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TICCIH 2006 XIII International Congress – Industrial heritage and urban transformation, Terni /Roma 1418 settembre 2006 1 POTENZIALITÀ DI RECUPERO DEGLI EDIFICI INDUSTRIALI DISMESSI MANUELA MUSTO Dottoranda in Tecnologie dell’Architettura e dell’Ambiente presso il Dipartimento di Restauro e Costruzione dell’Architettura e dell’Ambiente (coordinatore prof. arch. M. I. Amirante), Seconda Università degli Studi di Napoli, Facoltà di Architettura “Luigi Vanvitelli”. Il tema del recupero di un edificio industriale e delle aree annesse, per i significati che si attribuiscono ad esso (culturali, economici, architettonici), affronta una problematica non nuova e ampiamente discussa: la questione dell’inserimento nella città e nell’ambiente circostante di un corpo ad essi tradizionalmente estraneo. Sorge, pertanto, il dibattito legato al cambio di destinazione d’uso di edifici con caratteristiche tipologiche peculiari e all’integrazione di tecnologie per edifici caratterizzati da durezza, coerenza e semplicità tecnologiche. Sembra opportuno, quindi, per la nostra ricerca proporre un’analisi diversa ma organica al fine di “leggere” le fabbriche avvalendosi delle “parole” la letteratura e delle “cose” recuperi portati a termine; per attribuire un valore nuovo agli edifici industriali dismessi osservandoli dal punto di vista ambientale, architettonico e tecnologico. Inoltre si cercheranno matrici comuni che possono essere utili alla comprensione delle metamorfosi che l’edificio subisce a causa del tempo e delle diverse produzioni, individuando eventuali elementi permanenti 1 che possano essere il filo conduttore per un intervento di recupero. Il necessario intervento di conservazione potrebbe diventare un’occasione per dare nuova vita all’edificio. Bisogna, infatti, pensare al recupero non come ad un restauro fine a se stesso ma come ad un progetto che offra una forte carica dinamica, per promuovere l’architettura a “nostra seconda natura” 2 , non contrapposta al mondo circostante ma in continua osmosi con esso. Il problema del recupero degli edifici industriali consisterà nell’adattare materiali, processi ed impianti nuovi ad un organismo architettonico che non deve perdere il suo carattere originario, senza negarsi una nuova vita. Bisogna considerare che una caratteristica degli edifici industriali è quella di attenersi alle innovazioni strutturali o impiantistiche: il che deriva dalla sua natura di organismo vivente. Raramente, questo peculiarità viene concessa all’edilizia residenziale e agli edifici pubblici o storici, mentre l’innovazione per l’edificio industriale, durante l’uso, costituisce la norma ed è sintomo di vitalità 3 . Questo modo di “evolversi” dell’edificio deve e può essere portato avanti anche nell’intervento di recupero, per ampliare nuovi campi di discussione nella disciplina. Nella prassi corrente di un progetto di recupero, oltre all’analisi storica, un ulteriore approccio conoscitivo è l’osservazione dei caratteri tipologici dell’edificio da recuperare. Particolarmente valido è questo modo di procedere nel caso degli edifici industriali per i quali sia l’analisi storica che quella tipologica appaiono complesse a causa dell’oblio dovuto all’obsolescenza, all’evoluzione delle tecniche produttive ed alla difficoltà di una categorizzazione tipologica delle diverse strutture. Appare, pertanto, necessaria una lettura approfondita dei caratteri tipologici mediante l’osservazione dello stato attuale dell’edificio e 1 Cfr.: I. Amirante (a cura di), Recupero delle preesistenze e forme dell’abitare, Volume primo, 1991, pp. 102, 106. 2 M. Bottero, Della sostenibilità, in “Recupero edilizio e bioclimatica” (a cura di) M. Sala. 3 Cfr.: R. Raja, Architettura industriale, storia, significato e progetto, Bari, 1983, pp. 5, 9.

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POTENZIALITÀ DI RECUPERO DEGLI EDIFICI INDUSTRIALI DISMESSI MANUELA MUSTO

Dottoranda in Tecnologie dell’Architettura e dell’Ambiente presso il Dipartimento di Restauro e Costruzione dell’Architettura e dell’Ambiente (coordinatore prof. arch. M. I. Amirante), Seconda Università degli Studi di Napoli, Facoltà di Architettura “Luigi

Vanvitelli”.

Il tema del recupero di un edificio industriale e delle aree annesse, per i significati che si attribuiscono ad esso (culturali, economici, architettonici), affronta una problematica non nuova e ampiamente discussa: la questione dell’inserimento nella città e nell’ambiente circostante di un corpo ad essi tradizionalmente estraneo. Sorge, pertanto, il dibattito legato al cambio di destinazione d’uso di edifici con caratteristiche tipologiche peculiari e all’integrazione di tecnologie per edifici caratterizzati da durezza, coerenza e semplicità tecnologiche. Sembra opportuno, quindi, per la nostra ricerca proporre un’analisi diversa ma organica al fine di “leggere” le fabbriche avvalendosi delle “parole” ­la letteratura­ e delle “cose” ­ recuperi portati a termine­; per attribuire un valore nuovo agli edifici industriali dismessi osservandoli dal punto di vista ambientale, architettonico e tecnologico. Inoltre si cercheranno matrici comuni che possono essere utili alla comprensione delle metamorfosi che l’edificio subisce a causa del tempo e delle diverse produzioni, individuando eventuali elementi permanenti 1 che possano essere il filo conduttore per un intervento di recupero. Il necessario intervento di conservazione potrebbe diventare un’occasione per dare nuova vita all’edificio. Bisogna, infatti, pensare al recupero non come ad un restauro fine a se stesso ma come ad un progetto che offra una forte carica dinamica, per promuovere l’architettura a “nostra seconda natura” 2 , non contrapposta al mondo circostante ma in continua osmosi con esso. Il problema del recupero degli edifici industriali consisterà nell’adattare materiali, processi ed impianti nuovi ad un organismo architettonico che non deve perdere il suo carattere originario, senza negarsi una nuova vita. Bisogna considerare che una caratteristica degli edifici industriali è quella di attenersi alle innovazioni strutturali o impiantistiche: il che deriva dalla sua natura di organismo vivente. Raramente, questo peculiarità viene concessa all’edilizia residenziale e agli edifici pubblici o storici, mentre l’innovazione per l’edificio industriale, durante l’uso, costituisce la norma ed è sintomo di vitalità 3 . Questo modo di “evolversi” dell’edificio deve e può essere portato avanti anche nell’intervento di recupero, per ampliare nuovi campi di discussione nella disciplina. Nella prassi corrente di un progetto di recupero, oltre all’analisi storica, un ulteriore approccio conoscitivo è l’osservazione dei caratteri tipologici dell’edificio da recuperare. Particolarmente valido è questo modo di procedere nel caso degli edifici industriali per i quali sia l’analisi storica che quella tipologica appaiono complesse a causa dell’oblio dovuto all’obsolescenza, all’evoluzione delle tecniche produttive ed alla difficoltà di una categorizzazione tipologica delle diverse strutture. Appare, pertanto, necessaria una lettura approfondita dei caratteri tipologici mediante l’osservazione dello stato attuale dell’edificio e

1 Cfr.: I. Amirante (a cura di), Recupero delle preesistenze e forme dell’abitare, Volume primo, 1991, pp. 102, 106. 2 M. Bottero, Della sostenibilità, in “Recupero edilizio e bioclimatica” (a cura di) M. Sala. 3 Cfr.: R. Raja, Architettura industriale, storia, significato e progetto, Bari, 1983, pp. 5, 9.

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dei relativi documenti storiografici, per individuare regole di conformazione specifiche e per stabilire correlazioni tra le diverse varianti tipologiche. In questa breve nota si intende utilizzare una seconda via interpretativa che contrappone alla nozione di “ tipo” come “ forma base” una valutazione tesa a farlo coincidere con il “codice genetico” di un processo evolutivo e vitale che integri i sistemi del costruire con le forme 4 di fruizione. Si ritiene, pertanto, opportuno considerare il codice genetico di questi edifici in quanto luoghi creati per una specifica attività che, a seconda dei casi e delle produzioni, presentano una dinamica ed una peculiarità nell’utilizzo degli spazi da leggere, con attenzione, al fine di non riproporre un recupero “statico” degli ambienti, che mal si addice alla natura stessa dell’edificio industriale. Infatti, gli studi tipologici 5 svolti nei secoli e tesi alla scoperta di una sostanza profonda che sostenga la variabilità dell’aspetto, definiscono il legame del “tipo” con una dinamica evolutiva che si oppone ad un idea di fissità assoluta della struttura architettonica e che si apre al possibile futuro di variabili incognite. Una tale interpretazione del tipo, definibile organicistica, consente di ragionare sull’edificio industriale definendone la sua unicità. La diversità dagli altri edifici, assimilabili per categoria, diventano non casuali ma parti della complessità del tipo che coinvolgono la sostanza tipologica 6 . Un approccio di questo genere nel recupero di edifici industriali appare quanto mai congruente dato che un edificio adibito alla produzione può essere certamente considerato parte di un sistema complesso, caratterizzato da relazioni complesse tra gli elementi 7 . Indagare la tipologia di relazioni permette una risposta alle esigenze future non riproponendo lo stesso tipo di articolazione funzionale degli spazi della situazione storica dell’industria da recuperare, ma confermando la stessa modalità di organizzazione biunivoca tra “luoghi” ed “esigenze” caratterizzanti l’organismo architettonico. L’ipotesi che si vuole perseguire è che il progetto di recupero degli edifici industriali metta in moto un processo macroevolutivo 8 che operativamente significa:

‐ Non ammettere una conservazione fissa della tipologia dell’industria ma lasciare spazio ad una sua possibile rigenerazione nel futuro.

‐ Non dare indicazioni funzionali che vadano nella direzione di una estrema specializzazione 9 .

La relazione tra i due punti risiede nella natura dell’edificio industriale, cioè una struttura con modifiche continue, relative all’evoluzione degli impianti. Infatti, un progetto di recupero, pensato come rigidamente definito nella sua struttura tipologica, unitamente ad una

4 Cfr.: F. Muzzillo, B. Zagarese, “Caratteri tipologici e forme abitative”, in Recupero delle preesistenze e forme dell’abitare, vol. II, Napoli, 1991, p. 84. 5 Quatremère de Quincy intese il “tipo” come “l’idea di un elemento che deve […] servire di regola al modello. Saverio Muratori parla del rapporto tra l’individuabilità del tipo con un nuovo aspetto individuale insorgente come sviluppo e differenziazione nell’ambito del primo. 6 Ibidem, p. 83, 89. 7 Un esempio può essere la struttura architettonica delle prime fabbriche con impianti azionati dagli alberi di trasmissione. La relazione tra la forza motrice, la relativa trasmissione agli impianti di produzione, con la struttura architettonica modifica l’edificio sia in piano che in alzato, e la perdita della relazione tra questi elementi impedisce la comprensione dell’impianto originario dell’edificio e della produzione. 8 La macroevoluzione è detta anche tipogenesi, questo modo di studiare l’evoluzione come processo di generazione e modificazione tipologica legittima l’ipotesi per la quale al “tipo” venga riconosciuta la capacità di trasformarsi esso stesso. Cfr.: F. Muzzillo, B. Zagarese, “Caratteri tipologici e forme abitative”, in Recupero delle preesistenze e forme dell’abitare, vol. II, Napoli, 1991, p. 85. 9 Cfr.: F. Muzzillo, B. Zagarese, ibidem, p. 85.

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classificazione funzionale degli spazi altrettanto rigidamente definita, porterebbe verso un’estrema specializzazione che diminuirebbe l’adattamento ad una modificazione futura. Un progetto di recupero che si occupa di edifici industriali deve tenere presente i tratti “non adattivi” 10 di queste particolari strutture affinché si possa conservare un patrimonio potenziale utile alla sopravvivenza di questi edifici in una situazione futura, oggi non prevedibile. È infatti innegabile che in un intervento di recupero, anche il più conservativo, l’organismo architettonico subisce profonde metamorfosi spaziali o tecnologiche. Nonostante ciò, si conservano sempre i caratteri originari primari che rendono quel luogo riconoscibile come archeologia industriale; il che deriva dalla riconferma, nell’evoluzione dell’organismo, di un “codice genetico” , anche definito “nocciolo centrale” . Naturalmente la modificazione della struttura industriale da recuperare non vale a giustificare un intervento violento che ponga in atto processi distruttivi. Va, invece, considerata come una potenzialità da sfruttare per il recupero degli edifici industriali conservando i margini di libertà, tipici di queste strutture, che possono garantire un processo di trasformazione che non alteri i loro caratteri originari primari. Un ruolo fondamentale svolge la valutazione della nuova destinazione d’uso, che deve essere necessariamente compatibile con il codice genetico del sistema architettonico, senza considerare questo l’unico parametro nell’evoluzione di queste architetture. Infatti, proprio la nuova destinazione d’uso per un edificio industriale dismesso è un elemento che potremo definire, in linea con un’analisi in chiave organica, fenotipico, cioè legato al mutare delle condizioni ambientali. Non bisogna dimenticare che i comportamenti culturali d’uso non solo sono condizionati dalla struttura tipologica degli ambienti in cui si esplicano, ma a loro volta modificano la natura degli ambienti 11 , dal che si evince quanto sia importante la destinazione d’uso per un edificio industriale dismesso che ne evidenzi la metamorfosi nell’ambito di una diversa fase di crescita dell’organismo edilizio. Lo studio delle potenzialità di recupero degli edifici industriali nasce dall’analisi di casi studio di impianti recuperati. Per ogni edificio è stata effettuata un’analisi dello stato dei luoghi precedente all’intervento di recupero seguendo, quando possibile, tre diversi livelli di analisi: ambientale, architettonica e tecnologica 12 . L’attenzione alla natura dinamica dei luoghi permette di leggere il rapporto esistente tra i sistemi “tipologico”, “costruttivo” e “spaziale” e le forme di utilizzo che nel tempo si sono susseguite, lasciando, però, intatto il nocciolo centrale che il processo di evoluzione del tipo tenderà a riproporre. Questa ricerca intende fornire su questa problematica un ampliamento dello sguardo utile soprattutto in Italia, dove generalmente non si ritrovano dei caratteri formali di queste aree perché ab inizio vi è stata una rinuncia, da parte dei costruttori, a porsi il problema dell’identità, creando una frattura nella vicenda storica della città 13 . Per definizione l’identità è ciò che rimane identico nel tempo, nel nostro ambito il progressivo definirsi del rapporto

10 Cfr.: F. Muzzillo, B. Zagarese, ibidem, p. 85. 11 Ibidem, pag. 86. Questa affermazione per un edificio industriale appare tanto più veritiera dato che spesso l’edificio sorge attorno alla produzione ed in funzione di essa. 12 Trattando di manufatti industriali da riconvertire il livello architettonico diviene, secondo Augusto Vitale, un progetto “generatore di conservazione” rappresentato all’esterno da una definita e nota tipologia, ed un “ luogo dell’invenzione”, rappresentato all’interno dalla necessità di riconfigurare gli spazi e rivitalizzarli. Dal punto di vista tecnologico, invece, vi è una stretta correlazione tra la precedente funzione ed il recupero dell’edificio: sono infatti proprio gli aspetti tecnologici che creano un ideale filone di continuità con le tracce della produttività delle fabbriche. 13 Valeria Pezza, “la questione delle aree dismesse”, in Bollettino del Dipartimento di Progettazione Urbana Università degli Studi di Napoli “Federico II” , n°2, 1996, pag. 113.

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tra il luogo e la sua costruzione 14 può essere quindi il nocciolo centrale che il processo di evoluzione del tipo tenderà a riproporre al suo interno 15 . Come scrive W. Benjamin:“L’Hic et Nunc” dell’originale costituisce il concetto della sua autenticità […]. L’intero ambito dell’autenticità di una cosa è la quintessenza di tutto ciò che, fin dall’origine di essa può venir tramandato, dalla sua durata materiale alla sua virtù di testimonianza storica. 16 Il nocciolo centrale rappresenta l’autenticità che deve essere tramandata, e nel ritrovare la riproposizione nel processo di evoluzione conserviamo l’autenticità dell’edificio pur nella sua trasformazione. Appare invece chiaro che se si vuole cambiare la destinazione d’uso di questi manufatti, se ne deve comprendere la vocazione analizzandone i rapporti prossemici più profondi rispetto alla semplice visione dell’edificio industriale quale utensile che contiene altri utensili. La lettura di alcuni casi studio chiarisce la fruizione della struttura, i rapporti prossemici tra gli individui, i legami di vicinanza e lontananza con le strutture mobili, le alternanze tra gli spazi destinati al pubblico ed al privato, le forme di percorribilità. Naturalmente, bisogna essere a conoscenza dei dati della struttura fisica dell’edifico e confrontarli con i dati relativi al comportamento lavorativo della comunità che operavano in esso, considerando anche il tipo di produzione. Gli elementi che occorre valutare della struttura fisica sono:

• La struttura geometrica • L’articolazione dei vani in piano ed in alzato • La localizzazione degli accessi esterni

Questi dati vanno correlati con la struttura delle attività che si effettuavano negli edifici: • La suddivisione in attività collettive e private, e nelle ore lavorative. • Il carattere delle attività: di tipo attivo, di tipo mentale, effettuate dalle macchine,

dall’uomo o in sinergia. Incrociando queste due letture si possono ottenere delle informazioni utili alla comprensione dei tratti tipologici e le vocazioni genetiche dell’esempio analizzato 17 :

o Le relazioni tra gli spazi interni e degli spazi esterni integrati all’organismo architettonico ed in relazione alle attività che si conducono negli uni e negli altri.

o La relazione tra l’accessibilità dall’esterno e le modalità di penetrazione nell’organismo.

o La relazione tra la permeabilità dall’esterno e dall’interno, e la percezione della stessa. o La suddivisione degli spazi per la produzione e la successione crescente di grado fino

alla rifinitura del prodotto. o Le forme di percorribilità interne ed il rapporto tra percorso e meta. o Le relazioni tra la scansione spaziale e distribuzione di affluenza, e di modi in cui la

variazione della seconda alterano la prima. o Le funzioni differenziate in base alla conformazione ed alla forma degli ambienti. o La suddivisione in sottoinsiemi spaziali in cui siano costanti determinati rapporti:

dimensioni/produzioni; illuminazione/produzioni. o La suddivisione tra luoghi dello stoccaggio e luoghi dell’attività.

14 Ibidem. 15 F. Muzzillo, B. Zagarese, “Caratteri tipologici e forme abitative”, in Recupero delle preesistenze e forme dell’abitare, vol. II, Napoli, 1991, pp. 83, 89. 16 W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino 1966, pag. 24 17 Non bisogna però pensare che decifrare il codice genetico porta a stabilire univocamente quale sia il ruolo idoneo all’organismo architettonico.

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Utilizzando questa lettura emerge come l’evoluzione tipologica degli edifici produttivi si va sviluppando in maniera non lineare. L’edificio e gli elementi della produzione si modificano reciprocamente e durante questo processo i cambiamenti sempre più rapidi delle produzioni influiscono notevolmente. Il mutamento del rapporto tra questi due elementi ci permette di individuare le invarianti del processo adattivo nell’architettura industriale da recuperare. Ne deriva una serie di relazioni da considerare nel progetto di recupero. Questo processo di riconoscimento dei tratti tipologici è semplificato nel caso della fabbrica dall’esistenza di un ciclo produttivo che, riproducendo una serialità che discende dalla necessità di standardizzare le tecniche costruttive e i componenti utilizzati, rivela il suo carattere tipologico. Possono emergere da un’indagine così svolta alcuni nodi tipologici intorno a cui lavorare nel progetto di recupero, sia alla scala insediativa che a quella dell’edificio. Ne daremo breve cenno di seguito senza ritenere la ricerca conclusa aprendola così a nuove interpretazioni e proseguendo in ulteriori approfondimenti. Gli spazi esterni sono contraddistinti da una varietà nelle dimensioni e da un articolato apparato di infrastrutture, di diversa natura e ruolo, serventi l’impianto industriale. In questi spazi si determinano dei rapporti dovuti alla distribuzione, al trasporto ed alla movimentazione delle materie prime, dei prodotti finiti e dei residui di lavorazione, fino allo stoccaggio, all’immagazzinamento e all’accesso agli edifici principali. Il complesso panorama delle aree industriali appare così un “troppo pieno” con una progressiva saturazione e occupazione degli spazi vuoti 18 nell’evoluzione dell’impianto. Questo nodo va considerato nel recupero di queste aree che troppo spesso diventano, nel progetto di recupero, un vuoto attorno all’architettura catalogata come archeologia industriale. Infatti […] un intervento che tenda ad isolare allo stato attuale il monumento industriale, in realtà non tutela un rapporto originario con l’ambiente in quanto tale rapporto, per natura stessa dello sviluppo industriale, non è mai esistito in forme cristallizzabili. 19 Un nodo alla scala dell’edificio è dato dalla dimensione, spesso considerevole, di alcuni complessi industriali e dalla ricorrenza di alcune figure 20 . Ad esempio, una navata, è uno spazio che definisce dei percorsi orientati sia nella destinazione originaria che nei progetti di recupero. La sala con colonne, invece, compone degli spazi che nella situazione originaria sono destinati tutti ad una stessa linea di lavorazione, nel progetto questi spazi possono essere utilizzati in maniera flessibile senza snaturarne la struttura. Altri elementi da considerare sono le strutture annesse all’edificio stesso, legate al trasporto di materiali e alle produzioni specifiche, gli edifici – macchina 21 . Questi ultimi, nel caso di impianti industriali in esercizio, sono elementi inseriti in una fitta rete di spazi. Nella riqualificazione diventano, a volte, elementi isolati inseriti in vuoti mai esistiti, in cui le relazioni che intercorrevano tra il frammento rimasto e il complesso di edifici scomparsi 22 sono irrimediabilmente scomparse.

18 Massarente Alessandro “ da archeologia a patrimonio industriale” in costruire in laterizio n° 105. 19 A. Negri, M. Negri, L’archeologia industriale, Firenze 1978, p. 68. 20 Massarente Alessandro, op.cit. 21 M. Stratton, definisce non buildings queste strutture industriali. È sembrato opportuno rifarsi a questo termine inglese in quanto riesce a dare un’idea, seppur a grandi linee, di questi elementi. La traduzione del termine in italiano è stata suggerita dal prof. A. Vitale. Cfr. AA.VV., Industrial buildings. Conservation and Regeneration, (a cura di Stratton M.), New York, 2000, pag. 37. 22 Massarente Alessandro, op.cit.

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Analisi dell’edificio industriale ex manifattura tabacchi Centola a Pontecagnano prima e dopo l’intervento di recupero firmato dallo studio corvino+multari. Ringrazio gli architetti Vincenzo Corvino e Giovanni Multari per avermi fornito il materiale iconografico.

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Analisi dell’edificio industriale della Tate Modern di Londra prima e dopo l’intervento di recupero firmato dagli architetti Herzog e De Meuron.

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Analisi dell’edificio industriale dello zuccherificio Eridania a Parma prima e dopo l’intervento di recupero firmato dallo studio di Renzo Piano.

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