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Premessa

Le scienze umane (psicologia, psicanalisi, psicologia sociale, sociologia, antropologia, economia politica) sono una componente fondamentale della cultura del nostro tempo. Nonostante questa branca del sapere, che si occupa del comportamento umano, sia relativamente recente, è notevole l'influenza che esercita nei contesti più diversi: dalla cultura considerata "alta", al bagaglio di conoscenze delle persone comuni. I concetti della psicanalisi, ad esempio, hanno trovato largo impiego come chiave interpretativa in campo letterario: si pensi alla produzione critica su autori come Proust e Svevo, solo per citare i casi più eclatanti; così come le categorie sociologiche sono uno strumento indispensabile per chi si occupa di storia, infatti solo se ci si cala nella mentalità e nei meccanismi regolatori di un contesto sociale si è in grado di decifrarne appieno gli avvenimenti storici. D'altro canto, termini come psiche, inconscio, complesso, stress, libido, nevrosi, ecc. sono ormai entrati a far parte del vocabolario di uso quotidiano e D ello slang giovanile. La lingua è uno strumento formidabile che recepisce le nuove tendenze e i mutamenti che sopravvengono nella società in cui viene parlata. Ad esempio, l'egemonia economica e culturale statunitense si è tradotta in una grande quantità di vocaboli che si sono inseriti nel nostro vocabolario per definire nuovi strumenti e nuovi rituali . La popolarità, a livello linguistico lessicale, della psicologia, se da un lato testimonia dell'interesse di cui sono fatte oggetto le scienze umane delle quali ci occuperemo, dall'altro ci pone di fronte ad un problema: i termini che entrano nel linguaggio quotidiano subiscono inevitabilmente un processo di logoramento che li distacca via via dal loro significato originario.

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La pre-condizione per potere assimilare e approfondire i contenuti delle scienze umane è acquisirne il linguaggio specifico su cui si basano i concetti espressi. In discipline quali psicologia, psicologia del profondo, sociologia questa operazione preliminare, che consiste nel definire la terminologia d'uso della materia che si sta per studiare, comporta un'ulteriore difficoltà. Non si tratta infatti solo di memorizzare parole nuove ma di ridefinire o precisare vocaboli spesso conosciuti solo superficialmente. Occorre dunque demolire l'immagine vaga che si ha in mente per ricostruirne una più precisa. Per questo si fornisce un glossario cui far costante riferimento durante la lettura degli appunti.

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Glossario Psicologia: letteralmente significa studio dell'anima. Nell'accezione odierna, è la disciplina che studia il comportamento dell'uomo o dell'animale. Nel caso degli animali prende in esame il comportamento esteriore, per ciò che attiene all'uomo include le funzioni psichiche o processi mentali quali percezione, memoria, apprendimento, o le esperienze interiori sia coscienti che inconsce.

Psicologia del profondo: sono discipline che si propongono di indagare la personalità umana collegando la parte cosciente dell'Io agli strati inconsci della personalità. Sono psicologie del profondo la psicanalisi che si fonda sull'opera di S. Freud; dal ceppo della psicanalisi, con successive scissioni, prenderanno vita la psicologia analitica che si rifà al pensiero di C. G. Jung, la psicologia individuale che nasce ad opera di A. Adler.

Psichiatria: letteralmente significa cura dell'anima. È la branca della medicina che ha come oggetto la cura delle malattie mentali. La psichiatria interviene con terapie che prevedono la somministrazione di psicofarmaci. Lo psichiatra è laureato in medicina con specializzazione in psichiatria e, a differenza di psicologi e psicanalisti, è autorizzato a prescrivere farmaci.

Psicologia sociale: è la disciplina che studia le interazioni fra individui e fra individui e gruppi. Meccanismi sociali quali i ruoli sociali, la coesione, la comunicazione, le dinamiche che regolano la vita del gruppo, i mass-media.

Sociologia: è la disciplina che ha per oggetto lo studio della società. La sociologia è una strumento di auto ascolto delle società nate dalla rivoluzione industriale. Nelle società moderne, basate sul cambiamento, si è sentita l'esigenza di rimpiazzare la tradizione con una scienza che consentisse di leggere e interpretare i nuovi fenomeni.

Filosofia: è la disciplina che indaga criticamente attorno agli interrogativi di fondo che l’uomo si pone circa se stesso e le realtà che lo circondano.

Fisiologia: è la disciplina che studia il funzionamento degli organi del corpo.

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Etnografia: disciplina che, con l'intervento di uno studioso sul campo, si dedica allo studio e alla descrizione dei costumi di un gruppo ristretto di popolazione.

Etnologia: è la disciplina che studia più gruppi sociali e, senza escludere l'intervento sul campo dello studioso, tende a coclusioni di più ampio respiro),

Antropologia culturale: (è la disciplina che partendo dai dati acquisiti da et-nografia ed etnologia tende a formulare conclusioni valide per tutte le società umane).

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LE SCIENZE UMANE Si definiscono scienze umane le discipline che hanno per oggetto lo studio scientifico del comportamento umano e delle strutture sociali. Psicologia, sociologia, antropologia, economia politica rientrano a pieno titolo nella definizione. La storia delle scienze umane è tutta racchiusa fra il XIX e il XX sec.. L'elemento innovativo delle scienze umane non è tanto rappresentato dalla tematica presa in esame (l'uomo e la società), quanto dal tentativo di fornire un approccio scientifico alla materia. Gli strumenti delle scienze esatte (matematica, fisica, chimica) vengono applicati allo studio del comportamento umano nel tentativo di coglierne le costanti e prevederne i comportamenti. La marcia di avvicinamento che ha condotto ad applicare il metodo scientifico allo studio della nostra specie non è stata né breve né, tanto meno, facile. Nella storia del pensiero, elementi che nel nostro secolo vengono dati per assodati, quali la possibilità di studiare l'uomo come animale razionale o l'applicazione di un'analisi sistematica alla natura e ai suoi fenomeni, per essere raggiunti hanno comportato un lungo e tortuoso percorso. Un sintetico cenno alle tappe principali che hanno segnato questo tragitto può essere utile per meglio comprendere la prospettiva in cui si inserisce la materia che si affronterà di seguito. Gli studi su argomenti che rientrano nel campo di interessi delle psicologia risalgono agli albori del pensiero filosofico. Aristotele (384-322 a.C.), nel de anima, è il primo filosofo che si sia occupato in maniera sistematica di alcuni aspetti della mente umana. Occorre altresì segnalare come lo studio dell'uomo e della sua mente abbia occupato una parte marginale della filosofia, che al centro dei propri interessi poneva gli aspetti metafisici, cioè le strutture ultime e le cause supreme delle cose, dunque un essere spirituale più che fisico. Tuttavia, la civiltà greca cui appartiene Aristotele, pur con la rozzezza degli strumenti a disposizione, manifestò un concreto interesse e si applicò con spirito critico alle indagini sull'uomo. In questo contesto,

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Ippocrate di Cos (V - IV sec. a. C.), considerato il padre della medicina occidentale, formula la teoria umorale, che per secoli sarà il fondamento su cui baseranno le loro diagnosi i medici di tutta Europa. Ippocrate attribuisce la salute o la malattia dell'uomo all'equilibrio o alla disarmonia di quattro umori (sangue, flemma, bile gialla, bile nera), la cui diversa proporzione determina anche le caratteristiche psicologiche dell'individuo. L'importanza di Ippocrate risiede nell'avere scisso la medicina dalle pratiche magiche e religiose cui era stata fino ad allora legata, per agganciarla ad un metodo empirico fondato su diagnosi e terapia. Nella scuola di medicina di Ippocrate si poteva accedere solo dopo aver sottoscritto un impegno giurato di seguire un codice etico noto come il giuramento di Ippocrate.

Il tramonto della civiltà greca e l'apparire del dominio di Roma (750 a.C. ca. - 476 d.C.) segna una svolta negli studi. Ci si occupa ancora dell'uomo e di scienza in generale, ma non più con lo stesso spirito indagatore manifestato dalla civiltà ellenica; più che allo studio critico, la mentalità romana si interessa alla classificazione dei fenomeni naturali, con particolare interesse per i casi straordinari e meravigliosi. Il Medioevo cristiano (476 d.C. - 1492) segna l'eclissi degli studi sull'uomo e sulla natura in genere. Attraverso i secoli che, pur con notevoli diversità, vanno dal V sino al XV, il mondo viene pensato secondo un'organizzazione gerarchica piramidale. Il vertice è occupato da Dio, subito sotto l'uomo, rappresentante divino sulla terra, costruito a immagine e somiglianza del Creatore, è posto non nella natura ma al di sopra di essa. Da questa comoda posizione l'essere umano esercita il ruolo di padrone indiscusso su animali, piante e cose. Secondo i pensatori medievali le opere di Dio (la natura) riproducono la logica del Creatore e dunque non possono essere indagate dall'intelligenza umana che deve limitarsi ad ammirare la perfezione del disegno divino. La vita mondana viene considerata una breve parentesi, una prova dolorosa da superare per meritare il regno dei cieli, la filosofia è sostituita dalla teologia (studio di Dio).

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L'egemonia di questa visione del mondo si incrina a partire dal XV sec.. Con il Rinascimento si ridesta un interesse per l'uomo visto come parte integrante della natura. I fenomeni naturali stessi occupano nuovamente una posizione centrale nelle analisi dei pensatori rinascimentali. Nella natura si ricercano le forze che possono portare alla risoluzione dei problemi umani, la visione mondana si insinua nell'orizzonte metafisico e teologico. Vasto è l'interesse per l'astrologia, con il movimento dei pianeti si pensa di potere prevedere gli avvenimenti futuri. Nei laboratori degli alchimisti, tra alambicchi ed esperimenti a metà fra scienza e magia, si tenta di mettere a punto la formula per trasformare il ferro in oro. Certo siamo lontani dal nostro concetto di studio scientifico, ma questi timidi tentativi sono comunque un segno evidente di uno spirito di ricerca che si stava risvegliando.

Il XVII sec. viene considerato come l'inizio della modernità, vengono

infatti a maturazione i processi che avevano visto la luce dopo l'anno

mille con la nascita dei primi nuclei urbani e la formazioni dei ceti

mercantili, portatori di nuovi valori mondani che si giustapponevano alla

visione teologica. Renè Descartes detto Cartesio (1596 - 1650) aggira i

veti posti dalla Chiesa e suddivide l'uomo in due parti distinte: l'anima,

territorio del Sacro, e il corpo, accessibile agli studi scientifici. Le

difficoltà che si devono superare nel secolo che vede la nascita della

scienza moderna, e in cui mutavano i metri di giudizio, sono

testimoniate dalla vicenda di Galileo Galilei (1564 - 1642), costretto ad

abiurare le teorie espresse nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del

mondo, tolemaico e copernicano (1632), in cui, contro le tesi ufficiali che

appoggiavano il geocentrismo, sosteneva velatamente la tesi

eliocentrica espressa da Copernico. Galilei, oltre che a fondamentali

scoperte scientifiche, inaugura un metodo di indagine basato sulla

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verifica sperimentale.

Nel XVIII sec. la mente indaga la realtà alla luce dei lumi della ragione.

L'illuminismo segnerà un salto definitivo nel campo della razionalità,

fondando la propria visione del mondo sulla fiducia nella natura. Nel

sec. XIX si raccolgono i risultati del lungo cammino percorso. La scienza

applicata alla produzione darà vita alla rivoluzione industriale; i valori

legati al sistema feudale vengono sostituiti dallo spirito borghese.

Produzione e profitto sostituiscono le rendite parassitarie, il mondo si

modella sui nuovi valori che vedono nella scienza un pilastro centrale

della nuova costruzione.

Il positivismo è il movimento filosofico culturale che, nella

seconda metà del XIX sec., porta al massimo sviluppo queste tendenze.

Sull'onda delle scoperte che si susseguono a ritmo incalzante, la scienza

viene vista come lo strumento in grado di indagare la realtà; il metodo

scientifico è ritenuto l'unico strumento attendibile, non solo per

ottenere risultati in campo tecnico, ma anche per riorganizzare la

società sotto il profilo dei rapporti umani e sociali e politici. Il clima di

grande ottimismo e di estremo razionalismo proietta nella scienza le

speranze per la risoluzione dei problemi dell'uomo. Queste, in estrema

sintesi, le tappe che hanno portato alla nascita delle scienze umane.

Scienze che nella cultura del XIX sec. trovano terreno fertile dove potere

nascere e svilupparsi.

La psicologia scientifica è uno dei frutti di questa rivoluzione. Nella

seconda metà del XIX sec. la psicologia si stacca definitivamente dalla

filosofia e dalla strutturandosi come autonoma branca del sapere. In

Germania nasce il primo laboratorio di psicologia sperimentale.

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I contributi delle altre scienze alla psicologia

Come ogni scienza di nuova formazione, anche la psicologia, prima di creare un proprio campo specifico, prende spunto da risultati che nel proprio ambito sono stati raggiunti in diverse discipline; alcune delle quali agiscono in settori tutt'affatto differenti, come ad esempio l'astronomia. Sino al secolo scorso, la misurazione della velocità dei pianeti, si effettuava applicando un reticolo al telescopio, quando l'astronomo vedeva il pianeta del quale voleva misurare la velocità entrare nel campo del reticolo, cominciava a contare i battiti di un orologio che si trovava nelle vicinanze. Nel 1796 un assistente del Reale osservatorio di Greenwich venne licenziato perché le sue osservazioni, col passare degli anni, si erano dimostrate via via più imprecise. Il licenziamento fu causato dalla presunta negligenza dell'osservatore; solo dopo qualche tempo si pensò che potessero sussistere differenze individuali nei tempi di reazione e che gli stessi potessero essere influenzati dallo stato psicofisico di colui che effettua la misurazione. Nel caso dell'assistente non si trattava di negligenza ma di una maggiore lentezza dei riflessi dovuta all'invecchiamento. In seguito, l'astronomia applicò metodi assai più raffinati nella misurazione del movimento dei pianeti, dello studio dei tempi di reazione si occuparono la fisiologia prima e la psicologia in seguito. Fondamentale per lo sviluppo della psicologia fu il contributo offerto dalla teoria evoluzionistica, che segna un punto di svolta epocale nella storia del pensiero. Il biologo e naturalista inglese Charles Darwin (1809 - 1882) è riconosciuto come il padre dell'evoluzionismo, anche se altri studiosi contribuirono ad elaborarne la teoria. Egli contribuì con le sue teorie alla formazione di un quadro concettuale da cui trasse spunto, tra l'altro, grande parte della teoria psicologica. Lo studioso britannico partecipò ad un viaggio scientifico attorno al mondo sul brigantino Beagle. Durante questa circumnavigazione della durata di quasi cinque anni, Darwin studiò molte varietà di flora e di fauna inserite negli ambienti più disparati. Notò che tutte le forme vitali prese in esame avevano in comune l'adattamento all'ambiente nel

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quale erano inserite. Le osservazioni dello studioso inglese confluirono nella teoria evoluzionistica che trovò una sistemazione organica nel volume "l'origine delle specie" (1859). In breve, Darwin introduce il concetto di selezione naturale, secondo cui le specie che non riescono ad adattarsi all'ambiente sono destinate ad estinguersi. Nella lotta per la sopravvivenza sono dunque favorite le forme vitali che meglio interagiscono con l'habitat e, all'interno di queste, si riprodurranno gli esemplari che sono portatori delle caratteristiche che più si integrano nel contesto dove sono inserite. I due processi che determinano l'evoluzione delle specie sono: la selezione naturale che agisce per via filogenetica (attraverso il susseguirsi delle generazioni) e l'apprendimento che interviene a livello ontogenetico (dell'individuo nel suo sviluppo) consentendo al singolo individuo di adattarsi alle ri-chieste dell'ambiente acquisendo nuovi comportamenti.

Con la teoria evoluzionistica si avverte l'adozione di un nuovo

paradigma: l'uomo non è più considerato come frutto della creazione

divina ma come ultimo anello di una catena evolutiva del tutto naturale.

La teoria evoluzionistica fu di fondamentale importanza per la nascita

della psicologia e per la formazione di alcune teorie fra le più

importanti. Lo stesso naturalista inglese, esponendo il concetto di

selezione naturale, sviluppò un'analisi di carattere psicologico. Nel

testo "L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali (1872)

prende in esame le forme di comunicazione non verbale, pone le basi

dell'etologia e di una psicologia evoluzionistica fondata sulla fisiologia.

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La nascita della psicologia scientifica

La nascita ufficiale della psicologia scientifica si fa

tradizionalmente risalire all'opera di Wilhelm Wundt (1832 - 1920). Il

merito precipuo dello studioso tedesco non risiede in una scoperta

particolare o nelle innovazioni introdotte, quanto piuttosto nell'opera di

ricerca e sistematizzazione con cui, grazie alla sua personalità eclettica

e alla vastità degli interessi coltivati, che spaziavano dalla fisiologia alla

filosofia, raccolse gli elementi di psicologia emersi nell'ambito delle

altre scienze, raggruppandoli in una disciplina autonoma. I Fondamenti

di psicologia fisiologica 1874 viene considerata il primo testo di

psicologia scientifica moderna. Nel 1879 Wundt fondò a Lipsia il primo

"laboratorio di psicologia sperimentale"; la novità essenziale di questa

esperienza risiede soprattutto nella denominazione ufficiale, la nuova

disciplina necessitava in primo luogo di una identità ben definita, nella

sostanza infatti i contenuti degli esperimenti erano simili a quelli

studiati nei laboratori di fisiologia: si misuravano i tempi di reazione, si

studiavano l'apparato visivo e uditivo tentando di cogliere le leggi

regolatrici dell'attività mentale. Il grande merito di Wundt fu di aver

separato la psicologia da filosofia e fisiologia attribuendo a questa

disciplina uno statuto epistemologico su cui si sarebbero fondati i

successivi sviluppi di questa scienza.

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Lo Strutturalismo

(o elementarismo o introspezionismo)

Tra gli studiosi che approdarono al laboratorio di Lipsia, una

importante figura è rappresentata dall'inglese Edward B. Titchener (1867

- 1927), che con la sua opera contribuì a separare ulteriormente la nuova

scienza psicologica dai residui di matrice filosofica ancora presenti nelle

opere di Wundt. Titchener è uno degli artefici del metodo definito

strutturalismo (da non confondere con l'omonimo movimento francese

degli anni '60); egli, risentendo del clima positivista, che aveva eletto il

paradigma scientifico a unico metro di giudizio attendibile per indagare

la realtà, riteneva di dovere applicare il metodo oggettivo adottato

nelle scienze fisiche come chimica, fisica ecc., allo studio della

coscienza. Lo studioso inglese era convinto che, scomponendo le

sensazioni nei singoli elementi che le costituiscono avrebbe raggiunto

risultati scientificamente rigorosi, elevando la psicologia al livello delle

scienze esatte.

Lo studio degli stati di coscienza, secondo la visione strutturalista,

richiedeva in primo luogo di scindere gli oggetti percepiti dal modo

normale con cui li si definisce per isolarne solo le singole sensazioni: lo

sperimentatore strutturalista non avrebbe accettato la risposta "vedo

una mela" ma richiedeva un'analisi più articolata: percepisco un

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oggetto rosso, liscio, odoroso, dolce, piacevole ecc.. Il metodo adottato,

definito introspezione (una ispezione interna alla coscienza), si fondava

sulla concezione di una struttura mentale equiparabile ad un mosaico

formato da innumerevoli pezzi. La procedura sperimentale consisteva

nel fornire ad un soggetto particolarmente addestrato dei segnali ben

definiti, che egli doveva sezionare nelle varie parti identificandone gli

aspetti percettivi (visivi, uditivi, olfattivi, gustativi, cinestetici ovvero la

percezione conscia dei propri movimenti); le sensazioni corporee

(durata, intensità, ecc.), i sentimenti interni provati (tensione-

distensione, piacere-dolore). La somma di questi elementi, secondo

Titchener, originava gli stati di coscienza, che, così suddivisi, potevano

essere colti nella loro natura e secondo le leggi costitutive.

Il tramonto della scuola strutturalista in psicologia si colloca

attorno al 1915 - 1925, anni che coincidono con l'affermarsi di

funzionalismo, comportamentismo e gestaltismo.

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Il Funzionalismo

In opposizione ai presupposti teorici dello strutturalismo, che

come si è già esposto ponevano il fulcro del loro interesse negli stati

della coscienza e consideravano l'introspezione quale strumento

essenziale di indagine, si pone Il funzionalismo. Questa scuola nasce fra

fine '800 e l'inizio '900 e ha il suo centro nell'università di Chicago. Le

caratteristiche di eclettismo e frammentarietà di questo movimento

rendono difficoltoso identificarne una figura di studioso centrale.

Emergono fra gli altri esponenti: William James (1842 - 1910) con il suo

libro Principi di psicologia (1890) e il filosofo pragmatista John Dewey

(1859 - 1952).

La psicologia varca l'oceano e, approdata in territorio americano,

ne assorbe la mentalità spiccatamente pragmatica, affermando la

propria indipendenza dalla psicologia europea. La prima novità

introdotta dal funzionalismo è un cambio di prospettiva: se Titchener e

gli strutturalisti indagavano gli stati della coscienza isolandoli dal loro

contesto e scomponendone la struttura, i funzionalisti americani, al

contrario, si occupavano di studiare la funzione svolta dai meccanismi

psichici inseriti nell'ambiente. Quindi il "com'è fatto il processo mentale,

ovvero com'è strutturato" degli strutturalisti veniva sostituito da "a che

cosa serve, ovvero quale funzione svolge" dei funzionalisti.

La scuola funzionalista porta per la prima volta la psicologia ad

occuparsi di problemi pratici: la coscienza non è più isolata

dall'ambiente circostante, ma viene inserita nel flusso vitale degli

elementi e del contesto naturale. Il metodo introspettivo è usato solo

marginalmente per lo studio delle funzioni, ad esso si preferisce

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l'osservazione del comportamento. I processi mentali sono interpretati

come delle strategie che l'organismo vivente mette in atto per garantirsi

la sopravvivenza e adattarsi all'ambiente. La chimica, da cui lo spirito

positivista titcheneriano aveva mutuato il metodo della scomposizione,

viene sostituita dalla biologia con precisi riferimenti all'opera di Darwin.

L'evoluzionismo con la sua connessione individuo-ambiente e con i

concetti di lotta per la sopravvivenza, ben si confaceva allo spirito

pionieristico d'oltre oceano. Così, per i funzionalisti, la percezione non è

la somma delle sensazioni ma un processo inscindibile costituito da un

flusso ininterrotto. Vengono studiate con attenzione le motivazioni

(fame, sete, paura, ecc.) che spingono l'individuo ad agire. Il centro

dell'interesse dei funzionalisti è occupato dall'apprendimento che,

rispetto al comportamentismo, viene fondato solo limitatamente sulla

sequenza stimolo risposta, considerando l'individuo in grado di

comportarsi in modo selettivo e analitico.

La mente e il corpo sono visti come un tutto teso alla

sopravvivenza, la mente interviene quando i comportamenti automatici

sono insufficienti, una volta che il comportamento è stato acquisito e

reso automatico la coscienza smette la sua funzione: quando si impara

ad andare in bicicletta i processi razionali sono attivi, se si raggiunge

una adeguata sicurezza questi si eclissano per lasciare spazio agli

automatismi. L'importanza delle singole parti era così sostituita dalla

centralità del tutto, anche in questa impostazione olistica, che considera

inscindibile l'unità individuo-ambiente, si denota l'opposizione radicale

rispetto alla suddivisione strutturalista con la sola mente oggetto di

studio della psicologia.

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Il Comportamentismo

(Behaviourism)

Il comportamentismo è la prima scuola di psicologia

autenticamente americana, per la prima volta una teoria nasce negli

Stati Uniti ed è in seguito importata in Europa. Gli studiosi che si

riconoscono nelle tesi comportamentiste interpretano la psicologia non

più come scienza dell'anima o della coscienza, ma come una disciplina

volta allo studio esclusivo delle cause del comportamento, che è

ritenuto l'unico elemento osservabile e misurabile, che può dunque

elevare la psicologia al livello delle scienze esatte.

Lo sviluppo del behaviorismo si colloca in un periodo particolarmente propizio per la psicologia, che esce dai laboratori per essere utilizzata in diversi campi della vita sociale. I test intellettivi furono massicciamente usati dall'esercito americano per selezionare le reclute a partire dalla prima guerra mondiale. La psicologia si indirizzava verso un'applicazione anche in campo industriale nei settori della pubblicità e di problemi manageriali.

La critica che i comportamentisti muovono allo

strutturalismo titcheneriano è radicale e si articola su diversi punti: a) la

coscienza e i processi mentali sono elementi soggettivi e non verificabili

e come tali non si possono studiare scientificamente; b) chi pratica

l'introspezione non può essere controllato dall'esterno e per giunta non

è un osservatore neutrale perché per il solo fatto di essere consapevole

di praticare introspezione la sua coscienza ha già subito un mutamento.

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Nel comportamentismo, l'influenza della visione darwinista si

coglie in tutta la sua portata, l'uomo viene equiparato all'animale,

quindi la psicologia si può avvalere dei risultati già raggiunti dalla

fisiologia (si veda l'importanza teorica assunta dalla scuola di

riflessologia e in particolare da I. Pavlov sul behaviorismo). Gli studi sui

fenomeni come l'apprendimento si conducono su cavie, visto che le

strategie comportamentali degli animali sono meno articolate e

complesse di quelle umane e quindi più agevoli da studiare.

Le linee teoriche su cui si muove il comportamentismo sono

delineate con chiarezza da J. B. Watson (1878 - 1958) nell'articolo che nel

1913 dà alle stampe con il titolo "La psicologia così come la vede un

comportamentista." Eccone alcuni estratti: L'obiettivo della psicologia

comportamentista è " ... la previsione e il controllo del comportamento."

E più oltre "La psicologia così come la intendo si deve fondare su due

premesse: in primo luogo sul dato di fatto osservabile che gli organismi,

sia dell'uomo sia degli animali si adattano al proprio ambiente per

mezzo di dispositivi ereditari e abitudinari. ... In secondo luogo essa

dovrà tenere conto del fatto che certi stimoli inducono gli organismi a

produrre determinate risposte. In un sistema psicologico

compiutamente elaborato e collaudato, data una certa risposta si deve

poter risalire allo stimolo relativo e, viceversa, conoscendo lo stimolo si

deve poter prevedere la risposta corrispondente." ... I problemi connessi

al controllo e allo studio del comportamento sono tanti e tali da

impegnarci per molte generazioni, senza lasciarci il tempo di pensare

alla coscienza in quanto tale." J. B. Watson, Psychology as the

Beahaviorist views it; in Psychological riwiew 1913.

Watson sostiene che l'uomo è il risultato di una serie di

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apprendimenti, nega che vi siano comportamenti innati. Il comportamentismo interpreta l'uomo come una serie di azioni che nascono dalla sequenza stimolo (mutamento di energia esterna o interna all'individuo: es. fame), risposta (le variazioni che l'individuo mette in atto per ristabilire l'equilibrio; es. mangiare), rinforzo (gli effetti positivi o negativi dell'azione compiuta che condizionerà le risposte future, es sazietà). L'apprendimento nella visione comportamentista è una serie di sequenze S - R - Rinf. Celebre l'affermazione di Watson che si diceva convinto che di un bambino debitamente rinforzato si sarebbe potuto fare e a scelta un medico o un ingegnere persino un ladro, indipendentemente dalle sue inclinazioni e dalla razza dei suoi antenati. Per sottolineare la scientificità della psicologia Watson ne delimita il campo a reazioni fisiche di base, la differenza con la fisiologia è solo una questione di prospettiva, mentre la fisiologia adotta un'ottica ristretta studiando gli organi del corpo, la psicologia coglie i fenomeni come assieme: il comportamento nel suo complesso.

La Psicologia della Gestalt (o psicologia della forma)

La scuola di Gestalt nasce in Germania nel 1910, esprime il massimo delle proprie potenzialità sperimentali attorno agli anni 1920 - 1930; Max Wertheimer (1880-1943), Kurt Koffka (1886-1941), Wolfgang Kohler (1887-1967) sono gli studiosi appartenenti alla cosiddetta scuola di Berlino che ne elaborano le principali teorie. I tre ricercatori di origine ebraica, a causa delle persecuzioni antisemite, negli anni trenta sono costretti ad emigrare negli Stati Uniti. "In lingua tedesca il sostantivo gestalt ha due significati: oltre alla connotazione di forma..., esso ha anche il significato di una concreta unità per se stessa..." queste le parole di Kohler (1947), che segnalano come già dalla scelta del nome si volesse un termine che indicasse un tutto strutturato. Il motto adottato dai gestaltisti tenta di riassumere in una formula l'idea base sulla quale si fondano i loro studi: "Il tutto è più della somma delle parti". Con questa affermazione si sostiene

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l'impossibilità di comprendere un tutto strutturato prendendo in esame le singole parti da cui è composto. Gli elementi, infatti, mutano la loro valenza in relazione al contesto nel quale sono inseriti. In altre parole il tutto strutturato non coincide con la somma matematica delle parti che lo compongono, "le parti non sono legate mediante una semplice relazione di giustapposizione e di contiguità, ma ubbidiscono ad una legge intrinseca che determina il loro significato nella totalità" (U. Galimberti). I gestaltisti sostengono questa tesi con una serie di esemplificazioni. Si prenda ad esempio una melodia che, scomposta, altro non è che una successione di singole note. Ora, cambiando la chiave nella quale la si esegue, si muteranno tutte le note, cionono-stante la melodia sarà perfettamente riconoscibile, segno evidente che il tutto (la melodia) trascende le singole parti dalle quali è formata (le note) per identificarsi nel rapporto che le singole note hanno tra loro. La Gestalt si contrappone nettamente alle scuole che, come lo strutturalismo, hanno una visione frammentaria del reale optando a favore di un approccio sistemico. Il nostro cervello, secondo la psicologia della forma, non reagisce a stimolazioni separate, collegate tra loro in un secondo momento da meccanismi associativi, ma agisce fin dall'inizio come totalità dinamica di organizzazione del campo percettivo. (F. Crespi). Gli studiosi della Gestalt elaborano una serie di esperimenti per dimostrare l'infondatezza dei presupposti elementaristici. Un esempio è dato dall'anello di Wertheimer - Benussi. La figura percepita per intero mostra un anello di colore uniformemente grigio, ma è sufficiente coprire con un oggetto, ad esempio una matita, la linea di demarcazione posta in corrispondenza della metà del cerchio, che l'anello appare di un grigio più scuro nella parte con sfondo bianco e più chiara sul versante nero; se si solleva la matita si ottiene il risultato di percepire la figura di un grigio uniforme: mutando il campo in cui l'oggetto è inserito variano anche le proprietà dell'oggetto stesso. Contro il Funzionalismo e il Comportamentismo i gestaltisti manifestano invece un sostanziale antiempirismo. Essi sostengono infatti che l'esperienza passata non influenza necessariamente la percezione degli oggetti. Per avvalorare questa tesi i rappresentanti

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della Gestalt organizzarono il seguente esperimento: inserirono figure geometriche note, come ad esempio un esagono, in insiemi di linee al fine di mimetizzarle. In questo modo, secondo i gestaltisti, si dimostrerebbe come l'esperienza passata (la conoscenza della figura esagono) non sia di nessun aiuto nel riconoscimento. L'atteggiamento degli studiosi gestaltisti è di carattere fenomenologico: si prendono cioè in esame gli oggetti così come sono percepiti dai nostri sensi, non suddidendoli tramite l'elementarismo, come si è detto, nè si persegue la misurabilità a tutti i costi dei comportamentisti, che infatti accusano i gestaltisti di scarsa scientificità. La Gestalt, sotto la definizione di teoria del campo (concetto mutuato dalla fisica elettromagnetica del campo di forze di Maxwell), ha formulato una serie di leggi secondo le quali la nostra percezione struttura gli elementi (Cfr. capitolo sulla percezione). Con Kurt Lewin (1890 - 1947), il concetto di teoria del campo ha trovato applicazione e sviluppo nell'analisi delle dinamiche interpersonali; secondo Lewin il comportamento non può essere isolato dal campo in cui è inserito, perché è il frutto di condizioni interne al soggetto e di condizioni esterne, intese come ambiente psicologico nel quale si trova. La dicotomia fra individuo e ambiente deve essere superata da una visione d'assieme. Per esemplificare il concetto di teoria del campo prendiamo a esempio ciò che avviene in una partita di scacchi: i singoli pezzi hanno un valore in inizio di partita, valore che è destinato a mutare a seconda dei rapporti che si creano e si modificano nel corso del gioco. La scacchiera diventa un campo di forze in cui ogni pezzo esercita un'azione che varia a seconda del proprio valore di partenza in rapporto alla collocazione dei pezzi del proprio colore e a quelli dell'avversario; un pedone può risultare determinante se si trova in posizione strategica, al contrario una regina collocata in posizione debole risulta improduttiva. I pezzi della scacchiera sono determinati dal contesto (campo di forze) in cui sono collocati.

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Il Cognitivismo

Il cognitivismo è una teoria psicologica contemporanea, la sua comparsa si può datare attorno agli anni 1960 (la datazione è relativa perché il cognitivismo non può essere definito propriamente una scuola, infatti non esiste un manifesto cui fare riferimento), nel periodo in cui si verifica una crisi del modello comportamentista: lo schema stimolo-risposta si dimostra insufficiente per decifrare fenomeni complessi come il pensiero e il linguaggio (a questo proposito si segnalano le critiche del linguista Noam Chomsky). I cognitivisti, in aperta polemica con i comportamentisti, definiscono il behaviorismo la psicologia del gettone e della macchinetta, per evidenziarne gli aspetti eccessivamente meccanicisti. I cognitivisti rifiutano la concezione che vede l'organismo come un recettore passivo soggetto agli stimoli, lo rappresentano invece come un sistema attivo in grado di elaborare risposte in base alle richieste ambientali e agli obbiettivi che si è posto. Gli studiosi che si rifanno a questa concezione spostano l'analisi dagli stimoli ambientali ai processi elaborativi che determinano il comportamento, trasformando gli input in output sotto forma di risposte dell'organismo. Essi si avvalgono della cibernetica e dell'informatica per creare modelli (rappresentazioni semplificate della realtà) su cui studiare i processi mentali superiori. Lo schema comportamentista S-R viene sostituito dal così detto TOTE (Test-Operate-Test-Exit, inserito nell'opera Piani e struttura del comportamento 1960 di G. A. Miller, E. Galanter, K. Pribam) che, fra stimolo e risposta, pone un'operazione di retroazione intermedia (feedback) che verifica se le condizioni sono state soddisfatte, nel qual caso si procede all'uscita. Con il concetto di feedback si inserisce così un'operazione di retroazione che corregge via via il comportamento. Quando si accende un giradischi si deve operare un TOTE, infatti si accenderà l'apparecchio controllando (Test) se il volume è quello desiderato, in caso contrario si aumenterà (Operate) ancora il volume procedendo ad un'ulteriore verifica (Test), solo se il livello sarà soddisfacente si uscirà (Exit) dal TOTE. L'interesse per i modelli simulatori ha portato il cognitivismo ad

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allontanarsi dalla vita reale per rinchiudersi all'interno dei laboratori di psicologia.

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I metodi di ricerca applicati in psicologia

Gli studiosi in generale, e gli psicologi fra questi, nel corso delle ricerche che conducono, adottano delle metodologie differenti secondo gli obiettivi che si sono posti e in considerazione dei tempi e mezzi che hanno a disposizione. Ognuno dei metodi che verranno descritti di seguito presenta vantaggi e svantaggi a seconda del punto di vista sotto cui lo si esamina. Lo studioso che conduce una ricerca è comunque soggetto ad una costante tensione, spinto da un lato dalla necessità di formulare ipotesi scientificamente significative (il che implica isolare i fenomeni dal loro abituale contesto); dall'altro dall'impossibilità di comprendere la globalità e complessità del fenomeno stesso isolandone solo alcuni aspetti, semplificandone la struttura e, di conseguenza, perdendo il rapporto con la complessità del reale. Quando, ad esempio, ci si è posti il problema di misurare l'intelligenza si è adottata una formula numerica in grado di sintetizzare il dato ricercato in modo da renderlo scientificamente utilizzabile. I soggetti venivano sottoposti ad una serie di prove di calcolo, linguistiche, manipolatorie ecc., l'esito delle quali si concretizzava in un numero definito Q.I. (quoziente intellettivo). Le misurazioni rispondevano ad un criterio di scientificità, erano misurabili, ripetibili, applicabili ad altri soggetti per poter eseguire raffronti. Possiamo affermare che si è trovato il modo di misurare l'intelligenza? La risposta è negativa. Il Q.I. è una semplice convenzione che si riferisce all'abilità dimostrata dal soggetto nel risolvere i test, l'intelligenza (termine su cui esistono molteplici definizioni) va ben oltre la situazione di laboratorio. Per avere un quadro attendibile riferibile all'intelligenza dei soggetti occorrerebbe osservare i soggetti per un lungo periodo, in situazioni diverse, nella loro vita quotidiana, messi difronte ai problemi che ognuno di noi deve risolvere. Solo in questo modo si potrebbe avere un dato significativo sulla loro intelligenza, dato non quantificabile in un numero e non applicabile ad altri soggetti. Chi risolve brillantemente test non è detto che sia

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altrettanto dotato posto in altre situazioni che richiedono intelligenza; in un libro di D. Bjelica, Capolavori di scacchi, compare una foto con i migliori scacchisti del mondo, immortalati durante un torneo, e sotto una frase di E. Lasker: Nella vita siamo tutti inetti.

Il metodo dell'osservazione

L'osservazione rappresenta la tecnica più immediata tra quelle proposte e consiste nel tenere sotto controllo il fenomeno che si intende studiare nell'ambiente dove questo ha luogo. La particolarità del metodo

consiste nel fatto che le condizioni in cui si svolge l'esperimento non possono essere modificate dallo sperimentatore. L'osservazione viene adottata in etologia (studia il comportamento degli animali nel loro ambiente naturale) e in psicologia sociale, quando per esempio si studiano i comportamenti di determinati gruppi di individui in una situazione naturale. L'osservazione partecipante prevede che lo sperimentatore entri, facendosi accettare nel gruppo di individui che intende studiare, e trascorra con essi un lungo periodo di tempo per poterne rilevare gli atteggiamenti o i fenomeni al centro dell'indagine. In questo caso non si possono applicare questionari o altri metodi di indagine e si ricorre al protocollo quotidiano, un diario tenuto giornalmente dallo sperimentatore in cui si annotano i fatti e i comportamenti significativi. La procedura è poco sistematica e quindi carente sotto il profilo scientifico ma, per converso, consente di raccogliere un grande quantità di dati e di formulare ipotesi che non considerate nella fase di progettazione.

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Il metodo sperimentale

Il metodo sperimentale viene utilizzato nei laboratori di psicologia, o in un qualsiasi luogo in cui lo sperimentatore può intervenire sulle variabili, cioè mutare alcuni elementi per valutarne gli effetti sul fenomeno studiato. Nel metodo sperimentale si tenta di limitare al massimo i fattori di disturbo per esaltare il fenomeno studiato. Scopo della ricerca sperimentale è trovare dei rapporti regolari fra delle variabili; il metodo sperimentale implica l'esistenza e la verificabilità delle variabili. (M. Zucchi) Per variabil i s i intendono le condizioni che variano quantitativamente e che lo sperimentatore è in grado di misurare. Esse si suddividono in: variabile indipendente e variabile dipendente. La variabile indipendente è il fattore che si suppone possa incidere su ciò che si studia e che è graduato ad arte per verificarne gli effetti. La variabile dipendente è il fenomeno oggetto di studio su cui si misurano gli effetti della variabile indipendente. E' necessario scegliere un gruppo sperimentale omogeneo per eliminare possibili variabili di disturbo (tutti quegli elementi come come a esempio: età, titolo di studio, appartenenza sociale, ecc., che, se non omogenee, potrebbero incidere sul risultato dell’esperimento) e un gruppo di controllo con le medesime caratteristiche. Supponiamo che in un laboratorio di psicologia si decida di studiare quanto l'assunzione di un farmaco incida sullo span di memoria; si procederà nel modo seguente: un gruppo di soggetti verrà sottoposto a dei test mnemonici di cui si annoteranno gli esiti, in seguito verrà fatto loro assumere il farmaco stabilito (variabile indipendente), e, messi difronte allo stesso tipo di test, si annoteranno le variazioni della capacità di memorizzazione (variabile dipendente). Ad un primo sguardo, i risultati ottenuti potrebbero sembrare ragionevolmente attendibili, ma sull'esito della prova gravano ancora delle possibili variabili di disturbo. Quanto può aver inciso psicologicamente sui soggetti, e di riflesso sui risultati del test, l'essere a conoscenza di aver ingerito un farmaco? Per controllare la valenza di questo aspetto si utilizza il gruppo di controllo che viene sottoposto alla stessa procedura sperimentale ma a cui, invece del farmaco, verrà

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somministrata una sostanza solo apparentemente simile, in realtà farmacologicamente neutra per provocare un effetto placebo; i soggetti non sono a conoscenza a quale gruppo appartengono, metodo del cieco semplice. Le variazioni verificate nel gruppo di controllo saranno provocate da fattori puramente psicologici che potranno così essere adeguatamente valutati. Lo psicologo che conduce un esperimento deve sforzarsi di assumere un ruolo per quanto possibile neutro, spesso si rischia involontariamente di influenzare il risultato di un test con delle aspettative inconsce (effetto Rosenthal). Ipotizziamo che nella ricerca su questo farmaco si siano investiti molti quattrini, anni di ricerche, e che dall'esito di questo esperimento dipenda la carriera dello studioso, sarà molto più gradevole e quindi facile per lo sperimentatore constatare i successi piuttosto che il fallimento della ricerca. Potrebbero dunque subentrare delle strategie involontarie atte a spingere nel senso voluto gli esiti degli esperimenti. Questo elemento di possibile disturbo può essere eliminato con il metodo detto del doppio cieco, che si applica mischiando i due gruppi, reale e di controllo, in modo tale che non vi siano possibilità di distinguerne gli appartenenti da parte di chi conduce gli esperimenti. I vantaggi di questo metodo sono la scientificità fornita dalla misurabilità dei dati e dalla possibilità di ripetere la procedura sperimentale da altri studiosi in modo tale da verificarne i risultati.

Il metodo clinico

Il metodo clinico si contrappone a quello sperimentale (che ha l'obbiettivo, tramite lo studio delle variabili, di estrapolare leggi da applicare alla generalità dei casi), viene adottato per esaminare casi di singoli soggetti che possono presentare disturbi del comportamento o relazionali. Lo psicologo, al fine di comprendere le caratteristiche della persona che ha difronte, può sottoporre il soggetto a test per misurarne l'intelligenza, o per verificarne le reazioni emotive, o utilizzare test proiettivi per tentare di comprenderne la personalità. Il metodo

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comunque più frequentemente utilizzato è il colloquio clinico. Il colloquio clinico, detto anche intervista, è un metodo di raccolta dati effettuato tramite la forma verbale. Il colloquio può essere più o meno strutturato (predeterminato) a seconda delle finalità che si pone l'intervistatore. Sarà strutturato se si intende confrontare le risposte fornite con altre raccolte in precedenza da altri soggetti (si veda l'esempio del questionario), al contrario sarà non strutturato (o intervista non direttiva) se l'intervistatore non ha una sequenza da rispettare e lascia al soggetto intervistato la possibilità condurre liberamente il discorso. Il colloquio clinico serve per l'osservazione e lo studio del comportamento umano, è utilizzato non solo dagli psicologi ma da una pluralità di figure professionali: dal medico che deve fare un quadro clinico di un nuovo paziente, dal sociologo che conduce un'inchiesta, dal giudice che deve interrogare un testimone, dal un giornalista che deve far comprendere ai lettori la personalità di un determinato personaggio. Il colloquio clinico consente la raccolta di dati sulla storia e sulla personalità del soggetto ma soprattutto la possibilità di verificare il comportamento in un momento significativo come appunto la situazione psicologica del colloquio; infatti le notizie fornite volontariamente e coscientemente dal soggetto, rappresentate dalle risposte verbali, non rappresentano che una minima parte del materiale che viene considerato da chi conduce l'intervista. Lo psicologo ha l'opportunità di osservare le reazioni emotive del soggetto: come reagisce alle domande, che atteggiamento assume nei confronti dell'intervista (acquiescenza, aggressività, collaborazione, chiusura ecc.), la comunicazione non verbale (le posture del corpo le espressioni facciali, il movimento delle mani ecc.); tutti questi elementi aiutano, in varia misura, a tracciare un quadro complessivo della personalità . Questa tecnica presuppone di considerare non casuale il comportamento del soggetto durante l'intervista, comportamento che si ritiene significativo e generalizzabile, in grado quindi di fornire delle indicazioni importanti sulla personalità del soggetto stesso. Le conclusioni a cui si giunge tramite il colloquio devono essere prese con la dovuta cautela e opportunamente verificate, nella consapevolezza

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che la situazione dell'intervista è comunque particolare e condizionante: lo stesso psicologo deve essere cosciente del ruolo che svolge sulle r i sposte e su l compor tamento de l sogget to a seconda dell'atteggiamento che tiene, del luogo dove si tiene il colloquio, del modo come pone le domande ecc.. Come si affermava nell'introduzione al capitolo, se il metodo clinico non consente di misurare con esattezza i dati per formulare poi delle leggi generalizzabili, è uno dei metodi più efficaci per raccogliere dati al fine di formulare una diagnosi che tenga nella dovuta considerazione la complessità della personalità del soggetto.

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LA PERCEZIONE

Percezione è la funzione con la quale il nostro cervello organizza le singole sensazioni che gli giungono dai recettori sensoriali (i cinque sensi), in immagini mentali. La percezione è un'operazione di scelta e composizione dell'enorme mole di input (informazioni, dati) che bombardano in continuazione la vista, l'udito, il tatto, il gusto e l'olfatto. Per esemplificare il processo di percezione: immaginiamo un signore (il nostro cervello), a cui vengano recapitati in continuazioni milioni di pezzi di cartoncino (le sensazioni), e che si occupi di selezionarne solo alcuni con i quali compone un puzzle di immagini con un senso compiuto. Lo studio della percezione è uno dei classici temi su cui si sono cimentati studiosi appartenenti a scuole psicologiche le più diverse. Quale la ragione di tanto interesse? La percezione è il nostro collegamento con il mondo esterno, con le persone che abbiamo attorno, gli oggetti, le situazioni... Capire, dunque, su quali principi si basa il processo percettivo e quali ne sono le caratteristiche, è compito fondamentale di una disciplina che si pone come obiettivo, tra l'altro, lo studio del comportamento dell'uomo, che dalla qualità e quantità della percezione è largamente determinato. Della percezione si metteranno in rilievo: a) l'importanza che riveste; il realismo ingenuo.

1) La percezione è una funzione basilare per gli esseri viventi. La quantità e la qualità della stimolazione percettiva ricevuta dai soggetti, si è rivelata determinante per l'armonia psichica dell'individuo. Un ambiente povero di sollecitazioni percettive influisce negativamente sull'equilibrio mentale. In esperimenti condotti presso l'università di Montreal (1954) alcuni soggetti furono posti in una camera priva di stimolazioni acustiche, dove vennero loro bendati gli occhi e

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fasciate le mani ad evitare ogni residuo di stimolazione sensoriale. Nei soggetti che volontariamente si sottoposero a tale procedura spe-rimentale, si verificò un rapido decadimento della reattività in-tellettuale, la comparsa di forme allucinatorie, specie di carattere visivo rappresentate da figure geometriche di oggetti elementari.

2) Le ricerche e gli studi sulla percezione non possono avere luogo se non dopo il superamento del "realismo ingenuo". Per realismo ingenuo si intende quel fenomeno che induce l'uomo nell'errata convinzione di percepire il mondo in maniera oggettiva.

Per natura siamo portati a pensare che la percezione è la copia fedele del mondo reale e nulla può sfuggire al nostro apparato percettivo. Alcuni esempi possono chiarire quali sono nel concreto le modalità con cui si manifesta il fenomeno del realismo ingenuo e come si possa evidenziarne l'infondatezza.

ASSENZA DI PERCEZIONE IN PRESENZA DI OGGETTI:

I nostri sensi sono in grado di cogliere solo in minima parte i fenomeni fisici presente in un ambiente. Una vasta gamma di situazioni sono fuori dalla portata della nostra soglia percettiva. Un pipistrello ed un uomo posti nello stesso ambiente fisico ne ricevono una percezione sonora tutt'affatto diversa. Il pipistrello sarà certamente in grado di muoversi a suo agio anche in assenza di luce perché, com'è noto, si orienta utilizzando gli ultrasuoni (definiti ultra proprio perché non siamo in grado di percepirli). Un'ape posta difronte ad un fiore che noi vediamo come uni-formemente giallo, ne riceve una percezione visiva bicolore (l'apparato percettivo dell'insetto è in grado di vedere i raggi ultravioletti). Gli esempi che si possono portare a sostegno di questa tesi sono molteplici e dimostrano nettamente come l'immagine del mondo che ci

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è fornita dal nostro cervello sia del tutto soggettiva.

PRESENZA DI PERCEZIONE IN ASSENZA DI OGGETTI:

Il fenomeno inverso a quello descritto nel paragrafo precedente avviene quando i nostri sensi ci convincono dell'esistenza di qualcosa che in realtà non esiste. Lo scorrere della pellicola cinematografica, formata da singoli fotogrammi, ci fornisce l'impressione di una sola immagine in movimento, così come le insegne luminose che sono formate da lampade che si accendono e si spengono in sequenza ci inducono a vedere lo scorrere delle lettere che formano una scritta. Un classico esempio di illusione percettiva ci viene fornito dal triangolo di G. Kanizsa (1955); in questa figura formata da sei oggetti separati, il nostro cervello tende a percepire due triangoli sovrapposti che in realtà sono pura illusione.

Si noti come per avvallare l'esattezza della nostra percezione si tenda a vedere il triangolo di colore bianco di un colore apparentemente più bianco di quello dello sfondo.

DISCREPANZA TRA PERCEZIONE E OGGETTO:

Esiste una molteplicità di illusioni percettive che dimostrano in modo inequivocabile come i fenomeni fisici siano difformi dalla nostra

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percezione. Si prenda ad esempio l'illusione di Zollern dove solo dopo un accurato controllo, con l'ausilio di un righello, si può individuare che le linee tracciate sono perfettamente parallele.

Nell'illusione di Muller Lyer le linee appaiono di lunghezza diversa pur essendo della stessa misura.

Orbison, inserendo un quadrato in una serie di cerchi, fa apparire le linee rette da cui è composto il quadrato come curve.

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Spesso è la natura stessa a fornire delle illusioni ottiche, si prenda ad esempio la luna che vista sulla linea dell'orizzonte ci appare di dimensioni assai maggiori di quando si trova allo zenit (gli astronomi garantiscono che le dimensioni sono le medesime in entrambe le situazioni).

PERCEZIONE DEL TEMPO.

E' esperienza comune rilevare come il concetto di tempo vari a seconda degli stati d'animo cui siamo soggetti. La concezione ed il valore attribuito dall'uomo all'aspetto temporale ha fornito l'occasione di interessanti ricerche non solo psicologiche ma anche storiche (si legga a tale proposito il volume di J. Le Goff Tempo della chiesa e tempo del mercante).

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Uno studente che si trova ad affrontare un'interrogazione per la quale non è preparato, vive senza dubbio il trascorrere del tempo come straordinariamente lento. In uno stato di frustrazione la percezione del tempo è assai più lenta rispetto ad una situazione normale. Se, come accade quasi tutte le domeniche, 60 mila persone si recano in uno stadio dove due squadre stanno disputando una importante partita e, a 5 minuti dal fischio finale dell'arbitro, la squadra A, pressata in difesa, è in vantaggio sulla formazione B di 1 a 0, la percezione del trascorrere del tempo dei supporter della squadra A sarà lentissima, viceversa per i tifosi della B le lancette dell'orologio si muoveranno rapidissime; in uno stesso ambiente, a distanza di pochi metri si può verificare una percezione del tempo completamente difforme. In stato di ansia la percezione del tempo è rallentata, se si è eccitati il tempo pare trascorrere più velocemente. La percezione del tempo è soggettiva e varia a seconda degli stati d'animo.

PERCEZIONE E BISOGNI ORGANICI

In un esperimento condotto da Mc Clelland ed Atkinson nel 1948 emerse come i bisogni organici, nello specifico la fame, incidano sulla nostra percezione. Infatti, soggetti tenuti a digiuno da una a 18 ore ebbero reazioni diverse nei confronti di macchie informi proiettate su di uno schermo; anche in esperimenti condotti in seguito sullo stesso tema, pare confermato che coloro che da più ore sono in astinenza da cibo tendano a cogliere e orientarsi verso il cibo o oggetti che al cibo sono di norma associati.

VALORE ATTRIBUITO ALL'OGGETTO E PERCEZIONE.

Bruner e Goodman nel 1947 orchestrarono uno specifico esperimento per verificare se la condizione socioeconomica potesse influenzare, e

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in che modo, la percezione. A un gruppo di ragazzi di 10 anni di età, appartenenti a classi socio-economiche diverse, vennero affidati cerchietti di cartone che dovevano tenere nel palmo della mano e dei quali dovevano riprodurre le dimensioni della circonferenza con un fascio di luce, tramite un proiettore puntato su uno schermo. Fino a che gli oggetti erano cerchietti di cartone la percezione delle dimensioni era sostanzialmente fedele; quando gli sperimentatori sostituirono questi oggetti, emotivamente neutri, con delle monete di crescente valore, verificarono che le dimensioni percepite erano sovrastimate proporzionalmente al valore della moneta. Inoltre, si evidenziò come i bambini di bassa condizione socioeconomica tendessero a percepire le dimensioni delle monete come maggiori rispetto agli altri soggetti esaminati. Nel 1949 i risultati dell'esperimento appena descritto, furono sottoposti a verifica da parte di Carter e Schooler che notarono una generale tendenza a sottostimare le dimensioni sia dei dischi di cartone che delle monete piccole e sovrastimare quelle dei dischi e dellle monete grandi. Solo quando si invitavano i bambini a rievocare le dimensioni delle monete si coglievano differenze significative tra coloro che appartenevano a condizioni socioeconomiche differenti. La difformità dei risultati dei due esperimenti sottolinea l'importanza assunta dalle modalità con cui gli esperimenti vengono condotti,e della necessità di sottoporre ogni risultato a una rigorosa verifca.

PERCEZIONE SUBLIMINALE

Con percezione subliminale si intende il fenomeno mediante il quale l'apparato percettivo è colpito da segnali tanto rapidi o deboli da non superare la soglia della percezione cosciente del soggetto; tuttavia, secondo alcuni studiosi, tali segnali sarebbero in grado di influenzare la volontà e il comportamento del soggetto anche se in maniera inconscia. Notevole fu l'interesse suscitato da questa ipotesi specie dopo l'esperimento di pubblicità subliminale messo in atto in un cinema del

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New Jersey nel 1956. Ecco descritta in sintesi la procedura sperimentale: nella pellicola del film proiettato in sala, a cui assistettero in diversi spettacoli circa 45.000 spettatori, vennero inseriti alcuni fotogrammi con le scritte "BUY COKE" e "BUY POP-CORN", fotogrammi che, data la velocità, non erano percepiti coscientemente dai soggetti che seguivano tranquillamente il film. Secondo gli autori dell'esperimento, l'aumento delle vendite segnò un più 56% per Coca-cola e un più 18% per i pop-corn. In seguito si seppeche il locale in questione, nello stesso periodo, aveva ingrandito gli spazi per la vendita del prodotto. Lo scalpore e la preoccupazione sollevata dall'esperimento sono da attribuire sia alle prospettive di utilizzo di questo sistema per la pubblicità commerciale (eloquenti sono le cifre dell'aumento segnato dalle vendite), sia per i problemi di carattere etico insiti in tale tecnica, che vedrebbe il pubblico completamente indifeso e in balia di questa forma di condizionamento inconsapevole. Questo scenario da 1984 di G. Orwell ha affascinato e spaventato più di una generazione. Dal punto di vista della psicologia intea come metodo di ricerca rigoroso affermare che tale fenomeno non è al momento dimostrato come scientificamente attendibile. Già dal 1958 l'esperimento venne confutato ad opera di S. H. Britt che, nonostante le richieste, non riuscì ad ottenere la descrizione esatta dellla procedura sperimentale utilizzata nel New Jersey. In seguito ulteriori ripetizioni del medesimo esperimento diedero sempre risultati negativi. Alcuni studiosi sostengono che l'efficacia della pubblicità subliminale è molto debole e si manifesta solo se in precedenza si sono inviati messaggi pubblicitari coscienti.

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LA GESTALT

Trattando di percezione, corre esaminare le teorie della scuola della Gestalt che di queste tematiche ha fatto il terreno ideale per esprimere le proprie idee fondamentali, racchiuse nel motto il tutto e maggiore della somma delle parti . Max Wertheimer (1923) enuncia una serie di regole secondo le quali si organizza la nostra percezione, intesa come processo globale e non come somma matematica di elementi.

Eccole di seguito

1) Vicinanza: a parità di condizioni la nostra percezione tende a cogliere come oggetto unico gli oggetti più vicini.

2) Somiglianza: a parità di condizioni la nostra percezione tende a cogliere come oggetto unico gli elementi più simili.

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3) Chiusura: a parità di condizioni la nostra percezione tende a cogliere come oggetto unico gli elementi dotati di una forma chiusa.

4) Continuità di direzione: a parità di condizioni la nostra per-cezione tende a cogliere come oggetto unico gli elementi dotati di forma più regolare, con andamento lineare.

5) Buona forma: a parità di condizioni la nostra percezione tende a cogliere come oggetto unico gli elementi dotati di una forma armonica e regolare.

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6) Esperienza: La nostra percezione, nell'esempio che segue, è influenzata dalla cultura nella quale siamo cresciuti, che è una cultura alfabetica. Tendiamo a interpretare le linee della figura come formanti una lettera proprio perchè sulla nostra percezione agisce l'esperienza passata.

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LA MEMORIA

La memoria è la funzione psichica che consente al nostro cervello di conservare gli elementi appresi e di rievocarli successivamente. Determinante è il ruolo assolto dalla attività mnestica (della memoria) per l'organizzazione della nostra esistenza; la lettura di questo brano è resa possibile grazie alla capacità di rievocare, tramite la memoria, il significato dei segni sul foglio. La memoria è una funzione preziosa. La capacità di immagazzinare nozioni è sempre stata considerata indispensabile, curata e coltivata, sin dall'antichità dove rappresentava l'unico sistema per poter conservare e utilizzare le nozioni di cui si era entrati in possesso. IL PROCESSO DI MEMORIZZAZIONE

Il processo di memorizzazione si può suddividere in tre fasi distinte che coprono l'intero sviluppo dell'operazione: a partire dall'arrivo in memoria delle tracce da memorizzare sino al momento in cui queste vengono rievocate:

1) Fissazione: il materiale lascia traccia in memoria.

2) Ritenzione: il materiale viene trattenuto in memoria.

3) Rievocazione: il materiale presente in memoria viene riportato alla coscienza dal soggetto.

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STRUTTURA DELLA MEMORIA

Gli studiosi hanno costruito dei modelli teorici al fine di riprodurre le sequenze, gli sviluppi e la struttura della memoria in modo fedele. Tali modelli tendono a scindere la struttura mnestica in parti distinte, preposte allo svolgimento di funzioni diverse nellprocesso di memorizzazione. Il modello che sarà descritto di seguito, elaborato da Atkinson e Shiffrin, non è da intendersi come la rappresentazione fedele della nostra memoria. Si tratta semplicemente di un tentativo raffigurarne a grandi linee la struttura, allo scopo di poter ottenere un congegno che renda possibile riprodurne, a grandi linee, il funzionamento.

FASI DELLA MEMORIZZAZIONE

1) IMMEDIATE MEMORY (IM) memoria immediata o registro sensoriale, consente al soggetto di mantenere per un tempo di 1-2 se-condi lo stimolo fisico in memoria. L'input arriva al cervello sotto forma di impulso elettrico, trasmesso dai sensi, e non ancora decodificato; se allo stimolo fisico non viene attribuito un significato, il decadimento della traccia in memoria è rapidissimo. Lo stimolo viene registrato ma non ancora tradotto in immagine mentale, come ad esempio può accadere per una voce di sottofondo quando siamo concentrati sulle parole della persona che ci stà di fronte. Per citare un esempio scolasticamente significativo: se si segue ciò che dice il nostro compagno di banco, la voce dell'insegnante resta a livello di IM, se il docente, vedendoci distratti ci interroga: "che cosa stavamo dicendo?", ecco che immediatamente recuperiamo gli stimoli ancora presenti in IM e tentiamo di ricostruire il senso del resto delle frasi, la maggior parte delle quali, malauguratamente, si è persa perchè non tradotta e codificata in parole di senso compiuto legate ad un si-gnificato.

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A questo primo stadio, che prevede l'arrivo dello stimolo elettrico in memoria, segue una operazione importante: l'attribuzione di senso: un riconoscimento percettivo che rende lo stimolo associato ad un significato già presente nella mente. Quindi lo stimolo passa alla fase successiva.

2) SHORT TERM MEMORY (STM) o memoria a breve termine, è un ma-gazzino con uno span (capacità) che G. Miller (1956) determinò di 7 più o meno 2 items, dove l'informazione viene mantenuta per un lasso di tempo non superiore ai 30 sec.. La serie numerica 145678987654 è superiore al nostro span STM, a meno che non si proceda ad un raggruppamento: 1456, 7898, 7654 che comporta una diminuzione di items. La STM consente di mantenere in memoria una limitata quantità di materiale per un breve periodo di tempo dopo il quale subentra un rapido decadimento. STM è una memoria di lavoro (working memory) che è assai utile per immagazzinare nozioni che servono nell'immediato ma non nel lungo periodo. Consente di scaricare, dopo averle utilizzate, le informazioni non più significative con un notevole risparmio di energie mentali. Se, ad esempio, si deve comporre un numero telefonico che si usa per una singola chiamata, lo si legge sulla guida una sola volta, lo si impara il tempo necessario per raggiungere l'apparecchio ed effettuare la chiamata, dopo di che lo si dimentica. In questo caso si è usata la STM.

3)z LONG TERM MEMORY (LTM) o memoria a lungo termine, è un magaz-zino di grande capacità, l'informazione che arriva da STM e può esservi conservata per un periodo di tempo lungo e in quantità molto cospicua. In LTM si conserva molto più agevolmente materiale dotato di significato compiuto e organizzato metodicamente. Poniamo ora il caso che per qualche ragione sia mutato il numero telefonico della nostra abitazione, qui entra in gioco la LTM poiché questo numero rivestirà d'ora in poi molta importanza lo impareremo a

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memoria con successive ripetizioni o con altri sistemi che vedremo di seguito. Una tecnica efficace per far passare il materiale da STM a LTM è rappresentato dal rehearsal (ripetizione subvocalica) che altro non è se non la ripetizione a mente.

I PROCESSI ORGANIZZATIVI DELLA MEMORIA

In esperimenti condotti al fine di valutare le capacità mnemoniche in rapporto ai processi organizzativi utilizzati, si è riscontrato come nei bambini la capacità di memorizzare aumenti con l'acquisizione e l'utilizzo di tecniche appropriate. In un esperimento condotto da Beach e Chinsky (1966) ad alcuni bambini di diverse fasce di età venivano mostrati degli oggetti che, in seguito, erano invitati a ricordare. Nell'intervallo di tempo che trascorreva fra memorizzazione e rievocazione sugli occhi dei bambini veniva abbassata una visiera che impediva loro di vedere. Un esperto di lettura delle labbra segnava quanti fra i soggetti dell'esperimento ripetevano verbalmente gli oggetti da ricordare, cioè quali bambini utilizzavano una tecnica di memorizzazione. I risultati dell'esperimento evidenziarono una maggiore capacità di memorizzare dei bambini più grandi che erano ormai in grado di adottare processi organizzativi, infatti pochi fra i bambini di 5 anni sillabavano la lista di oggetti memorizzati, mentre l'operazione veniva effettuata dalla metà dei bambini di 7 anni e da quasi la totalità di quelli di 10 anni di età. In seguito altri esperimenti dimostrarono lo stretto legame tra l'assimilazione della tecnica reiterativa e il grado di memorizzazione. Si evidenzia quidi come la capacità di ritenere dati non è esclusivamente da attribuire alla capienza della memoria ma alle strategie che si adottano per assimilare il materiale.

I principali processi organizzativi adottati dalla nostra memoria per ritenere gli items in LTM sono quattro: codificazione, mediazione, raggruppamento, organizzazione personale.

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1) CODIFICAZIONE: il materiale viene modificato già al momento dell'apprendimento per facilitarne la memorizzazione. In un esperimento condotto da Carmichael e coll. (1932), si presentava separatamente a due gruppi di soggetti una stessa lista di figure con significato non ben definito, associando ad ogni figura un'etichetta verbale diversa per ciascuno dei due gruppi. In una seconda fase si chiedeva ai soggetti dei due gruppi di riprodurre il disegno. Gli sperimentatori verificarono come il 75% dei soggetti tendesse a disegnare le figure sulla base dell'etichetta verbale associata all'immagine. Se ad esempio la figura era stata definita come finestra, veniva riprodotta accentuando le caratteristiche assimilabili a questo oggetto e trascurando le altre non congruenti 2) MEDIAZIONE: la memorizzazione viene facilitata dall'operazione che collega un item da memorizzare ad uno già presente in memoria, o associandolo a situazioni già note al soggetto. Ad esenpio con la creazione di un solo termine: la sigla BAC-CAN può essere associato al termine BACCANO. Al momento di rievocare le sillabe senza significato, il soggetto tenderà ad associarle alla parola assimiata al momento della memorizzazione e il compito risulterà assai più facile. Le memotecniche, oggi molto in auge, si basano su questo principio e non possono essere certo considerate una novità. Sin dal mondo dall’antichità, specie fra i greci e i romani, si utilizzavano tecniche per facilitare la memorizzazione. Una leggenda che ci arriva dalla Grecia antica, narra la vicenda di Simonide (556 ca - 468 a.C.), poeta dell'antica grecia, che fu invitato a riconoscere i corpi di venti commensali straziati e resi irriconoscibili dal crollo di una casa nella quale poco prima era stato ospite. Simonide, in-vitò i soccorritori a non spostare le salme dalla posizione in cui si trovavano sotto le macerie. Fu così in grado di riconoscere le salme associando i nomi al posto occupato alla tavola, in tal modo fu possibile restituire i defunti alle rispettive famiglie.

Cicerone (106-43 a.C.), famoso uomo politico e retore romano, nel raccontare questo episodio conclude illustrando una tecnica per meglio

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memorizzare; ecco in cosa consiste: occorre scegliere alcuni luoghi noti e formarsi immagini mentali delle cose che si vuole ricordare collocandole in questi luoghi, in modo tale che l'ordine dei luoghi garantisca l'ordine delle cose; si useranno così i luoghi e le immagini rispettivamente "come la tavoletta cerata e le lettere iscritte su essa". Ad esempio, per ricordare una lista di nomi o altro si può procedere nel modo seguente: scegliendo un percorso che ci è familiare, si nascondono i nomi in luoghi particolarmente significativi. Ripercorrendo la via familiare si ritroveranno i nomi da ricordare esattamente dove li abbiamo lasciati. Questa memotecnica è riconosciuta ancora oggi come valida. Come tutte le tecniche, per sortire qualche beneficio, necessita di un costante esercisio. 3) RAGGRUPPAMENTO: si tende a rievocare gli items non nell'ordine di presentazione ma raggruppandoli per assiemi omogenei laddove esistano. Se si presentano ad un soggetto una serie di sostantivi senza alcun nesso tra di loro, con inseriti casualmente all'interno un gruppo di parole semanticamente collegate (carta, scala, primavera, foto, estate, occhiali, autunno, pietra, fiore, inverno), in fase di rievocazione gli elementi che appartengono alla stessa categoria (primavera, estate, autunno, inverno) verranno rievocati raggruppanti, a prescindere dall'or-dine di presentazione.

4) ORGANIZZAZIONE SOGGETTIVA: nella ripetizione degli items si è verificato che, oltre al raggruppamento semantico, sempre un'organizzazione autonoma del soggetto nel rievocare gli items presentati, specie se la serie da rievocare è molto estesa.

Ecco la sequenza:

INTERFERENZA (PROATTIVA) - MEMORIZZAZIONE - RIEVOCAZIONE

B) INTERFERENZA RETROATTIVA, si riferisce all'azione esercitata dal

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materiale di disturbo che si inserisce tra la memorizzazione e la rievocazione. In questo caso una volta memorizzata la poesia si lascerà il gruppo A in riposo mentre al gruppo B sarà affidato un compito di disturbo. Al momento di rievocare la poesia il secondo gruppo incontrerà maggiori difficoltà perchè soggetto all'interferenza retroattiva.

La sequenza:

MEMORIZZAZIONE- INTERFERENZA (RETROATTIVA) - RIEVOC.

Da esperimenti condotti è dimostrato che il fattore di maggiore disturbo alla memorizzazione è rappresentato dall'interferenza retroattiva.

L'OBLIO

Hermann Ebbinghaus (1850-1909) si applicò allo studio della memoria utlizzando metodi sperimentali che fossero per quanto possibile scientifici, tentando cioè di eliminare tutte le eventuali interferenze dovute a variabili provocate dalla natura del materiale, o dalle emozioni del soggetto per ottenere una rappresentazione fedele dei fenomeni del ricordo e dell'oblio.

Ebbinghauas si servì di metodi statistici applicati in fisica, elaborò più di 2000 sillabe prive di significato quindi emotivamente neutre per eliminare la possibilità di collegamenti logici dovuti alla natura del materiale che avrebbero potuto inficiare la scientificità del risultato, in ultimo prese se stesso come soggetto di misurazione. In un famoso esperimento sull'oblio, lo studioso tedesco si impose

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di memorizzare 8 liste di 13 sillabe senza significato (es. var, dak, zub ecc.), le dava per imparate quando era in grado ripeterle per due volte consecutive senza commettere nessun errore. Effettuata questa operazione, lasciava trascorrere un tempo prestabilito e rimemorizzava la medesima serie di lettere. Il tempo risparmiato nella seconda me-morizzazione rappresentava la quantità di materiale ancora in memoria a seguito della memorizzazione preliminare, e, per differenza, la percentuale di oblio in rapporto al trascorrere del tempo. Ovviamente, dopo ogni prova (comprensiva di memorizzazione e rimemorizzazione), Ebbinghaus sostituiva la serie di sillabe e variava il tempo tra la prima e la seconda memorizzazione; nella prima prova lasciò trascorrere 19 minuti e passò di seguito a 1 ora, 8 ore, 1 giorno, 2 giorni, 6, giorni, sino a 31 giorni. A conclusione di questo esperimento, utilizzando i vari risultati ottenuti, fu in grado di rappresentare con una curva l'andamento con il quale i dati assimilati si disperdono ad opera del fenomeno dell'oblio in raporto al tempo.

Vediamo i risultati:

H. Ebbinghaus

Curva dell'oblio

Tempo trascorso

fra la prima e la seconda memorizzazione

i

t

e

m

s

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

Memo 19

min.

1 h. 8 h. 1 g. 2 gg. 6.gg. 31

gg.

100%

58,20%

44,20%

35,80% 33,70%27,80% 25,40%

21,10%

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Il punto di partenza della curva, 100%, si riferisce alla percentuale di items in memoria al momento in cui il soggetto è stato in grado di ripetere le 8 liste di 13 sillabe per due volte consecutive senza commettere errori e dunque tutto il materiale è in memoria. Trascorsi 19 minuti Ebbinghaus non è più in grado di ripetere la serie senza prima rimemorizzarla. E' chiaro che questa seconda memorizzazione richiederà meno fatica rispetto alla prima (quando le sillabe erano del tutto nuove) per effetto del residuo materiale ancora ritenuto. Il tempo risparmiato rappresenterà il materiale residuo in memoria, il tempo impiegato è da addebitare all'oblio che ha cancellato almeno in parte il materiale. L'andamento della curva ci mostra come il fenomeno dell'oblio causa una forte perdita di materiale subito dopo la memorizzazione, con l'andar del tempo aumenta la dispersione ma in maniera meno che proporzionale. Se dopo 19 minuti si è cancellato poco meno della metà del materiale, dopo 31 giorni resta in memoria ancora più del 20% del materiale. Nel corso di questi esperimenti Ebbinghaus ebbe la possibilità di svolgere altre osservazioni. Constatò, ad esempio, che l'efficacia della memorizzazione varia ed è influenzata dal grado di freschezza della mente del soggetto: fra le 10 e le 11 di mattina riusciva a memorizzare impiegando il 12% di tempo in meno rispetto alle prove effettuate fra le 18 e le 20 di sera. Verificò inoltre come per l'economia della memoria fosse più redditizio lasciare trascorrere un breve lasso di tempo durante le fasi di memorizzazione, piuttosto che insistere ad una memorizzazione prolungata. Gli esperimenti condotti da Ebbinghaus hanno rappresentato un significativo passo avanti nello studio dei fenomeni che attengono alla memoria. Tuttavia, occorre sottolinearne un limite di fondo: aver condotto esperimenti su materiale emotivamente neutro se da un lato ha giovato alla scientificità dei risultati garantendo la possibiltà di quantificare numericamente i risultati, dall'altro ha nuociuto alla comprensione globale del fenomeno. La funzione mnestica non agisce in modo asettico ma è influenzata dagli stati d'animo e dalle condizioni

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psicofiche del soggetto. La curva espressa da Ebbinghaus ha un andamento difforme se l'esperimento viene effettuato con materiale significativo, in tal caso ecco come introducendo una variabile sul mate-riale da ritenere si hanno altri risultati e la memorizzazione accusa un processo di oblio più contenuto.

EMOZIONI E RIEVOCAZIONE

L'esperimento di Ebbinghaus prevede l'utilizzo di materiale neutro; nella realtà gli items da ricordare sono spesso caricati di valenze emotive. Negli anni '30 ci si occupa di studiare quanto il tono emotivo del materiale influisca sulla memorizzazione. Si assiste ad esperimenti in cui si presentano ai soggetti liste di immagini e nomi piacevoli, spiacevoli e neutri da ricordare. I risultati dei test inducono a pensare che si ricordi meglio con più facilità il materiale piacevole e di seguito spiacevole, infine neutro. Edward nel 1946 ipotizzò che la memorizzazione fosse influenzata dalle opinioni dei soggetti e da come il materiale da memorizzare si ponesse in rapporto con esse. Egli decise di trattare un tema specifico, scelse un gruppo di soggetti nel quale erano presenti alcuni elementi favorevoli, contrari e neutrali rispetto alla politica economica del New Deal e presentò alcune affermazioni che sostenevano od osteggiavano il New Deal stesso. A distanza di tempo verificò quali affermazioni i soggetti ricordavano. I risultati dimostrarono che i soggetti ricordavano con più facilità le affermazioni che coincidevano con le proprie opinioni: coloro che avevano manifestato opinioni favorevoli memorizzavano più facilmente il materiale favorevole e tendevano a dimenticare quello contrario; viceversa per i contrari; i neutrali ricordavano più agevolmente le affermazioni favorevoli al tema trattato. Zeigarnik misurò la percentuale di memorizzazione in rapporto a compiti completati o interrotti. I soggetti venivano sottoposti ad una serie di test, a distanza di tempo si chiedeva loro quali item erano in grado di ricordare. L'esperimento mostrò come si ricordassero meglio le

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prove non terminati, si ipotizzò che i compiti non portati a termine mantenessero una traccia più profonda dovuta alla frustrazione subita, che significava una tensione non scaricata. Rosenzweig, nel 1943 arricchì l'esperimento di Zeigarnik di un nuova variante: accanto all'interruzione dei compiti, inserì la componente del coinvolgimento emotivo con cui i soggetti sostenevano la prova. Egli coinvolse 60 studenti della università di Harward al seguente esperimento: ad una metà, detta gruppo informale, i test venivano presentati come una semplice verifica del materiale sperimentale, gli studenti risultavano poco coinvolti a livello personale: i compiti eventualmente interrotti sarebbero stati da attribuire alla natura del materiale. Al secondo gruppo, detto formale, i test erano descritti come una prova di abilità, quindi il coinvolgimento emotivo era alto: in questo secondo caso, i compiti interrotti significavano un risultato negativo vissuto a livello personale. Il gruppo informale, in media, ricordava il 63% dei compiti interrotti e il 55% dei compiti terminati. Il gruppo formale il 60% dei compiti interrotti e il 62% dei compiti finiti. In questo caso la tensione emotiva non sortisce lo stesso effetto dell'esperimento di Zeigarnik. In questo caso, si pensa che intervenga una difesa dell'Ego al fine di difendere l'autostima, che stempera l'effetto della tensione inespressa nei compiti non conclusi. T. Alper 1948, replicando lo stesso esperimento di Rosenzweig, inserì un'ulteriore variabile: la resistenza personale agli stress. I soggetti del gruppo informale, resistenti agli stress, tendevano a ricordare meglio i compiti portati a termine; al contrario, i soggetti scarsamente resistenti agli stress, avevano meglio memorizzati i compiti interrotti. Nel gruppo formale i soggetti resistenti agli stress ricordavano meglio i compiti interrotti; al contrario, coloro scarsamente resistenti agli stress, ricordavano con più facilità quelli completati. Bowen nel 1982, partì dalla constatazione che le amnesie che si sono verificate in situazioni emotivamente significative possono essere risolte riportando i soggetti tramite ipnosi nello stesso stato d'animo. Ipotizzò dunque che la rievocazione fosse legata allo stato d’animo in cui il materiale era stato fissato. Per verificare questa tesi, i soggetti venivano ipnotizzati provocando stati d'animo sia tristi che gioiosi e

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veniva fatto loro apprendere una lista di parole. Trascorso un periodo di tempo si ipnotizzavano nuovamente: se avevano memorizzato la lista in uno stato d'animo triste e rievocavano con lo stesso stato d'animo la percentuale di memorizzazione era dell'80%, se invece dovevano ricordare con stato d'animo gioso la percentuale scendeva al 45%. Nel caso opposto cioè memorizzazione in stato di gioia: stesso stato d'animo 78%, stato d'animo triste 46%. In questo caso abbiamo un esempio di come un tema di ricerca (la natura del materiale e lo stato emotivo in cui qusto viene svolto, nonchè la resistenza personale agli stress) si arricchisca di nuovi aspetti che ne definiscono sempre più i termini. Infatti, con esperimenti successivi, l'effetto Zeigarnik si è meglio precisato: alla tensione inespressa causata dall'interruzione del compito, ad opera di Rosenzweik, si è affiancato lo stato emotivo (tensione) causato dal coinvolgimento emotivo cui erano sottoposti i soggetti e, con Alper, si è inserita la variabile della resistenza agli stress dovuta al grado di autostima e alla conseguente sicurezza nelle proprie possibilità, infine, con Bowen è stato studiato lo stato d'animo in cui si memorizza e si rievoca il materiale.

Le più recenti teorie sulla memoria hanno mutato l'immagine tradizionale della memoria vista come meccanismo che riproduce fedelmente gli avvenimenti del passato subendo solo un deterioramento della quantità del materiale Oggi, al contrario, si teorizza un processo mnestico con ricordi che si trasformano nel tempo, e un ruolo determinante viene attribuito alle emozionii legate al materiale da rievocare. Il nostro cervello, secondo questa nuova interpretazione, aggiornerebbe e rivedrebbe i ricordi secondo una logica di selezione darwiniana, vale a dire adeguerebbe i ricordi alle esigenze attuali del soggetto eliminando eventuali contraddizioni o incongruenze con l'immagine di sé che in quel momento ha il soggetto.

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L'APPRENDIMENTO

L'apprendimento è il fenomeno mediante il quale si acquisiscono nuovi comportamenti in base all'esperienza vissuta direttamente o indirettamente. In psicologia per apprendimento non si intende semplicemente l'assimilazione di informazioni, l'analisi degli studiosi si centra soprattutto sulle modifiche che queste apportano al comportamento dell'uomo o dell'animale. L'importanza di questo meccanismo, che consente agli organismi di adattarsi all'ambiente, fu messo in rilievo dal biologo e naturalista inglese Charles Darwin (1809-1882). Lo studioso britannico partecipò ad un viaggio scientifico attorno al mondo sul brigantino Beagle. Durante questa circumnavigazione, della durata di quasi cinque anni, Darwin ebbe agio di studiare moltissime varietà di flora e di fauna inserite negli ambienti più disparati. Notò che tutte le forme vitali prese in esame avevano in comune l'adattamento all'ambiente nel quale erano inserite. Le osservazioni dello studioso inglese confluirono nella teoria evoluzionistica che trovò una sistemazione organica nel volume "l'origine delle specie" (1859). In breve: Darwin introduce il concetto di selezione naturale, secondo cui le specie che non riescono ad adattarsi all'ambiente sono destinate ad estinguersi. Nella lotta per l'esistenza sono dunque favorite le forme vitali che meglio interagiscono con l'habitat e, all'interno di queste, si riprodurranno gli esemplari che sono portatori delle caratteristiche che più si integrano al contesto nel quale sono inserite.

I due processi che determinano l'evoluzione delle specie sono: la selezione naturale che agisce per via filogenetica (attraverso il succedersi delle generazioni) e l'apprendimento che interviene a livello ontogenetico (dell'individuo nel suo sviluppo) consentendo al singolo individuo di adattarsi alle richieste dell'ambiente. L'apprendimento viene riconosciuto elemento centrale nel processo di continuo adattamento dell'organismo alle richieste ambientali. La psicologia che

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studia il comportamento dell'uomo e dell'animale si è interessata in modo sistematico di questo fenomeno sin dai suoi esordi nel XIX Sec..

Esaminiamo ora alcune forme di apprendimento:

IL CONDIZIONAMENTO CLASSICO L'apprendimento per condizionamento classico consiste nell' associare una risposta incondizionata (fornita cioè ad un riflesso base, vale a dire che si verifica senza particolari condizioni) ad uno stimolo condizionato (a cui si risponde solo a condizione di vederlo più volte associato allo stimolo incondizionato). Ivan Pavlov (1849-1936) fu lo scopritore del fenomeno definito condizionamento classico, e nonostante i suoi studi abbiano segnato una pietra miliare della teoria comportamentista, egli dichiarò aperta-mente l'estraneità dei propri interessi dalla psicologia. Il campo di studi nel quale operava lo studioso russo era infatti la fisiologia, che è la branca della scienza che si occupa di studiare il complesso delle manifestazioni vitali e la funzione dei vari organi. Nel 1904 fu insignito del Nobel per i suoi studi sui succhi gastrici.

In una ricerca dedicata al funzionamento delle ghiandole salivali (1897), Pavlov aveva posto un cane in situazione sperimentale all'interno di una gabbia, con due tubicini che, inseriti nel canale salivale dell'animale, consentivano al fisiologo di valutare esattamente quando e in che misura avvenisse la secrezione salivare. Nel corso della ricerca Pavlov constatò un fenomeno che esulava dal riflesso fisiologico. Infatti la sequenza normale prevedeva che la salivazione del cane avvenisse in concomitanza con il contatto del cibo con la bocca dell'animale. Dopo qualche tempo, Pavlov constatò con sorpresa come l'animale salivasse al rumore emesso dal recipiente metallico dal quale abitualmente riceveva il cibo. Così come il fenomeno si verificava anche alla sola vista del recipiente o al suono dei passi di chi serviva il pranzo. Che cosa era avvenuto? Quale elemento interferiva con il riflesso base, sempre verificabile in natura?

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Pavlov definì il fenomeno Riflesso Condizionato, condizionato cioè alla presentazione associata dello stimolo base con lo stimolo condizionato. Per approfondire lo studio di questo meccanismo lo studioso russo diede vita al seguente esperimento: faceva precedere la somministrazione del cibo dal suono di un campanello. Dopo una serie di presentazioni il cane secerneva saliva al solo suono del campanello. Si era verificato un apprendimento per riflesso condizionato. La sequenza:

Se lo

stimolo condizionato, viene presentato più volte dissociato dallo stimolo incondizionato, la risposta dell'animale andrà via via scemando con il numero delle prove sino ad estinguersi. Ciò significa che il cane saliverà solo per un certo numero di volte al solo suono del campanello e in maniera sempre più tenue col passare delle prove sino a cessare ogni tipo di risposta.

L'apprendimento per riflesso condizionato riveste un ruolo di primaria importanza, infatti consente all'organismo di acquisire automaticamente una grande quantità di risposte in relazione agli stimoli provenienti dall'ambiente, garantento un migliore adattamento.

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CIBO SALIVAZIONE ST. INC. RISP. INC. RIFL. BASE

CAMPAN + CIBO SALIVAZIONEST. NEUT. + ST. INC. RISP. INC. ASSOCIAZIONE

CAMPANELLO SALIVAZIONE ST. CON. RISP. CON. RIFL. CON.

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IL CONDIZIONAMENTO OPERANTE (o per prova ed errori)

A differenza dell'apprendimento per condizionamento classico, dove il ruolo del soggetto preso in esame è passivo, in questa sezione si prenderà in esame una forma di apprendimento più complesso, nella quale il soggetto assume un ruolo attivo, vale a dire opera (a questo si riferisce la definizione di operante). L'attenzione degli studiosi si sposta dall'esame dello stimolo, che nell'esprimento di Pavlov era chiaramente individuato (campanello), alla risposta, unico elemento identificabile ne-gli esperimenti che seguono. Edward Thorndike (1874-1949), psicologo nord americano, studiò l'apprendimento negli animali utilizzando un dispositivo di sua invenzione denominato "puzzle box" con il quale riuscì, mettendo degli animali in situazione sperimentale, a misurarne le reazioni in modo accurato. In uno dei suoi esperimenti, un gatto venne rinchiuso in una puzzle box, dalla quale poteva uscire solo tirando un anello legato all'estremità di una cordicella. Questa operazione determinava l'apertura di uno sportello attraverso il quale l'animale poteva riconquistare la libertà. Con il susseguirsi delle prove Thorndike notò come l'animale tendeva ad abbreviare sempre più i tempi tra l'entrata nella scatola e l'esecuzione dell'operazione che consentiva l'apertura della puzzle box. Dopo aver presentato per circa 20 volte la situazione sperimentale allo stesso gatto, la risoluzione del problema avveniva quasi contemporaneamente all'introduzione dell'animale nella scatola. Prendendo spunto da questo esperimento, Thorndike elaborò la legge dell'effetto: "ogni atto che, in una determinata situazione, produce soddisfazione, finisce con l'essere associato a tale situazione, quando la situazione si ripresenta, l'atto ha maggiori possibilità di ripetersi rispetto al passato." L'inverso vale per le situazioni spiacevoli.

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Burrus Frederik Skinner (1904-1990) è il più celebre esponente della scuola Comportamentista o Behaviorista (comportamento è la traduzione italiana del termine inglese behavior). Il principio fondamentale dell ' impostazione comportamentista prevede l'applicazione della psicologia allo studio esclusivo di fenomeni misurabili oggettivamente (stimoli e risposte, rinforzi ecc.), utilizzando un metodo scientifico teso a escludere ogni elemento soggettivo come le descrizioni delle sensazioni fornite dai soggetti nel metodo introspettivo.

Skinner studiò il fenomeno dell'apprendimento utilizzando la "Skinner box", una struttura a forma di scatola, all'interno della quale si trovava una leva che l'animale oggetto dell'esperimento poteva casualmente premere con la pressione del muso o della zampa. L'abbassamento della leva provocava la fuoriuscita di una pallina di cibo che S. nominò Rinforzo. Si definisce rinforzo perchè il premio ricevuto spinge l'animale a ripetere il comportamento che lo ha determinato. La legge del rinforzo elaborata da S.: Il comportamento che viene rinforzato tende a ripetersi; il comportamento non rinforzato tende ad estinguersi. Riassumendo possiamo affermare che a condizionamento avvenuto l'animale tenderà a ripetere l'azione a cui è associato il rinforzo, nel caso specifico la pressione sulla leva. Nel condizionamento classico il rinforzo, rappresentato dallo stimolo incondizionato, è somministrato prima che l'apprendimento sia stato acquisito. Nel condizionamento strumentale il rinforzo segue la risposta, l'animale saprà quale azione è seguita da un premio. Fondamentale il ruolo svolto dal condizionamento operante nel quadro dell'adattamento dei soggetti all'ambiente. I genitori applicano costantemente il rinforzo per favorire il consolidarsi di comportamenti corretti che consentiranno alla loro prole di inserirsi con facilità nell'ambiente fisico e sociale.

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IL RINFORZO Il rinforzo si può suddividere in diverse categorie secondo i seguenti criteri: 1) La valenza che ha sull'organismo: in rinforzo positivo e rinforzo negativo.

Un esempio di Rinf. positivo:

U n

esempio di Rinf. negativo:

L'apprendimento indotto con rinforzo negativo (o apprendimento per fuga) agisce condizionando il soggetto su comportamenti piuttosto semplici, l'animale reagisce agli shock inflittigli con la fuga.

2) I bisogni sui quali agisce:

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RISPOSTA 1 RINFORZO NEGATIVO (Shock) ì STIMOLO RISPOSTA 2 î RISPOSTA 3 RINFORZO NEGATIVO (Shock)

RISPOSTA 1 ì STIMOLO RISPOSTA 2 RINFORZO POSITIVO (Cibo) î RISPOSTA 3

STIMOLO RISPOSTA 2

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RINFORZO PRIMARIO che è rappresentato dal cibo. RINFORZO SECONDARIO è associato al rinforzo primario.

Al topo nella Skinner box, poco prima l'uscita del cibo determinato dalla pressione della leva, si fa ascoltare un suono, che dopo qualche prova agisce come rinforzo secondario. Il topo cioè continuerà per un certo periodo a compiere l'azione (premere la leva) anche solo per ascoltare il suono che rappresenta il rinforzo secondario.

3) La modalità di somministrazione parziale o continua. Questo terzo punto viene solo accennato e si riferisce al tempo lasciato trascorrere tra il comportamento e il relativo rinforzo e alla frequenza con cui si rinforza un comportamento. (Il R. può essere somministrato ad ogni risposta corretta o ogni X risposte, oppure possono essere studiati il tempo trascorso tra l'azione e l'efficacia del R.)

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L'APPRENDIMENTO COGNITIVO Se il Condizionamento Operante ha notevolmente ampliato la comprensione del fenomeno rispetto agli esperimenti pavloviani basati sui riflessi, non ha certo esaurito la gamma delle strategie utilizzante dall'uomo o dall'animale per acquisire nuovi comportamenti. Ad esempio, gli studiosi del linguaggio hanno calcolato che se un bambino dovesse imparare a parlare servendosi di un processo di apprendimento per prova ed errori, gli occorrerebbero circa cento anni per acquisire una competenza linguistica paragonabile a quella di un adulto. L'apprendimento per prova ed errori è certamente indispensabile nei primi tentativi, in seguito subentra una forma più nobile di apprendimento che consente al soggetto di impadronirsi, non tanto della singola sequenza, quanto dei principi generali. L'apprendimento cognitivo consente un notevole risparmio di tempo e di energie. H.S. HARLOW nel 1949 condusse una serie di esperimenti al fine di approfondire la conoscenza di queste forme di apprendimento, che fungono da vere e proprie scorciatoie rispetto ai tentativi tramite prove ed errori. Una scimmia veniva posta di fronte a tre figure geometriche, due delle quali avevano la stessa forma geometrica (poniamo ad esempio triangolare), sotto la terza differente ( es. un quadrato), si trovava il rinforzo. Nella prova seguente vennero sostituite tutte le forme con altre tre figure (es. due cerchi e una stella) che, in comune con la sequenza precedente non avevano nessuna forma, ma solo l'elemento astratto della differenza di una delle tre sotto cui si trovava il rinforzo.

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L'operazione di sostituzione di tutte le forme veniva effettuata ad ogni nuova prova, in modo tale che la scimmia non potesse basarsi sull'esperienza acquisita nei tentativi effettuati in precedenza. Dopo circa 200 prove l'animale era in grado di dirigersi a colpo sicuro verso il rinforzo. In questo caso, più importante dell'esperienza maturata, era la comprensione del concetto di figura difforme, che poteva essere applicato in altre situazioni che richiedessero l'uso dello steso principio anche se con oggetti del tutto diversi.

L'INSIGHT Fenomeno studiato da W. Kohler, uno psicologo appartenente alla scuola della Gestalt, che durante alcuni esperimenti condotti sul fenomeno del "problem solving" notò che esistevano problemi risolti con l'impiego di metodi che esulavano dalle classiche strategie di apprendimento comportamentista. Un lampo intuitivo consentiva al soggetto di risolvere il problema senza dover ricorrere ai tentativi preliminari presi in esame da Skinner. Possiamo definire l'Insight una repentina ristrutturazione del campo cognitivo. Nei fumetti di Walt Disney (1901-1966) viene rappresentato con l'accendersi di una lampadina. I termini del problema vengono rivisti radicalmente cambiandone la sequenza o la disposizione. Alcuni scimpanzè messi in una gabbia al cui soffitto era appesa una banana non raggiungibile direttamente, dopo una serie di inutili tentativi, utilizzavano le casse lasciate a loro disposizione dagli sperimentatori per costruire una pedana e raggiungere il cibo. Il problema, visto i-nizialmente come semplice raggiungimento del rinforzo, risultava irrisolvibile, una volta operato un Insight, gli elementi del campo cognitivo venivano ristrutturati: dapprima occorreva ridurre la distanza costruendo una pedana con le casse, solo in seguito era possibile entrare in possesso del rinforzo.

L'IMPRINTING

La psicologia ha spesso attinto motivi di riflessione da temi trattati da altre discipline. Eccone un caso emblematico. L'etologia studia il comportamento delle specie animali nel loro ambiente

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naturale. Gli etologi hanno scoperto una particolare forma di apprendimento definito Imprinting (con una traduzione piuttosto libera può essere reso con "impronta"). L'Imprintig è un fenomeno che interessa soprattutto alcune specie di uccelli. Questo tema fu approfondito da Konrad Lorenz (1903-1989). L'etologo austriaco constatò come i piccoli delle oche grigie non riconoscessero in modo naturale la madre, ma imparassero a seguire il primo oggetto in movimento che vedevano subito dopo la nascita, identificandolo con il genitore. Questa forma di apprendimento è innata e non ha bisogno di rinforzo alcuno. Seguire il primo oggetto in movimento appena schiuse le uova, consente a tutti i piccoli della covata di restare a contatto con la madre, che se ciò non avvenisse non potrebbe seguirli singolarmente. L'imprinting aumenta dunque le possibilità di sopravvivenza, garantisce alle ochette il cibo e un riparo dai pericoli ambientali. Lorenz, per verificare questa forma di apprendimento, suddivise le uova di una stessa covata, lasciandone metà alla madre naturale e tenendo il resto con sé, sino al momento della schiusa. Le ochette che alla nascita videro come primo oggetto in movimento Lorenz cominciarono a seguirlo. Il seguito dell'esperimento dimostrò come mettendo tutti i piccoli sotto una scatola, quando questa veniva rialzata, gli anatroccoli seguissero con naturalezza il soggetto identificato alla nascita come la madre; una metà seguiva senza esitazione un corpulento professore universitario con una folta barba bianca. Ecco come Konrad Lorenz ci descrive l'esperimento: " Nel giardino di una casa di campagna, visibile dal marciapiede esterno, un grosso signore con tanto di barba striscia accoccolato per ?8O4 il prato tracciando degli otto, mentre continua a guardarsi indietro e a fare ininterrottamente qua qua qua... Ero molto compiaciuto dei piccoli che ubbidienti e precisi seguivano trotterellando il mio qua qua, quando a un certo puto alzai gli occhi e vidi una fila di volti allibiti affacciata sopra la siepe del giardino: una intera comitiva di turisti mi guardava stupefatta". Konrad Lorenz, L'anello di Re Salomone, ed. Adelphi.

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