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Dedico questo lavoro al mio Sensei, a mia
Mamma, ai miei Allievi, ai miei Compagni e
a tutte le Persone che ho avuto il piacere di
conoscere grazie al Judo, perché senza di
loro non avrei avuto la materia prima per
scrivere.
Grazie per credere in me, sempre.
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Indice
- Prefazione…………………………………………………………..…….pag 5
- Parte 1 - L’età evolutiva…………………………………………...……..pag 7
o Bambini -> 4-6 anni……………………………………………………...pag 7
Motivazioni estrinseche
Scarse capacità motorie
“judo-gioco come allenamento funzionale”
Il judo educativo
o Fanciulli -> 7-11 anni………………………………………………......pag 13
Motivazioni intrinseche
Avvicinamento alla tecnica in sé e al randori coscienzioso
Il judo come mezzo di sviluppo psico-fisico
o Esordienti A/B -> 12-15 anni…………………………………………...pag 15
Motivazione personale
Judo tecnico, randori efficace
Il connubio scuola-judo
Agonista?
o Cadetti -> 15-17 anni…………………………………………………...pag 19
Periodo di pieno sviluppo motorio
Evoluzione / specializzazione tecnica
Fase critica adolescenziale e calo motivazionale
Il judo educativo
Agonista, non agonista o collaboratore?
o Approfondimento -> crescere sul tatami: i benefici del judo………..….pag 24
- Parte 2 – L’età di stabilizzazione………………………………..……….pag 23
o Prima età adulta -> 18-35 anni…………………………………………pag 23
L’età dell’armonia e della grande forma
Facilità di esecuzione
Periodo di scelta judoistica
Iniziare o ricominciare judo adesso.. difficoltà e soddifazioni
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o Seconda età adulta -> 35-50 anni………………………………………pag 30
Aspetto motorio e funzionale
Diminuzione della prestazione sportiva
Il judo per tenersi in forma
I temerari master
- Parte 3 - L’età di involuzione…………………………..…...…..……….pag 34
“Gli anni in cui si accentua la diminuzione della prestazione”
Quando l’età non è un limite
- Conclusione………………………………………..…..…...…..……….pag 36
- Bibliografia…………………………..…...………………….....……….pag 38
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Prefazione
Quante volte, durante la nostra permanenza dentro e fuori dal dojo, abbiamo sentito la
celebre frase “il Judo ha la natura dell’acqua. L'acqua scorre per raggiungere un livello
equilibrato. Non ha propria forma, ma prende quella del recipiente che la contiene.” ?
Tantissime… Ma questo perché? Siamo convinti che questa Arte sia adatta, nelle sue varie
sfaccettature, a tutti? Siamo sicuri che sia adattabile proprio come l’acqua? Ecco, lo scopo
di questo mio scritto è quello di analizzare i vari aspetti del judo e di come esso combacia
con le varie fasi vitali.
Il nucleo fondamentale attorno al quale
svilupperò la mia tesi infatti sarà: il judo
sviluppatosi nelle diverse fasce d’età
(evolutiva, di stabilizzazione e di
involuzione) partendo dal judo educativo
e didattico fino ad approdare al periodo
di turgor con la massima capacità
tecnica, per poi concludere con il judo
“senior” per aiutare il corpo ad
“invecchiare bene”.
Ovviamente ogni atleta ha in sé uno storico, un percorso di vita e di formazione diverso.
Proprio per questo motivo cercherò di analizzare e sviluppare in maniera più ampia possibile
le varie “scelte” che un judoka deve affrontare durante il suo cammino, ad esempio:
l’agonismo, l’insegnamento, il do ut des… Oltre a ciò mi soffermerò non solo sull’atleta in
sé, ma anche sul ruolo strategico che l’insegnante esercita sul suo allievo perché,
diciamocelo, il cinquanta percento del lavoro svolto nei riguardi di una persona è in primis
del suo educatore, del suo plasmatore.
Innanzi tutto però vorrei precisare cosa è il judo, questa arte che affascina talmente tanto ma
che da esterni spaventa anche un po’. Penso di trovare tutti d’accordo nell’affermare che
sicuramente non è solo uno sport. È la “ricerca della vita”, quel percorso fisico e mentale
che ingloba in sé tutti i principi e i valori umani, quello che ci permette (se ben utilizzato)
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di diventare persone con la P maiuscola. Perché judo è questo: apprendere, praticare,
faticare, creare basi solide e poi dare…dare tutto quello che si ha: le conoscenze, il tempo,
la disponibilità…il judo.
Per un bambino possono essere le due ore settimanali nelle quali gioca, si diverte e lotta con
i suoi compagni, imparando inconsciamente a sottostare a delle regole, creare rapporti,
autodisciplinarsi, raffinare le sue capacità motorie, di equilibrio. Per un adolescente invece
il dojo può essere, oltre che un luogo di incontro con suoi coetanei e persone più adulte, un
posto per ricercare la giusta “via”… quanti ragazzi al giorno d’oggi vengono tutelati grazie
allo sport? Ne discutevo recentemente con Maddaloni, abbiamo un esempio clamoroso a
Scampia, dove la nostra disciplina salva ogni giorno giovani dalla strada e gli permette di
crearsi un futuro. Per un adulto invece il judo diventa il così detto “non solo judo”,
l’emblema dei jita kyo ei… infatti sul tatami si ritrovano compagni di una vita, amici di
sempre che ti hanno aiutato a diventare chi sei ora, giovani ragazzi da guidare e a cui dare il
buon esempio, piccoli bambini che bisogna prendere per mano e aiutare anche solo
nell’allacciarsi la cintura.
Ecco, questa per me è la cosa più bella: grandi e piccoli in un luogo comune dove la diversità
non esiste e il rispetto e l’amicizia regnano sovrani.
Con questo spero che la lettura del mio lavoro sia gradevole ma, soprattutto, che questo
percorso vi renda partecipi e concordi riguardo alla versatilità di questa magnifica disciplina
che pratichiamo da anni con costanza, dedizione e tanta passione!
“Now you put water into a cup, it becomes the cup, you put water into a bottle, it becomes
the bottle, you put it in a teapot, it becomes the teapot. Now water can flow or it can crash.
Be water, my friend." (Bruce Lee)
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Parte 1 – L’età evolutiva
Per età evolutiva si intende quel periodo di crescita che va dai 4 ai 17 anni, dove l’allievo
intraprende un percorso personale per sviluppare adeguatamente tutte le capacità motorie
coordinative e condizionali. Durante questa fascia d’età ci sono svariate suddivisioni interne
che comportano il variare e il migliorare di certe predisposizioni e pensieri legati alla
conoscenza di sé stessi, del proprio corpo e del proprio ruolo.
Una semplice distinzione in base alle età può essere la seguente:
Bambini -> 4-6 anni
Fanciulli -> 7-11 anni
Esordienti A/B -> 12-15 anni
Cadetti -> 15-17 anni
Come detto prima, ogni età ha la sua peculiarità. Cerchiamo ora di analizzare ogni fase
evolutiva nei suoi aspetti principali.
Bambini -> 4/6 anni
- Motivazioni estrinseche
“Vorrei iscrivere mio figlio a fare Judo in modo tale che si disciplini un po’,
che scarichi le energie in eccesso in modo da tranquillizzarsi”
“Vorrei iscrivere mio figlio a judo perché è molto introverso e timido, magari
questo scambio corpo a corpo può essergli utile per aprirsi”
“Vorrei iscrivere mio figlio a judo in modo tale che impari a difendersi”
Tutti questi “vorrei” dei genitori sono assolutamente apprensibili e, da un certo
punto di vista, possiamo anche dire che
il judo, in ognuno dei casi menzionati,
servirebbe a tantissimo per i bambini in
questione. Difatti con esso i bambini
possono muoversi in assoluta libertà,
osservati e corretti dal maestro,
sottostando a delle regole che servono a
disciplinare e formare il carattere; in
secondo luogo, con il corpo a corpo e gli esercizi di squadra/coppia, è
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inevitabile che il bambino socializzi, faccia gruppo, nel modo più naturale
possibile, quello del contatto diretto; infine, essendo comunque il judo un’arte
marziale, è inevitabile che adotti tecniche e sistemi di difesa, in modo tale che
in certe situazioni dannose essi risultino innati nel soggetto in questione.
Il problema sostanziale però quale è? I genitori hanno tutti i motivi di questo
mondo ad iscrivere i loro figli ai nostri corsi ma, non sempre, i bambini sono
mossi da una loro motivazione personale. Possiamo giustificare il fatto che
siano troppo piccoli per fare scelte significative, è vero, ma proprio per questo
sta all’insegnante il mestiere più difficile. Deve essere in grado di trasformare
queste motivazioni estrinseche quali, i genitori, l’amico del cuore, il compagno
di classe, per sostituirle al puro piacere del bambino di divertirsi, di salire sul
tatami, di svolgere esercizi e lottare a piedi nudi, di indossare il judogi, di
rispettare le regole e voler bene al proprio maestro e ai compagni.
Tutto questo non esclude il fatto che, davvero, essendo i bambini così piccoli
abbiano bisogno di un primo input iniziale… anche perché è conclamato che
il judo sia uno degli sport più completi e formativi soprattutto in queste fasce
d’età.
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- Scarse capacità motorie
Questo può essere un vero e proprio punto critico per i bambini di questa età,
soprattutto perché non hanno ancora sviluppato discretamente nemmeno le
capacità coordinative e condizionali. Il buon insegnante deve sempre premiare
il bambino, facendogli capire che non esistono limiti ma solo ostacoli che, con
pazienza, dedizione e coraggio si possono superare tranquillamente nel tempo.
La tabella sottostante, riguardante
le fasi sensibili dell’età evolutiva
secondo Martin, nemmeno
illustra le capacità di questa fascia
di bambini e, proprio questo,
sottolinea il fatto che esse siano
ancora molto grezze, da
introdurre e sviluppare nel tempo, secondo le varie predisposizioni dell’atleta,
senza forzare la sua conoscenza motoria e soprattutto evitando
demoralizzazioni sia fisiche che mentali. Possiamo paragonare l’introduzione
di nuovi giochi, esercizi e tecniche al salto ad ostacoli… i bambini durante i
loro allenamenti utilizzeranno progressivamente ostacoli sempre più alti per
incrementare la difficoltà, lo stesso ragionamento vale sul tatami.
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- “Judo/gioco come allenamento funzionale”
Il Judo/gioco è un metodo educativo che si propone di porgere al bambino gli
strumenti di formazione delle sue capacità coordinative e personologiche,
attraverso un percorso di esperienze ludico-motorie calate nella propedeutica,
nelle dinamiche e nei principi disciplinari del judo. Si rivolge ai bambini della
scuola dell’infanzia, considerato che dai 6/7 anni in poi l’attività motoria tende
gradualmente ad assumere una connotazione finalizzata alla costruzione di
schemi motori strumentali alla prestazione sportiva. Condividendo con la
pratica psicomotoria lo scopo formativo e/o rieducativo del profilo
emozionale, affettivo e relazionale del bambino che si realizza attraverso il
piacere del movimento, il judo/gioco si avvale di una didattica che utilizza
FASI SENSIBILI: TABELLA DI MARTIN
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principalmente l’interazione corpo a corpo come amplificatore della
comunicazione non verbale determinata dalla distanza intima di confronto
(intimate space). Attraverso il contatto fisico, il bambino affronta un processo
di conoscenza anatomica del proprio
corpo e di quello dei compagni che si
congiunge alla percezione dei profili
emozionali legati al tatto ed alla
prossimità. La rottura della distanza
detona i processi socio-relazionali ed
affettivi, determinando il
superamento del senso di imbarazzo,
di introversione, di opposizione
provocatoria, a beneficio del senso di autostima, ridimensionamento e
controllo. Dinanzi ad una spinta, ad uno squilibrio, al timore del confronto
fisico, il corpo non mente e l’atteggiamento lascia il posto alla sincerità. La
forza e le modalità della pressione delle mani, la postura, le ritrosie o
l’aggressività, le vibrazioni corporee, le tensioni o i rilasciamenti muscolari si
allacciano alle risposte fisiologiche e cardiovascolari del bambino, fornendo
un quadro istantaneo e veritiero delle sue inclinazioni, delle paure, dei punti
di forza e di debolezza, dando modo al Maestro di adottare i correttivi o i
facilitatori (potenziamento schemi motori di base, disciplina, interazione,
controllo, significato dei ruoli e della responsabilità, premio e sconfitta), che
lo accompagnino gradualmente e naturalmente in un percorso di
valorizzazione delle sue capacità e di rielaborazione costruttiva del malessere
psicofisico. Un cammino che inizia sul tatami e si perfeziona nel dialogo
costante con i genitori (ed ove occorra con lo psicologo), chiamati, se
necessario, a partecipare in prima persona alle lezioni allo scopo di rendere
più serena la fase dell’inserimento. Il lavoro di osservazione del Maestro
prosegue oltre gli schemi di lotta, volgendo ad inquadrare le reazioni che il
bambino pone in essere anche nelle dinamiche di gruppo, nella risposte alla
regola, alle sollecitazioni, alla dimensione competitiva, analizzandole in un
procedimento di causa/effetto che le ricollega al grado di percezione del suo
vissuto (serenità familiare, equilibrio relazionale, assenza quali/quantitativa di
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uno e/o due genitori, presenza di sostituti, mancanza di autorità, violenza
verbale o fisica domestica, traumi, disagi legati alla percezione di genere
sessuale ecc.). Il judo/gioco è dunque la cartina al tornasole dell’intimità del
bambino, il microfono del suo mondo interiore. È un orecchio sul suo cuore,
la risposta ad una richiesta inespressa di esibizione e/o di aiuto. L’occasione
per vestire in judogi la sua crescita psicomotoria.
- Il judo educativo
Le arti marziali hanno tra gli scopi principali quello di disciplinare il carattere,
plasmare la mente in modo tale che sappia regolare azioni e reazioni in base
agli eventi a noi sottoposti. “Le discipline orientali infatti sono fortemente
consigliate perché favoriscono una costante ricerca di equilibrio e di
perfezione nei movimenti, nel rispetto dell’avversario” ci ricorda Raffaele
D’Errico, nel suo trattato “il judo, l’arte di educare i bambini”.
Il judo educa, plasma, ed è utile sia per bambini “timidi, introversi, ansiosi e
con difficoltà a stabilire rapporti interumani” o anche per quei bambini “leader
o onnipotenti, perché un simile indirizzo potrà essere utile per
ridimensionarli”. Girando la medaglia però ci rendiamo conto che la nostra
arte marziale è forse ancora più utile per i bambini “molto vivaci e/o
aggressivi” in modo tale che avvenga un efficace connubio tra dispendio
massimale di energie e, nello stesso tempo, rispetto di regole rigide, finalizzate
a contenere la loro esuberanza.
Marcello Bernardi sostiene, in accordo con il collega sopra citato, che
“facendo judo miglioro me stesso per essere utile agli altri. Il judo è una strada
per arrivare a questo, perché permette di conquistare il vuoto della mente e
quindi di entrare in sintonia con il cuore”. Forse questo sembra troppo
complesso per un bambino di 4/6 anni ma, personalmente, ritengo che sia
molto più semplice per un bambino trovare se stesso, soprattutto perché loro
hanno la convinzione che “non si vede bene che con il cuore; l’essenziale è
invisibile agli occhi” (il Piccolo Principe- Antoine de Saint Exupèry) e,
partendo da ciò, cercano l’essenza vera in tutto, avendo come punto di partenza
ciò che muove il loro Io.
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Fanciulli -> 7/11 anni
- Motivazioni intrinseche
In questo fascia d’età il bambino inizia a capire cosa vuole, sa guardarsi attorno
e sa effettuare delle scelte. È per questo motivo che non tutti gli atleti che
frequentavano il corso di judo/gioco decidono di continuare a percorrere
questa strada, forse si rendono conto che c’è molto altro da provare prima di
scegliere uno sport “fisso”. Altri invece iniziano ad avvicinarsi ex novo a
questa disciplina, perché ne sono personalmente affascinati e, di conseguenza,
fanno appassionare anche i genitori.
“Mamma io voglio fare judo, mi porti a provare?” è con questa frase che è
iniziata la mia vita da judoka e, da quanto mi riportano alcuni genitori, anche
quella dei miei allievi. Poi c’è qualche genitore che, come mia madre ad
esempio, all’inizio non ne è molto entusiasta (soprattutto quando si tratta di
bambine) e temporeggia anche solo
a comprare il judogi… altri invece
ne sono esaltati e, oltre che portare i
figli in palestra, si appassionano a
loro volta e si fermano ad assistere
ad ogni lezione (oppure si iscrivono
al corso adulti!).
Questa motivazione personale è la più forte in assoluto. È quella che viene
fomentata giorno dopo giorno, allenamento dopo allenamento. Si vuole
sempre migliorare, si è disposti a dare il massimo e impegnarsi in ogni
momento. Si distinguono facilmente gli allievi che sono motivati da loro stessi
e quelli che, mio malgrado, sono spinti ancora da forze “esterne”.
Il judo appassiona, il judo è in grado di diventare parte di se stessi e della
propria vita… partendo proprio da questa età. Ovviamente la passione va
fomentata, il bambino ha ancora bisogno di un aiuto per capire quello che sta
facendo e che dovrà fare, per questo l’insegnante deve continuare il suo
percorso di plasmazione, evitando ancora di mostrare al bambino elementi
troppo complicati per le sue capacità e, in caso, aiutandolo a migliorare
singolarmente e con allenamenti specifici, alzando, di volta in volta, come
dicevamo prima, il livello dell’ostacolo. Il bambino conosce bene i suoi limiti,
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ma se ogni volta decide di salire sul tatami, vuol dire che ha la grinta e lo
spirito giusto per provare a superarli.
- Avvicinamento alla tecnica in sé e al randori coscienzioso
È questo il momento in cui i giochi di lotta iniziano a trasformarsi nella ricerca
della tecnica spiegata e studiata insieme al maestro, dove si affronta il primo
approccio con il vero e proprio randori. Per il bambino è un passo importante
perché si rende conto che non basta “fare”, ma bisogna iniziare a “fare bene”
affinchè l’esercizio in se diventi efficace. Non si parla più di semplice lotta,
ma vengono introdotti i concetti
di immobilizzazione, presa,
squilibrio, tecnica finalizzata alla
ricerca dell’ippon, che sia durante
ne o nage waza.
Questo può essere un problema?
A volte si… può darsi infatti che
un bambino che fino all’anno precedente vinceva per prestanza fisica adesso
venga “battuto” da qualcuno meno forte fisicamente ma che ha migliorato
notevolmente la tecnica. I ruoli si possono invertire continuamente, tutto sta
all’impegno che i vari judoka applicano allo studio e alla personalizzazione
dei vari insegnamenti… purtroppo, o per fortuna, lo sport non si impara sui
video, più volte si pratica, più volte ci si dedica ad un determinato movimento,
esercizio, tecnica, più saremo veloci, efficaci e facilitati nello svolgerlo; il
nostro cervello interiorizzerà nella memoria cinestesica certi input in modo
tale che il movimento, dopo un tot di ripetizioni, venga immagazzinato, diventi
naturale.
Proprio per questo motivo in questa fascia d’età si inizia ad insegnare il judo
tecnico e, con il randori, la ricerca della perfezione tecnica. Il cervello del
bambino infatti risulta più malleabile all’introduzione di nuovi input
cinestesici e, proprio come per lo studio mnemonico e teorico, la facilità di
memorizzare concetti e/o movimenti è molto avvantaggiata. Inoltre, inutile
dirlo, l’atleta inizia a capire solo ora il fine e lo scopo di determinati
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movimenti, collegati a precise situazioni, e cerca anche di esporsi, proponendo
all’insegnante e al gruppo le sue alternative a determinati esercizi.
- Il judo come mezzo di sviluppo psico-fisico
“La pratica dello sport nel bambino rappresenta un evento molto importante
soprattutto se visto come fonte di divertimento e benessere psicofisico. Nelle
nostre odierne città claustrofobiche lo sport, oggi più che mai, rappresenta un
impegno significativo per favorire lo sviluppo armonico dell’organismo e
della sua coordinazione, con effetti benefici sulla circolazione del sangue, sulla
respirazione, sullo sviluppo
psicologico e sociale” e,
continua D’Errico, “fra le tante
attività sportive, le discipline
orientali, come il judo, sono
fortemente consigliate perché
favoriscono una costante ricerca di equilibrio e di perfezione nei movimenti,
nel rispetto dell’avversario”.
Esordienti -> 12/15 anni
- Motivazione personale
È questa l’età nella quale l’atleta prende coscienza del vero motivo per cui
varca la soglia del dojo, e soprattutto del piacere personale che questa azione
genera in lui. Lo si capisce fin da subito: i ragazzi iniziano a diventare più
perspicaci, pongono domande, sollevano questioni, si applicano
maggiormente. Oltre ai soliti due/tre allenamenti settimanali non si estraniano
quando si propone un allenamento extra in un’altra palestra oppure uno stage,
anche di più giorni. Sono spinti da se stessi, dal voler fare, dimostrare, e anche
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dalla voglia di far gruppo con i loro coetanei. “Insieme per crescere e
progredire”, iniziano in questi anni a capire cosa davvero voglia dire, sia
all’interno che fuori dal dojo. Questo per un semplice motivo: in questa fase i
giovani crescono talmente velocemente che non capiscono nemmeno loro se
sono ancora bambini o piccoli adulti, questo “non conoscersi” genera in loro
uno stato di ansia e di crisi nel mondo reale perché non capiscono con chi
devono rapportarsi ma soprattutto come. All’interno del dojo e con i propri
compagni di squadra invece tutto risulta naturale e incondizionato, più
generazioni si trovano sul tatami a confrontarsi ma ognuno resta se stesso,
capendo chi realmente è e dove deve stare. È anche questo uno dei motivi
fondamentali per cui lo sport aiuta a crescere, perché ti catapulta in un mondo
vasto ma abitato da persone che ti apprezzano e sostengono per chi sei
realmente, facendoti capire il tuo ruolo e il tuo valore.
- Judo tecnico, randori efficace
E' questa la fascia dei "pre agonisti", i quali volenti o nolenti il più delle volte
si vedono costretti a doversi confrontare con coetanei più o meno esperti.
proprio per questo motivo devono ottimizzare
il loro judo, cercare di perfezionare la parte
tecnica per conseguire tutti i principi e rendere
così la ricerca dell'ippon il più efficace
possibile.
Durante questo periodo sta all'insegnante
introdurre nell'allievo principi dinamici di
renraku e gaeshi, in modo tale che, sfruttando
i vari movimenti di mawari komi, tobi komi e
hiki dashi, il giovane, ancora motoriamente
inesperto, possa interiorizzare i movimenti,
scegliere quello più idoneo alle sue caratteristiche e capacità fisiche, e da li
migliorarlo, analizzarlo, renderlo suo ed efficace, abbinandogli di
conseguenza quello che diventerà il suo tukui waza.
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Il lavoro del maestro però non è fine solo alla scelta della cosiddetta "tecnica
preferita", infatti nel contempo ha aiutato l'atleta ad avere più maestria con
tutti quei movimenti che poi vengono ripetuti innatamente nel momento del
randori. E’ proprio in questa fascia di allievi infatti che si inizia a vedere un
randori non più statico, ma improntato sul damashi, sugli squilibri direzionali,
sulla velocità data dal sapere "dove sono e dove è"... tutto questo perché il
corpo e la mente dell'atleta si sono abituati a lavorare in un certo modo,
insieme, rendendo il lavoro globale, in questo caso il randori, molto più attivo,
efficace, bello.
- Il connubio scuola-judo
Siamo nella fascia fine medie-inizio superiori, un momento dove il ragazzo
deve essere molto concentrato nella scuola perché gli si presentano situazioni
nuove da affrontare come, per esempio, gli esami di terza media o l'inizio della
carriera superiore che, non sempre, risulta facile e senza inconvenienti di
percorso. Molti dicono che chi è bravo a scuola è necessariamente bravo anche
nello sport e viceversa, io non ne sono del tutto convinta o, quantomeno, cerco
di spiegarmi.
I ragazzi, soprattutto a questa età,
scelgono la loro priorità. Che sia lo
sport, che sia la scuola, che sia una terza
risulta indifferente, ma ben capite che se
si dà più peso ad una l'altra
irrimediabilmente tende a calare. Un
ragazzo che punta ad avere dieci in tutte
le materie ad un liceo scientifico è molto
più probabile che salti un allenamento a
settimana, diminuendo il suo profitto
judoistico; il ragazzo invece che punta all'agonismo e a vincere probabilmente
si concentrerà più nello sport, nell'aumentare il numero di allenamenti e si
accontenterà del basso profilo scolastico.
Ovviamente, come in tutte le cose, le eccellenze ci sono, fortunatamente. Gli
atleti che si allenano due o tre volte a settimana, solitamente, riescono a
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conciliare tutto, facendo necessariamente qualche sacrificio che, loro, sono
disposti a fare. Sottolineo il "loro" perché il più delle volte questi ragazzi
vengono frenati dai genitori. "Se prendi un'insufficienza salti allenamento" "Se
non finisci i compiti non ti porto in palestra", queste minacce alla fine sono la
cosa più diseducativa e meno producente che un genitore possa fare.
Il ragazzo deve imparare ad autogestirsi e autoregolarsi. È ovvio che lo si fa a
fin di bene ma, mettiamoci nei panni del giovale: nel primo caso riuscirebbe a
scaricare la tensione della "verifica andata male" e si ricaricherebbe per il
giorno dopo, nel secondo caso sacrificherebbe la serata per finire di studiare
quello che non aveva potuto fare perché era in palestra. Questo è un ragazzo
maturo, che sa quello che vuole. Poi sono io la prima che se un allievo mi dice
che non è venuto ad allenamento perché aveva due verifiche il giorno dopo
non lo rimprovero, ma semplicemente gli spiego come dovrebbe cercare di
organizzarsi, per non arrivare al giorno prima con l'acqua alla gola, perché
anche questo è il compito di noi educatori: far migliorare la persona che
abbiamo dinanzi in tutte le sue forme e sfaccettature.
- Agonista?
Ecco una delle scelte più importanti che l'atleta deve
affrontare: capire se iniziare o meno un percorso
agonistico. Ci sono tanti fattori da mettere sulla bilancia:
gli allenamenti più intensi, il lavoro più mirato, più tempo
sul tatami, i weekend impegnati a far gare, la paura di non
essere all'altezza e così via... Sta al ragazzo scegliere, non
al suo Tecnico, il quale piuttosto deve cercare di essere il
più neutrale possibile e appoggiare qualunque decisione
del suo atleta. L’agonismo non è per tutti…anzi… il più
delle volte in una palestra su trenta tesserati solo un paio
hanno mire agonistiche e, di per sé, è giusto così. Non
necessariamente per essere un buon judoka bisogna
affrontare questo mondo, si può raggiungere l’eccellenza
anche senza salire sul tatami di gara. Ovviamente però si esclude in questo
modo dal proprio bagaglio culturale una larga fetta di conoscenza che va dalla
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tattica di gara, alla gestione delle emozioni pre/durante/dopo il combattimento,
alla concentrazione, etc…
Cadetti -> 15/17 anni
- Periodo di pieno sviluppo motorio
E’ proprio in questa fascia d’età che il ragazzo è nel fior fiore delle sue capacità
fisiche, soprattutto per quanto riguarda forza e resistenza. Con l’incrementare
di queste due condizionali l’atleta riesce a sottostare ad allenamenti più
frequenti e più intensi, migliorando volta con volta e aumentando di per se
l’efficacia richiesta. Il miglioramento avviene anche se, necessariamente, in
questo periodo risultano calanti altre capacità, come ad esempio quella di
apprendimento o di velocità. Proprio per questo bisogna introdurre con
moderazione nuovi concetti e puntare sulla completa revisione e
approfondimento delle basi già precedentemente consolidate, in modo da
portarle al pieno sviluppo tecnico e formale raggiungibile dall’atleta, in
proporzione alle sue capacità momentanee.
- Evoluzione / specializzazione tecnica
Come ribadito poco fa, le capacità
cognitive degli adolescenti sono in
fase calante. È proprio per questo
motivo infatti che si cerca in questo
periodo di trovare la specializzazione
tecnica dell’atleta che ci troviamo di
fronte. Può essere un tukui waza, un
gruppo di tecniche, un movimento
attentamente studiato che mi apre
varie fasi di attacco… Quando si assiste a dei randori di ragazzi di questa età
si nota che le tecniche eseguite sono due, massimo tre, sempre ripetute e
adattate alla situazione. Non si vuole più rischiare, ci si basa sulle proprie
competenze consolidate e sulle proprie capacità fisiche per raggiungere la
piena efficienza con la dovuta specializzazione.
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- Fase critica adolescenziale e calo motivazionale
Questo forse è il più grande problema che tutti i dojo devono affrontare… la
scarsa presenza di judoka adolescenti sul tatami. Questo perché? I giovani in
questo periodo iniziano a
scoprire davvero il
mondo e, trovandosi
dinanzi a stimoli nuovi,
modificano le loro
priorità. Il problema
sostanziale è che nella loro scaletta mentale iniziano a prevalere mille cose
sopra lo sport… dagli amici, alle uscite, al relax in generale. E più emozionante
per molti uscire a fare un giro in motorino piuttosto che chiudersi in una
palestra a faticare, e qui inizia la vera crisi. Un altro aspetto da tenere in
considerazione è il calo motivazionale dovuto al “non riuscire”. Molti giovani
si pongono degli obbiettivi molto alti e, quando poi non riescono a
raggiungerli, si demoralizzano e non sempre hanno la forza di rimettersi in
gioco e riprovarci. È qui che ci si ricollega al fattore di prima… perché devo
faticare, soffrire e non raggiungere i miei obbiettivi quando posso divertirmi
senza avere pensieri? In questa situazione non saprei se sta al Tecnico,
all’Insegnante o all’Allievo stesso la parte più consistente del lavoro. Penso
piuttosto che noi, da esterni al loro mondo, dobbiamo cercare di coinvolgerli
sempre, motivandoli adeguatamente e facendo in modo che la passione che è
in loro non cali a picco. Per quanto mi riguarda io posso ritenermi fortunata ad
avere un corso judoistico di
una ventina di adolescenti,
ma posso affermare che non è
affatto semplice da gestire.
Ogni tanto quando sento le
motivazioni di uno o
dell’altra sul perché abbiano saltato la lezione precedente non me ne capacito
ma, oggettivamente parlando, sono ragazzi ed è giusto che cerchino di capire
cosa ha davvero valore nella vita e cosa/chi sempre resterà a disposizione.
Teniamo comunque alto questo pensiero: Se un insegnante è riuscito a
21
trasmettere tutti i valori che il judo ci insegna al suo allievo e costui riesce poi
ad applicarli nella vita… non c’è fase critica adolescenziale che tenga, quel
judoka ritornerà sul tatami, o comunque vivrà la sua vita come ogni vero
marzialista dovrebbe fare.
- Il judo educativo
In questa fascia d’età si inizia a capire il vero principio educativo del judo,
infatti l’allievo si rende contro che mentre altre Vie si rivolgono a gruppi,
promettondo ascesi personali e salvezza eterna (pertanto promettono divisione
tra gli esseri umani, e alimentano il loro ego), “la Via del Judo propone di
autorealizzarsi per essere utili (dare per crescere e crescere per dare di più)”.
La via ha un inizio unico e consiste nell’autorealizzarsi, raggiunto questo
risultato si presentano infinite direzioni tra le quali scegliere quella che
valorizza la singola personalità. Essere “uno” dovrebbe costituire, per Kano,
la base della teoria educativa sociale, permettendo poi all’individuo la scelta
di realizzazione in modo autonomo; in questo modo vengono valorizzate le
risorse umane e rispettata la singola personalità. Il Judo si avvale di due
principi etici: ”Sei-ryoku-zen’yo“ (il miglior impiego dell’energia) e “Ji-ta-
kyo-ei” (realizzare se stessi per
progredire insieme).
L’attuazione del primo principio
necessita di un uomo integrato in
tutte le sue istanze (intellettuale,
affettiva, estetica, etica,
motoria). La pratica del miglior
impiego dell’energia è
indispensabile per l’apertura al
secondo principio, il Ji-ta-kyo-
ei, ovvero l’utilizzo delle proprie
capacità per il bene comune, non per prestigio o per denaro, ma come “dono”
al mondo.
Il concetto di autorealizzazione è definito da Maslow un processo dinamico,
attivo, che dura tutta l’esistenza, è: “divenire e non essere”. La teoria
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motivazionale dello Psicologo distingue tra: bisogni carenziali e accretivi. La
gratificazione del bisogno carenziale tende ad avere un momento culminante,
inizia come motivazione al raggiungimento di una meta, segue una condizione
di appagamento che, gradatamente, raggiunge un’acme nel momento della
consumazione. Questo schema contrasta con le tendenze della motivazione
accretiva. In questa, infatti, non vi è consumazione, non vi è situazione
terminale, e persino non esiste finalità culminante; l’accrescimento è quindi
uno sviluppo continuativo che non può essere soddisfatto: “Il comportamento
è in se stesso il fine”. Mentre i bisogni carenziali sono condivisi da tutti i
membri della specie umana, l’autorealizzazione è: “idiosincrasica, in quanto
ogni persona è diversa dalle altre. Le carenze, vale a dire le esigenze della
specie, ordinariamente devono essere ben soddisfatte prima che la reale
individualità possa pienamente svilupparsi”. Il processo di autorealizzazione,
paradossalmente, spinge l’uomo verso la trascendenza dell’io; gli individui
autorealizzanti si perdono nell’oblio del percepire, del fare, del creare.
“Questa capacità di incentrarsi sul mondo anziché essere preoccupati di se
stessi, e cioè egocentrici e orientati verso la gratificazione, diviene tanto più
difficile quanto più la persona è dominata dai bisogni carenziali. Quanto più
una persona è motivata all’accrescimento tanto più potrà incentrarsi sui
problemi, e tanto più potrà lasciare dietro di sé la preoccupazione di sé,
impegnandosi nel mondo”. La proposta del Judo trova, quindi, valenza teorica
negli studi di Maslow. La propria autorealizzazione, ottenuta grazie
all’unificazione di corpo e mente
nella pratica del miglior impiego
dell’energia, è una tappa necessaria
e imprescindibile per approdare al
secondo principio etico, attraverso
cui, avendo lasciato dietro il
concetto di io come dato a sé stante,
l’uomo si impegna a donarsi al
mondo nel rispetto della propria
unicità.
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- Agonista, non agonista o collaboratore?
Gli adolescenti in questo periodo possono essere suddivisi in tre gruppi distinti: gli
agonisti, i non agonisti e quelli che vogliono iniziare ad intraprendere il percorso
dell’insegnamento.
Gli agonisti, solitamente, sono coloro che già precedentemente avevano un passato
da gara. E’ raro trovare un cadetto che
così dal nulla faccia la scelta di
mettersi in gioco in un incontro
arbitrato.
I non agonisti invece possono essere
“ex agonisti”, che raggiunti i loro
obbiettivi scelgono di continuare in
maniera leggermente più ludica in
modo tale che lo sport sia solo un piacere o Il piacere di stare con gli amici e divertirsi
insieme facendo del buon judo. Oppure i ragazzi che non si sono mai messi in gioco
agonisticamente che, pur facendo un buon judo, non se la sentono di competere con
un “avversario” perché per loro judo non è questo.
Infine c’è la fascia dei cosiddetti collaboratori. I ragazzi più vogliosi che sentono di
essere pronti per trasmettere qualcosa ai compagni e ai più piccoli. Iniziano dunque
ad affiancare il loro insegnante, ad accompagnare i più piccoli ai vari eventi, a essere
presenza fondamentale sul tatami per tutti. Questa è forse la figura più importante tra
le tre… per il semplice fatto che non si ha più a che fare solo con se stessi, ma si
inizia a diventare educatori, a dover plasmare la gente che si trova attorno, proprio
per questo bisogna essere coscienziosi e consapevoli del ruolo che si ha, per imparare
e dare il più possibile.
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Approfondimento -> CRESCERE SUL TATAMI: I BENEFICI DEL JUDO!
A cura della Dott.ssa Stefania Ortensi, Psicologa dello Sport
Non semplicemente uno sport adatto a tutti i bambini, maschi e femmine indistintamente, ma
una vera e propria filosofia per imparare a conoscere sé stessi e l’ambiente circostante, il Judo
è uno tra gli sport maggiormente consigliati in età evolutiva.
I bambini infatti sul Tatami imparano ad incanalare i propri istinti ed a controllare i movimenti
secondo regole precise volgendo al positivo il proprio potenziale energetico.
Seppur uno sport di combattimento corpo a corpo, il Judo non è finalizzato all’attaccare o
colpire l’avversario, bensì proprio come insegna l’etimologia dell’ideogramma JU-DO che
letteralmente significa "Via della cedevolezza", sottende ad una facoltà di adattamento, intesa
come la capacità di rimuovere ogni ostacolo che troviamo sul cammino.
Non conoscendo la forza di chi si oppone, il Judoka può però sentirne la direzione e,
assecondando la sua strada, allontanarlo dalla propria.
L’essenza del Judo infatti sta proprio in questo: incanalare le forze ostili nella direzione a cui
tendono, seguirle un po', quindi lasciarle procedere da sole.
Oltre ai grandi insegnamenti pedagogici e filosofici, il judo porta con sé notevoli benefici sia
per il corpo che per la psiche.
All’interno del Dojo - l’ambiente in cui si pratica Judo - il ragazzo può aumentare forza ed
elasticità muscolare, prevenire lievi dismorfismi soprattutto a livello della colonna vertebrale,
sviluppare una migliore espansività toracica ed ottimizzare efficienza cardiaca e capacità di
recupero dopo lo sforzo.
Il sistema nervoso del piccolo Judoka acquista una migliore capacità di reazione e prontezza
nei gesti, maggiore coordinazione, equilibrio e strutturazione spazio temporale.
Dal punto di vista psicologico il Judo, come tutti gli sport di combattimento, potenzia
disciplina, coraggio e autocontrollo. Favorisce l’acquisizione delle regole e insegna il rispetto
dell’altro, che sia esso compagno, avversario o Maestro.
Sul Tatami il ragazzo impara a mantenere calma e lucidità, leggendo con attenzione e in modo
strategico la situazione e anticipando l’avversario.
Grazie alla capacità di questa disciplina di aumentare la sicurezza di sé è particolarmente
indicata per i ragazzi più insicuri.
Inoltre è stato dimostrato come le arti marziali riducano i livelli di ostilità, aggressività e ansia
di chi la pratica, promuovendo fiducia personale, autocontrollo e conoscenza di sè.
Il Judo, accompagnando il Judoka nella ricerca di un equilibrio fisico e mentale ottimale,
favorisce a 360 gradi lo sviluppo armonico del ragazzo.
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Parte 2 – L’età di stabilizzazione
Per fase di stabilizzazione si intende la prima (dai 18
ai 30 anni) e la seconda (dai 30 ai 50 anni) età adulta.
Come si può notare il range di tempo è molto vasto e
ingloba molte categorie judoistiche, quali:
Juniores -> 18-19 anni
Seniores -> 20-35 anni
Master A, B, C -> 36-50 anni
Per comodità ingloberò sotto il profilo di “prima età adulta” le categorie di Juniores e
Seniores, in quanto si somigliano sotto molti aspetti psico-motori, mentre ritarderei di cinque
anni quella che viene considerata “seconda età adulta”, per soffermarmi con precisione su
quelli che vengono definiti Master.
Vorrei premettere inoltre che per quanto riguarda questa età e quella di involuzione non ho
tutte le conoscenze e l’esperienza che mi ha guidata nello scrivere la parte di tesi inerente
all’età evolutiva, in quanto, momentaneamente, mi limito ad insegnare a bambini e ragazzi.
Per questo motivo quello che scriverò sarà dettato dai miei studi metodologici e anatomici
ma soprattutto da esperienze personali e di miei compagni sul tatami.
Prima età adulta -> 18-35 anni
- Età dell’armonia e della grande forma
Questo è il momento che si definisce “della piena espressione e del graduale
consolidamento delle caratteristiche
individuali della motricità umana” o, più
semplicemente, della “grande forma”.
Questo perché fino ai 25 anni si
mantengono e si consolidano tutte le
capacità motorie condizionali e
coordinative e quelle abilità che
contraddistinguono la personalità adulta. Un evidente caratteristica di questo
periodo è il tentativo in ogni ambito di ottenere il massimo rendimento con il
minimo sforza e ciò si manifesta anche motoriamente in un utilizzo del
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movimento razionale ed economico (randori tecnico, misurato e con la ricerca
della massima efficienza).
Sono notevoli le differenze di prestazione tra i due sessi per quanto riguarda
le capacità condizionali, mentre le coordinative tendono ad eguagliarsi. Nella
maggior parte delle prestazioni sportive la donna arriva al 70/75% delle
prestazioni maschili.
Dai 25 ai 30 anni incomincia invece una lenta regressione delle capacità
motorie condizionali (forza, resistenza, velocità) che, con un buon
allenamento, possono garantire ancora alte capacità di prestazione; nel
contempo però abbiamo anche molti vantaggi, quali coordinazione, equilibrio,
scioltezza nei movimenti, che ci permettono di eseguire combinazioni sulle
quali precedentemente avevamo qualche perplessità di svolgimento.
Ovviamente tutto va allenato e mantenuto, soprattutto per mantenere alti i
livelli di mobilità articolare e di tutte le capacità precedentemente citate.
- Facilità di esecuzione
Come è stato detto prima questa è l’età delle massime capacità motorie e
soprattutto dell’armonia. In ambito sportivo questo avviene per un motivo di
base: motricità ormai
interiorizzata che risulta quasi
innata. Si parla di gente che
sul tatami praticamente ci è
cresciuta, che conosce il go
kyo e che sa adattare
movimenti conosciuti a nuovi
esercizi e applicazioni, in modo tale da non disperdere energia per eseguire un
movimento ma focalizzandosi solamente sull’efficacia e sull’uscita della
proiezione o di quello che la dinamica richiede.
- Periodo di scelta judoistica
È normale che in questo periodo si affrontino delle scelte… dall’agonista che
vuole diventare amatore, all’amatore che vuole iniziare a confrontarsi con gli
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altri perché ora si sente “pronto”, a chi dopo aver
raggiunto il traguardo di cintura nera inizia ad
intraprendere seriamente un percorso di
insegnamento, cercando di raggiungere determinate
competenze per diventare un tecnico.
Ogni cambiamento può risultare difficile ma,
solitamente, le decisioni che si prendono a questa età sono dettate da spinte
motivazionali forti e soprattutto interiori. Mi sembra inutile ricordare che,
trovandoci nel periodo di massima forma, anche l’affrontare allenamenti più
intensi e ravvicinati per quanto riguarda il percorso agonistico non risulta così
spossante, idem per quanto riguarda la mole di lavoro che bisogna affrontare
per intraprendere la carriera da tecnico. Infatti ogni mansione richiede il suo
tempo, i suoi sforzi e i suoi spazi, collocabili tutti sul medesimo livello di
difficoltà.
- Iniziare o ricominciare judo adesso… difficoltà e soddisfazioni
Vorrei portare, per quanto riguarda questo paragrafo, due esempi di ragazzi
che si sono iscritti nel corso di judo del mio insegnante.
Il primo, Alberto, di 19 anni, che mi spiega così come è nata la sua voglia di
salire sul tatami per la prima volta: “Sono stato
spinto dalla curiosità di conoscere questo sport a
me completamente ignoto, ho radunato le forze e
mi sono presentato alla lezione, senza sapere
minimamente quello che mi sarebbe successo
dopo aver varcato quella soglia”. Ovviamente
iniziare a questa età non è semplice e da subito se
ne è reso conto: “le difficoltà iniziali sono tante,
e ce ne sono ancora molte dopo un anno.
Provando ad elencarle in primis metterei la forma
fisica, infatti quando ho iniziato ero molto sedentario e affrontare un
allenamento di un’ora e mezza non era uno scherzo. Inoltre nel judo si richiede
una buona mobilità articolare che va sicuramente allenata, per non parlare di
tutti i movimenti specifici che in teoria dovrebbero risultare innati… io ero a
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zero, facevo moltissima fatica, ma mi sono trovato fin da subito inserito un
gruppo fantastico che mi ha aiutato e supportato, insegnandomi le basi e
cercando di spronarmi sempre a dare il meglio”. Quello che mi ha riferito
Alberto è vero in tutti i suoi aspetti, un ragazzo che inizia a questa età
probabilmente non ha mai fatto sport seriamente, motoriamente parlando è ad
un livello molto scarso e le difficoltà di apprendimento sono molto elevate, ma
con grinta, determinazione e il giusto aiuto i risultati vengono e verranno. Oltre
a tutte queste difficoltà però ci sono anche molte soddisfazioni, sia sul piano
fisico che su quello psichico. “Ora come ora sto meglio con il mio corpo, riesco
ad ascoltarlo, a capirlo… ho recuperato e migliorato capacità che non avevo
mai sfruttato appieno e dopo ogni allenamento mi sento più in forma.
Ovviamente il judo, quale disciplina psico-fisica, non mi ha aiutato solo sul
piano corporale, anzi… da quando lo pratico mi sento anche molto più sicuro
e fiducioso di me stesso, reagisco più prontamente agli stimoli e mi metto in
gioco con molta più determinazione. Posso affermare che da quando pratico
questo sport sono cambiato sotto moltissimi aspetti”. Queste sono parole
bellissime, racchiudono in sé tutti i principi della filosofia judoistica, dal jita
kyo rei al sei ryoku zen yo, e ci fanno capire che davvero il judo non è
solamente un allenamento per il corpo, ma è anche e soprattutto un modo di
temprare e fortificare lo spirito.
Il secondo esempio che vorrei presentarVi è quello di Daniele, 28 anni, 16 anni
trascorsi sul tatami, poi 7 di pausa e dal
settembre scorso ha ripreso gli allenamenti
judoistici. Durante la specie di intervista a
cui l’ho sottoposto la risposta che più mi ha
colpita è stata quella alla domanda “Cosa ti
ha spinto a rimettere il judogi? A rimetterti
in gioco?”. La sua risposta è stata questa:
“Ammetto che la voglia di far judo si
ripresentava continuamente in questi anni di
stallo, anche perché 16 anni di judo non si
possono dimenticare all’istante! Poi, quello
che mi ha motivato a ri-indossare il judogi è il fatto che, guadandomi attorno,
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mi sono reso conto che tutte le persone di importante peso sociale che il mio
lavoro mi portava a conoscere erano judoka affermati o avevano fatto judo.
Penso però che quello che mi abbia dato la spinta finale comunque sia stata la
voglia di provare a dare fiducia ad un nuovo maestro, cosa della quale devo
ringraziare Maddaloni che, durante un incontro lavorativo, mi ha riportato alla
mente certi valori e pensieri che solo con il judo effettivamente riescono a
concretizzarsi”. In sostanza il judo resta… è come un’etichetta della quale mai
ci libereremo, fortunatamente. Chi pratica questa disciplina mettendoci mente
e cuore difficilmente poi riesce ad accantonare i suoi principi nella vita reale,
per questo motivo la voglia di tornare sul tatami, anche dopo molti anni, risulta
irrefrenabile. Ho posto anche a Daniele le due classiche
domande riguardanti sacrifici e soddisfazioni che ha
incontrato durante questo percorso di ristabilizzazione
judoistica e queste sono le sue parole in merito: “la fatica
iniziale c’era e c’è ancora, soprattutto nei movimenti
specifici e tecnici piuttosto che nella forma fisica. Mi rendo
conto che cose che prima facevo senza problemi come
cercare una presa o evitare una tecnica adesso mi vengono
meno naturali; mi ricordavo di essere diverso sul tatami. Poi non mi ricordo
nemmeno un nome tecnico e a volte la difficoltà di base nell’iniziare
determinati esercizi sta proprio nel non capire cosa devo fare, ma questo non
è un grande problema per il semplice fatto che sul tatami vige lo spirito del jita
kyo ei e quindi, con un po’ di aiuto da parte del gruppo, i ricordi riaffiorano
alla memoria. Resto comunque molto soddisfatto per la velocità di recupero e
miglioramento, il judo che praticavo in qualche modo è rimasto innato e, dopo
una leggera ‘pulizia dalla ruggine’ sento che sto riacquisendo le capacità di un
tempo, dalla velocità, alla forza, alla precisione”.
Il judo c’è, il judo resta, il judo vale la pena di far fatica per poi avere mille
soddisfazioni. Questi due ragazzi ne sono l’esempio, chi pratica o inizia a
praticare judo si trova inglobato in un mondo a sé, dove mente e corpo vengono
considerati in ugual modo, dove vigono dei principi di rispetto e onore che
sono alla base della buona convivenza, dove si è “tutti insieme per crescere e
progredire nel rispetto e nella mutua prosperità”.
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Seconda età adulta -> 35-50 anni
- Aspetto motorio e funzionale
Ho voluto inserire questa età nella fase di stabilizzazione dello sviluppo
motorio perché, dagli studi effettuati, qui l’uomo possiede ancora quei
prerequisiti strutturali e funzionali che consentono una buona espressione delle
capacità motorie. Naturalmente le abitudini di movimento e l’allenamento
determinano notevoli differenze di
capacità tra i soggetti e l’educatore del
movimento che decide di dedicarsi ai
corsi per adulti si troverebbe un gruppo
motoriamente eterogeneo.
È ormai assodato che l’uomo che sceglie di muoversi, che intende cioè
dedicare una parte del proprio tempo libero alla pratica di un’attività sportiva,
mantiene più a lungo nel tempo le funzionalità dei grandi apparati (muscolare,
osteo-articolare, respiratorio, cardiocircolatorio, digerente) e ritarda il
processo di involuzione.
Per quanto riguarda invece la motricità si mantengono i livelli dello stadio
precedente, se si mantiene un giusto grado di allenamento. Lo stesso vale per
le capacità coordinative e le abilità funzionali.
- Diminuzione della prestazione sportiva
È fisiologico il fatto che, dopo la prima età adulta, con l’aumentare degli anni
diminuisce il rendimento sportivo e di conseguenza la prestazione peggiora. Il
difficile sta nel definire praticamente di quanto essa peggiori. Purtroppo non
esistono ancora certezze, anche se il grado di approssimazione si riduce
sempre più grazie alla mole di dati che vengono raccolti a livello mondiale
sull’attività di sportivi ormai “attempati”. Purtroppo i dati non sono
pienamente significativi perché spesso si riferiscono ad atleti che non sono mai
stati campioni in assoluto e che magari hanno stabilito il record della loro
categoria solo perché in quel momento si sono trovati sotto i riflettori e hanno
“dato tutto”; viceversa, campioni a 30 anni hanno poi smesso l’attività perché
logorati da una lunga carriera e non si può sapere se avrebbero potuto
sbriciolare gli attuali record master.
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Sinteticamente, i parametri che più contano per la prestazione sono:
1. Allenamento
2. Motivazione
3. Peso
4. Infortuni.
Il primo punto è ovvio: se cala il valore dell’allenamento (qualitativamente o
quantitativamente), una parte del calo della prestazione è da attribuire alla
diminuita efficacia dell’allenamento. I punti 2 e 4 sono la causa indiretta più
frequente di una diminuzione dell’efficacia dell’allenamento, anche se non si
deve sottovalutare una diminuzione in sé dovuta proprio all’età (minori
capacità di recupero). Il punto 2 soprattutto è legato alla psicologia del
soggetto, ma spesso si nota un calo una volta che, con l’età, l’amatore è uscito
dalla fase del “recordman”. In genere il calo di motivazione può non esserci o
essere molto contenuto solo se la prestazione è sostituita da altre notevoli
gratificazioni (per esempio il diventare tecnici, il raggiungere obbiettivi
diversi da amatore o agonista che sia). Il punto 3 è quello che riguarda
soprattutto gli atleti di punta in giovane età. Paradossalmente, a differenza di
molti amatori di medio livello, sono soggetti meno attenti all’alimentazione,
forse anche perché qualche chilo di troppo non vieta loro di eccellere
comunque nelle categorie amatoriali. Il punto 4 è responsabile
di invecchiamenti a gradino; in occasione di infortuni particolarmente gravi e
di lunghi periodi di inattività totale (superiori ai due mesi) l’invecchiamento
accelera.
Tutto ciò, oltre al progressivo
invecchiamento fisico e
funzionale, confluisce nel calo
prestazionale che ogni atleta,
nel suo percorso, dovrà
irrimediabilmente affrontare.
- Il judo per tenersi in forma
In età adulta l'esercizio fisico previene il deterioramento dell'efficienza
funzionale esercitando un'azione preventiva nei confronti dell'insorgenza di
alterazioni a carico dell'apparato locomotore, cardiocircolatorio, respiratorio
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ed inoltre aiuta l'organismo a mantenere un buon equilibrio metabolico ed
ormonale, aumenta le difese anticorpali e contrasta efficacemente i disturbi
legati allo stress. L’atleta durante questa fase cerca nello sport un modo per
tenersi attivo, stando in un ambiente gioviale e a lui gradito, facendo
movimento con i suoi compagni. Non è detto, anzi, è raro, trovare gente che
pratica judo a questa età solo per agonismo, la maggior parte delle persone che
salgono ancora sul tatami sono quelle che continuano a ricercare la loro
perfezione tecnica, si allenano non per avere confronti ma per loro stessi,
cercando di studiare e studiarsi, approfondendo tecniche, filosofie e didattiche.
- I temerari master
Come detto prima, sono rare le persone che con l’avanzare dell’età
mantengono la loro vita agonistica ma, fortunatamente, esistono. Come non
citare quindi la categoria master?
Soprattutto quest’anno che
possiamo vantarci di avere la
squadra lombarda al primo posto
sul podio italiano dei Master a
squadre? Anche qui vorrei portare
un esempio concreto, quello di Sabrina, 47 anni, agonista sin dalla nascita. Le
ho posto una prima domanda iniziale, molto schietta, riguardante la
motivazione principale che l’ha spinta a questo percorso “diverso”…la sua
risposta è stata la seguente: “Ho scelto di gareggiare nella categoria master per
continuare fare uno sport agonistico, come ho sempre fatto fin dalla giovane
età, anche se in discipline diverse. Penso infatti che
chi ha avuto una vita alle spalle di sport a livello
agonistico faccia fatica ad abbandonare
psicologicamente le gare solo perché gli anni
avanzano...io sono consapevole che mi ritrovo un
fisico che invecchia, ma la voglia e lo spirito
rimangono giovani e pronti a mettersi alla prova e a
superare le competizioni”. Dialogando poi con lei
ha confermato i miei dubbi riguardanti i vari allenamenti: “Gli allenamenti
agonistici a cui partecipo tre volte alla settimana, purtroppo, non sono
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impostati per la categoria master, ma solo su quella giovani. Per questo motivo
trovo difficoltà anche solo nella fase di riscaldamento-attivazione, infatti a
livello muscolo scheletrico necessito di più tempo con una minor intensità per
arrivare poi ad essere pronta per affrontare l'allenamento vero e proprio e i
randori. Anche nella la fase di defaticamento e stretching noi master
necessitiamo di una tempistica maggiore per riuscire a rilassare adeguatamente
la muscolatura. Questo disagio accade soprattutto, e ne sono consapevole,
perché l’allenatore si concentra sul gruppo dei giovani agonisti, lasciando a
me, unica master, la gestione della mia resistenza e del mio lavoro individuale-
specifico”. Questo purtroppo non dovrebbe accadere ma, giustamente,
l’impostazione degli allenamenti deve essere il più possibile globale per
accontentare tutti, è raro avere più di un master in palestra. Un’altra questione
che mi piacerebbe evidenziare è l’inquadramento diverso, il passare
dall’atleticità/endurance alla tecnica nuda e cruda: “Nella categoria master,
penso sia importante tuttavia curare l'aspetto tecnico, per evitare di incorrere
in infortuni dovuti a una cura eccessiva dell'aspetto atletico con una base
tecnica insufficiente, l'attenzione nell'età avanzata dovrebbe a mio parere
puntare più sulla tecnica che sulla prestazione atletica. Questo porta un gran
beneficio soprattutto perché, essendo in pochi a gareggiare, molto spesso le
categorie di peso vengono unificate e, senza una buona tecnica efficace,
affrontare un randori con una persona che pesa dieci chilogrammi più di te
diventa ancora più gravoso, senza contare il fattore ‘recupero’ e quello
‘infortuni’, con tempi di ripresa sempre più lunghi”.
Quindi, cari master, complimenti per tutta la grinta che, nonostante le mille
difficoltà, dimostrate sul tatami…siete un esempio meraviglioso per tutti i
giovani judoka.
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Parte 3 – L’età di involuzione
Per fase di involuzione si intende la fascia di atleti “over 50”.
Ovviamente per quanto riguarda questa età è inopportuno creare
una divisione netta tra le varie decadi, soprattutto perché qui,
soprattutto, ogni caso è a sè. Può capitare che una persona riesca
a stare sul tatami fino a cent’anni senza problemi ma, purtroppo,
succede anche che qualcuno appena entrato in questo stadio
involutivo debba riporre il judogi nell’armadio.
Per questo motivo appunto vorrei fare un’analisi generale della
suddetta fare e portare successivamente un esempio di judoka
veterano del mio dojo.
- “Gli anni in cui si accentua la diminuzione della prestazione”
Il processo di regressione e l’involuzione che caratterizzano questa età si
verificano soprattutto per quanto riguarda gli aspetti condizionali e
coordinativi. È arrivato infatti il momento per chiunque, sia che abbia o non
abbia mai fatto sport precedentemente, di convincersi che è utile svolgere
un’attività motoria per limitare e controllare il grado e la rapidità del processo
di regressione. In questo periodo infatti un’attività motoria moderate ed
abitudinaria aiuta a prevenire quei processi di invecchiamento che investono
il nostro apparato locomotore. Sono consigliate le attività aerobiche di
intensità moderata (nel judo tutti i movimenti specifici e tecnici, senza
l’impiego di troppa forza e resistenza) ma prolungate nel tempo.
Comunque l’invecchiamento non è una malattia, bensì un processo biologico
e fisiologico naturale che modifica la struttura ed il funzionamento dei grandi
apparati. L’anziano va incontro ad una serie di modificazioni che richiedono
nuovi equilibri funzionali e consentono capacità di movimento limitate
rispetto all’età adulta.
La riduzione delle capacità e delle funzioni dei diversi organi è dovuta alla
diminuzione della massa protoplasmatica metabolicamente attiva (perdita di
cellule attive) compensata in parte da un accrescimento del tessuto connettivo
di sostegno e delle fibre collagene.
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La pratica abituale di attività motorie, judo, nel nostro caso, ha il ruolo di
mantenere alte le riserve funzionali (capacità, abilità e funzioni degli apparati)
compensando e ritardando il processo involutivo.
Possiamo così riassumere sinteticamente gli effetti funzionali del movimento
sulla persona anziana:
1. Recupero e mantenimento del tono posturale
2. Ritardo dell’invecchiamento osseo e prevenzione dell’osteoporosi
3. Prevenzione delle artrosi, recupero e mantenimento dell’escursione
articolare
4. Prevenzione delle trombosi
5. Recupero e mantenimento della funzionalità respiratoria e
cardicircolatoria
6. Allungamento dei tempi del processo involutivo
- Quando l’età non è un limite
Premetto il fatto che ogni tanto mi
sembra che io sia la settantenne e lui
il ventenne, per farvi capire. Ecco
Umberto, 70 anni (e non sentirli), la
mascotte senior del nostro dojo. Mi
racconta così il perché persiste nel
venire in palestra due volte a
settimana a seguire degli allenamenti
non propriamente soft: “ho sempre
fatto judo e non vedo il motivo per
cui, con la mia veneranda età, dovrei
smettere. Mi piace tutto di questa
disciplina, dallo sport di per sé, all’ambiente del dojo a come viene proposto
il judo adesso (ai miei tempi era tutto molto più metodico!). L’unico problema
che ora come ora riscontro è il dolore alle ginocchia durante il randori in piedi,
infatti, come tutti i judoka di una certa età, ho i menischi e i legamenti che non
svolgono più i loro lavoro ma, per il resto, riesco a reggere il ritmo di tutto il
resto dell’allenamento. Sono davvero soddisfatto di me per questo, capisco
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infatti che la mia sia un’enorme fortuna il poter fare ancora tutto quello che
desidero sul tatami. Fede, non vi libererete di me così facilmente, mi trovo
troppo bene con voi e con indosso il judogi!”.
Penso che questa sia una testimonianza bellissima di come la voglia di fare e
la passione riescano a motivare nonostante le mille difficoltà. Ogni tanto infatti
ci troviamo dinanzi a ragazzi che per un lieve mal di pancia saltano
l’allenamento…ecco, le nuove generazioni dovrebbero prendere esempio da
certe “rocce”. Con ciò ricordo il fatto che arrivare così attivi a questa età sia
sicuramente una questione di fortuna ma anche, e forse soprattutto, penso sia
dovuto al fatto che si è sempre seguito uno stile di vita regolare e ricco di
attività motoria, sappiamo bene infatti che dal niente nasce niente.
Conclusione
Dopo questa analisi penso che risulti abbastanza chiaro quanto il judo sia “adattabile” alle
varie età, ai diversi stili di vita e soprattutto il fatto che questa disciplina racchiuda in sé tutto
quello che una persona vuole vedere in lei: dall’armonia alla sportività, dall’agonismo al
semplice piacere di confrontarsi con i compagni, dalla marzialità alla filosofia.
È proprio su quest’ultima che vorrei soffermarmi in ultima istanza, la filosofia judoistica
promossa da Jigoko Kano, che viene riassunta interamente con il principio del Jita kyo ei.
Ci sarà un motivo se il fondatore di tale arte credesse nell’ “insieme per crescere e
progredire”. Se due persone della stessa età si confrontano sempre tra loro stesse,
probabilmente indurranno comunque un principio di crescita reciproca, ma sicuramente
questa sarà limitata dal fatto che, volenti o nolenti, esse avranno in media lo stesso bagaglio
culturale/formativo. Per crescere realmente, per progredire con mente e spirito, c’è bisogno
di un vero e proprio confronto tra dispari. E cosa c’è di migliore rispetto all’approccio con
persone da noi “distanti” nell’età, nei modi di pensare, nel modo di relazionarsi ad un
determinato sport e alla vita? È questo il jita kyo ei, passare informazioni, esserci, donare
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tutto ciò che si ha per far crescere gli altri e di conseguenza noi stessi. Lo vediamo sul campo,
sul tatami, l’orgoglio che si prova quando si aiuta qualcuno che non riesce in un determinato
esercizio, quando un bambino esegue in maniera adeguata la tecnica spiegata, quando
qualcuno ci ringrazia perché “senza di noi forse non ce l’avrebbe fatta”. La magia del judo
sta in questo e, mio malgrado o mia fortuna, l’armonia che si crea in un dojo non è facilmente
ritrovabile in altri luoghi/sport.
Vi ringrazio per l’opportunità che mi avete dato per esternare i miei studi e i miei pensieri
riguardanti la bellissima Arte che pratichiamo.
Spero che il mio lavoro sia stato gradito e apprezzato.
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Bibliografia
- Teoria e metodologia del movimento umano - Francesco Casolo
- Didattica delle attività motorie per l’età evolutiva – Francesco Casolo
- L’intelligenza nel movimento - k. Francesconi e G. Gandini
- Il corpo che parla – F. Casolo e S. Melica
- Teoria del movimento – Kurt Meinel
- Anatomia umana funzionale – Vercelli
- Cinesiologia, il movimento umano – Pirola
- Fisiologia dell’uomo – AA.VV.
- La preparazione fisica e psicologica alle arti marziali – J. Savoldelli e C. Witkowski
- Guida alla psicologia dello sport – F. Nascimbene
- Psicologia dello sviluppo – L. Camaioni e P. Di Blasio
- Psicologia dell’educazione – F. Carugati e P. Selleri
- Il manuale di Judo – A. Abbate e F. Porfirio
- Il judo, l’arte di educare i bambini – Dr. Raffaele D’Errico
- Crescere sul tatami: i benefici del judo – Stefania Ortensi