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Potere e Liberta

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Il testo descrive l'origine e lo sviluppo dell'organizzazoipne dello Stato in quanto risultato del pensiero Politico.

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  • Titolo

    Potere e libert. Lantica arte della politica

    AutoreAlessandro Corneli

    Volume edito a cura dellaFONDAZIONE ACHILLE E GIULIA BOROLI

    Progetto graficoStudio CREE Milano

    Realizzazione editorialeREDINT Studio s.r.l. (con la collaborazione di Domenico Schiraldi)

    Nessuna parte di questo libro pu essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi formao con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza lautorizzazione scrittadei proprietari dei diritti e delleditore

    [email protected]

    On line i libri della collana Homo Sapiens

    2007 Fondazione Achille e Giulia Boroli

    Finito di stampare nel mese di dicembre 2007a cura di Officine Grafiche Novara 1901 S.p.A.

    Edizione fuori commercio

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  • alessandro corneli

    POTERE E LIBERTLANTICA ARTE DELLA POLITICA

    FONDAZIONE ACHILLE E GIULIA BOROLI

    HOMO sapiens

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  • corneli_superdef.qxd:corneli_def.qxd 11-01-2008 14:23 Pagina 4

  • LA FONDAZIONE ACHILLE E GIULIA BOROLI

    Nel 1998 Achille Boroli, oggi presidente onorario di De AgostiniEditore Spa, ha fondato lente che porta il suo nome e quello dellamoglie Giulia e lo ha dotato di un importante fondo con capitalipersonali; in questa iniziativa si manifesta la precisa volont del fon-datore di continuare a essere concretamente presente allinternodella societ civile con attivit di supporto a enti pubblici e privati,laici e religiosi, gi operanti nel campo della ricerca scientifi-ca, della charity e della cultura nel senso pi ampio del termine. Inquesto ambito, e pi precisamente in conformit con uno degliobiettivi statutari, nata questa iniziativa editoriale che esprime lavolont di supportare la conoscenza e lapprofondimento dei gran-di temi dellattualit da parte delle pi giovani classi di et, al fine difavorire la comprensione del mondo sempre pi complesso e pro-blematico in cui viviamo.Questa iniziativa si affianca a unaltra attivit ormai tradizionale del-la Fon da zio ne, che assegna borse di studio in favore degli studentimeritevoli per favorirne liscrizione allUniversit.Editore di successo, animato da una fede intatta nei valori della cul-tura e della lettura come strumento insuperato di comunicazione,Achille Boroli ha fortemente voluto che la Fondazione realizzasse lacollana di libri che oggi presentiamo ai giovani, fiduciosi che linfor-mazione, la libera riflessione e il pensiero contribuiranno al-la formazione dei cittadini del futuro.

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  • sommario

    Introduzione9 1. Lo Stato e il Potere

    13 2. Questo libro

    I. Il potere come ordine17 1. Dalla paura alla civilt21 2. Le teorie giustificatorie29 3. Il problema del male e il futuro31 4. La legge39 5. La politica52 6. Il potere e la politica61 7. Lutopia67 8. Linteresse generale72 9. Il pluralismo sociale77 10. La crisi del potere80 11. Lidea di uguaglianza90 12. La neocrazia e la fine dellet neolitica95 13. Da Kant al computer

    103 14. La natura umana109 15. I significati del potere119 16. Prima le idee o prima il potere?129 17. Teoria, dottrina e utopia nel pensiero politico

    II. Lorganizzazione del potere139 1. La concentrazione del potere144 2. La fine dellassolutismo149 3. La democrazia dei moderni152 4. La Dichiarazione dindipendenza americana 155 5. La Dichiarazione dei diritti delluomo e del cittadino160 6. La Costituzione degli Stati Uniti e il presidenzialismo163 7. Il parlamentarismo assembleare francese

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  • 169 8. Il sistema politico semipresidenziale171 9. Il premierato britannico

    III. Laccesso al potere175 1. A che cosa servono le elezioni178 2. Sistema rappresentativo e societ postindustriale183 3. Lindice di distorsione186 4. Lincidenza dei collegi189 5. I metodi di ripartizione196 6. Il caso italiano198 7. Precedenti storici214 8. Il dibattito dopo il 2006217 9. Al di l dei confini nazionali225 10. Le elezioni al tempo di Internet227 11. Considerazioni sui sistemi elettorali

    235 Conclusione

    237 Indice dei nomi

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  • introduzione

    1. Lo Stato e il Potere

    Vacillano i tre pilastri dello Stato moderno: le armi, la di-plomazia e il fisco. Sono i mezzi con cui esso ha rappresentato e rea-lizzato il suo Potere e lo ha proiettato simbolicamente prima suisudditi, poi sui cittadini, infine sulle masse. Certo, lo Stato non morto. Lenta stata la sua formazione, durata circa due secoli, il300 e il 400; un po pi rapido appare il suo declino, concentratonellultimo mezzo secolo, ma non ancora concluso: come le stellemorenti, prima di spegnersi, possono brillare di luce pi intensa,pu dare colpi di coda. E come le stelle ha attraversato diverse fasidi evoluzione: monarchico-feudale, monarchico assoluto, liberale(in alcuni Paesi), totalitario (in altri Paesi), democratico-rappresen-tativo. Beninteso, non tutti gli Stati si trovano al medesimo punto evoluti-vo, ma in tutti serpeggia pi acuta, meno acuta la crisi, e in generele situazioni negative tendono a essere pi contagiose di quelle po-sitive, anche perch i confini si sono fatti permeabili e le idee, pifluide dellacqua, hanno trovato un sistema di vasi comunicanti lacui efficacia non ha precedenti nella storia: la Rete, il Web, Internet.Molto pi lentamente, in passato, le idee camminavano con le gam-be degli uomini o sulle punte delle baionette. Fino alliniziodell800, la velocit massima consentita negli spostamenti era rima-sta invariata per millenni, quella del cavallo, anche se le comunica-zioni grazie a segnali ottici e piccioni viaggiatori correvano pirapidamente. I segnali elettronici non pesano e non occupano spa-zio, come le tavolette di argilla, i rotoli di papiro o di pergamena, lacarta stampata. Il vantaggio di disporre in anticipo di alcune informazioni si ri-dotto da anni a mesi, da giorni a ore e a pochi istanti fino ad annul-larsi: mezzo mondo ha visto in diretta lattacco alle Twin Towers l11settembre 2001. Con laiuto dei satelliti si pu seguire il movimento

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  • 10

    1 La NATO (North Atlantic Treaty Organization) fu istituita a Washington il 4 aprile1949 allo scopo di creare unalleanza politico-militare tra i principali Paesi dellEuropaoccidentale e gli Stati Uniti e il Canada. Sostanzialmente, essa si proponeva di far sapereallUnione Sovietica che gli Stati Uniti sarebbero intervenuti in difesa dellEuropa occi-dentale se questa fosse stata attaccata.

    Potere e libert

    di una singola persona. Teoricamente, il mondo una casa di vetro.Ma chi esercita il Potere e con quali mezzi?Le armi (potere militare) sono spuntate. Se ne fabbricano, se ne in-ventano e si usano ancora, ma non ottengono pi il risultato perse-guito: la vittoria, in altre parole laccettazione della sconfitta da par-te del nemico. Nessuna battaglia pi decisiva; i conflitti sinfiam-mano, poi decrescono dintensit, tornano a divampare: sono diven-tati carsici. E nessuno, almeno in Europa, ma probabilmente anchein America, pensa che sia possibile una guerra come le due ultimemondiali, con decine di milioni di soldati mobilitati. vero che po-trebbe accadere di peggio; vero che sono in corso in varie parti delmondo operazioni militari e guerriglie di vario genere, ma nessuna considerata dello stesso tipo delle guerre di cui si legge nei libri distoria. Nel settembre 2007 si poteva leggere, su diversi giornali, unaspecie di sconsolata ammissione: la NATO1, la pi grande alleanzamilitare costituita in tempo di pace, che ha contribuito a mantenerela pace in Europa durante la contrapposizione Est-Ovest del perio-do della guerra fredda, non in grado di mettere insieme un corpodi pronto intervento in aree di crisi di 25.000 uomini. Anche se i bi-lanci della difesa restano elevati, molti Stati hanno abolito il servizioobbligatorio di leva. In tutti i Paesi pi sviluppati fortemente di-minuito il numero dei cittadini in divisa, mentre sono aumentate leforze di polizia per fronteggiare la criminalit interna. Il Medio O -rien te dove del resto si combatte quasi ininterrottamente da 6000anni fa eccezione, ma in quellarea sono in corso operazioni mili-tari, non guerre tra Stati: e se anche scoppiassero nuove guerre, sa-rebbero operazioni militari mirate. In altre, niente di simile ai lunghiscontri tra interi popoli in armi.La diplomazia, altro strumento tradizionale attraverso cui gli Statifacevano sentire il loro peso, si risolve in una miriade dincontri,viaggi, missioni. Leccezionalit degli incontri ai massimi livelli, incui si prendevano decisioni di pace e di guerra, scomparsa: sonodiventati appuntamenti con i mass media, servono a giustificare, difronte allopinione pubblica interna, determinate prese di posizione.Non abbiamo pi congressi di Vienna, n di Berlino, n di Versailles.

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  • Il fisco, infine. Con alcune anticipazioni nel secolo XIX, il secolo XXha visto aumentare vertiginosamente lintervento dello Stato nella vi-ta economica e sociale: non sorprende, se si pensa agli Stati che sim-pegnarono per anni, mortalmente, in due guerre mondiali, sconvol-gendo le proprie economie, costretti a passare da una economia diguerra alla riconversione a uneconomia di pace (armata). Non solo, grandi forze politiche di massa hanno teorizzato e chiestolestensione di questo intervento, cos lo Stato divenuto dappertut-to, anche se in misura diversa, sociale. La coscienza diffusa ritieneche tutti debbano avere un lavoro o un sussidio, lassistenza medica,la pensione, un reddito minimo, e poi anche altri beni. senza dub-bio un grande progresso umanitario, che si trasformato nella pro-clamazione dei diritti fondamentali delluomo in quanto uomo. Machi paga? Chi decide come impiegare le risorse, come ridistribuirle,quanto assegnare alle spese per linteresse generale? Tutti gli Stati sono entrati in sofferenza riguardo ai loro bilanci pub-blici; molti hanno fatto ampiamente ricorso allindebitamento pub-blico, appropriandosi, in cambio di un interesse, di buona parte delrisparmio. Gli investimenti importanti, specie nel campo della ricer-ca scientifica, richiedono enormi capitali, che non tutti riescono adavere. In molti Stati avanzati, lopinione pubblica vuole che sia po-sto un limite al prelevamento fiscale nella convinzione che lo Stato che quasi ovunque, in modo diretto o indiretto, gestisce circa la metdel prodotto interno lordo (PIL) ed il datore di lavoro con il mag-gior numero di dipendenti (la pubblica amministrazione) spendameno bene e con minore efficacia almeno una parte dei soldi che icittadini spenderebbero meglio, anche nei confronti dei pi svan-taggiati. In ogni caso, si tratta di un sintomo di crescente sfiducianello Stato. Sintomo rafforzato dalle pulsioni separatistiche: laIugoslavia implosa; la Cecoslovacchia si divisa in due Stati; il se-paratismo forte (e talvolta sanguinoso) in Spagna; il Regno Unitoha acconsentito alla devoluzione della Scozia e del Galles.Soprattutto, lo Stato che sembrava pi saldo, anche perch retto daun regime poliziesco, lUnione Sovietica, si dissolto in un gran nu-mero di repubbliche indipendenti. Parallelamente si affermano strutture internazionali o sopranaziona-li che sottraggono poteri agli Stati. NellUnione Europea, con leuro,alcuni Stati hanno rinunziato alla loro moneta e a governarla, asse-gnando alle autorit comunitarie il compito di giudicare i loro bi-lanci. Hanno perso il pi rilevante dei poteri in tempi di pace.

    11Introduzione

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  • Allora: chi comanda? Chi esercita realmente il potere in questi Stati?I parlamenti eletti e i loro governi, che sfornano leggi e decreti, qua-li interessi rappresentano e quale reale incidenza hanno? noto chetroppe imposte, uccidono le imposte, ma quali sono le forze realiche spingono lo Stato a spendere sempre di pi? Quasi tutte: tuttoci che ruota intorno alla sanit (industrie, infrastrutture, universit)vuole che lo Stato spenda di pi (ed una bella fetta); tutto ci cheruota intorno alla previdenza (partiti e sindacati che convogliano mi-lioni di voti) vuole che lo Stato spenda di pi (ed unaltra bella fet-ta); tutto ci che ruota intorno allindustria vuole che lo Stato spen-da di pi o esiga di meno, il che lo stesso (altra bella fetta). Eppureabbiamo assistito allimplosione dello Stato che controllava e gestivatutto, cio lUnione Sovietica. Lo Stato, questa straordinaria costruzione giuridica, politica, econo-mica, militare, culturale, burocratica, che si imposta in Europa cir-ca cinque secoli fa e che poi servita da modello a tutto il mondo,pur con diversi adattamenti da parte dei singoli regimi politici, hacercato la propria salvezza nella democrazia rappresentativa, coin-volgendo tutti i cittadini a eleggere i propri rappresentanti, cos dapresentarsi come legittimo, una volta scomparso il potere monarchi-co per diritto divino e una volta esteso il diritto di voto a tutti. Ma assistiamo a una sfiducia crescente in un metodo fondato sulprincipio una testa, un voto. Nellanno 2000, tutto il mondo ha as-sistito alla lunga controversia per la vittoria nelle elezioni presiden-ziali americane. sempre pi frequente il caso che una vittoria elet-torale sia contestata, non tanto a causa di eventuali brogli, ma dai cit-tadini stessi, che, dopo avere dato a un leader o a un partito la mag-gioranza, si pentono rapidamente, cambiano opinione, dimostrandouna particolare ingenuit: che un cambio di maggioranza possa real-mente, in tempi brevi, produrre effetti significativi. La societ di-venuta cos complessa e vischiosa che il processo decisionale si ral-lentato, perdendo di efficacia. Non solo: larghi settori di ogni societsfuggono al controllo dello Stato, sono collegati a livello transnazio-nale, gestiscono risorse cos rilevanti da risultare immuni alle dispo-sizioni governative. Un tempo lo Stato poteva controllare il movi-mento dei capitali dei residenti entro i suoi confini, oggi non pi,perch ognuno ha il diritto di spostare i propri capitali dove vuole. un diritto individuale che lo Stato deve riconoscere. Lo Stato d ilbenvenuto a una multinazionale che investe nel Paese, ma non puimpedirle di disinvestire. Il cittadino, come consumatore, ha diritto

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  • Introduzione 13

    di ottenere uno stesso bene o uno stesso servizio alle condizioni piconvenienti, a parit di qualit. Non sempre in grado di ottenerlo,ma convinto di questo diritto e si muove gi in questa prospettiva:basti pensare alle-commerce. Un originale manager francese, Henri de Bodinat, qualche anno fascrisse un piccolo e provocatorio libretto dal titolo LEtat, parenth-se de lHistoire?2, in cui faceva rilevare che, nella storia dellumanit,quella specifica forma organizzativa che chiamiamo Stato moderno, uninvenzione molto recente, specie se misurata a partire dalletneolitica, 20.000/15.000 anni fa, quando si sono formate le primeforme di convivenza umana strutturate. Se poi guardiamo ai proble-mi che sono emersi e stanno emergendo dalle megalopoli di 20-30milioni di abitanti (quanti la Francia di Napoleone o lItalia diCavour), ai possibili effetti di una crisi energetica prolungata o al de-terioramento dellambiente, a molti appare che lo Stato non solo nonpu risolverli da solo, con le proprie forze, ma che non abbia nem-meno lintenzione di affrontarli. Rispetto allidea tradizionale che abbiamo dello Stato, che organizza come si diceva un tempo un popolo, o meglio una nazione, perassicurare la sua prosperit, adesso assistiamo a uno Stato che vivenel presente e solo del presente, mentre le forze politiche, che in ba-se alla democrazia rappresentativa conquistano ed esercitano il po-tere, pensano solo alle prossime elezioni.Ora, se lo Stato in crisi (al momento di trasformazione, poich difficile che qualcosa possa essere semplicemente disinventato e ab-bandonato), a chi riferire la nozione di potere? Perch, se la formadi Stato che conosciamo pu deperire, di certo non scompare ilPotere. Le istituzioni si possono trasformare, nuove regole posso-no sostituirsi alle antiche; ma altre istituzioni e altre regole prendo-no il loro posto. Pochi o molti, alcuni eserciteranno il potere, cio fa-ranno delle scelte, prenderanno delle decisioni i cui effetti si diffon-deranno su larga scala. Lo Stato pu scomparire; il Potere no.

    2. Questo libro

    Per capire a che cosa tendono le considerazioni fin quisvolte, necessario inquadrarle in un piano di lavoro preciso.Questo libro, infatti, il terzo di una trilogia iniziata, in questa stes-

    2 Henri de Bodinat, LEtat, parenthse de lHistoire?, Editions P.A.U., Paris 1995.

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    3 Alessandro Corneli, Da Berlino a Baghdad, Fondazione Achille e Giulia Boroli, Milano2004.4 Alessandro Corneli, Geopolitica , Fondazione Achille e Giulia Boroli, Milano 2006.

    Potere e libert

    sa collana Homo Sapiens, con il volume dedicato alla storia dellerelazioni internazionali degli ultimi sessantanni3 e proseguita con ilsaggio dedicato alla geopolitica4. Essi costituiscono, nelle mie inten-zioni, parti di una ricerca sui meccanismi, i modi e le ragioni chestanno alla base dei processi decisionali politici, intendendo per po-litici quelli i cui effetti si producono sullintera polis, cio gli Stati ele nazioni, al loro interno e nei loro rapporti. Nel lavoro intitolato Da Berlino a Baghdad ho concentrato latten-zione sul ruolo specifico che in questi processi decisionali hanno ileader politici che, avendo il potere di decidere (comunque acquisi-to, per via democratica o no), in base alle loro convinzioni, alle va-lutazioni della situazione e a quelli che ritenevano in quel momentofossero gli interessi da proteggere e gli obiettivi (anche personali edel loro gruppo di sostegno) da perseguire, hanno compiuto dellescelte che hanno coinvolto popoli e Stati, economia e cultura: in bre-ve, hanno fatto la storia. Scopo del libro era di rappresentare questieventi dal punto di vista dei protagonisti che, potendo decidere,hanno fatto certe scelte e non altre, producendo determinate conse-guenze, immediate e differite, previste o impreviste. Non mimpor-tava dare ragione ad alcuni e torto ad altri, assolvere o condannare.Ho solo cercato di ricostruire una partita gi giocata, il cui risultatoera noto e archiviato, ma rivivendola attraverso le motivazioni cheavevano spinto i diversi giocatori a compiere quelle specifichemosse e non altre, a sperare in certi risultati, a conseguirli oppuremancarli. Il mio scopo era di verificare fino a che punto quelle mo-tivazioni, con nomi diversi, persistono nel tempo e sono utilizzate daaltri protagonisti in grado di prendere decisioni di cui poi tanti su-biscono le conseguenze.Nel secondo lavoro, intitolato Geopolitica , mi sono riferito princi-palmente agli stessi eventi dellultimo mezzo secolo, o poco pi, mascavando in un passato pi lontano le radici delle motivazioni ad-dotte dai leader, cos da verificare se le loro decisioni obbedisseronon solo agli interessi, alle convinzioni e agli obiettivi dichiarati quindi a fattori interpretati soggettivamente , ma (forse anche) aforze profonde di natura geografico-storica che vengono dalla storiae dalla geografia, dal tempo e dallo spazio, e che impongono, o sem-

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  • brano imporre, ai popoli e ai loro leader determinate scelte, quasi cifosse una mano invisibile ma reale e misurabile, quali sono i dati diun territorio (collocazione, risorse abbondanti o scarse ecc.) e dellapopolazione che lo abita e lo trasforma, capace di determinare o al-meno influire fortemente su quelle scelte. Perch, se cos fosse, la re-sponsabilit che distinto viene attribuita ai leader e ai gruppi politi-ci che guidano, si sposterebbe su tali forze, per cui protagonisti di-venterebbero le collocazioni territoriali, i popoli e le nazioni, indot-ti a percorrere un tragitto apparentemente predeterminato. Chi haletto questo libro, sa che la mia conclusione che le teorie geopoli-tiche, fondate sulla convinzione che siano i fattori tempo e spazio aguidare le grandi scelte, sono state e sono, nella misura in cui ven-gono elaborate e riproposte in modo aggiornato, unideologia che,appoggiandosi a dati apparentemente oggettivi o addirittura presen-tati come scientifici, pretende di essere pi vera di quelle elaboratein sede filosofica. Unideologia che viene utilizzata a scopo giustifi-catorio, per convincere le varie componenti della classe dirigente ele masse a sostenere le scelte dei leader e delle forze politiche, me-diante una rappresentazione della realt artificiosa ma utile a gestire,accrescere e conservare (non sempre) il loro potere. In questo libro, Potere e libert, mi concentro sullo strumento che hapermesso in passato e permette tuttora ai leader, e in genere alle for-ze politiche al comando, di compiere scelte. Mi riferisco al potere,dora in poi con la lettera minuscola, che sotto diverse forme (daquella assoluta a quella democratica), con diversi meccanismi (i varisistemi politici) e diverse giustificazioni (ideologie o dottrine politi-che) esercitato da alcuni su molti allinterno di un singolo gruppo(per intenderci in modo semplificato, lo Stato) e con riflessi sul pia-no dei rapporti internazionali e conseguenze per tutti gli apparte-nenti alle diverse comunit politiche, direttamente o indirettamentecoinvolte.Nel primo capitolo mi occuper nella natura del potere quale si consolidata nei millenni, non certo in modo didascalico e manuali-stico, ma mettendo a fuoco alcune idee con il solo scopo di stimola-re il lettore a ripensarle in modo autonomo e creativo. Nel secondocapitolo esaminer le giustificazioni per la dislocazione del potere dadetentori per diritto divino fino al sistema rappresentativo, e i prin-cipali modi in cui questo passaggio si organizzato in modo istitu-zionale (presidenzialismo, parlamentarismo ecc.). Nel terzo capitoloesaminer, con particolare riferimento allesperienza italiana e con

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  • qualche confronto con quella dei Paesi pi simili al nostro per storiae cultura, i meccanismi di selezione della classe politica, quella che,formalmente, esercita il potere. Tratter, cio, dei sistemi elettorali.Quanto alla soddisfazione che la democrazia rappresentativa forni-sce oggi alle masse e ai singoli individui, essa esula dal presente la-voro, che ha il solo scopo di allenare la mente a riflettere su unarealt che ci condiziona tutti.

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  • IL POTERE COME ORDINE

    1. Dalla paura alla civilt

    In principio era la paura. La civilt nasce dalla paura. Lapaura nasce dalla consapevolezza di non sapere qualcosa che pu opotrebbe procurare il male. La paura paura del male. Per sfuggirealla paura, si riduce larea dellincertezza allargando quella della co-noscenza. Cos nasce la civilt: per fuggire dalla paura, dalla pauradel male. La Bibbia narra che Adamo ed Eva, dopo avere violato ilcomandamento divino, assaggiando il frutto dellalbero del bene edel male, si accorsero che erano nudi (Genesi 3,7). Poi, percepitala presenza di Dio nel giardino dellEden, si nascosero. Ma Diochia m Adamo, che si giustific: Ho udito il tuo passo nel giardi-no: ho avuto paura, perch sono nudo, e mi sono nascosto (Genesi3,10).Lattenzione degli esegeti biblici, sessuofobi per lunga tradizione, si concentrata sulla frase perch ero nudo e il relativo senso di ver-gogna prodotto dalla perdita dinnocenza conseguente alla colpadella violazione del comando divino di non mangiare il frutto del-lalbero del bene e del male. Invece il sentimento immediato e forteche prova Adamo un altro e non deriva da un complesso ragiona-mento: il sentimento della paura. Ha paura perch non sa che co-sa gli accadr dopo avere violato lunico comando che gli era statodato. Con la paura di Adamo inizia la storia, inizia la civilt, inizia losforzo per sostituire la certezza di un destino benefico, predispostoinizialmente da Dio, con qualcosa che sia prevedibile, con unaltracertezza, quella che luomo pu costruire con le proprie mani. Difatto, saranno piccole e brevi certezze sempre aleatorie. La paura non ha oggetto e si manifesta come angoscia di fronte al-limprevedibilit, o meglio dalla possibilit di essere colpiti dal ma-le. Ci che accomuna tutti i mali possibili, fisici e spirituali, la sen-sazione del proprio limite. La natura del male quella di farci sen-tire il limite: sul piano fisico, intellettuale, morale. Il sentimento del

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  • limite il male che ci portiamo dentro. Linsieme formato da paura,incertezza e male porta allazione. Infatti, Adamo ed Eva, subito do-po la violazione del comandamento, fanno qualcosa: Intrecciaronofoglie di fico, se ne fecero cinture (Genesi, 3,7). Questo fare seguela riflessione: Savvidero che erano nudi (Genesi, 3,7). Per azionenon si deve intendere solo quella materiale, come arare un campo opotare delle rose, ma anche quella intellettuale, speculativa: lhomofaber allo stesso tempo homo sapiens. Non a caso il termine latinocon cui sindica la parola, espressione massima del pensiero, e cioverbum, lo stesso con cui sindica quella parte grammaticale del di-scorso il verbo che esprime qualsiasi tipo di azione e traduce lin-traducibile greco lgos con i suoi due aspetti di ragione e parola.Luomo pensiero/azione.In poche battute, la Bibbia spiega lorigine della storia, della civilte della filosofia, e di questa traccia le due vie maestre che si svilup-peranno per interpretare tutta la realt: quella di Platone e quella diAristotele.La via di Platone chiarissima nella sua logica deduttiva. Adamo edEva con la disobbedienza perdono il Bene, cio la visione e la co-munanza di vita con Dio. Precipitano nella condizione umana, maconservano un ricordo vago del bene perduto (il mito della cavernanel pensiero platonico), che si trasforma in un desiderio insopprimi-bile di riconquistarlo, in un ideale di perfezione irraggiungibile, inunutopia. Da questo sforzo nasce la storia, la civilt, la necessit ra-zionale di cercare di costruire la Citt ideale. C in questo mododi procedere tutta la potenza del metodo deduttivo, che dalle idee,dai principi ricava gli strumenti per ordinare le cose e le decisioni alfine di ristabilire lordine del Bene nella sua interezza.Anche la via aristotelica chiara, ma induttiva. Basta, infatti, rove-sciare la sequenza di Adamo ho paura, mi nascondo, sono nudo eavremo sono nudo, mi nascondo, ho paura che pone come puntodi partenza lesperienza empirica (la constatazione della nudit) ecome punto finale la spiegazione (la paura), mentre in entrambi i ca-si la convergenza al centro lazione (il nascondersi), cio una deci-sione razionale e operativa. C in sintesi tutta la logica del metodoinduttivo, che parte dallesperienza, stabilisce una catena causale earriva a una decisione operativa.La specificit del racconto biblico, rispetto ai molti altri e pi anti-chi sullorigine del mondo, degli dei, degli uomini, della societ, nellidea di creazione delluniverso dal nulla. In questo il Dio di

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  • Israele si distingue da tutti gli altri. Ma peculiare la finezza psico-logica affidata a quella paura che nasce dentro luomo per qualcosache pu accadergli, ma di cui egli stesso lorigine prima. Il Dio del-la Bibbia punir e premier cento volte il suo popolo o singoli per-sonaggi, ma solo per le azioni di questi, ai quali in fondo chiede unasola cosa: la fede nella sua parola. Non un dio crudele o giocoso oimmorale. imperscrutabile, ma questa altra cosa. Solo nel librodi Giobbe accetter di comparire in una finzione scenica in cui per-mette il male, ma per dimostrare alla fine che, in s, il male non esi-ste: di fatto Giobbe riconoscer solo la Sapienza divina.Lidea cristiana di peccato originale che si trasmette a tutti gli esseriumani ha un senso se la sidentifica con il sentimento di paura, ciodi male come limite e come punto di partenza della storia. Dal pun-to di vista del credente, senza il peccato originale non ci sarebbe sta-ta la storia della salvezza. Dal punto di vista del non credente, senzaun qualsiasi equivalente di questo peccato originale, non ci sarebbestata la storia della civilt. Non che la storia nasca dal male; nasce dalla libert di compiere ilmale. Ma si tratta di un male cosmico, cio legato alla natura stessadel cosmo. Se Dio ha creato il Sole, il Sole fa luce e allo stesso tem-po genera ombra, e nemmeno Dio potrebbe impedire questa coesi-stenza di luce e ombra. Lombra non di per s, ma una conse-guenza della luce. Per questo viene introdotta la figura del serpente,che in tutte le mitologie rappresenta la conoscenza cosa ben di-versa dalla sapienza. Come simbolo della conoscenza, il serpente presente sia nel caduceo (bastone, scettro, simbolo) del dio Ermes(Mercurio), sia nel simbolo del dio della medicina Asclepio (Es cu la -pio). Il racconto biblico ci ricorda per che si tratta di una cono-scenza sempre attiva, che incita e porta allazione, e che ogni azione sempre una scelta. La conoscenza/azione/scelta perci una forzapermanente, il motore della storia e della civilt. Comunque la siconsideri, la conoscenza la luce che dirada il buio della paura.Il sostantivo italiano paura viene dal latino pavor, a sua volta deriva-to dal verbo pavere, che secondo alcuni verrebbe da pavire, che ha ilsignificato di battere, colpire (inizialmente un nemico in battaglia,poi passato a pavimento, che si batte, si calpesta). I romani aveva-no il dio Pavor (o Pauor), equivalente del greco Fobos figlio diAfrodite (Venere) e Ares (che significa violento, funesto, il roma-no Marte dio della guerra) e assistente di questultimo. Fobos diodel terrore (letteralmente vuol dire paura, da cui fobia). Un anti-

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  • co nome di Marte, in territorio latino, era Mavors, di cui facile ri-conoscere lassonanza con Pavor. Pavor e Pallor (che esprime il pal-lore, lo sbiancamento di fronte al pericolo che paralizza), per cui laloro azione congiunta provocava il terror panico in battaglia. Il reTullo Ostilio, re guerriero (che secondo la tradizione regn dal 673al 642 a.C.), avrebbe promesso a questi due fratelli due sacrari du-rante le guerre contro Veio e Fidene (lepisodio narrato da Tito Li -vio nella Storia di Roma I, 27). A Fobo non sono attribuite leggendeparticolari, ma quando su un esercito scendeva il panico e si volgevaalla fuga, si credeva fosse presente lazione dei due aiutanti di Marte. Larea semantica piuttosto chiara: la battaglia, la guerra, il combat-timento allultimo sangue, a cui presiede Marte, esprimono quellapaura suprema che riguarda la morte e si combina con lincertezzadella battaglia, impegnandosi nella quale non si sa se si uscir vivi.Nella guerra si concentra lincertezza suprema: da qui i riti propizia-tori, ma soprattutto il ricorso alloracolo per sapere se si torner vi-vi da questa impresa ad alto rischio. Particolare significativo: dagliamori di Marte e Venere nacque anche Armonia, personificazionedella musica e della civilt in genere, sintesi degli opposti, trasfor-mata alla fine in serpente, simbolo della conoscenza, come si det-to, presente sia nel caduceo di Mercurio (Ermes) sia nel simbolo deldio della medicina Asclepio (il romano Esculapio). Aggiungiamo che tra i compiti di Ermes, cera anche quello di psicopompo, ciodi accompagnatore delle anime dei defunti nellaldil: per cui la co-noscenza anche veicolo per vincere la paura della morte. Armonia,infine, spos Cadmo, di origine orientale, probabilmente fenicia, cheintrodusse in Grecia lalfabeto (inventato dai fenici), veicolo fonda-mentale di trasmissione di conoscenza e civilt.Sia nel racconto biblico sia nella mitologia classica e orientale sonodunque presenti tutti gli elementi della paura, dellincertezza, dellamorte, dellaldil, ma strettamente legati allidea di conoscenza, dicivilt, di storia. La paura non combattuta solo dalla conoscenza (filosofica e scien-tifica), ma in modo pi radicale dalla fede, alternativa umana dellacertezza, forma superiore, abbreviata e atemporale della conoscen-za. Paura e conoscenza (o fede) sono gli estremi dellintervallo in cuisi svolge la vita del singolo individuo e la storia dellumanit. Per al-lontanarsi dalla paura, luomo progetta, costruisce, riflette e coin-volge gli altri in questo suo attivismo. La morte, nellimmobilit chegenera, appare come la fine di tutte queste possibilit e per questo fa

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  • paura. Questo il motivo delle offerte votive nelle tombe, degli ar-redi e oggetti di uso comune: dare al defunto la possibilit di conti-nuare a fare. Non c prima lhomo faber e poi lhomo sapiens: lho-mo faber si sviluppa insieme con lhomo sapiens.

    2. Le teorie giustificatorie

    Ogni teoria o dottrina sociale, economica e politica si pro-pone di giustificare una tesi. inutile il meno che si possa dire iniziare uno scritto sostenendo di partire con la mente sgombra dapregiudizi e con il solo intento di arrivare alla verit. In realt, ogniautore ha ben chiaro in mente dove vuole arrivare: a proporre uncambiamento totale o parziale, rapido o graduale, dello stato dellecose, oppure a giustificare lesistente. E scrive con un obiettivo pre-ciso: vuole convincere i lettori e portarli ad accettare la sua tesi. Difatto, una specie di guida turistica della mente: propone un per-corso che di per s esclude tutti gli altri e mostra solo alcuni aspettidella realt, soffermandovisi di pi o di meno, facendo deviazioniprima di riprendere la strada principale. Bench selezionati, benchposti pi o meno in rilievo, questi aspetti sono reali, sono veri, anchese non sono tutti. Ci che un autore si deve proporre e augurare che questi turisti speciali che sono i lettori che a lui si accompagna-no, finito il viaggio non si accontentino di ci che loro ha mostrato,ma sentano il desiderio di vedere altro e lo soddisfino. Grazie al racconto di Platone, tutti dobbiamo molto alla compostagrandezza morale di Socrate, ma io non credo alla sua affermazionepropedeutica io so di non sapere con cui invitava i suoi interlocu-tori ad avviare la ricerca della definizione di un concetto liberando-si dai pregiudizi. Il termine pregiudizio cio un giudizio che pre-esi-ste al giudizio stesso che si deve emettere su qualcosa e che, se nonviene rimosso, influenza la decisione in questo caso inesatto.Meglio: una parola che ne nasconde unaltra: interesse. Penso cheSocrate intendesse questo: avviciniamoci a definire un concetto (didiritto, di giustizia, di bellezza, o altro) identificando ed eliminandogli interessi che ci inclinerebbero a preferire una definizione piutto-sto che unaltra. Se un proprietario di terreni e un contadino a sala-rio vogliono trovare il concetto e il fondamento della propriet,non partono con lo stesso interesse e puntano a soluzioni diverse.Prima di discutere chiede Socrate ciascun interlocutore identifi-chi il proprio interesse e giochi a carte scoperte.

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    5 Cfr. Salvatore Battaglia, Grande dizionario delle lingua italiana, voce Convincere.6 Ibidem.7 Cfr. Salvatore Battaglia, Grande dizionario delle lingua italiana, voce Comunicare.

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    Interesse deriva da inter esse, essere dentro, essere coinvolto. E chinon lo in modo pi o meno sottile? Forse esiste un solo campo chesi possa arare senza interesse: quello della matematica-geometria.Infatti, nessuno ha interesse che larea del rettangolo si trovi diver-samente dal moltiplicare la lunghezza della base per la lunghezzadellaltezza. Nel campo delle scienze sociali, invece, gli interessi so-no pi che evidenti, ma sono presenti anche nelle scienze della na-tura. Non si tratta sempre e solo dinteressi quantificabili in terminidi potere economico o politico, ma anche solo di puro prestigio in-tellettuale. Forse questi interessi sono i pi pericolosi. Il primo e fon-damentale interesse quello di convincere gli altri delle nostre idee.Con qualunque mezzo si comunichi un libro, un discorso, un arti-colo, una sinfonia, un quadro, un film, una canzonetta lo si fa perconvincere gli altri ad accettare una certa visione/interpretazionedella realt. Chi non vuole raggiungere questobiettivo, chi disin-teressato, cio senza interessi, si astiene dal comunicare. Il significato delle due parole convincere e comunicare chiaro.Convincere significa indurre una persona ad ammettere un fatto, ariconoscere la verit di unaffermazione o di un concetto, esponen-do prove o argomenti cos validi e certi per rimuovere ogni possibi-lit di dubbio5. Per estensione, significa persuadere una persona afare o non fare qualcosa. Anticamente, infatti, questa parola avevail semplice significato di vincere, superare, sopraffare e si usava so-prattutto in tribunale, dove oggi sopravvive nella formula le particonvenute, tanto vero che il participio passato convinto avevail significato di vinto, sopraffatto. Loriginario verbo latino con-vincere viene dal composto cum e vincere e nel secolo XIII si trovanel francese convaincre6, anchesso con applicazione nella termino-logia giuridica. Quanto a comunicare, il significato rendere co-mune, far partecipe altri di qualche cosa7: nel nostro caso, unaf-fermazione, un concetto. Anticamente aveva il significato pi pre-gnante di conferire, attribuire, trasferire ad altri (una carica, unau-torit). Ci rende pi verticale e autoritario, e meno orizzontale, ilsignificato insito in queste parole. Due sembrano essere gli itinerari che si possono percorrere per co-municare/convincere: quello della ragione astratta e quello della sto-

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  • ria. In realt, la strada una sola perch la ragione astratta, per po-tere elaborare una teoria/dottrina sociale e politica, obbligata a ri-cavare i suoi modelli dalla storia, dai fatti. Non si pu, per esempio,sostenere allinterno di una teoria sociopolitica il diritto di propriet,o viceversa negarlo, senza avere desunto il concetto di propriet dal-lesperienza storica. Si pu essere incerti nello stabilire chi ha ragio-ne tra Platone, che afferma che, se nella mente non ci fosse gi in-nata (anche come reminiscenza del mondo delle Idee) lidea di ret-tangolo, non si potrebbe poi identificare come rettangolare un datooggetto, e Aristotele, che al contrario afferma come solo dopo averevisto una serie di oggetti accomunati dalla forma, alla quale per con-venzione si d il nome di rettangolare, si passa per via di astrazioneallidea di rettangolo. Ma se possiamo concedere a Platone che lideadi rettangolo sia innata, perch nel mondo delle idee e delle pureforme pu esserci quellidea, non possiamo concedergli che in quelmondo delle idee ci sia anche quella di propriet. Nella RepubblicaPlatone, per negare questo diritto ai sapienti, non pu allacciarsi almondo delle idee, ma deve rifarsi a quello dellesperienza (della sto-ria), e nega loro il possesso di beni per lesperienza (storica) delle sueconseguenze in costoro che dovrebbero giudicare e decidere in mo-do imparziale. Qualsiasi citt ideale costruita, nella mente dei filo-sofi, con i mattoni e le macerie delle citt reali.Pi precisamente, qualsiasi citt ideale intendendo con queste-spressione la descrizione di una qualsiasi teoria sociale e politica corrisponde a un progetto che viene costruito nella (dalla) mente diun pensatore per essere comunicato e partecipato, cio per convin-cere gli altri della sua bont e spingerli a realizzarlo; non per limitarsia sognarlo. Latto del pensare finalizzato: finch resta in elabora-zione nella mente e non viene comunicato, esso tende preliminar-mente a convincere chi pensa. Quando lattivit di riflessione rag-giunge la maturit, viene portata allesterno, comunicata. Il carte-siano penso, dunque sono latto fondamentale di autoconvinci-mento che si pone a fondamento di quella specifica azione che con-siste nel comunicare per convincere gli altri.Il platonismo non si pu tuttavia liquidare in due parole. Sul pianologico, non ci sono elementi per dimostrare che non ci portiamodentro lidea di citt ideale come innata e che tutti i progetti che fac-ciamo per realizzarla non sono altro che una sofferta ricerca di que-sto paradiso perduto, met sogno e met ricordo. Pu darsi che siacos, ma non possiamo provarlo. Ma se si ritrover il sito di Atlan ti -

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  • de, Platone avr avuto torto, salvo poi a stabilire da chi gli atlantidiavevano avuto lidea della loro citt. Tuttavia non si sfugge tanto fa-cilmente al platonismo quando si comincia a maneggiare i concettidi giustizia, legge, uguaglianza, autorit, potere, che sono basilari perogni teoria sociale e politica, anche se con Aristotele possiamo mi-surare, in base allesperienza storicamente accumulata, la nascita, losviluppo e lo spessore di questi stessi concetti. Usarli un po comeservirsi di semilavorati con cui si possono fare alcuni prodotti finiti,ma sempre in numero limitato. come se smantellassimo le pirami-di di Giza: con i loro blocchi potremmo fare tanti altri edifici, mamai una barca.Questo ci fa capire perch Platone, per introdurre i suoi concetti, lesue idee, fece ricorso ai miti, come il mito di Atlantide o il mito del-la Caverna. I miti colmano quel vuoto storico, temporale che adAristotele non interessa e quindi lascia scoperto, e ci permettono an-che di capire la forte analogia esistente tra le scienze della vita socia-le e le scienze geometriche e matematiche. Entrambe partono da as-siomi non dimostrabili empiricamente. Per costruire la geometria,siamo noi che decidiamo in modo assiomatico che, su una superficiepiana, per un punto passano infinite rette oppure che per duepunti passa una e una sola retta, e su questi assiomi costruiamo tut-to ledificio della geometria razionale. Allo stesso modo, nel campodelle teorie sociali, siamo noi che poniamo lassioma che tutti gliuomini sono uguali, oppure quello opposto che gli uomini non so-no tutti uguali, derivando due diverse geometrie sociali. Siamo sem-pre noi che poniamo altri assiomi quali linteresse generale supe-riore a quello individuale e lanalogo il bene comune superioreal bene individuale, oppure per la patria si deve sacrificare anchela vita, bisogna obbedire alla legge. E cos via. Con la differenzache mentre gli assiomi geometrico-matematici non devono essere di-mostrati, gli assiomi sociali devono essere argomentati con il proce-dimento logico dellanalogia, ricorrendo al materiale storico e deri-vandolo (cio interpretandolo in base ad alcuni parametri come,per esempio, tutti i redditi devono essere uguali) in funzione delmodello di citt ideale che vogliamo proporre.Seguendo Aristotele, una volta definiti con chiarezza i concetti, nonci resta che storicizzarli e costruire il modello di citt ideale che ab-biamo in mente. Come architetti, che dispongono di un certo mate-riale e non di altro, con questo che ci sforzeremo di costruire le-dificio pi comodo e pi duraturo possibile. In questo caso, sono gli

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  • esseri umani e le cose i materiali da utilizzare. Ci pu bastare, se tut-to si riduce, per esempio, a organizzare le curve di distribuzione delreddito in modo da assicurare la maggiore stabilit possibile al siste-ma sociale. Ma questa specifica stabilit unidea, un fine, alla cuiutilit/necessit bisogna convertire gli altri. Quindi dobbiamo farericorso a Platone, perch abbiamo bisogno di ancorare a qualcosa dicondiviso questo e tutti gli altri concetti che ci servono per disporrein un certo modo il materiale per la costruzione della citt ideale.Abbiamo bisogno di qualcosa che sia lequivalente dei miti. Questoqualcosa invariabilmente di tipo religioso: in principio erat Verbum.Beninteso, anche una religione laica, che ponga, per esempio, lideadi Umanit al posto dellidea di Dio. Come ha detto Jean-JacquesRousseau: Mai Stato fu fondato senza che la religione gli servisse dibase8.Le pi antiche opere intellettuali hanno tutte un contenuto religio-so. Pi precisamente si tratta di teogonie (racconti sulla nascita e lagenealogia degli dei), teologie (descrizione delle caratteristiche deglidei), teosofie (conoscenze rivelate dalle stesse divinit), teodicee(trattazioni dei rapporti tra gli uomini e la o le divinit), cosmogonie(trattazioni sullorigine e funzionamento delluniverso). Nelle singo-le opere, questi aspetti sono variamente presenti e includono non so-lo i precetti rituali ed etici, ma forniscono una spiegazione e una giu-stificazione della realt storica e sociale.La parte pratica di questi racconti ha evidenti finalit di gestione del-le societ, piccole o grandi che siano, ma si fonda sulla prima parte,che strettamente speculativa e intellettuale: diremo che filosoficanel metodo e nella sostanza, anche se non nella forma espressiva inquanto dobbiamo ai greci il rigore logico. filosofica nel metodo poich il procedimento del tutto intellet-tuale, non sperimentale. Immaginare come si formato il cosmo ecome gli dei si sono generati implica unattivit intellettuale dellostesso genere che induce a costruire la geometria partendo dallidea non sperimentabile che due rette parallele (infinite) non sincon-trano mai. filosofica nella sostanza, poich fornisce una spiegazione ragione-vole, nel senso di convincente, sulle realt ultime, primigenie o fina-li, e d un senso alla vita delluomo, rispondendo ai pochi interroga-

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    8 Jean-Jacques Rousseau, Du contrat social, Livre IV, in Oeuvres politiques, Garnier, Paris1989, p. 352.

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  • tivi essenziali che sono stati posti dalla filosofia (classica): da doveviene luomo, dove va e perch.Solo la forma linguistica diversa: ricorre a un linguaggio che vienedefinito mito-poetico. Ma una distinzione sostanzialmente irrile-vante, se si pensa che colui che viene ritenuto il pi grande dei filo-sofi di ogni tempo, Platone, ricorse proprio a questa forma espressi-va. Soprattutto uningiustificabile adesione (un pregiudizio, direb-be Socrate, cio un interesse nascosto e non rimosso) al principioevoluzionistico considerare gli antichi autori come poco pi che fan-tasticatori, mezzo poeti e mezzo saggi, attaccati a un naturalismo deisensi.Non credo che si possa sostenere che il Libro dei morti egiziano nonabbia un contenuto filosofico preciso e profondo: non ci si pu fer-mare allaspetto manualistico e trattarlo come una guida praticaalla salvezza dellanima purch si adempiano certi riti, trascurando laspeculazione (filosofica) fondamentale, e cio laffermazione (assio-matica) della sopravvivenza dellanima oltre la tomba, che spiega eorienta tutta la vita. Non si comprende perch lidea dimmortalitdellanima se attribuita a Platone o a san Tommaso unidea filo-sofica, ma non ha questa qualifica se viene espressa dai sacerdoti egi-zi. Eppure sono gli stessi filosofi greci a riconoscere di essersi abbe-verati alla sapienza egizia.Il fatto che queste opere siano definite mitografie, insistendo sul lo-ro contenuto (che ci appare oggi) fantastico e irreale, non ne modi-fica la natura di prodotti intellettuali altamente sofisticati. Non fer-miamoci alla forma e guardiamo alla sostanza: gli autori o i sistema-tori dei miti, di epoca pi tarda, non avevano lintenzione di creareracconti fantastici, ma di usare questi racconti per trasmettere e co-municare in modo accessibile alcune idee fondamentali (di potere,gerarchia, dovere, giustizia, realt ultraterrena ecc.), ancorando il vi-sibile allinvisibile proprio in base allesigenza filosofica di conosce-re il perch ultimo delle cose, di non fermarsi alle apparenze e allesensazioni e di dare un senso e un indirizzo alla vita. Tanto pi cheriservavano a unlite la spiegazione di tali miti in forme diverse, chechiamiamo misteriche. Omero, vissuto tra il IX e lVIII secolo a.C., ed Esiodo, vissuto in-torno alla met dellVIII secolo a.C., furono i primi sistematori delpensiero filosofico occidentale. Essi trattarono tutte le questioni fon-damentali relative agli dei, agli uomini come singoli e in societ, allanatura e ai rapporti che tra tutti questi intercorrono, compresi i rap-

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  • porti sociali. Se sostanzialmente esatta la data tradizionale di na-scita di Talete, considerato il primo filosofo, cio il 624 a.C., signifi-ca che meno di un secolo lo separa dal mitografo Esiodo. Certo, laforma espressiva di Talete diversa, il discorso pi astrattamenterazionale, ma lintento lo stesso: spiegare la realt, o meglio, spie-gare la realt visibile ed empirica con una realt invisibile ma in-fluente sulla prima e comunque a essa correlata. Correlata anchequando un filosofo afferma che gli dei sono indifferenti alla sorte de-gli uomini, oppure ostili. Correlata anche quando afferma che gli deinon esistono, che sono uninvenzione umana. La differenza daEsopo, vissuto un secolo dopo, intorno alla met del VI secolo a.C., notevole: questi era un poeta, un favolista, come lo defin Erodo -to9, che si serviva di racconti fantastici e irreali per impartire inse-gnamenti morali, ma queste favole erano pur sempre prodotti in-tellettuali. Alessandro Manzoni poeta e romanziere, ma il suo mes-saggio teorico, astratto dalle vicende romanzesche dei protagonisti, strettamente filosofico e si riassume in poche parole: laProvvidenza divina governa la vita di tutti gli esseri umani, grandi epiccoli.La storia dellumanit, o se si preferisce la storia della cultura uma-na, esprime fin dallinizio un assioma: non possiamo non dirci reli-giosi. Che questo si esplichi in una credenza o in una miscredenza,non importa. E non importa nemmeno quanto sia grande larea del-lindifferenza. La rivista americana Time, quando usc l8 aprile 1966 con la co-pertina nera su cui spiccava, in caratteri rossi, la domanda Is GodDead? (Dio morto?), divulg al largo pubblico gli argomentidella cosiddetta teologia della morte di Dio, che non intendeva di-mostrare che Dio non esiste, ma intendeva capire come si sarebbeorganizzata la vita delluomo se avesse pensato e agito come se Dionon esistesse: anticipazione di una storia diversa per unumanit di-versa da quella che conosciamo10. Secondo Jean-Jacques Rousseau,che di teorie sociali se ne intendeva, se Dio non esistesse, tutto sa-rebbe possibile. Questo il punto.La progressiva separazione del discorso filosofico dal discorsoreligioso un fatto sociologico, non logico, indotto dalla progres-siva affermazione tra questi due discorsi di uno nuovo, il discorso

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    9 Erodoto, Storie, II, 134-135.10 Cfr. Battista Mondin, I teologi della morte di Dio, Borla, Torino 1968.

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  • scientifico. Questa separazione il prodotto di una specializzazio-ne/frammentazione del sapere e dei metodi di ricerca, ma niente dipi. Se consideriamo uno specialista per esempio, uno statistico evi-dente che nel suo lavoro di raccolta ed elaborazione di dati segue leregole proprie della sua disciplina, e ci del tutto indifferente sape-re se cattolico o musulmano. Ma in questo caso ci muoviamo nelcampo delle scienze descrittive. Se passiamo nel campo delle scienzeprescrittive, cio quelle scienze che inducono a uninterpretazione (enon solo descrizione) della realt e implicano (inducono a) un com-portamento coerente, quali sono le scienze della societ (teorie poli-tiche, economiche, sociali), allora non indifferente sapere se lau-tore credente o no, se cattolico o protestante o musulmano.La distinzione sembra facile e chiara. Un economista cattolico ap-partiene alle scienze descrittive quando ricostruisce, con maggiore ominore acume, un ciclo economico, ma appartiene alle scienze pre-scrittive quando indica una specifica politica economica da seguire. proprio cos? O in qualche misura entrano in gioco i preconcettisocratici? Analizzando il fenomeno della distribuzione del redditotra diverse fasce, il nostro economista cattolico (o di altra fede oagnostico) pu ridursi a statistico e fotografare una data realt ma,se deve spiegare perch il reddito cos distribuito e non in altromodo, deve risalire allanalisi dellintero sistema economico fino alpunto di ammettere la legittimit del fine del guadagno senza limitio di negarla. Nei saggi di economia non troviamo espressa n lunan laltra posizione, ma su questa che si fonda tutta la descrizione.Per un economista marxista, la cosa pi facile: le crisi economicheo qualsiasi situazione economica considerata ingiusta ha la sua cau-sa prima nel sistema capitalistico. E quali ricette prescriveranno gliuni e gli altri? I primi, legittimando il diritto al guadagno, elabore-ranno soluzioni pratiche che non lo mettano in pericolo; i secondiproporranno soluzioni che escludono il guadagno. Con la conse-guenza che gli stessi dati consentono sia descrizioni, sia prescrizionidiverse.La strada della conoscenza pura si prolunga inevitabilmente nellastrada della conoscenza applicata, cio dellazione. La stessa con-templazione lazione della non-azione. Lho detto prima: solo lamorte mette fine allazione. Lannullamento della volont, o pi pre-cisamente lannullamento dei singoli desideri, resta pur sempre unatto di volont.

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  • 3. Il problema del male e il futuro

    Il problema del male (dolore, sofferenza) il problema deiproblemi che ha sfidato la mente dei filosofi e dei teologi. Varie so-luzioni sono state proposte: soluzione omerica e in genere classico-antica: gli uomini sono sot-

    toposti al volere (talvolta capriccioso) degli dei; soluzione socratico-platonica: gli uomini sono diversi, tutti devono

    aspirare alla conoscenza e quindi alla virt, ma non tutti ci riesco-no; gli uomini non virtuosi sono causa di sofferenza a s e agli al-tri;

    soluzione aristotelica: il male in misura diversa imperfezionedellessere rispetto allessere primo, perfettissimo; si vive in unastrut tura gerarchizzata e il male minore consiste nella via mediadella moderazione;

    soluzione biblica: il male permesso da Dio per mettere alla pro-va la fede delluomo;

    soluzione cristiana: deriva in parte da quella aristotelica, ma ponelaccento sul peccato originale e, congiuntamente, sulla libert; la-desione al bene deve essere un atto di libert che si muove sullosfondo di un disegno provvidenziale divino che non a tutti pos-sibile conoscere;

    soluzione gnostico-manichea: accanto al dio buono c un demiur-go malvagio, che inganna gli uomini, vuole perderli e li fa soffrire; la classica soluzione dualistica, che in fondo deresponsabilizza lin- dividuo il quale pu incolpare il dio maligno;

    soluzione calvinista: la predestinazione divina, imperscrutabile magiusta perch divina e quindi ingiudicabile, divide gli uomini ineletti e reietti;

    soluzione orfica e buddhista: il male appartiene alle reincarnazionifino a quando, con lilluminazione, una vita perfettamente giustainterrompe la catena; la sofferenza la punizione di colpe com-messe nelle vite precedenti.

    Il male passato, come ricorda Giacomo Leopardi, sempre comeuna tempesta passata. Il male futuro assai pi preoccupante: dasempre, il futuro, nella misura in cui pu portare il male, ossessionalumanit. Il processo dincivilimento in una parola, la civilt po-trebbe essere visto come lo sforzo continuo, generazione dopo ge-nerazione, per esorcizzare questa paura del futuro, o per costruirloin modo rassicurante o per dimenticarlo tuffandoci nel presente. Ma

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  • nella mitologia greca Prometeo, il portatore di civilt agli uomini, condannato a uno strazio eterno. Laltra faccia della medaglia dellossessione del futuro occupatadalla scienza e dalla religione: la prima trasforma (tende a trasfor-mare) la ragione in Dio; la seconda trasforma (tende a trasformare)Dio in ragione. Entrambe ammettono di non sapere e di non capiretutto, ma si sforzano di farlo: la prima (identificabile con il campodella fisica aristotelica), decifra il mondo sensibile della natura con ilcalcolo e losservazione; la seconda (la meta-fisica aristotelica) offrespiegazioni inaccessibili ai sensi ma logiche e globali.Economia, fisica e metafisica assediano luomo e gli tengono in tu-multo il cuore e la mente. Di solito si dispongono secondo una cer-ta gerarchia di priorit, che quasi sempre cambia nel corso della vi-ta. Spesso accade che una delle tre riesca a sopraffare le altre, ma ingenere sono sempre tutte e tre presenti, seppure esercitando una di-versa pressione sulla volont individuale. Nessuna mai rimossa deltutto. Se un equilibrio viene raggiunto, basta un evento accidentaleper rimettere tutto in discussione, in modo definitivo o temporaneo.Di un solo evento tutti gli uomini hanno certezza, in ogni epoca,quali che siano le personali condizioni e vicissitudini: quello dellamorte, che unesperienza/non esperienza, perch non si pu rac-contare, e che a sua volta si definisce per il suo opposto egualmentenon sperimentabile, limmortalit.Per ridurre lansia del futuro, si ricorre allidea di prevedibilit, in-dotta dallosservazione della natura e pi di recente affidata allascienza. Prevedibilit significa regolarit nella ripetizione di fenome-ni con variazioni particolari, eventualmente raggruppabili in cicli pilunghi. La storia documentata dai reperti archeologici e letterari ciporta a pensare che la regolarit dei movimenti celesti e della vitadelle piante e degli animali abbia per prima stimolato la riflessionedegli esseri umani, ma se guardiamo ai reperti della paleontologiadobbiamo pensare che il primo oggetto di osservazione delluomosia stato luomo stesso, compreso tra i due eventi della nascita e del-la morte.Penso perci che la prima scienza intesa come consapevolezza diuna certa sequenza di eventi tra loro connessi, che precede in modoimperfetto la sequenza causale sia stata larte medica. certo che,fin dalla preistoria, curare una ferita o una frattura, o capire che lacausa di morte erano state le zanne di un animale, hanno posto le ba-si della scienza medica: unarte che combatte il dolore e ricerca dei

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  • rimedi. Il rimedio, la cura medica, il primo atto previsionale. Solodopo inizia la ricerca della causa del dolore che si trasforma in ma-le. Il migliore rimedio che lumanit abbia trovato alla morte la ci-vilt.Fin dallantichit gli uomini si sono divisi tra coloro che considera-no la morte come il peggiore dei mali, peggiore perch non c ri-medio, e coloro che la considerano la fine di tutti i mali. Questo vuoldire che ogni evento pu essere considerato almeno in due modi, ed la prova indiscutibile della prima e fondamentale libert: la libertdinterpretare la realt, pensando e giudicando. Pensare significa ri-flettere, cio specchiare la realt esterna dentro se stessi, poich im-possibile appropriarsene: noi non conosciamo la realt, ma solo larappresentazione (ri-flessione) che ne facciamo e la nostra mente la-vora su queste rappresentazioni raggiungendo livelli sempre picomplessi di astrazione. Se lesperienza ci fa percepire uno spazio atre dimensioni, il pensiero matematico fa lavorare la mente in unospazio a n-dimensioni.Ma gli uomini non sono soli. Nessuno vive solo e lo stesso RobinsonCrusoe, nella sua solitudine, dialoga mentalmente con quella societda cui una tempesta lo ha accidentalmente separato e la ricrea nellasua isola. Il solitario dialoga con tutta lumanit. Ma la gente comu-ne vive in societ, cio in una comunit che, anche al livello pi sem-plice, strutturata e obbedisce a regole che essa stessa elabora. Non semplice vicinanza di branco; le regole diversamente da quelledei branchi di lupi o di elefanti hanno due caratteristiche uniche:di cambiare, accompagnando la crescente complessit organizzativadi un gruppo, e di essere giustificate in modo convincente, anche sele stesse giustificazioni possono cambiare nel tempo. Questo dupli-ce cambiamento costituisce lintelaiatura della storia di un gruppo egli fornisce unidentit che pu durare secoli o millenni.

    4. La legge

    Per la storia della civilt lidea astratta di legge non me-no importante dellinvenzione della ruota e del controllo del fuoco.Per questo, in tutte le tradizioni gli dei supremi sono legislatori/or-dinatori del cosmo, danno agli uomini le leggi e si fanno garanti delloro rispetto. Per questo, nelle storie pervenuteci i popoli assegnanoun posto di straordinario rilievo ai legislatori umani, spesso re o sa-pienti, veramente vissuti o creati in seguito come simboli. Questo

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    11 Aristotele, Politica, 1253a.12 Vedi: Bernadette Menu, Mat. Lordre juste du monde, Michalon, Paris 2005.

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    perch la legge il tratto caratteristico della socialit umana, come sidesume dalla definizione aristotelica delluomo come zon poli-tikn11, che letteralmente significa animale politico, ma politicoderiva da polis, che per i greci era la citt-stato, o pi semplicemen-te lo Stato, per cui la traduzione esatta dellespressione di Aristotele animale da polis, cio predisposto a vivere nella polis, che unacomunit il cui tratto fondamentale quello di essere retta da rego-le, da leggi. I greci, infatti, consideravano la partecipazione alla vitapolitica (alla vita della polis) come il pi qualificante degli impegnidi un cittadino, che si traduceva nel prendere parte alle discussioniche si tramutavano in decisioni, cio in leggi. Per la societ umana la legge svolge la stessa funzione della forza gra-vitazionale per luniverso: quando viene meno, la societ collassa, maper ricostituirsi intorno a nuove leggi. Anche se tutto cambia senzasosta, non esiste la rivoluzione permanente. Lidea di legge cio diuna forza che non fisica, ma in grado di piegare la volont uma-na anche contro listinto naturale, come andare a combattere e per-dere la vita obbedendo a un comando unastrazione, ma la suacapacit di tenere uniti e regolare i diversi gruppi sociali enorme.Essa costituisce per tutti i membri di questi gruppi un punto di rife-rimento, una certezza nel mare degli avvenimenti quotidiani: un an-tidoto alla paura primordiale. Fuori dal dominio della legge c ilvuoto, che equivale al caos, al disordine. Gli antichi egizi onoravanouna dea, Maat, che rappresentava lordine, la vita, lequilibrio (co-smico, biologico e sociale), la vittoria sui perturbatori dellordine (inemici, gli invasori), la prosperit, la giustizia, lequit, la verit12.Un principio, quindi, di cui il faraone era il supremo custode checon la sua (saggia) azione di governo doveva tenere lontano il prin-cipio opposto, Isfet, portatore di disordine, caos mortifero, miseria,nemici, iniquit, ingiustizia, disintegrazione sociale: un principio chetrova la sua origine e radice nella menzogna, che negazione dellarealt ordinata dalla divinit. Isfet, infatti, non era considerata unavera e propria divinit contrapposta a Maat e quasi di pari grado,cio una specie di dio del male, ma la manifestazione di una pul-sione contro lordine cosmico rappresentato da Maat. Un po come la concezione del male in santAgostino, inteso comeprivazione del (o allontanamento dal) bene, reso possibile a causa

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  • della debolezza della natura umana vulnerata dalla disobbedienza(peccato originale), a sua volta indotta da una menzogna: infatti, nel-la Bibbia il nemico spesso definito mentitore, colui che rap-presenta la realt in modo diverso da come . Anche nelle parolescultoree della Genesi domina lidea di ordine perch le fasi dellacreazione delluniverso sono seguite dallespressione E Dio videche ci era buono13. La concezione egizia dellordine, come princi-pio cosmico divino, impersonata nella dea Maat, trova corrispon-denza anche nella visione induista del mondo, imperniata sullidea diordine cosmico divino, chiamato Brahman14.Le antiche ricostruzioni dellorigine del mondo, in base alle testimo-nianze letterarie che sono arrivate fino a noi, sono concordi nellim-maginare un passaggio, gestito da una forza divina, dal caos allordi-ne: passaggio non sempre facile, come si deduce dai racconti mito-logici sulle lotte tra gli dei, che sono anche lotte per il potere, chiaroriflesso delle lotte per il potere tra gli uomini. Questa idea di pas-saggio in parte indotta dallosservazione dellordine esistente nellanatura dai moti dei corpi celesti alle periodiche inondazioni deigrandi fiumi e in parte proposta alla societ come modello di or-ganizzazione. Se dare ordine era una prerogativa degli dei, sembranaturale che chi raggiungeva i pi alti livelli di potere nella societ,sentisse anche in s, nellazione di mettere ordine, una forza di na-tura divina. La divinizzazione dellimperatore romano procede dipari passo con laffermazione che la sua volont legge. Fino alla fi-ne della seconda guerra mondiale, gli imperatori del Giappone ri-vendicavano la discendenza divina dalla dea Amaterasu, fondandosisulla narrazione del Kojiki (Cronaca degli antichi eventi), un testoin tre libri compilato in antico giapponese nel 712 anche con lo sco-po di legittimare la preminenza politica della dinastia Yamato neiconfronti del clan Izumo. qui appena il caso di accennare alla grande discriminante tra pen-siero orientale e pensiero occidentale. Il primo ha una visione circo-lare e ciclica: le varie et del mondo si susseguono: caos-ordine-caos-ordine per un tempo infinito, posto che non ci sia contraddizionenei termini. Da ci derivano un pessimismo, che consiste nella con-vinzione dellineluttabilit degli eventi a cui luomo non pu in alcun

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    13 Genesi, I, 18.14 Una sintetica esposizione del pensiero ind si trova nellormai classico: JosephCampbell, Mitologia orientale, Oscar Mondadori, Milano 1991. Nel volume sono espo-ste anche le tradizioni mitiche cinese e giapponese.

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  • modo opporsi, ma anche ottimismo, nel senso che chi, soprattuttograzie alla meditazione, riesce a penetrare il significato di questoeterno ripetersi, riesce anche a raggiungere uno stato di tranquillitinteriore, cessa di soffrire per gli eventi e si unisce allo stesso diveni-re cosmico. come portarsi in quel piccolo spazio di pace che loc-chio del ciclone dal quale si dipartono i venti. Il pensiero occidenta-le, invece, ha una concezione lineare del tempo, anchessa nelle duevarianti del pessimismo, in quanto nei tempi pi remoti collocatalet delloro per cui si procede verso una degradazione continua, edellottimismo per chi colloca let delloro nel futuro. Limpegno in-dividuale fondamentale e giustificato: con limpegno, la degrada-zione pu essere rallentata, oppure il traguardo della felicit pu es-sere avvicinato. Ma ci sono anche altre conseguenze: la mentalit o -rientale punta alla concentrazione di tutte le energie in un obiettivo,che presente in quanto si confronta solo con il perenne ripetersi deicicli cosmici, e da essi si astrae, e questa concentrazione produce ri-sultati pratici spesso straordinari; la mentalit occidentale, invece,vede il presente come lattimo fuggente tra un passato che non cpi e un futuro che non c ancora, riflette sugli errori e sui successi,teme nuovi errori e trepida per il successo. Per questo, la religioneorientale si risolve nel rito e nella pratica, mentre quella occidentaleha bisogno di fede, possibilmente accompagnata da risultati che laconfortino. Ciclico o lineare, il concetto di ordine comune a tutte le civilt. Maordine anche misura, misura dello spazio e misura del tempo, ledue coordinate entro cui si definisce la vita degli individui e deigruppi a cui danno origine. Non sorprende quindi che le primescienze siano state lastronomia e la geometria, senza le quali sareb-be impossibile spiegare non solo le costruzioni dellantichit classica le loro misure, le loro proporzioni, il loro orientamento, la lorosimbologia ma anche alcune costruzioni megalitiche con evidentifinalit astronomiche (misurazione del tempo) oltre che luoghi di ce-lebrazione di riti. Non tutta scienza confermata, e non voglioconfondere la storia con larcheoastrologia, ma la lettura di alcuneopere di studiosi con solida formazione matematica, astronomica,architettonica, geologica, fisica e chimica, purgata da deduzioni unpo fantasiose, consente di capire che gli uomini di 6000, o anche8000 o 10.000 anni fa vivevano in un modo intellettualmente e cul-turalmente assai pi complesso di ci che potrebbe ammettere unasemplicistica teoria evoluzionistica. Le scoperte archeologiche degli

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  • ultimi quarantanni, sia a ovest sia a nord dellarea mesopotamicaclassica, e cio in Siria e in Turchia, si sono arricchite di altre sco-perte a est e a sud, cio in Turkmenistan, Iran e Oman, facendo ri-sorgere citt e civilt del III millennio a.C. o ancora pi antiche.Citt e civilt che si sono aggiunte alla civilt di Harappa (nota, findal 1872 ma esplorata negli anni 20 e 30 del XX secolo), fiorita nelnordest del Pakistan intorno al 3300 a.C. e che aveva addirittura cir-ca 40.000 abitanti. Tutte queste scoperte hanno riempito la mappadelle antiche civilt di nuovi fari, che si sono aggiunti a quelli di Ur,Ugarit e della straordinaria Ebla. Sumer e lEgitto non sono pi i so-litari punti di partenza dellavventura della civilt urbana, sebbeneresti ancora inspiegato il fatto della sua quasi improvvisa comparsain pi luoghi di quanto simmaginasse, a partire dalle ultime fasi del-la preistoria.Bisogna abbandonare lidea che la complessit del pensiero sia natacon i greci. A livello di organizzazione sociale, le civilt del IV e IIImillennio a.C. mostrano uneccezionale complessit, che rimanda atradizioni e consuetudini ben pi antiche. I libri di alta divulgazionedellarcheologo Giovanni Pettinato dedicati a Ebla15 illustrano il li-vello raggiunto dallorganizzazione politica, amministrativa, econo-mica e commerciale di questa citt, che intratteneva rapporti politi-ci, ma soprattutto economici, con molte altre citt dello stesso livel-lo. Per esempio, sono state decifrate tavolette nelle quali si confron-tano i prezzi di alcuni prodotti sui diversi mercati e si stabilisconoanche i differenziali indotti dai cambi delle monete per stabilire do-ve fosse pi conveniente comprare o vendere. La stessa funzione deltempio-palazzo come primo centro di potere ordinativo delle societconferma, oltre alla minuziosit delle disposizioni, quale importanzaavessero quelle che oggi chiamiamo leggi. Esse consentivano lo svol-gimento di una vita sociale ordinata, Isfet permettendo. La parola legge deriva, come noto, dal latino lex, che a sua voltaviene dal verbo lego: da cui non prende per il significato di tengoinsieme, unisco, che pure avrebbe unattinenza con il ruolo socialedella legge, bens in quello di leggere. Infatti, nellantica Roma ilmagistrato leggeva pubblicamente in modo solenne le parole dellalegge, che venivano pubblicate scolpendole nella pietra. Questi cip-pi sono stati ritrovati anche nei luoghi pi lontani, fino ai confini del-

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    15 Cfr. Giovanni Pettinato, Ebla, Rusconi, Milano 1986; La citt sepolta, Mondadori,Milano 1999.

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    16 Sulla nascita dellastrologia a Babilonia, vedi nota 15.

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    limpero. Nella concezione romana la lettura era rivelazione, inter-pretazione, aggiornamento, adattamento al caso specifico dello ius,cio del diritto (o comando ordinante, che stabilisce o ristabiliscelordine) eterno, immutabile, espressione di un ordine preesistente,conosciuto da pochi e tramandato in segreto nella corporazione deisacerdoti-re-giudici. Questo fatto si ricollega a quanto detto sopra circa la concezione diun ordine cosmico divino: gli osservatori dellordine celeste ne era-no anche gli interpreti, sacerdoti-astronomi ma anche astrologi, inquanto dalla regolarit delle posizioni degli astri in un dato momen-to ricavavano indicazioni operative, cio leggi16. La principale fun-zione dellimperatore cinese era di dire il calendario, cio far co-noscere linizio delle diverse stagioni, conoscenza essenziale per tut-ti i lavori pratici. Compito simile spettava al faraone e ai sovrani me-sopotamici. Questo spiega il condiviso interesse per losservazioneastronomica, la quantit di dati raccolti, la straordinaria precisionedi alcuni calcoli. In fondo, la deificazione degli astri, dai cui tempi dimoto era fatta dipendere la vita degli uomini, non poi strana, enemmeno lo la concezione di onnipotenza di questi dei. Netta ladifferenza con la mitologia greca, con il suo pantheon di dei e deecos simili agli esseri umani nelle loro passioni. Ma i greci, vivendoin clima temperato, avevano minor bisogno del tipo di conoscenzadi cui necessitavano egizi, mesopotamici o cinesi; a essi bastava chedivinit campestri e pastorali vegliassero sui loro campi. Temevanosolo terremoti e maremoti, da cui la terribilit di dei come Efesto(Vulcano, dio del fuoco) e Poseidone (Nettuno, dio del mare).Comunque era Zeus (Giove) il garante del potere regale e dei giura-menti, basi dellordine sociale.Tornando allo ius romano, alcuni fanno risalire lincerta origine deltermine allindo-iraniano yh (salute!, nel senso di salvezza, statodi purezza, che poi rimanda allidea di stare nellordine delle co-se). Modificato in ye/ous, era allorigine una formula religiosa cheha forza di legge, mentre iudex (giudice) colui che mostra o diceil diritto, la formula di giustizia, e iustus ci che conforme agiustizia. Cos, ius iurare pronunziare la formula sacra che impe-gna, da cui il valore sacro del iuramentum, a sua volta derivato dasacramentum. Successivamente lorigine sacra si perde e ius riguardasolo le leggi civili. Da notare che il verbo iudico ha esteso progressi-

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    17 Non Hammurabi, come spesso si scrive.18 Claudio Saporetti, Antiche leggi, I codici del Vicino Oriente Antico, Rusconi,Milano 1998.

    vamente il suo significato originario di dire la formula per assu-mere quello attuale di giudicare, valutare, stimare: il giudice, in-fatti, non applica in modo meccanico la formula del codice, ma la in-terpreta in funzione del caso specifico. Oggi, infatti, a parte lattospecifico del magistrato che emette un giudizio/sentenza, la paro-la giudicare ha il significato ampio di stimare, reputare, conside-rare ed esprime in sostanza lattivit di pensare e riflettere suqualcosa in vista di una decisione. In ogni caso, il giudice, con la suasentenza ristabilisce lordine. convinzione prevalente che la primi-tiva funzione dei re fosse proprio questa: dal loro speciale rapportocon la divinit traevano la conoscenza/saggezza necessaria a riporta-re lordine. Ed comunque ammessa loriginaria doppia competen-za, diremmo civile e religiosa, del re.Fino a circa un secolo fa, la conoscenza delle leggi del mondo anti-co era limitata a quelle degli ebrei, dettagliatamente descritte nellaBibbia, a quelle dei romani e, in misura inferiore, a quelle dei greci,che a loro volta avevano raccolto informazioni sulle leggi dei popolida essi conosciuti. Fuori dellarea occidentale, erano pi note le leg-gi della Cina. Ma dopo la decifrazione delle tavolette di diverse ci-vilt del Vicino Oriente venute alla luce in scavi recenti, questa co-noscenza si allargata straordinariamente. Il celebre codice delsovrano babilonese Hammurapi17 (1792-1750 a.C.) non pi il solotesto conosciuto e non nemmeno il primo. Di mezzo millennio piantico il codice sumero di Entemena di Laga (2404-2375 a.C.),seguito da quello di Gudea di Laga (2141-2122 a.C.). Unidea del-la attenzione dei popoli del Vicino Oriente per le leggi si pu rica-vare dalla lettura del libro dellassirologo Claudio Sa poretti18, in cuii testi pubblicati forniscono unidea della complessit sociale rag-giunta nel III millennio a.C., ma anche della sottigliezza intellettua-le raggiunta che implica una ben pi lunga tradizione.Qualche esempio dalle cosiddette leggi medioassire, risalenti alperiodo compreso tra il 1426 e il 1077 a.C., pu darne lidea:

    Chi commette violenza carnale ai danni di una donna sposata in-contrata in un luogo pubblico, sia che venga colto il flagrante siache venga data prova testimoniale, sia condannato a morte, men-tre la donna non subisca alcuna pena.

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  • Se una donna commette adulterio recandosi in casa di un uomoche a conoscenza del suo stato coniugale, sia condannata a mor-te insieme allamante.Il sodomita (attivo) sia condannato ad essere sodomizzato ed al-la evirazione.Una vedova che andata a convivere con un uomo senza che siaredatto alcun atto legale, deve essere considerata moglie a tutti glieffetti dopo due anni di convivenza.Se un uomo altera (a sua vantaggio) il confine grande (signifi-cato incerto: forse di propriet non appartenente a quella di unfratello) che delimita il terreno di un suo vicino, sia condannatoalla consegna di un lotto di terreno pari a tre volte la parte che hasottratto, al taglio di un dito, a 100 vergate e ad un mese di lavo-ro per la corona.I proprietari di terreni in cui ci siano pozzi che danno acqua suf-ficiente devono eseguire i lavori per lirrigazione ciascuno secon-do lampiezza del suo terreno. Se qualcuno si rifiuta non ha di-ritto ad usufruire dellacqua, che spetta invece a chi esegue i la-vori al suo posto, con lautorizzazione dei giudici.

    E adesso riportiamo qualche esempio tratto dal codice diHammu rapi:

    Se un uomo ha contratto un debito e non pu pagare il credito-re per mancanza di raccolto dovuta ad inondazione o siccit, nonsia vincolato dal contratto e non paghi interessi per quellanno.Se un uomo incarica un frutticoltore di piantare nel proprio ter-reno un frutteto, dopo quattro anni i due dividano in parti ugua-li; il proprietario ha il diritto di scegliere la sua parte.Se luomo incaricato di piantare il frutteto ha lasciato incoltauna zona del terreno, questa zona sia inclusa nella parte del ter-reno che gli spetta (per ricavare la sua quota di prodotto).Se un debitore non pu pagare il creditore con argento ma conorzo, il creditore deve accettare il pagamento dellinteresse in or-zo, secondo il tasso stabilito dal decreto reale. Se il creditore pre-tende un tasso di interesse superiore perde ogni diritto sulla som-ma prestata.Se un uomo versa capitali in una societ compartecipe dei gua-dagni e delle perdite.Se un uomo vuole dare a deposito oro, argento o altri beni mo-bili, rediga prima un contratto dinanzi a testimoni.Se ad un uomo si ammala gravemente la moglie, pu sposarneunaltra, ma non divorziare dalla prima, che deve tenere in casa emantenere fino alla sua morte.

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  • Se la moglie (malata) vuole andarsene, il marito deve restituirletutta la dote.Se durante un intervento chirurgico un uomo muore o perde unocchio, il chirurgo sia condannato al taglio della mano.Se un costruttore costruisce una casa poco solida che crolla eprovoca la morte del proprietario, sia condannato a morte.Se unimbarcazione che naviga controcorrente sperona unim-barcazione che naviga secondo corrente provocandone il naufra-gio, il padrone dellimbarcazione affondata dichiari davanti al dioil valore del carico, e gli sia risarcita la perdita del carico e del-limbarcazione dal nocchiero che lo ha speronato.

    Si potrebbe continuare e magari osservare come alcune disposizioni(ce ne sono altre di ben diverso tenore!) per cercare una giustizia so-stanziale vadano a frugare anche nelle intenzioni dei soggetti. In ognicaso, almeno nel testo scritto, non si pu parlare di una giustizia a fa-vore dei pi forti o dei pi ricchi, anche se cerano differenze di trat-tamento tra uomini e donne, tra uomini liberi e schiavi, e anche senella severit e nellautomatismo delle pene si avverte lobiettivo difar temere a tutti la potenza del sovrano. Appare comunque eviden-te lo spirito di queste leggi: garantire una vita sociale ordinata. Ci leriporta allidea primitiva di ordine da cui siamo partiti. Non solo: illegislatore e questo spiega perch i grandi legislatori fossero ono-rati nei secoli fa unopera che va al di l della sua permanenza alpotere: assicura il mantenimento dellordine anche nel futuro. Moti -vo che ci fa comprendere perch tanti sovrani attribuissero a se stes-si come maggiore merito quello di avere posto o rinnovato le leggi: come se la loro autorit, la loro stessa vita, proseguisse anche dopo lamorte. Una legislazione cos complessa e sottile, anche dal punto divista procedurale (contratti, testimoni, tasso ufficiale dinteresse, re-gole di navigazione: per riferirci ai pochi esempi sopra riportati), nonpoteva che innestarsi in una societ altamente complessa e sviluppa-ta. Ma che cosa la societ? una domanda cui bisogna rispondereper avvicinarsi a quella sua specifica attivit che la politica.

    5. La politica

    Per rispondere alla domanda, ricorro a unanalogia. Tuttisanno che cos un prato, tutti sanno che, visto da vicino, formatoda tanti fili derba pi o meno uguali tra loro. Prendiamo adesso unamacchina tagliaerba e falciamo il prato. Raccogliamo lerba tagliata

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  • e mettiamola in un sacco. Il contenuto del sacco materialmente lostesso del prato, ma possiamo considerare prato quel sacco pieno difili derba? E possiamo riavere il prato rovesciando il contenuto delsacco sul terreno e sparpagliandolo? Evidentemente no.Lanalogia intuitiva: il prato la societ e i fili derba sono i singo-li individui. Il singolo individuo tale in quanto fa parte della societche linsieme delle relazioni tra individui, o anche tra gruppi din-dividui, che nella nostra analogia possono essere delle aiuole allin-terno del prato. In matematica, tutto ci si pu esprimere con mag-giore facilit e precisione: la societ un insieme non vuoto e gli ele-menti che gli appartengono sono a loro volta senza moltiplicarsi elementi di sottoinsiemi. Cos, per esempio, il signor Rossi appartie-ne alla famiglia di nascita, a sua volta membro di una famiglia cheha costituito, figlio e anche padre, lavora nellufficio commercialedi unazienda (che sta in una citt, quindi in una provincia, una re-gione, uno Stato, un continente, il mondo); socio di un club spor-tivo, iscritto a un sindacato e a un partito politico. A questappar-tenenza sostanzialmente volontaria a diversi sottogruppi, il signorRossi aggiunge una serie di appartenenze di fatto, indipendente-mente dalla sua volont, ad altri sottogruppi: se possiede unauto-mobile, appartiene al sottogruppo degli automobilisti; se compra ungiornale, appartiene al sottogruppo costituito dagli acquirenti diquel giornale; in qualit di consumatore di beni e servizi di comunenecessit, appartiene al gruppo dei consumatori di alcuni prodotti;pur senza entusiasmo, un contribuente e quindi appartiene al sot-togruppo dei contribuenti; e altro ancora. Tutto questo fa del signorRossi un centro di relazioni: ne fa, in altre parole, un essere sociale.Perch socius colui che va o fa insieme, che percorre insieme adaltri la strada della vita. Ma il punto da tenere presente che i suoiinteressi individuali materiali o di ordine culturale e spirituale sidividono nei diversi gruppi a cui appartiene, ma in ciascuno di essisi potenziano nella condivisione degli interessi dei gruppi. Solo in una comunit estremamente piccola il numero di relazionitra i suoi componenti potrebbe essere quantificata giornalmente e sitratterebbe di relazioni molto semplici, legate al soddisfacimento deibisogni elementari che per decine o centinaia di migliaia di anni han-no affrontato i nostri antenati della preistoria. Avere relazioni signi-fica assumere comportamenti, cio prendere decisioni finalizzate,anche se queste simparano per imitazione e per addestramento. I di-pinti scoperti nel 1940 nelle grotte di Lascaux (Francia sudocciden-

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  • tale), risalenti a circa 15.000 anni a.C., dimostrano come fin da tem-pi lontanissimi il tessuto delle relazioni sociali fosse in grado di spin-gere ad alti livelli la capacit umana di astrazione.Ora, lidea di societ unastrazione, come lo lidea di prato, per-ch la realt materiale, la realt concreta rappresentata dai singoliindividui, dai fili derba. Ma realt concrete sono anche le relazionitra gli individui, da cui sorgono le prime astrazioni, come quella digruppo, di solidariet, e via via fino alle idee di patria, di Stato e, na-turalmente, anche di societ. Dalle relazioni, che sono frutto di com-portamenti, nato quello che ho definito il contributo pi specifica-mente umano alla storia della civilt: lidea di legge, cio lidea chela vita in societ sia sottoposta a regole che presiedono le diverse re-lazioni instaurate allinterno di un gruppo, quale che sia la sua di-mensione e il grado di complessit.La storia della (o delle) civilt una galleria ricchissima di soluzionie di adattamenti degli esseri umani alle diverse condizioni ambienta-li; ma religioni, mitologie, filosofie, architetture, usanze, armi, abitu-dini alimentari, caratteristiche fisiche diverse non oscurano un datocomune a tutti i popoli, grandi o piccoli: lesistenza di leggi, anchesemplicissime, anche limitate a regolare pochi rapporti. Per questomotivo i romani dicevano ubi societas, ibi ius: dove c la societ cla legge.La scienza non si ancora espressa in modo definitivo, ma orien-tata a considerare le attuali razze umane come ramificazioni da ununico ceppo, che si mosse probabilmente dalla zona dei GrandiLaghi africani, e anche la genetica e la linguistica sembrano concor-dare su questa origine unitaria. Ci depone a favore delluniversalitdellidea di legge. Riprendendo lanalogia tra societ e prato, tra fili derba e singoli in-dividui, e pur ammettendo che nei tempi pi remoti non fosse pre-valente una cultura consapevolmente individualistica, bens unaconcezione di gruppo, rafforzata dai vincoli di clan, di sangue, di to-tem, i comportamenti collettivi restavano pur sempre come sommao moltiplicazione di atti individuali, come dimostra lorganizzazionedelle battute di caccia preistoriche. Ma la nascita e la morte sono dueeventi assolutamente individuali, e questo non sfuggiva certo ai no-stri antenati. Tuttavia, allo stesso tempo, cera la consapevolezza delgruppo, della sua identit anche secondo il semplice schemanoi/loro, che facilmente si tramuta in amici/nemici parallela allaconsapevolezza dei sottogruppi elementari: gli anziani, gli uomini

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  • adulti e quelli non ancora considerati tali fino al momento dellini-ziazione. N sfuggiva la diversit delle funzioni: cacciatore, raccogli-tore, poi allevatore e coltivatore; ma anche guerriero, capo, strego-ne, medico, sacerdote. La paleontologia, che studia la vita dei grup-pi preistorici, ha riportato alla luce tracce di villaggi e di manufattiche dimostrano gerarchie sociali e distinzione di funzioni. Tutto que-sto fornisce una chiara dimostrazione di regolarit di abitudini e dicomportamenti, orientati a decisioni la cui ripetizione ha dato luogoalle consuetudini, che sono la materia grezza dalla quale, per astra-zione, verr poi lidea di legge e parallelamente lidea di comando, diautorit, di potere.Idee, queste, che stabiliscono il collegamento tra i singoli individui eil gruppo di cui sono (sempre pi) consapevoli di fare parte. Da cideriva una distinzione fondamentale