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UFFICIO COMUNICAZIONE/URP Direttore Dr Sandro Cortese Rassegna Stampa 16, 17 e 18 Giugno 2012 A cura dell’Ufficio Comunicazione/URP

Rassegna Stampa - Azienda Sanitaria Provinciale di Vibo Valentia

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UFFICIO COMUNICAZIONE/URP Direttore Dr Sandro Cortese

Rassegna Stampa

16, 17 e 18 Giugno 2012

A cura dell’Ufficio Comunicazione/URP

Page 2: Rassegna Stampa - Azienda Sanitaria Provinciale di Vibo Valentia

Avviso pubblico per direttori sanitario e amministrativo, appello della Cisal

Sanità, se non tutto è mafia Curiosi: «Non si mortifichino oltre le professionalità locali»

i La sede dell'Azienda sanitaria provinciale di Vibo Valentia

«L'ASP di Vibo Valentia cerca due figure di estrema importanza per la sua struttura: il direttore sani­tario aziendale ed il diretto­re amministrativo. Si affi­da ad un avviso pubblico ed ancora una volta cerca pro­fessionalità anche fuori re­gione. Quasi a voler dimo­strare che se non ci sono da queste parti, e l'idea resta dubbia, figure idonee è an­che giustopensarechepos-

sano arrivare, aa esempio, dal Trentino o dal Piemon­te». E1 quanto sostiene in una nota diramata agli or­gani di stampa dal segreta­rio aggiunto della Cisal Fi­lippo Cur tosi.

«La discrezionalità rima­ne sempre il punto discuti­bile», continua il sindacali­sta. Il termine per le do­mande scade mercoledì prossimo. Sui titoli richie­sti nulla da obiettare. C'è

pero un passaggio cne non convince la Cisal. «Quel che apre il varco ad una dubbia interpretazione - af­ferma Curtosi nel suo co­municato - e che ad un certo punto nell'avviso si legge, tra l'altro, che "attesa la na­tura esclusivamente fidu­ciaria dell'incarico, la scel­ta della commissione straordinaria ha natura "discrezionale ed insinda­cabile" e che non è limitata ai soli partecipanti al pre­sente avviso. C'è solo da sperare - conclude - che alla fine la commissione straor­dinaria tenga conto che le figure richieste esistono anche a livello locale. Come dire che nonostante l'eti­chetta affibbiata all'Azien­da sanitaria provinciale dai tristi eventi del passato le professionalità - chiosa il segretario aggiunto dal sindacato guidato da Fran­co Cavallaro - ci sono ed an­che in grado di garantire la copertura dei ruoli».

Come dire: qui non tutto è mafia.

r .v. © RIPRODUZIONE RISERVATA

ISTITUZIONALE ASP VIBO Pag. 3

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«L'Asp si affida ad un avviso pubblico ed anco­ra una volta cerca profes­sionalità anche fuori re­gione. Quasi a voler dimo­strane che se non ci sono da queste parti, e l'idea re­sta dubbia, figure idonee è anche giusto pensare che possano arrivare, ad esempio, dal Trentino o dal Piemonte». Così com­menta, il segretario pro­vinciale della Cisal Filippo Cimosi, il bando per indi­viduare il direttore sanita-rioequello amministrati­vo. Così ricorda come, se­condo quanto prescrive l'avviso pubblico, «alle

Bando delPAsp Le osservazioni

ddluCisal domande intestate alla commissione straordina­ria deli'Asp, che devono essere presentate entro il 20 giugno, occorre allega­re tutte le certificazioni re­lative ai titoli che si ritiene opportunopresentare agli effetti della valutazione. Per accedere all'incarico di direttore sanitario i candidati devono posse­dere i seguenti requisiti: laurea in medicina e chi­rurgia ed aver svolto, per almeno 5 anni, una quali­ficata attività di direzione tecnico sanitaria in enti o strutture sanitarie, pub­bliche e private, di media

o grande dimensione e non aver compiuto il ósesimoannodi età. Ana­loga richiesta per l'incari­co di direttore ammini­strativo per il quale, come titolo di laurea, occorre quella in disciplina giuri­dica o economica. Il rap­porto di lavoro conse­guente è esclusivo e avrà la durata corrispondente a quello dei periodo di in­sediamento della com­missione straordinaria, ovvero fino al 31 dicembre 2012. Fin qui - aggiunge Curiosi - nulla da rilevare. Quel che apre il varco ad una dubbia interpretazio­ne e che ad un certo pun­

to nell'avviso si legge, fra l'altro, che '*... attesa la na­tura esclusivamente fidu­ciaria dell'incarico, la scel­ta della commissione ha natura "discrezionale ed insindacabile" e che non è limitata ai soli partecipan­ti al presente avviso. C'è solo da sperare che alla fi­ne la commissione tenga conto che le figure richie­ste esistono anche a livel­lo locale. Come dire che nonostante l'etichetta af­fibbiata all'Asp dai tristi eventi del passato le pro­fessionalità ci sonoed an­che in grado di garantire la copertura dei ruoli».

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ASMARA - Gli stessi medici che sono all'origine della rete di assistenza agli stranieri pao-lana con il nefrologo Rober­to Pititto hanno ideato l'As­sociazione medici Volontari AsMeV che (con il supporto del'azienda calabrese Ko-smos Hospital) ha varato il progetto "un rene per la vi­ta", alla base della realizza­zione all'Asmara in Eritrea dell'unico centro dialisi esi­stente nel Corno d'Africa. Il Centro - ribattezzato "Ca­labria" - nasce da un accordo del 2008 tra l'Asp Cosenza e il governo eritreo, rinnovato nel 2010 con i buoni uffici AsMeV.

Di recente, proprio il Centro Dialisi eritreo è stato al cen-

Salute in Eritrea

Così da una rete di medici calabresi è partito l'unico Centro dialisi del Corno d'Africa tro della vita associativa del Sindacato Medici Italiani, un cui donativo ha permesso di so­stituire l'appa­recchiatura per l'osmosi inver­sa, quella che produce acqua deionizzata per tutti e otto i reni artificiali del Centro. «L'apparecchiatura era l'uni­ca non "italiana"; era stata infatti montata dagli stessi operatori cinesi che hanno costruito l'Ospedale Orotta di Asmara», racconta Pititto legale rappresentante As­MeV Calabria e realizzatore del centro eritreo. «Servivano ottomila euro

per sbloccare le dialisi acqui­stando un nuovo apparec­chio e riparando il vecchio. In Italia il costo è diverse deci­ne di migliaia di euro, ma una Azienda si è offerta di darcelo a un prezzo irrinun­ciabile, l'AsmeV ci ha messo il tecnico e l'esecutivo Smi ha raccolto 4000 euro, men­tre altri 1500 sono arrivati da donativi ed altri 2500 stanno per arrivare». «Ora- conclude Pititto - in accordo con l'Associazione Mondiale del Diabete vo­gliamo realizzare un proget­to in larga scala di preven­zione di una patologia diffu­sa che troppo spesso in Afri­ca porta a danni renali irre­versibili».

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Sotto accusa la decisione di aprire una nuova unità all'ospedale di Lamezia

«Lo spreco di Audiologia» Costanzo contro il direttore generale delVAsp: «Produce doppioni»

Sergio Costanzo, consigliere comunale del Pdl

IL REPARTO Audiologia all'Asp? Per il consigliere comunale del Pdl, Sergio Costanzo, è uno spreco. Co­stanzo parladi«uninutiledoppione, perché da mesi alcuni dipendenti percepiscono lo stipendio senza far nulla, almeno relativamente alle lo­ro qualifiche di assunzione. Infatti, un tecnico logopedista, un tecnico audiometrista ed un infermiere pro­fessionale, dal primo di marzo, sono stati trasferiti dall'Azienda Mater Domini all'Asp di Catanzaro e sono a disposizione del direttore sanitario, dottor Mario Catalano, percependo regolarmente lo stipendio. Ma cosa producono?» - si chiede il consiglie­re , che ormai da alcune settimane ha ingaggiato una azione di controllo a tappeto sugli atti dell'Asp.

Costanzo si rivolge a Scopelliti, «per segnalare al governatore Sco­pelliti - dice - le tante anomalie dell'Asp; anomalie che di sicuro si scontrano con quei principi di gran­

de moralizzazione che il direttore generale ha sbandierato ai quattro venti, con conferenze stampa quoti­diane, all'inizio del suo mandato».

La questione del nuovo reparto di Audiologia, da allocare presso l'ospedale di Lamezia Terme, che il direttore generale ha annunciato «deve fare riflettere tutti. Soprattut­to la politica perché ormai il vaso è colmo».

« La situazione dei tre dipendenti -dice Costanzo - nasce dalla delibera­zione n. 375 del 15.2.2012, avente per oggetto "Atto d'intesa per la rial­locazione della ILO. di Audiologia e Foniatria dell'Asp di Catanzaro". Ed entriamo nel merito. Con tale delibe­razione, proposta da un responsabi­le di procedimento che non fa riferi­mento alcuno al Dipartimento Am­ministrativo, l'Asp di Catanzaro ha inteso "recepire l'Atto di Intesaper la riallocazionedell'UnitàOperativadi Audiologia e Foniatria dell'Asp di Catanzaro».

«Insomma - continua Costanzo -l'atto d'intesa prevede la riallocazio­ne presso l'Asp di Catanzaro di Au­diologia e Foniatria della Mater Do­mini «perché - testualmente - sono venute a mancare le condizioni giu­ridiche ed organizzative che aveva­no portato all'accorpamento funzio­nale delle Unità Operative ». Ma qua­li sono queste condizioni? «Lo scor­poro delle due Unità Operative è av­venuto , sempre facendo riferimento alla citata deliberazione, a partire dall'I marzo 2012. Insomma, in un momento in cui il Piano di rientro consigliadiridurreicosti gestionali e di accorpare servizi sanitari analo­ghi, l'Asp non trova di meglio che se­parare quanto di fatto era già stato accorpato in precedenza. Bel risul­tato ! A favore di chi e perché? Un'al­tra domanda ci viene spontanea ed è questa: se il direttore generale è in­compatibile, come abbiamo scritto qualche giorno fa, lo stesso princi­pio non vale per il direttore sanita­rio? La legge dice di sì. Ma torniamo ad Audiologia. La struttura esisten­te al Policlinico di G-ermaneto ha sempre svolto e svolge inmanieraef-ficace la propria attività in un conte­sto di alta levatura, quale quello uni­versitario. L'attività assistenziale è addirittura significativamente au-mentatanonostantesiastato ridotto l'organico, sia medico che tecnico. La cosa che appare particolarmente scandalosa è la dichiarazione del di­rettore dell'Asp che ha affermato su numerosi quotidiani di aver stan­ziato 500mila euro per costruire un nuovo reparto, facendo passare que­sta decisione come una semplice operazione di trasferimento d'equi­pe e di strumenti. Di fatto si tratta di un nuovo reparto, gemello di uno esistente a soli 35 km di distanza».

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la ricerca

Medici dell'Annunziata in trasferta in dna XTJLV/VIJLVJL V-IV'.I.I. i l i 111.L-il liAICWCA i l i UL CfÀ3JLV/JL LO. I l i . \^ÌJLMJL

con un studio sulla meningiteIhirneeolaire

L'ospedale civile dell'Annunziata

La Cina è più vicina per l'ospedale dell'An­nunziata. Le dottoresse Cavalcanti e Mauro parteciperanno al convegno "Bit's ìotfa anni-versary of international drug discovery science and technology" nella città di Nan-jing, a novembre prossimo.

La trasferta arriva in seguito a uno studio condotto dalle unità operative complesse di Microbiologia e Virologia (diretta dalla Gi­raldo in sinergia con quella di Pediatria (di­retta da Sperlì). I risultati della ricerca cosen­tina sono stati pubblicati sulla prestigiosa ri­vista internazionale "Microbial drug resi-stence 2011". Ed è proprio grazie a questa

vetrina internazionale che il comitato scien­tifico del convegno ha deciso di formalizza­re l'invito per i camici bianchi bruzi che do­vranno relazionare alla presenza di colleghi provenienti da molti paesi stranieri.

Lo studio ha individuato un microorgani­smo multi resistente di raro riscontro non solo nella provincia di Cosenza, ma nell'in­tero territorio nazionale. «Si tratta di un ge­ne resistente di meningite tubercolare trova­to proprio in un bambino italiano», com­menta la dottoressa Cavalcanti, che conti­nua: «La notizia rende merito all'Azienda ospedaliera, che ha saputo recepire la noti­zia e dare subito la disponibilità per la par­tecipazione all'importante evento che porta fuori dai confini italiani il frutto delle nostre faticose ricerche». Grande soddisfazione esprime pure il direttore generale dell'An­nunziata, Paolo Maria Gangemi: «Esprimo

apprezzamento e soddisfazione per l'invito quali speaker delle nostre professioniste in un congresso di così elevato livello scientifi­co. Tutto questo dimostra, ancora una volta, come il personale che opera in questa Azien­da ospedaliera goda di grande stima nell'am­bito della comunità scientifica nazionale e internazionale e come anche la nostra Azien­da risulti al passo con i tempi». Al di là del Piano di rientro, il nosocomio cosentino rie­sce ancora a resistere e in molti casi ad eccel­lere, malgrado le evidenti difficoltà nelle quali sono costretti ad operare medici e per­sonale sanitario.

Alfonso Bombili!

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Abortì In Calabria più del 70% dei medici è obiettore di coscienza

DI CHIARA LALII

Secondo la relazione attuativa sulla legge 194, cioè la legge che norma l'interruzione volontaria di gra­vidanza, in Calabria il 73,3% dei ginecologi si dichia­ra obiettore di coscienza. A questi si aggiungono il 64,5% degli anestesisti e il 78,1% del personale non medico.

Siamo in linea con la media nazionale di questi ultimi anni, che è in costante aumento e raggiunge in alcune regioni il 90%. Non solo: in alcune strut­ture non c'è proprio il reparto di Ivg, sebbene la leg­ge sancisca che il servizio deve essere garantito alle donne. Secondo l'articolo 9 della legge infatti "gli en­ti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenu­ti in ogni caso ad assicurare lo espletamento delle procedure". Sembrerebbe che la richiesta di aborti­re della donna debba essere considerata piùforte del parere personale del ginecologo. È utile anche ricor­dare che molti hanno scelto questa professione a leg­ge già approvata: perché chiedere una esenzione da un servizio nell'ambito di una professione libera­mente scelta? Quali sono i doveri professionali del medico?

Si potrebbe anche andare più in là. Lo stesso arti­colo 9 prevede l'obiezione di coscienza per le "proce­dure e [le] attività specificamente e necessariamen­te dirette a determinare l'interruzione della gravi­danza, e non dall'assistenza antecedente e conse­guente all'intervento". In che modo l'anestesia sa­rebbe diretta a determinare l'interruzione di gravi­danza? Perché le percentuali di obiezione sono tanto alte? E soprattutto, quali sono le conseguenze?

É abbastanza semplice immaginare che un servi­zio in cui sono attivi solo 3 operatori su 10 rischia l'implosione. Le liste d'attesa si allungano e alcune donne rischiano di andare oltre il termine legale (90 giorni, a meno che non vi sia una patologia fetale o della donna), il peso è tutto sulle spalle di quei 3 me­dici - che nei singoli reparti possono anche essere uno o due. Quando l'interruzione è tardiva e segue un esame prenatale la situazione può anche compli­carsi: sono infatti ancor meno i ginecologi che ese­guono interruzioni dopo il terzo mese di gestazione,

la procedura è più complessa sia clinicamente che emotivamente. Molti ginecologi obiettori, però, ese­guono indagini prenatali nascondendosi dietro alla scusa che fare una amniocentesi serve soltanto a co­noscere la condizione fetale. Sembrano dimenticare che le donne che non abortirebbero mai non si sot­topongono ad esami, preferiscono ignorare le condi­zioni del nascituro fino al parto. Al contrario, le don­ne che li fanno vogliono poter scegliere. Ma spesso si imbattono in ginecologi che le seguono fino al re­sponso e poi le abbandonano perché la loro coscien­za è contraria all'aborto, ma non alle diagnosi.

A pagare il prezzo più alto, come sempre accade quando i diritti zoppicano, sono le persone più debo­li: le donne con meno mezzi economici, senza amici al posto giusto, che vivono in zone rurali o che non sono consapevoli dei propri diritti. Ed è forse proprio da qui che si potrebbe partire per invertire la corren­te: sapere che l'interruzione di gravidanza deve esse­re garantita e che l'assistenza è un dovere da parte del personale sanitario. Almeno sulla carta e almeno fi­nora.

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al congresso di Istanbul L'azienda locale diventa baricentro del Mediteranneo

Ì L S U M M Ì T Alcuni scatti dall'incontro che si è tenuto ad Istanbul per discutere di diverse questioni legate al mondo della sanità dove ha preso parte l'azienda ospedaliera "Pugliese Giaccio"

* *** ***** * . % $ * ' • :

n congresso è stato presieduto

da Stefania Zampogna

di Catanzaro

Al termine è stato firmato un, protocollo per migliorare la cura dei bambini

Prende sempre maggiore consisten­za il progetto transnazionale che dal­l'Italia, e dalla Calabria in particolare, promuove lo scambio delle conoscen­ze medico-scientifiche in campo pedia­trico. Si è appena concluso infatti il 3° Congresso Intemazionale "Il Bambi­no del Mediterraneo" tenutosi dal 9

affli giugno ad Istan­bul, la città più popo­losa della Turchia con i suoi 15 milioni di abi­tanti.

In una metropoli dove Oriente ed Occi­dente si fondono, ma che per i bambini re­

sta ancora ima magica ambientazione di favole e cartoon, si sono dati appun­tamento esponenti del mondo scienti­fico pediatrico calabrese e di quellotur-co.

Il Congresso è stato presieduto da una Dirigente dell'Azienda Ospedalie­ra "Pugliese-Ciaccio" di Catanzaro, la dottoressa Stefania Zampogna, com­ponente del Direttivo Nazionale Sip (Società Italiana di Pediatria), e da al­tri medici calabresi, il dottor Giovanni Capocasale e la dottoressa Anna Sul-la,Presidente Simeup Calabria, i quali hanno instaurato un confronto su pro­tocolli e linee guida relativi agli argo­menti di gastroenterologia, tema del simposio.

Tra i relatori del Congresso intema­zionale anche l'avv. Elga Rizzo, Diret­tore Generale dell'Ao "Pugliese-Ciac­cio" di Catanzaro, sostenitrice di "Ca­labria Baricentro del Mediterraneo", progetto che mira a promuovere la Magna Graecia come luogo ideale per intrecciare importanti rapporti cultu­rali, scientifici e sociali, come testimo­niano i protocolli già firmati dalla Si­meup con Malta e gli Emirati Arabi di Dubai. Nel coreo del suo intervento la Rizzo ha evidenziato «l'importanza che l'Azienda ospedaliera catanzarese an­nette nel sostenere gli operatori sanita­ri capaci di creare rapporti tecnico-scien­tifici con altre realtà varcando addirittu­ra i confini nazionali e sviluppando per­corsi formativi che elevano il grado di efficienza della sanità calabrese. Grazie alle idee del management che mi onoro di rappresentare, alle campagne di mo­tivazione del personale e soprattutto ri­mettendo al primissimo posto la "mis-

sion" istituzionale dell'Ospedale che è quella d'essere al servizio del paziente -ha detto il dg - stiamo rispettando l'au­sterity impostaci dal governo centrale ma grazie a precise strategie di rispar­mio e reinvestimento strutturale e stru­mentale, abbiamo inaugurato alcuni re­parti e ci apprestiamo ad aprime altri».

Nel merito della tre giorni, di lavori congressuali si sono sviluppati sulle li­nee-guida per le situazioni di emergen­za ed urgenza in gastroenterologia. Se­condo quando evidenziato dalla profes­soressa Dalgic Buket della Società Tur­ca di Gastroenterologia e Nutrizione Pe­diatrica, man mano che dalle grandi cit­tà si procede verso l'esteso entroterra turco, gli approcci diagnostici e terapeu­tici non riescono ad essere applicati per cui si verificano gravi problemi di ali­mentazione e di reidratazione in fase di diarrea acuta. In questo contesto parti­colare interesse hanno riscosso i corsi di PBLSD (Pediatrie Basic Life Support and Defibrillation), Triage e Tossicolo­gia tenuti dagli istruttori Simeup italiani ai pediatri turchi.

Al termine del congresso è stato fir­mato un protocollo di intesa finalizzato principalmente a di­fendere e migliorare la cura dei bambi­ni in situazioni di emergenza-urgenza in tutta l'area del Mediterraneo, con la pos-

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sibilità di coinvolgere anche altri paesi e ad organizzare in Italia e Turchia mee­ting annuali su specifici argomenti.

r. e.

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isabili... ma senza cure genitori braccano lAsp

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Lo hanno aspettato davanti al portone di Palazzo Nicotera dove era atteso per relaziona­re al convegno "Uguali o diver­si da chi? Processi di integra­zione territoriale". Lì hanno tentato un blitz a cui il diretto­re generale, che aveva dato lo­ro appuntamento, è però fug­gito infilandosi immediata­mente nell'atrio del palazzo dove si svolgeva l'incontro. I genitori dei ragazzi disabili che da novembre scorso hanno vi -sto interrompere le terapie erogate dalla comunità Proget­to Sud perché era terminato il numero di prestazioni coperte dal contratto con l'Asp, ieri erano fuori di sé. Da giorni, hanno raccontato, hanno pro­vato a contattare il dg dell'Asp Gerardo Mancuso senza riu­scire ad ottenere un incontro che consentisse loro di capire perché non è possibile ripren­dere le terapie presso la comu­nità, nonostante ci fossero sta­te rassicurazioni in tal senso.

E ieri il clima era visibilmente teso. «Continuiamo a pagare le terapie per i nostri figli da mesi, qualcuno anche da anni - ha detto Claudia Stranges, madre di un bambino disabile - ogni volta che il Mancuso ci ha dato un appuntamento lo ha disertato, quindi, oggi sia­mo stati costretti ad improvvi­sare un sit in pacifico per chie­dergli delle risposte. Lui ci ave­va detto che avrebbe convoca­to un tavolo tecnico per dare risposte a noi e alla Progetto Sud, di fatto questo tavolo non

Tentano il blitz

Nicotera E il dg Mancuso

lì evita è mai stato convocato». «La Progetto Sud sta cercando di venire incontro alle famiglie anche nei prezzi - ha

aggiunto Stranges - le patologie so­no tante, da ritardi psico­motori a for­me di auti­smo e la comunità non si limi­ta al trattamento di psicomo­tricità ma la sua è una presa in

carico globale e noi abbiamo bisogno di questo tipo di tera­pia». Gerardo Mancuso arri­

vato in ritar­do al conve­gno non si è però fermato a parlare con i genitori sce­gliendo, inve­ce, di affron­tare la que­

stione al termine del suo inter­vento nel convegno e generan­do inizialmente una brusca reazione dei genitori che si so­no riversati nell'atrio del pa­lazzo. Le urla dei manifestan­

ti hanno anche rischiato che Mancuso decidesse di non chiarire la sia posizione sulla vicenda. La calma è stata rista­bilita da Nicola Emanuele, esponente della comunità, che, in veste di moderatore del convegno, ha contribuito a raf­freddare gli animi. Mancuso ha potuto così spiegare che la macchina si sta muovendo. La Progetto Sud è un'azienda pri­vata che lia un contratto con l'Asp, ha tenuto a ricordare il dg, e nonostante siano stati presi contatti per rinnovare il contratto ed ampliare il bud­get in modo da snellire le liste di attesa e consentire a più persone possibili di accedere

alle terapie, ci sono dei ritar-di.Ma, ha assicurato Mancu­so, massimo entra metà luglio la comunità sarà nuovamente legata da contratto all'Asp e potrà ricominciare ad offrire le proprie prestazioni.

Tiziana Bagnato

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SANITÀ/1

Un Piano molto " Secondo i dati della Cgil gli accreditamenti sono in aumento rispetto al 2009. Allarme per il settore sociale: «Troppi imprenditori senza scrupoli»

A istantanea è quella di un Pronto soccorso preso d'as-7 salto, come tanti nella Calabria del Piano di rientro. Gli

stessi che si allagavano d'inverno, e rimarranno quasi sguarniti di personale d'estate. A seconda dei casi, si può passare in un ospedale di confine ridimensionato

perché i conti della salute sono in rosso da anni. È questo, oggi, il prezzo che paga chi si ammala. Alla fotografia, poi, si uniscono i numeri. Che saranno pure freddi, ma ser­vono per raccontare il presente della sa­nità. L'elaborazione del dipartimento Welfare della Cgil mostra un dato apparen­temente in controtendenza con gli obiet­tivi della razionalizzazione. Il totale delle strutture private accreditate - quelle foto­grafate dal decreto del 5 gennaio 2011 - è pari a 479. Ben 52 in più rispetto a quelle che di cui la Calabria era dotata nel 2009, nel corso dell'era Loiero. Cioè prima che il Piano di rientro si abbattesse sul settore della salute. Una cifra che stona, ma solo apparentemente, con i fatti messi in evi­denza dal presidente nazionale dell'Aiop, Enzo Paolini, in una recente conferenza stampa. Paolini ha spiegato che i tempi hanno portato tagli feroci al numero dei posti letto della sanità pubblica e privata, «a tutte le strutture, meno la "Calabro den­tai", di proprietà di Massimo Marrelli, ma­rito di Antonella Stasi (vicepresidente della giunta regionale, ndr), che li ha visti au­mentare». Paolini parla di posti, la Cgil del numero di strutture. Dunque i due dati sono compatibili. Non lo sono, invece, le osservazioni. Il sindacato prende spunto dall'aumento di enti privati accreditati per mettere in evidenza quanto l'offerta sia sbilanciata. Lo dice Mimma Iannello, della segreteria regionale. E lo fa senza troppa diplomazia: «La sanità privata, che pure vanta valide realtà, complessivamente non ha assolto ad una funzione di competitività qualificata e diversificata. Anzi, ha rappre­

sentato elemento di distorsione del rap­porto domanda-offerta assimilando dupli­cazioni, disfunzioni e inappropriatezze del pubblico, per non parlare delle violazioni contrattuali». Diciotto presidi pubblici sono stati tagliati perché insicuri. Una scelta sofferta, ma necessaria: «Eppure dalla sanità privata le Asp comprano pre­stazioni da cliniche accreditate ben al di sotto di quei requisiti». I tagli dei posti letto si sono abbattuti sia sul pubblico che sul privato, ma - secondo l'analisi della Cgil -per il secondo settore «si aggirano garan­tendo specialità ben remunerate e tetti di spesa sforati da anni con l'escamotage dell'extrabudget (rappresenta le presta­zioni offerte dagli operatori privati in ecce­denza rispetto ai contratti, ndr)». Il tutto «mentre i cittadini perdono garanzie e pre­sidi di cura». Va bene il risanamento, ma qui è discussione l'accesso alle cure. E le redini sono in mano a una politica «presa in perenni contorsioni elettorali». Un esempio per tutti: a distanza di cinque anni dalla messa in programma della realizza­zione dei quattro nuovi ospedali, non si è visto un solo mattone. Per Iannello non c'è dubbio: «È un fallimento, sul quale incom-

LE CIFRE DEL SINDACATO: DOPO LA RAZIONALIZZAZIONE LE STRUTTURE ERANO 4 7 9 . SONO 5 2 IN PIÙ IN CONFRONTO ALL ULTIMO ANNO DELLA GESTIONE LOIERO

bono, peraltro, i costi sostenuti dalle casse regionali per via della convenzione con "Infrastrutture lombarde" (la società che segue il percorso per la costruzione delle strutture, ndr), finora sconosciuti». Un fal­limento che anticipa una richiesta: «Il commissariamento va superato non per scadenza naturale - chi pensa davvero che la Calabria uscirà dal Piano di rientro a di­cembre 2012? - ma per inadempienza di obiettivi e di strategie sanitarie in tutela degli interessi di salute dei calabresi, ai quali si sono svuotate le tasche con tasse e ticket per veder peggiorare le condizioni di accesso ai servizi sanitari». E dei servizi sociali sarebbe meglio non parlarne. Perché, con i tagli in arrivo, le po­litiche di settore rischiano di essere azze­rate. Una Situazione analoga a quella vissuta in campo sanitario. Con le stesse condizioni al contorno, perché - dice Ian­nello - «in Calabria il sociale è sinonimo di privato». E di ."religioso": su 374 strutture riconosciute , ben 144 fanno riferimento alla Chiesa. È ancora una volta lo squilibrio dell'offerta a preoccupare il sindacato. Per non parlare delle prospettive future: «Dal 2013 in poi c'è un vero e proprio salto nel

36 I 21 giugno 2012 I • iella CALABRIA

SANITÀ CALABRIA Pag. 14

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POLITICA

buio, mentre i bisogni sociali delle famiglie sono in continuo aumento». Come fare? La Cgil propone di «rifuggire dal tentativo di accrescere ulteriormente l'offerta di servizi privati». Ma soprattutto «capovolgere il pa­radigma che spinge a improvvisarsi in Ca­labria imprenditori sociali. Troppo spesso, così come accade nella sanità, ci si trova davanti a imprenditori senza scrupoli, che

PER I SERVIZI SOCIALI LA CHIESA FA LA PARTE DEL LEONE: 144 STRUTTURE SU 3 7 4 SONO RELIGIOSE. TUTTI I LIMITI DI UN SISTEMA DA RIFORMARE

Secondo la Cgil, il Piano di rientro ha penalizzato eccessivamente la sanità pubblica in Calabria

puntano solo a fare business». Le storie raccolte dal sindacato, sono quelle di inter­venti sociali affidati a micro-nidi o alloggi condominiali «che non offrono alcuna ga­ranzia o certezza di standard educativi». È una riflessione che apre a un ragiona­mento complessivo. E coinvolge anche la Chiesa, che «ha un ruolo importante, visto che assorbe un pezzo significativo dell'of­ferta di servizi sociali e socio-sanitari. È vero che esistono buone esperienze di pri­vato sociale, ma abbiamo anche cono­sciuto lager come il Papa Giovanni di Serra d'Aiello e altri ancora». Ritornare alle storie delle persone e dimenticare gli affari: è da qui che si può e si deve ripartire. «È inac­cettabile - continua Iannello - che nella nostra regione i bisogni dei minori ven­gano relegati in luoghi di segregazione dove si sa quando si entra ma non quando si esce». È in discussione il modello: «Così si segrega il bisogno, si isola la persona, la si allontana dalla propria famiglia e dei propri riferimenti sociali e lavorativi». C'è anche un aspetto più prettamente eco­nomico sul quale si può intervenire: una programmazione di sistema dell'inter­vento sociale «che a nostro parere oggi ap­pare frammentato e ancorato a una logica tradizionale e monetizzante». La Regione pensa a voucher e card sociali, che non hanno un impatto duraturo sul disagio. Sono interventi episodici. Alla Calabria serve altro, ad esempio «rafforzare la rete di servizi pubblici oggi inesistente». Punto di partenza per poter partecipare al piano sui servizi sociali predisposto dal governo è la realizzazione di servizi integrati tra in­tervento sanitario e sociale, «che nella no­stra regione è tutta da costruire». La ricetta, che può apparire paradossale, è quella di ripartire dalla crisi, perché questa condi­zione può servire per riformare il sistema «a condizione che chi deve farlo liberi le ri­sorse, metta le volontà, le idee e il coraggio di investire per dare risposte adeguate alla dimensione del bisogno sociale che non può essere scaricato sulle spalle delle fa­miglie o governato da logiche di profitto che mercificano i bisogni e nutrono le clientele politiche».

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SANITÀ/2

Quelle leggi regionali abrogate per decreto Tante le anomalie nella gestione del Piano di rientro: nomine discutibili, aberrazioni giurìdiche e gli strali del Tavolo Massicci per una norma "contrapersonam"

Giampaolo Latella

erle dì saggezza. Piccoli "capolavori" di ardita ingegneria giurìdica, capaci di sfidare anche i principi più generali del nostro ordinamento. La produzione normativa della Re­gione Calabria è in grado di generare disposizioni così con­traddittorie e mal scritte da risultare a volte del tutto in­

comprensibili. Le censure di incostituzio­nalità mosse all'indirizzo dell'assemblea di palazzo Campanella si contano a decine. Ma a superare qualsiasi immaginazione sono alcuni provvedimenti in materia di sanità, sottoscritti dai subcommissari per l'attuazione del Piano di rientro, controfir­mati dal commissario ad acta (il governa­tore Giuseppe Scopelliti) e redatti dall'Ufficio commissariale. La cui segrete­ria è coordinata da Daniela Greco: una fun-zionaria degli Accreditamenti "prestata" a un incarico di grande responsabilità am­ministrativa. Dal curriculum di quest'ul­tima, tuttavia, non si evince una particolare dimestichezza con il diritto, visto che la si­gnora ha fatto seguire agli studi di ragione­ria la laurea in Scienze motorie. Cosa c'azzecchi con un ufficio che si occupa del disbrigo di gravosi procedimenti burocra­tici, è un mistero. Molto meno oscuri sono invece i rapporti di parentela della dotto­ressa Greco, sposata con Saverio Mosciaro, che - da dipendente regionale di categoria C - è diventato il capostruttura del direttore generale della giunta regionale, Franco Zoccali. L'Ufficio del commissario, nel corso degli ultimi due anni, è riuscito a partorire atti che hanno dell'aberrante sul piano del di­ritto. A cominciare dalla stessa "camicia" adottata: la forma è sempre quella del de­creto del presidente della giunta regionale, con tanto di carta intestata e logo di pa­

lazzo Alemanni. Peccato che il commissa­rio ad acta, formalmente, con la Regione non c'entri nulla, essendo nominato dal presidente del Consiglio dei ministri. Anche perché, ragioniamoci: se dovesse essere proposto un ricorso in via gerar­chica contro un atto del Commissario, a chi andrebbe indirizzato se non al pre­mier? Questione che, evidentemente, nes­suno in Regione sembra essersi mai posto. Ma la summa si raggiunge nella sostanza. Prendiamo, ad esempio, uno dei primi de­creti del governatore - o del commissario? -: il numero 4 del 24 agosto 2010. Tra le di­sposizioni, se ne legge una, all'articolo 3, che farebbe rabbrividire gli studenti del primo anno di giurisprudenza. Il presi­dente della Regione decreta che «sono abrogati il comma 4 dell'art. 9 della legge regionale 18.07.2008 n. 24, il comma 2 dell'art. 65 della legge regionale 12.06.2009 n. 19, gli articoli 32,35,38 e il 39 della legge regionale 26.02.2010 n. 8 e l'art. 21 della legge regionale 11 agosto 2010, n. 22». Ole:

A DIRIGERE LA SEGRETERIA DELL UFFICIO COMMISSARIALE È UNA LAUREATA IN SCIENZE MOTORIE. MOGLIE DI UN IMPIEGATO SCELTO DAL DG ZOCCALI COME CAPOSTRUTTURA

norme cancellate così, in spregio ai rudi­menti della civiltà giuridica. Certo, c'è chi eccepirà che c'è di peggio. Che il "think tank" dell'emergenza sanita­ria calabrese ha appalesato sbadataggini di gran lunga più gravi. Come quella - che il Corriere della Calabria ha già raccontato - della necessità di emanare un decreto per correggerne uno sbagliato per un "errore materiale". Un "copia-incolla" non riletto, che si è reso indispensabile emendare, spiegando che la Regione Liguria è da in­tendersi Regione Calabria, e che l'azienda ospedaliera interessata non è quella di Ge­nova, bensì quella di Cosenza. Sarà anche per questo, oltre che per l'inver­sione di tendenza annunciata e mai com­piuta, che' il governo è pronto a "commissariare il commissario", come già minacciato e messo nero su bianco nel verbale della riunione del Tavolo Massicci dello scorso 4 aprile. L'organismo intermi­nisteriale tornerà a riunirsi all'inizio di lu­glio. E, in quella circostanza, sarà chiesto conto di diversi atti della gestione di Sco­pelliti e dei subcommissari Pezzi e D'Elia, ma anche di altre delicate questioni. Tra

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REGIONE CALMU*

DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE (nella qnalifi di Coiaaiiuario md «rt« per l ' imuiui del piano di rientro dal dkavaaxi del •ettort «aitano «dia Regata* Calabrie Mn.la.io eoa deUbtn del CoaaigHe dd Mhilatri del

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OGGETTO: Diipouuoai la materia saallaria relathe alta delil.cn. del Ceaaìglfe dei Miaiilri del 30 Lago» MIO di cai al eaauaa a) panna » e eeaaaa* b)

Art.J

Sono abrogali:

il comma 4 dell'art 9 della fogge regionale 18.07 2008 n.34

il comma ^ dell'in 65 Clelia legge regionale ÌÌMMfi ILM

gli articoli 1?. 35.38 ed il 3» della legge regionale 26 02 2010 n.8

La sede del dipartimento Sanità della Regione Calabria, a Catanzaro. Sotto, il decreto con cui il governatore ha "abrogato" alcune leggi vigenti

IL MINISTERO DELLA SALUTE HA CHIESTO DI REVOCARE IL TESTO CHE HA DISPOSTO L ENNESIMO ACCORPAMENTO TRA LASP 5 E LAS DI LOCRI: UN "DISPETTO" A CARULL0

queste, la "famosa" «confusione istituzio­nale», rimproverata a Scopeiliti non solo in relazione ai rapporti, quanto mai tesi, tra il dipartimento guidato da Antonino Or­lando e i subcommissari, ma anche e so­prattutto per un'altra vicenda. Quella scaturita dall'articolo 40 della legge regio­nale 47/2011, meglio conosciuta come la "norma contra personam" perché finaliz­zata a impedire il reintegro dell'ex direttore generale dell'Asp 5, Renato Carullo. Dopo che quest'ultimo ha vinto una battaglia le­gale, con tanto di sentenza esecutiva, il consiglio regionale ha approvato quella legge al fine di dichiararlo decaduto. Qual era l'escamotage dell'articolo 40? Sem­plice: l'accorpamento dell'Asp di Reggio con l'Azienda sanitaria di Locri. Un atto che, però, era già stato assunto per ben due volte dalla stessa Regione negli anni prece­denti. Una disposizione così illogica che, in un duro parere, il direttore generale del di­partimento Programmazione sanitaria del ministero della Salute, Francesco Bevere, ha chiesto espressamente che venga «riti­rata dal consiglio regionale» perché «in contrasto con il Piano di rientto e con l'at­tuale situazione di fatto». Agli argomenti del ministero, l'avvocatura regionale avrebbe risposto con un controparere che però risulta essere introvabile: che fine avrà fatto? Sarà stato forse secretato? in attesa di svelare anche questo arcano, c'è da chie­dersi se palazzo Campanella ottempererà o meno alla richiesta del governo, abro­gando l'ennesimo abominio giuridico, nato da un subemendamento del consi­gliere Salerno. Che ha ottenuto il via libera dell'assemblea, nonostante non sia stato approvato (ma trasformato in ordine del giorno) l'emendamento dal quale dipen­deva: quello sulla costituzione di un'unica azienda sanitaria regionale. Presentato da Nicola Adamo e Giuseppe Bova. Due con­siglieri di minoranza, dicono.

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Dima: riattivare le procedure per realizzare i nuovi ospedali

Il deputato annuncia: nei prossimi giorni un'iniziativa parlamentare

CATANZARO «É neces­sario che le procedure di rea­lizzazione dei nuovi ospedali, ormai ferme dalla fine dello scorso mese di dicembre, a causa della scadenza della gestione commissariale isti­tuita con l'ordinanza del pre­sidente del Cdm n. 3635/2007 (con poteri di protezione civile per la costruzione di nuovi

ospedali), siano al più presto riattivate per portare a termine il pro­cesso di modernizzazione e di sviluppo della rete ospeda­liera regionale». Ad affer­marlo è il deputato del Popo­lo della libertà Giovanni Di­ma, che spiega: «Addirittura, per alcuni di questi nuovi presidi, come quello della Si-baritide e di Vibo, l'iter tec­nico-amministrativo si trova

in uno stato di avanza­mento tale che, una vol­ta formaliz­zate le offer­te, si sareb­bero dovute nominare le

commissioni di gara per pro­cedere, successivamente, al­l'assegnazione dei lavori se la

proroga della gestione com­missariale non si fosse scon­trata sia con i dubbi della Ra­gioneria generale dello Stato, sui contenuti dello schema di ordinanza concordato tra la Protezione civile nazionale e la Regione, sia con quanto di­sposto dal decreto legge 59/2012 di riforma della Pro­tezione civile nazionale che contiene anche specifiche di­sposizioni sulla natura e sul­la durata degli stati di emer­genza. Nonostante le solleci­tazioni del presidente Scopel-liti, in qualità di commissa­rio delegato per il supera­mento dell'emergenza sanitaria, ed alcune nostre interrogazioni ed interventi in Aula per sollecitare il Go­verno a prendere posizione su una questione che ritenia­mo debba essere definita in

tempi brevi, sia alla luce del fatto che è necessario ridare un volto nuovo alla nostra sa­nità sia perché la Regione sta continuando a pagare le rate di mutuo per le somme a suo carico, non abbiamo però ri­cevuto nei mesi scorsi rispo­ste molto convincenti».

«Su questo argomento -assicura Dima -, ci impegne­remo nei prossimi giorni a formalizzare un'iniziativa parlamentare che abbia il so­stegno di tutti i colleghi cala­bresi, essendo tale problema­tica legata a più province, Reggio, Catanzaro, Vibo e Cosenza, e degli altri parla­mentari nelle cui regioni di appartenenza si vive il pro­blema della rimessa in moto delle attività connesse alle gestioni commissariali».

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Il direttore dell'azienda sanitaria provinciale ospite di un convegno a Montecitorio

Mancuso: risparmiati 60 milioni Deputati e operatori sorpresi per i risultati raggiunti in soli due anni

IL DIRETTORE generale dell'Asp, Gerardo Mancuso, ha relazionato, a Roma, sulle attività gestionali ed organizzative delle Aziende sanitarie soggette a Pia­no di rientro, nel corso della tavo­la rotonda sul sistema sanitario nazionale che si è tenuta nella sala Refettorio della Camera dei Depu­tati.

«Il dg Mancuso, che è stato invi­tato in qualità di relatore -si legge in una nota - è intervenuto su quanto si sta realizzando in Cala­bria nel campo sanitario eviden­ziando come e stata scelta una fa­se di politica di "spending review" che ha dato risultati importanti, con la riduzione del debito conso-lidato e del debito corrente, eduna seconda fase di programmazione sanitaria attraverso l'utilizzazio­ne di soluzioni tecnologiche e mo­derne. Un intervento che è stato particolarmente apprezzato dalla platea dei deputati e degli opera­tori tecnici del ministero della Sa­lute, per l'onestà intellettuale e per la lucidità di pensiero espres­sa. Un apprezzamento che è stato tale che il direttore generale è sta­

to invitato a relazionare in una convention sulla sanità, che si ter­rà il prossimo autunno sempre nella capitale».

«In quasi due anni - ha spiegato ildgMancuso-l'Asp di Catanzaro ha risparmiato 60 milioni di euro, riducendo così il deficit dibilancio a 9,9 milioni nel 2011, rispetto ai 69 del 2009. La determinazione e l'applicazione delle regole ed il co­stante impegno nella direzione dei principi contenuti nel Piano di rientro sono state le credenziali attraverso le quali la nostra Re­gione si è accreditata nella confe­renza Stato-Regioni e agli occhi dei ministeri del nostro paese. La ripresa di credibilità e la conside­razione del Paese nei nostri con­fronti hanno prodotto risultati incoraggianti con un incremento di fondi e finanziamenti: la Cala­bria infatti ha ottenuto l'aumento del fondo sanitario, pari a 44 mi­lioni di euro, previsto dal riparto del Fondo sanitario nazionale, frutto della politica di rigore che il Presidente Scopelliti sta eserci­tando nella nostra Regio­

ne». «La situazione debito­

ria che il governatore ha trovato all'inizio del suo mandato - ha sottolinea­to Mancuso - poteva inti­midire e scoraggiare chiunque, ma l'azione continua e determinata ha con­vinto i tecnici circa la serietà e la direzione che la nostra regione ha preso. Questi risultati incorag­giano, ma il realismo ci obbliga al­la prudenza ed al lavoro; siamo molto lontani da un cambiamento radicale dei servizi ma la direzio­ne sembra quella giusta. La gen­te, più della politica, ha capito che le cose stanno cambiando e i servi­zi stanno migliorando, soprattut­to ha capito che la serietà di azione contraddistingue il nuovo modi di operare nella sanità calabrese. Oggi, grazie a questa azione ocu­lata i conti sanitari calabresi ini­ziano ad essere certi, la spesa è sotto controllo e soprattutto in po­co più di un anno e mezzo si è avu­ta la riduzione del debito corrente di 130milionidieuro».

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Errori sanitari gonfiati per indurre i malati a fare causa

L ^ccprnn lpcfpilp Ì Ì THlPCÌlpi P Tìrì7ÌPTìtÌ " o I dì GIAN ANTONIO

S1ELLA

,À ttenzione: «bomba i l sexy» pronta a esplo­dere. I! senso dell'assalto

contro il pianeta dei medi­ci è tutto in un manifesto affisso per rastreEare clien­ti: il seno d'una donna coi fili di un ordigno al tritolo, un orologio e una scritta:

«Protesi cancerogene e di­fettose». Ma vai la pena di dare la «caccia al medico»? Parliamoci chiaro: ci sono medici che se le vanno a cercare, le denunce oer cer­

te sciatterie, certe superfi­cialità, certe negligenze, per non dire di peggio, che causano ai pazienti danni a volte irrimediabili.

l[BE^5fIl|ÌllllÌiÌilÌIÌ : L'Italia è tra i Paesi che più ricorrono alla «medicina difensiva», che i dottori usano proprio per prevenire cause e risarcimenti

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Le pubblicità terroristiche degli studi legali e la leggenda dei 90 morti al giorno

Le cronache raccontano storie assurde. Le quali confermano che anche tra i medici, come in tatti i mestieri, esistono i mediocri, gli inca­paci, gli Schettino. E anche qualche delinquen­te, come quelli che in questi giorni in certe cli­niche impiantavano su anziani protesi infette perché tanto «hanno aspettativa di vita breve».

Vanno bastonati senza pietà, quei medici che per propria colpa (non per errore: per col­pa) provocano dolori, meno­mazioni permanenti e lutti. Vanno colpiti penalmente, anche con il carcere, e nel portafoglio. Anche se nessu­na cifra potrà restituire ad Al­fonso Saltella, per fare un so­lo esempio, suo figlio Flavio, che dopo essere caduto da una giostra morì nel 2007 in Calabria, come scrisse Pano­rama, «dopo una carambola di ospedali che rifiutavano il ricovero, ambulanze che non si trovavano, elicotteri dell'e-lisoccorso che non volevano saperne di alzarsi in volo dopo il tramonto». Uno strazio seguito da un nuovo strazio: un processo interminabi­

le segnato da rinvìi, scaricabarile, rimpalli di competenze.

Detto questo, il modo in cui certi studi pro­fessionali e certe «associazioni» che si avvalgo­no della consulenza di studi professionali van­no a caccia di pazienti traditi nella loro fiducia mal riposta nei confronti di un cardiologo 0 di un ortopedico ma spesso più semplicemente decisi a farla pagare a chi secondo loro ha sba­gliato 0 peggio ancora furbetti che provano a fare un po' di soldi, è inaccettabile.

Avete presente «Non per soldi ma per dena­ro» dove Jack Lemmon si lascia convincere da Walter Matthau, un awocaticchio di pochi scrupoli, a fingere dopo un incidente di essere semiparalizzato per fregare l'assicurazione? Beh, diciamolo: a leggere certi annunci online 0 vedere certe pubblicità sui muri è difficile non andare con la memoria a quel film di Billy Wilder.

Le pubblicità Che senso ha affiggere sui muri spropositati manifesti con la radiografia di un torace dove spicca in mezzo ai polmoni (ai polmoni!) una gigantesca forbice con la scritta «sei proprio sicuro che ti abbiano curato bene?» e la pubblicità di una «rete in franchi-

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sing leader in Italia nell'assistenza al risarci­mento danni»? In franchising! L'Ordine, così ti­gnoso nella difesa del tariffario minimo e di certi privilegi della categoria, non ha nulla da dire sullo spaccio di messaggi tipo «ci prende­remo cura di te e avrai zero spese anticipate»?

È giusto sparare nell'home page di un sito web (dirittidelmalato.com) il titolone «Malasanità» affiancata parte per parte da due figuri con la cuffletta e la mascherina da dotto­re e la scritta «Il killer silenzioso»? E adescare clienti elencando decine e decine di possibili danni (dalle ipossie neonatali alla «mancata diagnosi di tumori», dalla «prescrizione della

terapia anticoncezionale» alle «patologie con esordio subdolo che vengono dimesse») par­lando sempre di «errori» medici tra virgolette col sottinteso che non di errori si tratta ma di probabili mascalzonate o come minimo di casi di «malpractice», cioè negligenza dei medici o della struttura ospedaliera, tra i quali si fa spes­so (forse volutamente) confusione?

La dice lunga, accusa il chirurgo Maurizio Maggiorotti, presidente dell'Amami (Associa­zione medici accusati di malpractice ingiusta­mente) «il modo in cui si è diffusa la balla dei 90 morti al giorno». Era il 2004 e all'ospedale di Niguarda, in una conferenza stampa, «saltò fuori una cosa teorizzata in Internet e cioè che se fossero stati veri certi dati americani allora proporzionalmente in Italia ci sarebbero una novantina di vittime al giorno dovuti a qualche errore medico 0 al degrado di certi ospedali 0 alla cattiva organizzazione di alcuni servizi. Ammesso che il dato fosse verosimile, tutto da dimostrare perché dal 2002 chiediamo inutil­mente un "Osservatorio sul contenzioso e sugli

errori medici" proprio per spazzare via le chiac­chiere, si parlava genericamente di vittime: dal morto alla signora che si lagna perché si aspet­tava di più dall'operazione all'alluce valgo».

Dati forzati Ci fu chi scrisse, sottolineando la cosa col condizionale, che poiché secondo gli anestesisti dell'Aaroi c'erano 14 mila morti l'an­no e secondo gli assicuratori di Assinform 50 mila «il 50% evitabili se soltanto ci fosse da par­te dei pazienti una maggiore attenzione agli esami di controllo e alla prevenzione» (tradu­zione: troppi pazienti trascurano la prevenzio­ne e gli avvertimenti degli esami) «ogni giorno morirebbero "per errore" da un minimo di 40 persone a un massimo di 140: la media è di 90 malati che perdono la vita "per sbaglio"». «Sc-sc-sc-scientifico», direbbe il Vittorio Gas-sman de «I soliti ignoti».

Da allora, attribuendo il dato all'oncologo Enrico Bajetta («Io? Mai detto una stupidaggi­ne simile. Qualcuno capì 0 volle capire male e non c'è più stato verso di correggere la cosa») la leggenda metropolitana è diventata sul web una verità conclamata. Provate a inserire in Go­ogle le parole «errori medici 90 morti giorno»: escono oltre 400 mila link. Dove ogni formula

prudentemente dubitativa è sparita per dare spazio a frasi copia-incolla: «La malasanità uc­cide più degli incidenti stradali. Ogni giorno 90 persone...».

Dice l'indagine della commissione d'inchie­sta parlamentare sugli errori sanitari presiedu­ta allora da Leoluca Orlando (non proprio un pompiere) che dalla fine di aprile dei 2009 al 30 settembre 2011 i morti per malasanità segnala­ti sono stati 329. Cioè una vittima ogni 2,6 gior­ni. Allora come la mettiamo? Di più: la stessa

commissione, come ha scritto «La Stampa», avrebbe accertato che «su oltre 50 mila procedi­menti per lesioni colpose il 98,8% si conclude con l'archiviazione».

Fatto sta che sull'onda della caccia al medico scatenata dalla caccia al cliente da parte di tanti aspiranti vendicatori, scrive l'avvocato Vania Cirese sulla rivista «Gynecologo», «secondo i più recenti dati dell'Ama in un anno solare so­no ben oltre 34 mila le denunce dei cittadini per danni subiti nelle strutture sanitarie. L'au­

mento dal 2008 al 2009 è stato ad­dirittura del 15%».

Potine In corsia Conseguenza? Decine di studi legali specializza­ti, migliaia di medici denunciati (molti giustamente, tutti gli altri a capocchia), assicurazioni che di­sdicono i contratti e sono sempre più riottose a fornire polizze (sem­pre più care, anche 14 mila euro l'anno) a chirurghi, ortopedici 0 addetti al pronto soccorso...

Il nostro Paese, sostiene Um­berto Genovese, medico legale della Statale di Milano, «è tra quelli ove si registra il più alto numero di medici soggetti a pro­cedimenti per colpa professiona­le, nonché la nazione europea con il più alto numero di sanitari sottoposti a procedimenti penali: da qui il sorgere della così detta "medicina difensiva", vale a dire di quelle pratiche caratterizzate 0 da una maggior richiesta di inda­gini e accertamenti, anche super­flui dal punto di vista diagnosti­co-terapeutico, ma molto pre­gnanti per ciò che concerne la di­mostrazione di prudenza, diligen­za e perizia del medico in un futu­ro contenzioso».

Alla Scuoia superiore universitaria luss di Pa­via hanno chiesto a 1.392 medici di diverse spe­cialità se avessero mai ricorso alia «medicina difensiva». Ha risposto sì il 90,5%. Ovvio: i dot­tori che hanno già ricevuto 0 mettono in conto di ricevere un avviso di garanzia sono circa l'8o%. Risultato: secondo un'indagine dell'Uni­versità Federico II l'iper-prescrizione di farma­ci, visite e analisi costa 12,8 miliardi l'anno, cioè 1*11,8% dell'intera spesa sanitaria.

«0 il Parlamento si fa carico del problema

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sbloccando finalmente la legge 50 che fissa nuove regole assicurative e si è impantanata per le resistenze degli assicuratori 0 va a finire male», accusa Marco D'Imporzano, ortopedi­co, già primario al Gaetano Pini, presidente dei chirurghi italiani: «I ragazzi non si iscrivo­no più alle specializzazioni troppo rischiose, colleglli bravissimi costretti a farsi carico da soli di polizze sempre più care non vanno più in sala operatoria 0 in sala parto, altri sono spinti a rifiutare gli interventi più difficili per­ché l'assicurazione minaccia di non coprirli, macchinari di ultimissima generazione costa­

ti un occhio della testa non vengono usati per­ché magari il primario è lì solo in quanto le­ghista 0 ciellino e non ci capisce niente senza l'iper-specialista che però non può assumersi certe responsabilità. Se va avanti così finire­mo come in America. Dove il gioco della cac­cia al cliente per far causa al medico ha porta­to al risultato che in sala operatoria, per gli in­terventi più difficili, ci vanno solo chirurghi pachistani che quando hanno accumulato troppe cause giudiziarie tornano in Pakistan e addio...».

Gian Antonio Stella

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lagine I dati su quello che può accadere a danno dei ricoverati

$**~~*\ omplicazioni In sala È • operatoria, cadute, in-É fezioni, reazioni allergi-% che a farmaci: inciden-^w---''' ti inattesi, non sempre

dovuti a errori medici, che si ve­rificano in ospedale e possono mettere a rischio la salute dei pa­zienti. Nel nostro Paese, in me­dia cinque ricoverati su cento so­no vittime di «eventi avversi», che in più della metà dei casi po­trebbero essere evitati. Le conse­guenze? Il prolungamento della degenza, una disabilità al mo­mento della dimissione e, in un caso su dieci, il decesso del pa­ziente.

Sono i principali risultati di uno studio italiano finanziato dal ministero della Salute e coor­dinato dal Centro gestione ri­schio clinico della Regione Tosca­na che si è avvalso della supervi­sione di un gruppo di ricercatori internazionali. Gli autori dello studio, che sarà pubblicato sulla rivista intemazionale «Epidemio­logia e prevenzione», hanno esa­minato un campione di più di 7 mila cartelle cliniche di 5 ospeda­li italiani: Niguarda di Milano, Careggi di Firenze, San Filippo Neri di Roma, Azienda ospedalie­ra-universitaria di Pisa e Policli­nico di Bari. L'obiettivo? Indivi­duare con criteri scientifici, rico­nosciuti a livello intemazionale, la frequenza di eventi avversi du­rante i ricoveri, capire se è possi­bile prevenirli e quali conseguen­ze provocano in termini di danni al paziente. «Finora il nostro Pae­se era uno dei pochi a non di­sporre a livello nazionale di stu­di sugli eventi avversi, cioè inci­denti inattesi e indesiderati, non attribuibili alla malattia del pa­

ziente ma alla gestione sanitaria — chiarisce uno degli autori del­lo studio, Riccardo Tartaglia, co­ordinatore nazionale del Comita­to tecnico delle Regioni per la si­curezza delle cure —. I dati italia­ni sono in linea con quelli di altri Paesi europei, come l'Olanda 0 la Francia, 0 addirittura migliori di quelli internazionali, che fanno registrare in media una percen­tuale di circa il 9 per cento di eventi avversi. Si tratta comun­que di "numeri" importanti». Per intenderci, se questo tasso di incidenza si estendesse al nume­ro di ricoverati nel 2010, circa 11 milioni, significherebbe che si verificano circa 550 mila eventi avversi Fanno, di cui più della metà prevenibili. «Contraria­mente ad altri studi — precisa Tartaglia — il nostro evidenzia che il maggior numero di eventi avversi avviene in area medica e non in quella chirurgica, che pe­rò segue a breve distanza. Altre aree maggiormente interessate sono il pronto soccorso e l'oste­tricia». Chirurghi italiani, dun­que, più bravi dei colleghi stra­nieri? «Operare secondo proto­colli scientifici e adottare che­ck-list per la sicurezza dei pazien­ti in sala operatoria sono buone prassi che aiutano a ridurre even­ti avversi ed errori» commenta Marco dìmporzano, presidente del Collegio italiano dei chirur­ghi e della Società italiana di or­topedia e traumatologia.

Eppure, secondo uno studio pubblicato sul New England Journal cf Medicine, le richieste di indennizzo da parte di pazien­ti che intraprendono azioni giu­diziarie nei confronti dei medici per presunti errori vedono ai pri­

mi posti proprio la chirurgia, in particolare quella cardiovascola­re, ortopedica e, negli Stati Uniti, la neurochirurgia.

La ricerca evidenzia che in me­dia più di sette medici su cento ricevono una richiesta di risarci­mento, riconosciuta però dai giu­dici soltanto nell'1,6% dei casi.

«Alcuni interventi chirurgici sono ad altissimo rischio clinico e l'aumento vertiginoso del con­tenzioso giudiziario per casi di presunta malpractice sta spin­gendo soprattutto i chirurghi più giovani a evitare queste pro­cedure, per timore di azioni lega­li — sottolinea dlmporzano —. Inoltre, diventa ogni giorno più difficile stipulare polizze assicu­rative, che vengono disdette dal­le compagnie alla prima segnala­zione di sinistro medico-legale». Lo studio italiano, comunque, puntava a individuare eventi av­versi al fine di prevenirli.

«Rispetto ad altri Paesi, da noi risulta più alta la stima di inci­denti che potrebbero essere evi­tati: il 56,7% contro il 43% regi­strato all'estero — puntualizza Tartaglia —. È la conferma che occorre insistere sulle misure di prevenzione per contenere il nu­mero di eventi avversi ed errori, migliorando la qualità delle cu­re. Il ministero della Salute e l'Agenzia nazionale dei servizi sa­nitari regionali hanno reso dispo­nibili, sui rispettivi siti web, rac­comandazioni e buone pratiche per la sicurezza del paziente, ba­sate su evidenze scientifiche: possono permettere di ridurre su larga scala gli eventi avversi prevenibili».

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Gli eventi inattesi non sono sempre errori medici

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cliniche eli cinque

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L fiVentO è u n ,ncKjfinte inatteso derivato non dalla malattia ma dalla gestione sanitaria che provoca prolungamento

d W c i SO del ricovero lesione disabilita morte del malato

5 ricoverati su 100 vanno incontro a eventi avversi

Le aree dove si registrano più « e r t i avversi Area medica

|37 s5% Chirurgia

30% Pronto soccorso llllll iÌMn% Ostetricia 111454%

Nei56f?% dei casi i'evento avverso

potrebbe essere prevenuto

Le conseguenze (percentuali sul tolde dei cosi)

Prolungamento delia degenza

M o l l i l i Disabilita

alle dimissioni 10,5% 111

Decesso del paziente Fonte: Indagine 'Esenti avversi e omsegueRje potenzialmente prevenibili ' (Ministero delia Salute, Centro gestione rischio clinico Regione Toscana) su 7460 schede dimissioni ospedaliere (2008) di 5 ospedali D'ARCO

Buone pratiche che and segui

ohbei i c y y

,aaa tutti Dall'igiene delie marti per prewenire ie infezioni ospedaliere aila check-list per editare «dimenticanze» in saia operatoria, dalla scheda terapeutica unica per la corretta gestione dei farmaci alia prewenziene di emorragie post partum o cadute iti ospedale, Sono soio alcuni esempi di «buone pratiche» per migliorare ia sicurezza dei pazienti, Una «dote» di circa 1,200 esperienze, realizzate da strutture sanitarie

di ogni Regione e consultabili online sui sito web di Agetias, l'Agenzia nazionale per I serwizi sanitari regionali. «Ogni anno wiene lanciata una Cali £®r Good Prartice per imitare medici e strutture sanitarie a presentare le loro esperienze — spiega Barbara tabella, responsabile dell'Osservatorio buone pratiche per ia sicurezza dei pazienti, istituito nei 2008 presso l'Agenas, grafie a un'intesa Stato-Regioni —. Attualmente è aperto, fino a ottobre, l'appello per raccogliere ie buone pratiche dei 2012». L'Osservatorio ha il compito di monitorarle e raccoglierle in una banca dati, per favorire ia loro circolazione ma anche per informare 1 cittadini. «Abbiamo avwìato una ricerca per

ìndiwìduare quei fattori, basati su evidente scientifiche, cbe aiutino a trasferire esperienze e comportamenti ¥irtuosì anche in altre realtà» dice Giovanni Caracci, dirigente delia sezione "Qualità e Accreditamento" di Agenas. A ¥olte, sottolineano gii esperti, non è semplice farlo nemmeno nella stessa Regione.

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tecau se Secondo uno studio la metà dei nostri camici bianchi segnala queste difficoltà

^ orinazione inadeguata, man-• cata adozione di linee guida

e di protocolli clinici basati su evidenze scientifiche, ca­renza di comunicazione tra

operatori sanitari e mancanza di un sistema per registrare gli incidenti. Sono le principali cause di eventi av­versi ed errori, evidenziate da una ri­cerca pubblicata a marzo sulla rivi­sta scientifica British Medicai jour­nal.

Fattori di rischio confermati an­che dai medici Italiani, che però indi­viduano nell'eccessivo carico di lavo­ro e nello stress i principali responsa­bili di incidenti. Lo afferma quasi un dottore su due, in base a uno studio

kju, %tikili «1 i-U |J i - . l i i i - l 1-

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tra I col leghi induce

Il proprio sbaglio

— pubblicato sulla rivista Quality & Safety Health Care edita dal British Medicai journal — che ha coinvolto tra il 2006 e il 2007 un campione di circa un migliaio di professionisti in 18 ospedali italiani.

«Anche se la maggioranza degli operatori sanitari ritiene utile il co­siddetto Repor-ting and Learning System, cioè il si­stema di registra­zione degli inci­denti per impara­re da ciò che non ha funzionato, meno della metà lo utilizza segna­lando l'evento avverso» spiega Ric­cardo Tartaglia, del Centro gestione rischio clinico-Regione Toscana, che ha partecipato allo studio.

I motivi? «Manca nel nostro Paese una cultura della segnalazione degli eventi avversi — sottolinea l'esperto

—. Non è ancora una priorità ana­

lizzare e discute­re T pire i motivi per cui si è verifica­to. Non si tratta, ritengo, di timo­ri legati alle pos­sibili conseguen­ze giudiziarie, quanto di remo­

re psicologiche, come la paura di per­dere la reputazione tra i colieghi».

Eppure, ricorda Sharon Kleefield, docente all'Harvard Medicai School: «Errare è umano e si può sbagliare, non solo nel mondo della sanità, ma è fondamentale imparare dagli erro­ri. Certo, sono più a rischio aree criti­che come la medicina di emergenza, la terapia intensiva, la chirurgia-, un altro momento pericoloso per i mala­ti è il cambio di turno tra gii operato­ri. Diversi studi scientifici hanno di­mostrato che a minacciare la sicurez­za dei pazienti in sala operatoria è anche lo scarso lavoro di squadra».

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ultimo presidio di uno Stato

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Il pronto soccorso come unico servizio

per gtt immigrati clandestini

Nell'attesa gli uomini si lamentano detta crisi e detta politica

Ha una broncopolmonite che non passa, la giovane don­na arrivata al triage con il ma­rito, ragazzo anche lui.

È molto magra, spossata, una copertina blu sulle spalle, all'infermiere dice che il corti­sone non fa effetto e stamatti­na si sente peggio degli altri giorni.

Le parole sono una trama d'affanno, smorzate dai colpi di tosse, gli ocelli stanno al­l'ancora, fissano il tavolo a

fianco del quale la don­na è seduta. Oltre il vetro dell'accetta­zione, all'in­gresso del pronto soc­corso del

"Santa Maria degli Unghere­si", tre persone, familiari in at­

tesa, si lagnano delle decisio­ni del governo Monti. La cop­pia di cinquantenni (ma po­trebbero averne diversi di me­no, sembrano COITOSI dal la­voro e dalla vita) boccia senza remissione l'attuale premier: «Persino Berlusconi e Prodi hanno lavorato meglio». Il marito, sarcastico: «Al risto­rante ho smesso di ordinare l'antipasto mari e monti».

Due sedili più in là una ra­gazza annuisce su tutta la li­nea: «I sacrifici chiesti solo ai poveracci, la pensione da quindici mila euro dei deputa­ti... dei deputati?! dei porta­borse!... il tagliodei parlamen­tari che non verrà mai realiz­zato... perché, le province le hanno abolite?». Alla fine, marito e moglie sentenziano: «L'annoprossimo non andia­mo a votare. Tanto col voto non cambia niente». Arriva­no due uomini e una donna, sono parenti fra loro, giovani, tutti e tre vestiti di nero. Han­no avuto un lutto di recente, smozzica la ragazza di fronte all'infermiere. Si trovano qui perché uno degli uomini, co­me spiega lui stesso, mentre faceva la doccia si è accorto di avere i piedi gonfi. Qualche minuto dopo, il ragazzo è al­l'interno della saletta dove si dà assistenza ai codici bianchi. Nel corridoio interno, invece,

subito fuori la porta dell'emer­genza, due donne si incammi­nano lente. Sono madre e fi­glia - è facile intuirlo - si so­migliano nel corpo e in faccia, come le foto di una stessa per­sona scattate a ventanni di di­stanza. La madre è anziana, in vestaglia, la figlia sta trapasso dietro, con loro si muove l'asta portaflebo. Non fanno rumo­re, quei visi, tengono la preoc­cupazione ammansita dentro solchi lievi. All'ingresso del­l'ospedale si ferma un'auto.

L'infermiera avvicina una sedia a rotelle. Vi sale una donna di mezza età, respira a fatica. Sdraiata sul lettino del­la zona rossa, i medici verifica­no che il tracciato è regolare. Parlano di un senso di oppres­sione avvertito dalla signora, aspettano l'esito di altre inda­gini cardiologiche.

Fanno entrare una delle due persone che l'hanno ac­compagnata. Viene avanti la figlia, sguardo incerto, trova la madre, prima di essere da lei si gira verso i medici che si è lasciata alle spalle: «Vi ha detto della cheniio?».

Quelli rispondono di sì. Ac­canto all'infermiere del triage ci sono due ragazze di poco più di ventanni, rumene, e un italiano smilzo con quasi il tri­plo - sembrerebbe - dell'età. La giovane seduta contrae il

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viso, lamenta forti dolori alla pancia, l'amica le dice qualco­sa nella loro lingua, forse un rimbrotto, forse una sottoli­neatura, prima di mettersi a parlare fitto con l'uomo. Quando poi c'è da dare un re­capito telefonico per la regi­strazione, la ragazza sofferen­te passa all'infermiere diretta­mente la sim del cellulare.

Poco più tardi, aspettando la visita, l'altra ragazza le si­stema i capelli, una tessitura quieta. Ora che il terzetto si è allontanato, qualcuno mor­mora con sdegno che le due giovani sono clandestine, sen­za un medico di famiglia, e che per qualsiasi prestazione sa­nitaria gli immigrati si rivol­gono al pronto soccorso. Ma la Romania è dentro l'Unione Europea da cinque anni, si po­trebbe obiettare.

E in ogni caso, più che mai in un ospedale lo stigma della clandestinità è fuori posto, sia che si tratti di cittadini rume­ni sia di extracomunitari, fos­sero pure entrati in Italia irre­golarmente. Però, dopotutto, lo spunto è incisivo. Rafforza l'immagine del pronto soccor­so come uno degli ultimi ero­gatori di welfare, terreno in­quieto di allentamento degli

squilibri sociali. E se certo la gente vi ricor­

re anche per disturbi assai lie­vi - tendenza che riguarda la popolazione indigena, prima ancora degli immigrati - è in­dubbio che quello, e l'ospeda­le in generale, viene visto co­me l'approdo più sicuro, a maggior ragione dalle fasce sociali vulnerabili. Nel frat­tempo, a distanza di mezz'ora l'ima dall'altra, due coppie di signori anziani si affacciano al pronto soccorso.

«Da questa parte per la sa­la mortuaria?» chiedono. L'infermiere risponde che il posto va raggiunto dall'ester­no, proseguendo lungo il peri -metro dell'edificio. Al di là del­la vetrata che dà sulle panche dell'ingresso, la giovane figlia della donna trattata in emer­genza per quel senso di peso al cuore, tiene la schiena al mu­ro, faccia all'insù, gli occhi for­se chiusi. I piedi arcuati den­tro le ballerine nere. Non c'è nessun altro.

Da questa parte del vetro, allora, ti viene da pensare a come si sia ri­stretto il tuo sentimento del pudore, per poter re­

sistere la vista di un familia­re angoscia­to. A rifletter­ci, tutta l'umanità abita in quei due lati dell'acquario. Arriva­no risate da lontano. Nel cor­ridoio di medicina d'urgenza, invece, la ragazza con la bron­copolmonite si guarda intor­no, seduta assieme al marito. Avranno fatto degli esami ai piani di sopra, ora sono di nuovo qua, attendono l'esito e forse un ricovero in osserva­zione.

La copertina blu addosso a lei, il sorriso tenue dell'infer­miera che passa a fianco, due sedie a rotelle in fila davanti all'unico ascensore che fun­ziona. «Giornata calma» dice un medico.

ANGELO SICILIANO [email protected]

I sacrifici economici U Governo li chiede solo ai poveracci. E i parlamentari continuano a prendere pensioni daismilaeuro al mese

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Ispettori dell'Asp in azione a San Lorenzo del Vallo. Oltre mille i capi da abbattere

Torna l'incubo influenza aviaria Posta sotto sequestro un 'azienda di allevamento di galline nel Cosentino

Resta incerta l'origine del virus

di EMANUELE ARMENTANO

SAN LORENZO DEL VAL­LO - Un'azienda agricola di allevamento di galline ovaiole nel comune di San Lorenzo del Vallo è stata po­sta sotto sequestro dall'A­zienda Sanitaria Provincia­le di Cosenza per influenza Aviaria. Fa così ritorno in Calabria il preoccupante fe­nomeno virulento che colpi­sce principalmente volatili ma anche suini e purtroppo anche l'uomo. La scoperta è avvenuta nell'ambito dei controlli che l'Asp svolge durante tutto l'anno come normale cautela. Ed è proprio in uno di questi controlli che al­cune galline so­no state trovate affette del virus dell'Aviaria.

In buona so­stanza la cosa ri­salirebbe a qualche mese fa quando vennero fatti i primi prelievi di sangue ad alcuni campioni di galline ed i cui risultati davano segnali so­spetti. E' stato quindi neces­sario un complesso iter di ve­rifiche, culminato con il pa­rere del Centro di referenza nazionale per l'influenza

Aviaria presso l'Istituto zoo­profilattico sperimentale delle Venezie, per arrivare a sciogliere ogni tipo di dub-biosulproblema. All'origine sarebbero stati solo due i casi dubbi su una trentina di pre­lievi campione, cosa suffi­ciente per far scattare l'allar­me.

Ci sono però alcuni ele­menti che tornano strani, infatti, se la malattia si pre­senta con mortalità nell'alle­vamento, nel caso specifico la cosa non è registrata. Un altro elemento dell'influen­za aviaria è solitamente quello del calo della produ­zione ma attualmente gli animali sono produttivi. Quindi, seppur presente la malattia in alcuni capi del­l'allevamento, da questi se­gnali si presume che si tratti di un ceppo a bassa patoge-nicità.

Ciò non esclude però che se questo virus si diffonde, vista la grande capacità di mutazione e di ricombinar­si, potrebbe entrare in con­tatto con la specie umana e, su persone anziane, bambini o immunodepressi, potreb­be essere altamente perico­loso.

Sull'origine dell'arrivo della malattia nell'alleva­mento sanlorenzano, le ipo­tesi sono diverse. Infatti, es­sendo l'influenza Aviaria una malattia che si diffonde attraverso l'aria (ma anche attraverso le feci o per con­tatto con oggetti contamina­ti), il virus potrebbe essere arrivato per mezzo di qual­

che capo di commercializza­zione giunto infetto, oppure da gabbie non disinfettate regolarmente o attraverso gli stessi mangimi. Una si­tuazione che, se dovesse prendere una forma più con­sistente, sarebbe difficil­mente gestibile.

Attualmente l'Asp ha messo sotto sequestro l'alle­vamento, comunicando la cosa alle autorità competen­ti. E mentre si attende di sa­pere qualèiltipodi virus che ha infettato gli animali, il

prossimo passo dovrebbe essere quello di proce­dere all'abbatti­mento totale de­gli animali (oltre mille capi) ed allo smaltimento del­le carcasse.

Il pericolo che principalmente si teme, an­che se allo stato attuale non ci sono elementi validi che suscitano questa preoccu­pazione, è che il virus possa uscire fuori dall'allevamen­to ed infettare l'uomo. Ecco perché si procederà con massima priorità nel tenta­tivo di bloccare il fenomeno.

Secondo la prassi, infatti, dovrà essere tracciata un'a­rea attorno al focolaio che sarà chiamata "zona di pro­tezione". In questa zona, quindi, si applicheranno una serie di misure di biosi­curezza che prevede il con­trollo di eventuali aziende che hanno volatili e che po­trebbero essere a rischio.

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LA MEDICINA DIFENSIVA CI COSTA OGNI ANNO 14 MILIARDI

Più elettronica, meno carta: la sanità va snellita RENDERE omogenee le spese, dagli aghi alle protesi fino a macchine per la diagnosi come la risonanza magnetica. Liberare la sanità da tonnellate dì carta, dando spazio all'elettronica e alla telemedicina. Puntare sull'appropriatezza, che prevede per ogni persona il corretto percorso dì diagnosi e la giusta cura, così da poter ridurre il ricorso alla medicina difensiva che ogni anno manda in fumo 14 miliardi di euro. Queste le ricette per il welfare del sottosegretario alla Salute, Adelfo Elio Cardinale, emerse nel corso del convegno «Sostenibilità del Sistema Salute e innovazione in oncoematologia: dalla ricerca al

paziente», tenutosi a Roma. Secondo Cardinale, è fondamentale per il futuro liberare risorse, per evitare la debcalizzazione dal territorio italiano delle industrie che investono nel nostro Paese. «Gli investimenti nel campo cruciale della ricerca non sono una sovvenzione, - ha spiegato Cardinale — ma investimento e risorsa». Sul fronte della richiesta all'industria farmaceutica di ripianare il 35 per cento dello sfor amento dì spesa delle Regioni, Cardinale considera la misura «un aggravio non da poco col pericolo dì una possìbile disincentivazione di quelle Regioni meno virtuose ad introdurre gli auspicati maggiori controlli».

LEGISLAZ.&POLITICA SANITARIA Pag. 6

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in TAC E ESAMI IHUTIU

Sanità, così si sprecano 14 miliardi di euro IN ITALIA si fanno troppi esami cli­nici spesso inutili. Per una sanità che boccheggia, la tendenza alla medicina difensiva - cioè l'abitudi­ne a prescrivere un numero eleva­to di accertamenti per evitare pos­sibili problemi - costerebbe circa 14 miliardi di euro. Lo ha ricordato Adelfio Elio Cardinale, sottosegre­tario dalla Salute, in occasione del convegno "Sostenibilità del siste­ma salute e innovazione in oncoe-matologia: dalla ricerca al paziente" te­nutosi a Roma. Il problema sarebbe parti­colarmente sentito per le prestazioni in radiologia, co­me ad esem­pio l'eccesso

di richieste per risonanze magneti­che o Tac quando invece questi esami complessi non sarebbero necessari. Altrettanto importante, per far meglio quadrare i conti, sa­rebbe l'omogeneizzazione delle spese per materiale e attrezzature (aghi, protesi, macchine pesanti, diagnostiche, mezzi di contrasto) su tutto il territorio nazionale. «Nei contratti pubblici» ricorda Cardi­nale «ci sono differenze territoriali che arrivano fino al 1.200%». © RIPRODUZIONE RISERVATA

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