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ARCHEOLOGIA DEI PAESAGGI MEDIEVALI Comune di Poggibonsi Fondazione Monte dei Paschi di Siena Area di Archeologia Medievale – Università di Siena Fondazione Musei Senesi Provincia di Siena POGGIO IMPERIALE A POGGIBONSI IL TERRITORIO LO SCAVO IL PARCO A cura di Riccardo Francovich e Marco Valenti A Ennio Rinaldi e le sue ricerche di vita in una città scomparsa 1

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ARCHEOLOGIA DEI PAESAGGI MEDIEVALI

Comune di Poggibonsi

Fondazione Monte dei Paschi di Siena

Area di Archeologia Medievale – Università di Siena

Fondazione Musei Senesi

Provincia di Siena

POGGIO IMPERIALE A POGGIBONSIIL TERRITORIO LO SCAVO IL PARCO

A cura di Riccardo Francovich e Marco Valenti

A Ennio Rinaldi e le sue ricerche di vita in una città scomparsa

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Indice

I - IL CONTESTO1 - La collina di Poggio Imperiale 2 - Storia degli studi

a. Il territoriob. Studi sulla Valdelsa con riferimenti specifici ai

territorio di Poggibonsic. Studi sui ceti dirigenti toscanid. Studi monografici su castelli, monasteri e chiesee. Studi su Podium Bonizi, Poggibonsi e Poggio

Imperiale3 - Il complesso monumentale

a. La fortezza mediceab. La porta San Francescoc. La torre San Francescod. Il cassero della fortezza M.V.e. La Fonte del borgo di Vallepiatta G.B.

II - PALEOMORFOLOGIA DELLA COLLINA1 - Il pianoro2 - I versanti3 - Rilievi e fiumi4 - Paleogeografia dal miocene al quaternario5 - Il percorso geologico del colle A.A.

III – GLI ASPETTI VEGETAZIONALI DELLA COLLINA1 - La vegetazione attuale2 - Le specie presenti oggi G.D.P.

IV - I LUOGHI DEL TERRITORIO1 - Abbazia di Marturi2 - Borgo Marturi3 - San Lucchese4 - La Magione5 - Cedda6 - Papaiano7 - Gavignano8 - Pian dei Campi9 - Talciona 10 - Castello di Strozzavolpe 11 – Lecchi M.V.12 - Rocca di Staggia M.V., M.A.C., V.F., C.T.

V – L’INDAGINE ARCHEOLOGICA1 - L’esperienza Poggibonsi tra ricerca archeologica einformatica2 - L’insediamento di case di terra. V-VI secolo M.V.3 - L’economia e l’alimentazione nel villaggio tardoantico F.S.4 - Il villaggio di età longobarda. Fine VI-VII secolo5 - Il villaggio tra età longobarda ed età carolingia. VIII-inizi IXsecolo6 - La trasformazione del villaggio in curtis nel periodo franco.IX-X secolo7 - La longhouse8 - La corte aperta 9 - Le altre capanne e le strutture artigianali M.V.10 - Le ossa animali della fase carolingia: il consumo di carnecome indicatore sociale F.S.11 - I cimiteri altomedievali

12 - La popolazione13 - Dinamiche insediative e nascita dei castelli nell’alta Vald’Elsa tra X e XI secolo14 - La zona di Poggibonsi tra XI e XII secolo 15 – 1155, la fondazione di un grande castello: Poggio Bonizio16 – I primi decenni di vita di Poggio Bonizio17 - Gli annessi del grande edificio: il silos e la cisterna M.V.18 - La grande cisterna pubblica G.B.19 - I quartieri abitativi alla fine del XII secolo M.V.20 - L’urbanistica del castello di fine XII secolo attraverso le nuovetecnologie A.N.21 – Lo sviluppo di Poggio Bonizio in quasi città. XIII secolo22 - La ristrutturazione di un lotto di case a schiera inabitazioni con corte lastricata23 – Il quartiere dei fabbri M.V.24 – La grande chiesa di XIII secolo (Pieve di Sant’Agostino)M.A.C., E.G.25 – Poggio Bonizio e Colle Valdelsa: confronto tra due central placeM.V.26 - I consumi in carne a Poggio Bonizio F.S.27 - Gli ultimi decenni di Poggio Bonizio. Seconda metà delXIII secolo28 - Arrigo VII fonda Monte Imperiale. 131329 - Una struttura per la macellazione degli animali ed unbassofuoco trecentesco.30 - La Fortezza di Lorenzo il Magnifico. Fine XV-XVI secoloM.V.

VI – I MATERIALI PROVENIENTI DALLO SCAVO1 – Ceramica L.M.2 – Vetro S.Q.3 – Metalli D.C., S.P.4 – Monete C.C.5 – Archeozoologia F.S.6 – Archeobotanica. G.D.C.

VII – La documentazione1 – L’informatizzazione2 - Il sistema di gestione dei dati di scavo3 - La piattaforma GIS4 - Il DBMS (Data Base Management Sistem)5 - La lettura dei dati A.N.6 – La produzione multimediale C.T.7 – I siti web dello scavo e del parco P.P.

VIII – IL PARCO1 - La collina in età moderna: dagli anni ’60 agli inizi del 20002 - Il parco archeologico e tecnologico3 - Il Cassero4 - La parte espositiva5 - I bastioni6 - Le strategie di intervento sull’area archeologica di PoggioImperiale7 - Il CISAAM R.F.8 - Archeoval9 - I percorsi di visita10 - Le attività didattiche 11 - Eventi culturali M.A.C., V.B.

Bibliografia

AutoriA.A. – Antonia ArnoldusA.N. – Alessandra NardiniC.C. – Cristina CicaliC.T. – Carlo TrontiD.C. – Dario CeppatelliE.G. – Elena GianniniF.S. – Frank SalvadoriG.B. – Giovanna BianchiG.D.P. – Gaetano Di PasqualeL.M. – Luca MandolesiM.A.C. – Marie-Ange CausaranoM.V. – Marco ValentiP.P. – Pierpaolo Pocaterra

R.F. – Riccardo FrancovichS.P. – Siria PanichiS.Q. – Silvia QuattriniV.B. – Valerie BenvenutiV.F. – Vittorio Fronza

FigureRicostruzioni 3D – Mirko PeripimenoRicostruzioni grafiche – Studio INKLINK Firenze e Università diSienaSchermate GIS – Alessandra NardiniFoto – Archivio Area di Archeologia Medievale Università diSienaTavole ceramica – Luca Mandolesi

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Tavole vetri – Silvia QuattriniTavole metalli – Dario Ceppatelli

Grafica volume – Pierpaolo PocaterraImpaginazione – Luca Carboni

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Ogni società è il risultato di un pensiero

Michel Rouche, Le radici dell’Europa. La società dell’alto medioevo (568-888), Roma 2005 ed.or. Les racines de l’Europe. Les societes du haut moyen age (568-888), Paris l’Europe. Les societes du haut moyen age (568-888),

Paris 2003

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I - IL CONTESTO1 - La collina di Poggio Imperiale.Poggio Imperiale è un'appiattita ed allungata collina a 200 m slm di quota, estesa perquasi 12 ettari. E' posta sull'immediato ovest del centro di Poggibonsi, capoluogocomunale e centro economico-imprenditoriale tra i principali della regione. Si caratterizza per essere racchiusa dalle fortificazioni cinquecentesche volute da Lorenzodei Medici su progetto di Giuliano da Sangallo e per appartenere ad una zona di anticafrequentazione della quale fanno parte i prospiscienti convento francescano di SanLucchese e castello di Badia già Marturi, il cui aspetto attuale è frutto di radicalitrasformazioni ottocentesche.Ha rappresentato il vero centro storico di Poggibonsi: tra 1155 e 1270 vi sorgeva il castellopoi nucleo urbano di Podium Bonzi e nel 1313 fu scelta dall'imperatore Arrigo VII peredificare la nuova città di Monte Imperiale, distrutta dopo appena cinque mesi.Già oggetto di alcuni rinvenimenti occasionali e dell’interesse degli storici locali che hannosempre guardato a Podium Bonizi come a una sorta di età aurea di Poggibonsi, dal 1992la collina è al centro di uno studio sistematico condotto dall’area di Archeologia Medievaledell’Università di Siena. Dopo un'indagine preliminare volta a comprendere la reale portata dei depositiarcheologici conservati nella fortezza, dal 1993 ha avuto inizio un progetto di scavo alungo termine che ha rivelato la presenza di forme di popolamento stabili molto piùanticipate di quanto attestato dalle fonti scritte; gli archeologi hanno dimostrato che lastoria insediativa della collina ha avuto inizio almeno sette secoli prima.Poggio Imperiale costituisce un'area monumentale ed archeologica di grande rilievo chedal settembre 2003 è al centro del Parco Archeologico e Tecnologico di Poggibonsicostituitosi dalla cooperazione tra il Dipartimento di Archeologia e Storia delle Artidell’Università di Siena, il Comune di Poggibonsi e la Fondazione Monte dei Paschi diSiena con il progetto “Archeologia dei Paesaggi Medievali”.

2 - Storia degli studi.a. Il territorio - Una sintesi sul territorio di Poggibonsi non è mai stata tracciata, tranne chenell’edizione della carta archeologica della Provincia di Siena, in collaborazione conl’Università di Siena, dove il terzo volume concerneva l’alta Valdelsa1. Il territorio diPoggibonsi trova comunque citazione in lavori di ampio respiro sulla Toscana medievale ebassomedievale, dove sono presenti notizie di vario genere; nella maggior parte dei casi sitratta di testi nei quali la zona viene citata soprattutto come esempio di rafforzamento allatrattazione affrontata e le uniche parziali eccezioni sono costituite dalle analisi svolte daCammarosano sulle carte della Badia a Isola2, da Kurze3 e Falce4 sulla Badia di Marturi, lastoria di Firenze del Davidsohn5 e l'analisi socio-economica di De La Roncière6, infine darepertori tematici (come i castelli del contado fiorentino di Francovich 7, i castelli del senese

1 VALENTI 1999.2 CAMMAROSANO 1993.3 KURZE 1989.4 FALCE 1921.5 DAVIDSOHN 1896-1927.6 DE LA RONCIERE 1976.7 FRANCOVICH 1976.

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di Cammarosano e Passeri8, il dizionario storico-geografico di Repetti9 gli schedariincentrati sulle chiese del senese e più specificamente su quelle valdelsane10).Le notizie che si rintracciano nella letteratura disponibile riguardano soprattutto la zona traPoggibonsi e Staggia per i secoli centrali del medioevo e Poggibonsi per il suo ruolo dicentro imprenditoriale e di mercato svolto nel XIV secolo. La storia di Volterra di Fiumimette in evidenza i diritti di pedaggio che già nel 1189 deteneva su Poggio Bonizio illegato imperiale in Toscana11. Schneider, trattando l'ordinamento pubblico nella Toscanamedievale, fa più riferimenti a istituzioni, villaggi e castelli compresi nel territoriopoggibonsese e traccia un breve profilo del castello e della Badia di Marturi (non privo diinesattezze)12 sottolineandone la costituzione su proprietà regia, disquisisce sulla chiesa diSant'Agnese di Talciona pieve già documentata nell'anno 995 donata da Ugo di Toscanaalla Badia di Firenze e la colloca nel territorio fiorentino13, nomina il ponte sull'Elsa neipressi di Marturi come esistente sino dall'anno 998 ed il pratum e la ripa di Marturi vendutinel 1108 da Matilde di Toscana a Marturi stessa14, ricorda che i Guidi possedevanoPodiumbonizi cum tota curte sua, sicut antiquitus fuit de borgo et rocca de Marturi15. Neglistudi di Plesner sul contado fiorentino trova invece posto la disamina sulla donazione di unottavo del colle e del castello di Podium Bonizi effettuata da Guido Guerra alla Sedeepiscopale ed a Siena, messa a paragone con le analoghe iniziative concernentiSemifonte, Monterotondo e Castelfiorentino, sottolineando il diritto feudale che il signorecontinuava però a detenere sulla maggior parte della popolazione; porta poi la piantatopografia dell'odierno Poggibonsi a modello dei cosiddetti «insediamenti di transito»16.Caggese, analizzando il rapporto economico-giuridico tra Siena ed il suo contado nel XIIIsecolo, tratta la politica adottata dai senesi nei confronti della nobiltà rurale mettendone inrisalto l'assenza di comportamenti radicali come segno di «un alto sentimento della libertàe dignità umana». Evidenzia la diffusione di tale atteggiamento anche nei comuni minoriad essa legati e porta come esempio la sottomissione dei Soarzi a Podium Bonizi del1227 nella quale cedono le loro case «et villanos et colonos et masnaderios et fideles (...)et castrum de Stagia» ed il comune si impegna a non distruggere il castello nè impedireche i detti signori abbiano «a villanis et masnaderiis antiqua servitia»; inoltre il comunegarantisce che se mai qualche villano sottoposto ai Soarzi andrà ad abitare in PodiumBonizi, verrà fissato il fitto della terra da lui condotta ed anche il prezzo dellamanomissione17. Battistini, trattando gli ospedali dell'antica diocesi di Volterra documentaper il 1348 l'esistenza di un ospedale dedicato a San Michele all'interno del borgo diStaggia18. Passeri nella sua analisi sullo sviluppo del comune di Siena, centratasoprattutto sul XII-XIII secolo, affronta anch'egli la fondazione di Podium Bonizi attento amettere in evidenza gli aspetti politici contenuti negli atti di donazione delle quote delcastello e nei giuramenti di fedeltà19, accenna alle successive vicende sui diritti nel castello

8 CAMMAROSANO, PASSERI 1984.9 REPETTI 1833-1845.10 MORETTI, STOPANI 1968a; MORETTI, STOPANI 1981; FRATI 1996.11 FIUMI 1983, p.262.12 SCHNEIDER 1975, pp.39, 40, 94, 247 n.130, 260 n.193, 263, 265.13 SCHNEIDER 1975, pp.79, 94-95.14 SCHNEIDER 1975, p.298 n.320.15 SCHNEIDER 1975, p.263 n.202.16 PLESNER 1979, pp.55, 65.17 CAGGESE 1906, pp.11-12.18 BATTISTINI 1932, p.88. Per gli ospedali valdelsani si veda anche CAVALLINI, 1942.19 PASSERI 1944-1947, pp.56-57.

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delle quali furono attori senesi, fiorentini ed i marchesi del Monferrato 20; tratta inoltre lealternanze partitiche dei Soarzi di Staggia21. Cherubini propone erroneamente Poggibonsicome esempio di sito incastellato di notevole estensione fondato alla metà del Duecento 22

e ricorda poi che nei primi decenni del XIV secolo i Salimbeni, in particolare Benuccio dimesser Benuccio ed i nipoti, possedevano cassarum et fortilitiam di Strozzavolpe23.Sottolinea infine come tra XIV-inizi XV secolo Colle, importante centro manifatturiero,produceva panni acquistati e commercializzati dalle compagnie dei mercanti pisani24.Pinto25, sottolinea che nel 1411 gli ufficiali fiorentini di stanza a Poggibonsi, accoglievano ilgrano esportato dal territorio senese26 e che il castello di Staggia fu, nella metà del XIVsecolo, uno dei centri fiorentini più importanti per la raccolta del grano proveniente dallaMaremma27. Ancora riguardo a Strozzavolpe, il Perogalli ne presenta la topografia comeesempio di castello-recinto (volto a proteggere la popolazione in caso di pericolo) mentreStaggia viene portato come esempio di castello-recinto con corte bassa e corte alta (nellaprima trovava riparo la popolazione)28; Strozzavolpe viene anche individuato comecastello-residenziale e brevemente descritto29. Vismara cita le corti di Staggia, Castiglionie Strove a proposito del lodo arbitrale del 18 settembre 1221 (RS 598), domandandosicome si potrebbe oggi ricostruire i confini dei distretti castellani in base alle indicazioni deidocumenti: «molendinum destructum, quod fuit de eccl.de Bolsano, sicut trahit per podiumde Vivaia, super quo remanent ex parte de Stacgia X olivus, alie ex parte de Castillione(...)»30. Affrontando la sottomissione senese del contado nella metà del XII secolo cita, tra ivari esempi portati, le vicende dei Soarzi della famiglia dei Lambardi di Staggia31 e diGuido Guerra comes Tusciae per la donazione a Siena dell'ottava parte «del castello epoggio di Poggibonsi nella valle di Marturi»32; prosegue riassumendo in poche maessenziali righe le vicende del castello sino alla sua trasformazione in città autonoma.Ciampoli e Szabò, introducendo la pubblicazione dello Statuto dei Viari di Siena del XIIIsecolo, osservano che la prima testimonianza dell'elevato impegno del Comune nellequestioni della viabilità è offerta dal conflitto accesosi nel 1155 intorno a Marturi distruttodai fiorentini ed al quale conseguì la costruzione del «castrum di Poggibonsi»33.Leggermente confusa sui toponimi ed i rapporti di proprietà (per esempio il castello diMarturi viene attribuito tra i possessi di Guido Guerra), la trattazione ha il merito disegnalare la deviazione della Francigena da Borgo Marturi al nuovo castello operata daGuido e dai senesi, l'istituzione di un pedaggio sulle porte (ripartito tra la comunità eSiena), il giuramento degli abitanti di non deviare mai ulteriormente il percorso della stradasenza il permesso dei consoli senesi. Queste ultime vicende e gli effetti della politicaimperiale in Toscana con il conseguente coinvolgimento dei principali centri valdelsani

20 PASSERI 1944-1947, pp.67-68.21 PASSERI 1944-1947, pp.58-61, 67.22 CHERUBINI 1974, p.146.23 CHERUBINI 1974, p.290.24 CHERUBINI 1974, p.433.25 PINTO 1982, p.91.26 PINTO 1982, p.147 n.250, p.153.27 PINTO 1982, p.348 n.39.28 PEROGALLI 1985, p.14.29 PEROGALLI 1985, pp.26-28.30 VISMARA 1985, p.229.31 VISMARA 1985, pp.231, 232-233.32 VISMARA 1985, pp.232, 239.33 CIAMPOLI, SZABO' 1992, pp.35-36.

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sono state trattate ampiamente anche da Davidsohn nel suo studio monumentale sullastoria di Firenze34 dove fornisce numerose notizie per le principali località valdelsane.Tratta la storia di Podium Bonizi sino dalla sua fondazione, che cerca di illustrare piùcompletamente possibile, lo mette a confronto con Semifonte notandone le costituzionidietro l'unione di singole vicinantie, spiega il passaggio dell'insediamento nel patrimoniodei marchesi del Monferrato e la successiva cessione dei diritti a Firenze nel 117835,l'abbattimento delle fortificazioni nel 1257 da parte fiorentina36, l'assedio e la presa di daparte di Carlo d'Angiò, l'entrata a Podium Bonizi di Corradino di Svevia, la distruzionedell'insediamento del 127037. Il castello di Stuppio (scomparso ma nei pressi diPoggibonsi) viene ricordato per lo scontro armato nell'XI secolo con il castello di Marturi.Di Marturi descrive la fondazione ed il rapporto con Ugo di Toscana, lo scontro conBonifazio, la documentazione di «monast.S.Mich. in castro Marturi» e di «borgo Marture»del 1077, illustra più estesamente la topografia della zona ricordando che nel 1157 la cimaed il borgo di Marturi sono designati «in territorio regis». La Magione viene ricordata comeistituto fondato dai cavalieri del Santo Ospedale e mai assurto a grande importanza (inuna carta del 1173: «circa vallem que dicitur Martura in valle fluminis Else juxta hospitale,ubi congregati erant fratres hospitalis ad capitulum in loco, qui Turris vocatur»). Staggiatrova posto per una disquisizione sulla famiglia originaria e sui suoi successori, i Soarzi38,la notizia di una fortificazione senese del 126239, l'entrata nel patrimonio dei Franzesi nel129840. Ancora a proposito di Staggia, Balestracci trattando la formazione del confinesenese/fiorentino nella zona del Chianti, mette in evidenza il suo ruolo di avampostofiorentino dal quale partirono tutte le più importanti azioni militari contro Siena41.Lusini nei suoi studi sulla storia e sull'estensione del vescovado di Siena42 proponeun'ampia discussione intorno all'origine ed ai primi anni di vita del castello di PodiumBonizi e presta molta attenzione alle donazioni e cessioni di Guido Guerra verso la chiesadi Roma, Siena e Firenze (atti importanti per le finalità della propria indagine). Nonostanteuna lucida comprensione del ruolo territoriale di Podium Bonizi, delle motivazioni politichelegate al continuo confronto tra le due potenze cittadine ed una ricerca d'archivio basatatanto sui testi già esistenti quanto su documenti dei Caleffi, commette però alcuni errori;soprattutto, tentando alcune considerazioni a carattere topografico, non accetta lacompresenza di diritti sul castello vedendo i quartieri senesi e fiorentini all'esterno econfondendo la chiesa pievana di S.Agnese in Podium Bonizi con quella di Talciona. Nellaguida storica del Chianti di Casabianca viene analizzata la donazioni di un ottavo delcastello e del colle di Podium Bonizi effettuata da Guido Guerra a favore dei senesi nel1156, il condominio dei fiorentini sui privilegi senesi, l'arbitrato di papa Alessandro III del1163 per la definizione dei confini diocesani senesi e fiorentini, il lodo di Poggibonsi del1203 pronunciato dal potestà Ogerio. La disamina dei due lodi è molto interessante. Laprima mette bene in evidenza la portata di una definizione che rivestiva anche significatopolitico. La determinazione dei confini del vescovado in realtà stabiliva più o menoimplicitamente quelli del contado tra città contrastanti; elemento politico ed ecclesiastico si

34 DAVIDSOHN 1896-1927, I, pp.661-682, 689-721, 738.35 DAVIDSOHN 1896-1927, I, pp.483-484, 814-817, 830-831.36 DAVIDSOHN 1896-1927, II, pp.639-640.37DAVIDSOHN 1896-1927, III, pp. 14-19, 38-39, 88-90.38 DAVIDSOHN 1896-1927, I, pp. 175-178, 190, 383 n.4, 384 n.1, 525, 607, 676-678, 683-685, 690 n.3,1046.39 DAVIDSOHN 1896-1927, II, p.735.40 DAVIDSOHN 1896-1927, IV, p.88; pp.218, 235, 349 con gli episodi delle visite e delle permanenze aStaggia di Carlo Valois e del Nogaret ambasciatore di Filippo il Bello.41 BALESTRACCI 1986, p.12.42 LUSINI 1898; LUSINI 1900; LUSINI 1901, in particolare pp.222-232.

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compenetravano l'uno con l'altro. Nei confini senesi furono compresi la strada di Poci(attuale Piano di Fosci) e la pieve di Santa Agnese con il suo territorio43. La seconda,dichiaratamente un atto politico, concerneva i confini dei due contadi e chiudeva entro lepertinenze fiorentine anche la pieve e il piviere di Santa Agnese sino alla corte di PoggioBonizio; nel testo si stabiliva inoltre la distruzione delle fonti battesimali presenti nellachiesa di Santa Agnese da poco edificata dai senesi in Podium Bonizi stesso econsiderarla dipendente dalla pieve di Santa Maria di Marturi44. Casabianca c'informainoltre che la calata dell'esercito aragonese del 1453 causò la distruzione di molti mulininelle zone di Colle e Staggia45, la presa di Colle e Poggio Imperiale cadute nel 1479 dopolungo assedio in mano francese e conseguentemente lo sviluppo della guerra in tutta laVal d'Elsa46. Flower nella sua versione della storia del Chianti tratta la fondazione dellaBadia di Marturi, attesta Papaiano come curtis acquistata da Ugo di Toscana sinodall'anno 97147 ed anch'egli esamina brevemente la fondazione di Podium Bonizi48.

b. Studi sulla Valdelsa con riferimenti specifici ai territorio di Poggibonsi - Gli interventifondamentali per una introduzione alla realtà attuale ed alla storia della Valdelsa conparticolare riferimento alla zona altovaldelsana sono stati curati da Cardini sul finire deglianni 'ottanta. Si tratta di due contributi diversi per struttura, finalità e destinazione. Nelprimo, articolato in una scorrevole sezione sulle vicende storico-economiche del territorioe in schede storico-artistiche, viene individuato come momento fondamentale per laconsapevolezza di un'identità altovaldelsana la costituzione nel XVI secolo dellacircoscrizione diocesana di Colle Val d'Elsa49. Nel secondo, uno studio sullo scenariostorico valdelsano, sottolinea come questa zona ha svolto un ruolo di primaria importanzanel medioevo ed in età moderna soprattutto quando la direttrice del traffico per Roma siconsolidò sulla Francigena, mentre nell'antichità il suo ruolo era stato marginale, distantedalle città confinanti ed esterna alle grandi vie consolari50.Guicciardini sul finire degli anni 'trenta si è occupato della viabilità valdelsana redigendouno studio che si rivela ancora un punto fermo per questa tematica di ricerca51. Individuaper il periodo compreso tra XI-XIV secolo l'esistenza di quattro strade principali, duetrasversali all'andamento della valle (volterrane) e le restanti longitudinali (romee ofrancigene)52. Meli affrontando in un articolo di sintesi la lotta economico-militare e ladinamica degli insediamenti nella Valdelsa medievale, definita il baricentro viario toscano,mette in risalto i diversi elementi insediativi e istituzionali (centri monastici e canonicali,signorie territoriali poi liberi comuni organizzati come modelli cittadini) attivi nel renderlacostantemente una zona di frantumazione e di riorganizzazione del potere ed al centrodelle contese tra Siena e Firenze53. Già Paoli54 alla fine dell'Ottocento e Gensini agli inizi

43 CASABIANCA 1937, pp.116-117.44 CASABIANCA 1937; in particolare pp.115-118, 125-129 (Podium Bonizi); inoltre pp.172-174, 197-199(assedi a Poggio Imperiale durante la guerra aragonese del 1478)45 CASABIANCA 1937, p.165.46 CASABIANCA 1937, pp.182, 201.47 FLOWER 1981, pp.80-82.48 FLOWER 1981, pp.98, 101.49 CARDINI 1988.50 CARDINI 1989.51 GUICCIARDINI 1939.52 Nell'ultimo decennio la ricostruzione di Guicciardini è stata parzialmente contestata (STOPANI, 1986a) pursottolineando ancora la validità dello studio.53 MELI 1974.54 PAOLI 1899.

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degli anni 'cinquanta55 hanno trattato la posizione della Valdelsa nella rivalità tra Siena eFirenze sino al 1260 con ampi riferimenti al ruolo di Poggio Bonizio ed i movimenti politicidelle principali casate e comunità. Muzzi si è interessata della zona per l'evoluzionedemografica regionale tra 1350-142756 dove propone sotto forma di tabulato l'evoluzionedei fuochi nel comune di Poggibonsi ed evidenzia come nel decennio 1384-1394 da 481fuochi si passa a 184) verifica un progressivo decremento demografico, che investe anchei grandi centri tipo piccola città come Poggibonsi e Colle, al quale si relaziona unimpoverimento della stessa composizione sociale: la depressione derivata dallacongiuntura negativa iniziata nel primo 'trecento livella verso il basso e modificafortemente le richieste del mercato restringendo la possibilità di sopravvivenza di molteattività commerciali e professionali. Introduce un concetto di "ruralizzazione" dellacampagna valdelsana dove la crisi colpisce soprattutto «le borgate, i comuni rurali cheerano stati promotori, con la vitalità delle loro attività artigianali e commerciali della relativafloridezza del contado»57; in altre parole, la riduzione del ceto intermedio dei piccolioperatori economici e la diminuzione della proprietà contadina (che si concentra in città)radicalizzano la differenza tra la grande massa dei miserabiles e dei nichil habentes el'esiguo numero delle famiglie emergenti: il grosso della popolazione del contado è ormaiformato da laboratores terrarum.De La Roncière, trattando il ruolo di Firenze come centro economico regionale58, proponeinformazioni molto approfondite sulle vicende del popolamento valdelsano in generale, suPoggibonsi ed accenna anche a Colle. L'autore calcola che nel decennio 1330-1340 lapopolazione presente nei dodici maggiori villaggi della Val d'Elsa aveva una densità mediadi 82 persone per kmq. Affrontando l'argomento flusso migratorio verso la città, evidenziadifficoltà di quantificazione poichè non sembrano verificarsi spostamenti definitivi (famigliae beni rimangono nel villaggio di appartenenza). In generale sino al XIII secolo lamigrazione in città è notevole e Firenze rappresenta un polo di attrazione molto forte,stagna nel decennio 1310-1320 ed è poi in rapida ascesa tra 1330-1348.Di Poggibonsi evidenzia, per il XIV secolo, sia il ruolo di insediamento al centro di un nodoviario interregionale (une etape double, et capitale) sia quello di centro commerciale (ilmercato settimanale ivi tenuto esercitava un notevole afflusso di merci e persone tanto darisultare uno dei maggiori nel contado fiorentino); esamina inoltre la popolazione presentee le caratteristiche delle attività imprenditoriali. Il carattere di successo del villaggio vienerelazionato alla posizione occupata sulla viabilità ed esamina la disposizione di alberghi ericoveri per i viandanti; evidenzia per esempio che tra 1334-1383 sono attivi due alberghi(in località Calcinaia e vicino al ponte sulla Staggia) dipendenti dall'ospedale di SanGiovanni, mentre un terzo era la "Misericordia di Borgo". Ci informa anche della grandeattenzione rivolta alle strade ed alle acque, portando come esempio l'incarico dato a trediciufficiali poggibonsesi nel 1319 per il riassetto della strada per Firenze e delle porte dellaborgata (la ripartizione del lavoro avvenne fra i villaggi vicini)59 ed il ruolo del Podestà

55 GENSINI 1951-1952.56 MUZZI 1984.57 MUZZI 1984, p.137.58 DE LA RONCIERE 1976; si vedano soprattutto i numerosi rinvii alle pagine 643-696, 1170-1173 (trenddemografico di Firenze e del suo contado; calcolo della percentuale di decremento della popolazione diPoggibonsi e mestieri attestati tra 1350-1360), 837-856, 951-958, 965-988 (analisi tendente a individuare ipunti nodali della problematica connessa alla viabilità nello stato fiorentino, il suo sviluppo ed i mercati adessa collegati), 1121-1126, 1268 (produzione agricola della Valdelsa e grano ivi acquistato dalla città), 1187-1188 (evidenza del ruolo economico privilegiato degli insediamenti valdelsani, tra i quali Poggibonsi).59 De la Roncière riporta le dimensioni della strada alle porte di Poggibonsi: larghezza 4,95 m; fosse di scolo(fissate dai responsabili della comunità) larghe 80 cm circa e profonde 55 cm. Lo scolo delle acquerappresentava comunque un grande problema, il fondo stradale infatti si deteriorava spesso.

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locale che interviene personalmente nel sorvegliare sia il mantenimento di alcuni fiumi siale strade e le infrastrutture (spesso attribuite ad appositi ufficiali).Moretti e Stopani, nel loro lavoro sulle chiese romaniche in Valdelsa, specificano lecaratteristiche di area di confine ecclesiastico (divisa tra le diocesi di Firenze, Fiesole,Siena e Volterra) segnata dal passaggio della via Francigena; sottolineano come tra X-XIIIsecolo, soprattutto, si presenta come un territorio privilegiato dove convergono apporticulturali diversi: lombardi, pisano-lucchese, alto laziali, francesi60.Ancora i due autori, nella monografia sul romanico nel senese, individuano i limiti religiosie politici di questo territorio per il XIII secolo citando anch'essi gli importanti episodi legatiall'assoggettamento dei signori di Staggia nel 1137 e le principali tappe dell'alleanza traSiena e Podium Bonizi61. Le chiese romaniche della Valdelsa sono ancora trattate da Poliin un agile volumetto articolato per schede contenenti anche una sintesi storica ed unampia documentazione grafica ed iconografica; si tratta di un utile lavoro didascalico,talvolta condotto con toni eccessivamente narrativi e popolari, giustificabile comunque dalfatto che le versioni originali delle stesse schede derivano da una rubrica tenuta inprecedenza su periodici locali62. Recentemente le chiese medievali valdelsane hanno trovato una edizione esaustiva inuna serie di pubblicazioni curate dagli Editori dell'Acero nelle quali sono raccolti contributied ampie schedature dovuti a molti autori63. Il volume III contempla gli edifici presenti neicomuni di Colle e Poggibonsi e vede la presenza di saggi di sintesi molto approfonditi; traessi si distinguono le pagine di Cammarosano sull'articolazione dei poteri laici edecclesiastici nel territorio altovaldelsano fra XI e XIII secolo64, quelle di Frati sugli aspettied i problemi interpretativi dell'architettura religiosa medievale altovaldelsana65, inoltrel'indagine di Mennucci sulle maestranze e sulle attrezzature impiegate nella costruzionedegli edifici66.

c. Studi sui ceti dirigenti toscani - Risultano numerose le citazioni di località valdelsane instudi riguardanti la nobiltà toscana o la fondazione e lo sviluppo di istituzioni monastiche.Nobili, studiando le famiglie marchionali della Tuscia, ricorda la fondazione del monasterodi Marturi ad opera di Ugo e la devastazione effettuata dal suo successore, il marcheseBonifacio, quando incontrò la tenace resistenza dei monaci contro la sua volontà didisporre liberamente dei beni inseriti nella dotazione67. Falce nel suo studio sul marcheseUgo regesta e commenta tutta una serie di documenti rogati tra gli anni 953/4-1001 dovesono citate e caratterizzate molte località68. La fondazione di Marturi trova ampio spazionelle sue pagine anche se non riconosce i due falsi del 970 e del 25 luglio 99869; Bibbianoviene attestato molto probabilmente come «castello et burgo, curte et domnicato et

60 MORETTI, STOPANI 1968a. Si vedano per Santa Maria Assunta e cappella di San Gregorio aPoggibonsi pp.133-135, 143, 145, 146, 147, 304; Talciona pp.14, 161-165, 304; Cedda pp.11, 14, 153-160,198, 203, 304; Papaiano pp.140-142, 143, 304; San Bartolomeo al Pino pp.147, 304; Pian di Campi pp.145,304; Luco pp.143-144, 304; San Lucchese pp.146, 304; La Magione pp.136-139, 304; Marturi pp.12, 13,140, 305.61 MORETTI, STOPANI 1981, pp.4-7.62 POLI 1985.63 AA.VV. 1996. Si vedano per Santa Maria Assunta e cappella di San Gregorio a Poggibonsi pp.103-106;Talciona pp.121-123; Cedda pp.123-126; Papaiano pp.128-130; San Silvestro a Staggia pp.148-149, SantaMaria a Staggia pp.149-150; Pian di Campi pp.186-187; Luco pp.187-188; Villole p.188; San Lucchesepp.189-192; La Magione pp.192-195; San Lorenzo a Poggibonsi pp.195-197; Marturi pp.220-222.64 CAMMAROSANO 1996.65 FRATI 1996.66 MENNUCCI 1996.67 NOBILI 1981, pp.100-101.68 FALCE, 1921.

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ecclesia Sancti Martini» da cui dipendono trentasette sorti sino dal 99770; Papaiano concorte, castello e la chiesa titolata a Sant’Andrea è oggetto di una transazione effettuatadopo il 971 e prima del 100171. Mucciarelli, nel suo studio sulla casata senese dei Tolomeitra XIII e XIV secolo, ricorda che Musciatto Franzesi ottenne l'investitura sui diritti imperialidi Poggibonsi ed il fratello Albizzo ebbe da Siena il permesso di reincastellare Staggia 72.Anche Bowsky cita ed analizza molto dettagliatamente questa richiesta dei Franzesi73.Esistono poi numerosi accenni in lavori di diverso respiro (quasi tutti legati alla genealogiaod alla politica dei conti Guidi e della nobiltà della zona) attenti al significato dell'atto difondazione del castello di Podium Bonizi rintracciabili nel contributo di sintesi dovuto aMilo74. Le vicende della famiglia dei Lambardi di Staggia (affermatisi in Val d'Elsa sinodalla prima metà del X secolo, con possedimenti che si estendevano tra l'area di Staggia ela zona della Montagnola senese, confermati nei loro beni nel 953 dai re Berengario eAdalberto) e la loro fondazione della Badia a Isola agli inizi dell'XI secolo (posta in comunedi Monteriggioni) è trattata esemplarmente da Cammarosano75 ed in parte da Kurze76.Cammarosano prende spunto dallo studio dell'archivio di Isola, contenente carte datate tra953-1215, disponibili in trascrizione integrale, per studiare sia l'evoluzione della famiglianobiliare (estintasi verso la metà del XII secolo e sostituita dai Soarzi, già individuati inalcuni documenti come filii Rustici) sia la consistenza e le vicende patrimoniali delmonastero; conseguentemente tratta gli aspetti insediativi ed economici di un'ampia zonacompresa tra il meridione ed il settentrione di Siena dove trovano ampiamente postolocalità e nuclei di popolamento compresi nelle aree di Colle e Poggibonsi tra la fine del Xsecolo ed il XIII secolo. Da sottolineare nell'ampia sintesi, la lucida ricostruzione dellatrasformazione verificatasi sul territorio tra metà XII-XIII secolo e la descrizione degli effetticonseguenti al venire meno di un assetto agrario unitario di base, articolato nelcollegamento potere signorile-terra-famiglia contadina.

d. Studi monografici su castelli, monasteri e chiese - Staggia in particolare è stata al centrodi interessi eruditi e di ricerca sino dall'inizio del Novecento. Bargellini ha redatto unostudio sulle più celebri famiglie signorili susseguitesi nel dominio del castello, riportandonumerosissime informazioni non tutte pienamente attendibili ed alcune interessanti fotod'epoca77. Molto utile ed apprezzabile risulta comunque lo sforzo di raccogliere il maggiorenumero possibile di fonti documentarie tra le quali il morgengabe del 29 Aprile 994 dellambardo Tegrimo del fu Ildeprando (la più antica attestazione di Staggia), l'istrumento difondazione della Badia a Isola (rogato nel castello) del 1001, numerose donazioni evendite di beni posti nel territorio del castello e diritti su quest'ultimo.Altri contributi sullo stesso tenore narrativo si devono a Piranesi78 ed a Marzini79. Il primonota come nel 1431 le fortificazioni subirono un rafforzamento tale da resistere consuccesso all'attacco del Piccinino (al servizio di Filippo Maria Visconti). Il secondo proponeanche un excursus sulla chiesa di Santa Maria per la quale viene attribuita la titolatura di

69 FALCE 1921, pp.50-52, 66, 75, 96-97, 99, 134, 136-146, 149, 156, 182-203, 206-208, 210-212, 214-215,217, 225, 230-231, 237-240.70 FALCE 1921, p.135.71 FALCE, 1921, p.149.72 MUCCIARELLI 1995, p.226.73 BOWSKY 1967, pp.193-243.74 Si veda soprattutto la bibliografia citata in MILO 1981.75 CAMMAROSANO 1993.76 KURZE 1981; KURZE 1989.77 BARGELLINI 1914.78 PIRANESI 1924.79 MARZINI 1922; MARZINI 1923.

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pieve a partire dal XIV secolo e vengono documentate le principali vicende edilizie(costruzione di un loggiato nel 1580 e sua distruzione nel 1720; sbassata con il campanilenel 1690; interamente restaurata nel 1904). Staggia è stata anche recentemente al centro di una monografia curata dal Centro StudiRomei in occasione del cosi detto "millenario" cioè mille anni dalla prima attestazione dellalocalità80. Si tratta di una pubblicazione dove sono presenti più contributi centrati per lamaggior parte sulle vicende bassomedievali della comunità ma introdotti da una brevenota di Cammarosano sulla sede altomedievale; in essa viene ricordato il ruolo centraleche Staggia aveva avuto nel consolidamento dei beni della famiglia dei Lambardi, ruoloancora rivestito quando, dopo l'estinzione della dinastia longobarda, subentrarono iSoarzi81. Il breve contributo di Stopani non si pone oltre ad un riassunto di ipotesisull'andamento della via Francigena in tale zona, peraltro funzionale a spiegare lacollocazione geografica del castello che viene vista come di importanza strategica per ilcontrollo della strada stessa, inoltre come una «sorta di testa di ponte del comitatovolterrano» ai confini con i contadi senese e fiorentino. I dati a disposizione dell'autore nonci sembrano sufficienti nè probanti, bensì molto vaghi ed aleatori; la presenza nella zonadi Stecchi (sul Montemaggio dove si estendevano molte proprietà dei Lambardi) di unprobabile cippo confinario dell'episcopato volterrano; l'espressione di Marche Castellum(marca come frontiera, usata da Filippo II Augusto nel 1191 nella descrizione del suoritorno dalla terza crociata) nella quale viene riconosciuto Staggia: «Chi scrive inprecedenza (...) aveva creduto di riconoscere in "Marche Castellum" l'insediamentofiorentino di Rencine (...). Ci ricrediamo. Con "Marche Castellum" è assai probabile cheFilippo II Augusto abbia voluto riferirsi a Staggia. Nel XII secolo, infatti, sul piano formalevigevano ancora (come ci ricordano gli atti notarili) le confinazioni degli antichi comitati e lenuove realtà politiche che andavano formandosi non possedevano ancora i connotati distati territoriali»82.Pirillo affronta invece le vicende relative al reincastellamento tardo duecentesco (il castelloera andato agli inizi della seconda metà del secolo) e il dominio dei Franzesi, riccafamiglia di grandi finanzieri e magnati originari del contado fiorentino che ne acquistò idiritti e si fece concedere in feudo dall'impero tutti i diritti giurisdizionali 83. L'acquisto e larifortificazione di Staggia non rappresentarono un "ritorno alla terra" dei nuovi signori dopogli anni del commercio e della finanza internazionale; significarono piuttosto i passireputati necessari alla creazione di un solido punto di partenza (per consolidare poterefondiario ed economico che interessava anche la valle dell'Ombrone senese e il Valdarnosuperiore) e trampolino di lancio per ambizioni politiche di dimensioni regionali.Pucci, infine, introduce ed illustra lo statuto quattrocentesco di Staggia nel quale ècontenuto il tipo di organizzazione vigente in una comunità autonoma84.Moretti e Stopani hanno studiato da un punto di vista stilistico i resti monumentali delcomplesso85. In particolare hanno notato un inglobamento dei resti della fortificazione diStaggia andata distrutta nella seconda metà del XIII secolo (il basamento di una torre inaccurato filaretto di travertino che doveva servire da cassero, con due portali manomessi,archivolti a sesti acuti, un'apertura con architrave sorretto da due mensole stondate esormontato da archivolto e lunetta) nella nuova costruzione voluta dai Franzesi eipotizzato che quest'ultima ricalcasse modelli extraregionali (forse francesi) tanto chesuggeriscono l'attività di maestranze provenienti d'oltralpe: le due torri cilindriche, ascritte

80 CAMMAROSANO et alii 1995.81 CAMMAROSANO 1995.82 STOPANI 1995, pp.17, 20 n.19.83 PIRILLO 1995.84 PUCCI, 1995.85 MORETTI, STOPANI 1971.

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alla fine del XIII secolo, non trovano infatti confronti in ambito toscano (se non a partiredalla seconda metà del XV secolo rese necessarie dalla nuova efficacia dell'artiglieria)mentre in Francia, nello stesso periodo, erano ampiamente diffuse come ricorda Stopani86.L'ipotesi risulta poi rafforzata dalla notizia riportata da Davidsohn circa una specialecompetenza di Musciatto Franzesi in architettura, tanto che durante il suo soggiorno inFrancia Bianca di Navarra gli affidò la direzione della costruzione di un palazzo.Kurze si è occupato della storia del monastero di San Michele sul poggio di Marturichiarendo definitivamente l'incongruenza ed i dubbi creati dai tre documenti relativi allafondazione; dopo una seria esegesi delle fonti afferma che sulla base della donazione diUgo di Toscana del 10 agosto 998, i monaci di Marturi redassero poi due falsi nel corsodel XII secolo apponendo una data all'anno 970 ed una al 25 luglio 998. Vede poi nellafondazione di Ugo non un atto ex novo, bensì la rifondazione di un monastero decaduto;sposta quindi la prima costituzione dell'abbazia in epoca longobarda, all'VIII secolo. Perfare ciò, si basa sullo studio della vita di Bononio (primo abate), su considerazioni acarattere generale circa l'edificazione di monasteri in Toscana, non ultima una presuntaidentificazione della stessa Marturi con l'abbazia di San Michele menzionata in undocumento dell'anno 762 relativo all'archivio di San Salvatore a Monte Amiata87. AncheNeri in un contributo di fine 'ottocento si occupa specificatamente della Badia di Marturi 88,chiarendo la distinzione tra Podium Bonizi e Poggio Marturi, errore che continuava aperpetuarsi in molti autori contemporanei ed ancora presente in lavori più vicini al nostrotempo come nelle storie di Siena di Valenti89 e di Cagliaritano90. Inoltre attesta che laMagione (l'ospedale di San Giovanni al Ponte di Bonizzo) esisteva già prima del 1140quando venne donata all'abbazia di Marturi. La chiesa di San Lucchese e la sua costruzione nella zona del borgo di Camaldo sonoinoltre state affrontate da vari autori tra la fine dell'Ottocento e i primi decenni di questosecolo. Mattone Vezzi si interessa di San Lucchese trattando la presenza francescana aPoggio Bonizio e successivamente descriverà più da vicino il convento91. Neri descrive siaarchitettonicamente sia storicamente il complesso (segnala la data "MCCC" incisasull'altare maggiore e la riedificazione della struttura nel periodo 1250-1300, le tracce dellachiesa primitiva nelle lesene e sul muro orientale)92, Del Zanna documenta restauri eripristini effettuati nel periodo 1903-1905 e nel 191093, Bucchi ne parla estesamente in unpur breve contributo sulle chiese francescane in Valdelsa94, anche Piranesi dedica moltepagine all'interno di una monografia su Poggibonsi95 così come Rosati96. A tali contributidevono essere aggiunti quelli di Ciaspini97 e Pratelli98 inclusi nelle loro storie di Poggibonsi.Nei decenni a noi più vicini si segnala la piccola monografia di Bertagna sul culto del santocon molti rimandi storici ed architettonici (per esempio le ipotesi sulle dimensioni della

86 STOPANI 1995.87 KURZE 1967; KURZE 1989.88 NERI 1895; NERI 1901. Oltre a Kurze e Neri, si vedano per Marturi anche le pagine dedicate inPRATELLI 1929-1938, pp.14, 21-27, 457-464, 567-568.89 VALENTI 1963.90 CAGLIARITANO 1982.91 MATTONE VEZZI 1960.92 NERI 1893.93 DEL ZANNA 1918.94 BUCCHI 1924, pp.20-23;95 PIRANESI 1926.96 ROSATI 1924.97 CIASPINI 1898, pp.23-25, 89, 120, 123.98 PRATELLI 1929-1938, pp.33-34, 112-125, 269-277.

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chiesa primitiva di Santa Maria di Camaldo o la citazione di una lapide marmorea sultamponamento di una porta del lato nord, con iscrizione del 1252 relativa ad un MagisterNicholettus)99.La Magione, casa templare sulla via Francigena, è stata oggetto di varie attenzioni e sisegnalano le pagine di inizio secolo del Canestrelli100, lo studio architettonico di Moretticompletato dai rilievi effettuati dopo il restauro del 1979101, i due volumi di Mantelliinteramente dedicati alla storia del complesso sino ai giorni nostri102, vari riferimenti nelconvegno sulla Magione dei Templari del 1989103. Guicciardini tratta invece la Magione diTorri evidenziando la prima attestazione documentaria del 1173 (quando fu luogo diriunione del Capitolo generale dei Cavalieri Gerosolimitani), la cessione in enfiteusi aiRinuccini di Firenze nel 1323 (dalla quale vennero esclusi l'oratorio ed il cimitero) ed ilsuccessivo passaggio nel patrimonio degli Spinelli di Castelfiorentino. Ipotizza poi unaseconda torre (oggi scomparsa) parallela a quella tuttora esistente104.

e. Studi su Podium Bonizi, Poggibonsi e Poggio Imperiale - Abbiamo distinto queste tresezioni poichè, di fatto, Podium Bonizi, Poggibonsi e Poggio Imperiale hanno avuto la loroletteratura specifica prodotta rispettivamente da storici locali, storici bassomedievisti,storici dell'architettura. La collina è stata studiata sia come importante realizzazione di architettura militare sia inrelazione al grande castello di Poggio Bonizio. In genere le trattazioni della fortezzarinascimentale risultano di buon livello105 ma, nell'insieme, sono superate per spessore eprofondità della ricerca, dal volume di Masi sulle sue vicende edilizie: oltre un accuratorepertorio grafico e fotografico sul monumento, abbina una completa appendicedocumentaria ricercata in archivio e ricostruisce le vicende del cantiere sangallesco106. Maggiori attenzioni si sono concentrate su Podium Bonzi, soprattutto in opere dedicatealle due città, Siena e Firenze, che influirono costantemente sulle sue vicende. Ampiemenzioni inoltre sono legate alla copiosa produzione saggistica concernente la viaFrancigena, anche se il villaggio viene citato soprattutto perchè al centro di un importantenodo viario e mai ci si addentra specificatamente nella sua realtà urbanistica e socio-economica107.Parlare di una storia degli studi significa prendere in esame la consolidata produzionestorica locale. Gli autori che s'inseriscono in questo genere, sono stati infatti gli unici chehanno tentato di ricomporre in una narrazione coerente ed organica le numeroseinformazioni sparse tra archivi e letteratura erudita, producendo alcune trattazioni dioggettivo valore ed utilità nonostante una valutazione delle fonti talvolta ingenua; inoltre sifornisce un immagine duecentesca del castello che viene proiettata anche nelcinquantennio precedente, come se la struttura fosse stata cristallizzata e priva dievoluzione urbanistica. Costante è invece la trascrizione di molti documenti in appendice euna sezione, articolata per profili biografici, dedicata ai personaggi poggibonsesi che si

99 BERTAGNA 1969.100 CANESTRELLI 1907.101 MORETTI et alii 1986.102 MANTELLI 1984-1990.103 CRISTOFANI DELLA MAGIONE 1987.104 GUICCIARDINI 1929.105 Si vedano tra i tanti MARCHINI 1942; SEVERINI 1970; PEROGALLI 1980.106 MASI 1992; inoltre il precedente MASI 1989.107 In particolare si vedano MORETTI et alii 1986; CAUCCI VON SAUCKEN 1984; SZABO' 1992; STERPOS1964; STOPANI 1984; STOPANI 1986a; STOPANI 1986b; STOPANI 1988; STOPANI 1995; MANTELLI1984-90; RISTORI 1996; MUZZI et alii 1988; AA.VV. 1993a; AA.VV. 1995.

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sono distinti tra medioevo ed età moderna; quest'ultima rientra d'altronde nei canoni diquello spirito campanilistico caratterizzante i lavori in oggetto.Le «Notizie diverse per servire alla storia di Poggibonsi» di Ciaspini, pubblicato postumonel 1850, è articolato in una disamina su origine e sviluppo degli insediamenti di Marturi(castello e borgo), Asturpio (Poggio Tondo) e Camaldo (cioè la collina di San Lucchese),funzionale a introdurre la storia di Podium Bonizi. Prende in esame le notizie riportate daVillani, Ammirato, Cermenate, Malespini, Pignotti, Scala, Targioni Tozzetti, Muratori eGigli, elaborando criticamente una propria versione diacronica con spunti interessanti manon privi di numerose inesattezze, soprattutto per le cronologie proposte; accettandoalcune tra le diverse tradizioni erudite, tende infatti a retrodatazioni spesso sino all'etàromana e lega la costituzione dei diversi insediamenti costantemente ad eventi storiciparticolari. E' un processo di nobilitazione delle origini. La fondazione di Borgo Marturiviene attribuita ad un gruppo di soldati militanti sotto Catilina ivi stanziatisi, il castello diMarturi fu costruito dai Longobardi, Camaldo venne fondato nel 1010 da profughi fiesolaniscampati ad un'occupazione fiorentina, l’edificazione del castello di Asturpio seguì ad unalite tra camaldolesi terminata in un fatto di sangue.Riguardo a Podium Bonizi rifiuta per primo la data di fondazione fissata al 1174 già daVillani e Ammirato, ma effettua alcune errate interpretazioni circa gli atti di Guido Guerraraccolti nei Caleffi del Comune di Siena, sostenendo che nel 1156 il castello era già «benformato» da molto tempo; inoltre anticipa in questi stessi anni, nonostante il contenuto deidocumenti presi in esame, l'indipendenza della popolazione sia da Guido Guerra (secondol'autore aveva il possesso di molti fondi ma non il dominio feudale sul villaggio) sia daSiena e Firenze. Passaggi questi, che precludono ad una entusiatica rassegna sulletradizioni civiche, eroiche ed intellettuali degli abitanti, proposte nelle sezioni «suoGoverno», «sua Potenza», «carattere dei Bonizzesi». Narra comunque della scoperta eripristino della Fonte delle Fate nel 1837, ne attribuisce la costruzione a Balugano daCrema, c'informa dell'esistenza di una galleria ad essa collegata e «scavata nel tufo cheper più di trecento braccia s'inoltra sotto Poggio Bonizzo, e che più volte nell'interno sidirama. Alcuni tratti di muri fatti di pietre squadrate s'incontrano in vari punti di questagalleria; forse dove il tufo più minacciava di smottare»108. Indica inoltre «le vestigia di unavasta chiesa che aveva tre porte d'ingresso in facciata assai ben lavorate e architettate,delle quali una sola e forse per pochi giorni sussiste». Si segnalano infine in appendicedue lettere molto polemiche, indirizzate a Repetti colpevole "volontariamente" di averecommesso errori riguardo la trattazione di Poggibonsi e di omissioni mirate a screditarel'immagine della comunità.La «Storia di Poggibonsi» del canonico Pratelli, divisa in due volumi editati integralmentenegli anni trenta del nostro secolo, è probabilmente lo studio più approfondito prodottosino ad oggi. Narrata con tono piacevole, colma di riferimenti a documentazionearchivistica studiata ed interpretata direttamente, ha in parte la stessa struttura del lavorodi Ciaspini (introduzione alle diverse località dei dintorni, lunga trattazione di Podium Bonzie continuo tono declamatorio delle eroiche gesta dei bonizzesi e loro tradizioni civiche) mauno spessore critico ed una dimensione di histoire événementielle decisamente maturache raggiunge il XIX secolo. Risulta utilissima la rassegna degli elementi topografici riguardanti il castello (anche sesono presenti alcuni errori di ipervalutazione: per esempio vede le fortificazioni estendersisino al poggio di San Lucchese) con indicazioni tratte sia dalla tradizione erudita chedall'osservazione di emergenze monumentali al tempo ancora visibili; tra questisottolineiamo:- San Donato, era la chiesa posta sulla via del poderino presso il "quercione" dove siconservò per lungo tempo un frammento architettonico in marmo recante iscrizione (poi

108 CIASPINI 1850.

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trasportato alla porta di fortezza sulla via di San Lucchese e vi fu posta una croce;quest'ultima ancora presente;- Sant’Agostino, era chiesa pievana, posta a pochi metri dalla porta che guarda il Galloria;nel 1660 il clero poggibonsese usava ancora recarsi in processione presso i ruderi moltovistosi e comprendenti "stupende" arcate romaniche; tali resti furono definitivamenteasportati nel 1860 per decisione del fattore Francesco Calastrini di Lecchi per edificare ilnuovo fabbricato poderale delle Piaggiole presso Strozzavolpe («non si può, alla fine deiconti esigere che la storia sia il forte dei fattori»);- nei pressi della chiesa era una grandiosa cisterna che gradualmente i coloni di fortezzariempirono con la moltitudine di sassi presenti sui campi109.Il «Poggibonsi» di Antichi, pur contenente una trattazione molto veloce del medioevo,esamina però oggettivamente (ed astenendosi dai toni celebrativi che caratterizzano i dueautori precedenti) la letteratura esistente, portando a sintesi le diverse informazioni; nemostra i punti deboli e tende a fare chiarezza critica sulla realtà dei fatti. Per quantoriguarda le pagine dedicate a Poggio Bonizio possiamo osservare che Antichi non va oltread un agile riassunto del lavoro di Pratelli ma a lui si devono le prime divulgazioni parzialidel «Fioretto delle historie del nobile castello di Poggiobonizio» attribuito a Jacopo Sassi diStaggia detto Sasso Cattaneo, datato alla prima metà del XIV secolo e già trascritto nel1775 in «Relazioni di alcuni viaggi fatti nelle diverse parti della Toscana» curate daTargioni Tozzetti110.Rinaldi rappresenta l'ultimo esponente della tradizione storica poggibonsese e riassumepalesemente le due diverse anime conviventi nei suoi predecessori: una visione quasi daleggenda agiografica di Podium Bonizi abbinata ad una seria analisi delle fonti scritte.Assiduo frequentatore di archivi, attento nella regestazione e nella trascrizione deidocumenti, ha pubblicato due interessanti volumi nei quali tale compenetrazione è benriassunta nei titoli proposti: «Il nobile castello di Poggio Bonizio», «Il nobile castello diPoggio Bonizio. Vol.II. Ricerche di vita in una città scomparsa». Rinaldi redige un'attentaanalisi della struttura topografica del castello e ricerca sul territorio i resti delle diversefontane che servivano il borgo; individua sulla documentazione archivistica le variecitazioni di edifici, viabilità, chiese, porte e ricompone un interessante quadro dellestrutture materiali di Podium Bonizi al quale compara, e trascrive anche integralmente, il«Fioretto» di Sasso Cattaneo, facendo notare per primo le significative corrispondenze.Tenta anche di ricostruire per sommi capi un quadro della vita nel castello durante il XIIIsecolo e sposta poi la sua attenzione sulla Poggibonsi del XIV secolo prendendo in esameun estimo del 1318 rinvenuto nella Biblioteca Guarnacci di Volterra. La produzione diquesto autore è senza dubbio da porre sullo stesso piano delle ricerche di Pratelli, maassume decisamente maggiore rilievo proprio per il tentativo di chiarire per primo, e sinoral’unico, gli aspetti del quotidiano111. Il centro di Poggibonsi, già Borgo Maarturi, non è stato invece al centro di molti studi sinoad anni recenti, poichè l'attenzione dei ricercatori si coagulava soprattutto intorno allevicende del monastero di San Michele a Marturi ed, in piccola parte, su quelle relative alvillaggio fortificato di Poggio Bonizio. Se trova citazione in sintesi e trattazioni dedicate allaFrancigena e se viene spesso confuso con lo stesso Poggio Bonizio, solo pochi interventihanno affrontato la sua storia più approfonditamente.Poggibonsi origina da Borgo Marturi e si lega strettamente a Poggio Bonizio, sia dopo lafondazione di questo nel 1155 sia dopo la sua distruzione del 1270, ma non possiamoaccomunarli sotto un unico toponimo come invece è stato fatto spesso. Dalla metà dell'XIsecolo, infatti, sugli spazi immediatamente adiacenti al castello e monastero di Marturi ed

109 PRATELLI 1929-1938.110 ANTICHI 1965.111 RINALDI 1980; RINALDI 1986.

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in quelli pianeggianti verso il torrente Staggia, vediamo attestate numerose abitazionisparse, appezzamenti di terreno dotati di casa e un agglomerato aperto noto con iltoponimo di Borgo Marturi. A questo periodo ed alle vicende svoltesi, si sono interessatisoprattutto gli storici locali, attenti per la maggior parte a nobilitare le origini della loropatria ed al rapporto villaggio-monastero.Ciaspini, Pratelli, Antichi, in tempi diversi e riprendendo un'antica tradizione già raccolta daVillani, da Malespini, da Machiavelli, nonchè dal compilatore del «Fioretto delle historie delnobile castello di Poggiobonizio», hanno indicato la fondazione di Borgo Marturi nel 62a.C. ad opera dei soldati di Catilina scampati alla sconfitta di Piteccio. Riporta per esempioAntichi citando il Fioretto: «Fu chiamato il detto luogo la prima abitazione il Borgo di Marte;perchè quando in quel luogo dimorarono (...) convenne loro posarsi in quel luogo percurarsi e guarire le loro ferite. Soggiornonno in detto luogo e dimororno per alquantotempo; et per essere buono sito e luogo vi fecero habitazione e stanze per habitare (...)esercitandosi anche a lavorare mercantie. Divenne in breve tempo richo luogo etchiamaronnolo Borgo di Marte perchè era appresso ad un fiumicello che si chiamava Martie questo nome seppono da un uomo che era della terra di Monte Lonti, quivi vicino, (...) fufatto dai sopraddetti romani un tempio dello Iddio Marte e quello adoravano»112.Anche Pratelli non si distacca molto da tale linea, cercando però di spiegare megliol'ipotetico sviluppo del villaggio dopo la sua fase romana e andando ad analizzarne larealtà di XIII e XIV secolo, soprattutto in relazione alla pieve di Santa Maria; propone poiuna rassegna di tipo quasi araldico sulle «illustri casate di Borgo Marturi» che «ebberogran parte nell'edificazione e nel governo di Poggiobonizio»113.Rinaldi invece, precisa le origini di Borgo Marturi e le sue successive vicende attenendosialla documentazione d'archivio da lui raccolta e studiata; è il primo degli storici locali cheaffronta tale argomento in una prospettiva di seria verifica delle informazioni disponibili,sgombrando il campo da false argomentazioni.Le indagini storiche che hanno coinvolto la realtà insediativa ed economica di Poggibonsidopo il 1270, cioè post distruzione di Poggio Bonizio, non concernono per la maggioreparte la sola comunità; s'inseriscono invece all'interno di un'ampia trattatistica storicadedicata a popolamento ed economia basso medievale nelle zone di dominio fiorentino esenese. Plesner, interessandosi del contado fiorentino, illustra la pianta topografiadell'odierno Poggibonsi come esempio e modello dei cosiddetti «insediamenti ditransito»114. Muzzi, affrontando le vicende del popolamento valdelsano tra XIV-XV secolo,presenta sotto forma di tabulato l'evoluzione dei fuochi nel comune di Poggibonsi tra glianni 1350-1427115. Pinto precisa che nel 1411 gli ufficiali fiorentini di stanza a Poggibonsi,accoglievano il grano esportato dal territorio senese116. De La Ronciere, nella suapoderosa opera su Firenze come centro economico regionale, mette in evidenzal'importanza che Poggibonsi continuava a detenere nel XIV secolo come insediamento alcentro di un nodo viario interregionale e come centro commerciale; esamina inoltre lapopolazione presente e le caratteristiche delle attività imprenditoriali117.Centrati specificatamente su Poggibonsi sono invece alcuni interventi di breve respiro maestremamente puntuali.Balestracci affronta gli aspetti inerenti il salariato nel contado della seconda metà del XIVsecolo, attraverso una micro-analisi sull'ospedale di Santa Maria a Poggibonsi per gli anni

112 ANTICHI 1965, p.2.113 PRATELLI 1929-1938, pp.14-17, 37-45.114 PLESNER 1979, p.65.115 MUZZI 1984.116 PINTO 1982, pp.140-141.117 DE LA RONCIERE 1976, soprattutto pp.643-696, 837-856, 951-958, 965-988, 1121-1126, 1170-1173,1187-1188, 1268.

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1373-1374118. Zdekauer analizza gli statuti comunali del 1332119 ed in seguito, il riesamedel documento, viene nuovamente effettuato in ambito storico-localistico da Morandi120.Anche Pucci si dedica allo statuto del 1332121, lo pubblica, completandolo però conun'analisi economico-sociale di De la Roncière; quest'ultima si articolata sull'illustrazioneparticolareggiata della vita economica di Poggibonsi, con una disamina sulleprofessionalità presenti nel villaggio e sull'emigrazione verso Firenze; dimostra inoltre chela comunità conservava i due tratti caratterizzanti di un'economia urbana (l'artigianato e ilcommercio), descrive il decadimento tra gli anni 1365-1370122. Ravenni, infine, nella suaanalisi sul distretto territoriale poggibonsese nel basso medioevo, redige una schedaabbastanza approfondita sul capolugo123.

3 - Il complesso monumentale.a. La fortezza medicea - Il complesso fortificato rinascimentale di Poggio Imperiale è uninteressante esempio legato al cosiddetto "periodo di transito" dell'arte militare,caratterizzato dalla nascita e dallo sviluppo funzionale del fronte bastionato. Lasostituzione degli strumenti bellici da lancio medievali (catapulte, mangani, baliste) conl’artiglieria (bombarde, colubrine, mortai) sovvertì infatti, nell’arco di pochi decenni, leusuali tecniche difensive.Questo periodo si caratterizza in Toscana per la sperimentazione e la messa a punto di“prototipi”, quali ad esempio la ristrutturazione delle mura di Colle Val d’Elsa (1487), lacostruzione del circuito murario di Firenzuola (1488) e l’edificazione della fortezza diPoggio Imperiale (1489-1510) che ben si inserisce in questo nuovo sistema di pensare edi fare l’architettura fortificata. La fortezza si compone di una cinta muraria perimetrante la collina con eccezione del latonord ed una fortezza pentagono, cioè il cassero, posta nella zona orientale. Le mura,conservate solo nella zona della scarpa, delimitate da un cordolo in pietra, molto alte e diprofilo fortemente inclinato, sono costruite con il sistema a sacco; delle fodere di mattonicontenenti conglomerati di calcina, pietre ed altri laterizi di risulta, sono ben riconoscibilinelle parti sbrecciate della fabbrica e in coincidenza dell'ammorsatura della cinta con ilcassero. Comprendono alcuni pseudobastioni, nei quali si aprono troniere, in partecollegate tramite un sistema di gallerie, con feritoie dette "bocche di volata" a forma dichiave rovesciata. Le pareti a piombo ed il coronamento non hanno lasciato traccia inalcun tratto. Sul circuito si aprono quattro porte realizzate con la stessa tecnica; sono inpietra, con conci squadrati, caratterizzate da duplice accesso, quello esterno con alloggiodei bolzoni per il sollevamento di un ponte levatoio, collegati tramite una camera dipassaggio.Il cantiere fu impostato non prima della fine del gennaio 1489, iniziando la costruzionedalle mura urbiche per poter sviluppare, al loro interno, un abitato. Nei primi mesi didell’anno i lavori procedevano regolarmente ed è attestato il reimpiego di materialeproveniente dai resti degli edifici e delle mura castellane di Podium Bonzi. Con la morteimprovvisa di Lorenzo il Magnifico, nell'aprile 1492, si iniziava un periodo di inattività e diprogressivo abbandono; nel 1496, anche per l'incuria delle opere, numerose erano lepersone che continuavano ad impadronirsi dei materiali incustoditi. Una ripresa delcantiere si ebbe soltanto nel 1498 con la sostituzione del personale prepostoall'amministrazione dell'opera ma, dalla scarsa documentazione e dalla lentezza degli

118 BALESTRACCI 1977.119 ZDEKAUER 1894.120 MORANDI 1960.121 PUCCI 1995.122 DE LA RONCIERE 1995.123 RAVENNI 1995, pp.116-125.

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interventi eseguiti, si desume che i lavori fossero limitati a pochi interventi necessari edimprorogabili.Dopo un’ulteriore interruzione, la rinnovata necessità di difendersi da minacce esterneimpose un nuovo impulso alle attività di cantiere. E' questo il periodo in cui si pone manoalla costruzione del cassero, lavorandovi dal 1505 al 1510, quando i registri furonoriconsegnati ai "Magnifici ed eccelsi priori di libertà et gonfaloniere di giustizia del popolofiorentino". L'incompletezza delle mura urbiche attesta il ridimensionamento dell'ambiziosoprogetto di Lorenzo il Magnifico, tanto più che il tratto mancante coincideva con il lato piùscosceso e meglio difendibile del pendio; più probabilmente non si procedette al recuperodella cinta castellana di Poggio Bonizio, che, come lo scavo ha mostrato, era ancorapresente su questa parte della collina.Benchè alla fine del 1510 il corpo di fabbrica del cassero fosse ormai ultimato mancavanoperò numerosi lavori per rendere operativo il fortilizio; si procedeva ancora allo scavo edalla definizione di cannoniere e casamatte, alla messa in opera degli scarichi dei fumi divolata ed agli alloggi delle artiglierie. Nel 1511 non erano stati edificati gli acquartieramentiper le milizie, nè consegnati gli armamenti difensivi. Neanche un sopralluogo eseguito daNiccolò Machiavelli riuscì ad accelerare le attività e nel 1513, all'indomani del restauratodominio mediceo, la fortezza risultava sempre priva degli alloggiamenti.L'impresa urbanistica di Poggio Imperiale, giudicata ormai troppo costosa per le limitatepossibilità dello stato fiorentino, veniva definitivamente abbandonata nel luglio diquell'anno. Alcuni lavori di ammodernamento sono ancora attestati intorno alla metà delsecolo, così come degli interventi di restauro sono documentati negli anni 1634 e 1659.Degli interventi operati successivamente alla cessione a privati del complesso, il piùinfluente fu senza dubbio la costruzione dell'edificio interno al cassero; questo, ancoraassente nel rilievo del Belluzzi, eseguito intorno agli anni 1546-47, sembra già in operanella planimetria riferibile alla prima metà del secolo XVIII.

b. La porta San Francesco - Le quattro porte della fortezza, dette del Giglio, della Fonte, diSan Francesco, di Calcinaia, rispondono tutte ad una medesima tipologia che accosta, inun efficace bicromatismo, l'impiego del travertino locale a quello del laterizio delle mura dicinta; sono realizzate con la stessa tecnica costruttiva e costituite da due archi a tuttosesto in pietra, uno esterno ed uno interno, collegati da una rampa in mattoni voltata abotte.La porta di San Francesco, la principale, è quella in miglior stato di conservazione. L'arcopiù esterno è sormontato da due profonde scanalature per l'alloggiamento dei bolzonirelativi al sollevamento del ponte levatoio. La volta in mattoni copre interamente lestrutture della porta e risulta forata da due piombatoi a scivolo. All'interno dell'arco, sullepareti di destra e di sinistra dello strombo, sono individuabili alcune tracce relative alsistema di chiusura: una porta a doppio battente, che doveva aprirsi verso l'interno ed ilcui trave di fermo scorreva da sinistra verso destra.Al di sopra dell'arco più interno, anch'esso in travertino, che immette con ampio stromboall'interno della zona fortificata, furono sistemati due grandi stemmi, gli emblemi del popoloe del comune di Firenze: la croce ed il giglio. Anche qui doveva essere presente una portaanaloga a quella relativa all'arco più esterno.Immediatamente sopra l'arco, impostata su di un massiccio architrave in pietra e chepresenta un piccolo foro di forma regolare, era visibile una immagine sacra o uno stemma,asportata successivamente. Nel lungo periodo in cui la fortificazione, non era più in uso, laporta subì infatti una serie di spoliazioni ed in epoca moderna, nei camminamentiall’interno delle mura e nei bastioni, si ricavarono delle cantine124.

124 Sulla porta San Francesco si vedano BARDI, PALLECCHI 1996.

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c. La torre San Francesco - La torre di San Francesco, posta all'interno delle mura di cintadella fortezza medicea ed arretrata di pochi metri rispetto alla porta omonima, ha piantaquadrangolare ed è costruita su tre lati.Presenta un paramento esterno in conci di travertino ben squadrati, disposti su corsiorizzontali paralleli. La maggior parte dei conci fu rifinita con la creazione di una superficiespianata tramite ascettino, alcune pietre mostrano una lavorazione del nastrino, mentre ilresto della superficie venne lasciato allo stato di bugnato grezzo. La torre si presenta come un evento costruttivo omogeneo, inquadrabile quindi in un'unicafase. I rapporti stratigrafici, la tipologia costruttiva, il tipo dei materiali impiegati e la lorofinitura ed i confronti con edifici valdelsani ben datati, collocano la sua costruzione nellaseconda metà del XIII secolo. In particolare un deciso parallelismo con strutture simili èosservabile sia sulla cinta muraria di San Gimignano che su quella famosissima diMonteriggioni: dei recinti edificati intorno alla metà del XIII secolo. Benchè già in pieno XIV secolo, nella fortificazione della vicina Staggia, si continuasseancora a mettere in opera torri quadrangolari, alternate ai tratti rettilinei di cortina, la loroassociazione con strutture poligonali utilizzate anche nella coeva Rocca di Montestaffoli (aSan Gimignano) e le numerose differenze costruttive, fanno sì che l'esempio più prossimoalla torre di Poggibonsi sia ancora costituito dagli apparati difensivi di Monteriggioni.La torre è quindi riconducibile alle mura di Poggio Bonizio; quasi sicuramente ancoravisibile nella seconda metà del XV secolo, entrò a far parte del progetto di Giuliano daSangallo: venne inserita nella fortificazione addossandole le strutture della porta e dellastessa cinta muraria, fungendo così come bastione125.

d. Il cassero della fortezza - Il cassero, edificato in mattoni, è posto su una sommitàrocciosa e protesa a valle come un bastione naturale; ha pianta rettangolare, con bastioniagli angoli e in corrispondenza del lato breve est, si protende una punta bastionata:costituisce quindi un pentagono.La sua costruzione, avvenuta tra gli anni 1505 e 1510, prese avvio con l’edificazione dellacortina, della porta d’ingresso e i due bastioni laterali, continuando poi con la realizzazionedella cortina posta a nord-est verso San Lucchese, il “mastio” formato da due “baluardetti”con al centro il bastione di punta (detto “puntone”) e la lunga cortina verso Poggibonsi.Dalla parte opposta è situata l’unica porta d’ingresso; dotata un tempo di ponte levatoio,immette dentro un lungo corridoio voltato a botte e, al termine del percorso in salita, daaccesso ad una grande sala di pianta circolare riconoscibile come la sala d’armi. Questaha una copertura a volta a vela, con sesto ribassato, realizzata con la cosiddetta“apparecchiatura alla fiorentina”, cioè spirali di mattoni a spina pesce, tipicadell’architettura dei da Sangallo; era dotata di un ampio camino. Da lì si accedeva, inorigine attraverso un'arcata laterale, in una vasta area a cielo aperto, la piazza d’armi,interna alla cittadella; la costruzione dell'edificio più tardo ridisegnò in gran parte laplanimetria di questo livello. Anche questo fabbricato, benchè nella realizzazione delle suegrandi masse risulti abbastanza omogenea, presenta una serie di rimaneggiamentilocalizzabili, oltre che nella chiusura dell'ampia loggia a due arcate di diverse dimensioni,nella realizzazione di nuove aperture. Sono invece da considerarsi previste già nella fasedi impianto le vaste zone in laterizio che, oltre a definire numerose canne fumarie,costituiscono anche la regolarizzazione delle superfici in prossimità dei vani funzionali,indispensabile su murature messe in opera con il concorso di materiale eterogeneo espesso privo di qualsiasi lavorazione.L'altezza delle sue cortine murarie non ha un identico sviluppo su tutti i lati; è infatti limitataalla scarpa sulla punta estrema, dotata di pareti a piombo, al di sopra della cornice chedelimita la porzione inclinata, sui lati lunghi, e dotata di una ulteriore sopraelevazione

125 Sulla torre San Francesco si vedano BARDI, PALLECCHI 1996; MENNUCCI 1996.

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verticale e di un "attico" sul tratto ove si apre la porta di accesso. Questa apertura,nonostante le minori dimensioni, presenta affinità con quelle delle mura urbiche, definita inpietra, con un arco a tutto sesto, in una interruzione quadrangolare della scarpa.Dalla porta, tramite una lunga rampa voltata a botte, si giungeva, prima di accedere allapiazza d'armi, ad un ampio locale di forma quadrangolare oggi situato al piano terrenodello stretto fabbricato disposto trasversalmente alla fortezza.Alla fine dell’estate del 1508 la parte nord-ovest della cittadella, corrispondente alla portad’ingresso e ai due pseudobastioni laterali, era già terminata. Le due “torri”, comevenivano chiamati i bastioni, erano dotate di una copertura con tetto in laterizi a più faldeche, impostato sulle murature merlate circostanti, era sorretto da una struttura portantelignea.Internamente i bastioni sono organizzati su tre livelli di casematte, uno corrispondente allaparete verticale e due alle scarpe. Entrambi sono dotati dello stesso numero di cannonierema presentano differenti soluzioni di collegamento tra i vari ambienti, sia in orizzontale chein verticale, nonché diverse tipologie di tiraggio per la fuoriuscita dei fumi da sparo.Ognuno infatti sembra assolvere a funzioni diverse. Il bastione di nord-ovest è caratterizzato da un corridoio di ingresso con camere interne,accessi di comunicazione in orizzontale e verticale e una grande “cupola” centrale, confunzioni di camera di contromina, la cui realizzazione richiese una complessa distribuzioneinterna dei collegamenti orizzontali e verticali tra le varie camere di volata. Gli accessi aivari ambienti sono spesso labirintici ed il collegamento tra i diversi piani è garantito da duestrette scalinate, situate ai lati della camera emisferica.Nel bastione orientato ad ovest, dotato anch’esso di una fucina ubicata nel livellosuperiore, si trova il pozzo dell’acqua potabile, ricavato nel livello più basso della scarpa,al termine di un cunicolo scavato nella roccia le cui pareti laterali sono dotate di unacanaletta per la raccolta dell’acqua di stillicidio. Caratteristica di questo bastione sono gliampi camini di tiraggio che servono le cannoniere situate nei livelli più bassi della scarpa eattraversano le murature perimetrali del bastione, anziché passare dagli ambientisoprastanti126.M.V.

e. La Fonte del borgo di Vallepiatta (detta “delle Fate”) – I documenti relativi all'assetto delcastello indicano la presenza perlomeno di cinque fonti oltre naturalmente a quella delleFate, ossia la fonte di Boccabarili, dei Lunati sopra Campostaggia, dei Buonamenti nelVallone, dei Bacinelli, e un'altra fonte senza nome rinvenuta vicino alla Fortezza127.L'attuale cartografia I.G.M. 1:25.000 attesta ancora, oltre al Rio Marturi, oggi canalizzatoed interrato, solo tre fonti in parte coincidenti con quelle dedotte dalle notizie scritte ossiala fonte presente ad est del "Poderino" forse identificabile con Buonamenti, quella delleFate e la fonte di Boccabarili posta alle pendici di Poggio Marturi 128. Di tutte questestrutture l'unica sfuggita alle progressive distruzioni e che si riesce ad osservarenell'originaria magnificenza è proprio quella delle Fate. Alcuni resti della fonte diBoccabarili, vasca e muro di sostegno, sono stati infatti quasi completamente cancellati aseguito di moderne sistemazioni stradali.Notizie sulle fonti di Poggio Bonizio sono riportate anche nella trascrizione anonimatardocinquecentesca delle Historie di sasso chatanio da staggia fatte dette storie per SerJacopo de sassi da Staggia129; la cronaca parla di«bellissime fontane fatte di pietre concie

126 Si veda per tutti MASI 1992.127 RINALDI 1980, p.58.128 SALVINI 1982, pp.67-68.129 Biblioteca Nazionale di Firenze, Magliabechiana, VII, 356, c.425 r. Cronica inserita in una raccolta dimanoscritti del XVII secolo.

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come per maestro Balugano»130 ed ancora «e quelli della casa de buonamenti portavanoper insegna uno scudo doro dentro tre teste daquila nera e facano fare una fonte a pie delborgo e per il nome della casa la chiamorno la fonte buonamenti»131.I documenti attestano la presenza dell’odierna Fonte delle Fate all'interno di un borgo,denominato di Vallepiatta, costituitosi intorno al nucleo originario del castello, lungo lependici del poggio, fin dalle prime fasi insediative. Se infatti in un atto del 1207 si parla giàdi vendita di case tra privati nel borgo di Vallepiatta132 è evidente che un consistentenucleo doveva già essersi formato nella seconda metà del XII secolo. La fonte vennequindi costruita in un impluvio, oggi meno marcato, corrispondente all'antico toponimo diValle Piacta, colmato poi da terra di riporto con i lavori per la realizzazione degli spaltidella fortezza medicea nel 1484. Fu riportata in luce a seguito di un grosso lavoro diescavazione per realizzare un vigneto solo nel 1803 da Clemente Casini: «Nel mese dimaggio dell’anno corrente 1803 in un mio podere denominato La Sassa, presso la stradadi San Lucchese, sul confine con S:°E:° il Sig: Senatore Venturi nobile fiorentino; viesistono fino al tempo dell’antico Poggibonsi alto, le bellissime Fonti Pubbliche,denominate allora di Vallepiatta; oggi volgarmente dette Le Fate; abbondantissimed’acqua perenne, le quali per sua Maestosa Struttura, ed antichità, fino di qualche tempoindietro mi venne volontà di scavarne dai Fondamenti, per vederne senza Ostacolo alcunol’intiera sua figura. Ma atteso il grandissimo rinterro, mi sembrò un’impresa assai forte, ecostosa. Onde mi risolsi di scavarne soltanto un’Arcata conforme feci, che vedutane unaserve per averle vedute tutte, giacchè lo spartito è tutto eguale. Questa bella fabbrica ètutta in Volta Reale, spartita in sei Arcate, lunga sopra le braccia trenta, e larga le Bracciadodici circa. Vi è il Chiusino di Sorgente, dove nasce, e viene l’acqua per stillicidio; vi sonodi poi i suoi rifiuti, o smaltitoi, per quando la Vasca trabocca, per matenerla sempre incolmo. Fatto che ebbi questo scavo,ne rilevai esattamente la Pianta, facendone diversesezioni, per vederne in tutti i punti minutamente l’esterno, e interno della medesima;riportandomi precisamente alle misure, e proporzioni nello stato in cui trovasi. QuestoDisegno si conserva presso di me, per memoria sicura della struttura delle medesime;poiché vedo che col tempo nella situazione ove sono, anderanno a chiudersi, e interrarsiaffatto, ed in conseguenza a perdersene la memoria; poiché uno di questi Archi esterni digià è interrato fino sopra l’impostatura, e non vi resta che poca luce più per terminarsi dichiudere»133.La fonte di Vallepiatta, interamente costruita utilizzando il travertino, ha la facciatacaratterizzata da un portico costituito da sei arcate doppie a sesto acuto. Le arcate sonosostenute da pilastri di grande spessore (2 m) all'interno dei quali vennero ricavate dellearcatelle sempre a sesto acuto probabilmente per facilitare la circolazione delle acque e altempo stesso diminuire lo spessore dei parapetti della vasca presenti tra un pilastro el'altro. Le arcate sono legate alla muratura portante, così come i parapetti ai pilastri.Dall'osservazione dell'andamento dei filari e dello spessore dei conci è però possibilerisalire alle differenti fasi di cantiere. La microlettura stratigrafica evidenzia infatti come lafacciata venne iniziata partendo dal lato a monte. In un unico momento furono edificate leprime tre arcate e parte della muratura portante compresa tra gli archi. In un secondomomento fu realizzata la quarta arcata, con l'intradossi leggermente più alto e la muraturacompresa tra quest'ultima e la precedente. Dopodiché sempre con una medesima altezzadi intradosso fu costruita la quinta arcata e il tratto di muro compreso tra quest'ultimo e la

130 Biblioteca Nazionale di Firenze, Magliabechiana, VII, 356, c.441 v.131 Biblioteca Nazionale di Firenze, Magliabechiana, VII, 356, c.442 r.132 RINALDI 1980, p.51; per altri successivi atti di vendita sempre di abitazioni poste in questo quartiereRINALDI 1980 p.34.133 CASINI 1986, pp.40-41.

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quarta apertura. Infine venne realizzato l'ultimo arco, con un'ulteriore maggiore altezza diintradosso e la muratura compresa fra queste ultime due arcate. Il motivo per cui l'ultimo arco a valle si presenta con un'altezza maggiore rispetto agli altrinon è di immediata intuizione. Si può pertanto ipotizzare che in tal modo i costruttorivolessero enfatizzare architettonicamente questo elemento in relazione anche allapresenza della prospiciente vasca, contemporanea alla facciata, dal momento che le duemurature si legano, e per la quale era stato previsto un foro per l'afflusso delle acque insovrappiù proprio all'interno del parapetto di questa arcata. Il dislivello naturale del terrenosu cui venne costruita la fonte e la risoluzione statica di alzare la quota di alcuni elementiarchitettonici per creare un unico livello, potrebbe poi essere una secondo motivo da cuidipesero le scelte dei costruttori. A quest'ultima ipotesi del resto si accorderebbe meglio lastrana posa in opera che si riscontra nella muratura immediatamente sopra le arcate. Unavolta terminate le aperture, in una successiva fase del cantiere, si cominciò infatti acostruire la parte alta della facciata. Come nella fase precedente il lavoro iniziò dal lato amonte con la realizzazione di un primo filare. Al di sopra dell'estradosso del quarto arco,dopo una pausa di cantiere questo fu continuato cominciando una sdoppiatura con piccoliconci in pietra che gradatamente andò sempre più accentuandosi mano a mano cheprocedeva verso il lato a valle, in modo così da riuscire a mantenere parallelo il piano diappoggio dei filari superiori. Creato quindi il piano di muratura ad un medesimo livello siprocedette con la costruzione della parte alta della facciata, oggi quasi totalmente crollata.All'interno del portico si trova la grande vasca di raccolta delle acque che arrivavano inquesto bacino per stillicidio o lento deflusso dalla soprastante collina di Podium Bonizi. Lestrutture murarie ancora visibili da ricollegare a questo sistema di approvigionamento sonoil piccolo foro collocato nell'angolo formato dalla parete interna nord e quella di ovest el'apertura con archetto a sesto acuto e stipiti in pietra situata in prossimità di quest'ultimoangolo nella parete nord interna. È proprio tale caratteristica che ci porta a confrontare lafonte di Valle piatta con le principali fonti senesi, come quella Nuova di Ovile o Pescaia,dove una simile apertura costituiva lo sbocco delle acque incanalate e trasportate daibottini della città. La presenza del resto di strutture sicuramente identificabili come bottini èattestata anche dalle testimonianze dirette o indirette di Francesco Pratelli. Quest'ultimoparla infatti di gallerie sotterranee scavate nel tufo, che dal cassero si dirigevano allependici del poggio ed inoltre fa chiaro riferimento, parlando della Fonte delle Fate, ad una"galleria o grotta" che si inoltrava nelle viscere di Podium Bonizi per più di trecentobraccia134.Le caratteristiche tecniche della muratura così come la cura degli elementi decorativi e lesoluzioni architettoniche rimandano a maestri lapicidi dotati di un’eccellente preparazione,forse provenienti dalla pianura padana così come sembrerebbe l'origine di quel Baluganoda Crema, al quale viene attribuita tradizionalmente la costruzione. La loro presenzasicuramente non costituiva un fatto anomalo in questo territorio: all’operato di maestrilombardo-emiliani si devono infatti molti edifici del fondo valle valdelsano tra il XII e XIIIsecolo.E' possibile che esistesse una struttura precedente alla fonte delle Fate sulla cui forma estruttura risulta difficile formulare delle ipotesi. A tale proposito risultano di grandeinteresse alcuni tratti di muratura che in base alla lettura stratigrafica risulterebberoprecedenti al resto delle strutture della fonte. Sulla parete nord interna è infatti visibile unlacerto di muratura in pietra di limitate dimensioni, situato nell'angolo tra quest'ultimaparete e quella di ovest. La stratigrafia indica un rapporto di anteriorità rispetto alle altrestrutture della fonte. A questa originaria struttura muraria, successivamente distrutta, siappoggia infatti sia la muratura portante nord che quella ovest. Poco più in alto, sempre invicinanza dell'angolo si riconoscono due pietre di un arco obliterato. Nell'angolo opposto di

134 PRATELLI 1929-1938, pp.56-57.

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nord est è inoltre individuabile un lacerto di muro alla stessa quota dell'altro, sporgenterispetto alla muratura portante che gli si appoggia ed è quindi a questo cronologicamentesuccessiva. Malgrado le incrostazioni calcaree rendano assai difficoltosa la lettura,sembrerebbe che a quest'ultima preesistenza sia legata e quindi contemporanea la parteinferiore della muratura relativa alla parete est interna alla fonte, a seguito di un tagliosuccessivamente ricostruita in contemporanea ai definitivi lavori di sistemazione dellafonte135.G.B.

135 Sulla Fonte di Vallepiatta si veda soprattutto BIANCHI 1996; inoltre STOPANI et alii 1990.

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II - PALEOMORFOLOGIA DELLA COLLINA1 - Il pianoro.Il pianoro ha una morfologia lievemente ondulata, con due larghe sommità dalle quali sisviluppano a raggiera i solchi di percorso delle acque. Nei campi del poggio si possono osservare le caratteristiche dei terreni superficiali, chesolitamente rispecchiano la natura dei sottostanti strati geologici e l’intensità dei processierosivi avvenuti nei secoli sotto l’effetto delle piogge battenti. Suoli originari della sommità si erano conservati in alcune aree dello scavo archeologico. Sul pianoro al di fuori dello scavo, lo stesso tipo di terreno si riconosce dal colore rossastroo arancione e dal carattere compatto delle zolle. I terreni maggiormente erosi, oltre ad essere leggermente più pendenti, si presentano quisolitamente giallastri e sciolti. Alcuni suoli del pianoro riflettono fortemente il carattere dellasottostante roccia geologica. Le zone a maggiore accumulo naturale si riconoscono dalcolore scuro della terra e dalla forma concava della superficie. Sono queste le aree dove siconservano meglio i reperti archeologici. Un fenomeno particolare del pianoro della Fortezza è il piccolo stagno d’acqua vicino allachiesa, che non si asciuga nemmeno d’estate, motivo per cui la sua origine non èriconducibile alla semplice raccolta delle acque piovane.

2 - I versanti.Le formazioni geologiche si osservano meglio lungo i versanti dei rilievi. Il corpo dellacollina di Poggio Imperiale è costituito interamente da sabbie cementate, comunementedetto “tufo”. Si tratta dei prodotti di una fase di sedimentazione avvenuta nel marepliocenico. Lungo le scarpate del paesaggio sono esposte localmente, all’interno di questaroccia, croste calcaree cementate. Al di fuori della collina, la sabbia poggia talvolta suargille plioceniche.Sopra il tufo si trova il cosiddetto “conglomerato di Poggibonsi”, di origine fluviale. Si trattadi sabbie e ghiaie del Quaternario, localmente cementate. La presenza o meno delconglomerato determina la ripidità dei versanti ed il conseguente rischio di frane. In cima al colle della Fortezza si trova il travertino “antico”, il relitto di un ambiente lacustre-paludoso qui esistente alla fine del Pleistocene. La formazione è composta da travertinovariabilmente consistente, da sabbia calcarea e da argilla. Il travertino antico, come anchetutte le formazioni precedenti, ha subito un notevole sollevamento, come dimostra l’attualedislivello con la valle dello Staggia.

3 - Rilievi e fiumi.I singoli rilievi che compongono il paesaggio sono il risultato dell’azione erosiva delleacque di scorrimento superficiale, dal più piccolo ruscello ai fiumi stessi, sulle rocceesposte.Il reticolo idrografico intorno a Poggibonsi è composto dal fiume Elsa e dal torrenteStaggia, che confluiscono a poca distanza a valle della città. Le vallate dei due fiumi sonoparzialmente riempite dal travertino “recente”, una formazione olocenica di origine termale,sulla quale si appoggia il Castello di Staggia. La città moderna di Poggibonsi è statafondata su un terrazzo fluviale. Nell’arco dell’Olocene, sia i travertini che quest’ultimo terrazzo sono stati reincisi dai corsid’acqua. Dalla terrazza dove vi trovate ora, si può osservare, verso nord, la profonda incisionevalliva creata dallo Staggia, un evento avvenuto nell’intervallo di tempo tra la deposizionedei travertini antichi (sopra il colle) e dei travertini recenti (nelle vallate).

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Oltre il fiume, verso nord, si può osservare il paesaggio delle colline plioceniche, quidolcemente ondulato proprio perché manca la dura cappa di conglomerato. Ancora piùlontano, a circa 5 km di distanza, si vedono i rilievi più aspri delle rocce pre-plioceniche.

4 . Paleogeografia dal miocene al quaternario.Durante il periodo geologico del Miocene, movimenti tettonici provocarono nella Toscanameridionale la frammentazione della crosta terrestre lungo una rete di faglie. I blocchisprofondati divennero dei bacini lacustri o marini, mentre le zone sollevate costituironodelle dorsali che separavano le varie fosse di sedimentazione. Ancora oggi, questevicende tettoniche determinano lo schema della variabilità litologica e morfologica deirilievi. I blocchi sprofondati costituiscono oggi i paesaggi collinari delle formazioni plioceniche, edi blocchi sollevati i rilievi aspri delle rocce più antiche. Così, il tratto della superstrada Siena-Firenze, anche se segue tendenzialmente i bassistrutturali (Siena, Poggibonsi, San Casciano, Firenze), passa anche per tre alti(Monteriggioni, San Donato e Impruneta). Successivamente al Miocene si verificò una serie di ingressioni e regressioni marine, inrelazione ai movimenti tettonici generalizzati. Una trasgressione molto estesa si verificònel Pliocene inferiore, seguita da un generale sollevamento e poi da una nuovatrasgressione nel Pliocene medio. Con la fine del Pliocene si verificò un generale ritiro delmare. Il mare è rientrato limitatamente nel Pleistocene inferiore.

5. Il percorso geologico del colleVarie rocce affiorano lungo il percorso geologico della Fortezza.1. Il “tufo”, la formazione che costituisce il corpo della collina. Si tratta di una sabbiapliocenica indurita (1). La formazione è permeabile, quindi difficilmente può essere la sededell’acquifero da cui ha origine la Fonte delle Fate.2. Qui si osserva il contatto ondulato tra il tufo ed il sovrastante conglomerato (2).3. Affioramento di strati travertinosi poco consistenti sotto il Cassero (3)4. Il “conglomerato di Poggibonsi”, un deposito pleistocenico di origine fluviale. Qui èvisibile, in un ambiente chiuso,l’alternanza tra sabbie e strati con piccole ghiaie (4).5. Il travertino su cui poggia il Cassero della Fortezza Medicea (5). Si tratta di unaformazione tardo-pleistocenica di evidente origine lacustre-paludosa, come si può notaredai resti vegetali conservati (5.1). Localmente sono presenti cristalli di calcite, formati conla circolazione dell’acqua all’interno della roccia (5.2).6. In questo affioramento il conglomerato è ben cementato e composto da grosse ghiaie(6). Si tratta forse di un masso crollato dalla formazione geologica.A.A.

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III – GLI ASPETTI VEGETAZIONALI DELLA COLLINA1 - La vegetazione attuale.La vegetazione che oggi copre i versanti di Poggio Imperiale è costituita da un boschettorado che risale dalla Fonte delle Fate verso la fortezza e da un secondo bosco più chiuso,con grandi alberi, che si estende sul versante retrostante la collina e guarda l’odiernaPoggibonsi. In realtà i due boschi confluiscono in corrispondenza del piccolo pendio checorre lungo il sentiero che circonda il cassero, ma sono diversi come struttura e comevarietà di specie. Il bosco che incontriamo salendo al cassero è composto da specie tipiche del paesaggiocollinare toscano quali la quercia, l’olmo (Ulmus minor Miller), il leccio (Quercus ilex L.), ilcorniolo (Cornus mas L.), il bagolaro (Celtis australis L.), il ligustro (Ligustrum vulgare L.),l’alloro (Laurus nobilis L.) e l’edera (Hedera helix L.) e da specie importate ma ormaifacenti parte del nostro paesaggio, come l’acacia (Robinia pseudoacacia L.). E’ un bosco molto rado, rispetto all’altro, e dispone di una minore porzione di territorio sulquale svilupparsi; essendo da sempre vicino alla via di accesso al sito, ha subito piùinterventi e rimaneggiamenti. Nelle porzioni di bosco più chiuso sono frequenti il pungitopo(Ruscus aculeatus L.) e la berretta del prete (Euonymus europaeus L.).Il secondo bosco scende lungo il ripido versante della collina che guarda Poggibonsi; sitratta di un bosco di caducifoglie termofile, tipico delle aree collinari toscane, compostoprincipalmente da roverelle (Quercus pubescens Willd.), da ornielli (Fraxinus ornus L.) eda cerri (Quercus cerris L.). Gli alberi raggiungono i 10 metri di altezza e con le lorochiome creano una copertura continua che non consente un’importante sviluppo dellespecie arbustive di sottobosco. Sul crinale lungo il sentiero si incontrano alberi piantati recentemente, come il bagolaro oalcuni esemplari di frassini (Fraxinus excelsior L.).

2 - Le specie presenti oggi.a. Roverella (Quercus pubescens Willd)E’ una quercia, della famiglia delle Fagaceae; si tratta di un albero a foglie semipersistentiche caratterizza i boschi decidui della fascia collinare della nostra penisola (assieme alcerro, all’orniello, al carpino nero e agli aceri) e dell’Europa meridionale e sudorientale ingenere. E’ diffusa anche nelle aree costiere (assieme al leccio) e nella fascia montana(assieme al faggio). Nell’Europa meridionale e sud-orientale la roverella costituisce uno dei componentifondamentali dei querceti e dei boschi misti a latifoglie. Nel nord della Francia, in Germania e in Ungheria esistono aree relitte, a testimonianzadella maggior diffusione che la roverella ebbe durante periodi interglaciali caldi e secchi. Inseguito al peggioramento climatico, esse sono gradualmente regredite cedendo terreno alfaggio. Attualmente la roverella occupa la fascia di transizione tra i boschi sempreverdimediterranei e quelli di caducifoglie submontane. È un albero che cresce velocemente e può raggiungere anche 30 metri d’altezza; haun’accentuata capacità di resistere alla siccità e ben si adatta quindi a colonizzare pendiiaridi, suoli calcarei, argillosi e rocciosi. Il legno della roverella è duro e resistente, come quello della rovere, ma di difficilelavorazione e tende facilmente ad imbarcarsi; è invece un buon combustibile e vieneutilizzato soprattutto come legname da ardere e carbone.Il riconoscimento delle numerose specie di querce caducifloglie è spesso difficoltosoanche perché si ibridano tra loro con facilità, dando origine ad alberi di difficileinterpretazione.

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La roverella presenta generalmente una densa pelosità biancastra nella pagina inferioredelle foglie ma l’esatta determinazione della specie può essere fatta utilizzando i caratteridella ghianda e, soprattutto, quelli della cupola (involucro che contiene la ghianda).

Cerro (Quercus cerris L.) Specie di quercia appartenente alla famiglia delle Fagaceae. Albero di grandi dimensioni,può raggiungere i 35 metri di altezza, e di notevole longevità; il cerro è caratterizzato da unfusto dritto e slanciato e da una chioma ovale di media compattezza. Il cerro è facilmente riconoscibile dalle altre querce sia attraverso il frutto (la ghianda hadimensioni superiori a quelle delle altre querce, è protetta dalla cupola emisferica dotata disquame lunghe e leggermente arricciate), che per le foglie (di forma più allungata,profondamente lobate, con lobi terminanti a punta).Ha un areale più ristretto della roverella e si trova comunemente nelle aree collinari esubmontane comprese tra i 500 e i 1200 metri di altitudine, nei boschi dominati daroverella e carpino nero e nelle faggete montane. Può formare boschi puri o misti conroverella, orniello, acero, carpino e faggio. Da tempi remoti molte cerrete sono state peròsostituite dall’uomo con la coltivazione del castagno, che ha esigenze climatiche eedafiche (di suolo) simili a quelle del cerro. Soprattutto nell’Italia settentrionale, i boschi dicerro sono oggi molto frammentari, limitati ai terreni calcarei.Il cerro preferisce terreniprofondi, fertili e umidi, di natura silicea; suoi terreni di elezione sono ad esempio quelli diorigine vulcanica, ma si adatta anche a quelli argillosi e a suoli calcarei subalcalini ricchi dicalcio.In simbiosi con il cerro si possono trovare i tartufi.Il cerro ha una crescita rapida ma il suo legname non è molto pregiato, è di difficilelavorazione e veniva utilizzato soprattutto per traverse ferroviarie, doghe di botte e perpaleria.

Orniello (Fraxinus ornus L.)Albero caducifoglie della famiglia dell’olivo (Oleaceae) che non supera i 15 metri d’altezza,con chioma arrotondata ed espansa. Ha il tronco dritto con corteccia liscia e grigiastra.Le foglie dell’orniello sono opposte e composte da 5–9 foglioline.I fiori bianchi formano pannocchie dense, fortemente odorose; il frutto è una samarelanceolata che viene facilmente dispersa dal vento. E’ la specie di frassino più diffusa in Italia. Forma raramente boschi puri e di solito lo si trova nei boschi misti di latifoglie (carpini,roverella, cerri, leccio) e nelle boscaglie aperte termofile della fascia submediterranea;raggiunge i 1400 metri nell’Appennino meridionale, mentre sulle Alpi (dove è ugualmentediffuso) non supera i 600 metri. E’ una specie poco esigente per quanto riguarda il terreno, adattandosi anche a terreniaridi, calcarei o argillosi, capace di colonizzare terreni nudi e rocciosi.L’orniello è un albero ad elevata capacità pollonifera, cioè produce velocemente efacilmente nuovi ricacci (polloni) dopo essere stato ceduato. Il suo legno è elastico e resistente, ma è anche un buon combustibile. In Sicilia viene tuttora coltivato per la produzione della “manna”, una sostanza zuccherinache si ricava dalla linfa che fuoriesce dai tronchi incisi (solo degli esemplari dai sette aidodici anni) e che si rapprende rapidamente all’aria sottoforma di una gomma giallastra. Viene utilizzata in medicina come blando lassativo e dall’industria dolciaria per farne unosciroppo.

Acacia o robinia (Robinia pseudoacacia.L.)

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Questa pianta giunse per la prima volta in Francia, dall’America settentrionale, nel 1601,portata del francese Jean Robin (dal quale ha poi preso il nome), erborista del re Enrico IVdi Francia, come albero ornamentale. Fu introdotta in Italia agli inizi dell’800 e la suacoltivazione si è rapidamente diffusa fino a diventare spontanea in tutto il territorio. Vistoche cresce rapidamente anche sui terreni difficili (grazie all’espansione del suo apparatoradicale) è stata usata a lungo per consolidare le scarpate delle ferrovie, o per irimboschimenti in pianura. La si può facilmente trovare lungo gli argini, nei boschi misti diquerce e castagni. Tende a comportarsi come infestante, sostituendosi rapidamente allavegetazione locale, impedendo la crescita degli altri alberi e formando boscaglie dense espinose povere di sottobosco erbaceo e di funghi. A suo favore, va ricordata l’opera di miglioramento che può svolgere nei terreni poveri edegradati dove attecchisce, sia grazie all’azione di fissazione dell’azoto, sia concorrendoalla formazione di un buon terriccio con il deposito delle proprie foglie, che sidecompongono rapidamente.È un albero della famiglia delle Leguminosae che raggiunge i 20-25 metri d’altezza e i suoirami tortuosi formano una bella chioma; il tronco, dotato di spine robuste, si fessurairregolarmente formando delle scanalature. Il suo legno è duro, ottimo per la robustezza e la ricchezza di tannini che lo rendonoresistente all’umidità; tuttavia in Italia è utilizzato soprattutto come combustibile o per farnepali e liste per pavimenti. Oggi la robinia si trova diffusa in tutta Italia fino ai 1000 metrid’altitudine.Il fiore, particolarmente bello con i suoi grappoli bianchi, lo si può ammirare da maggio aluglio e il miele prodotto dal suo nettare è particolarmente apprezzato. I suoi fiori sipossono mangiare fritti in una pastella dolce, ma è bene farne un uso limitato, in quantol’acacia è una pianta velenosa.G.D.P.

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IV - I LUOGHI DEL TERRITORIO1 - Abbazia di Marturi.Marturi, sede castrense e abbaziale, fu fondata, o più probabilmente rifondata, alla fine delX secolo per volere del marchese Ugo di Tuscia. Lo studio maggiormente esauriente sideve a Kurze, che sul finire degli anni 'sessanta ha fatto chiarezza sulla nascitadell'abbazia e sgombrato il campo da interpretazioni fuorvianti, derivate dal nonriconoscimento di alcuni falsi documenti redatti dai monaci di Marturi alla fine dell'XIsecolo; ha tracciato scrupolosamente le vicende inerenti la nascita e lo sviluppo delmonastero dalla fine del X secolo e prospettato una più antica fase altomedievale136.Kurze si è basato sull'analisi della documentazione archivistica disponibile e sulla Vita diSan Bononio scritta prima del 1044 a Vercelli, quindi molto vicina agli anni della presenzadel monaco in Toscana. Di tale Vita esiste una seconda redazione (Vita dello pseudo-Rotberto), più ampia della precedente, considerata anch'essa autentica dagli studiosisinchè Schwartz nel 1915 e Tabacco nel 1954137 hanno riconosciuto una falsificazionedovuta all'abate Guido Grandi nel corso del XVIII secolo.Bononio, monaco benedettino vissuto nel periodo a cavallo tra X secolo e XI secolo, abilenella ricostituzione e rivitalizzazione di cenobi e di enti religiosi decaduti, operava inToscana non prima dell'anno 997 (fuggiasco dal monastero piemontese di Locedio, doveera abate, poichè vessato dal marchese Arduino d'Ivrea); qui, probabilmente dopo averericevuto asilo dal marchese Ugo di Toscana e dietro richiesta di questo operò affinchè«reparato ad plenum monasterio et secundum legem Dei et sancti Benedicti regulaminstituto». Condusse quindi la rifondazione di un monastero andato distrutto o nonefficiente, oppure non sviluppatosi, del quale viene omesso il toponimo ma che idocumenti di poco posteriori, lasciano facilmente identificare in Marturi.L'abbazia, ricostituita da Bononio, fu poi dotata nell'anno 998 da Ugo di Toscana dinumerose proprietà; dalla dotazione veniamo così a sapere che era fondata «in monte etpoio qui dicitur castello de Marturi» e che la «casa et curte (...) cum omnibus casis (...)castello de Marturi» furono anch'essi trasferiti ai monaci138. Siamo quindi di fronte adun'abbazia posta all'interno di un castello e sono sconosciute le vicende che condusseroall'edificazione del fortilizio. In altre parole, come avvenne la sua costruzione ed in qualerapporto si era posto con il cenobio già esistente anche se in disgrazia o mai decollato?Sulla natura insediativa di Marturi precedente alla fine del X secolo, non siamo però ingrado di esporre alcuna informazione più dettagliata. L'esistenza di tre privilegi rilasciati dalla cancelleria di Ugo al monastero ha dato luogo adalcuni problemi interpretativi139.Il primo documento è datato 12 luglio 970 e concerne la donazione della curtis«Antoniano» nella zona del comitato di Bologna-Ferrara. Il secondo documento, del 25luglio 998, attesta la volontà di Ugo di trasformare la chiesa dedicata a San Michele aMarturi, da lui eretta in passato, in monastero; conseguentemente dona, al costituendocenobio ed al suo abate, il terreno su cui era edificata la badia, la località ed il castello diMarturi, nonchè 210 proprietà sparse per l'Italia centro-settentrionale; promulga inoltre lenorme da seguire per la libera elezione dell'abate.Il terzo documento, datato 10 agosto 998, è un'ulteriore donazione, simile, ma formulata innetto contrasto con quella del 25 luglio. Pur venendo donate, con piccole variazioni, lestesse proprietà (sono esclusi alcuni beni situati in luoghi che erano già stati oggetto di unprivilegio alla Badia di Firenze), non comprende però il terreno su cui sorgeva il

136 KURZE 1989.137 SCHWART 1915; TABACCO 1954.138 FALCE 1921.139 Analizzati ancora in FALCE 1921.

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monastero, non viene affermato il suo ruolo protagonista nella fondazione di chiesa emonastero; inoltre specifica, dettagliatamente ed in modo molto chiaro, che ognidonazione avrà compimento soltanto alla morte di Ugo e solo in caso che egli muoiasenza eredi diretti.Nel documento del 12 luglio del 970, la chiesa e il monastero di San Michele risultano giàesistenti, senza che il marchese se ne attribuisca la fondazione; la donazione viene inoltrefatta all'abate Bononio. Kurze, ricordando che in quella data Bononio si trovava ancora inEgitto e portando a prova elementi paleografici inconfutabili, riconosce l'atto come falso. Idocumenti usciti dalla cancelleria di Ugo nell'anno 998, potrebbero invece fare pensare adun cambiamento di volontà del donatore. Questa ipotesi non è però convincente e l'autorericonosce nel documento del 25 luglio un falso opera dei monaci marturensi, pur secancellerescamente corretto poichè ricalcato sulla carta del 10 agosto. Alcuni chiarielementi pongono infatti la stesura della donazione del 25 luglio alla fine dell'XI secolo,una puntualizzazione basata da Kurze su tre elementi principali: corrisponde al periodo incui Marturi aveva necessità di legittimare il proprio patrimonio, alterato e minacciato nellasua integrità da espropri ed abusi; la presenza tra i testimoni di un conte Aldobrandeschinon sembra logica, poichè esponente di una casata che in questi stessi anni erapervenuta a grande potenza e che aveva perseguito una severa politica a scapito dei benidi alcuni monasteri; l'esposizione delle norme di elezione dell'abate, per il tono polemico edurissimo verso l'istituto giuridico delle chiese private, si colloca decisamente alla finedell'XI secolo.A conferma del suo carattere apocrifo, concorre anche il maggiore vantaggio di cuibeneficia Marturi: non solo riceve un patrimonio più vasto, ma anche e soprattutto si vedeconcessa la libera elezione dell'abate (elemento alquanto originale per gli anni intorno allafine del X secolo) e le viene ceduto, senza alcuna riserva o condizione, il terreno dovesorgeva il monastero ed il castello; cessione collocata all'inizio del documento elungamente descritta. Dunque, si intendeva far credere che il marchese Ugo avessefondato il monastero, strutturandolo come un ente completamente indipendente edautonomo, al riparo da ogni tipo di ingerenza, proprietario sia del terreno su cui sorgevasia di molti beni. In conclusione, secondo l'ipotesi più attendibile, il monastero era giàesistente nell'anno 997 (non si conosce però la vera data di fondazione e il fondatore);avviato verso la decadenza o mai decollato dal punto di vista patrimoniale, fu rinvigoritodalla gestione del nuovo abate Bononio.Ugo di Toscana effettuò poi il 10 agosto del 998 una ricca donazione, ma escluse ilterreno su cui sorgeva Marturi e vincolò la validità dell'atto all'avvenuta estinzione dellasua famiglia. In altre parole, la mancata cessione degli spazi occupati dalle strutturemateriali del monastero prospetta che tali terreni dovevano essere di proprietà regia cosìcome molti degli stessi beni dotali; in tale direzione spingono più indizi riconoscibili nellevicende che caratterizzarano l'istituzione nel corso dell'XI secolo.Per quanto riguarda la realtà di Marturi precedente al 997, cioè sul monastero andato poiin rovina, Kurze ipotizza che la fondazione risalisse all'epoca longobarda e che la suadedicazione a San Michele fosse stata la stessa anche in passato; inoltre viene propostacome data l'VIII secolo140.Alla morte di Ugo, il suo successore Bonifacio si appropriò nel 1009 di tutti i beni delmonastero, rivendicò il terreno su cui sorgeva l'edificio ed occupò l'edificio stesso; i monacidenunciarono quasi settant'anni più tardi alcuni presunti episodi di violenza nei loroconfronti e la presenza di concubine e schiave del marchese. Non sembra però trattarsi diun'imposizione arbitraria; Bonifacio doveva essersi fatto forte di ragioni giuridiche, laprincipale delle quali è la natura di beni regi della maggior parte delle pertinenze inseritenella donazione del 998: la sua azione era, per diritto, legittima. Bonifacio non deteneva

140 KURZE 1989, p.230 e n.131.

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grandi proprietà in Toscana ed il complesso centrale dei beni di Marturi rappresentavaquindi un'importante base patrimoniale. Al di là della testimonianza più tarde dei monaci, ilconfronto con Bononio ed i suoi confratelli non deve essersi rivelato violento; l'abatesembra avere compreso sia le ragioni del marchese sia la legalità del suo agire, edapprofittando della calma ristabilitasi a Locedio vi fece ritorno (la Vita Bononii riporta infattiin maniera assolutamente pacata le modalità del rientro: «prioris loci commotio sedata (...)ad monasterium Locediense rediit»).Anche gli accadimenti successivi confermano lo status di proprietà regia dell'area sullaquale sorgeva il monastero, del castello e di molti immobili inseriti nella dotazione.Rainerio, succeduto a Bonifacio nel 1012, ebbe ordine dall'imperatore, che lo nominò«advocator monasterii de Marturi», di reintegrare il monastero nei suoi beni; questi eseguìla direttiva, ma trattenne quella parte del patrimonio che considerava di proprietà delregno. Di fatto, a Marturi, venne trasferito legalmente il terreno su cui sorgeva il monasterosolo per decisione dell'imperatore che, così facendo, alienava beni già della corona. Lostesso processo intentato dai monaci nell'anno 1075 per la proprietà di Papaiano, portaulteriori elementi a sostegno dell'ipotesi141. Nel lungo verbale conservato, i monaci nonprendono come punto di partenza la donazione di Ugo (della quale, nonostante il falso del25 luglio, conoscevano bene i contenuti), bensì cercano di dimostrare che Papaianofaceva parte dei beni allodiali del marchese e quindi la donazione risultava perfettamentelegale.Sino dai tempi di Bonifacio, il castello dovette rientrare tra i beni feudali della famigliacomitale e rimanervi stabilmente, tanto che Matilde di Toscana lo trasferirà nel patrimoniodei Guidi agli inizi del XII secolo a seguito dell'adozione di Guido Guerra. Anche il castrumnon poteva considerarsi un bene allodiale di Ugo, che vi possedeva invece una curtisdomnicata142; la stessa Narratio inserita nel processo del 1075 cita, per esempio, «Bonizogastaldo de Marturi» ed il «vicecomes de Marturi» che «liberabat» e «placitabat», la cuipresenza e le cui azioni male si accordano con i caratteri di una proprietà personale.Alla metà dell'XI secolo il monastero era già diventato un centro importante. Nel 1022 viaveva soggiornato l'imperatore Enrico II143 e nel 1046 il cancelliere imperiale Enrico;soggetto direttamente all'autorità papale sino dal 1068144, nove anni dopo ospitò ilpontefice Gregorio VII che qui, il 28 agosto, definì le divergenze ecclesiastiche tra icanonici fiorentini ed i monaci del vicino convento di San Miniato. Con gli anni avevasviluppato un cospicuo patrimonio fondiario sia in Val d'Elsa sia fuori della regione. Inoltre,godeva della protezione di Matilde di Toscana, concessa ufficialmente dal 1099 (dove siricorda per altro l'«hospitale (...) iuxta burgum»145; la successiva memoria dell'ospedale ècontenuta in una carta del 1191 e ultima in una carta del 1210, quando l'imperatore OttoneIV lo prende sotto la sua protezione e lo definisce «hospitale Sancti michaelis apudpodium bonizi»146). Anche il rapporto stabilitosi con la contessa è un chiaro segno dellaposizione preminente raggiunta da Marturi. La troviamo infatti presente nel monastero onel vicino borgo di Marturi, con la sua corte, promulgare atti e donazioni che trascendonoanche dall'ambito locale (anni 1076, 1078, 1110, 1103, 1109); nel 1107, presso il fiume«Cecinete», cioè il Cecina, ella donò al monastero alcuni terreni posti lungo la riva destradell'Elsa comprese le decime di pertinenza147.

141 Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Bonifazio, 1075 circa.142 SCHNEIDER 1975.143 CAMMAROSANO 1993, n.10, 14 luglio 1022.144 Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Bonifazio, 1 novembre 1068.145 Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Bonifazio, 20 giugno 1099.146 Archivio di Stato di Firenze, Cavalieri di Malta, 23 ottobre 1191; Diplomatico Bonifazio, 8 novembre 1210.147 Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Bonifazio, 24 luglio 1107.

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Nel frattempo, molti elementi avevano concorso allo sviluppo del popolamento su unospazio territoriale circoscrivibile in un raggio di quasi due chilometri quadrati intorno almonastero ed al castello; mostrano inoltre Marturi intento ad allargare, garantire e tutelareil proprio patrimonio. Nel 1108 l'abate Giovanni e prete Bonaldo in rappresentanza dellapieve di Santa Maria a Marturi, si trovarono di fronte per una vertenza concernente ilpossesso di terreni lungo il fiume Elsa, quegli stessi appezzamenti che abbiamo vistoceduti nel 1107 dalla contessa Matilde e che il pievano aveva acquistato da lei inprecedenza148. Nello stesso atto compaiono le prime avvisaglie di un conflitto di interessi,che si protrarrà per molti decenni, tra i due enti religiosi; infatti il pievano nega a tutti gliuomini della sua pieve il permesso di essere seppelliti presso la chiesa dell'abbazia. Alla metà del XII secolo, i monaci erano anche in relazione con i signori di Staggia e con iconti Guidi, con i quali permutaro il terreno sulla collina di Bonizio. Il 28-29 marzo 1156,l'abate Ranieri scambiò con Guido Guerra conte di Toscana «una petia de terram quehabeo e tengo in monte qui dicitur bonizi (...): ex uno latere est domo boni, exalio est viapublica (...), desuper est strata, desubtus fossa predicto castelli»149. Questa permutarappresenta un chiaro segno dell'ineluttabile e nuovo processo insediativo che stavaverificandosi nella zona. Il monastero, sia per ragioni di sicurezza legate alla fondazione diun castello, sia per la posizione preminente dei Guidi come rappresentanti del poterepubblico ed al tempo stesso potenti proprietari in loco, sia per la presenza di Sienanell'impresa che sin dal 1135 aveva iniziato ad espandersi nella Val d'Elsa, non potè cheassecondarli.In coincidenza delle prime opere apprestate per la fondazione di Poggio Bonizio, Firenzeattaccò la zona e distrusse il castello di Marturi. Le proprietà dell’abbazia non risentironodell’episodio e con lo sviluppo del nuovo centro, Marturi adattò la sua politica patrimonialealla nuova dimensione assunta dal popolamento e dalla rete insediativa. I monaci aprironoun nuovo fronte di attività; si impegnarono in continue compra-vendite e permute di terrenie di case posti sia fuori che dentro Poggio Bonizio; inoltre concedevano spesso in affittospazi aperti dentro e fuori dal circuito murario castellano e nei suoi borghi, affinchè vivenissero costruite altre case. Alla concessione di platee e case, si legò un'ulteriore forma di entrata: quasi sempre, tra leclausole del fitto, veniva esplicitata chiaramente la promessa dell'assegnatario diseppellire i propri morti in perpetuo presso il monastero. Tutto ciò significava quindiricevere un compenso per il servizio reso (denaro, vesti e parte dell'eredità del defunto)secondo l'uso dell'abbazia. Si aggiungano inoltre i molti benefici goduti (per esempio ilmonastero non pagava decime come risulta dalla sua assenza negli elenchi delle RationesDecimarum) e nuove entrate, conseguenti tanto alla volontà di molti abitanti del castello edei borghi, di farsi seppellire nel cimitero di Marturi anche se ascritti in altre parrocchie,quanto il giuspatronato di molte chiese nei dintorni (Sant'Andrea a Papaiano, San Martinoa Luco, Casaglia, San Fabiano, San Bartolomeo a Pino, San Pietro a Megognano, SanLorenzo in Piandicampi150) per avere un quadro del florido quadro economico venutosi acreare.Questa situazione portò presto ad un conflitto di interessi con la Pieve di Santa Maria aMarturi; al di là delle chiese in Poggio Bonizio officiate dai canonici di Talciona(Sant'Agnese edificata dai senesi e Santo Stefano posta nella contrada fondata daitalcionesi), l'intero novero delle chiese sorte nel villaggio era infatti sotto la sua cura; aseguito del costume funerario invalso nella popolazione e della politica abbaziale, sivedeva conseguentemente privata di forti entrate. L'antagonismo tra i due enti religiosi

148 Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Bonifazio, marzo 1108; si veda anche RINALDI 1986, p.16 eSCHNEIDER 1975, p.263 n.202.149 Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Bonifazio, 28-29 marzo 1156.150 Si vedano per l'acquisizione dei patronati KURZE 1989, p.193, 200; NERI 1895; NERI 1901.

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arrivò a tal punto da sfociare in un episodio di eccessivo malcostume. Il verbale riportato inuna pergamena del 1174 narra infatti che, durante il funerale di una giovane donna, imonaci furono assaliti dai partigiani del clero plebano; la mischia fu molto furibonda ed imonaci gettarono la salma per terra dandosi alla fuga; il marito della donna fu costretto acaricarsi le spoglie sulle spalle e raggiungere la fossa predisposta151.Di fatto, (dopo il caso già citato del 1108), la situazione era diventata talmenteinsostenibile che le due istituzioni si citarono reciprocamente in giudizio nel 1174152. Pievee abbazia si accusarono e si difesero. Il pievano era indubbiamente molto più agguerritodell'abate, sentendosi derubato ed offeso; dopo avere denunciato alcuni comportamentiscorretti tenuti dai monaci durante alcune festività religiose di sua competenza (soprattuttola festa di Santa Maria Assunta), passò a rivendicare la competenza delle chiese di SantaCroce e San Martino di Luco che invece venivano amministrate, dal punto di vistareligioso, dall'abbazia; richiese la regolamentazione delle decime legate a molte località epossessi (anche per case in Poggio Bonizio nelle quali si erano trasferite famiglieprecedentemente residenti in Borgo Marturi), domandò il rispetto di confini in alcune zonedove le due proprietà erano contigue. L'abate accusò nuovamente il pievano ed anch'egliprotestò per scorrettezze subite nel corso delle feste titolari. La decisione presa dai giudicifu abbastanza favorevole al pievano. Stabilì che il popolo di Borgo Marturi era da attribuirealla pieve; conseguentemente in caso di decisioni circa la sepoltura presso il cimitero delmonastero Santa Maria doveva ricevere metà delle decime e dei vestimenti incamerati dalmonastero; allo stesso modo eventuali pellegrini che fossero deceduti in zona dovevanotrovare tumulazione presso la pieve ed in caso di esplicita richiesta di sepoltura nelcimitero abbaziale, anche in questo caso erano in vigore le divisioni pecuniarie giàdescritte; per quanto riguarda il diritto di decime, esse venivano ripartite tra i due enti.In conclusione, la politica patrimoniale sviluppata dal monastero ed i casi di conflittid'interesse verificatisi, sono indice senza alcuno dubbio del potere raggiunto da Marturi, apartire dall'XI secolo e soprattutto a cavallo tra XII-XIII secolo.Si tratta chiaramente di una condotta mirata e programmata; a riprova di quantoaffermiamo sottolineiamo sia la continua ricerca di legittimazione della propria basepatrimoniale, come attestano le numerose conferme ricevute dai pontefici nei beni donatida Ugo di Toscana sino sino alla prima metà del XII secolo, sia la decisa rivendicazione dibeni posti in Poggio Bonizio e nel suo circondario (fuori dalla porta Santa Maria), permutaticon Guido Guerra nel 1156 alla fondazione del villaggio e poi sottrattigli dallo stesso Guido(come si evince dalla copia autenticata di detto documento, l'abate vinse la causa e fureintegrato).L'accrescimento delle proprietà sembra subire uno stop dopo il 1225; gli atti concernentiacquisizioni o concessioni dietro corrispettivo di fitto diminuiscono decisamente, anziassistiamo quasi ad un crollo in verticale. Dopo una fase di stallo, nella quale le operazionisvolte furono realmente molto poche (3 nel periodo 1230-1240, 2 nel periodo 1241-1250, 2nel periodo 1251-1260, 1 nel 1261), la decadenza di Marturi come ente patrimonialesembra avere definitivamente luogo.Senza dubbio contribuì in maniera decisiva il declino di Poggio Bonizio (attorno al quale,come abbiamo visto, gli abati avevano concentrato molti dei loro sforzi), iniziato nel 1254con l'occupazione fiorentina e lo smantellamento delle sue fortificazioni. Già nel gennaiodel 1257, il monastero protestava davanti all'abate del monastero di San Pancrazio diFirenze perchè, a seguito delle distruzioni recate al castello di Poggio Bonizio daifiorentini, non era in grado di pagare le imposizioni153; ancora un mese dopo Ventura

151 Su tale episodio si veda anche PRATELLI 1929-1938, p.76.152 Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Bonifazio, 20 dicembre; sul processo si consultino anche le bellepagine in RINALDI 1986, pp.21-36.153 Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Bonifazio, 3 gennaio 1257.

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sindaco e procuratore di Benno abate del monastero ripeteva la supplica al procuratoredelle diocesi fiorentine perchè, essendo andati in rovina molti beni del detto monastero nelcastello di Poggio Bonizio, e quindi per la sopraggiunta povertà, non poteva pagare leimposte154. La situazione economica dovette precipitare definitivamente con i guasticonseguiti all'assedio e all'occupazione di Poggio Bonizio da parte delle truppe francesinel 1267 e dopo la feroce distruzione fiorentina del 1270 che lasciò in piedi solo il vecchioBorgo Marturi, l’odierno Poggibonsi. Oltre al venire improvvisamente meno della maggiorparte dei beni immobili (qualsiasi tentativo di ricostituzione era reso difficoltoso dal solennedivieto di ricostruire il castello imposto da Firenze), ebbero fine le numerose entrate perenfiteusi e affitto provenienti dai terreni e dalle case possedute in Poggio Bonizio, nonchèquella notevole ricchezza derivata dalle molte decime e dai servizi funebri resi allapopolazione. Forse l'abbazia fu anche depredata dall'esercito155.Dopo questa data rintracciamo una sola nuova operazione finanziaria nel 1274,concernente una permuta per pochi terreni intorno al monastero; le successive azioni diMarturi furono poi focalizzate sul giuspatronato ed il controllo di chiese, come dimostral'ennesima controversia con la pieve di Santa Maria per l’elezione del rettore della chiesadi Sant'Ansano156.Le devastazioni seguite nel 1313 all'impresa di Arrigo VII, e la pesante crisi di metà XIVsecolo, non aiutarono certo Marturi a recuperare e ricostituire una solida basepatrimoniale. Nell'Estimo del 1318, stilato a Poggibonsi e conservato in copia presso labiblioteca Guarnacci di Volterra157, di fronte ad un censimento che interessò la proprietàimmobiliare di settantuno soggetti d'imposta, le citazioni di terreni confinanti con beni delmonastero sono pochissime (in tutto quattro) e collocate a breve distanze dallo stesso: allaSassa, a Calcinaia, a Monteleonti, a Luco.Dopo la grave perdita subita nella seconda metà del XIII secolo, la decadenza non sembraquindi arrestarsi e su di essa influì anche la crescita del vicino convento di San Lucchese.Quest'ultimo, già presente in atti notarili rogati dopo il 1270 come luogo di stipulaindividuata come «Casa 'a Frati» o «Casa dei Frati», crebbe d'importanza durante tutto ilXIV secolo; quando passò sotto dalla direzione dei Padri conventuali a quella deifrancescani dell'Osservanza, agli inizi del XV secolo, soppiantò gradualmente Marturi per ilruolo rivestito nella vita della comunità, acquisendone sia il peso economico sia quellodevozionale158.Pochi decenni dopo, nel 1445, Marturi fu ceduto in commenda al monastero femminile diSanta Brigida a Firenze; la popolazione poggibonsese reclamò con la sede apostolica nel1451 per la nuova gestione che aveva fatto decadere la fortificazione del monastero. Sappiamo che nel 1479 subì gravi danneggiamenti per l'assedio portato dal Duca diCalabria nella sua guerra con i fiorentini usandolo spesso come fortilizio159. Le Brigidinecontinuarono comunque a ritenerne l'amministrazione sinché papa Clemente XII, con bolladel 15 maggio 1734, abolì tale ordine e unì i loro beni al nuovo conservatorio dei poveridell'ospedale San Bonifazio di Firenze160.L'incuria ed il deterioramento a cui andò soggetto il complesso portarono i rettoridell'ospedale a cedere Marturi a privati che lo ridussero ad uso agricolo. Nel 1886 la

154 Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Bonifazio, 1 febbraio 1257.155 PRATELLI 1929-1938, p.25.156 MORI 1991, p.20, 23 luglio 1285.157 RINALDI 1986, pp.69-107.158 RAVENNI 1995, p.85.159 PRATELLI 1929-1838, pp.338-345.160 ANTICHI, 1982 p.190.

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proprietà passò al signor Marcell Galli-Dun che riedificò le mura e ricostruì l'intero stabilein stile neogotico, risparmiando solo gran parte dell'antico chiostro161.

2 - Borgo Marturi-Poggibonsi.Poggibonsi origina dal centro di Borgo Marturi attestato dalla metà dell'XI secolo. Si formòsia in conseguenza degli effetti prodotti dalla politica economica attuata dal monastero diMarturi, sia per il passaggio del tracciato stradale detto la Francigena di fondovalle.Ospitava anche una sede pievana, Santa Maria a Marturi, attestata dall'anno 1075 e per lametà del XII secolo conosciamo l'esistenza di due ulteriori chiese nominate San Benedettoe Santa Croce.Borgo Marturi doveva avere avuto un repentino sviluppo e acquistato importanza già dallaseconda metà dell'XI secolo. L'abate Uberto di Marturi fondò un ospedale nelle sueimmediate vicinanze162; Matilde di Toscana con la sua corte soggiornò nel villaggio piùvolte, deliberando concessioni ed effettuando donazioni (nel 1077, con atto in BorgoMarturi, donava un cospicuo patrimonio fondiario al Capitolo di Pisa; nel 1078, nel Borgodi Marturi, assicurava in giudizio i beni della chiesa di Volterra)163. Vediamo inoltre nel1108 prete Bonaldo in rappresentanza della pieve di Santa Maria a Marturi, oppostoall'abate Giovanni del monastero di San Michele di Marturi, per la rivendicazione di alcuniterreni lungo l'Elsa e per problemi legati alla sepoltura dei defunti nei rispettivi cimiteri164. E’ ricordato anche nelle fonti intinerarie di XII e XIII secolo, alla stregua di una tappaimportante sulla Francigena, con il toponimo corrotto in Martinus Borg, Macelburg,Michelburg, Marthirburg.Le vicende del villaggio rimangono poi ignote; sappiamo però che nel 1156, dopo l'iniziodella costruzione di Podium Bonitii, alla quale i martigiani stessi presero parte, BorgoMarturi fu nuovamente al centro di uno scontro vittorioso con Firenze, preoccupata dellanascita del nuovo castello165. In questo periodo il villaggio stava iniziando a trasformarsi inuno dei borghi di Poggio Bonizio e nel 1174 era infatti indicato come borgo vecchio166; lasua vita sembra svolgersi in relazione al grande castello.Con lo sviluppo del nuovo centro urbano, gli abati di Marturi presero il controllo deinumerosi mulini e proprietà fondiarie che dovevano collocarsi nella piana di Borgo Marturi.L'espansione tanto patrimoniale quanto spirituale del monastero fu tale che si arrivò ad uncontrasto deciso con la Pieve di Santa Maria a Marturi dalla quale dipendeva quasi l'interonovero delle chiese sorte nel villaggio167.Con la distruzione fiorentina di Poggio Bonizio del 1270, Borgo di Marturi, probabilmenteanch'esso devastato, ospitò la popolazione sfollata e si trasformò in breve nel nuovocentro dominante della zona, assumendo l'odierno toponimo di Poggibonsi. Nonostante la sconfitta e la pesante punizione, la nuova comunità ereditò l'autonomiacomunale di Podium Bonizi, continuando ancora quasi venti anni più tardi nella sua politica

161 Su Marturi si vedano inoltre ANTICHI 1965, pp.88-91; BEZZINI 1992; CAMMAROSANO, PASSERI 1984,p.132; CAPPELLETTI 1862, XVII, pp.290, 291, 301, 302; CIONI 1911, pp.69-70; DAVIDSOHN 1896-1927, I,pp.175-178, 190, 383-384 n.1, 676-678, 690 n.3; FALCE 1921; NERI 1895; NERI 1901; PRATELLI 1929-1938, pp.21-27, 338-345; RAVENNI 1995; REPETTI 1833-1846, I, p.22; IV, pp.480-483; RINALDI 1986;SCHNEIDER 1975, pp.39, 40, 94, 247 n.130, 260 n.193, 263, 265, 270 n.297, 298 n.320, 303, 325, 339;STOPANI 1990; STOPANI 1995; VALENTI 1999.162 Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Bonifazio, 4 marzo 1089; indicato anche come «hospitale (...)iuxta burgum»: Diplomatico Bonifazio, 20 giugno 1099.163 Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Bonifazio, 27 agosto 1077; Diplomatico Bonifazio, 11 febbraio1078.164 Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Bonifazio, marzo 1108.165 PRATELLI 1929-1938, pp.50-51.166 Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Bonifazio, 20 dicembre 1174.167 RINALDI 1986, pp.21-36.

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filo-imperiale. Nel 1281 accolse i ghibellini senesi fuoriusciti e nel 1284, anno dellasottomissione de facto a Firenze, rivolgeva ancora alcuni appelli a Rodolfo d'Asburgo perottenere la protezione imperiale che venne concessa. Due anni dopo troviamo Poggibonsinel novero dei membri della Lega Guelfa, quando forti erano le possibilità di uno scontrocon la ghibellina Pisa, mentre dal 1293 la sottomissione a Firenze divenne formale. Pocodopo ebbe la concessione di cingersi di mura, lavori che nel 1300 erano stati portati acompimento. Ancora però i poggibonsesi continuavano a mostrare la loro indole ghibellina,tanto che nel 1302, Firenze impose una riforma amministrativa conseguentementeall'ambigua posizione assunta dai Capitani di Parte Guelfa che peraltro, furono fattidecadere dalla carica e sostituiti168.Enrico VII, nel gennaio 1313, si accampò nei pressi dell'altura di Podium Bonizi; qui, unmese più tardi, iniziò la ricostruzione di un villaggio fortificato cui dette il nome di MonteImperiale e che avrebbe dovuto rappresentare il simbolo della rinnovata potenzadell'impero. Questo evento coincise con una nuova insurrezione dei poggibonsesi;donarono le chiavi della città all'imperatore, evento svoltosi presso l'allora porta SantaMaria poi detta porta delle Chiavi, ed in molti si trasferirono sulla collina. L'avventura diArrigò fu brevissima e ad aprile l'esercito fiorentino portò nuovamente la distruzione.La conseguenza fu senza dubbio un'immediata decadenza economica della comunità; nelmaggio 1314 la situazione disastrosa è testimoniata dall'assoluzione da qualsiasipagamento imposto dal comune di Firenze a Poggibonsi ed in particolare dalla gabella suotto dei mulini che aveva nel fiume Elsa in Poggiosecco. Firenze iniziò comunque ariorganizzare il proprio dominio sulla zona; tra 1319 e 1329 tutti i villaggi posti nel vecchiodistretto di Poggio Bonizio, giurarono fedeltà al podestà di Poggibonsi in rappresentanzadello stesso comune fiorentino. Ancora nel 1319 venivano eletti tredici ufficiali permodificare, alle porte della borgata, il tracciato della strada per Firenze, prevederne i pontie i loro materiali costruttivi. Nel 1321, da carte concernenti problemi con San Gimignano,legati al furto di bestiame169, vediamo Poggibonsi definito «Comune Podii Bonitii districtusFlorentinie», mentre i suoi abitanti sono appellati come subditi di Firenze. Nel 1334, aseguito del lodo fiorentino per la definizione dei confini tra gli stessi Poggibonsi e SanGimignano, si prevedeva una demarcazione materiale attraverso l'impianto di piloni che insommità, sul lato di Poggibonsi, dovevano recare due scudi lapidei ben murati: uno con lostemma del comune di Firenze, l'altro con quello del comune di Poggio Bonizio170.Anche nello Statuto redatto nel 1332 per Poggibonsi, nel Quadernus Statutorum, sotto larubrica De observando arbitrio lato inter Comune Podiiboniçii et Comune castriGeminiani(II), si rinvengono le tracce dell'antica disputa con San Gimignano; contiene ilgiuramento, fatto dallo stesso podestà, di rispettare l'arbitrato intercorso nel 1209. Lanecessità di ribadire un arbitrato risalente a più di un secolo prima, denota la permanenzadi vertenze non ancora risolte tra i due comuni; tutto ciò nonostante i cambiamenti radicaliintervenuti nella situazione politica: Colle e San Gimignano avevano ceduto alla potenzaguelfa fiorentina molto prima di Poggibonsi e già nel 1267 avevano partecipatoall’abbattimento delle fortificazioni di Poggio Bonizio. I rapporti fra San Gimignano ePoggibonsi erano dunque improntati alla competizione nell'ambito valdelsano. Il 31 gennaio 1332, veniva approvato dal Consiglio Generale di Poggibonsi il nuovo e giàcitato statuto della comunità, in sostituzione del precedente per il quale abbiamo notiziesolo da una pergamena del 27 settembre 1281. Riusciamo così a conoscere la nuovarealtà amministrativa dell'insediamento.L'ordinamento cittadino risultava composto da un podestà imposto da Firenze fino dal1293, affiancato da un Vicarius e da un notaio; il governo era invece formato da otto priori

168 Archivio di Stato di Siena, Arch. Riformagioni, 15 febbraio 1302.169 Libro Bianco, n.226, 1321-2.170 Libro Bianco, n.228, 1334; si veda per tali aspetti WALEY 1996.

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(due Capitani di Parte Guelfa e sei Governatori del Comune) eletti dal Consiglio generale:sessanta membri che decidevano sulle proposte dei priori in materia finanziaria,riunendosi nella Casa Comunale o nella Chiesa di Santa Maria. Il bilancio comunale, cherisultava in pessime condizioni per le frequenti incursioni fiorentine e le ingenti tasseimposte, era affidato al Camerlengo.Esistevano poi i custodi del carcere e i custodi segreti; venivano inoltre previsti incarichi dinunzi, banditori del Comune, quattro ufficiali dei mulini, gli ufficiali del distretto (avevanopreso il posto dei Sindaci villarum) e due Vicecomites, una magistratura con diversecompetenze come la tutela e la divisione dei beni immobili, la definizione dei confini ecc.Nella Distinctio Criminalis, dove i reati gravi erano di competenza delle magistraturefiorentine, risulta evidente la situazione di subordinazione di Poggibonsi: si facevanoeccezioni, in tema di cattura e detenzione, per i cittadini di Firenze; in caso di scorribanda,furto, incendio e devastazioni, i rei dovevano essere inviati a Firenze ed era severamentepunito chi avesse accolto presso di sé banditi fiorentini.Il corpo legislativo poggibonsese non cessò comunque di crescere, come testimoniano levarie reformationes successive e le sei nuove disposizioni modificanti norme del 1332. Leriforme del 1382 istituirono e regolamentarono una nuova magistratura: i Dodici addettialla riattazione dello steccato, segno evidente della situazione militare ancora incerta,nonostante la soggiacenza alla potenza fiorentina. Tra le norme statutarie, si segnalanoanche due disposizioni concernenti il prelievo di materiale edilizio sul Poggio di Boniziosolo dietro finalità di edificare nel sottostante Poggibonsi ed il divieto di innalzare porticinella via Maestra171.Nel XIV secolo Poggibonsi rivestiva però, sia l'importante ruolo di insediamento al centrodi un nodo viario interregionale, sia quello di centro commerciale; il mercato settimanale ivitenuto esercitava un notevole afflusso di merci e persone tanto da risultare uno deimaggiori nel contado fiorentino. Il carattere di successo del villaggio si relazionava allaposizione occupata sulla viabilità come dimostrano le stesse numerose presenze dialberghi e ricoveri per i viandanti: per esempio tra 1334-1383 erano attivi due alberghi inlocalità Calcinaia e vicino al ponte sulla Staggia, dipendenti dall'ospedale di San Giovanni.Si contano anche tre ospedali; oltre al già citato San Giovanni situato nelle vicinanze dellaVia Maestra, vicino alla porta San Iacopo, conosciamo la Misericordia di Borgo ed il SantaMaria della Scala, filiazione dell'istituto senese, ambedue posti nei pressi della porta delleChiavi.La natura di insediamento di transito era chiaramente avvertita dalle autorità, tanto che lastrada si poneva al centro di grandi attenzioni; fu oggetto di ripetuti lavori e trasformazioni:il 21 settembre 1332 per esempio, tredici ufficiali eletti in proposito, ridefinirono il suotracciato alle porte di Poggibonsi trasformandola in una carreggiata di 9 braccia (quasi 5metri), compresa fra fosse di scolo che si dovevano «bene inghiaiari», larghe 80 cm circae profonde 55 cm; lo scolo delle acque rappresentava comunque un grande problema, ilfondo stradale infatti si deteriorava spesso 172.In questo periodo, Poggibonsi mostrava un'economia molto articolata. Lo statuto del 1332,a proposito dell'attività tessile, cita l'esistenza dei tessitori maschi e femmine e lalavorazione dei panni in lana e lino173. Le matricole delle Arti forniscono notizie sin daprima del 1350 e segnalano la presenza di sette calzolai, quattro fabbri, cinque ferratoresed un coltellarius. Sono attestate botteghe di fornacciarii che fabbricavano mattoni etegole, di orciolai con una prospera produzione a diffusione regionale. Esisteva un floridoartigianato del cuoio impegnato anche nell'esportazione; venivano inoltre commerciatilegno, vino, zafferano, oltre a cereali, fave, lino, pollame, formaggi, cacciagione, uova,

171 RAVENNI 1995, p.117.172 DE LA RONCIERE 1976.173 PUCCI 1995.

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bestiame, lana. I macellai erano molto numerosi e ne sono attestati ben 16 in dieci anni;erano inoltre attivi panicoccoli (panettieri), fornarii, trecche, pizzicagnoli-oliandoli, vinattieri,granaiuoli, biadaiuoli174. Da un estimo del 1338 si evincono 795 contribuenti, ma la crisi di metà Trecento, nellaquale agirono l'impatto di brigantaggio, violenze e devastazioni, oltre alla peste, guerre efiscalità oppressiva, portò ad una situazione economica critica che costrinse ben 75capifamiglia a lasciare la comunità. L'estimo del 1371 elenca 221 fuochi e 781 personenella terra, 279 fuochi e 1121 persone fuori le mura, 1900 anime in tutto: la popolazioneera quindi diminuita della metà rispetto al 1338. L’emigrazione fu spesso definitiva eindirizzata sia verso le contrade vicine (Colle e San Gimignano) sia verso meteextraregionali: Romagna, Puglia, Roma, Padova. Nel 1383 si ebbe poi un ulteriore calo:1800 abitanti e una diminuzione del 12% degli abitanti nella terra.L'analisi di Balestracci per gli anni 1373-1374 permette di intravedere la gestione dellaproprietà rurale e le condizioni del salariato, seguendo le attività dell'ospedale di SantaMaria a Poggibonsi, titolare di un consistente patrimonio immobiliare e fondiario situato invarie località vicine e di alcune case all'interno di Poggibonsi stesso; conduceva leproprietà con un rapporto di tipo mezzadrile ed è possibile intravedere una serie distrettissimi rapporti con i mezzaioli che non avevano probabilmente l'obbligo di lavorareesclusivamente il fondo loro assegnato, dato che alcuni di loro prestavano opere anche inaltre terre dell'ente: è il caso dei mezzadri di Campostaggia, di Calcinaia e di Montelonti175.Nel 1376 molti cittadini fiorentini, allargarono i propri possedimenti all'interno del villaggio;l'occasione si presentò con la vendita di gran parte dei beni della pieve di Santa Maria suordine degli Ufficiali de' Livellatori del comune di Firenze176; in un estimo di pocosuccessivo riscontriamo infatti tra proprietà di cittadini fiorentini «beni che erano de'preti»177.Nel 1381 vennero restaurate le fortificazioni e sette anni più tardi fu ricostruito il ponte sulloStaggia; seguirono altri danni subiti nei primi decenni del XV secolo, causati dai numerosiscontri in cui Firenze ed il suo stato venivano coinvolti; il villaggio fu nuovamente rafforzatonel 1478, dietro la minaccia dell'esercito aragonese-pontificio. Dopo l'incompiuta impresaedilizia della fortezza medicea di Poggio Imperiale, che poteva cambiare decisamente lastoria di Poggibonsi, alla vigilia della guerra con Siena, Cosimo de' Medici smantellò persicurezza le fortificazioni di Poggibonsi. E' possibile ricostruire l'andamento della cinta muraria di XIV secolo attraverso alcuni restimonumentali evidenti e, come Meli e Ravenni hanno sottolineato, con il supporto di unapianta settecentesca conservata presso la Biblioteca Nazionale di Firenze.Nella zona est, nell'attuale Piazza Berlinguer (già "del Gioco del Pallone"), è presenteancora un lungo tratto di muro scarpato delimitato da cordolo, in gran parte inglobato nellecostruzioni moderne. Nella zona di ponente, nei pressi della Chiesa della Collegiata, siriconoscono tracce ancora più consistenti; sono murature costituite da conci squadrati diarenaria di medie dimensioni, con aperture tipo feritoie di forma quadrangolare. Sempre suquesto lato, alcuni edifici abitativi si dimostrano ricavati in torri di pianta rettangolarefacenti parte dell'antica fortificazione; benchè le strutture conservino molto parzialmente iparamenti murari originari, risulta chiara la persistenza della pianta degli edifici più antichi.I tratti conservati in questa zona si estendono sino all'ex caserma dei carabinieri(attualmente in ristrutturazione per trasformarla in abitazioni), un edificio che agli inizi del'novecento ha alterato la cortina murara occupando in parte l'antica "Piazza Calda" che siappoggiava alle mura.

174 DE LA RONCIERE 1995.175 BALESTRACCI 1977.176 PRATELLI 1929-1938, pp.292-294.177 RAVENNI 1995, p.117.

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Sulla zona sud in coincidenza della antica porta del Poggiarello (oggi scomparsa come delresto le altre tre esistenti: San Iacopo o Fiorentina, Santa Maria o delle Chiavi, SanLorenzo o a Corneto), si conserva ancora un'alta torre rotonda, le cui murature non sonoosservabili poichè completamente intonacate; la struttura, nella quale si inserisce un trattomurario moderno, presenta un'alta e spessa base scarpata, mediamente inclinata esormontata da un cordolo in pietra. La discrepanza tipologica con le altre torri rettangolarie la sua stessa pianta, rimandano ad una cronologia più tarda e sembrano quindi riferibiliad un intervento posteriore, probabimente al restauro delle fortificazioni avvenuto nel1381. Nel complesso, e lo ricordiamo con il supporto della planimetria 'settecentesca,Poggibonsi tra XIV e XV secolo doveva avere una pianta quasi rettangolare con unaprotuberanza appuntita in direzione nord; sul suo circuito sono ipotizzabili almeno novetorri. La viabilità si incentrava sulla così detta Via Maestra che attraversava in senso sud-nord il villaggio da porta Santa Maria a Porta San Iacopo; il centro era rappresentato dallaPiazza del Mercato, di fronte alla vecchia Pieve di Marturi ed al Palazzo Pretorio.Quest'ultimo, restaurato da pochi anni, presenta numerosi stemmi lapidei appartenenti aipodestà succedutisi; si tratta di una costruzione trecentesca, sormontata da una torrealterata e di edificazione posteriore; in origine doveva presentare un loggiato le cui arcatesono oggi murate178.

3 - San Lucchese.San Lucchese è un grande complesso francescano composto da una chiesa diedificazione romanica e dall’attiguo convento. La sua storia è stata al centro di interessieruditi sia per la monumentalità sia per il suo legame diretto con San Francesco e SanLucchese, popolano di Poggio Bonizio realmente vissuto nella prima metà del XIII secolo,fondatore del convento e successivamente innalzato a santo patrono di Poggibonsi179. Fu costruito nell’area in cui doveva sorgere il piccolo villaggio di Camaldo, dotato dellachiesa di Santa Maria, le cui tracce sono pressochè inconsistenti e di difficilericonoscimento. Una parte dell'antico borgo rimane in vita fino alla distruzione avvenutanel 1267 quando i soldati di Carlo d'Angiò strinsero d'assedio Poggio Bonizio. Ancora nel1213, infatti, in occasione della probabile venuta di San Francesco, gli abitanti di PoggioBonizio avevano fatto dono al santo di alcune case, presso la chiesa di San Maria diCamaldo; qui San Francesco fondò un convento indicato per tutto il XV secolo con ilnome di «La Casa dei Frati»: compare ancora nel 1400, nei libri comunali, la menzionedella sovvenzione elargita dal Sindaco in favore dell'ente. Nel XVI secolo prese invece ilnome di San Lucchese, santo protettore della Comunità di Poggibonsi.Una storia degli studi specifici su San Lucchese non risulta propriamente ricomponibile. Ilcomplesso è però stato al centro di numerosi interventi tra la fine del XIX secolo e i primidecenni di questo secolo. Padre Mattone Vezzi se ne interessò trattando il carattere dellapresenza francescana a Poggio Bonizio e descrivendolo in un secondo momento180. Lachiesa e la sua costruzione nella zona del borgo di Camaldo sono state affrontate da variautori. Neri descrive sia architettonicamente sia storicamente il complesso e riporta lapresenza della data "MCCC" incisa sull'altare maggiore nonchè le tracce della chiesa

178 In generale su Poggibonsi, oltre alla bibliografia già citata, si vedano ANTICHI 1965; BISCARINI, DELZANNA 1993; CAMMAROSANO, PASSERI 1984, pp.133-134; CIASPINI 1850; DAVIDSHON, I, pp.483,484, 676-681, 685, 727, 738, 739, 807-810, 815, 816, 855, 901n, 932, 933, 939, 950, 970-972, 1167; II,soprattutto pp. 85-87, 211-213, 301-305; III, soprattutto pp.13-20, 88-90; DE LA RONCIERE 1976; DE LARONCIERE 1995; GIORGETTI 1929; GUICCIARDINI 1939, pp.5-8; MASI 1992; MELI 1974, pp.37-62;MORANDI 1960; MUZZI 1984; PINTO 1982, pp.140-141; PLESNER 1979, p.65; PUCCI 1995; REPETTI1833-1846, IV, p.480; Supp., p.193; RINALDI 1980; ZDEKAUER 1894; VALENTI 1999.179 MORANDI 1980 e RINALDI 1986.180 MATTONE VEZZI 1937; MATTONE VEZZI 1960.

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primitiva nelle lesene e sul muro orientale181. Del Zanna documenta restauri e ripristinieffettuati nel periodo 1903-1905 e nel 1910182. Bucchi ne parla estesamente in un purbreve contributo sulle chiese francescane in Valdelsa183. Piranesi e Rosati le dedicanomolto pagine all'interno di contributi inerenti Poggibonsi184. Nella lista non possonochiaramente essere omesse le pagine di Ciaspini e Pratelli nelle loro storie di Poggibonsinonchè la scheda di Antichi185.Da segnalare inoltre una breve monografia di Bertagna sul culto del santo con ipotesi sulledimensioni della chiesa primitiva di Santa Maria di Camaldo o la citazione di una lapidemarmorea sul tamponamento di una porta del lato nord, con iscrizione del 1252 relativa adun Magister Nicholettus186. Secondo il Pratelli alcune case del borgo di Camaldo, compresa la chiesa intitolata aSanta Maria, furono donate dal comune di Poggio Bonizio ai francescani affinchèpotessero costruirvi il loro convento. La tradizione individua in frate Elia l'architetto chediresse i lavori. Causa le continue guerre contro i fiorentini, il cantiere subì presumibiliinterruzioni intorno al 1257 e al 1270. Prima del 1270 presso la chiesa doveva essereposto un cimitero, di cui resta una lapide sepolcrale. Nel 1300 veniva realizzato l'altaremaggiore, collocato al centro del coro: a questa data i lavori di trasformazione dell'edificioromanico nella prima chiesa a capanna dovevano essere stati conclusi.Nel novembre del 1400 la chiesa versava in cattivo stato, tanto che fu restaurata eriedificato il tetto con tegole e materiale proveniente da San Gimignano. Nel 1580 siverificarono nuovi problemi, crollarono i tre ultimi cavalletti e parte del tetto; anche lafacciata che guardava il convento si staccò quasi completamente.Dal 14 agosto 1581 ebbero inizio i nuovi restauri; durante tali opere, nel tentativo direintegrare un lacerto di pavimentazione laterizia dietro all'altare, fu scoperto casualmenteun tavolone di noce sotto cui era deposta una cassetta di travertino con coperchio inmarmo bianco dove era incisa la frase «Corpus Sancti Luchesij». Nel XVII secolo, dopoulteriori restauri, furono tolte le superfetazioni, riaperti gli otto finestroni oblunghi a sestoacuto della navata principale, quello imponente del coro, quelli delle cappelle e l'occhiodella facciata. Nel luglio del 1944 fu fortemente danneggiata da un intensocannoneggiamento.Incorporati nel lato sinistro della basilica francescana sono i resti della chiesa di Camaldoconsistenti in un tratto di paramento, realizzato in grossi conci di travertino spianati eaccuratamente squadrati, e di un portale, probabilmente della facciata, di forme pisane.L'archivolto è leggermente estradossato e decorato da una doppia cornice. Date ledimensioni e l'altezza del portale è da ritenere che la chiesa fosse di notevoli dimensioni.La parte terminale è formata dalla scarsella quadrangolare affiancata da due cappelle. I trevani sono voltati a crociera con costoloni in laterizio. Gli archi, realizzati in laterizio, conrisega segnano l’imposta delle scarselle che sono a sesto acuto tranne in corrispondenzadella cappella destra il cui arco è stranamente a tutto sesto.L’imposta degli archi è decorata da sculture a motivo vegetale estremamente stilizzato intravertino. Il transetto, elemento architettonico presente nelle chiese mendicanti dei centripiù grandi, è notevolmente pronunciato rispetto ad altri esempi di chiese francescane.Esternamente la scarsella centrale e le cappelle laterali prendono luce da bifore conarchetti trilobati. La fabbrica all’esterno mostra fasi costruttive distinte caratterizzate

181 NERI 1893.182 DEL ZANNA 1918.183 BUCCHI 1926, pp.20-23.184 PIRANESI 1926; ROSATI 1924.185 CIASPINI 1898, pp.23-25, 89, 120, 123; PRATELLI 1929-1938, pp.33-34, 112-125, 269-277; ANTICHI1965, pp.177-180.186 BERTAGNA 1969.

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dall’uso di materiali e tecnica muraria diversa: le cappelle del transetto sembrano essereun’aggiunta posteriore per la tecnica meno accurata del paramento murario e per il fattoche si appoggiano alla fabbrica della chiesa. Sul lato destro la cortina muraria è formatada un paramento in laterizi fino ai puntoni della copertura del chiostro. Sul lato sinistro ilparamento murario si presenta composto da bozzette di travertino disposte secondo corsiorizzontali. Cinque finestroni con arco a sesto acuto e archivolto polilobato si aprono sulmedesimo fianco che ingloba parte della romanica chiesetta di Camaldo.La facciata è inquadrata da due lesene angolari, di ampiezza diversa, e da uno zoccolosmussato alla base. La parte superiore del prospetto presenta un paramento rimaneggiatocon l’aggiunta di zeppe in laterizio interposte tra i corsi di bozze di travertino. Sul latooccidentale del chiostro è visibile la porta a sesto acuto affiancata da due bifore conarchivolti a sesto acuto che permetteva l’ingresso alla sala capitolare. Il complesso,eccetto il prolungamento del transetto, è da riferire ai primi anni del XIV secolo.Mennucci, nella sua indagine sulle tipologie edilizie riconoscibili sul territorio poggibonseseha trattato l'edificio attraverso una lettura archeologica degli elevati187. L'autore nota che ilcomplesso rivela, anche ad un’indagine sommaria, la notevole stratificazione resa ancorpiù complessa dalla giustapposizione di corpi di fabbrica più tardi, fra i quali il chiostro, edalla diffusione di superfici intonacate anche all'esterno. Le strutture più antiche, pertinentialla primitiva chiesa di Santa Maria a Camaldo, sono individuabili nella porzione inferioredella facciata e sul fianco sinistro del tempio attuale. Queste murature superstiti, anche dinotevole entità, rivelano il mutato orientamento della chiesa; il portale di accessodell'antica Santa Maria, con arco a tutto sesto estradossato, è infatti visibile sulla porzionedel fianco. Le dimensioni del paramento riferibile a questa fase sembrano attestare unaprofondità maggiore dell'edificio originario. La demolizione di gran parte delle strutture della primitiva chiesa dette l'avvio all'impiantodi una nuova fabbrica, con orientamento nord-sud, nella quale furono utilizzati sia nuovimateriali sia molti conci di riuso. E' dunque a questa disponibilità eterogenea, e non adinterventi anche cronologicamente diversificati, che si devono le disomogeneitàriscontrabili sulle diverse superfici edificate. Una delle prime operazioni che si reseronecessarie fu la realizzazione dei nuovi allineamenti sul tratto occidentale e su quellomeridionale; il primo, accorciando la profondità della chiesa di Santa Maria, dovevadefinire il nuovo fianco destro; il secondo avrebbe dovuto costituire il nuovo limite dell'areapresbiteriale superando il limite imposto dalle murature più antiche. Alcuni dubbi interpretativi sorgono dall'osservazione dei rapporti intercorrenti fra lecappelle che costituiscono i bracci trasversali, la scarsella absidale ed il corpo principaledell'edificio. Nella porzione più prossima al terreno tutte queste parti sembrano concepitesincronicamente e legate fra loro; da circa un metro e mezzo di altezza in poi, la coesioneunitaria fra le varie strutture viene però meno e risulta evidente la costruzione più tarda dibracci e scarsella rispetto alla nave della chiesa. Benchè questa evidenza non rendapossibile un’intrepretazione immediata è forse possibile trovare la spiegazione in uno iatonella costruzione delle strutture durante il quale la chiesa sarebbe stata condotta acompimento in una forma diversa da quella progettata; una ripresa più tarda dei lavoriavrebbe infine dotato il tempio delle cappelle laterali e dell'abside quadrangolare, dellequali erano rimaste in atto soltanto le porzioni basamentali. Se questa è, a grandi linee, la genesi dell'imponente complesso ecclesiastico, non ci èpossibile aggiungere molto circa la successione degli interventi che, tramite una articolatagiustapposizione di corpi di fabbrica, condusse alla definizione dei fabbricati delmonastero. Da segnalare sono l'apertura più tarda delle monofore archiacute dei fianchi, iltaglio dell'oculo della facciata, la definizione del nuovo portale e delle aperture dell'areaabsidale. Risultano anche evidenti i restauri subiti dal prospetto principale rappresentati, in

187 MENNUCCI 1996.

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massima parte, da una diffusa rizzeppatura dei letti di posa tramite l'impiego di frammentidi laterizi. L'indagine condotta all'interno dell'area valdelsana non ha rivelato, fino a questo momento,una diffusione di portali con archi a tutto sesto estradossati costruiti prima di metà XIIsecolo188. Anche alla luce di questo dato sembra di poter privilegiare la datazione propostada Moretti e Stopani (XII secolo), per i resti superstiti della chiesa di Santa Maria aCamaldo189, che non quella avanzata da Agostino Neri (XI secolo)190. Sempre dal Neri,però, veniamo a sapere che questa chiesa, fra le più importanti suffraganee della pieve diPoggibonsi, era ancora intatta nel 1221. Per l'impossibilità di risalire alla fonte a cui haattinto l'erudito e per le forzature di molte sue attribuzioni, ci vediamo costretti a valutarequesta informazione con una certa cautela. Nonostante ciò, la costruzione dell'edificiofrancescano dopo i primi decenni del XIII secolo sembra abbastanza plausibile visto chequasi tutte le chiese valdelsane dell’ordine risultano edificate a partire da quegli anni.Abbastanza interessanti risultano anche le osservazioni sulla successione e la durata degliinterventi avanzati dal Neri, soprattutto per quanto concerneva la zona absidale: aveva giàipotizzato l'esistenza di più fasi di cantiere talvolta intervallate a prolungati momenti distasi. Non molto sappiamo relativamente all'incidenza degli interventi di restauro sullesuperfici del complesso; una prima stagione di "salvaguardia" delle strutture dovette venireoperata fra la fine del secolo scorso e gli inizi dell'attuale per merito del canonico LuigiValiani, già deceduto nel 1918. In questa fase si procedette, oltre al rifacimento delpavimento della chiesa e del loggiato esterno (pare che si tratti di gran parte del chiostroappoggiato al fianco destro della chiesa), alla riapertura dell'occhio centrale della facciatae degli otto finestroni della navata centrale; oltre a questi furono anche restaurati quelli delcoro e delle cappelle absidali, obliterati nei secoli precedenti e sostituiti con "finestre dagranaio"191. Sempre da questo canonico furono riaperte, durante i lavori alla salacapitolare, le bifore archiacute che si affacciano sul chiostro. Il successore del Valiani,canonico Giovanni Neri, non interruppe l'opera intrapresa aprendo anzi due nuove finestrecon arco acuto per dar luce alla sacrestia e procedendo alla sistemazione delle volte delportico, situato davanti alla facciata, e di quelle del chiostro. In seguito ai pesantibombardamenti subiti dalla cittadina durante l'ultimo conflitto, dei nuovi restauri si reseronecessari nell'immediato dopoguerra ma, a quanto sembra, finalizzati soprattutto alrifacimento delle coperture.

4 - La Magione.Una carta redatta in data 5 settembre 1140 informa della donazione voluta da Arnolfo eArnolfino di Cristofano, eredi dei fondatori in favore di Rodolfo, abate della Badia diMarturi, nella quale si comprende «unum hospitalem positum juxta pontem Bonitti»192.L’ospedale non figura nella bolla pontificia riguardante le dipendenze della pieve diPoggibonsi, mentre è registrato l’ospedale del ponte di Lappeto che doveva però essereposto più a sud. Definito anche con il termine di «xenodochio», venne poi ceduto nel 1191dal proprio rettore, insieme a tutti i beni ad esso legati, al rettore Roberto, Maestro delGerosolimitano di Pisa193 (l'ospedale non compare infatti nel 1173 quando gli ospedalieridella Valdelsa sono riuniti a Torri).Non è chiaro il motivo della decisione di alienarlo dal patrimonio della Magione; datal'assenza totale di documentazione intermedia, non c'è dato di proporre soluzioni certe nè

188 MENNUCCI 1993-94.189 MORETTI, STOPANI 1968a, p.146; MORETTI, STOPANI 1969, p.16.190 NERI 1893, II, p.28.191 DEL ZANNA 1918, p.52.192 Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Bonifazio, 1 novembre 1068.193 RINALDI 1980, p.48.

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tantomeno uscire dal campo delle pure supposizioni. Giuseppe Mantelli, nei suoi lavoriconcernenti le vicende della Magione in relazione all'ordine dei Templari, suppone chenegli anni successivi al 1140, in concomitanza dell'ascesa dei Templari stessi e con lanomina al seggio pontificio di Alessandro III, papa senese sostenitore dell'Ordine, i monaciavessero affidato ai cavalieri la Magione, proprio per l'importante ruolo da essa svolto;dopo la caduta di Gerusalemme, avvenuta nel 1187, i Templari, sempre con il consensodei monaci, l'avrebbe poi alienata, secondo il loro costume, insieme a molte delle loroproprietà per soccorrere gli stati cristiani d'Oltremare194.Tutto ciò spiegherebbe la cessione testimoniata nel documento del 1191; in seguito, dopola ripresa dei Templari, sempre più supportati dall'appoggio dei pontefici ed in particolarmodo di Innocenzo III, avrebbero spinto i monaci di Marturi a richiedere la proprietà dellaMagione; si arriva dunque alla bolla emessa da Gregorio IX nel 1228 che elargiva privilegia Marturi, ne confermava i possessi fra i quali anche lo «hospitalem quod est justa pontemBonitii (...)»195.Nel periodo compreso fra questa data ed il 1290 la Magione venne poi affidata o, secondol'ipotesi appena esposta, riaffidata ai Templari. L'Ordine infatti alla fine del XIII secolo eracertamente alla conduzione dell'ospedale; forse già nel 1290, come riporta siaun'iscrizione incisa sulla culatta di una delle campane trascritta da Clemente Casini, siauna pietra tombale con una croce a otto punte scolpita posta, ancora secondo Casini, allafine del XVIII-inizi XIX secolo al centro della Magione con la data 1300 sul bordo (anche sedifficilmente leggibile).Dopo la soppressione dell'Ordine Templare subentrarono gli Ospedalieri; essi lamanterranno anche in quelle condizioni di difficoltà economiche che spinsero a cedere lamagione di Torri presso Cusona.La Magione svolse ruolo di pellegrinaio ancora nel 1450 quando, in occasione del giubileoindetto da papa Niccolò V, accolse molti pellegrini. Nel 1550, i beni della Magione furono trasferiti nel patrimonio del Gran Priorato di Pisa;nove anni dopo il Gran Priore Antonio de'Medici fece compilare un elenco dei beni dalquale risulta che il complesso si trovava ancora in buono stato di conservazione. Nel 1664la Magione venne eretta a commenda. Nel 1758, come attestano molte iscrizioniconservate all'interno della Magione stessa, Lorenzo Corsini effettuò molti restauriall'edificio. Nell'ottobre 1822 lo Staggia straripò e inondò l'intero complesso; i Corsini, cheavevano in enfiteusi l'ospedale ormai ridotto a usi colonici, decisero di fare interdire lachiesa e trasportare l'officiatura alla chiesa Priora di Megognano, insieme alle ceneri e allapietra tombale del cavaliere Sorcello tutt'oggi visibile nella chiesa, gli arredi sacri, una delledue campane fatte fondere dai templari nel 1290 e una tavola dipinta da Taddeo Gaddi nel1315. Negli anni successivi, venne sempre più interessata dai frequenti straripamenti deltorrente, tanto che i depositi alluvionali raggiunsero nel 1981 il piano della strada attuale.Agli inizi degli anni ottanta del nostro secolo, con la costituzione a Milizia del Tempio,venne sottoposta ai restauri che le conferiscono il suo attuale aspetto.Il Ponte detto di Bonizzo era posto sul torrente Staggia, di fronte alla Magione dei Cavalieridi Malta; in un atto datato al 1 novembre 1068 se ne conosce l'attestazione più antica.Come abbiamo visto il 5 settembre 1140 veniva definita la Magione come «unumhospitalem juxta pontem Bonitii»; nuovamente nel 1174 nella cosiddetta Narratio di Marturiera nominato il ponte per una decima connessa ad un terreno nelle sue vicinanze; nel1191 si parlava dello xenodochio del ponte di Bonizio con la casa del ponte; ancora nel1210 e 1228 l'«hospitalem et ecclesiam quod est juxta pontem Bonitii». La struttura venneutilizzata senza soluzione di continuità, ma non se ne conosce il momento di disuso cheforse è da relazionare alla distruzione di Poggio Bonizio. Nel 1364, infatti, gli Officiales

194 MANTELLI 1984-90, pp.65, 337.195 AUVRAY 1896-1902, I, n.180, pp.101-103.

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Pontium di Poggibonsi procedettero alla sua ricostruzione. Nuovamente, in età moderna, ilponte dovette essere ancora stato distrutto. Nel 1818 comunque, alcune nobili famigliefiorentine, con proprietà nei pressi del torrente nei pressi della Magione fecero istanza alMagistrato Comunitativo perchè autorizzasse e sovvenzionasse la costruzione di un pontedi legno. Secondo Pratelli, esistevano tracce della struttura nei cespugli nel letto deltorrente ed interpretati come resti di un muro su cui il ponte poggiava.La chiesa è un edificio romanico, riferibile al tardo XII secolo, dalla semplice icnografiatipica delle chiese suffraganee a una navatella con abside. La fabbrica presenta diversielementi decorativi e formali che la rendono tra gli edifici romanici minori più interessanti. Ilparamento murario, formato da bozze di travertino squadrate e spianate e dispostesecondo corsi orizzontali è particolarmente curato. Nella facciata, al di sopra dell’arco atutto sesto del portale si apre una finestrella dall’insolita forma a denti di sega. Al verticedella facciata rimangono i due sostegni del campanile a vela. L’abside è decorata da unacornice a smusso ed archetti pensili con mensole decorate a motivi vegetali e zoomorfi.Motivi di derivazione pisano-lucchese sono anche la mensola della monofora abidale, lapresenza dell’oculo nella testata absidale e l’archivolto gradonato delle monofore che siaprono nelle pareti laterali196.

5 – Cedda.Nella donazione del 10 agosto 998 in favore della Badia di Marturi vengono registrati tremansi a Cedda197. Non abbiamo notizie relative alle vicende di un eventuale insediamento,che però compare come già dotato di una chiesa nella prima metà dell'XI secolo. Per unperiodo di quasi quattro secoli, le fonti scritte non forniscono nessuno indizio, se non lapresenza del toponimo e dei tre mansi nel falso documento redatto nell'XI secolo daimonaci di Marturi e datato al 25 luglio 998. Il silenzio si interrompe nel XIV secolo, quandoCedda ricompare definita come villa da cui dipendevano alcuni fondi. Infatti delle proprietàfondiarie ed alcuni edifici pertinenti al villaggio sono ricordate anche in una donazione infavore della chiesa e del monastero di Sant'Ambrogio di Montecellese, inoltre nell'Estimodella comunità di Poggibonsi del 1318198. Nel 1320 il popolo di Cedda, esteso acomprendere vicine località quali Sornano, Montignano e Verniano, giurava sottomissioneal podestà di Poggibonsi199.San Pietro a Cedda è una chiesa ad unica navata con abside semicircolare e torrecampanaria impostata a destra dell'edificio. La facciata a capanna, parzialmente copertada un edificio più recente, presenta un portale con piedritti e lunetta monolitica; la ghieradell'archivolto a tutto sesto, ispirata al gusto pisano, propone motivi vegetali ottenuti astiacciato: si riconoscono grappoli d'uva, intrecci viminei, palmette e fiori. Un fregio aracemi stilizzati incornicia l'architrave decorato con una croce romanica posta adistinguere rosette quadrate, secondo un motivo già operato nella pieve di Sant'Agnese.Internamente la chiesa è divisa in due settori da un arco trasversale. L'arco si imposta suun pilastro cruciforme addossato alla parete laterale. Entrambe le semicolonne, alle cuibasi sono visibili tori, presentano un capitello riccamente decorato. Il capitello dellasemicolonna destra, danneggiato nella parte superiore, è scolpito con rozze figureantropomorfe separate da tralci di vite e grappoli d'uva.

196 Si veda in generale, oltre alla bibliografia già citata, ANTICHI 1965, pp.180-182; BEZZINI 1992, pp.18-19;CASINI 1986, pp.140-143; CIONI 1911, p.92; DE LA RONCIERE 1976, pp.965-988; GIUSTI, GUIDI 1942,n.35; GUICCIARDINI 1929 p.34; LAMI 1758, II, p.1289; MANTELLI 1984-90, pp.65, 337; MENNUCCI 1996,pp.341-342; MORETTI, STOPANI 1968a, pp.136-139; MORETTI, STOPANI 1974, p.155; NERI 1894pp.206-207; PRATELLI 1929-1938, pp.17, 28-29; RAVENNI 1995, pp.171-175; REPETTI 1833-1845, IV,p.483; SALMI 1928, p.51 n.51; VALENTI 1999; VENEROSI PESCIOLINI 1933, p.125. 197 FALCE 1921, p.186.198 RINALDI 1986, pp.75, 84, 102.199 Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico di Poggibonsi, carta 92.

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L'abside, spartita da due lesene a sezione semicilindrica, è ricassata alla manieralombarda e due arcate cieche percorrono le pareti laterali in prossimità del presbiterio.La monofora absidale presenta un archivolto decorato con il consueto motivo a rosette e,nella ricassatura, due colonnette di cui una tortile, sorreggono l'archetto interno. Questasoluzione decorativa è molto rara da trovare nelle chiese rurali toscane e testimonia lavivacità culturale presente in Valdelsa nel medioevo; vivacità che acquista caratteristicheautonome nella fusione di elementi locali con altri di diversa provenienza. Si tratta diun’elaborazione mediata dalla grande arteria della Francigena, veicolo di trasmissione dilinguaggi culturali di provenienza lombardo-padana, incrociatasi con l'uso di linguaggipropriamente locali, come la tradizione decorativa volterrana200.

6 – Papaiano.Un atto di compravendita redatto in data marzo 971 ci informa dell'acquisto, da parte diUgo marchese di Toscana, di una parte della corte, del poggio e del castello di Papaianocon la chiesa di Sant'Andrea (insieme ad una parte della corte di Bulisiano con la chiesa diSan Giorgio) di proprietà di un tale Uunisi-Guinizo201. Guinizo, con tale vendita, era riuscitoa rivendicare la parte dei beni paterni spettantigli per eredità; il padre Azzo, signore diPapaiano, era stato ucciso dal fratello Ugone per sposarne la moglie ed impadronirsi delsuo patrimonio. Le indicazioni cronologiche contenute nella carta hanno portato dubbirelativi all'anno di stesura: infatti l'anno decimo di Ottone I e quarto di Ottone II suggerisceil 970, mentre la menzione dell'indizione 13 indicherebbe il 971.Comunque, in seguito a questa compravendita, Papaiano e Buliciano furono nuovamenteconcessi in usufrutto al precedente proprietario; il contratto venne registrato in una cartaandata perduta ma ricordata nella cosiddetta "narrazione di Marturi"202.La cronaca denominata «Fioretto di Sasso Cattaneo» tramanda la tradizione di unafamiglia nominata Vivenzi che, fuggendo dal villaggio di Camaldo a seguito di un fatto disangue di cui fu protagonista il nobile Asturpio, si trasferì a Papaiano.Nell'anno 989, quasi venti anni dopo la prima attestazione del castello, Papaiano risultainvece citato come «villa», quindi un villaggio aperto203. Ma con la donazione del 10 agosto998 di Ugo a Marturi, a seguito della quale le proprietà di Papaiano passarono ai monaci, iltoponimo si legava nuovamente ad una forma insediativa tipo castello204.Possiamo formulare due ipotesi: un errore di definizione nella carta del 989; un caso didecastellamento del quale restano però sconosciute le cause, verificatosi nella seconda

200 Si vedano in generale ANTICHI 1965, pp.184-185; AA.VV.1995, pp.80-83; III, pp.78-79; AA.VV. 1996,pp.123-126; BOSI, SCARFIOTTI 1990, p.139; CANESTRELLI 1904, pp.15, 19, 24, 27, 37, 45, 47, 54;CARDINI 1988, pp.64, 89, 98; CENCETTI 1994, pp.14, 91, 164, 165; CIONI 1911, p.89; DE FILLA et alii1986, p.31 n.22; FALCE 1921, pp.135, 186; FRATI 1995, p.45; KURZE 1989, p.194; GIUSTI, GUIDI 1942,p.145 n.2520; GUIDI 1932, p.109 n. 2467, p.116 n.2644; LAMI 1758, I, p.231; II, p.1059; III, p.1582;MANTELLI 1984-90, II, p.239; MARRI MARTINI 1926, pp.92-93, 96; MARRI MARTINI 1922, p.4;MENNUCCI 1993-94, pp.310-313; MENNUCCI 1996, pp.340-341; MORETTI 1962, pp.217-220; MORETTI1962, p.10, 49, 138, 162, 217-220, 336, 342; MORETTI et alii 1975, p.55; MORETTI, STOPANI 1968a,pp.153-159; MORETTI, STOPANI 1974, p.215; MORETTI, STOPANI 1982, pp.383-384, 386; MORETTI,STOPANI 1981, 30b, 89b, 106, 136, 137, 138a, 151 n.25, 151 n.27, 152 n.83, 171 n.9, 175; NEGRI 1978,pp.38, 347-349; PAMPALONI 1901, p.39; POLI 1985, pp.21-29, 33, 58; RAVENNI 1991, pp.35, 47, 103;RAVENNI 1995, pp.154-158; REDI 1989, pp.27, 61; REPETTI 1833-1846, I, pp.58, 640; IV, 487; Suppl.,p.67; SALMI 1927, pp.21, 53 n. 57, 61 n.72; SALMI 1958, p.24, Tav.82; SALMI 1961, p.29, Tav.106; SALMI1928, pp.27, 33 n.35, fig.14; SALVINI, VON BORSIG 1973, pp.11, 22; STOPANI 1987, p.57; STOPANI1979, p.78; STOPANI 1990, pp.77-78; STOPANI 1986, pp.76 -77; TOESCA 1927, I, p.664 n.54; VALENTI1999: ZUCCAGNI ORLANDINI 1857, p.93. 201 FALCE 1921, n.49, p.138.202 Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Bonifazio, circa anno 1075.203 Regestum Volaterranum, n.75, p.27, 10 marzo 989.204 FALCE 1921, p.187.

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metà del X secolo ed a seguire, durante lo stesso periodo, la riedificazione dellefortificazioni.Agli inizi dell'XI secolo il marchese Bonifazio, successore di Ugo, privò il monastero diquesta dotazione; seguì così una lunga serie di sentenze, conservate per lo più nelDiplomatico Ospedale Bonifazio dell'Archivio di Stato di Firenze, che si risolsero sempre afavore di Marturi (cinque bolle pontificie in quasi settant'anni, sino alla prima metà del XIIIsecolo; autori Alessandro II, Pasquale II, Adriano IV, Alessandro III, Innocenzo II; non tuttesono considerate completamente autentiche o esenti da interpolazioni più tarde).Nello stesso processo intentato dai monaci nell'anno 1075 per la proprietà di Papaiano,inoltre, si cercò di dimostrare che gli immobili ivi posti facevano parte dei beni allodiali delmarchese e quindi la donazione risultava perfettamente legale. I monaci avevano ragione;i beni di Ugo in Papaiano, infatti, erano assolutamente di natura allodiale, in quantoacquistati mediante un atto privato (il documento del marzo 971 specifica «Ego Guiniziovindo et trado tibi Ugo, dux et marchio»205), dunque totalmente estranei al poteremarchionale: le confische eseguite da Bonifazio quindi, risultano del tutto arbitrarie e privedi diritto: una vera e proprio usurpazione.Il castello alla fine dell'XI secolo apparteneva però ancora ad esponenti della nobiltà localee nel settembre 1089 Mingarda di Morando lo donò ad un Giovanni da Benzo; daldocumento veniamo a conoscere l'esistenza di una seconda chiesa, una cappelladedicata a Sant'Angelo206. Dall’esame del documento sembra che la chiesa fosselocalizzabile presso il fabbricato posto a monte della chiesa di Sant’Andrea che nelCatasto Leopoldino del 1825 era denominato “Castellare”; tale fabbricato non mostracomunque elementi riferibili a una chiesa medievale. Queste sono le ultime notizie innostro possesso, dopo di che ritroviamo Papaiano citato per acquisti e acquisizioni di terredalla fine del XII secolo al primo quarantennio del XIV secolo, periodo in cui il monasterodi Marturi stava qui consolidando un numero cospicuo di proprietà fondiarie.Dagli atti veniamo così a conoscere alcune caratteristiche topografiche del suo circondarioed alcune località individuate attraverso quella toponomastica minore oggi in gran partescomparsa: l'esistenza di una zona paludosa o acquitrinosa (nel 1176 fu venduta una terranel padule di Papaiano207), di un mulino (nel 1221 gli abitanti di Papaiano parteciparono algiuramento di alleanza prestato da Poggio Bonizio a Siena e fra i testimoni compare un«Rector de Papaiano, rector molendinorum»208), di spazi messi a coltura adiacenti allefortificazioni (nel 1225 furono venduti un terreno a Papaiano confinante con le muracastellane ed un secondo terreno in località la Fonte di Papaiano presso lo Staggia209), lapresenza di una strada che congiungeva il castello all'insediamento di Luco (nel 1237 fuvenduto un pezzo di terra in Campo dell'Abate presso tale via210), di un ponte (nel 1239 fuvenduta una vigna in Campo dell'Abate al di là del ponte di Papaiano211).Sconosciute sono invece le vicende successive del centro castrense.La canonica di Sant'Andrea viene nominata nel privilegio del 10 agosto 998, come anchenel falso del 25 luglio 998, in favore del monastero di Marturi. Nel 1076 la canonica diSant'Andrea fu oggetto della controversia tra l’abate del cenobio e un certo Sigizio che fuarbitrata dal ministro comitale Nordillo, il quale emise parere favorevole al cenobio.Nonostate la soluzione favorevole di questa vertenza, i religiosi continuarono ad averecontroversie con i rettori della chiesa; solamente nel 1232 si giunse ad un accordo con il

205 FALCE 1921, n.49, p.138.206 Regestum Senese, n.120, p.45, settembre 1089.207 Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Bonifazio, 4 marzo 1176.208 Regestum Senese, n.595, p.265, 10-12 luglio 1221.209 Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Bonifazio, 9 aprile 1225.210 Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Bonifazio, 11 febbraio 1237.211 Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Bonifazio, 23 marzo 1239.

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riconoscimento dei diritti accampati dai monaci. Probabilmente, questi, persero il patronatodella chiesa se nelle decime del 1276 è registrata tra gli enti sottoposti alla decima papale.Antichi, tracciando un breve profilo della chiesa, riporta sia una sua personale lettura dellestratigrafie murarie sia che l'edificio fu restaurato nel 1881 e nel 1893 su disegnidell'ingegnere Giovani Pampaloni; quest'ultimo «fece riaprire nelle pareti laterali le finestreoblunghe a doppia strombatura e ricostruì la finestra frontale bifora del secolo XI. Così lachiesa mostra quattro epoche diverse; il secolo IX della sua costruzione originaria inbasso, il secolo XI nei più antichi restauri, il secolo XVII per la deturpazione degli intonachie dei colori, il secolo XIX per la restituzione in gran parte al suo stato primitivo»212.Sconosciute sono invece le vicende successive del centro castrense, del quale oggirimangono realmente scarsissime indicazioni, soprattutto la parte di una torre, fortementedegradata, incorporata nel podere Castellare.La chiesa presenta un’icnografia desueta per una semplice canonica. L’edificio infatticonsta di una navata con transetto, mancante oggi del braccio destro e dell’absidecorrispondente, conclusa da una tribuna a tre absidi. Il tipo di icnografia è solitamenteusato nelle chiese monastiche ed è probabile che rifletta quella del monastero di Marturi,oggi perduto, che la detenne per almeno due secoli.La parete sinistra della chiesa presenta un coronamento a dentelli e mensola che si ritrovanei lati del braccio del transetto superstite. Tre monofore si aprono in ognuna delle paretiperimetrali. L’abside maggiore ha un semplice coronamento a smusso e in essa si apronotre monofore fortemente strombate con archivolto composto da cunei di travertino,analoga foggia presentano l’unica monofora dell’absidiola e quella nel lato settentrionaledel transetto. La facciata, dall’accentuato slancio verticale, è stata restaurata con lareinvenzione dell’apertura bifora e dell’architrave del portale.Alcune caratteristiche decorative e costruttive pongono la chiesa di Papaiano in risaltorispetto alla produzione del romanico minore in questa parte della regione. Oltre l'impiantoa croce latina con tribuna triabsidata tipicamente di origine monastica, singolare, almenoper questa parte della Valdelsa, è anche il tipo di decorazione a mensola poggiante sudentelli e la fattura particolare delle monofore absidali: a forte strombo con archivoltoformato da cunei di pietra di piccole dimensioni ma posti in opera con estremaaccuratezza.La muratura del prospetto della facciata presenta due diverse tessiture murarie: nella parteinferiore fino a circa mezzo metro al di sopra dell’arco del portale il paramento è compostoda bozzette di arenaria e travertino sommariamente sbozzate; nella parte superiore ilparamento è invece più accurato e le bozze sono di pezzatura più grossa.Tuttavia, l’esistenza di buche pontaie assiali in entrambi i rivestimenti murari rimandono aduna contemporaneità di messa in opera. Poco al di sotto del vertice della facciata è unafinestra cruciforme e sotto di questa si nota un arco tamponato, probabilmente laricassatura della finestra originale213.

212 ANTICHI 1965, p.200.213 Si vedano in generale, oltre alla bibliografia già citata ANTICHI 1965, pp.199-200; AA.VV. 1996, pp.128-129; BANDINI 1777, IV, p.551; BOSI, SCARFIOTTI 1990, p.139; CAMMAROSANO 1993, pp.363, 379, 418;CAMMAROSANO, PASSERI 1984, p.136; CARDINI 1988, pp.63, 64, 88; CENCETTI 1994, p.14; CIONI1911, p.88; DE FILLA et alii 1986, p.31 n.22; GIUSTI, GUIDI 1942, p.30 n.586; GUIDI 1932, p.23 n. 526;KURZE 1967, pp.557 n.92, 561 n.105; LAMI 1758, I, pp.231, 536; III, pp.1523, 1528, 1581; IV, p.12; LISINI1908, pp.102, 121, 144; MANTELLI 1984-90, II, pp.63 n.13, 239; MARRI MARTINI 1926, p.96; MENNUCCI1993-94, pp.306-309; MENNUCCI 1996, pp.339-340; MORETTI et alii 1975, p.55; MORETTI, STOPANI1974, pp.137 n.2, 140 n.8, 144, 147, 212-213; MORETTI, STOPANI 1968a, pp.140-142, 143, 304;MORETTI 1962, pp.214, 336; MURATORI 1738-42, VI, p.39; NERI 1901, pp.80, 81, 82, 83, 174; POLI 1985,pp.43, 44-46; PRATELLI 1929-1938, pp.14-15; PRUNAI 1977-78, p.246 n.106; PUCCINELLI 1664, p.205;RAVENNI 1991, pp.29, 32, 33, 35, 47; RAVENNI 1995, pp.96, 97, 187-191; REPETTI 1833-1846, IV, pp.55-56, 483, 484, 486; SALMI 1927, p.50 n.46; SCHNEIDER 1911, p.45 n.120, 98 n.258; SCHNEIDER 1907, 27,n.75; STOPANI 1979, p.78; STOPANI 1990, p.77; STOPANI 1986, pp.16, 25 n.40; STOPANI 1988, p.76;

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7 – Gavignano.La prima attestazione risale ad una vendita privata stipulata nel dicembre 990214. Un fondoposto in Gavignano è poi inserito nella falsa donazione del marchese Ugo del 25 luglio998 redatta dai monaci di Marturi alla fine dell'XI secolo215. Non possediamo ulteriorinotizie della località sino al XIII secolo.Nel luglio 1221, però, uomini provenienti da Gavignano compaiono nel giuramentoprestato dagli abitanti di Poggio Bonizio a Siena; dalla seconda metà del XIII secolo vieneanche documentata una chiesa.E' probabile che il toponimo abbia iniziato ad indicare una piccola realtà insediativa solodopo l'acquisizione nel patrimonio di Marturi e che il suo sviluppo in un villaggio si collochinella metà del XIII secolo, periodo in cui dovette anche essere eretta la chiesa. Numeroseparticelle fondiarie poste all'interno delle pertinenze del villaggio di Gavignano sonocensite poi nell'estimo redatto nel 1318216.La chiesa, faceva parte del piviere di Sant'Appiano, nella diocesi medievale di Firenze; èdocumentata per la prima volta nei Decimari di fine del XIII secolo (1276-1277; 1302-1303)217. Anche nel 1221, in occasione del giuramento degli uomini di Gavignano in favoredei Senesi a Poggio Bonizio, non è fatta menzione del popolo della parrocchia rurale,indicato invece nella sottomissione al Podestà di Poggibonsi del 1323.La chiesa ha conservato la struttura romanica. E’ una piccola aula originariamenteconclusa da un’abside semicircolare, di cui si nota oggi la tamponatura dell’arco nellaparete terminale. La facciata presenta un portale con stipiti costituiti da due conci diarenaria, disposti in senso longitudinale e due conci in senso orizzontale.L’arco a tutto sesto del portale, che racchiude la lunetta monolitica, ha l’estradossoimpostato sull’architrave, soluzione insolita nel romanico toscano rurale. Al di sopra delportale è una finestra bifora rifatta negli archivolti ma che conserva l’originale capitellodecorato con una rosetta. La colonnina è invece di restauro.Un campanile a vela a due luci, di epoca moderna, si imposta sulla pendenza destra dellafacciata, la cui parte superiore è frutto di un rimontaggio. Anche le pareti lateraliconservano il regolare paramento murario, formato da conci di arenaria accuratamentesquadrati e spianati218.

8 - Pian dei Campi.La chiesa di San Lorenzo è ricordata nel 1130, nella supplica rivolta dagli uomini di PoggioAsturpio al pontefice contro le pretese degli abitanti di Marturi; è definita come dipendentedalla pieve volterrana di Castello. Venticinque anni dopo risultava far parte del pivierefiorentino di Poggibonsi. Nel tempo San Lorenzo dovette decadere ancheeconomicamente, tanto che fu censita, sia nell'estimo del 1290 che in quello del 1302-1303, come non solvente.La chiesa, oggi restaurata, è un edificio risalente al tardo medioevo. Riferibile all’epocaromanica resta il portale della facciata ad arco ribassato; nella lunetta è reimpiegato unframmento marmoreo decorato a quadrati incisi. L’edificio sembra essere stato rimontato

VALENTI 1999.214 Regestum Volaterranum, n.78, 16 dicembre 990.215 FALCE 1921, p.185, 25 luglio 998.216 RINALDI 1986, pp.78, 80, 86-87, 88, 93.217 GIUSTI, GUIDI 1942, n.622; GUIDI 1932, n.534.218 Si vedano in generale, oltre alla bibliografia citata, CAMMAROSANO, PASSERI 1984, p.134; MORETTI,STOPANI 1968a, pp.234-235; MORETTI, STOPANI 1974, p.155; RAVENNI 1995, pp.164-165; REPETTI1833-1846, II, p.413; VALENTI 1999.

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in seguito, utilizzando parte del materiale lapideo della chiesa medievale. Anche l’absidesemicircolare è da attribuire ad una fase successiva219.Il toponimo si lega anche e soprattutto ad un importante rinvenimento archeologico. Sitratta di un corredo eucaristico noto con il nome di «Tesoro di Galognano», composto dauna serie di sei oggetti in argento databili nel corso del VI secolo: quattro calici, unapatena ed un cucchiaio. La scoperta è stata effettuata in corrispondenza di un campoposto a circa 80 metri in direzione nord dalla chiesa romanica nel 1963. Mancano datiprecisi sul carattere del deposito al momento del rinvenimento; gli oggetti dovevanocomunque essere stati impilati (sulla cima si trovava il cucchiaio) e racchiusi in un saccopoi logoratosi ed assimilatosi al terreno. Le operazioni di sterramento avevano prodottoalcuni danneggiamenti, soprattutto ammaccature e tagli, agli oggetti ed in particolare a duedei calici più piccoli220. Il Tesoro fu inizialmente depositato presso il convento francescanodi San Lucchese; intorno alla fine degli anni 'settanta venne restaurato dai tecnicidell'Opificio delle Pietre Dure di Firenze e nel 1981 fu trasferito per ragioni di sicurezza allaSoprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Siena.Dopo aver trovato spazio all'interno di mostre e pubblicazioni per lo più incentrate sull'Italiabarbarica e su oggetti ed opere d'interesse artistico221, oggi è stato destinato al Museo diArte Sacra di Colle Val d'Elsa, evento al quale hanno fatto seguito alcune risentitepolemiche da parte di Poggibonsi, comune proteso ormai verao un deciso recupero evalorizzazione del proprio passato.E' costituito da manifatture in argento: un calice grande (24,3 x 10 cm; diametro dellacoppa 16,5 cm; peso 780 grammi), un calice medio (16,3 x 7 cm; diametro della coppa 11cm; peso 350 grammi), un secondo calice medio (13 x 7 cm; diametro della coppa 11,7cm; peso 330 grammi), un calice piccolo (10,4 x 5,7 cm; diametro della coppa 8 cm; peso120 grammi), una patena (diametro 20,3 cm; peso 200 grammi), un cucchiaio (15,6 cm).Si distingue da analoghi tesori altomedievali rinvenuti in Italia perchè sicuramente exproprietà di una chiesa, quella di Galognano, oggi scomparsa ma che era posta nelcomune di Colle Val d'Elsa, come attesta l'iscrizione presente su uno dei calici medi: «+HUNC CALICE (M) PUSUET HIMNIGILDA AECLISIAE GALLUNIANI». Sulla patena corre invece la scritta incisa a bulino e poi niellata (si scorge il residuo incorrispondenza della "S") «+ SIVEGERNA PRO ANIMAM SUAM FECIT».Dal punto di vista linguistico si tratta senza dubbio di un latino ormai lontano dalle formeclassiche e con elementi estranei alla declinazione; per esempio «CALICE» è privo dellaterminazione dell'accusativo, «PUSUET» sostituisce pusuit, «AECLISIAE» sostituisceinvece ecclesiae.I nomi delle due donatrici, cioè «HIMNIGILDA» e «SIVEGERNA» sono di origineostrogota; il secondo, per esempio, è un nome composto con i temi germanici sibajo-(stirpe) e -gerno (premurosa).

219 Si vedano in generale CAMMAROSANO, PASSERI 1984, p.135; CARDINI 1988, p.95; CENCETTI 1994,p.37; CIONI 1911, p.95, DAVIDSOHN 1896-1927 I, pp.525 n.1, 607; DINI 1897, pp.14-20; GIUSTI, GUIDI1942, p.30 n.587; GUICCIARDINI 1939, p.20 n.17; KEHR 1908, p.60; LAMI 1758, I, p.536; III, pp.1524,1532, 1581; IV, p.12; MANTELLI 1984-90, II, p.63 n.13, 64 n.14, 158, 217, 239; MORI 1990, p.24; MORETTIet alii 1975, p.55; MORETTI, STOPANI 1968a, p.145; RAVENNI 1995, pp.200-202; REPETTI 1833-1846, IV,pp.176, 484; RINALDI 1980, p.9; SALVINI 1982, p.61; STOPANI 1979, p.78; VALENTI 1999.220 Le foto antecedenti al restauro pubblicate in von HESSEN et alii 1977 ed in KURZE 1989 mostranochiaramente l'entità dei danni inferti; la foto edita in SANTI 1994, scattata post restauro, rivela invece deitagli ancora visibili sulla coppa del calice grande.221 Oltre ai già citati von HESSEN et alii 1977, KURZE 1989, SANTI 1994 nella mostra Panis Vivusconcernente arredi e testimonianze figurative del culto eucaristico tra VI e XIX secolo, segnaliamo MUNDELIMANGO 1986, nella mostra americana sugli argenti dall'antica Bisanzio, von HESSEN 1990 nella mostra diCividale del Friuli sui Longobardi; inoltre ARCAMONE 1984 in una trattazione sui riflessi linguistici germaniciin Italia.

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Attestano indubbiamente la presenza di nuclei goti nella zona; inoltre evidenziano che lesuppellettili liturgiche appartengono all'epoca precedente la venuta dei longobardi e chefurono probabilmente interrati al momento in cui essi occuparono la Toscana; sembratrattarsi di oggetti rubati in tale occasione, come anche nei casi degli analoghi tesori diIsola Rizza-Verona e Canoscio-Città di Castello222.A proposito delle due donne, Kurze si è domandato se potessero essere proposte anchecome le fondatrici della chiesa; l'autore evidenzia che l'avere donato i due oggetti d'altarepiù prestigiosi (pur non essendo dichiarata esplicitamente la fondazione nelle iscrizionidegli arredi) corrisponderebbe ad un elemento a favore, ma il peso della patena farebbesaltare l'ipotesi. Infatti, si ricava chiaramente che nel VI secolo una fondazione corredatain conformità alle esigenze del tempo, prevedeva una patena d'altare dal peso di almenotre o quattro volte maggiore del calice o teca eucaristica; a Galognano il calice eucaristico,cioè quello dedicato, pesava 300 grammi e la patena avrebbe quindi dovuto pesare circaun chilogrammo invece dei 200 grammi attestati223.Il riferimento all'Eucarestia è subito avvertibile nelle iscrizioni votive e lo stesso cucchiaio,monco della parte terminale, in origine probabilmente a ricciolo, che reca nel rocchettoterminale il monogramma di Cristo, doveva essere impiegato per la distribuzione del paneconsacrato; la difformità dimensionale dei calici rientra anch'essa nella ritualità eucaristica,adattandosi al numero dei presenti alla celebrazione224.Tenendo conto delle caratteristiche d'uso legate alle suppellettili, della mancatacompatibilità tra essi e del confronto con i già citati casi di Isola Rizza-Verona e Canoscio-Città di Castello, è ipotizzabile che l'entità del Tesoro di Galognano fosse stata in originemaggiore.Il confronto con documenti noti, come per esempio il testamento di Aredio abate diAttanum al tempo di Gregorio di Tours, trova significativi raccordi tra i reperti di Galognanoed il corredo minimo stabilito per una chiesa: quattro pissidi a forma di torre, tre pendagli diseta, quattro calici d'argento tra i quali i due più grandi con manici del valore di almenotrenta solidi, il mediano dorato dello stesso valore, il quarto più piccolo del valore di tredicisolidi, una patena d'argento del valore di settantadue solidi, coperte d'altare in seta o inlino, paramenti per la messa, una corona in argento dorato.Il numero e l'ordine di grandezza dei calici si accorda benissimo con la serie dei calicirinvenuti in Pian dei Campi; ai due calici grandi, uno di media grandezza messo in risaltodalla doratura (probabilmente una pisside) ed un quarto calice della lista di Aredio«corrispondono a *Gallunianu: uno molto grande, uno medio e poi, un po' più piccolo, unterzo calice messo in rilievo dalla scritta dedicatoria, ed infine un calice piccolo del peso dicirca 1/3 rispetto al calice II»225.Per quanto riguarda la provenienza degli oggetti possiamo proporre la collocazione delcucchiaio nel più ampio contesto produttivo del Mediterraneo tardoantico; si tratta cioè diun esemplare appartenente a produzioni su larga scala e ad ampio raggio di diffusione esmercio (Inghilterra, Africa settentrionale, Spagna, Siria)226. Per i calici invece, dopoun'iniziale incertezza dovuta all'assenza di confronti con altri tesori altomedievali tipo quellidi Canoscio e Reggio Emilia, si è accertata, esaminandone accuratamente le forme,un'esecuzione occidentale nonostante la somiglianza con analoghi arredi di originebizantina.

9 – Talciona.

222 si veda von HESSEN 1990, p.231.223 KURZE 1989, pp.210-211.224 SANTI 1994, p.92.225 KURZE 1989, p.209.226 Per tali aspetti si veda soprattutto BIERBRAUER 1975, pp.331-332; BIERBRAUER 1978.

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Il castello di Talciona viene ricordato nella donazione di Ugo, marchese di Toscana,redatta il 10 agosto 998 in favore della Badia di Marturi con l'indicazione «castello deCalcione»227; nel 1089, risulta citato in un'altra donazione stipulata dalla nobile Mingarda diMorando. Agli inizi del XII secolo vi risiedevano i «filii rustici», la futura famiglia dei Soarzisignori di Staggia228.Nel 1203, durante la definizione dei confini tra i territori senese e fiorentino in questa zona,il castello di Talciona non venne citato mentre se ne nominava la chiesa. Dopo il suoinserimento nel contado fiorentino, la località nel XV secolo entrava poi in possesso dellafamiglia Adimari e indicata come villa. Il complesso fu quindi decastellato e ridotto avillaggio aperto, probabilmente tra gli inizi del XIII secolo ed il XV secolo; sembra piùprobabile comunque la prima data proposta.La prima attestazione della chiesa di Santa Maria risale al 1156, quando presso lacanonica fu rogato un atto con il quale i conti Guidi fecero una permuta di beni postipresso Talciona. Parte del suo popolo si trasferì nella parte senese del castello di PoggioBonizio ove edificò una chiesa di Santo Stefano in Talciona nel 1156.Tracce materiali del castello si ritrovano in una torre molto rimaneggiata, incorporata inuna villa cinquecentesca. La chiesa è invece un interessante esempio di edificiotardoromanico pressochè conservato integralmente; è costituita da una navatarettangolare absidata con copertura a tetto realizzata con conci di travertino, arenaria ecalcare disposti a corsi orizzontali e paralleli.La facciata a capanna presenta portale ad arco crescente con ghiera avvolgente decoratacon motivi simili a quelli proposti nell'occhio sovrapposto. Sull'architrave, sorretto damensolette concave decorate con figure bestiali, è scolpita l’Adorazione dei Magi, di formepiuttosto rozze probabilmente opera di maestranze locali; la datazione è fornitadall'incisione dell'anno 1234.E’ da ritenere che questo rilievo sia opera di maestranze locali che hanno assemblatosuggestioni di varia provenienza (il tipo di rilievo lombardo e la decorazione a traforoduecentesca) innestandole su una concezione costruttiva tradizionale (la chiesa absidatadi tradizione romanica). L’imbotto dell’archivolto della monofora è decorato con rozzefigure astratte. Il coronamento delle pareti laterali preannunciano, con l’uso di corsisovrapposti di laterizi disposti a denti di sega, l’imminente stagione tardomedievale. Sullato destro dell’edificio si apre una rosone in arenaria traforato che rimanda anch’essoesperienze culturali non toscane229.

227 FALCE 1921, p.187.228 CAMMAROSANO 1993, n.58, 1-24 marzo 1135.229 In generale si vedano AA.VV. 1995, pp.80, 81; AA.VV. 1996, pp.121-122; ANTICHI 1965, p.201;AUVRAY 1896-1902, p.1132; CAMMAROSANO, PASSERI 1984, p.140; CARDINI 1988, pp.64, 89;CASABIANCA 1937, p.48; CENCETTI 1994, pp.18, 165; MURATORI 1738-42, V, p.861; CIONI 1911, p.90;DE FILLA et alii 1986, pp.29, 31 n.22; GIUSTI, GUIDI 1942, p.145 n.2525; GUIDI 1932, pp.109 n.2466, 116n. 2649; GUIDONI 1970, p.435; KURZE 1967, p.543 n. 49; LAMI 1758, II, pp.796-797, 1289; III, p.1582; IV,p.17; LISINI 1908, p.73; LUSINI 1901, pp.226-227; MANTELLI 1984-90, II, p.239; MARRI MARTINI 1926,pp.90-92; MENNUCCI 1993-94, pp.319-321; MENNUCCI 1996; p.343; MORETTI et alii 1975, p.55;MORETTI, STOPANI 1974, pp.137, 139-140, 140 n.7, 145, 147, 215-216; MORETTI, STOPANI 1968a,pp.14, 161-165, 304; MORETTI, STOPANI 1966; MORETTI, STOPANI 1981, pp.30b, 69a, 114b, 137, 138a,152 n.85, 162b, 171 n.9, 175; MORETTI, 1962, pp.10, 336, 343; NERI 1894, pp.113-131; NERI 1895, pp.9-29, 122-131,197-207; NERI 1896, pp.80-92, 165; PICONE 1986, p.114; POLI 1985, pp.49-55; PRATELLI1929-1938, pp.15, 83, 472-473, 477; RAVENNI 1995, pp.96, 101, 234-237; RAVENNI 1991, pp.58, 33n.103, 35, 36, 37; REDI 1989, pp.27, 61, 65; REPETTI 1833-1846, I, p.58; IV, p.486; V, pp.499-500; GUIDI1932, n.2649; GIUSTI, GUIDI 1942, n.2525; SALMI 1928, p.51 n.51; SALMI 1927, pp.28, 32, n.29, 57;SANTINI 1895-1952, I, pp.29, 124, 129, 132, 136; SCHNEIDER 1911, pp.61 n.164, 413 n.933; SCHNEDEIR1914, p.89; SCHWARTZ 1915, p.236; STOPANI 1979, p.78; STOPANI 1990, p.77; STOPANI 1986, pp.16,70, 71; STOPANI 1988, p.76; TARGIONI TOZZETTI 1775, VIII, pp.29, 31; VALENTI 1999; ZUCCAGNIORLANDINI 1857, p.359.

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10 - Castello di Strozzavolpe. Probabilmente il castello è da riconoscere nel toponimo di Scoriavolpe, attestato nel 1154in un documento di Badia a Isola230. Non abbiamo alcuna notizia per tutto il medioevo enon siamo in grado di prospettarne una pur schematica storia. Nella seconda metà del XIIIsecolo apparteneva comunque alla famiglia degli Alberti e tramite legami matrimonialipassò nel patrimonio dei Salimbeni. Nel 1313 Arrigo VII lo occupò e se ne servì comebase per devastare il contado senese sino alle soglie di Porta Camollia. Nel 1318 i Salimbeni, in particolare Benuccio di messer Benuccio ed i nipoti, possedevano«cassarum et fortilitiam» di Strozzavolpe; la struttura venne poi venduta alla fine del XIVsecolo agli Adimari di Firenze; lo stemma di questa famiglia si trova scolpito su uncaminetto in locali adibiti ancora nel 1960 a fattoria.Nel 1479, al tempo della presa di Poggibonsi da parte del Duca di Calabria, ancheStrozzavolpe subì l'assedio ma non cadde; l'affresco esistente nella Sala del Consiglio delpalazzo comunale di Siena, opera di Giovanni di Cristoforo Ghini e Francesco d'Andreanel 1480, mostra infatti il castello come unico con il vessillo ancora issato (bandiera biancacon croce rossa: i mercanti fiorentini).Il castello è stato oggetto di un interessante studio dallo storico locale Arcangeli. Questoautore, contando su confronti iconografici di vecchie stampe e tramite verifica di persona,osserva come il complesso originario si componesse di due torri, muri a scarpa con fossiintorno, un ponte levatoio ed «un maschio centrale». Le due torri erano poste una sulponte e l'altra all'estremità opposta. All'interno, oltre il maschio, erano collocati dei piccoliedifici lungo le mura che ancora sussistevano, i sotterranei e l'ingresso di una galleria.Nel XIX secolo il proprietario Alessandro Bizzarri fece effettuare un restauro integrale almaschio, in stile romantico tedesco, dall'ingegnere Jacopo Rigacci: nacque così un grandecorpo sproporzionato alle mura e fu quindi giocoforza innalzare la torre d'accesso, i cuivecchi merli sono incorporati nel rialzamento, dove ancora si distinguono, mentre la nuovamerlatura fu fatta in mattoni e poggiante su becattelli, inoltre venne aperto il fossato. Delcastello rimane soprattutto la cinta muraria di forma irregolare con alcuni tratti di muraturaalmeno in parte originaria231.

11 – Lecchi.La località, con varia grafia di Liccle, Liche, Lecchie, Leke, è nominata per la prima voltanella dotazione nunziale compiuta da Tegrimo di Ildebrando, della famiglia dei Lambardi diStaggia fondatori della Badia a Isola per la sposa Sindrada232.Conosciamo poco della realtà insediativa di fine X secolo ma la citazione nel morgengabecome «Liccle cum eius pertinentia», lascia intravedere una località ben nota, riferimentoper beni fondiari e persone non certo trascurabile. Nel 1086 fu donata al monastero diIsola una «portione de curte de Liche cum ecllesia sancte Marie». Ritroviamo dunqueLecchi al centro di una curtis dotata di chiesa233.Il villaggio tra l'ultimo quindicennio dell'XI secolo e la metà del XII secolo venne poifortificato. L'albero genealogico dei Lambardi, contenuto nel cartulario della Badia a Isolaindica infatti Lecchi come centro curtense incastellato: il «Castellum de Leke» e la «curtede Like»234; il monaco che redasse la pergamena tracciò anche una rappresentazionesotto forma di una costruzione rettangolare merlata con porta sormontata da un arco a

230 CAMMAROSANO 1993, n.71, novembre 1154.231 In generale si vedano ARCANGELI 1960; CAMMAROSANO, PASSERI 1984, p.136; CHERUBINI 1974,p.290; CIONI 1911, pp.90-91; LISINI 1893, p.202; PEROGALLI 1985, pp.14, 26-28; PRATELLI 1929-1938,p.52; REPETTI 1833-1846, V, p.483; VALENTI 1999.232 CAMMAROSANO 1993, n.2, 29 aprile 994.233 CAMMAROSANO 1993, n.38. 4 aprile 1086.234 CAMMAROSANO 1993, pp.326-332, ante 1164.

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tutto sesto. In seguito non si hanno più tracce documentarie del castello, nè si conosconole vicende a cui andò incontro. La Genealogia fornisce però un quadro ben preciso deirapporti di proprietà e dei diritti presenti nel distretto curtense di Lecchi nella metà del XIIsecolo; dopo essere stato diviso in quote di successione tra i vari eredi dei Lambardi,l'intero novero dei beni fondiari era stato ceduto a vari enti ed altri gruppi famigliariemergenti: il monastero di Isola, l'ospedale di Graticola le consorterie dei filii Rustici e deifilii Mazzi (esponenti di una nobiltà minore emergente; dai primi originarono poi i Soarzifuturi signori di Staggia e partigiani fiorentini).La chiesa di Lecchi, intitolata a Santa Maria, è ricordata come sottoposta alla pieve diSant’Agnese in Chianti nel 1056. Successivamente la parte di chiesa di Sancte Marie deLiche pertinente a una certa Fiopia viene donata nell’aprile 1086 al monastero di Isola.Nelle decime della fine del Duecento-inizio del Trecento compare come suffraganea dellapieve senese di Sant’Agnese.Nel corso dei secoli XI e XII, insieme al villaggio, entra nellagiurisdizione della Badia a Isola; compare ancora nel patrimonio del monastero nel 1446,al momento dell'unione di quest'ultimo con il monastero Sant'Eugenio. L’attuale edificio,preceduto da un avancorpo ottocentesco non presenta in vista elementi architettonicimedievali235. .12 - Rocca di Staggia.Staggia è un castello di precoce attestazione; le prime notizie risalgono infatti all'anno 994e sono contenute in un documento del fondo di Abbadia a Isola: la chartula demorgengabe di Trigesimo236. Il castello ed il centro fondiario ad esso connaturatoappartenevano probabilmente da secoli al gruppo aristocratico dei Lambardi.La genealogia della famiglia, raffigurata in una pergamena miniata nella metà del XIIsecolo proveniente dall'archivio della Badia a Isola, attesta infatti l'antichità di tale gruppo enon dobbiamo quindi escludere che il primo nucleo fondiario intorno a Staggia possarisalire almeno al regno longobardo. Il personaggio più noto della famiglia dei Lambardi,Ildebrando (il quale risulta in età virile nel 953 e morto già nel 994), doveva essere natointorno al 930; calcolando uno scarto medio generazionale di circa 40 anni per ciascunodei suoi antenati (Rodulfiatus, Odalberto, Gisalprando ed infine il quadrisavolo ecapostipite Reifredo), si può collocare quindi la nascita di Reifredo nel decennio 770-780.In realtà lo scavo archeologico d’emergenza svoltosi tra la fine del 2004 e la prima metàdel 2005, coordinato dall’Università di Siena ed i cui materiali sono attualmente in corso distudio ma del quale si dà conto in queste pagine, sta mostrando una frequentazione dellacollina molto più antica, iniziata probabilmente nell’età della transizione all’alto medioevo esuccessive fasi insediative per capanne ancora da datare con certezza.

a. Storia degli studi - L'articolata storia del complesso, l'attivismo nelle vicende politico-istituzionali toscane mostrato dalle casate dominanti, il legame con Isola, gli imponentiresti monumentali ancora esistenti, l'interesse per la ricostruzione dell'itinerario romeo e laposizione di questo centro sul suo percorso, hanno rappresentato un argomento di studioattraente e suggestivo per molti.Una storia degli studi incentrati sul castello di Staggia, proprio per l'eterogenea sfera diargomenti di ricerca che le si legano, deve quindi essere divisa in alcuni filoni ben precisi:interventi sulla genealogia della famiglia di Ildebrando (i Lambardi, primi signori delcastello) e dei loro successori cioè i Soarzi ed i Franzesi; trattazioni sulla storia di Abbadiaa Isola alla quale Staggia viene strettamente correlata per il ruolo avuto dalle famiglie

235 In generale si vedano CAMMAROSANO, PASSERI 1984, p.135; GIUSTI, GUIDI 1942, n.2522; GUIDI1932, n.2651; RAVENNI 1995, pp.177-178; REPETTI 1833-1846, p.668; SCHNEIDER 1914, p.89; KURZE1989, pp.37, 94; VALENTI 1999,236 CAMMAROSANO 1993, n.2, 29 aprile 994.

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egemoni; indagini, spesso compilative, sulla citazione di Staggia nelle fonti intinerarie diXII-XIII secolo e per la sua importante posizione su una variante di percorso di primo pianodella Francigena.La fine del XIX secolo e soprattutto i primi decenni del 'novecento, vedono uscire moltiinterventi di diverso spessore.Davidshon nel 1896 aveva trattato, nella sua storia di Firenze, il tribolato rapporto tra ilmonastero e Ranuccio di Staggia nel quadro del confronto fra Siena e Firenze, disquisitosulle casate dei Lambardi e dei Soarzi, riportato la notizia di una fortificazione senese del1262, descritto l'entrata nel patrimonio dei Franzesi nel 1298237.Anche Lusini si occupò di Staggia un anno dopo, nella sua storia di Isola, cercando però difornire soprattutto una solida base di partenza per iniziare a discutere sulla storiadell'abbazia238. Piranesi, nei primi anni del nostro secolo, stimolato dalle rovine imponentidel complesso, si avvicinò alle sue vicende, paragonandolo a castelli valdostani comeFenis e Graines, raggiungendo conclusioni fantasiose, non sorrette da una men cheminima attendibilità documentaria. In un secondo contributo, l'autore dimostrava invece diavere maturato maggiori conoscenze, producendo una sintesi decorosa, anche sepermeata di uno spiccato spirito campanilistico manifestato speculando sullatrasformazionne del toponimo in Staggia Senese; notava poi come, nel 1431, lefortificazioni subirono un rafforzamento tale da resistere con successo all'attacco delPiccinino al servizio di Filippo Maria Visconti239.Sei anni dopo Bargellini affrontò, in un esteso saggio, le più remote vicende di Staggia edil comportamento dei suoi signori nel rapporto con l'Abbadia a Isola fra XII e XIII secolo 240.E' essenzialmente uno studio sulle famiglie susseguitesi nel dominio del castello,riportando numerosissime informazioni non tutte pienamente attendibili ed alcuneinteressanti foto d'epoca; molto utile ed apprezzabile risulta comunque lo sforzo diraccogliere il maggiore numero possibile di fonti documentarie. Come ha giustamenteosservato Kurze, si è trattato di un positivo spunto di ricerca all'interno di argomentazioninarrative di per sè stesse mediocri e caratterizzate da grossolani errori (per esempio iLambardi sono detti conti di origine franca); comunque non originale, in quanto iltormentato legame con il monastero era già stato individuato brillantemente dalDavidshon241.Se alcuni contributi risultano trascurabili242, i lavori di Cecchini e Guicciardinirappresentano due momenti di raggiunta crescita; soprattutto il secondo, ricostruendo iltracciato viario della Francigena, mette in giusta luce la posizione strategica di Staggia243.In tempi più recenti, il castello e la nobiltà ad esso legata sono stati finalmente studiati intre lavori specifici dovuti a Kurze, Cammarosano e nuovamente a Cammarosano conPirillo, Stopani e Pucci.Kurze ha posto al centro delle proprie indagini le vicende dei Lambardi ed i rapportiintercorsi con Isola244; inoltre ha collocato il suo lavoro in un più generale quadro dellerelazioni nobiltà-monasteri nella Toscana altomedievale245. Tratteggia le origini, lagenealogia e le vicende patrimoniali della famiglia, per la quale abbiamo notiziedocumentarie sino dalla metà del X secolo attraverso la conferma di alcune loro proprietà

237 DAVIDSHON, I, pp.683-686; II, pp.706, 735; III, p.517; IV, pp.236, 349, 484, 484, 564; VI, p.462.238 LUSINI 1897.239 PIRANESI 1908; PIRANESI 1924. 240 BARGELLINI 1914.241 KURZE 1989, p.25.242 MAZZI 1897; CANESTRELLI 1907; MARZINI 1922/1923.243 CECCHINI 1932; GUICCIARDINI 1939.244 KURZE 1989, pp.23-154.245 KURZE 1981; KURZE 1989, pp.295-318.

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da parte dei re Berengario e Adalberto (il preceptum Berengarii et Adelberti Regnum del953). Riconosce in Ildebrando, figlio di Isalfredo e sposo di Ava figlia del conte Zenobio,un'esponente di quella nobiltà longobarda che era riuscita ad infiltrarsi nel novero dellasfera dirigente laica formata, nell'Italia centro settentrionale, soprattutto e quasiesclusivamente da immigrati d'Oltralpe. Evidenzia come, con la fondazione di Isola nel1001, emerge chiaramente dalla cerchia di consanguinei (che avevano spezzettato nelleproprie mani un vasto patrimonio fondiario prima compatto), una famiglia per la quale ladominatio sul monastero è il segno distintivo di appartenenza e l'elemento unificante siadel gruppo parentale sia della proprietà dei vari membri. Inoltre affronta il percorso versol'indipendenza di Isola dopo l'estinzione dei Lambardi ed il nuovo rapporto con laconsorteria dei Soarzi. Conclude la sua indagine mostrando il tentativo dei Soarzi stessi disottomettere il monastero al proprio controllo ed il fallimento della loro impresa conl'estensione di una sorta di protettorato senese su Isola; una nuova posizione che,comunque portò a notevoli ingerenze da parte della città.Il bellissimo lavoro di Cammarosano sulla Badia a Isola, amplia notevolmente lo studio diKurze, entrando nei minimi particolari delle linee già tracciate da questo, ed accompagnala narrazione con la trascrizione integrale del fondo diplomatico del monastero. Tutte lenotizie sulla consorteria dei Lambardi e sui loro successori, nonchè il ruolo del castello diStaggia non possono che essere tratte dal suo lavoro; inoltre, per primo, colloca sia ilcastello sia il monastero in una prospettiva di lettura di ampio respiro, affrontando levicende da lui presentate nel più esteso quadro della Val d'Elsa medievale e del rapportodi tale area territoriale con la città di Siena246.Il terzo studio a cui abbiamo accennato, apre nuove prospettive per completare edapprofondire la storia di Staggia. Ad essa dedicato in occasione del millenario dalla suaprima attestazione documentaria, i contributi sono centrati per la maggior parte sullevicende bassomedievali della comunità. Vede Cammarosano introdurre le origini delcastello e delle più antiche proprietà fondiarie, sottolineando il ruolo centrale che Staggiaaveva avuto nel consolidamento dei beni della famiglia dei Lambardi, ruolo ancora rivestitoquando, dopo l'estinzione della dinastia, subentrarono i Soarzi247. Prosegue con Stopaniche tenta di leggere Staggia nel percorso della Francigena, proponendone un ruolo ditesta di ponte del comitato Volterrano e redige poi una nota storico-architettonica delcomplesso monumentale esistente248. Il capitolo iniziale non si pone oltre ad un riassuntodi ipotesi sull'andamento della via Francigena nella zona, peraltro funzionale a spiegare lacollocazione geografica del castello, di importanza strategica per il controllo della stradastessa. I dati proposti non sembrano comunque pienamente probanti: la presenza, nonverificabile, di un probabile cippo confinario dell'episcopato volterrano nella zona diStecchi; l'espressione di Marche Castellum, nel senso di frontiera, usata da Filippo IIAugusto nel 1191, nella quale viene riconosciuta Staggia. Pirillo traccia invece unapprofondito profilo del dominio dei Franzesi nel XIV secolo, una ricca famiglia di grandifinanzieri e magnati originari del contado fiorentino detentrice di tutti i diritti giurisdizionalilegati al castello; accende così nuova luce su un periodo ed una fase di Staggia che, purestremamente interessante, non aveva ancora trovato grandi attenzioni249.Legge nell'acquisto e nella successiva rifortificazione di Staggia, il tentativo di creare unpunto di partenza per il consolidamento di poteri fondiari ed economici molto estesi ed allabase di ambizioni politiche di dimensioni regionali.Conclude infine il volume Pucci con un'introduzione allo statuto quattrocentesco di Staggiae con la sua trascrizione; l'obiettivo è osservare la vita quotidiana di un agglomerato rurale

246 CAMMAROSANO 1993.247 CAMMAROSANO et alii 1995, pp.7-9.248 CAMMAROSANO et alii 1995, pp.13-17, 53-55.249 CAMMAROSANO et alii 1995, pp.23-35.

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della campagna senese agli inizi del XV secolo, attraverso il tipo di organizzazione vigentein una comunità amministrativamente autonoma, ma anche un avamposto fiorentinoincuneato nel territorio della rivale250.

b. Staggia tra X e XVI secolo - Reifredi, il primo esponente conosciuto, doveva avere datoinizio alla formazione di una qualche base patrimoniale, estesa anche nella vicina zona delMonte maggio (già inizialmente oppure con i suoi successori). Forse non è casuale che ilnome più antico ricordato nella genealogia sia stato il suo. Tale proprietà non fu oggetto dialcuna divisione ereditaria, restò integra nel suo complesso e fu trasmessa in lineamaschile sino ad Ildebrando; per queste ragioni si dovette rafforzare, e prima del 953Isalfredi (padre di Ildebrando, a questa data già sostituito dal figlio nel dominio) costruivauna chiesa «in onore sancte Marie» nella curtis di Staggia251.Questo atto sembra indiziare che Staggia era stata definitivamente scelta perrappresentare il nucleo principale della dinastia, almeno dalla prima metà del X secolo. Laconferma a Ildebrando nei suoi beni concessa dai re Berengario e Adalberto nel 953252, ilsuo ingresso nella cerchia dei protetti del marchese Oberto ed il matrimonio con Ava, figliadel conte Zenobio (quest'ultimo forse proveniente dalla zona di Firenze/Fiesole edattestato come già defunto nel 977 in un documento del fondo di Passignano253):precisano la raggiunta importanza della famiglia ed il suo tentativo di innalzarsi ancora. Lasuccessiva linea politico-matrimoniale condotta da Ildebrando fu finalizzata in tal senso. Ilfiglio, anch'egli di nome Ildebrando, ebbe in moglie Cunigunda-Cuniza figlia del conteValfredo (di essa parla un documento del 1048254). Il figlio Teuzo-Tegrim sposò Sinderada-Sindiza, figlia del visconte Vidone della famiglia di ceppo salico dei vicecomites di Siena;questi ultimi erano un gruppo ben radicato in città per la sua dignità d'ufficio, legato ancheall'episcopio senese poichè alcuni esponenti avevano svolto la funzione di vicedomini,detentori di beni fondiari sia in Siena e nel suburbio, sia nelle campagne ma privi di undominio di castello255.Con Ildebrando, in conclusione, Staggia assurge definitivamente al ruolo di nucleopatrimoniale forte e centrale nel novero delle proprietà fondiarie dei Lambardi. Anche lagenealogia, attribuendo al padre Isalfredo la prima azione degna di ricordo (cioè lafondazione della chiesa), e raffigurando Ildebrando stesso al centro dei due figli ed inposizione dominante nell'albero genealogico, sembra così confermare sia il periodo dicrescita d'importanza della zona, sia il suo definitivo emergere nel complesso delle altreproprietà.La famiglia aveva aggiunto tra i suoi beni anche altre otto chiese prima della fine del Xsecolo e deteneva la proprietà di altri sei nuclei di concentrazione e gestione della terra (lecurtes incastellate di Strove, Gallule, Fulignano, Elsa, Piscina Nera-Gallena, Proclano);ostentava ambizioni politiche, impegnandosi fattivamente a raggiungere unaconsacrazione di tipo pubblico, con l'inserimento nella cerchia dei dignitari comitali dellafine del X secolo e dei primi anni dell'XI secolo. Assistiamo cioè al tentativo di acquisire unpotere pubblico, aggiungendo al proprio carattere di domini l'esercizio dell'honor e deldistrictus. La fondazione di Isola nel 1001 da parte di Ava, vedova di Ildebrando, rientravaancora in tale linea: concentrare la famiglia e garantire l'unità dinastica, impedire ladispersione ereditaria dei beni che erano articolati su più castelli posti in una complessa

250 CAMMAROSANO et alii 1995, pp.41-50, 59-83.251 La titolatura è nota dalla carta di morgengabe del 994: CAMMAROSANO 1993, n.2, 1 gennaio 994-23settembre.252 CAMMAROSANO 1993, n.1, 23 giugno 953.253 KURZE 1989, p.29.254 Si veda KURZE 1989, p.28 n.26 per l'identificazione.255 Si veda CAMMAROSANO 1981, pp.234-235.

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serie di confini distrettuali (contee di Volterra, Firenze, Fiesole e Siena256 e distribuitialmeno in trentuno località257, conservando così una potente base di dominio giudicatafondamentale per accedere alle investiture perseguite. Lo sviluppo di un castello aStaggia, fortificando la corte esistente, dovrebbe essersi realizzato con Ildebrando, nelmomento di maggiore ascesa della famiglia, quindi prima del 994 e dopo, o intorno, al 953(anno in cui egli faceva già parte della cerchia del marchese Oberto).Non crediamo all'esistenza di un castello nel periodo di Isalfredi, nonostante il suo operato(compresa la politica matrimoniale scelta per il figlio e da questo continuata) avesse postole basi della crescita sociale e patrimoniale; contrariamente a quanto affermato daCammarosano258, la genealogia, non attesta una fondazione certa della chiesa nelcastello, bensì riporta «ipsam ecclesiam fundavit avus eorum Isalfredus in proprio suo».Anche a livello territoriale senese, vediamo un'affermazione dei gruppi nobiliari, tra i qualiun'aristocrazia militare con notevoli proprietà rurali, a partire dalla metà del X secolo e sinoagli inizi del XII secolo. La loro adesione alla terra era avvenuta per tutta la durata delregno italico attraverso agglomerati aperti; solo nel corso della seconda metà del X secolo,dettero vita ad un nuovo tessuto insediativo dove, non fungevano più da riferimento ivillaggi privi di difese, bensì una rete di castra259.I documenti disponibili per questo periodo260, danno comunque modo di intravedere megliola realtà insediativa di Staggia alle soglie dell'anno mille e di precisare tali affermazioni.Osserviamo infatti, per la seconda metà del X secolo, una gestione della terra polarizzataintorno a centri curtensi controllati da gruppi familiari eminenti; curtes per lo più incastellatee dotate di chiesa, che si dislocavano soprattutto negli spazi compresi tra gli attuali confinicomunali di Poggibonsi, Colle, e San Gimignano. Ma l'impressione che si trae da questecarte, è che il castello sia stata una forma insediativa sviluppatasi solo da poco. Nondoveva rappresentare ancora l'entità principale di identificazione amministrativa dellaproprietà; la curtis, nonostante l'avvenuta trasformazione materiale, continuava verso lafine del X secolo a connotarsi come un concetto ancora forte e preponderante, e neidocumenti il castello stesso viene posto quasi in secondo piano.Verso tale conclusione indirizzano citazioni come «casa et curte Strove cum turre etcastello seo ecclesia q(ue) est in onore sancti Martini», «casa et curte Gallule cumcastello», «curte Fulignano cum ecclesia q(ue) est in onore sancti Laurentii et castro»;anche per Staggia si cita «casa et curte est posita / (l)oco Stagia (un)a insimul cum ipsocastro q(uod) castello vocatur et turre et ecclesia q(ue) est in onore sancte Marie»261.Il castello veniva quindi ancora distinto dalla corte, pur essendo in procinto di divenirne ilnucleo centrale, e di fatto sembra quasi rappresentare la sola residenza signorilefortificata, per altro di recente costituzione.Non veniamo poi a conoscere nessun altro particolare concernente la realtà insediativa emateriale di Staggia dopo la citazione del 994. Conosciamo invece le vicende a cui andòsoggetta nei decenni successivi, parallelamente alla storia dinastica dei Lambardi,connotata dalle deluse aspirazioni di innalzamento nella cerchia delle famiglie comitalidell'XI secolo, dalla dispersione del patrimonio nonostante i tentativi di coesione (si vedacome esempio l'azione di Bonifacio, figlio di Berizio, nipote di Ava e di Ildebrando, nel

256 CAMMAROSANO 1993, n.46, pp.35-37.257 KURZE 1989, pp.28-29.258 CAMMAROSANO et alii 1995, p.8.259 Si veda al riguardo CAMMAROSANO 1981.260 CAMMAROSANO 1993, n.1, 23 giugno 953; CAMMAROSANO 1993, n.2, 29 aprile 994;CAMMAROSANO 1993, n.3, 23 settembre 994; CAMMAROSANO 1993, n.4, 4 febbraio 1001; FALCE 1921,10 agosto 998.261 CAMMAROSANO 1993, n.2, 29 aprile 994.

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decennio 1070-1080262) e dalla progressiva estinzione della discendenza maschiledefinitivamente realizzatasi prima della fine del XII secolo. Il castello e la sua corte, giàfrazionati in più mani, iniziarono così, verso la metà dell'XI secolo, ad entrare nelpatrimonio dell'Abbadia a Isola per mezzo di acquisti e di donazioni (peraltro estese ancheagli altri castelli e chiese della famiglia). Nel 1048 il monastero riceveva «parte de castelloet curte de Stazia»263; nel 1086 accettava la donazione di una «portione de curtis etcastello de Staia cum turre et ecclesia sancte Marie ibi consistente et sancti Cirini»264 edacquistava una «portionem de la curte et castello de Stagia cum terris et vineis et eclesiiset sortis et donicatis et rebus» tranne «la turre qui est infra ipso castello de Stagia» 265.Un anno dopo Staggia, come gran parte del patrimonio dei Lambardi, doveva essere giàsaldamente nelle mani dei monaci di Isola, se questi concessero ad un esponente delladinastia dei fondatori, a livello vitalizio, la «curte et castello et turre et ecclesia cuivocabulum est sancti Marie de loco Staia» con il castello, torre e chiesa di San Martino aStrove, la corte, il castello, la chiesa e la torre di Santa Maria a Montemaggio, il castello ela chiesa di San Biagio in Castiglioni, il castello e la chiesa di Santi Filippo e Iacopo diBuciniano266.L'abbazia, comunque, tra 1105 e 1108 ottenne un'autonomia istituzionale pressochècompleta dalla dinastia dei fondatori e si rafforzò ulteriormente, autonomizzandosi dalleingerenze della diocesi volterrana alla quale apparteneva (quando la sede apostolica leconcesse l'ambito privilegio di esenzione, cioè la facoltà per gli abati eletti di rivolgersi aqualunque vescovo per riceverne l'ordinazione sacra267.Isola nel periodo 1104-1123 era entrata in relazione con una nuova famiglia di milites, iSoarzi: uno dei gruppi parentali minori legati alla dinastia dei Lambardi, già indicati inalcune carte come filii Rustici e provenienti dalla vicina Talciona. Nel 1123 Staggia,insieme a beni posti tanto nei dintorni quanto nei castelli di Strove e Castiglioni, fuconcessa in feudo agli esponenti di questa famiglia. Il castello continuava a rivestire nellasua zona un ruolo centrale, ed i Soarzi ricevettero infatti la concessione della residenzasignorile, la «pensione palatii de Stagia»268. Tentarono presto di emanciparsi dalmonastero e, come risulta da una carta ascrivibile in un periodo compreso tra il 1123 eprima del 1157, usurparono persino i suoi beni, costringendo i suoi contadini a «laborare(...) in curte et castello de Stagia»269. Pochi anni dopo ebbero inizio i primi interventi senesinella zona in funzione antifiorentina. Nel 1135 il vescovo senese Ranieri, che ebbe unruolo di primo piano nell'affermazione comunale di Siena, assicurò la tutela cittadina adIsola ed ai suoi possedimenti e sino dal 1137 ottenne dai Soarzi alcuni giuramenti difedeltà.La posizione dei signori di Staggia fu però mutevole e caratterizzata da alternanzepartitiche. Ancora nel 1156 Siena, evidentemente non sicura della loro obbedienza, licostrinse a giurare nuovamente fedeltà ricevendone in pegno il castello di Strove270; nel1163 riusciva ad acquisire le diverse quote di vari esponenti degli stessi Soarzi sui castellidi Monteagutolo, Montemaggio e Montecastelli271; un anno più tardi Ubaldino di UgolinoSoarzi donò al vescovo ed alla cattedrale senese i propri diritti sui castelli di Staggia,

262 CAMMAROSANO 1993, pp.59-68.263 CAMMAROSANO 1993, n.22, 1 maggio 1048.264 CAMMAROSANO 1993, n.38, 4 aprile 1086.265 CAMMAROSANO 1993, n.39, 25 aprile 1086.266 CAMMAROSANO 1993, n.40, 23 ottobre 1087.267 Si veda CAMMAROSANO 1993, pp.79-81; inoltre la breve recordationis in Isola, 45, 5 maggio 1108.268 CAMMAROSANO 1993, n.49, 1123 settembre 1.269 CAMMAROSANO 1993, n.105, XII secolo.270 Caleffo Vecchio del Comune di Siena, I, n.6, pp.12-13, 27 febbraio 1156.271 Caleffo Vecchio del Comune di Siena, I, n.7, p.14, gennaio 1163; n.8, vol.I, pp.14-16, febbraio 1163.

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Strove, Stecchi, Castiglione, Montecastelli, Stomennano e Montemaggio272; inoltre, nel1167, l'arcicancelliere imperiale Rainaldo confermava i diritti senesi sul castello di PodiumBonizi e sui domini nella zona Elsa-Staggia compreso il castello di Staggia273.Ma i rapporti continuarono ad essere mutevoli e persino ostili; già nel 1158-1159Ranuccio, signore del castello, si era distinto negli episodi di guerra intorno al Montemaggio, teatro di una sconfitta senese, per la sua appartenenza fiorentina e per la catturadi un certo Guglielmo alla quale seguì una rappresaglia sugli «homines et villanos ipsorumde Stadia» residenti a Stecchi ed imprigionati («in foveam misit») a Siena 274; ancora nel1170 Ranuccio veniva indicato come potestas fiorentino, cioè detentore di funzionicoercitive e amministrative nel contado di Firenze275.A seguito della definizione dei confini tra i contadi senese e fiorentino del 1176, Staggiatornò nuovamente verso Siena ed i Soarzi furono costretti ad atti di sottomissione e diregolamentazione delle proprietà immobili e dei diritti ad esse legati. Dopo la morte diRanuccio, i suoi eredi giuravano nel 1186 di rispettare i diritti dell'Abbazia a Isola nelcastello, nella sua corte, nella chiesa e di non alienarlo276. Staggia in questo periodo aveva già iniziato a trasformarsi; soprattutto l'impulso dato daIsola con la propria espansione patrimoniale, aveva portato ad una nuova dimensione delpopolamento ed alla nascita di un borgo. Molte carte lasciano infatti intravedere l'esistenzadi un distretto rurale, caratterizzato tanto da vivacità quanto da circolazione delle stesseproprietà; nel 1128 i preti di Santa Maria e San Pietro di Porclano davano in affitto unpezzo di terra posto a Staggia, confinante con i beni dell'Abbadia di Montecellese277; nel1144 viene venduta al suddiacono della chiesa di San Leonardo un pezzo di terra aStaggia278; nel 1153 veniva venduto un pezzo di terra sotto il ponte Staggia 279, inoltrevenivano donate a Isola «terram (...) in Staia»280; per il 1154 conosciamo una donazione almonastero di Isola delle terre di Setiminano, Breciano, Staggia e Monteriggioni281; nel1167 venivano vendute alcune terre nel piano di Staggia a piè di Montenero presso laterra di San Leonardo282; nel 1173 erano donati ad Isola beni situati nella zona che va dalfossato di Fontegrossoli fino alla Staggia, e dal Gena alla Staggia283.Nel corso del XIII secolo inoltre, sia l'ascesa economico-politica di Poggio Bonizio, sial'effetto della circolazione di beni e persone sulla via Francigena, avevano creato lecondizioni per una fioritura di Staggia, per un'ulteriore espansione del popolamento equindi un allargamento del suo borgo. Nella zona oltretutto operavano più soggetti; oltre aIsola ed ai Soarzi, vediamo attivi molti privati e lo stesso monastero di Marturi; conosciamocosì una permuta di terreni nella quale il monastero riceveva due terreni a Staggia incambio di quattro piccoli appezzamenti alle Caselle284, l'acquisto di un terreno posto lungolo Staggia sempre da parte di Marturi285.

272 CAMMAROSANO, PASSERI 1984, p.138.273 CAMMAROSANO, PASSERI 1984, p.133.274 CAMMAROSANO 1993, p.110.275 CAMMAROSANO 1993, pp.110-115.276 CAMMAROSANO 1993, n.94, 22 settembre 1186; si veda poi CAMMAROSANO 1993, pp.117-121.277 LISINI 1908, p.75, febbraio 1128.278 LISINI 1908, p.81, marzo 1144.279 LISINI 1908, p.85, 25 marzo 1153.280 CAMMAROSANO 1993, n.69; 29 novembre 1153.281 LISINI 1908, p.86, 29 novembre 1154.282 LISINI 1908, p.93, gennaio 1167.283 LISINI 1908, p.96, aprile 1173.284 Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Bonifazio, dicembre 1206.285 Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Bonifazio, 15 dicembre 1212.

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Nel 1221 fu attribuita dai senesi al territorio del comune di Poggio Bonizio suo alleato:«Nos potestas, iudex, camerarius Sen. donamus vobis potestati et camerario Podiibonizicastellum de Stagi, salvo quod, si quando comune Flor. vel episcopus Vulterr. vel aliuscontroversia faceret, ita quod questio verteretur de Staggia, comune Sen. possit castrumdefendere et postea restituere»286. Venivano poi regolati gli acquisti e la circolazione deiprodotti agricoli stabilendo «homines bonos et idoneos nos electuros iuramus, quos dieelectionis iurare faciemus, quod abinde ad XV dies confinabunt curtem de Staggia a curtede Castillione et a curte de Strove287. Inoltre sempre nello stesso anno gli uomini di PoggioBonizio e di Staggia giuravano società tra i comuni di Poggio Bonizio e Siena288.Anche dopo questa data, i documenti disponibili continuano a dimostrare una zona moltoattiva ed ampiamente sfruttata dal punto di vista della produzione agricola; per il 1225conosciamo la donazione a Marturi di molti beni tra i quali un terreno a Papaianoconfinante con le mura castellane ed un secondo in località la Fonte di Papaiano presso loStaggia289 ed un contratto d'affitto concernente una casa e terre nella corte di Staggia 290;nel 1232 privati vendono ad Isola un pezzo di terra con vigna posto oltre Staggia291; nel1248 venivano ceduti al rettore dello spedale di Santa Maria di Siena diversi terreni alPontevecchio, al Piano di Staggia, a Calvano292.Nel cinquantennio che va dal 1220 al 1270 Staggia fu soggetta agli effetti prodottidall'alterno confronto che vedeva impegnate Siena e Firenze; dopo essere rientrata primain possesso dei fiorentini poi di nuovo dei senesi, e dopo gli scontri che portarono anchealla scomparsa di Poggio Bonizio, il castello andò distrutto o per lo meno moltodanneggiato. Verso la fine del XIII secolo Staggia vide un periodo di rinascita, protrattosiper oltre un sessantennio. L'insediamento venne infatti individuato dalla famiglia deiFranzesi (i fratelli Musciatto, Albizo e Niccolò) come punto strategico fondamentale neldisegno politico che li animava e che concerneva ambizioni di portata regionale.I Franzesi, potenti finanzieri e magnati di origine fiorentina protagonisti di una grandeesperienza politico-economica in Francia alla corte di Filippo il Bello, legatasi poiprogrammaticamente all'ambito senese, avevano iniziato a costituire un solido edarticolato dominio di terre e castelli esteso sino alla valle dell'Ombrone senese ed alValdarno di Sopra. Musciatto ottenne l'investitura dei diritti imperiali su Poggibonsi eFucecchio; Albizzo acquistata Staggia, ebbe dall'imperatore Alberto I d'Asburgo nelnovembre del 1298 la facoltà di ricostruire il castello e l'autorizzazione all'esercizio deidiritti inerenti ad esso come dipendente dell'impero293.Il castello fu quindi riedificato nello spazio di quattro anni; nelle sue nuove forme,marcatamente ricalcate da modelli extraregionali e più specificatamente d'Oltralpe, siproponeva come l'espressione tangibile dei Frazesi nella loro veste di rappresentantidell'impero e sotto la sua protezione.Dopo un'iniziale successo della scalata tentata dalla famiglia, l'improvvisa rovina, dellaquale fu senza dubbio maggiore causa le conseguenze del fallimento subito dallacompagnia senese dei Buonsignori o Grande Tavola, costrinse Niccolò a ricomporre gliinteressi dei fratelli in un unico patrimonio e Staggia, della quale divenne signore, fu elettasua residenza.

286 Caleffo Vecchio del Comune di Siena, I, n.168, pp.232-238; 10 luglio 1221.287 Caleffo Vecchio del Comune di Siena, I, n.167, pp.231-232; 24-25 luglio 1221.288 LISINI 1908, p.226, 16-23 novembre 1231.289 Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Bonifazio, 9 aprile 1225.290 LISINI 1908, p.187, 12 dicembre 1225.291 Archivio di Stato di Firenze, Dipl. Colle, I, n.28; 1 febbraio 1232.292 LISINI 1908, p.392, 4 maggio 1248. 293 CAMMAROSANO et alii 1995, pp.26-27.

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Il rapporto di Niccolò con il castello si caratterizza come una vera e propria signoriaterritoriale; era conscio di uno status che gli permetteva di agire da dominus. Firenze,nonostante la sua posizione di debitore, non poteva fare altro che riconoscerne laposizione di signore feodali titolo.Alcuni esempi riportati da Pirillo ben illustrano questo comportamento e quindi la suagestione della zona come una signoria territoriale. Nel 1345 il fiorentino Bindo di SimoneGherardi, garantito da una sentenza, inviò un suo emissario a Staggia per reclamare icrediti detenuti dalla sua famiglia nei confronti dei Franzesi e questo venne aggredito.Sempre nello stesso anno un messo di Bindo si era recato al castello di Montedomenichidove viveva il figlio primogenito di Niccolò; si ripetè l'aggressione con l'aiuto di un discretonumero di uomini armati dipendenti di Niccolò e tutti provenienti da Staggia. Al tempostesso, nel 1341, dietro richiesta della Signoria di Firenze, inviò da Staggia quaranta fantiin aiuto dell'esercito cittadino. La politica di Niccolò fu comunque molto intelligente edabile; la prova è nella scelta di Staggia come sede per la firma di un'alleanza che vedevariuniti nella chiesa di Santa Maria i rappresentanti di Firenze, Arezzo, Siena e Cortona.Nel 1361 Staggia fu ceduta dai suoi eredi a Firenze ed entrava finalmente nel dominiodella città, trasformandosi da centro autonomio ed importante a centro periferico di un benpiù ampio stato. Dieci anni più tardi la stessa Firenze provvide ad un restauro del castelloe, nello spazio di altri due anni, cinse il borgo di mura; inizialmente le fortificazioni furonoinnalzate per circa 7 metri poi, dopo la necessaria prova di fedeltà della popolazione,vennero accresciute sino a 10 metri e mezzo; vi fu posta inoltre una guarnigione di armati.Nonostante tutto, l'insediamento manteneva ancora l'importante connotazione di basestrategica per eventuali scorrerie contro Siena.Agli inizi del XV secolo era uno dei centri fiorentini più importanti per la raccolta del granoproveniente dalla Maremma294 e fu inserita nella Lega del Chianti. Nel 1422 i Consiglieridel Consiglio Generale di Staggia decisero, dietro votazione quasi unanime, di comporreuna commissione per redigere uno statuto in modo da «governarsi con regola e con buonoordine vivere»; sembra comunque, dal tono della deliberazione, trattarsi di unaricompilazione di normative già esistenti295. Lo statuto ci da modo di osservare l'organizzazione amministrativa della comunità e la suaeconomia. E' assente la carica di Podestà (chiaramente corrisponde a quello di Radda edella Lega del Chianti), ma i Priori erano rappresentati dai «Tre delle spese» che avevanoun mandato di tre mesi, si alternavano alla carica di Priore ed il loro compito era governarela comunità e relazionare tutti gli affari riguardanti il Comune al Consiglio Generale.Esistevano poi un Camarlengo, due Viari, due Estimatori, due Pennonieri, due Paciari,infine quattro guardie segrete per vigilare in materia criminale e soprattutto sull'integrità deicampi. La maggiore parte delle disposizioni statutarie riguardavano l'agricoltura el'allevamento, attente in particolare alle vigne, alle coltivazioni di zafferano (all'epoca fontedi grande ricchezza, sia per l'uso speziale sia per il suo impiego come tintura), alle normedi macellazione delle carni. Altre disposizioni riguardavano le feste religiose dedicata allaVergine Maria e a Sant'Antonio, per le quali si curavano offerte di ceri, i funerali, lebestemmie ed il gioco d'azzardo. Infine si dedicava molta attenzione alla cura delle vie, deiponti e delle strade.Staggia era quindi in questo periodo una comunità rurale molto interessata ad unagestione ottimale delle istituzioni ed attenta a regolarizzare, sia in fatto di giustizia sia inambito normativo, le attività produttive che la connotavano, nonchè ad amministrare lacura di quella viabilità che per secoli aveva condizionato la sua storia.

294 PINTO 1982, p.348 n.39.295 CAMMAROSANO et alii 1995, pp.42-43.

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Ancora in questi anni il castello appare abbandonato all'incuria, tanto che nello Statuto siimponeva agli abitanti di mantenerne pulite le ripe e tenere lontane le bestie296. Nel 1431, le fortificazioni del castello furono oggetto di rimaneggiamenti e rafforzamentiche permisero di resistere con successo all'assedio portato dagli uomini di Filippo MariaVisconti impegnato contro Firenze297. Dopo il coinvolgimento nella guerra tra Alfonso diAragona e Firenze del 1452, Staggia salì nuovamente al ruolo di base principale nelleoffensive contro Siena nel 1555. Già nel 1545 le autorità locali, insieme a quellepoggibonsesi, avevano presentato al duca Cosimo la richiesta di esclusione di Staggiadalla podesteria di Radda in Chianti ed il suo accorpamento nella podesteria diPoggibonsi. Dopo la definitiva sconfitta di Siena, la comunità tornò definitivamente arappresentare un nucleo rurale periferico del dominio fiorentino e le sue fortificazionicaddero lentamente in disuso, parallelamente al declinare dell'importanza strategica delluogo.

c. La Rocca ed il borgo - Il castello presenta oggi una pianta subrettangolare, divisainternamente in due parti da un lungo muro interno con orientamento ovest est; la cinta hadue torrioni rotondi, collocati a nord ovest e a sud, mentre nel lato nord est, in posizioneangolare, si erge una terza torre a pianta quadrata. A cavallo del muro interno è collocatoil così detto mastio; si tratta di una quarta torre in pietra, con porte ad arco acuto e trebifore ad arco tondo su due archetti acuti in alto, e con coronamento ad archetti sumensole a piramide rovescia; questi ultimi sono sormontati dalla merlatura e da uncampanile a vela, prodotto da un restauro moderno.Nel complesso la fortificazione risulta articola in una bipartizione haut cur-basse cour ericorda nella sua struttura modelli estranei alla Toscana. L'impianto, nella sua concezioneurbanistica, insiste indubbiamente sul progetto di rifortificazione realizzato alla fine del XIII-inizi XIV secolo dai nuovi signori, i Franzesi. La divisione tra un ampio cassero ed ungrande recinto aperto, così come la presenza di torri cilindriche angolari, rimandano adanaloghe tipologie francesi; è secondo noi ben centrato il confronto con il castello francesedi Coudray-Salbart (Niort) impiantato nei primi decenni del XIII secolo298.Anche le due torri cilindriche non trovano diffusione in ambito toscano, se non a partiredalla seconda metà del XV secolo, quando furono rese necessarie dalla nuova efficaciadell'artiglieria; in Francia, nello stesso periodo della loro costruzione a Staggia, eranoinvece ampiamente diffuse. L'eventuale attività di maestranze provenienti d'oltralpe, èun'ipotesi che trova elementi di supporto nelle pagine di Davidsohn, quando accenna aduna speciale competenza ed esperienza di Musciatto Franzesi nell'arte di costruire.Le due torri cilindriche con ampia base scarpata delimitata da un cordolo in pietra e lacinta muraria orientata nord ovest-sud rappresentano quindi la parte più antica dellafortificazione, mentre tutta la parte del castello che guarda a nord e nord est è attribuitacomunemente all'opera di ristrutturazione fiorentina negli anni 1371-1373 (come attestatodai caratteri stessi delle murature, molto simili a quelle riscontrabili nella cinta del borgo).In conclusione, la rifortificazione franzese di Staggia si conserva quasi integralmente sullato che guarda il borgo, mentre i successivi interventi cittadini non mutarono, bensìripercorsero, la topografia dettata ad inizi trecento. Della fortificazione operata dai fiorentiniresta anche la torre a pianta quadrata, collocata sulla cinta in coincidenza dell'angoloorientale; tale struttura risulta fortemente danneggiata e cadente ma si riconoscono moltobene tracce di difesa "piombante" che potrebbero essere ricondotte agli interventi di primametà del XV secolo: alcune caditoie parzialmente a scivolo e caditoie pienamenteappiombo disposte casualmente e tutte riprese nei successivi restauri.

296 Si veda per maggiori approfondimenti l'ampio studio di Pucci in CAMMAROSANO et alii 1995.297 PIRANESI 1924, p.21.298 Proposto in CAMMAROSANO et alii 1995, tav.12.

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Le persistenze del castello franzese sono poi riscontrabili in coincidenza della torreindicata come mastio e sul circuito della corte di più piccola estensione.Mentre il suo aspetto attuale è stato prodotto dalle successive ricostruzioni iniziate apartire dalla fine del XIV secolo, il basamento della torre mostra invece un tratto dimuratura reintegrata nelle successive ristrutturazioni; è in accurato filaretto di travertino epresenta due portali ogivali manomessi, archivolti a sesti acuti, un'apertura con architravesorretto da due mensole stondate e sormontato da archivolto e lunetta; il portale posterioreè tamponato e comunenemente viene indicata come l'accesso di una cappella delcastello.La torre si affacciava su spazi per gran parte occupati dal palazzo signorile. Di questoedificio restano pochi indizi ma sappiamo di un'articolazione su almeno due piani. Alcunegrandi buche pontaie, che permettevano l'inserimento di grosse travi atte a sorreggere lapavimentazione di ambienti sopraelevati, indicano infatti l'esistenza di un piano superiore;si caratterizza per due finestre con sedili laterali, molto ampie e ad arco ribassato, inmezzo alle quali rimangono le tracce di un elegante camino gotico, con due colonnettescolpite a tortiglione.Sono inoltre erano visibili sul terreno, prima della ristrutturazione del complesso, alcunicapitelli erratici che potrebbero avere fatto parte tanto del palazzo quanto della chiesa delcastello.Il borgo appare completamente circondato da mura e da torri ed aveva tre accessirappresentati dalla porta Romana, scomparsa nei primi del 'novecento, dalla portaFiorentina e dalla più piccola porta a Lecchi. La descrizione di Bargellini ci da modo di sapere che la porta Romana o Seneseintroduceva nella via principale del paese ed era completamente in pietra come il restodelle mura; caratterizzata da due archi scemi, quello interno più basso, sulla sua sinistrasorgeva un'alta torre a pianta quadrata, già mozzata.La porta Fiorentina è ad arco ribassato doppio con intercapedine, senza posto sovrastanteper la saracinesca, prolunga all'esterno con un arco più alto e strombato all'interno; ai suoilati sono poste due torri quadrate con all'interno una grande arcata alta, in seguito chiusaed utilizzata come abitazione.Anche la porta a Lecchi è ad arco ribassato, sormontato esternamente da due grandimensole. All'esterno si osservano i resti di un antemurale composto di due alti pilastri e unarco rotondo; sono senza dubbio indizio di un apparato a sporgere, nella fattispecie unacaditoia che fungeva da difesa piombante su uno dei punti più vulnerabili della cinta.La via Francigena attraversava longitudinalmente il borgo dalla porta Romana alla portaFiorentina, dividendosi con una biforcazione sulla destra in direzione della porta a Lecchi.Le mura attualmente visibili, con circuito a poligono irregolare, risalgono all'interventofiorentino del 1431, quando cioé Firenze trovando gli edifici di Staggia privi di difese esoggette di conseguenza ai saccheggi dei soldati di ventura, decise di fortificarla. Nonsono rimaste tracce della fortificazione senese del 1273 e di quella ancora fiorentina di unsecolo più tardi. La cinta si conserva quasi interamente, eccetto il breve tratto a sud incoincidenza della scomparsa porta Romana; racchiude uno spazio di circa 300 metri edera intervallata da numerose torri, conservate oggi in numero di undici; sei sono quadrate,di cui una nell'angolo nord ovest, mentre negli altri angoli hanno forma pentagonale. Letorri sono in buono stato di conservazione, anche se la parte sommitale è spesso alterata;quella pentagonale di sud ovest presenta all'esterno una serie di mensole in mattoni. Su tutto il circuito delle mura, in vario stato di conservazione, sono ancora visibili deibeccatelli composti ognuno da tre pietre bozze di pietra rastremate in modo da assumereforma triangolare. Erano destinati a sostenere un cammino di ronda per la maggior partein assito di legno; alcuni dei becattelli, infatti, presentano anche degli archetti in laterizio,indiziando la presenza (più ridotta nella sua diffusione) di camminamenti in muratura. Tali

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mensole rappresentano uno dei pochi esempi toscani, e tra i migliori per conservazione, diapparati a sporgere interni. Una soluzione simile trova confronto nel vicino castellochiantigiano di Rencine nel comune di Castellina in Chianti; segnaliamo, come ha riportatoMoretti a più riprese, che le due fortificazioni sono accomunate dalla visita di FilippoBrunelleschi nel 1431, inviato di Firenze al fine di esaminare e relazionare sul da farsi peril riordino delle difese di quei castelli ancora controllati dalla repubblica.M.V.

d. Lo scavo archeologico; novembre 2004 – maggio 2005: risultati preliminariDall’inizio del 2003 la Rocca di Staggia è oggetto di un intervento di restauro eristrutturazione. Tenendo conto dell’importanza del sito ricostruita sulla base delle indaginistoriche e delle emergenze monumentali ancora visibili e, soprattutto, in seguito ai datiemersi nei 6 saggi di scavo condotti preliminarmente dalla proprietà (gennaio-luglio 2003),l’Amministrazione Comunale di Poggibonsi ha sollecitato un’indagine stratigrafica piùestesa da parte dell’Area di Archeologia Medievale dell’Università degli Studi di Siena.L’indagine si è concentrata su due aree. La prima (Area 1, circa 400 mq) si colloca nellaparte settentrionale della corte alta ed è divisa in tre settori distinti sulla base delleemergenze murarie attualmente visibili. La seconda (Area 2, anch’essa circa 400 mq)occupa buona parte della corte bassa (porzione sud-ovest del sito), sede delle maggioriattività relative al cantiere edile per il restauro della Rocca durante il periodo dell’indaginearcheologica. La strategia di intervento ha previsto la conduzione di uno scavo stratigraficoper l’area 1, mentre nell’area 2 gli archeologi hanno solamente messo in atto un’attività dicontrollo sulle operazioni di scavo con mezzi meccanici effettuate della ditta di costruzioniresponsabile dei lavori di restauro, al fine di valutare la consistenza del depositoarcheologico e documentare le evidenze messe in luce.

d.1. Area 1. Settore A - Il palazzo dei Soarzi e le fasi bassomedievaliIl primo intervento archeologico in ordine di tempo è stato svolto nella cosiddetta “cortealta”, nel settore A di scavo. L’area indagata era delimitata dai muri di un edificiomedievale, crollati oppure volutamente rasati in periodo post-rinascimentale. Questi muriracchiudevano uno spazio destinato ad un’abitazione di tipo privilegiato, forse anche confunzioni di rappresentanza, come sembra far supporre la presenza di una portamonumentale sul lato est. Inoltre, il notevole spessore dei muri (più di 1 metro) faipotizzare che si trattasse di un edificio a più piani, nel quale al piano terreno si trovavaun’aula di rappresentanza e ai piani superiori erano collocati i veri e propri ambientiabitativi. Si tratta in sostanza di un edificio palaziale, la cui costruzione, sulla base delletecniche murarie utilizzate, può essere riferita al periodo compreso tra XII e XIII secolo,quando il castello era di proprietà della famiglia dei Soarzi.La lettura stratigrafica degli elevati conservatisi per la maggior parte al livello dellefondazioni, messe in evidenza con l’approfondimento dello scavo in quest’area, hapermesso di ricostruire le diverse fasi costruttive dell’edificio. Il nucleo originario delpalazzo, risalente all’XI-XII secolo, era costituito da una struttura quadrangolare, che sisviluppava verso ovest e della quale non si possono ipotizzare le dimensioni e la piantaprecisa; i notevoli rifacimenti e livellamenti successivi devono avere cancellato le traccearcheologiche riferibili a questo periodo, poiché lo scavo non ha restituito alcun livello difrequentazione.Successivamente, tra XII-XIII secolo, la struttura fu ricostruita, ampliandone le dimensioniche raggiunsero circa i 16x10,50 m, e prevedendo un ingresso con arco a tutto sesto nellato orientale; anche di questa fase di vita dell’area non sono state individuate tracce neldeposito stratigrafico.

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Con la costruzione della nuova fortezza da parte della famiglia dei Franzesi a fine XIII-XIVsecolo, vennero rialzati i muri del palazzo e circondati da un nuovo circuito di fortificazione;l’ingresso est fu tamponato con la costruzione di nuovo muro, che divideva la “corte alta”del castello da quella bassa; venne prevista una nuova apertura sul lato sud, come sievince dalla quota della soglia monumentale inserita nel muro meridionale del palazzo.In un ultimo momento, probabilmente durante i rifacimenti fiorentini alla rocca e all’abitatodi Staggia nel periodo compreso tra l’inizio del XV e il XVI secolo, all’interno dell’edificiovenne costruito un pavimento in laterizi posti di piatto, che terminava ad ovest con la baseper un camino monumentale; era probabilmente simile a quello visibile lungo il primo pianodel circuito murario dei Franzesi e si conserva parzialmente solo la parte ovest, mentrequella est manca quasi completamente, forse perché asportata da interventi costruttivimoderni e contemporanei. Una misurazione dei pochi laterizi ancora interi del pavimento edel camino (analisi mensiocronologica) ha permesso di dare una datazione di massimaintorno alla metà del XVI secolo.Gli interventi successivi saranno solo di consolidamento. La costruzione di un contraffortelungo il muro portante sud e di un pilastro posto al centro dell’ambiente serviva asorreggere probabilmente i piani superiori dell’edificio; i pilastri e i contrafforti riutilizzano inmaniera disomogenea conci di travertino a forma trapezoidale forse relativi al periodo deiFranzesi, laterizi e pietre non lavorate di varie dimensioni. Questi servivano probabilmentea suddividere in due vani il vecchio ambiente palaziale, lasciando però due aperture dicollegamento. Più tardi le aperture vennero tamponate con un muro continuo, costituito dapietre di forma disomogenea, asportato probabilmente dai lavori del cantiere moderno, efu lasciata solo una piccola apertura di passaggio da un vano all’altro.

d.2. Area 1. Settore A - Le fasi precedenti al palazzoLo scavo ha mostrato la presenza di tracce precedenti alla costruzione dell’edificiopalaziale, sulle quali non si possono formulare ipotesi approfondite a causa delle limitatedimensioni dell’area scavata, delle interferenze causata dai lavori di restauro in corso e dairifacimenti subiti durante la vita della struttura. In particolare, la presenza del pavimento inmattoni pertinente all’ultima fase del palazzo, che non poteva essere asportato senza ilparere positivo delle Soprintendenze competenti, ha ritardato lo scavo di tutta la porzionenord-ovest dell’ambiente, indagata solamente durante la parte finale dell’intervento; inoltre,la presenza di pozzetti e numerose fognature impiantati in seguito ai lavori del cantiereedile attuale (la cui realizzazione ha comportato perdita di deposito archeologico el’alterazione della fondazione del muro meridionale del palazzo) e la presenza di numerositagli attribuibili a vari rifacimenti della struttura nel corso del tempo hanno limitato lasuperficie che conservava intatto il deposito altomedievale.Due strutture murarie di fattura poco accurata con orientamento est-ovest sono statemesse in luce con l’approfondimento dello scavo nella parte centrale e in quella suddell’ambiente; le due evidenze sembrano essere state costruite in un periodo precedenteall’edificazione del palazzo dei Soarzi: una si colloca esattamente al centro dell’area discavo ed è forse interpretabile come base per pilastro (dimensioni 1,20 x 0,80 m); l’altromuro si trova nella porzione sudovest (dimensioni identificate 5,3 x 0,80 m) ed è statospoliato in epoca successiva (in un punto si è individuato solamente il taglio difondazione). Non sappiamo a quali edifici ricollegare questi due muri; potrebbero essereriferibili all’insediamento di fine X secolo attestato dalle fonti scritte come ‘curtis’, ma solouno studio approfondito dei reperti e il confronto con la sequenza stratigrafica degli altrisettori potrà chiarire maggiormente la situazione.Nello spazio compreso tra i due muri sono stati messi in luce dei piani di tufo abbastanzacompatto, tagliati da un’escavazione piuttosto bassa riempita da terra di colore marronescuro con frequenti tracce di carbone. L’evidenza è probabilmente interpretabile come il

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disfacimento di una capanna lignea semiscavata tipo Grubenhaus, a pianta rettangolarecon angoli fortemente stondati (dimensioni 3,60 x min. 1,8 m; la struttura non èinteramente conservata in larghezza e nella profondità dell’escavazione). All’interno deltaglio si sono individuate almeno 4 buche di palo, due angolari e due lungo i lati corti. Dueconcentrazioni di carboni e terra fortemente concotta rinvenute all’esternodell’escavazione (una presso l’angolo sudovest e una nella porzione nordovest del settore)sono interpretabili come focolari aperti esterni o come semplici livelli di abbandono. Lacapanna e i punti di fuoco sembrano essere in fase e possono essere collocati in periodosicuramente precedente alla costruzione dei due muri sopra descritti, che tagliano lestratigrafie carboniose.Altre tracce relative ad una frequentazione precedente l’impianto palaziale dei Soarzi sisono individuate, seppure in modo discontinuo, su tutta l’area scavata e nel ristretto spaziosul retro dell’edificio, compreso fra il muro perimetrale di quest’ultimo e la fortificazione piùtarda. In particolare, si segnala la presenza di piani di calpestio, livelli di terra fortementeorganica, livelli di terra annerita e diverse buche di palo; per un’interpretazione affidabile diqueste evidenze occorrerà attendere uno studio più approfondito della documentazione edei reperti.

d.3. Area 1. Settore B - Il palazzo dei Franzesi e le fasi di frequentazione del castelloIl settore B dello scavo era occupato in età tardomedievale dal palazzo trecentesco deiFranzesi; l’edificio si appoggiava verso ovest direttamente al circuito murario, sul qualesono ancora ben visibili le tracce di vita del palazzo (un camino monumentale al primopiano, due finestroni con sedili, i buchi delle travi che sorreggevano il piano superiore); adest era delimitato da un muro con pilastri a base ottagonale su cui si impostavano dellecolonne che reggevano una serie di aperture, probabilmente ad arco acuto. Ciò significache il piano terreno della struttura era aperto e dava probabilmente su un’area aperta (ilsettore C?). Nulla sappiamo delle pavimentazioni interne al palazzo, perché sono staterinvenute nello scavo solo le tracce del cantiere per la costruzione dell’edificio tra le qualisi sono identificati livelli di disfacimento con forte presenza di malta, alcune buche di paloriferibili a ponteggi e una struttura in muratura probabilmente di natura temporanea. Inoltrealcuni strati di livellamento (la cui datazione alla fase dei Franzesi o ad un periodoprecedente resta per ora incerta) servivano a creare il piano di frequentazionebassomedievale.Alcuni livelli precedenti a questa frequentazione sono al momento di difficileinterpretazione. Potrebbe trattarsi ancora di attività di cantiere e, almeno in parte, livelli divita riferibili alle prime fasi del castello. Il cattivo stato di conservazione del deposito,pesantemente intaccato fino a queste quote dalla frequentazione successiva, nonpermette di avanzare ipotesi più circostanziate. Un’analisi più dettagliata della sequenza,anche alla luce dello studio dei reperti, potrà in futuro chiarire meglio la situazione.Lo scavo ha comunque rilevato che la costruzione di questa imponente struttura avevadeterminato la distruzione di un precedente circuito di fortificazione (descritto in seguito),che tagliava obliquamente tutto il settore, dal muro con pilastri a sud fino alle fondazionidel muro di cinta dei Franzesi a nord.

d.4. Area 1. Settore B - Fasi precedenti il castelloLa parte di insediamento individuato in questa zona si dispone, fin dalla sua fase piùantica, su almeno tre terrazzi, che regolarizzano il naturale andamento digradante dellacollina e sono chiaramente leggibili nella parte indagata; si nota soprattutto una notevoledifferenza nella conservazione del deposito relativo alle fasi qui trattate.Per la porzione più alta il deposito più antico è stato in buona parte compromesso aseguito delle attività di livellamento e riuso degli spazi effettuate durante la vita della rocca;

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a ciò vanno aggiunti i naturali fenomeni di dilavamento, trattandosi della porzione piùelevata dell’intero sito. Si sono conservate solamente alcune buche di palo che possiamoattribuire a questo periodo in quanto tagliate dalla cinta muraria costruitasuccessivamente.Nel terrazzo a valle, dove il deposito si è ben conservato anche a causa della presenzadella cinta muraria della rocca, si sono messi in luce chiari allineamenti di buche di palo inbuono stato di conservazione; presentano forma squadrata e sono quasi sempre dotate diciambella tufacea al fine di rinforzare la stabilità del palo; in diversi casi si sono riscontrateevidenze di un riuso anche multiplo degli alloggi. Altre evidenze che completano il quadrostrutturale sono rappresentate dai disfacimenti di muri in terra, presenti su buona partedell’area indagata. In via del tutto preliminare si possono identificare due strutture in legnodi medie dimensioni (oppure una di grandi dimensioni) che occupano tutto lo spazioindagato; la presenza di almeno due punti di fuoco e di una pavimentazione in terra conchiare tracce di frequentazione (spargimento di cenere e carboni), oltre al rinvenimento dinumerosi reperti (ceramica da fuoco e da mensa, ossa animali), orienta l’interpretazionedelle capanne verso una funzione abitativa. Un allineamento di buche di palo parallelo allapiù tarda cinta in muratura (che in alcuni casi taglia le buche stesse) non preclude l’ipotesicirca l’esistenza di una fortificazione in legno, la cui presenza andrà comunque verificataalla luce di una più attenta interpretazione delle evidenze.Il primo insediamento finora rintracciato sulla collina è quindi costituito da strutture inarmatura di pali con elevati in terra, forse disposte all’interno di un recinto ligneo. Ladimensione delle strutture, la regolarità degli allineamenti e l’uso di pali squadrati sonochiaro indice di una buona tecnica costruttiva degli edifici individuati; sembra di poterindividuare la presenza di una comunità che possiede conoscenze tecnologiche di uncerto livello, soprattutto per quanto riguarda il ciclo di lavorazione del legno.In un momento successivo viene dismessa la grande struttura in legno riferibile alla fasepiù antica e si procede alla costruzione di una cinta muraria che mantiene comunquel’orientamento dell’insediamento precedente. La struttura alloggia all’interno di un taglio difondazione (irregolare e a fossa larga nella parte superiore, a fossa stretta nella parteinferiore; ed è costituita da grandi conci di calcare sommariamente lavorati, legati da maltadi calce e, a tratti, da terra tufacea. In corrispondenza del terrazzamento artificiale chelivella il pendio naturale e divide lo spazio interno in senso ortogonale al muro di cinta, èstata individuata una sorta di palizzata o robusto steccato; l’evidenza, per ora attribuita aquesta fase sulla base di rapporti stratigrafici non del tutto inequivocabili, attende unadatazione relativa ed assoluta che potrà venire dai risultati della campionatura di carboni incorso di analisi al C14 e da uno studio sistematico dei corredi ceramici (in assenza di altrichiari reperti datanti quali monete, small finds, ecc.).Nella terrazza più alta non si è conservato il deposito relativo a questa fase, ma solo letracce di cantiere della fortificazione, con chiare evidenze riferibili alla cava delle pietrenecessarie per la sua realizzazione. Nella parte più a valle si è messo in luce un livellofortemente organico con evidenti tracce di vita (numerosissimi reperti ceramici da fuoco eda mensa) e di attività artigianali (scorie di forgia, probabile macellazione di maiali in loco).Le uniche tracce strutturali sono riferibili ad una capanna rettangolare in armatura di pali;l’edificio, di modeste dimensioni (circa 4x2,5 m), presenta una tecnica costruttivaabbastanza approssimativa, soprattutto se paragonato alle evidenze della faseprecedente.In definitiva, non è al momento possibile avanzare ipotesi interpretative circa ladestinazione della porzione più elevata, sia per la pessima conservazione del deposito, siaper le incertezze circa un eventuale divisorio interno in legno che contribuirebbe acaratterizzare quest’area come centrale. Per quanto riguarda la terrazza più bassa si puòinvece proporre un’interpretazione, se pur preliminare, come area adibita allo scarico di

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materiali e/o allo svolgimento di attività artigianali, con la presenza di piccole strutture inarmatura di pali.La fase che, a livello stratigrafico, precede immediatamente i livelli riferibili al castello vedel’obliterazione della situazione precedente da parte di una nuova pavimentazione in terrabattuta cui sono associati basamenti in muratura legata da terra fortemente tufacea,allineati con la cinta muraria (sia ortogonali, sia paralleli); a questi si aggiungono leevidenze relative ad un piccolo focolare a pozzetto, alcune buche di palo almeno in partedirettamente impostate sui basamenti in muratura e, sparse su buona parte del settore,numerose tracce probabilmente riferibili a disfacimenti di muri in terra. Basandoci ancora una volta sui pochi rapporti stratigrafici disponibili per la porzione chedivide le due terrazze dell’insediamento, sembra che la divisione interna in legnoipoteticamente riferibile alla fase precedente sia ora sostituita da una struttura in muraturalegata da terra sulla quale si impostano in un primo momento degli alloggi per pali,probabilmente poi sostituiti da elevati in terra. Pur avendo preliminarmente collocatoentrambe le fasi d’uso del muro in questo periodo, non è da escludere che almeno laprima delle due sia da riferirsi al periodo precedente.Riassumendo, si configura una fase insediativa costituita da strutture in “materiali misti”.Con le necessarie cautele dovute all’esiguo spazio indagato, pare di poter individuarenelle case in terra su basamento in muratura la tipologia edilizia più diffusa. Queste sidispongono sia all’interno, sia all’esterno del circuito murario in pietra e sono affiancate dastrutture di modeste dimensioni realizzate in armatura di pali. Ancora una volta nonpossediamo evidenze per la parte più alta dell’insediamento.

d.5. Area 1. Settore CLo scavo in questo settore della Rocca è consistito nella ripulitura del banco rocciosoaffiorante; infatti, l’asportazione del deposito stratigrafico è avvenuta mediante escavatoremeccanico da parte della ditta edile in collaborazione con l’archeologa Cosi. Nonostantedalla documentazione fotografica effettuata prima dello scavo sembra che il deposito inquesto punto fosse di scarsa consistenza e probabilmente riferibile ad attività di epocamoderna, è stato impossibile controllare di persona questa ipotesi.Lo scavo, quindi ha riguardato solamente le tracce più antiche conservatesi in questopunto del castello, ovvero la costruzione di edifici in materiale deperibile direttamente sullosperone roccioso; quest’ultimo probabilmente fu regolarizzato e spianato sia in epocamedievale sia in epoca post-medievale: in particolare sono ancora visibili in alcuni punti letracce dell’escavatore meccanico sul banco di roccia.Lungo il muro che chiude ad ovest il settore di scavo sono state individuate le maggioritracce; si tratta di una serie di buche e fosse scavate sullo strato roccioso in vari periodi econ varie funzioni. Infatti, alcune delle buche individuate sono servite per l’impianto diimpalcature lignee nella costruzione del muro che unisce la torre quadrata a quellarotonda (quindi in epoca trecentesca), mentre almeno una può essere riferita alle radici diun albero, che si trovava in questo punto prima dei lavori di restauro e di scavo.Altre tracce di buche di palo e di silos potrebbero, invece, essere riferite allafrequentazione altomedievale dell’area; non è possibile allo stato attuale fare ipotesisull’andamento degli edifici lignei, anche perché molto probabilmente lo spianamentomedievale o moderno della parte più alta dello sperone roccioso ha asportato il depositostratigrafico di questo periodo (battuti, piani di vita, focolari, disfacimenti), così come haasportato anche i livelli relativi alle prime fasi di vita del castello (X-XIII secolo).Le tracce maggiori della frequentazione altomedievale si conservano a nord, dove losperone roccioso inizia ad abbassarsi di quota con una specie di terrazzo; qui sono stateindividuate tracce di buche di palo che sembra avere un orientamento simileall’andamento del terrazzo che prosegue nel settore B (vedi descrizione). Non è stato

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possibile però approfondire lo scavo in questo punto per la presenza di uno dei pozzetticostruiti dal cantiere attuale.

d.6. Area 2L’indagine condotta nella corte bassa del castello di Staggia ha evidenziato la presenza ditre emergenze monumentali sinora sconosciute: una cinta muraria precedente a quellacostruita dai Franzesi, i resti di un edificio bugnato che si sviluppa ad ovest della cintamuraria e una cantina quadrangolare costruita tra le due suddette strutture.Il muro di cinta rinvenuto è caratterizzato da una muratura in pietre squadrate e correparallelo all’odierna cinta muraria costruita dai Franzesi (fine XIII – XIV secolo). Il fortespessore del muro, circa 1,5 m, permette di interpretare la struttura come una cintamuraria relativa al castello della famiglia dei Soarzi (XII-XIII secolo). In alcuni tratti il murorisulta scarsamente conservato; nella porzione sud-est segue la pendenza della collinache aumenta progressivamente verso sud. I saggi eseguiti a ruspa hanno dimostrato laconservazione in elevato del muro per almeno due metri di altezza, dimensioni destinatead aumentare considerevolmente nel caso si operassero ulteriori interventi di scavo neltratto in questione.Alcune evidenze individuate durante lo scasso effettuato dal cantiere edile per lacollocazione di tubature e pozzetti per la corrente elettrica nella porzione settentrionale delsettore, fanno ipotizzare una conservazione del muro anche su questo lato; seppuretranciato dalle attività dell’escavatore, ne è stato infatti individuato un tratto con unorientamento diverso, perpendicolare a quello sopra descritto, che probabilmentericollegava il circuito di fortificazione con il palazzo dei Soarzi (XI-XIII secolo) sito nellacorte alta. Nel complesso si può quindi ipotizzare che il muro fosse lungo circa 50 metri, dicui 20 m ancora ben conservati.I resti di un edificio, costruito con pietre squadrate e rifinite negli angoli con decorazioni abugne, sono stati rinvenuti a circa 5 metri di distanza dal muro di cinta. I resti per ora sonocostituiti da due muri legati ad angolo retto: il primo che si sviluppa in senso Nord-Sud siconserva per 13 metri, mentre il perimentrale sud è lungo 5 metri. Nella parte nord sembradi intravedere l’angolo nord-est dell’edificio, al quale si lega un terzo muro con direzioneest-ovest, probabilmente il perimetrale nord della struttura. Per la tecnica di lavorazionedelle superfici dei conci, con decorazione a bugne, si può ipotizzare che si tratti di unedificio privilegiato posto all’interno del castello, costruito probabilmente nel XIII secolo.L’area interna ai muri, in cui la ruspa ha messo in luce una sezione esposta, ha rivelato aldi sotto di un forte strato di abbandono i livelli di vita dell’edificio. Quindi, gli strati difrequentazione di questa struttura ed i reperti ad esso collegati sono ancora totalmente daindagare.Lo spazio compreso tra il muro di cinta e i resti dell’edificio privilegiato vennero occupatinel XV secolo da una cantina che sfruttava le antiche murature come muri perimetrali. Lacantina presenta una pianta leggermente trapezoidale e occupa una superficie di circa 12x 5 m. Sul lato nord si apriva un ingresso monumentale con una serie di gradini cheovviavano alle differenze di quota tra il piano di frequentazione del castello e quelloseminterrato della cantina. Il lato sud venne chiuso con un nuovo muro, ora in condizionistatiche precarie. Per l’edificazione della struttura vennero probabilmente riutilizzate lepietre spogliate dai muri ormai in disuso. Il riempimento e il definitivo interramento dellastruttura sembra essere stato effettuato in un unico momento dopo il suo abbandono (glistrati di terra sono piuttosto omogenei e presentano pochi reperti al loro interno),probabilmente tra XVII e XIX secolo, in un momento in un cui il castello aveva perso ogniimportanza abitativa o strategica.La copertura, rinvenuta crollata al momento dell’intervento di recupero, era realizzata conuna volta a botte in laterizi e si impostava sulle murature preesistenti, preventivamente

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scalpellate. Le pareti interne della struttura sono ricoperte da uno spesso strato di intonacobianco sul quale sono state rilevate le tracce di incisioni manuali probabilmente riferibili aconteggi effettuati durante l’uso come magazzino per derrate alimentari.A nord di questo edificio è stato messo in luce un muro con orientamento est-ovest,parallelo al muro nord della cantina, che presenta alla base almeno due archi a tutto sestotamponati, con funzione di scarico del peso della muratura. L’altezza del muro aumentaverso est, dove è maggiore il salto di quota. Tra il perimetrale nord della cantina e questomuro si trova un conglomerato in cementizio, interpretabile come la base per unascalinata, probabilmente per passare dal livello di vita della corte bassa del castello finoagli ambienti seminterrati.All’interno della ‘corte bassa’ è stata rilevata la presenza di altre murature isolate, per lopiù in relazione con la costruzione delle mura di XIV secolo e con le fasi di ampliamento diXV-XVI secolo.Il rinvenimento di materiali moderni (fra i quali oggetti in plastica) direttamente sopra lecreste dei muri di quest’area ha confermato che alcune di queste strutture erano già stateindividuate in tempi recenti: o nei lavori di recupero del monumento effettuati negli anni ’80oppure dal cantiere attuale; in particolare a sud della cantina, sopra l’angolo sud dellemura di fortificazione più antiche, è stato rinvenuto un grande blocco di cemento contraversine in ferro ributtato in una fossa scavata da un mezzo meccanico durante le ultimeoperazioni di restauro delle mura della Rocca.Tutte le evidenze fin qui descritte sembrano indicare chiaramente la buona conservazionedel deposito stratigrafico orizzontale su tutta la corte bassa, con particolare riferimento allafrequentazione medievale; sarebbe auspicabile, in futuro, prevedere un intervento di scavoin estensione, mirato alla comprensione delle diverse fasi di occupazione in un’area dalforte potenziale archeologico finora interessata solamente da limitati sondaggi e dainterventi operati mediante escavatore meccanico.M.A.C., V.F., C.T.

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V – L’INDAGINE ARCHEOLOGICA1 - L’esperienza Poggibonsi tra ricerca archeologica e informatica.Tra la fine degli anni ’80 e gli inizi degli anni ‘90 il Dipartimento di Archeologia e Storiadelle Arti dell’Università di Siena ha condotto un progetto di cartografia archeologica nellaVal d’Elsa, in collaborazione con la Provincia di Siena, sui distretti comunali di Colle Vald’Elsa e Poggibonsi. L’indagine, articolata sull'integrazione fra fonti storiche e fontiarcheologiche, è proseguita poi con un approfondimento a Poggio Imperiale per verificare imodelli redatti sull’evoluzione del popolamento nel medio evo. Tra il 1991 ed il 1992 la collina è stata sottoposta a ricerche preliminari basate sullaricognizione archeologica di superficie, affiancata dallo studio dei suoli destinati aseminativo trattando al calcolatore una serie di fotogrammi aerei scattati a varie scale299.L'esplorazione del terreno ha permesso di riconoscere ampi spazi caratterizzati da unamassiccia presenza di reperti mobili emergenti in concentrazioni con ottimo grado dilettura ed alcune tracce superstiti in elevato per le quali è stata effettuata una letturastratigrafica muraria ovvero la torre e la porta San Francesco, la Fonte delle Fate ed i corpidi fabbrica ad essa addossati; i risultati hanno fornito un quadro complessivo ed articolatodel potenziale archeologico in nuce riconducibile tanto al grande castello di XII-XIII secolo,quanto alla fase cantieristica della fortezza. Con il processamento delle foto aeree ad alta quota si sono ottenute macro-indicazionisulla forma e sulle dimensioni dei depositi nel sottosuolo, individuando soprattutto nellazona sommitale indizi consistenti dei quartieri abitativi e nella zona nord est un tratto dellacinta muraria medievale, spostata di pochi metri dalle mura rinascimentali. Le foto tramite aereo da turismo, prese più volte ed in condizioni atmosferiche diverse,hanno evidenziato un gran numero di tracce relazionabili alle fasi finali di vita di PoggioBonizio, quando l’abitato si doveva estendere sull’intera collina. Inoltre il rilevamento di unprobabile circuito murario di forte spessore e grandi dimensioni, che attraversava intrasversalmente il versante est, sembra invece riconducibile ad una fase più antica nellaquale il castello, pur sempre di grande estensione, doveva occupare parzialmente il rilievo.Il processamento delle foto evidenzia una serie di tracciati viari che traguardano il circuitomurario, ma che non si interrompono nelle sue vicinanze, per poi riprendere oltre il murostesso; la loro continuità (passano sopra e non attraverso) è senz'altro indizio di unimpianto viario successivo all'abbattimento dell'elevato. In conclusione sembra plausibileindividuare in corrispondenza degli spazi sommitali il nucleo originario di Poggio Bonizio enelle aree di versante il borgo sviluppatosi all’esterno delle fortificazioni, in seguitoanch’esso recinto e forse in parte ridisegnato nella viabilità. Le foto da bassa quota scattate tramite pallone hanno permesso di realizzare uno zoomsui depositi archeologici, con immagini in scala di circa 1:300 e 1:150. In particolare lazona sommitale evidenzia una serie di strutture con dimensioni comprese tra 8 x 12 m, 10x 6 m, 10 x 8 m ed un blocco di edifici più ampio con dimensioni complessive di 20 x 18 m,corredato da un ambiente laterale più piccolo, di forma quadrata, con lati intorno 5 m. Iversanti della collina hanno invece rivelato un vero e proprio impianto urbanistico, diviso inestesi lotti di abitazioni poste in allineamento ed intersecate da viabilità secondaria. Lestrutture di migliore lettura mostrano sia pianta rettangolare sia quadrata, dimensionialternate tra 4 x 5 m circa, 8 x 7 m, 6 x 3,30 m circa, 4 x 4 m, 7 x 7 m; la loro disposizioneconferma l'ipotesi redatta sull'andamento del circuito murario.Dopo aver accertato l’entità del deposito archeologico e redatto prime ipotesi sulla forma,dimensioni e consistenza di Poggio Bonizio, alle quali è seguito un’ulteriore battitura aterra, dal 1993 ha avuto inizio lo scavo sistematico300 che con il 2005 ha raggiunto untotale di 39 mesi di lavoro, una rotazione di oltre 1000 archeologi e l’esplorazione di quasi

299 VALENTI 1992a; VALENTI 1993.300 VALENTI 1999.

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2 ettari di terreno301. Questo intervento sta comunque continuando per tre mesi all’anno efornisce ulteriori ed interessanti spunti di ricerca che rivelano sempre di più il grandepotenziale archeologico e monumentale dell’area della fortezza.La complessa sequenza archeologica offre un significativo campione della storiainsediativa medievale toscana, rivelando un’inaspettata occupazione di lunga durata: hainizio nei secoli della transizione dalla tarda romanità, prosegue per tutto l’alto medioevo e,dopo un’apparente interruzione, riprende fra metà XII secolo e inizi XIV secolo.L’occupazione più antica, durata per circa cinque secoli, che le indagini preliminari nonaveva rilevato e che non ha lasciato traccia nelle fonti scritte, è suddivisibile in quattromacro fasi di villaggio. Tra V e VI secolo, la collina ospitava un nucleo di carattere agricoloed allevatizio, del quale sinora sono state riconosciute solo alcune componenti. Dagli inizidel VII secolo agli inizi del X secolo l’insediamento evolve poi lentamente in un’aziendafondiaria. L’estensione dei contesti insediativi succedutisi, pur significative, sono daconsiderare parziali; abbiamo sino ad oggi indagato poco più del 16% del terreno,corrispondente a gran parte dell’area sommitale ed una porzione del versante sud est.Il cantiere è nato come sperimentale, coniugando inedite strategie di indagine con lerisorse messe a disposizione dalle nuove tecnologie. Il tentativo di gestire interamente indigitale lo scavo archeologico, si è imposto nel tempo come il contributo di grande novitàmetodologica che il progetto Poggio Imperiale ha portato. E’ infatti l’unico cantiereinteramente catastato all’interno di una piattaforma GIS (Geographic Information System osistema informativo territoriale) relazionata ad un articolato sistema di archivi; contienel’intera memoria dell’intervento dalle indagini preliminari al deposito archeologico, dagliscarichi di terreno derivati dalle operazioni di scavo al progetto di parco; permette inoltre losviluppo di nuove metodologie di interpretazione del record e la progettazione mirata siadell’ampliamento dello scavo sia della sua musealizzazione302. Il processamento digitale cimette anche in grado di ottenere informazioni con valore conoscitivo retroattivo, tale dacondurre ad un monitoraggio del monumento sempre più approfondito e dettagliato, di fareinteragire i risultati delle indagini preliminari con la progressione dei dati di scavo peripotizzare l’evoluzione e la consistenza del grande castello di Poggio Bonizio, perconfrontare le caratteristiche delle diverse forme insediative succedutesi sulla collina ecomprenderne le trasformazioni.

2 - L’insediamento di case di terra. V-VI secolo.Le tracce dell’insediamento più antico sono costituite dai resti di abitazioni a piantarettangolare, con muri in terra fondati su zoccoli in pietra e tetto in laterizi od in paglia adunico spiovente nel quale venivano utilizzati un ampio numero di chiodi da carpenteria.Erano edifici monovano, con porte in legno chiuse da chiavi, estesi mediamente sui 30 mqcirca, pareti intonacate e piani pavimentali sottoforma di battuto in terra (un solo caso inbasolato di lastre di calcare); il focolare posto nei pressi di una parete, talvolta delimitatoda pietre o semplicemente appoggiato a terra, doveva essere sormontato da un palo sucui pendeva un gancio in ferro da paiolo303. I rifiuti venivano smaltiti gettandoli all’esterno delle abitazioni, sia per compattaremaggiormente il terreno sia ad uso di concimazione: sull’immediato lato ovest di una delle

301 VALENTI 1996a; VALENTI 1996d; VALENTI 1998b; VALENTI 2000a; FRANCOVICH, VALENTI 1996;FRANCOVICH, VALENTI 1997a.302 FRANCOVICH, NARDINI, VALENTI 2000; FRANCOVICH, VALENTI 2000; FRANCOVICH, FRONZA,NARDINI, VALENTI 2003; FRONZA 2000; FRONZA, NARDINI, SALZOTTI, VALENTI 2001; FRONZA,NARDINI, VALENTI 2003; FRONZA, VALENTI 2000; NARDINI 2000; NARDINI, VALENTI 2004; NARDINI,SALVADORI 2000; VALENTI 1998a; VALENTI 1998c; VALENTI 2000b; VALENTI 2002; WORKSHOPSIENA 2001.303 Un esempiare di bella fattura presenta un’asta a sezione circolare piegata a torciglione ed estremitàdivisa in due apppendici astiformi a sezione rettangolare

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case era presente una superficie coltivata con sistemazione “a porche”, probabilmenteinterpretabile come orto, che ha restituito una grande quantità di frammenti ceramici, ossaanimali, vetro e metalli.Gli oggetti metallici più diffusi nelle abitazioni sono inerenti la sfera domestica e soprattuttodel lavoro: coltelli304, cunei305, campanelli in bronzo306, passanti per briglie, chiodi daferratura e ferrature per equini e bovini307. Tra essi sono poi presenti accessori diabbigliamento come spilli fermamantello in bronzo o monili che confermano la cronologiaal VI secolo del contesto; tra gli altri si segnala un anello digitale in bronzo con fasciacircolare leggermente allargata al centro dove è presente la decorazione incisa: quattrocerchi inscritti nei quattro angoli di una croce greca308. Facevano parte del corredo domestico anche oggetti in vetro d’uso quotidiano, inparticolare bicchieri a bordo liscio più o meno svasato e forme aperte con bordo ribattutoall’interno che potrebbero essere riconducibili a lampade oppure a bottiglie con bordomolto svasato. La stoviglieria era composta soprattutto da olle e testi ad impasto grezzo,da boccali, ciotole e catini ad impasto depurato e con ingobbio rosso sulle superfici di unabassa percentuale di pezzi. Gli anforacei o i grandi contenitori per derrate erano distribuitipiù o meno omogeneamente nelle abitazioni e indicano la conservazione di cibi o liquidi alivello domestico; l’ampia presenza di fuseruole e pesi da telaio evidenzia soprattutto laproduzione casalinga di tessuti in fibra vegetale. In generale il villaggio non sembra averavuto accesso a mercati urbani o di più ampio raggio, dove era possibile reperire prodottidi importazione ed una gamma di oggetti maggiormente articolata, bensì doveva essereimmesso in un circuito di scambio locale.Queste case trovano confronto in analoghe strutture scavate nel Chianti senese ed aSiena nella piazza del Duomo datate intorno alla metà del VI secolo309; occupavano circa20 mq, anch’esse con pianta rettangolare, elevati in terra (nel caso di Siena confondazione in pezzame di pietra legata da grumi di calce e sabbia), tetto ad uno spiovente(in materiale deperibile a Siena, in tegole e coppi nel Chianti), focolare circoscritto dapietre; in un angolo alcuni grandi contenitori fungevano da dispensa (un'anfora diproduzione orientale a Siena; due dolia nel Chianti).L’insediamento di Poggio Imperiale, del quale sinora sono state individuate sei unitàabitative, sembra caratterizzarsi per un tenore di vita omogeneo; le famiglie vivevano incase uguali per dimensioni e tecnica costruttiva e dovevano contare in alcuni casi suun’area ortiva. Esistevano infrastrutture funzionali come una grande calcara, un depositoper acqua ed una zona per la macellazione di animali costituita da una fossa terragnariempita da ossa di scarto, mentre una canaletta rivestita in pietrisco ad essa collegatalascia intravedere un espediente per la raccolta del sangue. Questo complesso di

304 Essenzialmente di due tipi: “whittle tang” (nel nostro caso databile al V secolo), con codolo allungato erastremato inserito in manici compatti in osso o legno; “scale tang”, (nel nostro caso databile al VI secolo conconfronto in HALBOUT, PILET, VAUDOUR 1987, p.165, n. 618) con codolo largo e appiattito foderatougualmente con manici in legno o osso fissati tramite rivetti, oppure tramite cuoio o stoffa.305 Erano realizzati in ferro e probabilmente impiegati per lavorare il legno, come indicano le dimensioni.306 Avevano forma troncoconica, appiccagnolo solidale con il corpo dell’oggetto sulla parte superiore ebattiglio costituito da una sfera in ferro. Il tipo, per le dimensioni, era riservato probabilmente all’allevamentoovino, legato tramite un laccio al collo dell’animale.307 Sono riconoscibili sia ferrature da mulo che da cavallo. Le ferrature da mulo hanno rami paralleli che siassottigliano gradualmente terminando in uno spesso rampone. La differenza essenziale rispetto alleferrature da cavallo, oltre alle dimensioni, è costituita dai rami, paralleli (arcuati nelle altre), a descrivere uncerchio imperfetto.308 L’anello è formato da una fascia circolare leggermente allargata nel punto che doveva essere al centrodel dito e qui è presente la decorazione incisa: quattro cerchi inscritti nei quattro angoli di una croce greca.Un confronto puntuale è attestato nello scavo della Mola di Monte Gelato (POTTER et alii 1988, p.269). 309 VALENTI 1995a; VALENTI 2004; BOLDRINI, PARENTI 1991.

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evidenze suggerisce, allo stato attuale della ricerca, due interpretazioni: pertinenze di unapiù ampia azienda o villa di età gota, di cui non è ancora stata individuata la parte centraleoppure, come sembra più probabile, un generico complesso rurale tipo piccolo villaggio dicontadini-pastori. Le sue vicende si inseriscono nel più ampio quadro della storia delpopolamento rurale toscano alla fine dei paesaggi tardo romani310. Come mostrano le indagini ventennali, condotte attraverso ricognizioni di superficie chehanno interessato oltre 1900 kmq delle province di Siena e Grosseto, la Toscana eracaratterizzata da alti indici demografici sino al III secolo, ben esemplificati dalla presenzamedia di 1,27 siti per kmq (ville, fattorie, villaggi, case sparse). Le famiglie rurali iniziaronoa diminuire dal IV secolo, mentre una marcata selezione avvenne tra la metà e la fine delV secolo, quando si allargarono le distanze tra le zone abitate attestandosi mediamentesul valore di 1 sito disposto su 4 kmq (ville, villaggi, case sparse). L’occupazione dellaterra fu ancora più diradata, raggiungendo la media di 1 sito per 10 kmq, nel corso del VIsecolo, con un’accentuazione progressiva del fenomeno nella seconda metà, dopo laguerra greco-gotica (piccoli nuclei rurali e case sparse)311.Dall’età teodosiana, in uno scenario economico di recessione costante, quasi tutte leforme insediative rurali sopravvissute al fallimento dei latifondi cessarono gradualmente divivere. Il centro di Poggio Imperiale trova per esempio analogie nelle vicende di Gronda diLuscignano nel carrarese: un piccolo insediamento composto probabilmente di capannecon fondazione in pezzame di pietra ed elevati in graticcio costituitosi nel IV secolo edabbandonato nel VI secolo312. Tendenzialmente alle stesse cronologie si data un ridottoagglomerato di capanne in legno con elevati ad intreccio intonacati in argilla individuato aFilattiera (ancora nel carrarese), distrutto da un evento traumatico improvviso, forse unincendio313. La pesante decadenza della rete insediativa non prospetta una definitiva desertazionedella campagna, anche se alcune fonti parlano di estesi movimenti migratori dalla Tusciaal Piceno314. Gli abbandoni non possono essere ricondotti solo ad un fenomeno dispostamento della popolazione ed a una serie di cause tra le quali le conseguenze dellaguerra greco-gotica, i durissimi anni bizantini e lo stato di guerra più o meno latente che siprotrasse, oppure i guasti provocati dall’azione delle bande armate longobarde. Il caso di Poggio Imperiale, così come gli scavi effettuati nella maggior parte dei castellitoscani, rivelano che alcuni gruppi di contadini non abbandonarono la terra ma fecero dellescelte di tipo diverso. Se dobbiamo pensare ad una percentuale non quantificabile dipersone che possono essere scomparse od emigrate, la popolazione restante si raccolseinvece in forme comunitarie di vita: fu la formazione di una nuova rete di villaggi a livelloregionale, fenomeno con il quale, dal punto di vista della storia dell’insediamento rurale, sipuò fare iniziare l’alto medioevo315.M.V.

3 - L’economia nel villaggio tardoantico.Dal punto di vista delle restituzioni archeozoologiche, è possibile fare dei confronti tra ilnucleo di Poggio Imperiale ed altri insediamenti rurali tardoantichi indagati nel centro-norditaliano, in particolare le ville di Lomello (PV), Calvatone (CR) e Villa Clelia (Imola, BO) odil caso di Pantani le Gore (Torrita, SI)316, che propongono resti faunistici datati tra il Vsecolo e la prima metà del VI secolo. In tutti i casi le specie domestiche sono gli animali

310 VALENTI 1996c; FRANCOVICH, HODGES 2003; VALENTI 2004.311 FRANCOVICH, VALENTI 2005.312 DAVITE 1988.313 GIANNICHEDDA, LANZA 2003.314 CRACCO RUGGINI 1995.315 VALENTI 2005.

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maggiormente attestati; capriovini, bovini e suini il cui diverso rapporto percentuale deicampioni rappresenta un indicatore utile per comprendere quale o quali attivitàeconomiche erano praticate. Osservando le diverse frequenze degli animali domestici, spicca immediatamente l’altapercentuale di bovini, tranne che per il caso di Lomello, dove i capriovini ed i suini, se purnon di molto, sono più diffusi. Negli altri esempi il bue è, invece, la prima specie in ordined’importanza; a Calvatone rappresenta il 93% dell’intero campione, a Villa Clelia il 45%, unvalore sicuramente alto considerando il 36% relativo all’ittiofauna, la quale aumentanotevolmente il grado di affidabilità dell’intero campione dal punto di vista del recupero deireperti, mentre capriovini e suini occupano assieme solamente l’11%; a Pantani le Gore ibuoi interessano il 90% dei reperti, infine a Poggio Imperiale il 47% contro il 42% dei suinie l’11% dei capriovini.L’impiego di questi animali nelle attività agricole è probabilmente uno dei principali fattoritafonomici che potrebbero aver determinato le distribuzioni osservate. Altri tipi di indicatori,che concordano con tali ipotesi, sono stati individuati a Calvatone317 e Pantani le Gore. Nelprimo caso, la netta maggioranza di individui maschili o castrati318 e alcune tracce di usuraanomale riscontrate alla radice dei denti canini, ricondotte all’utilizzo di morsi e briglie 319,rafforzano l’ipotesi di un utilizzo per la trazione; mentre a Pantani le Gore lo stessoimpiego è stato suggerito in base alla taglia, maggiore rispetto a varie razze bovine attuali,la quale è da riferire a soggetti che si prestavano ad un impiego come forza lavoro. Unulteriore conferma proviene da Poggio Imperiale, Calvatone, Villa Clelia e da Pantani leGore dove è attestata una netta maggioranza dei bovini generalmente abbattuti in etàsenile, solo quando diventavano bestiae inutiles; cioè, destinandoli al consumo quandoveniva meno il loro impiego come mezzo di trazione.La carne suina, in tutti i casi, rappresentò probabilmente una delle fonti di sostentamentoprimario; veniva consumata quando l’animale raggiungeva il peso ottimale, cioè intorno aidue-tre anni320, garantendo quindi un buon livello qualitativo. La carne bovina, checostituiva nei casi di Calvatone, Villa Clelia, Torrita e Poggio Imperiale un’importante fontedi proteine animali, era di minor qualità (provenendo dall’abbattimento di soggetti anziani),ma poteva in alcuni casi essere integrata dall’apporto occasionale di carne di migliorpregio proveniente dai soggetti giovani giudicati in eccesso321.Calvatone, Villa Clelia e Poggio Imperiale, oltre a similitudini di ordine economico,presentano alcune analogie nelle tecniche di macellazione. In particolare nellasuddivisione della carcassa bovina è stata riscontrata in entrambi gli insediamenti l’usanzadi non spezzare l’animale in due mezzene; in pratica non veniva sollevato e diviso in partiuguali, procedendo ad una separazione del corpo lungo la colonna vertebrale, ma eradisteso su di un fianco e diviso in tagli di carne scelta322. Questa tecnica di suddivisione del

316 A Lomello i resti animali provengono da una buca per rifiuti che ha restituito materiale di V-VI secolo,KING 1987, p.175; il materiale faunistico di Calvatone proviene da una trincea tardoantica di seconda metàV-inizi VI secolo, SENA CHIESA, WILKENS 1990, p.307; mentre a Villa Clelia i resti appartengono ad unafase insediativa di VI secolo, FARELLO 1990a, p.130, FARELLO 1990B, p.208. Per Pantani-Le Gore si trattadi una comunicazione personale di Paolo Boscato che ha studiato le restituzioni archeozoologiche.317 SENA CHIESA, WILKENS 1990, pp.307-322.318SENA CHIESA, WILKENS 1990, pp.308-311.319 Tra i canini dei soggetti adulti è stata, infatti, individuata un’usura atipica posta nel colletto del dente, laquale ha intaccato la radice in profondità. Questo tipo di degrado può essere imputabile solamente all’azionedi oggetti estranei alla dentatura dell’animale, SENA CHIESA, WILKENS 1990, p.311.320 KING 1987, p.176, FARELLO 1990a, p.133, SENA CHIESA, WILKENS 1990, p.308.321 SENA CHIESA, WILKENS 1990, pp. 308-311.322 SENA CHIESA, WILKENS 1990, pp.311-318; FARELLO 1990a, p.132.

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corpo sembra essere tipicamente romana e trova confronti con insediamenti di areafrancese323.L’omogeneità dei dati fino ad ora disponibili potrebbe quindi rispecchiare un assettoeconomico, per alcune zone dell’Italia centro-settentrionale, contraddistinto da un’attivitàagricola intensiva. Il modello decadente del sistema economico antico, proposto sullascorta delle fonti scritte324, secondo il quale nel corso del V secolo le ville si trasformaronoda aziende produttive di generi cerealicoli a complessi autosufficienti connotati da unaprevalente attività silvopastorale, non trova conferma negli insediamenti dell’area padanaorientale e della toscana centro-meridionale. Solamente per la villa di Lomello, quindi, ilpassaggio ad un’economia “naturalizzata” sembra un processo già avviato nel V secolo; lamaggiore frequenza dei resti di capriovini, combinata con la distribuzione delle età dimacellazione, indica come attività predominante questo tipo di allevamento, solo in parteintegrato dai suini e dall’agricoltura; era un’attività finalizzata principalmente allaproduzione di lana e latte mentre forniva carne solo quando l’animale raggiungeva unabuona resa: sono infatti assenti soggetti abbattuti molto giovani325. Le caratteristiche dei resti faunistici attestano soprattutto il progressivo adattamento delleville tardoantiche e dei centri rurali da un’economia di mercato ad un ambito produttivofinalizzato all’autoconsumo, mentre il passaggio a forme di allevamento come attivitàpredominante, se non esclusiva, si realizzò con l’inizio dell’alto medioevo. A PoggioImperiale sembra concretizzarsi con la costituzione del villaggio di capanne alla fine del VIsecolo; l’agricoltura aveva invece costituito la forma di occupazione predominantenell’insediamento di case in terra ed i buoi trovavano impiego come forza-lavoro neicampi.F.S.

4 - Il villaggio di età longobarda. Fine VI-VII secolo.A distanza di alcuni decenni dall’abbandono delle case in terra, fu impiantato un villaggiodi capanne. Era diviso in nuclei composti da abitazioni dotate di recinti, steccati ed annessiche rappresentavano delle unità di circa 80 mq, distanti fra i 20 ed i 25 metri l’una dall’altrae difese naturalmente da un ripido dirupo con dislivello di quasi 100 m sul lato nord est delrilievo. Ad oggi sono sei le unità individuate326 e se l’estensione della superficie insediata siconfermerà intorno ai due ettari, in pratica l’area attualmente sotto scavo, la sommità dellacollina potrebbe essere stata occupata da dodici nuclei circa, permettendo di ipotizzarealmeno una sessantina di abitanti. Questa stima è da considerare molto livellata verso ilbasso e destinata ad accrescersi con l’allargamento progressivo del cantiere.In Toscana anche altri scavi (come Scarlino nel grossetano327, Donoratico nel livornese eSan Genesio nel pisano)328 concorrono a chiarire quali furono le modalità di formazione deivillaggi: vennero privilegiate soprattutto le aree di sommità e talvolta gli spazi pianeggianti,ripercorrendo dei siti che più o meno stabilmente erano stati oggetto di frequentazione inetà tardoantica e, come sembra, abbandonati da poco tempo; luoghi in cui lo spazio fisico,

323 La Bourse (Marsiglia), JOURDAN 1977.324 ANDREOLLI, MONTANARI 1983; GRAND, DELATOUCHE 1981.325 KING 1987, p.175.326 Il tipo di articolazione urbanistica rilevato, quasi sicuramente da estendere alla maggior parte dei villaggiin vita durante l’età longobarda, trova degli agganci nella stessa produzione legislativa barbarica dovevengono tratteggiate strutture abitative circoscritte da siepi «concepite come "clausurae", il cui centro èrappresentato dalla "curtis", il cortile attorno al quale si raggruppano gli "aedificia" e le "casae"». Si vedaGALETTI 1994a.327 Oltre a FRANCOVICH 1985, si veda la recente tesi di laurea MARASCO 2003.328 Si veda VALENTI 2005.

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seppur decaduto, era già predisposto per la costruzione di nuovi edifici e per recuperarecon pochi sforzi delle superfici abitative e produttive caratterizzate da processi dirimboschimento appena agli inizi. Durante il VII secolo questi nuovi centri di popolamento non sembrano essere stati gestitidirettamente o indirettamente da grandi proprietari; non siamo in grado di riconoscere,nell’assenza di segni materiali distintivi, una relazione con aristocrazie stanziate in città edotate di proprietà rurali. L’accentramento dei contadini consentiva di raggiungere «una‘massa biologica’ di consistenza adeguata, vale a dire un numero di abitanti chegiungesse almeno alla soglia del centinaio di individui, al di sotto della quale difficilmentela solidarietà e la sussidiarietà comunitaria potevano raggiungere quella massa critica utileper ottenere una produttività agricola efficace per la sopravvivenza»329. Solo in un secondomomento sembrano trasformarsi in centri di gestione del lavoro.Sullo sviluppo dei centri toscani che dettero inizio al processo di costituzione della nuovarete insediativa seguita al crollo dei paesaggi tardoromani, dovettero interagire l’instabilitàdella fase storica in corso e la necessità di governare meglio, tramite la forza collettiva,una terra deteriorata e riconquistata dalla natura. La massa dei rustici, liberi di prenderedecisioni e di spostamento, per motivi di convenienza pratica, si raccolse in villaggi. Essitrovarono uno spazio di iniziativa, all’incirca quasi un cinquantennio forse anche meno,dopo la scomparsa o la rovina dei latifondisti e prima dello sviluppo o della stabilizzazionedi una nuova classe di possessores di età longobarda. Tendenzialmente i contesti indagatinelle campagne toscane furono centri di coagulo del popolamento per meglio organizzareil territorio rurale330.La riorganizzazione delle basi economiche dopo la fine dei paesaggi romani iniziò quindicome un processo lento, innescatosi poco prima del dominio longobardo, collateralmentead un assetto istituzionale in definizione e con interventi di basso profilo di aristocrazierurali nascenti che dovevano ancora delinearsi nella propria conformazione331. L’unica spiaarcheologica pervenutaci, di una possibile serie di vincoli a cui la popolazione dovevasottostare, sembra riconoscibile nell’assenza di selvaggina dalla dieta quotidiana dellepersone; la mancanza di ossa pertinenti ad animali selvatici dai depositi di queste fasipotrebbe indicare spazi il cui uso per attività venatorie era vietato o riservato ad altrisoggetti: quindi cacciare doveva rappresentare un privilegio. Ma da sola non autorizza adipotizzare una strategia economica decisa da proprietari o chi sa quali iniziative che non sipongano al di là del semplice controllo del villaggio per autoconsumo sviluppatosi in brevetempo. Potrebbe essere data anche una spiegazione di diverso tipo all’apparente divietovenatorio dei contadini: i terreni boschivi che circondavano il villaggio e lo spazio agricoload esso legato dovevano essere di carattere fiscale e quindi pertinenti alla corona. Ma, perquanto suggestiva, non trova altri e necessari appigli archeologici; solo il caso valdelsanosembrerebbe fornire prove maggiormente indiziarie, a condizione che le ipotesi sullafondazione della vicinissima abbazia di Marturi su terreni statali in età longobarda siconfermassero332.Il villaggio di Poggio Imperiale sembra essere stato inserito al centro di zone incolte eboschive, con una popolazione priva di differenze sociali ed economiche poiché non sinotano gruppi o individui segnalati da maggior grado di benessere. Le capanne risultano

329 FRANCOVICH 2004.330 FRANCOVICH 2004.331 Su questi temi e sull'accentuazione data ai processi in corso, già volti alla decomposizionedell'organizzazione tardo imperiale, si veda in particolare DELOGU 1994.332 KURZE 1989, pp.228-235; l'autore sposta la fondazione dell'abbazia in epoca longobarda basandosi sullostudio della vita di Bononio (primo abate), sulla scorta di considerazioni a carattere generale circal'edificazione di monasteri in Toscana. Non ultima, una presunta identificazione della stessa Marturi conl'abbazia di San Michele menzionata in un documento dell'anno 762 relativo all'archivio di San Salvatore aMonte Amiata. Si veda al riguardo capitolo IV paragrafo 1 di questo volume.

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per lo più tutte uguali, caratterizzate da scarso mobilio in legno (sono stati rinvenutipochissimi reperti metallici interpretabili come applicazioni, cerniere o boncinelli ecc.) ecorredi ceramici essenziali, incentrati in particolare su olle ad impasto grezzo e boccalidepurati, mentre la bassa presenza di forme aperte fa pensare all’abitudine di consumare ipasti in recipienti da portata comunitari od in stoviglieria individuale in legno della qualenon resta traccia. La bassa presenza di fuseruole può lasciare intravedere una scarsaabitudine nel filare in casa i propri panni e forse un maggior uso di pelli per vestirsi; inquesta direzione potrebbero essere anche letti l’assenza di utensili metallici per lalavorazione di lana e tessuti ed i pocchissimi oggetti riconducibili ad abbigliamento odornanento, in totale un bubbolo, un finale per lacci, un gancio per abito in bronzo, dueapplicazioni in lamina bronzea di forma prevalentemente rettangolare, con piccoli fori perl’inserimento dei rivetti, una borchia in bronzo con testa di forma circolare bombata e astaa sezione quadrata, acuminata. A collane o bracciali molto semplici rimandano invecealcuni vaghi colorati in pasta vitrea, mentre ad oggetti da tenere appesi alle vesti sonopertinenti quei pochi lacci di bronzo rinvenuti333.La dotazione di vetri di ogni capanna risulta invece più articolata, seppur sempreomogenea; ne fanno parte soprattutto oggetti destinati alla mensa ed in particolare coppe“a sacchetto”, bottiglie a fondo apodo, bicchieri o calici e corni potori. Mentrenell’illuminazione venivano impiegate lampade pensili in vetro con tesa orizzontale(appese tramite catenelle metalliche).Sono infine pochissimi gli strumenti in metallo rinvenuti: si tratta di un coltello tipo “whittle-tang” con lama a sezione triangolare allungata, di alcuni utensili per la lavorazione di pietrao legno (due cunei in ferro di forma trapezoidale allungata a sezione rettangolare) e di filiin ferro con possibilità di impiego sia nella sfera domestica che nei lavori artigianali (il datocomune è la funzione di collegamento e tenuta di parti separate).Il villaggio operava in regime economico specializzato nell’allevamento, mostrato oltre chedalle restituzioni osteologiche dalla presenza di quasi un centinaio di chiodi da ferratura edue ferri da mulo; l’agricoltura, invece, rivestiva un ruolo marginale, soprattutto adintegrazione della dieta quotidiana: un aspetto di cui è indizio la scarsa attestazione diossa di bue dalle restituzioni archeozoologiche. In base all’età di morte degli animalidomestici, possiamo riconoscere che la popolazione era caratterizzata da un livelloalimentare e proteico qualitativamente alto.La letteratura storica associa simili forme insediative alla realtà del “casale”, cioè unnucleo rurale spesso destinato ad attività allevatizie, di nuovo impianto e di una certa qualconsistenza demica, impegnato con il tempo nello sforzo di ridurre a coltura gli spaziintercalari e di rottura di fronte al bosco.Se in questo modello di insediamento potessimo riconoscere il nostro centro, dobbiamoperò osservare come la messa a coltura di nuovi terreni non fu l’occupazione prioritaria deisuoi abitanti, anzi si trattò di un processo realizzatosi nella lunga durata che ebbe luogooltre un secolo dopo la fondazione. Le attività silvo-pastorali raggiunsero l’apice alla finedel VII-inizi VIII secolo, con una grande superiorità numerica delle capre e delle pecore sututte le specie riconosciute ed un aumento progressivo dei suini. Tale crescita sembradunque indicare un’estensione progressiva delle superfici boschive, adatte all’ingrasso deimaiali di solito allevati allo stato brado334, verificatasi sino dalla fasi iniziali di vita delvillaggio; rientra inoltre in quel fenomeno di espansione delle aree incolte, ipotizzato alivello europeo335.

333 Si tratta di lacci a sezione piatta con ingrossamenti circolari in corrispondenza dei fori circolari doveveniva inserita la parte che chiudeva il laccio intorno all’oggetto da tenere.334 BARUZZI, MONTANARI 1981.335 SLICHER VAN BATH 1972.

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Le capanne, costruite talvolta sui crolli delle case in terra tardoantiche, erano per lo piùscavate nel terreno ad una profondità di circa mezzo metro, avevano forma circolare edun’estensione media di 50 mq; sono definite dalla letteratura specialistica del tipogrubenhaus. Dovevano essere costituite da un'armatura lignea rivestita da alzati in terra;la pianta e la presenza di grossi pali interni, combinate con le tracce di buche esterne altaglio perimetrale, possono fare intravedere una copertura a cono molto alta ed appuntitaappoggiata fuori dal circuito della capanna. L'accesso spesso era rappresentato da unbreve ingresso a scivolo, rettangolare e largo 1 m circa, scavato anch'esso sul terrenocome una sorta di corridoio di fronte al quale si doveva stagliare una chiusura tipograticcio di legno e paglia alloggiata a due paletti posti ai lati. Nella loro costruzione nonfurono utilizzati chiodi se non in rari casi, ma si impiegarono quasi sempre legacci,cordame, perni, pioli e puntoni. Lo spazio abitativo risulta diviso in due navate da una filadi pali centrali; in un caso, la presenza di un vasto taglio di forma rettangolare con fondospianato (2,60 x 2 m; profondità 40 cm) è da leggere come una lettiera che dovevaospitare un semplice pagliericcio. Le grubenhauser, o sunken-featured buildings, sono un tipo di capanna sulla quale ildibattito è ancora aperto per quanto riguarda la loro introduzione336. Oltre ai casi di PoggioImperiale ed i recenti esempi parziali di Staggia337, sono state rinvenute a Brescia338, aRodengo Saiano (BS)339, Aspo (VR)340, Collegno (TO)341 e l’altro caso piemontese diFrascaro342, in Veneto a Oderzo (TV)343 e Brega di Rosà (VI)344, Siena (sottosuolo delDuomo)345, Donoratico (LI; per fasi un po’ più tarde), a Supersano (LE)346. Tutte lestrutture, tranne, per il momento, quella di Donoratico, sono datate tra la fine del VI e gliinizi del VII secolo. Molto diffuse nell’Europa settentrionale, soprattutto in area slava, ladiscussione in passato si è incentrata sulla disposizione dei piani di calpestio e sullapresenza o meno di pavimenti lignei. In realtà il problema non sussiste, in quanto sonoriscontrabili ambedue le possibilità: sia vita sul fondo della capanna sia pavimenti in assicon un vano sottostante ad uso cantina-magazzino. Inoltre non devono essere confusi conle grubenhauser quegli edifici che, pur seminterrati (i cosiddetti fond de cabannes), sonoperò destinati a piccoli laboratori-tessitoi ed i cui esempi più noti provengono dall’areamerovingia347.Confronti abbastanza puntuali per le strutture di Poggio Imperiale si hanno a Tiszafueredin Ungheria, dove tra V-VI secolo, sono presenti capanne circolari, semiscavate per unaprofondità incerta ma probabilmente compresa tra 70 cm e 150 cm, costituite da un soloambiente senza divisioni interne dotato di focolare; quattro-cinque pali si disponevano ailati ed uno al centro del battuto e non sono state trovate tracce della soglia; spesso unodei lati presenta un ulteriore taglio quasi rettangolare che potrebbe anche essereinterpretato come un largo accesso ma più verosimilmente come una lettiera.Rappresentano abitazioni che erano legate a popolazione di stirpe gepida e longobarda

336 Per il dibattito avvenuto in Italia sulle grubenhauser si veda VALENTI 2004; inoltre il recente BROGIOLO,CHAVARRIA 2005.337 Si veda capitolo IV paragrafo 12 di questo volume.338 BROGIOLO 1992.339 BROGIOLO 1983; BROGIOLO 1986.340 SAGGIORO 2005.341 PEJRANI BARICCO 2004342 MICHELETTO 2003; MICHELETTO 2004.343 POSSENTI 2004.344 TUZZATO 2004.345 CAUSARANO, FRANCOVICH, VALENTI 2003.346 ARTHUR 1999; ARTHUR, MELISSANO 2004.347 Per una sintesi LORREN, PERIN 1995.

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prima delle loro migrazioni348. Nella repubblica Slovacca, a Siladice tra VI-VII secolovengono attestate capanne seminterrate con escavazione pari a 70 cm, di forma circolareirregolare con pali perimetrali e centrale, di breve estensione (assi 3,6 x 3,3 m; 3,5 x 2,9m; 3,5 x 3,3 m; 3,9 x 3,2 m) e spesso dotate di focolare. A Syrynia in Polonia, VIII-IXsecolo, sono documentati due esempi: capanna semiscavata irregolarmente ellittica(escavazione 65 cm) ad ambiente unico con pali perimetrali portanti, focolare nella partesud; capanna semiscavata irregolarmente ellittica (escavazione 25 cm) con ambienteunico e due coppie di pali perimetrali portanti. Altri esempi polacchi si osservano a BazarNowy per periodi più tardi (metà XII secolo); hanno struttura semiscavata circolare quasiovale, asse maggiore 7,6 m, presentano nove buche di palo perimetrali ed alcunecentrali349. Ulteriori confronti sono recentemente stati forniti dalle ricerche ungheresi,soprattutto per la pianta delle strutture che risulta pressoché identica con i casi attestati nelvillaggio di Ménfocsanak; la ricostruzione grafica proposta e quella sperimentale realizzatanel Parco Storico di Kisrozvagy sono identiche alle interpretazioni ed alle ricostruzioniipotetiche proposte a più riprese per i nostri casi350.Alcune delle abitazioni di Poggio Imperiale erano affiancate da piccoli edifici con funzionedi rimessa/magazzino. Uno di questi aveva pianta leggermente trapezoidale (basemaggiore 3,5 m, base minore 2 m, altezza 6 m) e struttura portante in pali perimetrali,probabilmente rinforzati da un allineamento interno asimmetrico rispetto all'asselongitudinale; proprio tale asimmetria fa presuppore la presenza di una copertura ad unicospiovente, inclinata da est verso ovest. Gli elevati dovevano essere ad intreccio diramaglia e vimini, o incannicciata, ricoperti da intonaco di argilla; una parete trasversaleinterna, sempre in armatura di pali ed incannicciato, divideva la struttura in due ambienti:quello nord, dove con ogni probabilità si trovava l'ingresso, sembra avere funzioni dimagazzino per la conservazione delle derrate alimentari e si caratterizza infatti per lapresenza di un piccolo silos; il vano a sud invece sembra essere stato utilizzato qualesemplice rimessa per attrezzi od altro, caratterizzandosi per un'estrema povertà di reperti.Non esistono confronti puntuali in ambito europeo, in particolare per quanto riguarda lapianta e la copertura ad uno spiovente. L'unica struttura trapezoidale simile per dimensionialla capanna 8 e con elevati ad intreccio si trova a Czeladz Wielka in Polonia, dove però sitratta di un'abitazione351. Buoni confronti per la nostra struttura si trovano invece suimagazzini o granai rettangolari a due navate, con elevati in incannicciato e cronologia diVII secolo. Fra i diversi esempi (almeno sei, tutti in Germania e Olanda), vale la penacitare almeno quelli di Gladbach, dove il tipo è attestato in due casi e presentacaratteristiche molto simili352; tali strutture assomigliano ai granai del tipo a sei e nove pali(sempre in ambito germanico), anche se non sono interpretabili come strutture aperte supiattaforma di legno, ma sembrano piuttosto veri e propri edifici.

5 - Il villaggio tra età longobarda ed età carolingia. VIII-inizi IX secolo.Dopo una fase intermedia nella quale furono edificate nuove capanne sia abitative siafunzionali, che si affiancavano ad alcuni degli edifici già esistenti, nel corso dell’VIII secoloil villaggio di Poggio Imperiale iniziò a cambiare. Le trasformazioni riguardarono moltiaspetti, tra i quali la forma delle abitazioni, l’urbanistica insediativa, i rapporti sociali edeconomici, le attività produttive. In questi decenni, dal punto di vista edilizio, non vennero più costruite grubenhauser matroviamo attestati tre diversi tipi di capanne: a livello del suolo con pianta ellittica o

348 BONA 1976a, pp.29-30; BONA 1976b.349 DONAT 1980, pp.28, 58, 188, 193, 207.350 TAKACS 2005.351 DONAT 1980, p.28.352 SAGE 1969.

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circolare oppure rettangolare. La capanna a pianta circolare posta al centro dell’area discavo, per esempio, era una struttura in armatura di pali a livello del suolo con diametro di8 m. Sfruttava le soluzioni spaziali di una delle grubenhauser più tarde nel riempire ecoprire il suo taglio di escavazione; ha mostrato due battuti di vita in successione continua.Era perimetrata da pali di grandi dimensioni, con diametro medio intorno a 45 cm, posti adistanza più o meno regolare di circa 150 cm; non possediamo tracce del materialeimpiegato negli elevati tranne che pochissimi frustoli di intonaco e veli di polvere tipogesso-legante sabbioso che fanno ipotizzare un incannicciato rivestito di terra intonacata.Il tetto, in paglia, doveva avere forma di un cono molto largo con armatura di travi tenutiinsieme da legacci vegetali e puntoni in legno. Il piano di calpestio era in terra battutapoggiante su un vespaio di pietre in assetto caotico spesso circa mezzo metro, l'ingressoera invece aperto a nord ovest. Confronti si hanno nei contesti di Miranduolo e Rocchetto Pannocchieschi dove ledimensioni ed i materiali edilizi impiegati sono più o meno gli stessi e sono attestate traVIII e X secolo. Nel caso di Miranduolo la struttura si appoggiava alla palizzata checoronava la parte sommatale della collina ed i pali perimetrali erano molto ravvicinati fraloro, tanto da far pensare all’assenza di elevati in terra di collegamento; aveva unapavimentazione in assi di legno ed al suo interno doveva vivere una famiglia che sembraessere impegnata nella lavorazione dell’osso e del corno353. A livello europeo sono invecepochi i riferimenti disponibili e l'unico che si avvicina decisamente alla nostra struttura,proviene dalla Germania: a Vreden, tra fine VIII-inizio IX secolo, era in uso una capannacircolare con diametro di 4,5 m circa, costituita da un'armatura di pali con elevati in argilla,paglia e vimini intrecciati, battuto in terra354. La trama delle abitazioni si fece più fitta e si accompagnò ad un progressivoraggruppamento di sei edifici intorno ad una piccola corte, in parte cinta da una bassapalizzata o steccato e costeggiata da una viabilità in terra battuta. Lo steccato era lineare,costituito da pali di medie e medio-piccole dimensioni con diametro di 10-20 cm contiguil’uno all’altro ed in alcuni casi in doppia fila; si estendeva in direzione nord-sud per almeno5,3 m, anche se non è escluso un proseguimento in entrambe le direzioni che la storiaedilizia della collina ha cancellato; il tratto di viabilità si conservava per circa 6 m, con unalarghezza di circa 1,60 m e faceva parte di un percorso interno dell’insediamento.La successione di edifici rilevata denota l'esistenza di una realtà dinamica ed il villaggio,nonostante il nuovo gruppo di strutture che si distinguono dal complesso delle abitazioni econformemente alla maggior parte dei siti altomedievali scavati in Europa, non mostra dievolvere secondo progetti di pianificazione. Le cause del costante rinnovamento ediliziovanno individuate nella presenza di una popolazione stanziale che cambiava dietro laspinta delle vicende generazionali e di eventuali nuove famiglie attratte all'internodell’insediamento, nonchè nel grado di usura a cui erano soggette le capanne: avevanouna durata medio-bassa, essendo frequentate apparentemente nell'arco di 50-60 anniognuna355. Non crediamo inoltre che il disuso e le ricostruzioni possano essere imputatealle clausole del conquestum, cioè la parte di beni mobili a cui l'affittuario aveva diritto allafine del contratto; ovvero smontare le abitazioni e trasportarne i pezzi, soprattutto il legno,sul luogo di nuova costruzione della propria casa356. Come spiegare infatti le buche di paloche mostrano evidenti tracce di carboni o parti di pali ancora al loro interno? Sembraplausibile trasportare elevati in graticcio, ramaglie o in terra? Il legno per sua natura è

353 VALENTI 2004 per una rassegna e per la bibliografia relativa. Inoltre NARDINI, VALENTI 2005.354 REICHMANN 1982, pp.174-175.355 Anche in ROSENER 1989, p.90 si concorda su tale durata di vita; l'autore prende in considerazionesoprattuto dati archeologici tedeschi e inglesi.356 GALETTI 1987, p.98. Posizione ribadita in GALETTI 1994b ed accettata in PARENTI 1994.

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soggetto ad usura e non può avere un impiego ripetuto nei decenni; forse si smontavano erecuperavano determinati elementi di infrastruttura eventualmente dotati di un maggioregrado di conservazione (assi e pali di colmo) o la copertura del tetto in quei casi in cui siutilizzavano tegole in legno (le scandole), o staccionate e recinti. In un modo e nell'altro, laspoliazione di componenti edilizie avrebbe comunque causato una distruzione o gravidanneggiamenti all'edificio357. Qualunque sia stata la realtà, non ci sembra comunqueopportuno generalizzarne la portata; le abitazioni rurali erano stabili e la durata più o menobreve è da imputare soprattutto alla loro stessa natura edilizia358.Il villaggio di Poggio Imperiale era costituito da capanne abitative, magazzini-deposito,stalle od altri ricoveri per animali, spazi aperti destinati allo svolgimento di attività rurali edartigianali. Il grosso della popolazione continuava ad essere economicamente uniforme(non ci sono cambiamenti sostanziali dei corredi ceramici, vitrei e metallici dalla faseprecedente), benché la costruzione del complesso di edifici raccolti intorno ad una corte, lecui prime tracce sono presenti agli inizi del secolo in forma già evidente, è interpretabilecome l’inserimento all’interno del centro di un proprietario o di un suo agente (actor).Questa novità rappresenta non solo l’indizio dello sviluppo o dell’avvento di una primaforma di gerarchizzazione sociale, ma anche la spia di un cambiamento ed un controllodiretto sulla produzione e sul lavoro delle famiglie rurali. Si accompagnò inoltre ad unapparente aumento della popolazione, ipotizzabile in un centinaio di persone circa e quindiquasi raddoppiata (dato che però potrà accrescersi con l’ampliamento dello scavo) ed alladiversificazione delle attività produttive. Durante la prima età longobarda l’economia silvopastorale rappresentava l’occupazionetrainante. La strategia di allevamento adottata era orientata principalmente verso laproduzione di carne; in tal senso maiali, capre e pecore mostrano un’alta mortalità diindividui giovani che non trova confronti, se non parziali, in altri insediamenti altomedievali.Con l’VIII secolo soprattutto il maiale e secondariamente il bue vennero scelti come iprincipali produttori di carne, mentre i capriovini erano funzionali ad ottenere benisecondari, in particolare lana e pelli, visto l’aumento dell’età minima di abbattimento:nessuna testimonianza di individui macellati al di sotto dei 24 mesi. I cambiamentievidenziano come, accanto all’allevamento ed alla pastorizia, iniziò ad avere un pesosempre più rilevante l’agricoltura. L’aumento numerico dei bovini e la presenza di soliindividui anziani sembra indicare un loro utilizzo principale per la coltivazione, mentrevenivano soppressi solo quando il loro apporto come forza-lavoro sui campi giungeva atermine. Tra i maiali, inoltre, non sono stati rinvenuti soggetti abbattuti prima del secondoanno, indice di una maggiore attenzione verso la massima resa in carne, anche a seguitodi una diminuzione del numero di capi allevati e forse di una contrazione delle superficiboschive, derivanti dalla messa a coltura di nuovi spazi359. L’insediamento in questo periodo è riconducibile ad un modello semplificato di Haufendorf,inteso soprattutto come nucleo accentrato con abitazioni disposte a maglie strette alcentro di superfici boschive e di un agro coltivato in progressivo allargamento. A distanza di oltre un secolo dalla sua costituzione il villaggio si era trasformato in uncentro rurale economicamente ben diverso dalle origini; inoltre era in parte od in toto nella

357 Si tratta di contratti databili tra IX-X secolo; per il loro contenuto si veda GALETTI 1987, p.98. 358 Esempi di capanne smontabili e trasportabili esistono, è vero, ma sono strutture di piccolissimaestensione, quasi dei ripari provvisori. In Toscana, per esempio, è stata scavata in località Orentano(Catelfranco di Sotto-Lucca) una piccola capanna di età tardoantica costruita su un livellamento di pietre elaterizi, a pianta sub-rettangolare, con dimensioni di 4 x 2 m, in fasci di vimini o rami semplicementeintrecciati e legati gli uni agli altri; una sorta di tenda che ha trovato confronto nei modelli rappresentati sulsarcofago «pastorale» di Villa Doria Pamphilj (dove è presente un contadino con questo tipo di capannacaricata sulle spalle). Si veda ANDREOTTI, CIAMPOLTRINI 1989.359 NARDINI, SALVADORI 2000; SALVADORI, VALENTI 2003.

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proprietà di una famiglia dominante della quale non possiamo conoscere la storia dellasua affermazione: dinamiche interne alla comunità, piccoli proprietari che erano riusciti adacquisirlo tra i propri beni, oppure rappresentanti di un possidente maggiore ed esterno aquesto villaggio? Lo scavo non può fornire risposte in tal senso e gli interrogativi sonodestinati a rimanere tali; ma evidenzia con chiarezza il cambiamento in atto, lo sviluppodelle attività produttive ed una gerarchizzazione tra gli abitanti in precedenza assente.L’archeologia dei villaggi toscani in generale rileva come la formazione e la stabilizzazionedi ricchezze rurali private si siano andate definendo tra la metà del VII e l’VIII secolo; nesono testimonianze i cambiamenti urbanistici dei centri esistenti e la fondazione di nuoviinsediamenti sino dall’origine con trame più articolate e caratterizzate dalla presenza dispazi con carattere distinto, talvolta fortificati, spesso dotati di locali destinati all’accumuloed alla conservazione di scorte alimentari. Tali strutture sono interpretabili come indizio diun coordinamento della produzione assente nelle fasi più antiche360; i nuclei dipopolamento iniziarono ad evolvere in centri di gestione del lavoro. Per esempio tra metà VII-metà VIII secolo, si costituì l’insediamento di Montarrenti, conpiccole strutture di forma rettangolare ed ovaleggiante disposte sull’intera superficie delrilievo collinare. Il sito era circondato da due palizzate che difendevano tanto i versantiquanto la sommità del rilievo e l’insediamento si estendeva per quasi un ettaro; lapalizzata sommitale delimitava poco più di un terzo dello spazio edificato. Una stima dimassima lascia ipotizzare un carico demografico intorno alle 150 persone, cifra che pareripetersi costantemente durante la vita del villaggio361. La topografia dell’insediamento altomedievale di Donoratico è invece da chiarire, cosìcome un eventuale rapporto con tracce di frequentazione tardoantica che stanno iniziandoa comparire ma che non sono riconducibili per il momento ad alcun modello. Tuttavia ilcolle, non sappiamo ancora se per tutta la sua estensione di oltre 8000 mq, fu occupato dacapanne almeno dalla metà dell’VIII secolo e subirono numerosi rifacimenti eristrutturazioni. Gli eventi per ora riconoscibili lasciano forse intravedere la costruzione diuna palizzata che delimitava una zona distinta: un tratto di circa 2 m, caratterizzato da unallineamento di grossi pali ravvicinati, in alcuni casi in doppia fila, è presente nell’areaoccupata in seguito dalla chiesa.Nell’esempio di Poggio Imperiale ci troviamo di fronte ad un villaggio che pare svilupparsiin un’azienda di età longobarda; nella sua conformazione ricorda, pur non essendolo, unacurtis di piccola estensione, compatta e con elementi pertinenti sia ad una casa dominicasia ad un nucleo massaricio all’interno dello stesso centro; un esempio tangibile di quelleforme pre-curtensi intuite da molti autori362, ma mai tratteggiate urbanisticamente, la cuicomparsa facilitò in seguito l’applicazione dei modelli franchi di un maturo sistemacurtense363. Le evidenze riscontrate possono quindi essere ricondotte ad uno dei villaggi-azienda presenti nel regno longobardo, dei quali le fonti scritte non forniscono che scarnedescrizioni e che vengono definiti con poca chiarezza dalla ricerca storica a proposito dellaloro articolazione urbanistica e della loro realtà insediativo-produttiva364. L’Archeologia, purlasciando alcune domande aperte, ci mostra invece come erano fatti materialmente questicentri, come si viveva e cosa si produceva, quali dovevano essere i rapporti interni nellecomunità rurali dell’VIII-IX secolo.Un nuovo gruppo di possessores iniziò quindi ad affermarsi almeno sino dagli anni delregno di Rotari, raggiungendo nello spazio di alcuni decenni una dimensione più matura.Nell’insieme rappresentavano dei nuovi proprietari fondiari dalle origini etniche promiscue,

360 FRANCOVICH 2004; VALENTI 2004; VALENTI 2005.361 CANTINI 2003. 362 Si veda in particolare ANDREOLLI, MONTANARI 1983; PASQUALI 2002 con bibliografie.363 Per le trasformazioni in corso nell’Italia carolingia si veda ALBERTONI 1997.364 Si vedano al riguardo MODZELZWSKI 1978 e TOUBERT 1995.

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definiti dalle fonti scritte come arimanni, componenti dell’exercitus e longobardi di diritto.Ad essi si affiancarono successivamente gli esponenti di un’alta aristocrazia promossadalla corona, insediata per gruppi parentali nei centri di potere laico ed episcopale cittadini,che aderì in breve con una vasta base economica al paesaggio rurale365. Nel corsodell’VIII secolo la campagna stava quindi vivendo un processo di crescita; eracaratterizzata da rapporti di proprietà più o meno stabilizzati366 e da una società rurale chetendeva nel tempo a farsi sempre più differenziata socialmente con la crescita di unamassa anonima indicata dalle leggi come pauperes o rustici367.

6 - La trasformazione del villaggio in curtis nel periodo franco. IX-X secolo.La ricerca storica prospetta un modello di habitat delle famiglie rurali quasi stereotipato,esteso all’intero altomedioevo benchè estrapolato soprattutto dalla lettura di documentieterogenei datati all'età carolingia. Il villaggio sembrerebbe così una realtà cristallizzatanel tempo, priva di evoluzione urbanistica, se non la costruzione di nuove abitazioni perusura delle vecchie. Era composto da capanne, ognuna inserita in un complesso cheraggruppava elementi insediativi diversi, organizzati, costruiti e strutturati dal contadinostesso: stalle, granai, fienili, tettoie, recinti, laboratori artigianali, forni, cucine, pozzi ecc.,raccolti intorno ad uno spazio aperto e spesso recintati368. Questo tipo di insediamento, inrealtà, non pare essere stato in vita nel VII e nell’VIII secolo ed anche per il IX ed il Xsecolo difficilmente trova riscontri archeologici. La sua descrizione sembra collegata ad uncentro rurale idealizzato, costituito da strutture attestate singolarmente in carte d’archiviodi diversa provenienza geografica e mai recanti descrizioni urbanisticamente dettagliate;forse anche all’adattamento retroattivo di modelli insediativi-produttivi legati alla grandefattoria mezzadrile di età moderna. In Italia non esistono testimonianze in tal senso edalcuni agganci cercati in contesti archeologici germanici, per esempio il caso famoso diWarendorf o quello di Merdingen, convincono poco369.

365 Il fenomeno è riconoscibile almeno dai decenni della reggenza di Ariperto II (TABACCO 1969 eTABACCO 1973). Troviamo attestazione della loro presenza nei documenti scritti, ma sono assenti dellechiare tracce materiali sul territorio; tale vuoto archeologico sembra prospettare il controllo in forma indirettadel proprio patrimonio e individua nella città la loro sede di residenza stabile. In Toscana non sono statirinvenuti contesti archeologici come quelli dell’Italia settentrionale che provano la territorializzazione di unceto di fideles del re, divenendo esponenti di spicco della nuova classe dei proprietari terrieri (da ultimoBROGIOLO, CHAVARRIA 2005). Tra la metà del VII e la metà dell’VIII secolo si assiste così in generale aduna proliferazione di chiese, ospedali e monasteri dovuti all’iniziativa laica, probabilmente al servizio di unaserie di insediamenti posti nei loro dintorni; a questo periodo datano per esempio i primi interventi sullacampagna senese di esponenti delle aristocrazie di origine longobarda come il restauro dell'oracolo diS.Ansano a Dofana ad opera dei gastaldi senesi Vuillerat e Zottone suo figlio, la costruzione all'interno dellastessa chiesa di due altaria fatti poi consacrare da Magno vescovo di Siena o la fondazione del monastero diSant’Eugenio del gastaldo Warnefrit (si veda per tutti TABACCO 1973). 366 In tale direzione ceve essere per esempio letta la ben nota disputa tra i vescovi di Siena e di Arezzo sullechiese battesimali poste nella fascia di confine tra le due città. Evento che testimonia soprattutto quella vastamole di relazioni e compenetrazioni tra laici di medio e di alto livello sociale ed istituzioni religiose che, al dilà delle motivazioni spirituali esistenti, rappresentarono soprattutto occasioni economiche e di affermazione-consolidamento familiare. Si vedano soprattutto TABACCO 1973 e VIOLANTE 1982.367 GASPARRI 1983, pp.107-113.368 GALETTI 1987, p.96; anche ROSENER 1989, pp.87-90 con bibliografia.369 Tali casi mostrano villaggi articolati in unità poderali molto più estese e composite di quanto non lasciintendere la documentazione scritta, circondate da palizzate e con un ampio numero di edifici (una media di14-15 strutture) in parte funzionali alle attività agricole (fienili, pagliai ottagonali ed esagonali, piccolecapanne con e senza focolare lette come annessi funzionali, piccoli magazzini per grano e stalle), in parteadibiti a residenza sia del detentore del manso (abitazione più estesa, con due ingressi contrapposti, su unodi essi viene ipotizzato una sorta di trono in legno come segno esplicito di gerarchizzazione) sia dimanodopera servile.

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In età carolingia avvennero cambiamenti nell’articolazione dei villaggi ma nessunaabitazione comune pare aver mai avuto una strutturazione così complessa; strutturazioneche invece si adatta più da vicino a quegli spazi particolari dell’insediamento che,archeologicamente, sono stati interpretati come zone di potere e di coordinamento dellavoro dei rustici. In questo periodo l’insediamento di Poggio Imperiale si trasformòradicalmente, assumendo le caratteristiche di una curtis, cioè una grande azienda rurale,strutturata in un complesso di terre gestite direttamente dal proprietario (dominicum) edaltre date in gestione a coloni (massaricium) che avevano anche l'obbligo di prestare dellegiornate di lavoro (operae, corvées) sui terreni padronali370.Tale cambiamento non fu improvviso, venne bensì preceduto da una frequentazione dialcuni decenni, probabilmente agli inizi del IX secolo, della quale non riusciamo per ilmomento a definirne bene le unità abitative e l'estensione, in quanto le loro traccerisultano compresse tra i depositi più antichi e quelli più recenti. La capanna in partecoperta dalla viabilità in terra che entrerà in uso con la curtis, dal calpestio esterno ad altriedifici più tardi, in parte riutilizzata per una nuova struttura abitativa e in parte asportatadalla fondazione di un muro in pietra di XIII secolo, rappresenta un buon esempio dellostato delle giaciture di questa fase intermedia. Era parzialmente conservata ed alloggiataall'interno di un breve taglio sul terreno di forma rettangolare con angoli stondati; l’interolato est venne spoliato e le dimensioni superstiti erano di 5,5 x 2 m circa benchéipotizzabili in 5,5 x 3 m. Doveva aver avuto pianta rettangolare, forse divisa in due navateda un palo centrale, il tetto era a doppio spiovente orientato est-ovest; fu dotata di unfocolare ed il piano di vita presentava molte piccole buche da leggere come alloggio diarredi371.La nuova organizzazione del villaggio ruotava intorno ad una grande abitazione(longhouse) che costituiva la residenza padronale. Da questa si dipartiva una strada interra battuta, affiancata da un edificio di servizio destinato alla macellazione della carne econtornata da capanne di dimensioni minori forse riconducibili a servi o dipendenti, daun’area destinata a strutture artigianali che comprendeva una fornace da ceramica ed unaforgia da ferro e da un grande granaio. Uno spazio aperto con contenitori infissi nelterreno, steccati e concimaia ha mostrato i resti delle attività quotidiane di una popolazionerurale. Tale complesso era il centro della curtis e gli studi sulla fauna delineano i suoicaratteri economici. La distribuzione delle specie rivela un nucleo dedicatoprevalentemente ad attività agricole e di pastorizia specializzata; continuano ad esserepresenti i buoi, soprattutto impiegati nei lavori di trazione e nei campi, ed i caprovinidestinati alla produzione di latticini, della lana e per il consumo di carne; scompaiono peròi suini. Nella casa dominica si svolgevano quindi attività economiche incentrate sullosfruttamento agricolo dei terreni circostanti e sull’allevamento, mentre l’uso della selvaappare meno decisivo nei processi produttivi, forse limitato esclusivamente alla raccolta edal recupero di materiale ligneo per l’edilizia ed alle altre attività quotidiane ad essorapportabili.Qui i contadini avevano mansioni collegate soprattutto all’allevamento degli animali (oltrealle ossa sono stati rinvenuti circa 60 oggetti metallici riconducibili a tale attività), allaproduzione di generi alimentari e di strumenti di lavoro. La specializzazionenell’allevamento di caprovini e la presenza di bovini macellati in età avanzata, fannopensare infatti che le superfici agricole del dominico venissero gestite soprattutto tramitecorvées, concedendo quindi l’impiego dei propri animali, mentre l’esistenza di strutture diaccumulo può essere riconducibile all’immagazzinamento di quote canonarie.

370 Si vedano tra i tanti PASQUALI 1981; SERGI 1993; TOUBERT 1983; TOUBERT 1988.371 Confronti per suppellettili analoghe si rintracciano a Brescia-via Alberto Mario, in un edificio databile allafine dell'età tardoantica, circa dove sessanta piccole buche di palo sono state interpretate come indizio dimobilio minuto tipo panche o sgabelli con gambe appuntite: BROGIOLO 1994, p.108 e bibliografa citata.

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Il granaio aveva forma rettangolare, esteso 8,5 x 5,5 m, costituito da un'armatura di paliperimetrali estremamente robusta e da un piano di calpestio molto scuro con evidentitracce di frequentazione di tipo non domestico. La letteratura nord europea ha spessoassociato questo tipo di evidenze archeologiche a granai con piattaforma pavimentalesopraelevata per isolare i cereali dall'umidità, pareti in assi di legno orizzontali e coperturaa due spioventi. Trova confronto con l’analoga struttura scavata a Montarrenti e datatametà VIII-IX secolo; un grande edificio esteso 13 x 4 m, a pianta rettangolare con un latoleggermente stondato, diviso in tre ambienti, quello centrale di dimensioni minori, dotato diuna grande apertura sul lato sud. Inoltre mostra strette analogie con le planimetrie dialcuni edifici riconosciuti nella Francia in villaggi frequentati fra IX e inizi XI secolo; nelcontesto di Baillet-en-France il granaio era rettangolare, a sei pali perimetrali molto robusti(quattro ai vertici e due al centro dei lati lunghi; diametro medio 1,10 m) sui quali poggiavala piattaforma sopraelevata del pavimento; nel contesto di Villiers-le-Sec il granaio eraquadrato irregolare a sei pali perimetrali con diametro medio 1,20 m, sui quali poggiava lapiattaforma sopraelevata del pavimento e si accedeva attraverso una scala372.L’alimentazione rappresenta uno degli indicatori più evidenti a conferma della presenza diuna differenziazione sociale e di una scala gerarchica; al riguardo è significativo il tipo didistribuzione della carne che effettua la famiglia dominante tra i suoi diretti dipendenti conun collegamento fra qualità della carne e diverso ruolo o posizione rivestita da coloro chela ricevevano. Un modello semplificato di distribuzione e consumo vede la famigliadominante mangiare molta carne di prima scelta e di tipo diversificato, i dipendenti piùstretti accedevano a tagli di seconda scelta, il resto della popolazione a tagli di terzascelta e, sia per qualità sia per quantità, doveva forzatamente integrare i pasti conabbondanza di altri generi alimentari373. I modelli storici inerenti la topografia della casa dominica di una curtis, tratteggiano un’arearesidenziale che doveva essere poco estesa, per l'importanza preponderante della partedell'azienda lottizzata ai coloni affittuari, articolata in case abitate dal padrone o dal suoagente e dai servi prebendari, magazzini o altri edifici agricoli; solo occasionalmente eranopresenti delle stalle poichè gli animali sembrano avere trovato riparo in edifici staccati dalcentro curtense. Dovevano poi essere assenti strutture funzionali alla produzione dimanufatti artigianali, nella maggior parte dei casi oggetto di canoni, quindi forniti daimassari. Quest’immagine è tratta soprattutto dai Polittici della grande proprietà monasticadell’Italia settentrionale, redatti tra seconda metà del IX–inizi del X secolo374, mentre lecurtes più piccole, come quelle che sono state scavate in Toscana e che dovevano esserele più diffuse, articolarono probabilmente rapporti e strategie produttive diverse.Il caso di Poggio Imperiale è in linea di massima aderente al quadro proposto dallastoriografia, ma ci sono significative differenze; in particolare, lo spazio intorno allacapanna dominica era organizzato come una specie di fattoria dotata di annessi e strutturedi servizio; gli animali erano custoditi all’interno del centro e le attività artigianali venivanosvolte sotto il diretto controllo del proprietario. La forgia da ferro e la fornace da ceramicadisposte poco lontano dalla longhouse lasciano infatti intravedere come la fabbricazionedei beni necessari alla vita ed al lavoro quotidiano avveniva negli spazi del dominico e può

372 GUADAGNIN 1988, pp.140-141, 146, 151-152, 160-161.373 Si veda per tali aspetti soprattutto SALVADORI, VALENTI 2003.374 Per esempio gli inventari del monastero di Bobbio mostrano la fornitura di prodotti artigianali da parte deicoloni del massaricio; come la corte di Luliatica, nel pavese, che era adibita alla produzione ed allalavorazione del ferro, altre a fornire il vestimentum cioè l’abbigliamento dei monaci (FUMAGALLI 1969,pp.38-49). Oppure gli inventari del monastero di Santa Giulia di Brescia attestano che circa un quinto deicoloni dipendenti (su un totale di quasi 1000 capifamiglia suddivisi in 80 aziende curtensi) fornivanoannualmente censi sottoforma di beni materiali. Sono stati calcolati circa 170 kg di ferro grezzo, attrezzi inmetallo (3 falci, 2 forconi, 3 scuri, 1 mannaia, 29 vomeri), oggetti in legno (400 scandolas cioè tegole ligneeper tetto), quantitativi di lana e lino, tele e stoffe grezze (FUMAGALLI 1980).

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rappresentare sia una tendenza all’autosufficienza sia l’esercizio di una bannalità: icontadini ed i pastori del massaricio dovevano forse approvvigionarsi del necessariopresso la casa dominica.Resta ancora aperti i problemi della natura e dell’estensione del centro curtense. Delle trevariabili proposte da Toubert tentando uno sforzo di semplificazione della casisticaprobabilmente esistente375, sono senz’altro da escludere la curtis "pioniere" (organismi dirottura di fronte all'incolto nei quali era assente una casa dominica tra le componentidell’insediamento) e la curtis con sfruttamento diretto verso i settori di profitto agricolo(caratterizzata da un piccolo settore silvo-pastorale, con produzione specializzatanell'olivicoltura e viticoltura mentre la cerealicoltura aveva un ruolo secondario, deteneva ilcontrollo e si operava per il mantenimento di dispositivi tecnici con al primo posto i mulini).L’insediamento di Poggio Imperiale, se proprio vogliamo inserirlo all’interno di unacategoria, pare somigliare molto più da vicino alle curtes di tipo "classico", divise in partedomocoltile e massaricia, quest’ultima da collocare sulle superfici sud della collina nonancora scavate (ipotesi più plausibile che verificheremo presto) o in altra zona del territoriocircostante. Nel massaricio dovevano svolgersi le stesse attività lavorative attestate nel dominico, cioèagricoltura e pastorizia; le quote canonarie venivano raccolte nel grande granaio o, nelcaso di prodotti alimentari, portate direttamente alla casa dominica. In tal senso è unchiaro indicatore la presenza e la distribuzione dei reperti osteologici del maiale: gli unicielementi anatomici rinvenuti corrispondono alla spalla dell’animale. In altre parole, i suinivenivano allevati solo nel massaricio e giungevano nell’insediamento già macellati comeparti scelte di carne lavorata ed oggetto di canone; probabilmente il proprietario effettuavapoi una redistribuzione di alcune spalle fra i suoi servi. Insieme al villaggio valdelsano, altri casi toscani, come Scarlino, Montarrenti, Miranduolo eDonoratico, mostrano processi analoghi: le tracce di un’evidente riorganizzazione cheportò ad una nuova tipologia insediativa ed a nuove connotazioni economiche. Se nellamatura età longobarda riusciamo a cogliere archeologicamente i primi segni diun’evoluzione urbanistica dei villaggi, che deve essere collegata allo sviluppo di forme dicontrollo della produzione, con l’età carolingia il cambiamento fu ancora più significativo.Gli scavi attestano l’inizio di una stagione di rinnovamento urbanistico e di riprogettazione,segni di una più marcata capacità di organizzare la società locale e di coordinare il lavorodella popolazione che assumeva dei marcati caratteri di dipendenza. Le tracce sonoriconoscibili soprattutto nella topografia dei centri di popolamento, distinguendo lo spaziodel potere economico dagli spazi occupati dalla massa dei poderi, nella presenza tangibiledi una famiglia dominante, da opere che i contadini erano tenuti a realizzare, dal tipo diaccesso alle derrate alimentari e dalla gestione dei mezzi di produzione. Il consolidamento delle aristocrazie rurali fu un processo di lunga gestazione; tra VIII e IXsecolo le élite stabilizzarono i propri patrimoni affermandosi definitivamente ed i contadini,attraverso vie differenti che sono state già tratteggiate a sufficienza dalla storiografia,dovettero entrare per la maggior parte nella dipendenza di grandi proprietari. In questoperiodo i nuclei di popolamento non differirono molto da aziende; con l’introduzione dellatifondo di modello franco si può affermare che ambedue le connotazioni convissero,influenzandosi reciprocamente. A Scarlino la sommità fu circoscritta e difesa da una cortina in pietra e materiali deperibili esi ristrutturarono interamente gli spazi interni. L’abitato, ancora poco esteso, sembra oradisporsi irregolarmente intorno ad un’area aperta, sfruttata anche per piccole attivitàmetallugiche ed immagazzinamento dei prodotti agricoli. Vennero edificate cinque nuovecapanne con destinazione abitativa, tendenzialmente di medio-piccole dimensioni, fra 15 e50 mq circa, ed una struttura molto grande, non individuata interamente, ma con un lato

375 TOUBERT 1995, pp.159-167.

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compreso fra 9 e 12 m. Questo edificio, nella sua ultima frequentazione, sembra aversubito un rifacimento quasi integrale, ricostruendo sia il tetto in cui vennero impiegatichiodi sia gli elevati mettendo in opera pietra mista a terra e frasche; gli elementi esposti,insieme ad un corredo di ceramiche e di oggetti in metallo maggiormente ricco, hannofatto ipotizzare il carattere più importante dell’abitazione. Sul limite nord ovest della collinasorse nel X secolo una chiesa monoabsidata, decorata da affreschi, estesa 14 x 5,5 m,elevati in grandi conci di pietra locale posti in opera irregolarmente e legati da malta. Acirca 4 m di distanza, e connessa all’edificio religioso, fu impiantata un’ulteriorecostruzione in pietra di 35-40 mq circa, caratterizzata dalla stessa tecnica edilizia ma dellaquale non è possibile definire la funzionalità. La popolazione, nella zona sommitale,poteva raggiungere un numero di circa 40 persone calcolando la presenza di un prete edun numero maggiore d’individui all’interno dell’edificio più esteso. Non è invece calcolabilela demografia delle zone di versante dove lo scavo non è stato esteso.A Montarrenti, dopo la metà dell’VIII secolo, la parte alta fu soggetta ad unaristrutturazione: la palizzata lignea venne sostituita da un muro in pietra legato da malta ele capanne, a loro volta, soppiantate da un grande magazzino in legno di formarettangolare. L’area sommitale sembra destinata non solo alla raccolta delle derrateagricole ma anche alla loro lavorazione, che viene attestata dal rinvenimento di unamacina e di un piccolo fornetto impiegato per l’essiccazione delle granaglie. Nella secondametà del IX secolo il grande magazzino andò a fuoco e furono costruite nuove strutture inlegno che non sembrano rispettare i limiti del muro di cinta in parte crollato.Miranduolo dista circa 20 km da Montarrenti. Lo scavo sta rivelando una frequentazionestabile della collina che pare avere inizio nel corso dell’VIII secolo e proseguire senzasoluzione di continuità sino alle fasi d’incastellamento. Sinora l’intervento ha interessatosoprattutto la sommità del rilievo e per gli attuali limiti spaziali non siamo ancora in gradodi effettuare stime attendibili sull’entità della popolazione; se le capanne si esteserosull’intera collina possiamo ipotizzare almeno 150 persone ma ogni calcolo è rimandato adulteriori sviluppi dello scavo. Intorno alla metà del IX secolo gli spazi più innalzati del rilievocollinare furono riprogettati; venne dato avvio ad una imponente opera di escavazionedella roccia, realizzando un profondo fossato dalla larghezza di circa 7 m ed erigendoun’estesa palizzata difensiva, in alcuni punti doppia. L’insediamento doveva ora ruotareintorno ad un’estesa capanna centrale con fasi continue di restauro e rifacimenti, in parteobliterata dai resti del palazzo in pietra di XII secolo. Questo edificio era al centro distrutture di servizio, contornato da magazzini per prodotti agricoli ed ambienti destinati allamacinatura ed allo stoccaggio dei grani posti sul lato nord376.La topografia dell’insediamento altomedievale di Donoratico cambiò forse un po’ più tardi,durante il X secolo quando fu realizzato un primo muro, che tagliava in due parti la zonaedificata, ancora costituito da capanne ed obliterato da ceramica a vetrina sparsa. La suapresenza è stata preliminarmente letta come una divisione fra parte artigianale e parteabitativa. Poggio Imperiale e gli altri esempi toscani descritti fanno luce sull’aspetto e sullaconnotazione materiale ed urbanistica del potere. Gli spazi governati direttamente dallefamiglie dominanti dei centri si presentano come un complesso organizzato, separatotopograficamente dalle case dei contadini e collocato al centro dell’insediamento come aPoggio Imperialei, o sulla sommità del rilievo come le aree con palizzate a Montarrenti (poisostituite da un muro) e Miranduolo, lo spazio poi cinto da mura in materiali misti diScarlino e la divisione interna di DonoraticoL’aspetto del villaggio cambiò anche attraverso la costruzione di edifici per accumulo econservazione che mostrano la presenza di una famiglia dominante in grado dirazionalizzare prelievi sulla produzione agricola come a Montarrenti, Poggio Imperiale,

376 NARDINI, VALENTI 2003; NARDINI, VALENTI 2005.

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Miranduolo e probabilmente a Scarlino; di accentrare le strutture per la fabbricazione dibeni (forge e fornaci: soprattutto Montarrenti e Poggio Imperiale, probabilmente Donoraticoe Rocchette) o per il trattamento dei prodotti alimentari (forni per essiccazione dei cereali,strutture per la macinatura, edifici per la macellazione e la lavorazione della carne:Montarrenti, Miranduolo, Poggio Imperiale, Donoratico); di esigere opere dai propricontadini (erezioni di palizzate o di muri, escavazione di fossati: Montarrenti, Miranduolo,forse Scarlino) o di assoldare maestranze specializzate per specifici interventi (lacostruzione della chiesa di Scarlino e forse quella di Donoratico).In definitiva è possibile descrivere la casa dominica come un’area residenziale pocoestesa, articolata in un’edificio abitato dal padrone o dal suo agente (come la longhouse diPoggio Imperiale, le grandi capanne di Scarlino e di Miranduolo), contornata da magazzinie granai, aie, stalle e recinti per gli animali, da strutture funzionali alla produzione dimanufatti artigianali od alla lavorazione ed al trattamento dei prodotti agricoli.L’occupazione principale dei diretti dipendenti e dei servi sembra essere stata losvolgimento di attività artigianali, l’allevamento e la cura degli animali (concentrati peresempio nel dominico a Poggio Imperiale e Montarrenti). Dovevano inoltre essereparzialmente impiegati nei campi gestiti direttamente dal centro domocotile, ai quali sidestinavano comunque alcuni buoi e talvolta degli equini per operazioni di trazione;l’impegno quasi preminente nella pastorizia e nelle attività di tipo artigianale, lascianointravedere la presenza di opere svolte dai massari, per le quali non è possibilequantificare archeologicamente l’apporto o l’ammontare ma che sembrano essere stateprevalenti.Lo studio delle ossa animali fornisce elementi interpretativi delle diverse strategieeconomiche in atto nella diacronia e sui cambiamenti ai quali andarono soggette; PoggioImperiale mostra l’evoluzione progressiva da nucleo di pastori sino a centro agricolo conuna minore importanza finale dell’allevamento che si specializza; ancora a PoggioImperiale ed a Montarrenti gli animali venivano gestiti rigorosamente nel dominico, mentrealcuni centri (come Campiglia Marittima377 o come il massaricio che si legava al centrodomocotile di Poggio Imperiale) erano specializzati nell’allevamento dei suini.Il villaggio-azienda di Poggio Imperiale venne abbandonato apparentemente nel corso delX secolo. Al momento lo scavo non riesce a rispondere all’interrogativo se si trattò di unvero abbandono (in questo caso potrebbe trattarsi di un centro che faceva parte di quelpatrimonio fondiario legato all’abbazia di Marturi poi andato disperso ed in sfacelo, alquale pose rimedio nel 998 il monaco laudicense Bononio con la rifondazione dellacomunità religiosa su mandato di Ugo di Toscana)378 oppure di una fase di evoluzionedell’insediamento, che cambiò connotazione, purtroppo cancellata dai grandi interventiedilizi che seguirono alla fondazione del centro di Poggio Bonizio alla metà del XII secolo.A questo riguardo le fonti scritte non danno indicazioni positive; la cessione della collina daparte dell'abate Ranieri a Guido Guerra del marzo 1156 sembra escludere la presenza diforme di popolamento attestando il monte qui dicitur bonzi e fornendo indicazioni distrutture insediative solo in relazione ai suoi confini: «ex uno latere est domo boni, exalioest via publica (...), desuper est strata, desubtus fossa predicto castelli»379. Occorrecomunque una verifica archeologica per accertare continuità o discontinuità.

7 - La longhouse.Il grande edificio, tipo longhouse, nome con il quale gli archeologi hanno indicato tali tipi distrutture in coevi insediamenti dell’Europa settentrionale, aveva forma di barca. Era una

377 BIANCHI 2004.378 Su Bononio ed il suo rapporto con Marturi in particolare KURZE 1989.379 Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Bonifazio, 28-29 marzo 1156.

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struttura accuratamente pianificata, con un lato seminterrato e dimensioni di 17 x 8,5 m,occupante quindi uno spazio di circa 144 mq. Venne costruita scavandone la pianta sul terreno vergine in corrispondenza del lato lungosud e dei lati brevi; per la parte nord fu sfruttato lo spazio che precedentemente ospitavaaltre capanne. Qui viveva la famiglia dominante del villaggio-azienda.Aveva uno scheletro in armatura di pali con diametro medio di 35 cm ed elevati in terra(forse a rivestimento di graticci nella zona sud ovest) appoggiati al suolo in corrispondenzadel lato nord e alloggiati all'interno del taglio sul lato sud est; la trincea di fondazione èrappresentata da uno scalino ricavato sulla parte mediana del taglio stesso mentrenumerosi paletti di medie e piccole dimensioni piantati sul piano di calpestio fungevano darinforzo interno. Il tetto, in paglia o altro materiale vegetale, era a doppio spiovente. Dueaccessi si contrapponevano sui lati nord e sud ed erano chiusi da porte in legno concardini.Mostra una suddivisione in tre ambienti: zona domestica (8,50 x m 6,70), zona magazzino(6 x 3,60 m), zona ad uso misto (4,70 x 2,20 m). L'ambiente domestico presentava un focolare ricavato su una base quadrangolare di terravergine sormontata da un'incastellatura di almeno tre pali. A breve distanza venivalavorato il grano come prova la macinella rinvenuta sul piano di calpestio e dove era statainserita una pietra rettangolare, con incavo al centro del lato esterno per alloggio di unpaletto atto a fare ruotare macine di piccole dimensioni; la farina era poi raccolta in unagrande buca scavata ai piedi della pietra e delimitata da zeppe: al suo interno dovevatrovare posto un recipiente ceramico od in legno. Il centro dell'ambiente risulta interamentetramezzato da una fila di piccoli paletti che fungevano da rinforzo al sistema di sostegnodel tetto e sulla parte nord est, forse anche da appoggio per attrezzature artigianali:probabilmente un telaio in legno del tipo a due colonne, di cui sembrano forniretestimonianza due buche di medio-grandi dimensioni parallele ad altrettante piccole buche(alloggi per i montanti verticali) ed alcune fuseruole rinvenute in loro prossimità.Una fila di paletti posta in orizzontale nella zona ovest separava poi lo spazio domesticodall'ambiente destinato a magazzino, dove liquidi e derrate alimentari venivano conservatiin contenitori ceramici di grandi dimensioni alloggiati in buche poco profonde; i grani eranoinvece accumulati in due silos di forma cilindrica del diametro 1 m e con profondità 1,40 mcirca. I paletti sui lati brevi sembrano essere stati coperti da stuoie vegetali o da pagliaintrecciata; in corrispondenza del lato est una porta probabilmente in legno ha lasciatotraccia in tre buche di piccole dimensioni disposte a "v" e in un taglio rettangolare che,formando uno scalino, fungeva da battente: la porta si apriva tirando in fuori. A fiancodell'accesso, nove piccole buche componenti una forma regolarmente quadrata (90 x 90cm) sono interpretabili come traccia di un'infrastruttura di mobilio: sostegni di un piccologranaio sopraelevato oppure l'ossatura di una sorta di armadietto realizzato in armatura dipali, diviso in ripiani attraverso tavole orizzontali ed accostato alla parete di terra? Alcunecomponenti del corredo domestico di stoviglieria dovevano essere poi riposte nello spaziotra la parete ovest e la cantonata della capanna (80 cm-1 m circa) come testimoniano iresti di olle e ciotole/coperchio rinvenutevi. Per quanto riguarda la zona di conserva, sono possibili raffronti con il magazzino rinvenutoin Germania, a Morken380, topograficamente diverso perchè autonomo dall'abitazione cuipertine; era comunque anch'esso seminterrato e presenta buche circolari di pocaprofondità destinate ad ospitare grandi contenitori ad impasto grezzo. Ambientisemiscavati, con funzione di magazzino o di spazio per attività artigianali, posti all'internodi capanne sono documentati anche in Lombardia per periodi più antichi, a Rodengo

380 HINZ 1964; CHAPELOT, FOSSIER 1980, p.128.

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Saiano tra V-VI secolo381, nel villaggio di Idro con frequentazione sino al V secolo382, aPieve di Manerba per la seconda metà del VII secolo383.Il terzo ambiente era disposto sulla parte nord ovest e ricavato nello spazio restante tramagazzino e parete perimetrale, leggermente soprelevato rispetto alla zona domestica.Probabilmente privo di chiusura e quindi continuo con la navata nord della capanna, nonsembra destinato ad usi particolari; presenta comunque una specie di piccolo pozzettocircolare, con pareti rivestite in pezzame di pietra e legante poverissimo (1,24 x 1,20 m;profondità individuata sino a 45 cm) interpretabile forse come luogo di conservazione peralimenti384.Quest’edificio ha mostrato, contrariamente alle altre capanne coeve, una notevolepresenza di metalli, quantificabile in 110 reperti; si tratta per la maggior parte di chiodi eganci da parete. I chiodi rinvenuti sono sia di grandi dimensioni con utilizzo nei lavori dicarpenteria per la costruzione dell’edificio, sia, in numero cospicuo, di medie e piccoledimensioni probabile testimonianza di mobilio ed arredi in legno. Per quanto riguarda lo strumentario superstite si sono rinvenuti un coltello, uno scalpelloforse impiegato nella lavorazione del legno ed un paio di tenaglie da collegare allalavorazione dei metalli; queste ultime, insieme ad alcune scorie da ferro presenti suibattuti, trovano una spiegazione nell’esistenza di una forgia posta a pochi metri di distanzadalla longhouse, della quale parleremo più avanti, ma che sembra controllata dallafamiglia dominante. Un ferro di mulo ed i molti chiodi da ferratura attestano la presenza diequidi.L'abitazione era inoltre completata a sud est da un recinto in legno (2 x 5,50 m) forsedestinato ad ospitare alcuni animali di piccola taglia, a nord invece da una grande eprofonda buca circolare nella quale venivano smaltiti rifiuti organici (diametro 1,10 m,profondità 1 m)385. Una seconda ipotesi di lavoro vede nel piccolo recinto di paletti l'indiziodi una struttura tipo pollaio; anche se propendiamo per la prima interpretazione,l'eventualità non è del tutto da scartare visto anche il grande numero di ossa relative aanimali da cortile rinvenute sui battuti della grande capanna.Longhouse a forma di barca e parzialmente seminterrate non hanno sinora confronti inItalia tranne il caso di Donoratico del quale parleremo più avanti. In generale, abitazioni adue navate sono particolarmente diffuse in area franco-alamanna con dimensionianaloghe all’esempio di Poggio Imperiale386.

381 BROGIOLO 1986; BROGIOLO 1994, p.110.382 Sono comunque ambienti spesso caratterizzati da perimetrali con muratura ad un solo filare di pietrelegate con terriccio; fanno parte di abitazioni con alzati lignei su zoccolo in muratura (BROGIOLO 1980;BROGIOLO 1994, p.111).383 Si tratta di fosse scavate per ospitare attività artigianali e una cantina foderata con muri a secco, forsecoperta da una tavola in legno (CARVER et alii 1982; BROGIOLO 1994, p.111).384 Infrastrutture simili sono state rinvenute a Brescia per il periodo longobardo; ci riferiamo al pozzettoidentificato in corrispondenza dell'edificio IV; BROGIOLO 1991, p.105.385 Per la descrizione in dettaglio dei depositi riconducibili alla longhouse si veda VALENTI 1996a. 386 A Eching per il generico altomedioevo, la casa B era costruita in armatura di pali con elevati in materialedeperibile, battuto in terra, pianta a due navate di 10 x 8 m; mentre la casa D era estesa 17,4 x 6 m ed i moltiframmenti bruciati di intonaco in argilla rinvenuti fanno pensare a pareti con intonaco d’argilla misto apagliericcio intrecciato (WINGHART 1987, pp.139-140). A Gladbach la casa 14 aveva misure di 13 x 7 m(DONAT 1980, pp 15, 17; SAGE 1969); a Wuelfingen, è stata indagata una struttura a livello del suolo conarmatura di pali, a due navate, misure di 16 x 8 m (DONAT 1980, p.17); a Barbis, la casa III.1, aveva misuredi 18 x 6 m ed una parete divisoria di due vani entrambi dotati di focolare (DONAT 1980, p.24). In moltiinsediamenti rurali sassoni individuati in Germania e in modo chiaro per Warendorf, capanne a barca condimensioni simili alla longhouse di Poggio Imperiale venivano destinate alla manovalanza servile mentre iproprietari dimoravano in strutture anch'esse a barca ma molto estese, sino a raggiungere i 30 m. Ladifferenza più significativa tra il nostro caso e molte delle abitazioni di Warendorf è riconoscibile nellapresenza diffusa di paletti esterni inclinati a rinforzo delle pareti (uno in corrispondenza di ogni palo),

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Alcuni elementi di notevole somiglianza sono rintracciabili invece in edifici attestati inGermania, in Danimarca ed in Francia. In Germania presso Altenschieldesche, duecapanne a barca si caratterizzano per essere edificate a livello del suolo con armatura dipali, a navata unica, estese 18 x 7 m. Un secondo esempio è attestato in Danimarca aOmgard, tra IX-X secolo; ha misure di 19,40 x 6,80 m, struttura a barca con armatura dipali a livello del suolo, a tre navate ed articolata in due vani. Altri confronti sono da porsicon capanne bipartite tipo wohnstallhaus; in particolare l'edificio 1 di Eielstaedt,frequentato tra IX-XI secolo, misure pari a 16 x 8 m, aveva forma di barca con due ingressicontrapposti sui lati lunghi e un’allineamento di buche di palo orientato nord-sud chefungeva da separazione tra i due vani;387 a Telgte-Woeste, nella prima metà del IX secolo,la capanna aveva dimensioni 19 x 7 m388. Anche dei rinvenimenti francesi mostrano analogie per pianta e dimensioni: per esempio lacasa VII del timber castle di Mirville era una capanna a barca con misure di 17 x 8 m389.Recentemente è stato individuato a Donoratico il secondo caso di longhouse italiana. Lastruttura, ancora incompleta nella sua planimetria, ha elementi di somiglianza con PoggioImperiale non tanto per i suoi caratteri edilizi quanto per forma e per cultura materialepresente. Questa capanna aveva sicuramente una larghezza di 5,80 m ed una lunghezza,per la parte ad oggi visibile, intorno agli 8 m (dovrebbe comunque essere più estesa e lapianta finale sarà probabilmente definita nella campagna di scavi 2006); le buche di palohanno tutte un rinforzo con corona di terra argillosa; all’interno presenta due focolari, unamacinella da grano e una concentrazione di molte fuseruole (zona del telaio?). Lo strato dicenere e carboni del focolare, analizzati al C14, hanno mostrato una cronologia di fine IX-inizi X secolo ed il piano di calpestio di seconda metà del IX secolo390.

8 - La corte aperta e le strutture artigianali. Immediatamente a nord della longhouse si estende uno spazio aperto di oltre 400 mq,delimitato a nord da una capanna abitativa, ad est da una tettoia/recinto per animali, a sudda due capanne di piccole dimensioni. Non esiste un limite chiaro ad ovest; l’allineamentodi tutte le strutture lungo il percorso della strada bassomedievale può far supporrel’esistenza, fin dall’età carolingia, di una viabilità interna all’insediamento: in questo caso,delimiterebbe anche lo spazio aperto. Le numerose tracce relative ad attività, descritte diseguito, permettono di interpretare l’area come corte/aia.La tettoia rettangolare (5,1 x 2,1 m) aveva probabilmente funzione di ricovero per animali;un allineamento regolare di pali immediatamente a sud può essere interpretato comerecinto ancora collegato ad attività di allevamento; è anche possibile che la tettoia el’allineamento descritti formino in realtà un’unica struttura di maggiori dimensioni.Numerose buche di piccole dimensioni, sparse senza ordine nell’area, possono esserericonosciute come paletti temporanei. Di più difficile interpretazione sono tre grosse buche nelle quali si sono rinvenuti frammentidi grandi contenitori ceramici: piccoli silos per la conservazione di derrate alimentari inrecipienti o abbeveratoi collegati alla tettoia?

nell'assenza di navate interne e dalla costante apertura di due ingressi contrapposti. Si vedano DONAT1980; FEHRING 1991, pp.162-163; inoltre la tipologia abitativa presentate in CHAPELOT, FOSSIER 1980,Fig.17 pp.86-87. Per altri esempi si vedano le capanne documentate a Haldern, Wijk bij Duurstede e Sleentra VIII-IX secolo, a Odoorn tra VII-VIII secolo (DONAT 1980, pp.11-12), a Kirchheim (CHRISTLEIN 1980,pp.162-163).387 WILBERS 1985, pp.219-221 e fig.4.388 REICHMANN 1982, pp.170, 171 fig. 113.1.389 HIGHAM, BARKER 1992, pp.265-267.390 Informazione fornitaci da Giovanna Bianchi, direttore “sul campo” dello scavo, che ringraziamo per ladisponibilità mostrata.

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Una serie di buche di medio-piccole dimensioni che formano numerosi allineamenti sonodistribuite nella parte centro-occidentale dello spazio aperto; si tratta con ogni probabilitàdi uno o più recinti con frequenti rifacimenti e cambiamenti di planimetria. Anche in questocaso le strutture sono funzionali al ricovero di animali. Immediatamente ad est, un’area dibutto di circa 10 mq, contraddistinta dalla composizione fortemente organica dei suoli e daalcune buche di palo, può essere interpretata come letamaio o scarico di rifiuti legati alleattività agricole del villaggio.Una diversa caratterizzazione sembra avere avuto la parte sud-ovest, dove alcune buchedi forma irregolare e dimensioni maggiori (fino ad 1,2 m di diametro) e numerose buche dipalo di modeste dimensioni, distribuite in ordine sparso su tutta lo spazio aperto, sono dariferirsi ad impianti temporanei collegati alle attività agricole e di allevamento (pali perlegare gli animali, pagliai, cataste di legna, ecc). Almeno due focolari si collocano nellaparte centrale dell’area, che insieme a varie chiazze d’argilla concotta, terra molto scura,terra con inclusi carboniosi e chiazze di calce (accumulo di intonaco impiegato nellacostruzione di capanne?) testimoniano lo svolgimento di numerose operazioni.Ad alcune decine di metri di distanza dalla corte aperta erano poste tre strutture artigianali:una capanna destinata alla macellazione ed alla lavorazione della carne consumata nellalonghouse, una forgia da ferro ed una fornace da ceramica. La capanna, costruita sull’immediato lato ovest della stessa longhouse, era una strutturamolto semplice, a pianta rettangolare con un lato leggermente semiscavato e dimensionimedio-piccole (5,5 x 4,40 m); il lato nord ovest veniva delimitato da un taglio profondo 10-15 cm che, livellando il terreno, comportava un piano di calpestio leggermenteseminterrato; i pali portanti erano dislocati regolarmente lungo il perimetro, fungendo dacollegamento per elevati in terra e sostenendo una copertura a doppio spiovente del tipoSparrendach: poggiava infatti su tre travi, uno di colmo impostato sui due pali contrappostial centro dei lati corti e due laterali impostati sull'allineamento di pali dei lati maggiori.L'ingresso era ad escavazione e di forma rettangolare allungata (lunghezza 1,70 m;larghezza 94 cm). Al suo interno, oltre a chiodi e ganci da parete, si è rinvenuto unraschiatoio in ferro per la lavorazione delle pelli, quindi del cuoio, che ben si accordanocon la funzione ipotizzata.L’esistenza di una forgia, sugli spazi ad ovest, viene attestata da un allineamento di paliorientato nord-sud di circa 2,6 m, da un livello di frequentazione a tratti molto annerito,ricco di materiale organico, tracce di carbone e frammenti laterizi (dimensioni 4,1 x 4,3 m),di una buca nella parte sud dal diametro circa 1,30 m conservata solo parzialmente inquanto tagliata da un muro di epoca bassomedievale e contenente scorie. Lungo il latonord del livello di frequentazione si collocava un taglio lineare interpretabile come unaprobabile canaletta da collegarsi alle attività artigianali. La forgia, con cappa realizzatatramite pietre e laterizi impastati con l’argilla, era quindi coperta da una tettoia ipotizzabilenelle dimensioni di 4 x 2 m, parzialmente chiusa da bassi muretti in terra con fondazionein pietra sui lati nord ed est. Nelle sue immediate adiacenze, e sugli spazi in direzione della longhouse, sono staterinvenute numerose scorie e soprattutto una notevole presenza di chiodi da ferratura. Lacoincidenza tra questa struttura ed un grande aumento numerico degli oggetti metallicinon sembra casuale. Il periodo carolingio è quello che infatti ha restituito la maggior partedei reperti ed in cui sono attestate gran parte delle categorie funzionali.La fornace per ceramica, sugli spazi a nord, era di forma cilindrica, costituita da unacupola di laterizi circondata da un rinforzo formato da pietre, ciottoli e altri lateriziframmentati; su due grandi conci di pietra ben squadrati e lavorati si impostava la bocca ele pareti mostrano vistose tracce di annerimento da fuoco. Benchè si tratti del probabile riuso di un deposito per acqua di età tardoantica, gli elementiper la sua attribuzione interpretativa sono molto chiari e ad essi si aggiunge la presenza di

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frammenti di distanziatori in terracotta nonchè i numerosi strati di terra molto annerita chele si appoggiano. I livelli della struttura confermano il suo funzionamento in fase con lalonghouse. Sembra essere stata destinata alla produzione di ceramica grezza di buonafattura come testimoniano due olle rinvenute al suo interno.Esistevano quindi dei vasai nel villaggio ai quali la popolazione si riforniva e la cuiproduzione (come quella della forgia), per la stessa collocazione della struttura nell’areadel dominico, sembra controllata dalla famiglia che abitava la longhouse. Il villaggiodoveva comunque approvigionarsi anche in altri punti del territorio dei quali si riconoscel’esistenza nell’ampia varietà degli impasti impiegati per la foggiatura del vasellame e nellapresenza di forme chiuse ad impasto depurato. Dove operassero tali vasai ancora attiviprofessionalmente non lo sappiamo (in città? sul territorio?); la loro presenza e l'eserciziodi un'attività produttiva, pur se limitata a precise micro-aree, sembra però proporsi comeuna quasi certezza. Resta il dubbio sulla loro localizzazione e dove avvenissematerialmente la contrattazione e la vendita: luoghi di scambio comuni interzonali comepiccoli mercati periodici o tipo fiere? venditori itineranti? approvvigionamento diretto allefornaci?Questo tipo di produzione, articolato cioè sulla presenza contemporanea di forni legati aivillaggi e piccoli centri specializzati operanti per una forma di commercio, è del restoindiziata dalla stessa circolazione di vetro. A Poggio Imperiale in particolare, il vetro èpresente con una grande quantità di frammenti (riconducibili a bicchieri, bottiglie, formeaperte, calici e lampade), così articolati da permettere in molti casi una vera e propriatipologia che rimanda indubbiamente a fornaci specializzate.Non dobbiamo pensare comunque all’esistenza di imprenditorie industriali e di un sistemadi distribuzione organizzato; questo tipo di circolazione delle ceramiche è invece derivatoda un progressivo localismo delle produzioni. A livello regionale, già alla fine del V-inizi VIsecolo, è dato osservare un quadro variegato nella circolazione dei diversi prodotti,caratterizzato da zone dotate di modalità e capacità di accesso differenziate ai mercati;sono già riconoscibili particolarità sub-regionali ma, nel complesso, siamo in grado diconstatare la presenza di una popolazione che affonda ancora le proprie radici in unosfondo socioeconomico comune e tendenzialmente uniformato; in esso operano ancorafornaci che producono vasellame in serie, diffondendolo a medio-largo raggio.Con la seconda metà del VI secolo sembra quindi decadere definitivamente il mercatourbano (cessano di esistere anche le aziende che vi coinvogliavano i propri prodottiagricoli) e scompaiono gradualmente le importazione sul territorio. La circolazione di mercidiviene decisamente limitata, articolandosi solo sulle produzioni locali benchè, in generale,non si può però parlare di completo regime autarchico e di una iniziale chiusura ad ognitipo di mercato o punto di scambio; esistono ancora alcune fornaci a produzione serialeanche se il processo di particolarismo zonale nella produzione-distribuzione di ceramichesia ormai sempre più marcato ed in pieno sviluppo.Dal VII secolo doveva invece essere terminata quasi completamente la produzioneindustriale di ceramica ed il vasellame sembra ora provenire da vasai operanti per unacommittenza mirata; allo stesso tempo si riducono molto le componenti di corredi damensa e da fuoco. Risulta evidente la scomparsa di produzioni ad impasto grezzo che,sino alla fine del VI-inizi VII secolo, seguivano criteri formali e stilistici molto simili. Anchela contemporanea rarefazione delle suppellettili da mensa con coperta rossa, segna ilvenire meno della distribuzione di corredi ceramici uniformi (pur se usciti da fornacidiverse) prodotti industrialmente ed immessi in un mercato ancora ricettivo.Si giunge, in definitiva, alla circolazione di nuovo vasellame definibile pienamentealtomedievale, con caratteri propri e relativamente influenzati da archetipi tardoantichi;sono manufatti emancipati dalla tradizione del passato e, a maggiore conferma della lorooriginalità, influenzeranno poi decisamente le ceramiche in circolazione tra X-XII secolo.

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Quest’impressione si conferma, per esempio, osservando l'evoluzione tipologica deiboccali/brocche ad impasto depurato rinvenuti in Toscana. Sino agli inizi del VII secolosono attestate forme che mostrano ancora stretti legami con gli esemplari tardoantichi. Altipo caratterizzato da bordo estroflesso, collo breve, corpo spesso ovoidale, fondo piano eapode in uso tra V e VI secolo, viene affiancato il tipo con ventre decisamente ovoidale edil collo molto stretto già nel V secolo avanzato e raggiunge la metà VI-VII secolo (comeattestano per esempio in altre aree della regione come gli esemplari di Massaciuccoli eFiesole391). Quest'ultimo è strettamente legato ai tipi con ansa a nastro leggermenteinsellata e complanare o impostata poco sotto il bordo, bocca appena trilobata o circolare,corpo quasi a sacchetto in parte coperto da vernice rossa, databili tra fine VI-VII secolo.Nel complesso si tratta delle ultime forme diffuse a livello regionale e distribuite da piùcentri produttivi (riscontrate a Fiesole ed a Chiusi-Arcisa392; Massaciuccoli, Pistoia eChianti senese393); le stesse bottiglie attestate a Fiesole rimandano decisamente ad unaproduzione specializzata. Sembra poi proponibile una diversificazione delle forme (boccalitrilobati o tendenzialmente a bocca triangolare a bocca stretta e corpo ovoidale, od abocca larga, corpo globulare, fondo piano e apode) sino a tutto il X secolo che sottintendead elaborazioni locali; in altre parole i boccali in uso per il pieno altomedioevo potrebberoessere stati foggiati da vasai operanti per una committenza composta da più nuclei dipopolamento dislocati in più circondari.Un elemento di ulteriore supporto all'esistenza di vasai interni al proprio villaggio e di vasaioperanti per più nuclei di popolamento vicini, è osservabile nelle stesse caratteristichetipologiche delle olle. Confrontando così tre dei principali contesti toscani altomedievali, cioè nel senese PoggioImperiale e Montarrenti, nel grossetano Scarlino, sono chiaramente attestate due diverseproduzioni che segnalano altrettante zone caratterizzate da sapere tecnologicodiversificato. Nei due contesti senesi, le olle sono di ottima fattura, ben cotte, condecorazioni in parete regolari ed accurate; si tratta di forme globulari od ovoidali,generalmente con bordo più o meno dritto, orlo arrotondato superiormente piatto oppurecon bordo estroflesso ed orlo quasi appuntito; non mostrano somiglianza con alcuna delleforme tardoantiche e di età della transizione attestate nei vicini Chianti e Val di Merse. Nelvillaggio grossetano, le olle sono invece riconducibili in genere ad un unico grande gruppo,connotato da corpo ovoidale, bordo molto estroflesso, presenza diffusa di alloggio percoperchio, orlo arrotondato od ingrossato o spesso tendente ad assottigliarsi; la lorofattura è molto spesso grossolana ed in alcuni casi risultano chiaramente realizzate amano; inoltre sono riconoscibili solo differenze minime tra gli esemplari di VI-VII e quelli diIX-X secolo, facendo così sospettare una tradizione stilistica e formale perpetuatasi (senon fossilizzata) all'interno della comunità. Lo stesso contesto del Podere Aione, prossimo al villaggio di Scarlino e forse ad essocoevo (sia per la fase di VI-VII che per quella pre-incastellamento) evidenzia ceramicheche, pur ricordando gli esemplari scarlinesi, sembrano però opera di mani diverse e forserealizzati dagli stessi abitanti del complesso.In quelle aree nelle quali ci si è interrogati sui centri di produzione delle ceramichealtomedievali, sono state riscontrate situazioni che in parte ricordano il quadro cheabbiamo delineato ed al tempo stesso differiscono per alcuni aspetti. Nell'Emilia, peresempio, sino alla metà del VII secolo, è stata ipotizzata la compresenza di più modalità diproduzione nelle quali erano protagonisti centri operanti in forme ancora sufficientementeorganizzate, contemporaneamente a forme di produzione artigianali o casalinghe. Dopo la

391 CIAMPOLTRINI, NOTINI 1993; VON HESSEN 1975.392 VON HESSEN 1971; FRANCOVICH 1984.393 VANNINI 1985; VALENTI 1995b.

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metà del VII secolo, le seconde presero il sopravvento sulle prime, sinchè sul finiredell'altomedioevo riemersero modelli produttivi sicuramenti di carattere non domestico394.Nel centro sud, le produzioni industriali (rappresentate soprattutto dalla ceramica decorataa bande rosse) non decadettero mai e ad esse si affiancarono (o continuarono) forme diproduzione locale395; rimane ancora dubbio se il vasellame invetriato, fosse prodottoartigianalmente nelle sue fasi più antiche o se facesse già parte di una e vera e propriaindustria sin dagli inizi396.

9 - Le altre capanne. Le capanne destinate alla popolazione erano diverse dalla longhouse, avevano dimensionipiù ridotte. Sono riconoscibili due tipi di edificio: a pianta rettangolare ed a pianta ellittica. Le capanne rettangolari, avevano un’estensione media di circa 33 mq e dimensioni intornoai 6,9 x 4,8 m. La struttura portante era costituita da un allineamento centrale e da paliperimetrali piuttosto regolari che denotano una buona qualità delle tecniche costruttive. Ladistanza intercorrente tra le buche perimetrali ed il rinvenimento di grandi e piccoli grumi diintonaco di capanna lasciano facilmente prospettare la presenza di elevati in terra cherivestivano lo scheletro delle strutture. Confronti sono rintracciabili in una vasta serie distrutture indagate nei contesti altomedievali della Toscana centro-meridionale. A Scarlino,agli inizi del X secolo, tali abitazioni erano estese tra i 5 x 3,5 m ed i 10 m circa x 4-4,50 m;avevano strutture portanti sotto forma di pali ed alzati forse di frasche impastate con argillacruda. La copertura, in paglia tenuta insieme da legature vegetali, doveva poggiare su unsistema di incastri e perni ed il focolare, circoscritto da pietre, si posizionava alle estremitàe nei pressi della porta. Le capanne di Montarrenti sono anch'esse al livello del suolo epianta rettangolare. La più piccola occupava uno spazio di circa 11 mq; l'armatura dei paliperimetrali era alloggiata in buche scavate nella roccia. Tra fine X-inizi XI secolo altre trecapanne rettangolari avevano dimensioni più o meno simili; la più piccola, di piantairregolare, occupava uno spazio di 27,5 mq ed aveva dimensioni di 5,5 x 5 m; l’intermedia,con pianta regolare, occupava uno spazio di 33 mq ed aveva dimensioni di 5,5 x 6 m; lapiù grande occupava uno spazio di 37 mq ed aveva dimensioni di 7,5 x 5 m. A Donoraticosono state individuate recentemente una serie di capanne a livello del suolo ed a piantarettangolare, con focolare centrale e misure piccole di circa 4 x 3 m397. Le capanne di forma ellittica erano di piccole e medie dimensioni, occupavano uno spaziovariabile fra 20 mq e 52-53 mq circa ed avevano elevati alloggiati in una trincea difondazione; erano cioè costituiti da pali di media circonferenza inseriti all'interno di unacanaletta scavata nel terreno: un tracciato con larghezza variabile tra 28-30 cm cheospitava anche terra di riempimento e pietre a zeppa. La copertura, a doppio spiovente,veniva sorretta internamente da pali con diametro di 25-30 cm, alternati a paletti condiametro di circa 15 cm, collocati sia regolarmente lungo il limite del battuto sia condisposizione caotica verso il centro; in altre parole il tetto veniva eretto sui pali più grandidestinati a sopportare il peso maggiore e rinforzato lateralmente. L'assenza di chiodiconferma un largo impiego di legacci vegetali e puntoni di legno. Una delle capanne ellittiche era completata da recinzione esterna realizzata in paletti,probabilmente da leggere come limite di una piccola area ortiva, testimoniata da piccolebuche in successione continua. In alcuni casi erano dotate di un focolare internosottoforma di punto di fuoco appoggiato sul battuto e collocato in posizione lateraleappena spostato verso il centro del piano di vita; all'esterno sono visibili spesso le tracce

394 GELICHI, GIORDANI 1994, p.90.395 PATTERSON, 1985, pp.101-102. Inoltre GELICHI, GIORDANI 1994, pp.88-92 per elementi di sintesiriassuntiva. 396 ANNIS 1992, p.412-413.397 VALENTI 2004 per una rassegna e per la bibliografia relativa.

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di un secondo focolare forse circoscritto in alcuni casi da pietre. Il primo punto di fuocodovrebbe essere visto soprattutto in funzione del riscaldamento dell'ambiente, mentre ilsecondo, che restituisce spesso resti osteologici, sembra indicare un punto di cottura percibi posto al di là dello spazio coperto. Focolari all'aperto, a fianco di edifici abitativi sonoattestati a Piadena, Lombardia, in contesto di IX-X secolo398.Non è possibile effettuare confronti precisi con capanne altomedievali scavate in Italia; iltipo non risulta attestato anche se, in generale, gli esempi disponibili sono pochi. Capanneellittiche, però a livello del suolo, della stessa cronologia dei casi di Poggio Imperialeprovengono dal contesto livornese di Campiglia Marittima; qui le tracce di capanne sonodisposte lungo il margine del pianoro, presentano dimensioni standardizzate (11-12 x 4 m)e sono suddivise in due navate dall’allineamaneto centrale di pali per il sostegno dellacopertura399. Strutture a canaletta sono invece documentate in Inghilterra a PortchesterCastle tra VII-metà IX secolo con navata unica, estese 6 x 5,4 m e 4,2 x 5,2 m, mentre neltimber castle di Penmaen, tra X-XI secolo, era presente una capanna a canaletta connavata unica e dimensioni di 10 x 5 m400. Esempi analoghi provengono da Trellenborg inDanimarca, dove si riconoscono tre capanne di piccole dimensioni, con un solo ambientee senza alcuna separazione interna, a forma di ferro di cavallo e struttura costituita da unacanala appositamente scavata con buche a metà di ogni suo lato ed è quindi presumibileche nella trincea alloggiassero i pali costituendo così l’ossatura della capanna401. Capanne di questo tipo hanno diffusione anche in Germania. A Gristede, IX secolo,esistevano due abitazioni con pianta a ferro di cavallo (misure: 5,2 x 4 m; 5,8 x 3,5 m) edelevati in assi e paletti verticali alloggiati nella canaletta; a Burgdorf nel IX secolo troviamodue capanne a navata unica, perimetrate da una canaletta chiaramente destinata adospitare paletti verticali (misure: 4,25 x 3,3 m; 4,5 x 3,5 m); a Epolding-Muehltal, VII-IXsecolo, con dimensioni un po' più grandi, le strutture hanno pianta rettangolare a navataunica e un'armatura di pali perimetrali molto vicini gli uni agli altri sistemati all'interno diuna canaletta (larghezza 0,50-1 m)402. Infine è attestato un unicum, la capanna seminterrata con pianta a «T», affacciata sullastrada che portava alla longhouse tramite un ingresso semiscavato (1 x 0,70 m) dotato dicanaletta per lo scolo delle acque; si tratta di una struttura in armatura di pali, di piantarettangolare irregolare e con dimensioni ricostruibili in 4 x 4 m. Il piano di calpestio, inbattuto di terra, era seminterrato e posto allo stesso livello della strada. Si sono rinvenutedue fasi di vita ed un probabile focolare nella parte sud ovest forse pertinente alla solafase d’uso più antica. La struttura portante presenta qualche problema di interpretazione inquanto vi sono pali sia interni disposti irregolarmente sia pali esterni all'escavazione. Inambito europeo, soprattutto in Germania, troviamo confronti su capanne a livello del suolocon pavimento seminterrato e funzione abitativa. Tre casi datati tra VII-VIII secolo,provengono da Leegebruch ed hanno misure 7 x 5,5 m e 4,8 x 3,8 m. Confronti concapanne semiscavate, limitandosi agli esempi di IX secolo e con dimensioni simili, sonoattestati con funzione abitativa a Uetz; gli altri casi rintracciati si riferiscono ad annessifunzionali: Bredstedt, Burgheim, Dolberg, Itzehoe, Neumuenster-Grotenkamp, Pinneberg-Eggerstedt403. M.V.

398 BREDA, BROGIOLO 1985; inoltre BROGIOLO, MANCASSOLA 2005.399 BIANCHI 2004.400 CUNLIFFE 1976, p.59; HIGHAM, BARKER 1992, pp.308-311.401 STOUMANN 1979a, pp.100-102; STOUMANN 1979b.402 DONAT 1980, pp.16, 78-79, 85, 160, 162.403 DONAT 1980, pp.35-36, 64, 85-86, 156-158, 165, 171, 182.

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10 - Le ossa animali della fase carolingia: il consumo di carne come indicatoresociale.L’analisi dei reperti osteologici è stata impostata sul confronto tra i reperti restituiti dallalonghouse e dalle altre capanne; si è studiato quindi la disposizione delle ossa animalinello spazio per comprenderne le dinamiche di accumulo.A tal fine, l’utilizzo della piattaforma GIS, quale strumento di analisi, è risultato moltoproficuo per la costruzione di carte tematiche in cui sono riportati i risultati dellequantificazioni operate dal data base, incrementando le possibilità di valutazione deidepositi. La consistenza anatomica dei resti di bue, elaborata per “zone diagnostiche”,ovvero prendendo in esame unicamente i segmenti relativi alle ossa lunghe, mostra unadisparità tra le capanne del villaggio.Nella capanna a pianta ellittica con fondazione in canaletta, per esempio, non sono statirinvenuti resti di ossa lunghe degli arti dell’animale, mentre sono presenti pochi segmentiossei associabili a tagli di terza scelta (falangi e denti). Anche tra la longhouse e lacapanna a “T” si osservano delle differenze (tabella 1), non tanto nella distribuzione deiresti di bue quanto piuttosto nel tipo di frammentazione riscontrata. Le ossa presentisembrano indiziare un consumo minore di carne bovina, da parte degli abitanti dellacapanna a “T”, forse associabile a tagli di seconda scelta.Lo stesso procedimento, applicato ai segmenti osteologici di capriovini, ha evidenziatonuovamente delle differenze associate ai costumi alimentari degli abitanti del villaggio.Nella capanna a pianta ellittica con fondazione in canaletta, l’assenza di carne bovinasembra essere stata compensata da quella capriovina, ma anche in questo caso appaionodelle divergenze evidenziate dalla presenza quasi assoluta di ossa dell’arto anteriore. Lerestanti abitazioni, infatti, presentano una distribuzione anatomica differente, più completae molto affine tra loro, anche nello stato di frammentazione.Un discorso a parte spetta, infine, per la capanna quadrangolare con tetto tiposparrendach, la quale in base alle evidenze archeologiche sembra essere una strutturaaccessoria, dove si praticavano le operazioni di macellazione e si ripartivano tra gli abitantii tagli di carne secondo quanto ci suggeriscono i rifiuti alimentari. Il campione osseopresenta forti analogie con le distribuzioni della longhouse, tranne la maggiore presenza diossa con tracce di macellazione ed i numerosi frammenti associabili agli scarti dellamacellazione (frammenti craniali, denti, ossa di piccole dimensioni).Sulla scorta delle informazioni archeologiche e faunistiche il caso di Poggio Imperialemostra un villaggio socialmente strutturato in cui quantità e qualità della carne ne riflettonol’organizzazione. La carne bovina ed il quarto posteriore dei capriovini rappresentano iresti materiali di questo costume e le modalità di suddivisione del vitto tra i villani.Se la capanna a pianta ellittica con fondazione in canaletta si configura come abitazione dicontadini più vicini alla famiglia dominante, i rifiuti di pasto ci indicano una mensa in cuicomparivano quasi unicamente il quarto anteriore dei capriovini oppure gli scarti dellacarne bovina. Gli abitanti della capanna a “T”, invece, sembrano avere accesso a taglimigliori, anche se di seconda scelta. Al nucleo familiare risiedente nella longhouse,spettavano i tagli migliori e la maggior quantità. Nel nostro caso, quindi, la carneacquisterebbe un valore socialmente distintivo con cui la famiglia dominante mostra lapropria condizione ed il proprio potere di controllo sugli uomini.In precedenza non si è fatto alcun riferimento alla disposizione di ossa suine all’internodelle strutture emerse a Poggio Imperiale. Il motivo di questa scelta è stato dettato dallasostanziale omogeneità riscontrata negli edifici, ma soprattutto dalla consistenzaanatomica di questa specie considerando il campione del villaggio nel suo insieme.Il dato più rilevante si osserva nella bassa frequenza di elementi anatomici dell’artoposteriore rispetto a quello anteriore, dall’assenza di frammenti femorali e, infine, dallimitato numero di elementi craniali.

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Nella letteratura archeozoologica il problema dello stato di integrità anatomico delle specieanimali presenti nei depositi archeologici è stato spesso oggetto di discussione ed haassunto un ruolo rilevante il termine schleep effect, spesso utilizzato per motivare ledifferenti distribuzioni anatomiche delle specie404. Tale concetto, applicato in prevalenzanei contesti preistorici e protostorici, è il risultato di una riflessione condizionata da undeterminismo geografico e naturalistico. In altre parole la disparità anatomica, qualora siaosservabile in un campione, si deve essenzialmente alla massa degli animali ed alladistanza tra il luogo di uccisione della preda e quello di consumo. Maggiori saranno i lorovalori, espressi dal peso e dalla distanza, minori saranno le parti anatomiche trasportatenell’insediamento.La più articolata complessità dei sistemi economici di periodo storico, rispetto alle epocheprecedenti, come anche lo sviluppo di mezzi e vie di comunicazione tra abitati,introducono nuove variabili, di cui il ricercatore deve tenere conto per spiegare l’eventualedifformità nelle distribuzioni anatomiche delle specie. Applicare il concetto di schleepeffect alle comunità di età storica significa considerare anche i fattori di ordine economicoe sociale, in quanto componenti decisive nella formazione di un campione osteologico econseguentemente nella distribuzione anatomica delle ossa.Come è stato sintetizzato di recente non esiste un metodo univoco di conteggio delle partianatomiche per valutare un deposito osseo. Sono la qualità e la quantità dei dati, inassociazione al contesto archeologico e storico, che permettono di volta in volta diinterpretare i conteggi e di procedere ad una ricostruzione storica connotata da un buongrado di affidabilità. Nel nostro caso, quindi, è stata considerata la disparità tra i segmentianatomici della specie suina, in particolare quella evidenziata tra arto anteriore eposteriore, e dal loro rapporto con le parti corrispondenti alla testa, per proporre l’ipotesi diun’importazione di questo animale nel villaggio sotto forma di tagli di carne, nello specificola spalla. Le suggestioni che sembravano scaturire da questo contesto sono state perciòconfrontate con altre realtà insediative limitrofe e coeve, applicando lo stesso criterio dilettura, al fine di comprendere quanto l’ipotesi di un’importazione in sito sia corretta.I campioni interessati dallo studio comparativo, tutti datati tra la seconda metà del IX-Xsecolo, sono Poggio Imperiale, Rocca di Campiglia (LI), Miranduolo (SI) e RocchettePannoccchieschi (GR).Il dato più evidente è la differente consistenza di ossa della testa in rapporto alle altre partianatomiche: in tutti i siti, ad esclusione di Poggio Imperiale, questa è la regione megliorappresentata. La presenza di numerosi frammenti osteologici riferibili agli scarti dimacellazione, quali i denti, il cranio e le mandibole, è solitamente ricollegabile ad unamacellazione in sito dell’animale. Il villaggio di Poggio Imperiale, quindi, si distinguenettamente dagli altri insediamenti e per tale motivo crediamo che l’ipotesi diun’importazione sia avvalorata dai trend rilevati.Esaminando il rapporto tra arto anteriore e posteriore si osserva, invece, una forteanalogia tra Poggio Imperiale e la Rocca di Campiglia405. In questo caso, la preminenza diossa craniali e le età di abbattimento riscontrati a Campiglia M.ma, suggeriscono duerealtà opposte. Nel primo esempio si tratterebbe d’importazione, mentre nel secondo diesportazione.Tentare di ricollegare quanto sembra emergere dall’analisi delle fonti materiali con ilcontesto storico in cui si colloca il villaggio di Poggio Imperiale, è certamente un processonon facile ma che necessita di approfondimenti qualora il fine ultimo della ricerca siaquello della ricostruzione storica. Si tratta perciò di capire quali possano essere stati iprocessi economici che sottintendono l’ipotesi di un’importazione in sito di porzioni dimaiale, quali erano le reti di mercato in cui si inseriva il villaggio e quali le forme di

404 ALHAIQUE 2000; WHITE 1953; O’ CONNOR 2000.405 SALVADORI 2004.

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scambio instaurate con le realtà insediative limitrofe. Gli elementi specifici dell’economiacarolingia sono stati ampiamente esposti e discussi da numerosi storici, sulla scorta dellefonti scritte; il sistema curtense è la realtà economica che maggiormente condiziona la vitasociale ed economica europea di questo periodo406.In tal senso siamo convinti che Poggio Imperiale, secondo quanto già accennato neiparagrafi precedenti, si configuri come un centro amministrativo curtense, dove siraccoglievano i beni prodotti dall’azienda, connotato da una struttura sociale ed unadisposizione topografica precisi. Il rapporto tra proprietà fondiaria e mansi dipendenti eraregolato, in età altomedievale, secondo diverse modalità che comprendevano prestazionid’opera sulle terre di diretta dipendenza dal centro (corvées) e canoni in natura o indenaro. Il riferimento più suggestivo, per le evidenti analogie con il nostro caso, è unaforma di tassazione o donativo, sviluppatasi in Italia centro-settentrionale a partire dal Xsecolo, riportata con il termine di Amiscere. Questa espressione, in genere, indicava laspalla del maiale oppure alcuni denari407.In definitiva, non possiamo affermare con certezza assoluta che i rifiuti alimentaririspecchino quanto riportato dalle fonti, ma la convergenza di tutti gli indicatori discussi,archeologici, zoologici e documentari concorrono a delineare l’insediamento come centroamministrativo di un’azienda curtense. In questo quadro di riferimento, quindi, i resti dimaiale sarebbero forse in parte da riferire alle corresponsioni che i livellari, insediati neimansi o in altri villaggi legati alla curtis, dovevano al dominico. Un ulteriore aspetto da sottolineare nelle restituzioni archeozoologiche del villaggio diPoggio Imperiale è l’assenza di resti pertinenti ad animali selvatici, che rimandino quindiad attività venatorie. Il dato risulta comune a quasi tutti i contesti altomedievali toscani neiquali sono state effettuate analisi faunistiche approfondite e sottolinea un uso limitato deiboschi, dove certamente si raccoglievano legna e frutti spontanei e si pascolavano glianimali ma dove non si poteva cacciare. L’esercizio venatorio doveva quindi rivestireun’importanza indiscussa come mezzo di affermazione del proprio status sociale. AMontarrenti, per esempio, le uniche e scarse attestazioni di selvaggina provengonodall’area di sommità e la caccia sembra essere stata un’attività probabilmente esclusiva eriservata alla famiglia dominante, un elemento distintivo che costituiva una prerogativa dichi deteneva proprietà e potere. Queste valutazioni portano a riconsiderare i rapporti traclassi egemoni e subalterne, in particolare l’ipotetico diritto dei contadini di cacciare nelleselve408, alla luce dei rinvenimenti faunistici.La caccia, infatti, appare un’attività intimamente legata all’evoluzione della societàaltomedievale tanto da divenire un vero e proprio costume d’elite nel momento in cui siafferma la signoria territoriale. Questo processo è riconosciuto da gran parte degli storici, iquali ravvisano nell’affermazione dei poteri locali il momento topico in cui lacontrapposizione di stili di vita e di modelli alimentari, tra ceti egemoni e subalterni, sonoormai definiti409. La caccia assunse un ruolo socialmente determinante, un privilegio dipochi, ovvero un esercizio di casta quale legittimazione del potere di chi lo deteneva410. Il

406 In generale si veda DUBY 1975 per l’Europa centro-settentrionale; ANDREOLLI, MONTANARI 1983 perl’Italia.407 In particolare, a partire dal X secolo, in alcune zone d’Italia si diffuse una contribuzione nuova riportatacon il termine di amiscere, ad indicare in genere un canone che equivaleva ad una spalla del maiale oppurel’equivalente valore in moneta. La coincidenza dei dati documentari ed archeozoologici rinforza quindil’ipotesi del centro curtense nel quale, a differenza del villaggio di età longobarda, sembra svilupparsiun’economia variegata, dedita in parte all’agricoltura ed in parte all’allevamento dei capriovini e ovviamentedei bovini impiegati come forza lavoro nei campi. Si veda per una chiara esposizione sul significato deltermine amiscere DU CANGE 1954; inoltre ANDREOLLI 1999, pp.206-208.408 Al riguardo si vedano MONTANARI 1979; MONTANARI 1985; ADREOLLI, MONTANARI 1983.409 MONTANARI 1979; GRAND, DELATOUCHE 1981; GALLONI 1993; FLANDRIN, MONTANARI 1997.410 GALLONI 1993.

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momento decisivo dell’evoluzione che portò la caccia a trasformarsi in un privilegio dicasta sembra iniziare dall’VIII-IX secolo e diverse sono le tesi proposte per spiegarne ledinamiche di affermazione.Secondo Grand e Delatouche la caccia era in principio aperta a tutti ma si distingueva aseconda dell’appartenenza sociale, i grandi proprietari cacciavano selvaggina di grossataglia mentre rimaneva preclusa ai contadini non avendo, quest’ultimi, né il tempo né imezzi per dedicarvisi. La storia della caccia nel Medioevo è, sempre secondo gli autori, ilriflesso dell’evoluzione compiuta dalla civiltà rurale, in pratica dell’affermazionedell’agricoltura. Nell’altomedioevo, quindi, l’unico interesse venatorio contadino eradeterminato dalla necessità di preservare i raccolti ed il bestiame, mentre nei secolisuccessivi sarà la selvaggina, in calo demografico a causa dei continui dissodamenti, adessere oggetto di difesa da parte delle aristocrazie411.Per la scuola bolognese, invece, la caccia nel corso dell’altomedioevo rappresentò unarisorsa economica fondamentale per il sostentamento dell’intera popolazione sia contadinache nobiliare412. La sua evoluzione è però spiegata secondo una prospettivaprincipalmente sociale. La contrapposizione tra modelli comportamentali nobiliari econtadini, che venne precisandosi tra VIII e IX secolo, era nei primi secoli del medioevoabbastanza sfumata, per la forte presenza sociale del ceto “misto” di contadini-guerrieri413.La scomparsa di questo ceto, o meglio il livellamento sociale iniziato fin dai primi secoli delmedioevo e culminato nella società feudale414, è documentata nel IX secolo dove il mondodei laici è programmaticamente, ma non ancora istituzionalmente, spaccato tra bellatorese laboratores. Il termine laboratores, viene ad assumere il significato non già di “lavoratori”in genere, ma assai più specificamente di “contadini”, di lavoratori della terra. Dal IXsecolo, i luoghi eletti alla caccia, ovvero le foreste, vennero sistematicamente preclusi allecomunità rurali, per essere sempre più avvertiti come spazio riservato ai potenti e ai loroesercizi venatori. Qui il signore altomedievale, sostanzialmente disinteressato al lavoroagricolo e alla conduzione dei campi, trovava il suo vero interesse “produttivo” nella praticadella caccia415.Secondo Galloni, infine, l’appropriazione dei diritti di venazione da parte delle aristocrazieè il risultato di un fenomeno iniziato fin dai primi secoli dell’altomedioevo. I contadini eranoallora virtualmente liberi di cacciare, in quanto non esistono disposizioni nelle leggibarbariche che vietino loro questa pratica, a differenza di quanto accadrà a partire dall’XIsecolo416. Unica eccezione è costituita dalle riserve regie, testimoniate fin dal VII secoloper la Francia, dove il divieto era esteso a tutti i sudditi del regno nobiltà inclusa 417.L’appropriazione da parte delle signorie locali dei diritti di venazione è spiegato comeprocesso di acculturazione da parte del loro ceto. In pratica si assiste ad un’acquisizione,lenta ma continua, di prerogative regie fin dai primi secoli del medioevo e che trova la suamassima espressione dopo il Mille, con la definitiva affermazione della signoria territoriale;la pratica venatoria venne sempre più condizionata dalla volontà dei potentes: potevanointerdirla oppure permetterla dietro il pagamento di tributi, riservandosi determinate specieo parti di esse418.

411 GRAND, DELATOUCHE 1981.412 MONTANARI 1979, FUMAGALLI 1994.413 FLANDRIN, MONTANARI 1997.414 DUBY 1975.415 FLANDRIN, MONTANARI 1997.416 GALLONI 1993.417 GALLONI 1993; MONTANARI 1979.418 GALLONI 1993.

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In questo orizzonte il censimento dei depositi archeologici, dove si attesta la presenza dispecie selvatiche, rappresenta il significativo contributo storico che archeologia e zoologiapropongono attraverso lo studio dei resti materiali.Secondo una prima recensione prodotta agli inizi degli anni novanta, i campioni datati traV e XI secolo mostrano l’assenza o la presenza irrisoria di ossa appartenenti a specieselvatiche. Questo dato, quindi, non confermava l’ipotesi che la caccia fosse stata unarisorsa particolarmente importante per le popolazioni rurali durante l’altomedioevo419.A conferma di quanto presumiamo, il censimento dei dati archeozoologici editi, in corsopresso il Dipartimento di Archeologia dell’Università di Siena, mostra attestazioni di cacciain molti campioni faunistici rinvenuti nei castelli del centro-nord Italia. Diversi campionifaunistici rinvenuti nei castelli italiani registrano, infatti, la costante presenza, a volteconsistente, di specie selvatiche nelle stratigrafie legate alla comparsa delle primestrutture in pietra, oppure in quelle immediatamente successive. Questo trend è ancor piùsignificativo se paragonato ai villaggi altomedievali, come Poggio Imperiale dove talispecie risultano spesso assenti.In toscana è particolarmente significativo il confronto diacronico tra i depositi conservatinei castelli, dove la ricerca archeologica ha ormai assodato come queste forme insediativesiano state spesso fondate su insediamenti altomedievali preesistenti420.In particolare, questa coincidenza è emersa con chiarezza nei campioni archeozoologicidei castelli di Campiglia M.ma e Rocca San Silvestro (LI)421, Scarlino422 e RocchettePannochieschi (GR)423, Montarrenti424 e Miranduolo425, infine, di Rocca Sillana (PI)426.Il caso di Campiglia, ad esempio, esemplifica chiaramente il fenomeno. Nel corso dell’XIsecolo, la comparsa delle specie selvatiche tra le restituzioni faunistiche (il cervo, il daino,il cinghiale, la lepre ed il tasso) pare coincidere con la trasformazione del villaggio incastello e la probabile presenza di un rappresentante dell’aristocrazia militare, insediatodai Gherardeschi a controllo del centro e del territorio limitrofo. In tal senso è statainterpretata anche la ripartizione anatomica del cinghiale e la presenza di specieselvatiche di grossa taglia427. A Miranduolo, agli inizi dell’XI secolo, in associazione alla prima cinta di pietra, che sostituìuna palizzata lignea di X secolosono stati ritrovati resti di capriolo, assenti nelle stratigrafieprecedenti. A Montarrenti, sono stati riconosciuti alcuni frammenti di capriolo nel depositodatato seconda metà VIII-IX secolo, cioè nel momento in cui appare la prima fortificazionedi pietra, mentre sono assenti nei livelli più antichi. A Rocchette Pannochieschi, inassociazione con la prima cinta fortificata di fine IX-inizi X secolo, sono stati riconosciutiresti di capriolo e cervo. Nei castelli di Rocca San Silvestro e Scarlino, sono stati rinvenutiresti di cervo e capriolo nelle faune datate genericamente tra X e XIII secolo. A RoccaSillana, in un riempimento rinvenuto all’interno della torre e datato all’XI secolo, lafrequenza di resti ossei di capriolo risulta percentualmente maggiore di tutte le altrespecie.

419 BAKER, CLARK 1993.420 FRANCOVICH, HODGES 1990; FRANCOVICH, HODGES 2003, VALENTI 2004.421 SALVADORI 2004; BEDINI 1987.422 BEDINI 1987.423 Il campione è oggetto di una tesi di Dottorato, in corso presso il Dipartimento di Archeologia dell’ateneo diSiena.424 CLARK 2003.425 Il campione è oggetto di una tesi di Dottorato, in corso presso il Dipartimento di Archeologia dell’ateneo diSiena.426 CORRIDI 1996. Per una rassegna esaustiva dei casi con presenza di specie selvatiche si vedaSALVADORI 2003.427 SALVADORI 2004.

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La stessa tendenza sembra presentarsi anche al di fuori del territorio toscano, in Piemonteabbiamo al momento tre attestazioni: rispettivamente Castello di Manzano, Santo Stefanoin Belbo e San Michele di Trino, un insediamento che ebbe continuità insediativa dall’etàromana sino al tardomedioevo. In quest’ultimo caso la concentrazione maggiore diselvatici è stata rilevata negli strati di XI secolo relativi ad un villaggio ligneo dove siimpiantò una struttura in pietra quadrangolare di ottima fattura, la cui costruzione non pareimputabile all’iniziativa contadina. In Liguria troviamo un’attestazione, presso il castello diDelfino, dove negli strati di XIII secolo (i più antichi), il cervo è la seconda specie piùfrequente.Spostandoci nell’Italia nord-orientale resti di selvatici sono attestati nei livelli di XI secolo,presso la Rocca di Asolo in Veneto, mentre in Friuli, negli strati di X-XI secolo conservatipresso il castello di Montereale Valcellina sono stati segnalati resti di selvatici di grossataglia428.L’associazione tra tipologia insediativa e presenza di resti osteologici di animali selvatici,come sembra emergere dai castelli e dai villaggi introduce nuovi spunti di riflessione sulruolo svolto dalla caccia nella società altomedievale del centro-nord Italia.Secondo Wickham l’incastellamento in Toscana nel corso soprattutto dell’XI secolorappresenta l’affermazione di uno status symbol: ovvero il possesso da parte di unafamiglia di una fortificazione. Il castello diviene la prova necessaria della sua appartenenzaalla “nuova aristocrazia”. Di questi attributi i castelli erano chiari segni, e in questo sensorappresentavano la privatizzazione crescente delle strutture del potere429.Sulla scorta di quanto è stato sinora esposto viene spontaneo chiedersi quale sia ilsignificato dell’associazione tra sequenze archeologiche, analisi zoologiche ed evidenzedocumentarie. Allo stato attuale della ricerca i dati raccolti ci spingono a valutare quantol’esercizio venatorio appaia decisamente come una prerogativa eminentemente nobiliare.Il passaggio da un’edilizia in legno ad una nuova tecnica contraddistinta dall’uso anche senon ancora imponente della pietra, la comparsa di specie selvatiche negli strati relativi, ilpassaggio da una signoria fondiaria ad una eminentemente territoriale che accentra su disé il potere pubblico e ne fa un uso privatistico, come la facoltà di vietare o menol’esercizio della caccia nelle riserve o foreste o garenne; sono tutti indicatori checonvergono in un’unica direzione: la pratica della caccia si identifica con la presenza di unpersonaggio in qualche modo legato all’aristocrazia militare, mentre il contadino si dedicaad altre forme di attività di sussistenza.Non avrebbero quindi avuto torto Grand e Delatouche ad affermare che la caccia aglianimali quali il cervo, il capriolo, il cinghiale era praticata principalmente dai ceti piùabbienti «perché i contadini non possedevano né i mezzi né tantomeno il tempo perdedicarvisi»430; ma possiamo aggiungere, perfezionando la frase, che questo tipo di cacciaera molto più probabilmente a loro vietato. In tal senso, le stesse affermazioni di Dubysulle attività del contadino altomedievale per il quale «Tutto lascia credere che eglimaneggiasse lo spiedo, la rete o il bastone scavatore altrettanto che l’aratro»431 devonosenz’altro essere riviste. Gli fa eco Montanari quando tratta la presunta grandedisponibilità di carne a disposizione del contadino collegandola all’ampiezza degli spaziincolti che consentiva a tutti i villici di svolgere attività venatorie liberamente o dietropagamento di una tassa. La dieta carnea, ed il suo completamento attraverso lacacciagione, è individuata come un aspetto essenziale della realtà economicaaltomedievale ed il più importante nel determinare la specificità di questo periodo rispettoai secoli successivi; «dipendente o meno che fosse, il contadino aveva a disposizione

428 Per una rassegna bibliografica completa si veda SALVADORI 2003.429 WICKHAM 1990.430 GRAND, DELATOUCHE 1981.431 DUBY 1970, p.11.

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risorse molteplici e differenziate: oltre a coltivare i campi egli era anche allevatore,cacciatore, pescatore, raccoglitore di prodotti spontanei; la sua alimentazione era perciòricca di carne e di pesce: carne di maiale innanzitutto (…); carne ovina, poi, e di animaliselvatici, dai più grandi (cervi, cinghiali, caprioli) ai più piccoli, numerosi come lopermetteva un ambiente ecologicamente integro e solo marginalmente intaccatodall’uomo; quanto al pesce, tutti ne avevano a disposizione in abbondanza, nei corsid’acqua dell’interno non meno che sulle coste. Questi e gli altri prodotti dell’economiasilvo-pastorale (…) entravano regolarmente nella dieta contadina assicurandole quel tantodi varietà che le impediva, ad un tempo, di essere qualitativamente monotona equantitativamente precaria»432. La carne consumata dalla popolazione dei contesti di età carolingia toscani era in realtàmolto poca e di basso livello proteico; l’apporto della caccia risulta inesistente così comequello della pesca ed il quadro ideale dell’alimentazione del contadino altomedievaleproposto da Montanari non trova una conferma archeologica; anzi, sia l’archeozoologia sial’analisi antropologica degli inumati, rivelano un tipo di dieta diametralmente opposta ericca soprattutto di cereali: frequentare i boschi regolarmente ed allevare gli animali nonsignificava aver potuto disporre delle loro risorse per sfamarsi.Su questa idea sembrano essere anche alcune elaborazioni della storiografia più recente.Devroey per esempio, nella sua sintesi sull’economia e la società rurale nell’Europafranca, trattando la caccia riconosce che solo il XVII secolo segnerà il momento finaledell’esclusione del mondo contadino da tale attività. Riporta inoltre un’interessantedescrizione della fauna rinvenuta nello scavo della villa royale di Wellin nelle Ardennebelghe; in questo contesto, datato tra metà VII-metà IX secolo, le restituzioni sonodominate dagli animali domestici (tra essi i maiali detengono una percentuale del 60,6%)mentre i mammiferi selvatici rappresentano il 4% ed i piccoli mammiferi e gli uccelliselvatici costituiscono invece il 6%. Sono state fatte alcune ipotesi tra le quali una cacciaper gli animali di grande taglia svolta da cavalieri e per quelli di piccola taglia da contadini.E’ più probabile che l’esiguo peso percentuale degli animali selvatici (ancora di minorvalore, come quello dei domestici, se si pensa che è relativo ad almeno due secoli)rispecchi però una realtà diversa come episodi saltuari di battute operate da aristocraticied iniziative di bracconaggio occasionale da parte dei contadini. Il dato fondamentale ècomunque il ruolo quasi inesistente delle attività venatorie e la loro inconsistenza infunzione della dieta quotidiana della popolazione. Devroey, nel ricordare l’esclusivoprivilegio detenuto dalla nobiltà, si chiede poi se in realtà, dietro concessione, la cacciavenisse svolta più o meno regolarmente dagli abitanti portando a Wellin solo la carne giàmacellata, quindi privata della carcassa, e soprattutto quei materiali adatti allafabbricazione di oggetti ed utensili come le corna e determinati tipi d’osso. Questa pratica,non riconosciuta però archeologicamente se non per la lavorazione di ossi e corni,potrebbe trovare conferme in alcuni documenti scritti che, comunque, testimonianoulteriormente il generale divieto di venazione: per esempio nell’anno 800 Carlo Magnoconcesse all’abate ed ai monaci di Saint-Bertin il diritto di cacciare nei loro stessi boschi(in eorum proprias silvas ma non nella foresta) solo affinché i monaci potessero così averepelli per confezionare cinture, vestiti e le copertine dei loro libri433. Interessanti risultano i confronti con i contesti francesi, dove la fauna ha ricevuto attenzioniparticolari da parte dei ricercatori. Un villaggio altomedievale che presenta caratteristichesimili a quello di Poggio Imperiale, per articolazione e cronologia, è l’insediamento diVilliers-le-Sec dipendente dalla grande abbazia di Saint Denis (per il villaggio valdelsano siè ipotizzato un legame con l’Abbazia di Marturi). Anche a Villiers-le-Sec la caccia, cosìcome la pesca, erano praticamente inesistenti; i resti di animali selvatici variano in un

432 MONTANARI 1985, pp.198-199. 433 DEVROEY 2003, pp.90-94.

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rapporto percentuale dallo 0 all’1,4% tra VII e XI secolo ed anche altri contesti noti dellaFrancia settentrionale propongono proporzioni molto simili. Gli scarsi resti di uccelli o lepripossono essere interpretati come frutto di una cattura fatta dal contadino soprattuttoall’interno del proprio campo: questo, e solo questo, era il suo terreno di caccia. I dati sonostati confrontati con quanto elaborato dalla ricerca storica ed in particolare con alcuneconclusioni di Fossier nella sua indagine sulla Piccardia in cui si sottolineava come icontadini consumavano pochissima carne (ipotesi peraltro confermata dallo studiopaleoantropologico del cimitero di Viliers) ma che integravano il deficit proteico facendoricorso sistematicamente agli animali selvatici, un’attività però non rilevata dagliarcheologi: cacciare era infatti un privilegio esclusivo delle classi più elevate comeconfermano le indagini svolte su centri signorili di età carolingia. La pur scarsa dieta di carne si basava soprattutto sui bovini che rappresentavano laspecie maggiormente presente sulla tavola (70%) ed in parte sui suini, sui caprovini e sugliequini (cavallo ed asino). I maiali erano consumati nel momento della migliore resa incarne, cioè entro i due anni di età, mentre gli altri animali venivano invece abbattuti in etàanziana cioè quando avevano terminato il ciclo produttivo. Il dato è confermato anche nelcontesto di metà X secolo di La Grande-Paroisse434. L’unica vera differenza con il villaggiodi Poggio Imperiale si riscontra nel pollame; a Villiers veniva scarsamente consumatopoichè faceva soprattutto parte dei canoni dovuti all’abbazia e quindi considerato un ciboesclusivamente fruibile in occasioni speciali (celebrazioni, feste o ricorrenze; si tratta dellacosiddetta bonne viande). La necessaria copertura proteica doveva essere raggiuntaattraverso alimenti che non sono apprezzabili dall’analisi archeozoologica, cioè burro,formaggi, strutto, sugna e lardo435.Anche nella Regione del Rhone-Alpes è stata effettuata una ricerca sulla fauna di unaventina di insediamenti scavati con cronologie comprese tra VI e XI-XII secolo. I datiproposti divergono leggermente per quanto riguarda il tipo di attività allevatizia.L’allevamento infatti era basato soprattutto sui bovini e sui suini nei centri più antichi,mentre in età carolingia venivano privilegiati gli ovicaprini. Il consumo di carne era basatoesclusivamente sulle specie domestiche tradizionali: montoni, capre, maiali, buoi e polliabbattuti anziani. Nei centri di carattere distintivo tutti gli animali venivano invece macellatianche giovani. Il cavallo raramente rappresentava una fonte di cibo mentre la cacciaaveva un ruolo trascurabile ed è attestata ancora e solo nei centri che sono stati individuaticome privilegiati436. F.S.

11 - I cimiteri altomedievali. Le aree cimiteriali del villaggio dovevano essere almeno due, disposte sui limiti sud e norddella sommità collinare; allo stato attuale della ricerca solo una di esse è stata interamentestudiata, mentre l’altra, quella a sud, è ancora in corso di scavo437. Le tracce deI nucleo sepolcrale sud sono state individuate nel 1993 rinvenendoun’inumazione contenente due scheletri, distesi e supini, sottostante la lastricatura dellapiazza con cisterna di Poggio Bonizio438; altre indicazioni di molte ossa umane provenienti

434 GUADAGNIN 1988, pp.147-149.435 GUADAGNIN 1988, pp.228-234.436 FAURE-BOUCHARLAT 2001.437 WALKER 1996a; WALKER 1996b. Il contesto è in corso di studio da parte di Angelica Vitello, dietro lasupervisione di Gino Fornaciari, dell’Istituto di Patologia Medica dell’Università di Pisa che sta analizzandol’intero cimitero. I dati paleopatologici che presenteremo in queste pagine sono tratti dalle relazioni di lavororedatte da Angelica Vitello in questi anni e dalla relazione finale “Paleobiologia degli inumati del cimiteromedievale di Poggibonsi” ancora inedita. Inoltre sono state svolte due tesi di laurea triennali, relatore GinoFornaciari, per le quali si vedano PELLEGRINO 2003-2004 e RINA 2002-2003.438 Si vedano i paragrafi 16 e 18 di questo capitolo.

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dalla vigna prospiscente, rinvenute durante lo scasso per l’impianto, erano state riportateoralmente dagli operai agricoli. La doppia sepoltura conteneva una femmina di 17-25 annie un uomo con più di 35 anni; la loro disposizione era particolare, poichè la donna tenevasul petto e fra le mani la testa dell'uomo. Gli individui erano deceduti contemporaneamente e la morte doveva essere sopravvenutain seguito a grave infezione; sembra lecito supporre che essi fossero legati da unaqualche parentela di sangue oppure che si sia trattato di una coppia di sposi. L’uomo eraaffetto da displasia acetabolare congenita che causò una disabilità nell'uso della gambasinistra. La donna si distingue invece per la poca usura della sua dentizione, anche deiprimi molari che in individui della stessa età presenti nella seconda area cimiteriale eranosolitamente molto più consumati; pare aver avuto una dieta esclusivamente a base di cibimolli, forse in conseguenza di una grave malattia cronica.Nella campagna 2005, l’allargamento del cantiere in direzione sud-ovest ha rivelato ilproseguimento di questo cimitero, dato che numerose sepolture con lo stessoorientamento, sia interne sia esterne all’edificio religioso qui presente e databile nella metàdel XIII secolo439, risultano essere precedenti al suo impianto440. Lungo il muro perimetralesud e in prossimità del muro perimetrale ovest della chiesa sono state infatti rinvenuteinumazioni in fossa terragna, scavate nello strato vergine del terreno ed alcune risultavanotagliate rispettivamente dalla realizzazione del muro perimetrale meridionale della chiesa eda una delle coeve sepolture in cassa litica. Nella maggior parte dei casi i corpi, spessodeposti in sepolture singole, erano orientati in direzione est-ovest o nord-est/sud-ovest eprive di corredo. Tali individui sono adesso in corso di studio e gli interrogativi apertirestano molti; in particolare dovremo comprendere se il cimitero sud sia statocontemporaneo o posteriore od anteriore a quello nord. Quest’eventualità cipermetterebbe di ampliare notevolmente il quadro della storia demografica e socio-antropologica del villaggio.La seconda area cimiteriale, sul limite nord della collina, pur incompleta, ha restituito 115sepolture, alcune mal ridotte, che mostrano il carattere di una popolazione impegnataprevalentemente nei lavori della campagna. Nel complesso sono riconoscibili 92 scheletriin connessione anatomica, mentre i rimanenti erano stati disarticolati sia in antico siadurante le vicende edilizie che hanno investito la collina nella sua storia e, non ultime, lemoderne operazioni agricole. Il cimitero risulta parzialmente conservato; copriva un'area di 16 x 18 metri cheoriginariamente, doveva estendersi almeno verso nord-ovest e in direzione sud-est; ilrapporto tra sessi e l’assenza pressoché totale di bambini convergono nell’indicare comeuna serie di inumazioni sia andata sicuramente persa. Dei 77 individui, a cui è statoattribuito il sesso, 57 sono maschi e 20 femmine; il rapporto maschi/femmine risulta così di2,85:1 e la prevalenza degli uomini è troppo spiccata per riflettere la reale situazionebiologica della popolazione vivente. Ragioni culturali potrebbero avere determinato unaparticolare distribuzione topografica nel cimitero legata al sesso dei defunti ma questaeventualità non convince. Anche l’assenza di tombe di bambini e neonati, a dispettodell’alto tasso di mortalità infantile ben noto per l’antichità, non deve essere interpretatonecessariamente come il mancato riconoscimento di un’area particolare del cimitero adessi dedicata oppure ancora da individuare, esistendo la possibilità che le sepolture sianoandate distrutte forse a seguito delle arature; lo strato di humus che copriva le stratigrafieha restituito molte ossa isolate riconducibili ad almeno 6 bambini compresi tra i 2-3 anni edi 7-8 anni di età, ma il problema resta aperto poichè potrebbero appartenere anche alvicino e piccolo cimitero bassomedievale.

439 Si veda paragrafo 26 di questo capitolo.440 Questa parte del nuovo cimitero è stata indagata da parte di un team di paleopatologi dell’Istituto diPatologia Medica dell’Università di Pisa. I risultati sono in corso di elaborazione.

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Il cimitero risulta composto quasi esclusivamente da sepolture in fossa terragna con lasola eccezione di quattro tombe realizzate coprendo le salme con lastre di travertino(scheletri 36, 54, 106, 111), tendenzialmente a conferma della presenza di un’articolazionegerarchica all'interno della popolazione; la particolarità di questo gruppo è rafforzata dallaloro collocazione spaziale in una zona ben definita e dalla presenza di un neonato in unapiccola cassetta di travertino, l'unico sinora rinvenuto e deposto ai piedi di un uomo(scheletro 110 ai piedi di 111).Era ordinato e strutturato, sebbene si facesse poca attenzione al rimescolamento di restiosteologici pertineti a vecchie e nuove inumazioni; venne organizzato su cinque fileorientate est-ovest ciascuna con un numero massimo di 11 individui, e la densità dellesepolture aumenta nella porzione nord. Le fasi di inumazione sono state distintesoprattutto sulla successione stratigrafica delle fosse combinata, nelle situazioni piùchiare, all’orientamento dei corpi: con testa a sud e piedi a nord ed una progressiva eleggera rotazione in senso sud-ovest/nord-est nel corso del suo utilizzo. Ne sono stateisolate quattro (0°-5°; 10°-15°; 25°-35°; 350°-355°), apparentemente succedutesi a pochidecenni di distanza l’una dall’altra. Tutte le inumazioni erano distese e supine, con una o entrambe le braccia raccolte sulcorpo, di solito sull'addome, o con braccia lungo i fianchi ed orientate con la testa a nord.Non si è rinvenuto alcun tipo di corredo funerario e nessuna traccia di bare; la loroprobabile assenza è testimoniata anche dai molti resti disarticolati e sembra dimostrareaddirittura che gli inumati non venivano coperti neppure con un sudario di qualche genere.Il cimitero doveva essere strutturato prevalentemente per nuclei familiari come mostrano idiversi raggruppamenti e le deposizioni multiple. Le sepolture non sono distribuiteomogeneamente, sembrano piuttosto formare dei gruppi di dimensione variabile, alternatia spazi vuoti; l’inumazione volontaria degli individui dove già erano presenti altre sepolturepotrebbe infatti implicare l’esistenza di una parentela. Per fornire ulteriori elementi disupporto a questa interpretazione, gli antropologi hanno analizzato dettagliatamente lapresenza di ossa non in connessione accanto o sopra inumati in connessione e cercato diidentificare in laboratorio l’esistenza di caratteri ereditari sulle ossa recuperate. E’ risultato evidente, in base allo studio della disposizione dei resti scheletrici articolati enon articolati, che era diffuso il riuso dei lotti funerari ed in molti casi è stato possibileattribuire le ossa non in connessione a inumati la cui sepoltura era stata disturbata da unasepoltura successiva; la parte dello scheletro asportata, veniva poi rideposta, nella fossadell’ultimo inumato. Per esempio lo scheletro 33 venne in parte disturbato dalla fossa delloscheletro 29; alcune ossa non in connessione, rinvenute vicino allo scheletro 29, gli sonostate attribuite perché sono molto simili per morfologia e morfometria ad alcune ossaarticolate. Oppure il caso dello scheletro 34, le cui ossa sono state in parte asportate dallafossa dello scheletro 31 e rideposte accanto a quest’ultimo. Talvolta, invece, non si è potuto attribuire resti disarticolati ad individui che mantenevanouna parziale connessione a causa del pessimo stato di conservazione delle ossa che haimpedito una valutazione sufficientemente sicura. In altri casi non è stato possibilericostruire l’unità scheletrica, anche se i dati archeologici suggerivano l’attribuzione di ossanon articolate ad un individuo in parziale connessione. Lo scheletro 88, per esempio, erastato tagliato a livello delle gambe dalla fossa dello scheletro 89. Tra le ossa non inconnessione, che si trovavano vicino all’inumato 89, erano state rinvenute anche una tibiae una fibula destra, che sembrava appartenessero allo scheletro 88. In base all’analisiantropologica, invece, l’attribuzione è stata esclusa sulla base della morfologia delle ossa,molto più esili di quelle dell’individuo articolato.Sono riconoscibili fosse con due individui, di cui uno articolato e l’altro non più inconnessione, come lo scheletro 42 deposto vicino allo scheletro articolato 36 o come iresti, non in connessione, di un soggetto femminile accanto allo scheletro articolato 87.

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Sono presenti anche sepolture multiple, con un solo individuo articolato, come la fossa checonteneva lo scheletro 29 in connessione anatomica, i due crani 38 e 39 e due postcranialinon in connessione; o la fossa con lo scheletro 66 e i resti non in connessione di altriquattro adulti e di un giovane; oppure la fossa dello scheletro 70 e i resti non inconnessione di tre adulti e un giovane.Soprattutto le analisi paleopatologiche portano ulteriori elementi di conferma alla presenzadi gruppi parentali; in particolare lo studio odontologico degli scheletri ha rilevato un’ampiadiffusione di incisivi “a pala”, 10 casi di agenesia dei terzi molari e 18 casi di foramencoecum molare, che sono collegabili all’esistenza di legami genetici tra individui441; nellastessa direzione deve essere letta l’alta incidenza di altri caratteri trasmessivi come quellidiscontinui del cranio e del post craniale (sono piccole variazioni riscontrabili sulle ossa)442:28 crani sui 62 rinvenuti (45.16%) presentano gli ossicini lambdoidei, che sono consideraticarattere ereditario e l’incidenza è molto superiore a quella media delle antichepopolazioni, che è del 20-25%. La datazione del contesto proviene essenzialmente dall'osservazione dei rapportistratigrafici e delle caratteristiche degli inumati, poiché le sepolture sono nella quasi totalitàprive di corredo. Si colloca in un'area dove, con la fondazione del castello di Poggio Bonizio nel 1155, fuedificata un’estesa chiesa a tre navate con colonnato; i muri e i grandi pilastri hannotagliato ed in parte asportato molte delle sepolture. In breve, ciò significa che il contestoera precedente alla metà del XII secolo e collegabile all'unica forma insediativapreesistente al nucleo medievale.Anche il confronto con il piccolo cimitero legato alla frequentazione della chiesa (posto sulato esterno ovest del campanile e completato da un ossario a sud dell'abside), portaelementi di conferma all’alternanza di due diversi tipi di comunità. Gli inumati collegati alvillaggio di capanne propongono caratteri fisici particolari; la statura media è molto alta, ladurata della vita bassa, la loro corporatura risulta notevolmente robusta, le patologie sonolegate soprattutto ad un precoce avviamento al lavoro pesante ed alla conseguenza diun'alimentazione scarsamente arricchita da proteine e calcio; pessime risultano anche lecondizioni della dentatura. Si tratta in conclusione di una popolazione dedita ad attivitàrurali e con un tenore di vita pressoché uniforme. Gli abitanti di Poggio Bonizio mostranoinvece statura più bassa (indicativamente 1,65 m per gli uomini, 1,56 m per le donne), unacorporatura più esile, migliore condizione delle dentature e soprattutto una durata dellavita più lunga (almeno di 10 anni)443.Era inoltre un cimitero pienamente cristiano, con l’assenza di qualsiasi tipo di corredo equesto fa già escludere una sua attribuzione al complesso tardoantico (per il qualesarebbero più appropriate delle tombe realizzate in laterizio) e le prime fasi difrequentazione del villaggio di capanne, prendendo in considerazione solo i decenni dopola metà del VII secolo. Tenendo conto dell’età media di morte riscontrata dall’analisi degli inumati, che si attestasui 35 anni444, e delle quattro fasi di uso riconoscibili, si può ipotizzare che il cimitero fusfruttato per più di un secolo. Ulteriori osservazioni fanno ascrivere l’area cimiteriale alleultime fasi del villaggio altomedievale, pertanto può essere attendibile circoscriverne lafrequentazione almeno a partire dalla seconda metà-fine VIII secolo sino alla prima metàdel X secolo. Due elementi in particolare sembrano paralleli ai caratteri riscontratinell’insediamento di età carolingia: la presenza di un esiguo gruppo di tombe coperte dalastre litiche e concentrate in una precisa zona che si lascia ricollegare alla famiglia

441 Al riguardo si veda CAPASSO, DI TOTA 1989-90. 442 Si vedano PELLEGRINO 2003-2004 e RINA 2002-2003. 443 WALKER 1996b.444 Si veda paragrafo successivo di questo capitolo.

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dominante (con caratteristiche paleopatologiche che sembrano ben attestare il loro ruolo ela loro consanguineità)445; il tipo di alimentazione riscontrata nella gran parte degli individuiche, povera di carne e soprattutto bilanciata sui vegetali, si conforma decisamente allagerarchizzazione del consumo della carne stessa constatata per la fase della curtis e nonalle fasi precedenti dove questo apporto proteico, come rivela l’analisi archeozoologica,era decisamente maggiore. Esiste comunque un ulteriore interrogativo a cui trovare risposte e riguarda l’assenza di unedificio religioso. Il contesto è particolare; due aree cimiteriali altomedievali sulle qualisorsero poi due edifici religiosi a distanza di almeno tre secoli, lasciano infatti pensare chedoveva esistere almeno una chiesa più antica od una cappella. Lo scavo sinora non harivelato alcuna traccia; si può allora pensare che la popolazione avesse fatto riferimentoalla vicina Marturi per i bisogni religiosi, ma perché non svolse il ruolo di chiesa funerarianell’alto medioevo, così come è attestato dalle fonti scritte almeno dall’anno 1108?446 Se da un lato l’assenza di edifici religiosi in villaggi di capanne con cimitero non costituisceun’anomalia nel panorama degli scavi europei, dall’altro è proprio la continuità d’uso deglistessi spazi che lascia irrisolti i dubbi al riguardo. Si possono elencare una serie di ipotesiognuna valida di per sè stessa ma nessuna più probabile dell’altra allo stato attuale dellaricerca:- la coincidenza chiese-aree cimiteriali è solo casuale;- il villaggio non era dotato di edificio religioso; a livello regionale, sotto il profilodell’organizzazione religiosa, dobbiamo infatti evidenziare che non emerge un ruolocentrale delle chiese rurali nella costituzione di una identità socio-insediativa di villaggio447;- l’edificio religioso altomedievale non è stato ancora individuato e potrebbe porsi neidintorni del cimitero a sud oppure del cimitero a nord dove non abbiamo ancora scavato;in questo caso sarebbe possibile pensare ad un suo spostamento dalla prima areacimiteriale alla seconda o viceversa?- l’edificio religioso era in legno, caso non raro per l’alto medioevo448, e le sue tracce sonoandate distrutte ad opera dei cantieri relativi alle grandi chiese di Poggio Bonizio;- esisteva una continuità insediativa dopo la fase carolingia che i grandi rimaneggiamentidel terreno ancora legati ai 115 anni di vita di Poggio Bonizio ha cancellato, asportandoanche i resti di una chiesa che ancora dovevano in qualche modo essere visibili.

12 - La popolazione.Le analisi paleoantropologiche e paleopatologiche hanno mostrato che il tenore di vitadegli abitanti era pressoché uniforme, così come le condizioni di lavoro e la durata dellaloro esistenza. Erano in generale di costituzione robusta e di alta statura 449. Dal punto di

445 Si veda ancora paragrafo successivo di questo capitolo.446 Si veda capitolo IV, paragrafo 1 di questo volume.447 FRANCOVICH 2004, dove si sottolinea che per secoli i villaggi d’altura, da un lato, e le chiese pievane,dall’altro, si fronteggiarono in un rapporto dialettico che improntava l’organizzazione religiosa e insediativadelle campagne toscane. Generalmente i villaggi giunsero, alla fine, ad attrarre presso di sé gli edificireligiosi, ma ciò accadde solo nel corso di un arco temporale molto esteso.448 I casi indagati di chiese in legno sono pochi e provengono soprattutto dall’Italia settentrionale: San Pietroa Gravesano (sacello di IV secolo), San Martino a Sonvico (prima metà del VII secolo), Chiesa Rossa aCastel San Pietro (VII secolo?), Sant’Ilario a Bioggio (prima metà VIII secolo), San Vittore a Terno d’Isola eSanta Maria Nullate a Fermo alla Battaglia (generico altomedioevo), infine San Tomè a Carvico (prima metàVII secolo). De Marchi, tipologizzando gli impianti edilizi fra tardoantico ed altomedioevo, ha sottolineato chele strutture in legno possono presentarsi come un semplice sacello rettangolare od essere provviste diabside trapezoidale o semicircolare sia realizzato tramite pali sia in pietre; in un secondo momento venneroricostruite in muratura (DE MARCHI 2001). Una ricca tipologia di églises en bois du haut moyen-agericonosciute da scavo è invece disponibile per la Svizzera; al riguardo si veda BONNET 1997. 449 Il cattivo stato di conservazione del materiale scheletrico ha impedito il rilievo sistematico degli indici piùsignificativi, in particolare di quelli di robustezza che richiedono, per essere calcolati, la lunghezza massima

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vista paleogenetico, alcuni indizi suggeriscono un sensibile grado di endogamia, rivelato inparticolare dalla percentuale elevata di ossa wormiane nettamente superiore agli standarddelle antiche popolazioni.La famiglia contadina media era rappresentata da un uomo alto 174 cm e da una donnaalta 162 cm, con uno scarto intersessuale di 12 cm che rappresenta un valore analogo aquello riscontrabile nelle popolazioni attuali (10-12 cm). Le stature maschili variano da unminimo di 167 cm ad un massimo di 185 cm, quelle femminili da un minimo di 158 cm adun massimo di 166 cm. Secondo la classificazione di Martin e Saller450 le stature maschilidi Poggio Imperiale sono sia sopra la media sia alte che altissime; anche quelle femminilirientrano nella classe sopra la media e nella classe delle alte stature.Il numero dei figli non è precisabile ma sappiamo, grazie agli indicatori di patologie daprecoce affaticamento, che soprattutto i maschi erano avviati al lavoro contribuendo findall’età adolescenziale all’economia del nucleo. Uomini e donne, infatti, si distinguononettamente per quanto riguarda una particolare patologia vertebrale, riscontrata sullesuperfici dei corpi delle vertebre toraciche e lombari: le ernie di Schmorl. Ben il 55% deimaschi ne risulta affetto, mentre nessuna delle femmine presenta questa lesione che simanifesta nella colonna vertebrale se soggetta a sollecitazioni compressive fino dallagiovane età451.La vita si svolgeva in condizioni ambientali poco salubri causando alle persone forti doloriartrosici e probabilmente reumatici452. Erano spesso soggette a malattie infettive cheinteressavano soprattutto la superficie delle ossa, mentre molto rari sembrano essere statii tumori453. Le infezioni affliggevano le parti del corpo più esposte in relazione al tipo diattività svolta ed a Poggio Imperiale è attestata periostite in 16 individui (12 di sessomaschile, 4 di sesso femminile) soprattutto in coincidenza delle tibie e delle fibule: 4individui presentano periostite sia delle tibie che delle fibule, 5 solo delle tibie e 2 solo dellefibule. Questa lesione colpiva quindi la gamba, le cui ossa, essendo più superficiali, sono

delle ossa. Su un numero abbastanza consistente di ossa si sono però potuti calcolare l’indice diafisariodegli omeri, l’indice olenico delle ulne, gli indici pilastrico e merico dei femori e l’indice cnemico delle tibie. Lamaggior parte dei maschi e delle femmine del campione di Poggio Imperiale hanno gli omeri euribrachici(diafisi tondeggianti) e le ulne euroleniche. La platibrachia (diafisi appiattite) e la platolenia caratterizzano,rispettivamente il 23.73% e il 14% degli individui. Non si osserva un forte dimorfismo sessuale rispetto agliindici degli arti superiori.Il 77.77% del campione presenta il pilastrismo del femore. Il forte sviluppo della linea aspra e, inconseguenza, dei muscoli che su di essa si inseriscono, è da porsi in relazione, secondo molti autori, con losvolgimento di attività pesanti a carico della muscolatura della regione posteriore della coscia. Il 55.10%degli individui presenta femori platimerici.450 MARTIN, SALLER 1956-1959.451 Le ernie intraspongiose di Schmorl, caratterizzate anatomicamente da una penetrazione della sostanzadiscale attraverso le placche cartilaginee, sono il risultato dell’esposizione della colonna a pesi eccessivi inepoca giovanile, unito a un difetto di resistenza delle stesse placche cartilaginee, forse di originecostituzionale. Non è strano, quindi, trovare questa patologia in individui adulto-giovani, se questi eranoavviati precocemente ad un lavoro caratterizzato da forti sovraccarichi ponderali.452 Nel campione di Poggio Imperiale sembra prevalere l’artrosi delle faccette costali dei corpi e delle apofisitrasverse delle vertebre toraciche. Diverse articolazioni costo-vertebrali (articolazioni che si instaurano tra leteste delle coste e i corpi delle vertebre toraciche) e costo-trasversarie (tra la faccetta articolare del tubercolodella costa e la faccetta costale trasversaria della vertebra toracica) presentano segni di artrosi. Per quantoriguarda l’artrosi extravertebrale, sono presenti soprattutto casi di artrosi dell’articolazione atlanto-occipitale,dell’articolazione sterno-clavicolare, della spalla, del gomito, dell’articolazione coxo-femorale e del ginocchio.Nessuna di queste articolazioni è tuttavia colpita in modo grave. Si osservano segni di artrosi anche sufalangi della mano e del piede.453 Sono presenti tre casi di tumore benigno: un piccolo osteoma sul frontale, uno sulla faccia dorsale delcorpo di una falange di una mano destra e uno sulla diafisi di una tibia sinistra. Sulla troclea di un omerodestro è presente una piccola zona di osteolisi, dovuta con tutta probabilità ad un condroma (tumore benignodel tessuto cartilagineo). Si osservano le impronte di piccole neoformazioni cistiche su un trapezio dellamano destra e su un coxale destro, tra il margine superiore dell’impronta auricolare e la tuberosità iliaca.

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maggiormente esposte ad eventi traumatici454; le popolazioni agricole e pastorali risultanoparticolarmente soggette in quanto, camminando su terreni impervi, si espongono amicrotraumi ripetuti in particolare a livello delle creste tibiali. Sono inoltre presenti due casi di osteomielite ad un osso della mano di un maschio di 24-27 anni ed a tre coste di un individuo di sesso non determinabile di 24-30 anni455. Un solouomo, in età compresa tra 33-47 anni, era probabilmente affetto da poliomieliteevidenziata da un’ipotrofia grave dell’avambraccio sinistro e un’ipotrofia della gambadestra. Alcuni individui avevano invece malformazioni congenite. Due maschi evidenziano ladilatazione aneurismatica dell’arteria meningea media, mentre un altro maschio mostra lafusione della quarta e quinta vertebra cervicale. In un soggetto maschile di 50-55 anni sirileva la mancata fusione del processo trasverso dell’atlante. Una femmina di 30-35 anniera affetta da lussazione congenita dell’anca sinistra; la risalita della testa del femore oltreil bordo acetabolare determinò la formazione di un neocotile nella parte posteriore dell’alailiaca e la deformazione del collo del femore: la difficoltà nella deambulazione causòl’iposviluppo dell’arto inferiore sinistro.La dieta quotidiana si basava su cibi non raffinati e carenti di minerali, quali calcio e ferro;tali deficit portavano oltre il 40% degli individui ad anemie benchè non gravi. Talvoltaquesta patologia, come nel caso della iperostosi porotica, può essere ricondotta anche aparassitosi. Alcuni indicatori indiretti evidenziano un’alimentazione più o meno sufficientealle necessità della popolazione; in tal senso sono interpretabili le poche lesioni dettecribra orbitalia e cribra cranii: delle porosità nella volta cranica e/o nelle orbite causate daipertrofia del midollo emopoietico contenuto nel tessuto spugnoso del cranio a seguito diquadri anemici cronici del periodo giovanile, verosimilmente malnutrizionali o secondari aparassitosi intestinali. I cribra orbitalia sono appena visibili, o di grado lieve, sul tetto delleorbite di 19 individui (erano colpiti il 32.43% dei maschi e il 33.33% delle femmine), mentrepresentano cribra cranii 13 individui (colpiti il 25% dei maschi e il 6.25% delle femmine); ifenomeni sono sempre in forma lieve e in fase di riassorbimento, ad indicare buonecapacità di superamento degli episodi di stress. Le percentuali di cribra orbitalia e cribracranii possono considerarsi piuttosto basse se confrontate con altre popolazioni di epocaaltomedievale.Lo studio odontologico dei resti scheletrici permette di precisare meglio il tipo dialimentazione. In generale i denti, molto consumati, venivano colpiti da tartaro anche sottole gengive causandone la caduta e mediamente da circa due carie456. L’usura dentaria,ovvero la progressiva perdita dello smalto e in seguito della dentina, fornisce inveceinformazioni preziose sulle abitudini alimentari e sui metodi di preparazione del cibo 457. Idati evidenziano un grado di usura dentaria piuttosto avanzato, formatosi prevalentementeattraverso abrasione cioè dai movimenti scorrevoli di materiali più duri sui tessuti dentali:

454 La periostite è una complicazione infettiva che riguarda soltanto la corticale dell’osso. Può dipendere datraumi che abbiano determinato la lacerazione della cute, dei tessuti sottocutanei e dei muscoli. Inconseguenza si attivano processi reattivo-riparativi dei tessuti, con coinvolgimento del periostio, siadirettamente che indirettamente, per il propagarsi di fenomeni flogistici e/o infettivi. L’infezione si manifestacon la comparsa di piccoli fori, striature longitudinali e placche più o meno estese. Nella fase acutadell’infezione il tessuto di neoformazione appare organizzato in modo disordinato (osso a fibre intrecciate),mentre, nella fase di guarigione ed a causa dell’attivazione dei fenomeni riparativi, l’osso assume unastruttura più compatta, con superficie liscia, rimodellata e rigonfia.455 Per osteomielite si intende un’infezione che non si limita al periostio ma si estende anche all’endostio. Perquanto riguarda le coste, che presentano la superficie superiore ed inferiore con cavitazioni e lesioniproliferative, si ipotizza un’osteomielite conseguente ad un trauma ma non si possono escludere gli esiti diuna infezione specifica da Mycobacterium tubercolosis.456 Si vedano al riguardo le carte di distribuzione presentate in FRANCOVICH, NARDINI, VALENTI 2000.457 FORNACIARI, MALLEGNI 1981 per il trattamento di tali dati in relazione alle popolazioni antiche.

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una patologia causata dalla masticazione. Nel complesso si può affermare che gli alimenticonsumati avevano un alto grado di abrasività e sono riconoscibili soprattutto cibi diorigine vegetale, ricchi di fibre, costituiti per lo più da farinacei preparati grossolanamentecon macine in pietra tenera i cui granuli residui provocavano delle sensibili smerigliature;in tale processo influiva anche la loro cottura attraverso vasellame di terracotta che,frantumandosi, lasciava residui duri. L’ipotesi sembra essere confermata anche dallapresenza di usura obliqua dei molari, dovuta all’utilizzo di una grande quantità e varietà digrani come hanno dimostrato gli studi di Smith condotti su campioni umani appartenenti acinque popolazioni di cacciatori-raccoglitori e a cinque popolazioni di agricoltori; è risultatoche i molari dei primi presentavano, rispetto ai secondi, un’usura notevolmente piatta,mentre l’angolo di usura del piano occlusale dei molari degli agricoltori era maggiore di 10°con un livello più avanzato di usura, rispetto a quello dei cacciatori-raccoglitori458.Poveri sembrano inoltre gli apporti di origine animale e la carne doveva rappresentare unasemplice integrazione, talvolta occasionale. La scarsità di carie (colpivano il 10% dellapopolazione459) conferma un’alimentazione povera di zuccheri e ricca di fibre,caratterizzata da cibi duri e particolarmente abrasivi che producevano un’efficacedetersione dentale. Uomini e donne avevano però sofferto di stress da carenze alimentari,anche se non gravi, che causavano una particolare patologia dei denti: l’ipoplasia dellosmalto460. Le ceramiche rinvenute nello scavo portano ulteriori elementi di conferma al tipo dialimentazione tratteggiata. Per tutto l’alto medioevo la netta radicalizzazione dellaceramica da fuoco, stigmatizzata dall'egemonica presenza di olle, si accompagna allariduzione del vasellame da mensa. Tali fenomeni rappresentano chiari indizi del disuso distoviglieria individuale e di una diversa cultura alimentare che andò affermandosi dopo isecoli della tarda romanità; i cibi in essa compresi necessitavano di batterie da cucina e damensa molto semplici. Le olle sembrano indicare indubbiamente nelle minestre a base dicereali una costante della dieta quotidiana. Per consumare tali derrate erano infattisufficienti quelle ciotole ad impasto depurato costantemente presenti nelle capanne edeventuale stoviglieria in legno. L'assenza di testi per il VII secolo e soprattutto dei testi dapane sino a tutto l'VIII secolo, potrebbe inoltre indicare la mancanza del pane stesso o difocacce dalle abitudini alimentari; oppure, più verosimilmente, l'indizio di sistemiorganizzati e comunitari per la loro cottura; procedimento poi trasformatosi in casalingo nelIX secolo, quando tali forme iniziano a ricomparire in gran quantità nelle stratigrafie461. Conil IX secolo, l'avvento di tipi da fuoco inediti come i piccoli tegami, segna indubbiamenteuna variazione nel carattere degli alimenti o nelle tecniche di cottura. Questocambiamento, che richiese l'utilizzo dei nuovi recipienti ad impasto grezzo, sembraevidenziato anche da un impiego per cucina di boccali ad impasto depurato probabilmenteper zuppe; il loro uso promiscuo è attestato a Poggo Imperiale nel IX secolo avanzato e

458 SMITH 1984.459 Nel campione di Poggio Imperiale su 1402 denti di scheletri articolati, 145 sono cariati (10,3 %). Su 1018denti maschili 102 sono cariati (10 %). Su 305 denti femminili 35 sono cariati (11,5%). I denti più colpiti dallecarie sono quelli mascellari e il tipo di dente più colpito è il molare sia mascellare che mandibolare. I dentidegli individui di sesso femminile risultano più colpiti dalla carie rispetto a quelli degli individui di sessomaschile. Questo fenomeno potrebbe essere collegato ad alcuni stati fisiologici femminili, quali la gravidanzae l’allattamento. PELLEGRINO 2003-2004.460 La frequenza di ipoplasia dello smalto (si tratta di segni indelebili) con un valore del 17,6 % è alta, ma lapresenza nella maggior parte dei denti di 1 e/o 2 linee ipoplasiche leggere, fa ritenere che gli individui nonavessero subito episodi di stress molto gravi.461 A Roma e nei siti rurali del Lazio il testo si diffonde dalla seconda metà del IX secolo e la sua presenzaviene letta come un probabile riflesso della crisi di un sistema organizzato per la cottura del pane(PATTERSON 1993).

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continuò sino a tutto il X secolo, come provano le stesse restituzioni di Pistoia e Fiesole462.Rimane comunque dubbio se la doppia funzione dei boccali rappresenti realmente la spiadi una variazione nelle tecniche di cottura (come è stato proposto per il Veneto463), oppurese tali contenitori non fossero in realtà impiegati occasionalmente per riscaldare acqua,bevande, minestre, brodi. L'impoverimento delle forme da cucina trova una chiaraconferma anche nella semplicità dei focolari individuati dalle indagini stratigrafiche:strutture elementari, senza dubbio funzionali alla cottura tramite riverbero del fuoco di cibiin contenitori a fondo piatto. Nelle capanne di Poggio Imperiale il focolare era ricavato suibattuti appoggiando semplicemente legna a terra, mentre nella longhouse di IX secolo fualloggiato su una base rettangolare di terreno vergine sormontata da un'incastellatura ditre paletti.Tornando alle analisi odontologiche, sono inoltre ampiamente presenti i casi di usura dellesuperfici dentali causate da attività extramasticatoria, cioè dall’impiego volontario dei denticome veri e propri utensili; patologie che ci forniscono un quadro molto particolareggiato dialcune delle attività svolte dalla popolazione. In tal senso l’usura linguale degli incisiviinferiori e superiori è stata interpretata come l’utilizzo di denti per tirare e tendere pelli; leincisioni sulle superfici occlusali degli incisivi e dei canini erano causate dalla lavorazionedi fibre vegetali e dal loro impiego per la preparazione di corde, canestri, reti e gabbie; isolchi interprossimali dei primi premolari o dei molari a seguito della preparazione ditendini animali utilizzati per attaccare oggetti o ripararli, fissare lame ecc464. La zigrinaturadei bordi dei denti anteriori, soprattutto sugli incisivi centrali superiori, sono invece darelazionare all’uso di trattenere tra i denti degli oggetti duri come chiodi, aghi od ancheall’abitudine di tagliare con i denti fibre e fili; l’usura occlusale derivava dall’azione abrasivadi un oggetto che agiva tra il dente e la lingua od il labbro inferiore465.

I membri della comunità di Poggio Imperiale avevano lavorato duramente per tutta la loroesistenza portandone i segni, come mostrano la presenza di forti impronte muscolari esoprattutto delle entesopatie (alterazioni patologiche delle ossa presenti nelle aree diinserzioni dei muscoli e dei legamenti), che suggeriscono una sollecitazione ripetuta eintensa dei muscoli; la localizzazione delle aree d’inserzione più sollecitate e la specificaazione di ogni muscolo danno indicazioni preziose sui tipi di attività occupazionaliprevalenti. L’intera popolazione propone un elevato grado di entesopatie dei legamenti edei muscoli; tali caratteristiche sono osservabili sia negli arti inferiori che superiori.A livello degli arti inferiori sono particolarmente forti le impronte del muscolo grande gluteo(70%), dell’ileopsoas (51.61%), del femore e del soleo della tibia (60%); l’entesopatia deltendine di Achille riguarda poi il 50% dei calcagni osservati. Le inserzioni molto marcate ele entesopatie del grande gluteo sono conseguenti ad intensi e ripetuti movimenti dirotazione esterna ed estensione della coscia; quelle dell’ileopsoas indicano ripetutimovimenti di flessione della gamba; nell’osso dell’anca, per il 28% dei casi,particolarmente forte è l’area d’inserzione del semimembranoso situata sull’ischio,muscolo che flette la gamba sulla coscia, imprimendole anche un leggero movimento dirotazione mediale. I muscoli flessori plantari, gastrocnemio e soleo, si inseriscono sulcalcagno attraverso il tendine di Achille; le impronte marcate e le entesopatie di questimuscoli e del tendine di Achille sono da considerare, perciò, il risultato di eventimicrotraumatici conseguenti a lunghe marce su terreni accidentati. Inoltre gli indici

462 FRANCOVICH, VANNINI 1989.463 SPAGNOL 1996.464 I tendini venivano tirati tra i denti posteriori occlusi con un movimento da sinistra guidato dalla manodestra, mentre la mano sinistra teneva l’altra estremità. La finalità di tale pratica era quella di ammorbidire eassottigliare i tendini stessi per poi utilizzarli. Si vedano BROWN, MOLNAR 1990; LARSEN 2000.465 PELLEGRINO 2003-2004.

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postcraniali, in particolare dei femori che sono caratterizzati da pilastrismo e platimeria,indicano una forte sollecitazione dei muscoli impegnati nella marcia.Ambedue i sessi rivelano patologie comuni che derivano anche da impegni considerevolidella parte superiore del corpo. Sono attestate lesioni da sovraccarico (sindesmopatie deilegamenti), soprattutto a livello del cingolo scapolare, conseguenti ad attività fisicamentemolto impegnative, spesso collegate al lavoro dell’aratura: lo sforzo di affondare l’aratronel terreno sollecita fortemente il legamento costo-clavicolare (ben l’88.88% disindesmopatie maschili contro appena il 36.36% di sindesmopatie femminili)466. Le donne presentano quindi le ossa molto modellate, con impronte muscolari marcate econ entosapatie, tanto da far supporre che fossero impegnate in lavori altrettanto pesantidi quelli maschili seppure in percentuale inferiore; avevano quindi un ruolo moltoimportante nell’economia del villaggio che non si limitava ai lavori domestici eall’allevamento dei figli. Per esempio lo scheletro femminile 98, di 28-32 anni, ècaratterizzato da impronte muscolari molto marcate e da entesopatie a livello degli artiinferiori; l’area d’inserzione dell’ileopsoas nel femore destro si presenta rugosa e un esilelabbro è presente sul margine laterale, l’area d’inserzione del grande gluteo in entrambi ifemori presenta formazioni osteofitiche così come l’area d’inserzione del soleo nella tibiadestra. L’ileopsoas è il muscolo che permette la rotazione e la flessione a livello dell’anca,il grande gluteo e il soleo sono i muscoli fortemente impegnati nella stazione eretta e ilsoleo è il muscolo sviluppato in particolare nei grandi camminatori. Lo scheletro 76, di 25-30 anni, oltre a presentare l’entesopatia del grande gluteo neifemori, ha diverse impronte muscolari molto marcate sia a livello dell’ileopsoas destro edel vasto mediale sinistro, sia a livello degli arti superiori: il piccolo rotondo sinistro, il granpettorale sinistro e il deltoide destro e sinistro negli omeri, la tuberosità bicipitale nel radiodestro, il brachiale in entrambe le ulne. Anche lo scheletro 34, di 20-25 anni, presenta nonsolo entesopatie del legamento costoclavicolare della clavicola e del deltoide di entrambigli omeri, ma ha anche impronte muscolari molto marcate del gran pettorale sinistro (ildestro non è rilevabile), del gran dorsale e gran rotondo sinistri mentre il destro ha l’aread’inserzione meno forte. In conclusione l’intera famiglia era impegnata in un'attività lavorativa che sollecitava tutto ilcorpo con una prevalenza nei maschi per la parte inferiore della colonna vertebrale. Il fattoche camminassero molto indica che i campi e le aree di pascolo erano disposti al di fuoridell’area del villaggio ed in alcuni casi anche ad una certa distanza. Non si dovevadisporre sempre di animali di grossa taglia (che, come abbiamo visto, erano concentratisolo nel dominico) poiché l’aratro sembra essere stato trainato dalle persone. Ancheattrezzi e prodotti dei campi erano trasportati dall’uomo come mostrano il 36% dei radiicon impronte muscolari molto marcate e le entesopatie del bicipite; l’ipertofia di questeinserzioni suggerisce un’attività frequente di sollevamento di pesi e di trasporto di carichicon gomiti flessi467. Per 75 individui è stato possibile attribuire l’età di morte. Il 13.34% sono giovani di etàinferiore a 20 anni ma tra questi c’è un solo infans468 e tutti gli altri sono adolescenti con

466 Tutti i movimenti del braccio e della spalla coinvolgono anche questo legamento, che è uno dei più robustidel corpo umano. Il 46.66% delle clavicole osservate ha impronte muscolari molto forti o entosopatie a livellodel deltoide, che è il più importante muscolo abduttore della spalla. A livello degli arti superiori sono moltomarcate le impronte muscolari del grande pettorale dell’omero (50%) e del brachiale dell’ulna (48.86%).467 PELLEGRINO 2003-2004. A livello degli arti superiori sono molto marcate anche le impronte muscolaridel grande pettorale dell’omero (50% sul totale delle osservazioni) e del brachiale dell’ulna (48.86% sultotale delle osservazioni). Il grande pettorale è attivo nell’adduzione omerale, avvicina cioè il braccio altronco, nella rotazione mediale e nella flessione, mentre il brachiale è il più importante flessoredell’avambraccio. Il 38.46% dei radii presenta impronte muscolari molto marcate ed entesopatie del bicipite.Il bicipite, come il brachiale, è responsabile della flessione del braccio.

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un’età superiore ai 13 anni; il 44% degli individui sono morti tra i 20 e i 30 anni, il 29.34%tra i 31 e i 40, il 10.66% tra i 41 e i 50 e soltanto il 2.66% sopra i 50 anni.Distinguendo la mortalità maschile da quella femminile, si osserva che il 68% dei maschi eil 76% delle femmine concludevano la loro vita entro i 35 anni di vita; nessuna femminasupera i 45 anni di età, mentre due maschi superano i 50 anni. La più alta percentuale didecessi femminili entro i 35 anni di età, che è frequente in molte serie antiche, può esserespiegata con gli stress dell’attività riproduttiva; in piena età fertile, quando le gravidanze, iparti e gli allattamenti si susseguivano a ritmo ravvicinato, i rischi connessi al parto e alpuerperio erano alti e gli allattamenti prolungati potevano debilitare l’organismo chediventava più soggetto a malattie infettive. Nel complesso, quindi, il 45% circa degli uomini e delle donne decedevano tra i 25 e i 35anni di età. Tra le cause di morte sono da escludere eventi violenti, per i quali nessunesempio è stato riconosciuto, ed i traumi la cui incidenza è molto bassa colpendo soltantogli scheletri maschili. Quattro traumi, di entità non grave, sono a livello cranico; è inoltrepresente una sola frattura, perfettamente riparata, nell’ulna destra di un maschio di 35-38anni che per le sue caratteristiche sembra sia avvenuta durante l’infanzia (frattura a legnoverde). La popolazione, perciò, pur essendo impegnata in attività lavorative pesanti, nonera esposta ad un elevato rischio traumatico ed i decessi avvenivano per cause naturali;un solo individuo presenta due segni di profonde ferite sul cranio causate da unostrumento a punta alle quali comunque sopravvisse. La bassa aspettativa media di vita ci fa riflettere sulla durata dei contratti o dei patticolonici attraverso cui si affidavano ai rustici appezzamenti di terreno da coltivare egeneralmente indicata nell’ordine dei 29 anni. Se i dati di Poggio Imperiale testimonianouna situazione generalizzata, allora questo periodo di tempo copriva praticamente l’interavita del contadino ed assicurava alla famiglia dominante una conduzione stabile dellaproprietà. Stabilità che, comunque, si protraeva per generazioni come sembrano indicarela presenza di una popolazione stabilmente radicata alla terra, il riconoscimento di diffusicaratteri ereditari e l’alto tasso di endogamia.Considerando nel loro insieme caratteristiche degli spazi insediati, tipi di struttureindagate, presenza significativa degli animali accanto agli uomini, alimentazione epatologie, si osserva che le condizioni di vita nel villaggio di Poggio Imperiale dovevanoessere più o meno le stesse per gli individui che sembrano inumati in sepolture di tipo“privilegiato” e per la massa della popolazione. Sia la probabile élite sia i dipendentivivevano nello stesso ambiente, in case umide per gran parte dell’anno, a contattocontinuo con buoi e caprovini, con un’alimentazione che pur differenziandosi e coprendo lenecessità caloriche, probabilmente non compensava con efficacia i bisogni vitaminici eproteici indispensabili per una dieta salutare e per evitare disfunzioni fisiche e che, in etàinfantile aveva causato problemi fisici legati a malnutrizione. Ambedue, cioè il gruppodistintivo ed il resto della popolazione, avevano svolto in vita delle attività chesviluppavano i muscoli del corpo, soffrivano di dolori artrosici e di forti patologieodontoiatriche ed erano forse affetti da parassitosi. Tutti erano deceduti per cause naturali.Dal punto di vista archeologico le reali differenze tra il gruppo privilegiato ed il resto dellapopolazione contadina sono percepibili nella maggiore disponibilità di cibo e nel deciderela sua distribuzione (non significa però una migliore e più sana alimentazione), nel viverein un edificio circa tre volte più grande degli altri, nell’avere alcuni servi e dipendenti chesvolgevano mansioni diverse legate all’economia del centro.

468 In base alla formazione delle gemme dentarie è un neonato di ±2 mesi: le corone degli incisivi superiori edegli incisivi inferiori laterali sono formate, mentre la formazione delle corone incomplete dei molari indicaun’età leggermente superiore alla nascita. Patologie scheletriche: tetto dell’orbita sinistra con cribra (diffusaporosità); sulla superficie del frammento dell’emifrontale destro e sul tetto dell’orbita destra si osserva unafitta porosità. Frammento cranico con ipervascolarizzazione sulla superficie endocranica.

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Dal punto di vista antropologico, invece, si osservano alcune specificità. Lo scheletro 106e lo scheletro 111 (prima fase del cimitero), lo scheletro 36 e lo scheletro 54 (quarta fasedel cimitero) rappresentano i quattro individui che fanno parte del piccolo gruppo distinto epropongono delle carte d’identità fisica che non differiscono molto dai restanti inumatiriconosciuti come la massa; struttura fisica e malattie sono simili ma l’esame dettagliatodei loro scheletri, soprattutto dei primi tre, permette di percepire alcune caratteristiche cheevidenziano delle differenze. Gli individui 36, 106 e 111 presentano caratteri discontinui odiscreti (piccole variazioni riscontrabili sia sulle ossa craniche che su quelle postcraniali) ditipo ereditario e sembrano essere appartenuti allo stesso gruppo parentale469. Lo scheletro106 era stato uno degli uomini più vecchi del villaggio avendo vissuto ben vent’anni oltre lamedia generale ed anche lo scheletro 111 rientravano in una fascia più anziana essendodeceduto oltre i 40 anni di età. Mentre lo scheletro 36, pur robusto, era però affettocompletamente da artrosi e forse una delle persone meno sane del villaggio. Lo scheletro54 invece morì per una malattia in giovane età. I marcatori di attività svolte in vita sottolineano una comune pratica dell’equitazione. Loscheletro 106 presenta gli indicatori più evidenti. Uno dei caratteri discontinui o discreti, lefaccette sulle epifisi distali delle tibie, rilevato su 36 è conseguente al trascorrimento dimolte ore con il piede iperdorsiflesso (posizione accovacciata o a cavallo); tra i marcatorischeletrici di attività si aggiungono inoltre all’altezza dei due femori entesopatiedell’Ileopsoas, grande gluteo, vasto mediale e linea aspra: indicano il forte impegno deimuscoli estensori e rotatori che partecipano alla postura del cavaliere; inoltrel’ossificazione della linea aspra evidenzia la forte sollecitazione degli adduttori470. Anche il111 propone alcuni indicatori che potrebbero indirizzare verso il riconoscimento dellapratica equestre; l’inserzione del retto del femore del coxale destro è molto marcata; l’aread’inserzione del bicipite e semitendinoso è caratterizzata da osteofiti; l’inserzione delsemimembranoso del coxale sinistro è molto marcata; tutte le inserzioni osservabili dientrambi i femori (grande gluteo, vasto mediale, labbro mediale e laterale della lineaaspra) sono molto marcate; l’inserzione del legamento patellare di entrambe le patelle èmarcata; le inserzioni del soleo di entrambe le fibule sono molto marcate, il legamentopatellare della tibia sinistra è evidente; esostosi nell’area d’inserzione del tendine diAchille. Il muscolo soleo non solo è estensore del piede sulla gamba ma, a ginocchioparzialmente flesso, è responsabile della flessione plantare della caviglia; quindi non èfortemente sollecitato soltanto nella deambulazione e nel salto, ma anche nella praticaequestre. Tali dati potrebbero trovare un riscontro con le restituzioni della capanna a “T” (una lanciaa foglia471, una punta di freccia472, elementi della bardatura di un cavallo473) interpretatacome un’abitazione-magazzino, occupata da un diretto dipendente, forse un servo, checustodiva alcuni beni fra i quali le armi del suo padrone ed identificabile quindi in un miles

469 Scheletro 36 - osso o distretto: cranio e tibia sinistra; carattere discontinuo: ossicini lambdoidei e faccettasull’epifisi distale anteriore. Scheletro 106 - osso o distretto: calcagno; carattere discontinuo: faccettacalcaneare sdoppiata. Scheletro 111 - osso o distretto: cranio e calcagni; carattere discontinuo: ossicinilambdoidei e faccetta calcaneare sdoppiata.470 FORNACIARI, GIUSIANI, VITELLO 2003.471 Si tratta di una cuspide di lancia in ferro, di forma foliacea con probabili alette di arresto molto ampie ecannone di forma cilindrica cavo. Sul cannone è ancora inserito un chiodo per fissare la cuspide all’asta inlegno. La sua forma non trova riscontri in contesti o collezioni note.472 Punta di freccia da arco in ferro con codolo a sezione quadrata e cuspide piramidale a base quadrata.Venivano inastata tramite l’inserimento del codolo in un foro praticato nell’asta.473 Elemento decorativo in ferro formato da due elementi a calotta semisferica uniti tramite un meccanismosnodabile formato dalle prosecuzioni delle calotte. Sul retro di una di queste, è presente l’asta attraverso laquale l’oggetto veniva fissato ad un elemento in materiale deperibile, mentre l’altro restava mobile, grazie almeccanismo snodabile.

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od un exercitalis. Coincidenze si hanno anche con le restituzioni archeozoologiche dellalonghouse dove sono evidenti i resti di un cavallo, di un mulo e numerosi i chiodi daferratura. La famiglia dominante non era comunque da ascrivere nel novero dei grandipossidenti; il profilo che si delinea dall’insieme dei dati raccolti individua piuttosto deipiccoli possidenti, sicuramente non agiati e non ricchi nel significato comune del termine,che vivevano in campagna gestendo la propria azienda, accumulando derrate alimentari eprovvedendo alla distribuzione del cibo verso i loro dipendenti diretti. Segue in dettaglio la descrizione dei quattro individui.Lo scheletro 36 apparteneva ad un individuo di sesso maschile, di età compresa fra i 33ed i 41 anni alto 1,78 m; aveva svolto in vita un'attività fisica che impegnava in modoomogeneo tutta la struttura muscolare e scheletrica474. Era un soggetto pesantementecolpito da artrosi primaria come evidenziano le diffuse patologie degenerative riconosciutenelle vertebre lombari e cervicali. Alle entesopatie si accompagnano infatti artrosivertebrale in tutta la colonna con maggiore accentuazione nella regione lombare ed artrosiextravertebrale all’articolazione della spalla, all’articolazione coxo-femorale,all’articolazione del ginocchio e alla prima falangetta del piede destro. L'esostosi allaclavicola sinistra può ricondursi invece ad un precoce episodio infiammatorio occorsoprima dei 15 anni; la patologia si manifesta in età puberale, prima che si completi ilprocesso di ossificazione delle cartilagini. L’ipoplasia dello smalto dei denti anteriorimascellari attesta che l’individuo aveva subito episodi di stress all’età di 2 e 3 anni, inoltremostra un’accentuata abrasione dei denti anteriori ed aveva tre carie che, con l’usuraperforante, provocarono molto probabilmente l’infiammazione della superficie palatale delmascellare. La maggior parte dei denti superiori è ricoperta da lievi formazioni di tartaro.Lo scheletro 106, riferibile ad un maschio di 50-55 anni alto circa 171± 3,27 cm. Avevaperso in vita sei denti dell’arcata mandibolare e sono presenti lievi formazioni di tartaro;l’usura appare piuttosto grave sulle superfici occlusali di alcuni denti, mettendo alloscoperto ampie zone di dentina secondaria. I processi alveolari presentano graveriassorbimento alveolare.Quest’individuo era caratterizzato da impronte muscolari molto profonde e da entesopatienei vari distretti scheletrici. Le inserzioni muscolari e ligamentarie particolarmente marcateo con entesopatie, nella parte superiore dello scheletro, sono quelle del muscolo deltoidenella clavicola destra, del legamento coraco-clavicolare, del tricipite nelle scapole, delbicipite nei radii e del brachiale nelle ulne. Il muscolo deltoide costituisce il principaleabduttore del braccio; il capo lungo del muscolo tricipite agisce sull’articolazione dellaspalla, dove partecipa ai movimenti di adduzione; la forte inserzione del bicipite nei radii edel brachiale nell’ulna destra indica una flessione e una supinazione forzata e ripetuta delgomito.I marcatori scheletrici che si rilevano, in particolare, nella parte inferiore dello scheletroforniscono preziose indicazioni sul tipo di attività fisica esercitata. L’associazionedell’ovalizzazione dell’acetabolo con l’ipertrofia del retto del femore a livello dei coxali, conil bordo rilevato della fovea dei femori, con gli osteofiti della fossa trocanterica, con loschiacciamento e la rotazione del piccolo trocantere, con l’ipertrofia di tutti i muscoli deifemori, sembra delineare il quadro di un’intensa pratica equestre. Questa particolareattività fisica porta, infatti, ad una serie di alterazioni microtraumatiche sull’anca e sulfemore. L’ovalizzazione dell’acetabolo è dovuta alla sollecitazione della testa del femoresulla parte superiore dell’acetabolo durante le cavalcate. La deformazione della fovea,

474Presenta entesopatie del muscolo deltoide nella clavicola sinistra (a destra non è rilevabile), dell’anconeo,dell’origine comune degli estensori e dei flessori nell’omero sinistro e dell’origine comune dei flessorinell’omero destro, della tuberosità bicipitale nel radio destro e sinistro, del tricipite nell’ulna sinistra e delbrachiale nell’ulna destra; tutti i muscoli rilevabili dei coxali e dei femori presentano entesopatie; anche icalcagni presentano formazioni osteofitiche nell’aree d’inserzione del tendine di Achille.

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dove si inserisce il legamento rotondo, e la compressione della testa del femore in sensoantero-posteriore, sono determinati dalla sollecitazione continua ed intensa della testa delfemore a contatto con l’acetabolo. I muscoli glutei e gli adduttori sono fortementeimpegnati per rimanere saldi in sella al cavallo; il piccolo trocantere dove si inserisce ilmuscolo ileopsoas, che permette la flessione e la rotazione dell’articolazione a livellodell’anca, viene sollecitato in modo tale da subire una rotazione mediale e unoschiacciamento. A livello della fossa trocanterica, dove è localizzata l’inserzione delmuscolo otturatore interno e dei muscoli gemelli, la formazione di osteofiti è dovuta amovimenti continui ed energici di rotazione esterna della coscia.Lo scheletro 111 era un individuo di sesso maschile, di età compresa 40-44 anni, moltorobusto ma in cattivo stato di salute, con numerose patologie a carico dell'apparatoscheletrico e di quello articolare. L'attività svolta si caratterizzava per pesanti sforzi,sviluppando forme di artrosi anche agli arti superiori; mostra una spondiloartrosi di gradoavanzato di tipo anchilosante con fusione dell’ottava, nona e decima vertebra toracica, conformazione di ponti ossei intersomatici; aveva artrosi a due costole, clavicola destra escapola destra. I denti mostrano un pessimo stato di salute della bocca; l’ipoplasia attestaun episodio di stress occorso all’età di 2 anni. Tanto le quattro carie che l’usura grave ditutti i denti, particolarmente quelli superiori, hanno favorito la localizzazione di germi nelparadenzio, causando lo sviluppo di processi infiammatori cronici, con conseguentiosteolisi dei processi alveolari. Anche lo scheletro 54 apparteneva ad un membro maschio della famiglia dominante cheperò non aveva avuto fortuna. Pur svolgendo molta attività fisica, era morto tra i 20 ed i 24anni probabilmente per una lesione che potrebbe essere l’esito di un’infiammazionedell’orecchio penetrata nella cavità endocranica provocando una meningite conconseguente decesso. L’ipoplasia dello smalto dei denti attesta vari episodi di stress dai10 mesi ai 4 anni; l’abrasione linguale degli incisivi e dei canini era molto probabilmente laconseguenza di un impiego extramasticatorio della dentatura; i segni di rimaneggiamentoosseo sul mascellare sono probabilmente gli esiti di un’infezione. Gli scheletri 107, 30 e 89 costituiscono tre esempi della popolazione contadina.Lo scheletro 107, maschio con un’età tra i 22 e i 24 anni, statura di 176 cm, mostramarcatori scheletrici di attività occupazionali ed entesopatie molto accentuati relativi ad unindividuo che aveva sollecitato fortemente sia la parte superiore del corpo che l’inferiore esoprattutto le gambe. L’esostosi dell’inion, appiattimento leggero dei condili mandibolari,l’inserzione del deltoide della clavicola destra molto marcata, la cavità romboide dellaclavicola sinistra, dove si inserisce il legamento costo-clavicolare, a forma di placcasollevata rivelano movimenti di sforzo, come quelli necessari all’attività di aratura, ripetutifrequentemente nel tempo. Le scapole presentando le aree d’inserzione del deltoide, tricipite e piccolo rotondoevidenti, mostrano la ripetizione continua di movimenti di avvicinamento del braccio altronco. Le aree d’inserzione del sottoscapolare, sopraspinato e infraspinato, del piccolorotondo e del gran pettorale sono evidenti in entrambi gli omeri; l’area di inserzione delgrande dorsale e gran rotondo dell’omero destro si presenta leggermente erosa, quella delsinistro non è erosa ma evidente; nei radii l’area d’inserzione del bicipite è più evidente asinistra, l’inserzione del pronatore rotondo destro è poco evidente; l’area d’inserzione piùmarcata a livello delle ulne è quella del brachiale destro. Questi marcatori attestanocontinui movimenti di flessione dell’avambraccio.L’effettuazione di ripetuti movimenti di flessione della gamba sono invece attestati dallearee d’inserzione più evidenti nel femore destro del piriforme, del gluteo medio, del piccologluteo e dell’ileopsoas. Intensi e ripetuti movimenti di rotazione esterna e estensione dellacoscia sono evidenziati del femore destro dove si possono rilevare le inserzioni delpiriforme, dell’ileopsoas e quelle del grande gluteo e degli adduttori. L’inserzione del

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tendine di Achille è evidente in entrambi i calcagni come segno di eventi microtraumaticiconseguenti a lunge marce su terreni accidentati.Le patologie scheletriche sono soprattutto legate ad eventi di malnutrizione e/o parassitosiin età giovanile che dettero luogo ad iperostosi porotica sull’intero cranio e sullo zigomosinistro; tracce di cribra orbitalia si rilevano inoltre sul tetto dell’orbita sinistra. La facciamediale della tibia sinistra presenta strie longitudinale e una zona leggermente rigonfia ametà dialisi; sono gli esiti di una leggera periostite, cioè di un trauma con complicazioneinfettiva a seguito del laceramento della cute, dei tessuti sottocutanei, dei muscoli. Quasitutti i denti presentano formazioni di tartaro di grado leggero ed una sola carie. Lamaggiore usura dei denti anteriori rispetto ai posteriori e la presenza di scheggiature sulleloro superfici occlusali, potrebbero essere dovute all’impiego di questi denti in attivitàextra-masticatorie.Lo scheletro 30 mostra un quadro entesopatico molto diffuso, accompagnato da artrosidella colonna e da ernie di Schmorl. Si osserva anche periostite tibiale. Era un uomo altointorno ai 185 cm, deceduto tra i 35-44 anni, con entesopatie del grande pettoralenell’omero destro (il sinistro è assente), del bicipite nel radio destro (il sinistro è assente),del tricipite nell’ulna sinistra (la destra è assente), dell’ileopsoas nella linea aspra, delsoleo e del legamento patellare nella tibia sinistra (la destra è assente), del lungo flessoredel grosso dito e del lungo peroneo della fibula sinistra (la destra è assente). Le altre areed’inserzione muscolare sono tutte molto marcate. Si evidenzia il quadro di un forteimpegno funzionale sia dei muscoli flessori ed estensori degli arti superiori, che deimuscoli estensori e rotatori degli arti inferiori, legati alla deambulazione. Il grado disviluppo delle entesi e le entesopatie indicano che l’individuo fu impegnato in vita in attivitàfisiche molto dure, confermate anche dalla presenza di numerose ernie di Schmorl a livellodella regione toracica e lombare per sovraccarichi ponderali. Anche l’artrosi vertebralepotrebbe essere correlata ad un impegno eccessivo della colonna.Aveva perso due denti in vita; i terzi molari mascellari sono cariati, quello di destra èinteressato da un’ampia cavità cariosa sulla faccia mesiale e quello di sinistra da una carienella medesima sede. Quasi tutti i denti presentano formazioni di tartaro a carico dellefacce linguali e vestibolari delle corone e sono usurati, ma l’usura appare più marcata sugliincisivi centrali e sui primi e secondi molari sia mascellari che mandibolari, con comparsanotevole di dentina secondaria. Le ossa mascellari sembrano mostrare nella facciapalatale probabili esiti di un’infiammazione. L’ipoplasia lineare dello smalto indica unaserie di episodi di stress dai 10 mesi ai 3 anni. I probabili esiti infiammatori del mascellaree la perdita di alcuni elementi dentari in vita possono essere correlati alla forte usura deidenti menzionati sopra ed alla carie. Inoltre l’usura, insieme all’ipercementosi delle radici dialcuni denti e al grave riassorbimento alveolare, farebbe ipotizzare un forte stressmasticatorio occlusale.Lo scheletro 89, un maschio di 45-50 anni e di altezza non rilevabile, presenta entesopatienelle aree d’inserzione di quasi tutti i muscoli degli arti superiori ed inferiori: gran pettorale,gran dorsale e gran rotondo, deltoide negli omeri, pronatore rotondo nel radio destro (ilradio sinistro è assente), tricipite nell’ulna destra (l’ulna sinistra è assente), grande gluteo,adduttori, vasto mediale nei femori, legamento patellare della tibia sinistra. Lo stessoindividuo presenta artrosi severa nella regione toracica e lombare della colonna vertebrale.L’insieme delle entesopatie e dei segni artrosici è da ascriversi a stress biomeccanici, lacui intensità e durata nel tempo hanno portato ad alterazioni patologiche su tutti i distrettischeletrici. Episodi non gravi di malnutrizione in età giovanile causarono una lieveiperostosi porotica del cranio sul frontale e sui parietali, lungo la sagittale. Aveva perso due denti in vita e soffriva di parodontite cronica nonché di tre carie dellequali una destruente, che ha comportato la distruzione totale della corona, riducendo ildente alla sola radice; scarse invece le incrostazioni di tartaro. Le superfici occlusali di tre

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denti si presentano particolarmente abrase, con comparsa di dentina secondaria.L’ipoplasia attesta episodi di stress occorsi all’età di 2 e 3 anni e la particolare usura deimolari è correlabile ad un’alimentazione basata su cibi particolarmente abrasivi; quella delcanino mascellare invece è dovuta probabilmente ad un’attività extramasticatoria esecondo alcuni autori tale tipo di usura è provocata dall’impiego dei denti nella conciaturadelle pelli.

13 - Dinamiche insediative e nascita dei castelli nell’alta Val d’Elsa tra X e XI secolo.Uno dei problemi centrali, per la storia del popolamento, è sapere quali tra i centri ruraliconosciuti la prima volta a seguito della loro menzione nelle fonti scritte avevano in realtàstorie più antiche. La risposta a questo interrogativo sta nell’appurare se la rete insediativadocumentata dalla seconda metà del X secolo era nata ex novo o se si impostava suequilibri già costituiti dall'altomedioevo.Le tendenze mostrate dalle indagini territoriali, nelle quali l’insediamento altomedievalecostituisce un vero e proprio “vuoto” archeologico, e quelle evidenziate dagli scavi deicastelli toscani dopo oltre un ventennio di ricerche sistematiche, lasciano pochi dubbi alriguardo: la maggior parte dei centri si sviluppò su insediamenti preesistenti475.L’incastellamento interessò soprattutto realtà insediative stabilmente popolate, dei sitialtomedievali di successo ed aziende rurali talvolta riconoscibili come curtes o come il loronucleo centrale. Fu un fenomeno che aderì ad una rete di popolamento già stabilizzata esulla cui ossatura si era modellata la gestione del lavoro nelle campagne. Ciò non significavolere rintracciare l’origine di tutti i castelli nei nuclei accentrati altomedievali; taleprocesso si lega soprattutto ai castelli di prima fase, mentre non si esclude, come alcunicasi comprovano, uno per tutti Rocca San Silvestro nel livornese476, la fondazione ex novodietro interessi particolari (lo sfruttamento minerario nell’esempio citato) e per i castelli diseconda fase. Per questi motivi, la ricostruzione delle dinamiche insediative territoriali ha quasi sempreuna brusca frenata dopo il periodo della transizione. Non si ritrovano infatti sul terreno gliindizi di quei contesti altomedievali, che pur dovevano esistere e talvolta attestati dallastessa documentazione d’archivio, poiché i depositi ad essi relazionabili sono per lamaggior parte sepolti od erosi dalle successive fasi di vita, fino all’edificazione ed allosviluppo dei castelli o di altri siti di successo, probabilmente quei nuclei di villaggio chehanno continuato ad essere frequentati fino ai nostri giorni477.

475 FRANCOVICH, HODGES 2003; VALENTI 2004; FRANCOVICH, VALENTI 2005.476 FRANCOVICH 1991.477 In generale, l'eventualità di rintracciare depositi altomedievali tramite la ricognizione di superficie èrisultata possibile di fronte a contesti con cronologia di IX-XI secolo: siti definibili "fallimentari" e sitiincastellati abbandonati con superfici circostanti non urbanizzate. Si tratta in tutti i casi di insediamentiaccentrati. La definizione di "siti fallimentari" individua quei nuclei di popolamento che, costituitisi duranteuna congiuntura favorevole allo sviluppo della rete insediativa, furono abbandonati più o menoprecocemente. Un recente scavo svolto in località Casa Andreoni, nel grossetano, conseguitoall’individuazione su superfici agricole di una vasta concentrazione di materiali ceramici mobili, confermatendenzialmente queste interpretazioni, mostrando parte di un piccolo insediamento accentrato abbandonatoprobabilmente nel corso del IX secolo (contesto scavato nell’estate 2005 da Emanuele Vaccaro). Le indaginisui siti incastellati abbandonati e con superfici circostanti non urbanizzate hanno dato modo di rintracciarestratificazioni altomedievali, confermando l'esistenza di agglomerati aperti successivamente cinti da mura. Un’ultima variante si individua nel riconoscimento di alcune singole unità agricole legate ad organizzazioniaziendali. Si tratta in tutti gli esempi di poderi contadini con cronologie di IX-XI secolo che non prospettanoeccezioni al modello "siti di successo". La loro collocazione, sempre a brevissima distanza se non contiguiad un toponimo attestato come azienda curtense (si veda il caso del Podere Aione nel follonichese: CUCINI1989) sottolinea di nuovo come il popolamento accentrato rappresenti ancora in questa fase una realtàdominante e come la continuità insediativa, quindi il carattere di "successo", sia un dato di fattoincontestabile.

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Il caso di Poggibonsi in particolare è molto significativo. Qui la frequentazione nota avevainizio alla metà del XII secolo con la fondazione del villaggio fortificato di Podium Boniziche si collocava in un contesto territoriale caratterizzato dalla via Francigena e dalle suenumerose diramazioni e dove, tra X-XIII secolo, si incrociarono forti possessi e pertinenzedel potere laico ed ecclesiastico (la casa marchionale di Tuscia, i potenti conti Guidi,l'abbazia altomedievale di Marturi). Tutti elementi che potevano fare presagire unafrequentazione anche di età altomedievale non attestata dalle fonti scritte. Tracce di unaqualsiasi forma insediativa precedente al villaggio di XII secolo non sono assolutamentecomparse; oppure, se presenti, come potevamo riconoscere ceramiche comunialtomedievali all'interno dei grandi quantitativi raccolti di reperti databili tra XII-XIV secolo?Tutto ciò, nonostante una strategia di valutazione del potenziale archeologico moltoattenta e sperimentale articolata in cinque steps di approfondimento articolati tra battiturea terra ed impiego di tecnologie innovative che hanno permesso una prima ed attendibileidentificazione di depositi di XII e XIII secolo.La causa del vuoto di presenze deve essere quindi ricercata nelle modalità di sviluppodella rete insediativa, che dalla fine del VI-VII secolo ebbe inizio prevalentementeattraverso la costituzione di villaggi. Furono frequentazioni di lungo periodo come nel casodi Poggio Imperiale, talvolta ininterrotte sino ad oggi, dove le testimonianze più antichevenivano obliterate con il succedersi delle fasi di occupazione e delle ristrutturazionifunzionali degli spazi. Questi villaggi rappresentarono l’ossatura sulla quale s’impostò l’insediamento dei secolicentrali del medioevo e le cui tracce sono riconoscibili pienamente solo scavando. Sono lastessa trasformazione del popolamento da sparso ad accentrato di inizi VII secolo, nonchèil "successo" della maggior parte degli insediamenti costituitisi, che impediscono dirinvenire le tracce dei depositi se non attraverso l'indagine stratigrafica. Ed in tal senso la collina di Poggio Imperiale, così come il chilometro quadrato di cui è alcentro, costituisce anch’essa un’area di successo; l’insediamento, talvolta spostandosi dialcuni centinaia di metri, nonchè la viabilità qui presente, si sono protratti sino ai nostrigiorni senza soluzione di continuità: abbandonato Poggio Imperiale, Marturi, pur dietrovicende altalenanti, continuava a vivere e nel frattempo si andava sviluppando il centro diBorgo Marturi; scelta di nuovo la collina per fondare il grande castello, Borgo Marturi sitrasformò in un sua appendice e Marturi intervenne nelle sue vicende urbanistiche; sulrilievo prospiscente di San Lucchese, prima della fondazione del convento, esisteva ilvillaggio di Camaldo; dopo la distruzione di Poggio Bonizio il centro di Borgo Marturidivenne nuovamente dominante, sviluppandosi economicamente ed urbanisticamente.Privo di continuità o meno, il rilievo di Poggio Imperiale ha mostrato di entrare pienamentenella tendenza generale riscontrata negli scavi di castelli; la collocazione territoriale e laconformazione della collina ha costantemente attratto insediamento. Sulla base di tale modello interpretativo della storia del popolamento delle campagnetoscane, l'altomedioevo risulterebbe così un periodo altamente popolato ed il villaggiovaldelsano di capanne a lunga frequentazione non costituirebbe un caso, piuttosto un tipodi realtà insediativa molto diffusa. Potremmo inoltre intravedere già in azione alcune diquelle famiglie che sappiamo variamente affermate nell’alta Valdelsa del X secolo.Soprattutto il preceptum Berengarii et Adelberti Regnum del 953478, la chartula demorgengabe di Trigesimo del 994479 e la chartula venditionis di Teuzo dello stesso anno480,nonchè gli atti di fondazione di Marturi481 e di Isola482, attestano una gestione della terra

478 CAMMAROSANO 1993, n.1, 23 giugno 953. 479 CAMMAROSANO 1993, n.2, 29 aprile 994.480 CAMMAROSANO 1993, n.3, 1 gennaio 1-23 settembre 994.481 CAMMAROSANO 1993, n.4, 4 febbraio 1001.482 FALCE 1921, p.187, 10 agosto 998.

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polarizzata intorno a centri curtensi controllati da gruppi familiari eminenti; curtes per lo piùincastellate e talvolta dotate di chiesa, poste tra gli attuali confini comunali di Poggibonsi,Colle, e San Gimignano, mentre le zone di Casole e Monteriggioni mostrano inveceattestazioni più sporadiche. I loro patrimoni si dislocavano a Gavignano (al centro diproprietà fondiarie già nel 990)483, Staggia (attestato dal 994484 ed il recente scavo, ancorain elaborazione, rivela una frequentazione che ha inizio molti secoli prima sottoforma dinucleo di capanne485), Papaiano (attestato dal 997)486, Talciona (citato la prima volta nel998)487, La Valle (citato la prima volta nel 1021 come castello scomparso)488, forse Lecchi(attestato nei primi anni dell'XI secolo)489, Marturi (attestato nel 998)490, Mugnano (dal 970castello)491, Bibbiano (attestato a partire dal 994)492, Gracciano (attestato a partire dal994)493, Montegabbro (attestato dal 996)494, Buliciano (attestato nel 970)495.

483 Regestum Volaterranum, n.78, 16 dicembre 990: proprietà sono poste in Gavignano. FALCE 1921, p.185,25 luglio 998 (falso di fine XI secolo), attestati tre mansi in Gauignano. 484 CAMMAROSANO 1993, n.2, 29 aprile 994: Chartula de morgengab. Cessione a titolo di morgengabe daparte di Tegrimo figlio di Ildebrando alla moglie di beni posti nelle contee di Volterra, Firenze, Fiesole eSiena; tra essi «casa et curte est posita / (l)oco Stagia (un)a insimul cum ipso castro q(uod) castello vocaturet turre et ecclesia q(ue) est in onore sancte Marie».485 Si veda paragrafo 12 del capitolo IV di questo volume.486 FALCE 1921, n.49, p.138, marzo 971: «(...) Ego Guinizo (...) vindo et trado tibi Ugo, dux et marchio, f.b.m.Uberti, (...) integra mea portione de curte et castello et poio, qui nominatur Papaiano, et ecclesia cuivocabulo est sancti Andree». Regestum Volaterranum, n.75, p.27, 10 marzo 989: citati «Petro diac. f. Petrieccl. s. angneli Mihaeli in Papaiano» e «in villa de Pappiano». FALCE 1921, p.187, 10 agosto 998/ 25 luglio998: donazione di due mansi «in Papaiano de intus pars que fuit Guinizi, f. Ugonis, et alia pars in ipsocastello Papaiano cum omni pertinentia et intus et foris qui fuit de Azo, f. Petri Nigri».487 FALCE 1921, p.187, 10 agosto 998/25 luglio 998: donazione di due mansi posti «intus castello deTalciona».488 CAMMAROSANO 1993, n.29, 11 dicembre 1021: Chartula libelli. Il monastero cede a livello 4 pezzi diterra posti in Valle: «prima petia de terra q(ue) est posita prope ipso poio de Valle, in qua iam fuit castello;secunda (...) in loco qui dicitur Pratale; tertia (...) in loco qui dicitur Panta; quarta (..) in loco qui dicitur PelagoIugi».489 CAMMAROSANO 1993, n.2, 29 aprile 994: la località è nominata per la prima volta nella dotazionenunziale compiuta da Tegrimo di Ildebrando, della famiglia dei Lambardi di Staggia fondatori della Badia aIsola per la sposa Sindrada.Conosciamo poco della realtà insediativa di fine X secolo ma la citazione nel morgengabe come «Liccle cumeius pertinentia», lascia intravedere una località ben nota, di riferimento per beni fondiari e persone, noncerto trascurabile. Non sappiamo però se poteva trattarsi di una azienda curtense come invece vieneindividuata quasi novanta anni dopo; nel 1086 infatti fu donata al monastero di Isola una «portione de curtede Liche cum ecclesia sancte Marie”. Ritroviamo dunque Lecchi al centro di una curtis dotata di chiesa(CAMMAROSANO 1993, n.38, 4 aprile 1086). 490 FALCE 1921, p.187, 10 agosto 998/25 luglio 998.491 Regestum Volaterranum, n.46, p.15, 7 giugno 970: Chartula venditionis; «Actum intus castello deMugnano terreturio Vulterris».492 SCHIAPARELLI 1913, n.3 pp.7-8, 11 giugno 972: Tebaldo detto Teuzo, figlio del fu Gualtieri, vende aWilla «duo ex ipsis esse videntur in loco ubi dicitur Bibbiano (...) et cum omnibus casis et terris seu vineisatque rebus quod sunt domnicatis quem habeo (...) cum omnibus suis pertinentiis et adiacentiis».CAMMAROSANO 1993, n.3, 1 gennaio-23 settembre 994: Chartula venditionis. Vendita fra privati di «casaet curte mea illa domnicata fra castello ubi Bibiano vocatur (...) Actum loco intus castello de Bibiano, territurioVoloterrense». 493 CAMMAROSANO 1993, n.2, 29 aprile 994: Chartula de morgengab (cessione a titolo di morgengabe) daparte del Lambardo Tegrimo figlio di Ildebrando alla moglie Sinderada di beni posti nelle contee di Volterra,Firenze, Fiesole e Siena tra i quali la «curte sive rocca et ecclesia Elsa iusto fluvi ipsius Elsa» (citato anchein Regesto Senese, n.21, 29 aprile 994).494 Regestum Volaterranum, n.86, p.32, 12 marzo 996: il marchese Ugo di Toscana offre alla chiesa di SantaMaria di Volterra una ricca donazione in terreni fra cui «I in Gabro, recta per castello».495 PUCCINELLI 1664, p.205, marzo 971: il marchese Ugo compera per 100 soldi da “Uinisi”, detto Guinizio,«integra mea portione de curte que nominatur Bulis et mea portione de ecclesia cui vocabulo est S.Georgii

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L'intera valle si ripartiva quindi in territori rurali strutturatisi da molto tempo e legati ad ungruppo di possidenti che tra X e XI secolo iniziarono a incastellare i propri centri dicontrollo della produzione e del popolamento; la nascita dei castelli rappresentò ilconsolidamento dei rapporti di proprietà e degli equilibri già esistenti ed il tentativo diun’affermazione di tipo signorile all’interno del distretto territoriale496. La tendenza pareinteressare la Valdelsa nel suo complesso e si uniforma con quella già riconosciuta sututta l’area senese: a partire dalla metà del X secolo si affermarono gruppi nobiliari, tra iquali un'aristocrazia di milites con notevoli proprietà rurali, la cui adesione alla terra eraavvenuta per tutta la durata del regno italico497. Nel convegno di Gambassi Terme del1997, incentrato sui castelli della Valdelsa, i contributi che si sono occupati dell’origine deicastelli (Salvestrini per la zona di San Miniato498, Duccini per il gambassino499, Wickhamnelle conclusioni500) hanno prospettato un quadro molto simile. Il popolamento del territorioviene letto in una gerarchia di piccoli centri aperti con curtis che, fra fine X-inizi XI secolo,vennero trasformati in castelli.Per comprendere in quale forma tali gruppi di possidenti si erano divisi la campagnaaltovaldelsana siamo ricorsi a modelli geografici; l'estensione territoriale dei centri dicurtes o di castello può così essere ipotizzata applicando alla rete insediativa di X secolola teoria dei poligoni di Thiessen (interpretabili come territori ipotetici di dominio dei centridi riferimento)501. Il risultato mostra 6 poligoni, intorno a Staggia, Talciona, Lecchi, Marturi,Papaiano, Bibbiano, con un’estensione media di poco superiore ai 13 kmq: una divisionepiù o meno equa della terra.Abbiamo tentato di leggere la rete insediativa anche in rapporto alla viabilità, perperfezionare l’applicazione dei poligoni di Thiessen e definire quali centri potevanorivestire più importanza. Il reticolo viario nel X secolo mostra punti nodali incorrispondenza di Marturi, Lecchi, Galognano, Gracciano e Mugnano (ognuno a croceviadi quattro strade) che quindi dovevano fungere da centri di raccordo per l’immissione nellaFrancigena. Questa raggiungeva anche Staggia, una tappa importante poichè viconvergevano le due strade provenienti da Galognano e Lecchi indirizzandole sulla curtisdi Stecchi in direzione Siena. Nel complesso, la zona nord est di Poggibonsi si affermacosì come un'area di successo. La strada e la rete insediativa si influenzaronoreciprocamente; vediamo gli insediamenti nascere nelle sue vicinanze, i tracciati viaristessi adeguarsi e vari soggetti tentare di radicarvisi estendendo il proprio potere ed ipropri diritti. Di tale azione risultano protagonisti principali la grande feudalità nella personadel marchese Ugo di Tuscia, poi di suo figlio Bonifacio e le élites rurali nelle figure diproprietari terrieri dominanti come per esempio i signori di Staggia o gruppi minori comequelli rappresentati dai Uunisi-Guinizo, Azzo e Ugone presenti a Mugnano e Buliciano ed ilTebaldo detto Teuzo di Bibbiano502. I marchesi di Toscana erano patrimonialmente presenti a Marturi, Lecchi, La Valle,Talciona, Papaiano; qui si adoperarono per acquisire aziende dalle principali famiglielocali, vi fondarono il monastero di Marturi e si garantirono anche proprietà nel colligiano

et est infra territorio de plebe S. Hipoliti» (FALCE 1921, p.149).496 Su tutti, si veda FRANCOVICH, GINATEMPO 2000.497 CAMMAROSANO 1981.498 SALVESTRINI 1998.499 DUCCINI 1998.500 WICKHAM 1998.501 Nei poligoni di Thiessen il calcolo dei territori teorici intorno ad una serie di centri viene effettuatotracciando linee perpendicolari passanti per il punto mediano della linea che unisce ciascun centro ai piùvicini; tutti i punti dello spazio all'interno di un poligono sono più vicini al centro situato nel poligono stessoche ai centri dei poligoni vicini.502 FALCE 1921, n.49, p.138, marzo 971; SCHIAPARELLI 1913, n.3 pp.7-8, 11 Giugno 972.

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con acquisti a Mugnano e Bibbiano; controllavano quindi la produzione agricola ed imaggiori centri nodali di immissione sulla Francigena e sulla Volterrana. Sulla Volterrananon trovarono grande opposizione; gli Aldobrandeschi infatti non riuscirono a stabilizzare ilproprio potere sui centri nodali principali; erano presenti in una fascia più interna, aPiticciano (il futuro Colle Val d’Elsa) e tenteranno agli inizi dell’XI secolo, prima incontrasto con il vescovo volterrano e poi attraverso la fondazione dell’abbazia di Spugna,di affacciarsi sul tracciato o per lo meno controllarne il traffico di immissione. SullaFrancigena invece si era radicalmente insediata la famiglia di Staggia almeno a partiredall’VIII secolo e si era espansa nei quattro punti cardinali rafforzandosi nella suaconnotazione di controllo dell’intera area e dei percorsi provenienti dalla Montagnola e dalprincipale centro nodale chiantigiano di Fonterutoli; la fondazione nel 1001 dell’abbazia diIsola, rientrava ancora in questa politica.Con i primi decenni dell'XI secolo la riorganizzazione della rete insediativa e produttivaportò quindi ad un incremento numerico dei castelli e dei villaggi aperti e ad unaripartizione della terra fra un numero accresciuto di soggetti. Quattro monasteri eranodivenuti potenti realtà economiche: Marturi503, Isola504, Coneo505, Spugna506. La loropresenza andò ad incrociarsi con quella delle famiglie dominanti implementateulteriormente dietro la spinta dei frazionamenti ereditari e dall’emergere di nuovi milites (si

503 Marturi aveva sviluppato un ampio patrimonio sia in Val d'Elsa sia fuori della regione; i suoi abati sigarantirono vasti appezzamenti da concedere poi a livello, zone boschive produttive come i castagneti citatispesso nei documenti, il controllo dei numerosi mulini che dovevano collocarsi sia nella piana di BorgoMarturi sia soprattutto nella zona a nord ovest dell'abbazia, in località Piandicampi e Vada. Inoltre, per lezone di Poggibonsi e Colle vediamo concentrare proprietà nelle aree di Calcinaia, Megognano, Talciona ed ilsuo borgo, Papaiano, Luco, la canonica di Casaglia e la chiesa di San Pietro nello stesso castello diCasaglia, la pieve di San Pietro a Cassiano. Per Marturi si veda VALENTI 1999 con bibliografia e paragrafo1 capitolo IV in questo volume.504 L'abbazia di Isola, fondata nel 1001 dai signori di Staggia ebbe anch’essa ampi possedimenti nelle aree diMonteriggioni, Colle e nella parte sud di Poggibonsi, incamerando la maggior parte del patrimonio deifondatori ed inserendosi poi nella politica senese di consolidamento nella Val d'Elsa. Per Isola si vedaCAMMAROSANO 1993.505 L'abbazia di Santa Maria a Coneo fu un'importante istituzione vallombrosana ma sono scarse le notiziesulle sue vicende patrimoniali. Sappiamo comunque che nel 1108 fu contesa tra il vescovo di Volterra el'abate di San Salvatore all'Isola e che nel XII secolo le sue proprietà si ponevano soprattutto nella zonacolligiana. Per Coneo si veda VALENTI 1999 con bibliografia.506 San Salvatore a Spugna fu fondato dagli Aldobrandeschi tra la fine del X secolo e l'inizio dell'XI secolo edovette essere molto potente come indiziano numerose bolle papali di concessione di possessi e diritti suchiese, le quote di corti e castelli disseminati in tutta la Toscana, nonché le esenzioni fiscali ottenute. PerSpugna si veda VALENTI 1999 con bibliografia.

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vedano i casi di Talciona507, Castiglioni508, Staggia509, Lecchi510, Stipule511, Papaiano512,Bibbiano513, Montegabbro514).

14 - La zona di Poggibonsi tra XI e XII secolo.La storia conosciuta della zona, prima degli scavi archeologici, ha inizio con la fondazionenell'altomedievo del monastero di San Salvatore a Marturi, le cui vicende sono più nitidesolo con la rifondazione di Bononio nel 998; un monaco vissuto nel periodo a cavallo tra Xsecolo e XI secolo, esperto nella ricostituzione e rivitalizzazione di cenobi e di enti religiosidecaduti. L'abbazia, in questo anno, fu dotata da Ugo di Toscana di numerose proprietà;dalla dotazione veniamo così a sapere che era fondata in monte et poio qui dicitur castello

507 Nel castello di Talciona agli inizi del XII secolo risiedevano i filii rustici, la futura famiglia dei Soarzi signoridi Staggia.508 Castiglioni nel 1081 era compreso nel patrimonio dei Lambardi di Staggia, e Bonifazio del fu Berizioconcedeva a Mazzo di Ancaiano la metà della «curte et castello et eclesiis» come pegno per l'osservanzadella sua istituzione di solidarietà consortile tra i figli. Nel 1086 Fiozia, moglie di Ranieri e nuora di Bonifaziodonava al monastero di Isola una «portione de curtis et castello de Castillone» e comprendeva anche la«ecclesia sancti Blasii»; poco dopo i figli di Mazzo da Ancaiano (che dovevano avere acquistato da uno deifigli di Bonifazio alcune quote di Castiglioni) vendevano al monastero vari beni tra i quali una casa nelcastello ed un manso al di fuori. Ma l'acquisizione di quote del castello da parte di Isola dovette continuare,tanto che quasi quarantanni dopo, nel 1123, la vediamo effettuare concessioni alla famiglia dominante nelcastello di Talciona (individuata come i figli di Gottolo e di Enrico); nel 1126 comprò da Bernardino del fuBernardo la sua parte della corte e del castello; nel 1135 Ranieri vescovo di Siena allivellava a SanSalvatore dell'Isola la metà di vari beni compresa la corte di Castiglioni ricevuta dal lambardo Tegrimovescovo di Massa; nel 1142 acquistava anche dagli ultimi discendenti in linea femminile di Ildebrando e diAva (cioè dei i fondatori dello stesso monastero) le loro quote.509 Staggia, fu ripartita tra numerosi soggetti di diritto secondo il sistema longobardo di successione che nedeterminava il frazionamento in metà, quarti, ottavi ecc. In varia misura tali quote furono in seguito trasferiteal monastero di Isola il quale, poi, le concesse nuovamente a privati: quei Soarzi che nella metà del XIIsecolo, dopo l'ottenuta sudditanza con Isola, ne usurparono i beni ed i diritti nei principali castelli.510 Nel distretto curtense di Lecchi, dopo la divisone in quote di successione tra i vari eredi dei Lambardi,l'intero novero dei beni fondiari era stato ceduto a vari enti ed altri gruppi famigliari emergenti: il monastero diIsola, l'ospedale di Graticola le consorterie dei filii Rustici e dei filii Mazzi.511 Il castello di Stipule e la sua corte, nei primi decenni del XII secolo, risultavano frazionati in più mani; erainoltre dotato di una chiesa pievana intitolata a San Donato e compresa nel vescovato di Volterra. Verso il1130, deceduto un certo conte Richelmo (tra i più potenti signori del castello), le figlie Felicula ed Umilia sueeredi cedettero il castello a più soggetti. La prima donò la propria parte all'abbazia di San Pietro de' Cieli e laseconda alla chiesa di S. Maria di Volterra. La costruzione di una nuova chiesa pievana in sede diversa dallaprecedente portò allo scontro con il vicino castello di Marturi; in questa circostanza il prete di San Lorenzo inPian de' Campi approfittò per porsi sotto la giurisdizione della pieve di Marturi.512 Papaiano, inserito per il X secolo nel patrimonio di una élite rurale minore, era stato acquistato da Ugomarchese di Toscana e poi inserito nella dotazione patrimoniale di Marturi. Il castello, rientrato tra i benimarchionali con l’intervento di Bonifacio (successore di Ugo) era stato poi trasferito alla fine dell'XI secoloancora ad esponenti della nobiltà locale e nel settembre 1089 Mingarda di Morando lo donò ad un Giovannida Benzo. I monaci riuscirono comunque a riacquisire nel loro patrimonio la zona ed il complesso castellanosino dalla fine del XII secolo.513 Bibbiano, sino dal X secolo, era nelle mani di una famiglia di possessori che non riusciamo a connotarecon precisione: nel 972 conosciamo Tebaldo detto Teuzo e Willa; ventidue anni dopo Guido, figlio del fuTeudingo detto Teuzo e Rollinda sua figlia e moglie di Adelmo. La curtis ed il castello passarono poi in partetra i beni della badia di San Salvatore di Sesto nell'XI secolo e continuarono ad intrecciarvisi diritti diversi.Nel 1047 Isola era entrata in possesso di fondi posti nelle pertinenze del castello e della chiesa; nel 1061 ilmonastero di Santa Maria a Firenze e nel 1081 il vescovo di Volterra detenevano proprietà nella zona. Allametà del XII secolo Bibbiano, per privilegio imperiale di Federico I, fu poi inserito all'interno del patrimonio deiconti Guidi, i quali vi esercitavano anche diritti di tipo pubblico; un privilegio imperiale di conferma emanatoda Enrico VI nel 1191, forse riportando una formula standard ripetuta anche in una carta del 1220, attestaper i beneficiari l'attribuzione di diritti come «bannum, placitum, districtum, theoloneum, pedagium, ripaticum,mercata, molendina aquas, acquarumque decursus, piscationes, venationes, paludes» e diritti di estrazionedei metalli: «paludes, argenti fodinas, ferri fodinas, et quicquid metalli vel thesauri».

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de Marturi e che la casa et curte (...) cum omnibus casis (...) castello de Marturi furonoanch'essi trasferiti ai monaci515.La proprietà demaniale ed i beni allodiali detenuti dalla casata marchionale di Toscana, lapolitica patrimoniale del monastero stesso, il flusso di merci e persone che comportava lapresenza di un importante diverticolo della via Francigena, favorirono una sensibilecrescita della rete insediativa; ad essa si legò anche lo sviluppo di un villaggio aperto più avalle, noto con il toponimo di Borgo Marturi: l’odierno Poggibonsi.In merito all'importante direttrice viaria, la letteratura specializzata ha ricostruito unitinerario principale in funzione già alla fine del X secolo e con andamento parallelo ai corsidell'Elsa e dello Staggia che, proveniente da Lucca, toccava San Gimignano, San Martinoai Fosci, Campiglia, Boscona, Pieve d'Elsa e Badia a Isola, raggiungendo poi Siena.L’estesa collina che sarà scelta per edificare il castello di Poggio Bonizio era collocata conMarturi su uno dei suoi diverticoli, proveniente da Lucca-Certaldo, diretto verso Sienacosteggiando la riva sinistra dell'Elsa e dello Staggia; si tratta della Francigena difondovalle alla quale si collegavano alcuni dei maggiori raccordi toscani516. La crescente importanza che tale angolo della Val d'Elsa assunse nel corso dei secoli XI eXII, la sua posizione strategica al confine meridionale del contado fiorentino, la forte basepatrimoniale qui detenuta da Guido Guerra fedele all'autorità imperiale (Matilde di Toscanatrasferì Marturi nel patrimonio dei Guidi agli inizi del XII secolo) e, non ultima, la probabilericerca di autonomia dalla giurisdizione spirituale del vescovo fiorentino operata dallapieve di Marturi, portarono ben presto Firenze ad intervenire. Nel 1155 le sue milizieattaccarono la zona e distrussero il castello di Marturi517. L'azione ostile s'inseriva nelquadro di una forte inimicizia, che dette luogo a numerosi scontri anche in altre areetoscane. Guido Guerra aveva già combattuto contro il Comune di Firenze nel 1140 in Valdi Sieve; nel 1143 le truppe fiorentine distrussero il castello di Cuona feudo dei Guidi e ilmonastero di Rosano di cui era badessa Sofia, sorella dello stesso Guido; inoltre avevanoassalito il castello di Monte di Croce che fu occupato nel 1147. Questo conflitto spinsedefinitivamente i Guidi all'alleanza con Siena in una lega che comprendeva anche Lucca,

514 Sul territorio di Montegabbro, castello donato da Ugo di Toscana alla chiesa di Santa Maria di Volterra nel996, si incrociavano anche proprietà laiche, delle quali non conosciamo però l'entità, ed una presenza delmonastero di Coneo che nel 1197 riceveva in donazione da privati dei coloni e delle terre. Si veda VALENTI1999 con bibliografia.515 FALCE 1921, p.187, 10 agosto 998.516 BEZZINI 1992. In generale però la vasta bibliografia costruita sulla Via Francigena costituisce unaproduzione dai contenuti ripetitivi. Ogni lavoro ha come base la trascrizione di alcuni manoscritti tra i quali leannotazioni di viaggio di Sigerico arcivescovo di Canterbury negli anni 990-994 conservate presso il BritishMuseum (STUBBS 1874, pp.391-395), il diario di Nicola di Munkthvera abate del monastero islandese diThingor in pellegrinaggio a Roma nel 1154 (WERLAUFF 1821), il resoconto dei messaggeri di Richard diAnesty in viaggio a Roma nel 1158, il viaggio di Wolfager vescovo di Passau e patriarca di Aquileia del 1204(ZINGERLE 1877), la descrizione del viaggio di Filippo augusto re di Francia di ritorno dalla terza crociatanel 1191 (VON PETERROROUGH 1885). Vengono poi presentate fotograficamente le stesse emergenzemonumentali medievali ed alcuni tratti selciati di strade boschive o campestri (ma non sono mai fornitielementi probanti ai fini di una loro datazione) per sostenere le ipotesi sull'andamento dei diversi tracciatistradali.517 Il «castrum veteres de martura destructus fuit a florentinnis» riporta un documento della seconda metà delXII secolo (Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Bonifazio, 20 Dicembre 1174). La distruzione dovetteavvenire nel 1155 e non nel 1115 come attestato nel repertorio sui castelli senesi di Cammarosano ePasseri. I due autori forniscono infatti una data, a parere nostro, errata e si evince che l’anno 1115 vienetratto dalla traduzione italiana del volume del Davidshon sulla storia di Firenze; qui, analizzando l’andamentodella narrazione, risulta un evidente errore di battitura.Dopo il 1155 il castello fu poi ricostruito ed è quasi certa una partecipazione attiva dello stesso monastero ai lavori. Una carta del 1180 vede infatti tra i firmatari un Iacobo Longhi «castaldi ipsi monasteri» (Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Bonifazio, 1180); con la riedificazione i monaci sembrano finalmente entrare in possesso di quel castello rivendicato sino dalla fine dell'XI secolo con la falsa donazione di Ugo del 25 luglio 998.

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Pistoia e gli Alberti e come conseguenza dell’attacco a Marturi, il conte Guido ed i senesidecisero la costruzione del castello di Poggio Bonizio sulla collina di fronte all’abbazia518.Già con la metà del XII secolo, comunque, le vicende e le trasformazioni della reteinsediativa erano decisamente relazionate ad un mutato quadro politico-territorialecaratterizzato dal continuo confronto tra le due città per l'affermazione in Chianti e Vald'Elsa, inaspritosi sin dal 1145 con la battaglia del Monte Maggio; in esso agivano lanobiltà locale legata a Siena da giuramenti di fedeltà e protagonista di alternanzepartitiche, l'impero mediante l'istituzione di podestà (i potestates theutonici che andavanoad affiancarsi nei domini signorili su castelli e territorio), le nuove realtà come Colle e SanGimignano che si andavano organizzando in comuni autonomi ed intente in una loroazione espansionistica. Si tratta quindi di una situazione molto fluida ed eterogenea nellaquale i castelli, oltre a centri principali della circoscrizione che ad essi si legava e punto diriferimento amministrativo per la popolazione rurale, assurgevano al ruolo di basid'appoggio in caso di conflitto.

15 - 1155, la fondazione di un grande castello: Poggio Bonizio.Poggio Bonizio, toponimo che sembra trovare origine dal nome di Bonizo gastaldo deMarturi citato in una carta dell'anno 1075519, ebbe un impianto urbano ispirato a modellicittadini. Guido Guerra, definito dalla cronachistica di poco successiva «il potentissimoconte Guido, che di per sè vale quasi una città e una provincia»520, dovette impegnare deicapitali cospicui nell’impresa. Riporta il Villani: «Lo edificarono con ricche mura e porte, econ torri di pietra adornarono» e poi «questo Podium Bonizi fu il più forte e bello castellod'Italia, posto quasi nel bilico della Toscana ed era con belle mura e torri e con molte bellechiese e pievi e ricche badie e con bellissime fontane lavorate di marmo e abitato eaccasato di gente, come una buona città»521. Il vicinissimo monastero di Marturi, proprietario della collina, sia per ragioni di sicurezzalegate alla fondazione di un castello, sia per la posizione preminente dei Guidi comerappresentanti del potere pubblico ed al tempo stesso potenti proprietari in loco, sia per lapartecipazione di Siena (sin dal 1135 aveva iniziato ad espandersi nella Val d'Elsa)522, nonpotè che assecondare l'impresa. I monaci permutarono quindi con i conti Guidi il terrenosulla collina di Bonizio e nell'aprile del 1156, quando Podium Bonizi doveva essere in granparte edificato, le milizie fiorentine mossero immediatamente guerra al nuovo centro mafurono sconfitte.La fondazione del grande castello valdelsano faceva parte di quei tentativi legati allecasate forti, agli enti monastici più potenti ed alle autorità vescovili, di consolidarsiterritorialmente a fronte di una progressiva e sempre più pressante espansione delle cittàverso le aree rurali interne. E’ espressione del cosiddetto "secondo incastellamento", chesi caratterizzò per la capacità signorile di coordinare e progettare la nascita o la

518 Si veda su tali vicende DAVIDSOHN 1896-1927, I, pp.643-649.519 Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Bonifazio, 1075.520 Cronaca di Sanzanome, ripresa in DAVIDSOHN 1896-1927, I, p.644.521 CRONICA DEL VILLANI, Lib.VII, cap.36.522 Siena andava consolidando il proprio dominio sulla zona da tempo; già tra 1135-1159 instaurò strettirapporti con la Badia a Isola (CAMMAROSANO, PASSERI 1984, p.106); nel 1156 aveva fatto giurare fedeltàai Soarzi ricevendone in pegno il castello di Strove (Caleffo Vecchio del Comune di Siena, I, n.6,pp.12-13, 27febbraio 1156); nel 1163 riusciva ad acquisire le diverse quote di vari esponenti degli stessi Soarzi suicastelli di Monteagutolo, Montemaggio e Montecastelli (Caleffo Vecchio del Comune di Siena, I, n.7, p.14, 8gennaio 1163; n.8, pp.14-16 febbraio 1163); un anno più tardi Ubaldino di Ugolino Soarzi donò al vescovo edalla cattedrale senese i propri diritti sui castelli di Staggia, Strove, Stecchi, Castiglione, Montecastelli,Stomennano e Montemaggio (CAMMAROSANO, PASSERI 1984, p.138); inoltre, nel 1167, l'arcicancelliereimperiale Rainaldo confermava i diritti senesi sul castello di Podium Bonizi e sui domini nella zona Elsa-Staggia (CAMMAROSANO, PASSERI 1984, p.133).

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ristrutturazione ordinata dei propri centri di potere. Si poneva nel novero delle imprese ditipo monumentale, delle quali fecero parte anche altre iniziative come Semifonte fondatadai conti Alberti, Gambassi novum dal vescovo di Volterra523, Radicondoli dai contiAldobrandeschi, Belforte in collaborazione tra i conti Aldobrandeschi ed il vescovo diVolterra524, Castelnuovo dell’Abate dal monastero di Sant'Antimo, Castel di Badia ePiancastagnaio entrambi dall'abbazia di San Salvatore sull’Amiata525. Aggiungiamo ancheil caso particolare del castello di Montecurliano nel grossetano, utopia signorile dei contiAldobrandeschi che, progettato nella seconda metà del XII secolo, venne però poistrutturato come un semplice castello dopo pochi anni.Poggio Bonizio, ereditando le prerogative di Marturi, era collocato al centro di un territoriocon un’area di circa 43 kmq i cui vertici, attestati anche dalle fonti scritte, eranorappresentati da quelle località che costituivano punti nodali di collegamento della reteinsediativa e controllavano i percorsi maggiori tra la Francigena ed il traffico verso ilChianti: Casaglia, La Valle, Cedda, Villole, San Fabiano, Lecchi, Galognano, Castiglioni,Bucignano, le chiese di Pino e Padule. Sorse in prossimità di spazi ad alta densitàdemografica ed i primi abitanti del castello dovettero arrivare soprattutto dalle zonecircostanti; in particolare dalle località comprese nel suo territorio o poco distanti da esso.L’azione di accentramento, l’amassamentum ominum, sembra essere stata mediata dallostesso Guido Guerra che quindi programmò non solo l’urbanistica del nuovo centro maanche il suo popolamento; oltre ad una probabile immigrazione spontanea, ladocumentazione archivistica mostra persone provenienti da località nelle quali i Guidierano presenti patrimonialmente: vennero fatte trasferire famiglie già sotto la loro egida526.L’iniziativa, alla quale parteciparono i senesi, rappresentò la creazione di un nuovo nucleodi riferimento nell’alta Valdelsa; il controllo della strada Francigena verso Staggia eAbbadia a Isola permetteva la crescita del mercato principale ed il carattere di centronodale primario facilitava nel tempo l’immigrazione dagli insediamenti del territorio a medioed ampio raggio. Rafforzava poi la posizione di Siena nell’area sud di Poggibonsi; i Soarzidi Staggia venivano minacciati da un potente alleato sia da nord (appunto Poggio Bonizio)sia da sud dove la città proteggeva l’abbazia di Isola, il rivale patrimoniale per eccellenzadella casata. Infine costituiva una posizione strategica sul confine settentrionale; la nuovaroccaforte concepita per svilupparsi in un grande centro, fungeva da sbarramento alleoffensive fiorentine e, controllando la viabilità, permetteva i collegamenti ad oriente con laBerardenga già senese.Il rapporto con Siena, dietro approvazione dell'imperatore Federico I grande protettore diGuido Guerra, iniziò subito a profilarsi attraverso alcuni atti formali. In data 10 luglio, Guidodonava alla chiesa di Roma il colle su cui stava sorgendo il castello e undici giorni dopopapa Adriano IV concedeva al vescovo di Siena la facoltà di edificarvi una chiesa titolata aSant’Agnese per la cura spirituale di quei senesi che vi si fossero stabiliti527. Nell'aprile del

523 DUCCINI 1998.524 CUCINI 1990.525 FARINELLI, GIORGI 1998.526 Tali considerazioni trovano indizi e conferme sia nella tradizione cronachistica (il castello fu fondato danove “popoli” dei quali sono noti quelli provenienti da Siena, Marturi, Camaldo, Talciona, Papaiano,Gavignano e la Pieve di Sant’Agnese nell’attuale territorio di Castellina in Chianti) sia in documenti coevi; alriguardo si veda PRATELLI 1929-1938. Nella sentenza pronunciata da Ugo arciprete di Volterra e da Mauroabate di Spugna del 1174 viene citato Borgo Marturi come borgo vecchio dal quale erano emigrati in PoggioBonizio alcune famiglie che vi avevano ricevuto case o corti (Archivio di Stato di Firenze, DiplomaticoBonifazio, 20 Dicembre 1174). A conferma della forte presenza dei talcionesi nel 1188 vediamo redigere unaconvenzione tra i chierici di Marturi ed il parroco di Talciona per officiare la chiesa edificata dai talcionesi nelvillaggio (PRATELLI 1929-1938, p.471; 14 Giugno 1188).527 DAVIDSOHN 1896-1927, I, p.678; si veda inoltre Caleffo Vecchio del Comune di Siena, I, 113, 1155,luglio 21, pp.165-166.

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1156 furono ceduti alla repubblica senese l'ottava parte del colle e del castello, unquartiere con una sua chiesa, una porta sul circuito delle mura528; tale legame vennesancito ulteriormente attraverso l'impegno solenne di Guido Guerra a non cedere mai adaltri i diritti sulla parte da lui detenuta529 e rafforzato dal giuramento degli stessi abitanti diproteggere gli interessi senesi530. Con questo atto, come osserva Plesner nei suoi studi sulcontado fiorentino (dove la donazione a Siena è paragonata con le analoghe iniziativeconcernenti Semifonte, Monterotondo e Castelfiorentino) Guido Guerra pur divenendo unpotente alleato dei senesi continuava però a detenere la sua autonomia ed il diritto feudalesulla maggior parte della popolazione531.

16 – I primi decenni di vita di Poggio Bonizio.Poggio Bonizio fu edificato attraverso l’impiego di maestranze specializzate di alto livelloed i resti materiali superstiti rivelano sia il grande investimento in denaro effettuato daGuido Guerra sia l’esistenza di un disegno progettuale ben definito. Il castello, atipico perl’epoca nelle sue dimensioni e nell’assetto urbanistico, era di grande estensione, ospitavastrutture monumentali, non presentava un cassero come invece nella maggior parte deicasi, l’articolazione degli spazi era ben pianificata ed aveva il carattere del central placeattraendo la popolazione dagli insediamenti circostanti.Si trattava di un vero e proprio impianto urbano esteso per più di 7 ettari, moltoprobabilmente delimitato da un fossato532. Le difese erano inoltre costituite da unapossente cinta dallo spessore di 1,40 metri; questa circoscriveva la parte alta della collinae, come mostra l’analisi della fotoaerea, attraversava longitudinalmente il versante sudovest. L’insediamento sembra essere stato articolato in due zone contrapposte perdestinazione: la parte sommitale rappresentava gli spazi più propriamente signorili mentrei versanti dovevano essere destinati alla popolazione.

528 Caleffo Vecchio del Comune di Siena, I, 1, 1156, aprile 4, p.7; in questo atto si riconosce anche il diritto diriscuotere i pedaggi inerenti alla porta detenuta da Siena: «Et pedagium ibi positum pro ea parte, quamSenenses habent in predicto castello, Senenses retinere adiuvabo aut patiar Senenses in sua porta pro suaparte tollere pedagium»; inoltre viene sancito il diritto dei senesi di edificare qualsiasi tipo di edificio nella loroparte con l'eccezione di una torre.529 Caleffo Vecchio del Comune di Siena, I, 2, 1156, aprile 4, p.8..530 Caleffo Vecchio del Comune di Siena, 13, 1156, aprile 4, pp.19-20; nello stesso atto si riconosce il dirittodi riscuotere i pedaggi inerenti alla porta detenuta da Siena: «Et pedagium ibi positum pro ea parte, quamSenenses habent in predicto castello, Senenses retinere adiuvabo aut patiar Senenses in sua porta pro suaparte tollere pedagium»; inoltre viene sancito il diritto dei senesi di edificare qualsiasi tipo di edificio nella loroparte con l'eccezione di una torre.531 PLESNER 1979, pp.55, 65. Lusini, invece, nei suoi studi sulla storia e sull'estensione del vescovado dinonostante una lucida comprensione del ruolo territoriale di Podium Bonizi, delle motivazioni politiche legateal continuo confronto tra le due potenze cittadine ed una ricerca d'archivio basata tanto sui testi già esistentiquanto su documenti dei Caleffi, commette però alcuni errori; soprattutto, tentando alcune considerazioni acarattere topografico, non accetta la compresenza di diritti sul castello vedendo i quartieri senesi e fiorentiniall'esterno e confondendo la chiesa pievana di Sant’Agnese a Poggio Bonizio con quella di Talciona (LUSINI1898; LUSINI 1900; LUSINI 1901, in particolare pp.222-232.). Anche nella guida storica del Chianti diCasabianca viene analizzata la donazioni di un ottavo del castello e del colle di Podium Bonizi effettuata daGuido Guerra a favore dei senesi. Mette bene in evidenza la portata di una definizione che rivestiva anchesignificato politico. La determinazione dei confini del vescovado in realtà stabiliva più o meno implicitamentequelli del contado tra città contrastanti; elemento politico ed ecclesiastico si compenetravano l'uno con l'altro.Nei confini senesi furono compresi la strada di Poci (attuale Piano di Fosci) e la pieve di S.Agnese con il suoterritorio (CASABIANCA 1937, pp.116-117.).532 Il fossato trova attestazione documentaria in Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Bonifazio, 31ottobre 1219. Di mura molto alte e di un grande fossato intorno scrive anche Fra' Mauro da Poggibonsi nel1310: si vedano i versi di questo autore in calce al Tesoro di Brunetto Latini nella Biblioteca Laurenziana,Codice 28 Panciatichiano a 160.

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Sono state rinvenute tracce del cantiere sugli spazi al centro della collina, evidenziate daun’esteso strato costituito da sabbia di fiume, contenente pietre squadrate non utilizzate epochi carboni; la sabbia fu adoperato indubbiamente nell'impasto della malta utilizzatacome legante nei muri e nei pilastri delle costruzioni qui presenti; la parte avanzata diquesta sabbia, quella cioè che rimase inutilizzata, non venne più rimossa dal luogo in cuisi trovava e la stratigrafia posteriore si sovrappose direttamente sopra. Conoscendo lasituazione geologica della collina di Poggio Imperiale, si può escludere la presenza di unostrato naturale alluvionale; d'altronde i reperti malacologici in esso contenuti si ritrovanoanche nella sabbia proveniente dal fiume Elsa. E' quindi chiaro che questa vennetrasportata fino sul poggio con il proposito di utilizzarla per costruire. Anche due limitatistrati di calce, posti nei pressi del muro appartenente ad un grande edificio, dovevanoessere serviti per preparare l'intonacatura dei muri stessi, a conclusione della costruzionevera e propria. Le buche di palo contemporane a questi strati non hanno omogeneità, nelsenso che non individuano alcuna struttura completa o almeno ricostruibile; possono peròindicare l'esistenza di edifici lignei temporanei, forse funzionali al cantiere.Nella parte sommitale, al centro degli scavi archeologici da dodici anni, erano stateedificate strutture di tipo monumentale. La zona ovest doveva ruotare intorno ad una chiesa per la quale non siamo in grado, allostato attuale dell’indagine, di fornire una planimetria definitiva; la ristrutturazione-ricostruzione di XIII secolo ci ha consegnato infatti un impianto di grandissime dimensioniche presenta anche murature più antiche riferibili a questa fase (si tratta della Pieve diSant’Agostino, della quale parleremo più avanti). Si affacciava su una piazza lastricata alcui centro era posto il pozzo, oggi scomparso, sovrastante la grande cisterna quiindividuata e della quale parlò per la prima volta Francesco Pratelli nella sua "Storia diPoggibonsi". Nell’Ottocento poté osservare i contadini della Fortezza riempirla con i sassitrovati nei campi533. Dopo il definitivo interramento se ne era persa completamente tracciasino al suo rinvenimento durante la campagna di scavo del 1993. La zona centrale sembra accogliere edifici di tipo distintivo e destinati ai leader dellacomunità. Un grande edificio, indagato sino dai primi anni dell’intervento di scavo, mostrale loro caratteristiche. Si tratta di una struttura estesa 23 x 9 m, con ingresso a doppiaarcata, realizzata in travertino e copertura in lastre di calcare scistoso, a due o più piani econ pavimentazione in lastrine di travertino; si affacciava su una strada lastricata,probabilmente quella principale nell’insediamento, ed era completata da una cisternaquadrangolare realizzata in conci di travertino e da un silos per grano anch'esso inmuratura. Risulta indubbio il carattere distintivo del complesso: tecnica costruttiva,articolazione strutturale ed infrastrutture di servizio sono chiari segni elitari e di distinzione.La stessa cisterna sottolinea la posizione sociale della famiglia residente; mentre lapopolazione attingeva acqua al pozzo nella zona ovest o alle altri fonti che furono edificatedentro e fuori le mura, qui invece si disponeva della propria riserva. La zona est, probabilmente la superficie donata a Siena da Guido Guerra, era occupatainvece da una chiesa con campanile, dedicata a Sant’Agnese, che negli ultimi anni di vitadel villaggio aveva un'estensione di almeno 19 x 40 m. Papa Adriano IV nel 1155 avevaconfermato al vescovo di Siena un possedimento che il «dilectus filius noster nobilis virGuido comes in Monte Bonizi beato Petro et nobis (...), dignoscitur concessisse, liceat tibiecclesiam construhere et constructam sine conradictione aliqua consecrare (...)»534; nel1175 la chiesa risultava dotata di «claustro et domum clericorum (...) cum suo cimiterio

533 PRATELLI 1929-1938, pp.52-60.534 Caleffo Vecchio del Comune di Siena, I, n.113, pp.165-166, 21 luglio 1155. Adriano IV, quindi, concedevaal vescovo di Siena la facoltà di edificarvi una chiesa titolata a Sant’Agnese per la cura spirituale di queisenesi che vi si fossero stabiliti; i diritti sulla chiesa furono poi abrogati nel dicembre di un anno dopo edinfine riconfermati nel 1176 da papa Alessandro III, nel 1187 da papa Clemente III.

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iuxta eam in quo seppelliuntur corpora mortuorum, reservata ipsi ecclesie consuetudinepopuli sui»535.L’edificio dovette essere progettato come una struttura imponente sino dalla fondazione.Le ristrutturazioni che si susseguirono ci hanno consegnato un impianto con absiderettangolare, che venne realizzato inizialmente in conci di travertino (mentre nelleristrutturazioni seguenti furono utilizzate pietre di calcare sbozzato più sommariamente) edera diviso in tre navate da cinque coppie di pilastri che sorreggevano dei colonnaticollegati ad arcate. La facciata, quindi l’accesso alla chiesa stessa, è andata distrutta conl’escavazione di un grosso invaso per acqua in età moderna ed i muri laterali sono in partespoliati; sul perimetrale di nord est si riconoscono però le tracce di una piccola portalaterale. Il presbiterio propone due cappelle laterali, forse private, che potevano avere duepiccoli altari dei quali non è rimasta alcuna evidenza. Le fondamenta molto profondedell’abside, la lavorazione e la messa in opera delle pietre, indicano che durante la suacostruzione si prevedette anche una cripta, poi mai conclusa. La pavimentazione sembraessere stata realizzata in lastrine di travertino inframezzata da decorazioni a tarsia contessere rettangolari, quadrate ed a foglia di quercia in serpentino verde e nero. Gli elevatiinvece furono coperti di un intonaco molto spesso e colorato uniformemente; il colore nonè ben riconoscibile poiché i pigmenti si annerirono, forse per il fumo delle candele, forseper un incendio sviluppatosi al momento della distruzione di Poggio Bonizio. Sul lato sudovest dell’edificio, adiacente la navata sinistra, si trovava una possente torre campanariadi pianta quadrangolare, estesa 4,80 x 3,88 m e con muri di forte spessore pari a 1,50 m;al momento della costruzione, nelle fondazioni, venne inserito con intenti propiziatori unbicchiere in vetro contenente sabbia (forse proveniente dalla terra santa?) coperto da unalastrina di calcare e databile nella seconda metà del XII secolo. Questo particolare, oltre alriconoscimento di tre fasi edilizie nel campanile stesso e la successione delle murature nelcorpo principale, permettono di retrodatare la costruzione della chiesa che l'icnografiadell’ultimo impianto fa apparentemente riferire alla metà del XIII secolo536.All’interno del campanile sono state rinvenute delle sepolture di tipo “privilegiato” mentreun piccolo cimitero con tombe in travertino o in mattoni si estendeva all’esterno; questesepolture erano state fortemente compromesse. Era inoltre presente un ossario esterno almuro absidale. La tomba interna al campanile conteneva i resti di almeno undici individui che sono staticalcolati in base all’osso più rappresentato, la scapola: due subadulti (un bambino, unadolescente), un adulto giovane di circa 20 anni, cinque adulti maschi di cui quattro di età

535 Caleffo Vecchio del Comune di Siena, I, n.14, pp.20-26, 22 marzo 1175.536 La pianta a tre navate con abside rettangolare ricalca molto da vicino l'unica documentazione graficaesistente della scomparsa pieve di Santa Maria a Marturi a Poggibonsi, attestata già dall'XI secolo, madistrutta nell'Ottocento; non sappiamo quindi se la pianta di questa chiesa (riportata da autori locali primadelle demolizioni del secolo scorso) sia quella originale od il risultato di rifacimenti posteriori. Se fosse vera laprima ipotesi, non sarebbe più un caso una così stretta vicinanza tra due chiese che presentano ugualestruttura planimetrica e stessi accorgimenti funzionali (tre navate, abside quadrangolare, semipilastri aformare il presbiterio e le cappelle laterali). La costruzione della chiesa di Poggio Bonizio, con le stessecaratteristiche della preesistente chiesa pievana posta nel borgo, potrebbe rivelarsi anche la prova materialedi quel tentativo di sostituzione della pieve stessa che Sant'Agnese di fatto effettuò sin dai suoi primi anni divita. Tentativo che fu però sempre osteggiato dalla sede pontificia; nel 1203 fu ordinata la distruzione dellesue fonti battesimali: «Item ecclesiam de novo edificatam in castro Podii Bonizi pro ecclesia sancte Agnetispro priore et canonica de Talcione Senenses faciant esse et morari pro plebe ancte Marie de Podio Bonizioet pro episcopatu florentino, et sub ea sicut aliae ecclesiae que sunt in Podio Bonizi de florentino episcopatumorantur sub predicta plebe sancte Marie; et de cetero non edificent nec edificare faciant aliquam ecclesiamin Podio Bonizio pro se aut pro plebe sancte Agnetis (...). Item fontes constructos in ecclesia sancte Agnetis,que est edificata in Podio Bonizi et pro episcopatu Senensi, penitus destruant vel detrui faciant Senense, etulterius nullo modo rehedificent vel rehedificari faciant sue permittant (...)» (Caleffo Vecchio del Comune diSiena, I, n. 65, pp. 90-93; 4 giugno 1203).

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matura, due femmine, due di età non determinabile. L’ossario conteneva i resti di almenodiciassette individui (sono riconoscibili due bambini in età compresa tra 5-10 anni; tregiovani tra 17 e 25 anni; cinque adulti tra 25-35 anni e tre tra 35-45 anni; due individui dioltre 45 anni). Effettuare descrizioni e statistiche dettagliate come per gli inumati delcimitero altomedievale non è possibile. Alcuni dati preliminari sono proponibili, in attesache lo studio di un secondo cimitero con scheletri in buono stato di conservazione,individuato nella campagna di scavi del 2005, venga realizzato. Lo scheletro 16 peresempio, era un adulto maschio alto forse intorno ai 170 cm con patologie da artrosi alivello del ginocchio destro e sinistro, con un’ossificazione dei legamenti conseguita ad unadistorsione della caviglia e tracce di posteriore alla tibia sinistra. Lo scheletro 83, unmaschio adulto di età e di altezza non determinabili, sepolto in una delle tombe esternealla chiesa, era privo di patologie scheletriche ed i marcatori di attività occupazionali edentesopatie rivelano in vita una discreta attività delle braccia. In prossimità di quella che doveva essere la facciata, come abbiamo già detto andatadistrutta a seguito di interventi moderni, è stata rinvenuta una fornace in mattoni per lafusione della campana secondo la tipologia descritta da Teofilo nel XII secolo. Perrealizzare la fornace era stata scavata una fossa circolare sull’argilla naturale ed i bordirivestiti in mattoni posti su due file; al centro della fossa vene ritagliata una canalettarettangolare (il condotto o camera di combustione) delimitata dalla costruzione di duemuretti ai lati mettendo in opera sei file di mattoni ai quali si sovrapposero su ognuno deilati sette mattoni posti a coltello (fornello o base di appoggio dello stampo; di quest’ultimorimane ancora ben impressa la forma sui laterizi e permette di riconoscere una campanadel diametro basale di circa 70 cm); lo spazio tra i muretti ed i bordi della fossa fu riempitodi argilla e sabbia. La fossa di alimentazione era collocata sul lato est e la camera dicottura doveva anch’essa essere state realizzata in laterizi costituendo una calottasemisferica; la camera fu aperta al termine della lavorazione in coincidenza della fossa dialimentazione per estrarre la campana537. La fornace dovette funzionare una sola volta;venne impiegato uno stampo in argilla con anima in cera posto al centro del piano dicottura e che fu probabilmente posizionato togliendo quella terra di cui era statoprecedentemente riempita la camera (i suoi resti sono ancora visibili, essendosiconcretizzati sui mattoni del fornello e presentano cospicui resti di carboni); la cerafondendosi veniva espulsa da un foro precedentemente praticato lasciando lo spazio perla colatura del bronzo. Una volta raffreddato il metallo, la calotta del forno venne rimossa egrattata via l’argilla dello stampo rimase il prodotto finito538. Negli strati di abbandono dellafornace rimasero molti scarti di lavorazione del bronzo ma non si sono rinvenuti pezzi dello

537 Sulle fornaci da campane si veda soprattutto il recente contributo NERI 2004 con vasta bibliografia.538 Teofilo, "De campanis fundendis" della sua opera, descrive la produzione delle campane a partire dallacreazione, su tornio orizzontale, del "maschio". Questo viene realizzato per sovrapposizione di strati di argillae regolarizzato per conferirgli la forma che avrà l'interno della campana finita. Su di esso si modella la falsacampana in sego che verrà a sua volta ricoperta da uno spessa "camicia" formata da numerosi strati diargilla. Applicato il gancio per il batacchio e la forma per le manigliere con il foro di ingresso per il metallo, siprovvede alla cerchiatura e ad alleggerire la forma rimuovendo materiale all'interno del maschio. La formaviene fatta scendere lentamente nella fossa appositamente preparata dove, poggiata su supporti rialzati,viene fatta cuocere. Il sego viene fatto fuoriuscire da fori praticati alla base e raccolto in vasi. La fossa vienecolmata da combustibile per portare a termine la cottura dello stampo. La fornace per la fusione del bronzoviene apprestata nelle vicinanze e, tenendo conto della quantità di metallo necessario, si prepara il numerooccorrente di crogioli e si dà avvio alla fusione della lega composta da quattro parti di rame e una di stagno.Intanto nella fossa si asportano le pietre di rivestimento ed i carboni e si riempie con attenzione di terrapressata: lo stampo è pronto a ricevere il metallo che viene versato con tutte le precauzioni. Lasciataopportunamente raffreddare, la forma viene fatta risalire e quindi spaccata per recuperare la campana prontaad essere rifinita. Si veda DODWELL 1961. La fornace è in corso di studio da parte di Lucia Ferrarinell’ambito del XVIII ciclo della Scuola di Dottorato di Ricerca in Storia e Archeologia del Medioevo.Istituzioni e Archivi dell’Università di Siena; totitolo del progetto: Campane e fornaci da campane dalMedioevo all’Età Moderna: archeologia di una produzione.

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stampo in argilla (utili per comprendere la forma del battiglio e individuare eventualipresenze di decorazioni sulle pareti esterne della campana).I rinvenimenti di fornaci analoghe, interne od in prossimità di edifici ecclesiastici o civili concampanile, testimoniano come fosse stato considerato più conveniente edificare lestrutture produttive non lontano dal luogo dove poi sarebbe stata issata la campana, perfacilitare e rendere privo di rischi lo spostamento di un oggetto molto pesante e che avevarichiesto una lunga preparazione. In genere il riconoscimento della struttura avviene, comenel nostro caso, sotto al livello pavimentale e spesso in prossimità di quello che era ilsagrato della chiesa; rispetto a molti degli esempi noti, a Poggio Imperiale non è statopossibile rinvenire nelle immediate vicinanze le strutture impiegate per la fusione delmetallo impiegato nella colata, probabilmente da imputare (come per la facciata dellachiesa) all’escavazione di uno stagno nelle immediate adiacenze. La fusione dellacampana dovette essere svolta da maestranze itineranti, depositarie di saperi cheportavano nei luoghi dove tale conoscenza era richiesta539. Fra i rinvenimenti editi si riconoscono forti analogie della fornace della chiesa diSant’Agnese con i casi individuati a Genova – Piazza Matteotti540 ed a Sarzana541. Lafornace di Genova, impiegata nel XIV secolo per fondere la campana poi issata sulPalazzo Ducale, presenta una struttura molto simile ma di dimensioni più ridotte: circolare,in mattoni con zoccoli centrali per reggere lo stampo anch’essi in laterizio. La fornace diSarzana, nella chiesa di Sant’Andrea e datata al XII secolo, presentava invece due fosse,una rivestita in laterizi e l’altra, separata, con zoccoli centrali in laterizio (elementi che nelcaso di Poggio Imperiale e di Genova erano riuniti in un’unica fossa). Infine nello scavodella chiesa di Santa Reparata a Lucca sono attestate delle vasche artigianali interpretatecome funzionali alla lavorazione del metallo; dalla loro descrizione, di forma circolare econ zoccoli paralleli interni realizzati in laterizio, sembra trattarsi anche in questo esempiodi fornaci da campane utilizzate nel XII secolo e analoghe all’esemplare valdelsano542.Se non possiamo dire con assoluta certezza quali fossero le dimensioni della chiesa nelcastello di fondazione di Guido Guerra, anche se non dovevano discostarsi molto daquelle riconosciute, indubbiamente la struttura a tre navate, la superficie occupata e lapresenza di un campanile esterno sono alcune delle caratteristiche che la distinguononettamente dagli edifici di culto finora individuati dagli scavi all’interno dei complessifortificati di XI e XII secolo. Queste chiese castrali hanno forma rettangolare, spessoabsidata, sempre a navata unica543; le dimensioni sono ridotte: raggiungono mediamente

539 Si veda GIANNICHEDDA 1996, pp.83-84.540 BOATO, VARALDO, GROTTIN 1992.541 BONORA et alii 1988.542 PANI ERMINI 1993.543 Il recente scavo della chiesa di Monte di Croce in comune di Pontassieve, ha evidenziato un edificio infunzione almeno dall’inizio dell’XI secolo. La fondazione di questa cappella sembra essere dovutaall’iniziativa della stessa famiglia signorile che abitava nell’insediamento e che lo amministrava. I datiriguardanti la struttura e la posizione del cimitero, la tipologia delle tombe in muratura e soprattutto i risultatidelle analisi antropologiche e paleopatologiche sui reperti scheletrici della necropoli ci inducono a pensarenon tanto ad un complesso religioso rappresentativo di tutta la popolazione presente all’interno del castello,quanto ad un vero e proprio oratorio privato, frequentato solo dai componenti del gruppo nobiliare e da loroutilizzato come cappella a carattere funerario. Intorno alla metà del XII secolo avvenne la ricostruzione dellachiesa, con un ampliamento in lunghezza di circa 10 m e il ribaltamento dell’abside da est ad ovest. Ilprogetto di trasformazione edilizia dell’edificio potrebbe corrispondere ad un cambiamento nella funzionereligiosa: da semplice cappella privata diventa chiesa parrocchiale, con dimensioni più ampie per contenereun numero maggiore di fedeli. Il progetto fu interrotto nel 1153, con la conquista del castello da parte diFirenze. L’edificio religioso aveva forma rettangolare ed era costituito da due muri paralleli in conci dialberese, orientati est-ovest (21,5 m di lunghezza) e da un muro trasversale rivolto ad est (10 m dilunghezza); da questo lato si accedeva alla chiesa tramite un ingresso, con soglia e architrave in pietraserena. Manca totalmente il quarto lato, ad ovest, su cui doveva impostarsi l’abside. Un secondo ingresso,

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una lunghezza compresa tra 9 e 16 m ed una larghezza di 5-8 m (fanno eccezione lechiese della Rocca di Tulfa Nova e di Sorgenti della Nova entrambe nel Lazio lungherispettivamente 18 e 20 m)544. Molte di esse rappresentano soprattutto cappelleappartenenti alle famiglie proprietarie del castello e sono spesso poste all’interno delcassero. Nessuna presenta una torre campanaria esterna simile a quello di PoggioBonizio, il che significa che il campanile doveva essere a vela, inglobato nella facciatacome nel caso di Rocca San Silvestro. Edifici a tre navate con terminazione triabsidatainvece sono stati rinvenuti nel castello di Monte Tiriolo in Calabria (17 x 22 m) ed a S.Michele a Trino nel Vercellese (15 x 13 m)545.Nell’articolazione del grande castello di Poggio Bonizio si potrebbe iniziare ad intravederela rivisitazione, nelle linee di un impianto di tipo urbano, dei simboli di potere signorile. Nonfu costruito un cassero con funzione di separazione spaziale tangibile tra signore epopolazione; la distinzione tra aree con importanza diversa venne eseguita costruendouna zona monumentale (priva di cortine attestanti il distacco fisico e la posizioneesclusiva), da un lato delimitata dal quartiere attribuito ai senesi (la chiesa è inserita nellaparte sommitale mentre le abitazioni dovrebbero disporsi in direzione del cassero mediceoe di San Lucchese) e dall'altro lato dalla strada selciata che in pratica doveva dividere indue metà l'intero complesso: sembra trattarsi della via di mezzo citata in molte carteconcernenti transazioni di edifici. Nella parte sommitale si collocavano le strutture edilizielegate al signore e qui gli abitanti trovavano le chiese e la grande cisterna perapprovvigionarsi di acqua; l'articolazione sembra tale da fare convergere su tali spazi ibisogni primari, spirituali e materiali, degli individui residenti ed anche dei viaggiatori intransito sulla Francigena. La commistione tra fondazione signorile-natura urbana dell'insediamento, non portòdunque ad una zona topograficamente centrale che rappresentava il nucleo intorno alquale disporre o sviluppare l'insediamento. Contrariamente alle formazioni urbanesemplici, cresciute simmetricamente intorno ad un centro segnato da una chiesa o da unapiazza, la zona monumentale di Podium Bonizi propone gli aspetti di distinzione e di zonaelitaria connaturati alla figura del cassero signorile nella sua posizione sommitale e dizona maggiormente difesa (racchiusa dalle abitazioni sui tre lati e inaccessibile perconformazione della collina dal lato nord est); accoglieva inoltre i valori del centro,evocando i principi fondamentali ai quali aderivano gli abitanti cioè il potere signorile e sueemanazioni (le abitazioni distintive), il meraviglioso cristiano (le chiese sorgono in talezona)546, l’alleanza con i senesi (qui si collocava l'ottavo donato a Siena).Guido Guerra si pose a controllo di un'area molto particolare, di grande importanzastrategica ed economica, fonte sia di entrate (per il flusso di persone lungo la Francigenae per le attività commerciali cresciute intorno ad essa) sia di rilievo politico (per il ruolo dibaluardo verso il territorio fiorentino e per il peso assunto nel rapporto con Siena). Sonoproprio tali aspetti che caratterizzarono la sua azione: conservò e ribadì il proprio caratteredi esponente feudale dominante e non mortificabile nell'ambito di patti più o meno esplicitidi asservimento allo stato cittadino547. E' questa la differenza e la particolarità della figuradel conte Guido Guerra a confronto di altri nobili; egli sembra essere solo edesclusivamente un alleato alla pari dello stato cittadino.

laterale, si apre nel muro perimetrale sud. Si veda CAUSARANO, FRANCOVICH, TRONTI 2003.544 Si vedano rispettivamente NARDI 1992 e GARNER MCTAGGART 1984.545 Si vedano rispettivamente CUTERI 1997 e NEGRO PONZI MANCINI et alii 1991.546 Sulla tematica del meraviglioso cristiano e sul risveglio d'interesse a partire dal XII secolo si veda LEGOFF 1990.547 Sugli aspetti e le vicende della sottomissione della nobiltà locale (e dei comuni rurali), si veda BERTELLI1978, pp.21-33 e l'ampia bibliografia riportata.

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In questi aspetti si osservano le differenze con i centri toscani sviluppatisi nello stessoperiodo. Stia, cresciuta alla confluenza dello Staggia in Arno come centro di servizi lungostrada, vede il proprio centro costituito dalla piazza e dalla chiesa; San Gimignanopresenta una redazione urbana originaria contenuta tra il castello del Vescovo e la Rocca,con il centro segnato da tre piazze comunicanti, il duomo e gli altri edifici che si assiepanointorno; Montevarchi, edificata nel XII secolo, propone un centro imperniato su una piazza,due chiese ad essa affiancate e due strade tangenti alla stessa piazza intorno alle quali sisviluppano con andamento concentrico le strade secondarie548. In altri, benché rari, casi di scavo si può riscontrare l’esistenza di una volontà pianificatricenella costruzione di insediamenti fortificati: ne sono un esempio la struttura urbanisticadella città-villaggio di Castelfiorentino in Capitanata nella provincia di Foggia549 difondazione imperiale (prima metà del XII secolo), il borgo di Formello 550 a nord di Roma(alla fine dell’XI secolo presenta già una realtà urbana consolidata), il castello diMonsummano Alto nella Valdinievole (XI secolo)551. Sono però molto più piccoli di PoggioBonizio e caratterizzati da un’estensione nettamente superiore all’ettaro e daun'organizzazione degli spazi incentrata su una strada longitudinale che attraversa tutta lalunghezza dell’insediamento e sulla quale si dispongono gli edifici più importanti. Nonesistono strutture difensive a parte il muro di cinta: il cassero signorile è in questi casisostituito dalla piazza, posta esattamente al centro, ed i nuclei edilizi principali sono lechiese (Monsummano Alto, Formello) oppure le residenze palaziali (Castelfiorentino). Solo

548 Si vedano per esempio le piante e l'interpretazione riportate in LAZZARESCHI 1994, pp.18, 20-21, 30.Inoltre per San Gimignano lo schema interpretativo proposto in PICCINNATO 1968. Effettuare confronti con i centri costituitisi nel periodo del secondo incastellamento (che in gran parte hannocontinuato a vivere fino ai giorni nostri in una forma definibile come cristallizzata) può limitarsi solo alla tramatopografica originaria. Tutti si caratterizzano per essere degli insediamenti di altura definiti da un impiantourbanistico regolare costituito da una o più strade longitudinali lungo le quali si dispongono gli edifici abitativipiù importanti; tuttavia si adattano ancora alla conformazione naturale del terreno, che ne determina in alcunicasi la forma irregolare (vedi il caso di Colle Val d’Elsa, posto su uno sperone stretto ed allungato).Gli esempi più articolati sono costituiti da uno o più assi stradali che corrono paralleli a quello principale, ilquale si incrocia perpendicolarmente con uno più modesto, formando di solito al centro del complesso unapiazza. Fanno parte di questo gruppo i castelli di più grandi dimensioni: Poggio Bonizio (1155-56), Colle Vald’Elsa (1138-83), Gambassi (1171), Belforte (1180), Abbadia San Salvatore (1194), Castelnuovo dell’Abate(1208-27) e Radicondoli (1209-13).Alcuni castelli mostrano una struttura più semplice ed una minore estensione rispetto al precedente: sonoformati da un'unica strada principale che taglia in due tutta l'estensione del castello e che mantienedimensioni costanti per tutta la sua lunghezza; lungo la strada si dispongono delle abitazioni seriali, chemantengono indistintamente lo stesso modulo. Sono i casi di Stia (appartenente ai conti Guidi), Caprigliola eSoliera (fondati dal vescovo di Luni nella seconda metà del XII secolo), Rometta, Ceserano e Moncigoli(fondati sempre dal vescovo di Luni però tra il 1231 e il 1232).L’impianto urbanistico di alcuni castelli, invece che allungarsi a seguire una strada, può assumere unandamento radiale, formato da grossi anelli regolari che degradano progressivamente lungo le pendici di unrilievo; in questi casi sia la viabilità che gli edifici abitativi si dispongono concentricamente. Si trattasoprattutto di fondazioni ecclesiastiche della seconda metà del XII secolo: Seggiano (monastero diSant'Antimo), Marciaso (vescovo di Luni), Montecastelli e Gerfalco (vescovo di Volterra). Al contrario in queisiti dove esiste già un cassero, lo sviluppo topografico di XII-XIII secolo viene organizzato diversamente: ilborgo compreso all’interno delle mura o racchiuso più tardi da una nuova cinta diventa l'oggetto principaledelle trasformazioni. Si tratta di ristrutturazioni e ripianificazioni di quartieri residenziali, all’interno di castelligià in vita tra l’XI e la prima metà del XII secolo, volute e controllate ancora dal signore. Questi nuovi spazi sisviluppano in alcuni casi concentricamente intorno alla prima cinta o intorno al cassero signorile, come adesempio l’espansione dell’abitato di Chiusdino, di Montepescali (CITTER 1997), di Ripafratta (REDI, VANNI1987; REDI, VANNI 1988), ed i borghi ad anello di Montarrenti e di Larciano (MILANESE, PATERA, PIERI1997); in altri casi lo sviluppo si focalizza solo su un lato dell’insediamento: è il caso di alcuni castelli chesono stati oggetto di scavo: Rocca San Silvestro, Campiglia Marittima, Scarlino, Rocchette Pannocchieschi.549 BECK 1990.550 BOANELLI 1997.551 VANNINI et alii 1985.

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nei casi di Montecorvino e di Vaccarizza entrambi nel Foggiano552, le superfici cittadinefortificate sono completate da una motta che domina l’abitato, lo protegge e lo sorveglia,ed è anche la sede della residenza signorile (solo qui si ritrovano oggetti di qualità). Laformazione di questi central places più grandi coincide con l’abbandono dei centriincastellati minori.A Castelfiorentino in Capitanata la via principale attraversa longitudinalmente la città,assecondando la topografia del luogo costituito da una collina lunga e stretta. Lungo laviabilità interna si costruiscono le abitazioni, fino a formare, negli spazi compresi tra lecostruzioni più importanti (la chiesa, il palazzo imperiale, le torri) dei quartieri residenziali.Questa struttura pseudo-urbana, che rimane per il momento un’eccezione, diventerà dopola metà del XII secolo un modello a cui ispirarsi sia per le nuove fondazioni signorili cheper la pianificazione dei nuovi borghi nei vecchi castelli.

17 - Gli annessi del grande edificio: il silos e la cisternaIl silos era una struttura ipogea circolare in muratura, costituita da conci in travertino dimedie e grandi dimensioni, squadrati e lavorati, legati con malta molto tenace. Il diametroesterno misura 2,50 m, quello interno 1,50 m; la profondità è pari a 1,90 m. Ha un profilointerno leggermente ovoidale, che nella parte superiore conferisce una forma a ziro. Le cortine interne, sia quelle delle pareti sia quelle del fondo, sono rivestite da uno stratodi intonaco rosso tipo cocciopesto, steso per impermeabilizzare e per isolare meglio il suocontenuto. Indubbiamente ha funzione di conservazione delle granaglie ed ha sempreavuto tale funzione, sia nei primi anni di vita del villaggio (quando era di pertinenza delpalazzo) sia nel XIII secolo (legato alla casa a due piani) sia nel 1313 (riusatonell'occupazione di Arrigo VII).In effetti i silos da grano hanno preferibilmente la struttura esterna circolare, quella internaovoidale, spesso un rivestimento impermeabilizzante e sono sempre ipogei, sia scavati nelterreno sabbioso o tufaceo che costruiti in muratura. Il loro uso è specificatamente privato,relativo ad una o a più famiglie, ma può essere anche pubblico con un incremento dellesue dimensioni e con una migliore tecnica costruttiva. Sono attestati praticamentedovunque nell'area mediterranea e nell'Europa occidentale già dall'età preistorica.Il silos di Podium Bonizi risulta alterato nella sua parte superiore; manca, infatti, una partedell'elevato nord e la zona terminale; è impossibile perciò capire come funzionasse ilmeccanismo di chiusura. In genere però sappiamo che la copertura degli esemplariscavati nel tufo è costituita da pietre monolitiche circolari poggianti su un alloggio ricavatonella parte terminale, oppure da tavole lignee incastrate in una risega posta al livello dellabocca. A San Giovanni Valdarno si adottava quest'ultima soluzione, con l'aggiunta di unachiusura cilindrica in muratura, che isolava completamente l'ambiente e demolita almomento dell'uso delle granaglie553.Ad est della grande abitazione è posta una cisterna quadrangolare sotterranea; misura4,20 x 3,70 m, scavata nel terreno e delimitata da quattro muri del tipo a sacco con filariorizzontali di altezza regolare costituiti prevalentemente da bozze di travertino bensquadrate all'esterno, ben lavorate e rifinite a polca; la malta dei giunti e dei letti di posa èdi colore grigiastro, media durezza con inclusi di piccole e medie dimensioni. I muri perimetrali, costruiti con pietre di calcare ben squadrate e spianate superficialmente,erano ricoperti da malta idraulica di colore rosso e terminano in alto con una volta a botteattualmente crollata nella sua quasi totalità. Nella parete settentrionale, in alto si trovaun'apertura nella muratura collegata ad una canaletta larga 10-15 cm, realizzata in lateriziper le pareti e in lastre di ardesia per il fondo e la copertura; si tratta di un piccolo canalefunzionale allo scolmo dell'acqua quando questa era in sovrabbondanza: il troppo pieno.

552 MARTIN, NOYE' 1986.553 BOLDRINI, DELUCA 1988.

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Una seconda canaletta dello stesso tipo, ma realizzata e coperta da lastre di pietracalcarea e travertino, è invece collocata in corrispondenza del lato sud est e purtroppo nonesiste più il collegamento terminale tra il canale e il muro meridionale della cisterna stessa.Sono strutture dall'uso simile, ma funzionanti in due periodi distinti nella frequentazione delgrande edificio; la seconda risulta contemporanea alla costruzione della cisterna (oalmeno a una delle prime fasi di sfruttamento) mentre la prima è senz'altro da collegare adun rifacimento di metà XIII secolo. La cisterna nei primi anni di vita del villaggio era di pertinenza della casa a schiera;risultava quindi privata e rappresentava indubbiamente un segno di potere riconoscibilenella gestione della riserva d'acqua personale. Nel XIII secolo risulta invece una strutturadi servizio ad almeno tre ambiente e doveva essere racchiusa all'interno di una sorta dicorte lastricata in travertino ed aperta. Nel 1313, l'ambiente sembra riutilizzato come vanoabitativo, appongiando un piano di terra battuta sui voluminosi crolli della volta.M.V.

18 - La grande cisterna pubblica.La cisterna è costruita con conci del locale travertino e la camera di raccolta delle acqueha una pianta circolare del diametro di 5,20 m coperta da una volta a cupola sempre inpietra. Attualmente, a causa del crollo parziale di quest'ultima e delle pietre lanciate nelsecolo scorso dai coloni la cisterna è quasi totalmente interrata ed il suo paramentomurario al di sotto dell'imposta della volta è visibile solo per un'altezza di circa cinquemetri. La muratura presenta una posa in opera estremamente regolare con conci di mediee grandi dimensioni perfettamente squadrati e spianati in superficie con un attrezzo a lamapiana. L'altezza dei filari è variabile con corsi di limitato spessore (dai 20-26 cm a 8-10 cm)alternati ad altri di maggiore misura. In particolare l'altezza diminuisce visibilmente nei filaridella volta per l'evidente esigenza di alleggerire il peso della struttura. Poco al di sottodell'imposta di volta sono visibili una serie di buche legate alla muratura; due di esse, dimisura maggiore, alla stessa altezza e diametralmente opposte situate ad una quotaleggermente inferiore (20 cm), le altre quattro più piccole poste ad un filare superioresempre simmetricamente opposte le une alle altre. La loro posizione, le dimensioni e lacontemporaneità con la muratura della cisterna le fa pensare funzionali alle impalcature dicantiere necessarie per la costruzione della volta. Ugualmente a tale funzione sonoriferibili le quattro più piccole buche di forma quadrata presenti invece sopra l'imposta dellavolta, non passanti e sempre legate all'originaria muratura. Altre buche (quattro al di sottodi 1,50 m dalla altre) successivamente tamponate ancora riferibili alle fasi di cantiere sonovisibili più in basso quasi in corrispondenza dell'altezza dell'interro. Sul lato ovest dellacisterna, poco al di sotto dell'imposta della volta si conserva invece l'unico elemento,attualmente visibile, da connettere con il sistema di approvvigionamento delle acque. Sitratta infatti di una canaletta in pietra legata alla muratura che per posizione edinclinazione è da ritenersi funzionale all'apporto di acque all'interno della camera.Sul tipo di acque raccolte all'interno della cisterna vi sono alcuni elementi che farebberopropendere per una loro derivazione meteorica; la posizione ad esempio della cisterna,sicuramente al centro di una piazza (testimoniata dai resti di selciatura circostanti la stessacisterna), sulla quale si apriva probabilmente la facciata della chiesa di S.Agostino, in unacondizione ideale quindi per la raccolta, tramite apposite canalizzazioni, dell'acquapiovana proveniente dai tetti degli edifici circostanti o esclusivamente proprio da quellodella chiesa; la forma ed il tipo che trovano confronti con cisterne della vicina S.Gimignanoalimentate da acque meteoriche554. Una particolarità di questa cisterna è propriorappresentata dall'assenza nel paramento murario, nel punto dove solitamente trova

554 In particolare la grande cisterna, similmente a Poggiobonizio, di fronte alla chiesa di Sant’Agostino epertinente al palazzo comunale (posta, appunto, nella piazza della Cisterna).

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collocazione poco al di sotto della quota della canaletta di sbocco, dove usualmente trovacollocazione, del foro di uscita delle acque necessario nel momento di massimoriempimento della camera. Ciò comporta di conseguenza due conclusioni, ossia che lacisterna probabilmente doveva avere una notevole profondità per non pensare fin dalmomento della costruzione l'inconveniente del "troppo pieno". In secondo luogo per questacisterna non fu mai prevista all'interno della camera una quantità tale di acqua da dovernepermettere la fuoriuscita.Nel caso di raccolta di acqua piovana in genere tutte le cisterne erano provviste di unsistema di filtraggio che permetteva la depurazione idrica. I filtri solitamente erano costituitida strati di carbone minuto, ghiaia o sabbia e potevano essere posti o sul fondo dellacisterna e in quel caso vi era un pozzetto laterale esterno dove l'acqua si versava peressere attinta, oppure su di un vano sotterraneo laterale dove l'acqua passava prima dipenetrare nella camera. Oltre a questi casi vi erano poi delle cisterne provviste di unadoppia camera, dove in quella più esterna erano posti i filtri e quella più interna fungeva daserbatoio di raccolta delle acque passanti dalla prima alla seconda camera attraverso unopiù fori comunicanti. Escludendo per la nostra cisterna il primo tipo di filtro descritto, datal'assenza del pozzetto laterale, si possono pertanto ipotizzare gli ultimi due sistemi difiltraggio a favore o contro i quali sono riscontrabili una serie di prove sino a che, con lacontinuazione dello scavo nelle immediate adiacenze della cisterna non si rinverrannoelementi a favore dell'una o dell'altra ipotesi. La profondità infatti della canaletta di sboccodelle acque che sembrerebbe escludere la presenza di una camera esterna, farebbepropendere verso l'ipotesi di un pozzetto sotterraneo di filtraggio dove le acque sarebberopassate prima di entrare nella camera di raccolta. L'assoluta assenza però di un rivestimento impermiabilizzante delle pareti portaimmediatamente a confrontare questa con le cisterne a doppia camera di Perugia 555, dovesolo l'esterna di filtraggio era provvista di malta idraulica. Inoltre la presenza di una doppiacamera trova dei confronti con le principali e monumentali cisterne di S.Gimignano. In ognicaso, indipendentemente dalla futura convalida dell'una o dell'altra ipotesi, per ambedue isistemi di filtraggio doveva essere presente in corrispondenza della volta una vera chemetteva in comunicazione la cisterna con un pozzetto monumentale esterno, oggi distruttoinsieme alla copertura, da cui gli abitanti di Podium Bonizi attingevano l'acqua. In relazione invece alla datazione della struttura, la perfezione degli elementi architettonici,l'estrema perizia costruttiva, il confronto diretto con il tipo di tecnica muraria impiegata nellacerto pertinente la chiesa di Sant’Agostino e nelle altre strutture murarie rimesse in lucedurante le indagini archeologiche e datate grazie agli elementi dedotti dallo scavo, portanoad ipotizzare la costruzione di questa struttura nel momento di originario impiantodell'insediamento, cronologicamente ascrivibile alla seconda metà del XII secolo.G.B.

19 - I quartieri abitativi alla fine del XII secolo.Guido Guerra morì nel 1157, a due anni dall’inizio della costruzione del grande castello.Dopo la sua precoce scomparsa, Poggio Bonizio fu oggetto di vari interventi etrasferimenti di pertinenze per circa un ventennio. Nel 1164 Federico Barbarossa,perseguendo il suo disegno di rafforzo del potere imperiale potenziando le casate comitali,aveva confermato i diritti ai Guidi («al caro principe e cugino nostro» Guido Guerra, «contedi Toscana», riporta la conferma); nel 1175 Firenze, a seguito della vittoria nella battagliadi Asciano, aveva ottenuto un condominio sui possessi e privilegi dei senesi556; nel 1177

555 Ci riferiamo in particolare alle cisterne della Sapienza Vecchia e di Palazzo Veracchi, analizzate inAA.VV. 1981, p.14.556 I patti tra Siena e Firenze sono contenuti in Caleffo Vecchio del Comune di Siena, I, 14, pp.20-25, 22marzo 1175.

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Guido Guerra il giovane cedette le proprie pertinenze in risarcimento a Corrado diMonferrato557 e questi, previa visita ai suoi nuovi possedimenti, li trasferì tanto a Siena chea Firenze; otto anni dopo, infine, l'imperatore annullò ad ambedue le città i diritti cosìacquistati e Poggio Bonizio si costituì da lì a poco in Comune con propri consoli opodestà558.Si rivelò immediatamente come un insediamento di notevole rilevanza e fu soggetto aduna repentina ascesa sia demografica sia urbanistica grazie alla sua posizione geograficaprivilegiata ed alla presenza di un’attiva classe imprenditoriale. In questi decenni la costruzione dell’insediamento era proseguita e si ha la nettaimpressione di una progettualità originaria che continuava ad influenzare la forma, ladisposizione e l’aspetto dei quartieri. Sulle griglie già tracciate da Guido Guerra, pur conalcuni cambiamenti, proseguì lo sviluppo urbanistico tramite l’edificazione di lunghe case aschiera (dimensioni medie intorno a 21 x 5,50 m) articolate in moduli regolari, con tetto inlastrine di calcare e ingresso a doppia arcata. Queste strutture sono molto rare all'interno dei castelli ed i confronti più probantiprovengono infatti dall’articolata tipologia degli edifici urbani ben noti in ambito pisano559.Si tratta però di modelli tradotti in una scala dimensionale più modesta e meno elaborata:minore numero di piani e di annessi, tecniche costruttive meno sofisticate e che siavvicinano maggiormente alle abitazioni di tipo popolare seppure con elementi di tipodistintivo. La differenza sostanziale tra le case popolari di Pisa e quelle a schiera di PoggioBonizio è l’assenza di muri comuni; nell’insediamento valdelsano non sono riscontrabiliquelle pareti perimetrali indivise che, nelle lottizzazioni programmate, permettevano dirisparmiare spazio, forze e risorse economiche (i muri venivano pagati da entrambi gliabitanti con particolari modalità). La costruzione di muri contigui privati è invece tipica delleresidenze signorili.Uno degli elementi più evidenti che attestano un adattamento progettuale, od una suainterruzione per poi riprendere dopo poco tempo, è rilevabile nella tecnica costruttiva e neimateriali lapidei utiilizzati per i muri; questi, nelle case a schiera attribuibili al progettoiniziale, vennero edificati in travertino ben squadrato e regolare, messo in opera damaestranze chiaramente specializzate al soldo di Guido Guerra. I nuovi edifici evidenzianoinvece murature realizzate in conci di calcare non perfettamente lavorati e sembranoopera di maestranze locali seppure di buon livello. Si verificò quindi anche un cambio dimaestranze in relazione al diverso tipo e tenore economico della committenza.Queste case dovevano essere abitate per lo più dalle famiglie eminenti della comunità;commercianti e imprenditori che avevano fatto fortuna durante la favorevole congiunturaeconomica degli ultimi decenni del XII secolo. L’insediamento mostra pienamente inquesto momento il suo carattere cittadino, del resto già insito nella fondazione dello stessoGuido Guerra; si era sviluppato in una realtà urbana, una "quasi città" secondo una felicedefinizione di Chittolini560.M.V.

20 – L’urbanistica del castello di fine XII secolo attraverso le nuove tecnologie.La gestione dello scavo su piattaforma GIS ha permesso di interrogare i dati andando allacostruzione di piante storiche ipotetiche basate sulla lettura sincronica di tre diversi piani

557 Poggio Bonizio era stato ceduto a titolo di risarcimento ai marchesi del Monferrato dopo che GuidoGuerra il giovane aveva ripudiato la mogli Agnese, sorella di Corrado. Sulla vicenda e la suacontestualizzazione nello scenario dei rapporti tra aristocrazie italiane e Impero si veda BORDONE 2004.558 Su tali vicende si veda PRATELLI 1929-1938, pp.70-73.559 REDI 1991, pp. 177-313.560 CHITTOLINI 1990.

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informativi: le tracce di strutture visibili in fotoaeree di voli presi a scale diverse, i risultatidello scavo e quelli dell'indagine geoarcheologica561. La lettura delle simulazioni GIS mostra che lo spazio racchiuso dalle fortificazioni siestendeva ancora per circa 7 ettari, come alla fondazione. All'interno della cinta possiamoriconoscere una topografia articolata sulla presenza di due chiese poste a nord ovest ed asud est, di due piazze di fronte alle chiese stesse (la piazza a nord ovest dotata dellagrande cisterna e che doveva essere sormontata da un pozzo). Tra le due chiese e le duepiazze si disponeva la maglia delle case a schiera; queste erano ripartite in due grandiquartieri, definiti dal tracciato di una viabilità rettilinea (osservata in parte sullo scavo ed intutta la sua estensione richiamando i crop-marks in relazione al volo regionale) chesicuramente raggiungeva la piazza con cisterna. Intorno alle mura, in coincidenza dell'areainterna, si disponevano spazi aperti con cadenza non regolare.Con certezza possiamo contare almeno 15 case a schiera sul lato ovest e 14 sul lato est.Gli edifici si disponevano almeno su due file; la prima fila composta da case più grandi chesi affacciavano sulla strada, la seconda fila da case con dimensioni più piccole incoincidenza del lato est, dove la collina ha andamento più irregolare e curvilineo. Nelquartiere est sembra cessare la doppia fila di case avvicinandosi alla chiesa diSant’Agnese. Qui, la stessa curva di livello che demarca la zona caratterizzata da una solafila di case, posizionava anche l'edificio religioso in posizione dominante.Se la maglia degli edifici ha continuità spaziale (pur non avendo prove da fotoaerea laregolarità della disposizione tracciata sul calcolatore lascia pochi dubbi al riguardo) siamoin grado di proporre per il quartiere ovest un numero massimo di 30 case a schiera e per ilquartiere est un numero massimo di 36.Nelle case più grandi il rapporto tra lato lungo e lato corto risulta di 1:2,8 (21 x 7,50 m inmedia), nelle case più piccole sembra adattarsi all'andamento della collina attestandosi su1:2,3 circa in media (16 x 6,80 m) ma con punte anche di 1:3. La viabilità in uso durante questa fase si discosta nell'andamento da quella attuale cheinvece, come lo scavo mostra, pare ricalcare la viabilità riprogettata nel XIII secolo; ciòpresuppone che indagando in connessione del lato nord, dove il cambio di orientamentodei due tracciati è molto marcato, dovremmo trovare al di là della strada odierna la parteiniziale della prima fila di case a schiera del quartiere ovest; in altre parole, questi edificisono in parte coperti dalla strada attuale. Osservando la regolarità nella disposizione delle cisterne (le due che corredano le case aschiera e che sono state individuate da scavo distano 9 m circa tra loro; la prima cisternadista 90 m dalla grande cisterna della piazza a nord ovest) e calcolandone l'ingombromedio (10 mq), possiamo ipotizzare un numero totale di cisterne ancora da scavare pari a5/6 sul lato nord del quartiere est e 4/5 sul lato sud; in totale dovevano esserne in uso10/13. Quindi consegue che non tutte le case a schiera erano dotate di tale pertinenza; seil quartiere ovest, per il quale non disponiamo ancora di dati di scavo, mostrasse la stessatendenza, il villaggio dovrebbe rivelare un complesso di cisterne private pari 20/26 cioè lamedia di una cisterna ogni 2/3 case. Per verificare questa ipotesi sono stati aperti tre settori di scavo sui lati nord e sud delquartiere est. L'indagine ha confermato l'esistenza di una progettazione e la regolarità delrapporto di 1:2,8 delle case a schiera sulla prima fila. In coincidenza del lato nord la casa aschiera della prima fila misura 25,60 x 8,10; sul lato sud sono state riconosciute e scavatedue case a schiera affiancate e con misure di 22 x 6,5 m in un caso e 27 x 7,50 nell'altro.Questa terza abitazione evidenzia come lo spazio occupato poteva essere maggiore pergli edifici posti nei pressi della chiesa dove, infatti, abbiamo ipotizzato una sola fila diabitazioni.

561 Per le analisi GIS qui descritte si veda in particolare il capitolo VII di questo volume con bibliografiacompleta.

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Anche le case della seconda fila a sud sono risultate di più piccole dimensioni ed inadattamento alla conformazione della collina; due edifici rivelano misure intorno ai 12,30 x5 m con un rapporto di 1:2,5 che supporta la nostra simulazione ma per le quali avevamoperò previsto un rapporto di 1:3. In realtà la nostra simulazione avrebbe trovato riscontrosul terreno se avessimo potuto indagare la situazione morfologica originaria. In coincidenza di questo lato, in semipendio e su uno strapiombo di oltre 100 m, si sonoinfatti riconosciuti dei chiari segni di un terremoto o la conseguenza di pressione e dispinte delle acque piovane: un forte cedimento del terreno, lesioni nei muri e sulla terra,ricostruzioni della cinta e degli edifici nelle vicinanze. Le indagini geoarcheologicheeffettuate, lo stesso rapporto tra i muri chiaramente accorciati, infine il restauro della cintadifensiva, stimano in una misura di circa 5 m il terreno franato a valle. Ricostruendo nelGIS la porzione di spazio franata e riposizionando sul limite la cinta muraria, la partemancante dei due edifici potrebbe essere calcolata in 2,70 m circa (raggiungendo così unrapporto di 1:3) e lo spazio aperto in un metro circa.Alla fine del XII secolo, si verificò quindi un evento traumatico nella vita di Poggio Bonizio.La parte settentrionale della collina, a seguito di uno smottamento del terreno, subì gravidanni; le case a schiera in questa zona crollarono parzialmente e, allo stesso modo, unlungo tratto della cinta muraria andò distrutto. Le cause possono essere imputabili ad unevento naturale: un terremoto, che le fonti cronachistiche toscane documentano in questoperiodo con epicentro ad Arezzo con scossa del sesto grado della scala Mercalli; oppuread uno smottamento del terreno provocato da ripetute infiltrazioni d’acqua piovanacombinato alla mole imponente degli edifici costruiti sul versante.I lotti abitativi di Poggio Bonizio possono richiamare gli schemi planimetrici delle più tardefondazioni di terre nuove nella zona del basso Valdarno da parte dei comuni di Lucca ePisa (comprese tra la prima metà del XIII e la fine del XIV secolo) per quanto riguarda laregolarità degli impianti e per la disposizione omogenea degli edifici. Alcuni di questicastelli di pianura nascono con uno schema urbanistico ortogonale interno, racchiusoancora da una cinta muraria irregolare. In realtà l'organizzazione di borghi nuovi basata suun reticolo geometrico regolare è rintracciabile già verso la fine del XII secolo sia in alcuneregioni europee che in Italia, nei borghi di fondazione dell’area padana562.Della seconda metà del XII secolo è il caso del castrum di Bientina (fondazione vescoviledel 1179); ha una struttura pianificata delimitata da un circuito murario pentagonaleirregolare con torri su quattro angoli; una strada costituisce l’asse di simmetria, incrociatoda vie secondarie ortogonali. Gli isolati hanno grandezza quasi fissa e sono suddivisi davicoli, che formano lotti di dimensioni costanti563. Bientina anticipa di qualche decina dianni gli esempi più evidenti e conosciuti di Buonconvento una fondazione del comune diSiena del 1208 e di Città Nuova una fondazione del comune di Massa Marittima del 1225.In molti casi alla planimetria ortogonale si aggiunge anche una regolarizzazione delcircuito murario, molto spesso rettangolare, sempre però incentrato su una disposizionepianificata dei lotti abitativi, localizzati lungo assi viari paralleli. Sono i casi di Villafranca inLunigiana voluta dai marchesi di Malaspina nel 1191, di Pontedera fondata dal comune diPisa nella prima metà del XIII secolo, di Castelfranco di Sotto e Santa Croce sull’Arnofondate dal comune di Lucca tra 1249 e 1253), di Camaiore e Pietrasanta (fondate dalcomune di Lucca, entrambe nel 1255, di Paganico voluta dal comune di Siena nel 1292-98e di San Giovanni Valdarno e Terranuova Bracciolini fondate dal comune di Firenzerispettivamente nel 1299 e nel 1337.A.N.

21 - Lo sviluppo di Poggio Bonizio in quasi città. XIII secolo.

562 FRIEDMAN 1996.563 DETTI, DI PIETRO, FANELLI 1968.

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L'aspetto del grande castello iniziò ad evolvere verso la fine del XII secolo, proprio gli anniin cui si andava affermando il Comune ed iniziava anche una breve stagione di politicaterritoriale autonoma; nel 1197 aderiva alla Lega Toscana ed entrò in conflitto con i viciniColle e San Gimignano con i quali, tra 1201-1209, firmò accordi per la definizione dellerispettive sfere d'influenza564. Agli inizi del XIII secolo, Siena fu costretta alla rinunciadefinitiva dei propri diritti sul castello a vantaggio di Firenze attraverso il lodo pronunciatodal podestà di Podium Bonizi, eletto dalle due parti, per la definizione delle rispettivegiurisdizioni territoriali e la successiva cessione ai fiorentini di tutto ciò che era stato decisonel lodo565. Nell'ottobre del 1208 le autorità comunali stipularono però un patto segreto dialleanza con Siena; alleanza che si cementò ulteriormente un anno più tardi dopo loscioglimento di ogni tipo di vincolo con i fiorentini pronunciato da Wolfgero, patriarca diAquileia566. Con la raggiunta autonomia iniziò a regolare la parte fortificata dell'insediamento; siridisegnava la topografia di una base urbana molto probabilmente ancora permeata econdizionata dalla originaria progettualità di Guido Guerra. Alla trasformazione politico-istituzionale si affiancava quindi quella urbanistica ed è ancheattestato lo sviluppo di un esteso borgo fuori dalle mura, suddiviso in almeno quattro, forsecinque contrade. Due documenti scelti tra i tanti ci mostrano questo processo giàampiamente in corso a trent’anni circa dall’iniziativa di Guido Guerra. Il 6 ottobre 1186 inuna sentenza si citavano una casa fuori dalla porta Santa Maria con un lato sulla via, laseconda facciata aveva un lato confinante con la via e la terra di proprietà di Marturi, unaltro lato confinava ancora con la via, con l’abitazione di Scotti presso la predetta porta, diPietro Fabbri vicino alla porta di San Michele, di Pietro Vulpe e del figlio del fiorentino 567. Il22 luglio 1191 la cessione di un diritto di livello da parte di Rolando abate di Marturi aBardellino, concerneva un’area aperta posta fuori dalla porta di San Michele a confine conil castello, dietro l'impegno di costruire nella platea una casa; i confini vennero così definiti:da un lato Bacinelli taverniere, dall'altro Ugolino nipote di Bernarduccio, di sopra Ugolinode granaro e Martino pignolaio, di sotto il fossato del castello, in mezzo la strada568.La volontà di ordinare continuamente l'articolazione topografica di una piccola città conuna vasta espansione extra muram, può essere testimoniata dalla stessa presenza di 43magister tra gli abitanti del 1226; in altre parole, si ha l'impressione di un agglomerato incontinua espansione e trasformazione, un grande cantiere.Poggio Bonizio era un centro in marcato sviluppo, dotato di almeno tre chiese (le dueindividuate dallo scavo ed una terza attestata nelle fonti scritte); una comunità in continuacrescita con una popolazione caratterizzata da intraprendenza imprenditoriale edimpegnata in una vasta gamma di attività artigianali. Le ulteriori trasformazioni a cui andòsoggetto il centro, rappresentano la testimonianza di uno sviluppo costante el'adeguamento della funzionalità degli spazi alla nuova realtà demografica ed economicadi una fiorente comunità.Una delle sue caratteristiche principali e costante nei 115 anni di vita dell’insediamento,cioè la grande attenzione alle acque, deve essere letta in un'ottica di impianto urbanoregolato, ben progettato ed eseguito da maestranze di rilievo. Le cisterne rinvenute, lapresenza di murature più antiche ed attribuibili alla metà del XII secolo rilevate nel

564 CAMMAROSANO, PASSERI 1984, p.133; per i patti con San Gimignano si vedano anche gli accenni inPLESNER 1979, p.132 e soprattutto ZDEKAUER 1899.565 Caleffo Vecchio del Comune di Siena, I, n.65, pp.90-93, 4 giugno 1203; Caleffo Vecchio del Comune diSiena, I, n.66, pp.93-95, 8 giugno 1203.566 CAMMAROSANO, PASSERI 1984, p.133.567 Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Bonifazio, 6 ottobre 1186.568 Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Bonifazio, 22 luglio 1191.

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complesso Fonte delle Fate569, le notizie dei cronachisti sulle numerose fontane presentinel villaggio, non ultime le testimonianze di Ciaspini e Pratelli sulla galleria in gran partemurata che si dipartiva dalla stessa fonte in direzione della collina e quindi verso la grandecisterna570, lasciano facilmente ipotizzare l'esistenza di una accurata rete di bottini.Le strutture emerse nello scavo archeologico mostrano, per questo periodo, i profondicambiamenti che avvennero nel tessuto urbano conseguenti anche al costante aumento dipopolazione. Il borgo rivela una forma regolare ed è stato individuato, assai primadell’inizio dello scavo, attraverso l’elaborazione al computer di fotoaeree. Si riorganizzò laviabilità e le lunghe case a schiera costruite nella seconda metà del XII secolo vennerotrasformate in un quartiere artigianale ed in case più piccole. La crescita delle abitazioni fu regolata destinando spazi ben precisi e delimitati da bassimuri a nuove edificazioni. Un esempio di questi ambienti, di dimensioni abbastanzapiccole, si riconosce pochi metri ad ovest della casa a schiera dotata di silos e cisternaprivata. L'ampiezza è pari a 7,60 x 3,40 m ed ha orientamento nord ovest-sud est. Glielevati sono costituiti da conci in alberese, di medie dimensioni, leggermente sbozzati elegati da malta; hanno uno spessore variabile, calcolato in una media di 50-60 cm,raggiungendo anche i 70 cm, l'altezza non è invece ipotizzabile ma non dovevano essercistati molti altri filari. Il battuto interno non occupa tutto lo spazio compreso tra i muri, masolamente la parte sud (2,10 x 2,70 m) perchè asportato da un taglio posteriore; ècostituito da argilla pressata di colore giallastro, poggia su uno spesso vespaio realizzatoin pietre di piccola e media pezzatura che livellava ed isolava il terreno. Si tratta di uncasalino, ovvero un'area impostata nel piano di lottizzazione, delimitata da muri ma inattesa di trovare una sua funzione.Poggio Bonizio aveva in questi anni un'economia polivalente, dove il terziario siaccompagnava all’agricoltura, con mestieri spesso organizzati in corporazioni; neidocumenti sono citati il consul fabrorum, il consul calzolariorum, il consul mercatorum, ilconsul pizzicariolorum, il consul cambiatorum ed una gamma di attività molto articolata571.Sappiamo, per esempio, che esistevano relazioni commerciali con il sud Italia, cometestimonia un atto del 1244 in cui sono documentati alcuni mercanti di Podium Bonizi chestipulano un contratto a Messina presso la loggia dei pisani572; al tempo stesso la granderestituzione di monete ci permette di ricostruire il quadro di scambi nel quale era inserital’imprenditoria poggiobonizzese e la circolazione su questo tratto della via Francigena:Ancona, Pavia, Ravenna, Brindisi, Verona, Pisa, Lucca, Siena, Arezzo, Viterbo, Gaeta,Roma, la Sicilia ma anche la Normandia, Toledo, Salamanca, Orange, la Navarra e laCarinzia573. Erano dunque la dimensione economica dell'insediamento ed il suo carattereimprenditoriale che indirizzarono verso la trasformazione dell'area monumentale in unatappa obbligatoria sul percorso della via Francigena, dove il viaggiatore trovava i servizireligiosi (le grandi chiese) e quelli commerciali (le botteghe artigianali); inoltre non siesclude che proprio in tale zona si collocasse quel forum Podii Bonizi dove si effettuava ilmercato, in cui l'arte degli speziali nei primi anni del XIII secolo aveva posto ai suoi lati duegrandi bilance per la pesatura dello zafferano574. E la sua caratteristica di tappa importantesull’arteria stradale si riconosce anche nei numerosi signa peregrinationis restituiti sia dallo

569 Si veda BIANCHI 1996.570 In particolare si veda CIASPINI 1850; Pratelli riporta la notizia del precedente autore.571 Si tratta di due giuramenti di patti con Siena del 1221 e del 1226; si vedano le carte contenute in: CaleffoVecchio del Comune di Siena, I, n.168, pp.232-238, 10 luglio 1221; n.170, pp.239-249, 10-12 luglio 1221;n.235, pp.345-346, 22 giugno 1226; n.234, pp.336-345, 21-26 novembre 1226.572 FIUMI 1961, p.76.573 Si veda Capitolo VI paragrafo 4 di questo volume.574 Si veda FIUMI 1961, p.34 nota 68.

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scavo delle abitazioni sia delle aree cimiteriali. Sono infatti presenti numerosequadrangulae attestanti il passaggio o la presenza nel villaggio di romei (coloro che sierano recati a Roma a visitare la tomba degli apostoli Pietro e Paolo e la basilica di SanPietro) e molte valve destre di pecten jacobaeus di incerta provenienza: simbolouniversale di pellegrinaggio ma anche, se provenienti dalle sponde dell’Atlantico, dacollegare alla presenza di jaquot (o jaquet oppure jaquaire, coloro che erano stati a visitarela tomba dell’apostolo Giacomo a Campostela)575.Con lo sviluppo del centro, vediamo anche l'adattamento dell’abbazia di Marturi e dellasua politica patrimoniale alla nuova dimensione assunta dal popolamento. Gli abati già dal1159 si erano impegnati in una continua compra-vendita e permute di terreni e di caseposti sia fuori che dentro il castello576. Inoltre, andando incontro ad una domanda diabitazioni che sicuramente esisteva per il continuo boom del popolamento, concedevanospesso in affitto spazi aperti sia dentro sia fuori dal circuito murario castellano e nei suoiborghi, affinchè vi venissero costruite altre case. La punta più alta di tale operazione siriscontra nel primo trentennio del XIII secolo, cioè in coincidenza del periodo di maggiorecrescita demografica ed espansione urbanistica mostrato dall’indagine archeologica. Nonsembra casuale in questo contesto la differenza tra l’ammontare dei giuratari dei patti dialleanza con Siena del 1221 e quelli del 1226 (+ 137) e le attività dichiarate; il 1226sottolinea non solo un’evidente crescita demografica ma anche lo sviluppo diprofessionalità legate ad un contesto in trasformazione sia strutturale sia nelle esigenzedella popolazione577. E’ così osservabile un deciso aumento dei capocantiere (i magisterhanno una crescita del 716%), dei fabbri (166%) e dei ferratori che sembra sottolineare ilmomento di intensa attività edilizia riscontrabile in questi anni; un incremento delle attivitàlegate alla produzione-distribuzione delle derrate alimentari nel quale si distinguono imugnai (+350%), raddoppiano i tavernieri ed i pizzicaioli; una crescita di medici, notai egiudici. La popolazione doveva oscillare tra 5000 e 7000 unità.

22 – La ristrutturazione di un lotto di case a schiera in abitazioni con corte lastricatae botteghe.Il giuramento dei patti di lega con Siena del 1226 ci mostra come, dopo settant’anni,Poggio Bonizio continuava ad attrarre immigrazione. 53 capifamiglia erano originari dilocalità della Valdelsa come Bibbiano, Bolsano, Casaglia, Galognano, Gavignano, Luco,Orneto, Papaiano, Castiglioni, Cerna, Cinciano, Foci, Galliano, Lecchi, Ormanni,Piandicampi, Staggia, Vizzano, Stoppio, Talciona. Le opportunità offerte dal grandecastello attirarono popolazione anche da zone più distanti, come il Chianti senese efiorentino e, in tono minore, dalla Montagnola; 20 capofamiglia provenivano da Albola, LaLeccia, Lucardo, Cintoia, Selvole, Castellina, Olena, Panzano, Radda, Monti, Montegrossi,

575 I signa peregrinationis portati dal pellegrino al ritorno dal suo viaggio come prova del raggiungimentodella metà permettevano quindi di riconoscere il luogo da lui visitato; per una vasta trattazione dal punto divista archeologico dei pellegrinaggi si veda BULGARELLI, GARDINI, MELLI 2001.576 Si veda VALENTI 1999.577 Le liste dei giuratari del 1221 e del 1226 riportano mestieri spesso organizzati in corporazioni, ed unagamma di attività molto articolata; si conoscono il magister (43 casi), il medicus (7 casi), il tavernarius (6casi), il faber (15 casi), lo iudex (3 casi), il notarius (10 casi), il mugnarius (21 casi), il piczicaiolus (3 casi), ilferrator (2 casi), il pectinaiolus, il pellicciarius (2 casi), il fornarius, il pignolarius (3 casi), il sellarius (2 casi), ilpegoloctus (2 casi), lo spetialis, lo scudarius (2 casi), il calzolarius (2 casi), il chiavarius, il bovarius. Tale listaè relativa al giuramento del 1226. Per il 1221 sono invece documentati il faber (9 casi), il medicus (3 casi), ilmungnaius (6 casi), il calzolarius (3 casi), il tavernaius (3 casi), il pignolaius (3 casi), il sartor (2 casi), ilclavarius (2 casi), lo iogulator, il frenarius (2 casi), il piczicaiolus, il magister (6 casi), il barberius (2 casi), ilnotarius (5 casi), lo iudex, il palliaius (2 casi), il porcarius, il battelana, il fornarius, lo specialis, l'olearius, loscudaius. Per una rapida consultazione si veda l'indice del Caleffo Vecchio del comune di Siena curato daMario Ascheri.

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Ricavo, Vignale; 3 capofamiglia da Sovicille e Strove. Inoltre l’ampia possibilità di mercatoe commercio fecero arrivare anche popolazione da nuclei urbani regionali edextraregionali come Arezzo, Firenze, Grosseto, Lucca, Montalcino, San Miniato,Semifonte, Siena, Volterra e Ancona, Benevento, Bologna, Foligno, Milano, Orvieto,Perugia.Lo sviluppo demografico ed economico portò ad un adeguamento urbanistico resonecessario dalla nuova realtà. A livello di edilizia, iI cambiamento in corso vieneevidenziato dalle caratteristiche delle nuove costruzioni, dai molti riusi e trasformazioni diedifici preesistenti, dalla realizzazione di muri con tecnica diversa da quelli precedenti,connotati dall'impiego di ciottoli di fiume e conci non lavorati. Può trattarsi del ricorso amanovalanze locali talvolta dotate forse di scarsa maestria e si trae l’impressione di uncantiere continuamente aperto. Ma la chiesa riportata in luce ancora parzialmente nelbiennio 2004-2005 attesta la floridezza della comunità e con ogni probabilità la salute dellecasse pubbliche; fu ristrutturata infatti nella metà del XIII secolo da maestranze altamentespecializzate che la ingrandirono portandola a dimensioni probabili di 1365 mq circa e laabbellirono con monumentali capitelli in travertino di accurata fattura. La sua estensione,così come le dimensioni dell’altra chiesa collocata sul lato est della collina (760 mq circa),confermano il costante incremento di popolazione; le due chiese erano infatti in grado diospitare ben oltre 2000 persone.L’area indagata rivela gli effetti di questa stagione costruttiva e di impennamentodemografico con grande chiarezza; la maggior parte delle case a schiera furono al centrodi una riprogettazione che dette luogo ad un nuovo quartiere. Era caratterizzato dallacommistione di botteghe artigiane ed abitazioni e più in dettaglio da due botteghe difabbro, due fonditori, un'ulteriore generica bottega, tre abitazioni di grandi dimensioni esviluppo in orizzontale, tre case a due piani, due case monovano di forma allungata, unospazio aperto con connotazione ortiva o di giardino, tre ambienti delimitati da muri ed inattesa di ricevere una destinazione funzionale. Più in dettaglio, di nove case a schiera individuate nella prima fila ed affacciate sullastrada, restarono immutate solo tre (due sul lato ovest ed una sul lato est); tutte le altrefurono interamente frazionate in molteplici strutture e talvolta parzialmente accorpate.L’ingombro delle due case a schiera al centro della lottizzazione fu trasformato in unabottega di fabbro che occupava la parte iniziale degli edifici; sulla parte retrostante siricavarono due case affiancate di misura 11,50 x 4 m con corte e 15 x 4 m confinante conun’area aperta (in precedenza una casa a schiera della seconda fila, ora compresa nellaviabilità interna al quartiere). Le due case a schiera al centro della lottizzazione subironoanch’esse radicali trasformazioni; la loro parte iniziale venne destinata ad una secondabottega di fabbro di grandi dimensioni; nella parte retrostante dei due edifici furonoricavate un’abitazione con corte rettangolare e pozzo (la casa di scotto di Boncompagno),un’area aperta con uso ortivo-giardino di 9 x 7 m ed un’abitazione su due piani anch’essacon corte e cisterna. Dopo una delle lunghe abitazioni rimaste intatte, le ultime duestrutture vennero trasformate in tre abitazioni (5,30 x 8,30 m; 6,50 x 13,50 m; 10 x 6 m) dicui due con piccola corte ed in una bottega di fonditore. La seconda fila di case a schiera, cioè gli edifici a contatto con la cinta muraria, fuanch’essa oggetto di notevoli ristrutturazioni e cambi di funzione; rimase in uso una solacasa a schiera, mentre accanto a nuove abitazioni su due piani ed a spazi che entrarono afar parte di una tortuosa viabilità interna al nuovo quartiere, furono definiti anche trecasalini con dimensioni simili e pari a 8,30 x 14 m, 8 x 16 m, 8,50 x 11 m. Venne infinedestinato il retro di uno degli edifici più esterni all’area scavata ad accoglere una bottegaartigiana di problematica interpretazione.La strada lastricata in uso sino dalla fondazione del castello, venne dismessa ed in partespostata in corrispondenza dell'attuale sentiero rurale; la sua quota fu rialzata di quasi un

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metro attraverso gettate di terra e pietrisco nonché molti degli scarti di lavorazione dellebotteghe di fabbro. Anche le cisterne, in precedenza di pertinenza esclusiva delle case aschiera, furono comprese in corti scoperte annesse alle abitazioni, pavimentate eracchiuse da mura perimetrali.L’abbassamento qualitativo delle costruzioni ed il nuovo tipo di edilizia viene benesemplificato dalla descrizione di due abitazioni con sviluppo in verticale; sono moltoindicative della ristrutturazione avvenuta e della disarticolazione dei lotti di case a schiera.Il primo esempio di edificio a due piani che proponiamo sfruttò molti degli spazi relativi aduna casa a schiera, in particolare la sua parte orientale opposta all'ingresso a due arcate el'area retrostante che comprendeva una cisterna quadrangolare. Tutte le strutture murarieprecedenti alla sua costruzione furono riutilizzate come fondazione o come appoggio per inuovi muri, oppure a sostegno di elementi rialzati come una scala in pietra di accesso alsecondo piano ed il ballatoio che si appoggiava a quest'ultimo. Il pianterreno dell'edificioera costituito da un ambiente pavimentato in battuto di terra ed adibito a cantina orimessa; quello superiore, identificabile come la vera e propria abitazione, era sorretto daun solaio in legno pavimentato con mattoni e coperto da un tetto ad un'unica falda chespioveva ad ovest. La scala in pietra si appoggiava al muro orientale; il ballatoio, forsesovrastato da una copertura in legno, si impostava su un pilastro in travertino che nellaseconda metà del XII secolo faceva parte dell’ingresso a doppia arcata di un’ulteriore casaa schiera. La struttura aveva accesso a due aree aperte. Quella ad est, di piccola estensione, era uncortile delimitato da mura, pavimentato in lastre di travertino, con una cisternaquadrangolare adibita alla raccolta dell'acqua piovana e sormontata da un piccolo pozzo.Quella ad ovest era invece un'area adibita ad orto/giardino. Trovandosi quasi totalmentechiuso dagli edifici circostanti, la zona ovest poteva essere in collegamento diretto con labottega del fabbro; in pratica rappresentava il raccordo tra le due strutture e quindi ununico grande complesso che comprendeva l'edificio artigianale ad ovest e l'edificioabitativo con annessi ad est.Il secondo esempio di edificio s'impostava anch'esso sugli spazi relativi ad una casa aschiera, sfruttandone però solo una parte attraverso l’innalzamento da un nuovo muroperimetrale di chiusura. Le opere di modifica della struttura più antica risultano leggibili conchiarezza negli elevati; i muri originari mostrano un'apparecchiatura molto accurata a filariorizzontali regolari di conci di travertino ben squadrati, con superfici spianate, il legante èla malta; quelli successivi, invece, costruiti con conci di travertino di reimpiego associati apietre, furono messi in opera irregolarmente e legati quasi esclusivamente da terra. Lacasa aveva pianta rettangolare, dimensioni 8 x 10 m, orientamento est-ovest e lacopertura realizzata di tegole e coppi. Era divisa in tre ambienti; i due più piccoli(dimensioni 6 x 1,20 m; 6 x 1,40 m) posti nella porzione occidentale erano ad unico piano;il terzo ambiente di dimensioni più ampie (6 x 4 m) occupava la parte orientale e sisviluppava su due piani come attesta l'evidenza archeologica del crollo del solaio inmattoni. Il piano superiore rappresentava con tutta probabilità lo spazio abitativo principalee qui doveva essere collocato quel focolare del quale, oltre ai livelli relativi, sonotestimonianza un elemento di catena, una catenella, due ganci ed uno spillone da fuoco;era dotato di infissi e porte con serrature e chiavi, mentre il mobilio risulta essere statointeramente di legno e caratterizzato da boncinelli, cerniere, piccole chiavi ed applicazioni.Venivano utilizzati una grande quantità di bicchieri e bottiglie in vetro di varie forme efogge; sono stati rinvenuti bicchieri decorati a bugne con base d’appoggio ad anello odecorata da un cordone di vetro pieno applicato, bicchieri apodi privi di decorazioni, calici,bottiglie con fondo ad anello, bottiglie apodi con corpo cilindrico o globulare e bottigliettecon bordo estroflesso, collo cilindrico e fondo apode. L’illuminazione si basava su lampade

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pensili anch’esse in vetro di forma conica o con parete superiore emisferica ed inferioretronco-conica più stretta.Le prime due stanze potevano avere una generica destinazione domestica ed eranoconservati alcuni attrezzi tra i quali un cuneo ed una punta di trapano destinati allalavorazione di pietra, legno o metallo, forse una bilancia di cui sono testimoniaza dei pesi,coltelli con fodero dotato di puntale, delle freccie, di cui solo una collegata all’attivitàvenatoria e che rappresenta un unicum a Podium Bonizi. Il piano terra del terzo ambiente è interpretabile come stalla, sia per dimensioni e forma siaper i 28 oggetti rinvenutivi pertinenti ad equidi: oltre ai chiodi da ferratura, sono presenti unferro da cavallo e due ferri da mulo, tre fibbie e due passanti relativi alla bardaturaSia l'articolazione interna sia l'organizzazione in elevato furono condizionate dallamorfologia dello spazio, una pendenza naturale digradante in direzione est verso il circuitomurario. I tramezzi in realtà sembrano avere assecondato le variazioni di quota, come unasorta di terrazzamento; i primi due ambienti erano disposti secondo una pendenza piùgraduale mentre, in corrispondenza del terzo ambiente, venne ricavato un piano inferiore afronte di un marcato sbalzo di quota; il secondo piano risultava solo di poco sfalsatorispetto ai primi due vani e dunque la casa dall'esterno doveva presentarsi uguale o pocopiù alta rispetto a quelle circostanti.La comunicazione interna fra il primo e secondo ambiente avveniva attraverso unpassaggio risparmiato tra i muri e scalini tagliati direttamente nella terra; fra il secondo eterzo ambiente è ipotizzabile la presenza di una scala a salire forse in muratura. L'edificioaveva due ingressi. Il primo, probabilmente quello principale, era sul lato occidentale ed èrappresentato da un taglio dai limiti molto netti; comunicava con una piccola corte econfinava con l'asse viario riconosciuto come la via publica citata da molti documenti. Ilsecondo ingresso posto sul lato orientale immetteva nel piano terra del terzo ambiente edera probabilmente adibito a passaggio degli animali. Queste abitazioni facevano parte di quartieri non molto diversi dalla descrizione saltuariariportata da molti contratti immobiliari redatti a Poggio Bonizio nel corso del XIII secolo.Per esempio il 7 agosto 1227 veniva venduta una «casa bassa» con platea posta inVallepiatta; la casa, con uscite e ingresso confinava con la casa di Guido notaio diVolterra, con Diotifeci Battozzi, con la piazza e la strada, sul retro invece erano la casaalta di Guido e Lotterigo di Buono578. Oppure il 25 maggio 1263, un inventario di beniinerenti una successione citava dodici notai operanti a Poggio Bonizio ed alcune proprietàlocalizzate tramite la toponomastica di zone ben definite dell'insediamento. In particolare siattestano: una casa posta nel borgo di Vallepiatta e tra i confinatari la strada, la casa deifigli di Ruggeri della Volta, la «plateam» che era di medici Franco; una casa confinate conla strada, sul secondo lato con la casa che era di Ciampolo di Taccio e sul terzo con la«plateam et casam» che era di Volta Dolci Amorini; una «plateam» vicina la porta diVallepiatta che confina con la via e con la greppa del mugnaio; un orto con case postofuori della porta della Cateratta del Castelnuovo, che confina su tre lati con la via che va aborgo vecchio579.Infine ricordiamo l’edificio scavati detto “la casa di Scotto di Boncompagno”; all’interno èstato ritrovato un sigillo plumbeo recante inciso il suo nome. L'abitazione è caratterizzatada un unico grande ambiente a pianta rettangolare con dimensioni 14 x 8,5 m; anchequesto edificio sorgeva nell'area occupata precedentemente da una delle case a schiera. Imuri che delimitano l'edificio sui lati est e sud sono costituiti da conci di travertino di grandidimensioni, squadrati e lavorati in superficie, legati con malta abbastanza tenace. La lorocostruzione è da collocarsi a cavallo del XII-XIII secolo (si tratta di un riutilizzo del XIIIsecolo). Gli altri due muri sono lunghi 6,70 m e spessi 80 cm, costituiti da pietre di medie

578 RINALDI 1980, p.51.579 RINALDI 1980, p.55.

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dimensioni, legate con malta, rozzamente squadrate, che non presentano lavorazioni sullesuperfici. Il lato meridionale dell'abitazione confinava con un'area aperta compresa nellastruttura abitativa confinante mentre quello orientale su un cortile interno delimitato damuri e probabilmente pavimentato. Ad occidente, infine, la casa era affiancata dallabottega del fabbro.La matrice - Come la maggior parte delle matrici è in bronzo, anche se il colore quasiargentato fa pensare all'introduzione di piombo. La forma è "a scudo triangolare", lemisure 23 x 28 mm.Sul recto la legenda è inquadrata da un doppio filetto: quello esterno è liscio ed è assentelungo la base del triangolo; quello interno è decorato con punzonature e delimita anche ilcampo, occupato da uno scudo triangolare con croce di Sant'Andrea. Il verso è privo didecorazioni e dotato di una presa fissa con ansa circolare (diametro 4 mm) perl'immanicatura o la sospensione.La legenda - La legenda, ad intaglio, in lettere moderne, si svolge lungo il giro del tipario:+ S(igillum) (punto triangolare) SCOTII BONCOMPAGNIIl proprietario - Scotto Boncompagni compare in due documenti, datati rispettivamente al1226580 e al 1252581. Il primo è un Giuramento dei Consiglieri di Poggibonsi chepromettono alleanza con il Comune di Siena; qui Scotto Boncompagni compare cometestimone. Il secondo si tratta di un inventario di beni di tal Simone Guicciardi, redatto dalnotaio Ildebrandino da Ricovero a favore dei figli eredi. Scotto Boncompagni è nominatocome confinante di una casa posta «in aio della Senese» di proprietà del dufuntoGuicciardi. Il suo nome non compare invece nella lista dei notai di Poggio Bonizio dellametà del XIII secolo e del resto neppure la legenda del tipario riporta la qualifica lavorativa.Sembrerebbe quindi una matrice a carattere esclusivamente privato, anche se bisognaricordare che spesso, ma soprattutto nei piccoli centri, addirittura il podestà o il giudicepotevano omettere la professione, in quanto universalmente noti582.Un secondo reperto rinvenuto poco fuori la casa di Scotto lascia comunque pensare adun’occupazione connessa con cariche amministrative di tipo pubblico; si tratta di un sigilloplumbeo pendente per bolla papale di Onorio III (1216-1227), a profilo circolare e sezionepiena, decorata su entrambi i lati, con fori alle estremità per il passaggio del laccio chedoveva fissarlo ad una pergamena583.

23 – Il quartiere dei fabbri.Le botteghe artigiane legate alla lavorazione dei metalli (individuate dagli archeologi comeedificio 09, edificio 21 e edificio 31) si affacciavano sulla via principale ed in esse sisvolgevano delle attività specifiche ognuna rappresentativa delle diverse fasi del ciclo dilavorazione del ferro: il minerale veniva ridotto nell’edificio 21, la forgiatura avvenivanell’edificio 31 e la rifinitura nell’edificio 09. Erano artigiani specializzati che probabilmenteoperavano in sinergia e considerando nel complesso il tipo di lavorazione del metallosvolta e la collocazione spaziale delle botteghe, si può forse ipotizzare una sorta di catenaproduttiva articolate su tre diversi edifici. Un ulteriore elemento indiziario può esserericonosciuto nella comunicazione interna, attraverso una porta aperta su un vicolo concanaletta di scolo, che avveniva tra le due strutture in cui si realizzavano le fasi finali dellalavorazione (edifici 09 e 31). Come sappiamo, la documentazione scritta attesta perquesto periodo la presenza dei mestieri del faber, del ferrator e del chiavarius.L’edificio 21 era esteso 5,50 x 9,50 m e disposto ortogonalmente rispetto alla strada. Lenumerose testimonianze riconducibili alla pratica di attività metallurgica sono state

580 Caleffo Vecchio del Comune di Siena, I, n.234, pp.336-345, 21-26 novembre 1226.581 Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Bonifazio, 23 ottobre 1252.582 Sul sigillo in questione si veda BANDINI 1996.583 Confronto perfettamente identico nella raccolta di bolle in BASCAPE’ 1978, pp.17, 27, 82-83.

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individuate nella presenza di una struttura destinata alla riduzione del minerale. La zona dilavorazione, posizionata nei pressi dell’accesso ad un vicolo interno al quartiere largo 1,90m (necessario allo smaltimento dei fumi), era delimitata da un perimetro rettangolare dilaterizi al centro del quale venne costruito un forno costituito da una base circolare inlastre di travertino di medie e piccole dimensioni sormontata da una calotta in terraconcotta; un taglio di forma allungata praticato sul limite ovest lascia ipotizzare unafunzione di alloggio per ugello e quindi il posizionamento del mantice in questo lato.L’intero ambiente è inoltre caratterizzato dalla presenza di molti livelli di argilla concotta dicolore rosso, quasi violaceo, con abbondanti carboni, ceneri, pietre appiattite con tracce dimetallo fuso, scorie e resti di minerale ridotto non avviato a lavorazioni successive, chetestimoniano un lungo sfruttamento della bottega ed una successione di strutture di fornonel tempo. Oltre al minerale la lavorazione interessava, seppur in quantità minore, oggettiin metallo riciclato come insegne da pellegrino, fibbie, o “semilavorati” come chiodi, coltelli,puntali di pugnale, barrette già forgiate da riutilizzare ecc.L’edificio 31, molto danneggiato da spoliazioni moderne e dalle pratiche agricole avevadimensioni di 7 x 8 m ed era destinato ad attività di forgiatura; l’intera pavimentazione interra battuta, oltre che annerita, mostra ampie tracce di forti esposizioni al calore mentre lastruttura si collocava sul lato est dove sono stati individuati due tagli circolari riempiti daterra molto carica di carboni e numerose scorie di battitura; un piccolo vano a nord dovevainvece fungere da deposito della riserva di legna e carbone. I livelli di riempimento e diabbandono della forgia hanno restituito, oltre alle già menzionate scorie di battitura di variaforma e dimensione, delle barrette e delle lamelle, oggetti in metallo pronti per esserericiclati, oggetti in corso di lavorazione come una chiave con tracce di esposizione ad altetemperature all’altezza dell’ingegno, catene, fibbie, cunei e soprattutto chiodi da ferratura.La presenza di uno spillone da focolare, se non faceva parte del campionario dei prodotti,doveva essere stato impiegato per l’innescamento del fuoco. Lo scavo ha inoltreevidenziato che i residui di lavorazione venivano abitualmente scaricati all’esterno sulprospiscente piano stradale.L’edificio 09 aveva misure di 15 x 11 m, si componeva di quattro ambienti non tuttiinterpretabili nella loro funzione, era dotato di una piccola cisterna rettangolare concanaletta di scolo posta sul lato sud e vi si accedeva dalla strada principale. Le tracce dicotture ad alte temperature sono ampiamente evidenti in ognuna delle stanze (carboni,svariati punti di fuoco, tracce di lunghe esposizione al calore presenti sui piani di calpestio)ma il vano in cui avveniva la battitura a caldo od a freddo del prodotto semi-lavorato eraquello centrale (8,60 x 2,50 m); i resti di questa attività sono riconoscibili nella presenzasul pavimento ed in posizione centrale di una buca di forma ovale (85 x 50 cm), riempita diterra e pietre, che doveva fungere da alloggio per la base di sostenimento di un’incudineed i cui limiti esterni erano costituiti da argilla molto indurita ed annerita interpretabili comeprobabili resti della battitura. Qui probabilmente dovevano anche essere svolte leoperazioni di decorazione di alcuni dei pezzi rinvenuti (incisione, punzonatura, sbalzo estampaggio) nonchèil trattamento delle loro superfici tramite doratura o argentatura.Questa bottega era anche il luogo di vendita dei propri prodotti direttamente sulla stradaed il rinvenimento di un gran numero di monete (oltre 45 esemplari) sui piani pavimentali,evidenzia un abbandono improvviso dell'edificio.A queste officine si aggiunge un quarto caso: la bottega d’incerta interpretazione sortapoco distante dalla cinta muraria in corrispondenza di una delle case a schiera dellaseconda fila. Era articolata su due vani comunicanti, di forma quasi quadrata, con misuredi circa 5,70 x 5 m ognuno, contraddistinti dalla presenza di piani di argilla molto induritacon punti di cottura al centro. Nell’ambiente più esterno era stato realizzato un piccolovano laterale dotato di un grande mortaio in pietra ancora in situ.

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Le grandi restituzioni di reperti in vetro di ogni tipo, combinata con la presenza di ossaanimali e molte conchiglie di madreperla, fanno pensare ad una struttura produttiva legataal riciclaggio di materiale vitreo che forse veniva nuovamente lavorato. Questa bottega si dedicava comunque anche al riciclo di metalli; ambedue gli ambientihanno infatti restituito un numero molto ampio di esemplari pari a 375 oggetti fabbricatiprincipalmente in ferro (37 invece sono in bronzo, mentre soltanto due rispettivamente inpiombo e in argento e bronzo) suddivisibili in 13 categorie funzionali. Il numero cosìelevato di oggetti dipende dal grande quantitativo di chiodi presente nell’edificio: ben 190,attestati in varie forme e dimensioni ma non tutti collegati ad elementi strutturalidell’edificio. Anche gli elementi utilizzati nell’equipaggiamento del cavallo e del cavaliere enell’allevamento sono numerosi: sono stati rinvenuti 46 chiodi da ferratura, un ferro damulo, quattro fibbie ed un finimento relativi alla bardatura. 17 reperti sono relativiall’abbigliamento: si tratta di due applicazioni, un passante ed un puntale per cintura, unbottone, tre bubboli, sette fibbie, un finale per laccio e una placchetta applicativa per fibbia.Anche le armi sono relativamente numerose, 15, tutte ascrivibili alla tipologia delle punte difreccia da arco. Le applicazioni decorative insieme alle borchie, sono 11, mentre gli oggettirelativi a serrature, infissi e mobilio sono 10: tre elementi applicativi per mobilio, uncardine, due cerniere, tre chiavi ed un elemento di serratura. Lo strumentario domestico èlimitato a tre catene e quattro ganci, legati alla presenza di focolari, visto il rinvenimento dialcuni di essi in zone esposte a cottura prolungata. La lavorazione di pietra, legno ometallo è testimoniata dalla presenza di un cuneo, tre punte di tipo generico ed una puntadi trapano, mentre la lavorazione di cuoio, lana o tessuti si evince dalla presenza di dueditali ed un raschietto. La categoria dei coltelli riunisce quattro oggetti, compreso unpuntale. Sono presenti anche un anello di funzione generica ed un laccio. A chiudere lerestituzioni un pendaglio in argento e bronzo, con probabili funzioni di reliquiario, checostituisce un unicum all’interno del sito. La ricchezza quantitativa e qualitativa di questo corredo potrebbe far pensare ad altri tipi diattività svolte nell’edificio al di là della lavorazione del vetro, non inerenti la produzionemetallurgica, vista l’assenza di indicatori produttivi, ma forse legate alla loro raccolta e/osmistamento. In pratica potrebbe trattarsi di una sorta di rigattiere specializzato in vetro emetalli che, soprattutto per i primi, effettuava anche un primo trattamento (frantumazionenel mortaio e produzione di fritte?).M.V.

24 – La grande chiesa di XIII secolo (Pieve di Sant’Agostino).Le campagne di scavo 2004 e 2005 hanno visto l’apertura di una nuova nella zona sud-ovest della collina, dove erano visibili, in gran parte coperti dalla vegetazione, i ruderi diuna grande struttura in muratura. Il canonico Francesco Pratelli, nella sua Storia diPoggibonsi, riconduceva tali ruderi alla chiesa pievana intitolata a Sant’Agostino584.L’indagine archeologica sta portando alla luce i resti di un grande edificio religioso,costruito interamente in conci squadrati di travertino. Allo stato attuale delle indagini, lastruttura risulta scandita in tre navate da 8 campate (è però ipotizzabile la presenza,nell’area antistante alla grande cisterna, di almeno un’altra campata) da pilastriperfettamente quadrati (1,30 m circa per lato) che scandivano campate con una “luce”

584 In tutto sono note tre chiese (Caleffo Vecchio del Comune di Siena, I, n.11, pp.17-18, 15 settembre 1168;Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Bonifazio, 26 novembre 1180, 14 giugno 1188) di cui due giàindividuate dallo scavo. Sappiamo che le chiese venivano officiate dal proposto di Marturi per mezzo dei suoicanonici e dei suoi preti che dimoravano a turno in Poggio Bonizio, dove avevano un dormitorio. Questorisulta abbastanza chiaro dalla convenzione tra i chierici di Marturi ed il parroco di Talciona del 14 giugno1188, rogata in «Podiobonizi intus dormitorio clericorum supradicte plebis Marturensis» (PRATELLI 1929-1938 p.471 per la trascrizione integrale; Archivio di Stato di Firenze, Capitoli del Comune di Poggibonsi,XXVI, 76, 14 giugno 1188).

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media di 3,20 m. Il rinvenimento, durante la rimozione con mezzo meccanico dellavegetazione, di un monumentale capitello in travertino a base quadrata, decorato a fogliesu due dei quattro lati, conferma la scansione interna a pilastri quadrangolari e denotal’importanza dell’edificio. La decorazione a fogliame, di accurata fattura, su due dellequattro facce del capitello indica che era probabilmente utilizzato in una semicolonnad’angolo.Il confronto con la vicina chiesa riconosciuta come Sant’Agnese conferma le dimensionieccezionali dell’edificio religioso in corso di scavo; sono misurabili 47 m di lunghezza x21,20 m di larghezza, con una estensione planimetrica finale stimabile (se calcoliamol’esistenza di almeno un’altra campata, ancora da scavare, situabile nell’area antistantealla grande cisterna circolare) in 60-65 m circa x 21,20 m.L’analisi delle murature ha evidenziato la presenza di tre differenti tipologie costruttive checontraddistinguono le principali murature dell’edificio religioso. Le tecniche riscontraterientrano tutte nel tipo di apparecchiatura cosiddetta romanica: conci squadrati posti sufilari orizzontali e paralleli.Un paramento in conci squadrati ma con faccia a vista non spianata, semplicementesbozzata a picconcello, è caratteristico della muratura di tre pilastri quadrati di grandidimensioni (3,20 m di lato), situati nella parte sud-ovest dell’area: diversi per dimensioni etecnica costruttiva dagli altri pilastri dell’edificio, sono forse riconducibili ad una strutturapiù antica, al momento difficilmente interpretabile.Il muro perimetrale sud ed i pilastri della navata laterale della chiesa presentano invecetutti tecnica simile, in conci di travertino perfettamente squadrati e spianati ad ascettinocon nastrino lavorato a scalpello a lama piana. Questo tipo di muratura è quellamaggiormente attestata all’interno dell’edificio, caratterizzando sia l’elevato del muroperimetrale sud della chiesa sia i pilastri della navata laterale: a questa tipologia costruttivava probabilmente attribuito l’impianto principale dell’edificio religioso. La tecnica sicaratterizza per un abile utilizzo di conci perfettamente spianati alternati ad altri, più rari,non perfettamente lavorati, a creare alternanza e movimento nel tessuto murario.La terza tecnica, simile alla seconda, si distingue da questa per l’utilizzo esclusivo di concidi travertino perfettamente spianati e squadrati e per una minore altezza dei filari (sonopressoché rettangolari, a differenza degli elementi lapidei utilizzati nelle altre due tecnicheriscontrate, di dimensioni maggiori e posti in opera spesso per faccia quadra); è attestatain un unico caso, in entrambi i paramenti di un muro “a catasta” posto a chiudere lo spaziodella seconda campata sud-ovest dell’edificio. Per lavorazione, tecnica di esecuzione etipologia costruttiva, le murature caratterizzanti l’edificio sono probabilmente riconducibili aiprimi decenni-metà XIII secolo.Alle fasi di vita della chiesa è collegabile un’area cimiteriale sviluppatasi esternamente,lungo i muri perimetrali meridionale e occidentale; allo stesso modo le sepolture infantiliindividuate all’interno della navata centrale e laterale meridionale.Sul lato meridionale della chiesa, addossate al muro, erano state costruite alcune tombecon cassa litica, orientate in direzione nord-sud, dove gli inumati venivano deposti con latesta rivolta a nord; erano realizzate in conci di calcare e pietra legati da malta eprobabilmente dotate di lastre di copertura. Si tratta di sepolture multiple con riduzionedegli individui precedentemente deposti all’interno delle strutture. Una di queste si èrivelata di grande interesse in quanto al di sotto e intorno al cranio di uno degli individuisepolti al suo interno, sono state rinvenute quattro conchiglie di Santiago di Compostelaforate ai margini, come per essere cucite ad un abito o per farvi passare un laccetto incuoio, appartenenti probabilmente ad un pellegrino.Il lato occidentale della chiesa doveva presentare un’organizzazione similare. A causadella quota molto vicina al piano di campagna, si sono conservate però solo due strutture,contenenti inumati in pessimo stato di conservazione.

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Nella navata centrale ed in quella laterale meridionale sono emerse numerose sepolturepertinenti per lo più ad individui di età compresa fra 0 e 6 anni. Si tratta di casse litichecostituite da conci in pietra di piccola pezzatura o da laterizi di reimpiego, talvolta dotate diuna parziale copertura in lastre di calcare. Al loro interno, i corpi furono inumati inposizione fetale o supina, senza corredo. Tutte le tombe si trovavano al di sottodell’originario piano pavimentale della chiesa.Dopo la distruzione di Poggio Bonizio (1270) sembra verosimile che almeno in una partedell’edificio, seppur parzialmente in rovina, si sia continuato a seppellire e a celebrarequalche funzione religiosa, come attestano anche i due loculi in muratura, databili tra XVIIe XVIII secolo, rivenuti nella parte sud-ovest della navata meridionale. Tale considerazioneconcorda con la notizia di Pratelli che riporta come nel 1660 il clero poggibonsese usavaancora recarsi in processione presso i ruderi molto vistosi585.M.A.C., E.G.

25 - Poggio Bonizio e Colle Valdelsa: confronto tra due central place.Dalla fine del XII secolo, la Valdelsa mostra una storia territoriale atipica a confronto delresto della Toscana. Come ha sintetizzato Wickham, tratteggiandone il carattere difrontiera tra XI e XII secolo, la marginalità politica di quest’area (posta al confine di quattrocittà: Siena, Firenze, Volterra e Lucca), unita all’attraversamento della via Francigena,della Volterrana ed alla notevole pressione demografica, costituivano il motorepotentissimo dello sviluppo economico586. La valle si differenziava dalle aree limitrofeassumendo un’identità distinta: divenne una zona di grandi nuclei urbani.

Tra la fine del XII secolo e gli inizi del XIII secolo i centri maggiori, ampliatisi e connotati da

una crescente vocazione economica multiforme, si resero autonomi e continuarono nella

programmazione del proprio sviluppo demografico e produttivo. I tre grandi nuclei urbani di

Colle, Poggio Bonizio e San Gimignano rappresentarono nella valle il punto di riferimento

per i centri minori come Gambassi o Casole, anch’essi peraltro sviluppatisi sia

demograficamente sia territorialmente che istituzionalmente. La loro crescita rappresentò

una nuova forma di organizzazione della campagna, dove costituivano una seria

alternativa al potere delle grandi città ed all’attrazione sui loro mercati.

Più nello specifico, alla volontà signorile, al carattere di zone strategiche ed alla presenzadi una rete viaria di importanza primaria si lega sia la nascita del castello di Poggio Boniziosia quella del castello di Colle ed il loro successivo sviluppo in agglomerati urbani. Mentre la fondazione e la crescita di Poggio Bonizio, come abbiamo visto, risultano miratee programmate alla creazione di un evidente central place, Colle mostra una tendenzamolto simile, pur se con implicazioni topografiche e politiche diverse.Il territorio di Colle racchiudeva circa 46 kmq, inserendosi quindi in un’area quasi ugualeper estensione a quella di Poggio Bonizio, ed il castello si collocava a distanze mediepressochè identiche dai centri circostanti (intorno ai 4 km Colle; oltre 3,8 km PoggioBonizio). Anch’esso rappresentava il centro economico e di mercato principale; dal puntodi vista topografico; rivela inoltre lo stesso modello insediativo: un nuovo centro diriferimento per la zona, destinato a crescere. La sua posizione spostata verso nord ovest(media distanza dai centri a sud 4,62 km; media distanza dai centri del nord 2,93 km; unadifferenza di 1,69 km) non contraddice la modellizzazione; l’agglomerato si sviluppa suglispazi più vicini alla strada Volterrana tra quelli soggetti agli Aldobrandeschi.A Poggio Bonizio i Guidi sono inseriti in un gioco delle parti più ampio, di cui sonoprotagonisti assoluti Siena e Firenze, mentre la nobiltà locale ha un ruolo più marginale e

585 PRATELLI 1929-1938, pp.52-60.586 WICKHAM 1998a.

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non di primo piano tanto che deve obbligatoriamente schierarsi. A Colle, invece, losviluppo di una realtà urbana ha motivazioni diverse. I signori del luogo, gliAldobrandeschi, dovevano avere proprietà già estese a Piticciano già prima dell’XIsecolo587, un'area probabilmente caratterizzata da popolamento dislocato su poderiaccentrati. I prodromi della crescita e della trasformazione del nucleo sono rintracciabilinella volontà aldobrandesca di affermarsi patrimonialmente ai danni del vescovovolterrano con l’occupazione della Pieve a Elsa, consolidare diritti e proprietà e controllareda vicino il traffico di immissione sulla strada Volterrana; a tal fine edificano anche ilproprio monastero di famiglia: San Salvatore a Spugna.Nel luogo di Piticciano nacque quindi un centro insediativo che tra la fine dell'XI secolo el'inizio del XII secolo doveva ormai essere ben formato588. La conferma dello sviluppo diuna realtà consistentemente insediata e controllata dagli Aldobrandeschi, con il supportodei monaci di Spugna attivi in una politica di espansione anche sul territorio circostante, siha ancora ventitre anni più tardi, quando nel giuramento di fedeltà a Firenze prestato dalconte Uguccione si citavano come pegno di alleanza la rocca di Sillano, il castello diTremali e Colle novo, qui Pititiano vocatur589.Il radicamento della famiglia rese Colle il più importante centro nodale della zona etopograficamente vediamo almeno sei tratti viari convergere a ragnatela sull’insediamentoda nord. Inoltre vi si riunivano i raccordi di altri centri nodali primari come Galognano per ilterritorio poggibonsese ed il Chianti e Gracciano per i tratti provenienti da un ulteriorepunto nodale, quello di Abbadia a Isola, che conseguentemente venivano posti in secondopiano590.L'ampliamento demografico conseguì molto probabilmente anche in questo casoall'immigrazione di famiglie dai villaggi circostanti, spinti sia dall'attrattiva rivestita da unnucleo insediativo in piena crescita sia dai pericoli legati dalle politiche espansionistico-militari di Siena e Firenze su tale area della Valdelsa.In conclusione, Poggio Bonizio e Colle furono ambedue fondati per iniziativa signorile; allabase ci furono motivazioni diverse (garantirsi alleanza con Siena e rafforzarsi controFirenze per i Guidi; affermazione del proprio potere economico e territoriale a danno diVolterra per gli Aldobrandeschi), forma originaria simile (ambedue castelli), processievolutivi urbani anch’essi simili ma con tempi diversificati (immediata crescita dietroprogrammazione a Poggio Bonizio; crescita più graduale a Colle), scelte topograficheuguali (zone di convergenza dei principali tratti stradali e creazione dei più importanti centrinodali), centralità primaria ma con valore diverso (più spiccata a Poggio Bonizio per ilruolo strategico rivestito e per essere immediatamente a contatto con la strada nella zonapiù centrale della Valdelsa).Per questi due casi si può parlare di un nuovo tipo di castello, le cui caratteristiche sono:- fondazione da parte di un potere signorile forte (laico od ecclesiastico);- grandi estensioni che superano facilmente i 2-3 ettari;- presenza di strutture monumentali;- frequente assenza di cassero;- pianificazione nell’articolazione degli spazi;

587 SCHNEIDER 1975, pp.269-270, n.233.588 Si doveva estendere sino all'attuale Piazza del Duomo; la bolla concistoriale di Pasquale II del 1115, indicainfatti tra le chiese dipendenti della Pieve a Elsa la cappellam sancti Salvatoris de Colle veteri cumpertinentiis, quest'ultima poi inglobata nell'attuale duomo di Colle nel XVI secolo (Archivio di Stato di Firenze,Comune di Colle, 27 Novembre 1115; SCHNEIDER 1907, n.152, p.55, 27 Novembre 1115; NINCI 1995, p.10,n.5; NINCI 1996, p.14).589 SANTINI 1895-1952, pp.1-3.590 La stessa costituzione di Spugna non sembra topograficamente slegata dalla strada; il monastero andavaad inserirsi sugli spazi migliori per essere vicino a Colle ed al tempo stesso mediare i due punti nodali ad este sud est.

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- carattere di central place (attrazione della popolazione dagli insediamenti circostanti).Il progressivo sviluppo topografico di Colle giunse a compimento agli inizi del XIII secolo;le due parti distinte dell’insediamento (il castellum Piticcianum, qui Colle vocatur591 ed ilCastronovo colle cum pertinentiis suis592) ebbero un raccordo urbanistico definitivo con laformazione del burgus de Colle de Valle Else593, sviluppatosi grazie al forte poteresignorile dei conti Alberti di Certaldo sostituitisi alla Badia fiorentina detentrice di proprietànella zona: fu un tentativo di controllare il nuovo agglomerato sostituendosi all'autoritàcomitale.Firenze era riuscita dal 1138 a stabilirvi un presidio, che mantenne fino all’interventoimperiale in Toscana avvenuto circa trent’anni più tardi594. Le finalità dell’occupazionefiorentina erano duplici: liberare il punto d’incrocio delle strade per Volterra e per Grosseto,dominato dal castello e sul quale i conti dovevano avere imposto un pedaggio595;allontanare gli Aldobrandeschi dal Comitato fiorentino, colpendoli in corrispondenza deidomini più lontani dal loro raggio d’influenza ovvero il mezzogiorno del senese e laMaremma grossetana.Nella società colligiana convivevano ancora due realtà differenti: le proprietà detenute dacittadini fiorentini e senesi e la persistenza di diritti dei conti Aldobrandeschi e dei contiAlberti di Certaldo596. Il forte incremento demografico e lo sviluppo di floridi mercati sugrandi arterie tali da attrarre persone anche dalle località più distanti, come a PoggioBonizio portarono ad una diversa configurazione sociale dove la nobiltà e l’ingerenza dellecittà venivano gradualmente emarginate. L’organizzazione comunale era ormaipreponderante e, con la parallela decadenza del monastero di Spugna, seguì il declinodella famiglia fondatrice. Ciò è testimoniato anche dalla costituzione di una SocietasFranchorum597 da parte di dipendenti dell'abbazia, agricoltori e artigiani sottrattisi aldominio signorile e stanziatisi a valle, organizzati in una sorta di confraternita o consorteria(Franchi = affrancati) che influenzò la nascita del Comune già dall'ultimo decennio del XIIsecolo598.Agli inizi del XIII secolo si osserva inoltre l’esistenza nel castello di zone lottizzate edestinate all'immigrazione, all'interno di una programmazione guidata dagli stessi leaderdella comunità; una situazione uguale è stata rinvenuta anche a Poggio Bonizio.In questo periodo la popolazione dell’intera valle doveva essere molto estesa; i nuovicapoluoghi attirarono gente dagli insediamenti vicini, ma lo sviluppo economico dovetteindirizzare persone anche nelle campagne. L'autonomia ormai raggiunta dai grandi castellie le loro trasformazioni portarono alla definizione dei rispettivi territori distrettuali599; tra

591 Si vedano MOROZZI 1777, p.56; KEHR 1908, n. 29, pp. 274-276, 23 Novembre 1183; NINCI 1995, p.10 en.7; NINCI 1996, p.14.592 Archivio di Stato di Firenze, Comune di Colle, 27 Novembre 1115; SCHNEIDER 1907, n.152, p.55, 27Novembre 1115; NINCI 1995, p.10 n.5; NINCI 1996, p.14.593 Archivio di Stato di Firenze, Comune di Colle, 26, cc. 24v-26v, 1201; NINCI 1995, p.10 e n.4; più tardidefinito anche burgo superiori: Archivio di Stato di Firenze, Comune di Colle, 14 febbraio 1227; inoltre NINCI1995, p.10 e n.4.594 Firenze, nonostante la sua ingerenza si protraesse negli anni, non riuscì comunque ad imporre uncontrollo stabile, tanto che nel 1175 i colligiani apparivano come alleati di Siena: Caleffo Vecchio del Comunedi Siena, I, n.14, pp.20-26; 22 Marzo 1175.595 Ne abbiamo notizia nel 1202; DAVIDSOHN 1896-1927, p.630 e n.3.596 Archivio di Stato di Firenze, Comune di Colle, 26, cc. 24v-26v, 1201; NINCI 1995, p.15.597 Citata in numerose carte del XIII secolo. NINCI 1995, p.10, n.8; DINI 1900, p.211, 1 Gennaio 1218;.SCHNEIDER 1907, n.368, p.130, 9 Dicembre 1218.598 In questo periodo si hanno le prime attestazioni di boni homines e consoli; CAMMAROSANO, PASSERI1984, p.64.599 Colle tra gli anni 1200-1231 consolidava il proprio territorio a scapito del vescovo di Volterra occupando icastelli di Pulicciano, Ulignano, Gambassi e Montignoso in alleanza con San Gimignano, con il quale

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1206-1209 Colle formalizzò i confini territoriali con San Gimignano e con PoggioBonizio600. Risulta significativa l’estensione iniziale del distretto, corrispondente al poligonodel central place: occupando gli spazi che topograficamente gli ruotavano intorno, il centroaveva assolto, dal punto di vista geografico, la funzione per cui era nato601.Anche nel caso di Poggio Bonizio osserviamo la stessa tendenza602. Il confine ovest vieneautenticato dal confine est di Colle; la linea di demarcazione nord (Casaglia)603, est(Talciona)604 e sud (Galognano)605 trova ampia documentazione606.Gli allargamenti di Colle a Montegabbro e Partena, nonchè di Poggio Bonizio a Staggia eScarna tra il 1221 ed il 1245 rappresentano i successivi movimenti espansionistici dei duecentri607. In questo momento Poggio Bonizio e Colle erano nel pieno del loro sviluppo.L’economia del primo si articolava su un equilibrio tra attività legate allo scambio ed attivitàfinalizzate alla produzione agricola tramite una fitta rete di mulini circostante608.L’economia del secondo aveva visto lo sviluppo dei settori artigianali e manifatturieri, comela lavorazione della lana ed attività di forgiatura dei metalli, ed il consolidarsi dellatradizione agricola. Dalla prima metà del XIII secolo i fabbri e gli spadari colligiani siaffermarono come una importante forza economica e sociale (occupavano addiritturaun'intera zona all'interno dell'insediamento), che riforniva quasi monopolisticamentel'importante mercato senese609.Il successo di tali settori fu molto marcato ed ebbe un’espansione anche sul territorio,come mostra la ricognizione archeologica nella zona nord di Colle probabilmentespecializzata in tali produzioni: ben 4 forni da ferro e 5 piccoli complessi articolati suun’abitazione ed un forno da ferro databili tra la seconda metà del XIII secolo ed il XIVsecolo. Queste strutture si disponevano su spazi che permettevano con estrema facilità

puntualizzò anche alcune norme in fatto di restituzione dei villanos provenienti dal territorio sangimignaneseai loro domini (il central place continuava ad attirare persone) e delimitò i propri territori (WALEY 1996, pp.12-23).600 BIADI 1859, p.56, che cita la carta contenuta in Archivio di Stato di Firenze, Dipl. Colle, 10 gennaio 1206.Inoltre SERCHI 1956, n.10, p.43; 10 Agosto 1209. Si veda poi CIAMPOLI 1996, pp. 56-65 (Libro Bianco, 10agosto 1209): 5, pp. 65-69 (Libro Bianco, luglio-agosto 1209).601 Il poligono tracciato per Colle, come abbiamo visto, comprende Galognano, Scarna, Gracciano, Pieve aElsa, Mensanello, Santinovo, Lano, Quartaia, San Donato in Poggio, Coneo, Picchena, Foci, Monti, Bibbiano,Padule, Pino, Bucignano, Castiglioni.Il confine settentrionale Picchena-Castiglioni è documentato nei patti redatti tra 1199-1231; ed allo stessomodo sappiamo che il confine meridionale Scarna-Lano, tagliando fuori Partena, demarcava le aree dipertinenza senese e volterrana. Partena fu inclusa nel territorio di Colle solo dal 1245; si veda FICKER 1868-1874, n.395, pp.408-409; 2 Agosto 1245. Quartaia e Lano facevano parte del territorio colligiano sino dagliinizi del XII secolo (si veda Regestum Volaterrano, n. 152, p. 55; 27 Novembre 1115 per il privilegio a favoredella Pieve d’Elsa e KEHR 1908, n.29, p.274; 23 Novembre 1183 per la bolla di Lucio III a favore delmonastero di Spugna). Scarna demarcava il territorio senese e fu consegnata a Poggio Bonizio nel 1245).602 Il poligono tracciato tra Casaglia, La Valle, Cedda, Villole, San Fabiano, Lecchi, Galognano, Castiglioni,Bucignano e dalle chiese di Pino e Padule trova conferma topografica e storica.603 Casaglia segnava il confine con San Gimignano; si veda CIAMPOLI 1996, 4, pp.56-65 (Libro Bianco, 10agosto 1209): 5, pp.65-69 (Libro Bianco, luglio-agosto 1209).604 Talciona era compresa nei confini di Poggio Bonizio sino dal lodo di Ogerio del 1203 (Caleffo Vecchio delComune di Siena, I, n.65, pp.90-93; 4 Giugno 1203).605 In PRATELLI 1929-1938, pp. 480-481 ne viene attestata l’appartenenza alla pieve di Marturi per il 1130.606 La zona di Staggia fu ceduta a Poggio Bonizio nel 1221; Caleffo Vecchio del Comune di Siena, n.168,p.236; SCHNEIDER 1911, n. 594, pp.263-264; 10 Luglio 1221.607 Caleffo Vecchio del Comune di Siena, n.168, pp.236; SCHNEIDER 1911, n.594, pp.263-264; 10 Luglio1221. Caleffo Vecchio del Comune di Siena, I, 168, 1221, luglio 10; Caleffo Vecchio del Comune di Siena, I,170, 1221, luglio 10-12, pp. 239-249; FICKER 1868-1874, IV, n. 395, pp. 408-409; 2 Agosto 1245.608 In questo periodo sono per esempio attestati nove mulini lungo l'Elsa appartenenti al monastero di Marturi(Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Bonifazio, 10 ottobre 1257).609 Dovevano porsi quasi interamente nel Borgo di Santa Caterina (NINCI 1995, p.20); MUZZI 1995, pp.239-240.

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l’accesso ai territori di Poggio Bonizio e San Gimignano, al mercato colligiano ed alle vieFrancigena e Volterrana.La crescita dei centri ed il loro consolidamento sul territorio andarono di pari passo con iripetuti tentativi fiorentini e senesi di estendere il loro controllo. Siena capì per primal’importanza strategica insita nella fondazione di Poggio Bonizio, cooperando erafforzandone i confini; Firenze invece si inserì a Colle per quasi un trentennio e strinsecon essa ripetuti patti di alleanza610. Con la seconda metà del XIII secolo, i dueinsediamenti rinforzarono così le proprie difese. Colle fu interamente fortificata, con unaprogettazione dei lavori forse iniziata poco dopo il 1269611; dagli Statuti del 1307 risultainfatti cinta di mura e ripartita in quattro contrade612. A Poggio Bonizio venne costruita unanuova cinta muraria che, oltre a sostiuire quella primitiva, inglobava una parte del borgo.M.V.

26 - I consumi in carne a Poggio Bonizio.Durante i 115 anni di vita di Poggio Bonizio la fauna dell'insediamento era caratterizzatada specie di tipo domestico; tra le ossa si riconoscono soprattutto bovini, suini, caprovini,ed in minor numero conigli, gatti e cani. Gli animali di grossa taglia sono maggiormenteattestati, in particolare i bovini, che risultano la specie più diffusa, e gli equidi (cavallo edasino) praticamente quasi assenti nel periodo altomedievale. Aumenta anche lapercentuale di suini rispetto ai caprovini mentre i cani sono stati riconosciuti per lapresenza di ossa con evidenti tracce di masticazione.Per i bovini e gli equidi non sono emersi individui giovani; questi animali venivano quindiancora utilizzati soprattutto come forza lavoro o mezzo di trasporto e consumati quando illoro apporto produttivo cessava. Per quanto riguarda i suini sono state individuate duetendenze principali d'età: una discreta percentuale del campione è compresa tra 0 e 2anni, mentre la maggior parte ha età superiore ai quattro anni, pochissimi sono invece gliindividui compresi tra i due e i quattro anni. L'allevamento dei suini risulta quindi mirato alcommercio; alcuni individui adulti venivano destinati alla riproduzione fino a quando il lorociclo era redditizio e poi immessi sul mercato; il grosso dei capi era invece macellatogiovane quando cioè la resa in carne è maggiore e di miglior qualità. Anche i caprovinipresentano solo individui adulti e dovevano essere allevati forse a livello "domestico", cioèpraticato in ambito familiare, unicamente per la produzione casearia e di lana, comesembra dimostrare la percentuale secondaria rispetto alle presenze di bovini e di suini.Le rivendite attive a Poggio Bonizio dovevano approvvigionarsi presso villaggi e poderi delcircondario impegnati nell'allevamento delle specie di grossa taglia, come bovini ed equini,immesse nel circuito di vendita della carne solo in tarda età; allo stesso modo i caprovinierano destinati alla vendita od al consumo quando giungeva a termine il loro cicloproduttivo; solo i suini venivano invece allevati per il consumo. L'intera popolazione consumava una notevole quantità di carne nel XIII secolo. Leabitazioni caratterizate da un maggiore tenore economico avevano una dieta impostata suibovini, in particolare i tagli provenienti dall'arto posteriore, e su giovani suini. Il consumoattestato nelle abitazioni che sembrano meno abbienti era invece basato solo su carniprovenienti da individui anziani; in questi casi la specie maggiormente attestata è il suino,

610 Colle nel 1208 era alleata di Firenze nella guerra contro Siena; nel 1221 si pose in lega con Siena ePoggio Bonizio contro Firenze e l'anno dopo, a seguito della sconfitta senese, rivolse le armi contro gli alleatiin ritirata; nel 1232 si alleò nuovamente con i fiorentini. Dopo essere divenuta vicariato imperiale nel 1241 sialleò con San Gimignano contro Poggio Bonizio nel 1252.Divisa politicamente fra fazioni filo-senesi e fazioni filo-fiorentine, dopo la battaglia di Benevento del 1266 (chesegnava una pesante sconfitta del ghibellinismo) Colle si legò definitivamente ai secondi (CAMMAROSANO,PASSERI 1984, p 64).611 BASTIANONI 1970.612 Archivio di Stato di Firenze, Comune di Colle, 1, cc. 51r-83v e 87r-88v; NINCI 1995, pp.17-18 e n. 35.

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seguono poi in più bassa percentuale bovini e caprovini per i quali la scelta era rivoltaquasi esclusivamente ai quarti anteriori, quelli più poveri in resa di carne.Pisa è il contesto urbano più vicino con il quale effettuare confronti. Nello scavo di PiazzaDante, in fasi comprese tra XII e XIII secolo, sono stati rilevati i dati faunistici di alcunecase torri, di una struttura abitativa di minore tenore economico e di un'area nonidentificata con precisione613. Nel complesso si riconoscono molti punti di contatto per lespecie attestate e cambiano leggermente le età degli animali macellati. Se a Pisa si puòosservare il mercato della carne di una grande città, le differenze con Poggio Bonizio (unnucleo di 5000-7000 abitanti) sono però quasi esclusivamente rintracciabili a livello di fontidi approvvigionamento.Mentre nel centro valdelsano gli animali, con l'eccezione del maiale, venivano importati daaziende rurali che immettevano esemplari soprattutto adulti, a Pisa ci si riferiva invece conmolta probabilità a centri specializzati nell'allevamento per la vendita. Nelle case torri siosserva infatti un consumo di carni molto variegato; era articolato su caprovini (il gruppopiù numeroso ed in età compresa tra i 2-3 anni)614, suini (in due gruppi: con età di un annoe con età oltre due anni; qui il parallelo con Poggio Bonizio è molto calzante) e bovini(bestie giovani, sui 2 anni di età, ma anche bestie semi-adulte).Nella struttura di minore tenore economico le similitudini con Poggio Bonizio sono ancorapiù evidenti. Veniva consumata molta carne di caprovino e di suino e pochissima dibovino; si tratta in tutti i casi di individui anziani per i quali è ipotizzabile un costo minore.Una seconda area di scavo (il cosiddetto Settore II) che non permette, per l'alto grado dialterazione, il riconoscimento di edifici integri, lascia comunque intravedere una zonacaratterizzata da un tenore economico simile. Anche qui si consumavano bovini, caprovinie suini; la carne di bovino era scarsa e relativa ad individui molto adulti; la carne di maialee di caprovino proveniva sia da capi giovani che da capi adulti. Anche la caccia, perPoggio Bonizio inesistente, era praticata a Pisa solo per gli animali di grossa taglia: nonveniva finalizzata alla mensa (sono solo poche le ossa di cervo rinvenute) piuttosto perprocurarsi trofei come mostra il cranio con corna appartenente ad un capriolo.Altre realtà indagate archeologicamente come Argenta (FE) e Tuscania (VT)rappresentano centri demici di notevole spessore, delle “quasi città”, che consentono diconfrontare i consumi in carne con Poggio Bonizio.In questi centri minori di popolamento, le specie domestiche rappresentavano la principalefonte carnea, anche se il rifornimento avveniva secondo modalità diverse. Tuscania era uninsediamento spiccatamente rurale, dove l’attività dominante sembra risolversi

613 BRUNI 1993.614 Analogamente, in altre città del XIII secolo, si nota la costante superiorità dei capriovini; il dato èsicuramente da ricollegare ad un periodo di forte espansione dell’agricoltura, che subirà invece un regresso apartire dal XIV secolo a favore di un’economia improntata maggiormente sullo sfruttamento dell’incolto perl’allevamento, dunque in buona parte mirato alla produzione di carne. A Genova, per esempio, dove sonostati rinvenuti due campioni di XIII secolo provenienti da zone distinte della città alle quali corrispondono duerealtà sociali diverse, è confermata la presenza superiore di capriovini: nei livelli ortivi del complessoconventuale di S. Agostino e nello scarico di rifiuti utilizzato dai Fieschi, una famiglia nobile tra le più potentinella Genova del tempo (BIASOTTI, ISETTI 1981). A Pavia, nella torre civica, dove sono emerse stratigrafiedatabili tra fine XI e inizi XVI secolo, si rileva una superiorità costante di capriovini; invece è interessante ladiminuzione dei bovini tra XI e XIII secolo e la successiva ripresa nel corso del XIV secolo a danno dei suini(BARKER, WHEELER 1978, p. 254), probabilmente a causa di un processo generale di crescita dell’incolto, apartire dal XIV secolo: sfruttato per il pascolo e la produzione, quindi, di carne bovina, assicura la maggioredisponibilità di risorsa carnea per il consumo. Anche nella Firenze di XIII secolo, i capriovini sono la speciemaggiormente presente nei rifiuti di pasto. I resti trovati in un pozzo di seconda metà del XIII secolo, rinvenutoin Piazza della Signoria, evidenziano una superiorità a dir poco schiacciante dei capriovini rispetto alle altrespecie; in un altro pozzo, posto in via de’ Castellani, nel quale il materiale presente è riferibile ad un lassocronologico più ampio (1350-1550), i capriovini sono ancora le specie più abbondanti; si evidenzia però unaumento dei bovini, tra i quali si registra la comparsa di vitelli non segnalata nel pozzo di Piazza dellaSignoria. Si veda CORRIDI 1995, p.332.

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nell’allevamento ovino615. Poggio Bonizio era un centro che si sviluppava lungo uno degliassi della Francigena, era caratterizzato da una spiccata attività commerciale, in cui glianimali, con l’eccezione del maiale, venivano importati da aziende rurali che rifornivanoesemplari soprattutto adulti ed al termine del loro ciclo produttivo. Argenta, nel corso delXIII secolo, era un insediamento rurale caratterizzato da un’attività spiccatamente agricolasu cui l’arcivescovo di Ferrara esercitava diritti comitali, ed era inoltre utilizzato comeresidenza estiva di quest’ultimo.La provenienza dei campioni faunistici è diversa nei tre contesti analizzati. A PoggioBonizio i resti ossei provengono da diversi livelli di frequentazione dell’abitato, a Tuscaniasono stati recuperati dai riempimenti di alcune cisterne e pozzi616, mentre ad Argenta i restianimali provengono dal riempimento di un canale per la bonifica del territorio circostante ilnucleo urbano, avvenuto tra l’ultimo quarto del XIII secolo e i primi decenni del XIV secolo.In tutti i casi si tratta comunque dei resti di pasto o scarti di macellazione.La prima differenza evidente, tra gli insediamenti esaminati, riguarda il rapportopercentuale tra le specie rinvenute: Tuscania e Poggio Bonizio presentano entrambi unamaggiore percentuale di capriovini, mentre ad Argenta risulta maggiore la presenza dibovini.L’allevamento dei bovini era in tutti gli insediamenti finalizzato principalmente allosfruttamento del bestiame come risorsa viva, probabilmente come forza lavoro nei campi.Lo sfruttamento dei capriovini risulta invece differenziato; negli insediamenti toscano elaziale erano impiegati principalmente per la produzione di beni secondari (lana eformaggio)617, mentre una piccola parte delle greggi era destinata al consumo. Visto ilbasso valore percentuale degli individui giovani, cioè in età compresa tra il primo ed ilsecondo anno, è probabile che non fosse praticato un vero e proprio allevamento per laproduzione di carne ma che i soggetti destinati al consumo rappresentassero delleeccedenze nelle greggi: maschi in eccesso e femmine sterili. Ad Argenta, invece, icapriovini erano custoditi principalmente per la produzione di carne; più della metà della“popolazione” rinvenuta è infatti composta da individui che hanno un’età massima di dueanni, mentre secondario era l’allevamento per la produzione di latte e lana.La presenza di greggi poco numerose di capre e pecore, rappresentata dal basso valorepercentuale nel campione, sembrerebbe imputabile alle costrizioni ambientali delferrarese, dove la bassa percentuale di capre e pecore era determinato dai pascoli umidi,che risultano nocivi a queste specie618. Non è perciò escluso che i capriovini giovanifossero in realtà giunti nell’insediamento attraverso il mercato per mezzo di fornitorilontanti. Anche a Poggio Bonizio, la distribuzione anatomica di capre e pecore hapermesso di evidenziare un’importazione di carne dall’esterno; qui le aziende rurali cherifornivano il mercato dovevano però trovarsi nel territorio limitrofo, in quanto la Valdelsaed il Chianti non costituirono mai un problema per lo stato di salute delle greggi ovine ecaprine. L’ambiente dovette realmente rappresentare un fattore determinante nellestrategie di allevamento adottate nel territorio ferrarese, viste le notevoli analogie delcampione di Argenta con la città di Ferrara dove tre delle quattro zone della città, indagatearcheologicamente, hanno restituito una frequenza maggiore di bovini619.Le strategie adottate per l’allevamento dei suini sono anch’esse risultate diverse traArgenta e gli altri insediamenti. A Tuscania e Poggio Bonizio, i maiali venivano solitamente

615 BARKER 1973, p.159.616 BARKER 1973, p.161.617 A Poggio Bonizio come a Tuscania l’età media di abbattimento dei capriovini risulta generalmente al dispora dei tre anni, quindi quando l’apporto produttivo dei soggetti iniziava a decrescere, per Tuscania vediBARKER 1973, p.161.618 FARELLO 1994, p. 490.619 Si veda Tabella 1 in FARELLO 1994, p. 489.

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macellati tra il primo ed il secondo anno, cioè nel momento di massima resa dell’animale;ad Argenta l’età media dei decessi di suini è intorno all’anno, ad indicare un tipo diallevamento in cui la popolazione veniva rinnovata ogni anno a discapito di una maggioreresa.F.S.

27 - Gli ultimi decenni di Poggio Bonizio. Seconda metà del XIII secolo.La riprogettazione della zona sommitale e della viabilità, la forma del borgo individuatatramite fotointerpretazione, molto probabilmente articolato in lotti di edifici raccoltiall'interno di una rete viaria per linee parallele con andamento regolare e continuo che sidispongono sia in verticale che in orizzontale, formando una maglia molto fitta edapparentemente a scacchiera, lasciano ipotizzare l'esistenza di una volontà diregolamentazione del tessuto urbano. Sembra quindi che si voglia continuare a guidare losviluppo topografico dell'insediamento. In questi anni le vicende politiche di Podium Bonizi si erano legate strettamente a quelledel partito ghibellino, promuovendo azioni apertamente ostili verso Firenze. Già nel 1221si alleò con Siena in funzione antifiorentina ottenendo l'allargamento del proprio territoriosino al castello di Staggia620. cinque anni dopo l'intera popolazione giurava fedeltàall'alleata621 e nel 1228 Podium Bonizi, Siena e Pisa si costituirono in lega contro loschieramento Firenze-Lucca622. Con la pace del 1235, in pratica una vittoria fiorentina,pronunciata dal cardinale Giacomo, vescovo di Palestrina623, si sciolse l'alleanza e furonoripristinati gli antichi diritti dei vincitori sul castello624; ma, quasi contemporaneamente,divenne il caposaldo delle iniziative imperiali e poi di nuovo nello schieramento ghibellino,pagandone pesantemente le conseguenze. L'aspetto di Podium Bonizi cambiò nuovamente nel 1260625, anno che segnal'emancipazione dal dominio fiorentino iniziato nel 1254 ed a cui, come sappiamo, eraconseguito un abbattimento graduale delle fortificazioni tanto che le carte del tempo loidentificano come burgo626. L'insediamento fu allora rifortificato e le difese furono allargateall'intera collina includendo parte dei borghi. A questo evento sono da ricollegare alcunetracce materiali in elevato e la presenza della torre posta all'interno della porta San

620 Caleffo Vecchio del Comune di Siena, I, n.168, pp.232-238, 10 luglio 1221. Il giuramento di fedeltà dellapopolazione è riportato in Caleffo Vecchio del Comune di Siena, I, n.170, pp.239-249, 10-12 luglio 1221.Caggese, analizzando il rapporto economico-giuridico tra Siena ed il suo contado nel XIII secolo, tratta lapolitica adottata dai senesi nei confronti della nobiltà rurale mettendone in risalto l'assenza di comportamentiradicali. Evidenzia la diffusione di tale atteggiamento anche nei comuni minori ad essa legati e porta comeesempio la sottomissione dei Soarzi a Podium Bonizi nella quale cedevano le loro case «et villanos etcolonos et masnaderios et fideles (...) et castrum de Stagia» ed il comune si impegnava a non distruggere ilcastello nè impedire che i detti signori abbiano «a villanis et masnaderiis antiqua servitia»; inoltre il comunegarantisce che se mai qualche villano sottoposto ai Soarzi andrà ad abitare in Podium Bonizi, verrà fissato ilfitto della terra da lui condotta ed anche il prezzo della manomissione (CAGGESE 1906, pp.11-12). 621 nel mese di giugno i consiglieri del comune di Podium Bonizi avevano già giurato la lega: Caleffo Vecchiodel Comune di Siena, I, n.235, pp.345-346, 22 giugno 1226; nel novembre giura la popolazione: CaleffoVecchio del Comune di Siena, I, n.234, pp.336-345, 21-26 novembre 1226.622 Caleffo Vecchio del Comune di Siena, I, n.254, pp.360-364, 7 giugno 1228623 Caleffo Vecchio del Comune di Siena, II, n.275, pp.427-432, 30 giugno 1235; II, n.276, pp.432-434, 13giugno 1235; II, n.277, pp.434-436, 16 giugno 1235; II, n.278, pp.436-437, 8 giugno 1235; II, n.279, pp.437-438, 12 giugno 1235.624 Caleffo Vecchio del Comune di Siena, II, n.280, p.438, 10 giugno 1235; II, n.281,pp.438-439, 11 agosto1235; II, n.287, pp.443-444, 7 agosto 1235; II, n.282, pp.439-440, 11 agosto 1235.625 Caleffo Vecchio del Comune di Siena, II, 625, 1260, novembre 25, pp.837-841: cessione di Firenze aSiena dei diritti su Podium Bonizi. Alla morte di Manfredi ed il conseguente potenziamento della parte guelfa,Podium Bonizi divenne anche ricovero di fuoriusciti ghibellini.626 PAOLI 1899, p.68.

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Francesco: frutto di un evento costruttivo omogeneo (con confronti in edifici datati allaseconda metà del XIII secolo) mostra sulla parete est evidenti tracce dell'ammorsamentodi un possente muro; inoltre, la sezione posta sempre sul lato est, smottando, ha messo inluce una cospicua presenza di conci a grandi dimensioni.Da qui la cinta, prendendo una leggera angolazione, doveva scendere ad una curva dilivello sottostante, corrispondente a quella su cui è posta la Fonte delle Fate, continuandoin linea retta sino a raggiungerla, inglobarla e risalire, ricongiungendosi alla partesommitale; in questa zona sono stati infatti riconosciuti tratti murari attribuibili alla cinta(lato a valle e lato a monte). In corrispondenza del lato est della collina, le nuove muradovevano ripercorrere l'attuale cinta di fortezza, ampliandosi sulla zona oggi destinata avigna e raggiungendo la piccola area alle spalle dell'attuale residenza agricola; qui ilprocessamento del volo regionale sui centri storici mostra anomalie relative al circuito euna sua svolta in direzione nord, tagliando fuori la vigna antistante il cassero mediceo ed ilcassero stesso. Poggio Bonizio doveva avere all’ora un’estensione di 12 ettari627.A seguito della vittoria senese di Montaperti, il grande castello riprese la propria autonomiaed il proprio ruolo di centro territoriale primario delle iniziative ghibelline628. Alla morte diManfredi ed il conseguente potenziamento della parte guelfa, Podium Bonizi divenneanche ricovero di fuoriusciti ghibellini. Dopo la conquista di Carlo d'Angiò del 1267 e l'iniziodella costruzione di un cassero (quasi sicuramente da porre nell'attuale area del casseromediceo), Firenze acquistò i diritti sul villaggio e vi pose un proprio presidio 629. Un anno piùtardi, spinta dalla calata di Corradino di Svevia, la popolazione scacciò gli occupanti e sipose sotto la sua protezione. Il destino di Podium Bonizi fu a questo punto inscindibilmente legato alla breve avventuradell'imperatore. A distanza di due mesi dalla sua morte, nel 1270 il castello fu assediato edespugnato da Guido di Monfort vicario generale di Carlo d'Angiò; Firenze pagò una grossasomma in denaro per il diritto alla completa distruzione che non si limitò alle difese ed agliedifici principali, ma pare essere stata totale; alla distruzione parteciparono anche i vicinicomuni di Colle Val d'Elsa e San Gimignano. La cronachistica di poco posteriore narradell'abbattimento di abitazioni, chiese e dell'interramento delle fontane630. La distruzione e la destrutturazione dell'insediamento, voluti da Firenze nel 1270, investìquindi la massima espansione degli spazi fortificati e un Podium Bonizi che occupava piùo meno lo stesso spazio poi delimitato dalla cinta rinascimentale. La popolazione fu fatta trasferire nel sottostante Borgo di Marturi e venne promulgatosolenne divieto di ricostruire il castello. La nuova comunità riuscì ancora per alcuni anninel condurre una politica autonoma ed a fortificare con un'estesa cinta muraria il villaggio;nonostante la sconfitta e la pesante punizione, il centro continuò ancora dieci anni più tardinella sua politica filo-imperiale e ad accogliere fuoriusciti ghibellini senesi.Il caso di Poggio Bonizio (abbandonato, come Semifonte, a causa di una distruzioneviolenta), è archeologicamente molto significativo: ci permette di indagare una "quasi città"medievale sino dalla sua fondazione e nel suo sviluppo successivo, di conoscere imonumenti e le costruzioni che lo componevano.

28 - Arrigo VII fonda Monte Imperiale. 1313.

627 Pratelli, che scrisse autorevolmente nella prima metà del nostro secolo, propone un'utilissima rassegna dielementi topografici riguardanti il castello anche se sono presenti alcuni errori di ipervalutazione: peresempio vede le fortificazioni estendersi sino al poggio di San Lucchese.628 Caleffo Vecchio del Comune di Siena, II, n.265, pp.837-841, 25 novembre 1260: cessione di Firenze aSiena dei diritti su Podium Bonizi.629 PESCATORI 1992, p.223.630 Cronache più o meno coeve agli eventi trascritte in TARGIONI TOZZETTI 1775, VIII, p.420; CIASPINI1850, p.34; RINALDI 1980.

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Dopo la distruzione fiorentina di Poggio Bonizio del 1270, il luogo venne scelto poco più diquarantanni dopo dall’imperatore Arrigo VII per la fondazione di una nuova città chedoveva svolgere la funzione di caposaldo per la stabilizzazione del potere imperiale inToscana e rappresentare il simbolo della rinnovata potenza. Nel gennaio 1313, dopoavere tentato inutilmente di assediare Firenze e devastatone il contado per rappresaglia, siaccampò nei pressi della collina; qui, un mese più tardi, iniziò la ricostruzione di MonteImperiale.Le fonti riportano che furono forse definiti il tracciato delle fortificazioni e la posizione delleporte; venne inoltre iniziata la costruzione delle abitazioni per richiamare gente daidintorni. La cerimonia di posa della prima pietra fu raffigurata in una miniatura del Codicedi Balduino di Coblenza datato al XIV secolo631.Le macerie ancora presenti sul luogo furono impiegate per livellare la forte pendenza dellacollina. Sono riconoscibili, inoltre, nuovi edifici, costruiti riusando le strutture in migliorestato di conservazione sia sottoforma di case sia di strutture produttive. In particolare ilquartiere est rivela riusi di alcune delle lunghe case a schiera, innalzando nuovamentemuri con finestre dotate di vetrate di colore azzurro intenso, stendendo piani pavimentali interra battuta, realizzando focolari quadrangolari in mattone, sfruttando di un silos pergrano probabilmente come pozzo per acqua piovana mentre una cisterna (forse perchèpesantemente obliterata dal crollo delle proprie strutture sommitali e da quello dellestrutture circostanti) venne riutilizzata come un ambiente abitativo appoggiandovi unospesso battuto di terra. Non escludiamo che questa zona sia stata destinata anche per glialloggi o l’acquartieramento di membri del seguito imperiale e di truppe; sembranoriconducibili ai primi alcuni oggetti metallici tra cui un precoce esempio di forchetta in ferrocon inforcatura a quattro rebbi acuminati e immanicatura a sezione circolare (inizialmenteconsiderato un oggetto di lusso, fabbricato talvolta in materiale pregiato)632, mentre tra lagrande quantità di vetri (presenti brocche, bottiglie, fiaschi, bicchier gambassini di quattrotipi e calici) sono venuti in luce reperti molto particolari come un reliquario di fatturaestremamente pregiata con pochissimi confronti in Europa: il bicchiere di Edvige, unaproduzione di lusso, importata probabilmente dal Medio Oriente e decorata con la tecnicadella molatura. In generale la quantità di reperti metallici è molto elevata e caratterizza la frequentazionedella collina legata all’imperatore. Una delle lunghe case a schiera riutilizzate, che puòconsiderarsi l’alloggio di ufficiali e del loro staff, ha restituito per esempio 120 oggetti,fabbricati per lo più in ferro e 23 oggetti in bronzo ed uno in piombo. Alcuni oggettirisultano relativi all’abbigliamento (un bottone, un bubbolo, un pendaglio, una placchettaapplicativa per fibbie); sono poi presenti sei coltelli e due puntali per guaina, applicazionidecorative ed oggetti pertinenti all’equipaggiamento di cavallo e cavaliere, chiodi daferratura ed uno sperone, tre punte di freccia per arco ed una per balestra, arma chefavorirà in seguito l’introduzione delle armature a placca, qui ancora non introdotte cometestimonia la presenza di un frammento di maglia metallica.La presenza di molti armati e delle loro cavalcature, al seguito di Arrigo, si riconosce delresto nei numerosi frammenti di maglie metalliche usate per proteggere varie parti del

631 La cerimonia di posa della prima pietra raffigurata in una miniatura del «Codice di Balduino» di Coblenzadatato al XIV secolo è riprodotta in TOSTI-CROCE 1993.632 Le forchette, “instrumentun diabolicum”, dopo sporadiche apparizioni, fanno una comparsa saltuaria sulletavole italiane nel corso del XIV secolo, per poi affermarsi definitivamente fra il XV e il XVI secolo(MARCHESE 1989, pp.37-91).

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corpo umano e del cavallo633 ma anche in cinque speroni da cavaliere634. Per quantoriguarda le armi si sottolinea il passaggio dall’utilizzo di punte di freccia per arco a punte difreccia per balestra, che fanno qui una precoce apparizione. I livelli rilevati indicano comunque che molte delle strutture relative a Poggio Bonizio eranoancora ben visibili nel 1313 ed Arrigo progettò meticolosamente la nuova città di MonteImperiale tenendone conto; intendeva sicuramente riusare la possente cinta murariasuperstite e realizzò un esteso sistema di fognature che sembra attraversare la collina conregolarità. Indagando una delle strutture del nuovo centro, al di sotto di alcuni strati di pietrisco, èstato individuato un taglio di forma allungata relativo alla sepoltura di un individuo. Latomba, oltre ad essere in una posizione insolita, cioè all’interno di un edificio abitativo, sitrovava a pochi centimetri dai piani pavimentali in terra battuta di XIV secolo e ha tagliatoun muro in travertino. Tutti questi indicatori fanno presupporre l’occultamento moltosommario di un cadavere. La posizone dell’inumato infatti, buttato all’interno della fossacon il cranio ruotato di 180°, fa pensare ad un omicidio, come il coltello rinvenuto accantoai piedi all’interno della tomba.La fine della breve avventura italiana di Arrigo VII coincise con la fine del nuovo centro;quasi subito, l'imperatore si spostò in Val d'Era dove morì e nel breve spazio di cinquemesi il tentativo di dare vita al nuovo centro venne interrotto; le milizie fiorentineattaccarono la collina e distrussero nuovamente l’abitato635. La popolazione fudefinitivamente trasferita nel sottostante Borgo Marturi, l’odierna Poggibonsi e la collinaebbe essenzialmente funzione di cava per materiali lapidei. Tra le norme statutarie del1338 di questa comunità, si segnalano infatti due disposizioni concernenti il prelievo dimateriale edilizio sul Poggio di Bonizio solo dietro finalità di edificare nel sottostantePoggibonsi636.L'estimo del contado redatto nel 1318, attesta l'esistenza di numerosi campi e di unfossato che doveva essere relazionato al castello637.

29 - Una struttura per la macellazione degli animali ed un bassofuco trecentesco.La struttura, posta circa 40-50 cm al di sotto del piano di campagna, ha dimensioni di 21 x6,5 m ed orientamento nord ovest-sud est nei lati lunghi.Internamente, l'edificio è costituito da un livello pavimentale di terra tufacea compattata emista a pietre, con grandi capacità di assorbimento dell'acqua; poggia su un vespaio di

633 Ogni parte del corpo umano o animale aveva la sua protezione corrispondente, che acquisiva nomidiversi nei vari casi; si ricordano, ad esempio: buffa di maglia, cuffia di maglia, camicia di maglia, maniche dimaglia, pellegrina di maglia, braghe di maglia, ecc. (BOCCIA 1982, pp. 18-20). Le maglie rinvenute eranocostruite attraverso la concatenazione di un anello ad altri quattro uguali, fabbricati in modo che si potesserochiudere tramite un piccolo rivetto una volta inserito all’interno dell’altro anello. Lo stato di conservazioni nonci permette di stabilire il tipo di disegno che andavano a formare e se fossero del tipo a grana d’orzo,introdotto nel corso del XIII secolo.634 Gli speroni sono di due tipi. “A rotella” con sei o dieci punte inserite in una forcella ricavata al termine delcorto collo a sezione circolare; le braccia sono arcuate a sezione rettangolare e terminano su un lato con unocchio ovale, mentre nel foro circolare dell’altro è inserito un gancio che si immagina collegato al cinturino dichiusura. “A brocco” (grazie al nome della caratteristica appendice con la quale veniva pungolato l’animale)con ampio e corto collo circolare e brocco bipiramidale appuntito, braccia larghe a sezione ovoidale; in alcuniesemplari, al termine di un braccio, è stata trovata una placca rettangolare unita tramite rivetti, che dovevaessere collegata al cinturino di chiusura dell’oggetto o al sottopiede; l’altra estremità termina invece conl’occhio funzionale anch’esso alla chiusura. Lo sperone a rotella mostra una attestazione anticipata di alcunianni essendo generalmente documentato a partire dal secondo ventennio del XIV secolo.635 Sulla vicenda si vedano CAMMAROSANO, PASSERI 1984, p.135; DAVIDSOHN 1896-1927 1896-1927,IV, pp.705-707; PRATELLI 1929-1938, pp.240-255.636 RAVENNI 1995, p.117.637 RINALDI 1986.

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pietre di piccole e medie dimensioni, che serviva sia per livellare il terreno, sia per isolare ibattuti dall'umidità. Il pavimento di terra ha un'estensione di circa 20 m sul lato lungo e di 5 m su quello corto;è delimitato da muri costruiti con pietre non squadrate (pietrame e ciottoli di fiume) di variedimensioni e con argilla usata come legante. E' escluso che potesse esistere un piano superiore, sia perchè non si riscontrano tracce discale in muratura o in legno, sia perchè i muri, vista la loro tecnica edilizia grossolana, nonsembrano progettati per sorreggere il peso di un solaio.L'unica porta riscontrata nella struttura si apre sul lato ovest, affiancato alla strada sterratamoderna, che in questo punto dovrebbe ricalcare la direttrice medievale. Se la stradaduecentesca corrispondesse (come è probabile), in tutto il suo percorso, a quella che oggitaglia in direzione nord ovest-sud est l'area della fortezza, potrebbe essere interpretata,per le dimensioni e le funzioni di collegamento, come uno degli assi più importanti delcastello di Podium Bonizi. Quindi l'accesso alla macelleria, che avveniva direttamente da questa strada, testimonia laposizione privilegiata in cui si trovava la bottega.Al centro del battuto interno dell'ambiente si trovano tre buche circolari, molto grandi (daldiametro di circa 60 cm), ravvicinate tra loro ed allineate in direzione nord ovest-sud est,come i muri dei lati lunghi. Servivano ad alloggiare tre grossi pali del diametro di circa 50cm, che dovevano sostenere la copertura nella parte centrale. Quest'ultima era costituitanelle sue parti essenziali, come tutti gli altri edifici dell'area, da legno ed erano in legno ipali che la sostenevano. Trovandosi i pali esattamente al centro dell'ambiente, lacopertura doveva essere costituita da un tetto a due falde piuttosto che ad una sola;l'incastro delle travi era assicurato da chiodi di varie dimensioni. La copertura minuta deltetto, presenta un accorgimento particolare: l'uso di lastre lavorate in calcare scistoso dipiccole e grandi dimensioni, trovate in quantità sul battuto della macelleria. Nella parte nord est il pavimento della macelleria è coperto da uno strato composto dipietrisco legato con calce, messo in opera per creare una sorta di acciottolato, di formairregolarmente semicircolare e limitato solamente a questa zona (3 x 3 m). Date ledimensioni ridotte di questa struttura, è impossibile darne una corretta interpretazione;potrebbe però trattarsi di una piattaforma funzionale ad attività specifiche, come peresempio la vera e propria macellazione degli animali, oppure di un tentativo, non portato atermine, di ripavimentazione e di riuso del complesso in un periodo più tardo.I muri interni non erano rivestiti, non c'è infatti traccia di frammenti d'intonaco nellastratigrafia di questo edificio; è probabile invece che sulle pareti si trovassero degli uncinidi ferro che sorreggevano gli animali macellati, come testimoniano i numerosi ritrovamentidi oggetti in metallo (ganci, chiodi di grandi dimensioni). D'altronde sono proprio i repertimetallici come ferri di cavallo e di asino ed osteologici che indicano la funzione di questoambiente e che permettono di identificarlo.L’edificio si caratterizza per l'alta percentuale di ossa "di scarto" e per le numerose ossacon visibili tracce di macellazione distinte in diverse tipologie; presentano segni di fendentisulle diafisi delle ossa lunghe praticati sia a metà del corpo diafisiario (per l'estrazione delmidollo) sia in prossimità delle articolazioni (per il distacco di porzioni di carne).Inizialmente gli animali venivano divisi in due parti lungo la spina dorsale cometestimoniano alcune vertebre tagliate longitudinalmente. Nella bottega si lavoravano tuttigli animali domestici, ma veniva maggiormente venduta carne di bovino ed al secondoposto quella dei maiali; quest'ultimi erano disponibili sia giovani che adulti e l'altapercentuale di individui di tarda età sembra indicare un loro più ampio commercio inquanto meno costosi. Si segnala anche un probabile smercio di carne di gatto (pur semarginale) come sembrano attestare alcune delle ossa rinvenute.

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Il bassofuoco per la riduzione del ferro era molto spostato in direzione nord rispetto allazona deputata alla lavorazione dei metalli riconosciuta nei livelli di Poggio Bonizio; questoelemento, oltre alla cronologia offerta dalla ceramica, conferma la cesura abitativa checontraddistingue i due diversi momenti. La struttura fu impiantata all’interno dei ruderi di un edificio del quale erano state asportatemolte delle macerie conseguite al suo abbandono; aveva forma vagamente rettangolare,con dimensioni di 1,60 x 1,40 m, ed era costituita da pietre e frammenti di laterizio mentreveniva delimitata ad est da un piano di calpestio di forma semicircolare allungatacomposto anch’esso di pietre e laterizi. Era riempita da due livelli di terra, cenere e carboniassociate a scorie e minerale ridotto non avviato a lavorazioni successive; è difficilestabilire dove fosse stato alloggiato il mantice non avendo rinvenuto indicatori materialisulla posizione dell’augello od al suo sorreggimento ed anche la presenza di un murettorasato che potrebbe essere collegata a tale scopo lascia però dubbi poichè la posizionedel mantice risulterebbe disassata rispetto all’orientamento generale della struttura.Sul lato est è presente un taglio con dimensioni di 2,30 x 1,30 m, riempito da due livellicomposti soprattutto da carboni e cenere; potrebbero rappresentare una zona diarrostimento del minerale, una lavorazione necessaria prima del suo trattamento nel vicinobassofuoco. L’impianto trova confronti con quello indagato nel villaggio minerario di RoccaSan Silvestro datato tra fine XI-inizi Xii secolo e separato dalla zona abitativa638.La sua attività doveva essere finalizzata a sopperire le necessità del cantiere edilizio edovette funzionare per pochissimo tempo; allo stesso modo ebbe breve vita la probabilestruttura di forgia individuata in un contiguo edificio le cui stratigrafie sono risultate moltoalterate dalle operazioni agricole.

30 - La Fortezza di Lorenzo il Magnifico. Fine XV-XVI secolo.La collina continuò a rappresentare un punto strategico e di controllo. Firenze nel 1429edificò delle nuove fortificazioni delle quali non si conosce la portata ma cheprobabilmente si limitavano alla zona dell'attuale cassero mediceo. Cinquant'anni più tardiospitavano una numerosa guarnigione a presidio dei confini con Siena e contro l'avanzatadella lega instauratasi tra questa, papa Sisto IV e Ferdinando di Napoli639. Fu a seguito del generale piano di rafforzamento dei confini meridionali dello statofiorentino, che Lorenzo dei Medici promosse agli inizi del XVI secolo la fortificazione diPoggio Imperiale a presidio del territorio senese. L'uso delle nuove armi da fuoco, che aveva reso possibile espugnare roccaforti giudicateimprendibili, indirizzò verso un necessario adeguamento delle strutture difensive640. Lafortezza di Lorenzo il Magnifico ebbe quindi come traduttore dei suoi “pensieriarchitettonici” Giuliano da Sangallo e come capomastro il fratello Antonio. Il complesso presenta una notevole omogeneità costruttiva data dal prevalente uso delmattone e, con funzione soprattutto decorativa, del travertino locale. La pianta segue lamorfologia del rilievo, adattandosi ad esso per sfruttarne le naturali potenzialità difensive.La fortezza, unica in Toscana, ha una struttura che riprende la forma antropomorfateorizzata da Francesco di Giorgio Martini per la ”città ideale”641. E’ un’opera di

638 FRANCOVICH 1987, pp.91-96.639 Si vedano FANTOZZI 1982, p.213; PRATELLI 1929-1938, p.341.640 In generale, nella prima metà del XV secolo aveva già avuto inizio un primo adeguamento dellefortificazioni attraverso uno sviluppo maggiore degli elevati in spessore (corrispondente ad un abbassamentodi mura e torri), dotandoli di terrapieni interni per aumentarne la capacità di resistenza agli impatti,rafforzandoli con scarpature molto pronunciate; inoltre le feritoie vennero trasformate da rettangolari e strettein troncoconiche e strombate (si vedano GURRIERI 1980, pp.58-60; MASI 1992, pp.26-27). Nella secondametà del XV secolo invece fu sviluppato il motivo del bastione acutagolo e dal profilo molto tagliente, comeunico vero elemento difensivo contro il fuoco avversario (MASI 1992, pp.27-28).

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fortificazione bastionata, poligonale, inseribile in un rettangolo dotato ai quattro vertici dibastioni e proteso verso la valle.E’ composta essenzialmente da un cassero, o cittadella, posto sul lato est della collina eda un ampio circuito murario642, programmaticamente interrotto sul lato nord est, dove siintendevano riusare le mura superstiti dell’insediamento di XII-XIII secolo. La suacostruzione procedette con discontinuità; si alternarono infatti lunghi intervalli disospensione dei lavori e cambiamenti di progetto. Firenze destinò al cantiere, oltre che unampio numero di maestranze specializzate (muratori, tagliatori, spianatori, fornaciai,carpentieri ecc.), centinaia di prigionieri pisani643.La costruzione della fortezza rinascimentale colpì pesantemente i depositi archeologici piùantichi ed in particolare i resti delle strutture relative a Poggio Bonizio. La zona dellapiazza lastricata con la grande cisterna subì i maggiori danni essendo impiegata comezona per la produzione della calce e sottoposta ad una sistematica spoliazione dellestrutture murarie qui presenti. Altre tracce dell'attività cantieristica 'cinquecentesca sonoindividuabili nell’escavazione di molte trincee di spoliazione allo scopo, anche qui, direcuperare pietre. Infine attraverso la ricognizione di superficie sono state individuate duechiare concentrazioni di reperti mobili riferibili a fornaci per mattoni.La cittadella non sembra avere mai funzionato pienamente e fu presidiata da truppefiorentine, male armate, solo per alcuni decenni. Durante la cosiddetta “guerra di Siena”,fra il 1554 ed il 1555, non ebbe un ruolo strategicamente importante nel quadrodell’organizzazione militare come dimostra la sua destinazione a deposito divettovagliamento per l’esercito fiorentino in Valdelsa. Con la definitiva annessione di Sienaal Ducato mediceo del 1557, la fortezza perse ogni funzione strategica ed agli inizi delXVII secolo venne disarmata. Alla metà del XVIII secolo l'intera area fu concessa a livelloal cavaliere Alamanno de' Topi e sino ai nostri giorni è rimasta adibita ad uso agricolo.Questa destinazione ha permesso la conservazione del complesso (non vi è statocostruito nè ha subito riutilizzi) ma al tempo stesso ha causato gravi danni e stati didegrado avanzato644.M.V.

641 Rappresenta la metafora del corpo sociale: città come un tutto organico, dominata e al tempo stessogovernata con uguale razionalità per ognuna delle membra dalla rocca (posizionata, appunto, sulla testa)ovvero dal signore642 Le mura comprendono alcuni pseudobastioni nei quali si aprono troniere, in parte collegate tramite unsistema di gallerie, con feritoie dette "bocche di volata" a forma di chiave rovesciata; queste ultime (cosìcome le liste verticali in travertino che, scandendo le cortine, costituiscono anche i vertici dei puntoni dibastione) rappresentano elementi tipici delle opere del Sangallo. Il motivo delle cerniere in travertino, nelquale si commistionano intenzioni decorative e funzionali, è infatti presente anche a Pisa, Arezzo,Sansepolcro, Livorno, Civita Castellana. Si veda al riguardo PESCATORI 1992 pp.224-225.643 Si veda MASI 1992 per un completo studio del cantiere edilizio e le appendici qui presenti per un'analisiesauriente della documentazione archivistica relativa alla costruzione della fortezza.644 Una relazione dettagliata dei problemi legati allo stato del monumento è contenuta in PERINI 1992.

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VI – I MATERIALI PROVENIENTI DALLO SCAVO1 – Ceramicaa. Il villaggio tardoanticoIl corredo ceramico rinvenuto all’interno delle abitazioni tardoantiche di Poggio Imperiale ècomposto essenzialmente da una minima percentuale di ingobbiate di rosso, mentre siattestano su valori preponderanti e piuttosto simili acrome depurate e ad impastogrossolano. Nel villaggio circolano ancora i laterizi, per lo più coppi e mattoni di reimpiegoutilizzati per la realizzazione delle coperture delle case. Già questo primo dato inquadraPoggibonsi nel trend individuato per la Toscana tardoantica, dove si riscontra unprogressivo impoverimento della varietà delle produzioni rispetto al periodo tardoimperiale; il fenomeno porterà alla fine del VI-inizi del VII secolo alla decadenzatdell’organizzazione delle officine di tipo industriale, per passare a fornaci che lavoravanosu scala sub-regionale o a livello del singolo villaggio.

a.1 Ingobbiata di rossoLa ceramica ingobbiata di rosso non è presente in grandi quantità e proviene per lo piùdalle zone cortilizie tra casa e casa e da spazi destinati all’agricoltura. Sono stovigliededicate in prevalenza alla mensa e la serie morfologica si articola su forme aperte qualiciotole e catini ed una forma chiusa, il boccale. Ciotole/Catini - Come per il resto della Toscana, anche a Poggio Imperiale le ceramiche acoperta di colore rosso ripetono e rielaborano archetipi in sigillata africana D; in particolareun catino con bordo piano orizzontale e orlo assottigliato, rientra nelle forme che circolanoa livello regionale tra V e VII secolo645, mentre un altro tipo di catino con bordo pianoorizzontale e orlo assottigliato rientra nelle forme diffuse a livello regionale a partire dal V-VI secolo, con confronti soprattutto nel Chianti senese. Questi manufatti sono foggiati sutorni veloci e talvolta presentano in parete o sul labbro decorazioni ricavate con lineesinusoidali.Boccali - Accanto a catini e ciotole compaiono i boccali, ingobbiati di rosso sulla pareteesterna; tuttavia le modeste dimensioni dei frammenti rinvenuti non ci permettono dianalizzarli in maniera più approfondita, fatta eccezione per la presenza di linee dilavorazione, prodotte quasi sicuramente da una foggiatura su tornio veloce.

a.2 Acroma depurata Come per le ceramiche ingobbiate di rosso, anche il complesso di manufatti in depuratadestinati alla mensa si articola sostanzialmente su tre forme: il boccale, la ciotola e ilcatino.

Boccale - I boccali sono sempre realizzati al tornio veloce e presentano decorazioni afilettature più o meno fitte che ne ricoprono integralmente o in parte il corpo ceramico. Inalternativa, riscontriamo in alcuni casi la presenza in parete di linee sinusoidali cheavvolgevano orizzontalmente il manufatto.Ciotole/Catini - Stoviglie da portata o per il consumo del pasto quali ciotole e catinirisultano foggiati al tornio veloce e le superfici esterne presentano frequentemente unarifinitura mediante steccatura del corpo, che rende più lucido il prodotto; in alcuni casiapplicazioni a rilievo e linee sinusoidali sono state individuate sia in parete che sui bordi.

645 Trova confronti con forme rinvenute a Fiesole e Volcascio in stratigrafie di V secolo, mentre a Luccacontinua a circolare fino al VI secolo (FRANCOVICH, VALENTI 1997b, p.132-133)Nel Chianti senese questi catini sono stati individuati in associazione a oreficerie datate al VI-VII. Sonoriconducibili in alcuni casi alla forma HAYES103A-103B, inizi VI-terzo quarto VI secolo; è collocabile perdeterminati esemplari tra le forme HAYES87, nella prima metà del VI secolo e alla forme HAYES105, a fineVI-inizi-VII secolo (VALENTI 1996b, p.145).

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Anforacei e grandi contenitori - Dallo scavo sono emersi anche frammenti non moltonumerosi pertinenti ad anforacei e grandi contenitori per la conservazione e il trasporto diderrate. Risultano sempre foggiati al torno veloce e presentano in alcuni casi sinusoidisingole o incisioni realizzate per lo più sulla spalla.Fuseruole - In misura modesta sono presenti per questo periodo fuseruole e pesi da telaiobitroncoconici impiegati nella filatura e tessitura e realizzati per lo più a stampo o a mano.

a.3 Acroma grezza Per quanto riguarda le ceramiche acrome da fuoco o da conserva, lo studio autoptico degliimpasti mette in rilievo una situazione abbastanza articolata sulle zone di provenienza esulle tecnologie di lavorazione e cottura delle argille; da un punto di vista formale invece ilcorredo da cucina è molto semplificato e si basa quasi esclusivamente su una formachiusa, l’olla, e sull’uso di testi e tegami; sono altresì presenti anche in quantitàabbastanza trascurabili ciotole, coperchi e boccali. Olle - L’olla, un contenitore molto diffusa per la conservazione di cibi o nella preparazionedelle pietanze, veniva prodotta con almeno nove differenti tipi di impasto, che nonvengono riscontrati nei cicli produttivi di altre forme. La maggior parte del corredoceramico era realizzato con torni lenti e non presenta alcun tipo di trattamento sullasuperficie esterna; solo in alcuni casi sono state riconosciute sul corpo ceramico filettaturerade e non molto marcate. Un numero esiguo di olle risulta foggiato su torni veloci epresenta come caratteristica comune una decorazione con filettatura rada. Lo studio tipologico dei bordi delle olle recentemente terminato, mostra per il V-VI secoloun certo distacco dalle seriazioni morfologiche proposte per il Chianti senese e per Sienacittà, senza tuttavia perdere punti di contatto evidenti. Le olle, per lo più con corpoglobulare e raramente ovoidale, presentano fogge dei bordi che guardano più all’orizzontedell’alto medioevo che alla tarda antichità; molte forme hanno un alto collo estroflesso, conbordo superiormente appiattito o arrotondato. In alcuni casi il labbro è indistinto, mentre avolte appare appuntito e rivolto verso l’esterno In particolare la variante di un tipo a labbroindistinto con contatto superiore trova un confronto abbastanza puntuale con olle rinvenutein livelli di fine V-metà VI secolo nel corso degli scavi dell’Ospedale Santa Maria dellaScala di Siena. Un altro tipo di olla caratterizzata da bordo estroflesso, orlo arrotondatoesternamente confluente trova confronti con contesti di VI-VII a Scarlino, mentre nell’altomedioevo (VIII-X secolo ) ritroviamo tale forma a Pisa, al Podere Aione (Follonica -Grosseto), a Scarlino e a San Salvatore a Vaiano. Solo alcuni tipi, numericamente inferioririspetto al campione al momento in nostro possesso, presentano bordi allungati versol’alto o estroflessi e corti con rientranza interna, che sembrerebbero mutuare le forme damanufatti di V-VI secolo rinvenuti nel Chianti senese e ben riconoscibili per il bordosvasato caratterizzato da alloggio per coperchio.Testi/Tegami - Quantitativamente inferiori in confronto alle olle, testi e tegami sonorealizzati con impasti molto grossolani destinati esclusivamente a queste produzioni; dalletracce presenti sulle pareti sembra che venissero prodotti principalmente al tornio veloce,mentre solo pochi esemplari presentano una realizzazione a mano. Altre forme - Come accennato, una produzione marginale é rappresentata da boccali,ciotole e coperchi, foggiati al tornio lento con impasti dedicati solitamente alle olle o aitegami. Non presentano particolari finiture e decorazioni e alcuni impasti impiegati inquesta fase nella realizzazione di ciotole e coperchi, saranno utilizzati a partire dal VIIsecolo nella preparazione delle olle.

a.4 Discussione La popolazione del villaggio non sembra aver avuto accesso a mercati urbani, dove erapossibile reperire prodotti di importazione, dovevano bensì rivolgersi ad un circuito di

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scambio locale, del quale sono testimonianza la presenza quantitativamente ampia matipologicamente limitata di produzioni acrome od ingobbiate di rosso ad imitazione dellastoviglieria in sigillata tarda. Per le produzioni in acroma grezza è possibile ipotizzare lapresenza di approvvigionamento presso un numero esteso di botteghe, come sembranoindicare i nove tipi di argille impiegati nelle olle e i due per testi e i tegami. Olle legate soloin parte alle tradizioni morfologiche riscontrate per il Chianti senese e per Siena città,possono essere lette come un primo frazionamento di un artigianato che si va sviluppandosul territorio intorno a Poggibonsi. In particolare, l’assenza di confronti puntuali con ilChianti senese per le olle con alloggio per il coperchio, andrebbe visto come un segno diun minor afflusso di prodotti sull’asse viario tra Siena e Firenze, causa del fiorire di unanuova serie di botteghe a livello locale. b. Altomedioevo L’altomedioevo è caratterizzato da un impoverimento della produzione tra la fine del VI e iprimi del VIII secolo, quando inizia ad articolarsi nuovamente il panorama degli impasti el’elaborazione di nuove forme tipicamente medievali, per arrivare ad una stabilizzazionedel corredo nel IX-X secolo.

b.1 - Ingobbiata di rossoCatino - Tra la fine del VII e gli inizi dell’VIII circola ancora un tipo di catino con bordopiano orizzontale e orlo assottigliato, già presente nel villaggio tardoantico. Un esemplareappartenente a questa tipologia e rinvenuto in un discreto stato di conservazione presentauna lavorazione al tornio veloce e mostra come oltre all’ingobbiatura rossa, il manufattofosse decorato sulla parete esterna con semplice linea sinusoidale. Seppure siano statiindividuati anche una serie di frammenti di boccali in alcuni livelli databili tra il VII e il Xsecolo, la loro posizione stratigrafica non permette di considerarli reperti contestualizzati;considerandoli presenza residua è lecito supporre che nell’abitato tra il VII e gli inizidell’VIII secolo le forme aperte siano le uniche stoviglie a ingobbio rosso che ancoracircolano sui mercati ai quali il villaggio aveva accesso.

b.2 - Ceramica a Vetrina Pesante Si attesta sul sito con livelli molto bassi tra IX e X secolo la cosiddetta ceramica "a vetrinapesante" o “invetriata in monocottura”, così chiamata per la tecnica utilizzata nel ciclo diproduzione, che prevede, dopo la fase di essicazione del pezzo, la stesura di uno spessostrato di vetrina e la cottura in un’unica infornata. Le vetrina pesante di Poggio Imperiale trova confronti puntuali per il rivestimento e perl’impasto con le produzioni rinvenute a Roma nello scavo della Crypta Balbi: invetriaturaspessa e di colore verde scuro, caratterizzata da macchie più scure ed impasto di colorebianco/rosato. I quattro frammenti provengono dalla longhouse, dalla capanna a ”T” edalla struttura adibita a macelleria; tuttavia trattandosi di fondi, non ci permettono didefinirne meglio la forma e non è possibile al momento, in attesa di effettuare analisiarcheometriche, individuare con certezza l’area di provenienza.

b.3 - Acroma Depurata Dall’osservazione delle ceramiche realizzate con impasti depurati si evince tra la fine delVI e il VII secolo una relativa continuità nel repertorio formale con le produzioni iniziate nelV secolo; di contro, gli esemplari rinvenuti si discostano morfologicamente dagli archetipitardoantichi, segnando la nascita di una nuova tradizione artigianale. Le principali formechiuse che circolano nel villaggio sono ancora gli anforacei e i boccali, mentre per lestoviglie da mensa i catini e le ciotole continuano ad essere le uniche forme presenti.Alcune innovazioni sono rilevate tra il VII e il IX secolo sia nel corredo di forme aperte che

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tra recipienti per liquidi: un nuovo tipo di coperchio appare sulla mensa, mentre da metàVIII secolo compariranno i cosiddetti “colini”; tra il VII e gli inizi del IX secolo appaiono delleforme definite come fiasche o bottiglie, mentre nel IX-X secolo riscontriamo la presenzadell'olpe. Boccale - Seppure a livello quantitativo vi sia una flessione di presenza all’interno delvillaggio rispetto al periodo precedente, il boccale rimane tra VI e VII secolo la forma adimpasto depurato che circola maggiormente. Si tratta di boccali monoansati,tendenzialmente globulari e realizzati con impasti rosati, che nel IX-X secolo diverrannobiancastri con uno schiarimento delle superfici. Le anse si dividono principalmente in duetipi: a sella e a nastro. I più antichi, a partire dal VII secolo, presentano un orlo arrotondatocon bordo estroflesso e forte espansione delle pareti; successivamente, tra VIII e IXsecolo, le forme mutano e i precedenti boccali con orlo arrotondato sviluppano un collocilindrico e un orlo superiormente appiattito646, mentre appaiono boccali dall’orlo confluenteche si sviluppa su un alto collo647. Nel IX-X secolo si attesteranno definitivamente i boccalitrilobati con forte espansione delle pareti. Tra il IX e il X secolo circola un piccolo boccale,meglio definibile come olpe, realizzato al tornio veloce e caratterizzato da una trilobaturamolto piccola su alto collo e dall'accentuazione dell’espansione delle pareti all’attaccodella spalla648. I boccali in depurata risultano prodotti al tornio veloce e sono decorati sulcorpo da linee fitte a volte associate ad incisioni a crudo o da filettature rade più o menomarcate. Spostandosi verso l’VIII secolo, oltre a rilevare un aumento della presenza diquesto prodotto nelle capanne, anche la serie di decorazioni si fa più articolata. Vengonoalternate decorazioni a bande di filettature fitte con linee rade, aumentando o diminuendol’incisione del solco; a volte il motivo viene arricchito con linee sinusoidali, per lo più sullaspalla, realizzate singolarmente o a coppie. Da qui in poi e fino agli inizi del X secolorileviamo una stabilizzazione nel campionario delle decorazioni, dove l’unica eccezione èdata nell’VIII secolo dalla lucidatura a stecca del corpo ceramico. A partire dalla metàdell’VIII secolo, seppure con valori quantitativi non molto incisivi, è stata rilevata unaproduzione marginale di boccali al tornio lento che si protrae fino alle capanne dell’ultimovillaggio di inizi X secolo.In particolare una spalla di boccale riporta una serie di linee sinusoidali che rimandano alledecorazioni delle ceramiche fiesolane di epoca longobarda, cronologia confermata anchedai materiali rinvenuti in associazione.Fiasca/bottiglia - I frammenti di fiasca o bottiglia rinvenuti tra VI-VII e inizi IX secolo sonoprodotti con impasti rosa scuro e foggiati su torni veloci; presentano un collo cilindrico altoe stretto che termina con un bordo superiormente appiattito e labbro a punta. Sidistinguono dalle produzioni coeve in depurata per l'accuratezza delle decorazioni: il bordomostra superiormente una linea sinusoidale, mentre il collo é rifinito da tacche verticali conall'interno linee ondulate realizzate su due registri sovrapposti e divisi da filettature fitte. Ladecorazione e il profilo del bordo ricordano rinvenimenti di fine VI -VII secolo in necropolilongobarde e in special modo i ritrovamenti di Fiesole649.Ciotole/Catini - La mensa continua ad essere caratterizzata da catini e ciotole, destinati neipasti all'uso comunitario o impiegati come piatto singolo. Si distinguono principalmente perla forma del bordo in tre gruppi: con bordo rientrante e parete estroflessa diviso in più tipi

646 Questo tipo di boccale trova confronti con esemplari rinvenuti a Napoli acrivibili all’VIII secolo e conrinvenimenti di Ostia Antica da livelli di inizi IX secolo (VALENTI 1996a, p.135).647 Anche i boccali con orlo confluente su alto collo trovano riscontri con materiali napoletani di VIII secolo(VALENTI 1996a, p.135).648 Il tipo sembra essere diffuso tra IX e X secolo nel Chianti senese (FRANCOVICH, VALENTI 1997b,p.134).649 FRANCOVICH, VALENTI 1997b, p.135.

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riscontrati tra la fine del VI e gli inizi del X secolo650; i restanti due gruppi sono invece tipicidel IX-X secolo e si caratterizzano o per il bordo arrotondato ed ingrossato, piuttosto cheper un bordo a sezione rettangolare e parete estroflessa. In tutte le fasi del villaggio dicapanne ciotole e catini escono da botteghe che lavorano al tornio veloce, eccetto per unaforma rinvenuta nel battuto di una capanna di VIII secolo realizzata al tornio lento. Unmotivo decorativo costante per le forme aperte é la sinusoide, realizzata sia sulla pareteesterna del corpo ceramico sia sul bordo; questa decorazione verrà affiancata fin dal VI-VII secolo da filettature più o meno fitte o marcate. Spostandosi verso il IX secolo lavarietà nel combinare motivi ornamentali differenti aumenta, per raggiungere il massimogrado di sperimentazione tra IX e X secolo, quando viene aggiunta la decorazione atacche del bordo.Di notevole fattura è una ciotola rinvenuta nei livelli di VII secolo, caratterizzata da unbordo estroflesso e verticale, con labbro inclinato verso l’esterno; è rifinita sull’orlo datacche mentre una doppio registro di linee sinusoidali decora la parete esterna delpezzo651.Coperchi e colini - Rispetto alla fase tardoantica, tra il VI e il VII secolo compaiono sul sitodue nuove forme realizzate con argille depurate: il coperchio, che segue morfologicamentela foggia dei bordi di ciotole e catini, ma si distingue per una più accentuata inclinazioneverso l'interno, e il colino, riconoscibile per i fondi rifiniti con fori del diametro di mezzocentimetro e realizzati sul pezzo a crudo. Sono stoviglie foggiate esclusivamente al tornioveloce e non presenta alcun tipo particolare di trattamento delle superfici o decorazioni.Fuseruole - Le fuseruole e i pesi da telaio, prodotti sempre a stampo, continuano adattestarsi tra la fine del VI e la metà del IX secolo su bassi livelli quantitativi; un aumentoconsiderevole della loro presenza all'interno di tutte le capanne é stato riscontrato con ilvillaggio in vita tra la metà del IX e gli inizi del X secolo. Anforacei - Per quanto riguarda i grandi contenitori da trasporto e conserva di liquidi ederrate, sul sito circolano nel VII e nel IX secolo una modesta quantità di anforacei; ilnumero aumenta considerevolmente con l'ultima fase del villaggio, quando ritroviamo unaserie di anforacei distribuiti in varie abitazioni e concentrati sostanzialmente nellalonghouse e in maniera preponderante all'interno di una struttura non ancora definita.Tra il IX e il X secolo sono stati riconosciuti alcuni frammenti riferibili a fondi e colli dianfore, realizzate al tornio veloce. L'esiguità delle dimensioni dei reperti, ci fa propendereper una definizione abbastanza incerta e che necessiterà in futuro di un'analisi morfologicapiù attenta, per stabilire se si possa trattare di tale forma, poco diffusa nella Toscanacarolingia.

b.4 - Acroma selezionataBoccale - Tra il IX e gli inizi del X secolo circola sul sito una serie di boccali in acromaselezionata foggiati al tornio veloce, probabilmente dal corpo globulare e bocca trilobata;sono decorati sulla spalla da una serie di filettature fitte e ben marcate a crudo sulpezzo652.

b.5 - Acroma Grezza

650 Alcune varianti di questo tipo sono simili a esemplari di IX secolo rinvenuti nel Chianti Senese(FRANCOVICH, VALENTI 1997b, pp.132-133).651 Questo particolare tipo di ciotola trova nelle sua decorazione un confronto con le rifiniture riscontrate su“orcioli” e bottiglie rinvenuti a Fiesole e a Siena in contesti di VI-VII secolo (FRANCOVICH, VALENTI 1997b,p.135)652 Tipi simili sono stati individuati negli scavi di Prato e a Fiesole sia in sepolture di VI-VII secolo, che incontesti di X-XI secolo. (FRANCOVICH, VALENTI 1997b, p.134, VALENTI 1996a, p.120 e note n.196 e197).

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Con valori simili alle produzioni in depurata, continuano ad arrivare nel villaggio numerosestoviglie acrome da cucina e da conserva realizzate con impasti grossolani. Le forme sonosostanzialmente quattro: l'olla, il coperchio, il testo e il tegame. Notiamo differenzesostanziali dal periodo tardoantico man mano che si passa dalla fine del VI agli inizi del Xsecolo; c'é una progressiva frammentazione nella scelta dei giacimenti e nelle tecnologieper la preparazione delle argille, oltre alla diversificazione dei processi di cottura. Si notaanche una differenziazione a livello delle singole produzioni dove un unico impastodestinato alla realizzazione esclusiva di un tipo di stoviglia, inizia ad essere impiegato perla foggiatura di un corredo più ampio (tuttavia rimanendo nei limiti delle quattro formesopraccitate). A partire soprattutto dal VII secolo si rileva un uso sempre più predominantedel tornio lento, che relega l'uso del tornio a volano alle sole forme in depurata. Solo con ilIX-X secolo il tornio veloce appare di nuovo impiegato con rinnovata frequenza. Olla - L'olla é il contenitore maggiormente rappresentata sul sito, fatto che ne conferma ilvasto impiego a livello domestico. Dall'età tardoantica fino al pieno VII secolo continuanoad essere utilizzati i medesimi nove tipi di impasto, affiancati tra VIII e inizi X secolo daalmeno cinque nuovi tipi di produzioni. I manufatti realizzati tramite impiego di torni lentisembrano essere predominanti nel villaggio tra la fine del VI e il pieno VIII secolo, mentrea partire dal IX e fino ai primi decenni del X secolo la lavorazione al tornio veloce ritornaad essere una caratteristica tecnologica assai più presente. Il villaggio di capanne in vitanel primo altomedioevo (fine VI - inizi VII secolo) ha accesso ad un mercato con unrepertorio morfologico abbastanza limitato: olle per lo più globulari, con un alto colloverticale o estroflesso, terminano con bordi superiormente appiattiti o inclinati verso l'alto econ labbri indistinti o appuntiti. Sono forme che mutuano solo in parte alcunecaratteristiche dal periodo precedente, in particolare il solco all'interno del bordo riferibilead un alloggio per coperchio, come riscontrato per i tipi di V secolo. I colli molto allungati esvasati iniziano a inquadrare queste forme in un panorama artigianale definibile comealtomedievale. I vasi presentano inoltre diametri di medie dimensioni variabili tra il 15-17cm associati a contenitori di media-grande capacità con diametro intorno ai 30 cm653. Tra la metà del VII e gli inizi dell'VIII secolo continuano ad essere presenti le olle con orlosuperiormente appiattito e leggermente inclinato all'interno, a volte con il labbro appuntito;alcune presentano un breve orlo superiormente convesso, mentre altre si distinguono pergli orli arrotondati e ingrossati, oppure squadrati e con il labbro inclinato verso l'esterno 654.Ad un'articolazione morfologica maggiore é associata una continuità e un arricchimentodella gamma delle olle da fuoco con diametro di 17 cm e delle olle di grandi dimensioni; trale forme di nuova foggia sono rilevati diametri leggermente inferiori al periodo precedenteche si avvicinano ai 15 cm655. Il panorama morfologico conferma nel passaggio dall'VIII

653 Le olle di questa fase trovano confronti interni alla Toscana con reperti provenienti da Campiglia (IX-XIIIsecolo, BIANCHI 2004, p.281, Tav.II, I.2.5 e I.2.5a), Arezzo, Chianti senese, Prato (FRANCOVICH,VALENTI 1997b, p.130) e da altri siti in cui pare abbastanza certo che il tipo entri in uso tra V-VI secolo eritorni in circolazione alla fine del X-inizi XI secolo (VALENTI 1996a, p.115). Anche per Poggibonsi si ripeteuna situazione simile dove gli esemplari di fine VI – inizi VII secolo, riappaiono nei livelli di vita del villaggio diIX-X secolo.654 Per le fasi di passaggio dall’VIII al IX secolo le olle sono simili a tipi rinvenuti a Monte Barro datate alprimo altomedioevo e negli scavi della Crypta Balbi (Roma) ascritti all’VIII secolo. In contesti coevi di VIII-IXsecolo alcune forme trovano riscontro nei tipi di Ostia Antica (VALENTI 1996a, p.116). Spostandosi verso ilIX secolo è stato rilevato un confronto con ceramiche da cucina del Monastero di San Vincenzo al Volturno,mentre fogge dei bordi simili a quelle di Poggibonsi sono presenti in livelli datati tra il X e il XII secolo ericonosciuti presso il Santa Maria della Scala di Siena e Montarrenti (CANTINI 2003, p.101; CANTINI 2005,p.147, Tav. 34, p.89, p.98, ARTHUR, PATTERSON 1994, p.434 Fig.11 n. 7, SPAGNOL 1995, p.74 tav.IIIn.36; PACETTI 2004, p.451 tav. VIII n.56; PAGANELLI 2004, p.195 tav.VI n. 101, BERTOLDI, VATTA 2004,p. 464 tav. V n.37).655 In questa fase sono riscontrati confronti con tipi provenienti da Luni relativi all’occupazione di metà VI-VIIsecolo, da Montarrenti VIII-IX secolo e dai contesti urbani del Santa Maria della Scala di Siena ascritti tra la

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secolo al IX la presenza di alcuni tipi rinvenuti nel secolo precedente, fornendo però indizisull'arrivo di nuove varianti. E' il momento di massima articolazione nella foggia delle olle.Si affermano oltre alle olle globulari anche olle dal corpo ovoide e di pari passo un ritornosempre più frequente all'uso del tornio veloce, appaiono più olle con bordi arrotondati ocon labbro indistinto e inclinato verso l'esterno. Con il pieno IX secolo e i primi decenni delX si arriva ad uso preponderante del tornio veloce e ad una stabilizzazione nel panoramadelle forme prodotte. Filo conduttore delle produzioni di questo periodo é la preponderantepresenza di un collo alto, più o meno verticale, sul quale riscontriamo per lo più bordiappiattiti o inclinati verso l'interno, mentre con minor frequenza appaiono arrotondati. Gliorli sono rifiniti con labbri appuntiti o indistinti, e in rarissimi casi rileviamo la presenza disolcature interne per l'alloggio del coperchio656. Il panorama decorativo continua ad essere affidato a filettature realizzate orizzontalmenteo sulla spalla o sull'intero corpo ceramico e associate talvolta a linee sinusoidali. Il solocarattere distintivo rimane la profondità nell'incidere la decorazione e la maggiore o minoredistanza fra le linee. Le forme rinvenute rivelano una certa omogeneità decorativa tra lafine del VI e gli inizi del IX secolo, quando in concomitanza con l'aumento delle formeprodotte, si arriva alla più alta varietà di combinazioni nel tipo di filettature realizzate. Testi e tegami - Due forme aperte destinate alla cottura dei cibi, presenti in manieramodesta già nel villaggio tardoantico, sono i testi e i tegami, che, spostandosi dal VII al Xsecolo andranno sempre più affermandosi e stabilizzandosi in una serie di caratteristichemorfologiche ben riconoscibili. Il tegame, prodotto in età tardoantica con pochi e precipuitipi di impasto, inizia tra VII e VIII secolo ad essere realizzato con una gamma sempre piùvasta di argille, impiegate in precedenza per la sola foggiatura dell'olla; per il primoaltomedioevo le forme rinvenute presentano soprattutto una lavorazione al tornio lento,mentre solo con il pieno IX secolo si attesta l'uso del tornio veloce. Quantitativamente leunità attestate tra VII e inizi IX secolo sono solo un 39% rispetto al 70% riscontrato nelvillaggio di IX-X secolo, quando il tegame raggiunge una stabilità morfologica e il massimosviluppo quantitativo e nell'articolazione dell'utilizzo degli impasti. I tegami dell'ultimoperiodo di vita del villaggio di capanne possono essere suddivisi per lo più per ledifferenze formali dei fondi, che sono sempre piani e con evidenti tracce di distacco daltornio, ma distinti dalla presenza o meno del piede. Un primo gruppo apode propone ilfondo piano e apode, mentre l'orlo appare caratterizzato o da un bordo piatto eorizzontale, che a volte risulta essere molto estroflesso e inclinato; altri tipi vedono il bordoassottigliarsi o ricevono in fase di foggiatura un arrotondamento. In ultimo un tegame conpiede e bordo estroflesso era contemporaneo ai recipienti sopra descritti. Il testo, forma aperta solitamente destinata alla cottura di focacce, sembra seguire levicende produttive dei tegami e come questi, dopo un'articolazione nell'uso degli impastipiuttosto modesta agli inizi del VII secolo, vede l'impiego di almeno 11 modi diversi dipreparazione delle argille con il villaggio di IX-X secolo. Sempre come per il tegame il 30%circa della produzione é omogeneamente distribuito tra VII e metà IX secolo e l'uso deltornio lento é affiancato da modeste realizzazioni a mano; il restante 70% delle forme

seconda metà del VII e l’VIII secolo. Alcune fogge trovano similitudini con olle rinvenute a Campiglia e datateall’XI-XIII secolo (VALENTI 1996a, pp.123-127; CANTINI 2003, p.89 tav.8, p.91 tav.9, p.101; CANTINI 2005,p.147 tav.34; ARTHUR, PATTERSON 1994, p.434, fig.11, n.7, SPAGNOL 1995, p.74 tav. III n.36; PACETTI2004, p.451 Tav. VIII n. 56; PAGANELLI 2004, p.195 tav.VI n.101; BERTOLDI, VATTA 2004, p.464 tav. Vn.37). Tipologie con bordo estroflesso e orlo arrotondato sono confrontabili con Scarlino, Pisa, Podere Aione(Follonica - Grosseto) e San Salvatore a Vaiano (FRANCOVICH, VALENTI 1997b, pp.130-131).656 Le forme di IX-X secolo che circolano nell’ultima fase di vita del villaggio sono confrontabili con numerositipi rinvenuti in Toscana e con cronologie proposte coeve ai reperti di poggibonsesi; nello specifico i repertiprovengono da Scarlino, Montarrenti, dal Chianti senese, Castellaccio di Strettoia (Pietrasanta - Lucca), Vivod’Orcia e Santa Maria della Scala di Siena (FRANCOVICH, VALENTI 1997b, p.131; CANTINI 2003, p.89tav.8 e 101; CANTINI 2005, p.147 tav.34; SPAGNOL 1995, p.74, tav. III n.36; PACETTI 2004, p.451 tav.VIII n. 56; PAGANELLI 2004, p.195 tav. VI n. 101).

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rinvenute era collocato nei livelli di vita di IX e X secolo, quando la quantità dei prodottirealizzati a livello domestico riscontra una sensibile impennata rispetto ai torni lenti. Anchese il carattere di produzione a mano renda poco affidabili i testi per definizioni cronologicheé possibile suddividerli in almeno tre gruppi: con breve bordo ingrossato, fondo piano eapode; questo gruppo presenta varianti quasi a disco e con bordi allungati e più dritti; altrogruppo é contraddistinto da bordo più o meno breve, fondo piano e marcato. In ultimorileviamo la presenza di testi con bordo mediamente inclinato e spesso assottigliato,caratterizzati anche da fondo piano quasi sempre apode e di forte spessore. Ciotole e Coperchi - Ciotole e coperchi sono rinvenuti in quantità abbastanza marginali eseguono il trend produttivo delle forme più attestate proprio nel IX-X secolo. Anche questestoviglie, preparate nella maggior parte dei casi con i medesimi impasti riservati alle olle,vedono un graduale aumento del numero di forme prodotte e di argille impiegate proprionel passaggio dal VII-VIII al IX-X secolo. Accanto agli anforacei in acroma depurata fannola loro comparsa tra la metà del IX e gli inizi del X secolo anche i grandi contenitori inacroma grezza, realizzati al tornio lento e prodotti con impasti molto grossolani, sceltaprobabilmente dettata dalla necessità di un’alta plasticità dell'argilla al momento dellafoggiatura. b.6 – DiscussioneTra il VI e il VII secolo gli abitanti del villaggio accedevano ad un mercato che offriva per lopiù stoviglie in acroma depurata o in grezza ed i contenitori maggiormente acquistati eranole olle e i boccali. Il corredo ceramico si incentrava essenzialmente su queste due forme ela bassa presenza di ciotole e catini, fa pensare ad una progressiva abitudine diconsumare i pasti in recipienti da portata comunitari od all’impiego di stoviglie in legno;solo con il IX-X secolo sono attestate in quantità significative le ciotole, apparentementesegno di un probabile ritorno al piatto individuale. L'appiattimento del corredo ceramico tra VI e IX secolo riflette quanto emerso dall'analisidegli altri reperti e dallo studio della diacronia del sito, abitato da una popolazione per lopiù di allevatori gradualmente evoluta verso l’agricoltura ed un’organizzazione di tipocurtense. La produzione di testi modellati a mano vede un incremento sensibile tra il IX e ilX secolo; i nuovi sistemi di conduzione della terra e quindi la coltivazione dei cereali inepoca carolingia, potrebbero aver influito sull’alimentazione, favorendo un consumo piùelevato di focacce non lievitate. Il progressivo incremento intorno al IX secolo degli impasti impiegati per realizzare unristretto corredo di forme, é sintomatico della presenza di artigiani ormai operanti a livellolocale e distribuiti sempre più capillarmente sul territorio ed il riflesso di una domandaaccresciuta dovuta forse ad un aumento del numero dei villaggi. Questo é confermato inparte anche dall'aumento delle differenze morfologiche in tutti i tipi di recipiente. La presenza di ceramiche a vetrina pesante é sicuramente un primo labile ma effettivosintomo di riapertura verso circuiti commerciali non più operanti ad esclusivo livello zonale,ma perlomeno interregionale, dovuti più alla volontà di una nuova classe dirigente che aduna nuova organizzazione commerciale.

c. - Da Poggio Bonizio a Monte Imperiale c.1 - Acroma depurata Il panorama delle forme prodotte con argille depurate raggiunto tra IX e X secolo continuaa permanere anche tra la metà del XII e gli inizi del XIV secolo. La serie di forme aperterimane incentrata su ciotole/catini, colini e coperchi, mentre tra i recipienti oltre aglianforacei e ai boccali, appaiono le brocche.Boccali e Brocche - I boccali, numericamente i più rappresentati all'interno degli edificiscavati, sono per lo più monoansati e foggiati al tornio veloce con corpi globulari e con orlo

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trilobato. Principalmente si possono dividere in quattro gruppi: boccali globulari alti tra i 13e 15 cm, con bocca trilobata, ansa complanare e per lo più apodi; un secondo gruppo érappresentato da un boccale monoansato con corpo ovoide alto circa 16 cm, collo moltoslanciato e piede a disco, che trova un confronto abbastanza puntuale con forme destinatedalla prima metà del XIV secolo alla produzione di maioliche arcaiche; il terzo gruppopresenta boccali globulari alti circa 12 cm, monoansati e apodi, molto simili nellafoggiatura del corpo ad olle da fuoco coeve. Questi primi tre gruppi sono stati rinvenuti incontesti stratigrafici di XIII secolo, mentre i boccali monoansati appartenenti all'ultimogruppo, caratterizzati da un'altezza maggiore (20 cm circa), da corpi ovoidi o con pancesvasate verso il fondo apode o con piede a disco, sono rinvenuti solamente nella fase diMonte Imperiale agli inizi del XIV secolo. Queste considerazioni si basano sulle restituzionidi forme integre o parzialmente ricostruite, mentre ben più articolato é il panorama cheemerge dalla lettura dei numerosi frammenti, soprattutto fondi e anse. Dall'analisi dei fondi e delle anse é possibile ricavare una seriazione morfologicaabbastanza puntuale, che tuttavia non può costituire un buon appiglio cronologico perl'alta standardizzazione di queste parti del corpo ceramico. I fondi possono essere divisi inalmeno tre gruppi, che vedono al proprio interno alcune varianti. Il primo gruppocorrisponde a fondi piani apodi con espansione in corrispondenza dell'attacco fondo-parete, si distingue in almeno quattro tipi: dall'interno concavo e con diametro di 18 cm;con concavità interna molto marcata, forte espansione all'attacco fondo-parete, fondoarrotondato e diametro di circa 14 cm. Questi due tipi sono presenti soprattutto tra la metàdel XIII secolo e gli inizi del XIV secolo. Un terzo tipo con fondo convesso e diametro sui15 cm é una specie di forma di passaggio tra il XIII e il XIV secolo. Con fondo arrotondatoe parete molto svasata é il quarto tipo di boccale tipico degli inizi del Trecento. Il secondogruppo di fondi, distinto per l'interno concavo, il piede marcato da leggera depressione e laparete svasata, si articola su quattro varianti distribuiti in maniera omogenea tra Duecentoe inizi XIV secolo; anche per il terzo gruppo di boccali di piccole dimensioni con leggeradepressione del piede, interno leggermente convesso e parete che si sviluppa in verticalesi propone una situazione del tutto analoga al gruppo precedente. Le anse si dividonoprincipalmente in due gruppi: anse a nastro, divise in quattro varianti, sono rinvenuteesclusivamente nei livelli di vita del castello di XIII secolo, mentre anse a bastoncello,provengono dai contesti di XIV secolo e tipologicamente sembrano essere riconducibili aduna serie di contenitori legati al terzo gruppo di fondi. 657 In quantità modeste si rinvengono sul sito anche le brocche, contenitori di dimensionisuperiori al boccale con capacità di circa 2 litri e utilizzati per la conservazione o mescitadei liquidi. Due esemplari rinvenuti in buono stato di conservazione provengono da unacisterna di XIII secolo e dal riempimento di un silos per grano databile al XIV secolo. Laforma rinvenuta nei livelli duecenteschi é alta circa 30 cm e presenta un corpo globularecon un'espansione massima di 22 cm di diametro; il fondo é apode e l'ansa a nastro sisviluppa dalla metà del recipiente fino risultare complanare al bordo trilobato. Il vasotrecentesco é stato rinvenuto privo dell'ansa e del bordo; presenta un corpo ovoide sulquale si sviluppa un collo alto e verticale; l'altezza massima raggiunta dal pezzo inferiorealla brocca duecentesca, attestandosi sui 22 cm circa e anche la capienza risulta inferioremostrando il corpo un'espansione massima di 18 cm. Entrambe le brocche sono realizzateal tornio veloce e non presentano particolari decorazioni se non la presenza di alcunefilettature sul collo e sulla trilobatura. Alcuni bordi di brocche sono stati rinvenuti nei livellidue-trecenteschi; in particolare una forma recuperata in posizione residua da contestistratigrafici quattrocenteschi trova un confronto con le cosiddette "anforette pisane" di XIII-XIV secolo658.

657 VALENTI 1996a, pp.268-269. 658 BERTI, GELICHI 1995, pp.191-240.

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Anforacei - Si attestano su valori abbastanza bassi gli anforacei per le fasi di XII e XIIIsecolo del castello, mentre la loro presenza aumenta in maniera considerevole conl'insediarsi di Arrigo VII nel 1313. Non sono mai stati rinvenuti in buono stato diconservazioni, e lo stato frammentario pregiudica al momento un qualsiasi tipo diseriazione morfologica, se una generica considerazione sull'uso quasi totale di anse asella e di bocche trilobate. I vasi escono per lo più da botteghe che lavorano al tornioveloce, ma sono state riscontrate anche produzioni al tornio lento solo per il XII-XIIIsecolo. Essendo forme utilizzate per il trasporto e la conservazione di cibi e liquidi nonpresentano particolari decorazioni o rifiniture, affidate a qualche filettatura e lineasinusoidale, in prevalenza realizzate sul collo e la spalla.Ciotole - La ciotola é costantemente presente e fa registrare valori quantitativiparticolarmente alti come i boccali. Proprio la mole di frammenti rinvenuti ha permesso larealizzazione di una seriazione tipologica molto puntuale, in cui discriminante principale éla forma del bordo. I gruppi riconosciuti sono principalmente quattro: il primo comprendevasi emisferici, con bordo rientrante e parete estroflessa. All'interno di questo primogruppo sono state riconosciute almeno quattro varianti in base alla diversa inclinazione delbordo: con bordo superiormente piatto e inclinato denota il periodo tra la metà del XIIIsecolo e gli inizi del XIV. La seconda variante presenta una maggiore inclinazione delbordo distinto dalla parete ed é diffuso tra la metà del XIII secolo e inizi Trecento. Il terzotipo con orlo orizzontale e piatto superiormente presenta trova confronti abbastanzapuntuali con materiali provenienti dallo scavo dell'Esedra della Crypta Balbi e da Prato eriporta ad una cronologia compresa tra la prima metà del XIII secolo e gli inizi del XIV. Laquarta variante a orlo quasi orizzontale, inclinato ed introflesso, bordo arrotondato edistinto dalla parete da una marcata solcatura esterna si rintraccia in prevalenza nei livellidi inizi Trecento. Un secondo gruppo che non prevede varianti interne é caratterizzato daorlo indistinto, bordo arrotondato ed introflesso; non risulta numericamente molto presentee sembra essere diffuso soprattutto nel Trecento. Terzo gruppo con orlo indistinto e piattosuperiormente rivela una diffusione limitata e sembra circolare solo nelle fasiQuattrocentesche della Fortezza Medicea. Infine l'ultimo gruppo di ciotole, scarsamentepresente agli inizi del XIV secolo é connotato da orlo più o meno inclinato verso l'esterno ebordo a nastro variabilmente schiacciato. Le ciotole prodotte quasi sempre su torni velocipresentano decorazioni abbastanza articolate affidate a filettature più o meno marcaterealizzate sulla parete esterna, talvolta alternate a linee sinusoidali. Anche i bordi delleciotole potevano essere rifiniti con semplici linee orizzontali, con sinusoidi o tacche. 659

Fuseruole - Le fuseruole sono state rinvenute in quasi tutti gli edifici e si dividonoessenzialmente in due tipi: troncoconici e bitroncoconici. Sono riscontrate in egual misurasi a nel castelli di XII-XIII secolo, sia nei contesti associabili alla rioccupazione del 1313. Inentrambi i periodi rinveniamo in egual misura fuseruole lavorate a stampo e a mano.660

Colino - Il colino, una forma poco diffusa, é presente nel castello fin dagli inizi del duecentoe la sua presenza si sviluppa gradualmente fino agli inizi del trecento. Questo tipo di vaso,riconoscibile solo per la presenza di fori sui fondi, rinvenuti per lo più in condizionifortemente frammentarie, non é mai stato ritrovato intero o parzialmente ricostruibile; diconseguenza non conoscendone la forma dei bordi risulta chiara l'impossibilità perPoggibonsi di costruirne una seriazione morfologica attendibile. Particolari risultano dueesemplari rinvenuti in livelli di vita duecenteschi che presentavano al loro interno residui diincrostazioni di calce per costruire muri, quasi a segnalarne un impiego nell'edilizia. Ancheil coperchio risulta essere una produzione marginale e solo 8 esemplari sono statiriconosciuti tra il XIII e XIV secolo.

659 VALENTI 1996a, p.269.660 VALENTI 1996a, p.269.

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Altri manufatti - Una serie di manufatti ceramici modesti dal punto di vista quantitativo madegni di nota sono tappi, palline, pedine e altri frammenti nati dal riuso quotidiano diframmenti di ceramica e destinati ad uso domestici o ludico.

c.2 - Acroma Grezza Olle - Le Olle continuano ad essere le forme più presenti nelle abitazioni e se da un latomostrano una continuità morfologica con tipi apparsi a partire dal IX-X secolo, dall'altronon mancano innovazioni o mutazioni nelle fogge che porteranno a forme tipicamentebassomedievali. Ci troviamo di fronte a recipienti globulari ed ovoidi sempre con fondipiani e apodi divisibili per la forma del bordo in cinque gruppi principali che presentano alloro interno alcune varianti. Il primo gruppo raccoglie i contenitori con orlo arrotondato piùo meno estroflesso e si articola in nove tipi. Il secondo gruppo comprende olle a orloarrotondato verso l'esterno su alto collo e non presenta varianti. Il terzo raggruppamentopresenta orli indistinti e leggermente arrotondati, con bordo estroflesso ed é composto datre tipi. Il quarto gruppo si divide in due diverse fogge e é caratterizzato da orlo arrotondatoed ingrossato con bordo verticale e appena ingrossato. L'ultimo gruppo comprende duetipi e si contraddistingue per l'orlo indistinto e il bordo leggermente introflesso. Ladistribuzione cronologica dei tipi all'interno delle fasi del castello di Poggio Bonizio delineaun panorama abbastanza puntuale, suffragata da una serie di confronti con altri contestitoscani sia di ambito urbano che rurale. Al pieno Duecento é riferibile una variante delprimo gruppo distinguibile per l'orlo superiormente piatto e leggermente inclinato versol'interno con un diametro di circa 17 cm661. Sempre al XIII secolo vanno ascritti due varianti del terzo gruppo, riconoscibili entrambeper un orlo indistinto più o meno estroflesso con diametri compresi tra i 13 e i 17 cm.Sempre nel Duecento risultano pertinenti al quarto e al quinto gruppo un paio di varianti,con orlo indistinto e breve con diametro medio di 21 cm662 e un'olla distinguibile in duesottotipi con orlo arrotondato ed ingrossato, bordo verticale o appena introflesso di mediedimensioni oppure con orlo indistinto e bordo superiormente piatto leggermenteintroflesso. Sono stati individuati una serie di tipi che compaiono indistintamente nelle fasi di pieno XIIIsecolo e nella breve rioccupazione di Arrigo VII avvenuta nel 1313. La maggior parte delleolle é riferibile al primo gruppo e in particolare é attestata la presenza di quattro suevarianti: con orlo assottigliato, bordo estroflesso e diametro medio di 15 cm 663; con orloquasi appuntito superiormente piatto e ed inclinato verso l'interno; la terza varianteappartiene a olle con breve orlo superiormente piatto e bordo molto estroflesso; in ultimo épresente un'olla con breve orlo superiormente convesso. Altra produzione databilesoprattutto per associazione tra XIII e XIV secolo é un'olla relativa al quattro gruppo, sidistingue per le grandi dimensioni e per l'orlo arrotondato e ingrossato, con bordoverticale. Tipiche invece della rioccupazione del castello nel 1313 sono olle appartenenti alprimo gruppo con orlo arrotondato e bordo molto estroflesso e marcato, dal diametromedio di 21 cm. Una seconda produzione relativa a questa fase appartiene al secondogruppo ed é foggiata con alto collo ed orlo arrotondato ed indistinto rivolto verso l'alto, condiametro di 14 cm. I restanti tipi sono stati rinvenuti in associazione al cantiere di XV-XVIsecolo durante la costruzione della fortezza medicea.664.

661 Questa variante trova confronto nei siti di Castel Delfino (Savona), Pistoia e Prato (VALENTI 1996a,pp.265-266).662 Sono state datate al XIII secolo sulla base di confronti con esemplari rinvenuti a Pisa, Piazza Dante eRocca San Silvestro (VALENTI 1996a, p.266).663 Si trova conferma della cronologia proposta con materiali presenti negli scavi di Rocca San Silvestro eGrosseto e datati tra il XIII e il XIV secolo (VALENTI 1996a, p.266).

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Osservando le percentuali di presenza dei tipi risulta inoltre che la maggior parte delle ollevenivano foggiate con orli appuntiti e inclinati verso l'interno o con bordi superiormenteappiattiti e collo alto; da un confronto con il periodo carolingio é osservabile come tra XII eXIII secolo siano i tipi prodotti a partire dall'altomedioevo a rimanere i più diffusi. Mutainvece il panorama degli impasti impiegati nella produzione delle olle che passano daiquindici tipi attestati tra IX e X secolo, ad otto in pieno XIII secolo. Ben sette produzioniinfatti sembrano terminare nelle fasi di passaggio tra il X e il XII secolo, mentre settecontinuano dall'altomedioevo fino agli inizi del XIV secolo. E' osservabile poi la scomparsadi una produzione alla fine del XII secolo e contemporaneamente la circolazione di un'ollarealizzata con un impasto inedito per il sito. Sia nel XII che nel XIII secolo i prodottirealizzati al tornio lento e veloce si equivalgono, mentre riscontriamo per le produzioni diinizio XIV secolo una prevalenza nell'uso del tornio veloce; le decorazioni continuano adessere limitate a filettature fitte o rade associate talvolta a linee sinusoidali o tacche. Nonsi riscontra più l'alta varietà nel combinare le decorazioni tipica dell'alto medioevo, ma irecipienti risultano rifiniti con nella maggior parte dei casi un solo tipo di soluzione, checampisce o l'interno corpo ceramico o la porzione compresa tra la spalla e l'orlo. Coperchio - Il coperchio risulta una forma poco diffusa e in base alla forma del bordo laproduzione può essere ricondotta a tre gruppi principali. Il primo, suddiviso in due varianti,si distingue o per l'orlo arrotondato ripiegato all'esterno con un diametro medio di 25 cm,databile tra il XIII e il XIV secolo, o per l'orlo arrotondato solo esternamente e diffuso solonelle prime fasi del castello di Poggio Bonizio (seconda metà XII secolo). Il secondogruppo veniva foggiato con orlo appuntito ripiegato all'esterno e con un diametro di 17 cm,mentre nel terzo sono riuniti coperchi dall'orlo piatto con diametro medio di 20 cm;entrambi i gruppi sono stati rinvenuti in livelli databili esclusivamente al pieno XIII secolo ein associazione ai tipi ascrivibili alla seconda metà XIII-inizi XIV secolo. Un tipoappartenente al XIII secolo e rinvenuto in un buono stato di conservazione é caratterizzatoda bordo appuntito, superiormente appiattito e aggettante, e presenta un fondo munito dipiccolo manico a nastro e una serie di fori di mezzo centimetro di diametro per permetterela fuoriuscita dei vapori. Da un punto di vista tecnologico i coperchi risultano foggiatiprevalentemente al tornio lento e solo una parte é lavorata al tornio veloce; le formevengono raramente rifinite e filettature più o meno marcate sono le uniche decorazionipresenti sui pezzi. Ciotola - La ciotola é una forma presente in tutte le fasi bassomedievali del castello erisulta abbastanza diffusa soprattutto in pieno Duecento. Almeno tre tipi di ciotolecontinuano ad essere prodotte col medesimo impasto fin dal periodo carolingio, affiancatenel corso de XII e XIII secolo da sette nuovi tipi di argille, utilizzate contemporaneamenteanche nei cicli di realizzazione di testi, tegami e olle. Le tecniche di lavorazione vedono unimpiego maggiore del tornio veloce su quello lento, mentre le decorazioni sono affidate afilettature più o meno marcate e linee sinusoidali. Sulla base delle caratteristiche formali dei fondi le ciotole possono essere divise in duegruppi: piano e apode per il primo gruppo, con piede il secondo. Il primo gruppo si articolasu quattro varianti distinguibili dalla foggia dei bordi: si riconoscono tra XII e XIII secolociotole con bordo superiormente piatto e orizzontale del diametro di 18 cm; ciotole conbordi assottigliati e orli del diametro di venti centimetri sono tipi delle fasi di metà XIIsecolo; un terzo tipo con bordo arrotondato e un diametro di 20 cm si attesta nel corso delXIII secolo. Il quarto tipo del primo gruppo é presente esclusivamente nei livelli difondazione di metà XII secolo ed ha bordo molto estroflesso, superiormente piatto einclinato e un orlo del diametro medio di 22 cm. Il secondo gruppo di ciotole con fondo con

664 Le forme di inizi XIV secolo sono raffrontabili con esemplari trecenteschi rinvenuti negli scavi di Zignagoed Anteggi, oltre ad una serie di forme provenienti dalle ricognizioni nel Chianti senese. Altri reperti possonoessere confrontati con i materiali degli scavi di Pistoia e Prato (VALENTI 1996a, p.266).

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piede e bordo estroflesso arrotondato comprende pochi esemplari presenti solo nelle fasidi cantiere quattrocentesche. 665

Testo - Nella cottura dei cibi dai dati é possibile leggere una continuità d'uso del testo,realizzato a mano o al tornio con pareti alte, mentre spariscono o quasi i tegami in grezza,forse sostituiti da prodotti invetriati. I dieci impasti impiegati in età carolingia per lapreparazione dei testi perdurano anche tra XII e XIII secolo, affiancati da almeno treproduzioni con nuovi tipi di argille. Sulla base delle caratteristiche dei bordi si distinguonoessenzialmente in due gruppi: il primo si distingue per il bordo estroflesso arrotondato edingrossato, distinto nella variante con breve bordo e diametro di 17 cm o con lungo bordoe diametro medio di 26 cm; il secondo raggruppamento comprende esemplari piatti, quasia disco, di cui un primo tipo presenta bordo allungato ripiegato verso l'alto, mentre un'altroha un breve bordo ingrossato. Ad eccezione dell'ultimo tipi, rinvenuto nelle spoliazioniquattrocentesche, tutti gli altri testi sono omogeneamente distribuiti tra la metà del XII e gliinizi del XIV secolo. 666

Boccale - I boccali in acroma grezza sono una produzione marginale e quantitativamenteomogenea tra XII e XIV secolo. La frammentarietà dei reperti non permette analisimorfologiche precise, mentre informazioni interessanti si ricavano dall'osservazione delletecnologie impiegate nella realizzazione: i recipienti sono lavorati sia su torni lenti cheveloci e, dei sei impasti impiegati in epoca carolingia, solo uno perdura fino agli inizi delDuecento, quando ne compaiono quattro nuovi tipi destinati a sparire dopo la distruzionefiorentina del 1270.

c.3 - Maiolica arcaicaLa maiolica arcaica, che inizia ad essere prodotta e a circolare in Toscana dalla metà delDuecento circa, é presente in quantità modeste nei livelli due-trecenteschi del castello diPoggio Bonizio. Le forme sono sostanzialmente due: il boccale e la ciotola. Gli impastiriconosciuti per la maiolica arcaica sono sei e rimangono gli stessi tra la distruzione delcastello del 1270 e la rioccupazione di Arrigo nel 1313. Inoltre agli inizi del XIV secoloimpasti dedicati per la produzione di boccali o ciotole, sono riscontrati nella foggiatura dientrambe le forme.Boccale - La maggior parte dei reperti si presenta allo stato di frammento, ma alcunirinvenimenti hanno permesso la ricostruzione parziale di alcuni boccali, permettendo unaprima distinzione in tre tipi sulla base della morfologia del fondo o del corpo ceramico. Unprimo tipo, di cui é stato rinvenuto esclusivamente il fondo, presenta un piede piano e adisco; é associato ad un motivo zoomorfo mal conservato, forse una coda di un pesce o diuccello: il contorno é realizzato in manganese e all'interno é riempito da un motivo agraticcio eseguito in ramina. Il motivo é a sua volta inquadrato da doppie bande verticali eorizzontali in manganese. La forma ricorda boccali di XIII-XIV secolo, mentre il motivo puòessere ricondotto per forma, riempimento a graticcio in ramina e inquadratura tra bandeverticali e orizzontali, ad un boccale rinvenuto a Montalcino e databile tra la fine del XIII ela prima metà del XIV secolo667. Un secondo tipo, databile tra XIII e XIV secolo si presenta con bocca trilobata, piedesvasato, corpo ovoide e ansa a sezione ellittica. E' esternamente smaltato di biancomentre il piede risulta invetriato con vetrina di colore marrone chiaro, applicata ancheall'interno. Il collo é decorato con motivo a treccia in ramina tra bande orizzontali inmanganese. Un motivo di forma irregolare riempito con un graticcio in ramina é alternato apunti cerchiati in manganese realizzati sul corpo. L'ultimo tipo é rappresentato da un

665 VALENTI 1996a, pp.267-268.666 VALENTI 1996a, p.267.667 FRANCOVICH 1982, p.35 fig.24.

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boccale cosiddetto "a palla". presenta un motivo a cerchi successivi ricavati sul corpo eriempiti con una croce in ramina e manganese. E' una produzione tipica delle prime fasidella maiolica pisana e attesta la precocità dell'accesso di Poggio Bonizio a mercati in cuicircolavano i primi prodotti smaltati. Forme aperte - Per le forme aperte, i pochi rinvenimenti non permettono di eseguire unatipologizzazione morfologica, ma i reperti sono riconducibili per lo più a ciotole.

c.4 - Maiolica umbra e protomaiolicaIl rinvenimento nei livelli trecenteschi di un boccale in maiolica umbra e in livelli di XIIIsecolo di una serie di frammenti di maiolica colorati con la ferraccia (un pigmento utilizzatonelle cosiddette “protomaioliche” tipiche dell’Italia meridionale), sono un chiaro indizio peril XIII-XIV secolo di un commercio che agiva su scala interregionale.

c.5 - InvetriataTra le stoviglie da cucina destinate alla preparazione dei cibi, accanto ai tegami e ai testiad impasto grossolano compaiono tegami rivestiti internamente con vetrine trasparenti o dicolore marrone, provenienti prevalentemente da focolari scavati all’interno delle abitazionidi XIII e XIV secolo. Due tegami ricostruiti interamente o in parte non mostrano differenze sostanziali epossono essere considerati come varianti di un medesimo gruppo: il primo tipo di tegamesi presenta con bordo dritto e arrotondato al quale sono applicate quattro presine, corpotroncoconico, fondo piano e orlo del diametro di circa 15 cm. E' rivestito internamente dauna invetriatura marrone, mentre esternamente risulta acromo con colature di vetrina.Trova confronti puntuali con esemplari rinvenuti in livelli di XIII-XIV secolo668. Il secondotipo ha forma simile alla prima e differisce per la forma della presina, più grossa eapplicata leggermente al di sotto del bordo e per il diametro maggiore che raggiunge i 25cm circa. Internamente é rivestito con vetrina verde chiara e all'esterno mostra evidenticolature. Dai livelli di XIII e di XIV secolo sono emersi una serie di frammenti di boccali invetriati diverde e distinguibili per tre differenti tipi di impasto: purtroppo anche in questo casol'esiguità delle dimensioni non permettono seriazioni morfologiche.

c.6 - DiscussioneIl panorama delle produzioni rinvenute in livelli coevi alle fasi di fondazione del castello dimetà XII secolo mostra una certa continuità con il panorama formale affermatosi in epocacarolingia con qualche riduzione: acrome depurate e ad impasto grossolano sono ancorale classi ceramiche più attestate e il corredo dei manufatti per la mensa é limitato adboccali, ciotole/catini e coperchi, mentre le stoviglie impiegate in cucina sonosostanzialmente l'olla e il testo. Si nota anche una diminuzione nella serie di impastiimpiegati, alcuni dei quali iniziano ad essere destinati alla realizzazione di più forme, dipari passo con una standardizzazione maggiore dei repertori morfologici riscontrati nellafoggiatura degli orli e dei fondi. Questa serie di tendenze contemporanee con la nascita del castello e il loro perdurare finoalla distruzione fiorentina del 1270, potrebbe essere il risultato della presenza di botteghelegate al centro castrense e che iniziarono ad avere un certo monopolio nella vendita deiprodotti. Una stabilizzazione dei corredi e una riduzione drastica delle tipologie di impastopuò essere imputabile a più fenomeni. La presenza di un nuovo centro abitato può da un lato aver attratto e unito differentibotteghe, andando verso la nascita di officine di carattere proto-industriale; dall’altro, seeffettivamente si verificò un simile fenomeno, è possibile che alcuni centri di produzione

668 GRASSI 1999, pp.99-105.

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rimanessero tagliati fuori e fossero costretti o a cambiare circuito commerciale o adaggregarsi a nuove officine. Il XII-XIII secolo, per molte attività artigianali che sisvolgevano a livello domestico nel contado, vide, sotto la spinta accentratrice deicosiddetti maestri d’arte, la nascita di associazioni corporative dei mestieri. Questesolitamente davano vita all’interno delle città o dei castelli a dei quartieri in cui gli artigianiche esercitavano una stessa attività vivevano e lavoravano. Che tale fenomeno si verificasse anche per Poggio Bonizio è testimoniato dalla presenzadi un quartiere di fabbri, localizzato lungo la viabilità principale a partire dal XIII secolo. Inpoco più di un secolo di vita del castello non si notano radicali mutamenti, fatta eccezioneper la comparsa di due nuove classi ceramiche: le maioliche e le invetriate da fuoco e damensa. L’introduzione sul mercato di nuovi tipi ceramici, quali maioliche e invetriate, può averdeterminato la scomparsa di alcune botteghe. Questi prodotti più raffinati, richiesti dalleclassi medio-alte che abitavano il castello, iniziano a circolare sui mercati con grandediffusione e sostituiscono parte del corredo da mensa e da cottura, facendo diminuire larichiesta di ceramiche acrome, che tuttavia rimarranno fino al XV secolo una dominantesulle tavole e nelle cucine dell’epoca. La continuità di presenza di ceramiche invetriate emaioliche tra l'ultima fase di vita di Poggio Bonizio e l'occupazione imperiale del 1313potrebbe essere letto come l'arrivo di queste produzioni dall'esterno e che non sparironocon la fine del castello. Il Duecento quindi testimonia la ripresa di scambi commerciali di lungo raggio, confermatidalla presenza di maioliche umbre e protomaioliche tra XIII e XIV secolo, segno che lemerci avevano ripreso a circolare su livelli nuovamente interregionali. Durantel’occupazione di Poggio Imperiale da parte delle truppe di Arrigo VII, ritroviamo nelleabitazioni ricostruite dopo la distruzione fiorentina nel 1270 un corredo ceramico del tuttosimile a quello di quarant’anni prima, che vede però l'assenza di alcuni tipi di impasto forselegati ad officine presenti all’interno del castello e termite a seguito dell’assedio fiorentino.L.M.

2 – Vetro.Sono stati rinvenuti 5.333 frammenti di vetro, dei quali circa il 60% è stato identificato; ireperti coprono un arco cronologico di circa dieci secoli (V-VI secolo-primi decenni del XVIsecolo). Il panorama del materiale vitreo rinvenuto si presenta piuttosto vasto, suddiviso in undiciforme diverse, distribuite in cinque macro categorie funzionali: vasellame da mensa(bicchieri, coppe, bottiglie, calici, fiaschi e brocche, generiche forme aperte), suppellettileda illuminazione (lampade a sospensione), materiale vitreo per uso edilizio (lastre dafinestra), materiale vitreo per piccoli oggetti di ornamento o di culto (vaghi da collana) e,infine, vasellame da spezieria e per la pratica medica (fiale).Il colore dei reperti analizzati varia all’interno di un largo spettro, ma principalmente sonopresenti il giallo e il verde, con tutte le possibili gradazioni fino all’incolore.In particolare il colore dei reperti si presenta così suddiviso: giallo e sue sfumature(38,4%), verde e sue sfumature (36,9%), incolore (12,8%), colore non identificabile (9,6%).In numero notevolmente ridotto sono attestati frammenti color fumé (0,85%), blu e viola(0,3%), azzurro e viola chiaro (0,25%), rosso e rosa (0,1%), marrone e giallo opaco,arancio, nero (0,05%).I vetri di Poggio Imperiale sono stati tutti eseguiti con la tecnica della soffiatura (a cannalibera o in forma): costituiscono eccezioni le lastre da finestra e i vaghi da collana in pastavitrea669. La soffiatura a canna libera è una tecnica di lavorazione relativamente semplice,

669 Per una descrizione esaustiva delle tecniche di produzione vitra in uso durante il Medioevo si rimanda aSTIAFFINI 1999, pp.89-94.

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ma che permette una gran varietà di creazioni tramite l’utilizzo di pochi attrezzi quali lacanna (lungo tubo in metallo forato all’interno), il cosiddetto marmor (lastra di pietra omarmo utilizzata per conferire simmetria al bolo di vetro durante la fase di lavorazioneiniziale), il pontello (asta di ferro utilizzata nella fase del distacco dell’oggetto dalla canna),pinze e cesoie. La lavorazione del vetro inizia introducendo la canna all’interno delcrogiolo posto nel forno fusorio, per prelevare la giusta quantità di vetro, detta bolo.Successivamente il bolo viene reso simmetrico, facendolo rotolare più volte sul marmor; aquesto punto inizia la fase della soffiatura vera e propria e il maestro forma un globo alquale si imprime la forma finale desiderata attraverso una serie di allungamenti einsaccature, aiutandosi anche con pinze e cesoie. Infine l’oggetto, dopo essere statoattaccato al pontello tramite una pasticca di vetro fuso posto sul fondo, viene staccato conle cesoie dalla canna, permettendo così al maestro di modellarne l’orlo o di decorarlo. Perottenere calici o coppe su piede, le due parti (calice o coppa e piede) erano soffiateseparatamente e unite in un secondo momento.La soffiatura in forma (o dentro matrice, o a stampo), prevede che il globo di vetro siasoffiato all’interno di una forma (in legno o metallo) decorata internamente, in modo daimprimere il disegno sull’oggetto.

a. V-VI secolo - Per la frequentazione tardoantica, le cui tracce sono state in parte distruttedalla attività successive, è attestato un numero esiguo di frammenti vitrei; tuttavia i repertirinvenuti non mancano di interesse. Tra questi, quelli di maggior valore sono rappresentatida una decina di frammenti, decorati a motivo geometrico tramite incisione o molatura(FIG…).La molatura è un particolare tipo di incisione che viene effettuata sul prodotto finito tramiteappositi utensili, ottenendo in questo modo un solco che forma la decorazione: disegnigeometrici, fitomorfi o figurati670. In Italia è diffusa fino alla fine del IV-inizio V secolo671. Giàdurante la prima metà del V secolo, questi tipi decorativi iniziano a rarefarsi, per lasciare ilposto ad altre tecniche, di più semplice esecuzione, quali l’applicazione di filamenti allaparete. In contesti tardoantichi, ritrovamenti di reperti simili sono avvenuti in Italiasettentrionale a Roma672 e a Brescia673; in ambito non nazionale si ricordano la Francia674 ela Gran Bretagna675.

Si tratta, sicuramente, di manufatti di produzione non locale, importati da qualche atelier diuna certa rilevanza, che doveva possedere le conoscenze tecnologiche per lafabbricazione di questo tipo di oggetti, di tradizione romana.Oltre ai frammenti molati ed incisi, sono stati individuati anche oggetti di uso comune. Traquesti, bicchieri a bordo liscio più o meno svasato e una forma aperta (lampada o bottigliaa bordo molto svasato) con bordo ribattuto all’interno, tecnica quest’ultima tipica delperiodo.

b. Fine VI-VIII secolo - Pur nelle difficoltà determinate da una stratigrafia altomedievalealterata dalle successive occupazioni della collina, è stato possibile riconoscere alcunetipologie caratteristiche dell’età longobarda. Sono presenti, tra gli altri, frammenti di coppa

670 STIAFFINI 1999, p.92.671 Per una sintesi sui vetri incisi dell’Italia settentrionale e della Rezia nel periodo che parte dalla secondametà del II secolo e arriva fino all’inizio del V secolo, si veda PAOLUCCI 1997 e relativa bibliografia.672 Presso la Schola Praeconum, WHITEHOUSE 1995, fig.4, nn.34-37; nel Lungotevere Testaccio,STERNINI 1989, tav.1, n.4b, tav.4, nn.16-21, tav.5, n.31; presso le tabernae del tempio della Magna Mater,STERNINI 1995, tig.2, nn.1-1a, fig.3, nn.1-9, fig.7, nn. 45-47, 49, 52-53, 55-56, 58.673 Presso il monastero di Santa Giulia, UBOLDI 1999, tav.CXVII, nn.11-18, tav CXXII, nn.6-12.674 HOCHULI GYSEL 1995, fig.1, n.1; MARTIN 1995, fig.1, n.8, fig. 2, n.1, fig.3, nn.3-4, 11.675 COOL 1995, fig.2, n.3, fig.3, n.1, fig.5, n.4; PRICE 1995, fig.8-10, 12-14.

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“a sacchetto” e altri decorati da filamenti applicati, le bottiglie a fondo apodo, e, tra lasuppellettile per l’illuminazione, alcuni esemplari di lampada.Come già accennato, una produzione tipica dell’età longobarda è la “coppa a sacchetto”,che continua ad essere attestata non oltre la fine del VII secolo. Secondo alcuni studiosi,dovrebbe trattarsi di una produzione esclusiva delle officine vetrarie italiane del VII secolo,poiché, per i secoli precedenti, non è attestata, né in Italia, né oltre le Alpi676.Il nome “ a sacchetto” deriva dalla particolare morfologia di questo tipo di coppa chepresenta il corpo bulboso, tendente ad allargarsi verso il fondo; è caratterizzata, inoltre, dauna decorazione che disegna festoni o piumaggio, ottenuta tramite l’applicazione difilamenti colorati.Rinvenimenti di “coppe a sacchetto” sono tipici nelle necropoli di età longobarda (tra lealtre, ricordiamo Villa Clelia ad Imola677, Castel Trosino678 e Cividale679), ma alcuniesemplari sono stati recuperati anche in contesti abitativi, presso la Crypta Balbi aRoma680.Si trovano, inoltre, bicchieri privi di decorazioni utilizzati, comunemente, insieme a bottiglieapode a corpo globulare. Per la mensa venivano impiegate anche forme aperte(probabilmente coppe) con bacino svasato o emisferico.Tra i frammenti non identificati (FIG), sono comunque presenti una serie di reperti,interessanti per il tipo di decorazione a filamenti applicati: si tratta, con tutta probabilità,anche per questi, di oggetti legati alla mensa (coppe, bicchieri o calici, corni potori,bottiglie).Per l’illuminazione, venivano utilizzate lampade pensili681 con bordo a tesa orizzontale(appese tramite catenelle metalliche): normalmente erano riempite d’olio o altrocombustibile mentre lo stoppino era mantenuto verticale grazie ad un “gancetto “ metallicoappositamente fabbricato.Infine, quanto riguarda i piccoli oggetti per l’ornamento personale, sono stati identificatialcuni vaghi di collana colorati (FIG).

c. Metà VIII-X secolo - Per il periodo compreso tra seconda metà VIII-prima metà IXsecolo, i reperti rinvenuti sembrano mostrare una sostanziale continuità d’uso deimanufatti vitrei rispetto al periodo precedente. Sono presenti alcuni manufatti legati allasuppellettile da mensa comune: bicchieri o calici dal bordo svasato e bottiglie apode didiverse dimensioni con corpo ad andamento cilindrico o globulare. Oltre a questi, troviamoalcuni esemplari di lampade pensili, impiegate per l’illuminazione degli ambienti interni.Anche per il secolo successivo, si configura un panorama in cui il materiale vitreo venivautilizzato, quasi esclusivamente, come vasellame da mensa comune e, in qualche caso,per illuminare gli ambienti o come ornamento per la persona. Nel primo caso si tratta dibicchieri o calici privi di decorazioni, bottiglie apode, ovvero senza un piede d’appoggio,coppe emisferiche su piede tronco-conico.Per l’illuminazione venivano utilizzate, come in precedenza, lampade pensili a bacinosvasato o emisferico. Infine continuano ad essere indossate collane con vaghi in pastavitrea.

d. Tra 1155 ed il primo quarto del XIII secolo - Il panorama offerto dai reperti relativi allaprima fase di vita di Poggio Bonizio, nonostante la varietà di forme non sia così ampia

676 STAFFINI 1999, p.103.677 MAIOLI 1992, p.34, fig.4.678 MENGARELLI 1902, pp.209, 221 e tav.V, 12.679 MUTINELLI 1960-1961, pp.24-25, fig.25.680 ARENA et alii 2001, p.311 e figg.II.3.347- II.3.347a.681 Per una prima sintesi sulla tipologia delle lampade in età altomedievale si veda UBOLDI 1995.

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come nel periodo successivo, mostra comunque un certo dinamismo all’interno delcastello appena fondato.Il materiale vitreo in questo periodo è utilizzato per il vasellame da mensa comune e, inalcuni rari casi, si presenta come produzione di lusso; è attestato inoltre come suppellettileper l’illuminazione di edifici abitativi e materiale per l’edilizia (lastre di vetro da finestra).Per quanto riguarda la suppellettile da mensa, si tratta di bicchieri privi di decorazione o,novità di questo periodo (comune dal secolo successivo in poi), manufatti decorati congocce applicate sul corpo dell’oggetto682 (FIG…). Un’altra innovazione decorativa nasce inquesto periodo: si tratta del bicchiere non più apodo ma con fondo su base ad anellovuoto, la cui fabbricazione prevede una conoscenza tecnologica piuttosto avanzata. Leforme chiuse da mensa sono poco attestate, con qualche esemplare di bottiglia apoda o,anche in questo caso, con base d’appoggio su anello vuoto; il corpo si presenta globulareper entrambi i tipi. Le forme aperte, probabilmente coppe, sono presenti soprattutto nellavariante a bacino emisferico, ma non manca un esemplare a bordo svasato. Infine sonoattestati alcuni frammenti di forma non identificabile, interessanti per le caratteristichedecorative: filamenti blu applicati alla parete. Questo tipo di decorazione attesta,verosimilmente, una produzione di lusso, presente nelle case degli abitanti più facoltosi.In questo periodo, il vetro con caratteristiche funzionali diverse da quelle fin qui descritte,ovvero per l’illuminazione o per l’edilizia, è stato rinvenuto in un numero esiguo diesemplari.Al periodo di fondazione del castello risale anche il bicchiere tronco-conico, con base adanello vuoto, decorato da filamenti applicati in forma di piumaggio o festoni, inseritoall’interno di una nicchia risparmiata nelle fondazioni del campanile della chiesa (FIG…): ilmotivo decorativo, applicato ad un bicchiere con queste tipo di caratteristichemorfologiche, rappresenta un unicum all’interno del panorama nazionale, ad ulterioreriprova, non solo del panorama variegato, ma anche della particolarità morfologica edecorativa che contraddistingue la produzione in questo periodo.La funzione del recipiente emerge dal contesto stesso di rinvenimento: l’oggetto è statoinserito all’interno della nicchia, a scopo rituale, durante i lavori di cantiere per lacostruzione della chiesa.Per quanto riguarda confronti per il tipo di rinvenimento, l’unico noto, riguarda la chiesa diSan Sigismondo, vicino a Cremona683. Durante i lavori di restauro emersero, all’interno diuna celletta risparmiata in uno dei pilastri, due bottiglie in vetro, identiche tra loro.Nonostante non siano conosciuti altri casi, si ricorda comunque la tradizionale usanza diriporre oggetti, pergamene o iscrizioni a ricordo nella fondazione di edifici destinati al culto.Per quanto riguarda il contenuto delle due bottiglie di San Sigismondo, esso era ancorapresente all’interno: si trattava di due liquidi, probabilmente olio e vino.Nel nostro caso, invece, sembra piuttosto improbabile che racchiudesse liquidi, proprio inconsiderazione del fatto che i recipienti più adatti a questo scopo, sarebbero stati unabottiglia o, eventualmente, un’ampolla. D’altra parte, l’utilizzo di bicchieri o calici (sia in vetro che in metallo) utilizzati comereliquiari è noto dal Medioevo fino all’Età Moderna: in mancanza di ulteriori analisi si puòcomunque ipotizzare che il contenuto del bicchiere di Poggio Bonizio fosse composto dauna reliquia.

e. XIII secolo - Il maggior numero di forme minime rispetto al totale, è stato riconosciutonella seconda fase di vita di Poggio Bonizio: infatti circa un quarto dei reperti vitreirinvenuto durante lo scavo è attestato durante questo periodo.

682 Per una sintesi esaustiva sulle ipotesi circa l’origine di questo bicchiere, si veda STIAFFINI 1991, p.202-207 e relativa bibliografia.683 MARIACHER 1964, p.70.

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Risulta un quadro variegato per forme, tipi e varianti decorative che, in mancanza diindicatori di produzione certi, conferma la vivacità dei commerci già attestata dai risultatidell’indagine archeologica e dalle fonti scritte.Sono attestati il bicchiere decorato a bugne, quello con base d’appoggio ad anello e quellodecorato da un cordone di vetro pieno applicato al fondo: questo dato ben si inserisceall’interno del panorama italiano poiché è proprio da contesti di XII-XIII secolo che sonoemersi il maggior numero di esemplari riferibili a questi tipi di recipiente.Non mancano neanche i bicchieri apodi, privi di decorazione, anche questi in numerosuperiore rispetto a quasi tutti gli altri periodi.Inoltre, tra i recipienti potori, sono presenti i calici, attestati in soli sei esemplari ma, aconferma della varietà, in quattro varianti morfologiche e decorative.Ancora sono presenti due tipi di forme aperte, a bacino svasato o emisferico.Quanto alle forme chiuse da mensa, sono attestate dalle bottiglie su base d’appoggio adanello, dalle bottiglie apode, con corpo cilindrico o globulare e, infine, dalla bottiglietta abordo estroflesso, collo cilindrico, anche questa apoda. Tra i frammenti non identificabili, notevoli per il tipo di decorazione presente, sonoattestate la decorazione a filamento applicato (blu o dello stesso colore della parete) e ladecorazione a gocce blu applicate. Inoltre è stato rinvenuto un frammento decorato da uncordone di vetro pieno applicato alla parete al quale sono state applicatesuccessivamente, bugne allungate.Per quanto riguarda il materiale vitreo utilizzato per l’illuminazione sono attestati alcuniesemplari di lampade, utilizzate all’interno di strutture abitative: la lampada conica e quellacon la parte superiore emisferica e la parte inferiore tronco-conico più stretta.Il materiale vitreo da edilizia, come nella prima fase di occupazione, è qui testimoniatodalla presenza di frammenti pertinenti a lastre da finestra.

f. 1313 - L’occupazione trecentesca da parte dell’imperatore Arrigo VII, nonostante la suabrevità, attesta comunque un consumo di vetro che ben si inserisce nel panorama coevo:sono presenti, tra gli altri, per il vasellame da mensa comune, i bicchieri “gambasini”,produzione tipica di fine XIII-XIV secolo, con una certa varietà di motivi decorativi impressitramite la soffiatura entro matrice. Come già accennato, per la fabbricazione di questo tipodi manufatti, il vetro veniva soffiato dentro una forma o matrice (solitamente in legno ometallica) che presentava sulla superficie interna un motivo geometrico “in negativo”,impresso all’oggetto proprio tramite la soffiatura. Si tratta di una tecnica “rivoluzionaria”,poiché è proprio grazie a questa che inizia a diffondersi un nuovo modo di fare il vetro, nonpiù legato agli aspetti prettamente artigianali della produzione, ma la cui tecnica difabbricazione può essere definita semi-industriale, con la conseguente riduzione dei costie dei tempi di produzione, nonché standardizzazione delle forme684.In generale, continuano ad essere in uso, anche i bicchieri decorati a bugne, quellicaratterizzati dalla base di appoggio ad anello vuoto o apodi, le bottiglie apode prive didecorazione e a decorazione impressa, quelle su alto piede ad anello. Tra le novità, rispetto ai periodi precedenti, sono attestati un esemplare di brocca 685 e unodi fiasco. Quest’ultimo era normalmente utilizzato per il trasporto e la conservazione diliquidi ma nel nostro caso, per le caratteristiche morfologiche del corpo e dell’orlo, nonchéper le piccole dimensioni, questo recipiente può essere interpretato non tanto come

684 Questo tipo di produzione è attestata a Gambassi (FI), si veda MENDERA 1989, ma, considerata ladiffusione, viene rinvenuta in quasi in quasi la totalità degli scavi italiani relativi a questo periodo. Sulladiffusione del bicchiere gambasino, si vedano ZECCHIN 1973, pp.121-122; NEPOTI 1978, pp.326-333;BIAVATI 1981, pp.630-631.685 Sull’utilizzo di brocche in vetro durante l’età medievale, si veda STIAFFINI 1991, p.217.

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contenitore per la conservazione di vino, quanto come fiasco utilizzato da viandanti opellegrini durante il viaggio (FIG…).Tra i recipienti potori, sono presenti alcuni calici (in quattro tipologie diverse) che attestanoun certa ripresa di questa forma, dopo la parentesi di quasi totale assenza durante i secolicentrali del Medioevo.Il materiale vitreo utilizzato nell’edilizia è presente con alcuni frammenti di lastre di vetro dafinestra, uno dei quali di color azzurro intenso.I frammenti pertinenti a lampada testimoniano l’utilizzo di suppellettile in vetro perl’illuminazione degli ambienti, probabilmente di edifici abitativi piuttosto che ecclesiastici.Infine, dalle stratigrafie pertinenti alla breve frequentazione imperiale, è emerso unrinvenimento di notevole rilievo, non solo per sito di Poggio Imperiale ma a livellonazionale. Si tratta di un frammento di Hedwig beaker decorato con un motivo geometrico“a scaglia di pino” (FIG…). Il nome (bicchiere di Edvige) nacque in riferimento ad unesemplare utilizzato per conservare alcuni frammenti ossei di Sant’Edvige. Si tratta di untipo bicchiere conosciuto in pochi esemplari, una produzione di lusso con funzione direliquiario, importata probabilmente dal Medio Oriente e decorata con la tecnica dellamolatura. Non è improbabile ipotizzare che potesse far parte del corredo dell’imperatore odel suo seguito.S.Q.

3 – Metalli.Lo scavo ha restituito un vero e proprio “campionario” di oggetti di uso quotidiano e non,che trovano applicazione nell’attività edilizia, nelle attività artigianali, nelle attività militari, inquelle agricole e nella vita di tutti i giorni. La maggior parte di questi oggetti furonorealizzati in loco, come sembra mostrare il ritrovamento di varie strutture produttive.In strati riferibili al periodo altomedievale (più precisamente alla fase di IX-X secolo) è stataindividuata una forgia; i depositi si presentano come una lente di spessore limitato in cuisono stati rinvenuti carboni, scorie di lavorazione di ferro ed un probabile frammento dellastruttura che conteneva il fuoco di forgia. La struttura doveva essere coperta da una tettoiain paglia o frasche innalzata su quattro pali; purtroppo, tali resti sono stati danneggiatidurante la costruzione di un edificio nella fondazione di Poggio Bonizio.Al castello-città di Poggio Bonizio (dove, come sappiamo dai giuramenti di patti con Sienadel 1221 e del 1226, esisteva un nutrito numero di “faber”, “ferrator” e un “chiavarius”) èattribuibile un grande complesso artigianale per la lavorazione del metallo. Questa bottegaè costituita da tre ambienti raggruppati nei pressi dell’unica grande strada cittadinarinvenuta finora (probabilmente la principale), attrezzati per l’esecuzione delle tre fasiprincipali della produzione di oggetti in ferro. Nel primo ambiente avveniva la riduzione delminerale, nel secondo venivano forgiati gli oggetti e infine, nel terzo doveva avvenire larifinitura e la vendita al dettaglio, probabilmente utilizzando un bancone affacciato sullastrada. Ad un un tipo di attività diversa (la costruzione di una delle chiese di Poggio Bonizio nellaquale vennero impiegate maestranze specializzate) si collega la fornace da campanedatata alla metà del XII secolo rinvenuta all’ingresso della probabile chiesa dedicata aSant’Agnese che ha molte caratteristiche in comune con altre fornaci per campane trovatein siti archeologici italiani ed europei, e rientrando nel tipo descritto da Teofilo nel XVIIsecolo.Anche negli strati appartenenti al breve periodo di vita del cantiere promosso da Arrigo VIIper la fondazione del castello di Monte Imperiale, si trovano tracce di attività metallurgica.Si tratta di un bassofuoco per la riduzione del minerale ferroso. La struttura, di formarettangolare, costruita con pietre e frammenti di laterizi, sembra essere in relazione conuna zona posta a breve distanza che presenta livelli ricchi di carbone e cenere, tale da far

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pensare ad uno spazio adibito all’arrostimento del minerale. Pur se molto degradate,queste evidenze ci forniscono informazioni sufficienti ad ipotizzare un’attività dilavorazione del metallo anche in quei pochi mesi del 1313, quasi sicuramente riferibile alleattività di cantiere.

I repertiLa categoria che presenta il maggior numero di reperti è quella degli accessori perl’abbigliamento e gli oggetti da ornamento. Si tratta di manufatti realizzati nellamaggioranza dei casi in bronzo, ma anche in ferro, argento o piombo. Provengono per il90% da strati bassomedievali ma non mancano attestazioni in strati datati a periodi piùantichi.

a. Reperti collegate all’ornamento personaleBottoni: compaiono nel XIII secolo sostituendo gradualmente lacci, fibule e ganci per abitifino a diventare, nel secolo successivo, un oggetto di moda e ampiamente diffuso. Gliesemplari rinvenuti a Poggio Imperiale hanno datazioni che vanno dal XIII secolo al 1313.Si tratta di bottoni sferici o emisferici, dotati di “appiccagnolo” per essere cuciti alle vesti,realizzati soprattutto in bronzo; alcuni presentano tracce di dorature, argentature odecorazioni a sbalzo.

Finali: sono lamine di metallo avvolte su lacci da abiti, in stoffa o pelle, a formare unostretto cilindro o un cono che favorisce, conferendoli rigidità, il passaggio del laccionell’asola secondo un sistema molto diffuso dal XIII al XVI secolo. I finali rinvenuti nelloscavo hanno una datazione che va dalla fine del XII secolo al 1313 con la maggioreattestazione nella seconda metà del XIII secolo. Solo due esemplari sono stati rinvenuti instrati altomedievali.

Ganci da abiti: venivano usati prima dell’introduzione dei bottoni per chiudere gli abiti. Ladatazione degli oggetti ritrovati a Poggio Imperiale, realizzati in bronzo, va dalla fine del VIsecolo al 1313; dato, quest’ultimo, che evidenzia il protrarsi del loro uso parallelamenteall’uso dei bottoni.

Fibule: sono realizzate sin da epoca preistorica e nel corso dei secoli hanno avuto unanotevole diffusione sotto varie forme, sono oggetti molto simili, per funzionamento, allemoderne “spille da balia”. Lo scavo di Poggio Imperiale ha restituito un frammento di fibulain bronzo proveniente da un’attività cantieristica con datazione riferibile ad un periodo cheva dal X secolo al 1155.

Anelli: si tratta di anelli digitali in bronzo diffusi sia in età romana che durante tutto ilmedioevo; alcuni sono di fattura molto semplice, formati da una fascia circolareleggermente allargata in corrispondenza del centro del dito; uno, datato al VI secolo,presenta una decorazione cruciforme; altri due esemplari presentano una applicazionequadrata al centro, in cui è inserito un castone di pietra dura; solo uno di questi è statodatato con sicurezza agli inizi del IX secolo.

Bubboli: si tratta di oggetti formati da due lamine in bronzo bombate, unite a formare unasfera cava all’interno della quale si trova un battiglio sferico. Un emisfero è dotato di“appiccagnolo”, sull’altro è praticata un’apertura a forma di manubrio per produrre ilcaratteristico tintinnio. Questo tipo di oggetto veniva applicato sulle vesti con la funzione dibottone o decorazione ma veniva anche fissato alle bardature dei cavalli con scopodecorativo o, nel caso di bardature da guerra, per aumentare l’impatto psicologico sul

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nemico durante la carica. La maggior parte dei reperti di questo tipo rinvenuti a PoggioImperiale provengono da strati datati tra il secondo quarto del XIII secolo e il 1313. Treesemplari, invece, provengono da livelli altomedievali, di cui l’unico datato con certezza siriferisce alla metà del VII secolo.

Pendagli: oggetti puramente decorativi, applicabili al vestiario o ad altri ambiti nonidentificabili. Di varie forme e dimensioni sono realizzati prevalentemente in bronzo edhanno datazioni che vanno dal 1313 all’età moderna. Due esemplari presentano unadoratura ed uno di questi, di cui non si trovano confronti in epoca medievale, sembrariferirsi all’oreficeria sarda di fine XIX secolo.

Pinzette: realizzate piegando un due una sottile striscia di bronzo, alcune presentanodecorazioni ad incisione, sono certamente da considerare oggetti relativi all’ornamentopersonale ed hanno datazioni che vanno dall’alto medioevo all’età moderna.

Placchette applicative: si tratta di applicazioni ornamentali di piombo in lega con stagno oargento. Si presentano come fasce decorate a rilievo e incisione alle cui estremità sonopresenti due occhielli rettangolari in cui doveva passare la striscia di stoffa o pelle a cuierano applicate. Le decorazioni riproducono vari motivi geometrici o floreali, alcune sonodotate di fori che mettono in vista il colore della stoffa sottostante creando un gradevoleeffetto cromatico. Una di queste, datata all’ultimo quarto del XII secolo, presenta setteappendici decorative sporgenti a forma di sfera o giglio fiorentino. Le datazioni vannodall’alto medioevo al 1313.

Accessori da cintura: sono raggruppati in questa categoria i reperti metallici riconducibiliad un uso funzionale o decorativo di cinture indossabili, cinghie o cinturini utilizzati in variambiti. Lo scavo ha restituito reperti di questo genere databili al bassomedievo. Si tratta dioggetti prevalentemente in bronzo identificati come placchette applicative da fibbia, concui venivano fissati alla striscia di cuoio alcuni tipi di fibbia, applicazioni da cintura, partidecorative costituite da lamine di bronzo che avevano, in modo meno elaborato, la stessafunzione dei puntali da cintura. Questi ultimi, costituiti da una lamina di bronzo ripiegata inmodo da formare un alloggio semiovale per il cuoio, servivano a rinforzare la punta dellecinture e favorire la loro allacciatura; a Poggio Imperiale è stato ritrovato un soloesemplare di questo tipo datato al secondo quarto del XIII secolo.

Fibbie: anche se strettamente collegato alla struttura delle cinture, questo tipo di oggettomerita di essere analizzato a parte. A Poggio Imperiale è stata rinvenuta una gran quantitàdi tali reperti, di forme diverse ed ottenuti da materiali diversi (bronzo, ferro, argento, leghee, in un solo caso, piombo). Le datazioni vanno dall’alto medioevo all’età moderna anchese il periodo con maggiori attestazioni a quello bassomedievale. Le fibbie sono uno dei rari oggetti su cui sono stati svolti studi cronotipologici; la loro formavaria, infatti, a seconda delle mode dei diversi periodi rendendo possibile collegare unaforma ad un periodo storico preciso. Nei vari periodi di vita degli insediamenti che si sono susseguiti sul Poggio Imperiale sonostate forgiate e utilizzate fibbie di forme e dimensioni diverse: dalle più semplici costituiteda un anello di ferro o bronzo a cui veniva applicato un ardiglione, alle più eleganti fibbiedoppie attestate a partire dal XIV secolo. Due soli esemplari sono stati realizzati inargento; uno, di forma rettangolare con traversa di alloggio dell’ardiglione, datato al 1313ed un altro di forma circolare, con ardiglione in bronzo, datato al decennio 1260-1270.

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Insegne da pellegrino: l’importanza del sito come punto di passaggio e di sosta su unadelle diramazioni della via Francigena o Romea è confermata dal ritrovamento delleinsegne che i pellegrini usavano cucirsi sulle vesti per testimoniare l’avvenutopellegrinaggio in un determinato luogo sacro. I cinque reperti trovati a Poggio Imperiale,uno datato alla fine del X secolo, uno al XII, due al XIII e l’ultimo al XV secolo, raffigurano isanti Pietro e Paolo indicando quindi un pellegrinaggio di tipo romeo.

Pendaglio/Reliquiario: scatoletta a forma di cuore senza punta in lega di argentoutilizzabile come pendaglio sfruttando due anelli applicati ai due lati che potevano essereusati per appendere l’oggetto. Uno dei lati è decorato con un giglio stilizzato e all’internosono stati rinvenuti alcuni semi (di una pianta non ancora identificata) interpretati comereliquia.

Insegna imperiale: si tratta di un oggetto in lega di piombo di forma circolare lavorata atraforo raffigurante un’aquila in maestà (probabilmente un simbolo imperiale). L’oggettodoveva essere applicato a qualche supporto utilizzando quattro ganci presenti sul bordoesterno.

b. Reperti non collegati al vestiario o all’ornamento personale.Chiodi, grappe e rivetti: come si intuisce questi tipi di oggetto vengono utilizzati in svariatiambiti (edilizia, falegnameria, carpenteriae ecc); in particolare i chiodi a Poggio Imperialecostituiscono in assoluto la classe numericamente più attestata tra i reperti metallici.Presenti in tutte le fasi studiate, non variano morfologicamente con il passare dei secolima rimangono sostanzialmente della stessa forma e con le stesse caratteristiche finoall’età industriale. Sono a sezione quadrata, di varie lunghezze, e possono avere lacapocchia più o meno squadrata. Le grappe invece vengono utilizzate prevalentemente inambito edilizio. Costituite da aste di ferro a sezione quadrangolare piegate in due punti a90° per formare una sorta di lettera “U”, venivano applicate a sostegno di strutture ediliziein legno. Sono stati rinvenuti anche rivetti, chiodi di piccole dimensioni, utilizzati per uniretra loro oggetti o lamine metalliche tramite ribattitura.

Coltelli: questi oggetti non sono distinguibili per specifici ambiti d’uso (cucina, caccia,difesa ecc) e per questo motivo sono stati raggruppati in un’unica categoria. L’unicadistinzione che possiamo fare è di tipo morfologico a seconda del tipo di codolo di cui sonodotati: il coltello detto “whittle tang”, ovvero con il codolo allungato e rastremato da inserirein manici compatti in legno o osso, e lo “scale tang” con codolo largo e schiacciato a cuiviene fissato un manico in legno o osso diviso in due parti fissate ai due lati del codolo conribattini oppure strisce di stoffa o pelle.Il tipo più numeroso è il “whittle tang” attestato a Poggio Imperiale dagli inizi del IX secoloal 1313 con una sola eccezione costituita da un esemplare unico risalente al V secolo.Generalmente è dotato di una lama a sezione triangolare allungata che può terminare conuna punta acuminata o avere una forma rettangolare come l’odierna “mozzetta”. La lamadello “scale teng” presenta, invece, una maggiore varietà di forme ed ha una datazioneche va dalla metà del VII secolo al XVI secolo.

Equipaggiamento del cavallo e del cavaliere: tale categoria, molto ampia, raggruppa glioggetti relativi alla bardatura e alla ferratura di equini e animali da allevamento; fannoparte di questo gruppo anche gli speroni da cavaliere. Il materiale maggiormente usato è ilferro, pochissimi oggetti sono realizzati in bronzo o piombo. Gli oltre milleseicento chiodi da ferratura rinvenuti rendono questa categoria tra le piùconsistenti a livello numerico. Si tratta di piccoli chiodi con la testa schiacciata lateralmente

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che servivano per fissare il ferro allo zoccolo dell’animale; si riscontrano due tipi principalidi chiodi da ferratura: il primo, chiamato “a chiave di violino”, con il bordo superiore dellatesta arrotondato (simile ai bischeri del violino), in uso fino al XI-XII secolo, e il secondo,con testa rettangolare, in uso nel XIII e XIV secolo. Il ritrovamento dei chiodi nelle forge,alcuni in corso di lavorazione, testimoniano la loro fabbricazione sul sito; nella lista deigiurati del 1226 sono presenti, infatti, due ferrator. I ferrator erano poi sicuramente ingrado di realizzare i ferri di cavallo, i ferri di mulo, i ferri d’asino e i ferri di bue, come quellirinvenuti, utilizzati per proteggere lo zoccolo della bestia durante le attività lavorative omilitari. I primi due tipi di ferratura sono semicircolari e si distinguono fra loro solo per ledimensioni; il terzo tipo presenta i due rami paralleli mentre il quarto tipo consiste in unaforma completamente diversa: si tratta di un ferro realizzato con due lamine semiovali,utilizzate a coppie per ogni piede, sul cui bordo vengono praticati fori per i chiodi. Ladatazione delle ferrature va dal VI secolo all’età moderna.L’uso di animali da lavoro o da guerra è testimoniato anche dal ritrovamento di elementi dibardatura, più o meno decorati, che completavano la realizzazione di selle o finimenti.Sono presenti fibbie in ferro per le cinghie da sella, decorazioni in bronzo applicabili aifinimenti o alle selle, campanelli per animali da allevamento e un esemplare di guardia perredini, ovvero un oggetto costituito da due placchette rettangolari inchiodate ai capi delleredini ed unite tra loro da un occhiello per il quale venivano fissate al morso del cavallo.Indossati dal cavaliere, ma direttamente collegati all’utilizzo di cavalcature, sono glisperoni. Gli esemplari rinvenuti sono di ferro ed hanno una datazione riferibile al bassomedioevo; si distinguono in due tipi: speroni a brocco e speroni a rotella; il primo tipo, piùantico, consiste in una semplice punta che, una volta indossato lo sperone, veniva aposizionarsi sul calcagno del cavaliere; il secondo tipo, al posto della punta, presenta unarotella mobile dotata di punte.

Serrature, infissi, mobilio: questo nutrito gruppo di reperti raggruppa gli oggetti metallicirelativi alla struttura di porte, sportelli o bauli. Si tratta di una vasta gamma di manufatti diferro o, in misura minore, di bronzo aventi funzione strutturale o decorativa sul mobilio o gliinfissi delle abitazioni esistenti nelle varie fasi di Poggio Imperiale. Sono state rinvenuteapplicazioni a mobilio, prevaletemente in bronzo, con una datazione molto ampia (dall’altomedioevo al 1313). Si tratta di lamine bronzee di varie fogge che presentano fori perl’alloggio dei chiodi o rivetti di fissaggio alla superficie del mobile. Con funzionepropriamente funzinale alla chiusura di bauli o cofanetti sono stati rinvenuti vari boncinelli.Si tratta di oggetti costituiti da una lamina di ferro dotata di un’appendice ad anello in cuiveniva inserito il chiavistello; venivano fissati al coperchio del baule tramite chiodi alloggiatinei fori presenti sul corpo del reperto. La datazione di questi reperti va dall’alto medioevoal 1270. Tra il corpo ed il coperchio di bauli e cofanetti sono fissate le cerniere. Gli oggettidi questo tipo rinvenuti a Poggio Imperiale sono realizzati in ferro ed hanno dimenzionivariabili. La loro datazione va dall’alto medioevo all’età moderna. L’elemento metallico chepermetteva, invece, l’apertura delle porte era il cardine. Realizzato in ferro, è composto didue parti: una viene fissata al legno della porta (bandella); l’altra, introdotta nello stipite inmuratura o legno, si lega alla prima tramite un perno. I reperti rinvenuti si dividonoessenzialmente in due tipi: il primo ha il perno sulla bandella, l’altro sulla parte inseritanello stipite. Anche in questo caso, il tipo di reperto è presente per un vasto arco di tempo(dal X secolo all’età moderna).

Chiavi: il gruppo riunisce sia chiavi in ferro che in bronzo. Queste ultime sono di piccoledimenzioni e sembrano essere relative a serrature applicate a piccoli cofanetti; sono treesemplari di fattura elaborata e datate al 1313. Le chiavi in ferro, molto più numerose, si

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presentano di vari tipi distinguibili morfologicamente tra loro. La maggior parte è datata albasso medioevo ma esistono anche esemplari risalenti ad età altomedievale o moderna.

Lucchetti e serrature: direttamente collegati agli oggetti precedentemente descritti ilucchetti e le serrature sono stati raggruppati a parte. L’uso dei lucchetti è documentatodurante il medioevo ma l’unico rinvenuto a Poggio Imperiale è datato all’età moderna. Leserrature, invece, più numerose appartengono a periodi compresi tra il 1155 e il 1313. Sitratta di framenti di serrature a toppa in ferro applicabili a porte o mobilio di grandidimensioni ricavate da piastre a sezione piatta con toppa centrale. Nessuno di questireperti si è conservato interamente.

Pesi e pesatura: nel caso di Poggio Imperiale, questa categoria raggruppa oggetti diversitra loro per forma e funzione. Sono stati rinvenuti diversi pesi per bilancia; realizzati inpiombo, alcuni di essi presentano una forma troncoconica cava. E’ testimoniato l’uso diimpilarli per raggiungere il peso desiderato sul piatto della bilancia. Un altro tipo di peso dabilancia si presenta di forma cilindrica a sezione piena. Hanno una datazione che va dal VIsecolo al 1313 con una sola eccezione rinvenuta in uno strato di età moderna. Pesi perreti da pesca sono poi stati rinvenuti e datati tra il X secolo e il 1155. Sono in piombo e diforma cilindrica o troncoconica e venivano applicati a reti da pesca come massa. Unesemplare di peso per filo a piombo, largamente documentato per l’attività edilizia delmedioevo, è stato rinvenuto in uno strato datato all’ultimo quarto del XII secolo.

Strumentario domestico: è’ stato rinvenuto un vero e proprio campionario di strumentirelativi alla sfera domestica o utilizzati in relazione al focolare e all’illuminazione degliambienti. Sono stati rinvenuti strumenti come gli acciarini, per accendere il fuoco, o unframmento di lucerna in lamina bronzea. Una buona percentuale dei reperti di questo tipoè costituita da catene e catenelle, le prime in ferro, le seconde realizzate in bronzo.Avevano funzioni molteplici che possono solo essere ipotizzate tenendo conto dellospessore degli anelli. Lo scavo ha restituito anche oggetti come maniglie o anse metallicheche autorizzano ad ipotizzare la presenza di recipienti metallici. Presenti anche vari tipi diganci in ferro utilizzati per vari scopi: dalla sospensione di vivande alla sospensione dipaioli sul focolare. In particolare, l’unico gancio da paiolo rinvenuto appartiene ad unostrato di VI secolo. Le posate, intese come forchette e cucchiai, vengono introdotte nelcorso del XIV secolo. Gli esemplari rinvenuti a Poggio Imperiale, risalgono ad un epocanon anteriore al 1313, in alcuni casi le datazioni arrivano all’età contemporanea.

Utensili per uso agricolo: solo pochi reperti appartengono a questa categoria. La maggiorparte, quasi tutti falcetti, proivenienti da strati di età moderna, sono sicuramente legati adattività agricole svolte sulla collina di Poggio Imperiale. L’unico reperto appartenente alperiodo di Poggio Bonizio, datato cioè al XIII secolo, è una serpetta (strumento in ferrosimile alla roncola utilizzata in vigna) che presenta ancora parte dell’immanicatura inlegno.

Utensili da lavoro: l’intensa attività artigianale è testimoniata anche dal ritrovamento dimolti strumenti metallici legati a vari ambiti del lavoro della pietra, del legno, dei metalli, delpellame ecc. Oggetti come martelli, cunei, scalpelli, punte di trapano e tenaglie sono adattialla pesante lavorazione della pietra e del legno per l’attività edilizia o metallurgica.Accanto a questi reperti, sono stati rinvenuti anche strumenti più leggeri come bulini, aghi,ditali, punteruoli (lesine) e forbici legati ad attività produttive leggere come la sartoria e lalavorazione dei pellami. Provenienti da periodi diversi, questi oggetti vennero utilizzati

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dagli individui che vissero sull’attuale collina di Poggio Imperiale dall’ alto medioevo all’etàmoderna.

c. ArmiNonostante i numerosi fatti d’arme avvenuti sulla collina di Poggio Imperiale in epocabassomedievale, lo scavo ha riportato alla luce solo un modesto numero di manufattimetallici riferibili all’attività militare. Uno dei motivi di questa scarsità di tracce èprobabilmente da ricercarsi nel fatto che l’area indagata finora rappresenta solo la partedell’abitato di Poggio Bonizio morfologicamente più protetta da eventuali attacchi esterni edistante dalle maggiori strutture difensive. A parte il tratto di cinta muraria costruita sullascarpata che sovrasta l’attuale via San Gallo, probabilmente sguarnita data la posizionedifficilmente attaccabile, non si sono ritrovati resti di edifici militari come torri o portefortificate, presenti invece lungo il tratto di cinta muraria che chiudeva la città dalla parte diSan Lucchese.I reperti rinvenuti in numero maggiore appartenenti a questa categoria sono le punte difreccia. Tali manufatti, (un centinaio di esemplari), sono datati ad un periodo di tempo cheva dal XII secolo al XV. Si tratta di punte di freccia da arco o da balestra divisi in dueprincipali tipologie. La prima si presenta di forma più o meno affusolata a sezionequadrangolare, progettate per penetrare attraverso gli anelli delle protezioni in magliametallica, e munite di gorbia (parte posteriore della punta, nella maggioranza dei casi diforma cilindrica cava, dove si inserisce l’asta di legno della freccia). Sono reperti relativialla città di Poggio Bonizio ed alla breve occupazione da parte di Arrigo VIII. La maggiorparte di esse sembra appartenere al tipo usato per le frecce da arco anche se,specialmente per il XIII secolo e il primo XIV, è molto difficile distinguerle tra loro; in questoperiodo, infatti, il tipo di punte usate per le frecce da arco non era molto diverso da quellemontate sui corti dardi delle balestre; generalmente il criterio di distinzione è la misura deldiametro interno della gorbia; nelle punte di dardo da balestra, di solito, questa è più largaper poter alloggiare un’asta più tozza. Comunque, nei casi di balestre di minore potenza,si armavano le aste con le stesse punte utilizzate per le frecce da arco.Una forte distinzione si ha, tuttavia, a partire dal XIV secolo. Con la comparsa di armaturepiù efficaci e con la consequente introduzione di balestre più potenti, le punte dei dardi dabalestra si distinguono sempre di più da quelle per arco: da leggère e affusolate divengonosempre più tozze, pesanti e resistenti favorendo la forza d’impatto a scapito del potere dipenetrazione. Solo tre punte rinvenute a Poggio Imperiale appartengono a questatipologia. Hanno la cuspide di forma piramidale a base quadrata ben distinta dalla gorbia.La loro presenza a Poggio Imperiale è dovuta probabilmente ai fatti d’arme del 1478 chevidero l’esecito senese e quello fiorentino scontrarsi proprio sulla collina di poggioimperiale. Decisamente meno rilevante, dal punto di vista quantitativo, è la presenza dielementi strutturali relativi ad armi inastate. E’stato rinvenuto un solo esemplareidentificabile come punta di lancia. Si tratta di un manufatto in ferro che presenta una largacuspide a “foglia d’alloro”, anche se danneggiata se ne può ricostruire interamente la linea;è dotata di una gorbia conica, cava fino alla base della lama, per l’alloggio dell’asta lignea.Si è conservato anche il chiodo che fissava il legno. Il diametro della gorbia fa pensare adun’asta abbastanza spessa da resistere ad un combattimento corpo a corpo facendociscartare l’idea che si tratti di un’arma da getto (giavellotto ecc.). Lo strato in cui è statarinvenuta è datato tra la seconda metà del IX secolo e gli inizi del X secolo. Non ci è datoconoscere la lunghezza dell’asta su cui era applicata ma l’iconografia relativa a questoperiodo storico presenta lance di lunghezza poco superiore a quella di un uomo. Utilizzatasia a piedi che a cavallo, la lancia era l’arma principale del combattente di quest’epoca etrovava applicazione anche nella caccia alla grossa selvaggina.

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Altri due reperti relativi a questo tipo arma, sono due calzuoli in ferro. Si tratta di manufattidi forma conica cava che venivano fissati al “calcio” della lancia, cioè dalla parte oppostarispetto alla punta. In tutti e due si rileva la presenza di un chiodo che assicurava il legnonell’alloggio predisposto. Sicuramente non sono relativi alla punta di lancia sopradescritta;l’unico calzuolo rinvenuto in livelli di età medievale, infatti, è datato all’ultimo quarto del XIIsecolo; l’altro proviene dagli strati di humus e non è databile. Tali elementi avevano duefunzioni principali: la prima era quella di proteggere l’asta dal contatto con il terreno;durante le marce, infatti, i soldati appiedati si appoggiavano alla lancia come ad unbastone da passeggio. La seconda funzione ci è suggerita dal modo in cui è statorinvenuto uno dei reperti: il calciuolo si trovava inflitto nel terreno in posizione verticale conla punta rivolta verso il basso e la cavità d’alloggio dell’asta rivolta verso l’alto, come se unsoldato in un momento di riposo, qualche secolo fa, avesse lasciato conficcata nel terrenola sua arma.Tra le armi rinvenute sulla collina di Poggio imperiale vanno registrate tre piccole pallemetalliche, una in ferro le altre in piombo, appartenenti sicuramente alle fasi moderne delsito. I due pallini di piombo, del diametro di 80-90 millimetri, probabilmente vannointerpretati come proiettili relativi ad un fucile o moschetto o altra arma ad avancaricautilizzata in epoca moderna, molto probabilmente riferibile ad attività venatoria. La terza,una palla di ferro del diametro di circa due centimetri potrebbe essere riferita ad un armada fuoco più antica, probabilmente un archibugio, comparso sui campi di battaglia sul finiredel XIV secolo. Anche questo reperto potrebbe essere un residuo dei fatti del 1478. Lo scavo ha restituito anche frammenti di armi da difesa. Si tratta di anelli per magliametallica del diametro di 1,2 cm e dello spessore di 0,2 cm. Hanno forma circolare, ricavatida un filo di ferro a sezione circolare e chiuso tramite un rivetto. Sono stati datati ad epocabasso medievale (tre al 1313 ed uno all’ultimo quarto del XII secolo). Anelli simili,concatenati in modo che ogni anello si agganciasse ad altri quattro, andavano a formare lamaglia metallica. Questo tipo di protezione, di origine celtica, è certamente il tipo di difesaindividuale metallica più usato nel continente euroasiatico fino alla massiccia diffusionedelle armi da fuoco. La concatenazione degli anelli andava a formare una sorta di tessutometallico con il quale si realizzavano veri e propri abiti indossati a protezione di varie partidel corpo garantendo il giusto compromesso tra protezione, mobilità e comodità d’utilizzo;se indossati, infatti, sopra un indumento imbottito, lasciavano piena libertà di movimentoed una certa protezione dai fendenti e dai colpi di punta se non erano vibrati coneccessiva violenza. Nel periodo di vita di Poggio Bonizio e della breve presenza delcantiere di Arrigo VII, la maglia metallica vide il periodo di massima diffusione. Si potevanorealizzare “usberghi” che coprivano praticamente tutto il corpo del combattente (in alcunicasi costituiti da più di 200.000 anelli concatenati e chiusi tramite rivetto). Ovviamente, leprotezioni integrali erano appannaggio di ricchi cavalieri, tuttavia pezze singole (camice dimaglia, maniche di maglia, cuffie di maglia ecc.) andavano a proteggere anche i le partipiù esposte del corpo dei fanti.S.P., D.C.

4 – Monete.Le indagini archeologiche condotte fino ad oggi a Poggibonsi hanno restituito un numerocomplessivo di 352 monete. Di queste 4 sono d’epoca classica e più precisamente d’etàimperiale mentre il resto dei pezzi è rappresentato dalla moneta piccola medievale inmistura e da un unico grosso in argento emesso dalla zecca di Volterra. La presenzad’esemplari riferibili al periodo classico anche in stratigrafie medievali è attestata in moltisiti archeologici poiché, probabilmente, una volta ritrovate, queste monete venivanoutilizzate come gettoni di conto, oppure come merce di scambio, visto che comunque sitrattava d’oggetti in metallo.

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Quasi tutto il circolante rinvenuto proviene da zecche toscane ed è costituitomaggiormente dai denari lucchesi emessi dall’XI al XII secolo a nome dell’imperatoreEnrico III-IV-V di Franconia, che rappresentavano per buona parte dell’Italia centrale ilconio più forte per intrinseco e per valore fiduciario; la città di Lucca fu l’unica che permolto tempo ebbe il riconoscimento del diritto di zecca, concesso dall’imperatore Ottone Idi Sassonia. Seguono i denari di Pisa a nome di Federico I coniati dopo il 1181, quelli diSiena emessi dalla fine del XII alla seconda metà dal XIII secolo e per finire i denari diArezzo ed un grosso Volterrano. [Fig….]La grande maggioranza delle monete rinvenute (ben 233 pezzi) è riferibile al periodo diemissione che va dall’XI al XII secolo, a testimoniare come, dopo la fondazione di PoggioBonizio ad opera dei conti Guidi, l’insediamento fosse in una fase di grande sviluppoeconomico, legato all’autonomia comunale ed alla grande ascesa urbanistica. Come molte delle città toscane anche Poggibonsi in questo periodo usò il denarolucchese, per poi passare al denaro pisano che, fino all'apertura della zecca di Siena(1191 ca.) diverrà la moneta di conto ufficiale senese e quindi dei territori di pertinenzapolitica.L’ottima posizione geografica di Podium Bonizi, ubicato sulla sommità di un colle e alcentro di un sistema viario eccellente, ha contribuito in maniera rilevante al ritrovamento diesemplari di varia provenienza, specchio di una circolazione internazionale con moneteforestiere extraregionali ma anche provenienti dagli Stati europei più vicini all’Italia.Monete di Ancona, Pavia, Ravenna Brindisi, ma anche di Toledo, Salamanca, Orange;della Navarra, della Normandia e della Carinzia, ci parlano di un sito ad economiamonetaria, in cui il’denaro’ è testimonianza dell’evoluzione socio economica tipica delleprime esperienze comunali, ma anche di flussi di merci e di uomini che a Poggio Boniziogiungevano per svolgere le loro attività commerciali e artigiane, di mercatura e cambio[Figg. …-…]. Un’ulteriore prova di questo fervore economico sono le 9 piccole tessere (ogettoni) in piombo, quasi certamente prodotte in stampi da botteghe di Poggio Bonizio, chesottolineano ancora una volta il dinamismo delle attività commerciali ed artigianali delcentro [Fig. …]. Interessante è il numero abbastanza considerevole dei denari scodellati di Verona (12pezzi) della prima metà del XIII secolo; con molta probabilità questo nominale eraadottato, in genere per il suo basso valore, come mezzo denaro, sufficiente a soddisfaremodeste transazioni quotidiane per l’acquisto di generi alimentari o piccole suppellettili La quantità e i tipi degli esemplari rinvenuti a Poggio Bonizio, ci consentono di fare unbreve cenno sulle tecniche di fabbricazione dei tondelli e sugli elementi iconograficipresenti sulle monete, quasi tutte in mistura, vale a dire rame e argento legati insieme inpercentuali diverse, in base al nominale da coniare (picciolo, quattrino, grosso ecc.). Il procedimento per ottenere la moneta medievale consisteva in due momenti essenziali:produzione del tondello e sua coniazione. Il tondello era prodotto ritagliando una lastra del giusto spessore, in strisce di poco piùpiccole del diametro dei coni; queste, a loro volta, venivano divise in piastrinequadrangolari, le quali, dopo aver asportato i quattro spigoli, erano poi martellate sui bordi,per ottenere così una forma il più possibile circolare (arrotondamento per espansione)[Fig. …]. In periodi di forte richiesta di circolante, poteva accadere, però, che questa fosse superiorealle consuete possibilità di coniazione di una zecca, ciò comportava l'emissione di pezzi atitolo più basso (cioè con una quantità minore d’argento) e soprattutto una frettolosaesecuzione che si ripercuoteva sulla qualità dei tondelli che spesso erano malamentetagliati e addirittura privi di arrotondamento per espansione.Dopo la fabbricazione del tondello i dischetti ottenuti venivano a volte 'imbiancati', cioèripetutamente lavati in prodotti chimici di origine naturale, schiarendo così la moneta fino a

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farla apparire più ricca di argento di quanto non fosse. Prima della coniazione vera epropria, le persone addette preparavano i coni incidendo con bulini e punzoni diversi leraffigurazioni e le legende (cioè le parti scritte che compaiono sulle monete). Di punzoni(barrette di acciaio temperato) fino al XII secolo ne venivano impiegati cinque o sei: unoper le mezzelune, adatte per eseguire le lettere come la C e i tratti tondeggianti della P, Be D, uno per i punti, ed altri ancora per le aste verticali, per i cerchi e per i cunei.Si ottengono così i due coni, quello di incudine, di forma tronco-conica, con un puntalenell’estremità inferiore per poterlo unire saldamente al ceppo di legno e con la matricenella parte superiore, e quello di martello, mobile e di forma cilindrica, sul quale venivavibrato il colpo per imprimere i caratteri della matrice sulla moneta [Fig. …].Procedendo nella lettura della moneta, possiamo dire che si compone di due partifondamentali, il dritto e il rovescio, vale a dire l'una e l'altra faccia del tondello; con il drittos’identifica solitamente la faccia in cui è incisa la denominazione dell'autorità emittente,che negli esemplari più antichi è solitamente il monogramma dell'Imperatore o il suo nomeper esteso, e con il rovescio quella faccia dedicata ai simboli o, sempre nei tipi più arcaici,al nome della città.Ognuna delle due facce presenta una particolare suddivisione della superficie: ilcosiddetto campo, cioè la superficie interna riservata ai simboli, e il giro, che è lo spazio incui s’inserisce la parte scritta della moneta (legenda). Le linee che dividono le due partisono dette corone di cui esistono tre tipi: corona di perline, liscia e rigata.[Fig….]Nel corso del Duecento si ricorre ad immagini sempre più elaborate, che mirano ad unaricerca estetica più attenta favorita anche dalle nuove attrezzature a disposizione degliincisori che si perfezionano a beneficio anche delle monete piccole, dove le immaginiiniziano a contendere il posto alle legende. L’introduzione del ‘grosso’ di buon argento nelcorso del XII secolo aveva spinto le maestranze addette a porre sempre più attenzioneall’aspetto formale dei tipi; nonostante tecniche e sistemi di produzione non fosserocambiate, migliorò la strumentazione a disposizione che in poco tempo aumentarono innumero e qualità i punzoni.Nel corso de secoli, si evolve ancora il corredo tecnico e gli incisori possono elaborare perogni tipo di moneta eleganti figure ed alfabeti dettagliati, come ci dimostra il bellissimogrosso di Volterra del XIV secolo rinvenuto a Poggibonsi [Fig…]C.C.

5 – La fauna.a. I bovini - I bovini (Bos taurus) medievali di Poggio Imperiale sono di piccole dimensioni,con un’altezza al garrese compresa tra 120 cm e 140 cm. Si tratta di valori modesti: unachianina attuale, ad esempio, varia da 150 cm a quasi due metri; una maremmana da 150cm a 170 cm.Tuttavia, si osserva una trasformazione diacronica della taglia degli animali, come emergedal confronto tra il bestiame allevato nel villaggio di legno con quello di pietra. Lapercezione è quella di un lento ma consistente aumento delle dimensioni dei bovini nelcorso del bassomedioevo.I soggetti più grandi sono stati rinvenuti nei livelli del 1313, in questo caso forse si tratta disoggetti più grandi perché utilizzati nei pesanti lavori del cantiere urbano. Unaccrescimento si registra però gia nel corso del secolo precedente. Durante i secolibassomedievali, quindi, sembra siano stati adottati criteri di selezione delle razze bovine,come si osserva dal generico aumento della taglia, forse imposti dall’affermarsidell’agricoltura.

b. Il ruolo del maiale nell’altomedioevo - Lo sfruttamento intenso dell’incolto,nell’altomedioevo, è testimoniato dall’abbondanza di resti ossei di maiale in diversi

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campioni toscani datati tra VII e X secolo. L’importanza dei suini, in un periodo di forteespansione dell’incolto, è affermata anche dai documenti scritti: nelle leggi promulgate dalre longobardo Rotari, ad esempio, si fa frequente riferimento alla figura del porcaro edall’importanza economica da questi rivestita nella vita quotidiana del regno. L’unità dimisura con cui si stimava l’estensione delle superfici boschive era il maiale: ovvero quanticapi era possibile ingrassarvi.L’allevamento di questo animale a fini eminentemente alimentari e come merce di scambioha trovato anche conferme nei resti di pasto e di macellazione rinvenuti in diversi sitiarcheologici.A poggio Imperiale, ad esempio, la spalla del maiale (Sus domesticus) era utilizzata comecorresponsione (nei documenti riportata come amiscere) che gli affittuari dovevano alcentro dominico.

c. I capriovini - I capriovini (Ovis vel Capra) hanno rappresentato per tutto il medioevoun’importante risorsa economica ed alimentare per la comunità valdelsana. La tripliceattitudine produttiva (latte, lana e carne) di questi animali ha certamente enfatizzato taleruolo, fondamentale per l’economia rurale del periodo.Queste specie si adattano a diversi tipi di ambienti, sia a prevalenza incolta che agricola,anche se prediligono spazi aperti piuttosto che a copertura arborea.Per tali motivi, resti di questi animali sono stati ritrovati in abbondaza in tutti i livelli dioccupazione del sito. Sono però soprattutto le pecore, in luogo delle capre, ad esserestate allevate.Gli ovini (Ovis aries) mostrano una tendenza alla crescita tra il periodo altomedievale ebassomedievale. Le altezze al garrese indicano un valore medio di 54,5 cm perl’altomedioevo, di 58,5 cm per Poggio Bonizio e di 61,1 cm per gli inizi del XVI secolo. Sitratta, in tutti i casi, di razze di dimensioni piccole, più modeste delle attuali appenninica esarda.

d. Gli equini - Le specie equine (cavalli ed asini) non sono molto frequenti nelle stratigrafiedella collina. I resti più antichi sono stati ritrovati a partire dal VII secolo, mentre sonoassenti nei livelli tardoantichi. Nel corso dell’altomedioevo la loro presenza aumenta fino araggiungere la massima consistenza nel villaggio di XIII secolo. Questo trend forse rifletteun processo economico, l’affermazione dell’agricoltura, e culturale, il cavallo inizia adessere allevato non solo per scopi militari ma anche per il lavoro, di conseguenza siaccentuerebbe anche il loro utilizzo alimentare.Il consumo di carne equina non sembra però essere stato molto diffuso: solo tre resti osseiconservano tracce di macellazione. L’asino (Equus asinus) nel XIII secolo doveva esseredi taglia media (110 cm), più grande dell’asino Sardo ma inferiore dell’asino Amiatino.Anche i cavalli (Equus caballus) mdi XIII secolo erano di taglia media (154 cm), moltosimili al cavallo Agricolo Italiano, ma più piccoli del maremmano.F.C.

6 – Archeobotanica: primi risutati delle ricerche paleoambientali.L’archeobotanica studia tutti quei materiali botanici rinvenuti negli scavi archeologici, comecarboni, semi, frutti e pollini. L’antracologia ne è una branca e studia i frammenti di legnocarbonizzato presenti nei siti archeologici. La semplice osservazione al microscopio dellamicrostruttura del legno carbonizzato consente la sua identificazione; in questo modo èpossibile ricostruire il paesaggio antico e la sua trasformazione nel tempo. Le prime analisi antracologiche sui carboni provenienti dallo scavo di Poggio Imperialehanno permesso una prima ricostruzione del paesaggio di Poggio Imperiale nel periodo

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altomedievale; si tratta di una prima serie di campioni che coprono un arco cronologicocompreso tra il VI e il X secolo d. C.Sono state identificate diverse specie arbustive tipiche della macchia mediterranea comecisto (Cistus), mirto (Myrtus), lentisco (Pistacia lentiscus), alaterno (Rhamnus alaternus),erica (Erica), edera (Hedera Helix), corbezzolo (Arbutus unedo), che arboree comequercia caducifoglia (Quercus), olivo (Olea europaea), castagno (Castanea sativa),frassino (Fraxinus), carpino (Carpinus), pioppo (Populus).Il dato più rilevante è proprio la presenza di specie della macchia, che sono tipiche diambienti fortemente degradati dall’impatto antropico (tagli ripetuti, pascolo intenso), nonpiù idonei ad una vegetazione forestale.Un dato su cui vale la pena soffermarsi è la presenza del castagno, che doveva ancheallora essere un elemento primario del paesaggio; questa pianta originaria dell’Europasud-orientale, era già largamente diffusa nel medioevo. I suoi frutti hanno costituito persecoli un’importante fonte di nutrimento. Dalle castagne infatti si ricava una farina chespesso ha sostituito quella di grano; le castagne meno pregiate, assieme alle ghiandeerano anche usate anche come cibo per i maiali. Il legno di castagno è inoltre ottimo comemateriale da costruzione e la sua ricchezza di tannini lo protegge dall’attacco dei tarli. Un altro elemento di particolare interesse è dato dalla presenza di due specie dellamacchia, come l’erica (Erica) e il corbezzolo (Arbutus unedo), anche quest’ultimoappartenente alla famiglia delle Ericaceae, che ha la caratteristica di presentarecontemporaneamente fiori e frutti in autunno.Sappiamo che l’approvvigionamento del legname, soprattutto se usato come combustibile,non doveva essere effettuato in zone troppo distanti dall’abitato, in quanto questa raccoltanon prevede una scelta selettiva delle specie. Dobbiamo quindi immaginare che le specieidentificate con le analisi fossero tutte presenti in prossimità del sito. La vegetazioneintorno a Poggio Imperiale era probabilmente costituita così come oggi, da boschi diquerce da castagneti, mentre i versanti della collina, oggi interessati da un bosco,dovevano essere probabilmente coltivati o pascolati, ma comunque privi di vegetazionearborea.G.D.P.

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VII – La documentazione

1 – L’informatizzazione.L'attività di analisi delle opportunità in nuce nel progresso tecnologico, iniziata con ladocumentazione svolta a Poggio Imperiale, è tuttora il motore di spinta di unaprogettazione, che ha visto realizzare e svilupparsi un sistema di gestionedell'informazione archeologica di tipo ipermediale, concernente tutte le attività dell’area diArcheologia Medievale dell’Università di Siena686. L'informatica ha completamentetrasformato il tipo di lavoro svolto nei laboratori ed essendo un momento di passaggio, ilcambiamento è andato di pari passo con l'aumento delle nostre capacità di gestionedell'hardware e del software e con lo stesso sviluppo dei prodotti immessi sul mercato. La nostra attenzione si è concentrata su varie tecniche ed applicativi, tra i quali citiamo lacostruzione di banche dati ad architettura relazionale, il processamento al calcolatore difoto aeree, la gestione GIS di scavi e territori, la catastazione multimediale della risorsaarcheologica, la modellazione 3D, il rendering fotorealistico e l’animazione per strutture ereperti, lo sviluppo di tecniche di morphing delle strutture individuate tramite scavo, laproduzione di filmati multimediali, la creazione siti e pagine web concernenti ricerche eparchi archeologico-culturali.L'esigenza di ricondurre le banche dati e le piattaforme costruite, all'interno di un unicosistema di gestione e la necessità di poter osservare e fare interagire le informazioniprodotte a tutte le scale spaziali, ci ha poi condotti alla ricerca di una soluzione di gestioneipermediale del dato archeologico. L'ipermedialità rappresenta infatti il nuovo punto diarrivo del rapporto archeologia-informatica. Questa categoria di creazioni racchiude tuttociò che è programmabile e riconducibile in un sistema composito di documentazioneintegrata; siamo infatti convinti che la programmazione costituisca la frontiera chel'archeologo deve varcare affinché il computer non venga utilizzato come un sempliceelettrodomestico. A Poggio Imperiale abbiamo quindi deciso di impostare una gestionedello scavo interamente informatizzata, iniziando dalla fase diagnostica del sito eperseguendo cinque obiettivi principali:- applicazione di tecnologia come mezzo di ricerca e documentazione sul campo;- applicazione di tecnologia come mezzo di archiviazione in laboratorio;- uso di tecnologia come mezzo di interrogazione delle informazioni e di fruizionevirtuale dello scavo;- continua apertura ed attenzione alle novità tecnologiche immesse sul mercato;- gestione fatta in proprio da archeologi che, con il tempo, raggiungano non il knowhow di tecnici informatici bensì un livello utenza di fascia alta.L’esperienza pluriennale svolta dall’Università di Siena ha mostrato, come nel caso di altripunti di eccellenza italiani, le potenzialità delle applicazioni digitali in ambito archeologico. Ipresupposti della nostra sperimentazione sono stati, e sono tuttora, verificare le possibilitàlegate all’uso sistematico del calcolatore nelle fasi di raccolta, gestione e trattamento deldato, raggiungendo degli standard di utilizzo destinati ad accrescerne il potenzialeinformativo e consentire una diffusione a tutto tondo dell’informazione.L’approccio è di tipo metodologico; la tecnologia si configura come il mezzo perraggiungere un grado ottimale di organizzazione e lettura del record prodotto dalla ricerca“sul campo”, contribuendo così a migliorare ed accelerare la costruzione di modelli storicifondati sulla fonte materiale. Se l’informatica non permettesse una più completaconoscenza archeologica, non ricercheremmo la sua applicazione sistematica; siamo

686 Riguardo alle sperimentazioni condotte e ai principi sostenuti dal LIAAM inerenti il metodo citiamo comecontributi di riferimento FRANCOVICH 1990 e FRANCOVICH 1999; VALENTI 1998a, VALENTI 1998c,VALENTI 2000b, VALENTI 2002; ISABELLA, SALZOTTI, VALENTI 2001.

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archeologi che ne fanno uso per migliorare la propria ricerca e non informatici chesperimentano applicazioni destinate agli archeologi. Per questi motivi, l’impiego dellatecnologia deve essere vissuto come una fase di evoluzione delle metodologie didocumentazione. Fino dall’inizio delle attività del LIAAM (Laboratorio di Informatica Applicata all’ArcheologiaMedievale attivo nell’Università di Siena e con una “costola” aperta presso il cassero dellafortezza di Poggio Imperiale), abbiamo cercato di individuare “modelli” di registrazione-organizzazione di dati cartografici, alfanumerici e multimediali, nell’ottica di una gestionecomplessiva che soddisfacesse le diverse esigenze analitiche dell’indagine archeologica:strumenti funzionali all’accumulo di sapere ed alla produzione di conoscenza, ovveroapplicativi, grandi banche dati e sistemi di processamento. Il fine ultimo del nostro lavoro si identifica nell’ottimizzazione dell’intero patrimonio di datiraccolto, ed in crescita esponenziale, sia in consultazione sia in chiave interpretativa. Nonsi tratta di porsi in antagonismo con le procedure tradizionali di registrazione ed analisi,bensì di accrescere gli strumenti di processamento a disposizione del ricercatore. Siaprono infatti prospettive conoscitive difficilmente ottenibili senza il ricorso alla potenza deicomputer odierni ed alla loro capacità di relazionare una mole impressionante di datieterogenei. Ignorare, o non sfruttare appieno, le potenzialità dell’Informatica applicatasignifica fare a meno di uno strumento metodologico innovativo per il progresso dellaricerca.

2 - Il sistema di gestione dei dati di scavo.Durante il 1996, nell’ambito delle indagini svolte a Poggio Imperiale, ha avuto iniziosperimentalmente l’applicazione della tecnologia GIS alla gestione della documentazionedi scavo. L’obiettivo era, ed è ancora, produrre uno strumento di lavoro che permettesse laconsultazione integrata di tutti i dati raccolti, svincolato da processi interpretativipreliminari, ad eccezione dell’identificazione data dall’archeologo durante lo scavo.Dunque, uno strumento realmente utile ad una ricerca in fieri e non solo di supporto adelaborazioni già compiute. In questo senso, la “soluzione GIS” costituisce una concretarisposta ad uno dei problemi più ricorrenti e pressanti nell’ambito delle applicazioniinformatiche in archeologia: la difficoltà di relazionare ed integrare il dato alfanumerico conquello grafico. Per soluzione GIS s'intende quindi una serie di piattaforme e di archivi che interagisconotra loro. La gestione del cantiere di scavo deve prevedere la possibilità di accedere surichiesta a tutta la documentazione catastata; questa, per il suo carattere obbligato diesaustività, deve accogliere una grande e composita mole di documenti. Realizzare unasoluzione GIS dello scavo significa mettere a punto il sistema degli archivi e la piattaformaGIS dando modo, a qualsiasi ricercatore interessato, di interrogare personalmente i dati equindi offrirgli la possibilità di reinterpretare687. Per fare ciò è necessario creare almeno treapplicazioni e metterle in relazione: - la piattaforma dello scavo (il sito e tutte le piante);- il DBMS alfanumerico (il sistema degli archivi US, reperti ecc.);- il DBMS delle pictures (il sistema degli archivi fotografici e grafici).Questa sperimentazione, cioè il tentativo di gestire interamente in digitale lo scavoarcheologico, si è imposto nel tempo come il contributo di grande novità che il progettoPoggio Imperiale ha portato, aldilà dei risultati archeologici. Poggibonsi è stato il primocantiere (ed ancora uno dei pochi) interamente registrato all’interno di una piattaforma GISrelazionata ad un articolato sistema di archivi; contiene l’intera memoria dell’intervento

687 Rispetto al sistema complessivo di gestione dei dati di scavo e all’interfaccia OpenArcheo, rimandiamo aFRANCOVICH, VALENTI 2000; FRONZA, NARDINI, VALENTI 2003; FRONZA, NARDINI, SALZOTTI,VALENTI 2001; NARDINI, VALENTI 2004; VALENTI et alii 2001.

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(dalle indagini preliminari al deposito archeologico, dagli scarichi della terra al progetto diparco), permette inoltre lo sviluppo di nuove metodologie di interpretazione del record e laprogettazione mirata sia dell’ampliamento dello scavo sia della sua musealizzazione.Nella maggior parte dei casi proposti in Italia a partire dalla seconda metà degli anni '80,non si è mai giunti ad una vera applicazione GIS dell'intervento stratigrafico. E' stataprivilegiata la gestione del dato alfanumerico (gli archivi), considerando come accessoriala parte grafica (il rilievo di scavo), che trova posto essenzialmente in programmi CAD.L'assunzione in vettoriale dei rilievi non è imperniata sul principio della digitalizzazione diuna macro pianta composita (tutti gli strati scavati), bensì di piante di fase o di periodo;cioè non tutti i dati ma dati selezionati e già interpretati. Oppure, come abbiamo vistotentare in altre sperimentazioni, leggermente più avanzate dal punto di vista concettualeed ancora inedite, si tenta di costringere tutti i dati nella piattaforma GIS (mai l'intero rilievodello scavo, spesso le strutture murarie e gli strati più importanti) cercando nel software inuso la possibilità di inserire all’interno dell’oggetto rappresentato (cioè l’unità stratigrafica)l’intera scheda US o una sua versione semplificata. L'impiego della tecnologia però non può essere limitato o limitante. La portata dell'errore ècosì paragonabile all’impiego di un database lineare nella catastazione delle US e delleclassi di reperti ad esse correlate, cioè ogni volta che non si riempiono i formati previsti perquesti ultimi, il programma inserisce automaticamente schede bianche. In tempi più omeno brevi la macchina si pianterà e farà sempre una fatica enorme nel fornire rispostaalle interrogazioni effettuate: si tratta di vie senza uscita e tali da non permettere unacompleta consultazione multidirezionale di tutti i dati. Anche la necessità di doveraccedere alla documentazione fotografica conduce a soluzioni limitate; nella maggioranzadei casi, si legano attraverso i famigerati “hot link” (spesso visti a torto come la soluzioneottimale) foto contenute in cartelle esterne (mai tutte le foto, quasi sempre una foto peroggetto) rinunciando alla possibilità di visionare relazionalmente tutte le immaginicatastate.La ricerca di una “soluzione GIS” reale ci ha quindi portato a progettare e svilupparel’interfaccia “Open Archeo”, che di fatto rappresenta una soluzione GIS ipermediale a tuttotondo. E’ un sistema di gestione integrato ed aperto; tramite un'interfaccia semplicepermette di collegare vari tipi di dati (cartografici, planimetrici, alfanumerici, grafici,multimediali, ecc.) in modo multidirezionale fra le diverse applicazioni usate. Il concetto dibase sul quale si fonda il sistema ruota attorno a due parametri che corrispondono a duequesiti fondamentali: la documentazione (quale tipo di documentazione intendiamoreperire?) e la keyword di relazione (in base a quale chiave di ricerca vogliamo reperire ladocumentazione?).In pratica possiamo accedere, su richiesta mirata od anche casuale, a tutte le informazionidisponibili, partendo da qualunque base in consultazione. Il progetto quindi ha costituito, ecostituisce tuttora, un’assoluta novità nel panorama delle precedenti esperienze digestione della documentazione di scavo in forma digitale.

3 - La piattaforma GIS.Il GIS dello scavo viene concepito come una piattaforma che contiene la memoria di tuttele operazioni e le ricerche effettuate688. La collina di Poggio Imperiale è stata interamentevettorializzata ed inserita nel suo immediato contesto paesaggistico ed insediativo. Sonostati poi catastati la carta geologica di dettaglio, le indagini geoarcheologiche (sezionigeologiche della collina, carta della probabilità archeologica, ipotesi su un eventualesistema di captazione delle acque), le indagini preliminari sul terreno (fieldwalking 1991 e1992), le letture al calcolatore delle fotoaeree effettuate nel 1991-1992 (fotoaeree regionali

688 Sui principi della progettazione di un GIS di scavo si veda NARDINI 2000; NARDINI 2001; NARDINI,VALENTI 2004.

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per levata cartografica, volo centri storici, foto da aereo da turismo, foto da pallone), lalettura al calcolatore delle fotoaeree prese tramite velivolo da turismo negli anni 1996 e1997. Infine l’intero scavo e le aree di scarico, nei loro spostamenti progressivi, in quantoanch'esse fanno pienamente parte della storia della collina. I dati stratigrafici riportati sonocompleti, dall'humus al terreno vergine; viene rappresentata l'intera realtà dei depositiarcheologici nella loro successione fisica. Proponiamo di seguito una breve “carta d’identità” della base GIS di Poggio Imperiale,complesso esteso per 12 ettari e del quale sono stati scavati sinora poco più di due ettaricon 5757 unità stratigrafiche sino alla campagna del 2005.Ad oggi censisce oltre 90000 elementi vettorializzati e raggiunge un peso di 120megabyte; viene gestita su un MacIntosh G4 a 450 MHz - 256 MB di memoria RAM ed hatempi di caricamento dei dati di circa 5-10 secondi, mentre quelli di elaborazione oscillanofra i 15-20 secondi per le ricerche più semplici ed i 25-35 secondi per quelle più articolate. I tempi di impostazione e di registrazione non possono essere quantificati nel lorocomplesso con precisione, in quanto fortemente condizionati sia dalla mole dei dati daprocessare ogni anno (non sempre uguale) sia dall’abilità dell’operatore (in crescitaesponenziale). In genere l'assunzione delle piante di scavo viene svolta da tre operatorinel corso delle attività invernali di laboratorio; la campagna 1998 ha per esempio richiestoun totale di 160 ore circa a persona nella digitalizzazione di tre grandi settori di scavo (ilpiù grande raggiungeva i 30 x 12 m) caratterizzati da stratigrafie molto articolate.Nel suo insieme, si tratta di un prodotto che, nonostante una notevole complessitàstrutturale, consente una fruizione molto agevole e veloce, anche per utenti nonalfabetizzati.Grazie alle sue caratteristiche, il GIS rappresenta una risposta valida alle esigenze sinoraillustrate e soprattutto consente di risolvere in maniera ottimale uno dei problemi piùgravosi, cioè la gestione e la consultazione della stratigrafia archeologica. La maggiorparte dei ricercatori, attenti al potenziale analitico della tecnologia, si sono mostrati invecesostanzialmente diffidenti verso il suo carattere innovativo in questa direzione. Nelle varieesperienze, pur valide, condotte nell’ambito di alcune università italiane, l’impegnomaggiore è stato rivolto alle fasi di processamento, per lo più legate ad analisi distributivee di frequenza. In tempi recenti molte energie sono state spese nel compilare procedure diriproduzione 3D del contesto di scavo, sfruttando il modulo 3D analyst della ESRI conrisultati insoddisfacenti: in realtà riproduce molto male le stratigrafie, non essendoprogettato per questo uso, e soprattutto è solo un visualizzatore tridimensionale in cui la“z” è un attributo, pertanto ogni misurazione è ancora bidimensionale!Allo scopo di fare il punto sulla situazione italiana nell’ambito del GIS di scavo, l’Area diArcheologia Medievale di Siena ha organizzato nel giugno 2001 un workshop in cui eranorichieste relazioni muovendo le piattaforma GIS. Ne è emerso un quadro ancorasostanzialmente immaturo, ad oggi rimasto sostanzialmente inalterato, almeno stando ailavori pubblicati689.Gli esempi proposti, incentrati per lo più su specifici casi di studi, mostravano una strutturaomogenea, articolata su CAD e DBMS correlati da un motore GIS che svolge funzioni diinterrogazione spesso utilizzando lo standard SQL; tralasciando gli aspetti legati allaprogettazione del DBMS, si è potuto constatare che la documentazione grafica continuaad essere catastata per layers su software CAD con tutti i problemi connaturati a tali

689 I contributi presentati al workshop sono consultabili in rete, e scaricabili, all’indirizzohttp://archeologiamedievale.unisi.it/NewPages/WORKSHOP.html. Per un quadro generale, anche se nonrecente, delle esperienze condotte in ambito italiano si veda MOSCATI 1998.

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sistemi; allo stesso modo, non viene mai prospettata l’esigenza di una documentazioneoggettiva690.Le questioni relative alle potenzialità di gestione dei GIS sono rimaste quasi sempre alatere e mai testate fino in fondo: ancora una volta intendiamo soffermarci su questi aspettied esporre la nostra idea di piattaforma GIS di scavo e quali devono essere le suecaratteristiche per diventare un mezzo efficace per le elaborazioni più sofisticate. In definitiva, il GIS di scavo può essere definito come contenitore del dato archeologicostratigrafico integralmente e realisticamente riprodotto, dove ogni singolo oggettoindividuato assume il ruolo di elemento di indagine e strumento di elaborazione. Una definizione di questo tipo sembra in apparenza banale: di fatto non è altro che lariproposizione del significato generale e standard di GIS, come software in grado dicatastare, presentare, analizzare e processare i dati relativi ad un contesto territoriale,rappresentato nella sua realtà. Forse è proprio questo il punto: perché dovrebbe essere diversa? Perché il GIS di scavodovrebbe assumere una connotazione differente da quella di qualsiasi altra applicazionedel genere? Paradossalmente, invece, uno dei problemi maggiori nell’approccio al GIS discavo riguarda proprio tale aspetto: cosa inserire nella piattaforma, quanta e qualedocumentazione stratigrafica catastare, con quale dettaglio, con quale accuratezza didisegno.Quando si gestiscono le indagini territoriali, ci poniamo forse il problema di selezionare ladocumentazione registrabile fra quella disponibile? Non cerchiamo piuttosto di averecartografia di maggior dettaglio, costruendo così supporti sempre più validi e completi perle analisi che intendiamo effettuare? Se questo è vero, come lo è, perché nei confronti deicontesti di scavo dobbiamo porci il problema di cosa è giusto, conveniente o utile inserire?La realtà di uno scavo è ricostruibile solo attraverso l’inserimento di tutte le suecomponenti; così come non approssimiamo l’immissione della rete idrografica di unterritorio, inserendo tanto i grandi fiumi quanto i piccoli ruscelli, è sbagliato operare delleselezioni nel registrare la stratigrafia: in sintesi, non siamo autorizzati ad operare tagli soloperché siamo i principali interpreti di quella realtà.Gestire graficamente lo scavo è difficile ed organizzare la stratigrafia all’interno dellapiattaforma è problematico e laborioso. E’ necessario creare delle basi vettoriali spessomolto complesse, necessariamente “autoprodotte”, che richiedono un alto grado didettaglio e che comportano tempi di realizzazione molto lunghi. D’altro canto, questa è lacondizione imprescindibile per ottenere un buon GIS di scavo. Tentare soluzioni dicompromesso come l’inserimento delle piante significative (quasi sempre identificate conpiante di fase o di periodo) o l’abolizione delle caratterizzazioni delle emergenze (le crestedei muri, i reperti rinvenuti in strato, ecc) riduce irrimediabilmente la funzionalità dellapiattaforma sia come semplice archivio di documentazione grafica sia come strumento dielaborazione del dato.In altre parole, una base GIS nella quale si è proceduto ad un inserimento parziale, pur sein alta percentuale, delle unità stratigrafiche documentate durante lo scavo, fornirà datiscorretti e non esaustivi (per esempio nella costruzione dei modelli distributivi dei reperti).Allo stesso modo, semplificare la rappresentazione del deposito, riducendolo ad uninsieme di scarne superfici, prive di elementi di caratterizzazione, renderà la baseinutilizzabile come supporto di consultazione integrale del dato e di produzione di piante astampa691.

4 - Il DBMS (Data Base Management Sistem).

690 NARDINI, VALENTI 2004.691 NARDINI, VALENTI 2004.

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Il sistema degli archivi grafici e multimediali692 vede l'uso di databases appositamentecreati per la gestione di immagini, filmati e suoni e rappresenta uno strumento utile solo sesi lavora intensamente con grafica e files multimediali; i documenti che ne fanno parte nonsono inseriti in un unico file, ma vengono ricercati dallo stesso database nelle loro svariatecollocazioni; alle immagini, rappresentate in una galleria di miniature (e visibili a grandezzanaturale con un semplice doppio click), sono associabili uno spazio descrittivo e una seriedi chiavi che permettono visualizzazioni per soggetti; le keywords scelte per il nostroarchivio corrispondono ai numeri delle unità stratigrafiche rappresentate, area, settore,quadrato, definizione US stratigrafica, definizione US interpretata, anno di scavo, struttura,periodo, fase, area per fase, responsabile di area. Ad oggi sono catastati oltre 6000documenti tra immagini, filmati e animazioni. Il sistema degli archivi alfanumerici è stato concepito come un'applicazione relazionaleche vede convergere in interrogazione i dati di unità stratigrafiche, schedature ceramica,metalli, monete, vetri, ossa animali, reperti osteologici umani, eventuali analisispecialistiche, bibliografia. Sono state sinora inserite 19425 schede.La base di dati alfanumerica rappresenta un nodo essenziale nell’elaborazione di unasoluzione informatica che gestisce in modo efficiente il complesso dei dati generati daun’indagine stratigrafica. Da essa dipende in buona parte la qualità e la fruibilità delleinformazioni catastate. Sotto questo profilo assume importanza primaria il momento progettuale del databaserelazionale; in questa fase occorre, a nostro avviso, basarsi in primo luogo sulle necessitàspecifiche connesse alla ricerca archeologica, elaborando un modello informatico checoniughi il rigore logico proprio della computer science con la semplicità d’uso e la facilitàd’implementazione sull’ambiente hardware/software a disposizione (nel nostro caso unaLAN di personal computer gestita attraverso un server Alpha, e applicazioni commercialilargamente diffuse e facilmente reperibili).Va tenuto presente che i processi cognitivi applicati dall’archeologia e finalizzati allaproduzione di modelli storiografici non sempre si adattano ai metodi dell’analisiinformatica; le incompatibilità più evidenti si rilevano nella necessità, propria dell’analisi, digiungere ad un modello dei dati definitivo (le applicazioni classiche nell’ambito dellarealizzazione di database relazionali riguardano solitamente processi che non mutano neltempo e difficilmente necessitano un aggiornamento continuo dell’architettura dei dati;basti pensare alla gestione contabile di un’azienda, all’archivio anagrafico di un comune,ecc.). Un sistema simile è applicabile tutt’al più all’elaborazione di strumenti per la tuteladel patrimonio archeologico, costituiti da banche dati contenenti le notizie essenzialipertinenti ad un sito. Durante la progettazione di un database (e, più in generale, di una soluzione informaticaglobale) che si riveli funzionale alla ricerca si rende invece necessario porre la massimaattenzione a due aspetti: la creazione di un’architettura aperta e facilmente integrabile connuove tipologie di informazioni e la definizione, fin dall’inizio, del grado di dettaglio cui sivuole giungere nella catastazione del dato. Non considerare queste problematichesignificherebbe realizzare soluzioni parziali o, nel peggiore dei casi, inefficienti. L’esigenzadi un’architettura aperta si rivela direttamente connaturata al concetto di ricercaarcheologica. Questa infatti, pur partendo da basi metodologiche sufficientementeconsolidate, presenta spesso dinamiche mutevoli e strettamente connesse al contesto edagli obiettivi del progetto; lo stesso procedere delle indagini è spesso fonte di idee perapprofondimenti in direzioni non previste inizialmente. Il grado di dettaglio delleinformazioni, non necessariamente uniforme per tutte le categorie dei dati, è invecedirettamente legato all’efficienza della base di dati.

692 Per un approfondimento sulle tematiche relative alla progettazione del sistema di archivi, rimandiamo aFRONZA 2000 e FRONZA 2001.

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Si tratta di coniugare le esigenze specifiche degli approfondimenti su particolari aspetti delprogetto di ricerca con i criteri di agilità indispensabili per una proficua fruizione dei dati;giungere ad una soluzione di compromesso che rispetti le esigenze coinvolte rappresentaun momento importante nella progettazione del database.

5 - La lettura dei dati.Il sistema di gestione adottato rende possibile processare ogni singolo dato archeologicoe, tramite un’interrogazione multilivello, produrre nuova informazione; il trattamento può eriguardare sia la produzione di carte tematiche sia l’elaborazione di modelli interpretativi epredittivi tramite l’applicazione di tecniche statistiche e spaziali di analisi693.a - Carte tematiche - L’organizzazione per tematismi delle informazioni è il livello piùelementare di fruizione della base GIS e prevede la combinazioni delle varie entitàpresenti nella piattaforma che rispondono ai criteri di ricerca desiderati.Gli oggetti vengono richiamati a video o definiti attraverso cromatismi, secondo una queryimpostata sui valori contenuti in appositi campi di identificazione presenti in archivio;dunque la composizione di queste carte non avviene sulla base di elaborazionimatematiche, statistiche o spaziali bensì attraverso semplici combinazioni di identificatori. La semplicità di questo processo non deve comunque farne travisare o sottovalutarel’importanza; è proprio grazie a queste potenzialità che il GIS può essere definito comestrumento principe nella gestione dei dati e sono queste, prima ancora delle capacità dicalcolo matematico-statistico, che lo rendono elemento essenziale per la ricercaarcheologica: basti solo pensare alla polverizzazione dei tempi nella composizione dipiante di fase, periodo e struttura e alla consultazione immediata ed interpretata delleinformazioni stratigrafiche.b - Carte di distribuzione – Fra le analisi applicate ai contesti di scavo, lo studio dellefrequenze distributive e percentuali dei diversi campioni di reperti occupa un postoprivilegiato; sfruttando le potenzialità del software GIS, vengono prodotte informazioni utilialla definizione dei modelli storico-archeologici e socio-economici del sito indagato. In questo caso, la natura stessa della materia d’indagine obbliga all’interrogazioneintegrata dell’archivio alfanumerico esterno e di quello grafico, poichè il parametro diricerca (ovvero il singolo frammento di osso animale o di ceramica o di vetro) nonappartiene alla base come informazione grafica autonoma.I dati relativi al campione di materiale vengono importati all’interno della piattaforma discavo, sottoforma di grafi puntiformi, in seguito all’esportazione dei risultati dellequantificazioni in precedenza elaborate dal database; la x e la y del punto che lirappresenta esprimono convenzionalmente una posizione generica all’interno dell’unitàstratigrafica che li contiene. I valori quantitativi possono anche essere assegnati comeattributo dell’unità stratigrafica di rinvenimento, che viene quindi caratterizzata dacromatismi variabili a seconda della percentuale di presenza.Le stime quantitative prodotte dal database vengono successivamente taratesull’estensione dello spazio di rinvenimento in modo da ottenere l’effettiva distribuzione delmateriale.c - Misurazioni e calcolo: carte interpretative e predittive - Le funzioni di misurazione ecalcolo spaziale rappresentano un utile strumento di supporto all’interpretazione delleevidenze di scavo; consentono di considerare elementi difficilmente valutabili senzal’ausilio del calcolatore e producono risultati ancora inconsueti nell’ambito dei processiinterpretativi sinora svolti sui dati di scavo.

693 Per consultare le sperimentazioni di gestione e di analisi condotte sullo scavo di Poggio Imperiale citiamoi seguenti articoli: BOSCATO, FRONZA, SALVADORI 2000; FRANCOVICH, NARDINI, VALENTI 2000;FRONZA, VALENTI 2000; NARDINI, SALVADORI 2000. Per una sintesi delle funzioni analitiche del GIS discavo si veda NARDINI, VALENTI 2004.

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Un presupposto fondamentale per procedere correttamente all’intepretazione dello spazioscavato attraverso procedure automatizzate è la possibilità di disporre di cartografia didettaglio “autoprodotta”. La cartografia disponibile presso enti pubblici o in commercioprevede al massimo un intervallo di quota pari a 50 cm (nei casi più fortunati) ma piùgeneralmente a 1 m; se applicata ad un contesto di scavo, tale definizione è insufficiente esi è quindi obbligati a produrre cartografia, attraverso stazione totale, con il grado didefinizione richiesto dalla ricerca stessa.La sperimentazione di questi sistemi sullo scavo di Poggio Imperiale ha permesso distudiare i contesti stratigrafici relativi a buche di palo ed alle strutture di capanna secondocriteri oggettivi, dettati dalla macchina in forma automatica ed ottenuti attraverso metodimatematici e geometrici. Valutando dimensioni e profondità sono state selezionate leprobabili buche portanti; applicando alle buche la distanza desunta dal calcolo operatosulle buche perimetrali delle strutture certe, sono state individuate altre probabili bucheportanti. I risultati sono stati sovrapposti e verificati. Dopo aver riportato su pianta i datimetrici ottenuti è stato possibile individuare il perimetro di alcune strutture attraverso unavalutazione degli allineamenti di buche; grazie alla verifica della distanza minima fra paliportanti, calcolare gli eventuali tagli non conservati, ricostruendo così anche edifici moltocompromessi.L’analisi di tipo predittivo prevede una valutazione globale del contesto in cui si intendeoperare; corrisponde dunque ad una lettura verticale di tutti i dati catastati all’interno dellabase, al fine di ottenere indicazioni astratte da tradurre in un trend; l’individuazione delletendenze aiuterà poi a produrre ipotesi possibili (o probabili) riguardo all’interpretazioneprogressiva dell’insediamento nel suo complesso, oppure all’orientamento dei nuovi settoridi intervento. Ad esempio, nella costruzione della pianta ipotetica della fase di case a schiera del XIIIsecolo costruite nel nucleo urbano di Poggio Bonizio (i risultati sono stati illustrati nelcapitolo V) abbiamo integrato dati di scavo, emergenze di superficie, evidenze di scavo ecrop marks, inserendoli dentro una griglia definita dal calcolatore sulla base della mediadell’ingombro degli edifici scavati. Abbiamo impostato macro di calcolo affinchè lamacchina assegnasse cromatismi diversi a ciascuna delle celle definite dalla griglia nellospazio non ancora indagato a seconda del grado maggiore o minore di probabilità (in basealla concomitanza del tipo dei dati) della presenza di edifici ancora nascosti. Per arrivare aprodurre un’ipotesi di questo tipo è stato però necessario implementare preventivamente ildato grafico e assegnare ai diversi elementi interessati dei valori numerici (relativi peresempio al grado di affidabilità) in modo che potesse avvenire correttamente l’integrazionedel dato spaziale e matematico.

Per chiarire in che modo la soluzione GIS possa agevolare il processointerpretativo, illustriamo un momento di lavoro pratico in fase di lettura combinata dei dati,attraverso la metodologia applicata nella comprensione delle trasformazioni cui andòsoggetto il nucleo fortificato medievale di Poggio Imperiale nei suoi 115 anni di vita. Lo sviluppo in estensione del villaggio.Domande poste alla base GIS: quali erano le dimensioni del villaggio alla fondazione? Laparte fortificata si era allargata nel tempo e, di conseguenza, quali erano le sue dimensioninel 1270, anno di distruzione?Metodo di verifica: abbiamo deciso di leggere in sovrapposizione dati di natura diversa(overlays topologico), incrociando i risultati delle indagini preliminari con lo scavo edosservando le coincidenze.Operazioni per rispondere alla prima domanda: le stratigrafie relative alla fondazione del1155 sono state richiamate a video; dalla visualizzazione della cinta di prima fase,sovrapposta ai crop-marks osservati sul processamento del volo sui centri storici, abbiamodefinito l'andamento della fortificazione sull'intera superficie.

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I risultati della ricognizione sul lato nord ovest hanno evidenziato l'estensionedell'insediamento su questo versante. Il risultato del processamento dei voli da aereo daturismo ha mostrato invece l'andamento della cinta sulle superfici a sud. Lasovrapposizione della ricognizione con il trattamento dei voli regionali ha permesso didefinire la portata della cinta sul lato est, la cui natura ha trovato una netta precisazione eduna conferma nei risultati del volo su aereo da turismo del 1997.Risposta alla prima domanda: alla fondazione, quindi, è proponibile un agglomeratourbano esteso per quasi 7 ettari. Tutti i voli a bassa quota (i due tramite aereo da turismoed il pallone) disegnano poi, al di là del crop-mark della cinta posta sulle superfici sud, unavasta maglia di strutture regolari (sia quadrate sia rettangolari), interpretabili come edificidei borghi, che sappiamo essersi sviluppati nella seconda metà del XII secolo. Tra leevidenze, risulta molto chiaro l'andamento e le biforcazioni di una viabilità che attraversa ilmuro di cinta; questo nuovo crop-mark, relazionato alla successione della viabilitàriconosciuta da scavo, ci fa ipotizzare l'articolazione della rete viaria interna al nucleourbano: si rivela imperniata su un tracciato centrale e dritto, dal quale si dipartono vieminori collaterali.Operazioni per rispondere alla seconda domanda: il richiamo di tutte le strutture di XIIIsecolo ha poi mostrato la presenza di una torre (posta nei pressi della cintarinascimentale) e lacerti di muri in coincidenza del complesso Fonte delle Fate. Sono tuttielementi che indiziano la cessazione di uso del muro sulle superfici a sud e l'allargamentodelle fortificazioni a parte del borgo. Risposta alla seconda domanda: in questa fase l'insediamento fortificato occupava unasuperficie di oltre 12 ettari.Gli esempi illustrano pienamente i mezzi di elaborazione dati e di feed back connaturatiall'interrogazione di una piattaforma GIS di scavo. Permettono di formulare modelli nelladiacronia e realizzare piante ipotetiche sulla natura dell'insediamento. Materializzanotopografie urbane simulate, che indicano spazialmente le diverse trasformazionisuccedutesi; mostrano l'articolazione e le tendenze urbanistiche dell'insediamento nellesue diverse fasi; infine stimolano nuove domande e permettono di orientare i settori discavo per verificare sul campo ed eventualmente correggere la simulazione, inserendonuove variabili tra i dati certi694.Il GIS mostra in questo caso la sua natura di mezzo per la produzione di informazioni emodelli. Questa caratteristica va ad affiancarsi alla sua eccellenza nella gestione pratica ditutta la stratigrafia indagata ed alla sua prerogativa di rendere praticabili ricerche di tipospaziale in automatico.A.N.

6 – La produzione multimediale.La crescita tecnologica dell'industria dell'hardware e delle periferiche, nonchèl'adattamento degli applicativi alle nuove potenzialità disponibili, hanno portato alladiffusione della multimedialità anche nella sfera dell'utenza archeologica.Grazie alle conoscenze tecniche acquisite nel campo delle edizioni multimediali, gliarcheologi hanno avuto la possibilità di «raccontare» in prima persona i risultati dellericerche svolte sul campo in forme alternative alla carta stampata. Senza dover ricorrereall’aiuto di professionisti dell’informatica, di programmatori o di ditte informatichespecializzate nel campo multimediale (ad esempio nell’edizione di Cd-Rom su largascala), la delicatissima fase della divulgazione al grande pubblico dei dati scientifici puòessere seguita nel migliore dei modi ed in ogni passo, dalla selezione del datoarcheologico da presentare alla scelta delle tecniche più adatte per la divulgazione finale.

694 VALENTI 2000b.

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Le occasioni per la realizzazione di prodotti multimediali sono diverse, dal convegno allamostra all’edizione vera e propria, di cui vengono curate anche le fasi di authoring.Indipendentemente dalla destinazione i criteri e le regole di base sono sempre gli stessi:facilità di consultazione dei dati, semplicità di navigazione attraverso interfacce amichevolie vivaci, cura estrema nella costruzione di percorsi narrativi che possano offrire al maggiornumero di persone, al di là delle conoscenze personali di ciascuno, la possibilità dicogliere il senso del lavoro dell’archeologo e di intuirne il fascino. I programmi e letecniche impiegate vengono scelte e sviluppate proprio in questo senso, alla ricerca delmodo migliore di illustrare dati e progetti altrimenti difficili e faticosi da capire.Grande attenzione è stata così prestata alle tecniche di comunicazione e allapresentazione grafica, che ha un impatto immediato e determinante sul pubblico degliutenti. Per quanto riguarda i contenuti, è stato impiegato un linguaggio iconico, diretto enon specialistico, dedicando ampio spazio alle immagini e ricercando la miglioreintegrazione di queste con il testo. Si è cercato di elaborare percorsi di visita semplificati,moltiplicando i collegamenti interattivi e i menu tematici: in questo modo l’utente ha lapossibilità di seguire gli argomenti a cui è maggiormente interessato e di crearsi il propriopercorso al di fuori dei vincoli di un normale slide-show.Nel corso degli ultimi quattro anni la produzione multimediale dell'Area di ArcheologiaMedievale dell'Università di Siena si è definitivamente organizzata all’interno di unacollana che porta il nome “Archeologia dei Paesaggi Medievali”. Tale collana, giunta alla6° uscita, è il frutto della collaborazione con la casa editrice All’Insegna del Giglio, unacollaborazione editoriale che si rinnova sul campo delle nuove tecniche di divulgazionescientifica e che risulta significativa per gli sviluppi futuri che lascia intravedere.La collana multimediale non rappresenta però l’unico contenitore per la produzionemultimediale del LIAAM. In occasione di incontri disciplinari e durante la preparazionedelle regolari lezioni dell’anno accademico, raccogliere il materiale a disposizione,organizzarlo all’interno di un percorso narrativo, corredare le immagini di sinteticimessaggi di testo, il tutto al fine di costruire un prodotto multimediale, rappresentaun’ottima opportunità per “fare il punto” e per scoprire nuovi possibili sviluppi per ladivulgazione e per progettare altre applicazioni. Nascono così nel corso dell’anno moltilavori, di dimensioni e argomento vari (quasi ogni scavo o progetto archeologico si èdotato negli anni di un supporto più o meno complesso di presentazione multimediale),che, al di là dello scopo immediato per cui sono stati creati, rimangono a disposizione ditutti, condivisi all’interno della rete locale del Dipartimento.Nell’ambito della produzione multimediale per Poggibonsi sono stati realizzati nel tempodue tipi di supporti: i prodotti multimediali interattivi (i cosiddetti CD-ROM, editi sia supiattaforma Mac che Windows) e i video editi su supporto DVD (o presentati suvideocassette VHS).Nel realizzare entrambi i tipi di supporti è stata utilizzata tutta la documentazione digitale adisposizione: scansioni di disegni ricostruttivi realizzati da illustratori professionisti eanimati attraverso tecniche di morphing, immagini e filmati digitali, videodocumentazionezenitale (tecniche di rilievo zenitale di unità stratigrafiche attraverso videocamera ocamera), fotografie aeree, modelli 3D di strutture, di reperti e di paesaggi, testi concepitiappositamente per una fruizione veloce e sintetica delle interpretazioni archeologiche.Per quanto riguarda l'uso di CD-Rom interattivi nella presentazione dei risultatiarcheologici l'esperienza di Poggibonsi è stata sempre avanzata; già a partire dal 1997,con il convegno sulla nascita dei castelli nel Medioevo italiano organizzato proprio aPoggibonsi, è stato sperimentato il primo supporto completamente interattivo, messo adisposizione del pubblico e dei relatori del convegno. Il lavoro, come quelli che sonoseguiti negli anni successivi, è stato realizzato utilizzando il programma MacromediaDirector, insieme ad applicativi per il trattamento delle immagini digitali. Negli anni 1998-

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2001 sono aumentati i supporti multimediali a disposizione dello scavo di PoggioImperiale, sia per quanto riguarda gli argomenti affrontati (lo studio dei repertiarcheozoologici, l'analisi dei dati antropologici sul cimitero altomedievale, le analisiterritoriali svolte nella Valdelsa, i confronti con i castelli scavati in Italia centrale esettentrionale, mostre di arte contemporanea sugli scavi) sia per quanto riguarda letecniche utilizzate all'interno dei percorsi interattivi: utilizzo di scansioni 3D dei reperti,creazione di modelli 3D per le strutture e per il paesaggio, realizzazione di panoramiinterattivi QTVR visualizzabili a 360°, visite virtuali alle aree di scavo, utilizzo di tecniche dimorphing.Dal 2001, invece, sono stati sviluppati in maniera professionale l'acquisizione, la gestione,il montaggio e la compressione di filmati e di suoni con il programma Apple Final Cut esono stati realizzati i primi lavori sperimentali (presentazione del progetto 'Archeologia deiPaesaggi Medievali', video riassuntivo dello scavo e dell'allestimento della mostra C'eraUna Volta). Con l'apertura nel 2003 del Parco di Poggibonsi è stato realizzato un videoche racconta i risultati di dodici anni di scavo; questo video, musicato e sottolineato da unavoce fuori campo, è confluito in un'edizione in DVD con menu interattivi e con alcuni videoaggiuntivi che documentano tutti gli aspetti archeologici, architettonici e naturalistici dellacollina di Poggio Imperiale. L'edizione in DVD uscirà all'interno della collana multimediale'Archeologia dei Paesaggi Medievali'.Poggibonsi, inoltre, dal 2004 è stato il luogo di un'ennesima sperimentazione: laproiezione di filmati che narrano la storia del sito direttamente sui muri della fortezzamedicea, utilizzando come schermo un paramento murario di 36 x 9 m. L'evento, ripetutosia nel 2004 che nel 2005 all'interno delle Notti dell'Archeologia, voleva presentare ilprogetto di un Museo itinerante, chiamato I Muri Parlano, formato solo dai proiettori, daivideo in DVD e dai monumenti storici più importanti della provincia di Siena.C.T.

7 – I siti web dello scavo e del parco.

http://www.paesaggimedievali.it/luoghi/Poggibonsi/index.htmlhttp://www.paesaggimedievali.it/luoghi/Poggibonsi/indexparco.html

Il sito internet dello scavo di Poggio Imperiale è stato il primo cantiere archeologicodell’Università di Siena immesso in rete; l’operazione data infatti al 1995.Implementate e gestite dal LIAAM, le pagine web sono state rinnovate più volte sia per laveste grafica sia per i contenuti, tendendo ad aumentarne la fruibilità e l’immediatezza dinavigazione per gli utenti, siano essi studiosi, ricercatori, studenti o semplici appassionatidi archeologia. Con l’inizio del progetto Paesaggi Medievali (ottobre 2000), trasferito all’interno dellepagine legate al progetto stesso, ha ricevuto un ulteriore restyling nel settembre del 2005.Quest’ultima revisione ha migliorato l’accessibilità alle parti che lo compongono tramite unsemplice menù laterale stabile che guida l’utente attraverso le quasi 200 pagine visitabili;si è scelto di inoltre di organizzare i contenuti attraverso sezioni che abbracciano, oltre airisultati dello scavo archeologico, anche il contesto in cui lo scavo è inserito (la FortezzaMedicea ), la vegetazione e la morfologia della collina ed il territorio circostante.All’interno di ogni sezione trovano posto delle “schede” sugli argomenti trattati, corredateda mappe navigabili che collegano direttamente l’utente alle informazioni desiderate.Si è scelto di curare particolarmente il repertorio iconografico dove, accanto ad immaginidello scavo, delle evidenze storico-archeologiche presenti sul territorio, trovano postoricostruzioni grafiche, modellazioni tridimensionali e schermate GIS illustrativedell’evoluzione dello scavo.

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Nella sezione “Contesto” sono consultabili alcuni approfondimenti sull’area in cui il sito diPoggio imperiale è inserito: vengono prese in esame la Fortezza Medicea, i Bastioni ed ilCassero, la Torre di San Francesco, la Porta di San Francesco e la Fonte delle Fate.Le sezioni “Paleomorfologia” e “Vegetazione” sono frutto di un lavoro svolto in sinergia tral’Area di Archeologia Medievale del Dipartimento di Archeologia e Storia delle Artidell’Università di Siena e alcuni collaboratori (Antonia Arnoldus per la partepaleomorfologica e Gaetano di Pasquale per quella ambientale) dove sono analizzati icambiamenti geologici e ambientali della collina.Visitando invece la sezione “Territorio” è possibile esplorare le emergenze monumentali ele più significative tracce storico-archeologiche del territorio poggibonsese. Grandeattenzione è dedicata alla Rocca di Staggia Senese, oggetto di un’indagine archeologicacondotta dall’Università di Siena tra il 2004 e il 2005 che a breve verrà illustrato da nuovepagine web molto più approfondite.“Lo Scavo”, ultima delle cinque sezioni in cui il sito web è strutturato, ha al suo interno unascansione temporale, che permette al visitatore di ripercorrere attraverso testi, immagini,approfondimenti la lunga storia insediativa della collina di Poggio Imperiale, dalla tardaantichità alla costruzione della Fortezza per volere di Lorenzo il Magnifico.Il sito web del Parco Archeologico e Tecnologico di Poggibonsi è il naturale output onlinedella struttura inaugurata nel settembre 2003, nell'ambito delle iniziative di valorizzazione,studio e ricerca del Progetto Paesaggi Medievali, finanziato dalla Fondazione Monte deiPaschi di Siena e coordinato dall' Area di Archeologia Medievale del Dipartimento diArcheologia e Storia delle Arti dell'Università di Siena. La sua realizzazione ha tenutoconto della necessità di coniugare una semplice interfaccia di navigazione con unacompleta panoramica dei servizi delle attività svolte e delle offerte culturali; si compone dicirca un centinaio di pagine corredate da un ricco apparato di immagini.Dalla home page è possibile raggiungere le diverse sezioni che compongono il sito permezzo di un menù laterale sempre accessibile durante la navigazione. All'interno dellasezione “Strutture” la navigazione porta alle pagine concernenti le diverse entità checompongono il Parco. Nella pagina dei “Laboratori di informatica” dell’Area di ArcheologiaMedievale dell’Università degli Studi di Siena sono reperibili delle panoramiche delletecniche di documentazione digitale finalizzate ad una gestione dei più svariati tipi di dati ead un loro inserimento in politiche di valorizzazione e tutela del patrimonio archeologico emonumentale. In particolare, all’interno dei laboratori, vengono realizzati databasealfanumerici e multimediali, cartografia digitale, piattaforme GIS di scavo, di contesti urbanie territoriali, modellazioni 3D, produzione grafica e multimediale, editoria archeologica erealizzazioni grafiche per allestimenti museali. Le pagine relative al “Centro didocumentazione” permettono di esplorare le quattro sale espositive attraverso numeroseimmagini ed ottenere informazioni sugli orari di apertura e sulle visite guidate. Altre paginedella sezione “Strutture” sono dedicate ai bastioni restaurati ed inaugurati nell’estate 2005,con una breve panoramica, corredata di numerose immagini, sul magazzino-museo(bastione nord-est) e sul Laboratorio del Gusto (bastione nord-ovest). Infine sononavigabili le pagine web relative al bookshop, ai percorsi di visita dello scavo archeologicodi Poggio Imperiale ed ai servizi offerti ai visitatori (bar, ristorante, foresteria).La sezione “Attività” raccoglie le iniziative realizzate all’interno del Parco le attività delMaster MUASA, del Centro Interuniversitario per la Storia e l’Archeologia dell’altomedioevo attivato in sinergia dall’Università di Siena (Dipartimento di Archeologia e Storiadelle Arti e il Dipartimento di Storia ), l’Università Ca’ Foscari di Venezia (Dipartimento diStudi Storici, Dipartimento di Scienze dell'Antichità e del Vicino Oriente ), l’Università diPadova (Dipartimento di Scienze dell'Antichità, Dipartimento di Storia ) e dal Progetto"Paesaggi Medievali" della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, al fine di promuoverel’attività di formazione, di ricerca e di conservazione. Altre pagine web esplorano gli eventi

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culturali (ad esempio le Notti dell’Archeologia, o la Settimana della Cultura ) realizzatinell’ambito del Parco Archeologico e Tecnologico di Poggibonsi. In più, è possibile reperireinformazioni sulle attività didattiche e sulle visite guidate al sito archeologico di PoggioImperiale e al centro di documentazione, organizzate dalla Cooperativa Archeoval. La sezione “Galleria di Immagini”, in costante aggiornamento, ha lo scopo di offrire unapanoramica delle iniziative del Parco. E’ inoltre disponibile una sezione con alcune pagineweb che offrono utili informazioni sul modo per raggiungere il Parco Archeologico eTecnologico di Poggibonsi, sugli orari di apertura e di fruizione.Nella sezione “Materiali Scaricabili” sono a disposizione dei visitatori brochure informative,listini prezzi e tariffari relativi alle attività del Parco, scaricabili direttamente dal web informato pdf.P.P.

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VIII – IL PARCO1 - La collina in età moderna: dagli anni ’60 agli inizi del 2000Se dal XVIII secolo la collina è rimasta un corpo estraneo al nucleo urbano di Poggibonsied al tempo stesso un luogo principe dell'immaginario collettivo locale, è però dallaseconda metà del Novecento che Poggio Imperiale ha iniziato progressivamente adinteressare sia la popolazione sia l'Amministrazione comunale.A Rinaldi, già attivo studioso di storia locale, si legano alcune delle prime azioni intentatedal Comune di Poggibonsi sulla collina. Nella sua veste di geometra dell’Ufficio Tecnico,riuscì per esempio ad impedire nel 1964 la costruzione di una villetta al centro dellafortezza e su un'area che si è rivelata ad alti contenuti archeologici. Il valore di tale gestosi rafforza se pensiamo che stiamo parlando dei primi anni '60, caratterizzati fortementedall'espansione edilizia selvaggia e da un uso incontrollato del cemento.Sino alla metà del decennio successivo la collina non ricevette però altre attenzioni.La proprietà del monumento era ancora interamente privata con la residenza padronale alcentro, articolata ancora oggi in due grandi edifici ed alcuni annessi rurali. Il terreno venivasottoposto interamente e regolarmente ai lavori agricoli. Le esigenze legate al passaggiodi automezzi provocarono alcuni danni alla porta del Poderino, il cui ingresso venneallargato smontando molti dei filari laterali.Al tempo stesso l'agricoltura provocava danni anche ai depositi archeologici conservati nelsottosuolo. La superficie era coperta di reperti mobili tratti in superficie dalle arature edalcune strutture venivano progressivamente intaccate. Sul lato est del campo piùinnalzato, una vasta raccolta di conci squadrati in travertino testimonia ancora oggi ladistruzione di molti muri causati dall'innalzamento di un capannone per la raccolta delfieno e dall'escavazione di uno stagno circolare. Il Cassero della fortezza era invece abitato e ripartito in appartamenti; nel tempo avevasubito numerosi rimaneggiamenti stravolgendo quasi completamente il grande edificio alsuo interno ed i bastioni della struttura pentagona risultavano quasi interamente interratimentre ne veniva ignorato l'accesso.Non solo, la vegetazione spontanea accresceva di stagione in stagione ed all'esterno dellemura vennero impiantati una serie di orti con conseguente aumento di rifiuti, infrastrutturemetalliche intrusive, ammasso di cartoni e di detriti. Nel complesso la fortezza mediceaversava in pessimo stato di conservazione.Negli anni 1976-1978, a seguito di un esame di restauro svolto da alcuni studenti dellaFacoltà di Architettura di Firenze fu effettuata una prima documentazione del monumentocon il rilievo del bastione di punta e dei due bastioni laterali. Questo intervento segna unmomento importante nella storia recente della fortezza in quanto facevano parte delgruppo di lavoro alcuni personaggi che poi ritroveremo anche in seguito attivi in opere distudio e valorizzazione del monumento: Luciana Masi (autrice di un volume moltoapprofondito sul cantiere del Sangallo), Pietro Bucciarelli e Marco Martini (poi nelpersonale dell'ufficio urbanistica del Comune e molto attivi nel recupero e nel restaurodella struttura).In questo stesso periodo l'Amministrazione comunale inserì la collina nel nuovo pianoregolatore come area destinata alla fruibilità pubblica e bandì un concorso per un progettodi valorizzazione della fortezza.Nel 1981 comparve quindi la prima proposta di "riuso delle opere di architettura fortificata"di Poggio Imperiale, editata dalla sezione Toscana dell'Istituto Italiano dei Castelli. Ilvolumetto, curato dagli architetti Taddei e Collini e da Rinaldi per la parte di memoriastorica, vedeva la luce in un decennio di vivace dibattito in ambito architettonico,antropologico e sociologico sul riuso dei centri storici o di importanti manufatti

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architettonici" e per un "recupero in funzione uomo'"; ricercava inoltre il confronto con altreproposte che si auspicavano provenire dall'ambito universitario.In quest'occasione furono presentati alcuni rilievi della fortezza; tra essi la planimetriagenerale, la pianta e la sezione della porta S. Francesco, il bastione fra porta Calcinaia eporta S. Francesco, la porta d'ingresso al Cassero, la sezione dell'ingresso al Cassero.Il progetto intendeva "riqualificare, funzionalizzare il poggio” e ricucire “la futura strutturacon l'esistente”: in breve, non guastare nulla, anzi migliorare l'inserimento. Punti dipartenza dovevano essere un restauro conservativo e la creazione di una struttura rialzatadalla quota di campagna (poichè l'archeologia non doveva essere danneggiata marappresentare in futuro una delle risorse: "sotto il pelo del terreno di Poggio Bonizio ci sitroverà di fronte alle fondazioni e a certi alzati di una vera e propria città") che fungesse dapolmone vitale al monumento. La struttura doveva occupare l'intera area della collina adibita a seminativi e venivaconcepita come un centro destinato alle attività più disparate (culturali, commerciali,artigianali) prevedendo anche aree sperimentali per agricoltura e floricultura, unabiblioteca, un teatro, sale convegni, sale esposizioni, punti informativi, sportelli bancariecc.; inoltre venivano previste due piattaforme removibili (dette "piastre") e come ingressoun tubo modulare in stile Centre Pompidou di Parigi.Il centro doveva essere poi raggiunto da una serie di zone dette "nastri" caratterizzate daulteriori strutture primarie e secondarie incentrate sulle attività commerciali delcomprensorio valdelsano e sul ristoro.Il progetto non ebbe alcun seguito; pur se significativo per il nascente interesse verso ilmonumento da parte dell'Amministrazione comunale, rappresentava però una pesanteintrusione di metallo e vetro sull'intera collina ed una sorta di fiera del commerciovaldelsano.Quattro anni più tardi si verificò comunque un primo intervento strutturale; laSoprintendenza ai Monumenti, con incarico all'architetto Pietramellara, procedette alrilievo ed al restauro della Fonte delle Fate. Il complesso venne completamente ripulito,ripristinato ed ebbe luogo un grande movimento di terra sulla zona sommitale senza peròalcuna consulenza da parte di archeologi. Al restauro non venne abbinato uno studio delmonumento con lettura delle stratigrafie degli elevati. Allo stesso tempo, nella volontà direcupero e valorizzazione, il Comune procedette alla creazione di giardini negli spazi cheseparano la fonte dalla strada.Da lì a poco si fece largo definitivamente la consapevolezza dell'Amministrazione di nonpoter continuare ad ignorare l'importanza della fortezza per Poggibonsi e la necessità diprocedere ad un suo inserimento nella politica culturale e turistica della comunità. IlComune dette così l'avvio alle trattative che nel 1990 portarono all'acquisto del Cassero.Quasi contemporaneamente usciva un lavoro ineccepibile della Masi sul cantieresangallesco, seguito a breve da una prima sintesi sul monumento nel suo complesso(origini, archeologia, stato di degrado ecc.) nata in occasione delle mostre inerenti ilcinquecentenario di Lorenzo il Magnifico, operazione in cui la Soprintendenza aimonumenti di Siena commissionò anche il rilievo fotogrammetrico dello strutturerinascimentali.A questi stessi anni data l'incontro con l'Università di Siena, che fu mediato dall’UfficioCultura della Provincia ed ebbe inizio una lunga stagione di ricerca. E’ infatti dall’unionedei tre soggetti che hanno avuto origine le linee programmatiche del successivoquindicennio, caratterizzate dal massiccio intervento archeologico che ha coinvolto ilcomprensorio poggibonsese sino ad oggi: prospezione sul territorio per la redazione dellacarta archeologica, approfondimento dell'indagine sulla collina di Poggio Imperiale edintervento di scavo, allargamento di scavi ad altri monumenti valdelsani, come peresempio il caso della Rocca di Staggia, progettazione del parco archeologico e

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monumentale incentrato sulla fortezza. L'intervento nel suo insieme si è sposato con unuso sperimentale della tecnologia digitale che ha portato la collina di Poggio Imperiale arappresentare il primo cantiere di scavo italiano interamente informatizzato, raggiungendopunte di eccellenza a livello europeo.Data alla metà degli anni ’90 il contributo professionale del landscape architet JamesBuchanan, in collaborazione con l’Università di Siena, per la redazione di un protocolloprogettuale, il masterplan, tuttora alla base dell’attuale Parco Archeologico e Tecnologico. Dal 2000, dopo il restauro del Cassero ed un primo diserbo delle mura, dietro laconsapevolezza dell’alto potenziale archeologico e delle strutture monumentali ancoraesistenti, Amministrazione Comunale, Università di Siena e Fondazione Monte dei Paschidi Siena hanno poi operato congiunti per progettare e realizzare il parco archeologico e uncentro di documentazione negli stessi ambienti restaurati del Cassero.

2 - Il Parco Archeologico e TecnologicoLa fortezza di Poggio Imperiale costituisce inoltre un patrimonio storico, archeologico eambientale di grande rilievo nazionale ed il progetto di Parco Archeologico e Tecnologicorappresenta la prima significativa scelta politica intrapresa dal Comune di Poggibonsi perla sua valorizzazione .Il parco è stato inaugurato nel settembre 2003. Si estende sull’intera collina di PoggioImperiale ed è articolato su due poli principali: l’area archeologica ed il Cassero. Ad essi silega un sistema di percorsi che ricollegano la Fonte delle Fate alle altre emergenzemonumentali del sito. L’idea di progetto ha mirato a restituire a Poggibonsi la propriaeredità storica; inserire la città nella geografia delle offerte culturali della regione;sviluppare l’uso di tecnologia d’avanguardia ed innovativa per la registrazione, la gestionee la divulgazione dei beni culturali.La creazione del parco di Poggio Imperiale si colloca in una fase di profonde polemichesulle politiche dei beni culturali, che caratterizzano il dibattito nazionale e regionale, erappresenta un’operazione che sembra indicare quale sia la strada giusta per superareinutili e dannosi conflitti. Qui infatti strutture della tutela, governi locali, mondo della ricerca,fondazioni e imprenditoria hanno operato in forma sinergica e stanno costruendo nuoveprospettive nell’ambito della valorizzazione del patrimonio e nella definizione di nuoveoccasioni per l’occupazione.All’interno del progetto assume un ruolo fondamentale, oltre ai due ettari di areearcheologiche monumentali già emerse, il Cassero della Fortezza Medicea. Questorappresenta il punto di riferimento del “sistema parco”; in particolare è sede di un centro didocumentazione complesso con sala congressi, foresteria, laboratori archeologico-informatici, bar, ristorante e bookshop. L’idea è stata quella di creare un centro polivalentenel quale svolgere attività di ricerca scientifica, organizzare convegni, attività formative e,soprattutto, presentare i risultati delle indagini archeologiche sul sito di Poggio Imperialeattraverso l’allestimento di un percorso segnato dalla coesistenza di elementi tradizionali etecnologie innovative. Buona parte delle funzioni richiamate sono già attivate all’internodella struttura grazie all’impegno di Comune e Università, ma sopratutto a quello deigiovani laureati e diplomati della Cooperativa Archeoval ai quali, con la supervisionedell’Università stessa, sono affidati la continuazione dello scavo archeologico, laregistrazione e la gestione informatica dei dati, il funzionamento dei laboratori tecnologici etutte le attività didattiche che fanno parte della vita del parco.Nel 2003, seguendo il programma di creazione e sviluppo progressivo del parco, sonostate aperte tutte le aree indagate fino a quel momento, con una sistemazione rispettosadelle nuove “emergenze” (i lotti abitativi del XII e XIII secolo, chiesa, cisterna e tratti della“Francigena” interna al castello) e del Centro di Documentazione, dove, oltre ai materialirinvenuti nello scavo, sono posti al centro dell’attenzione i pannelli con le tavole illustrative,

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frutto del lavoro integrato degli archeologi e dello Studio Inklink. Una operazione destinataa creare strumenti interpretativi innovativi a disposizione di un grande pubblico. Inoltresono stati predisposti i laboratori informatici e le strutture di servizio.I tempi di realizzazione sono stati brevissimi e sembra che si percorrano con rapidità letappe e si stiano raggiungendo gli obiettivi indicati nel 2002 dal Sindaco del Comune diPoggibonsi dott. Rugi e dal Magnifico Rettore Prof. Tosi. Allora Sindaco e Rettorescrivevano che l’iniziativa era destinata “a valorizzare il patrimonio storico, culturale edambientale pubblico dell’area della Fortezza Medicea di Poggio Imperiale a Poggibonsi,alla creazione di servizi culturali e turistici, a dare continuità e a promuovere l’attività diformazione, di ricerca e di conservazione intrapresa da oltre un decennio in formacollaborativa dall’Università di Siena e dal Comune di Poggibonsi, andando alla creazionedi un Centro Europeo Interuniversitario di Archeologia Medievale, che opererà in strettorapporto con il Dottorato in Archeologia Medievale dell’Università di Siena e incollaborazione con il Progetto “Paesaggi Medievali” della Fondazione Monte dei Paschi diSiena, attraverso l’attivazione di master, a forte contenuto innovativo eprofessionalizzante” e sottolineavano come si trattasse di una iniziativa dai forti caratteriinnovativi che intendeva testimoniare la pluriennale attività di collaborazione del governolocale e della struttura universitaria, che hanno dato prova di contribuire concretamentenel progettare nuove prospettive di sviluppo. Infatti se è vero che la valorizzazione dei dodici ettari della Fortezza di Poggio Imperialecostituisce un risultato di altissimo impegno culturale in una porzione di territorio che vienesoltanto marginalmente toccato dal passaggio di grandi flussi turistici diretti verso i più noticentri storici delle aree circostanti, è altrettanto vero che l’iniziativa avrà una significativaricaduta sulle dinamiche economiche e sociali dell’area.La strategia di ottimizzare le ricadute in termini di utilità sociale delle attività di ricercadell’Università e di valorizzazione dell’Ente del Governo locale si configura come unaprospettiva concreta e vitale e, allo stesso tempo, una sfida importante da percorrere condecisone. Ricerca archeologica, valorizzazione del patrimonio culturale, innovazionetecnologica e attività sinergica fra diversi soggetti pubblici e privati, nel caso di Poggibonsi,sembrano costituire davvero un modello da ‘esportare’. Come già detto, si tratta di un “parco in progress” che si evolverà nel tempo, con losvolgimento continuativo dello scavo nell’area archeologica e con l’apertura ed il recuperodi nuove parti della fortezza medicea. Nelle strutture restaurate del Cassero convergonoseminari e convegni internazionali, master specialistici sull’altomedioevo, sul restauro esulla conservazione dei monumenti, sulla gestione informatica della risorsa archeologica,attività di archeologia sperimentale ed anche didattiche dell’Università. Un gruppo diarcheologi altamente specializzati nell’informatica conduce le attività di ricerca, sviluppal’avanzamento delle iniziative espositive, il rinnovamento dei contenuti e la loro diffusioneal pubblico. Il parco dovrà rappresentare un centro di eccellenza dell’ArcheologiaMedievale in Europa e delle applicazioni tecnologiche al patrimonio dei beni culturali.

3 - Il CasseroLe linee programmatiche alla base del parco hanno trovato una forma e una funzione neidifferenti ambienti del complesso del Cassero. Agli spazi dedicati alla ricerca e ailaboratori occupati dall’Università di Siena e dalla Cooperativa Archeoval, si sono accostatispazi pubblici come il Centro di Documentazione, un bookshop per accogliere i visitatori eoffrire servizi di informazione sulle attività e gli eventi in programmazione nel Parco, maanche servizi come il bar e il ristorante e una foresteria per ospitare coloro chesvolgeranno attività nella struttura.La cerniera di collegamento è l’ambiente più grande di tutta la struttura, situato al piano piùalto e pensato come una sala polifunzionale allestita con un particolare arredo in grado di

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essere facilmente adattato e modulato a differenti funzioni. Nella sala si tengono le lezionidel master di specializzazione, le proiezioni dei documentari che completano il percorsoespositivo del centro di documentazione, i convegni, i seminari e i corsi di aggiornamentoorganizzati dal Comune di Poggibonsi, le cene e le cerimonie organizzate dal ristorante ealtri eventi in programmazione gestiti direttamente dalla società Politeama.Questo ambiente assume una particolare importanza non solo per la sua strategicaflessibilità di adattarsi a molte funzioni, ma anche metaforicamente come simbolo dellacompartecipazione nella gestione del Cassero da parte del Comune, della SocietàPoliteama e dell’Università.Il progetto museografico, fin dall’inizio, è stato pensato come un indice e una sintesi di unpercorso da sviluppare in futuro in ambienti più grandi proporzionati alla quantità dimateriale redatto negli ultimi undici anni di ricerca su Poggio Imperiale.Nel Centro di Documentazione del Parco Archeologico e Tecnologico di Poggibonsi, primonucleo di una struttura museale destinata a crescere col progredire delle ricerche e inrapporto con processi formativi innovativi, narriamo attraverso pannelli illustrativi, frutto dellavoro integrato di archeologi, archeometristi, naturalisti e disegnatori, le vicendedell’insediamento nella sua lunga durata, così come abbiamo potuto ricostruirla sulla basedegli indicatori materiali. Le stanze sono allestite con una sequenza progressiva di cinque o più pannelli per stanzache illustrano, attraverso le ricostruzioni grafiche dello Studio Inklink accompagnate ecompletate da testi e immagini, le tappe principali di occupazione del sito.Dalla prima stanza, in cui sono illustrate le fasi relative al periodo tardoantico edaltomedievale, si procede nelle stanze successive in ordine cronologico fino ad arrivareall’età moderna e alle fasi di costruzione della fortezza medicea.I pannelli stessi tracciano il percorso di visita di stanza in stanza, ognuna delle quali èdotata di computer con supporti multimediali (video, archivi multimediali delladocumentazione di scavo, prodotti multimediali, ecc.) in modo da accompagnare ilvisitatore attraverso la storia delle indagini archeologiche e la ricostruzione della storiadell’insediamento.

Accanto ai pannelli, il percorso di visita permette di accedere ad una limitata selezione deimateriali che hanno offerto un’ottima occasione per ricostruire gli “arredi” degli ambienti ospecifiche attività agricole o artigianali, rappresentative della vita quotidianadell’insediamento nelle diverse fasi di vita.Il visitatore si trova quindi di fronte una narrazione per immagini che, se ha il merito dioffrire immediatamente un quadro esauriente delle trasformazioni urbanistiche, edilizie e diorganizzazione del potere subite dal sito di Podium Bonitii, potrà forse lasciare stupiti perla mancanza di una documentazione rappresentata da “scientifici ed asettici” rilievi dimateriali immobili e da dettagliati disegni di materiali mobili, che appaiono tanto necessaria chi per anni ha pazientemente e analiticamente raccolto sul campo, ma spesso diostacolo al fine di raggiungere una interpretazione globale del sito per i non addetti ailavori.Abbiamo scelto, in questa occasione, di lasciare alle diverse capacità di lettura delvisitatore i complessi e necessari passaggi interpretativi, mettendo a disposizione ladocumentazione analitica della ricerca scientifica condotta sul terreno ed in laboratorio suinnovative strumentazioni informatiche implementate sui computer distribuiti, di fianco aipannelli, negli spazi del Centro di Documentazione.

4 - La parte espositiva

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La costruzione della parte espositiva e di conservazione dei materiali rinvenuti nel corsodell’indagine archeologica è stata progettata con l’intento di realizzare una gestioneintegrata dell’area di scavo con le strutture della fortezza medicea di Poggio Imperiale.Nella quarta, ed ultima, delle sale che compongono i locali del Centro di Documentazione,sono stati esposti, su un apposito bancone-teca, i materiali più significativi rinvenutidurante le campagne di scavo.Preliminarmente, si è intervenuti tramite restauro conservativo su un considerevolequantitativo di manufatti (ceramica, monete, vetri, metalli e altri tipi di reperti): il restauroera necessario sia per evitare il naturale degrado dei manufatti sia per restituire leggibilitàal reperto, lasciando però inalterate le sue caratteristiche originarie.Le diverse tipologie di materiale hanno richiesto metodi distinti d’intervento: tecniche dipulitura ‘classiche’ oppure tramite mezzi meccanici o agenti chimici. L’uso d’integrazioninelle parti mancanti è stato invece applicato solamente dove necessario e al solo scopo digarantire la staticità dei reperti.Si è intervenuto su un totale di 779 oggetti, 372 dei quali esposti. Il materiale restaurato ècomposto da 154 forme ceramiche, 48 delle quali esposte, 358 monete, 134 delle qualiesposte, 12 reperti vitrei, 9 dei quali esposti e, infine, 108 reperti metallici, 86 dei qualiesposti. Per i reperti in buono stato, tali da non richiedere un restauro conservativo vero eproprio (ovvero i restanti 147 reperti particolari, 95 dei quali esposti), è stata eseguita lasola ripulitura del manufatto dagli agenti di degrado.I reperti ceramici esposti sono stati selezionati in base ad una scelta cronologica e‘stilistica’ (dove per ‘stilistica’ s’intende i manufatti più rappresentativi e/o in migliore statodi conservazione). La cernita del materiale da esporre si è basata sulla continuità delleforme tipologiche, sul loro sviluppo e sull’incremento quantitativo. Gli oggetti esposticoprono un arco cronologico che, partendo dal VI secolo, arriva fino al XVI secolo.Inoltre, sono stati esposti 100 frammenti di ossa animali, una selezione certamente ridottarispetto ai 5801 frammenti che sono stati oggetto di analisi archeozoologiche. La scelta deireperti da esporre è stata condotta su base tassonomica e cronologica, con un affondolegato ad alcuni aspetti legati alla cultura materiale, come i consumi sociali evidenziati nelvillaggio carolingio, e alle tecniche di macellazione di epoca medievale. Nelle speciedomestiche vengono presentati i segmenti osteologici delle principali razze rinvenute incontesti datati tra la fine del IX secolo ed il XIV secolo. Per il maiale, inoltre, sono statemesse a confronto le razze medievali con quelle moderne, così da rendere evidente alvisitatore come le razze medievali fossero di taglia notevolmente inferiore. Sono inoltrepresentati gli avanzi di pasto rinvenuti in tre strutture datate tra la metà del IX secolo e gliinizi del X secolo.Per questo motivo i resti osteologici sono stati reggruppati in tre ‘insiemi’ relativi adaltrettante strutture: l’abitazione del signore, o di un suo intendente (la longhouse), dove siconsumava molta carne bovina oltre a quella suina e capriovina; la capanna di un servo,come mostra il rinvenimento di resti ossei soprattutto di animali di medio-piccola taglia(capriovini, suini e coniglio) ed, infine, una struttura funzionale dove si macellavano glianimali.Infine, sono stati esposti alcuni tra i reperti che meglio conservano tracce di macellazionecon strumenti da taglio, evidenziando una continuità dal VI secolo fino al XIV secolo. Ireperti sono stati suddivisi, anche in questo caso, in tre gruppi che rappresentanorispettivamente i tagli presenti sull’arto anteriore, su quello posteriore e sulla colonnavertebrale.Nella teca sono stati esposti 34 oggetti in vetro, selezione ridottissima rispetto ai 2895esemplari rinvenuti durante lo scavo e dovuta, anche in questo caso, ai ristretti spaziespositivi. La scelta dei manufatti è stata condotta su base estetica (i reperti in migliorstato di conservazione) e cronologica (la decisione di esporre reperti rinvenuti durante

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tutte le fasi di frequentazione del sito). Sul totale degli oggetti esposti, 9 sono statisottoposti a restauro sia al fine di ottenere la staticità degli esemplari, sia per preservare imanufatti dagli agenti di degrado. Sono stati riuniti in venti gruppi tipologici; questi, a lorovolta, sono stati organizzati in quattro sezioni orizzontali, secondo criteri cronologici: ireperti altomedievali (VII-IX secolo), quelli datati al XII-XIII secolo, i reperti pertinenti al XIVsecolo e infine i manufatti di età rinascimentale.Oltre ai reperti vitrei, sono stati esposti i reperti numismatici. Dei 358 esemplari schedati,ne sono stati musealizzati 134, a rappresentare il circolante minuto toscanobassomedievale, nonché i vari coni rinvenuti nel sito di Poggio Imperiale.Si tratta di monete che coprono un arco cronologico che va dall’XI al XVIII secolo, anchese il maggior quantitativo di esemplari è riferibile alla metà del XIII secolo, la fase di vitapiù intensa del sito, durante la quale operano non solo attività commerciali e artigiane, maanche mercatura e cambio. Sono esposte soprattutto monete toscane, come i denari inmistura di Lucca a nome dell’Imperatore Enrico III, IV e V di Franconia, i denari cosiddetti‘Federiciani’ di Pisa, e piccioli provenienti dalle zecche di Arezzo, Siena e Firenze. Fra tuttispicca per materia e conservazione un grosso in argento coniato dalla zecca di Volterra.Non mancano inoltre esemplari di provenienza italiana e straniera; troviamo, infatti,rispettivamente denari scodellati di Verona, denari di Ravenna, Pavia, Brindisi, quattrini diViterbo, Pesaro e Urbino. Per le zecche non italiane le maggiori presenze sono di denarifrancesi e spagnoli, segue un denaro frisiacense (Carinzia).Ultimi, in ordine di esposizione, sono 9 tessere o gettoni in piombo, in mediocre stato diconservazione, ma assai interessanti nel panorama degli studi numismatici per la lorofrequenza negli scavi medievali e per il recente interesse verso le tecniche e i luoghi difabbricazione.Di seguito ai reperti numismatici, sono visibili i reperti metallici. La scelta, limitata a pochiesemplari fra i 6.962 rinvenuti, cerca di rappresentare tutte le classi di reperti attestateattraverso gli oggetti più significativi, con un arco cronologico che va dall’epoca tardoanticaall’età moderna. Sono quindi presentati gli utensili d’uso quotidiano, gli oggetti per labardatura del cavallo e del cavaliere, le armi, le fibbie, le chiavi e gli elementi da serratura,i pesi e gli oggetti da cucito, le borchie e le applicazioni, gli oggetti relativi all’abbigliamentoed all’ornamento personale, quelli inerenti la sfera devozionale e le insegne laiche. Perogni classe si è cercato di evidenziare la continuità formale o l’evoluzione che gli oggettihanno subito nel corso delle varie epoche. L’ultima sezione della teca contiene i cosiddetti ‘reperti particolari’: elementi decorativi,oggetti da gioco, ossi lavorati, vaghi di collana, pesi da telaio, ceramica. Il primo gruppo èformato da frammenti d’intonaco dipinto, un elemento decorativo e da tessere diserpentino per la pavimentazione. Nel secondo gruppo sono stati inseriti dadi da gioco inosso e pedine da gioco in maiolica, in osso e in pietra. Il terzo gruppo, composto dastrumenti in osso d’uso vario, presenta immanicature, parti di fibbie da cintura, frammentidi spilli, un frammento di bottone e due fischietti. Il quarto ed il quinto gruppo comprendonoal loro interno rispettivamente vaghi e fuseruole. Il sesto gruppo è una sezione specialededicata ai reperti ceramici particolari, che – a causa delle loro ridotte dimensioni-necessitavano di essere esposti nella teca e non sul bancone insieme agli altri reperticeramici.

5 - I bastioniUn nuovo progetto per l’apertura al pubblico dei due bastioni del Cassero ha previsto diimplementare ancora l’offerta culturale creando due distinti spazi con funzioni e contenutidifferenti, ma orientati entrambi a valorizzare e comunicare le risorse e il patrimonioculturale dell’intero territorio.

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Questo modello di sviluppo, costruzione e gestione di un parco ci permette di procederesecondo un masterplan di intenti definito all’inizio e programmare occasioni ed eventiannuali in cui si inaugurano e si aprono al pubblico nuove strutture, percorsi e spaziespositivi. L’obiettivo è raggiungere offerte e standard qualitativi proporzionali alle richiestedi un turismo intelligente che attraversa l’asse Firenze-Siena non più distrattamente, maattratto e incuriosito da uno dei centri in cui il governo locale, l’innovazione tecnologica e laricerca archeologica sono riusciti a convivere e a trovare soluzioni differenti per diffonderee raccontare il patrimonio culturale del territorio.Il bastione Nord – Est - Nel luglio del 2005, nei locali del bastione Nord-Est del Cassero,recentemente restaurati, sono state inaugurate le nuove esposizioni museali del ParcoArcheologico e Tecnologico, incentrate sul tema delle fortezze rinascimentali esull’allestimento del Magazzino-Museo, dove sono custoditi i reperti provenienti dalloscavo archeologico.Alcune delle sale del piano superiore del bastione ospitano la pannellistica inerente alletrasformazioni avvenute nell’architettura militare a seguito dell’introduzione della polvereda sparo e dell’evoluzione tecnologica dell’artiglieria tra la fine del Quattrocento e gli inizidel Cinquecento, con particolare riferimento all’ambito toscano, alla storia e all’architetturadella fortezza di Poggio Imperiale.Le particolari soluzioni d’arredo studiate per l’allestimento interno dei locali permettono ditrasformare le strutture in un Laboratorio per l’Archeo-didattica.Il Magazzino-Museo si caratterizza per la particolarità di poter essere visitato e capitoanche da parte dei ‘non addetti’ ai lavori. A differenza di quanto avviene nei comunidepositi di materiale archeologico infatti, particolari teche dotate di vetrine e pannelliesplicativi permettono di comunicare ai visitatori tutte le informazioni desumibili dai repertidi scavo in esse custoditi.In una delle sale del piano superiore sono esposti i reperti osteologici animali. Nei relativipannelli trovano spazio spiegazioni sulle specie zoologiche presenti nella tarda antichità enel medioevo sul sito di Poggio Imperiale ed i relativi dati storico-economici. Le techecollocate nei locali del piano intermedio sono state utilizzate per immagazzinare i reperticeramici. Nelle vetrine sono stati esposti alcuni pezzi particolarmente significativi, mentre ipannelli ne spiegano i processi produttivi, gli impasti, le forme, i rivestimenti. Nei pianiinferiori del bastione, infine, sono visitabili due cannoniere con i relativi sfiatatoi.Il Bastione Nord-Ovest. Laboratorio del gusto - Nei locali del bastione del Cassero cheguarda a Nord-Ovest è stato realizzato il “Laboratorio del gusto”. Si tratta di un luogo dallecaratteristiche ben diverse rispetto a quelle di un convenzionale ristorante o enoteca. Nellastruttura infatti è possibile degustare, comunicare e scambiare produzioni tipiche di qualità,condividendo l’identità di un territorio attraverso i suoi sapori, i suoi profumi e la vista delsuo paesaggio.Dalla sala centrale della struttura, nel quale trova posto un ampio bancone destinato allapreparazione delle pietanze, un percorso si snoda tra le sale adiacenti. All’interno di questiambienti i tavoli sono imbanditi per degustazioni guidate, affiancati da comunicazionididattiche, informazioni, piccole biblioteche e collegamenti al web per esplorare le piùimportanti produzioni del territorio di Poggibonsi, della Val d’Elsa e di altre colture e culturedella regione Toscana.Il recupero del bastione Nord-Ovest offre quindi una soluzione originale per apprezzarerisorse alimentari, quali olio e cereali, vini, aromi e spezie, formaggi e salumi. Lastagionalità costituisce un’ottima occasione per aggiornare, rinnovare e diversificareinteresse e attenzione del pubblico, in perfetto accordo con la regola fondamentale cheguida l’alternarsi di produzioni alimentari innovative e sostenibili. Gli spazi interni dellaboratorio ed i percorsi della Piazza d’Armi rappresentano una vetrina disponibile e apertaa tutti i produttori che possono utilizzarla per “raccontare” e promuovere i loro prodotti,

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prevedendo incontri, workshop, degustazioni ed eventi speciali, secondo un calendarioarticolato nelle diverse stagioni e per un’utenza diversificata: cittadini di Poggibonsi,studenti, turisti e tutti coloro che sono attenti a ciò che “si mette in tavola”.

6 - Le strategie di intervento sull’area archeologica di Poggio ImperialeIl progetto di interventi sull’area archeologica di Poggio Imperiale nasce dalla necessità diintervenire per integrare e sovrapporre il momento della ricerca e di indagine archeologicaa quello altrettanto importante della fruizione e musealizzazione del sito stesso. In questosenso le soluzioni proposte sono state scelte tra quelle compatibili e integrabili con lefuture campagne di scavo.Gli interventi per la valorizzazione si articolano principalmente intorno agli scavi,rimandando le attività di consolidamento e restauro della monumentalità ad occasionididattiche e formative da programmare a carattere multidisciplinare.Le opere per l’apertura al pubblico dell’area si sono state articolate in cinque fasi:- ripulitura dell’area dalla vegetazione- messa in sicurezza di alcune aree destinate alla fruizione- sistemazione del suolo all’interno e nell’immediato intorno delle aree di scavo- realizzazione dei percorsi pedonali di visita- installazione di pannelli illustrativi e didattici lungo i percorsi di visitaL’accesso all’area è stato realizzato da due diverse direzioni: dai percorsi che attraversanoil bosco che separa il sito dalla città e dalla strada esistente che attraversa le mura dellafortezza passando sotto la porta ovest. Su quest’ultima si innesta il percorso vero e proprioche circoscrive l’intero sito: partendo dalla cisterna e raggiungendo la chiesa, si affiancaesternamente all’area archeologica lungo il tracciato storico chiaramente segnatodall’allineamento delle soglie delle strutture a schiera del borgo bassomedievale.Dalla chiesa si scende, accerchiando l’area archeologica per percorrere esternamente lemura difensive che ci riconducono nuovamente verso la cisterna risalendo a nord del sito.Il percorso è stato realizzato con una sistemazione a terra del terreno mediante riporto dighiaia su un tracciato precedentemente spianato per una larghezza di un metro e mezzo.Inoltre il percorso è stato attrezzato con supporti ancorati a terra per pannelli didattici eillustrativi che raccontano la successione diacronica dell’insediamento attraversoricostruzioni grafiche delle differenti fasi.Come per le strutture utilizzate per mettere in sicurezza le cisterne ed eventuali passaggisu pendii scoscesi, anche per la posa in opera dei supporti dei pannelli illustrativi si èscelto una soluzione che non aggredisce la stratigrafia con plinti e fondazioni invasive. Perottenere questo, i supporti sono realizzati in lamiera piegata secondo una precisa formache consente di bloccarli a terra attraverso un sistema di zavorra ottenuto con materialirecuperati dallo scavo, quali grandi conci di pietra e uno strato di ghiaia, rendendo minimoanche l’impatto visivo nel contesto archeologico.Per i pannelli si sono “esplosi” nell’area di scavo i contenuti, le forme e la narrazionepresenti nel Centro di Documentazione del Cassero, cercando le opportunecorrispondenze tra le scene e le ambientazioni ricostruite e le strutture superstiti ancoravisibili nell’area. Così il pannello in cui si ricostruisce la scena del cantiere di fondazionedella chiesa lo abbiamo posizionato esattamente nel punto in cui si percepisce conidentico cono prospettico la sequenza delle fondazioni dei pilastri della navata centrale edella fornace per la fusione della campana, anch’essa rappresentata nella ricostruzione.Allo stesso modo la bottega del fabbro o la corte di una delle case a schiera del lottoscavate.Un altro criterio di esposizione dei pannelli è stato quello di riunire più ricostruzioni in ungruppo di pannelli disposti in sequenza, per cercare di evidenziare le trasformazionidell’insediamento, visualizzate scegliendo un identico punto di vista dal quale si sono

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scattate le “istantanee” delle principali fasi insediative di Poggio Bonizio. In questo modo lasequenza evolutiva delle fasi altomedievali è stata disposta al centro dell’area in cui sitrovava il villaggio longobardo, mentre le ricostruzioni dell’insediamento bassomedievalesono state esposte sulla sommità di una collina artificiale da cui si riesce a cogliere a colpod’occhio l’assetto della struttura urbanistica delle case a schiera e la viabilità dell’interosito.La collina panoramica è stata realizzata utilizzando esclusivamente parte della terra discarico accumulata durante le undici campagne di scavo precedenti. In questo modo sisono abbattuti i costi di trasporto del materiale ad eventuali discariche e si è dato unaforma e una “memoria” all’intervento archeologico.

7 - Il CISAAMPresso il Cassero è stato costituito nel 2004 il “Centro interuniversitario per la storia el’archeologia dell’alto medioevo” cui aderiscono il Dipartimento di Archeologia e Storiadelle Arti e il Dipartimento di Storia dell’Università degli Studi di Siena, il Dipartimento diStudi Storici e il Dipartimento di Scienze dell’Antichità e del Vicino Oriente dell’UniversitàCa’ Foscari di Venezia, il Dipartimento di Scienze dell’Antichità e il Dipartimento di Storiadell’Università degli Studi Padova. Il CISAAM svolge attività di ricerca nel campo degli studi altomedievali, sviluppando ancherapporti di collaborazione scientifica con enti e istituzioni nazionali, stranieri edinternazionali operanti nel settore; attività didattica finalizzata in particolare alla formazionedi operatori (storici, archeologi, storici dell’arte, architetti, urbanisti) che operano ointendono operare sul territorio nell’ambito della conservazione dei Beni Culturali.Nel 2004 l’Assemblea del Centro, formata inizialmente dai soggetti proponenti (Gian PietroBrogiolo, Riccardo Francovich, Stefano Gasparri, Sauro Gelichi, Maria AusiliatriceGinatempo, Maria Cristina La Rocca, Marco Valenti), si è strutturata nominando ilConsiglio Direttivo (composto da tutti gli aderenti al Centro), il Direttore (Stefano Gasparri,Università degli Studi di Venezia) e il Vice Direttore (Riccardo Francovich, Università degliStudi di Siena).Attualmente l’Assemblea del Centro è allargata e annovera tra i suoi membri: Paul Arthur,Andrea Augenti, François Bougard, Gian Piero Brogiolo, Paolo Delogu, Flavia De Rubeis,Richard Hodges, Maria Cristina La Rocca, Noyé Ghislaine, Lidia Paroli, Juan AntonioQuirós Castillo, Alessia Rovelli, Giuliano Volpe, Chris Wickham, Claudio Azzara eSalvatore Cosentino.Tra le iniziative adottate dal Centro nel corso dell’anno 2004 si segnala soprattutto ilMaster di II Livello in “Archeologia e Storia dell’alto medioevo: interpretazione, analisi evalorizzazione delle fonti, sistemi informatici e pratiche di gestione” (MUASA) per gli AnniAccademici 2003/2004, 2004/2005 e 2005/2006. Il Master ha durata annuale e prevede ilconseguimento di 60 crediti formativi; ha sede presso il "CISAM" nel Cassero dellaFortezza medicea di Poggio Imperiale a Poggibonsi, dove sono disponibili i laboratori e glispazi per le pratiche archeologiche.Finalità del master è quella di creare figure in grado di svolgere numerose funzioni, dallaricerca vera e propria, da svolgere anche con il supporto di strumenti avanzati di gestionedelle informazioni, sulle fonti scritte e materiali relative dal tardo antico all'XI secolo, finoalla pianificazione degli interventi sia di conservazione che di valorizzazione di determinaterealtà territoriali e all'ottimizzazione delle pratiche di conservazione della documentazionearcheologica.L’offerta didattica è imperniata sulle principali tematiche inerenti la storia e l’archeologiadell’altomedioevo italiano ed europeo, l’organizzazione e la gestione di scavi, parchi emusei, gestione di archivi e banche dati archeologici, problemi di legislazione dei beni

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culturali e di economia della cultura. I corsi prevedevo inoltre la frequenza di 120 ore dilaboratorio informatico e 200 ore di pratica di scavo archeologico.Il MUASA intende fornire impianto teorico, metodologie e tecniche: - per la ricerca, da svolgere anche con il supporto di strumenti avanzati di gestione delleinformazioni, sulle fonti scritte e materiali relative dal tardo antico all’XI secolo (con lapossibilità, per leggere correttamente determinati fenomeni di lungo periodo, di giungeresino alle soglie dell’età moderna);- per la pianificazione e la progettazione degli interventi di individuazione delle risorse divalorizzazione, integrati nelle diverse realtà territoriali;- per l'organizzazione, la gestione economica e la fruizione dei beni archeologici, storicoartistici e architettonici;- per la progettazione di interventi conservativi sia di carattere areale (parchi archeologicitradizionali) sia di carattere sistemico (valorizzazione diffusa);- per l’ottimizzazione delle pratiche di conservazione della documentazione archeologica.Il Master è consultabile in rete agli indirizzi:http://www.unisi.it/postlaurea/master.htmhttp://www.paesaggimedievali.it/luoghi/Poggibonsi/att.parco01.htmlhttp://archeologiamedievale.unisi.it/NewPages/masteram.html

Al master sono poi collegate alcune iniziative di studio e confronto.E’ stato organizzato nei giorni 9 e 10 dicembre 2004 il seminario ”Scavi Fortunati” einvisibilità archeologica dell’altomedioevo. La formazione del villaggio altomedievale (VI-Xsecolo) presso il Cassero della Fortezza medicea di Poggio Imperiale a Poggibonsi (SI),sede del “Centro” e del Master MUASA.Il seminario è stato articolato in una serie di interventi inerenti la formazione del villaggioaltomedievale (tema affrontato e approfondito in parte durante le lezioni del Master),soggetto di interesse primario nel dibattito sulla storia del popolamento medievale nellecampagne. Gli interventi sono attualmente consultabili in rete dall’home page del sitodell’Area di Archeologia medievale dell’Università degli Studi di Siena(http://archeologiamedievale.unisi.it/). Tra il novembre 2004 ed il maggio 2005, presso il Dipartimento di Storia dell’Università diPadova, il Centro ha organizzato un seminario interdisciplinare di Storia e Archeologiadell’alto medioevo (La memoria nell’Altomedioevo, la memoria dell’Altomedioevo). Ilseminario intende riflettere su alcuni punti nodali della ricerca altomedievistica attuale ed èindirizzato agli studenti delle Lauree Specialistiche di Storia Medievale e di Archeologia, aidottorandi in Storia, Storia del Cristianesimo e delle Chiese, Archeologia, ai borsisti post-dottorato del Dipartimento di Storia e di Studi Storici, ai borsisti post-dottorato delDipartimento di Scienze dell’Antichità e di Scienze dell’Antichità e del Vicino Oriente delleUniversità di Padova e Venezia e, più in generale, ai contrattisti, agli assegnisti, aglispecializzandi in storia e archeologia.Il 6 dicembre 2005 si è invece tenuta una tavola rotonda, coordinata d Paolo Delogu,Stefano Gasparri, Riccardo Francovich e Marco Valenti, sul concetto di medioevo e sulleragioni alla base di un master sull’alto medioevo in cui si incontrano storici ed archeologi;anche quest’iniziativa è consultabile in rete (http://archeologiamedievale.unisi.it).Di recente si è svolto infine il Seminario Internazionale “774: ipotesi su una transizione”,con sede al Cassero della Fortezza medicea di Poggio Imperiale a Poggibonsi (SI) neigiorni 16-18 Febbraio 2006. Il Seminario verteva sui temi della transizione verso la societàcarolingia in Italia e in Europa sullo scorcio dell’VIII secolo, ed era suddiviso in diversesezioni di approfondimento basate sui seguenti argomenti: la politica e la memoria dellapolitica; economia e produzione tra VIII e IX secolo; insediamenti rurali e città: evidenze

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archeologiche e rappresentazione scritta; produzione documentaria e letteraria (iniziativaconsultabile in rete dalla pagina http://archeologiamedievale.unisi.it).R.F.

8 – ArcheovalLa Cooperativa Archeoval è nata nel mese di Ottobre 2002 nell’ambito del corso diformazione professionale “Tecnico di catastazione multimediale” (progetto Archeoval-POROb.3 2000-2006), rilasciato dalla Regione Toscana in collaborazione con l’Università degliStudi di Siena e l’Università degli Studi di Pisa. Il corso prevedeva fin dalla sua nascita lacreazione di una cooperativa di giovani in grado di entrare, con valide competenzeprofessionalizzanti, nel mondo del lavoro; a questi si sono poi aggiunti altri membri scelti inbase alle loro specifiche capacità in campo archeologico ed informatico.La cooperativa è attualmente composta da 10 soci tra laureati e laureandi in archeologia,che hanno ricevuto la loro formazione professionale all’interno del Laboratorio diInformatica Applicata all’Archeologia Medievale e del Dipartimento di Archeologia e Storiadelle Arti dell’Università di Siena, partecipando fin dal 1997 a numerosi eventi ed attività iviorganizzati.Dal 2003, anno di inaugurazione del Parco Archeologico e Tecnologico di Poggibonsi, isoci lavorano nei locali del Cassero, sede del Laboratorio Informatico dell’Area diArcheologia medievale dell’Università di Siena, curando la ricerca, la conservazione, lavalorizzazione del sito di Poggio Imperiale e la sua promozione culturale e turistica.I membri della cooperativa, sotto la direzione scientifica dell’Area di Archeologia Medievaledell’Università di Siena, sono direttamente impegnati nell’organizzazione e nella gestionedel cantiere di scavo archeologico di Poggio Imperiale.Alle attività di scavo affiancano quelle di ricerca, curando l’interpretazione dei dati emersi elo studio del materiale rinvenuto (reperti vitrei, ceramici, metallici, numismatici edosteologici). Archeoval si occupa inoltre di catalogare e documentare il dato archeologicoattraverso l’impiego di strumenti informatici all’avanguardia, implementando i databasealfanumerici e multimediali e la piattaforma GIS di scavo.Al fine di promuovere il sito e divulgare i risultati scientifici delle ricerche, la cooperativacollabora con il Comune di Poggibonsi ed il Dipartimento di Archeologia e Storia delle Artidell’Università di Siena alla realizzazione della pannellistica e degli allestimenti musealirealizzati all’interno del Parco (Sale Espositive, Bastione nord-est, percorso a temadiacronico lungo la cinta muraria della fortezza medicea, percorso archeologico pressol’area di scavo, percorso geologico-naturalistico lungo le pendici della collina).I soci inoltre elaborano e realizzano prodotti mirati alla trasmissione di tutte le attivitàsvolte a Poggio Imperiale, aggiornando il sito web dello scavo e del Parco Archeologico eTecnologico, preparando materiale illustrativo e informativo in forma sia cartacea chemultimediale.La cooperativa organizza infine eventi destinati alla conoscenza ed alla fruizione del sitoda parte del pubblico. Oltre a costituire il personale altamente specializzato che gestiscel’apertura al pubblico del Centro di Documentazione del Parco, Archeoval organizza levisite guidate. Queste possono snodarsi, a seconda delle esigenze e delle curiosità deipartecipanti, tra le Sale Espositive, gli allestimenti del Bastione nord-est, le strutturearcheologiche emerse dagli scavi ed i percorsi di visita tematici presenti sulla collina elungo il perimetro della fortezza.Per i più giovani, durante il periodo scolastico, vengono svolti laboratori didattici che hannoper tema la storia insediativa della collina e la vita quotidiana dei suoi abitanti nell’antichità,con riproduzioni di oggetti di vario tipo secondo le tecnologie del tempo. Ovviamenteanche l’archeologia riveste un ruolo fondamentale in questo tipo di attività, con simulazionidelle diverse metodologie di ricerca impiegate nel settore: scavo, ricognizioni di superficie,

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lettura stratigrafica degli elevati, restauro e documentazione di reperti. In estate questilaboratori vengono proposti anche nell’ambito di campi estivi.I membri della cooperativa si occupano inoltre di preparare la programmazione delleattività legate a manifestazioni culturali promosse dal Ministero per i Beni Culturali e dallaRegione Toscana, quali, fra le altre, le “Notti dell’Archeologia”, la “Settimana della Cultura”,“Amico Museo”, le “Giornate dei Castelli e delle Fortezze”.

9 - I percorsi di visitaAll’interno del Parco sono presenti percorsi didattico-informativi incentrati su tematiche divaria tipologia e corredati da numerosi pannelli illustrativi. In particolare è possibilepercorrere sentieri con tema archeologico, storico-architettonico, geologico-morfologico,naturalistico-ambientale, panoramico-monumentale.L’allestimento ha lo scopo di illustrare le principali emergenze monumentali e storico-archeologiche presenti sul sito di Poggio Imperiale e nel vicino territorio, inquadrandole nelpiù ampio contesto naturalistico-geografico.La segnaletica riportata sui pannelli, contenente le indicazioni topografiche relative allediverse aree di interesse culturale ed ambientale della collina, permette ai visitatori delParco di orientarsi e fruire agevolmente della sentieristica.ll percorso archeologico si snoda all’interno dell’area di scavo. Cinque pannelli illustranol’evoluzione della topografia abitativa nel periodo tardo-antico ed altomedievale. Altricinque pannelli, posizionati su una collinetta artificiale panoramica, spiegano in generale ladiacronia insediativa della collina dalla metà del XII secolo all’inizio del XIV. Altri sonoposizionati invece in corrispondenza dei ritrovamenti archeologici di maggiore importanza:la chiesa di Sant’Agnese e il cimitero altomedievale rinvenuto al di sotto della chiesa; lacorte interna di una casa a schiera; la Via Francigena; il laboratorio di un fabbro; la grandecisterna monumentale; la cinta fortificata e la frana del XIII secolo.Il percorso storico-architettonico si articola dalla Fonte di Vallepiatta al Cassero dellaFortezza Medicea, fiancheggiandone la cortina muraria. Alcuni pannelli fornisconoinformazioni di carattere generale sul Parco e sul Cassero, sul territorio circostante, sulladiacronia insediativa della collina dalla fondazione di Poggio Bonizio alla realizzazionedella Fortezza rinascimentale, sulle metodologie di indagine e di ricerca applicate; altrisono posti in corrispondenza dei monumenti di particolare rilievo presenti sulla collina,quali la Fonte di Vallepiatta, detta delle Fate, la torre medievale di San Francesco e laomonima porta rinascimentale.Il percorso panoramico-monumentale è stato concepito per fornire al visitatore uninquadramento morfologico del territorio di Poggibonsi ed illustrare alcuni dei luoghistoricamente più rappresentativi: il Castello di Badia; Borgo Marturi; l’ospedale dellaMagione; il convento di San Lucchese. I pannelli, posizionati nella Piazza d’Armi indirezione dei luoghi descritti, fanno del Cassero un osservatorio privilegiato sulla regionecircostante.Il percorso naturalistico-ambientale ha lo scopo di illustrare al visitatore le essenze e lespecie arboree tipiche della collina di Poggio Imperiale, contestualizzando il sito dal puntodi vista naturalistico. Lungo i sentieri sono state allestite aree attrezzate per la sosta e peril pic-nic.Il percorso geologico-morfologico è destinato ad illustrare al visitatore la geologia dellacollina di Poggio Imperiale. I pannelli sono collocati in prossimità delle aree dove siconservano le sezioni con esposte le stratigrafie geologiche del sito. E’ possibile effettuare tutto l’anno visite guidate diversificate sulla base dell’interesse deivisitatori. Sotto la guida degli archeologi che lavorano nel sito, possono infatti essereeffettuati i seguenti percorsi di visita:

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- Area degli scavi archeologici; la spiegazione prevede di illustrare le diverse fasidell’insediamento sulla base delle evidenze archeologiche messe in luce e delle numerosericostruzioni grafiche presenti nella pannellistica.- Sala Polvalente, all’interno della quale è possibile vedere il filmato "Poggio Imperiale aPoggibonsi. 1992 – 2003. Dallo scavo archeologico alla costruzione del Parco", e SaleEspositive del Centro di Documentazione. Questa visita permette di avere una chiaraimmagine degli oltre mille anni di storia insediativa dell’abitato grazie alla visione dellenumerose tavole ricostruttive. Maggiori dettagli sugli aspetti della vita quotidiana nellevarie fasi storiche vengono poi forniti visionando i più significativi reperti archeologicirinvenuti nel corso degli scavi. Le postazioni informatiche posizionate nelle diverse salepermettono infine a chi fosse interessato di effettuare approfondimenti tematici su variaspetti che riguardano la ricerca e la documentazione scientifica dei dati provenienti dalloscavo archeologico (prodotti multimediali, filmati, ricostruzioni tridimensionali di reperti,archivi alfanumerici e multimediali, sistemi informativi territoriali, piattaforma GIS delloscavo, sito web). - Bastione Nord-Ovest, con la visita alle strutture da poco restaurate ed agli allestimentimuseali dedicati alla storia dell’architettura militare rinascimentale, alla produzioneceramica locale nel medioevo ed ai risultati degli studi archeozoologici effettuati sui repertianimali rinvenuti nel sito di Poggio Imperiale. - Percorsi storico-architettonici, durante i quali la guida illustra le principali emergenzemonumentali presenti sulla collina di Poggio Imperiale: la Fortezza Medicea, il Cassero, laFonte detta delle Fate, la Torre medievale di San Francesco. - Percorsi naturalistici, effettuati con la guida di esperti in materia, alla scoperta dellesezioni geologiche esposte e delle specie vegetali presenti nel sito.

10 - Le attività didatticheLe attività didattiche che hanno luogo nel Parco Archeologico e Tecnologico di Poggibonsi,prendendo spunto in particolare dal contesto storico-culturale ed ambientale presente sulsito di Poggio Imperiale, hanno lo scopo di fornire un approccio graduale alla conoscenzadel territorio, della storia, dell’archeologia, compresi i processi produttivi e le tecnologieantiche. Al fine di avvicinare gli alunni a queste discipline, vengono integrate metodologiediversificate, che vanno dalle più tradizionali lezioni in aula alle visite guidate, dai laboratoriarcheologici all’impiego di tecnologie all’avanguardia.Un ruolo fondamentale è rivestito dalle presentazioni multimediali e dalle attività pratiche,che permettono un contatto diretto, coinvolgente ed immediato, con vari aspetti della storiae dell’archeologia.I laboratori, tarati sull’età e sul livello di apprendimento scolare, sono numerosi ediversificati. - Per la scuola dell’infanzia sono previste “rappresentazioni teatrali” con marionette cheraccontano la storia del sito e attività ludico-manipolative. - Per la scuola primaria viene proposta la realizzazione di manufatti di diversa tipologia emateriale secondo le tecnologie impiegate nell’antichità. - Per le scuole secondarie di primo grado sono organizzate attività simulate di scavoarcheologico, di ricognizione di superficie, di documentazione, di restauro dei reperti e dilettura stratigrafica delle murature. - Per le scuole secondarie di secondo grado vengono effettuate vere sperimentazionipratiche delle metodologie applicate alla ricerca archeologica, dal lavoro sul campoall’elaborazione dei dati tramite strumenti informatici.

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Durante i mesi estivi all’interno della Casa ecologica ubicata nell’area archeologica delParco vengono organizzati campi estivi dedicati a bambini di età compresa tra i cinque ed itredici anni. Le attività ludico-didattiche proposte sono le seguenti: - realizzazione di manufatti in argilla essiccata con la tecnica del colombino e con il tornioa pedale. - lavorazione di tessuti al telaio e loro tintura con colori naturali sulla base di procedimentiantichi. - produzione di giochi medievali: fischietti in canna, dadi, biglie, pedine, perline e gioco delfiletto. - creazione di stemmi araldici di famiglie di Poggio Bonizio su supporti lignei. - visione di armature e vesti realizzate sulla base di modelli medievali e lavorazione dellapelle al fine di realizzare piccoli capi di vestiario. - escursioni geologico-botaniche con visione diretta di sezioni geologiche, campioni difossili e minerali pertinenti al sito di Poggio Imperiale ed essenze arboree tipiche dellacollina.Tutti i laboratori vengono preceduti da spiegazioni, effettuate anche grazie al supporto diprodotti multimediali o alla visione diretta dei reperti archeologici esposti nelle SaleEspositive del Centro di Documentazione. In questo modo si intende fornire uninquadramento generale sui diversi processi produttivi impiegati nell’antichità e sullefunzioni dei manufatti realizzati dai bambini.

11 - Eventi culturaliLe Notti dell'Archeologia - Le Notti dell’Archeologia sono un’iniziativa annuale promossadalla Regione Toscana con l’intento di far scoprire, o “riscoprire”, a tutti i cittadini siti diinteresse archeologico nella suggestione delle ore notturne.Nel mese di luglio, in tutte le province della Toscana, vengono organizzate aperturenotturne di musei e parchi. Protagoniste dell’evento sono iniziative speciali qualiesposizioni, visite guidate, attività didattiche, proiezioni, degustazioni di prodotti tipici,trekking archeologici, conferenze, concerti e rappresentazioni teatrali, con ingressi gratuitie riduzioni per le visite guidate.Il Parco Archeologico e Tecnologico di Poggibonsi partecipa all’iniziativa con varieproposte. Vengono organizzate escursioni notturne agli scavi archeologici illuminati dafiaccole, con un sottofondo di musica jazz suonata dal vivo, e visite guidate agliallestimenti museali del bastione Nord-Est. La Piazza d’Armi si anima di luci, colori esuoni: su un gigantesco schermo di 36 x 9 m, costituito dalla facciata dell’edificio interno alCassero, viene proiettata la videoinstallazione I Muri Parlano. Sulla muratura sfilano leillustrazioni ricostruttive ed i filmati di scavo che, a tempo di musica, spiegano la storiadella collina e “danzano” le ricostruzioni tridimensionali dei reperti archeologici trovati nelsito di Poggio Imperiale. Nella Piazza d’Armi e nel Laboratorio del gusto vengono inoltreallestite degustazioni di sapori toscani.Settimana della Cultura, Giornate Europee del Patrimonio, Amico Museo - Nell’ambitodella Settimana della Cultura, delle Giornate Europee del Patrimonio e di Amico Museo,iniziative patrocinate rispettivamente dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e dallaRegione Toscana, il Parco Archeologico e Tecnologico di Poggibonsi programma unaserie di eventi di interesse culturale. Oltre all’apertura straordinaria delle Sale Espositive edei Bastioni, vengono organizzate visite guidate agli scavi archeologici, laboratori didattici,mostre ed installazioni di arte contemporanea, spettacoli, escursioni geologico-naturalistiche nei percorsi allestiti lungo la collina di Poggio Imperiale, degustazioni diprodotti tipici locali.

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Lo scopo è quello di offrire ai nuovi visitatori uno stimolo in più per scoprire il sito di PoggioImperiale, mentre a tutti gli altri vengono proposti ulteriori spunti per approfondirne laconoscenza, sotto punti di vista ogni volta diversi.M.A.C., V.B.

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