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Produzione di generazione Tommaso Cortigiani Matteo Fattoracci Davide Federici Bernardo Gianelli Indice Introduzione…………… Cenni storici……………… Caratterizzazione e po Coltivazione microalg Tecniche di raccoltaConversione in Biogas Bonifica delle acque r Impianti esistenti……… Conclusioni……………… Appendice A– Fluido Appendice B – Analisi Bibliografia……………… biogas da biomassa ……………………………………………………………… ……………………………………………………….…… otenzialità……………………..…………………ghe……………………………………………………… ………………………………………………………….s…………………………………..……………………reflue……………..….……………………………… …………………………………………………………… ……………………………………………………………. odinamica HRAP…………………..……….…… i economica………………………………………… ………………….……………………………………..1 a di terza …………..…...…2 ………………..…2 …….……………..3 ….……..……...5 …………………....9 ….…………..…14 ………..………....15 ………………..…15 ..……………….19 …..…...……......20 ……..…….…….21 ………..………....23

Produzione di biogas da biomassa di terza generazione - documento

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Produzione di biogas da biomassa di terza generazione

Tommaso Cortigiani

Matteo Fattoracci

Davide Federici

Bernardo Gianelli

Indice

• Introduzione…………………………………………………………………………………..

• Cenni storici…………………………………

• Caratterizzazione e potenzialità

• Coltivazione microalghe

• Tecniche di raccolta………………………………………………

• Conversione in Biogas

• Bonifica delle acque reflue

• Impianti esistenti…………………………………

• Conclusioni………………………………………………

• Appendice A– Fluidodinamica HRAP

• Appendice B – Analisi economica

• Bibliografia……………………………….

Produzione di biogas da biomassa di terza

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Caratterizzazione e potenzialità……………………..………………………

Coltivazione microalghe………………………………………………………

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Conversione in Biogas…………………………………..……………………….

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Fluidodinamica HRAP…………………..……….……..

Analisi economica……………………………………………..

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Introduzione Lo sfruttamento della biomassa vegetale con sistemi di conversione avanzati è una tecnica di produzione di combustibile ben consolidata e in continua espansione. I primi vegetali che sono stati utilizzati al fine di produrre combustibile, ovvero la biomassa di prima generazione (mais, canna da zucchero, girasole, colza etc), hanno il grave problema di essere in forte competizione con l’industria alimentare. In questo modo si ottiene un doppio svantaggio: l’occupazione di un terreno altrimenti utilizzabile dall’agricoltura e l’aumento del prezzo degli alimenti. Per tali motivi si preferisce di solito utilizzare biomassa di seconda generazione, ovvero tutto ciò che non è in competizione con l’industria alimentare ( pioppo, olio di palma, residui di coltivazione etc). Anche la seconda generazione tuttavia, se si escludono i residui di lavorazione che sono in effetti del tutto ecosostenibili, presenta alcuni svantaggi: l’occupazione di una quota di terreno e la necessità di acqua dolce per la coltivazione. Si parla di terza generazione in riferimento alla biomassa acquatica, ovvero alghe e batteri che potenzialmente riescono a superare anche i limiti della seconda generazione e, in uno scenario futuribile, potrebbero anche dare un apporto energetico complessivo più alto viste le grandi potenzialità che in questo testo sono in parte presentate.

Il campo della biomassa di terza generazione è molto ampio e questo documento, dopo a una breve revisione generale, si focalizza sulla possibilità di produrre biogas da microalghe descrivendone le tecnologie, i limiti attuali ed i principali impianti operativi nel mondo.

Cenni storici La coltura di alghe è una tecnica che ha poche centinaia di anni, mentre la ricerca in laboratorio risale a circa 140 anni fa. Si comprende quindi subito quanto questa tecnica sia poco sviluppata rispetto alle colture a terra, che hanno migliaia di anni di esperienza.

Il primo interesse commerciale vero e proprio si ebbe dopo la seconda guerra mondiale, quando si iniziò a pensare che le alghe potessero essere utilizzate come combustibile arrivando a individuare alcune specie, come la Chlorella Pyrenoidosa, che accumulano fino al 70% di lipidi nella sostanza secca se alimentate in maniera corretta e limitando l’apporto di azoto. La disponibilità di petrolio a basso prezzo tuttavia fece abbandonare i progetti che erano sorti per fini energetici, i quali si convertirono a scopi alimentari o al trattamento delle acque reflue. In particolare in Centro America e in Giappone si svilupparono negli anni 60 e 70 rilevanti coltivazioni di Spirulina e Chlorella coltivate a fini alimentari. La produzione asiatica odierna è di circa 5000 tonnellate di sostanza secca/anno, con un prezzo che varia fra i 20 e 30 €/Kg, e si basa su impianti che raccolgono la biomassa per centrifugazione e poi la essiccano meccanicamente e termicamente.

Figura 1 - Impianto produzione sperimentale, Tokyo

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Negli Stati Uniti invece si ebbe, grazie alle ricerche svolte a Berkeley, un forte sviluppo dell’uso delle alghe a fini del trattamento delle acque reflue, soprattutto in California, dove furono costruiti molti impianti tuttora attivi. La ricerca per fini energetici riprese nel 1980 con il programma “Algae species programme” (ASP) che individuò buona parte degli aspetti tecnici e delle problematiche che saranno in seguito riportate. In particolare la difficoltà più rilevante riscontrata in questo documento, su cui si suggerisce di improntare gli sforzi futuri, è l’opposizione fra una rapida crescita del raccolto e un buon accumulo di lipidi. Viene inoltre evidenziato che le specie di alghe utilizzabili dipendono in buona misura anche dalla zona geografica e che, per massimizzare la produzione, si può pensare di utilizzare specie diverse nelle diverse stagioni.

Negli anni 80 e 90 si sono sviluppati in tutto il mondo molti altri progetti per lo sfruttamento energetico delle alghe, con scopi anche molto diversi come la produzione di idrogeno, la fissazione di CO2 e la coltivazione in acque dolci e non salmastre. Ancora oggi sono attivi molti progetti di ricerca e sviluppo nel settore delle alghe e nel 2009 Exxonmobil ha deciso di investire 600 M$ in 10 anni nella ricerca sulla produzione di biocombustibili da alghe.

Caratterizzazione e potenzialità Le alghe sono organismi che costituiscono, secondo alcune stime, circa il 50% della biomassa totale presente sul nostro pianeta. Ad oggi sono state classificate circa 40.000 specie di alghe ma si stima che complessivamente ve ne siano circa 500.000.

In primo luogo le alghe si dividono tra macroscopiche, ovvero quelle che si possono osservare compiutamente a occhio nudo sul fondo o in sospensione nel mare, e microscopiche, ovvero organismi per lo più monocellulari visibili solo in gruppo. Si noti che, per quanto errato da un punto di vista biologico, molte delle cosiddette alghe microscopiche, come le alghe azzurre , sono in realtà cianobatteri ovvero organismi procarioti e non eucarioti.

Un grande vantaggio delle alghe rispetto agli altri tipi di biomassa è quello di avere, grazie alla spinta di Archimede, una scarsa necessità di sostenere la loro struttura e quindi una bassa percentuale di lignina nella loro composizione. Questo aumenta il loro contenuto energetico e riduce le difficoltà nella conversione. Inoltre esse sono particolarmente ricche di lipidi, così da essere meno soggette a marcescenza.

Oltre alla composizione le alghe presentano numerosi vantaggi al fine della conversione energetica quali:

- Alto tasso di crescita, seppur variabile con la temperatura e l’irraggiamento, e produzione continua durante tutto l’anno.

- Richiesta di acqua dolce pressoché nulla, malgrado in alcuni casi vi sia però un problema di evaporazione.

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- Alta efficienza della fotosintesi. - Possibilità di essere coltivate su terreno non fertile e eventualmente in mare. Questo fa sì che non siano

in competizione con l’industria alimentare. - Scarsissima percentuale di Zolfo nei combustibili prodotti. - Neutrale rispetto alla CO2 con possibilità di “carbon capture and utilization”. - Scarso bisogno di erbicidi. - Possibilità di dar vita a sottoprodotti con buon valore commerciale come i fertilizzanti, sebbene in genere

essi abbiano alto tasso di azoto. - Possibilità di associare la produzione di combustibili al trattamento dei residui liquidi urbani .

Bisogna comunque evidenziare che ci sono anche grandi problematiche tecnico-economiche che, fino ad oggi, hanno limitato lo sviluppo dei combustibili da alga. Le principali sono:

- Alti costi di raccolta. - Alti costi di deidratazione. - Possibilità di invasione del raccolto da parte di alghe meno produttive.

Fin qui sono state trattate le caratteristiche delle alghe in generale, facendo riferimento in maniera più specifica alle microalghe per la produzione di biogas. Al fine di ottenere delle rese soddisfacenti è necessario che la singola specie e le modalità di coltivazione rispondano, almeno in parte, a quattro specifiche:

i. Elevata resistenza alla contaminazione ii. Alta velocità di crescita iii. Alto contenuto di sostanze energetiche iv. Facile processo di metanazione

Attualmente nessuna delle specie conosciute è in grado di rispondere completamente a tutte queste caratteristiche. In particolare si riscontra in molte specie potenzialmente interessanti che l’alta velocità di crescita è in contrasto con l’accumulo di alte percentuali di sostanze energetiche facilmente convertibili come i lipidi. Gli impianti attualmente attivi sono quindi al momento costretti a dover effettuare un’ottimizzazione fra le varie caratteristiche. La ricerca si sta muovendo parallelamente su due fronti: da una parte cerca di classificare nuove specie al fine di trovare le migliori, mentre dall’atra opera esperimenti genetici per migliorare le alghe che già presentino delle buone proprietà.

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Coltivazione microalghe La fase di coltivazione delle alghe è fondamentale per ottenere competitività commerciale nel processo. Essa deriva in buona parte dal know how dell’industria alimentare e si distingue principalmente tra le tecnologie a circuito chiuso e a stagno aperto. Dato che in entrambi i casi che la radiazione luminosa deve essere assorbita nel miglior modo possibile, è necessario analizzare anche la foto efficienza del processo di coltivazione. Nondimeno è utile sottolineare che il processo può prevedere la re-iniezione della CO2 durante la coltivazione, con il doppio effetto di aumentare la produttività e di limitare le emissioni di gas serra.

Sistemi “Open Pond” e “Closed Pond”

Gli “Open Pond” sono sistemi di coltivazione su larga scala di microalghe in cui la coltura è direttamente esposta all’aria dell’ambiente. Si tratta dei sistemi di produzione più diffusi grazie alla loro facile ed economica realizzazione (più del 90% delle alghe è prodotto con questo metodo).

I sistemi ad anello (“Raceway Ponds”) consistono in vasche con una struttura ad anello delimitate da degli argini in terra o di cemento. In queste le acque vengono tenute in movimento ad una velocità di 20-30 cm/s così da mantenere le alghe in sospensione e il più possibile vicine alla superficie in modo da ricevere un’adeguata illuminazione. Le dimensioni dell’anello sono solitamente limitate a 50m di lunghezza, 5m di larghezza e 40 cm di profondità, così da ottenere delle vasche di 250 m2 che contengano circa 100 t di acque. Dimensioni maggiori potrebbero essere difficili da gestire sia fisicamente che chimicamente dato che aumenterebbero eccessivamente i rischi di contaminazione della coltura.

Il sistema con cui viene ricavata la miscelazione è dunque l’aspetto che più caratterizza questo tipo di coltivazione. Le configurazioni maggiormente utilizzate sono:

Figura 1 - Ruote a Pale (“Paddle-Wheels”): una ruota da otto pale è parzialmente immersa nel canale

Figura 2 - Getti d’aria (“Air-lift”): da un estremo del canale viene soffiata dell’aria sul fondo del canale

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La tipologia più utilizzata e più diffusa commercialmente è il “Paddel-wheel”, grazie a consumi limitati (circa il 50% dei sistemi a getti) e la miglior efficacia della movimentazione (circa doppia rispetto ai sistemi a getti).

La coltivazione tramite sistemi chiusi prevede l’impiego di fotobioreattori (PBR), che presentano le seguenti caratteristiche:

- Proteggono maggiormente la coltivazione dalla contaminazione da agenti esterni, consentendo quindi di poter coltivare più specie di alghe;

- Permettono un preciso controllo dei parametri di coltivazione e crescita, quali la temperatura, la concentrazione di CO2 e il Ph della coltura;

- Hanno un elevato rapporto superficie/volume, che consente di raggiungere maggiori densità volumetriche di produzione abbattendo i costi di raccolta;

- I fluidi si oppongono poco alla miscelazione e il livello di irraggiamento fornito alle alghe è elevato; - non sono soggetti all’ evaporazione; - Possono essere ugualmente impiegati in tutte le zone del mondo, indipendentemente dalle condizioni

climatiche.

Nonostante gli aspetti positivi elencati, gli alti costi di realizzazione ed esercizio fanno sì che le possibilità di applicazioni su produzioni di larga scala siano scarse.

Fotobioreattori Tubolari (Tubolar Photobioreactors)

Sono al momento il sistema di fotobioreattori maggiormente diffuso nella produzione commerciale di alghe. Si tratta di tubi di vetro o plastica, di massimo 30 cm di diametro all’interno dei quali scorre la coltura grazie a delle pompe o a dei getti di aria. Questi sono inoltre organizzati in serpentine o collettori e sistemati orizzontalmente o verticalmente a seconda delle esigenze.

Figura 4 - Fotobioreattori tubolari

Figura 3 - Getti d’acqua (“Water-Jets”)

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Fotobioreattori a Piatti (Flat Photobioreactors)

I fotobioreattori a piatti disposti verticalmente rappresentano una tecnologia promettente dato che, essendo in parte orientabili, consentono un buon assorbimento della luce solare (anche nella sua componente diffusa) e permettono un buon impaccamento così da ottenere alte densità di produzione.

Dato che il principale fattore incidente sulla produttività delle alghe è la quantità di radiazione solare assorbita dai fotobioreattori, i possibili sviluppi futuri della tecnica “Closed Pond” sembrano essere, almeno da un punto di vista teorico, sistemi in cui la cattura dei fotoni sia fisicamente separata dalla zona di coltivazione e la luce sia prima abbondantemente raccolta tramite specchi e successivamente distribuita ai reattori attraverso sistemi basati su fibre ottiche.

Ricapitolando le coltivazioni “Open Pond” sono le più economiche, mentre le coltivazioni “Closed pond” sono le più affidabili. Pertanto è molto probabile che l’industria della produzione delle alghe si sviluppi verso sistemi combinati: un primo stadio all’interno dei PBR dove nascono e si sviluppano le alghe volute per la coltivazione, seguito da un secondo stadio nei sistemi “Open Pond” dove le alghe crescono e si producono grandi volumi.

Fotoefficienza

La qualità del processo di fotosintesi nelle alghe è fondamentale per garantire un’alta resa energetica e quindi una convenienza economica nella coltivazione. Questo processo è tuttavia inibito, soprattutto nelle microalghe, da due fattori:

1. Il 10% delle alghe più superficiali riceve circa l’85% della radiazione solare, lasciando solo il rimanente alle alghe sottostanti che quindi non possono svilupparsi velocemente.

2. Le alghe superficiali utilizzano la molta energia che assorbono in maniera inefficiente, poiché l’assorbimento dei fotoni avviene su scale temporali del µs mentre la fissazione della CO2, anche qualora essa sia disponibile nelle quantità necessarie, avviene su scale dell’ordine del secondo. Questo fenomeno comporta che le alghe debbano smaltire molto calore, il che fa calare ancora il rendimento totale.

Nel grafico si nota come un aumento dell’efficienza riduca in maniera sostanziale l’area di raccolta necessaria con una significativa riduzione della sua voce nei costi.

Figura 5 - Area necessaria per ottenere una tonnellata

di sostanza secca in condizioni di irraggiamento medio

pari a 4541 MJ/(m2*anno) in laboratorio

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.

Ad oggi sono state individuate 2 tipologie di intervento che possono contribuire a ridurre questo tipo di perdite:

1. Garantire un bon mescolamento verticale, in modo che tutte le alghe abbiano accesso alla radiazione. Questo è ottenibile su scale appropriate solo nei fotobioreattori, per i quali le prove di laboratorio evidenziano ottimi dati. Con un tempo di esposizione alla luce di circa 10 ms ed uno al buio pari a circa il doppio, si riesce ad ottenere per tutte le cellule una crescita pari almeno a quella delle alghe più esposte in condizioni statiche.

2. Andare ad agire, ricercando nuove specie esistenti o geneticamente modificate, sul cosiddetto complesso di raccolta della luce solare delle alghe, rendendo i ricettori più corti e sottili. In questo modo una quota maggiore di radiazione solare sarebbe in grado di accedere all’interno della coltivazione.

Carbon capture and utilization

Un interessante possibilità è quella di utilizzare

la CO2 degli impianti a biogas per accrescere la produttività delle alghe facendo quindi in modo di convertire uno scarto dannoso in un prodotto utile. Il problema principale legato a questo procedimento è quello di realizzare un contatto

sufficiente a far disciogliere la CO2 senza costi eccessivi. Ci sono attualmente due tipi di processi destinati a questo scopo, uno è basato sull’utilizzo di ammine e l’altro di carbonati, in cui le alghe

fungono da desorbitore fotochimico di un liquido che abbia absorbito la CO2.

Trattamento con ammine

I gas ricchi di CO2 vengono fatti passare in una colonna di absorbimento in controcorrente con un flusso di ammine. Il gas povero di CO2 viene mandato in atmosfera mentre le ammine sono inviate al reattore contenente le alghe che fissano la CO2 rigenerando la corrente. Infine la corrente amminica viene separata e ricircolata in seguito alla raccolta della biomassa. Questo processo non prevede il riscaldamento del liquido in ingresso all’absorbimento e ha pertanto il vantaggio, rispetto al normale absorbimento/desorbimento, di limitare molto i consumi energetici.

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Uno dei problemi di questo impianto è che per avere una buona solubilità della CO2 in acqua il pH deve essere poco superiore a 8, il che limita la crescita di molte specie di alghe. Altro fattore critico è quello della scelta del solvente, esso non deve infatti essere tossico per non inibire la crescita delle alghe e per questioni ambientali, e al contempo non troppo biodegradabile per non essere aggredito dai batteri e quindi assimilato dalle alghe. Bisogna quindi scegliere in maniera congiunta la coppia alga-solvente amminico.

Trattamento con carbonato

Questo processo è simile a quello con ammine ma prevede come solvente un carbonato, quale il carbonato di sodio o potassio, che però ha un basso potere solvente e ha bisogno dell’aiuto di un enzima come ad esempio l’anidrasi carbonica (CAH). Per evitare perdite di enzimi, che risulterebbero economicamente gravose, la soluzione è filtrata da una membrana in coda alla colonna di absorbimento.

Un vantaggio rispetto al trattamento con ammine e che queste necessitano comunque di essere scaldate per effettuare la rigenerazione e liberare CO2 (seppur molto meno che nel processo senza alghe) mentre qui la rigenerazione avviene tramite il consumo di bicarbonato da parte delle alghe che quindi viene di nuovo estratto come carbonato e ricircolato. Altro vantaggio è il costo inferiore del carbonato rispetto alle ammine e il fatto che esso è comunque visto dalle alghe come fonte di carbonio nutritivo. Anche in questo processo il pH è un parametro importante perché dovrebbe essere compreso tra 8 e10 per facilitare l’absorbimento di CO2, mentre le massime attività degli enzimi si hanno per pH=8, bisogna quindi operare un ottimizzazione fra queste necessità e la crescita ottimale delle alghe.

Tecniche di raccolta Le tecnologie di raccolta sono al momento uno degli aspetti più critici dello sfruttamento delle alghe. I costi relativi alla raccolta, ispessimento ed eventuale disidratazione (solo per la produzione di biodiesel) di microalghe sono infatti al momento elevati e devono essere ridotti nell’ottica di produrre biocarburanti in maniera sufficientemente redditizia e competitiva.

I principali problemi della raccolta sono:

A. Varietà di natura delle cellule delle microalghe: dimensioni, peso specifico, carica e struttura; B. Bassa concentrazione di biomassa tipica dei sistemi di coltura su larga scala;

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C. Costi delle attrezzature di capitale elevati, nel caso di coltivazione in impianti salini.

I sistemi di raccolta e concentrazione delle microalghe devono inoltre essere in grado di:

1. Riuscire a gestire le grandi portate; 2. Essere altamente affidabili; 3. Avere bassi costi operativi e di investimento; 4. Essere facilmente gestibili; 5. Essere costruiti con materiali compatibili con il terreno di coltura.

Le tecniche di recupero delle microalghe possono essere di tipo monostadio o possono avvenire in più fasi. La scelta dipende di solito dalle specie di microalghe, dalla concentrazione del prodotto da estrarre e dalla qualità richiesta.

Le fasi di concentrazione della biomassa per la produzione di biogas sono invece generalmente 2:

• Fase 1 (concentrazione primaria): viene aumentata la concentrazione della biomassa di un fattore pari a circa 10-20. Il materiale mantiene la sua consistenza fluida (densità da circa 0.5 a 10 g/l);

• Stadio 2 (ispessimento): si addensa il concentrato primario di un ulteriore fattore di concentrazione di circa 5-10 e viene così generato un materiale con consistenza simile al fango (“Slurry”) (densità pari a circa 50 g/l)

Le proprietà fondamentali delle microalghe che influenzano la raccolta sono

a) Forma delle particelle (filamenti, barre, sfere, o catene), b) Granulometria (generalmente compresa tra 2 e 20 um), c) Peso specifico d) Carica (di solito negativa).

Queste proprietà dipendono dalla specie di microalghe, dalle condizioni di crescita e dall’età della coltura.

Le microalghe presentano una leggera carica superficiale negativa che respinge le altre cariche di pari segno (co-ioni) nella soluzione circostante. Ciò fa sì che la sostanza nella miscela si trovi in una forma finemente dispersa, la quale prende il nome di Colloide, e che assume come parametro fondamentale il potenziale all’interfaccia (piano di taglio) noto come “Potenziale Zeta”. Per le microalghe questo potenziale è tipicamente negativo e varia solitamente tra -10 e -35 mV, in funzione di numerosi fattori tra cui il pH, la forza ionica del mezzo di coltura e, pertanto, la salinità.

Fase 1, Coagulazione e Flocculazione

Due processi necessari alla raccolta del materiale sono la Coagulazione e la Flocculazione. Il primo dei due prevede l'aggiunta di un coagulante chimico così da generare una soluzione sospesa, colloidale, grazie all’interazione elettrica tra le diverse particelle. La Flocculazione, invece, comporta l'aggregazione delle particelle destabilizzate e la precipitazione di prodotti formati da uno o più coagulati sottoforma di grande particelle note come Particelle Flocculanti o, più comunemente, "Fiocchi". Le velocità di sedimentazione della maggior parte delle microalghe sono troppo basse per applicazioni pratiche, perciò le microalghe sono solitamente flocculate per aumentarne la densità dando vita ad agglomerati.

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La Coagulazione e la Flocculazione possono anche essere differenziate sulla base del tempo richiesto per ciascun processo. La coagulazione avviene rapidamente in genere in meno di 10 s, mentre la Flocculazione ha bisogno di un tempo più lungo, tipicamente 20-45 min.

Questi due processi sono spesso impiegati nei sistemi a bassa salinità come la depurazione e il trattamento delle acque reflue.

Coagulazione e Flocculazione inorganica

Molte sostanze inorganiche possono essere usate per coagulare le microalghe prima del loro recupero. Frequentemente sono scelti alluminio e ferro per via alla loro elevata efficienza ed efficacia nella rimozione di particelle colloidali. Oltre a neutralizzare la carica negativa sulla microalga questi precipitati possono anche agire come siti di nucleazione per l'attaccamento di microalghe, le quali possono anche essere raccolte mediante intrappolamento. La dose ottimale di coagulante dipende dal sistema e deve essere determinata caso per caso. Tuttavia è da considerare la presenza del metallo nel prodotto finale.

Coagulazione e Flocculazione organica

I coagulanti organici, sono generalmente polimerici e possono contenere gruppi funzionali ionizzabili quali il carbossile e strutture solforiche. Questi possono recuperare le microalghe da soli o, più frequentemente, in combinazione con coagulanti inorganici così da aiutare il legame interparticellare. Il fatto che i coagulanti biologici siano più costosi di quelli inorganici è generalmente compensato dalle minori dosi richieste,

che devono essere determinate caso per caso in base alla specie e alla coltivazione.

Ultrasuoni

Le onde acustiche possono portare il materiale a flocculare spingendo le particelle a collidere fra loro. Questa tecnica può essere vantaggiosa per le sue rese molto elevate, ma il fabbisogno energetico risulta troppo alto se non per fini di ricerca (laboratorio).

Riepilogo

I processi di flocculazione e coagulazione sono suscettibili a variazioni in base alle caratteristiche dei nutrienti, del clima e del PH che si instaura nell’ambiente, ma soprattutto variano di alga in alga. Ne consegue che le prestazioni della coagulazione, la formazione e la struttura dei prodotti sono variabili e difficili da prevedere, il ché porta ad un’elevata aleatorietà nelle prestazioni dell’impianto. L’utilizzo di qualsiasi coagulante è sottoposto ad uno studio atto a determinare il suo impatto sull’uso finale della biomassa e come qualsiasi residuo presente nel terreno di crescita impatterà sul processo di coltivazione successivo.

Figura 1 - Esempio di catene organiche a cui si

legano le microalghe

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In base a quanto esposto appare evidente che il metodo più adatto per il tipo di coltivazione analizzata risulta essere la Flocculazione organica. Questo metodo infatti, non contribuisce ad arricchire il raccolto di sostanze pesanti inorganiche che potrebbero creare problemi ambientali durante il successivo utilizzo dei residui in uscita dal digestore come fertilizzante agricolo. Infine si preferisce questo metodo rispetto a quello con gli ultrasuoni per motivi di costi più contenuti.

Fase 2, Separazione solido liquido:

I due processi analizzati in precedenza sono adatti ad aumentare la dimensione delle particelle “fiocchi” e possono migliorare la facilità di separazione solido -liquido, sebbene non tutte le microalghe richiedano la flocculazione. Alcune specie quali la spirulina possono essere facilmente filtrate, data la struttura filamentosa molto lunga però questa, in particolare risulta di scarso interesse nel campo della produzione di potenza dato il tasso di crescita relativamente basso (viene tuttavia coltivata per ottenerne creme e cibo) .

Sedimentazione

La sedimentazione è una delle forme più semplici di separazione solido-liquido. I principali vantaggi di questo processo sono i bassi consumi, i contenuti costi di progettazione ed il basso fabbisogno di operatori specializzati. I principali svantaggi dei processi di sedimentazione per il recupero delle microalghe includono le limitate velocità di sedimentazione (nella modalità “semplice”) e la bassa concentrazione finale raggiunta.

Esistono due principali tipologie di sedimentazione:

- “A gravitazione semplice” (poco costosa ma lenta: non applicabile alle colture intensive)

- “A gravitazione potenziata”

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Per avere una sufficiente variazione di densità del fluido e quindi una sua sedimentazione, è necessario aumentare le dimensioni delle microalghe con addensanti (Flocculazione).

Centrifugazione

I processi di centrifugazione si basano sulla generazione di una forza che agisca radialmente e acceleri il movimento e la separazione delle particelle sulla base di una differenza di densità tra queste ed il mezzo circostante. Se la cellula è più densa del fluido, essa migrerà verso l'esterno. A differenza della sedimentazione che agisce per gravità, risultando così un processo lento, l'uso della forza centrifuga serve ad accelerare il processo di decantazione, aumentando così la produttività e riducendo l'ingombro del decantatore.

Uno dei dispositivi centrifughi più promettenti per il recupero di microalghe è il cosiddetto “Decantatore”. Questo è costituito essenzialmente da due elementi rotanti concentrici circondati da un involucro fisso o coperchio, che possono funzionare in modo continuo. L'elemento conico esterno rotante, o “ciotola” ,e l'elemento interno, o “vite “, ruotano a velocità leggermente diverse così che i solidi introdotti nel decantatore si depositano sulla parete esterna fino ad essere trascinati lungo la parete nella vaschetta di scarico, mentre il liquido chiarificato viene scaricato all'estremità opposta.

Anche se la centrifugazione è una tecnologia collaudata, veloce ed efficace, gli elevati costi di capitale e operativi devono essere tenuti in conto assieme alla quantità ed al valore del prodotto.

Figura 2 - Esempio di Decantatore in assetto operativo

Flottazione

La Flottazione è un processo di separazione basato sull’immissione di bolle d'aria o di gas che aderiscono alle particelle e le trasportano in superficie del liquido, dove possono essere separati, di solito tramite scrematura. La Flottazione viene frequentemente utilizzata nel trattamento delle acque reflue

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(campo ad elevata sinergia con la coltura algale) e nell’industria di trasformazione dei minerali in combinazione con la Flocculazione .

- Flottazione ad aria disciolta ( DAF ):

L’aria è il gas che più comunemente viene introdotto nella cella di galleggiamento. Le migliori efficienze del processo si ottengono se si immette una miscela con piccole bolle d'aria (spesso 60-200 mm di diametro ) che facilitano la risalita delle microalghe coagulate. Questo processo viene spesso preferito alla sedimentazione per le potenzialità volumetriche elevate su unità di superficie che si possono realizzare. I costi operativi dei sistemi DAF sono generalmente superiori rispetto quelli della sedimentazione a causa del costo elevato dell'energia richiesta per introdurre la miscela in pressione.

- Flottazione ad aria sospesa ( SAF ):

Una variante rispetto all’utilizzo di acqua è la SAF, che utilizza sostanze chimiche (spesso tensioattivi cationici) per creare le piccole bolle, eliminando la necessità di un compressore e di un saturatore. Tuttavia questo metodo inserisce un elemento in più nella miscela alga-acqua rendendo non sempre possibile l’utilizzo dello scarto finale, a seguito della produzione di biogas, come concime per i campi.

La DAF è il metodo più utilizzato nei campi di coltura algale perché presenta minori spese energetiche rispetto alla centrifugazione, non modifica il prodotto con sostanze aggiuntive e ha una potenzialità elevata.

Conversione in Biogas

La produzione di Biogas vera e propria sfrutta le conoscenze già assodate della trasformazione di biomasse. Il processo in questione è la cosiddetta “Digestione Anaerobica”, con tempi di fermentazione e tipologie di batteri simili a quelli utilizzati negli altri processi affini. Sono presenti, tuttavia, alcune variazioni:

- Le microalghe provenienti dalla filiera di coltivazione sono in una stato fangoso (“Slurry”) con un elevato quantitativo di acqua, la quale non dovrà essere dunque aggiunta, a differenza dei tradizionali digestori;

- La produttività può ridursi in maniera marcata per via del rapporto C/N, che può essere particolarmente basso per alcune specie, portando ad una eccessiva formazione di ammoniaca. In questi casi è consigliabile integrare l’alimentazione con prodotti con più alto contenuto di carbonio.

- La metanazione da parte dei batteri è più “facile” data l’assenza di lignina consentendo di avere quantitativi minori di “scarti” se confrontati a pari volume di gas prodotto;

- Alcuni studi, confrontando le diverse specie di microalghe, hanno osservato come il livello di conversione da sostanza biologica a gas sia correlato allo spessore della parete cellulare che i batteri devono “rompere” per accedere alle sostanze nutrienti. Le microalghe con pareti sottili, tuttavia, sono di solito più instabili e facilmente contaminabili da specie esterne più robuste.

- Gli scarti del processo di digestione, oltre ad esser utilizzati come fertilizzanti per l’agricoltura, possono esser in parte reintrodotti negli stessi Pond di coltivazione come nutrienti per le successive colture.

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Bonifica delle acque reflue Una interessante possibilità è quella di utilizzare le alghe per la bonifica delle acque reflue, questo può garantire competitività economica dell’impianto, in quanto i costi di produzione e di raccolta della biomassa sono coperti dal costo capitale e di mantenimento dello stabile per la depurazione in cui si vanno ad inserire. Bisogna anche tenere in conto che l’impatto ambientale della produzione di alghe come sotto prodotto del trattamento dell’acque è in questo modo limitato in termini di consumi di energia e fertilizzanti.

Il trattamento di reflui tramite alghe si basa sul fatto che la fotosintesi produce ossigeno grazie alla degradazione aerobica dei composti organici che, dopo essere stati metabolizzati, vengono assimilati come nutrienti dalle cellule.

Non tutti i trattamenti però danno una quantità di alghe sufficiente all’uso preposto e, ad oggi, il tipo di coltivazione più indicato sono gli “Open Pond Paddle-Wheel” che raggiungono rese di circa 30 t/[ha*anno]. Per contro, il problema principale di questo tipo di applicazione è il basso rapporto C/N (circa 4) dei reflui urbani. Impianti piloti sono stati realizzati in Nuova Zelanda con che i costi siano del tutto accettabili visto che la resa riesce a portarsi su un valore di circa 60 t/[ha*anno].

Un altro svantaggio di questo tipo di impianti ad alghe è la maggiore estensione di terreno che bisogna utilizzare, rispetto agli impianti elettro-meccanici per il trattamento dei reflui. Quest’area varia molto con le condizioni di irraggiamento, nonostante questi impianti abbiano il vantaggio di presentare minor impatto ambientale. Bisogna infine considerare che ci possono essere invasioni da parte di alghe e batteri che abbattono la produttività fino al 90%, e che devono essere eliminati chimicamente o tramite variazioni di pH.

Impianti esistenti Il numero degli impianti già esistenti in giro per il mondo è abbastanza esiguo, se si considerano quelli che possiedono un valore commerciale. Tuttavia negli ultimi anni si è assistito ad una proliferazione molto spinta

Figura 1 - Impianto pilota HRAP con iniezione di CO2,

Christchurch, New Zeland (1.25 Ha)

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di impianti sperimentali, che si propongono di studiare e migliorare il ciclo di trattamento della materia prima.

Il principale ostacolo alla commercializzazione di questo genere di impianti è il prezzo odierno dei combustibili fossili, ancora troppo baalghe (di circa 10 volte). Tuttavia un’opportunità di nicchia si ha per quegli impianti in cui le alghe sono coltivate come sotto prodotto nel trattamento delle acque reflue, che devoincontrare le caratteristiche ambientali ammesse dalla legge. Questo tipo di coltivazioni hanno dei costi e un impatto ambientale molto più contenuti rispetto alla coltivazione ottenuta con acqua pulita e fertilizzanti.

Un’ulteriore causa di rallentamento dello sviluppo del settore è evidenziata dalle poche specie conosciute sul totale di quelle esistenti. Una sempre maggiore ricerca potrà portare a scoprire “l’alga perfetta”, che permetta di ridurre al minimo i costi di gestion

Impianti sperimentali e futuribiliEnAlgae project

Il progetto comprende 19 aziende di nove paesi europei (Regno unito, Irlanda, Paesi bassi, Belgio, Francia, Germania), e prevede l’apertura di nove siti pilotacoltivazione delle microalghe. Attraverso contributimilioni a sostegno della ricerca per la crescita deuna risorsa per il mercato futuro.

Nel marzo 2013 è stato aperto il primo icome i fiocchi di microalghe possono essere usati per trattare le acque reflue, esseconvertiti in biogas. La particolare specie ricercata è in grado di sedimentarsi autonomamente senza l’utilizzo di flocculanti chimici o centrifughe energivore.

Västerås, Svezia

L’impianto di Västerås, in Svezia, ha aperto nel 2005 e può trorganici municipali e 4000 tonnellate di rifiuti liquidi da processi industriali, per poi convertirli in 54000 GJ di biometano e 1979 tonnellate di COproduzione di biometano dalle alghe, da porre in parallelo rispetto al già esistente impianto di produzione di biogas dai residui delle coltivazioni.

A causa del clima rigido le alghe devono essere coltivate in un fotobioreattore (PBR), in una scarico di CO2 e di liquido digerito dal processo di produzione del biogas, come sostanza nutritiva della coltivazione. Il reattore PBR utilizzato è di tipo “a piatto”, per il minor consumo rispetto ad un reattore tubolare, con le due superfici maggiori fatte in vetro. Tutti questi piatti vengono incolonnati in posizione verticale l’uno

di impianti sperimentali, che si propongono di studiare e migliorare il ciclo di trattamento della materia

Il principale ostacolo alla commercializzazione di questo genere di impianti è il prezzo odierno dei combustibili fossili, ancora troppo basso rispetto al valore commerciale di un bio combustibile ricavato dalle alghe (di circa 10 volte). Tuttavia un’opportunità di nicchia si ha per quegli impianti in cui le alghe sono coltivate come sotto prodotto nel trattamento delle acque reflue, che devono essere ripulite per poter incontrare le caratteristiche ambientali ammesse dalla legge. Questo tipo di coltivazioni hanno dei costi e un impatto ambientale molto più contenuti rispetto alla coltivazione ottenuta con acqua pulita e fertilizzanti.

riore causa di rallentamento dello sviluppo del settore è evidenziata dalle poche specie conosciute sul totale di quelle esistenti. Una sempre maggiore ricerca potrà portare a scoprire “l’alga perfetta”, che permetta di ridurre al minimo i costi di gestione degli impianti.

Impianti sperimentali e futuribili

Il progetto comprende 19 aziende di nove paesi europei (Regno unito, Irlanda, Paesi bassi, Belgio, Francia, e l’apertura di nove siti pilota dove portare avanti lo studio sulle metodologie di

Attraverso contributi statali dal Nord-Europa il progetto ha ricevuto più di 14 la crescita dei biocombustibili di nuova generazione

Nel marzo 2013 è stato aperto il primo impianto a Roeselare, in Belgio. Il suo obiettivoi fiocchi di microalghe possono essere usati per trattare le acque reflue, essere colt

convertiti in biogas. La particolare specie ricercata è in grado di sedimentarsi autonomamente senza l’utilizzo di flocculanti chimici o centrifughe energivore.

L’impianto di Västerås, in Svezia, ha aperto nel 2005 e può trattare annualmente 14000 tonnellate di rifiuti e 4000 tonnellate di rifiuti liquidi da processi industriali, per poi convertirli in 54000 GJ

di biometano e 1979 tonnellate di CO2. Lo studio portato avanti prevede l’adozione di un impianalghe, da porre in parallelo rispetto al già esistente impianto di produzione di

biogas dai residui delle coltivazioni.

A causa del clima rigido le alghe devono essere coltivate in un fotobioreattore (PBR), in una

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di impianti sperimentali, che si propongono di studiare e migliorare il ciclo di trattamento della materia

Il principale ostacolo alla commercializzazione di questo genere di impianti è il prezzo odierno dei sso rispetto al valore commerciale di un bio combustibile ricavato dalle

alghe (di circa 10 volte). Tuttavia un’opportunità di nicchia si ha per quegli impianti in cui le alghe sono no essere ripulite per poter

incontrare le caratteristiche ambientali ammesse dalla legge. Questo tipo di coltivazioni hanno dei costi e un impatto ambientale molto più contenuti rispetto alla coltivazione ottenuta con acqua pulita e fertilizzanti.

riore causa di rallentamento dello sviluppo del settore è evidenziata dalle poche specie conosciute sul totale di quelle esistenti. Una sempre maggiore ricerca potrà portare a scoprire “l’alga perfetta”, che permetta

Il progetto comprende 19 aziende di nove paesi europei (Regno unito, Irlanda, Paesi bassi, Belgio, Francia, dove portare avanti lo studio sulle metodologie di

Europa il progetto ha ricevuto più di 14 di nuova generazione e per la creazione di

Il suo obiettivo specifico è studiare re coltivati ed infine

convertiti in biogas. La particolare specie ricercata è in grado di sedimentarsi autonomamente senza l’utilizzo

attare annualmente 14000 tonnellate di rifiuti e 4000 tonnellate di rifiuti liquidi da processi industriali, per poi convertirli in 54000 GJ

Lo studio portato avanti prevede l’adozione di un impianto di alghe, da porre in parallelo rispetto al già esistente impianto di produzione di

A causa del clima rigido le alghe devono essere coltivate in un fotobioreattore (PBR), in una serra, usando lo

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sopra l’altro, così da massimizzare la superficie di scambio e ridurre al minimo l’effetto di ombreggiamento che uno opera sull’altro.

Il sistema integrato proposto avrebbe la potenzialità di aumentare la produzione di bio-metano del 9.4% annuo rispetto al caso base con investimenti ridotti.

Impianti commerciali Trelleborg, Svezia

Trelleborg è una piccola città situata sulla punta sud della Svezia che ha deciso di trovare un modo intelligente e innovativo per abbattere la riduzione di scarichi organici nel mar Baltico e di porre un limite all’eutrofizzazione della parte di mare di propria competenza. Questo è un compito affatto facile da conseguire per una delle comunità con la più alta estensione agricola di tutto il Paese e con uno dei porti più grandi di tutta la regione baltica. La città si propone inoltre di dare uno stimolo significativo a tutti i soggetti interessati dallo stesso problema che si trovano nello stesso contesto geografico ed economico.

Il progetto consiste nel raccogliere tutti i reflui agricoli e portuali della città, per alimentare la coltivazione delle alghe, così che queste possano essere elaborate e usate per la produzione elettrica e di calore grazie allo sfruttamento del biogas prodotto dalla loro digestione. Questo trattamento rende possibile principalmente l’eliminazione di fosforo e azoto dalle acque, e il riciclo di tutti i metalli pesanti riutilizzabili come fertilizzanti per il mercato agricolo. Il fosforo e l’azoto non provengono esclusivamente dalle coltivazioni, ma anche dagli scarti delle cucine e dei bagni delle navi attraccate nel porto. Un’altro obiettivo che il progetto si propone di raggiungere è di ridurre il disagio causato dalle alghe che popolano le spiagge e che si accrescono a causa dell’inquinamento dell’acqua. Questo non solo in maniera diretta con la raccolta, ma anche indiretta con un miglior controllo della pulizia dell’acqua. L’avvio dell’impianto è avvenuto nel 2012.

Il sostegno al progetto è arrivato dal BSAP (“Baltic sea action plan”), organizzazione che coinvolge una serie di governi nazionali (Danimarca, Estonia, Germania, Finlandia, Lettonia, Lituania, Polonia, Russia, Svezia) e strutture inter-governative (UE) e che si propone di dare un taglio alle immissioni di inquinanti nelle acque del mar Baltico. Il target che è stato prefissato è di ridurre le emissioni di Fosforo di 15176 tonnellate e quelle di Azoto di 118134 tonnellate, entro il 2021. Svezia e Finlandia hanno deciso di formare un fondo di 11 milioni di euro che sono stati destinati al finanziamento di 34 progetti all’interno di tutta la regione, così da accelerare il raggiungimento dell’obiettivo fissato dal BSAP. Sette di questi progetti sono stati completati entro il giugno del 2013.

Per chi volesse studiare l’impianto, è possibile la visita dei macchinari, nei pressi di Smygehamn, a circa 15 km da Trelleborg.

City of Sunnyvale, water pollution control plant:

La città di Sunnyvale si trova in California e, ha seguito dell’espansione del suo settore industriale, ha dovuto sostenere una spesa sempre maggiore per il trattamento delle sue acque reflue industriali e civili. Queste,

Figura 2 - Digestore

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prima di poter essere scaricate nell’oceano, devono essere trattate, così da riuscire ad assumere le caratteristiche richieste dalla normativa vigente nello stato.

Il processo di trattamento dell’acqua è sostanzialmente formato da tre livelli, durante i quali vengono rimossi fino all’85% degli inquinanti grazie ad una combinazione di processi chimici, fisici e biologici. Il più interessante, per il nostro studio, è il secondo di questi tre gradi di lavorazione, cioè il livello in cui l’acqua viene portata in un “pozzo di ossidazione” dove viene digerita da un ambiente pieno di microorganismi, per lo più batteri, e alghe. In questo modo il materiale solido che è rimasto in sospensione anche a seguito del primo grado di trattamento, viene biodegradato dalle sostanze presenti, che lo usano per nutrirsi. Il nome di questi pozzi è dovuto al fatto che, attraverso la fotosintesi e la metabolizzazione di questo materiale organico, le alghe presenti producono ossigeno utilizzato dagli altri organismi presenti, durante il loro ciclo vitale. Ulteriore areazione è aggiunta in maniera meccanica smuovendo il raccolto e aumentandone il grado di turbolenza. Un problema di questo trattamento è la formazione di ammoniaca, che viene in seguito rimossa nei gradi di processo successivi grazie alla sua ossidazione e trasformazione in ossidi di azoto.

Le alghe che si nutrono e si accrescono in questo livello vengono poi mandate in dei digestori, dove entrano in contatto con una particolare flora batterica e vengono appunto “digerite”, cioè biodegradate a sostanze più semplici. Il biogas che si libera è composto per lo più da metano e biossido di carbonio. L’impianto ha iniziato a sfruttare questo residuo dal 2001, con dei motori a combustione interna per produzione elettrica e di calore in assetto cogenerativo. Parte di questa energia è utilizzata all’interno dello stabile per l’alimentazione delle pompe di circolazione e per l’indipendenza energetica del processo. La restante parte di energia elettrica è immessa nella rete nazionale e venduta sul mercato. Le sostanze solide che fuoriescono dal digestore, vengono raccolte e rivendute come materiale fertilizzante per il mercato agricolo.

Il tempo di permanenza dell’acqua all’interno di questi pozzi è di circa 30-45 giorni, così da avere dei buoni tempi di contatto tra le alghe e il materiale da rimuovere. Questi pozzi di ossidazione sono due e occupano un totale di 1.78 km2. I parametri del sistema sono controllati da 60 operai, che tengono sotto controllo l’impianto 24 ore su 24. La produzione giornaliera di acqua depurata risulta pari a circa 100 milioni di litri.

Figura 4 - Vista aerea dell'impianto

Chiclana, Spagna meridionale

Grazie al supporto dall’Unione Europea, questo progetto spagnolo ha prodotto con successo nell’estate del 2013 il primo raccolto di biomassa utile, in quello che è il più grande impianto di questo genere del mondo. L’impianto si basa sulla linea di pensiero dettata dal voto del parlamento europeo, che si è espresso a favore

Digestori

Figura 3 - Esempio di processo di

flocculazione

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di limitare i biocombustibili basati su biomasse alimentari nel settore dei trasporti ad un massimo del 5.5% sul consumo finale totale. Le caratteristiche del raccolto sono state molto interessanti perché la biomassa prodotta aveva un alta energia potenziale relativa al suo livello di digeribilità, con una produzione di metano pari a circa 200-300 lt per kg di biomassa processata nel digestore. Inoltre lo standard che è stato raggiunto nella pulizia dell’acqua era molto elevato.

Lanciato nel 2011, il progetto quinquennale ha terminato la sua fase pilota della durata di due anni e si propone di espandersi dagli attuali 2100 piedi quadrati di strutture fino ad occupare 10 ettari. Le previsioni dicono che entro il 2016 il biocombustibile prodotto sarà sufficiente per dare energia a 200 veicoli, ma anche per significative produzioni di energia elettrica, sia da usare come autoconsumo che da vendere sulla rete nazionale. Il progetto è gestito dal consorzio “All-Gas”, diretto dalla spagnola FCC Aqualia e comprende altre cinque figure: la tedesca Fraunhofer-Gesellschaft, l’austriaca BDI, l’olandese Feyecon y Hygear e l’Università di Southampton.

La materia prima utilizzata è l’acqua di scarto, che così non viene riciclata con una spesa in termini economici ed energetici. Inoltre parte della CO2 che viene prodotta nel processo viene riciclata e usata per nutrire la coltivazione.

Conclusioni Al termine di questa analisi si può sicuramente affermare che il miglior modo per rendere competitiva questa fonte energetica è l’integrazione con un impianto di trattamento delle acque reflue civili o industriali, che ne ammortizzi i principali costi di investimento. Oltre ad alcuni impianti commerciali già operativi, infatti, anche la ricerca scientifica si sta spostando verso quel settore ad un numero sempre crescente di impianti piloti.

Questo tipo di tecnologia presenta dei vantaggi sia rispetto alle fonti fossili che nei confronti della altre tipologie e generazioni di biomassa, quali:

- Impatto sull’ambiente ed utilizzo di risorse molto ridotti; - Alto tasso di crescita e contenuto energetico; - Possibilità di applicare la “carbon capture and utilization”, con benefici sulle emissioni in atmosfera - Flessibilità nella produzione di biocombustibili e possibilità di produzione integrata biogas/biodiesel - La disponibilità di biomassa si può estendere su tutto l’anno, eventualmente con specie diverse

Per contro i principali svantaggi che limitano la diffusione della tecnologia sono:

- Possibilità di contaminazione delle biodiversità locale - Non trascurabile impatto olfattivo e visivo - Conoscenza ancora limitata che comporta costi elevati come quelli per la raccolta - Alti rischi di investimento visto lo scarso sviluppo della curva di apprendimento - Alto rischio di contaminazione con specie meno produttive.

Figura 5 - Vista della pozza per la coltivazione

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Appendice A Fluidodinamica HRAP

Il sistema di coltivazione che garantisce al momento la migliore fattibilità commerciale è quello a stagno aperto High Rate Algae Pond (HRAP). Per garantire una crescita efficiente delle alghe è importante garantire, oltre alla fotoefficienza, anche una buona fluidodinamica nel reattore, questa infatti è responsabile del moto di ricircolo verticale delle alghe, della omogenea distribuzione dei nutrienti e della CO2 , e dell’evitare che le alghe si depositino sul fondo. Sono quindi stati svolti degli studi computazionali per stabilire quale sia l’ottimo del rapporto fra lunghezza e spessore del canale per avere un moto il più possibile omogeneo senza avere consumi eccessivi degli ausiliari.

Per alghe di dimensioni pari ad esempio alla spirulina la velocità per evitare il deposito nelle zone di ristagno è compresa fra 10 e 30 cm/s.

L’aumento della lunghezza implica sempre delle maggiori perdite di carico e quindi maggiori consumi di corrente elettrica, tuttavia definendo la percentuale delle zone di ristagno come:

% ���� �� ��� �� = ����.�

�������

∗ 100

Dove ����.� rappresenta il volume di stagno in cui le velocità sono inferiori a 0.1 m/s (limite di deposito) l’analisi fluidodinamica mostra come al crescere del rapporto L/W questo valore cali in maniera sostanziale, in particolare il rapporto deve essere mantenuto superiore a 10 se si vuole mantenere un mescolamento sufficiente.

Zone di ristagno al variare della velocità e

del rapporto L/W con profondità di 25 cm

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Appendice B Analisi economica

Dal punto di vista economico lo sfruttamento delle alghe come combustibili è una tecnica ancora poco matura, tuttavia ci sono ampi margini di miglioramento e, anche nell’ottica della riduzione delle emissioni di CO2 , è probabile che in futuro questa tecnologia diventi economicamente sostenibile. La produzione massima teorica di sostanza secca da alghe è stimata fra 280 e 350 ton/(ha*anno), tuttavia ad oggi nei reattori sperimentali si è arrivati a un massimo di 200 e negli HRAP attualmente in esercizio le quantità variano a seconda della latitudine e della specie fra 44 e 146 ton/ha*anno.

Per fare uno studio economico all’ Università di Ghent, Belgio hanno fatto l’ipotesi di avere:

• sito adatto di 400 ha, ben adattabile alla coltivazione o già usato per trattamento acque reflue quindi costi di impianto coltivazione bassi;

• rendimento elettrico del 40% e termico del 45% del ciclo combinato, quindi perdita globale del 15%; • conversione del digestore del 75%; • reiniezione di anidride carbonica in sito; • vita utile dell’impianto di 20 anni con tasso di interesse sul capitale del 5%; • sistema di incentivazione di tipo feed in tariff di 0.133 €/kwh sia per l’energia elettrica che per

l’energia termica; • Emissioni penalizzate attraverso una carbon tax per 30 €/ton CO2.

Sono quindi stati presi in considerazione tre scenari di produzione: 70 [tonSS/(ha*anno)]; 90[tonSS/(ha*anno)]; 110 [tonSS/(ha*anno)].

Il risultato, al netto degli autoconsumi elettrici per la movimentazione dei fluidi e, soprattutto, termici per il mantenimento a 35°C del reattore è stato di un IRR pari a -7%; +9%; +17% rispettivamente nei tre casi con NPV di -14.0 mln €; 6.8 mln €; 26.7 mln €.

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Analisi dei risultati:

Si può notare che la resa ha un impatto fondamentale sull’economicità dell’impianto, essendo questo soggetto a variazioni di clima e a possibili contaminazioni esterne. Si deduce quindi che il rischio che si intraprende in un investimento del genere è abbastanza alto e probabilmente il tasso di interesse dovrebbe essere maggiore del 5% ipotizzato.

Appare evidente che il contributo che cresce di più è quello, in realtà molto aumentato dagli incentivi, relativo all’ energia termica. Risulta quindi consigliabile costruire l’impianto vicino ad utenze che possano acquistare questa energia.

Le rese prese in considerazione sono comunque molto alte e attualmente ipotizzabili solo in zone del pianeta con un irraggiamento medio molto elevato e condizioni ambientali favorevoli.

L’economicità effettiva pertanto è ottenibile allo stato attuale solo per impianti integrati con la depurazione dei reflui liquidi urbani, impianti nei quali, se sussistono le condizioni climatiche e le esigenze di superficie, l’economicità è già stata ampiamente testata.

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Bibliografia

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