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PRO LOCO PRATOLA SERRA con il patrocinio del Comune di Pratola Serra (AV) MOSTRA PRATOLA SERRA, DALLA PROTOINDUSTRIA AI GIORNI NOSTRI Il Presidente della Pro Loco: M.Panza Pratola Serra, Aprile 2014 Ricerca storica ideazione e scelta delle immagini: R. Palladino Sviluppo di alcune immagini: R. Magliaro Curatore editoriale: A.R. Musto

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PRO LOCO PRATOLA SERRA

con il patrocinio del

Comune di Pratola Serra (AV)

MOSTRA

PRATOLA SERRA, DALLA PROTOINDUSTRIA AI GIORNI NOSTRI

Il Presidente della Pro Loco:

M.Panza

Pratola Serra, Aprile 2014

Ricerca storica ideazione e scelta delle immagini:

R. Palladino Sviluppo di alcune immagini:

R. Magliaro Curatore editoriale:

A.R. Musto

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PRO LOCO PRATOLA SERRA

con il patrocinio del

Comune di Pratola Serra (AV)

MOSTRA

PRATOLA SERRA, DALLA PROTOINDUSTRIA AI GIORNI NOSTRI

Il Presidente della Pro Loco: M.Panza

Pratola Serra, Aprile 2014

Ricerca storica ideazione e scelta delle immagini: R. Palladino

Sviluppo di alcune immagini: R. Magliaro

Curatore editoriale: A.R. Musto

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MOSTRA – Pratola Serra, dalla protoindustria ai giorni nostri.

Indice INTRODUZIONE ........................................................................................................................... 4

PRATOLA SERRA DALLA PROTOINDUSTRIA AI GIORNI NOSTRI .................................... 6

LE TAVERNE DI PRATOLA SERRA ......................................................................................... 18

IL MULINO AD ACQUA DETTO DI SERRA UBICATO IN PRATOLA .................................. 26

LE FERRIERE SUL FIUME SABATO: LA FERRIERA DI SERRA ......................................... 31

L'ANTICA FABBRICA DI VETRI DI PRATOLA SERRA ......................................................... 34

IL FONDACO DEL SALE DI PRATOLA SERRA ..................................................................... 40

LA CENTRALE IDROELETTRICA E L'ANNESSA CARTIERA IN PRATOLA SERRA ....... 45

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MOSTRA – Pratola Serra, dalla protoindustria ai giorni nostri.

Ai tanti uomini e donne operosi che vivevano in Pratola Serra, i cui cognomi non si

discostano molto dagli attuali. A noi che siamo i figli.

Raffaele Palladino

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MOSTRA – Pratola Serra, dalla protoindustria ai giorni nostri.

INTRODUZIONE

Johann Peter Habel ha scritto una volta: "Siamo disposti o no ad ammetterlo, noi siamo piante che debbono crescere radicate nella terra, se vogliamo fiorire nell'etere e dare frutti". L'idea di un catalogo-mostra sulla storia dalla protoindustria ai giorni nostri - il mulino del Principe Tocco, il fiume Sabato, la Regia Strada di Puglia, le Taverne, il mulino ad acqua, le ferriere sul fiume Sabato, l'antica fabbrica di vetro, il fondaco del sale, la centrale idroelettrica e l'annessa cartiera - , in collaborazione con la Pro Loco di Pratola Serra, scaturisce dalla considerazione che la produzione storica irpina è una risorsa da valorizzare, anche per lo sviluppo socio-economico della Provincia. Questo libro vuole fungere da supporto alla diffusione e all'utilizzo consapevole delle buone pratiche della ricerca storica. La storia, in quanto tale, è ricca di punti fermi, come sostiene Giuseppe Muollo: "La Valle che prende il nome dal fiume Sabato è stata, sin dal periodo sannitico, una grande arteria di comunicazione tra il beneventano e il salernitano, mettendo in comunicazione le popolazioni dell'interno con il mare Tirreno e il mare Adriatico (...). La sua percorrenza in età romana è documentata dalla Tabula Peutingeriana e dall'Anonimo Ravennate”. Gli storici, al pari di tanti altri studiosi, sono nelle loro opere grandi utenti di letture: la loro propensione si rivela soprattutto per gradi e per strati. In altri termini, la narrazione storica aiuta l'essere umano a collocarsi nel tempo, basti pensare a quanto scrive la giornalista Maria Elena Cortese sulla storia del mulino: "Un testo arabo del VII secolo d.C. ci narra che il califfo Omar I, conquistatore della Persia, nel 636-42 ordinò a un persiano esperto in questa tecnica di costruire un mulino fatto ruotare dal vento. Si tratta della prima testimonianza riguardo tale macchina, che a quanto pare era conosciuta in epoca greco-romana. In seguito, intorno all'ann0 950, due geografi persiani fornirono una testimonianza di questi congegni”. È bello sapere che questa macchina, con la ruota che azionava un lungo palo verticale, che trasmetteva direttamente il moto circolare alla macina posta all'interno della costruzione, fosse presente lungo il nostro fiume. Tra il presente e il passato esiste un legame molto stretto, un formidabile legame che può tramutarsi in possibilità. È per me motivo di grande soddisfazione poter presentare questa ricerca.

“Questo libro è una preziosa occasione per riscoprirci comunità e sentirci fieri di essere Pratolani”.

Lo studio di Palladino, in linea coerente con i precedenti volumi già pubblicati, rappresenta un rilevante contributo storico in direzione di un'indagine puntuale e fedele. Dal punto di vista bibliografico esiste ancora ben poco attorno a questo argomento. Pertanto, il libro concepisce l'investigazione storica come spazio di scoperta. Esso si rivolge innanzitutto ai Pratolani ma, evidentemente, per la sua stessa scommessa, per la sua stessa trama che sceglie la rete comunicativa, può rivolgersi a quanti vorranno conoscere questa parte importante della storia della Valle del Sabato. Affido, quindi, a tutti - in modo specifico e particolare ai più giovani - la lettura, anche perché è elaborata in formato accessibile, oltre che piacevole per le immagini che la

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MOSTRA – Pratola Serra, dalla protoindustria ai giorni nostri.

arricchiscono. Questo lavoro traccia, indubbiamente, un'impronta indelebile per gli studi futuri. Ebbene, per le cose fin qui dette e anche per quelle non espresse, desidero rinnovare la mia stima nei confronti del curatore e di tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questa mostra. Antonio Aufiero

Sindaco del Comune di Pratola Serra

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MOSTRA – Pratola Serra, dalla protoindustria ai giorni nostri.

PRATOLA SERRA, DALLA PROTOINDUSTRIA AI GIORNI NOSTRI

(Breve escursus storico e schizzi dei principali opifici e strade di comunicazione presenti sul territorio dal sec. X al sec. XX e nota critica)

Il territorio di Pratola Serra durante l'Impero Romano faceva parte della “Tribù Galeria”

assieme ad ABELLINUM (Atripalda) e altri. La popolazione era sostanzialmente dedita

allo sfruttamento agricolo che veniva effettuato attraverso grandi <Ville> (fattorie) con

salariati e servi. La presenza di <Ville> a Pratola, Montefalcione, ecc. è un dato di fatto; al

II sec. d.C. risale la nostra, venuta alla luce appena dopo il sisma del 1980 e con essa

anche una chiesa-cattedrale di epoca longobarda dedicata a San Giovanni di Pratola.

Dopo un primo intervento di emergenza del Ministero dei Beni Culturali con l'apposizione

dei relativi vincoli, è seguito un trentennio di disinteressamento e di abbandono totale, sia

da parte dell'Ente Locale che del Ministero. Oggi, questa Amministrazione si è sentita in

dovere di intervenire per la ripresa degli scavi con un progetto denominato “Pratola Serra:

recupero e valorizzazione del sito archeologico di contrada Pioppi”, sottoscrivendo un

comodato d'uso gratuito per anni 30 col proprietario del fondo e, per l'occasione, un

protocollo d'intesa per la realizzazione di opere, di interventi o programmi di interventi per

la valorizzazione, il recupero e la conservazione del patrimonio culturale con il DISPAC,

Dipartimento di Scienze del Patrimonio Culturale, dell'Università degli Studi di Salerno.

A tutto ciò ha fatto seguito anche una interpellanza parlamentare sullo stato di degrado e

abbandono del sito archeologico di Pratola Serra d'interesse nazionale e internazionale.

La <Villa Romana> di Pratola è situata al centro di un latifondo e in prossimità di

importanti strade di comunicazione ed ad un “trivium” (trivio) che la strada <Salernum-

Abellinum-Beneventum> e la strada <Salernum–Abellinum-Aeclanum> formava proprio a

Pratola. In questo importante nodo stradale, a ridosso della <Villa romana>, non potevano

non edificarsi delle strutture ricettizie eredi delle antiche <mansiones>, come le

<taverne>, e non sorgere <una chiesa-cattedrale con fonte battesimale ad infusione>.

Due di queste <taverne>, la <Taberna detta della caupona>, denominazione che ci rinvia

direttamente al mondo romano (significa osteria per eccellenza), e la seconda, <la Taberna

detta Magna>, cioè <grande di Pratola> (anch'essa per la sua vastità si collega

lessicalmente al mondo romano), sorsero proprio a contatto immediato della <Villa

Romana> e sulla <Strada Regia delle Puglie>. A queste si aggiungono una terza, <Taberna

detta Serritiello>, a causa della sua ubicazione a ridosso del Bosco Demaniale di Serra,

detta anche <Taberna della Noce> per l'esistenza in quel tempo di un grande noce, oggi

invece insiste un grande tiglio, una quarta taverna collegata al Mulino e al suo traffico,

detta anche <Taberna del Mulino>, e una quinta taverna nella <Piana> detta della <Piana

di Serra>, la quale era ubicata nei pressi dell'attuale fabbrica F.M.A.

Molteplici altre attività si svilupparono nella media valle del fiume Sabato. Tra le più

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antiche ricordiamo quella dei <Mulini ad acqua>, di cui uno sorto intorno all'anno mille

presso <il ponte del Pezzo> di terra, chiamato volgarmente <Ponte delle Pezze>, che

collegava Pratola con Prata. Successivamente, intorno al 1450 /1500, questa attività fu

trasferita <al ponte detto delle lamie> o <ponte di Bosco Bottaccio>, attuale ponte che

collega Pratola con <Taverna Nova>. Sul vecchio sito del Mulino al <Ponte del Pezzo>, le

strutture idrauliche vennero utilizzate esclusivamente per la lavorazione del ferro e del

rame, quindi furono trasformate in <ferriera e ramiera>.

Verso la fine del 1500, vicino al mulino, sorse una polveriera in quanto, utilizzando gli

stessi magli idraulici, si potevano pestare e ridurre le materie prime in polvere pirica.

Contemporaneamente nell'abitato di Pratola, tra il 1400 e il 1500 in un vetusto e

caratteristico fabbricato demolito per dar posto a una piazzetta pensile, si incominciava a

<lavorare il vetro>, attività molto rara in quel tempo. Nei pressi del Mulino, nella parte

bassa di Pratola, le acque del canale vennero, per un breve periodo (1550 – 1650), utilizzate

anche per far funzionare dei magli per la lavorazione della carta. Qui, in questa <Cartiera>,

così come è detto nei documenti, “si fabbricavano due tipi di carte, una fine e una ruvida”.

Sempre a Pratola, verso la fine del 1700, si ha notizia di un <Fondaco del Sale>, con tanto

di regolamento e statuto, dove si lavorava, insaccava e commercializzava questo

importante minerale. Quindi, la forte produzione del grano nelle terre del Principe di

Montemiletto e la vicinanza delle acque del fiume Sabato giustificavano, fin dai primi

tempi, la presenza dei Mulini; allo stesso modo, la presenza di alambicchi e quindi di

fabbricatori di alcol mettevano in evidenza una forte produzione di vini e quindi di vinacce.

Chiaramente, oltre queste di maggior prestigio, fiorivano altre attività, come quelle svolte

dagli embriciai, maccaronari, vasai, coltellai, torronai, rotari, maniscalchi, falegnami, sarti,

fabbricatori di scarpe, pirotecnici, sellai e fabbricatori di finimenti detti <cignari>, ecc.

Tutte queste attività che occupavano una larga fascia di artigiani sono scarsamente e

frammentariamente documentate, per cui è difficile trattarle per il momento. Alcune di

queste attività sono scomparse da tempo, altre, tecnologicamente più avanzate, sono

sopravvissute fino ai nostri giorni, come una cartiera ed una centrale idroelettrica, due

mulini, delle falegnamerie, dei fabbri e un cinema.

La strada Reggia delle Puglie e il fiume Sabato hanno rappresentato per

secoli la fortuna di Pratola Serra.

Per molti secoli, fino all'anno mille che corrisponde con la fine del dominio dei Principi

Longobardi di Benevento, questo apparato stradale rimase tale. Nei documenti più antichi

di questo periodo sono raramente ricordati una < … via antiqua … > (anno 979) che

proveniva da <Abellinum> (Atripalda) seguendo la riva destra del fiume Sabato, passando

per il territorio del castello Longobardo di Serra, arrivava a Pratola, dove c’era già un

nucleo abitativo Longobardo insediatosi sui resti di una <Villa Romana> con una

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importante Chiesa –Cattedrale dedicata a San Giovanni; da qui, questa importante via

antica si spingeva in <finibus de Monte Aperto> (in prossimità della Longobarda Monte

Aperto) e proseguiva per <Eclanum> per poi inoltrarsi nelle Puglie.

Da Pratola, proveniente sempre da <Abellinum> (Atripalda), si diramava, formando un

<trivio>, un'altra <stradam majorem> (strada maggiore) che passando (anno 958) per

sotto Tufo, seguendo la riva destra del fiume Sabato, s'inoltrava nello stretto di Barba alle

falde della << … ipsas Plancella … > (la stessa Chianchetelle ) per raggiungere Benevento.

Questa stessa via viene ancora menzionata in un altro documento longobardo (anno 1015)

il quale dice che una << … via publica carraia quae venit ab ipsa Plancella … > (via pubblica

carraia la quale viene dalla stessa Chianchetelle) si porta a Benevento.

La stessa <via antiqua> proveniente da Pratola, passando per sotto Chianchetelle che

entrava in Benevento, viene accennata anche in un altro documento longobardo (anno

1042); ma con l'isolamento di quest'ultima città dal resto del Regno, perché donata allo

Stato Pontificio dall'ultimo Principe Longobardo, il tratto principale della <Via Appia

Napoli–Capua-Benevento> decadde progressivamente, in quanto questa città era divenuta

un “enclave”, cioè un territorio completamente chiuso al libero traffico e commercio. Così,

a decorrere dal periodo Normanno-Svevo-Angioino-Aragonese, il traffico da Napoli-

Capua-Benevento per la Puglia si sposta progressivamente su un altro nascente tracciato di

comunicazione più breve e privo di ostacoli al commercio e alla circolazione, che prendeva

il nome di <Strada Regia delle Puglie> che da Napoli–Cimitile-Avella-Monteforte-Avellino

per Arcella, seguendo la riva sinistra del fiume Sabato, attraverso Pratola per Eclano, si

portava in Puglia; quindi non più per <Abellinum> (Atripalda) e la relativa riva destra del

fiume Sabato. La vera costruzione di questa strada avvenne solo dopo la metà del 1500 e

durò alcune decine di anni (1590) con l'impiego di alcune centinaia di operai, imprese e

architetti.

Il <fiume Sabato e la Strada di Puglia> hanno rappresentato per secoli “la fortuna per

Pratola Serra” sia dal punto di vista demografico che imprenditoriale. Il tratto che andava

da Monteforte per Pratola per la salita della Serra fino ad Eclano e Grottaminarda era il più

impervio e bisognevole di ponti e interventi murari, nonché di maestranze specializzate e

di moltissima manodopera per la sua realizzazione. Per coordinare la costruzione della

<Strada> fu nominato, nel 1569, un <Reale Commissario per le Strade di Puglia>. Questi

aveva il compito anche di disciplinare i capi <masti> che dovevano <servirsi di uomini e

anche di animali da soma nonché interessarsi delle relative paghe e infine di ripartire il

servizio di questi fra le varie università (comuni) confinanti>, come Montaperto,

Castelmozzo, Serra (Pratola), Montefusco, Montemiletto, Santa Paolina, ecc.

Dalla caduta dell'Impero Romano non si era mai costruita una strada così importante nel

Sud Italia; infatti per dirimere le numerose vertenze dei dazi sui materiali, merci, viveri e

sui diritti di dogana delle varie università, come ai tempi della costruzione dell'Appia, fu

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imposto un <Magistri Stratarum Apuliae>. Dal 1550 al 1600, il movimento di uomini e

merci da Napoli per la Puglia e viceversa era tale e tanto che per molte località poste lungo

questo percorso, come Pratola, fu necessario, per far fronte a questo stravolgente evento,

potenziare i luoghi di sosta, pernottamento e commercio esistenti, come le <Taverne della

Caupona e quella Magna>; furono così costruite altre tre: <la Taverna detta del

Serritiello>, quella della <Piana di Serra> ed una specifica per gli avventori del Mulino che

serviva per molire i grani di carovane di muli che, provenienti dalla Puglia e diretti a

Napoli, si muovevano uniti per difendersi dagli attacchi dei numerosi briganti. I capitali

per potenziare le taverne, i mulini e i forni furono forniti dai baroni Poderico di Serra,

antica famiglia feudale di origine mercantile, e poi in seguito dai successori del feudo, i

principi Tocco. In conclusione, parlando di questa grande strada di comunicazione

realizzata durante il Vice Regno spagnolo, è doveroso dare qualche dato sull'intervento,

cioè sulla sua realizzazione.

L’attraversamento dei fiumi Sabato e Calore e loro affluenti, prima della costruzione dei

ponti, avveniva con <scafe>, cioè con zattere mobili, che servivano per lo spostamento di

persone, merci, animali da soma e carri.

A titolo di conoscenza riportiamo solo alcuni dati intorno alla costruzione del tratto

Avellino-Grottaminarda. La costruzione del ponte al <Molino di Montefredane> fu

incominciata solo nel 1565 dalla ditta Martinello Scannapieco di Cava dei Tirreni, nonché

la costruzione tra il territorio di Prata e Pratola Serra del <Ponte sul fiume Sabato> (in

località Ponte Sabato-F.M.A.). Il medesimo Scannapieco e Francesco Stanfella, maestri e

imprenditori, si aggiudicarono anche l'appalto di < … fare la Regia Strada di Puglia da lo

Ponte de Buczaco fino al Calore.> (dal Ponte di Bosco Bottaccio che si collega con Taverna

Nova fino al fiume Calore). Numerosi furono i ritardi per inconvenienti vari per cui solo

nel 1587, da un diverso imprenditore e maestro, De Domenico Giovan Benedetto di Cava,

furono completati i lavori < … di costruzione della Regia Strada con tutte le opere dalla

Serra di Montefusco a Dentecane … >. Un altro tratto di strada < … dal Ponte di Calore a

Grottaminarda … > fu eseguito invece dal seguente gruppo di imprenditori: Giovan Carlo

De Domenico, Pirro De Domenico, Pirro Luigi Salsano e Conforto Salsano, il cui appalto fu

aggiudicato già nel 1566.

Ci siamo limitati a descrivere solo un piccolo tratto della costruzione di questa <Strada

Regia di Puglia>; ma se si segue il vecchio percorso si scoprono ancora i resti abbandonati

di tratti dismessi. La <Strada Regia delle Puglie> passante per Pratola, divenuta poi via

Nazionale delle Puglie, oggi è semplicemente una via Provinciale Avellino-Benevento.

Anche le acque del fiume Sabato non vengono più utilizzate per irrigare i terreni della

Piana di Serra e Pratola, né per sviluppare energia idraulica che ha attivato tanti opifici e

né per la pesca per il suo tasso di inquinamento. Oltre a questo grande <fiume> che solca

la nostra valle, anche l'aria che lo sovrasta è insalubre per la presenza di “attività

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industriali estranee alla nostra cultura” aggravate anche da un mancato trasporto su strade

ferrate di materie prime e prodotti finiti nonché rifiuti urbani. Anzi, per tutta risposta, è

stato soppresso anche il <Servizio dello Scalo Merci di Avellino>, con il conseguente blocco

del <Grande Scalo ferroviario> costruito nel cuore del Nucleo Industriale A.S.I. allo scopo

di lenire i “danni ambientali e sanitari” enormi alle popolazioni della Valle del Sabato e

costato, per la sua realizzazione, alcune centinaia di milioni di euro.

Nota critica e conclusione.

Pratola Serra, l'Irpinia e le province limitrofe sono terre a vocazione agricola alimentare.

Questo è il “tipo di industria principale che ci vuole”, o meglio che ci voleva per valorizzare

la produzione e l'artigianato ad essa collegato. Se poi a questa realtà produttiva si

aggiungevano altri tipi di attività, queste dovevano rappresentare solo un valore

aggiuntivo, ma non un elemento trainante dell'intera economia. Nel Veneto, fino a 3-4

decenni fa, vi erano secolari sacche di sottosviluppo e una notevole emigrazione come nel

Sud Italia, ma furono eliminate progressivamente facendo scelte oculate per la

valorizzazione della loro produzione. Una commissione di esperti, facente capo a dei

ministri lungimiranti, fece scelte controcorrenti. I finanziamenti nazionali ed europei,

quasi al 100% a fondo perduto, invece di affidarli a grandi gruppi di industriali, come è

successo nel Sud Italia, privilegiarono sviluppare l'artigianato locale fatto di fabbri,

falegnami e altri e trasformarono le loro attività in piccole industrie, creando un miracolo

economico. Invece nella nostra “Provincia” e nel Sud Italia in genere, si puntò soprattutto

sulla “Grande Industria” ad opera di “personaggi” che non mancarono di adulare i nostri

Ministri del Sud, come Ministri illuminati della “Magna Grecia”. Questa scelta di “industrie

estranee alle nostre risorse”, come si è visto in Irpinia e nel Sud in genere, servirono e

servono solo ad impoverirci sempre di più sotto tutti gli aspetti; infatti una volta chiuse o

ridotto il lavoro, creano una vasta fascia di sottoccupati e cassintegrati. Questi lavoratori

non possono ritornare né all'artigianato e né all'agricoltura, quasi distrutta, ma vanno

sicuramente ad ingrossare la massa enorme di disoccupazione giovanile.

Oggi nel Nord-Est e nel Sud Italia si è inserito un nuovo dramma, “la delocalizzazione delle

attività industriali”, per la precipitosa e poco oculata apertura dell’Italia, Francia, Spagna,

ecc. ai paesi dell'Est Europeo. Al momento della stipula dei trattati di adesione dei paesi

dell'Est, i nostri Ministri compiacenti, sbandieravano la positività di questa scelta che

rappresentava una occasione per l’aumento della produzione, dell’occupazione e

dell’esportazione. Questa era solo un miraggio illusorio e ingannevole. Invece la grande e

piccola industria, sfruttando il forte divario del costo del lavoro, hanno trasferito e stanno

tuttora trasferendo la propria produzione in questi paesi, creando anche occupazione, ma

soprattutto realizzando colossali guadagni. Infatti il costo netto mensile del lavoro nei

Paesi dell'Est Europa è di 150-200 Euro mensili, vale a dire un decimo del costo del lavoro

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netto in Italia. Invece, i Paesi dell'Est Europa potevano entrare a pieno titolo a far parte

dell'Europa Unita, ma con un filtro, cioè gradualmente e man mano che si appianava il

divario del costo del lavoro. Solo oggi la Regione Veneto sta prendendo coscienza e sta

preparando una <legge regionale anti-delocalizzazione>; ma per avere una possibilità di

riuscita, tale proposta di legge deve coinvolgere tutte le altre regioni dell'Italia e

dell'Europa Mediterranea.

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LE TAVERNE DI PRATOLA SERRA

La <Villa Romana di Pratola Serra>, come si deduce dai ruderi, è sorta su un trivio. Da qui

partivano tre strade: la prima, Pratola–Avellino–Salerno, la seconda, Pratola–Benevento, e

la terza, Pratola–Eclano.

In questo notevole nodo stradale, legato alla <Villa Romana>, sorgevano queste strutture

ricettizie chiamate <Taberne> (Taverna) che si servivano dei prodotti agricoli di questa

“Villa rustica” (fattoria agricola di notevole dimensione).

Le principali e più antiche taverne erano due: la <Taberna della Caupona> (taverna per

eccellenza nel mondo romano), detta volgarmente anche del “Capannone”, e la <Taberna

Magna>, cioè la “taverna grande detta della Pratola”, collegata anch'essa al mondo classico

romano. Queste, forse, sono sopravvissute anche dopo la caduta dell'Impero Romano.

Infatti, dopo l'anno mille, le due taverne compaiono nelle investiture feudali più antiche tra

i baroni normanni di Serra e i baroni Grillo del 1300, in quanto tra i beni oggetto del

trasferimento risultano, appunto, le <Taberne>, il <Trapetum>, cioè il frantoio per le olive,

una fabbrica di <copeta>, vale dire di torrone ecc. A queste due taverne, nel 1500 circa,

visti i notevoli traffici per Pratola, se ne aggiunsero altre tre: la <Taberna del Serritiello>,

detta anche della <Noce>, la <Taberna della Piana di Serra> ed ultima la <Taberna del

Mulino>. Queste, secondo l'antico criterio romano della funzione delle <Ville rustiche>,

cioè delle <Fattorie rustiche>, erano regolate da un contratto di fitto di un latifondo

adiacente che tutti i signori feudali dai Grillo, ai Poderico e ai Tocco hanno garantito fino

all'abolizione della feudalità del 1806. Nel fitto della <Taberna della Caupona>,

trasformata molto dopo il 1800 dalla famiglia Piscopo in residenza privata, erano compresi

tutti i territori alle spalle della stessa e quelli antistanti, cioè quei territori che erano

interposti fra la “Regia Strada delle Puglie” e la via detta del Pezzo (di terra) o volgarmente

detta delle <Pezze>. Nel fitto della <Taberna Magna>, cioè Taverna grande di Pratola,

adiacente alla Chiesa di Maria SS dell'Addolorata, erano compresi tutti i territori ad essa

retrostante, cioè quei terreni che erano interposti tra la via delle <Saudelle> e la via detta

<Ariavecchia>, chiamati le <Surti>. La <Taberna del Mulino>, invece, era collegata

direttamente al traffico di macinazione dei cereali del <Mulino di Pratola>. Nel fitto della

<Taberna del Serritiello> o della <Noce> erano compresi quei terreni che erano interposti

tra il crinale del <Bosco di Serra> o collina del <Serritiello> e la predetta via delle <Pezze>.

Alla <Taberna della Piana di Serra>, che era ubicata dove attualmente sorge la F.M.A.,

erano affittati tutti i terreni di detta <Piana>, nonché quelli interposti tra la stessa taverna

e il crinale del <Bosco di Serra> che guardano alla fabbrica anzidetta. Queste taverne che

comparivano nelle investiture feudali più antiche continuarono ad essere tali, in parte,

anche dopo l'abolizione della feudalità; ma quelle che sopravvissero fino ai primi decenni

del 1900, erano solo due, la <Taverna Magna> o <Taverna grande di Pratola> e la

<Taverna del Serritiello> o della <Noce>.

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MOSTRA – Pratola Serra, dalla protoindustria ai giorni nostri.

Dai baroni Grillo ai Poderico, nel 1601, queste taverne passarono ai Principi Tocco. A titolo

di conoscenza riportiamo in sintesi solo alcuni obblighi nei riguardi dei Signori feudali,

contratti di vendita e soprattutto di fitto, per dare un'immagine di quella che era la vita di

queste <Taverne>.

Tra gli obblighi degli abitanti del Castello di Serra e dei feudi di Pratola, Manocalzati e

Salza vi erano quelli che gli abitanti di questi feudi dovevano potare le vigne ed arare con i

buoi i terreni del barone.

Adesso mettiamo in evidenza una vendita. Nell'anno 1537, il barone Paolo Antonio

Poderico, fedele diletto del RE (… Pauli Antoni Puderici Regi Fidelis dilecti…), vende a

Diana Caracciolo, nel feudo del Castello di Serra, Provincia del Principato Ultra, vicino al

fiume chiamato Sabato, due taverne nel suo feudo … sito nel luogo dove è detto la Pratola (

… in feudum situ Castri Serre Provintie Principatus Ultra incta flumen nuncupatus

Sabato… duas tabernas situs… il loco dicitur la Pratula … ).

Come per prassi, l'assenso alla vendita delle due taverne, fu dato dal Vicerè di Napoli,

Pietro de Toledo. Le due Taverne in Pratola erano quelle più antiche e legate alla <Villa

Romana>, nonché alla chiesa-cattedrale longobarda di S. Giovanni di Pratola: cioè <la

taberna della Caupona e la taberna Magna>. Nel 1601 queste due taverne e l’intera Baronia

di Serra e casali Pratola e Manocalzati furono vendute dal barone Poderico al Principe

Tocco di Montemiletto.

Uno dei primi documenti di fitto che rintracciamo risale all'anno 1611; infatti è detto che:

<<… nella Pratura territori Castri Serre constituiti>> (nella Pratola territorio del Castello

di Serra si è costituito) Gentile della Bella di Monteforte per affittarsi la <Taberna Magna>,

detta anche taverna grande della fontana, per tre anni, a 50 ducati all'anno.

Altra stipula di contratto porta la data 1629, nel quale Ruggiero Petito e Decio Duardo di

Manocalzati presero in affitto dall'erario della Curia Baronale di Serra, Paolo Cillo, la < …

Caupona sue tabernam de dicta Curia existente in terr. Serre ubi dicitur la Pratura … > (la

Caupona ossia la taverna di detta Curia esistente nel territorio di Serra nel luogo dove è

detto la Pratola…). Intorno a queste taverne ruotava tutta la vita, non solo di Pratola, ma di

tutto il circondario, visto che queste erano superiori di gran lunga, come recezione, a quelle

delle zone limitrofe, quali le taverne di Pianodardine e di Avellino, come si denota anche

dall'alto costo del fitto e dalla grandezza degli stabili. In queste taverne, come si evince da

documenti storici, sostavano spesso catene di detenuti per essere tradotti al carcere del

capoluogo di provincia, Montefusco. Allora, il comune di Serra e il casale di Pratola

dovevano sostenere anche tutte le spese di pernottamento, vettovagliamento e per

l'acquisto di funi per rilegare i prigionieri. Pratola, allora, rappresentava l'ultima tappa di

questi infelici, prima di essere rinchiusi definitivamente in questo ergastolo; da qui il detto

di malaugurio < … puozzi passà p’à Pratola … >. Oggi ha tutt'altro significato, cioè quello di

venire a passare delle serate con tanta musica folkloristica e assaggio di prodotti

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MOSTRA – Pratola Serra, dalla protoindustria ai giorni nostri.

caratteristici locali>.

I fatto, dunque, che in queste taverne c'era vita, si deduce anche dalle non poche risse e da

più di un omicidio; spesso, nel 1600/1700, i luogotenenti preposti alla corte di giustizia

feudale di Montefalcione e Serra, insieme agli armigeri, dovevano portarsi a Pratola.

Chiaramente in queste taverne si mangiava, si beveva, si giocava e si pernottava, ma si

rinvenivano di tanto in tanto anche dei neonati abbandonati e infine si contraevano anche

contratti matrimoniali e di fitto davanti a notai. Infatti si rinviene, del 1642, un contratto

matrimoniale rogato davanti al notaio: in questo documento è detto che < … in Serra et

propriamente in taverna della piana di Serra si è costituito Berardino Nigro per stipulare

dei capitoli matrimoniali … >.

Un decennio prima (1638), nella stessa taverna della piana di Serra (… in Caupona plane

de Serra…) fu stipulato un contratto di fitto di terreni nella località “Mai” a un certo Curcio

Domenico di Serra, da parte dell'erario della <Baronia di Serra>, Francesco Picone di

Manocalzati. Questa <Taverna della Piana>, in quegli anni (1650), veniva affittata a Nello

Nauciello per 3 anni, a 110 ducati all'anno. Vista l'importanza della documentazione,

cerchiamo in sintesi di riportare più dati possibili intorno a questa attività. Così nel 1766 la

<Taberna Magna>, o taverna grande di Pratola, è affittata a <Onofrio e Benedetto Sozio,

figli di Giuseppe e Rosa Ambrosone … >.

La medesima <Taberna Magna o Grande della Pratola>, nel 1769, è affittata dal

procuratore del Principe di Montemiletto, Paolo Giannelli di Montefalcione, a Simone de

Palma e Giulia Giordano di Pratola per 3 anni. Nel fitto sono comprese: 12 tomole di

terreno e varie stanze < … per l'anno estaglio di ducati 140, più la metà delle frasche dei

terreni in affitto, si specifica che l'altra metà delle frasche serve per l'affittatore del forno>.

Questi danno per garanzia due stanze e 2 pezzi di terreno. Nello stesso anno 1769 anche la

<Taberna della Caupona di Pratola> è affittata a Nicola, Carmine e Angelo de Palma, padre

e figli, per 3 anni a 222 ducati all'anno. Questo documento ci dà anche altre notizie; infatti

specifica che nell'affitto è inserito il patto di <comprare il pane e i maccheroni al forno di

Pratola e nel macello la carne, sotto la pena di 6 ducati da pagare alla corte baronale del

Castello di Serra>. Qui si specifica ancora che <il macello> suddetto della Corte Baronale

era affittato a Gioacchino D'Amore, Carmine Miglio e Giacomo Silano per ducati 48

all'anno. Nel 1772, ancora, la <Taberna della Caupona di Pratola>, dal procuratore del

Principe Tocco, Vincenzo Iennaco, viene affittata agli stessi De Palma. Lo stesso Iennaco,

nel 1775, in qualità di procuratore del Principe Leonardo di Tocco, affitta la <Taberna del

Serritiello o della Noce> a Giuseppe Silvestro e Rosa Noviello coniugi e a Nicola Silvestro e

alla moglie Angela Acone. Si apprende che la taverna comprendeva diverse stanze con un

territorio di 27 tomali di terreno per l'annuo canone di 148 ducati. Tra l'altro da questo

contratto si apprende che il passato affittatore era Vincenzo Dato al quale dovevano 87

ducati di paglia e fieno. Alcuni anni prima del 1771, il procuratore del Principe Tocco, Paolo

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MOSTRA – Pratola Serra, dalla protoindustria ai giorni nostri.

Giannelli, aveva affittato la <Taberna Magna di Pratola> a Nicola Sordillo e figlio Virgilio e

Nunzio e Donata D'Amore sua moglie; ma questi, non potendo pagare il dovuto, furono

messi in prigione. Ritornando a Vincenzo Iennaco. procuratore del nuovo Principe

Restaino de Tocco, questi affitta a Nicola Acone e Veneranda di Donato e Crescenzio Dato

la <Taverna Magna della Pratola> per 175 ducati all'anno. Lo stesso Iennaco, procuratore

del Principe, nello stesso anno affitta a Crescenzio e Felice Fabrizio <la Taverna della

Caupona> in Pratola con 40 tomali di terreno per 3 anni a 251 ducati all'anno.

Chiudiamo questa sfilza con tre affitti del 1790. Sempre il procuratore del Principe,

Iennaco, affitta a Pasquale Piscopo <la Taberna della Caupona>. Il medesimo Iennaco, in

qualità di procuratore, affitta la <Taberna Magna> di Pratola a Benedetto Sozio. Infine lo

stesso affitta a A. Altavilla la <Taberna del Serritiello>.

L'elenco degli affitti può continuare ancora per molto, può essere approfondito, ma

rinviamo il tutto a un saggio specifico; l'intento era solo quello di dare l'immagine di un

mondo che non c'è più, dove tanti uomini e donne operosi vivevano in Pratola Serra, i cui

cognomi non si discostano molto dagli attuali.

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IL MULINO AD ACQUA DETTO DI SERRA UBICATO IN PRATOLA

La presenza dei mulini nella valle media del Sabato è antichissima. Di un mulino ad acqua

si ha notizia nel tardo periodo longobardo, di proprietà della Contessa Altruda di

Montaperto, erede dei Castaldi di Avellino, intorno al 1000. Questo mulino, detto

Muliniello, ha dato il nome all'omonima località ubicato sul torrente Marotta, (detto in

tempi antichi Vallone degli Eremiti), affluente del fiume Sabato. Fu in seguito ceduto dalla

contessa con tutti i servi e i territori adiacenti all'abbazia di Cava dei Tirreni. Altri mulini

lungo il fiume Sabato erano siti nel territorio di Pratola Serra, il più antico dei quali era

ubicato vicino al ponte del Pezzo, detto poi il ponte della Ferriera, oggi ponte delle Pezze.

I primi dati intorno a questo mulino risalgono al 1300/1400: lo si deduce dai passaggi dei

feudi della Baronia di Serra, di Pratola, ecc., dai baroni Grillo ai baroni Poderico.

Quest'ultima famiglia, tra il 1400 e il 1500, costruì nuovi mulini, più a valle del fiume

Sabato, mentre i vecchi locali furono adibiti a ferriera e ramiera. Il nuovo mulino, posto

nella parte bassa di Pratola, a cui venne annessa anche una taverna, era composto da 4 a 6

macine. L'acqua proveniva da un canale di deviazione del fiume Sabato lungo circa 2 Km.

Esso, nel 1601, passò ai principi di Montemiletto e, solo verso la fine del 1800, fu

acquistato da privati che, agli inizi del 1900, lo trasformarono in cartiera; le acque furono

sfruttate anche per attivare una turbina per la produzione di energia elettrica.

Riportiamo qui in sintesi solo alcuni contratti di vendita e soprattutto di fitto, solo per dare

un'idea dell'importanza e del ruolo di questi “Mulini” in Pratola.

Nell'anno 1537, sotto il regno di Carlo V, don Pietro di Toledo, marchese di Villafranca …

vicerè del Regno (Carulus quinto… don Petrus de Toledo marchio Villa Franca…vicerex

Regno…) dà il beneplacito a Paolo Antonio Poderico, barone di Serra e dei casali di Pratola,

Manocalzati e Salza, per la vendita a Diana Caracciolo, moglie del defunto Luigi, barone di

Montefalcione, di tre mulini macinatori nel suo feudo del Castello di Serra, provincia di

Principato Ultra, vicino al fiume chiamato Sabato, nel luogo dove è detta la Pratola (… tria

molendina macinatoria… in feudum situ castri Serre Provintie Principatus Ultra… iucta

flumen nuncupatus Sabato… in loco licitur la Pratula…). Questi mulini di Pratola, nel 1575,

riacquistati dai Poderico, furono affittati dalla sua Corte Baronale di Serra a un certo Luca

Strangia ed altri della sua compagnia. Nello stesso tempo il Capitano dell'Università

(Comune) di Serra costrinse a ridurre alla ragione gli abitanti di S. Potito e Parolise, che si

servivano dei Mulini di Pratola, a pagare la gabella degli sfarinati. Anche gli abitanti del

Castello di Serra e di feudi di Pratola, Manocalzati, Salza e Montefalcione avevano degli

obblighi nei riguardi dei Signori feudali. Fra questi obblighi vi era quello di servire alcune

giornate gratis per riparare la <palata> con pali e fascine tutti gli anni. Ma anche con i

vicini signori, il barone Poderico Paolo di Serra ebbe delle pendenze; in particolare col

barone di Prata, Giovan Francesco Gargano. Così nel 1591 iniziò una lite sulla divisione

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delle acque del fiume Sabato che alimentavano i Mulini di Pratola e di Prata. Alla fine si

venne ad una transazione bonaria e si stabilì che il barone di Serra e i suoi successori < …

non si pigliano più delle mità dell'acqua … e perché dalla divisione dell'acqua non nasca

altra controversia si stabilisce> di apporre < … lo piliero de fabrica… alla bocca

dell’arcaturo… che è vicino alla palata (palizzata) stessa per fare la divisione dell'acqua …>.

Già da tempo i Poderico (1601) avevano venduto la Baronia di Serra e i feudi di Pratola e

Manocalzati al Principe di Montemiletto. Sotto il dominio di questo signore, la Corte

baronale di Serra affitta i Mulini di Pratola. Infatti il 22 settembre 1639 < … in casali

Prature> Farnese Tiberio e Geronimo Santaniello di Quindici di Lauro si affittano i Mulini

della Baronale Corte di Serra per tre anni < … e da finere in agosto 1642>.

In questi mulini si stipulavano anche contratti con tanto di notaio; infatti è detto che qui <

… nelle Molina nove di Serra site nella Pratura> davanti al notaio si costituiscono un certo

Bergamino ed altri abitanti di Prata per una vendita, ecc.

Tra i molti fitti si mette in evidenza, in particolare, uno che riguarda gli Iennaco che si

erano appena trasferiti da S. Giorgio di Sanseverino. Infatti, nel 1725, il Principe di

Montemiletto, Leonardo di Tocco, tramite il suo procuratore Luca Antonio Paoletti, affitta i

Mulini di Pratola ai fratelli Iennaco di S. Giorgio.

Nel 1757 si rintraccia un altro documento di fitto del Mulino in Pratola da parte del

Principe di Montemiletto. L'atto dice che < il Mulino nuovo è affittato a Giovanni Iennaco

da S. Giorgio di Sanseverino … >.

Altro documento di fitto porta la data del 1772. In questo è detto che dal principe di

Montemiletto, tramite il suo procuratore, < … sono affittati i sei Mulini del Casale di

Pratola della Baronia di Serra a Filippo e Matteo Mipatti, per 3 anni>. Probabilmente

questo fitto fu disdetto, perché dell'anno 1773 si rinviene un nuovo contratto intorno a

questo Mulino di Pratola. A stipulare questo contratto è Vincenzo Iennaco in qualità di

procuratore del Principe Leonardo di Tocco. L'atto di stipula del fitto del Mulino del

procuratore Iennaco riguarda Pasquale Mangiante e sua moglie, Ciriaco Garzone e Felice

di Fabrizio, tutti di Pratola. Nell'anno 1808, il Principe Carlo Tocco, tramite il suo

procuratore Gaetano Iennaco, affitta ai fratelli Speranza (Giovanni, Angelo, Sabato, Pietro

ed Antonio) di Monteforte, per 8 anni, i sei Mulini di Pratola per 2400 ducati all'anno. Si

aggiungeva nel medesimo atto che i fratelli Speranza < … hanno pensato che essendo

questi mulini distanti dal loro paese, di esserci bisogno di persona che avesse potuto

difenderli, hanno deliberato, di detto (fitto) farne quattro parti uguali e di darne una di

queste al sig. Don Gaetano Iennaco di questo suddetto casale (di Pratola)>. I principi

Tocco di Montemiletto, dai primi decenni del 1800 e fino alla divisione delle loro proprietà

feudali tra i diversi eredi, affittano i Mulini di Pratola a numerose persone locali e non. Ad

ereditare l'impianto molitorio di Pratola Serra fu Maria Camilla Tocco, principessa di

Bovalino, nel 1826; in seguito passò al cav. Giuseppe Leoni e cav. Nicola Vaglio, che ai

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primi anni del 1900, gravati di debiti ed ipoteche, cederono i mulini ai fratelli Luigi e

Raffaele Acone fu Teobaldo per poche decine di migliaia di lire. Gli ultimi affittuari o

conduttori dei Mulini, dal passaggio di proprietà dai Leoni-Vaglio ai fratelli Acone, furono

Pasquale Carpenito fu Serafino e Sellitto Carmine fu Generoso di Pratola. Questo mulino

con ben sei palmenti, dopo quasi un millennio di peripezie, intorno al primo ventennio del

1900 fu dagli Acone, venduto ad Ungaretti Pietro, per trasformarlo in una centrale

idroelettrica e cartiera. Intanto a Pratola Serra, in località < Acquaviva > rimasero solo due

piccoli mulini ad acqua di proprietà della famiglia Piscopo, non sufficienti a far fronte al

fabbisogno della macinazione dei cereali del luogo. Così, a seguito della trasformazione

degli ex mulini del Principe Tocco ad altro uso, in Pratola si rese necessario l'impianto di

altri mulini a palmento, ma ad energia elettrica; un impianto fu realizzato da Pasquale

Carpenito in via Garibaldi intorno al 1930 ed un altro impianto realizzato da Pasquale

Palladino, in via Vittorio Emanuele, un ventennio dopo.

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LE FERRIERE SUL FIUME SABATO: LA FERRIERA DI SERRA

Dopo aver effettuato una rapida carrellata sulle varie attività economiche che sono fiorite

grazie all'energia idraulica, vogliamo soffermarci sulle ferriere che hanno avuto l'acqua

come motore per azionare i mantici (consentendo ai forni di raggiungere le alte

temperature) e i magli per la lavorazione dei materiali ferrosi. Ci limiteremo a trattare un

periodo ristretto di soli sette mesi dell'anno 1490, sotto il regno di Ferdinando I d'Aragona.

La produzione era molto diversificata e andava dal ferro piatto al ferro quadro, dalle lance

ai dardi, canne per archibugi, lame, ecc. I carboni di castagno venivano prodotti sul posto,

mentre il minerale di ferro veniva prelevato a Castellammare di Stabia, ma anche lungo le

rive del fiume Sabato, le cui sabbie erano ricche di ferrite. Lungo il corso del fiume Sabato

sorgevano le ferriere di Serino, di Sorbo S., di Candida, di Avellino (Campo), della

Pontarola (Avellino) di Atripalda, di Montefredane, di Prata P.U., di Serra (Pratola S.), di

Altavilla.

Qui di seguito riportiamo brevi stralci di documenti originali che riguardano le singole

ferriere. “La ferrera di Serino ha facto de ferro da primo de ennaro… per tucto lo mese de

augusto… “ rotoli (1 rotolo= kg 0,890) 4.500 e poi ha cessato la lavorazione “per defecto de

ferro”; era fattore della ferriera Bartolomeo Senese. “Le ferrere del Sorbo hanno facto de

ferro” dal primo gennaio a tutto il mese di agosto 2.700 rotoli e poi non ha più lavorato

“per defecto di carbuni et ferro”; era fattore Alessandro del Sorbo. “La ferrera de Campo

Avellino have facto de ferro da lo primo de ennaro… a lo mese de jugno…” 600 rotoli e poi

fino ad ottobre “non ha facto ferro”; erano fattori Farello e Jacopo de Avellino. “La ferrera

de Pontarola de pedi Avellino have facto de ferro per tucto lo mese de ennaro… a lo mese

de augusto” 500 rotoli; era factore de dicta ferrera Iacopo de Stefano” “Le ferrere de la

Candida hanno lavorato et facto de ferro da lo primo de ennaro” a tutto il mese di luglio

rotoli 2000; “Le ferrere de la Candida da lo mese de augusto non hanno laborato per

defecto de carboni”. Il fattore era Guglielmo Zazullo. “Le ferrere de la Atripalda” da mese

di gennaio al mese di agosto avevano prodotto ferro per 2000 rotoli e poi non avevano

“laborato per defecto de carbuni et vena… de ferro”: era fattore Guglielmo Zazullo. “La

ferrera de Montefridano have facto de ferro” da gennaio ad agosto 1600 rotoli soltanto

perché” in decta ferrera non laboravano per defecto de carbuni”: il fattore era Stefano di

Montefredane. “La ferrera di Prata… have facto de ferro” da gennaio a luglio 1000 rotoli e

poi non ha più lavorato “per defecto de carbuni”; Jacopo Molinaro di Prata era il fattore.

“La ferrera de Altavilla have facto de ferro per tucto lo mese de ennaro a tucto lo mese de

augusto” 950 rotoli e poi “per defecto de ferro et carbuni de la Reggia Corte non laborabo”;

il fattore era Corbello Bonino de Altavilla. “La ferrera di Serra (Pratola S.) ha facto de ferro

da lo primo de ennaro per tucto lo mese de augusto” 800 rotoli, poi non lavorarono più

“per defecto de carbuni et ferro”; Cola e Gabriele Molinaro erano i fattori. Questa ferriera

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MOSTRA – Pratola Serra, dalla protoindustria ai giorni nostri.

era di proprietà dei Baroni Poderico di Serra; signori anche di Pratola e di altre terre. In

verità, nelle concessioni feudali più antiche risulta intestata ai baroni Grillo di Serra;

l'ultima di questa famiglia a possederla fu Costanza, morta nel 1465. Nel 1490 il barone di

Serra, Antonello Poderico, possedeva la ferriera. Questa ha prodotto ferro fino al 1650. Nei

pressi della ferriera, negli stessi anni, è ricordata anche una ramiera gestita dai Tocco

Principi di Montemiletto. Dalle annotazioni risulta che aveva due mantici piccoli e un

maglio con le relative bielle primitive per far <alzare e calare> i due martelli. La massa di

materiale che il maglio doveva battere era di rotoli 400. La ferriera di Serra di Pratola era

ubicata nei pressi del fiume Sabato, a poca distanza dalla ferriera di Prata, vicino ad un

ponte detto <Ponte Grande>, <Ponte Vecchio>, <Ponte della Ferriera> e volgarmente

denominato <Ponte del Pezzo> (o Pezze), caduto in rovina per incuria qualche decennio fa

e mai più ripristinato. Il detto ponte congiungeva, fin dai tempi più remoti, Pratola con

Prata. Oggi si intravedono due tratti di strada, uno proveniente da Pratola e l'altro da

Prata, privi del ponte che li congiungeva i quali terminano a precipizio sul fiume Sabato;

invece il progetto del <nuovo ponte> prevedeva due bracci di raccordo (poi stralciati) dei

detti tratti di strada con lo stesso ponte per rivitalizzare la zona.

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L'ANTICA FABBRICA DI VETRI DI PRATOLA SERRA

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MOSTRA – Pratola Serra, dalla protoindustria ai giorni nostri.

L’antica fabbrica di vetri di Pratola, conservatosi fino ad oggi in discreto stato statico,

rappresenta nella sua complessità, un esempio, un prototipo di archeologia industriale

sotto l'aspetto architettonico da salvare e conservare per fini culturali, in quanto la sua

struttura di caratteristica fattura del tempo, ben si adatta a tali scopi.

Sarebbe un grave attentato alla cultura e a quel poco di arte che c'è nei nostri paesi, se

questa venisse demolita per dare posto ad una piazza, come è nella intenzione di coloro che

ci amministrano; nel contempo questi non possono ignorare enti pubblici preposti e

cittadini sensibili a tali valori.

Sollecitiamo in definitiva la Soprintendenza competente ad intervenire e conciliare

l'esigenza di una piazza e quella di conservare questo prototipo di archeologia industriale

che ha datto tanto lustro al paese e dove si sono soffermati tanti illustri sconosciuti

“Maestri Vetrai” di mezza Italia, nonché regnanti illuminati, come Carlo III.

Pratola Serra 27-1-1992

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IL FONDACO DEL SALE DI PRATOLA SERRA

L'estrazione del sale nella valle del Sabato è molto antica. Alcuni luoghi, come Sorbo

Serpico, Montefalcione, Lapio, Pozzo del Sale (tra Grottolella e Capriglia), Castelmozzo

(oggi frazione di Santa Paolina) e Montaperto (oggi frazione di Montemiletto), sono stati

sempre interessati a questa attività. A Montaperto, nella località Palude o Acqua Sala,

situata nei pressi di Pratola, al confine con il Vallone Iemale, da antico tempo si estraeva il

sale da una miniera. Nel 1806, con la fuga in Sicilia di Ferdinando Re di Napoli e l'arrivo

del nuovo Re Giuseppe Napoleone, il Regno era in balìa del brigantaggio e del

contrabbando dei monopoli di stato come i sali, i tabacchi ecc.. Particolarmente per la

scarsità del sale, l'erario potenziò con notevole spesa i <Fondachi del Sale> nel Regno e

aumentò la produzione e regolamentò la commercializzazione. In Pratola, che era la

località più vicina alla miniera del sale di Montaperto, esisteva un <Fondaco del Sale>

pubblico gestito da Vincenzo Iennaco che approvvigionava anche la città di Napoli. Il

<Soprintendente Iennaco alla salina di Montaperto> veniva autorizzato ad esercitare il

trasporto del sale nella capitale, in modo forzoso, solo a carico di certi comuni, come

Avellino, Montefredane, SantaPaolina, Pietradefusi, Montemiletto ecc., che dovevano a

loro spese fornire i carri. Il <Fondaco del Sale> di Pratola, detto anche <la Doganella del

Sale di Don Vincenzo Iennaco>, fornita di regolamento, permetteva l'ammasso,

l'insaccamento e il commercio di questo minerale. Infatti nel 1806 furono stabilite delle

norme <da osservarsi nel Regio Fondaco del sale di Pratola, nel quale doveva introitarsi e

vendersi il sale della Salina di Montaperto>. All'occasione, si costituirono don Michele

Fiore, don Giuseppe Stabile e don Pasquale de Ciutiis della città di Napoli <ed ognuno nel

proprio nome ed officio che attualmente esercita nel Regio Fondaco del Sale di Pratola,

cioè il primo come capiere, assistente al peso, il secondo come fondachiere ed il terzo come

credenziere>. In primo luogo era necessario istituire i libri contabili che dovevano essere

bollati, numerati e firmati. Sui libri dovevano essere annotate tutte le rimesse del sale

provenienti dalla miniera di Montaperto o da altre fonti; all'operazione venne preposto un

<credenziere>.

Il <capiere>, invece, era preposto <ai dazi, alla ragione di ducati tre e grana tre al tomolo>

che debitamente dovevano essere registrati.

Infine il <fondachiere> era addetto alla consegna del sale e doveva annotare il nome del

compratore, le quantità, ecc. Ognuno, per la parte che gli competeva, ogni mese era tenuto

a fare i bilanci.

Tutti sarebbero stati responsabili della mancanza del sale nei due magazzini del Fondaco.

Tutti dovevano essere presenti nel Fondaco sia all'entrata che all'uscita del sale senza

tralasciare l'assistenza per nessun motivo. Al <capiere>, poi, erano impartite particolari

istruzioni: oltre al bilancio in genere, doveva fare il bilancio in danaro e doveva far

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pervenire al tesoriere una polizza, intestata alla Regia Corte, da pagarsi al Banco di San

Giacomo; per i pagamenti straordinari doveva essere richiesto l'ordine all'Amministratore

Generale; il trasporto del denaro a mano doveva essere fatto a suo rischio e pericolo; il

conto dell'amministrazione doveva essere presentato ogni anno; il<capiere> doveva,

inoltre, vigilare sulle entrate e sulle uscite del sale dal Regio Fondaco, rilasciando ricevuta

ai pubblici negozianti. Ad altre regole doveva attenersi il <fondachiere>, il quale era tenuto

a pesare tutte le partite di sale proveniente dalla miniera; in caso di divergenze, doveva

informare subito il soprintendente don Vincenzo Iennaco di Pratola. Ciascun ufficiale era

obbligato ad osservare le istruzioni, suscettibili di aggiunte per migliorare il <Regolamento

del Fondaco>. In caso di mancanza di sale o di frode doveva comunicarne

tempestivamente notizia all'amministratore. Queste <istruzioni> venivano consegnate in

copia al soprintendente della Salina, don Vincenzo Iennaco, ed erano approvate e firmate

da S.E. il consigliere di Stato, don Domenico Martucci, direttore dei dazi indiretti. In

seguito, fu realizzato un vero e proprio progetto per una strada che doveva portare

direttamente alla miniera di sale di Montaperto. Infatti, il 16 settembre 1806, don

Vincenzo Iennaco di Pratola, soprintendente alla salina di Montaperto, in nome della

Regia Corte, e don Saverio Curcio di Avellino, partitario (impresario), concordarono con

quanto stabilito dal signor presidente, don Francesco Vetere, amministratore generale dei

Sali: dopo aver esaminato il progetto dell'architetto don Ignazio Stile e le lettere d'offerta di

maestro Gaetano Consolazio, di Gaetano Ciampi e di Nicola Lombardo, approvarono <la

costruzione suggerita dallo stesso Stile della Strada della Salina di Montaperto che dal

Cammino Reale portava alla miniera>. Il sig. Saverio Curcio accettò e firmò dopo aver

ricevuto rassicurazione che avrebbe incassato 50 ducati in più del prezzo indicato nel

progetto. Il sig. Vincenzo Iennaco aggiunse che il signor presidente Vetere, con sua lettera

datata 11 settembre, ordinava che <si fosse proceduto alla accensione della candela e subito

si fosse posto mano alla Strada. Infatti, si è proceduto all'accensione della candela e non

essendoci stati oblatori, l’appalto, ad estinto di candela, è rimasto a Saverio Curcio il quale

doveva subito dare inizio alla costruzione della strada dalla miniera di Sali di Montaperto

al Cammino Reale>. Il Curcio era tenuto a rispettare scrupolosamente i patti e doveva

ultimare i lavori entro il 21 del mese di novembre 1806. Riceveva, come stabilito nei patti,

150 ducati di anticipo dal soprintendente don Vincenzo Iennaco. Tra le offerte per la

costruzione della Strada alla Salina ve ne fu una degna di nota; infatti al signor Vincenzo

Iennaco, soprintendente delle Saline di Montaperto, comparvero gli <artefici Gaetano

Consolazio della terra di Prata, Gaetano Ciampi di Montefalcione e Nicola Lombardo di

Montaperto>, i quali dichiararono che, avendo saputo che si doveva costruire <un braccio

di strada carrozzabile che dalla Salina suddetta portar doveva alla Regia Strada di Puglia il

sale> e avendo inteso il prezzo offerto da Saverio Curcio, gli stessi fecero la seguente

moderazione, obbligandosi a:

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a) eseguire i lavori con <basoli e fabbriche>, tutto sotto la direzione dell’Ispettore e Regio

Ingegnere <don I.Stile, incaricato per detta Salina>;

b) completare i lavori di costruzione della strada entro il mese di ottobre, <purchè si fosse

dato inizio agli stessi prima dell'otto settembre>;

c) anticipare la somma di ducati 150 per i lavori che si dividevano in tre lotti: al termine di

ogni lotto andava calcolato il relativo costo;

d) fare la strada a spina di pesce, <un palmo rialzato, al costo di 19 grane la canna

superficiale>;

e) creare canali e scoli d'acqua <di due palmi di larghezza e uno di profondità>, al prezzo di

<grane 4 la canna>;

f) effettuare tagli di terra <al costo di carlini 23 la canna cuba>;

g) accollarsi il trasporto e la messa in opera delle pietre <al costo di grane 48 la canna

superficiale>;

h) trasportare <la breccia tramite donne e traini per ducati 7 e grana 50 la canna

superficiale>;

i) stendere la breccia per grana 5 <la canna superficiale>;

l) realizzare muretti di contenimento a carlini 32 la canna;

m) porre in opera i basoli a spina di pesce <per grane 12 il palmo>;

n) fare la strada della larghezza <di palmi 16 e stare alle misure dell'arch. Stile>.

Nel 1825, l’Amministratore Generale dei Dazi, dovendo eseguire i lavori <nell'antica

miniera di Montaperto> riferì all'Intendente della provincia che era stata presentata una

offerta da Domenico Freda per la somma di 160 ducati per <i lavori da effettuarsi all'antico

stabilimento>.

L'intendente, in una missiva indirizzata al direttore dell'Amministrazione Generale dei

dazi, fece presente che l'impresa <non intendeva nella stagione invernale azzardarsi a fare i

lavori> per le difficoltà che si <frapponevano all'esecuzione dei medesimi>.

L'Amministrazione Generale dei dazi, Dipartimento Sali, rimproverò quasi l’Intendente,

<di non avere facili poteri ad eseguire ora i lavori nell'antico stabilimento di Montaperto, e

che potrebbe per qualche tempo rimanere in opera la miniera del sale e dare luogo al

contrabbando>. Da tutto ciò si può dedurre che la miniera era stata chiusa per

impraticabilità. Così si registravano le prime lamentele per il contrabbando dei Sali. Il

sindaco del comune di Montaperto infatti, nel 1826, dichiarò che <dal Ricevitore dei

Generi di Privativa (Sali e tabacchi) Raffaele Mongiello aveva saputo che nella miniera di

sale erano uscite alcune bocche che tramandavano fuori acqua salata ricavandone perfetto

sale> per cui chiedeva disposizioni per evitare l’inconveniente.

In seguito, il direttore dei dazi sollecitò la Guardia Doganale ad effettuare un sopralluogo,

prima di chiudere la miniera di sale. Nel 1845 furono messi a punto dei progetti di

copertura delle saline e si provvide alla revisione delle perizie effettuate: si concluse che era

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<inutile fare dei lavori di prolungamento della catena di fabbrica presso il Vallone

Iemale>. Dopo la chiusura della Miniera del Sale di Montaperto, nel 1845, e gradualmente

delle altre miniere come quella di Candida, Montefalcione, Lapio, Pozzo del Sale e

Castelmozzo (Comune di Santa Paolina) ecc., il <Fondaco del Sale di Pratola> non aveva

più senso di esistere e quindi fu chiuso ed i locali furono destinati ad altro uso.

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LA CENTRALE IDROELETTRICA E L'ANNESSA CARTIERA IN PRATOLA SERRA

I mulini di Pratola con sei palmenti e relativo stabile, territori circostanti e il canale

dell'acqua che dalla località <palata> (palizzata) dove iniziava il percorso, la cui acqua

serviva ad azionare le pale dei mulini, furono venduti da Luigi e Raffaele Acone, figli del fu

Teobaldo, intorno al primo ventennio del 1900, a Ungaretti Vincenzo. Il nuovo

proprietario fu mosso a fare l'acquisto dal chiaro intento di trasformare il mulino, cioè il

fabbricato che lo contiene, in una centrale idroelettrica e cartiera. I venditori, i fratelli

Acone, come gli stessi dichiararono, acconsentirono alla cessione <perché così era

possibile vedere migliorate anche le condizioni del proprio paese>; ma chiaramente anche

dal prezzo della vendita, un centinaio di migliaia di lire. L'Ungaretti, per il pagamento agli

Acone dei beni acquistati, si riservò cinque anni di tempo, al termine dei quali, in

mancanza, il contratto restava risoluto. Inoltre l'acquirente, per un periodo di sei anni, si

riservò anche la facoltà di recidere nel bosco del venditore, denominato la <palata> in

Pratola Serra <tutte le piante occorrenti per il mantenimento della palafitta all'imbocco del

canale di carico>, ma anche in genere per il canale stesso che porta le acque all'ex Mulino,

senza nessun aggravamento o peso alcuno. Infine, a chiarimento, si aggiunge che l'intero

canale con tutte le dotazioni, saracinesche di scarico e argine, è della larghezza media di

metri tre. L'Ungaretti diete subito inizio ai lavori di trasformazione e adattamento del

fabbricato per lo sviluppo della forza motrice e la fabbricazione della carta. Il fabbricato

che aveva in origine una forma a croce capovolta subì l'eliminazione e quindi la

demolizione di un ala, in particolare quella che guarda all'attuale cimitero. Il resto del

fabbricato fu consolidato e tutto conservato, ma sopraelevato, come lo vediamo adesso, con

una struttura a mattoni pieni forniti dalla <Società Laterizi di Salerno>. Qui furono

sistemati i macchinari per la fabbricazione dei fogli di carta e i relativi stenditoi per

l'essiccazione dei detti fogli che occupavano quasi tutto il primo piano. Lo stabile era

completato dai macchinari per cartiera dei <Fratelli Tuti da Fonte dell'Abate>, al primo

piano.

Anche il piano terra, completo di attrezzi e utensili, di macine, di macchinario elettrico con

turbina e alternatore della <Ditta Lorenzetto e Pracelio>, era pronto per dare l'avvio alla

produzione. L'Ungaretti dichiara che <essendo occupato in varie faccende e non potendo

attendere da solo i lavori, ha chiesto concorso di amici e volenterosi>. Lo stesso

proprietario <avendo a cuore gli interessi della popolazione e il benessere di questa… e

poiché l'industria tende a portare enorme giovamento al paese…: le persone più

rappresentative di esso… hanno ideato la costituzione di una Società Anonima…>, la

società sotto la denominazione di <Elettrocartiera del Sabato> che ha scopo di < …

sviluppo della forza motrice per l'illuminazione pubblica e privata … > nonché lo scopo

industriale per < … la fabbricazione della carta>. Questa <Società> fu una società per

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azioni ed ebbe la sua sede a Pratola Serra e fu regolata da uno <Statuto>. Uno dei

principali azionisti fu lo stesso Ungaretti con 750 azioni, poi a seguire i fratelli Luigi e

Raffaele Acone, con 212 azioni, Intiso Raffaele con 150 azioni, Carpenito Pasquale con 80

azioni, Antonio e Vincenzo Acone con 40 azioni, ecc.

Circa una ventina d’anni dopo, intorno al 1940, <l’Elettrocartiera del Sabato> aveva

bisogno di un rinnovamento dell'impianto, per cui furono acquistati una turbina nuova, un

alternatore nella centrale elettrica e furono infine fatti alcuni lavori necessari di

sistemazione dei locali. I macchinari acquistati consistevano in una turbina orizzontale

costruita dalla <Ditta Moncalvi e C. di Pavia>; un alternatore trifase con eccitatrice e un

reostato da quadro, costruiti dalla <Ditta Ercole Marelli e C. di Milano>.

La centrale idroelettrica e l'attigua cartiera che erano sorti come <Società per Azioni>, nel

1956, sospesero l'attività della sola cartiera a causa di una non oculata gestione, lasciando

senza lavoro e sostentamento decine di famiglie. La centrale idroelettrica continuò la sua

attività con la produzione dell'energia elettrica per Pratola e dintorni, gestita da una Ditta

specializzata. Questa, nel solo decennio di gestione dal 1956-1966, apportò notevoli

miglioramenti funzionali, sostituì la palazzata della palata con una vera diga e rifece gli

argini del canale, dalla palata alla centrale e infine rifece l'invaso più ampio davanti alla

centrale idroelettrica. Finalmente venne <Nazionalizzata ed incorporata da parte

dell'Enel> nel 1966 con altre centrali idroelettriche della provincia e dell'Italia. Tutti

speravano che questa <Centrale>, come altre, avesse avuto tempi migliori. Invece, da parte

di questo <Ente di Stato>, dal 1966 in avanti, non ci fu nessun miglioramento, ma si limitò

al solo sfruttamento dell'energia elettrica, fino a quando i due ultimi operai addetti non

andarono in pensione. Così dopo 10 anni, nel 1976, la <Centrale idroelettrica di Pratola

Serra fu soppressa> insieme ad altre: Enel aveva preferito ricorrere all'uso delle <Centrali

termoelettriche>, che notoriamente sono altamente inquinanti. Tant'è che oggi, lo stesso

<Ente di Stato>, promuove il ricorso all'energia alternativa, sia solare che eolica; e pensare

che la sola centrale idroelettrica di Pratola produceva energia pari a quella che possono

produrre alcune decine di pale eoliche e per di più senza impatto ambientale!

Solo adesso è stato approvato un progetto di una società privata dal comune di Pratola

Serra per la costruzione di una centrale idroelettrica a monte dell'attuale centrale dismessa

dal Enel, presso <il ponte del Pezzo o delle Pezze>.

Anche se, su questo argomento, abbiamo dato una carrellata storica, il destino di questo

complesso industriale è segnato dall'abbandono e dal disfacimento totale. E allora, solo per

il particolare rilievo che ha avuto come protoindustria nello sviluppo del mezzogiorno,

auspichiamo che gli enti territorialmente preposti e particolarmente il Ministero ai Beni

Culturali lo rilevino e lo vincolino, come singolare testimonianza di <architettura

archeologica industriale>.

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