene rispetto a quelle all'ingrosso, ovvero quelle generate da negozi che
vendono più marchi e che, quindi, non sono riconducibili direttamente al gruppo inglese. La caduta del fatturato
in questo secondo settore è stata del 5% prevalentemente in Europa e continuerà anche nei prossimi mesi se è
vero che Burberry prevede un ulteriore rallentamento delle vendite wholesale.
Una dinamica che Stacey Cartwright ha riassunto così «si tratta di quei negozi multibrand gestiti al
proprietario» tipici, ad esempio, della geografia del lusso italiano dove, è stato fatto notare, l'accesso al credito è
più difficile. E difficile, secondo il ceo Angela Ahrendt, resterà ancora il contesto globale. «Nonostante ciò – ha
commentato – vediamo opportunità per espandere il nostro business». Che significa moltiplicare i negozi. Nel
terzo trimestre ne sono stati aperti sette e fra essi il flagship store di Chicago.
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*CORRIERE DELLA SERA* Mercoledì, 16 Gennaio 2013 di: Antonella Baccaro
Redditometro, tutti gli «sconti» del Fisco Previsti 35 mila controlli. Oggi la circolare. L'incontro tra Monti e Befera
ROMA — Franchigie e esenzioni. Sul nuovo Redditometro, che secondo Silvio Berlusconi «spaventa i
cittadini» e per Pierluigi Bersani «non è risolutivo contro l'evasione», l'Agenzia delle Entrate dovrebbe
diffondere oggi maggiori spiegazioni per allentare la tensione che si sta creando intorno all'attuazione dell
strumento.
Qualche elemento dovrebbe essere tratteggiato nell'incontro che il direttore dell'Agenzia delle Entrate, Attilio
Befera, avrà oggi con il premier Mario Monti.
Ma intanto possiamo anticipare alcune considerazioni di base. Partendo dal fatto che gli accertamenti sintetici
previsti dal Fisco per quest'anno saranno 35 mila e dunque i controlli con il Redditometro potrebbero essere
circa 70 mila su una platea di 40 milioni di contribuenti. Non una campagna a tappeto, dunque.
Il Fisco non avrebbe intenzione di prendere di mira particolari beni-simbolo, come in passato è avvenuto con le
imbarcazioni di lusso o i Suv. Tra gli obiettivi invece c'è quello di far emergere redditi non dichiarati che
consentono all'evasore di fruire di agevolazioni di natura sociale, rimediando in questo modo a una doppia
ingiustizia. Quando sarà emanato il relativo regolamento, di certo entro fine anno, sotto la lente del Fisco
finiranno anche i movimenti finanziari dei contribuenti che verranno trasmessi dagli operatori finanziari.
Come si è già detto solo se il reddito complessivo accertato dal Fisco supererà del 20% quello dichiarato,
scatterà la richiesta di chiarimenti, che non è ancora un accertamento (che partirà solo se le spiegazioni del
contribuente non avranno convinto).
Ma come si calcola questo scostamento del 20%? L'Agenzia delle Entrate ha fornito in merito
un'interpretazione autentica spiegando che la percentuale del 20% va riferita al reddito dichiarato non a quello
accertato. Facciamo un esempio: se il Fisco, in base alle proprie verifiche, attribuisce a un contribuente un
reddito di 100 mila e questi ne ha dichiarati 82 mila, il 20% va calcolato su quest'ultima cifra. Dunque nel caso
in oggetto essendo quel 20% pari a 16.400 euro e lo scostamento pari a 18 mila euro, dunque superiore, il Fisco
procederà alla richiesta di chiarimenti.
Al contribuente a questo punto conviene sapere quali sono i redditi esenti, soggetti a ritenuta alla fonte o
comunque legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile, che possono consentirgli di spiegare la
disponibilità di un maggior reddito rispetto a quello dichiarato.
Tra questi ci sono i redditi legalmente esclusi dalla base imponibile poiché tassati in percentuale inferiore al
reale realizzo, come i dividendi, o quelli tassati in misura forfettaria, come i redditi fondiari o i diritti d'autore
(tassati solo al 75%). Ad esempio per i terreni concessi in locazione in regime non vincolistico il proprietario
deve dichiarare solo il reddito dominicale rivalutato dell'80%. In questi casi sarà il canone effettivamente
riscosso ad essere preso in considerazione.
Per i redditi da lavoro dipendente, le somme corrisposte a titolo di Tfr o di arretrati riferiti ad anni precedenti
non vengono indicati nella dichiarazione, perciò ricordarli al Fisco può essere risolutivo.
Allo stesso modo ricordiamo che ci sono redditi totalmente esenti, come le borse di studio; i compensi non
superiori a 7.500 euro derivanti da attività sportive dilettantistiche; le pensioni, gli assegni, le indennità di
accompagnamento e gli assegni erogati ai ciechi civili, ai sordomuti e agli invalidi civili; le pensioni sociali; le
rendite Inail, esclusa l'indennità giornaliera per inabilità temporanea assoluta; l'assegno di maternità, previsto
dalla legge 448/1998, per la donna non lavoratrice.
Rassegna Stampa del giorno 16 Gennaio 2013
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
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*CORRIERE DELLA SERA* Mercoledì, 16 Gennaio 2013 di: Roberto Bagnoli
L’inflazione rallenta a dicembre
Ma la spesa quotidiana sale del 4,3% Decreto produttività, l'attesa per gli sgravi sulla retribuzione
ROMA — L'Istat conferma per il 2012 l'inflazione al 3% ( a dicembre è scesa al 2,3%), che va in archivio come
l'anno più caldo sul fronte dei prezzi degli ultimi cinque anni. E anche il più nero sulla crescita (-2,1%), sulla
produzione industriale (-6,2%), sui consumi (-3,2%). In compenso la linea del rigore impostata dal governo
Monti ha tenuto sotto controllo i conti pubblici e ieri il Tesoro ha confermato per novembre un fabbisogno
ridotto a 4,2 miliardi di euro rispetto al disavanzo di 8,5 miliardi dello stesso mese dell'anno scorso quando
l'esecutivo guidato da Berlusconi fu costretto alle dimissioni dalla crisi dello spread e dalla pressione
internazionale.
In questo contesto economico, ancora molto incerto almeno per l'Italia, ieri era atteso un provvedimento molto
importante. E cioè il decreto annunciato all'inizio di dicembre dal governo all'indomani dell'accordo sulla
produttività siglato con le parti sociali (ma non dalla Cgil) che avrebbe dovuto «regolare» l'effettiva erogazione
dei 2,1 miliardi di euro in tre anni per consentire la riduzione del fisco al 10% sulla parte variabile del salario.
Ma fino a ieri il decreto non era pronto.
Il ministro del Lavoro Elsa Fornero ha precisato che il termine «non era perentorio», ha ammesso che sperava
di «portare a termine il provvedimento entro venerdì scorso ma mancavano alcuni aspetti». Quindi bisogna
aspettare ancora qualche giorno «ma - ha precisato il ministro - non sarà una replica di quello licenziato dal
governo precedente perché questo mira effettivamente alla defiscalizzazione del salario con indicatori di
produttività».
In realtà il decreto della presidenza del consiglio (Dcpm) sulla produttività, anche se formalmente viene scritto
dagli esperti del ministero del Lavoro, è frutto di una complessa sintesi tra le indicazioni del ministro dello
Sviluppo Corrado Passera (al quale Mario Monti aveva affidato la regia dell'operazione) e quello del Tesoro,
cui spetta il compito di verificare la tenuta finanziaria del provvedimento. Il quadro politico del governo
dall'inizio di gennaio è molto cambiato. Il presidente del Consiglio, al quale per forza di cose tocca l'ultima
parola, è stato fino a ieri impegnato alla formazione delle liste dopo la sua «salita in politica». Il ministro
Passera, dopo la decisione opposta di uscire di scena in mancanza di una lista unica sull'agenda Monti, è in
posizione nettamente defilata. Il ministro dell'Economia Vittorio Grilli - tra l'altro in missione all'estero - in
questa vicenda ha solo una parte di controller. Fornero, che ha già annunciato di voler tornare all'insegnamento,
ieri ha chiarito i termini della questione ma la sua buona volontà resta limitata ai pochi capitoli che riguardano
il ministero del Welfare.
Il ministro ha comunque aggiunto che sono «già state sentite» in modo informale le parti sociali per cui
dovrebbe solo mancare la scrittura del testo. Alla cui definizione è legata la delicata partita dell'erogazione dei
2,1 miliardi nel triennio, di cui 900 milioni solo nel 2013. Il nodo centrale sta nella soglia di reddito che limita
l'accesso al bonus. Secondo indiscrezioni, il governo sta facendo simulazioni tra i 40 e i 30 mila euro all'anno.
E' evidente che se fosse limitata ai 30 mila euro la platea dei beneficiari si restringerebbe e il bonus potrebbe
aggirarsi sui 4.500 euro all'anno. Cifra che si ridurrebbe a 2.500 se la platea si alzasse a 40 mila euro di reddito
annui. Poi c'è il delicato meccanismo dell'accesso. Secondo le vecchie regole, il fondo a disposizione è «a
serbatoio»: chi arriva primo è sicuro di avere la defiscalizzazione. Se lo scenario resterà questo saranno favorite
le piccole aziende che saranno più veloci a firmare un accordo col sindacato. La Cgil, che non ha firmato
l'intesa, resta molto critica e sospetta che il rinvio abbia uno sgradevole sapore di «manovra elettorale».
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*CORRIERE DELLA SERA* Mercoledì, 16 Gennaio 2013
Crescita, la prima frenata di Berlino L'economia sale «solo» dello 0,7%. Per quest'anno la stima si ferma allo 0,4%
FRANCOFORTE – Mentre l'Europa era in recessione, la Germania è cresciuta nel 2012 al ritmo dello 0,7% e
anche per quest'anno il governo attende un incremento pari allo 0,4% del Pil. Una stagnazione a livello elevato
della locomotiva europea, come hanno commentato gli esperti, con un andamento del Prodotto interno lordo,
passato e futuro, peggiore del previsto, a causa del crollo di ordini e produzione, che potrebbe aver portato a
una contrazione dell'economia pari allo 0,5% negli ultimi tre mesi dell'anno passato.
Ciononostante, nel nuovo rapporto annuale sull'andamento della congiuntura, la cui presentazione è in
programma oggi, il governo di Angela Merkel ha una punta di ottimismo, per la ripresa in vista, sia pure
contenuta. E giudica che il peggio è passato e che in Eurolandia «non si arriverà ad altri sviluppi negativi», anche se mette le mani avanti, dicendo che comunque il «rischio maggiore» per la Germania rimane la crisi del
debito.
Il merito del miglioramento dell'eurozona, secondo un'indiscrezione di «Handelsblatt» sul rapporto governativo,
è da attribuire alla Banca centrale europea. La quale «con la sua politica monetaria e il suo ricorso a diversi
strumenti non convenzionali, ha contribuito all'allentamento delle tensioni nei mercati finanziari»,
dimostrandosi un'ancora di stabilità. Un quadro «inaspettatamente sincero», secondo il quotidiano economico,
perché si riferisce alle misure, ancora controverse in Germania, dell'annuncio di acquisto illimitato di titoli
sovrani di un Paese in difficoltà (la Spagna), contro garanzia di una richiesta di aiuto (le cosiddette Omt). Il
peggioramento del clima economico in Germania e nell'eurozona spiega la cautela del presidente della Bce
Mario Draghi, giovedì scorso, nel disegnare un quadro nel complesso positivo sulla «normalizzazione» dei
mercati finanziari, mentre la crescita rimane molto debole e in ripresa graduale verso la fine dell'anno.
In Germania, secondo il rapporto governativo, il miglioramento graduale dovrebbe essere trainato dall'export
nei Paesi emergenti, motore della crescita, anche se più contenuto, nell'anno passato.
E sarà probabilmente accompagnato da una sostanziale tenuta del mercato del lavoro e quindi anche del
consumo, come è avvenuto nel 2012, rivelatosi un sostegno alla congiuntura, in controcorrente con la maggior
parte degli altri Paesi europei. Perché il governo prevede per l'anno prossimo una media stabile dei disoccupati
a 2,95 milioni, mentre gli occupati dovrebbero aumentare lievemente, a 41,6 milioni.
M.d.F.
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*CORRIERE DELLA SERA* Mercoledì, 16 Gennaio 2013 di: Marika de Feo
La Bundesbank si riprende l’oro
da Parigi e New York Dalla Francia 374 tonnellate in lingotti, 50 dagli Usa
FRANCOFORTE – «L'oro del Reno» torna a casa. Prima dalla Francia e in parte dagli Stati Uniti. Poi si vedrà.
Lo ha fatto filtrare lunedì sera il presidente della Bundesbank Jens Weidmann, a un gruppo di giornalisti di
Francoforte, mentre il responsabile per la delicata operazione, il consigliere Karl-Ludwig Thiele questa mattina
farà luce su uno dei «misteri» ancora aleggianti sulle seconde riserve aurifere al mondo, dopo quelle degli Usa,
composte di 3.396 tonnellate in lingotti d'oro, valutati all'incirca 130 miliardi di euro.
Nel giro di appena tre mesi, dopo la richiesta formale — suonata quasi come un allarme — fatta dalla Corte dei
conti federale alla Bundesbank di redigere un inventario preciso delle riserve tedesche e rimpatriare almeno 50
tonnellate di oro da New York, la banca centrale tedesca ha reagito. Perché la crisi finanziaria, sia pure in via di
miglioramento, continua a preoccupare. Finora la Bundesbank conserva soltanto il 5% del suo oro nei forzieri
in Germania, fra Francoforte sul Meno (il 2%) e Magonza sul Reno. Ma il 45% dei preziosi lingotti è custodito
nei caveau sotterranei della Fed di New York, mentre il 13% si trova nella Bank of England a Londra e il 12%
nella Banque de France a Parigi. Troppo lontani, per i custodi tedeschi della moneta, che da anni non
ricevevano notizie sullo stato di conservazione del loro «tesoro del Reno», senza poterlo vedere o valutare da
vicino. Da qui la richiesta della Corte, preoccupata sull'effettiva esistenza dell'enorme ammontare dei lingotti,
spalleggiata da un'iniziativa popolare volta a «riprenderci il nostro oro». In tempi di crisi, non si sa mai.
Ma per lanciare un segnale tranquillizzante, la Bundesbank ha già fatto filtrare ieri al quotidiano «Handelsblatt»
il racconto di una visita del turista renano Peter Schmitz nel quinto piano sotterraneo del caveau della Fed di
New York, a Manhattan, dove vengono custoditi 530 mila lingotti in oro di 60 Paesi del globo, incluse le
122.597 barre delle riserve tedesche. E dal racconto del turista tedesco col nome in parte alterato per ragioni
redazionali traspare la delusione, per aver potuto ammirare soltanto un centinaio di lingotti disposti in bella
mostra dietro massicce inferriate.
Domani la Bundesbank spiegherà come intende modificare la gestione del suo oro e dove vuole custodirlo in
futuro. Secondo indiscrezioni, Weidmann intende riportare a casa tutte le riserve — 374 tonnellate —
parcheggiate a Parigi per ragioni di sicurezza fin dai tempi della Guerra Fredda e della divisione fra le due
Germanie. Ma ora la Francia è la principale alleata all'interno dell'eurozona, con la quale la cancelliera Angela
Merkel si appresta a festeggiare i 50 anni del Trattato dell'Eliseo. Ormai, non c'è più ragione di conservare l'oro
a Parigi.
Ma nel caso estremo di una crisi mondiale — anche se non lo ammette nessuno — potrebbe continuare a essere
utile la custodia di parte dell'oro in diverse piazze finanziarie del globo, per poterle convertire in moneta
sonante, nel caso di una necessità estrema, dettata da una crisi imprevedibile. Comunque sia, la richiesta e i
dubbi della Corte sullo stato di salute del tesoro va esaudita. Anche se la Buba mette le mani avanti e attraverso
il consigliere Andreas Dombret assicura che «in 60 anni non abbiamo avuto il più piccolo problema o il minimo
dubbio», ad esempio, «sulla credibilità della Fed». Domani la Buba dovrebbe dimostrarlo con filmati e rapporti
più dettagliati.
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*CORRIERE DELLA SERA* Mercoledì, 16 Gennaio 2013 di: Sergio Bocconi
Generali, i golden boy di Greco
La squadra (internazionale) del Leone Da Allianz e Deutsche Bank arrivano Srinivasan e Schildknecht
Mario Greco ha iniziato ieri mattina a Londra il road show che lo condurrà anche negli Stati Uniti e a Hong
Kong. Il numero uno delle Generali illustrerà agli operatori internazionali la «strategic review» presentata
lunedì alla City, quindi le linee guida, le stime di crescita e i numeri che il gruppo si propone come target per il
2015. E anche il lavoro di riorganizzazione fatto finora, che ha portato sempre lunedì ad annunciare il
completamento della squadra dei 10 top manager che costituiscono il group management committee, il comitato
internazionale che individua le priorità strategiche della compagnia.
Gli ultimi due "arrivi" rappresentano anche un segnale particolare per il Leone. Si tratta di Nikhil Srinivasan,
che sarà responsabile dei 400 miliardi di investimenti mobiliari e immobiliari delle Generali, e di Carsten
Schildknecht, il nuovo chief operating officer. Il primo lascia Allianz, il secondo Deutsche bank. Due top
manager provenienti da gruppi tedeschi, dunque, il cui sbarco a Trieste conferma il carattere internazionale
della squadra di comando che oggi guida le Generali (ne fanno parte anche Claude Tendil, country manager
Francia e Dietmar Meister, numero uno in Germania) e testimonia l'attrattività che il gruppo, impegnato nella
sfida di rinnovamento condotta da Greco, ha in questo momento per figure manageriali di profilo
internazionale.
Srinivasan, 44 anni, cittadino di Singapore, è nato a Delhi ed è cresciuto negli Stati Uniti e in Inghilterra. In
Allianz ha ricoperto diversi incarichi e nel 2010 è stato nominato responsabile degli investimenti di Allianz
investment management ed è entrato nell'international executive committee del gruppo. Ha lavorato a
Singapore, Honk Hong, New York e Monaco con esperienze precedenti anche in Ing Barings e Morgan
Stanley. Conosce bene l'Italia e la sua cultura. Tanto è vero che non nasconde una passione per la nostra arte
contemporanea e in particolare per la metafisica di Giorgio de Chirico. Fra gli scrittori predilige Antonio
Tabucchi e Luigi Barzini. Schildkknecht, 45 anni è laureato in ingegneria industriale e in Deutsche Bank, dove
ha ricoperto il ruolo di global chief operating officer. Ha lavorato anche in McKinsey con competenze nel
campo dell'automotive, telecomunicazioni e trasporti. Entrerà nel gruppo triestino in aprile.
Greco a questo punto, completata la riorganizzazione e la squadra e messo a punto il piano, può avviare la fase
due, la «gestione normale» della compagnia. Può contare nella sua azione su un ampio consenso fra i soci. La
review strategica è pienamente condivisa da Mediobanca, il cui amministratore delegato Alberto Nagel ha
proposto il nome di Greco per sostenere un cambio di marcia nella gestione, processo avviato dal 2007 con i
cambiamenti di governance condivisi con gli altri azionisti di rilievo come i gruppi Caltagirone, De Agostini e
Del Vecchio. Ecco dunque la focalizzazione sul core business assicurativo, annunciata da Greco al suo arrivo in
agosto, il governo societario più semplice e in linea con gli standard internazionali e la nuova organizzazione
della compagnia in chiave più unitaria sotto il brand leader Generali e con una direzione accentrata e meno
«federale».
Il piano è stato accolto con prese di beneficio sul titolo, che da giugno ha guadagnato l'80%: lunedì ha perso il
3% e ieri lo 0,85%. Sul mercato le attese si erano già orientate verso i target dichiarati lunedì e in particolare il
risultato operativo di 5 miliardi nel 2015. Tra gli analisti resta l'interrogativo sulle cessioni programmate per 4
miliardi. Le annunciate Bsi e le attività riassicurative Usa sono stimate per circa la metà della somma. L'ipotesi
di vendita di Banca Generali è stata smentita. E Greco lunedì non ha voluto anticipare «liste».
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*CORRIERE DELLA SERA* Mercoledì, 16 Gennaio 2013 di: Federico Fubini
@federicofubini
La guerra delle valute,
l’Europa perde colpi
ma l’euro è il più forte In 12 mesi recupera su dollaro (+5,5%) e yen (+23%)
Quando all'inizio di novembre tre banchieri centrali europei dissero che la Bce avrebbe potuto tagliare i tassi,
l'euro reagì subito. Pochi istanti dopo, la moneta unica perse lo 0,5% sul dollaro e ancora di più sullo yen
giapponese: era bastato che qualcuno dall'interno dell'Eurotower facesse sapere che nella banca, allora, esisteva
una maggioranza favorevole a un taglio.
Erano i giorni successivi alla riunione di inizio novembre del consiglio direttivo della Bce. All'esterno la fuga di
notizie apparve come una critica al presidente Mario Draghi: anche se la maggioranza nel consiglio era pronta,
non aveva osato ridurre il costo del denaro di fronte all'opposizione della Bundesbank.
Qualcosa del genere (senza le tensioni politiche) si è ripetuto un mese dopo. A inizio dicembre Draghi esce dal
consiglio e dichiara che sui tassi d'interesse c'è stata «un'ampia discussione». Il mercato prende le sue parole per
ciò che appaiono: un'apertura a un futuro calo dei tassi d'interesse sul denaro che la Bce presta alle banche.
L'istituto di Francoforte sembra persino disposto ai cosiddetti «tassi negativi» sui depositi: succede quando le
banche commerciali pagano qualcosa per tenere i loro fondi depositati in Bce, dunque hanno un incentivo a farli
circolare.
Anche quella volta l'euro reagì nel modo classico, andando giù. Non avrebbe continuato per molto: in gennaio
la Bce ha cambiato rotta. Draghi ha detto che un taglio non è stato neanche discusso e che si vedono i segni del
«ritorno alla normalità». È anche con queste esitazioni che si spiega il paradosso degli ultimi mesi: fra le grandi
aree avanzate, l'Europa è quella con l'economia più debole e con la moneta più forte. Nel 2012 il prodotto della
zona a moneta unica si è contratto di mezzo punto, mentre l'America è cresciuta del 2,2% e il Giappone
dell'1,7%. Alcune dei Paesi di Eurolandia sono passati dalla recessione alla depressione; per buon parte
dell'anno gli operatori hanno puntato sulla frantumazione della moneta e ancora oggi il 30% degli investitori
(all'ultimo sondaggio Axa) pensa che il rischio non sia scomparso.
L'euro è la moneta debole, in termini di Pil e delle sue istituzioni. Eppure nell'ultimo anno si è rafforzato del
5,5% sul dollaro e del 23% sullo yen. Oggi è una moneta di almeno il 20% più forte di quanto detterebbero i
fondamentali di gran parte delle sue economie: non solo dell'Italia o della Spagna, anche del Belgio o della
Francia. Per questo apparente controsenso esistono ovviamente ottime ragioni esterne. C'è certo la «guerra delle
monete», di cui è tornato a parlare di recente un economista nato a Genova: Guido Mantega, 63 anni, emigrato
a San Paolo e oggi ministro delle Finanze del Brasile. La Federal Reserve americana tiene i tassi ancorati allo
zero e per ora continua a stampare e spendere molte decine di miliardi di dollari al mese. In Giappone, tornato
premier, Shinzo Abe sta forzando la banca centrale a interventi sempre più pesanti per rendere lo yen più
leggero e competitivo sui mercati esteri e creare un po' d'inflazione. Tutti nel mondo vogliono monete più
deboli per sostenere l'export e non tutti possono averle allo stesso tempo.
Ma se è sull'euro che queste tensioni si scaricano, è anche per motivi interni all'Europa. La promessa di Draghi
in luglio di fare «qualunque cosa» per preservare la moneta — contro il parere della Bundesbank — ha segnato
l'inizio della rivalutazione: in pochi mesi l'euro ha preso il 10% sul dollaro. Da allora però il presidente della
Bce non ha più forzato, come per non aggravare ancora di più le tensioni con l'opinione pubblica e la banca
centrale tedesca. Il mancato taglio dei tassi di quest'inverno si spiega anche così. In realtà, ieri l'euro è scivolato
di colpo non appena si è visto che persino l'economia tedesca a fine 2012 è caduta. Ma per risolvere la prova di
forza interna alla Bce, tanto per cambiare, servirà ben altro.
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*la Repubblica* Mercoledì, 16 Gennaio 2013 DAL NOSTRO CORRISPONDENTE ANDREA TARQUINI
La locomotiva tedesca frena, Eurolandia trema
Pil, solo +0,7%. Pesa anche l’allarme debito americano. La Banca mondiale taglia le stime 2013
BERLINO — E’ stato un martedì nero per i mercati e per le prospettive economiche dell’Europa. La locomotiva Germania è ferma, anzi negli ultimi tre mesi del 2012 ha innestato la retromarcia. La brusca frenata del Pil tedesco e le perduranti incertezze su un accordo tra il presidente Obama e l’opposizione repubblicana per alzare il limite del debito pubblico Usa, hanno creato forte incertezza: molte Borse hanno chiuso in negativo e lo spread tra Bund e titoli italiani decennali è tornato sopra quota 270. Sui mercati ha pesato il monito del presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, ad adottare misure straordinarie, e la minaccia dell’agenzia di rating Fitch di declassare gli Stati Uniti se l’intesa sul debito non sarà raggiunta a tempo. Per il futuro imminente non aiutano neppure le previsioni della banca Mondiale sulla crescita dell’economia globale per il 2013: il Pil non aumenterà - come previsto - del 3%, ma soltanto del 2,4. Un taglio da effetto domino, con la revisione al ribasso per la crescita dei vari paesi. In realtà le notizie sul Pil della prima potenza europea sono inquietanti. L’eurozona si sente ormai senza più locomotiva. Il prodotto interno tedesco nell’ultimo trimestre dell’anno scorso ha addirittura registrato il segno “meno”, con una contrazione dello 0,5%. Su base annuale, la crescita nel 2012 è stata di un irrisorio più 0,7%, pessimo risultato in raffronto al 3% del 2011 e al 4,3% del 2010. Prima della banca Mondiale anche Destatis ha reso note le prognosi di crescita, un misero 0,5%: previsioni governative dimezzate, nell’anno elettorale. Le esportazioni hanno continuato a crescere, del 4,1%, ben più del 2,3% delle importazioni. Ma, dato preoccupante per il più forte comparto manifatturiero della Ue, gli investimenti in macchinari sono calati del 4,4%. Mentre l’aumento dei prezzi dei generi alimentari (più 4,8%) è al livello massimo dal 2008 della crisi precedente. Non siamo più un’isola felice, la zavorra della crisi dell’eurozona trascina giù anche noi, dicono molti operatori a Francoforte. Poco consola il lieve avanzo primario de conti pubblici, di più 0,1%. E certo non attenua le inquietudini l’intenzione attribuita da Handelsblatt alla Bundesbank di rimpatriare parte delle riserve auree, custodite in Usa, Regno Unito e Francia dai tempi della guerra fredda per motivi di sicurezza. Non meno allarmante è l’emergenza americana. Il presidente Obama, e poi il presidente della Fed Ben Bernanke, hanno lanciato appelli urgenti a varare l’accordo sull’aumento del debito sovrano consentito. «Rifiutarlo sarebbe comportarsi come una famiglia che per migliorare la sua attendibilità verso crediti risparmia non pagando le bollette», ha detto Bernanke. La prima potenza mondiale raggiungerà il tetto del debito legale tra metà febbraio e primi di marzo. In assenza di un piano a medio termine condiviso e credibile per la riduzione del debito, ha ammonito Fitch, è probabile che l’attuale outlook negativo sul rating a tripla A si risolva in un declassamento.
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*la Repubblica* Mercoledì, 16 Gennaio 2013 di: BARBARA ARDÙ
Carrello della spesa più caro del 4,3%
Nel 2012 prezzi al top da quattro anni. Inflazione in calo a dicembre
ROMA — Frena l’inflazione a dicembre sulla scia degli ultimi tre mesi del 2012 (—2,3% contro il 2,5 di novembre), ma mettere insieme il pranzo con la cena pesa molto di più. È il carrello della spesa a mettere il turbo, con i prezzi di pane, riso, pasta, latte, carne, pesce e caffè tutti in salita. Un’accelerazione che ha convinto o costretto gli italiani, già tartassati dall’aumento delle spese ineluttabili (mutui, servizi, tasse locali, Imu), a mangiare meno o almeno a portarsi a casa cibi economici. È stato il fattore energia, con incrementi che hanno viaggiato a due cifre a spingere sull’inflazione. Così che la lista delle uscite quotidiane per casa, cibo, trasporti, carburanti, servizi, è lievitata del 4,3% nel 2012, ai massimi da quattro anni. E se a dicembre l’inflazione è calata (un decimo di punto) è solo perché c’è stata una sfiammata dei listini per i carburanti, protagonisti dei rialzi nel 2012. Per l’anno appena chiuso, secondo l’Istat, l’inflazione sarà al 3%, in accelerazione rispetto al 2,8% del 2011. Se si guarda però ai prezzi dei prodotti acquistati con maggiore frequenza, l’aumento arriva a quota 4,3%. Nel 2011 era al 3,5. Tre sole voci hanno aiutato i consumatori a risparmiare, l’olio d’oliva (—0,4), il costo delle connessioni a Internet (—0,7) e i listini degli alberghi (—1,5), dove però le presenze sono scese. Il fardello, là dove invece il tasso d’inflazione viaggia a due cifre per tutto il 2012, si annida tra carburanti, bollette di gas e luce, voli nazionali. E sono salite anche le spese per istruzione, mobili, vestiti. Fare la spesa è ormai un’attività da acrobati. È lì che gli italiani tentano di risparmiare, anche perché su altre voci, sottolinea la Confcommercio, non possono. «Sul rialzo — è scritto in una nota — hanno influito i continui aumenti dei prezzi dei servizi pubblici locali (+4,9% nel 2012 e + 10,2 nel biennio 2011-1012)», oltre la fiammata dei carburanti, sui quali, ricorda Confesercenti «hanno pesato l’aumento di un punto dell’Iva e l’incremento medio delle accise di un buon 23%». Il timore delle associazioni, dopo la frenata, è di un improvviso crollo dei consumi. Fenomeno che potrebbe accentuarsi anche perché sono in arrivo nuove stangate, in primis, la Tares. Dunque si risparmia sul cibo, se non si taglia direttamente. Sei famiglie su dieci, secondo gli agricoltori della Cia, «hanno modificato gli acquisti dei prodotti alimentari e circa il 50% ha ridotto decisamente la spesa». Circa 7,4 milioni di persone ha optato per prodotti ‘low-cost’, mentre il 28% acquista quasi sempre al discount. E nel giro di un anno è raddoppiata (dal 6,7 al 12,3%) la quota di coloro che non possono permettersi di mangiare carne o pesce ogni due giorni. Due famiglie su tre, secondo la Cia, sono costrette tagliare sul carrello per arrivare a fine mese, con consumi pro capite tornati ai livelli del dopoguerra. Dubbi sui dati Istat arrivano dalle dai consumatori. «Valori «sottostimati »» per Federconsumattori-Adusbef, che calcolano per il biennio 2012-2013 una mazzata di 3.823 euro a famiglia, mentre per il Codacons l’inflazione 2012 ha «determinato una stangata invisibile che in media è pari a oltre cinque volte quella dell’Imu sulla prima casa».
Rassegna Stampa del giorno 16 Gennaio 2013
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
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*la Repubblica* Mercoledì, 16 Gennaio 2013 DAL NOSTRO INVIATO EUGENIO OCCORSIO
L’Est europeo guarda a Russia e Cina “Lì hanno i fondi, Eurozona al verde”
VIENNA — «Visto che per lo sviluppo ci servono capitali, e questi scarseggiano nell’Eurozona, ci rivolgiamo ad est: Russia, Cina, India, Turchia, Medio Oriente». Più esplicito di così Mladan Dinikic, ministro della Finanze della Serbia, non potrebbe esserlo. «Continuiamo a lavorare alla candidatura per entrare nell’Ue »: ma fa capire che non ha più fretta. «Gli interessi sui nostri titoli di Stato sono scesi dal 7,25 al 4,8 per cento in un anno ». Il sottosegretario al Tesoro della Polonia, Wojciech Kowalczyk, è se possibile più duro: «Il costo dei nostri Cds (credit default swap, le assicurazioni contro il rischio fallimento, ndr) è inferiore a quello della Francia». I mercati credono più a Varsavia che a Parigi: come dargli torto, con una crescita nel 2012 del 3 per cento mentre l’Europa è sottozero, e con il 62 per cento della popolazione sotto i 30 anni? Benvenuti nella nuova Europa centro-orientale. L’annuncio di quella che informalmente è stata battezzata Vienna Initiative avviene alla conferenza annuale di Euromoney nella città da sempre simbolo del ponte est-ovest: 22 anni dopo lo scioglimento dell’Urss, il blocco ex-sovietico, conseguito il modello di sviluppo occidentale, si rivolge per finanziarsi non all’occidente medesimo ma guarda caso alla Russia nonché ai Paesi ancora più a est. Un paradosso spiegato con il fatto che proprio lì, per un capriccio della storia, si trovano oggi le maggiori forze finanziarie caparbiamente votate a un cammino di crescita rispetto all’asfittica Europa. Che resta però il modello: «E’ nata la Eurasian economic commission per il libero scambio fra Bielorussa, Kazakhistan e Russia», dice il presidente della Banca europea per la ricostruzione, Suma Chakrabarti (indiano laureato ad Oxford, ulteriore beffa per l’occidente). «E’ modellata sulla commissione di Bruxelles. Con la quale vogliamo collaborare nel segno dell’integrazione». Le comunità da oggi sono due.
Rassegna Stampa del giorno 16 Gennaio 2013
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
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