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1 “Prospettive evolutive dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO/OMC) e ruolo dell’Italia nel nuovo ciclo di negoziati multilaterali”

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“Prospettive evolutive dell’Organizzazione Mondiale del Commercio

(WTO/OMC) e ruolo dell’Italia

nel nuovo ciclo di negoziati multilaterali”

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Indice

Lista degli acronimi 4 Premessa generale 5 di Giuseppe Schiavone Parte I Capitolo 1: Evoluzione storica dal GATT alla WTO 8 di Cristina Gagliarducci - Le origini - Il GATT ed i cicli di negoziati multilaterali Capitolo 2: La struttura della WTO ed il sistema degli accordi 15 di Cristina Gagliarducci - I membri - La struttura organizzativa - Il processo decisionale e la regola del consenso - La risoluzione delle controversie Capitolo 3: Le grandi conferenze 25 di Cristina Gagliarducci - Singapore (1996) e Ginevra (1998) - Seattle (1999) - Doha (2001) - Cancún (2003)

- Il dibattito sulla riforma della WTO: il problema della trasparenza, il ruolo delle ONG e della società civile, la cooperazione con altre organizzazioni internazionali

Capitolo 4: 1995 – 2006. Bilancio e prospettive 35 di Giuseppe Schiavone

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Parte II: “Riflessione sul senso complessivo del sistema WTO, sul ruolo dell’UE e dell’Italia” di Dario Ciccarelli 1. Premessa 41 2. Il senso complessivo del sistema WTO 48 3. Il diritto universale del mercato 61

4. Il sogno del mercato unico europeo e la realtà del mercato unico mondiale. Ambiguità e distorsioni 87 5. Il commercio come attuazione concreta degli ideali di pace e giustizia fra le Nazioni. Interrogativi sulla ragion d’essere dell’Unione europea nel tempo del mercato globale 107 6. La posizione italiana sul principio fondamentale della pace e giustizia nel mondo, dopo la sottoscrizione degli Accordi dell’Uruguay Round 135

Bibliografia 147 a cura di Cristina Gagliarducci Allegati a cura di Cristina Gagliarducci Allegato 1: Lista dei membri della WTO 152 Allegato 2: Struttura organizzativa della WTO 156 Allegato 3: Elenco dei Direttori Generali della WTO 157 Allegato 4: Documenti dell’Atto Finale dell’Uruguay Round 158 Allegato 5: “The Dispute Settlement Procedure” 159

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Lista degli acronimi

ACP: African, Caribbean and Pacific countries

CVA: Customs Valuation Agreement

DSB: Dispute Settlement Body

DSU: Dispute Settlement Understanding

GATS: General Agreement on Trade in Services

GATT: General Agreement on Tariffs and Trade

GPS: Generalised System of Preferences

MFN: Most Favoured Nation treatment

NT: National Treatment

PAC: Politica Agricola della Comunità europea

PVS: Paesi in via di sviluppo

S&D (SDT): Special and Differential treatment provisions

SPS: Sanitary and Phitosanitary measures or regulations

TBT: Technical Barriers to Trade

TPRM: Trade Policy Review Mechanism

TRIMs: Trade Related Investment Measures

TRIPs: Trade Related Intellectual Property Rights

TRTA: Trade Related Technical Assistance

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Premessa generale di Giuseppe Schiavone

Dal 1° gennaio 1995 è in vigore l’Accordo istitutivo dell’Organizzazione mondiale del

commercio (World Trade Organization - WTO).1 Sulla base degli accordi raggiunti nel

contesto dei negoziati tariffari multilaterali dell’Uruguay Round, la WTO ha sostituito,

ampliandone notevolmente le funzioni e i compiti, l’Accordo generale sulle tariffe doganali

e il commercio (General Agreement on Tariffs and Trade – GATT), il quale ha formalmente

chiuso i battenti, dopo 48 anni di attività, il 31 dicembre 1995. Per tutto il 1995 la WTO ha

quindi coesistito con il GATT. Rientrano nell’ambito della WTO il GATT nella versione

emersa dall’Uruguay Round (denominata “GATT 1994”), gli accordi conclusi sotto gli

auspici dello stesso GATT nonché tutti gli altri accordi e decisioni risultanti dall’Uruguay

Round.

La WTO costituisce pertanto la sede nella quale hanno luogo i negoziati commerciali

multilaterali e trovano soluzione le controversie mediante il sistema integrato di

regolamento. L’attività della WTO è rivolta non soltanto alla riduzione degli ostacoli

tariffari e non-tariffari agli scambi di merci ma anche - e in misura crescente - alla libera

prestazione dei servizi, la tutela della proprietà intellettuale, la protezione dell’ambiente e

la promozione dello sviluppo.

In virtù del suo Accordo istitutivo che la dota di una solida struttura istituzionale, la

WTO appare in grado di affiancarsi, con pari dignità ed autorevolezza, alle organizzazioni

monetarie e finanziarie del sistema delle Nazioni Unite scaturite dagli Accordi di Bretton

Woods, vale a dire il Fondo monetario internazionale (FMI) e la Banca internazionale per la

ricostruzione e lo sviluppo (BIRS) e le agenzie ad essa successivamente affiliate; queste

ultime e la stessa BIRS costituiscono il cosiddetto Gruppo della Banca mondiale. Proprio da

un’efficace collaborazione tra le istituzioni suddette potrebbe scaturire quell’auspicata

ristrutturazione delle relazioni economiche e finanziarie internazionali resa necessaria da

un lato dalla fine della contrapposizione tra blocchi ispirati a divergenti ideologie anche in

campo economico e dall’altro dalle spinte inarrestabili della globalizzazione.

1 Le lingue ufficiali dell’Organizzazione sono, oltre all’inglese, il francese e lo spagnolo. Le altre due denominazioni ufficiali sono pertanto: Organisation mondiale du commerce (OMC) e Organización mundial del comercio (OMC).

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Contenuto dell’Accordo e Paesi partecipanti

La creazione della WTO rappresenta il maggiore successo, sotto il profilo istituzionale,

del ciclo di negoziati dell’Uruguay Round, svoltosi con la partecipazione di circa 120 Paesi

tra il settembre 1986 e il dicembre 1993 e formalmente concluso con la firma il 15 aprile

1994 a Marrakech, in Marocco, dell’Atto finale. L’Atto finale include le dichiarazioni e

decisioni ministeriali del 15 aprile 1994 e l’Accordo istitutivo della WTO.

L’Accordo istitutivo della WTO concedeva alle 128 parti contraenti del GATT un periodo

di due anni - fino al 31 dicembre 1996 - per procedere alla ratifica e acquisire in tal modo

la qualità di membri originari. Attualmente la WTO conta 149 membri, tre quarti dei quali

costituiti da paesi in via di sviluppo dalle dimensioni e dagli interessi spesso diversissimi

tra loro. Si va, infatti, da entità gigantesche come la Cina ai micro-stati insulari del Pacifico

meridionale. Nel complesso, i membri della WTO rappresentano oltre il 90% del

commercio mondiale. Particolare rilievo ha rivestito l’ingresso della Cina come membro di

pieno diritto nel dicembre 2001, seguito, a distanza di poche settimane, da quello di

Taiwan (come “territorio doganale separato” sotto il nome di “Chinese Taipei”).

Tra le sfide che la WTO sta affrontando vi è quella dell’ulteriore ampliamento del

numero dei membri per dar vita a un sistema commerciale realmente globale. Una

trentina di paesi stanno negoziando la propria adesione. Tra i paesi che godono

attualmente dello status di osservatore presso la WTO basti citare l’Algeria, la Russia,

l’Ucraina e il Vietnam; ad eccezione della Santa Sede, tutti gli osservatori sono tenuti ad

iniziare i negoziati per accedere alla WTO entro cinque anni dalla concessione dello status

di osservatore. Si sta, quindi, realizzando la vocazione universale della WTO. Occorre,

d’altro canto, procedere con molta cautela per conciliare l’obiettivo dell’ampliamento della

membership con quello, non meno importante, della piena salvaguardia dell’integrità del

sistema scaturito dall’Uruguay Round.

E’ ammesso il recesso dall’Accordo istitutivo della WTO e dagli “Accordi commerciali

multilaterali” facendo pervenire una notifica scritta in tal senso al Direttore generale; per

recedere da un “Accordo commerciale plurilaterale” si fa riferimento alle disposizioni

contenute in detto Accordo.

In virtù dell’Accordo istitutivo, i membri della WTO hanno l’obbligo di rendere le

rispettive legislazioni conformi con quanto prescritto negli accordi allegati; è stata

eliminata, pertanto, quella grandfather clause che nel GATT sottraeva le parti contraenti

all’obbligo di modificare la legislazione preesistente contrastante con le disposizioni dello

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stesso GATT. L’Italia ha provveduto nel dicembre 1994 alla ratifica degli accordi di

Marrakech.2

Sul piano del collegamento e del coordinamento della WTO con le istituzioni di Bretton

Woods e le altre istituzioni specializzate delle N.U. che trattano materie aventi rilevanza

sul piano degli scambi internazionali - come l’Organizzazione mondiale della proprietà

intellettuale (OMPI) - sono stati compiuti significativi progressi.

Occorre precisare, peraltro, che formalmente la WTO non è una “istituzione

specializzata” delle N.U., come sono invece il FMI e la Banca mondiale. Un accordo è stato

concluso tra WTO e N.U., sviluppando la collaborazione tra i rispettivi Segretariati ed

approfondendo i rapporti tra WTO e Conferenza delle N.U. sul commercio e lo sviluppo

(UNCTAD). Notevoli sviluppi ha anche registrato la collaborazione tra WTO e

l’Organizzazione delle N.U. per lo sviluppo industriale (UNIDO).

Crescente rilevanza hanno poi assunto, negli ultimi anni, le relazioni tra WTO e

organizzazioni non-governative (ONG), in particolare a partire dalla Conferenza

ministeriale di Seattle. Le perplessità e in molti casi l’aperta ostilità di numerose ONG nei

confronti della graduale liberalizzazione del commercio mondiale perseguita dalla WTO

hanno indotto quest’ultima a intraprendere un articolato e regolare dialogo con le stesse

ONG al fine di approfondire le implicazioni sul piano concreto dei negoziati commerciali

multilaterali attualmente in corso di svolgimento. Ciò è tanto più necessario e opportuno in

quanto il campo d’azione della WTO si estende ormai a una pluralità di settori, quale

quello dei servizi, che vanno ben oltre il tradizionale scambio di merci.

Processo decisionale

La WTO si attiene, in linea di principio, alla prassi del consensus già utilmente seguita in

sede GATT e in larga parte delle organizzazioni internazionali attualmente operanti,

evitando quindi, nella misura del possibile, il ricorso a votazioni formali. Un’apposita nota

al testo dell’Accordo afferma che una decisione si considera adottata mediante consensus

quando nessuno dei membri presenti si sia formalmente opposto alla sua adozione.3 In

caso contrario si procede alla votazione; ogni membro dispone di un voto. L’Unione

2 Legge 29 dicembre 1994, n. 747 - Ratifica ed esecuzione degli atti concernenti i risultati dei negoziati dell’Uruguay Round adottati a Marrakech il 15 aprile 1994 (GU del 10 gennaio 1995, n. 7, s.o.)

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europea (UE), che partecipa alla WTO sotto la denominazione di Comunità europea,

dispone di un numero di voti pari al numero dei membri (attualmente 25) i quali

appartengono tutti alla WTO.

Soluzione delle controversie

L’adozione di un efficiente meccanismo di soluzione delle controversie era uno degli

obiettivi fondamentali dell’Uruguay Round così da assicurare certezza e prevedibilità al

sistema commerciale multilaterale, mantenendo un corretto equilibrio tra diritti e obblighi

dei membri.

Nell’ambito del precedente sistema, la soluzione delle controversie avveniva sulla base

delle regole contenute nel “GATT 1947”, integrate da norme e procedure che erano state

successivamente elaborate, combinando elementi di carattere giuridico con altri di

carattere più propriamente politico.

L’Intesa sulle norme e procedure che regolano la soluzione delle controversie intende

fornire gli strumenti necessari per risolvere tempestivamente quelle situazioni nelle quali

un membro ritiene che un beneficio che gli deriva, direttamente o indirettamente, dagli

accordi contemplati nell’Appendice 1 sia pregiudicato da misure adottate da un altro

membro. Tali accordi comprendono l’Accordo istitutivo della WTO con gli allegati: 1A, 1B,

1C e 2. L’applicabilità dell’Intesa agli “Accordi commerciali plurilaterali”, contenuti

nell’allegato 4, è soggetta all’adozione di un’apposita decisione da parte dei contraenti di

ciascun accordo.

3 In materia di consensus occorre sottolineare che la Dichiarazione ministeriale di Doha ha introdotto la formula - i cui contorni non sembrano ancora ben precisati - del “consensus esplicito”.

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PARTE I

Capitolo 1: Evoluzione storica dal GATT alla WTO di Cristina Gagliarducci

L’Organizzazione Mondiale del Commercio nasce per governare e sviluppare il

commercio internazionale, inglobando e sostituendo il GATT – General Agreement on

Tariffs and Trade, concluso nel 1947 come accordo provvisorio.

L’approccio base del GATT, che nonostante le premesse opererà per quasi

cinquant’anni, è permettere che i beni, quando vengono esportati, abbiano generalmente

libero accesso nel paese di importazione. Dal momento che è comunque possibile imporre

dei dazi al confine che limitino le importazioni, il GATT provvede al contesto multilaterale

per negoziare i livelli delle misure tariffarie e non tariffarie.

Le origini

Nel luglio del 1944 la Conferenza di Bretton Woods getta le basi per la creazione di un

nuovo ordine economico internazionale. Nascono la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario

Internazionale, nel quadro di un rinnovato apparato istituzionale finanziario volto ad

impedire il ripetersi di quei tragici errori economici commessi negli anni Venti e Trenta,

che furono una delle ragioni che portarono allo scoppio della seconda guerra mondiale4.

Nonostante si riconosca la necessità di completare il mandato delle due istituzioni

finanziarie con una terza organizzazione dedicata al commercio, le questioni relative agli

scambi commerciali restano però fuori dall’agenda della Conferenza, ufficialmente perché

non sono presenti i Ministri competenti.

E’ nell’ambito delle Nazioni Unite5, ed in particolare nel corso della prima riunione del

Consiglio Economico e Sociale (ECOSOC), nel febbraio 1946, che viene ripreso il tema

degli scambi commerciali internazionali. L’idea è quella di avviare una conferenza per la

creazione di un’agenzia delle Nazioni Unite specializzata nella promozione del commercio

4 PARENTI A., Il WTO: Cos’è e come funziona l’Organizzazione mondiale del commercio, Bologna, Il Mulino, 2002, p. 29 5 La Carta che istituisce l’Organizzazione delle Nazioni Unite viene firmata a San Francisco il 26 giugno 1945.

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internazionale. In quest’ottica, dall’aprile al novembre 1947 oltre 50 Paesi prendono parte

a Ginevra ad una prima trattativa, focalizzando l’attenzione su tre grandi temi:

- la preparazione della Carta dell’International Trade Organization (ITO),

- l’elaborazione dell’accordo multilaterale commerciale per la riduzione delle tariffe

doganali,

- la definizione dei principi regolativi.

I risultati dei lavori sulle prime due tematiche portano il 30 ottobre 1947 alla firma di

un Accordo generale sulle tariffe doganali ed il commercio, che contiene le clausole

generali relative ai reciproci impegni in materia di tariffe doganali e che segna l’atto di

nascita del GATT – General Agreement on Tariffs and Trade.

Nelle intenzioni dei 23 paesi firmatari,6 il GATT rappresenta dunque un semplice

trattato multilaterale per la riduzione reciproca dei dazi doganali, e riveste un carattere

provvisorio (in vigore dal 1° gennaio 1948), in attesa dell’entrata in vigore di una vera e

propria organizzazione internazionale per il commercio.

L’ITO – International Trade Organization, viene successivamente istituita con la

“Carta dell’Avana” nel marzo 1948, nel corso di una conferenza delle Nazioni Unite su

commercio e occupazione. In realtà il trattato istitutivo dell’ITO non verrà mai ratificato,

principalmente a causa dell’opposizione del Congresso americano che, non essendo in

linea con la presidenza, costringe i propri negoziatori a Ginevra a far cancellare dal testo

del GATT ogni riferimento al fatto che esso potesse istituire un organismo internazionale e

avere poteri di trattativa commerciale. Nell’aprile del 1949 il Presidente Truman sottopone

la Carta dell’Avana all’approvazione formale del Congresso, ma non ottiene alcuna

risposta, dal momento che l’attenzione è rivolta a questioni ben più urgenti come il

Trattato del Nord Atlantico ed il Programma di assistenza e difesa militare.

Alla fine del 1950 è evidente la perdita definitiva di interesse da parte di Washington7 e,

senza la partecipazione del paese che era uscito dalla guerra come la maggiore potenza

economica mondiale, il trattato istitutivo dell’ITO viene di fatto abbandonato.

6 PARENTI A., op.cit., p. 32 Quale nazione uscita sconfitta dalla seconda guerra mondiale, l’Italia non fa parte del gruppo di 23 paesi che partecipano alle trattative per la creazione del GATT. Accederà al GATT solo nel 1949, nel corso del secondo round di negoziati. 7 COHN, Theodore H., Governing Global Trade: International Institutions in Conflict and Convergence, Aldershot, Ashgate, 2002, p. 13 Le ragioni del rifiuto del Congresso americano sono piuttosto complesse, e peraltro ironiche, visto che proprio gli USA, insieme al Regno Unito, sono nel 1946 tra i principali sostenitori della creazione

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Il GATT ed i cicli di negoziati

L’Accordo generale sulle tariffe e sul commercio nasce con l’obiettivo di negoziare,

mediante trattative multilaterali tra le parti contraenti, una riduzione sostanziale dei dazi

doganali e di tutte quelle misure che falsano il libero gioco della concorrenza commerciale,

nonché di stabilire regole di comportamento applicabili al commercio dei beni agricoli ed

industriali, da tutti accettate e rispettate.

In particolare, riferendosi alla teoria neoclassica del libero commercio, l’Accordo si

propone lo sviluppo di un commercio equo e trasparente, fondato sulla divisione del lavoro

e sui vantaggi comparati possibili grazie alla specializzazione.8

Quattro i criteri principali alla base dell’accordo, che consentono da un lato la

liberalizzazione (“free trade”) e dall’altro l’equità degli scambi (“fair trade”)9:

1) la reciprocità negli scambi, per cui, negli scambi internazionali, gli stati si assicurano

reciproche concessioni dello stesso tipo;

2) la non discriminazione, che implica l’accettazione incondizionata della nazione più

favorita, in base alla quale ogni paese è vincolato ad estendere a tutti gli altri i

benefici di una riduzione delle barriere agli scambi, negoziati con uno o più paesi;

3) il trattamento nazionale, che prevede che una società o un prodotto straniero deve

avere lo stesso trattamento in materia di imposizione fiscale o nell’applicazione delle

leggi e regolamenti di cui godono le società ovvero i prodotti nazionali;

4) l’eliminazione o riduzione delle barriere commerciali non tariffarie, quali, ad

esempio, il dumping, le sovvenzioni pubbliche all’industria e le restrizioni

quantitative agli scambi.

Si tratta sostanzialmente di maggiori certezze giuridiche, che mirano a ristabilire la

crescita e la stabilità economica internazionale, ed a favorire dunque lo sviluppo di una

pace durevole all’indomani del secondo conflitto mondiale.

dell’ITO. Fondamentale per la scelta americana si rivela il ritorno al Congresso nel 1948 di una maggioranza repubblicana, tradizionalmente più isolazionista. 8 Dal Preambolo dell’Accordo Generale sulle tariffe doganali ed il commercio (GATT 1947): “…Recognizing that their relations in the field of trade and economic endeavour should be conducted with a view to raising standards of living, ensuring full employment and a large and steadily growing volume of real income and effective demand, developing the full use of the resources of the world and expanding the production and exchange of goods…” 9 Société française pour le droit international, La réorganisation mondiale des échanges: problèmes juridiques. Colloque de Nice, Paris, Pedone, 1996, p. 6

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L’Accordo generale del 1947 prevede d’altro canto numerose eccezioni, che ne limitano

in parte la portata: alcuni prodotti restano esclusi, almeno in un primo tempo, dal campo

di applicazione (i prodotti agricoli, i servizi, i tessili); i paesi meno avanzati e quelli in via

di sviluppo beneficiano di regole particolari, così come gli scambi commerciali interni alle

zone di libero scambio ed alle unioni doganali.

Vista la natura “provvisoria” del proprio mandato, il GATT entra in vigore senza disporre

di una vera e propria struttura organizzativa e di organi decisionali. I lavori sono diretti

dalla Sessione annuale delle parti contraenti – che di regola decide a maggioranza

semplice o qualificata, ma di fatto sempre sulla base del consenso – e dal Consiglio GATT,

che si riunisce mensilmente; il Segretariato ha sede a Ginevra ed è composto da circa 500

funzionari, sotto la guida di un Direttore generale che gode di un’ampia stabilità (solo

quattro Direttori generali dal 1948 al 1993).

Le decisioni vengono prese in effetti nell’ambito di lunghe trattative dirette tra gli stessi

membri, ossia attraverso dei “cicli di negoziati” (round), che definiscono nuove regole su

specifici argomenti ed ulteriori riduzioni tariffarie.

Ci sono stati in tutto 8 round nella storia del GATT, dal 1947 al 1995, denominati in

base al luogo dove si sono svolti oppure, più raramente, in base al nome della personalità

politica che li ha particolarmente influenzati.

Tabella 1:

Data Denominazione del

round Oggetto

Paesi partecipanti

1947 Ginevra Tariffe 23

1949 Annecy Tariffe 13

1951 Torquay Tariffe 38

1956 Ginevra Tariffe 26

1960-1961 Dillon round Tariffe 26

1964-1967 Kennedy round Tariffe e antidumping 62

1973-1979 Tokyo round Tariffe e regole sugli ostacoli

non tariffari 102

1986-1994 Uruguay round Creazione del WTO, tariffe,

servizi, regole 123

2002-2005 Doha development agenda Tariffe, servizi, regole

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I primi cinque negoziati (1947 – 1961), dominati dai paesi sviluppati e soprattutto

dall’egemonia statunitense, sono quasi esclusivamente dedicati all’eliminazione degli

ostacoli tariffari. In questi anni il GATT funziona come una “small club-like organisation”,

priva di prerogative formali e basata sulla regola del consenso di tutti i membri per la

definizione di nuove regole.

In seguito, a partire dal Kennedy Round, aumenta il numero dei partecipanti ai

negoziati, e tra questi il numero dei paesi in via di sviluppo10. Il GATT inizia inoltre a

definire gli strumenti per l’eliminazione di altri ostacoli agli scambi commerciali, non solo

di natura tariffaria ma anche di natura regolamentare (Ntb – Non tariff barriers), quale ad

esempio il rispetto di determinate normative nazionali.

Nel corso degli anni vengono inoltre concordati alcuni codici (nove in tutto, che

spaziano dalla definizione delle modalità di valutazione delle merci alla definizione di

regole in materia di standard tecnici per i prodotti industriali) obbligatori soltanto per i

Paesi firmatari degli stessi, in genere i Paesi industrializzati. Si tratta di codici che

funzioneranno da base per molte delle regole contenute nel futuro accordo dell’WTO.

Tra il 1973 ed il 1979 il Tokyo Round, nel corso del quale la Comunità Economica

Europea comincia ad affermarsi quale leader al fianco degli Stati Uniti, segna il passaggio

dai negoziati solo tariffari ai negoziati anche regolamentari. Il round non riesce però a

portare al commercio internazionale l’impulso necessario per la sua ripresa, rimanendo

quasi esclusivamente dedicato ai problemi del commercio di beni industriali. Resta ancora

escluso il commercio dei servizi, che proprio negli anni Settanta rappresenta un settore in

continua espansione, dove è necessario creare delle regole per facilitare gli scambi

internazionali. Restano fuori anche i prodotti agricoli, che fanno parte del GATT fin

dall’inizio senza che le regole siano mai state loro applicate.

Infine, nel settembre 1986 inizia a Punta del Este l’ottava tornata di negoziati

commerciali multilaterali, l’Uruguay Round, che rappresenta il ciclo più stimolante,

ambizioso e prolungato della storia del GATT destinato a concludersi dopo ben sette anni,

nel 1993. Vengono trattati la proprietà intellettuale, il commercio dei servizi, gli appalti

pubblici e le misure di investimento connesse al commercio, ossia temi d’interesse dei

Paesi industrializzati e soprattutto della cosiddetta “triade”, vale a dire Stati Uniti, Europa

e Giappone; ma anche temi quali il tessile e l’abbigliamento, cari ai Paesi in via di sviluppo

10 La mancanza di un “executive board” all’interno del GATT, unitamente alla crescente partecipazione ai negoziati da parte dei paesi in via di sviluppo, determinano nel 1961 la nascita

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che per la prima volta assumono un ruolo più attivo nei negoziati commerciali

multilaterali, partecipando anche ad animate coalizioni Nord-Sud11.

In un documento di oltre ventidue mila pagine, il testo finale dell’Uruguay round

precisa, chiarifica, completa e modifica il sistema del GATT 1947.12 Tra le novità che

riguardano il commercio internazionale:

- l’accesso al mercato, con tagli tariffari senza precedenti e di vasta portata;

- l’introduzione di misure per ridurre le barriere non tariffarie, in particolare i

regolamenti tecnici motivati da considerazioni politiche interne;

- la revisione delle misure in materia di protezione degli scambi, in particolare le misure

anti-dumping e anti-sovvenzione, le misure basate sulla clausola di salvaguardia, la

valutazione in dogana, l’ispezione prima della spedizione via mare e le regole di origine

e le licenze di esportazione.

Vengono inoltre affrontate altre questioni relative al funzionamento del GATT,13 anche

se ancora non si parla della creazione di un’organizzazione mondiale del commercio,

principalmente a causa delle reticenze statunitensi. Il tema verrà riproposto dal governo

canadese solo all’inizio degli anni Novanta.

L’Uruguay Round si conclude nel dicembre 1993, dopo il fallimento di ben due

Conferenze Ministeriali (Montreal, nel 1988 e Bruxelles, nel 1990) ed al termine di un

lungo contenzioso tra Unione europea e Stati Uniti incentrato principalmente

sull’agricoltura (“accordo di Blair House”14). Le sfide crescenti del commercio

dell’OCSE – Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, quale forum di ricerca, discussione e pre-negoziato per i paesi industrializzati. 11 COHN, Theodore H., op.cit., pp. 169 –170 Numerose divisioni fra i partecipanti si presentano prima del lancio del nuovo round negoziale a Punta del Este. In particolare, la fase preparatoria è dominata da due gruppi contrapposti: da una parte il Gruppo dei Nove (G9), formato da paesi industrializzati medio-piccoli, fra cui l’Australia, il Canada e la Nuova Zelanda, oltre ai membri dell’EFTA, l’Associazione europea di libero scambio; dall’altra il Gruppo dei Dieci (G10), formato da alcuni paesi in via di sviluppo capitanati da India e Brasile. USA, CE e Giappone preferiscono non schierarsi con nessuno dei due gruppi. Ben 48 paesi in via di sviluppo scelgono invece di sostenere il G9 – considerando le posizioni del G10 troppo drastiche ed eccessivamente contrarie all’introduzione di nuovi temi – andando a formare il nuovo Gruppo dei 48 (G48), anche detto “Gruppo del caffelatte” perché guidato da Colombia e Svizzera. 12 Vedi allegato 3 13 PARENTI A., op.cit., p. 38 Il gruppo di negoziatori incaricati delle questioni relative al funzionamento del GATT prese il nome di “FOGS”, cioè “Future Of the GATT System” 14 Si tratta in effetti di un “pre-accordo” fra Unione europea e USA, raggiunto nel novembre 1992 sul tema dell’agricoltura.

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internazionale vengono riprese il 15 aprile 1994 dai paesi riuniti a Marrakech, per la

costituzione della nuova Organizzazione Mondiale del Commercio.

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16

Capitolo 2: La struttura della WTO e il sistema degli accordi di Cristina Gagliarducci

L’accordo istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio viene firmato il 15

aprile 1994 da 125 paesi riuniti a Marrakech, in Marocco. Entra ufficialmente in vigore il 1°

gennaio 1995.15

Tra i compiti principali della WTO figurano: la gestione degli accordi commerciali, la

funzione di foro per le discussioni ed i negoziati riguardanti la politica commerciale, la

gestione e la composizione delle dispute commerciali, il monitoraggio delle politiche

commerciali nazionali, l’assistenza tecnica e la formazione per i paesi in via di sviluppo, ed

infine la cooperazione con le altre organizzazioni internazionali. L’Organizzazione Mondiale

del Commercio differisce sostanzialmente dal GATT perché coinvolge nel sistema

commerciale multilaterale nuove aree di cooperazione ed introduce una diversa procedura

per la risoluzione delle controversie.

I membri

La WTO conta attualmente 148 membri, pari ad oltre il 90% dell’intero commercio

mondiale, rappresentati perlopiù da stati sovrani e, in piccola parte, da territori doganali

indipendenti. I membri si distinguono in “original members” e “members by accession”:16

• “Original members”: sono coloro che al 1° gennaio 1995 risultano membri

(“contracting parties”) del GATT 1947, ovvero coloro che accettano l’Accordo WTO e gli

Accordi di commercio multilaterale (in origine l’Accordo WTO si apre per accettazione

per un periodo di due anni a partire dal 1° gennaio 1995); sono inoltre coloro i cui

programmi di concessioni ed impegni sono allegati al GATT 1994, nonché gli stati con

programmi di impegni specifici allegati all’Accordo generale sul commercio nei servizi.

Per i membri del GATT 1947 è dunque necessario concludere, attraverso negoziati

bilaterali e plurilaterali, tutti i programmi su beni e servizi, ed avviare simultaneamente

le procedure nazionali per recepire gli Accordi.

15 GATT e WTO coesistono per tutto il 1995 16 BHAGIRATH, Lal Das, The World Trade Organization. A Guide to the Framework for International Trade, London, Zed Books and Third World Network, 1999, pp. 427-428

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17

• “Members by accession”: si tratta di governi o territori doganali con piena autonomia

in materia di commercio, che decidono di entrare a far parte della WTO. Il processo di

adesione è particolarmente lungo e complesso, perché comporta l’accettazione

dell’insieme delle regole nella loro totalità ed il conseguente adeguamento

dell’apparato legislativo nazionale. I paesi che avviano le trattative godono dello status

di osservatori e dispongono, ad eccezione della Santa Sede, di un periodo di cinque

anni per negoziare e portare a termine il processo di adesione. In genere, viene

costituito gruppo di lavoro ad hoc che verifica l’effettiva riduzione delle tariffe e

l’eliminazione delle barriere non tariffarie da parte dei candidati, rispettando i tempi

previsti. La decisione finale spetta alla Conferenza ministeriale della WTO.

Esiste tuttavia la possibilità di ritirarsi dalla WTO: in questo caso lo stato membro deve

inviare un avviso al Direttore Generale ed aspettare un periodo di sei mesi.

Ai 148 membri della WTO si aggiungono poi 31 Stati e numerose organizzazioni

internazionali intergovernative, che hanno lo status di osservatori.17

Gli ultimi ad aderire nel 2004 sono stati il Nepal e la Cambogia, ma il boom delle

accessioni si registra durante gli ultimi anni dell’Uruguay round, quando il crollo dell’URSS

ed il processo di modernizzazione di alcune economie asiatiche determinano il

riavvicinamento agli scambi commerciali internazionali da parte di molti paesi dell’Europa

dell’est, delle ex-repubbliche sovietiche e dell’Indocina.

L’Unione europea non ha mai fatto domanda di adesione, ma si è nel tempo aggiunta ai

suoi stati membri, in virtù del trasferimento all’Unione di numerose competenze

commerciali nel quadro della politica commerciale comune18.

Da notare, infine, che l’incisività delle norme della WTO è direttamente proporzionale al

numero ed al peso politico-commerciale dei suoi membri. In questo senso l’accessione più

importante è stata indubbiamente quella della Cina, nel dicembre 2001, i cui negoziati

sono durati ben quindici anni e che sono stati da molti paragonati per importanza ad un

round. Ad oggi soltanto la Russia rimane, tra i grandi paesi del mondo, fuori dalla WTO; i

suoi negoziati di accessione sono tuttora in corso, ma è piuttosto difficile prevedere

17 Vedi allegato 1 18 PARENTI A., op.cit., p. 38 L’Unione europea nella WTO viene ancora denominata ufficialmente come Comunità europea.

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18

quando si concluderanno. L’UE è comunque attivamente impegnata a collaborare col

governo russo e con numerosi altri paesi, per aiutarli a prepararsi all’adesione.

La struttura istituzionale

A differenza del GATT, la WTO è un’organizzazione internazionale con personalità

giuridica internazionale e con poteri formali. Si distacca però dal modello comune ad altri

organismi quali la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale quanto a struttura

e competenze: manca, infatti, in essa un organo esecutivo e tutte le funzioni sono

accentrate in organi di natura assembleare,19 che sono composti da tutti i membri

dell’organizzazione. In questo senso si afferma che la WTO è un’organizzazione “members

driven”, cioè guidata dai suoi membri.

La struttura prevista per l’attuazione, l’amministrazione e il funzionamento dell’Accordo

di Marrakech si articola su più livelli:20

Conferenza ministeriale:21 si trova al vertice dell’organizzazione, è composta dai

rappresentanti di tutti gli stati membri ed ha compiti istituzionali e di indirizzo politico

generale.

Consiglio generale: svolge le funzioni della Conferenza ministeriale negli intervalli

biennali tra una conferenza e l’altra, ed è composto dagli ambasciatori di tutti i membri

della WTO. Può prendere decisioni nelle varie materie di competenza dell’organizzazione,

tuttavia con una particolarità: cambia nome, ma non composizione, quando adotta

decisioni relative al meccanismo di soluzione delle controversie o al meccanismo di

riesame delle politiche commerciali, per diventare rispettivamente il Consiglio generale

incaricato della soluzione delle controversie commerciali oppure il Consiglio generale

incaricato dell’accordo TPRM .22

Comitati specifici: preparano i lavori del Consiglio generale specializzandosi nelle

materie dei diversi accordi commerciali multilaterali. Ad esempio, il Comitato Commercio e

19 VENTURINI G, “Le proposte di riforma dell’Organizzazione mondiale del commercio” in Le frontiere della globalizzazione: i negoziati commerciali e riforma della WTO. II Conferenza nazionale sull’Organizzazione Mondiale del Commercio a cura di Lelio IAPADRE e Fabrizio PAGANI, Bologna, Il Mulino, 2001 20 Vedi allegato 2 21 Vedi capitolo 3 22 PARENTI A., op.cit., p. 47

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sviluppo riesamina periodicamente le disposizioni speciali a favore dei membri meno

sviluppati, e riferisce al Consiglio generale perché siano prese le opportune iniziative.

Questi Comitati sono aperti alla partecipazione di tutti i membri della WTO, rappresentati

da diplomatici o funzionari con una conoscenza specifica del settore.

Consiglio commercio beni: sovrintende al funzionamento dell’accordo quadro GATT,

per il commercio dei prodotti agricoli e industriali.

Consiglio TRIPS: sovrintende al funzionamento dell’accordo che regola la protezione

dei diritti di proprietà intellettuale.

Consiglio commercio servizi: sovrintende al funzionamento dell’accordo quadro GATS.

Comitati accordi plurilaterali: sono istituiti dalla Conferenza ministeriale ed hanno

competenza in materie specifiche. Tra i principali possono citarsi il Comitato sul

commercio e lo sviluppo, il Comitato sul commercio e l’ambiente, il Comitato

sull’agricoltura ed il Comitato sugli accordi commerciali regionali.

Direttore generale: rappresenta l’organo amministrativo-burocratico; è sprovvisto di

poteri significativi e si trova in posizione di svantaggio in rapporto all’insieme dei 148

membri. E’ nominato dal Consiglio generale per un periodo di tre anni, tra personalità

internazionali che abbiano avuto incarichi di governo possibilmente nell’ambito del

commercio. E’ a capo del Segretariato e in base al trattato istitutivo ha l’espresso divieto

di prendere ordini dai governi degli stati membri. L’attuale Direttore generale – carica che

dieci anni fa venne per la prima volta ricoperta dall’italiano Renato Ruggiero23 – è il

tailandese Supachai Panitchpakdi, già Vice Primo Ministro della Thailandia, che ha assunto

la carica nel settembre 2002, per un periodo triennale, divenendo il primo cittadino di un

Paese in via di sviluppo a trovarsi al vertice di un’organizzazione economica internazionale

a vocazione universale. Supachai Panitchpakdi terminerà il proprio mandato ad agosto

2005.24 Gli succederà il francese Pascal Lamy, già responsabile per il commercio nella

Commissione europea presieduta da Romano Prodi e negoziatore in sede WTO.

23 Vedi allegato 24 CRISTALDI S., “WTO, 12 mesi ad alta tensione” in Il Sole 24 ore del 7 gennaio 2005 Il dibattito sulla nomina del nuovo Direttore generale è stato molto acceso. Tra i candidati che hanno affiancato il francese Pascal Lamy figurano due latino-americani che appartengono al “Cairn Group”, ossia al gruppo che riunisce i paesi esportatori di prodotti agricoli: Carlos Perez del Castillo, ex ambasciatore dell’Uruguay presso la WTO e Luis Felipe Seixas Corrêa, attuale ambasciatore del Brasile presso la WTO, appoggiato dalla Cina. Da citare anche Jay Krishna Cuttaree, ministro degli esteri di Mauritius, che è stato sostenuto dai paesi africani.

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Segretariato: ha sede a Ginevra ed è molto esiguo rispetto alle risorse umane delle

altre organizzazioni economiche internazionali. Il suo personale è composto infatti da circa

500 funzionari, meno di un ventesimo di quelli della Banca mondiale, mentre il suo

bilancio non raggiunge i 100 milioni di dollari, cioè poco più di quanto il Fondo monetario

internazionale stanzia per le sole spese di viaggio dei propri funzionari. Lo staff del

Segretariato – organizzato in circa venti divisioni responsabili per aree tematiche – svolge

un ruolo assai importante di supporto tecnico ed amministrativo ai presidenti dei vari

comitati e consigli, di supporto giuridico nella preparazione e discussione dei casi

sottoposti al regime di soluzione delle controversie, nonché di contatto permanente con i

vari membri della WTO.

Il processo decisionale e la regola del consenso

La WTO è un’organizzazione complessa, perché conta un alto numero di partecipanti

che rispondono ad un insieme di diversi accordi, ma soprattutto perché i propri organi

mancano di un’autonoma competenza normativa. Di fatto, tutti i processi decisionali

vincolanti in tema di liberalizzazione degli scambi sono avviati per precisa volontà dei

membri ed esclusivamente con il consenso della loro totalità. Le decisioni prese vengono

poi tradotte in impegni di natura pattizia, che vanno ad inserirsi fra gli strumenti che

compongono gli accordi multilaterali.25

In particolare, secondo l’articolo IX, “la WTO mantiene la pratica del processo

decisionale attraverso il consensus, in conformità con lo spirito del GATT 1947”. Questa

regola ha un duplice significato: da una parte si riconosce il diritto di veto di ogni membro,

che può opporsi ad una determinata decisione che non condivide; dall’altra si esorta a

proseguire le trattative fino al raggiungimento dell’unanimità, instaurando una sorta di

negoziato permanente, una “ONU del commercio mondiale”.

Il consenso è dunque ricercato con i negoziati periodici e poi nei negoziati settoriali, che

praticamente sono continui, e viene raggiunto quando nessun membro presente alla

riunione in cui la decisione viene presa si è formalmente opposto alla decisione stessa.

Quando non è possibile ottenere il consenso, le decisioni vengono prese a maggioranza

dei voti espressi (un voto per ogni membro, al di là del suo peso commerciale o

25 VENTURINI G., op.cit., p. 103

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demografico)26; la maggioranza può essere semplice o “rinforzata” (3/4 dei membri), e più

precisamente:

regola generale: unanimità

alternativa: votazione a maggioranza (un voto per paese)

interpretazione dei testi legali dell’accordo istitutivo: maggioranza dei 3/4

concessione di esenzioni agli obblighi degli accordi multilaterali: maggioranza dei 3/4

emendamento degli accordi: unanimità o maggioranza dei 2/3 a seconda della natura

ammissione di nuovi membri: maggioranza dei 2/3

Nonostante questa possibilità, nella storia del GATT/WTO non si è mai arrivati al voto,

preferendo piuttosto proseguire con le trattative e giungere al consenso.

Esistono inoltre dei meccanismi “informali” per la formazione del consenso, utili

soprattutto in considerazione dell’aumento dei membri della WTO. Fra questi spiccano le

cosiddette “green rooms”, ovvero riunioni presidiate dal Direttore generale, con un

massimo di quaranta partecipanti fra i paesi industrializzati ed i PVS più attivi su una

determinata questione. In ultimo, le trattative si sviluppano anche grazie a numerosi

incontri bilaterali e nel corso di riunioni informali come quelle del “Quad”, tra USA, UE,

Giappone e Canada.

Il sistema degli accordi

Il trattato di Marrakech non regola alcun aspetto del commercio internazionale ma si

limita a definire le regole che riguardano il funzionamento della WTO stesso. I membri del

WTO devono rispettare gli accordi multilaterali allegati al trattato, che contengono le

regole vere e proprie del commercio internazionale. In particolare, il trattato (“Atto

Finale”) si compone di 16 articoli e di numerosi allegati:

• accordo GATT 1994 (allegato 1A): regola gli scambi internazionali delle

merci. Più precisamente, questo allegato contiene il testo del GATT modificato

26 PARENTI A., op.cit., p. 49

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dall’Uruguay Round, giuridicamente distinto dal testo originario del GATT del 1947 e

successivi emendamenti, nonché gli accordi sulle seguenti materie: agricoltura;

applicazione delle misure sanitarie e fitosanitarie; prodotti tessili e dell’abbigliamento;

ostacoli tecnici agli scambi; misure relative agli investimenti che incidono sugli scambi

commerciali; applicazione dell’Art. VI del GATT 1994 (misure antidumping);

applicazione dell’art. VII del GATT 1994 (valutazione in dogana); ispezioni pre-

imbarco; regole in materia d’origine; procedure in materia di licenze d’importazione;

sovvenzioni e misure compensative; applicazione di misure di salvaguardia.

• accordo GATS – General Agreement on Trade in Services (allegato 1B):

regola il commercio internazionale dei servizi;

• accordo TRIPS – Trade Related aspects of Intellectual Property rights

(allegato 1C), che regola vari aspetti della protezione dei diritti di proprietà

intellettuale, compreso il commercio delle merci contraffatte;

• accordo per la soluzione delle dispute commerciali che possono insorgere tra

i membri del WTO (allegato 2);

• accordo TPRM – Trade Policy Review Mechanism (allegato 3), che prevede

che le politiche commerciali dei singoli membri del WTO siano regolarmente esaminate

e discusse da parte degli altri membri dell’organizzazione;

• accordo sul commercio di aeromobili civili, accordo sugli appalti pubblici,

accordo internazionale sui prodotti lattiero-caseari, accordo internazionale sulle carni

bovine (allegato 4). Gli ultimi due accordi sono stati abrogati alla fine del 1997.

Gli accordi e gli strumenti giuridici contenuti negli allegati da 1 a 3 (denominati “Accordi

commerciali multilaterali”) sono parte integrante del Trattato e sono vincolanti per tutti i

membri. Gli accordi e gli strumenti contenuti nell’allegato 4 (denominati “Accordi

commerciali plurilaterali”) fanno anch’essi parte del Trattato ma comportano diritti ed

obblighi solo per i membri che li hanno accettati.

Fa eccezione a questa regola il voto dell’Unione europea che vale 15 voti, cioè un voto per ogni membro dell’UE ma nessuno per l’UE stessa, che è comunque un membro dell’organizzazione.

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La soluzione delle controversie

Strettamente collegato alla procedura decisionale, che riconosce la centralità dello stato

membro, è il meccanismo di soluzione delle controversie, che incoraggia le parti a

superare eventuali divergenze attraverso la consultazione.

Si tratta di uno degli elementi più significativi che segnano il passaggio dal GATT alla

WTO e consiste nella creazione di una sorta di tribunale del commercio internazionale al

quale i membri possono rivolgersi quando ritengono che un altro membro abbia violato

uno degli obblighi previsti dagli accordi, e che ciò abbia avuto conseguenze negative sui

propri settori produttivi. Grazie a tale sistema, applicato al complesso degli accordi

commerciali multilaterali ed in vigore dal 1995,27 tutti i membri hanno lo stesso diritto di

rivalsa.

Le fonti giuridiche del meccanismo di soluzione delle controversie sono gli articoli XXII e

XXIII del GATT 1994, oltre alle norme ed alle procedure elaborate successivamente, che si

basano sui principi di equità, velocità, efficacia e mutua accettazione.

Concretamente, quando una disputa commerciale è notificata alla WTO vengono

attivate tutta una serie di misure automatiche. Innanzitutto si cerca di risolvere la

controversia in maniera amichevole, attraverso le consultazioni tra le parti. Se ciò non è

possibile, nel giro di sessanta giorni si passa alla fase contenziosa della procedura con la

costituzione da parte dell’Organo di regolamentazione delle controversie (il DSB – Dispute

Settlement Body, ovvero una sessione speciale del Consiglio generale della WTO)28 di un

panel, composto da giudici che devono avere una comprovata esperienza in materia di

commercio internazionale.

Dopo aver consultato le parti, il panel presenta una relazione al DSB, che dovrà

adottarla entro sessanta giorni. Da notare l’efficacia vincolante dell’approvazione delle

relazioni dei panel, conseguita mediante il meccanismo del cosiddetto “consensus

negativo”, per cui è necessario il consenso di tutti i membri dell’organizzazione –

compreso quello dello stato che ha vinto la causa – affinché la sentenza non venga

applicata.

27 Un sistema di composizione delle vertenze esisteva anche prima della creazione della WTO, ma non era molto efficace perché non aveva carattere obbligatorio, o meglio, i risultati dovevano essere accettati da tutti i membri dell’organizzazione, compreso quello che aveva perso la causa. 28 Il DSB è chiaramente un organo di natura politica, dal momento che la WTO rimane un organizzazione internazionale composta da stati sovrani.

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Esiste chiaramente la possibilità di appello, dopo di che lo stato condannato deve

adeguarsi alla sentenza. Il mancato rispetto dei termini di adeguamento comporta

l’applicazione di forme di compensazione e di sanzioni commerciali.

Secondo Renato Ruggiero, Direttore generale fino all’aprile 1999, questo sistema

rappresenta il maggior contributo della WTO alla stabilità dell’economia mondiale, senza

del quale le regole rimarrebbero di fatto inapplicate. Dalla sua costituzione ad oggi oltre

230 controversie sono state portate davanti al Dispute Settlement Body, a dimostrazione

della sua credibilità e della fiducia riposta dai membri nel nuovo sistema. Un ruolo molto

attivo è svolto dai paesi in via di sviluppo, tra cui India, Messico e Tailandia, anche se i

ricorsi più numerosi sono quelli avanzati da Stati Uniti ed Unione europea, che sono a loro

volta anche i più frequentemente accusati dagli altri membri di non rispettare le regole

della WTO.

Il caso delle banane: una disputa esemplare29

L’Unione europea aveva un regime privilegiato con le ex colonie di Africa, Caraibi e Pacifico (“ACP”) e questo trattamento era considerato un importante contributo economico alla stabilità politica di tali paesi, che traggono da queste esportazioni gran parte del loro reddito.

Gli USA, l’11 aprile 1996, per conto della Chiquita Brands International, si appellarono alla WTO affinché un’apposita giuria si esprimesse sulla legalità di questo regime commerciale (trade, not aid!); la richiesta di giudizio si tradusse in una sentenza che invitava l’UE a smantellare il regime di importazione delle banane dai paesi ACP.

Nel gennaio 1998 la Commissione di Bruxelles presentò una proposta di modifica per adeguarsi alla sentenza, suggerendo una disciplina speciale per l’assistenza agli ACP fornitori tradizionali di banane per un periodo non superiore ai dieci anni. Scopo di questa assistenza finanziaria e tecnica sarebbe stato quello di facilitare l’esecuzione di programmi destinati a promuovere la competitività nel settore della banana, in particolare mediante l’aumento della produttività nel rispetto dell’ambiente, il miglioramento della qualità, l’adattamento dei metodi di produzione, di distribuzione e di commercializzazione alle norme qualitative stabilite dall’articolo 2 del regolamento (CEE) n.404/93.

La controproposta europea in pratica sosteneva che i paesi ACP in pratica non operano in condizioni di equa competizione, perché la loro produzione è il frutto di piccole piantagioni rispetto ai latifondi latino-americani, controllati o direttamente posseduti dalle grandi società come Chiquita, Dole e Del Monte.

La soluzione europea non è stata ritenuta soddisfacente e la giuria della WTO è stata nuovamente chiamata a redimere la questione. La sua sentenza del 9 aprile 1999 ha dato ragione alla tesi americana, autorizzando gli Stati Uniti ad imporre sanzioni commerciali contro l’UE per 191 milioni di dollari quale risarcimento danni; sanzioni che

29 WTO, “Trading into the Future”: Scheda descrittiva

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sono entrate subito in vigore attraverso dazi del 100% alle importazioni di numerosi prodotti europei soprattutto di lusso, che hanno colpito grandi imprese come Gucci e Louis Vuitton.

La lunga dispute commerciale si è conclusa definitivamente solo negli ultimi mesi del 2001 (gli USA hanno ritirato le sanzioni), quando le parti in causa si sono accordate per un regime più favorevole, fino al 2006, per le banane latino-americane, ma che contiene comunque un margine di preferenza per le banane ACP. A partire dal 2006 tutte le banane saranno poi trattate alla stessa maniera.

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Capitolo 3: Le grandi conferenze di Cristina Gagliarducci

Le Conferenze Ministeriali rappresentano il principale organo decisionale della WTO,

rafforzano l’impatto comunicativo e dettano le linee guida dell’Organizzazione ai più alti

livelli politici.

Si riuniscono almeno una volta ogni due anni e vi prendono parte i ministri responsabili

per il commercio estero, eventualmente coadiuvati da rappresentanti di altri ministeri

direttamente coinvolti nelle attività della WTO. Le Conferenze ministeriali possono

prendere decisioni in tutte le materie coperte dall’Organizzazione, ma generalmente in

occasione delle conferenze ministeriali vengono prese decisioni che hanno una particolare

rilevanza politica per l’Organizzazione stessa, prima fra tutte quella di lanciare nuovi

negoziati commerciali.

Sono cinque le conferenze ministeriali che si sono riunite a partire dall’istituzione della

WTO:

Singapore, 9-13 dicembre 1996

Ginevra, 18-20 maggio 1998

Seattle, 30 novembre-3 dicembre 1999

Doha, 9-13 novembre 2001

Cancún, 10-14 settembre 2003

La prossima conferenza ministeriale è prevista ad Hong Kong dal 13 al 18 dicembre

2005.

Singapore (1996) e Ginevra (1998)

Obiettivo primario della conferenza di Singapore è quello di definire un programma di

lavoro per la neo-costituita organizzazione internazionale del commercio. Ai due punti

cardine della built-in agenda – ovvero della revisione programmata delle regole ai

mutamenti del quadro commerciale internazionale – che sono l’agricoltura ed i servizi,

cominciano via via ad affiancarsi altri temi negoziali30: la politica della concorrenza, le

30 COHN, Theodore H., op.cit., p. 235

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facilitazioni commerciali, la politica degli investimenti e gli appalti pubblici, sostenuti da

alcuni paesi industrializzati; il tema degli standard lavorativi e dell’ambiente, richiesti da

un ristretto numero di paesi guidati dagli Stati Uniti e dalla Francia, ma fortemente

avversati dai paesi del Sud. Su concorrenza e investimenti vengono messi in piedi due

gruppi di lavoro che presentano i risultati del proprio lavoro nel dicembre 1998,

consigliando semplicemente di continuare la discussione nel corso dell’anno successivo.31

Infine da molti paesi industrializzati e dell’Est asiatico comincia a manifestarsi la volontà di

un accordo che estenda il commercio internazionale ai prodotti tecnologici. Quest’ultimo

tema, non condiviso dai paesi in via di sviluppo, porterà 40 membri della WTO a firmare

nel marzo del 1997 l’Information Technology Agreement.

Il dibattito sugli argomenti da includere nell’agenda negoziale prosegue nel corso della

seconda conferenza ministeriale, dal 18 al 20 maggio 1998 a Ginevra, quando i membri

della WTO approvano un programma di lavoro per il lancio di un nuovo round negoziale

nel 1999.

Seattle (1999)

L’impegno finale dell’Uruguay Round di riprendere entro tempi brevi i negoziati nei due

settori chiave dell’agricoltura e dei servizi si traduce nella decisione di lanciare un nuovo

round di negoziati in occasione della terza conferenza ministeriale della WTO, a Seattle dal

30 novembre al 3 dicembre 1999. Nelle intenzioni dei membri si tratta di un round

ambizioso, da chiamarsi Millennium Round, comprendente un vasto numero di tematiche

che vanno dalle sfide tradizionali alle non-trade o new-trade issues, quali ad esempio la

protezione dell’ambiente o gli aspetti sociali.

Contemporaneamente a questa iniziativa si riscontrano però due importanti sviluppi.32

Da un lato ci si rende conto del mutato scenario internazionale, caratterizzato da

un’economia sempre più globale e da un’ondata di neo-protezionismo. Gran parte dei

membri della WTO – soprattutto l’Unione europea – cominciano quindi ad avvertire la

necessità di riformare anche dal punto di vista regolamentare i meccanismi definiti a

Marrakech.

Dopo l’Uruguay Round si era stabilito di negoziare le riduzioni delle barriere commerciali nell’ambito dei servizi e dell’agricoltura entro cinque anni dalla creazione della WTO. 31 HOLMES P: e YOUNG A.R., “Concorrenza, investimenti ed il nuovo Round di negoziati” in Il Millennium Round, il WTO e l’Italia, a cura di Isabella FALAUTANO e Paolo GUERRIERI, Quaderni IAI, n.8, ottobre 1999, p. 54 32 PARENTI A., op. cit., p. 102

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Dall’altro lato cresce sensibilmente l’interesse dell’opinione pubblica mondiale e delle

organizzazioni non governative (ONG) verso la WTO e in generale verso tutte le

organizzazioni internazionali a carattere economico. Questo interesse si trasforma ben

presto in accesa protesta contro le politiche perseguite da tali organismi, dando vita a

quello che verrà denominato “il popolo di Seattle”, dal nome della città dove si svolge

appunto la terza conferenza ministeriale. La critica principale rivolta alla WTO riguarda il

suo funzionamento, in particolare la mancanza di trasparenza ed il ruolo predominante dei

paesi sviluppati a discapito di quelli in via di sviluppo. L’opinione pubblica si mostra inoltre

sempre più attenta a questioni quali l’ambiente, gli investimenti, la tutela dei consumatori,

la salute pubblica e la sicurezza alimentare.

La conferenza di Seattle si risolve dunque in un fallimento. Alle proteste della società

civile contro la globalizzazione si aggiungono infatti le resistenze di Europa e Giappone

verso un’effettiva liberalizzazione del settore agricolo, la mancanza di leadership da parte

degli Stati Uniti – molto cauti a causa di forti vincoli interni – ed infine il nuovo ruolo dei

paesi in via di sviluppo e la loro volontà di essere coinvolti a tutti gli effetti in qualità di full

members. 33

Doha (2001)

La quarta conferenza ministeriale della WTO si svolge dal 9 al 14 novembre 2001, in un

contesto molto particolare: quello della mobilitazione anti-terroristica mondiale seguita ai

tragici avvenimenti dell’11 settembre 2001.34

Compresa la lezione di Seattle, i 142 paesi riuniti nel Qatar annunciano finalmente la

decisione di avviare il 1° gennaio 2002 un nuovo round triennale di negoziati sugli scambi

internazionali, e ne illustrano gli obiettivi all’interno della “Agenda di Doha per lo sviluppo”.

Si tratta di un documento che nel complesso impegna i membri della WTO ad aiutare i PVS

ad integrarsi nel sistema internazionale degli scambi ed a coinvolgerli maggiormente nel

processo normativo, fornendogli le competenze e l’assistenza tecnica necessaria.

33 FALAUTANO, Isabella, The WTO and its Institutional Future: Evaluating the Lessons of Seattle, Roma, Istituto Affari Internazionali, 2000 34 MARRE B., Doha: Un essai à transformer: Le bilan de la quatrième conférence ministérielle de la WTO, 9 – 13 novembre 2001, Rapport d’information déposé par la délégation de l’Assemblée nationale pour l’Union européenne, Paris, Assemblée Nationale, 2002, p. 10 La situazione a Doha si presenta caratterizzata da una triplice volontà: quella dei paesi occidentali di scoraggiare qualsiasi correlazione tra islam e terrorismo; quella del mondo arabo-mussulmano di evitare qualsiasi sospetto di accondiscendenza nei confronti dei terroristi; infine quella del resto del mondo, ben deciso ad evidenziare il proprio sostegno a questa lotta.

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All’Agenda per lo sviluppo si affiancano due importanti dichiarazioni: la prima in tema di

applicazione delle regole vigenti, per la creazione di un quadro normativo non

discriminatorio che garantisca la prevedibilità, la stabilità e la trasparenza al fine di evitare

che non siano soltanto i paesi ricchi a trarre dei benefici da un mercato globalizzato. La

seconda sul rapporto tra la tutela della salute e la protezione dei diritti di proprietà

intellettuale (“Declaration on the TRIPS Agreement and Public Health”), per cui gli accordi

WTO possono essere interpretati in maniera tale da consentire ai paesi membri, ove

necessario, di adottare le misure opportune per proteggere la salute pubblica (ad esempio

fornire farmaci essenziali a prezzi accessibili).35

I ministri riuniti a Doha concordano inoltre sulla necessità di affrontare i problemi che

riguardano il commercio e l’ambiente all’interno di un contesto multilaterale, dove sfide

come i cambiamenti climatici o lo smaltimento dei rifiuti tossici vengano trattate in

armonia con quelle relative al sistema internazionale degli scambi, affinché si rafforzino a

vicenda.

Si riconosce, in ultimo, l’interdipendenza tra la promozione degli scambi e lo sviluppo

sociale. La WTO e l’ILO – International Labour Organization stabiliscono di intensificare la

loro collaborazione per compiere progressi in relazione agli aspetti sociali del commercio,

ivi comprese le norme del lavoro.

La globalità e la coerenza dei risultati delle trattative viene garantita dal cosiddetto

single undertaking, ossia il principio che lega tutte le questioni in via di negoziazione. Il

paragrafo 47 della Dichiarazione ministeriale stabilisce infatti che “the conduct, conclusion

and entry into force of the outcome of the negotiations shall be treated as parts of a single

undertaking”. Viene altresì prevista la possibilità di accordi anticipati – “agreements

reached at an early stage may be implemented on a provisional or a definitive basis” –

35 MARRE B., op. cit., pp. 10-11 L’Accordo di Doha comprende l’adozione di cinque testi: - una Decisione sulle questioni e le preoccupazioni legate alla messa in opera degli accordi di

Marrakech da parte dei paesi in via di sviluppo; - una Dichiarazione ministeriale, che fissa il programma di lavoro dei negoziati commerciali

multilaterali da svolgere dal 2002 al 2005 - una Dichiarazione sull’Accordo relativo agli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale che

riguardano il commercio (ADPIC) e la salute pubblica; - una comunicazione delle procedure per le proroghe accordate ai paesi in via di sviluppo al titolo

dell’Accordo sulle sovvenzioni e le misure compensative; - il riconoscimento dell’Accordo di Cotonou, tra l’Unione europea e gli ACP. A questi documenti si aggiunge la Dichiarazione sul miglioramento e la chiarificazione del Memorandum d’accordo per il trattamento delle controversie, conclusa il 31 maggio 2003.

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anche se comunque, nel rispetto del single undertaking, il bilancio globale di tutti i risultati

è programmato alla fine del ciclo.

Un’altra tappa significativa raggiunta nel corso della Conferenza ministeriale di Doha è

l’approvazione, per consenso, dell’ingresso nella WTO della Cina e di Taiwan36, che rinforza

il peso politico dei paesi del Sud del mondo e conferisce all’organizzazione un carattere

ancora più universale.

Nel complesso, il nuovo round che viene lanciato a Doha si apre dunque all’insegna di

un nuovo slancio che assegna all’Organizzazione mondiale del commercio un ruolo più

incisivo in termini di promozione della crescita economica, sviluppo sostenibile e

miglioramento della governance mondiale.

Cancún (2003)

Nonostante le premesse positive di Doha, la quinta conferenza ministeriale della WTO si

rivela un nuovo insuccesso. Il summit si riunisce in Messico dal 10 al 14 settembre 2003 e

vede la partecipazione di ben 148 paesi – ultimi ad aderire la Cambogia ed il Nepal – oltre

ai rappresentanti di associazioni di categoria e ONG, ma si risolve con la chiusura

anticipata dei negoziati

A Cancún emergono infatti due contrasti fondamentali, quello sui sussidi agricoli e

quello sulle cosiddette Singapore issues.

Nel primo caso la contesa è rappresentata dal protezionismo delle superpotenze ai

danni delle piccole aziende africane, asiatiche e latino-americane. USA e UE – quest’ultima

incapace di raggiungere una riforma della sua politica agricola – non concordano

sull’abolizione delle sovvenzioni alla propria produzione agricola a vantaggio delle grandi

multinazionali agroalimentari; applicano cioè dazi doganali sui prodotti concorrenziali

provenienti dal resto del mondo, rendendo i loro prodotti meno cari sul mercato

mondiale.37 Una coalizione eteroclita, detta Gruppo dei 22 (“G22”), rappresentante più

36 Taiwan viene fatta accedere alla WTO quale “membro” e non “stato membro”, per evitare problemi diplomatici con il governo cinese. 37 MARTINELLI M., Il commercio mondiale nell’era della globalizzazione: dal GATT alla WTO al contesto attuale, ISE, 2003, p. 84 Da notare che le sovvenzioni all’agricoltura hanno generato grandi quantità di eccedenze alimentari, per cui i magazzini europei traboccano di grano, latte, burro, carne, e per smaltirli l’Unione europea concede contributi alle esportazioni affinché siano venduti sul mercato internazionale a prezzi ribassati. Ciò significa che a Nairobi o a Dakar i pomodori europei costano meno di quelli locali. Ma se questo può sembrare positivo per gli abitanti delle città, non lo è per i piccoli contadini che rappresentano la maggioranza della popolazione del sud: per loro, l’arrivo dei prodotti agricoli

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della metà della popolazione mondiale tra cui la Cina, il Brasile e l’India, si oppone a

questa politica tariffaria selettiva, che ostacola fortemente l’accesso dei prodotti agricoli

provenienti dal Sud ai mercati del Nord, ma le sue richieste non vengono ascoltate.

Nel secondo caso sono proprio i PVS a rifiutarsi di mettere in discussione il pacchetto di

Singapore, cioè i quattro argomenti sui quali la WTO voleva avviare nuovi negoziati:

investimenti, concorrenza, trasparenza degli appalti e facilitazioni al commercio.

A quattro anni di distanza si ripete così lo scenario di Seattle, con lo scontro tra mondo

ricco e mondo povero sui flussi commerciali. “Il Doha Round – afferma il negoziatore

europeo, l’allora Commissario Pascal Lamy – non è morto, ma certo ha bisogno di una

terapia intensiva…ci vorrà molto lavoro…A Cancún ci prefiggevamo di raggiungere almeno

il 50% degli obiettivi fissati a Doha, ci siamo fermati al 30%”.

Probabilmente la vera novità del sesto vertice è proprio il crearsi di alleanze fra paesi

molto diversi, come il G22 o il “G90”, un vasto raggruppamento degli stati più poveri,

soprattutto africani, che per la prima volta riescono a mantenere un “potere contrattuale”

ed una coesione sufficienti, nonostante le pressioni dei Paesi ricchi e i differenti punti di

vista su alcune questioni.

A Cancún, a differenza di Seattle, il Sud del mondo si pone quindi come soggetto

politico forte ed autorevole ed il fallimento del vertice sta soprattutto nel non aver colto

questo dato politico nuovo.

Il dibattito sulla riforma della WTO: il problema della trasparenza, il ruolo

delle ONG e della società civile, la cooperazione con le altre organizzazioni

internazionali

Nonostante la sua creazione sia relativamente recente, la WTO è stata oggetto negli

ultimi anni di accesi dibattiti incentrati sul tema di una sua possibile riforma. Si parla

infatti con insistenza di una “duplice sfida” cui l’organizzazione deve far fronte: la prima

proveniente dal suo interno, da parte della maggioranza dei suoi membri, di natura

soprattutto regolamentare; la seconda proveniente dall’esterno dell’organizzazione, da

parte dell’opinione pubblica mondiale che critica sempre più accesamente le politiche

perseguite in generale dalle organizzazioni internazionali a carattere economico.

sovvenzionati equivale infatti al fallimento, dal momento che sono costretti ad adattarsi a dei prezzi

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In particolare, le tematiche sui cui oggi i membri si trovano a riflettere sono molteplici e

possono distinguersi in due ampie categorie:38quelle che riguardano la “trasparenza

interna”, ovvero la struttura istituzionale della WTO ed i relativi metodi di lavoro, e quelle

che riguardano la “trasparenza esterna”, riferita all’immagine di sé che l’organizzazione

trasmette sul piano internazionale.

1) La “trasparenza interna”:

il decision making: nonostante l’esperienza sinora maturata mostri l’adeguatezza dei

meccanismi decisionali esistenti ed il valore del principio del consensus – che garantisce

anche ai singoli paesi la concreta possibilità di bloccare l’adozione di decisioni – ci si

interroga sempre più spesso sull’opportunità di optare per una votazione espressa a

maggioranza, introducendo meccanismi di ponderazione analoghi a quelli vigenti nelle

organizzazioni internazionali economiche.

il rafforzamento del ruolo del Segretariato e del Direttore Generale: chi lavora

stabilmente a Ginevra necessita di un ruolo più incisivo; in particolare, al Direttore

Generale andrebbero attribuiti da un lato il potere di iniziativa, dall’altro risorse umane e

finanziarie più consistenti. Da valutare, inoltre, l’ipotesi di creare un organo esecutivo

ristretto con una partecipazione a rotazione dei membri, eventualmente sulla base di un

criterio misto di ponderazione economica e di rappresentanza geografica.

il deficit democratico: nel sistema della WTO il potere legislativo ha un ruolo

decisamente marginale, dal momento che la consultazione dei rispettivi parlamenti è sì

doverosa ma sempre tardiva. E’ invece essenziale che siano proprio i parlamenti nazionali

ad assegnare ai governi un preciso mandato negoziale, che poi vengano regolarmente

informati sull’andamento delle trattative per esercitare un effettivo controllo democratico

delle attività ed arrivare alla fase della ratifica con una solida base di consenso interno.39

il sistema del “rule-oriented”: i processi decisionali ed i meccanismi di risoluzione delle

controversie devono essere resi fruibili per i paesi in via di sviluppo, che hanno spesso

difficoltà concrete nel partecipare attivamente. Compiti quali la raccolta delle informazioni,

che non coprono neanche le spese di produzione. 38 VENTURINI G. op. cit., p. 105 39 VENTURINI G. op. cit., p. 107-108 Nei paesi dell’Unione europea la partecipazione parlamentare al sistema WTO è particolarmente critica, perché i parlamenti nazionali hanno ceduto all’UE i poteri in materia di politica commerciale esterna e possono pertanto solo formulare indicazioni, che devono essere recepite dai comitati comunitari come il “Comitato 113” o il COREPER. Esiste inoltre un apposito comitato del Parlamento

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l’analisi dei costi e benefici, il monitoraggio degli effetti degli impegni impresi richiedono

infatti costi elevati, sia in termini economici che di risorse umane dedicate.40 Ove questi

costi non siano accessibili, sono necessarie soluzioni nuove, quali ad esempio: l’attivazione

di procedure di assistenza tecnica sia in fase di accessione che di partecipazione; la

cooperazione con altri organismi internazionali di assistenza allo sviluppo; il sostegno ad

iniziative che facilitino una sorta di “rappresentanza comune” tra paesi simili o gruppi di

paesi.

l’aumento del numero dei partecipanti: il sostegno all’adesione del maggior numero di

paesi, siano essi potenze commerciali – come la Russia – o piccoli stati, estende i vantaggi

del sistema commerciale globale. In questo senso vanno promosse iniziative analoghe a

quella lanciata dall’UE nel 1999, “The WTO Accessions Initiative”, finalizzata

all’alleggerimento dei procedimenti di adesione (che di norma durano cinque anni).

2) La “trasparenza esterna”:

la scarsa accessibilità delle fonti: spesso la divulgazione dei documenti della WTO non

è immediata. Spetta invece agli stati membri informare i propri cittadini sulle questioni in

discussione a Ginevra e rendere pubblica la posizione del governo nazionale organizzando

dibattiti e promuovendo un confronto con i vari attori istituzionali e civili.

il ruolo della società civile: nel corso delle ultime negoziazioni commerciali è emersa

con forza la necessità di coinvolgere i “non-state actors”, secondo la definizione che la

WTO da della “società civile”, ovvero le associazioni di categoria (camere di commercio,

sindacati, operatori nei vari settori industriali), i gruppi ambientali o dei consumatori, le

istituzioni accademiche e di ricerca, e le organizzazioni non governative.

Il GATT non aveva mai stabilito rapporti formali con tali soggetti, ed anche l’articolo V.2

dell’Accordo istitutivo è piuttosto vago.41 Considerato però l’aumento sensibile

dell’interesse della società civile nei confronti della WTO, da più parti viene proposto di

stabilire relazioni ufficiali con le organizzazioni non governative che si occupano di materie

collegate a quelle di competenza dell’Organizzazione, ad esempio attraverso un apposito

ufficio ed una partecipazione stabile alle attività di alcuni Comitati. Il processo di

europeo, il “Comitato REX”, che segue le materie relative alla WTO, elabora rapporti e formula raccomandazioni in proposito. 40 Il Millennium Round, il WTO e l’Italia, op.cit., p.34-35 41 “Il Consiglio Generale può adottare adeguate disposizioni per tenere consultazioni o per cooperare con organizzazioni non governative operanti in settori attinenti a quelli contemplati dalla WTO”.

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consultazione dei non-state actors dovrebbe quindi diventare sistematico, fino a

riconoscere alle ONG lo status di osservatori.

la cooperazione con le altre organizzazioni internazionali: vista la crescente

complessità del mercato mondiale, occorre situare la WTO nel quadro della cooperazione

istituzionale fra gli stati, e quindi rilanciare il coordinamento “orizzontale” con le altre

organizzazioni internazionali che si occupano di commercio e, più ampiamente, di

questioni economiche. 42

Per quanto riguarda le Nazioni Unite, la WTO – che non nasce quale agenzia

specializzata dell’ONU – nel 1995 avvia uno scambio di lettere tra i rispettivi esecutivi e

stabilisce forti legami cooperativi, in particolare con l’UNCTAD – United Nations Conference

on Trade and Development, cui riconosce lo status di osservatore presso tutti i principali

organi della WTO, in ragione del potenziale contributo in determinati settori.

Analogamente, lo status di osservatore è concesso alla World Intellectual Property

Organization (WIPO) nell’ambito delle responsabilità in materia di proprietà intellettuale,

all’International Telecommunications Union (ITU) nell’area dei servizi, all’Office

International des Epizooties (OIE) ed alla World Customs Organization (WCO). 43

Importanti legami esistono poi con il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca

Mondiale sulla base dell’interrelazione fra commercio, tassi di cambio e condizioni

finanziarie. Nel 1996 la WTO conclude infatti con queste due istituzioni un accordo che

stabilisce un obbligo generale di consultazione reciproca ed autorizza i membri del

Segretariato a partecipare in qualità di osservatori ai comitati esecutivi di FMI e BM

quando si trattano questioni relative al commercio.

Rispetto agli standard lavorativi ed all’International Labour Organization, la

Dichiarazione Ministeriale di Singapore del 1996 afferma che l’ILO rappresenta “the

competent body to set and deal with the standards” e che “the WTO and ILO Secretariats

will continue their existing collaboration”.

Ci sono poi i rapporti con le organizzazioni che si occupano di ambiente, per cui il

Segretariato della WTO è in contatto con quello dell’UNEP (United Nations Environment

42 World Trade Organization, The Future of the WTO. Addressing Institutional Challenges in the New Millennium, Report by the Consultative Board to the Director-General, Geneva, 2005, p. 36 Per “coordinamento orizzontale” si intende il potenziale contributo che le varie organizzazioni internazionali possono apportare alle attività della WTO, che a sua volta gli riconosce lo status di osservatore. Lo status di osservatore non è quindi automatico, bensì si differenzia sulla base delle varie responsabilità degli organi della WTO. 43 World Trade Organization, The Future of the WTO, op.cit. pp. 36-37

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Programme) e con quelli dei vari Multilateral Environmental Agreements (MEAs). Ulteriori

sviluppi in questo settore sono attesi con le conclusioni del Doha Round.

Da citare, inoltre, alcune iniziative di cooperazione multilaterale a livello pratico, come

la creazione nel 2002 da parte della WTO in collaborazione con FAO, WHO (World Health

Organization), OIE (Organisation mondiale de la santé animale) e Codex Alimentarius di

un nuovo fondo denominato “Standards and Trade Development Facility”. Il fondo è

amministrato dalla WTO e fornisce un supporto finanziario a progetti di assistenza tecnica

che migliorano la sicurezza alimentare e la salute di piante e animali.

Un altro esempio interessante di cooperazione orizzontale è infine il “Piano d’Azione”

stabilito in occasione della conferenza ministeriale di Singapore del 1996 allo scopo di

gestire problemi specifici legati al commercio dei paesi meno sviluppati. Questo Piano ha

portato nel 1997 al lancio della “Integrated Framework”, attraverso la quale la WTO, l’FMI,

la BM, l’UNCTAD e l’ITC (International Trade Center) combinano i loro sforzi, ognuno nella

propria area di competenza ed unitamente a quelli dei donatori, per garantire assistenza al

commercio ed ai bisogni di capacity-building dei paesi meno sviluppati. Finora tale

facilitazione è stata applicata ad un numero piuttosto ridotto di membri, ma nel lungo

termine dovrebbe rivelarsi uno strumento vincente nella lotta alla povertà.

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Capitolo 4: Dal 1995 al 2006. Un primo bilancio di Giuseppe Schiavone

Gli stessi successi conseguiti, attraverso i negoziati commerciali tenuti nell’ambito del

GATT, nella riduzione delle tradizionali barriere al movimento internazionale delle merci

avevano contribuito a porre ancor più in evidenza altri settori nei quali era ed è urgente

intervenire per rafforzare il sistema commerciale multilaterale come i servizi, la proprietà

intellettuale, la disciplina degli appalti pubblici, la regolamentazione degli investimenti

esteri e della concorrenza.

Nel 1995, il Trade Policy Review Mechanism, definitivamente istituzionalizzato

nell’ambito della WTO quale meccanismo di esame delle politiche commerciali, ha esteso

la propria competenza ai servizi, alla proprietà intellettuale e ad altre politiche previste

dall’Uruguay Round. Si è riconfermato l’elevato grado di liberalizzazione esistente per i

prodotti industriali, mentre ricorrenti tendenze protezionistiche continuano a interessare i

prodotti agricoli. Per i prodotti tessili e dell’abbigliamento sono state progressivamente

eliminate le misure restrittive che avevano caratterizzato gli scambi nel settore per oltre

quattro decenni. Dal 1° gennaio 2005 sono stati aboliti i 210 contingenti all’importazione

di prodotti tessili e dell’abbigliamento mantenuti dall’UE nei confronti di 11 paesi membri

della WTO. Lo spettacolare aumento delle importazioni dei suddetti prodotti, in

provenienza soprattutto dalla Cina, ha portato l’Italia e la Francia a chiedere all’UE di

adottare adeguate misure di salvaguardia per evitare danni probabilmente irrimediabili alle

industrie comunitarie del settore con gravissime ripercussioni sui livelli occupazionali. Un

apposito accordo è stato quindi stipulato tra UE e Cina al fine di limitare le importazioni di

tessili cinesi fino alla fine del 2007.

Il meccanismo di soluzione delle controversie ha cominciato ad operare agli inizi del

1995; a fine 2004, il totale delle controversie sottoposte al DSB aveva raggiunto il numero

di 323, con la creazione di 162 panels. I panels hanno proceduto all’adozione di appositi

rapporti in 115 casi. In pratica, ben più della metà delle controversie sottoposte alla WTO

si sono risolte attraverso consultazioni bilaterali tra le parti interessate, senza che sia stato

necessario ricorrere alla costituzione di un apposito panel. Contro il 75% circa dei rapporti

dei panels è stato presentato ricorso. Se è innegabile che gli Stati Uniti, la Comunità

europea e il Giappone sono stati tra i principali protagonisti delle controversie va rilevato,

peraltro, che anche i paesi in via di sviluppo hanno utilizzato le possibilità offerte

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dall’organo di risoluzione delle controversie. Può essere interessante sottolineare, inoltre,

che sono state sottoposte più controversie alla WTO nell’arco di un decennio di quante ne

siano state sottoposte al GATT durante mezzo secolo.

La prima Conferenza ministeriale della WTO ebbe luogo a Singapore dal 9 al 13

dicembre 1996; la seconda si svolse a Ginevra dal 18 al 20 maggio 1998; la terza,

organizzata a Seattle, USA, dal 30 novembre al 3 dicembre 1999, si concluse senza alcun

accordo sui temi che dovevano essere trattati per cui si rivelò impossibile lanciare il

cosiddetto Millennium Round di negoziati multilaterali. Oltre all’incapacità delle delegazioni

presenti a Seattle di raggiungere anche un minimo accordo, la riunione era stata

caratterizzata da forti contestazioni da parte di rappresentanti delle ONG e della società

civile.

La quarta Conferenza ministeriale, svoltasi a Doha, Qatar, dal 9 al 13 novembre 2001,

riuscì a mettere a punto in un apposito documento, la cosiddetta agenda di Doha per lo

sviluppo - Doha Development Agenda (DDA) - le maggiori questioni oggetto di dibattito e

a lanciare finalmente un nuovo round di negoziati commerciali multilaterali nei quali i

problemi dello sviluppo dovrebbero avere un ruolo dominante. Il Trade Negotiations

Committee (TNC) istituito a Doha, con il mandato di negoziare su una vasta gamma di

settori, avrebbe dovuto concludere i lavori entro la data del 1° gennaio 2005.44

I notevoli ostacoli obiettivamente incontrati in sede negoziale e i frequenti irrigidimenti

dei maggiori protagonisti su importanti questioni hanno causato ripetuti rinvii delle

scadenze originariamente fissate. L’andamento del processo negoziale fu nuovamente

esaminato in occasione della Conferenza ministeriale (la quinta) tenuta a Cancún, Messico,

dal 10 al 14 settembre 2003 e conclusasi con un sostanziale fallimento, anche a causa dei

radicali contrasti emersi a proposito delle questioni dette di Singapore (Singapore issues).

Entrate nel programma di lavoro della WTO attraverso la Dichiarazione conclusiva della

Conferenza ministeriale di Singapore, le suddette questioni riguardano i rapporti tra

commercio e investimenti, commercio e politica di concorrenza, la trasparenza degli

appalti pubblici e le facilitazioni agli scambi.

Nel luglio 2004 il Consiglio generale della WTO è riuscito a raggiungere, dopo molti

sforzi, un accordo-quadro che stabilisce le scadenze per la formulazione di nuove regole

commerciali in vista della Conferenza ministeriale da tenersi a Hong Kong nel dicembre

44 Era prevista un’eccezione relativa ai negoziati sul sistema di risoluzione delle controversie e all’istituzione di un registro multilaterale di indicazioni geografiche per vini ed alcolici che dovevano terminare, in linea di principio, nel 2003.

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2005. Il cosiddetto “July package”, formalmente adottato dal Consiglio generale il 1°

agosto 2004, aveva per obiettivo di recuperare almeno parzialmente il tempo perduto

attraverso progressi in particolare nei negoziati sull’accesso al mercato e definendo quadri

di riferimento per i prodotti agricoli e non-agricoli. E’ stata deliberata, in linea di principio,

l’eliminazione delle sovvenzioni all’esportazione di prodotti agricoli, pur se non si è riusciti

a fissare una scadenza precisa. Inoltre, si è stabilito di aprire negoziati sulle facilitazioni

agli scambi, una tra le più delicate questioni di “Singapore”.

Sembrava, in effetti, che il July package potesse offrire una base utile e relativamente

solida per far sì che ad Hong Kong si raggiungesse un accordo su determinati punti

fondamentali, così da rendere possibile la conclusione del DDA entro il 2006.45 I suddetti

punti comprendono: le nuove modalità da seguire per il negoziato in materia di agricoltura

e, in particolare, il modo per calcolare il valore dei dazi sui prodotti agricoli; le modalità di

negoziato per i prodotti non-agricoli; offerte consistenti e ben articolate in materia di

servizi; le facilitazioni commerciali; un adeguato ripensamento del ruolo delle politiche di

sviluppo.

La sesta Conferenza ministeriale ha avuto luogo a Hong Kong dal 13 al 18 dicembre

2005. I partecipanti, pur riconfermando l’impegno di massima a concludere positivamente

il negoziato entro il 2006, non sono riusciti a raggiungere l’accordo su un documento

finale. Persistenti difficoltà e vivaci contrasti di interesse tra le maggiori potenze

commerciali – soprattutto in materia di agricoltura e di accesso al mercato dei prodotti

non agricoli – hanno condotto, alla fine di luglio 2006, alla grave (ma non inattesa)

decisione di sospendere formalmente la trattativa multilaterale, con pesanti ripercussioni

sulla credibilità del sistema commerciale internazionale. “ No deal is better than a bad

deal” sembra essere stata la posizione di alcuni negoziatori, in particolare di oltre

Atlantico, i quali hanno categoricamente rifiutato di accettare quello che ai loro occhi

appariva un accordo limitato e di scarsa sostanza, vale a dire un “Doha Lite”.

Le difficoltà d’ogni genere incontrate nei negoziati multilaterali e il conseguente

slittamento delle date di scadenza entro cui pervenire agli accordi sulle materie oggetto di

trattativa si sono poi accompagnate a un aumento, per certi versi preoccupante, della rete

dei rapporti bilaterali e regionali attraverso la costituzione di aree fondate su trattamenti

preferenziali. La proliferazione delle zone di libero scambio e unioni doganali create da

45 E’ importante precisare a questo riguardo che l’autorità negoziale “fast-track” concessa dal Congresso degli Stati Uniti al Presidente scadrà nel luglio 2007 e molto difficilmente potrà essere rinnovata, tenuto anche conto del rafforzamento delle tendenze protezioniste in quel paese.

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organizzazioni regionali e sub-regionali potrebbe rischiare di compromettere non soltanto

il processo di liberalizzazione ma la stessa stabilità economica e politica del mondo.

Su un piano più generale, aspetti controversi si profilano in riferimento alla tendenza -

soprattutto da parte americana ed europea - a collegare direttamente questioni di

carattere economico e commerciale con problematiche di ordine politico e sociale. Sono

ben noti i tentativi di subordinare la concessione di determinati benefici ai paesi in via di

sviluppo al soddisfacimento da parte di questi ultimi di determinate condizioni minime in

materia di rispetto della democrazia e dei diritti umani. I paesi in via di sviluppo vedono

spesso dietro le preoccupazioni “umanitarie” del mondo industrializzato l’insidiosa

manifestazione di un neo-protezionismo inteso a ridurre i loro margini di competitività

attraverso l’imposizione di gravosi standard nei campi della legislazione sociale, del lavoro

e dell’ambiente.

La partecipazione della Comunità europea

La Comunità europea costituisce il più numeroso e consolidato raggruppamento di stati

presente a pieno titolo nell’ambito della WTO ed è, con il 20% delle esportazioni e

importazioni mondiali, uno dei principali attori dei negoziati multilaterali insieme con gli

Stati Uniti e il Giappone e il G20 e il G90. Quest’ultimo Gruppo comprende i paesi ACP

(Africa, Caraibi e Pacifico), i membri dell’Unione africana e i paesi in via di sviluppo meno

avanzati.

Altre organizzazioni regionali di integrazione riescono in determinati casi a coordinare le

posizioni da assumere in sede WTO e perciò a parlare “con una voce sola” su determinati

argomenti di comune interesse. Esempi a questo riguardo si possono ritrovare

nell’Associazione delle nazioni del sudest asiatico (ASEAN) e nel Mercosur (Mercato

comune del cono sud dell’America latina) che possono ricorrere a un unico portavoce, in

genere scelto a rotazione tra i membri, per presentare specifiche proposte e posizioni

negoziali. Tali organizzazioni, peraltro, non fanno, in quanto tali, direttamente parte della

WTO e devono operare tramite gli stati membri partecipanti.46 Una particolare coalizione di

stati nell’ambito della WTO è costituita dal Gruppo di Cairns che aggrega paesi

(attualmente 18) tra loro a livelli assai diversi di sviluppo economico ma uniti nel comune

intento di liberalizzare il commercio mondiale di prodotti agricoli.

46 Nel caso dell’ASEAN, ad esempio, solo sette stati su un totale di dieci sono membri della WTO.

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Ben diverso è il caso della Comunità europea, rappresentata dalla Commissione

europea; quest’ultima esprime in sede WTO, nella stragrande maggioranza dei casi, il

punto di vista ufficiale concordato tra i paesi membri attraverso apposite riunioni di

coordinamento tenute a Bruxelles e Ginevra. Ciò deriva dall’esistenza di una competenza

comunitaria esclusiva in materia di politica commerciale, fondata su principi uniformi,

quale componente essenziale dell’unione doganale instaurata tra i membri della Comunità.

Secondo l’art. 133, par. 3, del Trattato istitutivo della Comunità europea, qualora si

debbano negoziare accordi con altri stati o con organizzazioni internazionali, “la

Commissione presenta raccomandazioni al Consiglio che l’autorizza ad aprire i negoziati”

in questione. La Commissione conduce i negoziati “in consultazione con un comitato

speciale designato dal Consiglio per assisterla in questo compito e nel quadro delle

direttive che il Consiglio può impartirle”. Oggetto dei negoziati possono essere non

soltanto le politiche commerciali ma anche gli scambi di servizi e gli aspetti commerciali

della proprietà intellettuale (art. 133, par. 5). Regole diverse sono previste, invece, dal

successivo par. 6 dell’art. 133 relativamente alla negoziazione di accordi “nei settori degli

scambi di servizi culturali e audiovisivi, di servizi didattici nonché di servizi sociali e relativi

alla salute umana” in quanto rientranti nella competenza ripartita della Comunità e degli

stati membri e quindi assoggettati al consenso di questi ultimi.

Sulla base delle disposizioni ora richiamate, la Commissione europea negozia in sede

WTO per conto dei 25 paesi membri, in consultazione con il suddetto comitato speciale,

conosciuto come Comitato 133. Il suddetto Comitato, composto dai rappresentanti dei

paesi membri e della Commissione, si riunisce a Bruxelles, generalmente ogni settimana,

per definire e coordinare le posizioni da assumere sia sulle grandi questioni di politica

commerciale sia in riferimento a specifici problemi e prodotti. Attraverso il Comitato 133,

la Commissione prepara e ottiene l’assenso dei paesi membri sulle questioni all’ordine del

giorno. In pratica, sono i funzionari della Direzione Generale del Commercio della

Commissione europea che partecipano ai negoziati WTO e parlano a nome della Comunità.

E’ interessante sottolineare che la Commissione si sta adoperando per un maggiore

coinvolgimento del Parlamento europeo nei negoziati commerciali in corso. La

Commissione, infatti, consulta e informa regolarmente il Parlamento circa l’andamento dei

negoziati, in vista anche di un eventuale futuro ampliamento dei poteri del Parlamento

medesimo in materia di commercio internazionale.

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In quanto all’Italia, il processo di formazione della posizione italiana nella fase di

predisposizione degli atti comunitari e l’adempimento degli obblighi derivanti

dall’appartenenza all’UE sono stati recentemente ridefiniti e precisati.47

47 Legge 4 febbraio 2005, n. 11 - Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari (GU del 13 febbraio 2005, n. 37). Cfr. Relazione annuale al Parlamento 2004-2005 sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea, predisposta in base all’art. 15 della legge sopra citata.

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PARTE II

Riflessione sul senso complessivo del sistema WTO, sul ruolo dell’UE e dell’Italia

Relazione di Dario Ciccarelli48

“L'Italia sta chiaramente attraversando un'involuzione culturale drammatica che non le

permette di vedere e capire qual è il suo posto nel mondo. Per cui si assumono

atteggiamenti superficiali e snobistici. E' come se fossimo una vecchia marchesa che

guarda la vita dalla finestra e non la capisce. Stiamo attraversando una grande

rivoluzione: negli ultimi anni sono arrivati sui mercati due miliardi di individui che prima ne

erano tenuti fuori e nei prossimi anni ne entreranno in campo altri due miliardi. E'

qualcosa che cambia tutto e ovunque provoca reazioni, positive e negative … [L'Italia]

rischia di fare tutte le scelte sbagliate: per incomprensione di ciò che succede”.

(Corriere della Sera, 29 dicembre 1996. Intervista a Renato Ruggiero, Direttore

Generale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio).

1. Premessa

In questo articolo si tenterà di descrivere, in maniera necessariamente sintetica e

quindi sulla base di una inevitabile valutazione personale circa gli aspetti più importanti da

comunicare, quella rivoluzione copernicana che ha avuto luogo a Marrakesh il 15 aprile

1994 e il cui frutto s’identifica nel sistema giuridico che regola l’organizzazione del

commercio mondiale.

Si tenterà inoltre di argomentare rispetto al fatto che la cd. globalizzazione - come tale

intendendo l’interconnessione cosmica dei processi di qualsiasi natura - è una vicenda che

si caratterizza anzitutto per la sua capacità avvolgente. La globalizzazione, infatti, riguarda

tutto e tutti: chi non se ne rende conto ne resta inevitabilmente travolto.

Si proverà anche ad orientare l’analisi in chiave di propositività per l’Italia, nell’auspicio

che possa conseguirne l’identificazione di nuove praticabili vie, idonee a generare una

diffusa proiezione cosmica in capo ai singoli individui, cioè – per dirla con Ruggiero – a

48 Le opinioni espresse in questo articolo sono strettamente personali. Il testo è aggiornato al 31.5.2005.

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portare le attenzioni di molti dalla “finestra” alla vita, e ad evitare dunque che possa

consolidarsi il pericoloso schema secondo il quale il mercato-mondo sarebbe una questione

“di competenza” d’altri.

Il sistema giuridico che regola l’organizzazione del commercio mondiale - che

potremmo in avanti denominare “sistema WTO” – costituirà dunque il fulcro della

trattazione. Un sistema che appare configurarsi come figlio, e allo stesso tempo fratello,

del nuovo scenario della cd. globalizzazione. Figlio, in quanto lo stesso concepimento del

sistema WTO, nonché l’entità e la natura dei suoi progressi, sono il risultato di quella

spinta sistemica, autonoma, complessa, inarrestabile, che si suole definire appunto come

"globalizzazione". Fratello, perché tendendo a fornire regole ai nuovi processi del mercato

globale, il sistema WTO appare l’unico in grado di approntare strumenti idonei a coprire le

nuove traiettorie dello sviluppo, della competizione e del commercio - autonome,

complesse, inarrestabili - della rassicurante veste del diritto, in tal modo tendendo a

dotare tali traiettorie dei requisiti della solidità, della sostenibilità, dell’equità.

Per riuscire in questa straordinaria ed essenziale missione, il diritto WTO si fonda su

principi semplici e chiari, ma si giova di meccanismi raffinati ed altamente complessi,

rifuggendo dall’impossibile ambizione di semplicisticamente imporre - con il solo, ormai

debole e perforabile scudo dell’autorità formale - all’energia ed al dinamismo del mercato

mondiale comandi concepiti in ambienti ed in maniera isolati.

Se la società secerne per via endogena un ordine normativo, tutto ciò che non è

riconoscimento di quell’ordine, ma creazione esogena, è una sovrapposizione distruttrice

dell’assetto normativo prodotto dalla libera interazione tra gli attori sociali 49.

Il sistema giuridico WTO si sottrae dunque alla tentazione dell’imposizione autoritativa,

per nutrirsi invece esso stesso dell’energia e del dinamismo del mercato, procedendo esso

stesso sulla cresta della sua onda, riuscendo - tendenzialmente - a far sì che siano gli

stessi interessi privati, coalizzati secondo geometrie variabili, ad assicurare la spinta del

processo di giuridicizzazione del commercio mondiale, comprensivo dell’azione di controllo

dell’effettiva osservanza delle regole.

Nello schema di funzionamento del sistema WTO, le aree progressivamente più

consapevoli della cartografia degli interessi privati trovano conveniente investire per

contribuire all'evoluzione di tale processo di edificazione giuridica. Un investimento che

49 Lorenzo Infantino, “Prefazione” a: F.A. von Hayek, “Liberalismo”, Ideazione, 1997.

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consiste nell’immettere nel circuito risorse proprie, necessarie per l'acquisizione ed il

trattamento di informazioni nonché per la definizione di analisi e proposte, le quali ultime,

opportunamente vagliate e riviste dai rappresentanti istituzionali - richiesti di altrettanta

consapevolezza - concorrono così a disegnare, progressivamente ed interattivamente, il

diritto del mercato mondiale.

Si tratta di un sistema che è anzitutto intelligente, nel quale i fini si fondono

armoniosamente con i mezzi.

Un sistema che non si accontenta di porre norme astratte - eventualmente inattuabili -

e di attribuire semplicisticamente alla realtà la responsabilità delle possibili devianze. No, il

diritto WTO è, per sua natura, parte integrante della realtà.

Per poter conseguire risultati in uno scenario ad altissima complessità quale quello di un

circuito cui partecipano oggi imprenditori e consumatori di tutto il mondo (aprile 2005:

148 Membri50), i propositi facenti capo ai sistemi nazionali devono accompagnarsi ad

elevate capacità organizzative e di comunicazione.

Questi elementi - della capacità organizzativa e della comunicazione - vanno

sottolineati, anche perché contrastano con molti degli schemi con cui spesso si guarda al

diritto.

“[…] l’aspirazione dominante era verso la giuridicità pura, il decantamento della materia

da ogni contaminazione […]: costituzionalisti, amministrativisti, internazionalisti, ultimi gli

ecclesiastici, andavano concordi per questa via […]. Oggi non tutti, ma molti di noi,

sentiamo materia preziosa ma vuota questo diritto così decantato, e ci chiediamo se le

belle costruzioni formali, perfette, ineccepibili, ma mai saggiate nella rispondenza alla vita,

servano ad altro che alla gioia dell’intelletto. Da qui il desiderio di molti di noi di ritornare a

saggiare le nostre costruzioni […]” (A. C. Jemolo, Lezioni di diritto ecclesiastico, 1954).

Argomenti giuridici oggettivamente anche eccellenti possono, nel sistema WTO, segnare

50 In questo lavoro, si adopererà talora il termine “Stati” come sinonimo di “Membri”. I due termini sono però ben lungi dall’indicare significati omogenei in ambito WTO (art. XII del Trattato Istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio: “Ciascuno Stato o territorio doganale a sé stante dotato di piena autonomia nella gestione delle proprie relazioni commerciali esterne e degli altri aspetti contemplati dal presente Accordo e dagli Accordi commerciali multilaterali può aderire al presente Accordo …”): come casi critici, si può fare riferimento alla situazione delle Comunità Europee, come pure a diverse altre situazioni (es. Taipei. Hong Kong). Si tratta, come si vedrà nel corso della trattazione, di casi autenticamente problematici sotto molti, importanti profili.

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pessime performances se si accompagnano ad inefficaci impianti di coordinamento

pubblico-privato e pubblico-pubblico.

Il diritto della globalizzazione non è puro né intende essere puro: la purezza non rientra

fra le sue finalità, ma piuttosto la messa in opera di strumenti azzeccati ed efficaci

d'immediata utilità per gli operatori economici. Qui non è la validità che domina, bensì il

suo contrario, cioè l'effettività” (Paolo Grossi, "Globalizzazione, diritto, scienza giuridica"51,

2002).

Tra gli elementi caratterizzanti del sistema WTO va anche considerata, come accennato,

la fusione della dimensione del “normare” con la dimensione del “controllare”. Il sistema

degli attori che si richiama all’Organizzazione Mondiale del Commercio manca - mancanza

benefica, deve riconoscersi – oltre che di un legislatore (le regole tendono a prendere

forma quasi spontaneamente dalle dinamiche del mercato, di cui gli Stati sono chiamati a

farsi portavoce), anche di un proprio autonomo apparato di controllo che sia formalmente

preposto a verificare che nel mondo vi sia rispetto delle norme degli Accordi. Manca, cioè,

quella che in un tipico schema di civil law, in cui la repressione della violazione del

comando legale è demandata ad organi della Pubblica Amministrazione, potrebbe essere

concepita come una polizia internazionale del commercio. Una tale eventuale ipotesi,

d'altra parte, non sarebbe stata né possibile né seria. Dalla piccola cittadina alla metropoli,

dai villaggi alle borgate, dall’Australia alla Tunisia, dalla Germania all’India, dal Brasile al

Messico, dal Canada alla Tailandia: attribuire la funzione del controllo del rispetto delle

norme WTO ad organi amministrativi ad hoc, magari con sede a Ginevra, avrebbe privato

di credibilità l’intero sistema, oltre che deresponsabilizzato gli individui. Il gigantesco

apparato che avesse ricevuto una tale missione si sarebbe trovato davanti una velleitaria

fatica di Sisifo.

Il sistema WTO ha fatto invece di necessità virtù e l’azione sistematica di controllo

dell’osservanza delle sue regole è affidata in primis agli stessi protagonisti del mercato:

innanzitutto le imprese, per ora, sebbene si possa rilevare, nonché prevedere, un ruolo di

crescente importanza in capo ai consumatori (deve però sottolinearsi che l’entità e la

qualità del contributo che i consumatori di ogni paese possono dare in favore della qualità

del mercato mondiale si lega indefettibilmente, oltre che alle diverse capacità di

organizzazione, anche agli spazi di profittabilità che un ordinamento accorda a questa

filiera d’interessi).

51 Conferenza tenuta alle classi riunite dell'Accademia dei Lincei nella seduta del 7 marzo 2002 (Il Foro Italiano, V, maggio 2002).

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La World Trade Law52 aggancia dunque le proprie dinamiche a quelle che agitano gli

interessi imprenditoriali; riesce a corresponsabilizzare le imprese, e quindi gli interessi che

hanno forma imprenditoriale, riuscendo a porre, come parte integrante di essi, anche

l’interesse al controllo dell’altrui rispetto delle norme WTO.

Pur operando in una prospettiva globale - o forse proprio per quello – l’Organizzazione

Mondiale del Commercio sembra aver compreso che non avrebbe avuto alcuna speranza di

successo se avesse tentato di centralizzare funzioni in un apparato burocratico e ha scelto

pertanto di sposare un diritto che vivesse dei comportamenti sociali.

Nel fungere da primo sensore di quest’attività di controllo - più avanti, vedremo meglio

attraverso quali modalità - gli imprenditori vengono pertanto a svolgere, indirettamente ed

inintenzionalmente, una ulteriore funzione d’interesse collettivo, a beneficio dell’intero

sistema WTO, quindi del mercato, quindi della collettività dei consumatori. L'attenzione

reattiva delle imprese infatti a) agisce come strumento deterrente rispetto alle tentazioni

di violazioni sistematiche e deliberate; b) aiuta - gratuitamente - i regolatori nazionali a

sviluppare un'attitudine (qualità della regolazione) ad individuare la modalità legittima più

efficace e ragionevole per conseguire la tutela dell’interesse pubblico nel caso concreto

(es. ambiente, sicurezza, etc.); c) costituisce il presupposto per azionare i meccanismi,

previsti dal diritto WTO, volti ad assicurare, nei casi oggettivamente controversi,

un’interpretazione aggiornata delle regole WTO (si pensi alla crescente rilevanza del

concetto dinamico di sviluppo sostenibile ed agli avanzamenti che vi sono stati assicurati

proprio dalla giurisprudenza WTO) oltre che a ristabilire la legittimità violata.

Il sistema giuridico dell’Organizzazione Mondiale del Commercio è dunque un sistema

“ad intelligenze distribuite”53, nel senso che si nutre del contributo di tutti gli attori della

trade community, offrendo loro un efficace e trasparente circuito volto a favorire la

circolazione ed il trattamento delle informazioni. Vale al riguardo aggiungere che, se nel

mondo ante-WTO contraddistinto dalle separazioni tra Stati, il sapere veniva accreditato

come una variabile di sicuro successo, oggi - nel mondo dell’interconnessione totale – è

l’attitudine al comunicare, che discende dalla sterile limitatezza del proprio sapere, ad

illuminare le traiettorie.

Si tratta di un circuito che tutti sono "interessati" ad utilizzare, ad alimentare e a far

funzionare. L’attitudine a veicolare e processare – attraverso la comunicazione tra le

52 E si consenta precisare che la traduzione corretta di “law” è “diritto”, non “legge”. 53 Si utilizza un’efficace figura linguistica del prof. Stefano Micelli.

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diverse componenti – una massa di informazioni di elevatissima entità e qualità (accurate,

tempestive, affidabili) sembra peraltro rappresentare una delle principali forze del sistema,

da cui discende un circolo virtuoso (gioco di tipo cooperativo) attraverso il quale l’attore

marginale, attratto dalla possibilità di accedere al sapere complessivo del processo,

accetta di pagarne la posta d’ingresso, che risiede nel contribuire ad alimentarlo. E’ così

ampio ed accessibile il repertorio delle informazioni complessivamente disponibili che,

rispetto al poterne trarre giovamento, i fattori dirimenti diventano evidentemente, e

semplicemente, l’attitudine e l’abilità ad attingervi e ad conettervicisi. Se rapportato alle

esigenze di conoscenza della world trade community, il livello di conoscenza contenuto nel

"sistema" WTO è di una rilevanza tale da rendere del tutto insufficienti quei "saperi" che,

incardinati in capo a singole entità, ne fossero invece isolati.

Se la prospettiva pratica comune della "globalizzazione" è quella dell’interdipendenza, il

diritto WTO ha il pregio di averne fatto il proprio stesso fondamento.

Il gioco è certamente complesso, perché complessissimo, d'altronde, è lo scenario - il

mercato mondiale - cui esso si rapporta. E tuttavia, esclusa la possibilità di non

parteciparvi, l’opzione che appare più ragionevole per ciascuno è proprio quella di

investirvi con grande energia, avendo come guida la consapevolezza che, per ciascuno, e

per i motivi di cui si è detto e si dirà, la capacità di comunicazione - in termini sociologici,

tecnologici ed organizzativi – assurge, come si è detto, a fattore cruciale.

In questo gioco, non soltanto si abbatte definitivamente il muro tra pubblico e privato

(cessati utopie ed antagonismi valoriali, ridotti i rischi di dualismo assoluto, oggi

l'interesse nazionale nell’arena globale assume anzitutto la forma avvolgente del saper

competere) ma cadono anche i muri tra aree diverse d’interesse pubblico, coagulati

anch’esse da un lato dalla tensione di un’appartenenza comune, dall’altro dal bisogno di

approntare approcci unitari, integrati e strategici ai processi in atto su base mondiale.

Vedremo ad esempio più avanti come, attraverso il circuito degli Enquiry Points

(Accordo sulle barriere tecniche al commercio; Accordo sulle misure sanitarie e

fitosanitarie), un regolatore canadese del Quebec possa, e “debba” (trovandolo

obbligatorio ed utile al tempo stesso) giovarsi del contributo dell’imprenditore del

Damodar indiano o del Paranà brasiliano, per migliorare la qualità della propria

regolazione, e vedremo anche come, specularmente, il sistema consenta agli imprenditori

indiani e brasiliani (o australiani, o tedeschi) di intervenire, tempestivamente, sull’attività

normativa degli altri Paesi, a tutela dei propri interessi.

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Il principio fondante è infatti, come si è detto, quello dell’insufficienza dei saperi

parziali: l’interdipendenza (anche tra i regolatori nazionali e gli imprenditori di altri paesi)

che ne discende non altera l’attribuzione di ai rappresentanti nazionali, ma semmai

aggredisce in radice, semplicemente portandola ad emersione, quella finzione di

onniscienza che sembrava associarvisi.

Si tratta, d'altronde, di null'altro se non di un'attuazione pratica, su base mondiale,

delle indicazioni che da tempo le Organizzazioni internazionali (si pensi alle iniziative OCSE

sulla Better Regulation o a quelle UNECE sulla Trade Facilitation) propongono, in merito

alla necessità di migliorare la qualità delle regolazioni nazionali attraverso meccanismi di

tipo partecipativo che coinvolgano le rappresentanze imprenditoriali ed altri attori sociali.

Il sistema rivela la sua intelligenza anche nel modo di giudicare la condotta dei suoi

membri.

Il giudice54 WTO, come meglio si vedrà più avanti, nel giudicare su una controversia (la

quale si genera quando un Membro accusa un altro Membro di avere violato delle regole

WTO), non si limita a verificare la coerenza formale di una singola norma nazionale

rispetto ad una singola norma WTO. No, il giudice WTO si spinge molto oltre, sia sotto il

profilo delle fonti di diritto da considerare per l’identificazione del parametro di legittimità

nel caso concreto, sia sotto il profilo dei fatti che compongono la “condotta” del Membro

convenuto, pervenendo a compiere un’analisi molto ampia, attraverso la quale egli arriva

a valutare se, rispetto al problema rilevato dal Membro attore, il comportamento

complessivo del convenuto (norme, procedure, comportamenti pratici, organizzazione

giudiziaria, etc.) sia coerente o meno con l'insieme delle regole WTO rilevanti,

costantemente aggiornate, queste ultime, sulla base delle progressive interpretazioni

operate dalla stessa giurisprudenza.

Il giudice WTO non ha dunque limiti formali nella propria capacità di osservazione dei

fatti rilevanti55, e può, e deve, quindi considerare tutti gli elementi - di ogni natura (anche

dichiarazioni di attori rilevanti rese in sedi informali, ad esempio) - che gli appaiano utili

per comprendere se, nel suo complesso, la condotta del Membro convenuto sia stata

54 Il termine “giudice” potrebbe essere considerato formalmente non appropriato per definire gli organi giudicanti del sistema dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Va pertanto chiarito che qui - in un approccio orientato alla sostanza - come “giudice WTO” verranno ad intendersi i collegi legittimati a pronunciarsi nei due gradi di giudizio previsti dall’Intesa per la soluzione delle controversie (DSU): i Panel e l’Organo di Appello.

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correttamente, efficacemente, coerentemente e ragionevolmente orientata al

perseguimento di un obiettivo meritevole di tutela giuridica (es. tutela ambientale,

protezione del consumatore, tutela della salute, della sicurezza nazionale, etc.) o se,

viceversa, tale condotta - non importa se per scelta o per inavvedutezza - abbia di fatto

concretato, nel complesso, una discriminazione verso uno o più altri Membri. In tale

seconda evenienza, il giudice rileverà una contravvenzione del diritto WTO ed indicherà i

punti su cui intervenire per recuperare la legittimità violata.

Il sistema WTO costituisce dunque la grande, innovativa piattaforma giuridica mondiale

capace di fondere la spinta cosmica dello sviluppo commerciale con l’antico bisogno di

diritto e di giustizia. Anche se la sua reale efficacia è funzione del grado di partecipazione

organizzata dei singoli individui (consumatori, imprenditori), resta chiaro che il sistema

può certamente assicurare una grande opportunità di diritto per il mondo-mercato. Dopo

10 anni, le regole e le modalità del suo funzionamento sembrano aver preso ormai

chiaramente forma, sicché lo spettro delle scelte praticabili, in capo al singolo attore,

appare oggi limitata ad una semplice alternativa: applicarle e giocare oppure non

applicarle e quindi non giocare.

Ammoniva, già nel 1996, Renato Ruggiero: “La globalizzazione non la faccio io né la

inventa nessuno. La fa soprattutto il progresso tecnologico che ha scavalcato le frontiere.

E' una realtà che incontriamo nella vita di tutti i giorni, nelle componenti delle automobili

come nella prima colazione al mattino. Qui alla WTO cerchiamo di dare delle regole ai

mercati”.

2. Il senso complessivo del sistema WTO

Il commercio, da sempre ed ancor oggi, si sostanzia di uno scambio, di un bene con un

altro bene, tra due soggettività giuridiche.

Su tale semplice relazione, la quale si produce in esito alla convergente volontà dei due

soggetti interessati, l’impatto delle regole contenute negli Accordi allegati al Trattato

istitutivo dell'Organizzazione Mondiale del Commercio è, evidentemente, di scarsa

visibilità.

55 Art. 11 Intesa per la soluzione delle controversie: “… Un Panel deve pertanto procedere a una valutazione oggettiva della questione sottoposta al suo esame, ivi compresa una valutazione oggettiva dei fatti in questione …”.

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Dove incide in maniera significativa il sistema delle regole WTO è infatti un'area,

sempre più ampia, di diritto, molto ampia e complessa, la quale, pur non essendo

confinata allo spazio delle singole relazioni commerciali bilaterali, influisce, oltre che sulla

stessa possibilità che tali relazione abbiano luogo, sulle modalità del loro configurarsi.

Il fine complessivo e la stessa natura delle regole WTO risiedono nel disciplinare il modo

in cui i Membri WTO possono comportarsi in una serie di situazioni, al fine di garantire che

tali comportamenti (anche laddove siano volti a tutelare altri interessi pubblici, che si

richiamino ad esempio - ex art. XX GATT - alla salute umana, animale e vegetale, alla

proprietà intellettuale, all’ambiente, alla protezione del consumatore, alla sicurezza

nazionale, alla morale pubblica, alla tutela dei patrimoni storici, artistici ed archeologici,

etc.) non si traducano, o si traducano il meno possibile, in ostacoli al commercio.

Si può fondatamente affermare che gli Accordi WTO disegnino “le regole del regolare”:

a conferma, vale ricordare che sono le entità pubbliche (Membri) ad essere vincolate al

rispetto degli Accordi WTO e che quindi non è tecnicamente possibile che sia un soggetto

privato a violarli.

Il diritto WTO tende dunque a patrocinare il bisogno, avvertito in linea di principio dagli

stessi membri sottoscrittori, che tutte le tutele di interessi “particolari” vengano assicurate

nel “modo” più aperto possibile o, che è lo stesso, producendo il minor pregiudizio

possibile al fluire del commercio mondiale56. Sottoscrivere gli Accordi WTO equivale ad

interiorizzare, ed alimentare al tempo stesso questa dinamica: il singolo membro sa che il

gioco comporta una limitazione al proprio spazio politico nazionale, ma sa che tale

limitazione è più che compensata dalla possibilità di accedere all’enorme spazio di

opportunità che la sommatoria di tali limitazioni complessivamente garantisce.

Nella parte della vicenda WTO che qui si tratta, la tensione verso il libero commercio

impone dunque “modalità” appropriate nella tutela degli altri interessi collettivi, ferma, e

libera, restando tuttavia - sia chiaro questo - la possibilità in capo a ciascun Membro di

fissare il desiderato livello della tutela per ognuno di tali interessi.

Quest’ultimo aspetto appare davvero centrale e merita di essere approfondito nelle sue

conseguenze. Le regole WTO, si è detto, sono anzitutto una guida per una regolazione

nazionale di qualità. Vi si afferma infatti, e si disciplina, l’esigenza che il diritto nazionale -

56 Si può dire che, sottoscrivendo gli Accordi WTO, i Membri si sono impegnati a ridurre al minimo gli effetti collaterali, negativi per il sistema, dei propri comportamenti. Con una metafora, si potrebbe rilevare come l’impegno di tutti consista nel rinunciare ad utilizzare il bazooka per uccidere un insetto.

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in qualunque Paese - interiorizzi comunque il bisogno di ciascuno di vivere in armonia con

gli altri. Tale esigenza si traduce, per le Parti che hanno siglato gli Accordi WTO,

nell’obbligo giuridico di circoscrivere le restrizioni alle relazioni, di non provocare quindi

limitazioni non necessarie al commercio.

Il 15 aprile 1994 ha preso dunque forma uno schema giuridico universale che non è

fondato sull’imposizione o sul potere di un soggetto rispetto ad un altro, quanto sulla

vitale attitudine umana allo scambio57, comprensivo dei suoi presupposti e delle sue

implicazioni.

Su queste basi sociologico-giuridiche, agli interrogativi echeggiati dal prof. Cassese58 il

quale si domanda: “Si può utilizzare la liberalizzazione del commercio per spingere la Cina

ad introdurre la rule of law, ossia la preminenza del diritto, nel proprio ordinamento

interno?”, si ritiene di poter rispondere, decisamente e semplicemente, “sì”.

Tale dimensione, dell’armonia tra ordinamenti e tra popoli, appare essenziale, in quanto

essa assicura al sistema degli Accordi WTO una base sufficientemente solida e chiara da

consentire anche che uno Stato possa adottare misure legittime di protezione verso

possibili rischi (per la salute, l’ambiente, la sicurezza, etc.) derivanti dal consumo di

prodotti pericolosi: nell’assicurare tale diritto, gli Accordi WTO, in coerenza con la propria

ragion d’essere, assicurano al tempo stesso che esso si eserciti non contro un altro paese

nel suo insieme, quanto piuttosto a difesa dai pericoli - rilevati e descritti attraverso solidi

e puntuali argomenti - strettamente associabili all’insieme circoscritto di singole produzioni

e alle singole parti di quell’ordinamento che tali produzioni consentano.

57 Sugli effetti, positivi e avvolgenti, dell’orientamento umano allo scambio, alternativo a quello verso l’isolamento e la contrapposizione, si consenta rinviare a “Bioarchitettura istituzionale. La Via del Tradere” (D. Ciccarelli, Giannini, Napoli, 2002, con ampi riferimenti alle lezioni di Vincenzo Maria Romano, www.vincenzoromano.it), da cui si estrae: “Sarebbe forse bene che si trasformassero in imprenditori tutti coloro i quali si ostinano ad attribuire valore autonomo alle proprie azioni e virtù (produzione), relegando a vile marginalità l’altrui riconoscimento. Siffatto comportamento genera non il processo del ‘competere’ (cercare insieme), ma quello del ‘contendere’ (tendere insieme, ciascuno da una parte, l’unico bene): chi fondi sui dualismi, dovrà mirare ad alimentarne sempre di nuovi. La competizione determina una crescita continua, inarrestabile, potenzialmente universale. La contesa esclude la creazione dinamica e presuppone invece un oggetto; la vittoria dell’uno implica specularmente la sconfitta dell’altro. Nella contesa, l’Io (..) - che tende ad affermarsi come ‘solitudine del sé’, esaltando la propria individualità - sussiste solo se si confronta con un ‘Tu’; ed al tempo stesso, per affermarsi, deve distruggerlo. Il ‘competere’ è un gioco la cui fine sta nell’orizzonte: vi si può tendere, ma non lo si può raggiungere. La competizione presuppone la continuità della libertà plurale propria del Mercato; se ci fosse un unico vincitore, questi sarebbe anche il perdente”. 58 “La Carta impossibile dei diritti universali”, Il Corriere della sera, 22 marzo 2005.

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Eloquente in tal senso il testo dell’art. 2.2 dell’ Accordo per le barriere tecniche al

commercio: “Gli Stati Membri assicurano che le regolazioni tecniche non sono elaborate,

adottate o applicate con il proposito, o comunque con l’effetto, di creare ostacoli non

necessari al commercio internazionale. A tal fine, le regolazioni tecniche non

comporteranno restrizioni al commercio maggiori di quelle necessarie per conseguire un

obiettivo legittimo, tenendo conto dei rischi che il suo mancato conseguimento

comporterebbe. Tali obiettivi legittimi sono, tra gli altri: esigenze di sicurezza nazionale;

prevenzione di pratiche ingannevoli; protezione della salute umana, animale e vegetale, e

dell’ambiente …”.

L'istanza - giuridicizzata - del non creare restrizioni non necessarie al commercio

obbliga quindi il regolatore nazionale a porsi, e soprattutto a porre, molte, molte domande

prima di varare una nuova normativa. Egli dovrà infatti compiere, tra l’altro, un'analisi

accuratissima e raffinatissima - e necessariamente partecipativa - dei fatti del commercio,

in tal senso giovandosi dei meccanismi d'interazione approntati dagli stessi Accordi WTO

(si è in parte già accennato al sistema degli Enquiry Points) grazie ai quali diventa

possibile comprendere quale sia l'impatto reale, e diffuso, di una nuova ipotetica

normativa.

La giurisprudenza WTO ha elaborato su questi punti, chiarendo come i Membri

conservino il pieno diritto di decidere il livello di protezione desiderato, precisando che il

“test di necessità” comprende il bilanciamento di tre variabili (valore in questione,

efficienza della misura utilizzata, effetto restrittivo) sulla base del criterio guida per cui più

alto è il valore, maggiore è la deferenza che va usata alla misura nazionale utilizzata

(controversie “Korea-Beef” e “EC-Asbestos”), specificando che il controllo del giudice si

estende alla valutazione della buona fede del Membro interessato nell’applicazione della

misura introdotta (Gasoline, Shrimps).

Il rispetto di questo principio giuridico effettivo - non creare ostacoli non necessari al

commercio - introdotto dall'impianto WTO, promuove dunque lo sviluppo di una necessaria

visione cosmica in capo ai regolatori nazionali di ogni livello e di ogni settore, i quali,

attraverso l'osservazione dei flussi dell'interscambio commerciale, imparano ad affinare le

modalità attraverso le quali perseguire gli obiettivi cui essi tendono. Se, ad esempio, un

certo prodotto - del quale sono le regole WTO a fissare i riferimenti tecnici minimi volti a

garantirne la non nocività - viene largamente importato in un certo paese, è evidente che

una disciplina nazionale che aggravasse le imprese nazionali produttrici di quel bene di

oneri ulteriori, al fine di conseguire standards superiori rispetto a quelli cui è

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legittimamente ispirato il prodotto importato, sarebbe una normativa di cattiva qualità, in

quanto tenterebbe di perseguire un interesse pubblico - astrattamente attraente -

attraverso modalità che sono però, in concreto, inidonee, e tali da generare, come unico

effetto, un danno al sistema produttivo nazionale (da notare che, per effetto dei flussi di

import-export, i benefici di tali eventuali ulteriori oneri - il cui effetto di lungo periodo va

letto in termini di riallocazione degli investimenti tra i sistemi-mercato - tenderebbero

comunque a collocarsi per gran parte presso consumatori che si trovano fuori dal territorio

nazionale).

Se è vero che le misure nazionali di tutela non devono essere “eccessivamente” (cioè,

più di quanto necessario per l’effettivo conseguimento dell’obiettivo dichiarato) restrittive

del commercio, è anche vero che una restrizione al commercio è invece legittima, e quindi

consentita, quando sia giustificata, in termini di "se", di "quanto" e di "come", da obiettivi

elementi di pericolo. In questa prospettiva che, specularmente all’istanza del commercio,

pure accomuna tutti i Membri WTO, si crea una pressione tendenziale per effetto della

quale tutti i paesi sono di fatto indotti ad adottare normative nazionali di prudenza che

siano atte a garantire sufficientemente la sicurezza delle produzioni domestiche: tale

pressione è indotta appunto dal fatto, noto, che il sistema WTO ammette restrizioni verso

l’importazione delle produzioni “a rischio”59. Questo meccanismo preme affinché, alla

comune aspirazione al commercio, si associ, tendenzialmente, anche la comune

convenienza ad adottare adeguate regole di tutela di ulteriori interessi rilevanti (sicurezza,

ambiente, etc.), che possano soddisfare le legittime aspettative degli Stati importatori.

Tale dinamica fa sì che, all'interno dello stesso sistema WTO, la spinta verso il

commercio sia quindi ormai “non più isolata”60 da spinte di altra natura, le quali

promuovono pertanto approdi sempre più avanzati anche nella risposta ad altre istanze

(ambiente, protezione dei consumatori, salute, etc.). E’ dunque evidente come sia lo

stesso evolvere delle dinamiche commerciali ad assicurare il progredire della qualità del

modo di essere del mercato mondiale.

59 I significativi sforzi, svolti in ambito WTO in favore dei paesi in via di sviluppo per favorire il rispetto degli Accordi, segnalano con eloquenza di questa tendenza: anche paesi economicamente arretrati desiderano oggi porsi in linea con gli standards WTO, perché vi è coscienza del fatto che tale coerenza è ormai necessaria perchè le produzioni nazionali possano accedere ai mercati esteri. 60 Si fa riferimento alla storica espressione (“clinical isolation”) utilizzata dall’Organo di Appello, il quale giudicò sulla controversia Gasoline (maggio 1996), nella quale Venezuela e Brasile accusavano gli USA di aver imposto alla gasolina d’importazione standard più elevati rispetto alla gasolina domestica. In tale occasione, l’Organo di Appello chiarì che il WTO non costituisce un sistema ermeticamente chiuso, impermeabile cioè alle altre regole del diritto internazionale.

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Il sistema appare in tal senso in grado di poter conciliare, soprattutto attraverso la

dimensione giurisdizionale, le istanze particolari di diversa natura con quella generale, ma

non assoluta, al commercio, mostrando - in quanto sistema - di essere cioè in grado di

assicurare i migliori equilibri possibili all’insieme dei bisogni in campo.

Nel Preambolo al Trattato istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, le

Parti riconoscono l’obiettivo comune di “migliorare gli standard di vita” e di “permettere

l’uso ottimale delle risorse mondiali in accordo con l’obiettivo di uno sviluppo sostenibile”.

Di speciale rilievo, su questa tematica, gli approdi segnati dalla pronuncia sul caso Shrimp

del novembre 1998.

Lo svolgimento dei processi di organizzazione del commercio mondiale

Merita di essere opportunamente chiarito come le opportunità contenute negli Accordi

WTO si trasformino da potenza in atto, per un singolo sistema nazionale, solo attraverso

profondi e decisi sforzi organizzativi che integrino il contributo degli attori pubblici con

quello dei privati. L’utilizzo dello strumentario WTO presuppone infatti il buon

funzionamento di una complessa filiera di attori, attraverso la quale soltanto può svolgersi

il processo che va dalla rilevazione delle violazioni commesse fino al recupero della piena

legittimità.

Questa premessa sul “come” definisce una categoria cognitiva indispensabile per poter

comprendere appieno il senso delle regole WTO. Non esistendo una polizia mondiale, non

esistendo l’attivazione del procedimento giudiziario d’ufficio da parte di un ipotetico

Organo di controllo, le regole WTO possono diventare efficaci e stringenti soltanto nella

misura in cui efficace e stringente si riveli il processo attraverso il quale si snoda

l’implementazione delle stesse.

Sotto questo profilo, recuperare la distanza culturale tra la nozione di “attuazione” (che

si riconduce alla logica della sequenza lineare decisione-esecuzione e vorrebbe

semplicisticamente esaurire in un istante anche il compimento di processi sociali

ineludibilmente complessi) e quella, di origine americana, di “implementazione” (Pressman

J. – Wildavsky A. Implementation61) - la quale contempla dinamiche di tipo iterativo ed

apprenditivo tra il soggetto agente e la realtà - appare cruciale per chi desideri svolgere

un ruolo attivo ed incisivo nel gioco WTO.

61 University of California Press, Berkeley, 1973.

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Lo schema su cui si fonda l’impianto WTO mette quindi a valore alcune assenze (1.

legislatore centrale; 2. polizia mondiale; 3. azione giudiziaria d’ufficio) e una presenza

(comunità nazionali afferenti agli Stati membri), ricavandone una modalità di

funzionamento efficace: la funzione dell’organizzazione mondiale dei commerci si svolge

infatti attraverso gli stessi interessi delle comunità imprenditoriali rappresentate dagli Stati

membri, ad esse affidandosi l’esercizio delle azioni di ricognizione, controllo,

approfondimento, denuncia, cui si lega la possibilità di una effettiva garanzia di diritto.

Il controllo del rispetto delle regole WTO configura pertanto una dinamica di natura

essenzialmente orizzontale. Se i “soci” formalmente affiliati al sistema WTO sono gli Stati,

resta tuttavia evidente che l’interesse - e la responsabilità - per il funzionamento del

processo è molto più ampio e diffuso, essendo esso distribuito di fatto tra tutti i

componenti della trade community, a ciascuno dei quali resta demandato un ruolo di

controllo attivo e reattivo sulla corretta condotta degli altri. Naturalmente, per poter avere

luogo, questo controllo presuppone lo svolgimento di un’azione di indagine sistematica,

distribuita e coordinata, che si associ alla capacità di tradurre gli altrui “comportamenti”

nazionali (leggi, prassi amministrative, organizzazione giudiziaria, etc.) in termini di

parametri di legittimità WTO, nonché alla capacità di attingere dallo strumentario WTO al

fine di identificare le diverse reazioni opportunamente attivabili di volta in volta per

rimuovere la presunta illegittimità. Naturalmente ciascuna di queste funzioni (1. indagine;

2. traduzione; 3. reazione) trae senso, valore e stimolo dall’efficacia delle altre funzioni

interne alla filiera facente capo al singolo sottosistema nazionale: il venir meno di un

anello della catena produce l’effetto di ridurre il senso anche delle altre funzioni.

Rispetto alle artificiose “separazioni” Stato/mercato o, se si preferisce, Stato

apparato/Stato comunità, uno dei messaggi forti che proviene dal sistema WTO è proprio

quello della oggettiva riunificazione tra i vari universi.

Costruendo il sistema WTO e ad esso associando il proprio diritto, il mondo ha affidato

alle dinamiche dell’utile lo sviluppo non solo del commercio ma anche del diritto. Nello

schema WTO, ciascuna comunità nazionale, nel tutelare i propri interessi nazionali in una

certa area commerciale (es. sicurezza alimentare), svolgerà infatti, allo stesso tempo e

senza che sia né necessario deliberarlo né possibile evitarlo, anche la funzione, d’interesse

collettivo, di garantire il diritto in tale area.

Attraverso la leva dell’interesse, l’Organizzazione Mondiale del Commercio ha dato

quindi forma ad un sistema giuridico fondato sulla concorrenza e sulla partecipazione. Lo

Stato qui è diretta espressione del mercato nazionale e ciascuno dei suoi componenti può

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concorrere alla costruzione del diritto mondiale. In quelle aree in cui vi sia un serio

interesse nazionale ad incrementare il livello effettivo di tutela di un interesse parziale ed

ulteriore rispetto a quello generale per il commercio, diventa infatti necessario, per il

sistema-paese di volta in volta interessato, produrre, rispetto agli altri Membri, uno sforzo

addizionale, che significa sostenere costi, investire energie, sviluppare ricerche ed analisi e

che va perciò ben oltre l’operazione, talora addirittura meccanica, di emanare una

normativa su base nazionale. Nello scenario del mercato mondiale, omettere tale sforzo

implicherebbe la sterilizzazione di ogni altra iniziativa che avesse un orizzonte territoriale

più ristretto: one World, one Trade, one Law. che tentasse di perseguire tale interesse

soltanto a livello nazionale. Il più interessato sarà invece richiesto di impegnarsi in un

esercizio più complesso, che però potrà valergli di conseguire su quel punto una regola -

ciò che può avvenire, come vedremo, per diverse vie lungo il continuum che collega il

negoziale al giurisprudenziale - che sia più alta, solida e stringente per l'intero sistema

mondiale, di modo che la sensibilità del regolatore nazionale, almeno in un siffatto caso,

non sia sopraffatta dalle vicende del commercio mondiale.

Se è vero che, come indicava Adam Smith, riusciamo ad avere pane buono,

“semplicemente” perché, nel gioco concorrenziale, vendere il pane migliore al prezzo più

basso diventa un interesse degli imprenditori che cercano di trarre profitto dalla vendita di

pane, ebbene l’Organizzazione Mondiale del Commercio, facendo leva su questa stessa

dinamica, cavalca in senso giuridico l’onda della concorrenza e vive di un meccanismo che

affida all’azione integrata pubblico-privato la funzione di promuovere un diritto che,

fondandosi sugli interessi umani, tragga da questi la spinta per i propri avanzamenti

parziali e al tempo stesso, in sommatoria, per la propria evoluzione complessiva. I circuiti

WTO sono tali da spingere il panettiere62 più bravo a preoccuparsi di garantire anche

qualità, igiene e sicurezza del pane nel mondo, impegnandosi anche sul piano del diritto

per evitare che panettieri meno bravi riducano il suo reddito proponendo ai consumatori

pane meno costoso, ma anche meno buono, meno sano, meno sicuro.

Quelle comunità nel cui ambito si sia sviluppata una particolare abilità (vantaggio

competitivo) nel settore delle tecnologie saranno quindi interessate a farsi promotrici

attive di un’azione che avrà l’effetto di assicurare un mercato mondiale aperto ed

efficacemente regolato in questo settore; quel sistema socio-imprenditoriale che eccella

nella lavorazione dei congegni elettrici di qualità, analogamente, troverà negli Accordi

WTO, e nel proprio impegno organizzato, la combinazione di strumenti idonea a consentire

62 M. Porter, Il vantaggio competitivo delle nazioni, 1990.

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che a questo ambito commerciale si associno concorrenzialità come pure garanzie.

E’ dunque lo stesso mercato a premiare gli sforzi integrati che si associano a questa

progressiva fusione, su base territoriale, tra le vocazioni imprenditoriali, storicamente e

geograficamente localizzate, e le specializzazioni nell’impegno di giuridicizzazione. Per

effetto di tale dinamica, la confidenza dei consumatori, tradizionalmente orientata verso

singole imprese e marchi, sembra oggi tendere a riconoscere un nuovo, più alto, valore

all’informazione sull’origine dei prodotti e dei servizi. Nel moltiplicarsi delle opportunità,

dei rischi e delle incertezze del mercato globale, nuovi riferimenti fiduciari sembrano poter

condensarsi proprio intorno alla categoria dei “luoghi-impresa”63 (reputazione), che i

consumatori vengono ragionevolmente a considerare tutori - ciascuno nel proprio settore

di forza - della qualità e della sicurezza (sotto diversi aspetti) al tempo stesso.

Un aspetto, cui si è già fatto cenno, del sistema WTO merita forse ulteriore enfasi. Si

tratta del contributo, importante, alla pace ed alla giustizia nel mondo che il sistema WTO

sembra poter assicurare, grazie anche al coinvolgimento di un numero sempre più ampio

di comunità nazionali nel sistema giuridico multilaterale del commercio mondiale.

“… commercio ed industria hanno gradualmente introdotto ordine e buon governo, e

con essi hanno incrementato la libertà e la sicurezza di quegli individui, tra gli abitanti di

una nazione, che erano prima vissuti in uno stato di perenne conflitto con i loro vicini,

nonché di servile dipendenza dai loro signori” (Adam Smith)64 [la traduzione è di chi

scrive].

In un’osservazione di sintesi del sistema WTO, appare chiaro che la parabola disegnata

nel secolo scorso da alcuni paesi europei poco prima guerreggianti - i quali seppero

rendersi protagonisti dell’esperienza del mercato europeo comune - si sta riproponendo,

dal 15 aprile 1994, a livello universale ed evidentemente con le forme consentite dal

presente, attraverso gli accordi dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Entrambe le

traiettorie, si ricorderà, avevano preso forma a partire da un nucleo di regole volte a

63 Sulla nozione di “campo-mercato”, inerente l’identificazione di spazi antropologici caratterizzati da diversi gradi di competitività, sia consentito rinviare a: D. Ciccarelli, “Bioarchitettura Istituzionale. La Via del Tradere”, Giannini, Napoli, 2002. 64 Adam Smith, 1776, The Wealth of Nations (Chapter IV “How the Commerce of the Towns contributed to the Improvement of the Country”): ““… commerce and manufactures gradually introduced order and good government, and with them, the liberty and security of individuals, among the inhabitants of the country, who had before lived almost in a continual state of war with their neighbours, and of servile dependency upon their superiors”.

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ridurre le più evidenti restrizioni/distorsioni nel commercio poste dalle autorità statali.

Entrambe le traiettorie, attivando l’onda positiva del commercio, hanno poi ricevuto,

proprio da quest’onda, la spinta che ha portato a dare progressivamente vita ad un ricco

sistema giuridico la cui spontanea evoluzione ha assicurato, tra l'altro, che si riducesse lo

spazio per l’esercizio divisivo dei poteri politici statali e che si estendesse invece ad aree

sempre più ampie lo spazio della condivisione e della cooperazione tra popoli diversi, uniti,

attraverso il commercio e grazie al commercio, da relazioni di diritto e di pace.

“… l’Organizzazione Mondiale del Commercio, come già il GATT, ha esteso la ‘rule of

law’ nel regno del commercio internazionale ed ha contribuito significativamente ad

assicurare relazioni commerciali pacifiche e stabili tra i Membri WTO. Questa è forse la sua

principale funzione”65 (la traduzione è di chi scrive).

La soppressione delle barriere commerciali

Nel gergo industriale, viene definita “barriera commerciale” una situazione di

impedimento, per una o più imprese esportatrici, nell’accesso al mercato di un altro

territorio giuridico.

Sotto il profilo istituzionale, una tale situazione può essere agevolmente trattabile nei

casi in cui il problema derivi da qualche distonia che in un certo mercato-ordinamento si

verifichi tra una prassi (ad es. amministrativa) e il diritto nazionale: in tal caso, trattandosi

di una situazione riconosciuta come patologica anche dal diritto nazionale, l’imprenditore

penalizzato potrà utilizzare gli strumenti che sono disponibili in quel sistema.

Una situazione di impedimento al commercio diventa invece rilevante per il sistema

WTO quando essa costituisca una circostanza fisiologica per un certo impianto giuridico,

quando cioè essa si associ al modo di essere proprio di un ordinamento nazionale.

In tale secondo ambito di questioni, è lo stesso ordinamento nazionale, o quanto meno

gli aspetti che rilevano nella specifica fattispecie, a diventare oggetto di raffronto con le

65 “… the WTO, as the GATT before it, has extended the rule of law into the international trade realm and has contributed significantly to keeping peaceful and stable trading relations between WTO Members. This is, perhaps, its most crucial function”. (Intervento introduttivo di Supachai Panitchpakdi , Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, al Simposio WTO 2005 – Ginevra, 20 aprile 2005 - http://www.wto.org/english/news_e/spsp_e/spsp38_e.htm).

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regole del commercio mondiale. A seguito di tale raffronto, nel quale le norme WTO

fungono da reagenti, si rileva sovente che la situazione che da un industriale viene

percepita come ‘barriera’ consegua in realtà all’applicazione, in un certo ordinamento

nazionale, di una regolazione che non viola il diritto WTO e che semplicemente è stata

concepita all’interno di uno schema culturale e giuridico che l’impresa avverte come

estraneo.

Perché una situazione percepita come impedimento all’accesso ad un mercato possa

invece qualificarsi come barriera illegittima, resta necessario anzitutto individuare, caso

per caso, il parametro di legittimità che nella singola fattispecie risulta rilevante e quindi,

se del caso, accertare che esso sia stato violato. Sebbene per gli esportatori molte delle

situazioni di impedimento nell’accesso ai mercati possano apparire nominalmente

classificabili in un insieme unico ed unitario (barriere commerciali), in realtà

l’individuazione dello specifico profilo di illegittimità resta sempre necessaria al fine di

individuare lo strumento efficacemente azionabile nel singolo caso per procedere alla

rimozione dell’infrazione.

Questa accurata operazione di fusione, anche lessicale, tra l’universo “commercio” e

l’universo “diritto” costituisce certamente una nuova sfida, anche organizzativa ed

istituzionale, su cui in alcuni paesi molto resta ancora da fare in termini di coordinamento

tra esperienze, competenze, professionalità, linguaggio ed anche in termini di nuove

formule di interazione pubblico-privato.

La difficoltà dell’operazione si lega anche al fatto che - a differenza delle

restrizioni/alterazioni esplicite al commercio (quote/dazi/sussidi/imprese di Stato), in

progressiva diminuzione e comunque relativamente facili da identificare e rimuovere,

quando illegittime, in quanto legate ad un’azione pubblica deliberatamente, e talora

evidentemente, orientata al sostegno ad uno specifico settore produttivo nazionale - quelle

che vengono definite come barriere non tariffarie spesso non si associano direttamente al

fine generale cui è dichiaratamente mirato un certo schema giuridico o una certa

normativa o anche un certo impianto istituzionale, ma ne costituiscono invece un “effetto

collaterale”. Ad esempio il ritardo nell’emanazione di una certa autorizzazione

amministrativa può dipendere dal modo in cui è stato concepito a monte il funzionamento

dell’ente che al rilascio di tale autorizzazione è preposto. In questo ambito problematico,

la difficoltà di un’impresa di accedere ad un mercato può pertanto dipendere dall’impianto

generale dell’Amministrazione nazionale (sicché il parametro di legittimità rilevante

potrebbe risiedere nelle norme GATT o nelle norme dell’ Accordo sulle barriere tecniche al

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commercio) o da una disciplina del settore chimico (parametro di legittimità: Accordo per

le misure sanitarie e fitosanitarie, Accordo sulle barriere tecniche al commercio) o dalla

normativa in tema di proprietà intellettuale (parametro di legittimità: Accordo sulla

proprietà intellettuale) o di valutazione doganale (parametro di legittimità: GATT, Accordo

per la valutazione delle merci in dogana).

Ne consegue che l’area di quelle che oggi, nella percezione della “trade people”,

vengono definite “barriere commerciali”, costituisce lo spazio certamente più interessante

per lo svolgimento della parabola armonizzatrice universale connaturata al sistema

giuridico WTO.

Appare anche importante guardare al precipitato concreto di questa dinamica e rilevare

come, in quei sistemi nazionali nei quali risulti eccessivamente oneroso o complicato

compiere tutto il percorso necessario per approdare alla qualificazione giuridica della

barriera e quindi infine per rimuovere la barriera stessa, possa probabilmente accadere

che le imprese si rassegnino - per dirla con A. O. Hirschmann - a praticare l’opzione

“uscita” piuttosto che l’opzione “voce”, rinunciando cioè del tutto ad investire e ad operare

in quel paese. L’effetto aggregato di tali silenziose uscite, per il paese che ne sia vittima, è

quello di procedere verso uno stato di progressivo isolamento senza averne nessuna

percezione, di perdere quindi ogni pressione esterna verso il cambiamento interno.

Sebbene dunque lo spettro delle fattispecie qualificate in ambito WTO come barriere

commerciali contenga le situazioni più disparate, appare utile provare qui a descrivere in

estrema sintesi il pacchetto degli strumenti che il sistema stesso contempla, al fine di

accertare e, se del caso rimuovere, su base multilaterale, le situazioni di illegittimità in

atto nei sistemi giuridici dei Paesi membri.

Soluzione delle Controversie. Nei casi in cui si ravvisi una violazione specifica, da parte

di un altro Membro, di una o più regole WTO, l’Autorità nazionale di ciascuno Stato

membro può attivare una controversia, attraverso la quale un collegio giudicante presso

l’Organizzazione Mondiale del Commercio (1° grado: Panel; 2° grado: Organo permanente

di appello) verifica l’effettiva sussistenza della violazione e, se del caso, condanna la parte

convenuta a riallinearsi al diritto WTO. In caso di inottemperanza, come si chiarirà avanti,

il sistema di soluzione delle controversie arriva ad autorizzare la parte danneggiata ad

adottare misure di ritorsione, le quali consistono nella sospensione di concessioni o di altri

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obblighi per un livello che dev’essere equivalente al livello dell’annullamento o del

pregiudizio dei benefici conseguente all’originaria infrazione (art. 22.4 DSU).

Da notare che, sotto il profilo della legittimazione attiva, gli organi contenziosi WTO

hanno accolto un’interpretazione della nozione di interesse ad agire alquanto estensiva,

ritenendo sufficiente la presenza di un danno anche allo stato potenziale. In particolare,

nella controversia “Banane” (DS 27), fu chiarito che tutti i Membri sono interessati a che

gli altri Membri rispettino i propri impegni.

Comitati WTO competenti per l’amministrazione dei singoli Accordi. Oltre alla

dimensione contenziosa, gli Accordi contemplano formule di tipo cooperativo e dialogico

per la rimozione delle barriere non tariffarie. Molte delle situazioni classificate come

“barriere commerciali” possono infatti essere trattate nei diversi comitati competenti (ad

es. Comitato per le barriere tecniche al commercio, Comitato per le misure sanitarie e

fitosanitarie), nel cui ambito, ai sensi dei corrispondenti accordi, sono previsti strumenti

azionabili sia per acquisire informazioni puntuali sulla conformità dei singoli Membri alle

regole WTO, sia per tentare una rimozione concertata delle situazioni di impedimento al

commercio. L’Accordo per le barriere tecniche al commercio (TBT) e l’Accordo per le

misure sanitarie e fitosanitarie (SPS), ad esempio, non soltanto disciplinano il modo in cui

a livello nazionale possono legittimamente tutelarsi alcuni primari interessi esorbitanti

rispetto al commercio (sicurezza nazionale, informazione del consumatore, salute umana

animale e vegetale, ambiente) senza provocare eccessive restrizioni agli scambi, ma

contemplano anche le modalità (Enquiry Points) attraverso cui trasmettere e veicolare le

informazioni rilevanti a tal fine, sia tra i 148 Membri WTO, sia, all’interno di ciascuno di

essi, tra l’apparato pubblico e le imprese. Oltre alla dimensione informativa, i comitati

competenti per l’amministrazione di tali Accordi contengono specifiche sessioni riservate

all’esame delle questioni critiche che singoli Membri avvertano come barriere commerciali

(“specific trade concerns”). Tale esame tende a costituire una via dialogica efficacemente

esplorabile sia per evitare in origine che la barriera si formi (attraverso gli Enquiry Points è

infatti consentito intervenire sul processo di formazione della norma, prima dunque che

questa sia adottata), sia per procedere alla sua successiva rimozione.

Via politico-negoziale. (Negoziato per l’accesso al mercato dei prodotti non agricoli). Il

sistema WTO, oltre ad amministrare gli accordi sottoscritti nell’aprile 1994, ospita,

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evidentemente, anche i negoziati (Round) attraverso i quali maturano le decisioni

politiche, basate sull’unanimità dei consensi, che comportano modifiche o chiarimenti

interpretativi degli accordi stessi. Coerentemente con il mandato che ha dato vita al round

negoziale in corso (Doha Round), la questione delle “barriere non tariffarie” è oggetto di

discussioni presso il Gruppo negoziale per l’accesso ai mercati dei prodotti non agricoli

(“Non-agricultural market access”: in sigla, “Nama”). Al par. 16 della Dichiarazione di

Doha (novembre 2001), i Ministri concordavano infatti sulla necessità che i negoziati

portassero alla riduzione o, quando possibile, all’eliminazione delle barriere non tariffarie.

Miglioramento del sistema di soluzione delle controversie. Si è detto che la possibilità di

procedere alla rimozione delle barriere non tariffarie conosce un percorso naturale - quello

contenzioso - nei casi in cui tali barriere configurino situazioni di difformità tra le regole

nazionali e le esistenti regole WTO. Sotto questo profilo, appare necessario menzionare il

lavoro in corso presso il Gruppo negoziale competente per la revisione dell’Intesa per la

soluzione delle controversie, incaricato (par. 30 Dichiarazione di Doha) appunto di

migliorare ulteriormente la disciplina che regola la soluzione delle dispute tra i Membri.

3. Il Diritto universale del mercato

Premessa di filosofia del diritto

“Chi parla in un certo modo idoneo e corretto, non lo fa per obbedire a una regola ma

per la convinzione di instaurare in tal guisa un efficace rapporto comunicativo con i suoi

simili. E’ lo stesso identico atteggiamento dei membri della fila, che osservano non per

obbedienza ma perché convinti del valore insito nella proposta organizzativa, e si auto-

ordinano. L’uso del termine ‘osservanza’, anziché ‘obbedienza’, vuol sottolineare

un’accettazione non interamente passiva della regola ma venata da nervature psicologiche

di convinzione e, quindi, anche di consapevolezza. Nell’osservanza linguistica e giuridica il

singolo si inserisce in una sorta di cooperazione collettiva in cui il gesto della sottomissione

si colora di spontaneità ma anche si oggettivizza. Su di un piano fisiologico ciò non è

smentibile. E’ a un livello patologico che si avvertono differenziazioni: nell’ordine giuridico

le sanzioni sono talvolta energiche e perentorie, arrivando a comminare la nullità di un

atto penalizzando una persona. Ma ciò attiene – è il caso di ribadirlo – alla patologia del

giuridico […]. La cosiddetta ‘sanzione’, definibile come la misura messa in atto per

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assicurare l’osservanza o, il che è lo stesso, per castigare l’inosservanza, è soltanto un

espediente estraneo alla struttura del diritto, alla sua dimensione fisiologica. Noi siamo

troppo spesso abbacinati da quel che avviene nello Stato […] dove il diritto si deforma in

comando e dove l’evento terribile della sanzione è una sorta di appendice normale del

comando, tanto normale da farla ritenere sua parte integrante.

... Il diritto medievale si origina, prende forma e si caratterizza in seno a due vuoti e in

grazia a due vuoti: il vuoto statuale seguito al crollo dell’edificio politico romano e quello

della raffinata cultura giuridica strettamente connessa alle strutture dell’edificio. Ciò che

potrebbe, a prima vista, sembrare un arretramento o, comunque, una circostanza

negativa, e cioè due vuoti che restano incolmati, costituisce - al contrario - la nicchia

storica conveniente per lo sviluppo d’una esperienza giuridica profondamente nuova e

anche profondamente originale. L’assenza, nell’età nascente sulle vecchie rovine, di un

soggetto politico ingombrante e totalizzante, l’assenza dello Stato, toglie al diritto il suo

legame col potere e la sua funzione di controllo sociale, lo rende libero di riaccostarsi ai

fatti primordiali - naturali, sociali, economici -, di tentar di ordinarli in un pieno rispetto

della loro natura. Il nuovo diritto è disegnato assai poco da legislatori - rari, incauti,

disorganici -, ma piuttosto da un assestarsi spontaneo dell’esperienza quotidiana,

varissima da tempo a tempo e da luogo a luogo per il variare delle esigenze, che trova in

un pullulare di consuetudini la sua manifestazione e consolidazione più vitali.

… Io credo che la complessità della società moderna imponga un grande ritorno al buon

senso, all’equità, alla ragionevolezza. Il diritto non è mai una nuvola che galleggia sopra

un paesaggio storico. E’ esso stesso paesaggio, o, se vogliamo, sua componente

fondamentale e tipizzante”66.

“Nell’immediato, primo dopoguerra - anno 1918, la stessa data di pubblicazione del

libello di Santi Romano - un filosofo italiano del diritto qualificò lo Stato come un ‘povero

gigante scoronato’67. Tanto più possiamo ripeterlo noi ottantacinque anni dopo; oggi

vediamo lucidamente che la corona sottratta al gigante e fatta a pezzi è proprio la legge,

tanto impreziosita e venerata nell’età precedente.

… la perfetta unitarietà del processo di produzione del diritto, processo che si perfeziona

66 Paolo Grossi, “Prima lezione di diritto” (Laterza, 2003). 67 G. Capograssi , Saggio sullo Stato (la nota è in originale), ora in Id., Opere, Giuffrè, Milano 1959, vol. I.

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solo col momento interpretativo, momento assolutamente interno a quel processo. Il

risultato, che può sembrare paradossale a chi è avvezzo a canoni vecchi e invecchiati, è

che il vero diritto positivo non è quello posto da un’autorità legittima, bensì quello che

l’interpretazione/applicazione immerge nella positività della società e rende

sostanzialmente e non solo formalmente positivo. Si valorizza l’interprete come

intermediatore ma in quanto voce della comunità; è pertanto la comunità a essere

valorizzata, non più gregge passivo di destinatari di comandi repressivi; è valorizzata

l’effettività del consenso presente dei consociati che l’interprete esprime.

… La storia giuridica moderna si caratterizza per una scelta innovatrice: la statualità del

diritto. L’intelligentissima classe borghese, conquistato che ebbe il potere, capì quale

solido cemento fosse il diritto per il compiuto esercizio di quello e ne decise il controllo. Di

più: ne sancì il monopolio nelle mani dello Stato, facendone l’unico creatore di diritto … Il

complesso scenario giuridico dell’antico regime fu sottoposto dalla rivoluzione (e dallo

Stato che ne derivò) a una rivoluzione drastica: l’unico attore fu lo Stato e unica voce la

sua, cioè la legge. Identificandosi il diritto in una norma non autorevole ma autoritaria che

pioveva dall’alto sulla comunità dei cittadini ed avendo il diritto una funzione rigorosissima

di controllo sociale, l’ordine giuridico ne risultò come ingabbiato. Era diritto solo ciò che lo

Stato voleva che fosse il diritto: le forme in cui questo si manifesta nell’esperienza …

erano immobilizzate in una sorta di piramide, cioè in una scala gerarchica dove una

funzione attiva era riserbata unicamente alla fonte di grado superiore, la legge, restando

le fonti subalterne (per esempio, la vecchia matrice dell’ordine giuridico prerivoluzionario,

la consuetudine) relegate in posizione ancillare senza nessun ruolo incisivo; il diritto,

proprio perché voluto dall’alto e in base a un progetto disegnato in alto dai detentori del

potere, era inevitabilmente destinato a formalizzarsi separandosi dai fatti sociali ed

economici in continuo divenire. Non v’è dubbio che il cd. diritto borghese è una rete a

maglie strettissime; il filtraggio è rigoroso; nettissimo il confine tra i fatti, i fatti economici

e sociali, e il diritto. Al mondo dei fatti è legittimato a guardare solo il legislatore, che

s’identifica sempre con il detentore del potere; è lui e unicamente lui che, maneggiando

cultura morale giustizia politica economia, trasformerà tutto in diritto … E il diritto,

divenuto una dimensione rigida e formale, si scosta e si separa dal sociale e dalla sua

insopprimibile storicità … Il diritto dello Stato esige la scrittura, deve diventare testo:

perché è autoritario, perché si concreta in un comando … L’acme di questo processo

testualizzante, che progredisce e si ingigantisce per tutto l’itinerario del diritto moderno, è

il codice, il grande movimento di codificazione generale che si matura e si consolida per

tutto il secolo XIX e di cui prima e compiutissima manifestazione è la codificazione

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napoleonica in Francia. Codice significa la grande utopia e la grande presunzione di un

legislatore (un legislatore reso presuntuoso dalla legolatria illuministica) di poter

racchiudere l’universo giuridico in un testo … Le norme trovavano il loro modello ma –

ancor più – il loro modo efficace di manifestarsi nella legge (norma di ogni norma), e si

bandiva con decisione ogni sorta di flessibilità. Non insegniamo forse noi, ancora oggi, ai

nostri studenti novizi che astrattezza, generalità, rigidità sono i caratteri della legge? E

non insegniamo che il civis, questo povero interlocutore, vera vittima immolata del potere,

ne è il destinatario passivo?

C’è una dimensione squisitamente culturale (cioè di cultura giuridica) che la

globalizzazione investe, e di cui non si deve tacere. Concerne una ragguardevole

immissione di valori culturali propri del mondo di common law nel nostro mondo di civil

law … Con l’indicazione mondo di civil law si intende contrassegnare il diritto dell’Europa

continentale e delle sue colonie, marcato nella sua storia giuridica dal solco profondissimo

della rivoluzione francese, un solco in forza del quale si relegano in soffitta tutti i valori

giuridici del medioevo e dell’antico regime, si sposa pienamente la statualità del diritto,

l’identificazione di questo nella legge, la codificazione. E’ il mondo cui ancor oggi l’Italia

giuridicamente appartiene.

Accanto, pianeta distaccato con una storia appartata, il mondo di common law, che ha

per proiezione la grande area geografica dell’Inghilterra e delle sue colonie, che non ha

vissuto sulla sua pelle la vicenda sconvolgente e innovativa della rivoluzione, che vive

ancora una perfetta continuità con i vecchi valori giuridici del medioevo inglese, che

avverte come innaturale la statualità del diritto e la sua identificazione in un complesso di

leggi, che ignora la grande avventura della codificazione, che affida – al contrario – il

divenire del diritto ai tecnici competenti, ai giuristi, e tra questi soprattutto ai giudici che il

sano empirismo anglosassone valorizza perché immersi nell’esperienza.

Tutto questo viene precisato per far capire che, ancor oggi, … common law e civil law

costituiscono pianeti giuridici piantati su fondazioni diverse e potatori di diverse mentalità:

due costumi giuridici, se non opposti, certamente assai diversificati … Globalizzazione è un

vento invadente originato soprattutto dal Nordamerica angloide, che non porta solo

barbarismi e invenzioni nuove ma porta soprattutto in seno alla nostra realtà un tessuto

giuridico impregnato di mentalità, costume, valori giuridici propri e naturali al pianeta

d’origine ma estranei e dissonanti per il nostro.

Nel canale parallelo del diritto della globalizzazione circola una cultura giuridica che, in

prevalenza, non è la nostra …

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Da un punto di vista culturale, il vecchio legalismo formalista massicciamente osservato

e accuratamente mitizzato nel pianeta di civil law riceve dal contatto coi filoni

globalizzatori un respiro più aperto e uno stimolo a parecchi ripensamenti essenziali”68.

“L’idea madre di una lex che non è mera volontà o atto d’imperio, ma lettura delle

regole ragionevoli scritte nella natura delle cose non lascerà più la filosofia politica del

medioevo sapienziale; poco dopo Graziano, Giovanni di Salisbury, nel suo Policraticus, la

qualificherà ‘aequitatis interpres’ … aequitas è quel complesso ordinato e armonico di

principii regole e istituti che, al di là delle forme giuridiche, si può con occhi umili e attenti

rinvenire nelle stesse cose”. “… perché la volontà del detentore del potere possa dirsi lex

occorre che sia indirizzata e governata dalla ragione, ossia che quella volontà abbia un

contenuto razionale; in caso contrario, non è lex, ma iniquitas”. “… Possono produrre lex

una pluralità di soggetti politici …; si parlerà tranquillamente di lex scripta o non scripta

relativizzando ulteriormente la nozione, ma sempre si pretenderà che essa sia

caratterizzata da un determinato contenuto. I suoi redattori non possono agire a

piacimento, ma debbono attingere a quel serbatoio sottostante e preesistente che è

l’ordine giuridico, a un complesso cioè di regole relazionali; come tali, conformi e

congeniali alla natura …”. “… E’ presto detto: la interpretatio dei medievali non è riducibile

a un processo meramente ricognitivo, cioè meramente conoscitivo della norma.

L’interpretatio dei medievali è anche un atto di volontà e di libertà dell’interprete”. “… Al di

sotto del mare perennemente agitato degli avvenimenti quotidiani, stanno le acque

profonde ma calme, calme perché profonde, della tranquillità giuridica. E’ la piattaforma

costituzionale della consuetudine, fatto primordiale, secondo natura, talora – ma in

minima parte – redatta per iscritto e divenuta lex ad opera di un principe zelante, più

spesso rimasta allo stato originario di trama invisibile ma onnipresente e imperiosa nella

quale sono immersi uomini e cose”. “… tutto discende beneficamente dall’alto

impregnando di sé l’universo cosmico e storico, e tutto è aequitas. E’ aequitas Dio (…), è

aequitas la natura (…), è aequitas la giustizia, è aequitas il diritto quando sia veramente

tale, e cioè ordine. E’ qui una delle cifre più originali e riposte dell’intero diritto medioevale

e ha avuto ragione il Calasso, questo grande storico italiano del diritto, di insistervi, di

ravvisarvi il principio portante di un intero edificio, una realtà che il termine italiano

‘equità’ non può che immiserire. Accingiamoci pertanto a capire il significato di questa

68 Paolo Grossi, “Globalizzazione, diritto, scienza giuridica” (Il Foro italiano, maggio 2002, V, 151) - Conferenza alle classi riunite dell’Accademia dei Lincei, 7 marzo 2002.

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realtà, riproponendo il solito avvertimento linguistico: parliamo di aequitas e non di equità

per evitare equivoci con la sovrapposizione dei nostri schemi mentali odierni che fanno

della equità uno spazio interpretativo libero nelle mani del giudice, aborrito e rifiutato –

salve ipotesi marginali e irrisorie nell’economia dell’ordinamento – dal nostro esasperato

legalismo”. “…l’equità canonica .. è vera fonte di diritto, la prima fonte di diritto in quanto

voce stessa della divinità. Infatti <nihil aliud est aequitas quam Deus>”.

“Non v’ha dubbio alcuno che il diritto appaia oggi al non-giurista – o al giurista

relativamente consapevole – in una dimensione squisitamente autoritaria, e cioè quale

strumento dell’autorità dello Stato esprimentesi nelle manifestazioni normali della legge,

dell’atto amministrativo, della sentenza giudiziale; manifestazioni che segnano tutte una

superiorità e un distacco tra l’ente produttore e la comunità dei destinatarii”69.

Il sistema WTO come sistema giuridico

L’affresco storico-giuridico di Paolo Grossi offre chiavi di lettura interessanti per

un’esplorazione, che sia consapevole, di un ordine giuridico - quello del nuovo diritto

disegnato dalle istituzioni del mercato unico mondiale - che appare molto più affine, nella

sua struttura filosofica e nelle sue dinamiche di funzionamento, ad altre esperienze

giuridiche (ordine giuridico medioevale; Rule of law anglosassone) che non a quella

legalista dell’Europa continentale degli ultimi secoli.

“Gli Stati sono chiamati ad adempiere70 agli accordi sottoscritti a Marrakesh in base al

principio di buona fede (US – Sections 301-310 …; Canada – Patent Protection of

Pharmaceutical Products, WT/DS114/R), esplicitamente sancito dalla Convenzione di

Vienna sui trattati agli art. 31 (…) e 26 (…) e richiamato in numerosi report71. La buona

69 P. Grossi, “L’ordine giuridico medioevale”, Laterza, 2001. 70 Claudia Marcolungo, “Gli effetti degli atti del WTO sugli Operatori economici privati”, Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico n. 4/2003. 71 In US – Import Prohibition of certain Srimp and Srimp Products (WT/DS58/AB/R, par. 158) leggiamo: “This principle, at once a general principle of law and a general principle of international law, controls the exercise of rights by states … whenever the assertion of a right “impinges on the field covered by [a] treaty obligation, it must be exercised bona fide, that is to say reasonably …” (nota Marcolungo cit.).

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fede, quindi, è un principio portante del sistema72”.

Tra i capisaldi del sistema WTO rientra la nozione cardine (ex art. 11 DSU) secondo la

quale l’organo giudicante deve “procedere ad una valutazione oggettiva della questione

sottoposta al suo esame, ivi compresa una valutazione oggettiva dei fatti in questione …”.

Lo schema interpretativo disegnato dal sistema giuridico WTO per consentire di

individuare il diritto applicabile alla fattispecie concreta richiede dunque l’osservazione di

tutti gli elementi disponibili, ciascuno dei quali concorrerà alla formazione

dell’orientamento del collegio giudicante.

In questo complesso procedimento interpretativo, impossibile a codificarsi

astrattamente, il principio di ragionevolezza (si vedano, tra l’altro, i casi Gasoline e

Shrimp) si erge a principio guida.

Valga al riguardo ricordare ad esempio come, nella giurisprudenza WTO, sia emerso con

chiarezza il fatto che il carattere discriminatorio o meno di una misura restrittiva adottata

da un Membro (applicata ai prodotti d’importazione) nel perseguimento di uno degli

obiettivi non commerciali di cui alle eccezioni contenute nell’art. XX GATT, sia rilevabile

solo in parte attraverso l’analisi della misura medesima, essendo gran parte delle

valutazioni riconducibili invece al rigore con cui il Paese abbia perseguito quel medesimo

obiettivo a livello nazionale, attraverso comportamenti cioè che abbiano eventualmente

implicato restrizioni e penalizzazioni anche per i produttori nazionali. In una situazione di

tale natura, il Panel verrà di fatto a valutare della ragionevolezza dei regolatori nazionali,

osservata nel corso del tempo e nella sinossi delle varie fonti normative domestiche,

sicché altre misure adottate sul territorio dello stesso Membro “sotto accusa”

concorreranno anch’esse a definire la condotta complessiva sulla base della quale si

formerà il giudizio.

Chi non avesse avuto l’opportunità di approfondire natura e contenuti degli Accordi

WTO potrebbe essere gravemente fuorviato dal nome dell’Organizzazione che di questi

accordi cura l’amministrazione e le modifiche. La sua caratterizzazione nominale, quale

Organizzazione “del commercio”, rischia infatti di indurre alcuni a fraintenderne l’oggetto e

quindi a sottovalutarne la rilevanza giuridica sistemica.

Allo scopo di evitare questo malinteso - che avrebbe tra l’altro il pernicioso effetto di

72 US-Transitional Safeguard Measure on Combed Cotton yarn from Pakistan, WT/DS192/AB/R par. 81, dove esplicitamente si afferma che “the pervasive general principle of good faith underlies all treaties”.

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allontanare definitivamente dalla questione le legal minds, e con esse quelle sensibilità che

possono essere capaci di afferrarne, e comunicarne, le reali novità - sembra indispensabile

accompagnare al proposito di una descrizione relativamente approfondita anche una

prospettiva ed uno sforzo ulteriori, che potremmo definire di revisionismo linguistico.

In questo senso, dopo aver ricordato, risalendo il corso dell’etimologia, che

“commercio” e “mercato” esprimono storicamente un’identità di significati, è bene chiarire

che i 25 Accordi di cui si compone il sistema WTO non contengono certo le regole delle

relazioni commerciali private, ma bensì regole necessarie per contemperare il diritto di

ciascun Membro WTO a tutelare efficacemente interessi collettivi estranei al commercio

(salute, ambiente, sicurezza, etc.) con l’impegno, sistemico, avvertito condiviso e

sottoscritto ancora una volta da ciascun Membro, che tali tutele vengano assicurate nel

modo più aperto possibile, cioè producendo il minor pregiudizio possibile al libero

commercio mondiale.

“E’ stato sostenuto, fino alla nausea secondo il Professor Weiler, che il sistema di

risoluzione delle controversie dell’Organizzazione Mondiale del Commercio è stato segnato

da un processo di ‘giuridificazione’ che ha portato dal precedente sistema dell’Accordo

Generale sulle Tariffe ed il Commercio (GATT), basato sulla diplomazia, ad un sistema

basato sul diritto (sulla <<rule of law>>)”73.

Il sistema di soluzione delle controversie WTO costituisce, secondo P. Nicholls, “la più

importante novità nel diritto dell’economia globale nella seconda metà del ventesimo

secolo”74.

L’introduzione, il 15 aprile 1994, di un meccanismo efficace di soluzione delle

controversie ha dunque prodotto il risultato di mutare la natura stessa del sistema GATT,

contribuendo, con altri elementi, a trasformarlo in un sistema giuridico tendenzialmente

completo. La dinamica di giuridicizzazione del sistema si è peraltro rivelata tale da saper

estendere, come già accennato, tale propria maggior forza, discendente anzitutto da un

efficace sistema giudiziario, anche ad altre fonti del diritto internazionale (si pensi, tra

l’altro, alle norme ISO e alle norme del Codex Alimentarius, richiamate in alcuni Accordi

WTO), tendendo a promuovere, anche sotto questo profilo, una rivisitazione profonda di

73 D. Steger, “Peace Through Trade. Building the WTO”, Cameron May, 2004 [10. The Rule of Law or the Rule of Lawyers? – Introduction – “It has been said, ad nauseam according to Professor Weiler, that the World Trade Organization’s dispute settlement system has been marked by a “juridification” from the predecessor system of the General Agreement on Tariffs and Trade (GATT), which was based on diplomacy, to a system based on the rule of law”]. 74 P. Nicholls, GATT doctrine, 2 Virginia J. Int’l L. (1996).

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molte categorie del diritto.

“Although a WTO Panel has jurisdiction only over WTO claims, it should be recalled

that some WTO rules (.. ) explicitly confirm and incorporate pre-existing non-WTO treaty

rules. These non-WTO rules have thereby become WTO rules that can be judicially

enforced by a Panel (..). Other WTO rules do not incorporate non-WTO rules but do refer

to them explicitly. In this way these non-WTO rules can become part of a WTO claim

(though not having been incorporated, they cannot be judicially enforced independently of

other WTO rules). An example of “incorporation” is the TRIPS Agreement, which

assimilates, inter alia, provisions of the Bern, Paris, and Rome Conventions.

Examples of “explicit reference” are the SPS Agreement, the Agreement on Technical

Barriers to Trade (TBT Agreement), and the Agreement on Subsidies and Countervailing

Measures (SCM Agreement ..), which mention international standards adopted in the

Codex Alimentarius Commission (SPS Agreement), the International Agency for Research

on Cancer (..) (TBT Agreement), and the Arrangement on Guidelines for Officially

Supported Export Credits of the Organisation for Economic Co-operation and Development

(SCM Agreement). The incorporated rules in the TRIPS Agreement are legally binding as

such in the WTO (..). The non-WTO rules in the other WTO Agreements serve only as a

benchmark or basis for the assessment of a distinct WTO-specific obligation. Thus, the

international standards referred to in the SPS Agreement (say, codex standards) cannot

serve as the basis for an independent claim of breach before a WTO Panel, but when WTO

members base their sanitary measures on such standards, they will be presumed to

conform with the SPS Agreement as well”75.

Tre possono dirsi i principali elementi, tutti relativi al sistema di soluzione delle

controversie WTO, la cui combinazione ha prodotto le maggiori novità negli schemi del

diritto mondiale:

1. il riconoscimento (art. 6.1 dell’Intesa per la soluzione delle controversie, d’ora in

avanti: DSU76) di un diritto all’azione giudiziaria, in capo a ciascun Membro WTO. A

differenza del sistema GATT (antecedente agli Accordi di Marrakesh), che subordinava

all’unanimità dei consensi dei Membri - quindi, anche del Membro controinteressato -

l’azionabilità di un procedimento giudiziario per la verifica della legittimità della condotta di

75 “The Role of Public International Law in the Wto: How far can we go?”, Joost Pauwelyn. 76 Dispute Settlement Understanding.

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un qualsiasi Membro WTO, a partire dall’entrata in vigore degli accordi siglati al termine

dell’Uruguay Round è consentita l’apertura di una controversia anche su richiesta di un

solo Membro.

2. la possibilità che, dopo la pronuncia del “giudice” (1° grado: Panel; 2° grado:

Organo di Appello), un organo terzo (arbitro, art. 22.6 DSU) imponga al Membro che

manchi di ottemperare al disposto del collegio giudicante delle sanzioni, eseguite per il

tramite “unilaterale”77 della parte ingiustamente danneggiata - la quale viene infatti

autorizzata alla “sospensione delle concessioni o di altri obblighi” - e volte quindi ad

assicurare giustizia concreta, così conferendosi effettività alle valutazioni contenute nella

pronuncia del giudice.

3. il riconoscimento (art. 3.2 DSU) delle regole consuetudinarie d’interpretazione del

diritto internazionale generale, come utili a chiarire l’interpretazione delle disposizioni

contenute negli Accordi WTO (giurisprudenza e dottrina hanno parlato di fine

dell’“isolamento clinico” del sistema WTO rispetto alle altre regole del diritto

internazionale). In occasione di alcune pronunce (in particolare, Gasoline, Japan-Alcoholic

Beverages, Poultry e Computer Equipment), i giudici WTO hanno espressamente affermato

che gli artt. 31 e 32 della Convenzione di Vienna78 sono rilevanti nell'interpretazione degli

77 Si badi bene: l’”unilateralità” è del tutto apparente, in quanto le ritorsioni sono rese “multilaterali” dal fatto di essere previste da un Accordo (Intesa per la soluzione delle controversie) liberamente sottoscritto da tutti i Membri WTO, nonché dal fatto di essere oggetto di autorizzazione e disciplina da parte di un arbitro che esiste ed opera sulla base di una regola condivisa (art. 21.5 DSU). 78 Articolo 31, Regola generale di Interpretazione 1.Un trattato deve essere interpretato in buona fede seguendo il senso ordinario da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto e alla luce del suo ogetto e del suo scopo. 2. Ai fini dell’interpretazione di un trattato, il contesto comprende oltre al testo, inclusi il preambolo e gli allegati:

a) ogni accordo in rapporto col trattato concluso tra tutte le parti in occasione della conclusione del trattato;

b) ogni strumento posto in essere da una o più parti in occasione della conclusione del trattato e accettato dale altre parti come strumento in connessione col trattato.

3. Si terrà conto, oltre che del contesto: a) di ogni accordo ulteriore intervenuto fra le parti in materia di interpretazione del trattato o di applicazione delle sue disposizioni; b) di qualsiasi prassi successivamente seguita nell’applicazione del trattato attraverso la quale si sia formato un accordo delle parti in materia di interpretazione del medesimo; c) di qualsiasi regola pertinente di diritto internazionale applicabile nei rapporti tra le parti.

4. Un termine verrà inteso in senso particolare se risulta che tale era l’intenzione delle parti. Articolo 32 mezzi complementari di interpretazione Si può fare ricorso a mezzi complementari di interpretazione, e in particolare ai lavori preparatori e alle circostanze nelle quali il trattato è stato concluso, allo scopo, si di confermare il senso che risulta dall’applicazione dell’articolo 31, sia di determinare il senso quando l’interpretazione data in conformità all’art. 31:

a)lascia il senso ambiguo o oscuro; oppure b) conduce ad un risultato manifestamente assurdo o irragionevole.

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Accordi WTO. Questa apertura si è rivelata - e, verosimilmente, ancor di più si rivelerà in

futuro - cruciale rispetto al conseguimento di equilibri progressivamente più avanzati nella

conciliazione delle regole del commercio con quelle relative ad interessi collettivi ulteriori

(ambiente, salute, etc.) protetti da altri trattati internazionali. I Panel e l’Organo di Appello

hanno inoltre fatto riferimento ad alcuni principi interpretativi generali del diritto, come il

principio dell’effetto utile e il principio dell’ in dubio mitius.

La forza del sistema WTO è dunque anzitutto la forza della sua dimensione

giurisdizionale (connotata, si è detto, di socialità) e tutte le dinamiche che nel mondo si

associano al commercio ed alla competizione sviluppano un vitale bisogno di adeguarsi a

tale nuovo scenario.

Dal 15 aprile 1994, la chiarezza di una solida e ricca piattaforma giuridica, aggiornata

grazie alla saggezza dell’interprete, garantisce pertanto che il diritto avvolga e governi il

processo di sviluppo del commercio globale. Un ruolo, nuovo e cruciale, viene

inevitabilmente ad associarsi alla figura del giurista, chiamato ad attingere non da un testo

legale formalizzato, astrattamente completo e meccanicamente applicabile al

frastagliatissimo panorama delle singole fattispecie, ma bensì da un ricco sistema di

principi, mutevolmente adattabile alla complessissima realtà attraverso un consapevole e

saggio ricorso alla ragionevolezza (es. Gasoline, Shrimp) e all’equità. La vicenda potrebbe

leggersi secondo uno schema del tipo “equilibrio di Nash”: il 15 aprile 1994 a Marrakesh,

ciascuno degli Stati firmatari mostrò di comprendere la necessità di cedere al sistema una

quota della propria razionalità e del proprio benessere teorico, nella consapevolezza che

tale strategia avrebbe consentito di conseguire in avanti il massimo benessere reale.

Il precipitato concreto di questo cambiamento appare esemplarmente scolpito nei

rapporti dei Panel e dell’Organo di Appello, i quali, facendo propria la forza del diritto79,

possono esprimersi senza alcun riguardo per il diverso potere delle parti in causa, così

accrescendo la forza e la credibilità del sistema.

“L’Organo di Appello raccomanda che l’Organo per la soluzione delle Controversie

richieda agli Stati Uniti di portare le sue misure, riconosciute in questo Rapporto e nel

79 “Lo Stato non crea diritto, lo Stato crea leggi, e Stato e leggi stanno sotto il diritto” (Erich Kaufmann, Die Gleichneit vor dem Gesetz, citato in: P. Grossi, Prima lezione di diritto, Laterza 2003).

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Rapporto del Panel come modificato da questo Rapporto essere incompatibili con l’Accordo

Generale sul Commercio nel settore dei Servizi, in conformità con gli impegni assunti sulla

base di tale Accordo”80.

La chiara connotazione giuridica dell’Organizzazione Mondiale del Commercio viene

espressa con efficacia da una ulteriore chiave di lettura: tra le componenti dell’impianto

istituzionale WTO, l’unica dimensione autenticamente sopranazionale è appunto quella

giurisdizionale.

In quanto “guidata dai Membri” (member-driven Organization), l’Organizzazione infatti,

sotto il profilo delle dinamiche decisionali, altro non è che la somma delle volontà dei suoi

membri, supportate dall’assistenza tecnica di una qualificatissima segreteria (Segretariato

WTO).

Interessante notare come l’originale combinazione delle due dimensioni – negoziale

(basata sul principio dell’unanimità) e giurisdizionale (basata sull’equità e la

ragionevolezza) - tenda di fatto a configurare una traiettoria nella quale - soprattutto

grazie alla crescente consapevolezza di molti paesi in via di sviluppo - le deviazioni e i

particolarismi tendono a diluirsi in favore di una tensione olistica, quasi come se l’intera

membership si trasformasse in un’unica entità, onnisciente, dotata di equilibrio e buon

senso, comunque orientata in ogni sua componente alla relazione, al cambiamento, al

competere.

Esposte al vaglio di tutti e di ciascuno, le posizioni negoziali che siano eccentriche o

forzate vengono inevitabilmente emarginate dalle dinamiche decisionali WTO,

analogamente - potrebbe rilevarsi – a quanto accadrebbe se il decisore fosse uno solo, che

conoscesse e considerasse, con equilibrio, le preoccupazioni, le aspettative e gli interessi

di tutti: un uomo dotato di sapienza, di visione e di sensibilità cosmiche. La leva

giudiziaria, dal canto suo, promuove una dinamica di natura diversa ma convergente. Le

corti, in particolare quella di secondo grado, di carattere stabile, costituita dall’ Organo di

Appello, si compongono di eminenti giuristi immersi nell’esperienza, legittimato a dire il

80 Conclusioni del Rapporto dell’Organo di Appello (WT/DS285/AB/R - 7 Aprile 2005, Antigua & Barbuda vs USA): “The Appellate Body recommends that the Dispute Settlement Body request the United States to bring its measures, found in this Report and in the Panel Report as modified by this Report to be inconsistent with the General Agreement on Trade in Services, into conformity with its obligations under that Agreement”.

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diritto in ultima istanza nel caso concreto81, responsabile verso il tutto e verso la giustizia,

ma non verso ciascuno degli Stati.

Si è accennato a come anche la dimensione lessicale esprima la densità delle novità

insite nel sistema giuridico WTO.

Vale in tal senso tenere alta l’attenzione su come vengono tradotte in lingua italiana le

espressioni-chiave di questa “rivoluzione” giuridica, visto che ad esempio, l’espressione

inglese “Dispute Settlement Body” (“Organo di soluzione delle Controversie”) risulta

riportata, nella versione in italiano degli accordi, come “Organo di conciliazione”:

“Il precedente sistema GATT rifletteva le sue origini diplomatiche. Infatti il processo

veniva inizialmente definito come ‘conciliazione’ e non come ‘risoluzione di controversie’ ...

I rapporti dei Panel sporadicamente contenevano riferimenti alla dottrina ed agli scritti di

autori altamente specializzati in materia di diritto GATT, ma questi riferimenti erano rari

(..). Per la maggior parte dei casi, questa reticenza discendeva dall’eredità diplomatica del

sistema GATT. Quello che ora è essenzialmente un sistema giudiziario di risoluzione delle

dispute ebbe origine come un sistema diplomatico di ‘conciliazione’. I diplomatici non solo

erano meno consapevoli, oltre che meno influenzati, dei giuristi rispetto alle opere degli

studiosi di diritto, ma inoltre essi per molti anni hanno decisamente avversato l’idea di

trasformare la conciliazione in un procedimento giuridico” 82.

mentre, analogamente, l’espressione “customary rules” (art. 3.2 DSU), anziché con

“regole consuetudinarie”, risulta diluito nella formula “norme abituali”.

Su questo ultimo punto, vale riportare quanto scrive M. G. Losano (“I grandi sistemi

81 La facoltà di adottare interpretazioni degli Accordi con valore erga omnes sarebbe formalmente attribuita alla Conferenza dei Ministri ed al Consiglio Generale (art. IX: II del Trattato istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio). Tuttavia, come si è detto, nella sostanza dei processi, la funzione interpretativa sembra essere diventata ormai una prerogativa saldamente incardinata nella dimensione giudiziale. 82 Palmeter D., Mavroidis P. C., “Dispute Settlement in the World Trade Organization” (Kluwer Law International, 1999): “Early dispute settlement in GATT reflected its diplomatic roots. In fact, the process initially was referred to as ‘conciliation’, not as dispute settlement … Sporadic references can be found in Panel reports to the teachings and writings of highly qualified publicists in GATT law, but these references were rare (..). In large part, this reticence may stem from GATT’s diplomatic heritage. What is now essentially a juridical system of dispute settlement began as a diplomatic system of “conciliation”. Not only were diplomats less likely than lawyers even to be aware of, let alone to be influenced by, the writings of legal scholars, GATT diplomats for many years were

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giuridici”): “In campo pratico, il giurista europeo continentale usa ormai in misura

pressoché esclusiva disposizioni scritte che in generale negano ogni rilevanza giuridica

degli usi ad esse non conformi: di conseguenza, lo studio della consuetudine diviene per

lui irrilevante, perché privo di sbocchi concreti. In campo teorico, invece, il silenzio sulla

consuetudine è un silenzio imbarazzato, perché la teoria giuridica dominante in Europa è

ancora quella positivistica: per essa, è diritto soltanto quello positivo, quello cioè statuito

dallo Stato. Ora, la consuetudine è norma giuridica di origine non statale e, in quanto tale,

incompatibile con le costruzioni teoriche del positivismo giuridico. Si preferisce perciò

relegarla ai margini di ogni trattazione o addirittura passarla sotto silenzio: la

consuetudine è lo scheletro nell’armadio del positivismo giuridico”.

Attingiamo da autorevole dottrina83 per esprimere più compiutamente il senso

complessivo delle trasformazioni intervenute a seguito delle novità introdotte nel 1994.

“Questo articolo tratta dello sviluppo del diritto; cioè l’evoluzione di un regime giuridico

in un campo che precedentemente non era soggetto al diritto … L’accordo raggiunto

durante l’Uruguay Round [si fa riferimento al citato art. 6.1 DSU e quindi al

riconoscimento a ciascun Membro di un diritto all’azione giudiziaria] sorprese molti, anche

tra i commentatori, in quanto, all’inizio dei negoziati, diffusamente ci si era opposti

all’eliminazione del requisito dell’unanimità e del potere di veto di fatto riconosciuto ad

ogni Stato. Si addivenne infine all’opinione che, in ogni caso, le regole GATT non fossero

sufficientemente forti per costringere gli Stati dissenzienti ad obbedire … Senza ignorare

l’importanza di altri fattori, sembra che la causa più importante del processo di

giuridicizzazione nel commercio internazionale sia la crescente interdipendenza economica

tra gli Stati … Finora questo articolo ha trattato del processo di formazione di un sistema

giuridico sostanziale e formale che regola reciproci diritti e obblighi di Stato sovrani nel

campo delle relazioni commerciali internzionali. Nondimeno, è naturale cercare analogie

tra questo processo e le sue possibili cause e quello che sappiamo della formazione dei

sistemi giuridici in generale e, in particolare, dei sistemi che regolano le relazioni

reciproche tra gli individui … Questo paragone è particolarmente appropriato nell’ambito

della teoria hobbesiana dell’origine del diritto, una teoria il cui punto di partenza è lo stato

‘naturale’ di anarchia dell’ ‘uomo mangia uomo’ che trova rimedio attraverso la ‘carta

sociale’ … Rispetto a questo sfondo, il conseguimento di una ‘carta sociale’, nella forma

decidedly averse to the very notion of turning conciliation into a legal proceeding” (la traduzione è di chi scrive). 83 “From Diplomacy to Law: the Juridicization of International Trade Relations” (Northwestern Journal of International Law & Business, 1996-97), di Arie Rich.

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dell’Accordo WTO, ha prevenuto l’esplosione dell’anarchia. Agli Stati si potrebbe dire di

aver creato un nuovo regime giuridico mondiale che possiede radici e caratteristiche simili

ad OGNI sistema giuridico nella società umana, in coerenza con le posizioni di grandi

pensatori come Hobbes, Rousseau e Grotius … Dall’analisi condotta, è evidente che

recentemente una ‘società mondiale’, una società caratterizzata da una crescente

interazione intersettoriale (cioè, tra Stati, imprese ed individui) e dalla costruzione di un

regime giuridico-organizzativo regolante questa interazione, ha cominciato a formarsi

nell’arena dell’economia internazionale … Il prossimo stadio di questo processo sarà

probabilmente la maggiore integrazione del diritto pubblico del commercio internazionale

nei sistemi giuridici statali e il riconoscimento ai privati del diritto all’azione contro altri

individui. In pratica, questo processo è già cominciato e, se continuerà, esso contiene le

potenzialità per abbattere la ‘muraglia cinese’, concepita dalla teoria dualistica, tra

il diritto pubblico internazionale ed il diritto nazionale. Sembra infatti che le

relazioni commerciali internazionali possano continuare a servire come il nuovo ed

eccitante obiettivo da conseguirsi da parte della rule of law” (la traduzione è di chi scrive)

(l’enfasi è di chi scrive).

I sani processi del dis-putare e dell’interpretare

Si è detto dunque dell’efficacia del sistema di soluzione delle controversie come

meccanismo atto a garantire una pressione per la conformità delle condotte degli Stati

rispetto al diritto WTO.

Ma la questione della discrasia tra i comportamenti degli Stati e le regole WTO merita di

essere osservata anche da un altro angolo di visuale. Cosa accade se uno Stato viola

sistematicamente le regole WTO, operando secondo schemi tutti concepiti in ottica

nazionale, senza alcuna attenzione all’esigenza di porsi in compatibilità con il quadro del

diritto mondiale? Lasciando per un attimo i sentieri dell’Organizzazione Mondiale del

Commercio, si ritiene sarebbe utile ascoltare la risposta che a questa domanda verrebbe

dall’economista o dal sociologo. Quella comunità che non adegui le proprie regole interne

al quadro complessivo del diritto vigente nel sistema di cui pure farebbe formalmente

parte, tenderà, di fatto, progressivamente, a sviluppare comportamenti incompatibili con

quelli delle altre e quindi ad essere emarginata da quello stesso sistema. Se può servire la

metafora, è come se gli Accordi WTO “spingessero” tutti gli aderenti - le fonti di

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regolazione di qualsiasi livello - a relazionarsi. Una relazione di cui ciascuno necessita, in

quanto – in un sistema fatto di interdipendenza - l’”altro” è vitale per la propria

sopravvivenza. Questa spinta all’interazione ricorda quella a cui talora si sottraggono

coloro che, rispetto alla prospettiva dell’interazione con l’”altro”, preferiscono, per miopia,

per diffidenza o per un senso di inferiorità, quella di una chiusura totale al prossimo, senza

però poter poi evitare che questa chiusura li renda poi sgradevoli, impacciati, spesso

arroganti, certamente poco attraenti e poco socievoli.

Calando nel vissuto economico di un paese queste dinamiche, l’indice relativo alla

capacità di attrazione degli investimenti sembra essere il riferimento più chiaro di un tale

distacco.

La scelta di sottoscrivere gli Accordi WTO è quindi, potremmo dire, anzitutto una scelta

totale di apertura, un aderire all’invito ad imparare a difendersi dai rischi del commercio

senza poter essere tentati dalla soluzione dell’isolamento. Partecipare al sistema WTO

implica fare di questa attitudine uno stile di vita.

Nel gioco WTO, le soluzioni ai problemi vanno obbligatoriamente ricercate con cura, in

maniera raffinata, comunque sempre “con” gli altri, mai “contro” o “senza” di loro.

Quando si forma una controversia in seno all’Organizzazione Mondiale del Commercio, e

in particolare quando, nell’evolvere della stessa, un collegio arbitrale autorizza un Membro

ad adottare un certo livello di sanzioni economiche (sostanzialmente dazi) nei confronti di

alcune produzioni provenienti da un altro paese che non abbia tempestivamente

adempiuto alla pronuncia del giudice, si tende talora a definire la vicenda attraverso la

parola “guerra” (es: guerra delle banane, guerra dell’acciaio, guerra commerciale). Ancora

una volta, le parole sono pietre ed appare opportuno rilevare quanto grave e fuorviante

sia, per le percezioni che diffusamente ne discendono, l’utilizzo di questo termine nel

contesto WTO.

La sottoscrizione degli Accordi WTO determina, per ciascuno degli Stati che hanno

deciso spontaneamente di aderirvi, la partecipazione ad un gioco84. Il gioco è quello del

commercio e alle sue regole, dettate negli Accordi, le normative nazionali hanno l’obbligo

di conformarsi. Può accadere, ed accade sovente, che un Paese asserisca, e chieda sia

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sancita, la difformità della condotta di un altro Paese rispetto alle regole del sistema. In

questi casi, si è detto, gli stessi Accordi WTO prevedono una complessa e rigorosa

procedura che dapprima consente la valutazione del caso da parte di un Organo terzo ed

autonomo (Panel, Organo di Appello) e, successivamente, qualora lo Stato condannato

manchi di dare esecuzione alla sentenza, disciplina il modo attraverso il quale le parti

danneggiate possono adottare ritorsioni e quindi ottenere giustizia.

Deve chiarirsi: non c’è proprio nulla in tutto questo che richiami le dinamiche della

guerra. La guerra non conosce regole. In guerra ciascuno dei contendenti persegue

l’eliminazione definitiva dell’altro e l’antagonismo, assoluto, riguarda tutte le dimensioni

della relazione - o meglio, della non-relazione - tra le due entità.

La controversia WTO, viceversa, disegna uno scenario che è l’esatto contrario della

guerra, proponendo semmai le dinamiche di una gara sportiva, un gioco appunto. Viene

da pensare alle gare olimpiche, per l’ordine in cui i giochi si svolgono, per la diversità dei

colori, delle razze, delle lingue, per il fatto che l’altro è non un nemico, ma un avversario.

Si gareggia con l’altro ed è necessario che l’altro ci sia perché la gara continui. Un arbitro,

che entrambi i contendenti rispettano, controlla, nello sport come nelle controversie

commerciali, che la gara sia leale e che vinca il migliore.

Si osservi esemplificativamente il seguente confronto tra la delegazione di Cuba:

“Her delegation noted with concern the US lack of interest in observing WTO rules and

disciplines, as demonstrated by its unjustified, excessive and offensive delaying tactics,

which impaired the rights of Members and undermined the international credibility of the

DSB; one of the most sensitive institutions of the multilateral trading system. Cuba

considered that the most recent extension was another deplorable action, which affected

the balance of rights and obligations under the TRIPS Agreements and the basic WTO

principles. Consequently, Cuba again urged the United States to desist from violating

international law and to repeal Section 211, which was the only solution to this dispute”

e degli USA

84 La Teoria dei Giochi è la disciplina che studia le situazioni in cui gli agenti interagiscono tra loro e nel fare le proprie scelte devono quindi tenere in considerazione le scelte e strategie altrui.

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“… A new Congress had convened in January 2005 and the US administration was

working with that Congress with respect to appropriate statutory measures to resolve this

matter”

rispetto al controllo del rispetto da parte USA di una pronuncia dei giudici WTO

(Resoconto WT/DSB/M/182 della riunione del 25 gennaio 2005 dell’Organo per la

soluzione delle controversie, integralmente disponibile on line

http://www.wto.org/english/tratop_e/dispu_e/dispu_e.htm), nella controversia United

States – Section 211 Omnibus Appropriations Act of 1998.

La controversia WTO è un aspetto sano, ordinato, corretto, della competizione mondiale

e si pone in armoniosa simbiosi con il suo spirito e le sue regole, costituendone il volto

giuridico e la dimensione istituzionale, di cui gli stessi concorrenti hanno espresso il

bisogno per garantire che fiducia ed efficacia permangano quali virtù fondanti del sistema.

Lo stesso svolgersi della controversia è informato ai principi meritocratici della

competizione.

Importante anche notare come le pronunce degli organi giudicanti WTO rilevino in

maniera significativa, non soltanto per le loro conclusioni, quanto - si direbbe, soprattutto

- per l’iter logico-giuridico attraverso il quale esse si snodano, spesso dovendosi affrontare

e superare complesse questioni interpretative, sulle quali viene a farsi luce attraverso

raffinati procedimenti che, in quanto tali, vengono di fatto a segnare nuovi approdi lungo

la strada del diritto mondiale. Il Panel e l’Organo di Appello, infatti, oltre a rapportare le

condotte nazionali alle regole WTO, si trovano spesso a dover anche identificare un

equilibrio possibile tra i valori protetti nelle diverse disposizioni contenute negli Accordi.

Dalla ragionevole ponderazione degli interessi in campo, i giudici WTO ricavano indicazioni

che diventano direttrici preziose per i regolatori di ogni nazione, a prescindere dal

coinvolgimento nella controversia in esame.

Può accadere così, ed accade, che una controversia sui gamberetti si consegni alla

storia del diritto per aver fornito parametri in materia di interpretazione evolutiva, o che

da una controversia avente ad oggetto il cocco essiccato scaturiscano chiarimenti in tema

di irretroattività dei trattati, o che una controversia che tratti di tonni disegni nuove

prospettive circa le regole per l’interpretazione dell’intero sistema degli Accordi WTO.

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Pur non aderendovi esplicitamente, in quanto le interpretazioni prodotte dagli organi

giudicanti non configurerebbero formalmente “precedente vincolante”, l’ordinamento

giuridico WTO sembra in realtà subire un’ineluttabile attrazione85 verso il magnete della

Common law, notoriamente “caratterizzato dal principio dello stare decisis e dalla

vincolarità del precedente giudiziario”86, in entrambi i casi riconoscendosi valore

sostanziale di guida sociale agli orientamenti espressi dall’autorevole interprete nel caso

concreto.

Vale qui riprendere l’ammonimento del maestro Paolo Grossi:

“C’è una dimensione squisitamente culturale (cioè di cultura giuridica) che la

globalizzazione investe, e di cui non si deve tacere. Concerne una ragguardevole

immissione di valori culturali propri del mondo di common law nel nostro mondo di civil

law … Con l’indicazione mondo di civil law si intende contrassegnare il diritto dell’Europa

continentale e delle sue colonie, marcato nella sua storia giuridica dal solco profondissimo

della rivoluzione francese, un solco in forza del quale si relegano in soffitta tutti i valori

giuridici del medioevo e dell’antico regime, si sposa pienamente la statualità del diritto,

l’identificazione di questo nella legge, la codificazione. E’ il mondo cui ancor oggi l’Italia

giuridicamente appartiene.

Accanto, pianeta distaccato con una storia appartata, il mondo di common law, che ha

per proiezione la grande area geografica dell’Inghilterra e delle sue colonie, che non ha

vissuto sulla sua pelle la vicenda sconvolgente e innovativa della rivoluzione, che vive

ancora una perfetta continuità con i vecchi valori giuridici del medioevo inglese, che

avverte come innaturale la statualità del diritto e la sua identificazione in un complesso di

leggi, che ignora la grande avventura della codificazione, che affida – al contrario – il

divenire del diritto ai tecnici competenti, ai giuristi, e tra questi soprattutto ai giudici che il

85 Il dibattito in materia è molto ricco di contributi. Si vedano, tra gli altri, John Ragosta: “Unmasking the WTO: Access To the DSB System: Can The WTO DSB Live Up To The Moniker ‘World Trade Court’ ”?; Alan Wm. Wolff e John A. Ragosta, “Will the WTO Result in International Trade Common Law? The Problem for U.S. Lawyers,” in The World Trade Organization: Multilateral Trade Framework for the 21st Century and U.S. Implementing Legislation, (T. Stewart ed.) 695 et seq. (1996) (“Wolff & Ragosta, ‘Will the WTO Result in International Trade Common Law?’”). Sempre sull’ampiezza delle potenzialità del diritto WTO, R. Ruggiero: “Il mio sospetto è che né i governi né le industrie si siano ancora resi conto della effettiva estensione di queste garanzie” [la traduzione è di chi scrive] in: “The World Trade Battle Heats Up,” The Vancouver Sun, A15 (Nov. 30, 1999). 86 Marino Bin, Il precedente giudiziario, Cedam, Padova, 1995.

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sano empirismo anglosassone valorizza perché immersi nell’esperienza.

Tutto questo viene precisato per far capire che, ancor oggi, … common law e civil law

costituiscono pianeti giuridici piantati su fondazioni diverse e potatori di diverse mentalità:

due costumi giuridici, se non opposti, certamente assai diversificati … Globalizzazione è un

vento invadente originato soprattutto dal Nordamerica angloide, che non porta solo

barbarismi e invenzioni nuove ma porta soprattutto in seno alla nostra realtà un tessuto

giuridico impregnato di mentalità, costume, valori giuridici propri e naturali al pianeta

d’origine ma estranei e dissonanti per il nostro.

Nel canale parallelo del diritto della globalizzazione circola una cultura giuridica che, in

prevalenza, non è la nostra …

Da un punto di vista culturale, il vecchio legalismo formalista massicciamente osservato

e accuratamente mitizzato nel pianeta di civil law riceve dal contatto coi filoni

globalizzatori un respiro più aperto e uno stimolo a parecchi ripensamenti essenziali”87.

Il diritto espande dunque la propria area d’influenza per effetto di una forza spontanea:

la naturale aspirazione umana alla competizione comprende infatti, come irrinunciabile

corollario, l’esigenza di regole ed istituzioni capaci di premiare i meriti e sanzionare gli

abusi. A fronte di tale espansione, viene corrispondentemente a perdere di senso

l’esercizio del potere politico formalmente incardinato negli apparati statali,

complessivamente fondati d’altronde su un edificio, quello della legge nazionale, reso

ormai anacronistico dal terremoto infinito dell’interconnessione globale dei processi sociali.

“L’attuale movimento ermeneutico corona (e definisce con provvedutezza teorica)

perplessità, intuizioni, timidissime proposte che lo storico vede affacciarsi, per tutto il

corso del Novecento giuridico, fra i giuristi più aperti e più coraggiosi. Si òpera un cospicuo

spostamento di attenzione dal momento di produzione e dalla volontà consegnata e

sigillata nel testo – momento, volontà, testo che avevano monopolizzato tutto l’ingenuo

zelo dei vecchi giuristi plagiati da una ideologia coartante – alla vita della norma nel tempo

e nello spazio; si coglie il processo normativo come non esaurèntesi nel momento di

produzione ma inglobante al suo interno l’interpretazione/applicazione; si rèlegano

finalmente in soffitta le crocifissioni di tanti giudici inchiodati alla tirannide di un testo

invecchiato e forse anche iniquo rispetto alla mutata realtà sociale; si dà finalmente

87 Paolo Grossi, “Globalizzazione, diritto, scienza giuridica” (Il Foro italiano, maggio 2002, V, 151) - Conferenza alle classi riunite dell’Accademia dei Lincei, 7 marzo 2002.

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all’interprete/applicatore un ruolo attivo ben diverso dalla supina esegesi e si attenua la

durezza della norma che la rapidità del mutamento (quella rapidità che constatiamo

quotidianamente) rivela insopportabile. L’interpretazione giuridica lascia l’esilio degli

esercizii logici, dei sillogismi di illuministica memoria e diventa coinvolgimento (e quindi

concreazione) nel complesso procedimento normativo. Poiché parlo a dei pratici (o ad

allievi destinati ad essere in futuro giudici avvocati notai), mi piace qui ricordare che il

filosofo Gadamer, quando ha guardato con attenzione scrupolosa alla interpretazione

giuridica, non ha pensato unicamente a quella dei sapienti (esiliando sdegnosamente in un

cantuccio il contributo dei pratici); egli, al contrario, ha tenuto a insegnare che

‘l’applicazione costituisce, come la comprensione e la spiegazione, un aspetto costitutivo

dell’atto interpretativo inteso come unità’ (..). Rivalutazione massima del momento

applicativo in seno a quell’unità complessa che è l’itinerario normativo”88.

“Certamente in parte a causa del fatto che i precedenti rapporti dei Panel non sono

vincolanti, ma forse anche a causa dell’eredità diplomatica, le parti ed i Panel adoperano

un linguaggio particolare per fare riferimento alle precedenti pronunce. Essi ‘notano’ i

precedenti rapporti; (..) essi li ‘richiamano’ (..). Essi ‘ concordano’ con il ragionamento del

precedente Panel. (..) In uno dei primi rapporti dei Panel WTO, il Panel citò testualmente

un lungo brano da un altro rapporto, dicendo ‘Riteniamo questo argomento molto forte’.

(..) Qualunque sia il linguaggio adoperato, in ogni caso, i Panel tendono a ‘seguire’ i

rapporti ed i precedenti Panel, a meno che quei rapporti non possano essere chiaramente

distinti dalla controversia sottoposta al loro esame o a meno che i Panel non maturino la

convinzione che i precedenti Panel fossero in errore (..)” 89.

La sostanza dei processi WTO configura pertanto un approccio al diritto che è

qualitativamente distante dagli schemi della civil law, nei quali la funzione del giudice

88 Prolusione del Prof. Paolo Grossi, ordinario di Storia del Diritto Italiano nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Firenze, tenuta nella cerimonia inaugurale della Scuola di Specializzazione per le professioni legali. 89 Palmeter D., Mavroidis P. C., cit: “No doubt in part because prior Panel reports are not legally binding, and perhaps in part because of GATT’s diplomatic heritage, parties and Panels use particular language in referring to earlier decisions. They “note” prior reports; (..) they “recall” them. (..) They “concur” with the reasoning of the prior Panel. (..) In one of the early WTO Panel reports, the Panel quoted at length from another report and said, “We see great force in this argument”. (..) Whatever word or words they use, however, Panels are likely to “follow” the reports and previous Panels unless those reports can be distinguished from the cases before them or unless the Panels can be convinced that the previous Panels were in error (..)”.

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appare sempre più compressa dalla gabbia della forma, con conseguente frustrazione

dell’aspettativa sociale di giustizia sostanziale.

“Ai giuristi è riservata soltanto l'esegesi, e di una 'école de l'exégèse' si parla

precisamente per quella Francia post-napoleonica che vive in tutto il suo spessore

ideologico il panlegalismo dei moderni. Esegesi è nozione presa a prestito dai teologi e ben

si addice a chi maneggia un testo ritenuto sacro e perciò oggetto di venerazione e non di

alterazione” (Paolo Grossi, "Globalizzazione, diritto, scienza giuridica"90, 2002).

L’interprete WTO dispone certamente di uno strumentario più ricco, ciò che gli

restituisce peraltro la piena responsabilità di dire uno ius che sia ius iustum e non ius

iussum.

Nel caso Shrimp, così statuì l’Organo d’Appello WTO, nell’interpretare il termine “risorse

naturali esauribili” contenuto nell’Art. XX (g) GATT: “L’espressione ′risorse naturali

esauribili′ contenuta nell’Art. XX (g) è stata elaborata più di 50 anni fa. Essa perciò dovrà

essere interpretata alla luce delle preoccupazioni contemporanee circa la protezione e la

conservazione dell’ambiente che la comunità delle nazioni è chiamata oggi a fronteggiare”

(la traduzione è di chi scrive).

“L’interpretazione evolutiva è spesso accusata di essere in contraddizione con il

principio del pacta sunt servanda e con la regola generale che l’intenzione delle parti al

tempo della conclusione del trattato deve costituire la sola base di interpretazione.

Tuttavia, le stesse disposizioni della Convenzione di Vienna riconoscono che gli eventi

successivi alla conclusione di un trattato possono rilevare e influenzare il principio di

interpretazione in buona fede delle disposizioni.

Nonostante il significato ordinario di un termine contenuto in un trattato debba essere

ritenuto l’agente rivelatore per eccellenza della comune intenzione delle parti al tempo

della conclusione del trattato, il par. 3 dell’art. 31 dispone che siano presi in

considerazione anche i fatti successivi alla conclusione del trattato stesso, i quali possono

90 Conferenza tenuta alle classi riunite dell'Accademia dei Lincei nella seduta del 7 marzo 2002, cit.

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essere considerati come autentici elementi di interpretazione”91 (la traduzione è di chi

scrive).

Nella giurisdizione WTO il meccanismo dell’elusione - che si sostanzia di un’aderenza al

dato formale e della violazione dell’intenzione sostanziale del legislatore - è inoperante per

definizione, visto che il giudice ha mandato e strumenti idonei a verificare la liceità della

condotta, intesa nella sua sostanza complessiva. Nessun tipo di comportamento

dell’Autorità pubblica è d’altronde esclusa dall’area di copertura e di sanzione delle regole

WTO. L’art. 16.4 dell’Accordo istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio recita

infatti: “Ciascun Membro garantisce la conformità delle proprie leggi, dei propri

regolamenti e delle proprie procedure amministrative con gli obblighi che gli incombono

conformemente a quanto previsto negli Accordi allegati”92.

Lo svolgimento di una controversia WTO costituisce quindi un processo nobile ed

elegante, che si nutre del contributo dei più grandi giuristi del pianeta e che spinge, tutti,

ad affinare pensieri ed argomenti, ad ascoltare le ragioni dell’altro e a cercare di superarle

con ragioni migliori. I giudici WTO non guardano le firme in calce ai documenti, ma ne

analizzano rigorosamente i contenuti. All’Organizzazione Mondiale del Commercio può

certamente accadere, ed accade, che due Paesi che si confrontano in una certa sala da

avversari in una controversia, presentino, nello stesso istante, in un’altra sala e su un’altra

questione, una posizione congiunta.

Anche l’autorizzazione all’adozione di ritorsioni “unilaterali” è un momento di alta

civiltà: la pronuncia del collegio arbitrale rende infatti anche quelle contromisure -

unilaterali solo nell’esecuzione materiale (ma ciò è in linea con l’assenza di una polizia

mondiale del commercio) - parte essenziale di un gioco che resta comune. Si deve anzi

aggiungere che quelle misure punitive e compensative - sospensione delle concessioni o di

altri obblighi - sono concepibili ed efficaci proprio perché una solida relazione tra i

concorrenti esiste e persiste, certamente sopravvivendo alla controversia, sicché su tale

relazione (commerciale) diventa possibile intervenire, costruendovici sopra un atto di

giustizia.

91 Gabrielle Marceau, “A Call for coherence in International Law – Praises for the prohibition against “Clinical Isolation” in WTO Dispute Settlement System” (Journal of World Trade, Kluwer Law International, vol. 33, No 5 October 1999). 92 “Each Member shall censure the conformità of its laws, regulations and administrative procedures with its obligations as provided in the annexed Agreements” (art. 16.4 - Trattato istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio).

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Cenni sul merito di alcune pronunce della giurisprudenza WTO

La certezza e la prevedibilità sono requisiti essenziali di un sistema di regole.

Con riferimento all’impianto WTO, rassicurazioni chiare e definitive provengono in tal

senso da alcune dichiarazioni di senso generale rese dall’Organo di Appello

“Le regole WTO sono affidabili, chiare ed esecutive. Esse non sono così rigide o

inflessibili da non lasciare spazio per ragionevoli valutazioni necessarie per trattare il

flusso mutevole ed incessante delle situazioni reali nel mondo reale. Esse potranno servire

al meglio il sistema commerciale multilaterale se saranno interpretate in questa

prospettiva. In tal modo, sarà possibile conseguire la ‘certezza e prevedibilità’ che i

Membri WTO vollero assicurare al sistema commerciale multilaterale con l’istituzione del

sistema di soluzione delle controversie” 93

e dai Panel

“Tra le aree giuridiche WTO, l’Intesa per la soluzione delle Controversie costituisce uno

degli strumenti più importanti per tutelare la certezza e la prevedibilità del sistema

commerciale multilaterale e attraverso questo del mercato e dei suoi operatori”94.

Nel caso USA-Gasoline l’Organo di Appello affermava che la regola generale

d’interpretazione dei trattati contenuta nell’art. 31 della Convenzione di Vienna aveva

conseguito lo status di diritto consuetudinario di interpretazione dei trattati. L’Organo di

Appello approdava inoltre, nella stessa disputa, alla storica risoluzione secondo la quale il

diritto WTO non va letto “in isolamento clinico” dal diritto internazionale generale,

chiarendo poi in altre circostanze95 che quest’apertura attiene all’interpretazione dei

principi già contenuti negli Accordi e che dunque essa non potrà consentire l’importazione

di regole o concetti che non siano presenti negli Accordi stessi.

93 Controversia Japan – Alcoholic Beverages II (Rapporto dell’Organo di Appello). 94 Controversia US – Section 301 Trade Act (Rapporto del Panel). 95 Controversia India – Patents (US) (Rapporto dell’Organo di Appello).

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In un’altra controversia96, si è poi sancito che gli elementi di cui all’Articolo 31 della

Convenzione di Vienna - testo, contesto, oggetto-e-fine e buona fede – vanno visti come

un’unica regola olistica di interpretazione piuttosto che come una sequenza di riferimenti

separati da applicarsi in ordine gerarchico.

Riguardo al ruolo degli strumenti supplementari di interpretazione, l’Organo di Appello,

nel richiamare l’art. 32 della Convenzione di Vienna, ha altresì affermato97 che, ai fini

dell’interpretazione di una disposizione di un accordo, è ammissibile prendere in

considerazione il “background storico nel quale l’accordo era stato negoziato”. Da ricordare

che l’art. 3298 della Convenzione di Vienna contempla, tra gli strumenti interpretativi

supplementari, i lavori preparatori dell’accordo nonché le circostanze in cui ebbe luogo la

sua stipulazione.

Anche il principio “in dubio mitius” è stato accolto dall’Organo di Appello99 come

strumento interpretativo supplementare “comunemente riconosciuto nel diritto

internazionale”.

Analogamente, i principi di buona fede e di ragionevolezza, insieme alla dottrina

dell’abuso di diritto, sono stati riconosciuti dall’Organo di Appello100 come presenti anche

negli Accordi WTO .

Nel caso US – Gasoline, l’Organo di Appello ha inoltre riconosciuto rilevanza al principio

di effettività (ut res magis valeat quam pereat), come uno dei corollari della regola

generale d’interpretazione dei trattati contenuta nella Convenzione di Vienna. In

particolare, l’Organo di Appello affermò: “Uno dei corollari della regola generale

d’interpretazione dei trattati nella Convenzione di Vienna è che l’interpretazione deve

attribuire significato ed efficacia a tutti i termini del trattato. Un interprete non è libero di

adottare una lettura che porti a rendere intere clausole o paragrafi di un trattato

ridondanti o inutili” … “L’esercizio di un diritto in una maniera tale da pregiudicare

l’interesse al trattato da parte di un’altra parte contraente è irragionevole ed è da

96 Controversia US – Section 301 Trade Act (Rapporto del Panel). 97 Controversia EC – Computer Equipment. 98 L’art. 32 della Convenzione di Vienna prevede che il ricorso a strumenti interpretativi supplementari possa avere luogo per confermare il significato risultante dall’applicazione dell’art. 31, o per determinare il significato nei casi in cui l’art. 31 porti ad un significato ambiguo od oscuro, oppure ad un risultato manifestamente assurdo o irragionevole. 99 Controversia EC – Hormones. 100 Controversia US – Shrimp.

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considerarsi incompatibile con l’esecuzione in buona fede degli obblighi del trattato, ed

una violazione del trattato stesso”.

L’Organo di Appello ha altresì riconosciuto101 essere dovere dell’interprete “leggere tutte

le disposizioni di un trattato in una maniera che dia significato armonioso all’insieme di

esse”. Un importante corollario di questo principio è che un trattato dev’essere

interpretato nell’insieme ed in particolare ciascuna sua parte dev’essere interpretata

congiuntamente alle altre (“un inseparabile pacchetto di diritti e regole che devono essere

considerati congiuntamente)”102.

Nel caso Indonesia – Autos, l’Organo di Appello respingeva l’argomentare indonesiano

fondato su un’ipotesi di conflitto tra norme GATT (art. III) e alcune disposizioni

dell’Accordo sui Sussidi, riconoscendo il principio di presunzione di assenza di conflitto tra

norme.

Nell’ambito della controversia Brazil – Dessicated Coconut, l’Organo di Appello,

richiamandosi all’art. 28 della Convenzione di Vienna, riconosceva altresì rilevanza al

principio generale di non retroattività dei trattati, a meno che non sia chiara un’intenzione

in tal senso nel testo del trattato stesso. Sempre con riferimento al principio di

irretraoattività, in un altro caso103 l’Organo di Appello ha precisato che l’art. 28 della

Convenzione di Vienna riguarda non soltanto gli “atti”, ma anche ogni “fatto” o

“situazione” la cui esistenza sia cessata prima dell’entrata in vigore del trattato.

Un importante richiamo al principio della responsabilità statale veniva operata dal Panel

nel caso Turkey – Textiles, nel quale si veniva a considerare la Turchia responsabile per le

misure adottate nell’ambito dell’unione doganale tra Turchia e Comunità Europee. Nella

fattispecie il Panel interiorizzava testualmente la pronuncia del Giudice Shahabuddeen's

nel caso Nauru presso la Corte Internazionale di Giustizia: “quando gli Stati operano

attraverso un organo comune, ciascuno Stato è autonomamente responsabile per gli atti

illegittimi dell’organo comune”. “Una simile conclusione deve considerarsi in quei casi di

parallela attribuzione di una singola condotta di un organo comune a diversi Stati … la

condotta dell’organo comune non può che considerarsi diversamente che come un atto di

ciascuno Stato cui appartiene l’organo comune. Se la condotta è in violazione del diritto

internazionale, allora i due o più Stati avranno entrambi commesso un separato, anche se

101 Controversia Korea – Dairy. 102 Controversia Argentina – Footwear (EC). 103 Controversia Canada – Patent Term.

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identico, atto illegittimo a livello internazionale”.

4. Il sogno del mercato unico europeo e la realtà del mercato unico mondiale.

Ambiguità e distorsioni

Una premessa sull’eterogenesi dei fini

Per eterogenesi dei fini – un principio intuito da Giovanbattista Vico e trattato, tra gli

altri, da William Max Wundt, Joseph De Maistre, Karl Popper – s’intende quella dinamica

che spiega i comportamenti controintuitivi dei sistemi complessi, in particolare dei sistemi

sociali. I comportamenti razionali dei singoli componenti di un sistema sociale - ad

esempio, di un’organizzazione pubblica - azionano frequentemente processi che, in

concreto, non soltanto non coincidono, ma spesso addirittura contraddicono, gli obiettivi e

le aspettative che di quel sistema avevano informato, in astratto, la pianificazione.

In questo senso l’eterogenesi dei fini risulta essere la parte, riconducibile agli interessi

ed alle volontà degli attori organizzativi, di quel più ampio ed eterogeneo insieme di

“frizioni” tra l’originario progetto organizzativo ed il reale evolversi dei processi, di cui ha

parlato von Clausewitz104 e di cui si tratterà più avanti. Il segno di tali frizioni, va chiarito,

non è necessariamente negativo, come bene spiega Francois Julienne105 quando espone,

nel suo Trattato, una visione dell’efficacia che si richiama al pensiero orientale, nella quale

104 Carl von Clausewitz, Della Guerra, traduz. di P. Paret con introduzione di M. Howard (New York, A. Knopf, 1993), Cap. VII. 105 Julienne F., Trattato dell'efficacia, Einaudi, 1998, estesamente richiamato in D. Ciccarelli “Bioarchitettura istituzionale. La Via del Tradere”, cit. (“Piuttosto che ad erigere un modello che gli serva da norma all'azione, il saggio cinese è portato a concentrare l'attenzione sul corso delle cose nel quale si trova coinvolto, per coglierne la coerenza e trarre profitto dalla loro evoluzione. Da questa differenza, sembra potersi trarre una chiara alternativa per la condotta: invece di costruire una forma ideale che si proietta sulle cose, bisognerebbe "dedicarsi a rintracciare i fattori favorevoli operanti nella loro configurazione"; invece di imporre il proprio piano al mondo, appare proficuo "far leva sul potenziale della situazione". Due nozioni si trovano al cuore dell'antica strategia cinese e fanno coppia. Da un lato, quella di situazione o di configurazione, come rapporto di forze; dall'altro, e in corrispondenza con la prima, quella di potenziale, che risulta implicato in questa situazione e si può far giocare a proprio favore. Negli antichi trattati militari (Suntzi), il potenziale è illustrato dall'immagine del torrente che, nel suo slancio, è in grado di trascinare pietre: la situazione è sempre, di per sé, fonte di effetto. Individuato questo potenziale, i pensatori cinesi della strategia hanno avuto cura di trarne le conseguenze. Contrariamente a quanto avviene nella concezione umanistica dell'efficacia, nella prospettiva orientale l’investimento personale conta meno del condizionamento oggettivo risultante dalla situazione: la propensione, immagine dinamica del

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si riconosce la primazìa non al progetto - cui lega invece invariabilmente la propria misura

l’efficacia di matrice occidentale - ma a quello che in corso d’opera si rivela essere il

potenziale situazionale, con tale espressione rappresentandosi le novità proposte

dall’”ambiente di lavoro”.

Caratteristiche e segno dei processi di eterogenesi dei fini vanno dunque esplorati di

volta in volta. Ciò che resta vero comunque è che, quale che sia il fine astratto per il quale

era stata concepita, ogni organizzazione, quale che ne sia la natura, tende - per effetto

della progressiva prevalenza delle dinamiche interne - a porre in cima alle proprie priorità

la propria sopravvivenza, la propria espansione, il proprio potenziamento. Questa

“supermissione”, ulteriore ed inintenzionale rispetto ai fini originari del progetto, tende a

divenire l’interesse convergente tra i suoi membri e quindi l’autentico collante del sistema

organizzativo, capace di superare le differenze di vedute, di sensibilità e di valori,

sussistenti tra i singoli componenti del sistema. Altri obiettivi saranno accettati e

perseguiti dall’organizzazione solo, e nella misura in cui, essi siano non in contrasto, e

semmai funzionali, con quelli della supermissione.

In questo quadro di questioni, si pone, con specifico riferimento all’evoluzione

dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, il recente lavoro di Tomer Brode

“International Governance in the WTO: Judicial Boundaries and Political Capitulation”106.

Attrezzato delle chiavi di lettura cui si è fatto cenno, Brode esprime una valutazione

storica decisamente positiva dell’inatteso impatto sulla configurazione del rapporto

politica-diritto che si è generato in esito all’interazione tra la realtà e l’impianto

istituzionale WTO che era stato definito a Marrakesh nell’aprile 1994. Gli argomenti

presentati da Brode, ancorchè concepiti con riferimento alle frizioni attraverso le quali si è

evoluto il sistema dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e quindi al progressivo,

inintenzionale prevalere della dimensione giurisdizionale su quella politica, si prestano ad

essere utilizzati come chiave interpretativa generale del rapporto tra le Organizzazioni

pubbliche ed i fatti della vita:

“Molto spesso le organizzazioni internazionali non sono quello che i loro membri -

considerati sia individualmente, che come collettivo - desideravano veramente che esse

potenziale, risulta dal rapporto di forze che lo stratega sa impiegare a suo vantaggio; l'effetto ne deriva sponte sua”).

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fossero … Il fenomeno della “frizione”, quale concepito da Clausewitz, è quasi endemico

alla politica delle organizzazioni internazionali come alla sua immagine della guerra. I

pericoli possono essere di tipo differente; gli sforzi richiesti non di natura fisica; le cause

della ‘foschia’ delle informazioni poco chiare sono diverse, ma alla fine, in entrambi i casi,

le cose non andranno come ci si aspettava: da vicino le cose sono diverse da come le si

vede da lontano, e la pratica seguirà una strada sempre diversa, talora significativamente

diversa, da quella disegnata anche dal più accurato dei piani originari (..). Anche se il

trattato su cui si fonda un’organizzazione internazionale - quello che era cioè il piano

ispiratore - era condiviso come indicazione obiettiva di ciò che, in un certo fugace

momento, i membri desideravano che l’organizzazione fosse, una volta che un’istituzione

internazionale sia stata fondata ed attivata, essa viene a fare i conti con le avversità e le

sorprese della realtà, sviluppa l’imprevedibile vibrazione della cultura organizzativa107 e la

progressiva esperienza di campo realizzata attraverso il confronto con problemi imprevisti,

che comporta un’espansione e uno sviluppo che vanno ben oltre l’originaria e magari

attuale intenzione dei membri, ponendosi talvolta anche in contrasto con essa, nonché la

struttura formale dell’organizzazione … Questo studio costituisce anzitutto ‘un’anatomia

dell’influenza giudiziaria’ (..) nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), volta ad

offrire un’analisi giuridico-istituzionale della distribuzione di potere e di influenza

normativa tra gli elementi giudiziari e quelli politici nel processo di decision-making WTO

… Esso concerne sia il disegno – se non la volontà – dei membri WTO riguardo alla

relazione intraorganizzativa ‘giurisdizione-politica’ come inserita nella norma scritta degli

Accordi WTO (..), il progetto organizzativo quindi, sia la forma dinamica che questa

relazione ha assunto nella pratica”.

La rappresentanza dei cittadini degli Stati europei presso l’Organizzazione Mondiale del

Commercio

Parere n. 1 CGCE, del 15 novembre 1994, relativo alla competenza della Comunità a

stipulare accordi internazionali in materia di servizi e di tutela della proprietà intellettuale.

106 Cameron May, 2004. 107 Vedi e.g. J.H.H. Weiler, “The Rule of Lawyers and the Ethos of Diplomats: Reflections on the Internal and External Legitimacy of WTO Dispute Settlement Dispute”, (2001) 35 (2), J. World T. 191 at 197-98, “sostenendo, tra l’altro, che la giudiziarizzazione ha introdotto una nuova “cultura giuridica” nel WTO che è dissonante dalla pre-esistente cultura organizzativa diplomatica del GATT …” [nota in originale] (la traduzione è di chi scrive).

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L’organizzazione della rappresentanza istituzionale, in sede WTO, dei cittadini residenti

sul territorio degli stati aderenti all’Unione Europea non avviene in maniera trasparente

come in altre aree del mondo. L’”unicità” della vicenda comunitaria, già manifestatasi con

chiarezza, nel corso del secolo scorso, nei processi di evoluzione all’interno del territorio

comunitario, propone nuove grandi criticità nell’interlocuzione istituzionale con gli altri

membri dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Tali criticità traggono origine dal

fatto che, mentre altri casi particolari di Membri non-Stati (es. Taipei, Hong Kong) fondano

la base giuridica della loro autonoma rappresentatività nell’art. XII del Trattato Istitutivo

dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (“Ciascuno Stato o territorio doganale a sé

stante dotato di piena autonomia nella gestione delle proprie relazioni commerciali esterne

e degli altri aspetti contemplati dal presente Accordo e dagli Accordi commerciali

multilaterali può aderire al presente Accordo …”), l’unicità del caso comunitario è stata

interiorizzata in quanto tale, senza dunque alcuna problematizzazione giuridica, nel

Trattato istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. L’art. XI del Trattato recita

infatti: “Le Parti contraenti del GATT 1947 alla data di entrata in vigore del presente

Accordo e le Comunità europee … diventano Membri originari dell’OMC”. Nel 1994, a

Marrakesh, le Comunità Europee venivano dunque ad essere considerate, in quanto tali e

con questa denominazione (European Communities), come Membro originario

dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, condividendo però tale status con ciascuno

dei singoli dieci Stati membri delle Comunità Europee, anch’essi, come le Comunità

Europee, Membri WTO originari108. A differenza degli Stati (anche europei), le Comunità

Europee non sono invece Membri a pieno titolo, nella misura in cui esse, in caso di

votazione, non hanno diritto, in quanto tali, al voto109.

Dei dieci nuovi Stati entrati poi nell’UE il 1 maggio 2004, non tutti avevano invece

avuto accesso all’Organizzazione Mondiale del Commercio alla data della sua istituzione (1

gennaio 1995). In particolare, la Polonia è divenuta Membro WTO il 1 luglio 1995, Cipro e

108 “… con l’art. XI i redattori dell’Accordo WTO hanno definitivamente riconosciuto, sul piano del diritto positivo, la posizione di parte contraente che la Comunità aveva acquisito nel quadro dell’Accordo generale del 1947, in quella sede accettata come mera situazione di fatto che non è mai stata oggetto di formalizzazione giuridica” (G. Adinolfi, “L’Organizzazione Mondiale del Commercio. Profili istituzionali e normativi” – Cedam, 2001). 109 Art. IX:II Trattato istitutivo WTO: “… Nelle riunioni della Conferenza dei Ministri e del Consiglio Generale, ogni Membro della WTO ha diritto a un voto. Qualora le Comunità europee esercitino il loro diritto di voto, esse hanno un numero di voti pari al numero dei loro Stati membri (nota: In nessun caso il numero dei voti delle Comunità europee e dei loro Stati Membri può superare il numero degli Stati membri delle Comunità europee ) Membri della WTO”.

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Slovenia il 30 luglio 1995, la Lituania il 10 febbraio 1999, l’Estonia il 13 novembre 1999, la

Lituania il 31 maggio 2001.

Da notare che il rapporto tra l’Unione Europea e gli accordi WTO presenta una

interessante rilevanza giuridica anche nell’ambito dell’art. XXIV GATT, che tratta delle

unioni doganali e delle zone di libero scambio.

“Tale disposizione consente a certe condizioni la creazione tra le parti contraenti di

unioni doganali e zone di libero scambio, in cui per definizione i vantaggi che le parti si

accordano restano limitati alle medesime, e non si estendono agli Stati terzi”110.

“… va comunque più in dettaglio ricordato che già la CECA (la Comunità Europea del

Carbone e dell’Acciaio), istituita col Trattato del 18 aprile 1951, essendo una unione

doganale limitata solo a certi prodotti, che non rispettava la regola della liberalizzazione

per l’essenziale degli scambi commerciali, non poteva in nessun caso essere ritenuta

compatibile con l’art. XXIV. La sua esistenza venne perciò sanata attraverso una deroga,

ex art. XXV, par. 5, accordata alle Parti Contraenti del GATT a larga maggioranza il 10

novembre 1952 (..). Le questioni si sono poste invece diversamente dal primo momento

con riguardo alla Comunità economica europea, che sulla base dell’art. 234 del Trattato

istitutivo di Roma, prevedeva il rispetto da parte dei sei Stati membri originari degli

obblighi derivanti da convenzioni stipulate in precedenza, e venne quindi sottoposta per la

sua approvazione all’esame, ai sensi dell’art. XXIV, da parte del GATT ... Tale dibattito ..

non giunse ad alcun risultato definitivo, data la manifesta impossibilità di una condanna da

parte del GATT, che avrebbe potuto condurre i sei Stati membri originari ad una denuncia

dell’Accordo generale …”111.

Sui dubbi di illegittimità relativi a molti accordi regionali in essere, James Bacchus, già

membro dell’Organo di Appello, ha parlato di “bomba ad orologeria”112.

110 P. Picone, A. Ligustro “Diritto dell’Organizzazione Mondiale del Commercio”, Cedam 2002. 111 P. Picone, A. Ligustro op. cit. 112 “When former international trade judge James Bacchus speaks of a ‘legal time bomb’ ticking away inside the World Trade Organization, he is not warning of an explosion at the WTO’s Geneva headquarters. Bacchus – a former Florida lawmaker who served eight years as a judge in the WTO tribunal known as the Appellate Body – is talking about a contradiction within the rules of the WTO that could develop into one of the world’s largest trade fights if any country decides to lob the first volley. Most of the several hundred regional free trade agreements negotiated in the last decade have not actually received the WTO’s stamp of approval, certifying they are in compliance with

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Con riferimento al quadro disegnato dalla Corte di Giustizia delle C.E. in ordine al modo

in cui gli Stati aderenti all’UE e le European Communities debbano rapportarsi

all’Organizzazione Mondiale del Commercio (Parere 1/94), Pierre Pescatore assume una

posizione (“Inappropriate questions of the Commission, followed by incoherent answers of

the Court”) che non difetta certo di chiarezza: “… la posizione della Corte non ha speranze

di essere accolta a livello WTO laddove dovessero insorgere conflitti tra la Comunità e i

singoli Stati Membri”113.

In effetti la sofisticata impalcatura dei processi decisionali e la complessa distribuzione

delle responsabilità istituzionali - tra gli enti del governo locale, centrale e comunitario -

formalizzate sul territorio degli Stati comunitari appaiono dunque esposte a nuove sfide e

a nuovi schemi, entrambi esogeni, in uno scenario, quello di Ginevra - il quale riflette

quello della competizione globale – nel quale i rappresentanti australiani e canadesi,

tailandesi e cubani, marocchini e neozelandesi, cinesi e nigeriani, pretendono certezza

circa la piena rappresentatività degli altri interlocutori.

Una certezza che proprio nel caso dei cittadini degli Stati aderenti all’UE presenta

inevitabilmente ampi profili di debolezza, come peraltro manifestato dalla mutevolezza del

lessico istituzionale114 oltre che dalle chiare asimmetrie nella distribuzione delle

responsabilità e delle prerogative della rappresentanza.

Le ripartizioni di competenze, orizzontali (tra aree di governo) e verticali (tra livelli di

governo), richiedono, nella struttura dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (“What

Artiche XXIV – a provision that allows countries to form regional trade blocs, such as the European Union or the North American Free Trade Agreement, and grant better status to selected trade partners. Potentially, a third party country could file a complaint with the WTO, charging that regional trade agreements discriminate against the goods of countries outside the bloc … ‘This is a legal time bomb waiting to happen’, Bacchus said recently. ‘I am very glad it did not come to the WTO Appellate Body when I was a member’ …”. (“Contradiction in WTO rules could develop into trade fight”, The Miami Herald, 1 nov 2004. http://www.miami.com/mld/miamiherald/business...). 113 Pierre Pescatore, “Opinion 1/94 on ‘Conclusion’ of the WTO Agreement: Is there an Escape from a Programmed Disaster?”, Common Market Law Review 36, 1999 Kluwer Law International: “… the Court’s position has no chance of being received at WTO level whenever it would bring out conflicts between the Community and individual Member States” (la traduzione è di chi scrive). 114 Nelle riunioni dei Comitati WTO dell’area “Servizi” e “Proprietà Intellettuale”, la Commissione europea si dichiara come rappresentante delle “European Communities and its Member States”. Nell’area “Beni” la definizione utilizzata è invece quella di European Communities. Nell’area delle controversie, lo spettro delle possibilità contempla, accanto al caso più ricorrente in cui come parte delle dispute vengono considerate esclusivamente le “European Communities”, situazioni in cui gli Stati comunitari risultano coinvolti a titolo individuale (DS 210, DS 173, DS 131, DS 130, DS 129, DS 128, DS 127, DS 125), e, recentemente, situazioni in cui si parla di “European Communities and certain Member States” (DS 316 - Measures affecting trade in large civil aircraft).

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does commercial policy” really means?”115 si chiede P. Pescatore), necessariamente

integrazione e composizione, che siano univoche e stabili. Mancare di adempiere a tale

necessità rischia di comportare la replica di quelle diluizioni di responsabilità sui fatti reali

che sono tipiche dei sistemi burocratici.

Mentre si dirà più avanti della questione sotto il profilo della partecipazione ai round

negoziali, sembra opportuno qui almeno accennare alle criticità che si associano alla

dinamica trasversale della soluzione delle controversie. Nel caso dell’attivazione, da parte

di un altro Membro, di una disputa formale nei confronti di uno o alcuni singoli Stati

comunitari, la prassi è che tali Stati siano rappresentati dalla Commissione Europea116. A

differenza di quanto accaduto per altri accordi regionali pur dotati di un proprio foro, come

il NAFTA (Accordo di Libero Scambio dell’America del Nord, composto da USA, Canada e

Messico), i cui Membri hanno spesso usufruito del sistema WTO per la soluzione delle

controversie anche per la composizione di divergenze tra loro, ad oggi controversie tra

Stati UE non sono mai state sollevate a livello WTO.

L’attitudine intracomunitaria al dis-putare (ma il rischio è evidentemente la

deresponsabilizzazione, e quindi la disconnessione dalla World Trade Law, delle intere

filiere nazionali: imprese, università, amministrazioni, avvocati, consulenti, media) sulle

regole della competizione globale, oggi sedata grazie all’assistenza fornita dalla

Commissione europea, aveva invece avuto precedentemente espressione a livello GATT.

Si cita, a titolo meramente esemplificativo, il caso “Belgian Family Allowances

(Allocations Familiales)”, nel quale Norvegia e Danimarca avevano contestato alcune

misure adottate dal Belgio (Rapporto adottato il 7 novembre 1952), o la disputa “Italian

Discrimination Against Imported Agricultural Machinery”, nella quale il Regno Unito

asseriva l’incompatibilità della strumentazione italiana a sostegno di alcune categorie di

agricoltori con l’art. III GATT (Rapporto adottato il 23 ottobre 1958), o infine la

115 “what do the words ‘commercial policy’ and ‘trade agreement’ in Artiche 113 mean? Surely not what today’s interpreters, quite gratuitosly, suppose to have been the understanding of the authors of the EC Treaty. Surely not what GATT signified at that time, because GATT, which is no more than a fragment detached from the Havana Charter, did not exhaust what could be understood by commercial o trade policy …” (Pierre Pescatore, “Opinion 1/94 on ‘Conclusion’ of the WTO Agreement: Is there an Escape from a Programmed Disaster?”, Common Market Law Review 36, 1999 Kluwer Law International). 116 In questi frangenti, si creano comunque situazioni di pesante incertezza giuridica, sia sulla natura delle Comunità Europee, che sono Membro originario dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e che in tali casi entrano in una controversia senza essere state formalmente coinvolte, sia sulla natura dei delegati degli Stati comunitari, di quelli direttamente coinvolti come pure degli altri.

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controversia (DS 259, del 1999) sorta tra Ungheria e Repubblica Ceka in materia di misure

di salvaguardia.

Sul tema generale della competenza a stipulare gli accordi multilaterali sul commercio,

e a conferma delle incertezze cui sopra si è accennato, la Commissione Europea giudicò

opportuno, nel 1994, richiedere un parere della Corte di Giustizia delle Comunità Europee.

La Corte di Giustizia venne dunque chiamata a dirimere il conflitto generatosi in

occasione della sottoscrizione degli atti dell’Uruguay Round, essendo insorte pesanti

ambiguità nella stessa decisione - richiamata poi dalla CGCE in premessa al Parere (punto

III) - con cui, in occasione della dichiarazione ministeriale di Punta del Este (20 settembre

1986) che aveva aperto ufficialmente l’Uruguay Round, il Consiglio e gli Stati membri da

un lato avevano deciso “onde garantire il massimo di coerenza nello svolgimento dei

negoziati”, che “la Commissione avrebbe agito come negoziatore unico della Comunità e

degli Stati Membri”, e dall’altro puntualizzato, nel verbale della stessa riunione, che detta

decisione “non avrebbe pregiudicato la questione della competenza della Comunità e degli

Stati membri su punti particolari”.

I dubbi si riproposero al termine dell’Uruguay Round, quando, nella sua sessione del 7-

8 marzo 1994 (a soli 37 giorni, quindi, dalla riunione di Marrakesh che avrebbe concluso

l’Uruguay Round), il Consiglio UE pervenne alla decisione di procedere, nella propria

capacità, alla firma dell'Atto finale che avrebbe recepito i risultati dei negoziati commerciali

multilaterali dell'Uruguay Round e dell'Accordo istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del

Commercio. Il Consiglio autorizzò il presidente del Consiglio e Sir Leon Brittan, membro

della Commissione, a firmare il 15 aprile 1994 a Marrakesh, in nome del Consiglio

dell'Unione europea, l'Atto finale e l'Accordo istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del

Commercio, ritenendo che gli atti riguardassero anche «questioni di competenza

nazionale». Dal canto suo, la Commissione fece inserire nel verbale della stessa riunione

comunitaria che «l'Atto finale (...) nonché gli accordi ad esso allegati rientrano

nell'esclusiva competenza della Comunità».

Da notare che poi l’Atto finale e l’Accordo WTO furono poi sottoscritti, oltre che dalla

Comunità, anche dai rappresentanti dei singoli Stati membri dell’UE 117.

117 L’Italia, dal canto suo, provvedette a ratificare gli accordi dell’Uruguay Round con legge dello Stato (legge n. 747 del 29 dicembre 1994). “La ratifica supera di fatto la diatriba di carattere giuridico-formale su quale fosse l’organo istituzionale competente all’approvazione” (1994, dichiarazione del Ministro del Commercio con l’estero, Giorgio Bernini).

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Rispetto a tale incertezza sulla distribuzione delle responsabilità all’interno del sistema

comunitario, vale subito osservare che, in generale, le norme di diritto comunitario

relative alla divisione della competenza a stipulare non producono effetti giuridici nei

confronti degli Stati non comunitari a meno che esse non siano esplicitamente richiamate

nell’Accordo. Nel caso dell’Organizzazione Mondiale del Commercio non è stato adottato

l’approccio seguito in altri contesti internazionali - es. Codex Alimentarius - in cui, per ogni

singola decisione da prendersi, avviene una previa definizione a Bruxelles della titolarità

delle competenze sul punto (tra CE e Stati Membri), la quale trova poi evidenza e

traslazione formalizzata nello stesso processo decisionale dell’Istituzione internazionale

(nel caso delle riunioni del Codex Alimentarius - i cui standards, si ricorderà, sono peraltro

richiamati negli Accordi WTO - per ogni decisione da adottarsi muta la titolarità

dell’interlocuzione comunitaria).

“Se questo è il quadro sul versante interno comunitario, resta di rilievo la circostanza

che, in fatto, sia la Comunità che gli Stati membri hanno sottoscritto l’intero pacchetto

degli accordi OMC e che, pertanto, nei confronti degli Stati terzi contraenti sia l’una che gli

altri sono allo stesso titolo ed in egual misura parti contraenti. Se è vero, poi, che

l’approvazione degli stessi accordi a nome della Comunità è limitata ‘alla parte di sua

competenza’, è altresì vero che l’Atto finale e l’accordo OMC non contengono alcuna

clausola sulla ripartizione di competenze tra la Comunità e i suoi Stati Membri”118.

Questa premessa serve anche a precisare che, in punto di diritto, per gli Stati

comunitari la questione del proprio rapporto con il sistema giuridico del commercio

mondiale è inevitabilmente disciplinata, al massimo grado, dagli stessi Accordi WTO:

quando si firma un accordo, ci si lega al suo contenuto.

“Il vero significato della situazione creata dalla sottoscrizione e dell’Accordo WTO può

derivare esclusivamente dallo stesso Accordo WTO. I termini della partecipazione non

possono essere alterati unilateralmente dalla Corte mediante le categorie del Trattato EC”. 119

118 Tesauro G., “I rapporti tra la Comunità europea e la WTO”, in “Diritto e Organizzazione del commercio internazionale dopo la creazione della Organizzazione Mondiale del Commercio” (Società Italiana di Diritto Internazionale, II Convegno, Milano, 5-7 giugno 1997) (Editoriale Scientifica). 119 Pierre Pescatore, “Opinion 1/94 on ‘Conclusion’ of the WTO Agreement: Is there an Escape from a Programmed Disaster?”, Common Market Law Review 36, 1999 Kluwer Law International: “The

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Sebbene quindi quella comunitaria non sia la giurisdizione idonea ad individuare il

diritto applicabile, la Commissione chiese alla Corte di Giustizia di pronunciarsi sulla

vicenda. La Corte di Giustizia perimetrò (15 novembre 1994) nei seguenti termini la

questione sottopostale (punto XIV):

“… il problema consiste nel determinare se la competenza della Comunità a stipulare

l’Accordo OMC e i suoi allegati sia esclusiva o meno”.

Le conclusioni cui approdò la Corte di Giustizia, al termine di un ragionamento

certamente denso e meritevole di ulteriori analisi, sono note120.

La Corte … emette il seguente parere:

1. La Comunità è esclusivamente competente, in forza dell’art. 113 del Trattato CE, a

concludere gli Accordi multilaterali relativi al commercio dei prodotti.

2. La competenza a concludere il GATS [accordo sui servizi ndr] è ripartita fra la

Comunità e i suoi Stati membri.

3. La competenza a concludere il TRIP [accordo sulla proprietà intellettuale] è ripartita

fra la Comunità e i suoi Stati membri.

Se però si fonde la posizione espressa dalla CGCE con la effettiva realtà del sistema

WTO, si rileva agevolmente che la pronuncia della Corte è semplicemente inattuabile. Il

modo in cui la Corte vorrebbe che fosse organizzata la partecipazione degli Stati membri

true significance of the situation created by the signature and the acceptance of the WTO Agreement can be deduced only from the WTO Agreement itself. The terms of acceptance could not be altered unilaterally by the Court through the categories of the EC Treaty” (la traduzione è di chi scrive). 120 “L’articolo XI dell’Accordo WTO prevede la partecipazione all’Organizzazione delle ‘Comunità europee’; tuttavia, in adesione al Parere 1/94 reso dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee nel novembre 1994 (..), solo la CE, e non anche la CECA (Comunità europea del carbone e dell’acciaio) e la CEEA (Comunità europea dell’energia atomica), è divenuta membro della WTO: la Corte ha infatti stabilito che l’ambito di applicazione degli Accordi allegati si estende anche agli scambi internazionali dei prodotti carbosiderurgici e nucleari. Del resto, il problema dell’adesione della CECA e della CEEA alla WTO non aveva modo di porsi: il Trattato CECA non prevede la conduzione da parte della Comunità di una politica esterna comune, ma all’articolo 71 riconosce piuttosto l’esistenza di una competenza esclusiva degli Stati Membri … La questione si è posta piuttosto in termini di rapporti tra la CE e i suoi Stati membri, i quali hanno invocato, in particolare per i prodotti CECA, la loro competenza esclusiva ad aderire all’Accordo WTO nella misura in cui gli Accordi allegati si riferiscono anche al loro commercio. La Corte di Giustizia non ha accolto questa

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dell’Unione Europea (e dell’Organizzazione Mondiale del Commercio)121, e della stessa

Unione Europea ai processi WTO non tiene infatti in alcun conto le regole di

funzionamento del sistema WTO ed appare pertanto fondato su una errata

rappresentazione della realtà.

La CGCE sembra aver infatti trascurato l’esigenza, prioritaria in democrazia, di

assicurare una legittima, efficace e responsabile rappresentanza degli interessi dei cittadini

degli Stati comunitari nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, per privilegiare invece

l’esigenza di definire una ripartizione di competenze che risultasse accettabile per i diversi

apparati amministrativi interessati. In questo senso, la CGCE, nell’esaminare la fattispecie

sottoposta al suo vaglio, mostra di aderire ad uno schema di impostazione dei problemi

tutto ripiegato all’interno.

Così, candidamente, si esprimeva ancora la Corte di Giustizia, nel parere 1/94: “ … il

problema della ripartizione della competenza non può essere risolto in funzione delle

difficoltà che potrebbero sorgere al momento di applicare gli accordi”.

“Il punto di partenza del mio ragionamento consiste nel fatto che tutti gli attori che

hanno preso parte al processo che ha portato al parere 1/94 sono stati accomunati da una

cruciale incomprensione del problema derivante dai risultati dell’Uruguay Round.

L’incomprensione consistette nel valutare i risultati del negoziato esclusivamente dal punto

di vista della disciplina del mercato interno della CE, anziché porsi nella prospettiva dei

requisiti di un significativo concetto di ‘politica commerciale’ come essa veniva ad essere

utilizzata nel contesto internazionale … L’errore di partenza di coloro che ispirarono il

Parere 1/94 fu pertanto quello di ridurre l’oggetto della discussione ad alcuni aspetti

secondari del vasto campo commerciale coperto dal WTO e di cercare una soluzione dei

problemi sollevati dagli Accordi di Marrakesh alla luce delle regole sulla competenza che

erano state definite quasi 40 anni prima allo scopo di disegnare il quadro del mercato

interno della CE”122.

argomentazione …” (G. Adinolfi, “L’Organizzazione Mondiale del Commercio. Profili istituzionali e normativi” – Cedam, 2001). 121 Si sarà notato che le diverse espressioni “Unione Europea”, “Comunità Europea”, “Comunità Europee” etc. vengono adoperate in questo lavoro senza un assoluto rigore, in coerenza con l’incertezza delle prassi e delle percezioni ginevrine. 122 Pierre Pescatore, “Opinion 1/94 on ‘Conclusion’ of the WTO Agreement: Is there an Escape from a Programmed Disaster?”, Common Market Law Review 36, 1999 Kluwer Law International: “The

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“E’ preoccupante che la Corte non abbia mostrato alcuna consapevolezza della

realtà e dell’evoluzione del diritto internazionale, giudicando l’intera materia secondo la

distribuzione della competenza, reale o immaginaria, ai fini del mercato interno” (l’enfasi è

di chi scrive)123.

La Corte, ancora affezionata al sogno europeo, sembra essersi cioè cimentata nel

tentativo, impossibile, di ripartire l’unità inscindibile e multidimensionale di dinamiche

obiettivamente ed intrinsecamente integrate, la cui configurazione fattuale inevitabilmente

esorbita dalle capacità di determinazione della Corte stessa.

Chi osservasse la vicenda WTO attraverso il vetro deformante della finestra percettiva

del Parere 1/94 rischierebbe pertanto di smarrire la stessa essenza della vicenda WTO, di

fraintenderne clamorosamente il senso e la portata.

I processi di assunzione delle decisioni nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del

Commercio sono infatti fondati su un principio cardine, quello del “single undertaking”,

sulla base del quale ogni Membro di fatto negozia - in quanto infine dovrà formalmente

accettare o rifiutare - il pacchetto nel suo insieme, non essendo ammissibile accettare una

sezione dell’accordo e rifiutarne un’altra parte.

“Quasi tutti i commentatori considerano che la Corte, separando alcune disposizioni

GATT e quasi l’intero accordo TRIPs dal loro contesto, disattende l’Art. II:2 dell’Accordo

WTO, secondo il quale l’intero sistema di accordi siglato a Marrakesh deve essere

necessariamente visto come un insieme non scomponibile – una caratteristica

starting point of my own reasoning is that all the actors who have taken part in the proceedings leading up to opinion 1/94 shared a fundamental misapprehension of the problem raised by the outcome of the Uruguay Round. The misapprehension consisted in assessing the results of this negotiation exclusively under the angle of the rules governing the functioning of the internal market of the EC, instead of placing themselves in the perspective of the requirements of a meaningful concept of ‘trade policy’ as it is used in the international context … The initial error of those who inspired Opinion 1/94 was therefore to reduce the scope of the discussion to some fringe aspects of the vast field of trade covered by the WTO and to seek a solution of the problems raised by the Marrakesh Agreements in the light of the rules of competence which had been defined almost 40 years earlier with a view to establish the framework of the EC’s internal market” (la traduzione è di scrive). 123 Pierre Pescatore, “Opinion 1/94 on ‘Conclusion’ of the WTO Agreement: Is there an Escape from a Programmed Disaster?”, Common Market Law Review 36, 1999 Kluwer Law International: “It is distressing that the Court did not display any awareness of the realities and evolutions of international law, judging the whole matter according to the allocation of competence, real or imaginary, for the purpose of the internal market” (la traduzione è di chi scrive).

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diffusamente nota come ‘single undertaking’ ”124.

Per effetto di questo principio, è evidente che il Rappresentante che negozia una regola

relativa all’Accordo sulla proprietà intellettuale sta, di fatto, negoziando, in quello stesso

momento, anche sull’area “Servizi” e sull’area “Prodotti”; la circostanza che il

Rappresentante non sia cosciente di queste interrelazioni non è sufficiente ad impedire che

esse abbiano luogo. Il negoziato si sviluppa infatti attraverso un processo del tipo “crediti

e debiti”, in virtù del quale una conquista - o anche un’aspirazione - negoziale in un’area

del pacchetto tende a generare la necessità di cessioni da realizzarsi in altre aree. E’

quindi impossibile condurre in maniera sensata un negoziato WTO, senza che il Soggetto

negoziatore, rappresentativo di una parte, sia unico, e sia cioè nella condizione di valutare

all’interno e gestire, all’esterno, le partite di compensazione tra i vari settori,

rappresentando unitariamente posizioni e proposte (si ricorderà come l’art. XII del

Trattato istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio parli dei Membri WTO come

dotati di “piena autonomia nella gestione delle proprie relazioni commerciali esterne e

degli altri aspetti contemplati dal presente Accordo e dagli Accordi commerciali

multilaterali …”) nell’interesse della propria comunità nazionale.

La situazione è efficacemente sintetizzata da Georges Friden: “E’ deludente ed è illogico

che proprio quando il sistema commerciale multilaterale stava compiendo il suo maggiore

avanzamento dal 1947, fondendo in un insieme coerente le regole relative ai servizi con

quelle relative alle merci, così dimostrando il forte legame tra i due settori ed evidenziando

il fatto che oggi non è possibile concepire il diritto del commercio internazionale senza

tener conto delle regole applicabili si servizi, la Corte ha portato la Comunità a fare un

passo nella direzione esattamente opposta” 125.

124 Pierre Pescatore, “Opinion 1/94 on ‘Conclusion’ of the WTO Agreement: Is there an Escape from a Programmed Disaster?”, Common Market Law Review 36, 1999 Kluwer Law International: “Almost all of the commentators consider that the Court, by separating from their context certain provisions of the GATS and almost the whole of the TRIPS, has come short of Article II:2 of the WTO Agreement, according to which the whole complex of the agreements convened at Marrakesh can be visualized only as inseparable whole – a propriety popularized under the words of a ‘single undertaking’ ” (la traduzione in italiano è di chi scrive). 125 Friden, “Cour de Justice des Communautés Européen”, Annales du Droit Luxemburgeois, 4 (1994), citato in: Pierre Pescatore, “Opinion 1/94 on ‘Conclusion’ of the WTO Agreement: Is there an Escape from a Programmed Disaster?”, Common Market Law Review 36, 1999 Kluwer Law International: “The situation has been pertinently summed up in this phrase of Georges Friden: “It is particularly regrettable and illogical that at a time when the multilateral trade system was accomplishing its most important advance since 1947, by merging into a coherent whole the rules relating to services and the rules relating to goods, demonstrating thus the close link between both fields and making clear the fact that one could not conceive at present international trade law without taking account of the rules applicable to services, the Court made the Community take a step in exactly the opposite direction.” (la traduzione in italiano è di chi scrive).

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“Gli autori hanno evidenziato la debolezza degli argomenti della Corte, che

alimenta l’ipotesi che questo Parere sia ispirato da ragioni politiche piuttosto che

valutazioni giuridiche”126. (l’enfasi è di chi scrive).

Si badi, le complessità e i collegamenti cui qui si fa riferimento sono tutti interni alle

dinamiche dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, omettendosi pertanto di

considerare le fondamentali falde politiche di collegamento tra le decisioni che i Membri

sono chiamati ad assumere, secondo l’usuale schema crediti-debiti, nelle diverse

Organizzazioni Internazionali e nelle relazionii bilaterali e plurilaterali.

Restando nel quadro degli accordi WTO, ampie perplessità si legano d’altronde alla

stessa operazione attraverso la quale la Corte di Giustizia identifica il contenuto di accordi

articolati e complessi semplicemente sulla base della nominalistica (“prodotti”, “servizi”,

“proprietà intellettuale”).

A titolo esemplificativo, può notarsi come l’Accordo WTO sui prodotti (goods) abbia

certamente impatto, in Italia, sul diritto penale (si pensi all’art. 517 del codice penale, che

punisce coloro che violano le regole sull’origine dei prodotti e al fatto che il modo in cui è

attribuita l’origine ai prodotti è definito, tra l’altro, nell’Accordo WTO sulle “regole

d’origine”) e sulla giustizia (si pensi all’art. X GATT, che impone ai Membri di adottare

determinati procedimenti giudiziari idonei a garantire la tempestiva revisione delle

decisioni assunte dalle Autorità doganali).

L’Accordo sulle barriere tecniche al commercio - le cui disposizioni, nel Parere 1/94

(punto IX), sono ridotte dalla Corte di Giustizia a “disposizioni … semplicemente destinate

ad evitare che i regolamenti tecnici e le norme, nonché le procedure di valutazione della

conformità ai regolamenti tecnici e alle norme, creino indebiti ostacoli al commercio

internazionale, di modo che detto accordo deve essere considerato facente parte della

politica commerciale comune e per questo motivo può essere stipulato solo dalla

Comunità” - contiene ad esempio disposizioni che certamente richiedono, per molti paesi,

una modifica significativa del funzionamento delle assemblee parlamentari (art. 2.9

dell’Accordo), al fine di ottemperare all’obbligo per effetto del quale alcune categorie di

progetti normativi nazionali devono essere tempestivamente sottoposte al vaglio degli altri

Membri WTO, i quali provvederanno a farle circolare tra gli operatori nazionali (sistema

126 Pierre Pescatore, “Opinion 1/94 on ‘Conclusion’ of the WTO Agreement: Is there an Escape from a Programmed Disaster?”, Common Market Law Review 36, 1999 Kluwer Law International: “Critical commentators single out the deficiency of the Court’s arguments, which nourishes the supposition that this Opinion is inspired by political rather than by legal consideration” (la traduzione in italiano è di chi scrive).

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degli Enquiry Points) in maniera tale da poter rendere un riscontro, interessato, di cui gli

estensori del testo finale della nuova normativa devono “tenere conto”.

L’intera struttura dell’Accordo sulle barriere tecniche, d’altronde, nel cercare di evitare

ostacoli non necessari al commercio, tende a conseguire il miglior equilibrio tra l’istanza

“libero commercio” e (art. 2.2) altri legittimi obiettivi nazionali (tra cui: sicurezza

nazionale, protezione della salute umana, animale e vegetale, ambiente). Su ciascuna

delle fonti di diritto che negli ordinamenti nazionali sono legittimate a porre regole in tali

complessi ambiti hanno dunque impatto le disposizioni contenute nell’Accordo.

Su queste premesse, ci si può pertanto chiedere, può ancora considerarsi pienamente

corretta la posizione della Corte di Giustizia quando afferma, a proposito delle norme

dell’Accordo WTO sulle barriere tecniche, che si tratta di “disposizioni … semplicemente

destinate ad evitare che i regolamenti tecnici e le norme, nonché le procedure di

valutazione della conformità ai regolamenti tecnici e alle norme, creino indebiti ostacoli al

commercio internazionale, di modo che detto accordo deve essere considerato facente

parte della politica commerciale comune”?

Considerazioni di taglio analogo emergono anche con riferimento all’Accordo

sull’applicazione delle misure sanitarie e fitosanitarie, trattato dalla CGCE in maniera simile

all’Accordo sulle barriere tecniche (“si limita ad istituire un quadro multilaterale di regole e

norme intese a orientare l’elaborazione, l’adozione e l’applicazione di misure sanitarie e

fitosanitarie …”).

Il “si limita” della Corte non può non provocare qualche imbarazzo rispetto

all’importanza di un accordo, che si rivolge al mondo intero e che disciplina (art. 2 - “Diritti

e obblighi fondamentali”) le modalità di adozione delle misure nazionali volte “ad

assicurare la tutela della vita e della salute dell’uomo, degli animali o dei vegetali”.

Sarà sufficiente osservare l’agenda, pubblica, di una delle riunioni del Comitato WTO

che amministra l’accordo per le misure sanitarie e fitosanitarie (organismi geneticamente

modificati, tracciabilità degli alimenti, BSE, afta epizootica, influenza aviaria, peste suina,

etc.), o anche (www.wto.org) la lista delle controversie (Ormoni, Organismi

geneticamente modificati, US Sezione 301, etc.) che hanno per oggetto la presunta

violazione di queste regole, per comprendere quanto ampio ed importante sia lo spettro

delle situazioni su cui l’Accordo ha impatto e quanto incisivo sia pertanto il suo contenuto

sull’organizzazione delle strutture e delle funzioni nazionali idonee a garantirne

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l’applicazione127.

Valutazioni simili possono farsi per tutti gli altri Accordi WTO, i quali - deve ribadirsi –

pongono obblighi di risultati e non si spingono esplicitamente a promuovere rivisitazioni

puntuali degli impianti nazionali. Di fatto, tuttavia, quelle parti dei singoli ordinamenti che,

a ritroso, richiedono una modifica per assicurare il rispetto di tali obblighi di risultato,

finiscono per essere anch’esse ineludibilmente oggetto dell’Accordo, anche se

apparentemente distanti dalla natura dell’obiettivo primario definito dall’Accordo stesso

(ad es. è evidente l’impatto degli obblighi prescritti dalle norme in materia di Trade

Facilitation - art. V, VIII e X GATT - sulle norme nazionali che disciplinano orario e

modalità di funzionamento degli uffici pubblici le cui funzioni siano capaci di un impatto

sulla fluidità dei traffici commerciali).

In simmetria con il processo di progressiva espansione dello spazio giuridico coperto dal

diritto comunitario, l’Organizzazione Mondiale del Commercio è venuta dunque a regolare

una gamma di situazioni sempre più ampia (che va ben oltre la nozione restrittiva di

commercio), sicché la stessa definizione di base “organizzazione del commercio”, se non

aggiornata sulla base dei fatti della vita, rischia di essere una veste troppo stretta rispetto

agli scopi e agli strumenti dell’Organizzazione. Ciò vale soprattutto - si consenta ripetere -

dopo che, con la storica sentenza “Gasoline” (1995), l’Organo di Appello ha esplicitamente

dichiarato che il diritto WTO non costituisce un sistema isolato dal resto delle regole del

diritto internazionale (si pensi ai trattati in materia ambientale o a tutela della

bidoversità), le quali vanno invece utilizzate come parametro per l’interpretazione degli

Accordi stessi. L’area del diritto WTO, si è già detto, si estende cioè progressivamente, in

congiunzione con l’estensione dell’area della vita interessata al commercio mondiale.

Un altro aspetto merita di essere considerato e questo attiene alle modalità attraverso

cui i processi negoziali evolvono nella realtà.

Vertici, conferenze, interviste, forum, convegni, lettere, telefonate, videoconferenze,

incontri bilaterali e plurilaterali: è così che la vicenda politica della World Trade Law

progredisce, sicché la univoca categorizzazione formale degli accordi, su cui si era

concentrata la CGCE, tende ulteriormente ed inevitabilmente a sfumare nella

127 Per un corretto inquadramento della tematica si rimanda a G. Marceau – J. P. Tracthman, “The Technical Barriers to Trade Agreement, the Sanitary and Phytosanitary Measures Agreement, and the General Agreement on Tariffs and Trade” (Journal of World Trade, 2002, Kluwer Law International).

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complessissima realtà delle dinamiche e delle interazioni tra gli attori.

Non è peraltro infrequente che una questione, pur oggetto di confronto in una certa

area disciplinare, riceva poi un importante sussulto in una diversa area di lavoro. Si pensi

alla recente conclusione della controversia tra Brasile e Usa, in materia di sussidi

americani ai produttori di cotone, così sintetizzata sul sito web WTO

http://www.wto.org/english/news_e/news05_e/dsb_21march05_e.htm:

DS 267 US — Subsidies on upland cotton

The US first noted that negotiation, rather than litigation, was the most effective way to

address distortions in agricultural trade. The US then expressed disappointment in the

Panel and Appellate Body reports. It highlighted certain interpretations and approaches in

these reports which, according to the US, should be of concern to Members no matter

their view on the merits of Brazil's claims.

Brazil welcomed the adoption of the reports, noting that both found that various

subsidies granted by the US on the production, use and exports of cotton were

inconsistent with US obligations under the Agriculture and Subsidies WTO Agreements.

Brazil made detailed comments on the following issues: the relationship between the

Agreements on Agriculture and on Subsidies; the green box; the analysis in the context of

serious prejudice claims; and the disciplines on export credit guarantees for agricultural

exports.

Rispetto alle asimmetrie, concettuali prima che giuridiche, tra gli schemi comunitari e

quelli WTO, un’attenzione ulteriore va dedicata alla dimensione giurisdizionale.

“…basta qui sottolineare che, ove la Comunità sia autorizzata, in base all’articolo 22

dell’Intesa, alla sospensione di obblighi o di altre concessioni nei rapporti con un terzo

Stato, le misure cui ricorrere potrebbero riguardare il medesimo accordo dalla cui

esecuzione è sorta la controversia oppure, qualora ciò si riveli impossibile o inefficace, un

altro accordo allegato. Di conseguenza, la Comunità potrebbe essere autorizzata a

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sospendere l’applicazione di obblighi che si riferiscono a materie che non rientrano nella

sua competenza esclusiva”.128

Ancora lungo il versante negoziale (certamente il meno rilevante nella vicenda WTO), i

Membri WTO - in quanto presunti dotati di piena rappresentatività e legittimazione -

dialogano, quindi, si confrontano, si scambiano aperture, proposte, segnali e concessioni,

maturano crediti e debiti negoziali, formano coalizioni, l’uno rispetto all’altro, giocando un

gioco in cui però, si ricordi, i venticinque Stati aderenti all’UE costiuiscono meno del 20%

della membership.

Un gioco che ha le sue regole, che nessuno dei singoli giocatori potrà mai avere la forza

di autonomamente alterare e che - nel fondarsi su decisioni unanimi e sugli avanzamenti

interpretativi assicurati dal ragionevole adeguamento alle istanze della realtà da parte

della giurisprudenza - sembrano essere riuscita nell’intento di disegnare un ordinamento

accettabile per gli attuali 148 membri ciascuno dei quali gode (per effetto della regola

dell’unanimità) - con esclusione dei venticinque Stati UE, i cui interessi sono affidati,

attraverso le procedure decisionali comunitarie, alla previa sintesi della Commissione,

arrivando quindi al confronto con gli altri Membri WTO essendo già stati accorpati in un

“interesse europeo” - dell’opportunità di tenere in scacco il mondo fino a che i propri

irrinunciabili interessi nazionali non siano accolti nel pacchetto negoziale del single

undertaking.

Rispetto alla complessità della vicenda giuridica, perde di dignità la ricorrente,

superficiale ed indimostrata assunzione retorica inerente la presunta necessità di “parlare

ad una sola voce”. Un’assunzione la cui forza peraltro, proprio in sede WTO, viene ad

essere messa a dura prova proprio dal principio del consensus, in vigore a Ginevra ma non

a Bruxelles e tale da rendere quanto meno legittima qualche libera valutazione circa le

modalità più efficaci per la tutela degli interessi nazionali, tenendo anche conto della

necessità che il vento della competizione, gravido di informazioni e stimoli, attraversi e

vivifichi molti ambienti e non rischi di fermarsi in pochi luoghi129.

128 G. Adinolfi, “L’Organizzazione Mondiale del Commercio. Profili istituzionali e normativi” – Cedam, 2001. 129 Si pensi ad esempio alla questione della lingua: mentre i mercati comunicano pressoché ovunque in inglese (la lingua correntemente usata al WTO), a Bruxelles sembra essersi sviluppata la convinzione che la sfida possa essere gestita per via politica o possa essere elusa con le traduzioni.

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Introduzione, a livello di singoli Stati UE, dell’obbligo di indicazione dell’origine delle

merci provenienti da paesi extraeuropei

Il diritto WTO contiene una esplicita disposizione (art. IX GATT) per effetto della quale è

concesso ai Membri WTO di introdurre a livello nazionale regole che impongano l’obbligo

d’indicazione della provenienza geografica alle merci provenienti da altri territori.

Di tale facoltà si avvalgono oggi moltissimi paesi Membri WTO ed anche i prodotti

esportati dai singoli paesi UE (Italia, Germania, Regno Unito, etc.) devono contenere in tali

casi l’informazione richiesta (“made in Italy”, “made in Germany”, etc.).

La Corte di Giustizia, dal canto suo, ha invece sinora negato agli Stati UE la possibilità

di introdurre, attraverso misure nazionali, quest’obbligo, per i prodotti (intracomunitari ed

extracomunitari) d’importazione, sostenendo a più riprese che esso indebolirebbe il

mercato unico europeo. La questione è complessa e importante, soprattutto se calata nella

più ampia osservazione delle dinamiche evolutive della cd. globalizzazione e dei rischi,

paventati da alcuni, di omologazione negli stili di consumo - e quindi delle produzioni, le

quali necessariamente sui consumi devono modellarsi - con conseguente progressivo

annullamento delle originalità, delle identità, delle storie, delle culture e delle tradizioni.

Pur senza entrare nel merito della ricchissima letteratura, delle molte norme

(Convenzione di Parigi, Convenzione di Madrid, Accordo WTO in materia di proprietà

intellettuale, Accordo WTO sulle barriere tecniche al commercio, Accordo WTO sulle regole

d’origine, etc.) e della vasta giurisprudenza esistenti sul tema dell’”origine”, appare

necessario introdurre alcune chiavi di lettura inerenti il tema delle indicazioni d’origine e

del “made in”130.

Al riguardo, vale sinteticamente notare, con Bernard O’Connor131, come “paragonando

la protezione assicurata dall’Unione Europea con quella garantita in molti paesi extraUE,

130 B. O’Connor, “The Law of Geographical Indications”, Cameron May, 2004,: “Geographical Indications of source (‘indicazioni di provenienza’) are names wich indicate a specific place of origin of the product which may or may not be connected with certain techniques or methods of production (the name of the product itself, for example, ‘France’, ‘Rome’, ‘Ardennes’; an adjective connected with a place, for example, ‘German beer’; or a label, for example, ‘fabriqué en France’, ‘printed in the UK’, ‘made in Portugal’, and so on (..)”. 131 B. O’Connor, cit: “ … When comparing EU protection and the protection in many non-EU countries it becomes clear that the European Union is in some ways quite restrictive in its laws. The EU rules only cover agricultural products and certain foods and foodstuffs but not all. Other countries area rightly more ambitious and have allowed for the protection of industrial goods as well as agricultural

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risulta chiaro che l’Unione Europea è in certo modo abbastanza restrittiva nella propria

copertura normativa. Le regole UE proteggono esclusivamente prodotti agricoli ed alcuni,

ma non tutti, prodotti alimentari. Altri paesi sono invece giustamente più ambiziosi ed

hanno consentito la protezione non soltanto dei prodotti agricoli ma anche di quelli

industriali. Questo sembra essere un approccio più corretto. Alcuni dei più famosi esempi

di antiche indicazioni geografiche, come il vetro di Murano o il cristallo di Waterford, non

sono certamente prodotti alimentari” (la traduzione è di chi scrive).

Le ragioni addotte dalla Corte di Giustizia a supporto del proprio indirizzo

giurisprudenziale sul divieto dell’obbligo del ‘made in’132 si associano a tre ordini di fattori:

a) l’introduzione di quest’obbligo configurerebbe - a dire della Corte133 - una misura

equivalente ad una restrizione alle importazioni ed indebolirebbe il completamento del

mercato unico europeo;

b) l’indicazione dell’origine sarebbe meritevole di tutela esclusivamente quando vi si

associano specifiche qualità o caratteristiche del prodotto (“specific quality and specific

characteristics”134).

c) un simile obbligo darebbe ai consumatori “la possibilità di far valere i loro eventuali

pregiudizi nei confronti delle merci straniere”135.

Gli argomenti della Corte di Giustizia generano più di una riserva.

Con riferimento alla seconda delle proprie argomentazioni, nel considerare l’obbligo

d’indicazione dell’origine come giuridicamente accettabile esclusivamente nei casi in cui a

quelle indicazioni si associno qualità “oggettive” (“specific quality and specific

characteristics”), la Corte di Giustizia sembra cedere alla tentazione di sostituire il proprio

giudizio a quello dei consumatori, aderendo ad una teoria della formazione del prezzo

products. This seems a better approach. Some of the most famous examples of long-standing geographical indications, such as Murano glasses or Waterford crystal, are not foods at all …”. 132 Si vedano ad es. le disposizioni introdotte in tal senso dal Regno Unito e contenute nel “Sale of Goods Act” del 1979, nel “Trade Descriptions Act” del 1968, nel “Consumer Protection Act” del 1987 e nel “Trade Decriptions Order” del 1981, che inserivano l’obbligo di indicazione dell’origine per una serie di prodotti e che la Corte di Giustizia delle C.E. - ECJ 25 aprile 1985, Caso 207/83, Commissione Europea vs Regno Unito – giudicò come illegittime restrizioni agli scambi commerciali. La CGCE ha condannato in diverse altre occasioni (e.g. caso 113/80) le norme nazionali volte ad introdurre obblighi d’indicazione dell’origine per i prodotti d’importazione. 133 Caso 207/83. 134 Caso 12/74, Commissione Europea vs Germania.

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fondata sul valore intrinseco che non è quella propria dei mercati concorrenziali, basata

invece, come noto, sulle percezioni soggettive e sulle sensibilità dei singoli consumatori.

Ulteriori preoccupazioni si associano alla terza delle ragioni addotte dalla Corte.

Guardando al tema nell’ottica del consumatore, sovrano di ogni mercato concorrenziale,

l’obbligo d’indicazione dell’origine delle merci sembra infatti non conseguire altro risultato

che quello di assicurare un’informazione aggiuntiva. Il fatto che, sulla base di tale

informazione, il consumatore possa adottare comportamenti d’acquisto sgraditi all’Autorità

centrale comunitaria (punto “c”) sembra veramente insufficiente per sottrargli questa

informazione-libertà e trasferire la materia alla valutazione degli organi comunitari. Tanto

più, deve ricordarsi, che la possibilità di imporre tale obbligo è stata invece chiaramente

accolta nelle regole del diritto del mercato mondiale (art. IX GATT) e quindi nella sua

pratica.

Il timore è che la prima delle ragioni addotte dalla Corte (rafforzamento del mercato

unico europeo) contenga in realtà anche le altre e che, adoperando un’espressione che

troveremo più avanti utilizzata da Giuseppe Tesauro a proposito di altre pronunce della

Corte di Giustizia, si tratti pertanto di “un dato non tanto giuridico quanto soprattutto di

opportunità o di politica istituzionale, se si preferisce. In sostanza, si vuole lasciare alle

istituzioni politiche, cioè alla Commissione ed al Consiglio, la interpretazione e più in

generale la ‘gestione’ delle norme convenzionali che ci occupano, ieri GATT ed oggi OMC”.

Appare d’altronde ben comprensibile il bisogno dei poteri comunitari di evitare che nello

scenario del mercato mondiale la policromia del paesaggio antropologico delle nazioni

aderenti all’UE venga ad emersione.

5. Il commercio come attuazione concreta degli ideali di pace e giustizia fra

le Nazioni (art. 11 della Costituzione italiana). Interrogativi sulla ragion d’essere

dell’Unione Europea nel tempo del mercato globale.

Al 9 maggio 1950 - data in cui il Ministro degli Esteri francese, Robert Schuman,

dichiarò che un’Europa unita sarebbe stata essenziale per la pace mondiale - può

135 Caso 207/83 e Caso C-325/00 (Commissione Europea vs Rep. Federale di Germania).

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simbolicamente e storicamente associarsi l’avvio di quel processo di costruzione del futuro

mercato unico europeo, al quale si cominciò quindi a guardare come ad una concreta

prospettiva di interazione, di commercio e di pace tra popoli che solo pochi anni prima -

percependosi reciprocamente come realtà distinte, autonome ed antagonistiche, sotto

l’insegna dei diversi Stati - avevano ingaggiato conflitti armati, cruenti e dolorosi.

I progressivi approdi del processo di edificazione comunitaria sono noti ma, di fronte

alle sfide economiche ed istituzionali della globalizzazione, vale probabilmente la pena

soffermarsi sul significato storico-filosofico originario di questo percorso e soprattutto

indagare la natura dei principi che lo hanno ispirato, il tipo di energia che ne ha assicurato

l’evoluzione, la qualità della tensione che ne ha costituito la spinta, identificarne cioè il

senso profondo ed autentico, al fine di trarne lezione per le istanze presenti e future.

Nonostante la ricorrente enfasi sulla parola Europa - ma diventa difficile adoperare la

medesima denominazione geografica per un’organizzazione che nel 1957 raggruppava sei

comunità nazionali, per un territorio di 1.276.964 kmq, e che nel 2005 riunisce

venticinque nazioni, con un’estensione territoriale di 3.974.649 - non può esservi dubbio

circa il fatto che principi, natura e ragion d’essere del processo azionato negli anni ’50 del

secolo scorso si riconducevano, complessivamente, ad un’importante discontinuità, che

metteva in discussione valori, dinamiche, contenuti di quel fascio avvolgente di poteri che

va sotto il nome di Stato, per abbracciare quei valori, quelle dinamiche, quei contenuti,

quella tensione meritocratica che sono tipici del mercato concorrenziale.

Quello su cui alcuni uomini seppero coraggiosamente investire, a partire dal 1950, in

“Europa”, fu dunque l’azionamento di un antico, chiaro e noto, meccanismo di

interdipendenza tra gli uomini e tra i popoli. Il mercato - la cui caratteristica identificativa

ed indefettibile risiede proprio nel rendere ciascuno indispensabile per gli altri e gli altri

indispensabili per ciascuno, nel far diventare cioè fondamentale, per ognuno, l’altrui

“apprezzamento” ai fini del proprio stesso benessere e nel rimuovere così, in radice, le

tentazioni della separazione e dell’antagonismo conflittuale136 - una volta azionato,

136 Per un affaccio su una visione densa e concreta (quindi comprensiva della dimensione materiale come di quella spirituale) delle dinamiche del commercio, sia consentito rinviare, oltre che ai Maestri (A. Smith, F. von Hayek, L. Sturzo, J. Schumpeter, I. Kirzner, M. Novak), al mio “Bioarchitettura Istituzionale. La Via del Tradere” (Giannini ed., Napoli, 2002): “… l’orientamento allo scambio obbliga il grande genio, il politico, a ricercare il consenso, a farsi ‘compreso’, a ricercare la relazionalità. E’ l’altrui apprezzamento a fare ordine e premio; nessun altro riscontro avrà altrettanta forza e valore. Quella verso o contro la relazionalità è veramente una scelta di campo: essa è, nei due sensi, capace di effetti moltiplicatori. Imboccata una delle due strade, l’allenamento porterà ad

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avrebbe spontaneamente assicurato una tensione collettiva che né gli uomini, né tanto

meno gli Stati, avrebbero avuto individualmente la forza altrimenti di “decidere” di

coltivare: una tensione che avrebbe spinto, che ha spinto, verso l’irreversibile

interdipendenza, verso la pace e la concordia.

All’indomani della seconda guerra mondiale, rispetto all’impianto delle relazioni tra

popoli fondato prevalentemente sull’autorità centrale dello Stato, in quanto tale rivelatosi

divisivo e conflittuale, il magnete del commercio avrebbe generato forze di attrazione

umana capaci di dinamicizzare le identità, inducendole alla relazione, alla conciliazione ed

alla complementarità, promuovendo la percezione dell’altro come di un’entità cui tendere,

con cui necessariamente interagire, con cui quindi “scambiare”, progressivamente

improponibile risultando l’approccio antagonistico della prima metà del secolo, sulla base

del quale infinite complessità umane si erano ridotte nell’entità Stato e come tali erano

arrivate ad auto-percepirsi e rapportarsi come nemici da eliminare137.

Il mercato (CECA, CEE, CEEA), liberando ed istituzionalizzando una naturale energia

connettiva tra le singole persone, seppe ridimensionare la rilevanza dell’autorità formale

centrale ed esaltare le opportunità di proiezione delle personalità, in tal modo

comprimendo in radice il potenziale divisivo della dimensione statuale e riconoscendo

invece spazio espansivo ad una molteplicità ulteriore di appartenenze e di bisogni

espressivi, in tal modo avvolgendo milioni di persone - diverse sì l’una dall’altra ma ora

per una serie infinita di ragioni (gusti, talenti, tradizioni, progetti, vocazioni, attitudini,

accelerare, ad aumentare le dosi: attivando energie ulteriori in un caso (fiducia negli altri e in sé stessi; coraggio ed intraprendenza; desiderio e soddisfazione – in mutuo sostegno – dell’apprendimento continuo; piacere di interagire con le persone; propensione al cambiamento; capacità di socializzazione; sensibilità alle aspettative altrui; simpatia) o viceversa smorzando sempre piu’ ogni apertura (autoreferenzialità; alterigia; prepotenza; antipatia), nell’altro. In questa seconda ipotesi vi è qualcosa di diabolico, perché l’orientamento relazionale tende, progressivamente ed inesorabilmente, a venir meno, fisiologicamente, e senza che chi ne sia vittima possa rendersene conto, ove si manchi di nutrirlo costantemente delle sollecitazioni provenienti da altri mondi, ove si affievolisca la disponibilità, umile e tenace, di apprendere da quanto accade intorno. Questo è per noi il Mercato: da sempre luogo vivo di scambio tra culture e civiltà, occasione di arricchimento di tutti e di ciascuno … L’imprenditore guarda sempre agli altri, ed in funzione del loro apprezzamento accetta di cambiare continuamente sé stesso; egli insegue i clienti (..), li corteggia, ricerca la propria vocazione e capacità distintiva (‘vantaggio competitivo’), è intraprendente. Tutto è in funzione dello scambio: l’impresa disegna la dinamica della vita”, “Il saltatore-imprenditore dedica la propria vita al continuo divenire emozionale, un orgasmo energetico, la liberazione di un potenziale, tenacia e risolutezza nell’operare: questa è la sua faticosa e meravigliosa missione”. 137 D. Ciccarelli, cit: “E’ la divisione, l’isolamento, la dualità in sé a generare odio, contrapposizione, morte. Al contrario, lo scambio e la compenetrazione concepiscono la Vita. In ‘campo’ due squadre

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etc.) e certamente non più per la semplicistica ragione della cittadinanza - nel fascio di

una sola trade community.

Non si comprenderebbe il senso dell’intero processo “europeo” se non si tenesse

presente che il suo motore è stato proprio questo: la promozione della pace attraverso il

mercato. L’integrazione di popoli, lingue, religioni e culture in una trade community: tutto

ciò - è storia nota - è stato possibile distruggendo potere attraverso la competizione, non

trasferendo potere da un livello (lo Stato nazionale, nelle sue articolazioni politiche e

giurisdizionali) ad un altro. Il nuovo livello istituzionale si qualificava proprio come agente

di corrosione del potere, svolgendo una funzione - nella quale la dimensione

giurisdizionale faceva parte integrante di quella regolatoria, fino ad indurre molti a parlare

della Corte di Giustizia come di un giudice con una missione - che doveva ricondursi

principalmente alla progressiva eliminazione delle distorsioni derivanti dalle forzature delle

autorità formali (aiuti di Stato, imprese di Stato, divieti, dazi, contingentamenti,

finanziamenti pubblici, etc.) e quindi all’acquisizione di nuovi spazi di propagazione per

l’onda della concorrenza.

Con il mercato europeo, in molte aree alla legge veniva a sostituirsi il diritto.

“Il diritto non è necessariamente collegato ad una entità socialmente e politicamente

autorevole, non ha per referente necessario quel formidabile apparato di potere che è lo

Stato moderno, anche se la realtà storica che ci ha fino ad oggi circondato ostenta il

monopolio del diritto operato dagli Stati. Il referente necessario del diritto è soltanto la

società, la società come realtà complessa, articolatissima, con la possibilità che ciascuna

delle sue articolazioni produca diritto, anche la fila di fronte all’ufficio pubblico. Non è una

precisazione banale; al contrario, essa sottrae il diritto all’ombra condizionante e

mortificante del potere e lo restituisce al grembo materno della società, che il diritto è così

chiamato ad esprimere … Il principio di strettissima legalità, cioè della necessaria

corrispondenza di ogni manifestazione giuridica alla legge, è al cuore della società ed è

propugnato come suprema garanzia del cittadino contro gli arbitrii della pubblica

amministrazione e di cittadini socialmente ed economicamente forti. Resta invece

impensabile l’idea dell’arbitrio e degli abusi del legislatore, il quale subisce un processo di

s’incontrano, diventano ‘una’ partita e giocano; sugli spalti, le ‘due’ tifoserie restano divise e si scontrano …”.

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stucchevole idealizzazione ed è proposto come l’interprete e il realizzatore del bene

comune grazie alla sua onniscienza e onnipotenza”138.

La rivitalizzazione su una base territoriale più ampia, quella del mercato unico, delle

responsabilità e delle intraprendenze personali, produsse l’effetto – sano, indiretto,

spontaneo e tuttavia travolgente - di ridurre l’attitudine antagonistica insita della

dimensione statuale, obbligando le persone a costruire fuori dal proprio paese nuove

relazioni umane (investimenti, acquisti, vendite, etc.) tese a conseguire le efficienze rese

indispensabili dalla concorrenza.

Il mercato, attraverso la voce “senza potere” degli organi comunitari (Commissione,

Corte di Giustizia), poté quindi assicurare un nuovo modo di formarsi delle regole sociali,

sulla base del quale vennero ad essere progressivamente declassati ad illegittimità le

protezioni e i privilegi discendenti dalle legislazioni nazionali.

Il rafforzamento del mercato comportò anzitutto il ridimensionamento della legge. Con

la Comunità Europea, il commercio, può dirsi, ha acquisito giurisdizione sugli Stati

d’Europa lungo le direttrici degli antichi, semplici principi della competizione ed attraverso

le istituzioni del diritto del mercato comunitario.

“.. precisiamo subito che la nostra attenzione verte sullo ‘Stato di diritto’ continentale

così come si viene definendo nel corso dell’Ottocento sul continente europeo, avendo il

cosiddetto Rule of Law anglosassone, malgrado la analogia lessicale, diversità sostanziali

scaturenti dalle diverse matrici storiche. … [lo Stato continentale] è uno Stato sovrano,

cioè munito di ogni latitudine potestativa che la sovranità conferisce; è uno Stato

parlamentare, che assume il Parlamento come organo centrale e centralizzante, giacché

ciò gli consente un ammantamento democratico, anche se la rappresentanza popolare -

rappresentanza di pochi, di pochissimi – si risolve in una arrogante finzione; è uno Stato in

cui il Parlamento, in grazia di questa finzione, si propone come onnisciente e onnipotente,

e perciò insindacabile; è uno Stato che, col supporto del principio della divisione dei poteri,

stabilisce il monopolio parlamentare della produzione del diritto e si esprime

giuridicamente con la voce del Parlamento, cioè con la legge …”. “… si potrebbe concludere

che tutto si risolve in un castello di finzioni. Da qui la ipervalutazione della legge, il culto

della legge, l’ordinamento giuridico ridotto a un insieme di leggi: leggi intese quali

138 Paolo Grossi, “Prima lezione di diritto”, Editori Laterza, 2003.

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comandi autorevoli meritevoli di ossequio prescindendo dal loro contenuto”. “La nostra

abitudine mentale è di pensare il diritto con una sue ben definita proiezione geografica,

quella che giustappone (se non contrappone) il diritto italiano a quello francese, svizzero,

austriaco, sloveno, per restringere il nostro sguardo alla Repubblica italiana e alle nazioni

confinanti. E’ un’abitudine che ci deriva dall’avere immedesimato il diritto nello Stato e dal

vederlo in strettissima connessione con il potere politico; ci deriva dall’essere noi ancora

immersi nel moderno e dal non arrivare ancora a percepire le profonde novità che

costellano la nostra attuale vita associata. Dimostriamo, insomma, di essere più immersi

nello ieri che nell’oggi … Lo statalismo giuridico, nella coscienza di giuristi plagiati dalla

bisecolare sottile propaganda post-illuministica, è vizio duro a morire. La legge ordinaria

oggi … è visibilmente in crisi per la sua incapacità a ordinare giuridicamente la società

civile e soprattutto a governare il mutamento socio-economico che stiamo vivendo e che

ancor più vivremo domani” 139.

La grande novità del progetto comunitario era dunque consistita nella subordinazione

dell’intero impianto di potere proprio degli stati nazionali alla giurisdizione del mercato.

Il suggello istituzionale di questa straordinaria vicenda risiedette nel riconoscimento alle

norme comunitarie di uno spazio giuridico che veniva sottratto alle leggi degli stati. Le

norme comunitarie sarebbero rimaste relegate alla sfera, separata, dell’”internazionalità”

se l’ordinamento italiano non avesse loro aperto un varco, se cioè il sistema dei poteri

nazionali non avesse acconsentito a quest’ampia cessione di ‘sovranità’ in favore di quegli

organi (Commissione, Corte di Giustizia) la cui ragion d’essere era proprio quella di

elevare a regole esplicite e cogenti i principi della concorrenza.

Ancora una volta l’esercizio di ricostruzione storica appare fruttuoso di fronte alle nuove

istanze del mercato globale. Quale fu dunque questo varco? Com’è accaduto che, in un

ordinamento come quello italiano, a Costituzione rigida, formalmente incentrato sui

principi della civil law, sullo Stato, sul Parlamento e sulla legge, una trasformazione

istituzionale così profonda fosse considerata legittima, sebbene a tale possibilità non

facesse alcun espresso riferimento il testo della Carta costituzionale?

139 Paolo Grossi, “Prima lezione di diritto”, cit.

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E’ noto che il varco attraverso il quale il sistema istituzionale del mercato europeo ha

potuto ricevere accoglimento e riconoscimento in Italia è costituito dall’art. 11 della

Costituzione (“l’Italia … consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di

sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni;

promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”).

La forza autonoma delle fonti di diritto comunitario rispetto alle fonti del diritto italiano

trova dunque ancor oggi il suo fondamento giuridico, e quindi il suo limite, non in una

decisione politica puntuale, ma nella giurisprudenza della Corte Costituzionale italiana.

E’ d’altronde proprio della funzione di un vero giudice doversi fare carico di “dire il

diritto” nel caso concreto, stabilire cioè, in un dato momento, quale sia il diritto da

applicarsi ad una certa vicenda, come questa gli si prospetta nella controversia sottoposta

alla sua valutazione. Essendo l’incessante variare dei fatti della vita la ragione, primordiale

ed ineludibile, all’origine della funzione giurisprudenziale, i mutamenti d’indirizzo della

giurisprudenza costituiscono l’anello, necessariamente mobile, di raccordo che assicura

dinamismo vitale al diritto, arricchendolo degli impulsi provenienti dalla realtà, e assicura

al tempo stesso diritto ai fatti della vita. Lo stesso mutare dei fatti della vita costituisce il

presupposto sulla base del quale viene aggiornata la configurazione concreta dei fini di

una comunità ordinata nel diritto.

In questa linea, rileva, e rilevò nelle considerazioni della Corte Costituzionale italiana, la

ragione ispiratrice delle disposizioni contenute nell’art. 11 Cost,, attraverso le quali, in

seno all’Assemblea costituente, all’indomani del conflitto mondiale, si volle guardare con

favore alla possibilità che prendessero successivamente forma sistemi istituzionali capaci

di assicurare la pace e la giustizia nel mondo.

“Come è ben noto, la formulazione dell’art. 11 da parte del Costituente aveva un

obiettivo specifico: quello di favorire un rapido rientro dell’Italia repubblicana e

democratica post-bellica nel consesso delle Nazioni e in particolare l’ammissione nella

nuova organizzazione mondiale delle Nazioni Unite, della quale già il 25 giugno 1945 era

stato adottato lo Statuto. In funzione di ciò, si afferma il ripudio della guerra come

strumento di offesa agli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie

internazionali; si afferma la disponibilità dell’Italia a dare il consenso, in condizioni di

parità con gli altri Stati, a limitazioni di sovranità necessarie alla realizzazione di un

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ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; si afferma la volontà

dell’Italia di promuovere e incoraggiare le organizzazioni internazionali rivolte a tale

scopo”140.

“Come è ben noto, il piano originario alla fine della Seconda Guerra Mondiale era stato

quello di creare un’Organizzazione Internazionale del Commercio a fianco alle

molte altre agenzie specializzate delle Nazioni Unite”141 (l’enfasi è di chi scrive).

Attraverso l’art. 11, la Costituzione italiana faceva dunque dell’auspicio alla pace e alla

giustizia mondiali un orizzonte politico e quindi un obbligo per le stesse Istituzioni

democratiche nazionali (Parlamento, Governo, Magistratura, Presidente della Repubblica,

etc.), traendone un principio fondamentale per l’intero ordinamento repubblicano.

Nella Carta costituzionale del 1948, non veniva invece riconosciuta dignità autonoma ad

eventuali dimensioni territoriali/istituzionali intermedie tra l’Italia ed il mondo. La parola

Europa non era in alcun modo menzionata142 nella Carta e tale dimensione era in effetti

del tutto assente dalle fondamenta politico-giuridiche su cui si fondava l’edificio

istituzionale della Repubblica disegnato dalla Costituzione.

“La mens legislatoris non immaginava – e non poteva immaginare –, allora, l’emergere

e il crescere del fenomeno ‘comunitario’ ... Pertanto si potrebbe dire che, se per un verso

lo specifico disegno CE/UE non poteva essere nella mente dei costituenti, la possibilità che

la disposizione dell’art. 11 potesse trovare una qualche applicazione in ambito europeo pur

rientrava nella sua ratio. Ma rimane comunque una opinione generalizzata che l’art. 11

140 Relazione Finale in Tema di forme e condizioni di partecipazione dell’Italia alle Organizzazioni Internazionali e al processo di integrazione europea (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le riforme istituzionali e la devoluzione, Comitato di studio in materia costituzionale, 2004). 141 Pierre Pescatore, “Opinion 1/94 on ‘Conclusion’ of the WTO Agreement: Is there an Escape from a Programmed Disaster?”, Common Market Law Review 36, 1999 Kluwer Law International: “As is well known, the original plan at the end of World War Two had been to create an International Trade Organization alongside with several other specialized agencies of the United Nations. The constitutive instrument of this organization was signed at Havana on 24 March 1948” (la traduzione è di chi scrive). 142 Nel testo costituzionale attualmente in vigore, frutto della riforma costituzionale del 2001, sono presenti alcuni riferimenti espliciti alla dimensione europea, ma soltanto nel Titolo V (“Le Regioni, le Province, i Comuni”).

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intendesse limitarsi alla problematica nascente dalla presenza della nuova organizzazione

mondiale Nazioni Unite, la quale pure, tuttavia, non trova menzione espressa nello stesso

art. 11, rientrando essa, in via di interpretazione, nel concetto di ‘organizzazioni

internazionali’ rivolte allo scopo di assicurare ‘la pace e la giustizia fra le Nazioni’143”.

Vale la pena esplorare con attenzione, entrare “dentro” la posizione della Corte. Il modo

in cui, in un certo contesto storico e in un certo tempo, il processo comunitario ha ricevuto

legittimazione e validazione in Italia, per il tramite del vaglio più alto ed autorevole di cui il

nostro ordinamento è capace - quello della Corte Costituzionale - non può, infatti, e non

deve, essere considerato come un varco vuoto, un passaggio neutro, una concessione

incondizionata.

La Corte Costituzionale ha talora esercitato effettivamente il suo controllo sulla legge di

ratifica del Trattato CEE e sulla conformità delle sue disposizioni (come interpretate dalla

Corte di Giustizia delle CE) con i princìpi fondamentali dell’ordinamento italiano. Nella

sentenza n. 232 del 1989 (caso Fragd), la Corte fu molto vicina ad una pronuncia

scandalo144 : “…Devesi a questo punto valutare se l'ipotesi configurata dal giudice

remittente possa effettivamente integrare una violazione dell'art. 24 della Costituzione, in

quanto venga ad incidere su quel principio supremo del nostro ordinamento costituzionale

consistente … nell'assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice e un

giudizio …

… la Corte di Giustizia ritiene con giurisprudenza costante che, anche quando dichiara in

via pregiudiziale ex art. 177 l'invalidità di un atto comunitario (generalmente un

143 Relazione Finale in Tema di forme e condizioni di partecipazione dell’Italia alle Organizzazioni Internazionali e al processo di integrazione europea (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le riforme istituzionali e la devoluzione, Comitato di studio in materia costituzionale, 2004). 144 “La Corte ha eluso in tale fattispecie la domanda dichiarando la questione irrilevante, essendo la controversia dinanzi giudice a quo ‘non (…) quella che ha provocato la declaratoria del regolamento contestato’ e non ponendosi ‘pertanto, con essa nella relazione necessaria che intercorre tra giudizio principale e giudizio incidentale’ (..). Fatto sta che … la Corte Costituzionale prima nella sentenza n. 183/1973 (..) e poi nella sentenza n. 170/1984 (..) aveva chiarito che gli atti comunitari non potessero violare i principi fondamentali del nostro ordinamento …” (Rossella Miceli - Giuseppe Melis: “Le sentenze interpretative della Corte di Giustizia delle Comunità europee nel diritto tributario: spunti dalla giurisprudenza relativa alle direttive sulla “imposta sui conferimenti” e sull’IVA” in: http://www.judicium.it/news/ins_11_02_04/ArticoloMelisMiceli.html#sdfootnote132anc).

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regolamento), essa possa, in forza della disposizione contenuta nell'art. 174, secondo

comma, precisare quali effetti della norma invalidata debbano essere considerati come

definitivi … Ove però la sentenza arrivi ad escludere dalla efficacia della dichiarazione di

invalidità l'atto o gli atti stessi oggetto della controversia che ha provocato il ricorso

pregiudiziale alla Corte da parte del giudice nazionale, non si può nascondere che sorgono

gravi perplessità in ordine alla compatibilità con il contenuto essenziale del diritto alla

tutela giurisdizionale della norma che consente una pronuncia siffatta.

… Alla stregua delle suesposte argomentazioni, la questione dovrebbe ritenersi

ammissibile; prima però di procedere oltre ad esaminarne l'eventuale fondatezza nei limiti

e nei termini sopra precisati, questa Corte deve compiere due ulteriori verifiche, dalle quali

emergono risultanze che la inducono a pervenire a diverse conclusioni”.

Fu evidentemente sulla base di precise ragioni storico-politiche che la Corte

Costituzionale italiana potè fondere, attraverso l’art. 11, i principi generali del nostro

ordinamento con i fatti concreti della storia del dopoguerra, giungendo a ritenere

sussistenti, nell’istante in cui venne a pronunciarsi sulla questione, ragioni giuridiche tali

da consentire che un sistema di diritto, quello del mercato unico europeo, del tutto

estraneo all’intero sistema dei poteri disegnato dalla Costituzione, venisse ad acquisire

un’area di svolgimento dal cui ambito (concretamente puntualizzato nel Trattato di Roma)

l’ordinamento italiano acconsentiva a ritrarsi145.

Su quali basi storiche146 e giuridiche - vale la pena oggi domandarsi e ricordare - la

145 “Le norme da essa derivanti vengono, in forza dell'art. 11 Cost., a ricevere diretta applicazione nel territorio italiano, ma rimangono estranee al sistema delle fonti interne: e se così é, esse non possono, a rigor di logica, essere valutate secondo gli schemi predisposti per la soluzione dei conflitti tra le norme del nostro ordinamento. In questo senso va quindi spiegata l'affermazione, fatta nella sentenza n. 232/75, che la norma interna non cede, di fronte a quella comunitaria, sulla base del rispettivo grado di resistenza. I principi stabiliti dalla Corte in relazione al diritto - nel caso in esame, al regolamento - comunitario, traggono significato, invece, precisamente da ciò: che l'ordinamento della CEE e quello dello Stato, pur distinti ed autonomi, sono, come esige il Trattato di Roma, necessariamente coordinati; il coordinamento discende, a sua volta, dall'avere la legge di esecuzione del Trattato trasferito agli organi comunitari, in conformità dell'art. 11 Cost., le competenze che questi esercitano, beninteso nelle materie loro riservate” (Sentenza della Corte Costituzionale n. 170 del 1984).

146 Tra i principali elementi di quel contesto storico, si può pensare al ricordo ancora molto vivo delle divisioni risalenti al secondo conflitto mondiale (come noto nella dichiarazione Schuman si affermava esplicitamente che al cuore dell’Europa unita doveva esserci la riconciliazione franco-tedesca), alla netta contrapposizione politico-culturale tra i sistemi fondati sulla concorrenza (area d’influenza USA) e quelli fondati sul potere dell’Autorità centrale (area d’influenza URSS), all’esistenza di grandi

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Corte Costituzionale italiana potè superare le riserve ad Essa sottoposte da alcuni tribunali

italiani (Tribunale di Torino, Tribunale di Genova) nel 1973147 e arrivare a riconoscere la

legittimità della legge statale di esecuzione del Trattato CEE, nella quale si acconsentiva

all’istituzione di una nuova fonte di produzione giuridica, esterna a quelle dello Stato,

generalmente sottratta al sindacato di costituzionalità e capace di diretta applicabilità nei

confronti dei cittadini italiani?

Alle contestazioni mosse dal Tribunale di Torino

“la stessa previsione di un’attività normativa comunitaria, di contenuto così ampio,

quale quella contemplata dall’art. 189 del Trattato di Roma, introdurrebbe una amplissima

deroga alla disciplina dettata dagli artt. 70 e segg. della Costituzione in tema di

formazione delle leggi, riconoscendo alla Comunità il potere di legiferare praticamente su

qualsiasi materia essa ritenga utile per l’assolvimento dei suoi compiti, senza che nei

confronti dei regolamenti sussistano le guarentigie che la Costituzione italiana dà nei

confronti delle leggi ordinarie dello Stato: il rispetto delle forme di promulgazione e di

pubblicazione, la possibilità di promuovere il referendum abrogativo, la possibilità di

sollecitare il controllo della Corte Costituzionale”

e dal Tribunale di Genova

“Nelle ordinanze, premesso che i regolamenti comunitari hanno portata generale e sono

obbligatori in tutti i loro elementi e direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri,

si osserva che l’introduzione nel nostro ordinamento di una nuova fonte di normazione

primaria, estranea al meccanismo di produzione legislativa previsto dagli artt. 70, 76, 77

della Costituzione, attuata con legge ordinaria anziché con legge costituzionale, potrebbe

implicare una non consentita sottrazione di competenza legislativa ai normali organi

costituzionali dello Stato”

barriere (commerciali, giuridiche, linguistiche, culturali, tecnologiche, infrastrutturali, etc.) per la circolazione nel mondo di merci, servizi, persone, investimenti, informazioni e infine all’assenza di un quadro istituzionale capace di assicurare la costruzione giuridica di un mercato concorrenziale su base mondiale. 147 Sentenza della Corte Costituzionale italiana n. 183 del 1973.

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la Corte Costituzionale ribatté recependo il senso degli argomenti esposti

dall’Avvocatura generale dello Stato italiano

“l’Avvocatura dello Stato afferma che non contrasta con i principi della Carta

costituzionale la istituzione, o il ricoscimento, con legge ordinaria di una nuova fonte di

produzione giuridica, potendo il fenomeno rientrare tra le limitazioni della sovranità

nazionale previste e consentite, a determinate condizioni, dall’art. 11 della Costituzione,

significativamente collocato nella sezione della Carta costituzionale nella quale sono

enunciati i principi fondamentali, a conferma della importanza capitale della disposizione,

posta su un piano diverso rispetto alle disposizioni che concretamente disciplinano i poteri

degli organi dello Stato”.

Così statuì infatti la Corte nel 1973:

“La questione non è fondata. La legge 14 ottobre 1957, n. 1203, con cui il Parlamento

italiano ha dato piena ed intera esecuzione al Trattato istitutivo della CEE, trova sicuro

fondamento di legittimità nella disposizione dell’art. 11 della Costituzione, in base al quale

‘l’Italia consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità

necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni’, e quindi

‘promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo’. Questa

disposizione, che non a caso venne collocata tra i ‘principi fondamentali’ della

Costituzione, segna un chiaro e preciso indirizzo politico: il costituente si riferiva, nel

porla, all’adesione dell’Italia alla Organizzazione delle Nazioni Unite, ma si ispirava a

principi programmatici di valore generale, di cui la Comunità economica e le altre

Organizzazioni regionali europee costituiscono concreta attuazione” (l’enfasi è di chi

scrive).

Il mercato - e non lo Stato - venne dunque giudicato, nel 1973, dalla Corte

Costituzionale come ciò che poteva “costituire concreta attuazione” degli ideali di pace e

giustizia che nel 1948 il legislatore costituente aveva espresso e inserito nell’art. 11 della

Carta.

Su questa base, la Corte Costituzionale poté affermare, nel 1973, che non vi era nulla

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di illegittimo nel fatto che alle norme CEE fosse riconosciuto effetto diretto

nell’ordinamento interno, che fosse cioè

“attribuito al Consiglio e alla Commissione della Comunità il potere di emanare

regolamenti con portata generale, ossia – secondo l’interpretazione data dalla

giurisprudenza comunitaria e da quella ormai concorde dei diversi Stati membri, nonché

dalla dominante dottrina – atti aventi contenuto normativo generale al pari delle legge

statuali, forniti di efficacia obbligatoria in tutti i loro elementi, e direttamente applicabili in

ciascuno degli Stati membri, cioè immediatamente vincolanti per gli Stati e per i loro

cittadini, senza la necessità di norme interne di adattamento o recezione”.

La Corte Costituzionale conservò tuttavia per sé il compito di vigilare, per conto della

nazione italiana, a che i fini - in primis evidentemente proprio quelli dell’art. 11 Cost.,

fonte del mandato - sulla base dei quali tale attribuzione di funzioni veniva operata,

informassero sempre l’azione degli organi comunitari:

“E’ appena il caso di aggiungere che in base all’art. 11 della Costituzione sono state

consentite limitazioni di sovranità unicamente per il conseguimento delle finalità ivi

indicate; e deve quindi escludersi che siffatte limitazioni, concretamente puntualizzate nel

Trattato di Roma - sottoscritta da Paesi i cui ordinamenti si ispirano ai principi dello Stato

di diritto e garantiscono le libertà essenziali dei cittadini -, possano comunque comportare

per gli organi della CEE un inammissibile potere di violare i principi fondamentali

del nostro ordinamento costituzionale, o i diritti inalienabili della persona umana. Ed è

ovvio che qualora dovesse mai darsi all’art. 189 una sì aberrante interpretazione, in tale

ipotesi sarebbe sempre assicurata la garanzia del sindacato giurisdizionale di

questa Corte sulla perdurante compatibilità del Trattato con i predetti principi

fondamentali …” (l’enfasi è di scrive).

Sulla base dell’iter logico-giuridico seguito dalla Corte Costituzionale nel 1973, il

riconoscimento interno dell’effetto diretto alle norme CEE rispondeva dunque ad un

principio fondamentale del nostro ordinamento costituzionale. Nell’interpretazione della

Corte, la forza riconosciuta ai principi posti dall’art. 11 appare travolgente: l’ammissione

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dell’effetto diretto delle norme CEE non soltanto veniva considerata legittima, ma veniva a

configurarsi – si direbbe – come un obbligo per le Istituzioni nazionali, in ossequio ad un

principio fondamentale - pace e giustizia nel mondo - che rappresentava il portato

giuridico cogente di una tensione complessiva, cui ogni altro elemento dell’ordinamento, e

l’intero Stato, aveva l’obbligo di piegarsi.

Con la sentenza n. 183 del 1973, la Corte Costituzionale diceva dunque qualcosa di

ulteriore e di diverso, rispetto alla “semplice” dichiarazione di legittimità del Trattato CEE.

Essa affermava infatti che ogni componente del sistema nazionale dei poteri pubblici -

comprensivo delle prerogative del Parlamento, del Governo, del Presidente della

Repubblica, nonché della stessa Corte Costituzionale - doveva soggiacere a quell’orizzonte

superiore - pace e giustizia nel mondo - posto dall’art. 11.

Di assoluto rilievo, inoltre, che la Corte Costituzionale italiana venisse a sancire - fatto

per niente scontato e per niente pacifico a quel tempo - la convergenza tra le dinamiche

del mercato (competizione, commercio, progressiva riduzione dell’intervento diretto degli

Stati nell’economia) e gli ideali di “pace e giustizia”.

Il commercio, si sancì, e non lo Stato, avrebbe assicurato la concreta attuazione degli

ideali di pace e giustizia nel mondo. Il progetto di costituire una comunità di mercato tra i

sei Stati fondatori della CEE poté ottenere - su questa base, chiarissima - l’approvazione

della Corte.

Non vi è dubbio che numerosi e significativi siano stati i mutamenti di varia natura

intervenuti, nel corso dei decenni, dopo il 1973.

Tra questi mutamenti, un valore importante, di nuovo relativo alla formazione di aree di

diritto governate dai princìpi del commercio, va certamente riconosciuto agli atti che

incorporarono i risultati dei negoziati commerciali multilaterali dell’Uruguay Round e che

furono siglati in occasione della Conferenza ministeriale di Marrakesh il 15 aprile 1994.

Osservato - nel terzo millennio - nel contesto dell’Organizzazione Mondiale del

Commercio, il processo di consolidamento dell’impianto comunitario pone nuove grandi

domande.

Nel sistema WTO, si è detto, le Comunità Europee sono membro dell’Organizzazione.

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Allo stesso tempo, Comunità Europee ed Unione Europea configurano però un Accordo

commerciale regionale (“Regional Trade Agreement”), in quanto tale oggetto di specifici

controlli di legittimità (coerenza con le regole WTO) presso l’apposito Comitato per gli

Accordi Commerciali Regionali, istituito dal Consiglio Generale WTO il 6 febbraio 1996.

Il dibattito148 circa il rapporto tra accordi regionali e l’accordo globale (WTO) è molto

vivo a Ginevra e sono molti a considerare che gli accordi regionali siano il più grande

ostacolo al consolidamento di un unico quadro giuridico del commercio, condiviso su base

mondiale.

Sui rischi di “deglobalizzazione” legati all’esasperazione del regionalismo,

inequivocabile, oltre che autorevolissimo, il monito lanciato da Renato Ruggiero nel corso

del Simposio pubblico 2005149 dell’Organizzazione Mondiale del Commercio:

“Let us be clear: the multilateral trade system is based on the most favourite

nation clause, on non-discrimination. It is also based on rules negotiated

multilaterally and agreed by all. We are now changing the system, or at least the

balance between the multilateral trade system based on non-discrimination, and

the preferential agreements both on a bilateral or regional framework, based on

discrimination.

We have to restore the undisputed primacy of the multilateral trade system …

At the beginning of the GATT system, preferential agreements were the

exception. The main source of preferential agreements was the European

Community. The answer to the European preferential initiatives was at that time

the right one: the launch of multilateral rounds … The risk is an international

trade system with no more rules agreed by everyone, where the poor and the

weak will have to fear ‘a return to the law of the jungle’ ... Are we

“deglobalizing” the international trade system? The rigidities of the system will

increase and the disputes between these vast regional preferential areas could

become very dangerous.

148 Nel sito internet dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, nella sezione dedicata ai Regional Trade Agreements (intitolata: “Regionalism: friends or rivals?”), si può leggere: “One of the most frequently asked questions is whether these regional groups help or hinder the WTO’s multilateral trading system” (“Una delle domande poste più frequentemente attiene a se questi gruppi regionali aiutino o impediscano il sistema multilaterale WTO” – la traduzione è di chi scrive). 149 Intervento di Renato Ruggiero al Simposio WTO 2005 – Ginevra, 20 aprile 2005) http://www.wto.org/english/news_e/events_e/symp05_e/ruggiero_e.doc.

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This is, I believe, the most important challenge in today’s international trading

system.

… Let us work together to save the future of the WTO and the primacy of

multilateral system”.

Nel corso della stessa conferenza, si è già detto, il Direttore Generale WTO, Supachai

Panitchpakdi aveva dichiarato:

“… l’Organizzazione Mondiale del Commercio, come già il GATT, ha esteso la ‘rule of

law’ nel regno del commercio internazionale ed ha contribuito significativamente ad

assicurare relazioni commerciali pacifiche e stabili tra i Membri WTO. Questa è forse la sua

principale funzione”150 (la traduzione è di chi scrive).

Sullo status giuridico delle norme WTO

“Il GATT non è la caricatura di un accordo internazionale, ma è obbligatorio per la

Comunità ed i suoi Stati Membri. Esso va quindi preso sul serio dalle istituzioni e dalla

Corte”151 (U. Everling).

“Nonostante il differente orientamento della giurisprudenza comunitaria, i protocolli di

cui all’accordo GATT, grazie alle leggi di ratifica ed esecuzione, attribuiscono ai singoli

diritti pienamente tutelabili dinanzi alla giurisdizione nazionale” (Tribunale di Napoli, 12

novembre 1984, Soc. Montedison C. Min. fin.).

“L’art. 11 dell’accordo GATT sulle tariffe doganali, concluso a Ginevra il 30 ottobre 1947

e reso esecutivo con l. 5 aprile 1950, n. 295, il quale prevede il divieto di aggravamento

150 “… the WTO, as the GATT before it, has extended the rule of law into the international trade realm and has contributed significantly to keeping peaceful and stable trading relations between WTO Members. This is, perhaps, its most crucial function”. (Intervento introduttivo di Supachai Panitchpakdi , Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, al Simposio WTO 2005 – Ginevra, 20 aprile 2005 - http://www.wto.org/english/news_e/spsp_e/spsp38_e.htm). 151 “The Gatt is not a caricature of an international agreement, but is obligatory on the Community and on the Member States. It must be taken seriously by the institutions and the Court” (Everling

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dei diritti doganali e degli altri diritti percepiti all’importazione od in occasione

dell’importazione, riguarda le sole merci incluse nelle liste allegate all’accordo medesimo

(per l’Italia, la lista XXVII approvata con il protocollo di Annecy del 10 ottobre 1949, posto

in vigore con la citata l. n. 295 del 1950); pertanto, i diritti per servizi amministrativi,

istituiti con la l. 15 giugno 1950, n. 330, devono ritenersi legittimamente riscossi con

riferimenti a merci non comprese in dette liste originarie …” (Cass. Civ., 07/11/1985, n.

5412).

“L’art. 2 dell’accordo GATT sulle tariffe doganali, reso esecutivo con l. 5 aprile 1950, n.

295, che prevede il divieto di aggravamento dei diritti doganali e degli altri diritti od

imposte percepite all’importazione od in occasione dell’importazione, riguarda le sole

merci incluse nelle liste allegate all’accordo medesimo, e, cioè, per l’Italia, la lista XXVII

approvata con il protocollo di Annecy del 10 ottobre 1949; ne consegue, con riguardo al

carbon fossile, il quale non risulta contemplato in detta lista XXVII (..), che legittimamente

vengono riscossi i diritti per servizi amministrativi istituiti con la l. 15 giugno 1950, n.330

…” (Cass. civ., 14/10/1985, n. 4971).

“Nel sistema dell’accordo Gatt (reso esecutivo con l. 5 aprile 1950, n. 295) non esiste

un divieto generalizzato di introduzione di nuovi tributi all’importazione ma è previsto il

divieto di aggravamento dei diritti doganali, e degli altri diritti od imposte percepite

all’importazione o in occasione di essa, con riguardo alle sole merci incluse nelle liste

allegate all’accordo medesimo, e cioè, per l’Italia, nella lista XXVII approvata con il

protocollo di Annecy del 10 ottobre 1949; ne consegue che, sulle altre merci, pur

provenienti dall’area Gatt, legittimamente vengono riscossi i diritti per servizi

amministrativi …” (Cass. civ., n. 6368 del 16/12/1985).

In favore dell’applicabilità diretta delle norme GATT, e contro l’orientamento indicato

dalla Corte di Giustizia delle CE, si veda anche la Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 20

ottobre 1975, n. 3403.

U., “Will Europe slip on bananas? The bananas judgment of the Court of Justice and National Courts”, in Comm. Mark. Law Rev., 1996).

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Autorevolissimi giuristi152 ritengono che la Corte di Giustizia delle Comunità Europee

non disponga di solidi argomenti giuridici a supporto del proprio sistematico rifiuto di

riconoscere l’effetto diretto delle norme WTO e quindi l’attitudine di queste a configurare

posizioni giuridiche soggettive in capo ai singoli cittadini.

“The European Court of Justice has long been criticized for consistently holding that the

General Agreement on Trade and Tariffs (GATT) does not have direct effect. The end of

the GATT Uruguay Round prompted a renewed analysis of direct effect by Kees Jan

Kuilwijk. In his book, The European Court of Justice and the GATT Dilemma, Kuilwijk

argues that the continued denial of direct effect to the GATT 94 not only proves that the

ECJ has protectionist motives but also that it is concerned with individual rights. In

addition to updating the traditional critique of the Court’s doctrine, Kuilwijk book

illustrates the tendency of that critique to fail to acknowledge the full complexity of the

direct effect question”153

La divergenza di opinioni è emersa anche nel cuore degli stessi procedimenti su cui più

volte la Corte è venuta a pronunciarsi.

Nel procedimento di impugnazione C-93/02 P e C94/02 (P Biret International SA e

Etablissements Biret et Cie. SA/Consiglio dell'Unione europea), l'avvocato generale Alber

ha sostenuto che le norme dell'Organizzazione mondiale del commercio sono direttamente

applicabili, quando l'organo di composizione delle controversie dell'OMC accerti

l'incompatibilità di un provvedimento comunitario con il diritto dell'OMC e la Comunità non

provveda a dare esecuzione alle relative raccomandazioni o decisioni entro un ragionevole

termine fissato dall'OMC stessa.

Analogamente, l’avvocato generale Tizzano154 nel procedimento C-377/02 (Lèon Van

152 Pierre Pescatore, “Opinion 1/94 on ‘Conclusion’ of the WTO Agreement: Is there an Escape from a Programmed Disaster?”, Common Market Law Review 36, 1999 Kluwer Law International: “The Italian Court had made reference to Art. V of GATT which, unlike the EC Treaty, contains a complete and clear provision on this problem”. 153 Judson Osterhoudt Berkey, “The European Court of Justice and Direct Effect for the GATT: A Question Worth Revisiting”, European Journal of International of International Law 9 (1998). 154 Di A. Tizzano, si veda anche: "Pretesa diversità di effetti del G.A.T.T. e dei Trattati comunitari nell'ordinamento italiano", in "Il Foro Italiano", 1973, n. 9, I, p. 2443-2452

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Parys NV) aveva ravvisato le condizioni per il riconoscimento della diretta applicabilità

delle norme WTO nell’ordinamento comunitario. In tale circostanza, la Comunità europea

aveva mancato di ottemperare alle indicazioni dell’Organo di risoluzione delle controversie

dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, il quale aveva sancito (25 settembre 1997)

la violazione degli artt. I e XIII Gatt da parte di un regolamento comunitario (reg. 404/93)

che introduceva un regime comune per l’importazione delle banane. Per quanto qui rileva,

la Corte di Giustizia, nel giudicare sul caso (1 marzo 2005) ha ribadito che “è

giurisprudenza costante che, tenuto conto della loro natura e della loro economia, gli

accordi OMC non figurano in linea di principio tra le normative alla luce delle quali la Corte

controlla la legittimità degli atti delle istituzioni comunitarie (sentenza 23 novembre 1999,

causa C-149/96, Portogallo/Consiglio …; ordinanza 2 maggio 2001, causa C-307/99 …;

sentenze 12 marzo 2002, cause riunite C-27/00 e C-122/00 …; 9 gennaio 2003, causa C-

76/00 …; e 30 settembre 2003, causa C-93/02 …)”.

Giuseppe Tesauro mostra di condividere le osservazioni di Everling a proposito del

mancato riconoscimento dell’effetto diretto delle norme WTO da parte della Corte di

Giustizia delle Comunità Europee, definendole come una “giusta critica”. Il dissenso di

Tesauro rispetto all’orientamento della Corte di Giustizia delle C.E su questo punto è fermo

e profondo.

“Né mi sembra possa ragionevolmente dubitarsi del fatto che le norme internazionali

vincolanti per la Comunità e gli Stati membri, pertanto parte integrante del complessivo

sistema giuridico comunitario, costituiscano un parametro della legittimità e della

congruità delle norme rispetto alle quali hanno la prevalenza. Francamente, non riesco a

sottoscrivere soluzioni di tipo diverso, in particolare non riesco ad immaginare come una

norma degli accordi OMC o già del GATT, che sia vincolante per la Comunità e per gli Stati

membri e per ciò stesso parte integrante del sistema comunitario , possa non determinare

l’invalidità di un atto comunitario configgente o di una normativa nazionale altrettanto

configgente, a meno che non se ne voglia ridurre il rango ad un livello inferiore, ciò che è

sicuramente inammissibile sotto il profilo già della teoria generale del diritto

internazionale.

La giurisprudenza della Corte relativa al GATT 1947 è tuttavia decisamente diversa, per

non dire di segno opposto. Ritengo pertanto utile ricordarne i passaggi più significativi.

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La prima e fondamentale tappa di questo percorso è indubbiamente costituita dalla

sentenza International, in cui la Corte, affermata la sua competenza ad esaminare anche i

motivi di invalidità tratti dal diritto internazionale (punti 4/6), ha poi precisato che, perché

la validità di un atto comunitario possa essere inficiata a motivo di una sua incompatibilità

con una norma di diritto internazionale, occorre che quest’ultima sia vincolante per la

Comunità e che, inoltre, attribuisca al singolo il diritto di far valere in giudizio le sue

disposizioni avverso un atto comunitario, sia cioè una norma provvista di effetto diretto

(punto 7/9). La Corte, premesso che nessun dubbio può nutrirsi quanto alla vincolatività

delle norme GATT , ha poi rivelato, rispetto al requisito dell’effetto diretto, che “a tale

scopo, si deve aver riguardo allo spirito, alla struttura ed alla lettera del GATT stesso”

(punto 19/20).

Dopo aver ricordato le peculiarità del sistema GATT, su cui si è da sempre fondata per

negare l’effetto diretto delle sue norme, la Corte ha affermato che tali caratteristiche

“ostano parimenti a che la Corte prenda in considerazione le disposizioni dell’Accordo

generale per valutare la legittimità di un regolamento nell’ambito di un ricorso proposto da

uno Stato membro ai sensi dell’art. 173, primo comma, del Trattato.” (punto 109). La

Corte ha pertanto concluso nel senso che, in assenza di espresso rinvio ai sensi della

giurisprudenza Fediol e Nakajima, essa non è tenuta a verificare le legittimità di un atto

comunitario alla luce delle norme GATT (punto 11).

Indubbiamente si tratta di una giurisprudenza che, al di là del dato relativo

all’affermata assenza di effetto diretto delle norme GATT, pone notevoli problemi e rischia

di condurre a risultati criticabili e comunque contraddittori, come ben dimostra un

successivo caso, in cui, con un ricorso promosso dalla Commissione contro la Germania

ex art. 169 del Trattato, veniva contestato a quest’ultima di aver violato alcune

disposizioni di un accordo adottato in ambito GATT. In tale occasione, infatti, la Corte è

stata chiamata a stabilire se la Commissione possa iniziare una procedura d’infrazione

contro uno Stato membro per violazione di norme GATT, allorché, peraltro, il

comportamento contestato sia consentito da un regolamento comunitario. La Corte ha

trovato una via d’uscita facendo valere una possibilità, invero molto dubbia, di

interpretazione conforme tra regolamento CEE e accordo GATT. Conseguentemente, essa

ha accertato la violazione, da parte della Germania, di talune disposizioni di un accordo

adottato in ambito GATT.

Ora, non è tanto rilevante se la Germania avesse violato o no l’accordo: importante è

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che la Corte ha utilizzato il GATT come parametro di legittimità relativamente ad una

normativa nazionale, peraltro conforme ad un regolamento comunitario. Ciò era

precisamente quanto aveva escluso nell’ipotesi inversa, quando, nella causa banane, la

stessa Germania aveva, con un ricorso diretto ex art. 173, chiesto che fosse utilizzata una

norma GATT come parametro di validità di un atto comunitario.

Con tale approccio la Corte ha dunque sottoscritto la posizione della Commissione,

secondo cui gli Stati membri non possono invocare la loro interpretazione degli obblighi

GATT e decidere se rispettarli o meno; e neppure possono invocare la loro interpretazione

per far valere l’invalidità di una posizione comunitaria di diritto derivato. In entrambi i

casi, infatti, la Commissione rivendica il diritto di decidere essa stessa al riguardo, con

l’argomento e sul presupposto che la sola Comunità è responsabile verso l’esterno, quale

che sia la corretta interpretazione comunitaria degli obblighi assunti in sede GATT. Questa

posizione, all’evidenza, implica che il controllo del rispetto di un accordo, che vincola sia

gli Stati Membri che la Comunità, può essere operato dalla Corte solo nell’ipotesi in cui la

violazione è dello Stato membro e non anche quando la violazione è dovuta a un

comportamento delle stesse istituzioni. In quest’ultimo caso, infatti, l’eventuale violazione

di obblighi GATT potrà essere sanzionata solo con gli strumenti previsti dal diritto

internazionale e non anche attraverso il controllo giurisdizionale della Corte.

Questa soluzione, che sottrae al giudice comunitario una parte del controllo

giurisdizionale degli atti comunitari rispetto al parametro delle norme GATT e OMC, che

pure si qualificano come parte del sistema giuridico comunitario, io non riesco a

sottoscrivere. Almeno non riesco a cogliere il corretto fondamento giuridico di tale

soluzione.

D’altra parte, l’orientamento in questione finisce col rappresentare in fatto le norme

convenzionali in discorso come di valenza ridotta rispetto a “normali” norme internazionali

convenzionali, persino rispetto al principio fondamentale pacta sunt servanda. E’

un’ipotesi, pertanto, che anche sotto tale profilo non è condivisibile ad una valutazione

appena meno rapida e più rigorosa.

emerge con chiarezza che l’effetto diretto è stato subordinato dalla Corte alla verifica di

due elementi, individuati nelle caratteristiche del sistema GATT (obiettivi, struttura,

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caratteri delle norme, rimedi in caso di violazione) e nel tenore della norma.

Vero è, come risulta dalla stessa giurisprudenza, che non c’è mai stata una verifica del

tenore della norma, nel senso che la Corte non ha mai proceduto ad una verifica volta a

stabilire se la norma invocata fosse chiara, precisa ed incondizionata, secondo i tradizionali

criteri che hanno portato la Corte ad attribuire o no l’effetto diretto alle norme

comunitarie. Ciò è dovuto alla circostanza che la Corte si è sempre fermata, con esiti

negativi, alla prima verifica, quella sulle caratteristiche salienti del sistema GATT nel suo

insieme. Al riguardo, osservo nondimeno che non mi pare che le norme GATT portate

all’attenzione della Corte fossero meno chiare, precise ed incondizionate di altre norme

convenzionali cui la stessa Corte ha invece attribuito peraltro con voluta generosità,

l’effetto diretto.

Una svolta altrettanto importate si è avuta nel capitolo della soluzione delle

controversie, da sempre considerato uno dei punti più deboli del sistema GATT, sotto il

profilo sia formale che sostanziale. La caratteristica fondamentale del vecchio sistema era

stata individuata nella circostanza che la ‘resistenza’ della parte soccombente poteva

bloccare il meccanismo dal momento che il Panel incaricato di occuparsi della controversia

poteva solo suggerire la soluzione al Consiglio, cioè all’insieme delle parti contraenti; il

Consiglio poteva poi a sua volta approvarla solo se non c’erano opposizioni. L’attuale

Intesa sulle norme e sulle procedure che disciplinano la risoluzione delle controversie ha

sensibilmente mutato la situazione. In particolare, per quanto qui rileva, non può non

sottolinearsi che il rapporto del Panel, che prima era approvato dal Consiglio solo con il

consenso generale, oggi è respinto solo in caso di consenso negativo, ciò che rappresenta

un’innovazione copernicana: prima la parte soccombente poteva in ipotesi bloccare

l’adozione, oggi non più. A ciò si aggiunga che può essere proposto appello, con la

conseguenza che si avrà un nuovo rapporto, anch’esso adottato salvo consenso negativo.

In sostanza, il principio del consenso negativo fa sì che il rapporto sia sempre adottato e

che la parte soccombente è tenuta ad adempiere.

Più in generale, poi, rileva il carattere obbligatorio del meccanismo, che si traduce nella

possibilità di ricorso unilaterale e dunque nel connotato tipico di un controllo di tipo

giurisdizionale.”155.

155 Tesauro G., “I rapporti tra la Comunità europea e la WTO”, in “Diritto e Organizzazione del commercio internazionale dopo la creazione della Organizzazione Mondiale del Commercio” (Società Italiana di Diritto Internazionale, II Convegno, Milano, 5-7 giugno 1997) (Editoriale Scientifica).

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“Possono queste sostanziali modifiche influenzare l’atteggiamento della Corte, in

particolare possono indurla ad affermare l’effetto diretto delle norme OMC? A rigore

potrebbero, anzi dovrebbero” (Tesauro).

Nella sua critica, Tesauro non si limita alla rigorosa analisi descrittiva delle debolezze

della giurisprudenza comunitaria. Egli propone anche una spiegazione di questo

comportamento, ciò che richiama le osservazioni cui si è fatto cenno sopra a proposito

dell’eterogenesi dei fini.

“… sulle differenze tra GATT e OMC possiamo esaurirci in un lungo ed approfondito

esercizio dialettico, dicendo tutto o il contrario di tutto sui miglioramenti intervenuti nella

‘giuridicità’ del sistema e sulla idoneità delle norme, ora o allora, a fungere da parametro

di legittimità ad essere invocate dai singoli. La soluzione non c’è, per il semplice motivo

che le ragioni dell’orientamento della Corte, se guardato in trasparenza, sono altrove. Ciò

che si ricava con sufficiente chiarezza, soprattutto dalla lettura congiunta della sentenza

banane (sent. 5 ottobre 1994, causa C-280/93, Germania c. Consiglio ..) e della sentenza

del latte (Sent. 10 settembre 1996, causa C-61/94, Commissione c. Germania ..), è un

dato non tanto giuridico quanto soprattutto di opportunità o di politica istituzionale, se si

preferisce. In sostanza, si vuole lasciare alle istituzioni politiche, cioè alla Commissione ed

al Consiglio, la interpretazione e più in generale la ‘gestione’ delle norme convenzionali

che ci occupano, ieri GATT ed oggi OMC (..) In tali condizioni, auspico pertanto che la

Corte riveda almeno parzialmente tale giurisprudenza, in primo luogo, evitando di

escludere in modo assoluto e preliminare ogni possibilità di attribuire l’effetto diretto alle

norme OMC che lo consentano … In secondo luogo, si dovrebbe, anche indipendentemente

dall’effetto diretto, fare in modo da consentire agli Stati membri di contestare la legittimità

di atti comunitari rispetto al parametro delle norme OMC. Ritengo invero inaccettabile,

questo sì, l’idea che l’idoneità delle norme OMC, e già del GATT, a fungere da parametro

della legittimità della norma comunitaria nazionale configgente sia condizionata all’effetto

diretto della norma stessa, così come la Corte di Giustizia ha fino ad oggi affermato”156.

156 Tesauro G., cit.

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Sul punto, con la più alta autorevolezza, anche Giorgio Sacerdoti (1997)157: “Le autorità

negoziali dell’Unione Europea e degli USA si sono espresse peraltro nel senso di non volere

attribuire carattere self-executing o comunque efficacia interna diretta agli Accordi

dell’Uruguay Round … Si tratta di una scelta criticabile, in quanto in contrasto con lo scopo

e il risultato del negoziato … [aggiunge in nota l’Autore: ‘ .. L’esclusione della diretta

applicabilità, dichiarata unilateralmente nell’ambito delle restrizioni consentite all’efficacia

degli impegni ci sembra di dubbia validità in presenza di norme obiettivamente self-

executing’]”.

Lungo questa linea di osservazione e di ricerca, molto interessanti anche le due

pronunce CGCE (C-300/98 e C-392/98) in cui la Corte afferma che in un campo in cui la

Comunità non ha legiferato, è in capo agli Stati Membri la facoltà di riconoscere o meno

effetto diretto alle disposizioni TRIPs.

“Si tratta di una conclusione interessante, che contrasta con il ragionamento generale

secondo il quale le norme GATT-WTO non sono sufficientemente precise e pertanto sono

inadatte a godere dell’effetto diretto”158.

Il rapporto che in Europa si è andato sviluppando rispetto al quadro istituzionale globale

appare aver diffusamente interiorizzato ambiguità, incertezze e distorsioni della CGCE. Ciò

appare tanto più grave oggi che la competizione mondiale diventa sempre più forte e che

il sistema WTO è in grado di disegnare traiettorie nuove e nitide per la sua regolazione.

Indiretto, ma altissimo, è inoltre l’impatto delle suddette ambiguità - insieme al senso di

deresponsabilizzazione individuale che vi si associa – su una serie di ambienti (scuole,

università, studiosi, professionisti, enti regolatori, media) che nei paesi d’Europa tendono

a vivere il mondo attraverso lo schermo comunitario.

Nel provvedimento n. 8539 del 20 luglio 2000 (“Latte Reggiano”), l’Autorità Garante del

mercato e della concorrenza si è pronunciata su un caso inerente il rapporto tra i diritti dei

consumatori ad una comunicazione corretta ed i diritti dei titolari dei marchi. Interessante

il fatto che l’Autorità, pur mostrando di prescindere dalle regole dell’Accordo WTO sulla

157 G. Sacerdoti, “Profili istituzionali …” cit. 158 Questo il commento di T. Cottier e M. Oesch (T. Cottier e M. Oesch, “The paradox of judicial review in International Trade Regulation: Towards a Comprehensive Framework”, in: “The Role of the Judge in International Trade Regulation” a cura di T. Cottier e P.C. Mavroidis – Michigan , 2000)

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proprietà intellettuale (TRIPs), abbia tuttavia seguito una linea di ragionamento e sia

pervenuta a delle conclusioni 159 che presentano significativi punti di contatto con l’iter

logico-giuridico nel quale si è dovuto impegnare il Panel WTO chiamato nel 2005 a

giudicare sulla controversia (DS 174 – DS 290160) inerente il rapporto tra marchi ed

indicazioni geografiche.

La posizione della CGCE nell’approccio alle norme WTO sembra dunque rivelare chiari

profili di censurabilità. Si tratta peraltro di un comportamento che - come nota Tesauro -

ha spiegazioni profonde, che sembrano attenere all’attuale configurazione dell’intero

impianto comunitario, originariamente concepito – come si sa e come si è ricordato – per

sottrarre aree della vita al potere delle Autorità per trasferirle alle dinamiche della

concorrenza.

Nel rapportarsi ad un mercato più ampio di quello comunitario, quello mondiale

regolato dagli Accordi WTO, appare lecito chiedersi se e come gli organi comunitari -

Commissione e Corte di Giustizia - possano restare fedeli alla propria originaria missione

(quale affidatagli dalla Corte Costituzionale italiana, strumentalmente al perseguimento

concreto dei fondamentali ideali espressi nell’art. 11), o se non sia quasi inevitabile che la

159 “A questo proposito si ricorda come, sulla base della normativa vigente a livello sia nazionale che comunitario, nonché della più recente giurisprudenza amministrativa, debba ritenersi che "gli scopi perseguiti con la legislazione marchi e con quella sulla pubblicità ingannevole non soltanto non sono confliggenti, ma anzi convergono, ..., sull'obiettivo dichiarato in entrambe le fonti di evitare ogni possibile inganno per il pubblico nell'utilizzazione del marchio in genere e, specialmente, nel caso in cui sia inserito in un contesto pubblicitario. Diversamente opinando si consentirebbe, da un lato, una sostanziale disapplicazione della già citata specifica garanzia sull'uso corretto del marchio, con riferimento alla natura, provenienza e qualità del prodotto e, dall'altro, il concreto aggiramento della legislazione sulla pubblicità ingannevole la quale ha di mira, invece, l'eliminazione di ogni eventuale forma di detta pubblicità, in qualunque modo sia stata posta in essere, e cioè anche mediante l'omissione di elementi informativi che servano a mettere il consumatore nella condizione essenziale per potersi liberamente determinare nel proprio comportamento economico. " (cfr. Sentenza TAR Lazio n. 2077/99). Va inoltre rilevato come sia un dato di comune esperienza quello per cui l'attenzione del consumatore è prevalentemente catturata, per quanto attiene ai prodotti confezionati, dall'etichetta o dalla confezione del prodotto che, in assenza delle dovute specificazioni, è suscettibile di assorbire ogni capacità di indagine del consumatore, in particolare, in relazione alla provenienza geografica delle materie prime” … “RITENUTO, pertanto, che il messaggio in esame, in quanto non specifica la provenienza geografica del latte utilizzato, è idoneo ad indurre in errore i destinatari circa le caratteristiche del prodotto con particolare riguardo all'origine geografica dello stesso, potendo per tale motivo pregiudicarne il comportamento economico; DELIBERA che il messaggio pubblicitario, descritto al punto 2 del presente provvedimento, diffuso dalla società Cooperlat S.c.a r.l., costituisce, per le ragioni e nei limiti esposti in motivazione, una fattispecie di pubblicità ingannevole ai sensi degli artt. 1, 2, e 3 del Decreto Legislativo n. 74/92, e ne vieta l'ulteriore diffusione” [provv. 8539 AGCM]. 160 Si veda http://www.wto.org/english/tratop_e/dispu_e/dispu_status_e.htm

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sopravvivenza di questa dimensione intermedia tenda a caratterizzarsi come nuovo potere

politico, che, in assenza di un’identità autonoma, debba cercare di costruirsene una “per

differenza”, così però ostacolando e ritardando l’affermazione di un efficace sistema

giuridico globale orientato alla equa competizione.

Non può d’altronde sfuggire l’enorme impatto che avrebbe il riconoscimento di un

effetto diretto alle norme WTO avrebbe, con ampie aree della vita che verrebbero ad

essere assorbite dalla giurisdizione del mercato universale, con un’inevitabile erosione

della stessa ragion d’essere degli organi comunitari.

A proposito della freddezza comunitaria rispetto al diritto WTO, anche C. Marcolungo:

“… Tale linea di condotta non è del tutto coerente con le esigenze di certezza del diritto e

di sistema rule-oriented che caratterizzano l’ordinamento del WTO, e pertanto rappresenta

un residuo degli aspetti power-oriented considerati dal Dsb con una certa diffidenza …

L’Organizzazione Mondiale del Commercio svolge ora un ruolo di regolatore su scala

mondiale del mercato degli scambi commerciali. La regolazione si attua specialmente

attraverso gli strumenti tipici del contraddittorio in giudizio, in base ai principi del due

process of law, della ragionevolezza e proporzionalità, della trasparenza ed effettività”161.

Rispetto al recente orientamento al potere del sistema comunitario, va pure annotato il

caustico commento di T. Cottier e M. Oesch162, i quali osservano come la Corte di Giustizia

sia effettivamente generosa nel riconoscere effetto diretto alle norme contenute in quegli

accordi bilaterali che, discendendo evidentemente da una situazione di potere della

Comunità rispetto agli altri contraenti, nascono di per sé già in aderenza agli schemi

comunitari e quindi comportano eventualmente obblighi di adeguamento per gli Stati

membri e per le altre parti contraenti, ma non implicano alterazioni per le strutture del

potere centrale della Comunità. Un legame chiaro e diretto tra l’orientamento al potere,

161 C. Marcolungo, cit. 162 T. Cottier e M. Oesch, “The paradox of judicial review in International Trade Regulation: Towards a Comprehensive Framework”, in: “The Role of the Judge in International Trade Regulation” (a cura di T. Cottier e P.C. Mavroidis – Michigan , 2000): “it is interesting to observe that direct effect of agreements is much less controversial where such effects on internal power structures are not likely to occur. The European Court of Justice directly applies regional FTAs (..) or the Lomè Convention (..), both of which are essentially shaped in accordance with EC law. Moreover, direct effect is likely to where obligations are imposed on Member States or foreign countries, but not the bodies of the EC, properly speaking. The problem of direct effect therefore has to be analyzed and further studied

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piuttosto che al diritto ed al mercato, della Comunità Europea e la negazione dell’effetto

diretto delle norme WTO viene confermato dagli stessi autori, quando163 ricordano che la

esplicita negazione dell’effetto diretto, da parte degli USA, riflette un trasparente

approccio mercantilista orientato al potere. Una differenza, che va però ricordata, discende

però dal fatto che l’esistenza in vita degli USA non si lega alla necessaria sopravvivenza di

un siffatto orientamento al potere, perché essa può fondarsi sulla solidità di una nazione

americana.

Molte le riflessioni che derivano dall’osservazione di questa parabola. La più cupa di

queste si lega al rischio di un atteggiamento, da parte degli organi comunitari, che sia

dettato da nuove proprie ragioni di necessità esistenziale piuttosto che da quelle, orientate

al diritto e al mercato, dei propri “mandanti” e che dunque ricerchi vie di fuga rispetto a

quel declassamento che, nello schema dell’art. 11 Cost., era connaturato allo stesso atto

costitutivo del mercato unico europeo, riletto oggi alla luce dello sviluppo di un sistema

istituzionale finalmente condiviso (WTO) su scala globale, capace di poter conseguire una

nuova unità, nel commercio e nella pace.

Sulla perfetta complementarità tra l’esperienza, spirituale ed istituzionale, della Nazione

e la prospettiva globale, attualissima risulta oggi la lezione offerta da Meuccio Ruini,

presidente della Commissione Costituente (cd. Commissione dei 75), nella discussione che

si sviluppò in seno all’Assemblea Costituente164 a proposito della stesura dell’art. 11 della

Costituzione italiana. La consapevolezza di Ruini circa i rischi che l’eventuale

istituzionalizzazione di una dimensione regionale sovranazionale, in sé definitiva ed

autonoma, avrebbe potuto generare rispetto agli auspici che la dinamica della pace e la

giustizia potesse invece avere una gioiosa proiezione globale, è così diventata una

fondamentale consapevolezza, giuridicamente stringente, del popolo e dell’ordinamento

italiano:

in the context of such effects which are ultimately limked to power allocation and, in particular, to democratic legitimacy of treaty-making”. 163 T. Cottier e M. Oesch, cit.: “As US law bars direct effect, this argument is honest, but essentially reflects a power-oriented mercantilist approach”. 164 La discussione ebbe luogo nella seduta dell’Assemblea Costituente del 24 marzo 1947, durante la quale fu discusso e approvato l’attuale art.11, che era allora l’art. 4 del progetto di Costituzione presentato dalla Commissione dei Settantacinque (G. Busia, “Più democrazia nel processo di ratifica dei trattati comunitari: un rischio da correre”, in “Appunti Europei”, a cura di F. Arcelli, Quaderni Thesmos, Rubbettino 2002).

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“In verità, però, nei dibattiti in Assemblea costituente era stata prospettata

l’opportunità di inserire nella disposizione uno specifico riferimento anche a eventuali

organizzazioni di carattere europeo (proposta Bastianetto). Sul punto, il Presidente della

Commissione per la Costituzione, Ruini, nel replicare che questo specifico riferimento non

sembrava riscuotere nei costituenti sufficiente appoggio, in quanto limitarsi ai confini

europei ‘non è opportuno di fronte ad altri continenti, come l’America, che desiderano di

partecipare all’organizzazione internazionale’, concludeva però il suo intervento precisando

che il testo della Commissione, ‘mentre non esclude la formazione di più stretti rapporti

nell’ambito europeo, non ne fa un limite ed apre tutte le vie ad organizzare la pace e la

giustizia fra tutti i popoli’ ”165.

Dotando il Paese del proprio orizzonte, Ruini creava i presupposti perché oggi l’Italia

possa coerentemente e legittimamente proporsi come forza capace di sviluppare, anche in

Europa, una nuova e sana tensione cosmica verso il cum-petere, che sia concretamente,

personalmente e quotidianamente operante.

Chiosa Tesauro: “Osservo anzitutto che ove fosse pacifico che vi sono settori di

disciplina oggetto di competenza riservata ai soli Stati membri, potrebbe anche convenirsi

sulla non assoluta necessità di una perfetta sintonia di applicazione, e quindi di

interpretazione, delle differenti norme di un accordo misto; meglio, una interpretazione

centralizzata nella Corte di Giustizia relativamente a tutti i settori della disciplina che

interessa ben potrebbe non essere considerata indispensabile. Tanto più non lo sarebbe se

si pensasse alle distonie che conseguirebbero all’attribuzione alla Corte dell’ultima parola

sull’interpretazione degli accordi misti nel loro insieme. Ad esempio, vi sarebbe da

chiedersi se sia corretto che il giudice o anche l’amministrazione nazionali siano vincolati -

nell’applicazione di norme convenzionali di cui sostanzialmente sia parte esclusivamente lo

Stato (e non anche la Comunità) - a seguire l’interpretazione della Corte e non, faccio

un’ipotesi, l’interpretazione sua ovvero di un Panel OMC, espressa nell’ambito del

meccanismo di soluzione delle controversie, tenuto conto peraltro delle inevitabili

conseguenze sotto il profilo della responsabilità …”.

165 Relazione finale in tema di forme e condizioni di partecipazione dell’Italia alle organizzazioni internazionali e al processo di integrazione europea, cit. (2004).

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6 La posizione italiana sul principio fondamentale della pace e giustizia nel

mondo, dopo la sottoscrizione degli Accordi dell'Uruguay Round

Il piano originario al termine della Seconda Guerra Mondiale era quello di istituire, tra le

Agenzie specializzate delle Nazioni Unite, anche un’Organizzazione Internazionale del

Commercio.

“Nelle intenzioni delle potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale, la gestione del

commercio internazionale doveva essere affidata ad un sistema normativo e istituzionale

ben più complesso (non limitato, come era invece originariamente il GATT, alla materia

delle tariffe doganali e a poche altre forme di restrizioni agli scambi di merci) e situato

all’interno di un quadro globale di ricostruzione dell’economia mondiale. Un intento siffatto

era stato manifestato già prima della fine della guerra e risaliva ad un progetto di

rifondazione dell’economia internazionale imperniato sulla libertà degli scambi, la non

discriminazione e la reciprocità … Su queste basi prese corpo, cessate le ostilità belliche,

una proposta organica (la Suggested Charter fora n International Trade Organization of

the United Nations) che fu oggetto di negoziati multilaterali nel quadro della Conferenza

delle Nazioni Unite sul commercio e l’occupazione, convocata nel febbraio del 1946 e

conclusasi a L’Avana il 24 marzo 1948”166.

“As is well known, the original plan at the end of World War Two had been to create an

International Trade Organization alongside with several other specialized agencies of the

United Nations. The constitutive instrument of this organization was signed at Havana on

24 March 1948”167.

La fusione della prospettiva Ruini dell’art. 11 Cost. con le posizioni autorevolmente

espresse sul tema del riconoscimento dell’effetto diretto delle norme WTO, sembrano

costituire la premessa per una possibile nuova esplorazione del rapporto tra l’ordinamento

italiano e quello WTO, che si fondi sulla rinuncia alle posizioni pregiudiziali o retoriche e

sulla ricerca del diritto attraverso i fatti.

166 P. Picone – A. Ligustro, “Diritto dell’Organizzazione Mondiale del Commercio”, Cedam 2002. 167 Pierre Pescatore, “Opinion 1/94 on ‘Conclusion’ of the WTO Agreement: Is there an Escape from a Programmed Disaster?”, Common Market Law Review 36, 1999 Kluwer Law International:

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Grazie alle chiavi di lettura che sono venute emergendo, sembrerebbero sussistere oggi

ragioni sufficienti per rendere almeno legittima una lettura critica della dinamica in atto a

livello comunitario (“lasciare alle istituzioni politiche, cioè alla Commissione ed al

Consiglio, la interpretazione e più in generale la ‘gestione’ delle norme convenzionali che ci

occupano, ieri GATT ed oggi OMC”, Tesauro), rapportandola a quella che era la ragion

d’essere originaria di “quella” Comunità che aveva ricevuto - pur nello schema “globale” di

Meucci - il placet della Corte Costituzionale italiana nel 1973 e tenendo nel contempo

presenti le novità intervenute nello scenario mondiale, tra cui la nascita, nel 1995, del

sistema WTO: un sistema giuridico che, su base mondiale, sopprimendo quote di potere in

capo alle Autorità centrali e diluendone altre in un complesso di regole basato sui principi

della concorrenza, sembra in grado di poter credibilmente promuovere la concreta

attuazione degli ideali della pace e della giustizia168 tra le Nazioni di tutto il mondo.

Come si esprimerebbe la nostra Corte Costituzionale se fosse chiamata ad assolvere al

ruolo169 inerente la verifica di conformità dell’azione comunitaria con i principi

168 Tra i tanti in tal senso: David Palmeter “The WTO as a legal system”; Arie Reich, “From Diplomacy to Law: The Juridicization of International Trade Relations”; Michael K. Young, “Dispute Resolution in the Uruguay Round: Lawyers Triumph over Diplomats”; Tomer Brode “International Governance in the WTO: Judicial Bounderies, Political Capitulation”; Debra Steger “Peace Through Trade: Building the World Trade Organization” (Cameron May). Si ascolti anche l’autorevole voce del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace (Commercio, sviluppo e lotta alla povertà, 18 novembre 1999): “il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace desidera esprimere il proprio apprezzamento per l’opera della WTO, tesa a liberalizzare il commercio internazionale nel contesto di un sistema basato su regole certe”. Non deve spaventare riconoscere l’ampiezza della prospettiva su cui la propensione alla relazione umana che si esercita attraverso il commercio mondiale svolge la propria benefica tensione: “La Chiesa deve sempre nuovamente divenire ciò che essa già è: deve aprire le frontiere fra i popoli e infrangere le barriere fra le classi e le razze … Noi, continuamente, chiudiamo le nostre porte; continuamente, vogliamo metterci al sicuro e non essere disturbati dagli altri e da Dio. Perciò possiamo continuamente supplicare il Signore soltanto per questo, perché egli venga a noi superando le nostre chiusure e ci porti il suo saluto” (Omelia di Sua Santità Benedetto XVI, Basilica di San Pietro, Domenica di Pentecoste, 15 maggio 2005). 169 “Nell'escludere la sindacabilità dei regolamenti in quanto atti di un altro ordinamento, che possiede propri strumenti di controllo giurisdizionale e politico, la Corte si è posta anche il problema di una loro eventuale violazione di principi fondamentali del diritto italiano o di diritti inalienabili delle persone: in tal caso verrebbero meno i presupposti indicati dall'art.11 Cost. per legittimare l'adesione italiana alla CEE e di conseguenza la Corte potrebbe sindacare la legge di esecuzione del Trattato stesso. Tale ipotesi è stata considerata peraltro sommamente improbabile, stanti le limitate competenze normative attribuite alle Comunità , ma è interessante rilevare che, adita su una questione simile, la Corte Costituzionale tedesca, che pure poteva fondarsi su un art.24 di contenuto analogo al nostro art.11, ha dato una soluzione opposta, accettando bensì la natura di norma eterooma dei regolamenti, ma considerandosi competente a sindacarne la compatibilità con i diritti fondamentali e a ritenerli inapplicabili sul territorio germanico, sintanto che le garanzie in materia di democraticità e di tutela dell'individuo offerte dall'ordinamento comunitario non siano equiparabili a quelle dettate dalla legge fondamentale (sentenza del 29.5.74). Questa attenzione della Corte Costituzionale per la tutela dei diritti del cittadino tedesco - considerati intangibili anche da parte di

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fondamentali della Costituzione italiana? In particolare, come la Corte valuterebbe il

mancato riconoscimento, da parte degli organi comunitari, dell’applicabilità diretta della

normativa WTO, rispetto ai principi fondamentali di pace e giustizia fra le Nazioni,

enunciati all’art. 11 dell’ordinamento costituzionale italiano?

Si tratterebbe, ricordiamolo, di null’altro che dell’esercizio di quella funzione di

vigilanza, che la Corte Costituzionale italiana si era espressamente riservata nel 1973,

quando accordò e perimetrò un mandato alla Comunità Economica Europea.

“E’ appena il caso di aggiungere che in base all’art. 11 della Costituzione sono state

consentite limitazioni di sovranità unicamente per il conseguimento delle finalità ivi

indicate; e deve quindi escludersi che siffatte limitazioni, concretamente puntualizzate nel

Trattato di Roma – sottoscritta da Paesi i cui ordinamenti si ispirano ai principi dello Stato

di diritto e garantiscono le libertà essenziali dei cittadini -, possano comunque comportare

per gli organi della CEE un inammissibile potere di violare i principi fondamentali

del nostro ordinamento costituzionale, o i diritti inalienabili della persona umana. Ed è

ovvio che qualora dovesse mai darsi all’art. 189 una sì aberrante interpretazione, in tale

ipotesi sarebbe sempre assicurata la garanzia del sindacato giurisdizionale di

questa Corte sulla perdurante compatibilità del Trattato con i predetti principi

fondamentali …” (l’enfasi è di scrive). (Sentenza 183 del 1973).

Chiamata ad un tale compito, la Corte Costituzionale certamente non potrebbe ignorare

le novità insite negli Accordi finali dell'Uruguay Round, approvati nel 1994.

“Se, come alcuni ipotizzano, la competizione economica e commerciale sostituirà in

norme comunitarie, se pure a prezzo di una ricostruzione dei rapporti tra ordinamenti meno elegante e formalmente inattaccabile di quella adottata dalla Corte italiana - così come i frequenti rinvii in via pregiudiziale da parte di giudici di merito che chiedevano alla Corte di Giustizia di pronunciarsi in ordine all'invalidità di atti comunitari di cui si asseriva la violazione di diritti tutelati in Germania, hanno avuto l'effetto di influenzare profondamente la Corte di Giustizia CEE, inducendola ad adottare una giurisprudenza in materia di diritti dell'uomo più aperta e garantista di quanto affermato quasi a titolo eccezionale in un primo tempo , e ad affermare l'illegittimità ‘di provvedimenti incompatibili con i diritti fondamentali riconosciuti dalle costituzioni’ degli Stati membri e con i trattati sui diritti dell'uomo da questi ratificati . E' questo un valido esempio di quella collaborazione e interazione reciproca tra ordinamenti comunitario e interni, e soprattutto tra i rispettivi apparati giurisdizionali, cui si faceva sopra cenno e al quale non sempre l'Italia ha saputo dare un apporto significativo” (Claudia Morviducci, “Costituzione italiana e istituzioni europee”, Seminario sul tema “Costituzione e Repubblica” - aprile/ottobre 1997).

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importanza e in potenzialità di conflitti quella politico-militare tradizionale e l’OMC quindi

fosse destinata a diventare l’ONU del XXI secolo …”170.

“… il risultato fondamentale dell’Uruguay Round, sotto il profilo giuridico, fu quello di

trasformare il GATT in un trattato internazionale debitamente negoziato e sottoscritto, in

accordo con gli standards della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati, e di

tramutare in tal modo l’accordo GATT in un’Organizzazione Internazionale, con

un’appropriata struttura costituzionale, avente una propria personalità, una capacità

decisionale ed un genuino sistema di risoluzione delle controversie”171.

La più importante di queste novità - si riconosce pressoché unanimemente - consiste

non tanto nella pur storica istituzione dell'Organizzazione Mondiale del Commercio

“A cinquant'anni dal tentativo fallito con il progetto della Carta dell'Avana per

l'istituzione dell'ITO, è stato così completato e sviluppato in sintonia con i tempi il vecchio

disegno di organizzazione ...”172.

“The World Trade Organization officially was established on January 1, 1995, as the

successor to GATT and as the legal and institutional foundation of the international trading

system”173

quanto nel potenziamento di una sua dimensione, quella giudiziaria, nella quale può

identificarsi l'introduzione di una funzione impersonale di sopranazionalità, che trae dal

170 Sacerdoti G., “Profili istituzionali della WTO e principi base degli Accordi di settore”, in “Diritto e Organizzazione del commercio internazionale dopo la creazione della Organizzazione Mondiale del Commercio” (Società Italiana di Diritto Internazionale, II Convegno, Milano, 5-7 giugno 1997) (Editoriale Scientifica). 171 Pierre Pescatore, “Opinion 1/94 on ‘Conclusion’ of the WTO Agreement: Is there an Escape from a Programmed Disaster?”, Common Market Law Review 36, 1999 Kluwer Law International: “… the fundamental result of the Uruguay Round, legally speaking, was to transform the General Agreement into an international treaty duly negotiated and put into force, according to the standards of the Vienna Convention on Treaty Law, and to transmute by this the General Agreement into an international organization, with an appropriate constitutional structure, having its own personality, a decisional capacity and a system of genuine dispute settlement” (la traduzione è di chi scrive). 172 P. Picone, A. Ligustro, cit.

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diritto la propria legittimazione ed il proprio fine, e che sa fondere commercio ed equità

attraverso l’istanza della giurisdizione.

“L'Intesa sulle norme e sulle procedure che disciplinano la risoluzione delle

controversie, inclusa nell'Allegato 2 all'Accordo OMC, costituisce una delle più importanti

innovazioni apportate al termine dell'Uruguay Round [1994] all'ordinamento del

commercio internazionale.

La principale funzione dell'OMC consiste nel garantire il funzionamento della procedura

contenziosa prevista dall'Intesa. Se su un piano strettamente istituzionale il maggior

risultato ottenuto al termine dell'Uruguay Round consiste nell'istituzione di una nuova

organizzazione competente nel settore delle relazioni commerciali internazionali, su un

piano procedurale l'innovazione più importante concerne la revisione del meccanismo di

soluzione delle controversie applicato nei rapporti tra le parti contraenti del GATT 1947.

Uno dei principali elementi di novità contenuti nell'Intesa è dato dalla disciplina del

processo decisionale in seno all'Organo di soluzione delle controversie. L'art. 2, paragrafo

4 prescrive che il DSB, ogniqualvolta sia chiamato ad adottare una decisione, è tenuto a

seguire la procedura del consensus. Tuttavia, in tre circostanze particolari viene posta una

deroga a tale regola di carattere generale. Una di queste concerne, per l'appunto, l'avvio

della procedura del Panel: in base all'art. 6, paragrafo 1 la costituzione del gruppo di

esperti viene approvata dal DSB al più tardi nel corso della riunione successiva a quella in

cui la relativa richiesta è stata inclusa per la prima volta nell'ordine del giorno, a meno che

l'organo stesso non decida per consensus in senso contrario ... Si è in tal modo invertita la

prassi precedentemente applicata in seno al GATT, la quale di fatto conferiva alla parte

contro cui il reclamo era presentato un vero e proprio diritto di veto. Nel sistema attuale

sussiste piuttosto un diritto al Panel a beneficio del membro che ricorre al meccanismo

contenzioso, e ciò sulla base dell'automaticità con cui la decisione di costituzione è

adottata”174.

173 Palmeter D., Mavroidis P. C., cit. 174 G. Adinolfi, L'Organizzazione Mondiale del Commercio, Cedam, 2001.

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Nella medesima prospettiva, va altresì opportunamente rimarcato il fatto che “con

l’istituzione di un Organo di Appello, il sistema giuridico dell’Organizzazione Mondiale del

Commercio ha acquisito un’importante caratteristica propria di tutti i sistemi giuridici

maturi: la separazione del potere giudiziario dagli altri organi di governance (o, in questo

caso, dell’organizzazione)”175.

Il sistema GATT è stato dunque trasformato nella sua essenza dagli elementi di novità

introdotti alla fine dell'Uruguay Round. Elementi la cui altissima portata può peraltro

evincersi, a contrario, anche dalla pertinente giurisprudenza della Corte Costituzionale

italiana antecedente al 1994, in cui di tali elementi si lamentava l’assenza.

In particolare, la Corte Costituzionale era stata invitata a pronunciarsi sulla questione

dell'effetto diretto delle norme GATT in Italia, ritenendo alcuni Tribunali ("giudice a quo")

che esso (l'effetto diretto) potesse e dovesse considerarsi operante, in forza dell'art. 11

Costituzione, in quanto - si sosteneva - gli ideali costituzionale di pace e giustizia fra le

Nazioni avevano con le norme GATT il medesimo rapporto precedentemente riconosciuto

alle norme CEE.

Si estrae testualmente dalla sentenza della Corte Costituzionale italiana n. 96 del 1982,

nella quale le parti attrici chiedevano l’applicabilità diretta delle norme GATT:

“Ritenuto in fatto:

… Si osserva, poi, che con sentenza 183/73 questa Corte ha posto taluni fondamentali

principi. Le limitazioni di sovranità - e così di tutte le tradizionali funzioni dello Stato:

legislativa, esecutiva, giurisdizionale - opererebbero in forza dell'art. 11 Cost., anche con il

mezzo della legge ordinaria, che serve ad autorizzare la ratifica del Trattato e rendere

interamente efficaci le norme in esso poste ... Da ciò segue, continua la difesa di parte

privata, che le norme prodotte dagli organi sovranazionali hanno diretta efficacia in Italia,

senza peraltro sottostare al regime costituzionale dettato per le leggi nazionali,

segnatamente negli artt. 23, 75, 81 e 134 del testo fondamentale.

... Dalla suddetta pronunzia della Corte deriverebbe altresì, che la limitazione della

sovranità statuale, ex art. 11 Cost., può valere, a maggior ragione, per il contenuto delle

175 Palmeter D., Mavroidis P. C., cit. [la traduzione è di chi scrive].

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singole leggi, nel senso che le manifestazioni di volontà del legislatore statuale devono

cedere di fronte alle statuizioni incompatibili di alcun Trattato, coperto dal disposto

costituzionale in esame. Precisamente, si assume che il sistema del GATT sia analogo a

quello dell'ordinamento delle Comunità Europee, sebbene abbia finalità e strutture più

ridotte di quelle comunitarie. Si tratterebbe pur sempre di una organizzazione investita di

proprie competenze, che si pone come autonoma rispetto agli Stati membri”.

Interessanti, in ottica non solo retrospettiva, le ragioni addotte in quella circostanza

(caso n. 96 del 1982) dall'Avvocatura di Stato, in difesa della Presidenza del Consiglio, per

negare la legittimazione delle norme GATT ex art. 11 Cost.

“Del pari, ad avviso dell'Avvocatura, resta esclusa la prospettata lesione dell'art. 11

Cost.. A quest'altra statuizione costituzionale l'Avvocatura annette il significato d'una

norma, che consente, tutt'al più, limitazioni della sovranità statuale, ma dalla quale non

discende automaticamente la prevalenza delle norme contenute nel Trattato rispetto alle

confliggenti norme interne. In riferimento al parametro ora considerato, la subordinazione

della legge al Trattato si prospetterebbe solamente là dove la limitazione della sovranità

nazionale statuale si connette, in conformità della previsione costituzionale, con

l'instaurazione di tali enti analoghi alla CEE ed il perseguimento dei fini ad essi

istituzionalmente devoluti. Il GATT, semplice accordo tariffario e commerciale,

rimarrebbe tuttavia fuori da questa prospettiva, essendo d'altra parte rimasto inattuato

l'originario disegno di un'International Trade Organization, diretto a superare gli

schemi protezionistici su base sopranazionale” (Premessa. Sentenza 96/82 della Corte

cost.). [l’enfasi è di chi scrive]”.

“Di fronte ad un tale orientamento giurisprudenziale il Tribunale di Milano ritiene di

dover prospettare alla Corte la seguente questione di costituzionalità: … Con ciò, sarebbe

violato anche l'art. 11 della Costituzione, sull'assunto che il GATT possa assimilarsi

all'accordo istitutivo delle Comunità Europee e godere di analoga copertura costituzionale”

(Premessa. Sentenza 96/82 della Corte cost.).

“In prossimità dell'udienza, la difesa delle Società Castoldi ed altre produce una

memoria aggiuntiva. Ivi si osserva che l'unico rimedio nei confronti dell'errore del

legislatore o dell'eccesso di potere legislativo - dove non si abbia alcun intervento

correttivo da parte dello stesso organo legiferante - è offerto dal sindacato di

costituzionalità. La presente questione, del resto, si atteggerebbe sostanzialmente negli

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stessi termini di quella concernente i cosiddetti diritti di visita sanitaria, decisa dalla Corte

con la sentenza n. 163 del 1977. La norma nazionale istitutiva di tale diritto, allora

censurata, per asserita violazione dell'art. 11 Cost., in quanto incompatibile con il divieto

del dazio doganale sancito nella normativa CEE, è stata a tal titolo dichiarata

incostituzionale dalla Corte” (Premessa. Sentenza 96/82 della Corte Cost.).

“Ad avviso del Tribunale di Milano, il trattamento fiscale così configurato discrimina

ingiustificatamente il prodotto importato da quello interno. Di qui la presente questione,

così proposta all'attenzione della Corte: … Con ciò si deduce che l'una e l'altra delle

disposizioni in esame sono costituzionalmente illegittime, o per immediato contrasto con

l'art. 11 della Costituzione, in relazione alle norme che hanno autorizzato la ratifica del

GATT e lo hanno reso internamente efficace, e sull'assunto che detto Accordo vada,

quanto ai rapporti con le fonti interne, assimilato al Trattato istitutivo della CEE”

(Premessa. Sentenza Corte Cost. 96/82).

Nel giudicare sulla questione, la Corte Costituzionale italiana non si spinse nel 1982 ad

accogliere o negare, in radice e in generale, l'applicabilità diretta del sistema di norme

GATT, ma ritenne che una posizione dovesse essere subordinata alle valutazioni da

compiersi in ragione della natura delle singole norme e quindi della loro effettiva chiarezza

e precisione.

“La documentazione fatta pervenire dal Ministero degli Affari Esteri in ottemperanza a

detto provvedimento dimostra che in seno al GATT sussiste divergenza di vedute sul modo

come, nell'ordinamento interno di ciascun contraente, deve operare il divieto di peggiorare

il trattamento tributario del prodotto importato rispetto a quello del similare prodotto

nazionale: al punto che, nelle sedi competenti, non si è inteso, né potuto, adottare alcuna

statuizione interpretativa dell'Accordo, in forza della quale la tesi della parità delle singole

aliquote del tributo possa, come si vorrebbe dalle parti private, ritenersi preferita a quella

del carico complessivo fiscale sui prodotti in considerazione. (Cfr. il citato Analytical Index,

sub art. III, 2, alla voce 5 (c), che fa specifico riferimento alle tasse interne incidenti su

più stadi del ciclo di produzione: 3 s/210211 para. 10)” (sent. Corte cost. 96/82).

La Corte Costituzionale, già nel 1982, mostrava comunque di riconoscere una chiara

analogia di missione tra l'ordinamento CEE e l'ordinamento GATT.

“Il criterio del complessivo carico fiscale, opera già, nel nostro ordinamento, con

riguardo alla clausola di parità tributaria del Trattato di Roma (art. 95), la quale è fuor di

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dubbio analoga a quella in esame, dal momento che la CEE promuove e tutela - non

diversamente dal GATT: anzi, con tutte le istituzionali risorse di un ente sovranazionale -

la libertà di scambio e commercio dei rapporti fra gli Stati membri”.

Nel caso in esame, la Corte negò la sussistenza di un rapporto diretto tra l'art. 11 Cost.

e le specifiche norme GATT richiamate: ciò accadeva, si badi, nel 1982, ben prima delle

novità che sarebbero state introdotte con l’Uruguay Round nonché degli straordinari

avanzamenti che la giurisprudenza WTO avrebbe poi concretamente assicurato

all’ampiezza ed alla forza del sistema.

Un nuovo caso, relativo al rapporto tra le norme GATT e l’art. 11 della Costituzione,

veniva sottoposto alla Corte Costituzionale italiana nel 1985.

Si estrae dal testo della sentenza della Corte Cost. n. 219 del 1985: “Secondo il giudice

a quo la pretesa violazione dell'art. III del Trattato GATT determinerebbe il contrasto con

l'art. 11 Cost., secondo un ordine di idee parallelo a quello espresso da questa Corte con

riguardo al Trattato della CEE”.

Rispetto alla posizione dell’Avvocatura

L'art. III del Trattato GATT non può ritenersi una norma self-executing, e come tale

idonea ad inserirsi nell'ordinamento, ma va considerata solo espressione di un impegno da

perseguire attraverso la normativa interna.

e a quella del Giudice a quo

… L'asserita infrazione all'art. III del GATT implicherebbe l'illegittimità costituzionale

della norma istitutiva dell'imposta di conguaglio, per contrasto con l'art. 11 Cost.. Tale

disposto del testo fondamentale, ritiene il giudice a quo, garantisce l'osservanza del GATT

da parte del legislatore, non diversamente da come, secondo la giurisprudenza della Corte

richiamata dall'ordinanza di rinvio (cfr. sent. n. 183/73), accade per il Trattato di Roma,

riguardante l'istituzione della CEE

così concluse la Corte, ancora una volta ancorando la propria pronuncia ad un certo

modo di essere, in un certo tempo (1985), del sistema GATT:

5.1 - Dalla sentenza n. 96/82 discende, anzitutto, che la questione proposta in

relazione all'art. 11 Cost. non è fondata. A tacer d'altro, la legge di esecuzione del GATT

non deve, né può essere assimilata, sul piano delle fonti interne, a quella emanata per

conferire efficacia interna al Trattato di Roma: la quale ultima, in conformità ed

adempimento di tale precetto costituzionale, ha autorizzato la limitazione dei poteri

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sovrani dello Stato e il relativo trasferimento ad un ente del tipo sovrannazionale, come

esigeva l'ingresso dell'Italia nell'ordinamento del Mercato Comune. Il GATT, per

parte sua, è solo un accordo tariffario e commerciale. (l’enfasi è di chi scrive).

Rispetto agli argomenti della Corte Costituzionale, diventa opportuno qui nuovamente

ricordare che, a partire dal 15 aprile 1994, il sistema GATT si è trasformato in un sistema,

amministrato da un’Organizzazione ad hoc (Organizzazione Mondiale del Commercio),

basato sui seguenti accordi:

1. Accordo generale sulle tariffe e il commercio (cd. Accordo GATT) 1994;

2. Accordo sull’Agricoltura;

3. Accordo sull’applicazione delle misure sanitarie e fitosanitarie;

4. Accordo sui tessili e l’abbigliamento;

5. Accordo sulle barriere tecniche agli scambi;

6. Accordo sulle misure relative agli investimenti che incidono sugli scambi

commerciali;

7. Accordo sull’applicazione dell’art. VI dell’Accordo GATT 1994 (cd. Accordo

Antidumping);

8. Accordo relativo all’applicazione dell’art. VII dell’Accordo GATT 1994 (cd. Accordo

per la

valutazione delle merci in dogana);

9. Accordo sulle ispezioni pre-imbarco;

10. Accordo sulle regole d’origine;

11. Accordo relativo alle procedure in materia di licenze d’importazione;

12. Accordo sulle sovvenzioni e sulle misure compensative;

13. Accordo sulle misure di salvaguardia;

14. Accordo generale sugli scambi di servizi;

15. Accordo sugli aspetti di dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio;

16. Intesa sulle norme e sulle procedure che disciplinano la risoluzione delle

controversie;

17. Meccanismo di esame delle politiche commerciali;

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18. 4 Accordi commerciali plurilaterali.

Se si tiene inoltre conto che alcune delle più delicate controversie (US-Gasoline, US-

Shrimp, EC-Asbestos), sorte nel primo decennio di vita dell’Organizzazione Mondiale del

Commercio, hanno riguardato l’art. XX GATT, nel quale si prescrive che il modo in cui le

regolazioni nazionali proteggono diversi interessi pubblici fondamentali - quali, ad

esempio, la morale pubblica, il patrimonio artistico, storico o archeologico, la

conservazione delle risorse naturali esauribili - non devono comunque configurare

discriminazioni arbitrarie o ingiustificate, può forse risultare più agevole comprendere

attraverso quali dinamiche le regole coperte dall’Organizzazione Mondiale del Commercio

tendano ormai inarrestabilmente ad espandersi a tutti i settori che sono oggetto di scambi

commerciali176.

“Una teoria che renderebbe assai più incisivo e plausibile il riconoscimento dei diritti del

singolo operatore economico è senza dubbio quella dell’effetto diretto delle norme WTO …

Ciò nonostante, in altri paesi, ad esempio in Argentina, viene riconosciuto l’effetto diretto

delle norme WTO: in tale paese, quindi, i giudici nazionali possono pronunciarsi

sull’eventuale incompatibilità di atti interni con le norme dell’ordinamento mondiale del

commercio, che costituiscono il parametro della loro legittimità … La Corte di Giustizia …

ha affermato più volte la sua contrarietà a riconoscere effetto diretto alle norme Gatt …

Tale posizione è stata criticata da parte di vari studiosi (..) poiché riduce le potenzialità

applicative del sistema WTO, offre minor tutela ai privati, ed infine non è, allo stato delle

cose, giustificabile sulla base della flessibilità dell’accordo Gatt, ormai chiaramente

improntato ad un legalistic approach… Indiscutibilmente i singoli godrebbero di tutela più

adeguata ed effettiva in caso di riconoscimento dell’effetto diretto delle norme WTO (…).

Dato il deciso rifiuto di tale soluzione da parte della Corte di Giustizia delle Comunità

Europee, alcuni autorevoli studiosi hanno cercato una via alternativa e posto la questione

in termini di effettiva tutela dei singoli e dei loro diritti fondamentali (..)”.177

Anche se gli occhi di molti sembrano non essere pronti a vederlo, a noi sembra chiaro

176 Si è già detto di altre regole di analogo tenore contenute negli Accordi WTO (ad es. l’Accordo sulle barriere tecniche al commercio - art. 2.2 - tratta della legittimità delle modalità di tutela degli obiettivi di sicurezza nazionale, salute, protezione della vita umana, animale e vegetale; interessante anche l’art. X:3 b GATT, in cui si pongono regole inerenti il funzionamento dei sistemi giudiziari nazionali).

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che il 15 aprile 1994 a Marrakesh ha preso luce il sistema istituzionale capace di

promuovere una tensione universale178 verso l’unità, nel commercio, nel diritto, nella pace

e nella giustizia. Quel giorno, la parabola auspicata da Meuccio Ruini poteva dirsi

completata.

“The GATT 1994 is a constitutional agreement like the EC Treaty” 179 180.

“Quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla” (Lao

Tze).

177 C. Marcolungo, cit. 178 Al 31 maggio 2005, i Membri WTO sono 148 e per molti altri importanti Paesi - tra cui Afghanistan, Algeria, Andorra, Azerbaijan, Bahamas, Bielorussia, Etiopia, Iran, Iraq, Libano, Libia, Russia, Arabia Saudita, Serbia, Sudan, Vietnam – il processo negoziale per l’accesso all’Organizzazione Mondiale del Commercio è in corso. 179 Judson Osterhoudt Berkey, cit. 180 “The true problem: transition from GATT to the new WTO constitution”, P. Pescatore, cit.

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Allegato 1: Lista dei membri dell’OMC Albania: 8 settembre 2000 Angola: 23 novembre 1996 Antigua e Barbuda: 1° gennaio 1995 Antille olandesi: 1° gennaio 1995 Argentina: 1° gennaio 1995 Armenia: 5 febbraio 2003 Australia: 1° gennaio 1995 Austria: 1° gennaio 1995 Bahrein, Regno del: 1° gennaio 1995 Bangladesh: 1° gennaio 1995 Barbados: 1° gennaio 1995 Belgio: 1° gennaio 1995 Belize: 1° gennaio 1995 Benin: 22 febbraio 1996 Bolivia: 12 settembre 1995 Botswana: 31 maggio 1995 Brasile: 1° gennaio 1995 Brunei: 1° gennaio 1995 Bulgaria: 1° dicembre 1996 Burkina Faso: 3 giugno 1995 Burundi: 23 luglio 1995 Cambogia: 13 ottobre 2004 Camerun: 13 dicembre 1995 Canada: 1° gennaio 1995 Ciad: 19 ottobre 1996 Cile: 1° gennaio 1995 Cina: 11 dicembre 2001 Cipro: 30 luglio 1995 Colombia: 30 aprile 1995 Congo: 27 marzo 1997 Corea del Sud: 1° gennaio 1995 Costa d’Avorio: 1° gennaio 1995 Costa Rica: 1° gennaio 1995 Croazia: 30 novembre 2000 Cuba: 20 aprile 1995 Danimarca: 1° gennaio 1995 Dominica: 1° gennaio 1995 Ecuador: 21 gennaio 1996 Egitto: 30 giugno 1995 El Salvador: 7 maggio 1995 Emirati Arabi Uniti: 10 aprile 1996 Estonia: 13 novembre 1999 Ex Repubblica jugoslava di Macedonia (FYROM): 4 aprile 2003 Fiji: 14 gennaio 1996 Filippine: 1° gennaio 1995 Finlandia: 1° gennaio 1995 Francia: 1° gennaio 1995

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Gabon: 1° gennaio 1995 Gambia: 23 ottobre 1996 Georgia: 14 giugno 2000 Germania: 1° gennaio 1995 Ghana: 1° gennaio 1995 Giamaica: 9 marzo 1995 Giappone: 1° gennaio 1995 Gibuti: 31 maggio 1995 Giordania: 11 aprile 2000 Grecia: 1° gennaio 1995 Grenada: 22 febbraio 1996 Guatemala: 21 luglio 1996 Guinea Bissau: 31 maggio 1995 Guinea: 25 ottobre 1995 Guyana: 1° gennaio 1995 Haiti: 30 gennaio 1996 Honduras: 1° gennaio 1995 Hong Kong: 1° gennaio 1995 India: 1° gennaio 1995 Indonesia: 1° gennaio 1995 Irlanda: 1° gennaio 1995 Islanda: 1° gennaio 1995 Isole Salomone: 26 luglio 1996 Israele: 21 aprile 1995 Italia: 1° gennaio 1995 Kenya: 1° gennaio 1995 Kuwait: 1° gennaio 1995 Kyrgyzstan: 20 dicembre 1998 Lesotho: 31 maggio 1995 Lettonia: 10 febbraio 1999 Liechtenstein: 1 settembre 1995 Lituania: 31 maggio 2001 Lussemburgo: 1° gennaio 1995 Macao: 1° gennaio 1995 Madagascar: 17 novembre 1995 Malawi: 31 maggio 1995 Maldive: 31 maggio 1995 Malaysia: 1° gennaio 1995 Mali: 31 maggio 1995 Malta: 1° gennaio 1995 Marocco: 1° gennaio 1995 Mauritania: 31 maggio 1995 Mauritius: 1° gennaio 1995 Messico: 1° gennaio 1995 Moldova: 26 luglio 2001 Mongolia: 29 gennaio 1997 Mozambico: 26 agosto 1995 Myanmar: 1° gennaio 1995 Namibia: 1° gennaio 1995 Nepal: 23 aprile 2004 Nicaragua: 3 settembre 1995 Niger: 13 dicembre 1996

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Nigeria: 1° gennaio 1995 Norvegia: 1° gennaio 1995 Nuova Zelanda: 1° gennaio 1995 Olanda: 1° gennaio 1995 Oman: 9 novembre 2000 Pakistan: 1° gennaio 1995 Panama: 6 settembre 1997 Papua Nuova Guinea: 9 giugno 1996 Paraguay: 1° gennaio 1995 Perù: 1° gennaio 1995 Polonia: 1° gennaio 1995 Portogallo: 1° gennaio 1995 Qatar: 13 gennaio 1996 Regno Unito: 1° gennaio 1995 Repubblica Ceca: 1° gennaio 1995 Repubblica Centroafricana: 31 maggio 1995 Repubblica Democratica del Congo: 1° gennaio 1997: Repubblica Dominicana: 9 marzo 1995 Repubblica Slovacca: 1° gennaio 1995 Romania: 1° gennaio 1995 Ruanda: 22 maggio 1996 Saint Kitts and Nevis: 21 febbraio 1996 Saint Vincent and the Grenadines: 1° gennaio 1995 Santa Lucia: 1° gennaio 1995 Senegal: 1° gennaio 1995 Sierra Leone: 23 luglio 1995 Singapore: 1° gennaio 1995 Slovenia: 30 luglio 1995 Spagna: 1° gennaio 1995 Sri Lanka: 1° gennaio 1995 Stati Uniti d’America: 1° gennaio 1995 Sudafrica: 1° gennaio 1995 Suriname: 1° gennaio 1995 Svezia: 1° gennaio 1995 Svizzera: 1° gennaio 1995 Swaziland: 1° gennaio 1995 Thailandia: 1° gennaio 1995 Taipei, Cina: 1° gennaio 2002 Tanzania: 1° gennaio 1995 Togo: 31 maggio 1995 Trinidad e Tobago: 1° marzo 1995 Tunisia: 29 marzo 1995 Turchia: 26 marzo 1995 Uganda: 1° gennaio 1995 Ungheria: 1° gennaio 1995 Unione europea: 1° gennaio 1995 Uruguay: 1° gennaio 1995 Venezuela: 1° gennaio 1995 Zambia: 1° gennaio 1995 Zimbabwe: 5 marzo 1995

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Osservatori: Afganistan Algeria Andorra Arabia Saudita Azerbaigian Bahamas Bielorussia Bhutan Bosnia Erzegovina Capo Verde Etiopia Federazione Russa Guinea Equatoriale Iraq Kazakistan Laos Libano Libia Samoa Santa Sede Sao Tomé e Principe Serbia e Montenegro Seychelles Sudan Tagikistan Tonga Ucraina Uzbekistan Vanuatu Vietnam Yemen

Paesi meno sviluppati: Afganistan Bangladesh Benin Butan Burkina Faso Burundi Cambogia Capo Verde Ciad Comores Gambia Gibuti Guinea Guinea Bissau Guinea equatoriale Eritrea Etiopia Haiti Kiribati Isole Salomone Laos Lesotho Liberia Madagascar Malawi Maldive Mali Mauritania Mozambico Myanmar Nepal Niger Repubblica centroafricana Repubblica democratica del Congo Ruanda Samoa Sao Tomé & Principe Senegal Sierra Leone Somalia Sudan Togo Tuvalu Tanzania Uganda Vanuatu Yemen Zambia

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Allegato 2: Struttura organizzativa dell’OMC

Conferenza ministeriale

Consiglio generale Consiglio generale incaricato della soluzione delle controversie

Consiglio generale incaricato dell’esame delle politiche commerciali

Consiglio TRIPSConsiglio commercio beni

Comitati specifici Comitati accordi plurilaterali

Consiglio commercio servizi

Commercio e ambiente

Commercio e sviluppo

Accordi regionali

Restrizioni bilancia pagamenti

Bilancio e amministrazione

Gruppi di lavoro accessioni

Gruppi di lavoro commercio e investimenti

Gruppi di lavoro commercio e concorrenza

Gruppi di lavoro trasparenza degli appalti pubblici

Comitato tessile

Gruppo di lavoro imprese a commercio di stato

Gruppo di lavoro ispezione prima dell’imbarco

Comitati relativi a:

Tariffe

Agricoltura

Sovvenzioni e contromisure

Barriere tecniche

Misure sanitarie

Antidumping

Valutazione doganale

Regole di origine

Licenze di importazione

TRIMS

Misure di salvaguardia

Comitato impegni specifici

Comitato servizi finanziari

Gruppo di lavoro servizi professionali

Gruppo di lavoro regole GATTS

Accordo aviazione civile

Accordo appalti pubblici

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Allegato 3: Elenco dei Direttori Generali dell’OMC

1999 – 2002: Mike Moore (USA)

1995 – 1999: Renato Ruggiero (Italia)

1993 – 1995: Peter Sutherland (Irlanda)

1980 – 1993: Arthur Dunkel (Svizzera)

1968 – 1980: Olivier Long (Svizzera)

1948 – 1968: Eric Wyndham-White (Regno Unito)

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Allegato 4: Documenti dell’Atto Finale dell’Uruguay Round

Agreement Establishing the WTO

General Agreement on Tariffs and Trade 1994

Uruguay Round Protocol GATT 1994

Agreement on Agriculture

Agreement on Sanitary and Phytosanitary Measures

Decision on Measures Concerning the Possible Negative Effects of the Reform Programme on Least-Developed and Net Food-Importing Developing Countries

Agreement on Textiles and Clothing

Agreement on Technical Barriers to Trade

Agreement non Trade-Related Investment Measures

Agreement on Implementation of Article VI (Anti-dumping)

Agreement on Implementation of Article VII (Customs Valuation)

Agreement on Preshipment Inspection

Agreement on Rules of Origin

Agreement on Import Licensing Procedures

Agreement on Subsidies and Countervailing Measures

Agreement on Safeguards

General Agreement on Trade in Services

Agreement on Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights, Including Trade in Counterfeit Goods

Understanding on Rules and Procedures Governing the Settlement of Disputes

Decision of Achieving Greater Coherence in Global Economic Policy-Making

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Allegato 5: “The Dispute Settlement Procedure”

ADOPTED BY DSB within 30 days

NOT ADOPTED BY DSB by consensus

must be unconditionally accepted and complied with by the parties SURVEILLANCE PROCEDURE

COMPENSATION under certain circumstances and

conditions

SUSPENSION OF CONCESSIONS

if authorised by DSB

NORMAL CONSEQUENCE: WITHDRAWAL OF THE

MEASURE

FINAL PANEL REPORT to the DSB

ADOPTED BY DSB within 60 days

unless NOT ADOPTED

APPEALED BY ONE OF THE PARTIES unless

NOT ADOPTED

matter goes to STANDING APPELLATE BODY

(7 members of which 3 serve on any one

APPELLATE BODY within 60 (max 90) days

may uphold modify or reverse Panel

Consultations fails Panel requested

Panel Proceedings

DRAFT REPORT sent to parties

Comments of the parties in writing

INTERIM REPORT last chance to request a further meeting or to submit comments

Panel finds that mutually satisfactory agreement has been

reached: informs the DSB