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MALATTIE DELL’ORECCHIO CENNI DI FISIOLOGIA ED ANATOMIA L’orecchio svolge due distinte funzioni: trasporta energia meccanica e la trasforma in energia nervosa (funzione uditiva), concorre con altri apparati (visivo e propiocettivo) al mantenimento dell’equilibrio, valutando la posizione del capo nello spazio in rapporto alle sollecitazioni a cui è sottoposto dalla forza di gravità e da accelerazioni angolari o rettilinee (funzione vestibolare). La prima funzione implica la compartecipazione dell’orecchio esterno, dell’orecchio medio e della parte anteriore o cocleare dell’orecchio interno; la seconda invece è esplicitata esclusivamente dalla parte posteriore dell’orecchio interno (utricolo, sacculo e canali semicircolari). L’organo dell’udito è composto dal sistema di trasmissione dell’energia meccanica vibratoria, dal sistema che trasforma questa energia in energia nervosa e dal sistema che la trasferisce alla corteccia del lobo temporale, ove viene trasformata in sensazione acustica. Il sistema di trasmissione dell’energia meccanica vibratoria inizia con l’ORECCHIO ESTERNO formato dal padiglione auricolare e condotto uditivo esterno. Il padiglione auricolare può essere considerato un’espansione della pelle sostenuta per la massima parte della sua estensione da uno scheletro cartilagineo. Esso esercita un’azione graduale di rinforzo dell’energia meccanica vibratoria presente sull’intero padiglione concentrandola in un’area più ristretta con conseguente incremento della pressione sonora. Il condotto uditivo esterno (C.U.E.) è lungo circa 24 mm, di cui 1/3 spetta alla parte esterna o fibrocartilaginea (cartilagine – pericondrio – cute con annessi) e 2/3 a quella interna o ossea (osso – periostio – cute priva di annessi). Gli annessi cutanei sono dunque presenti solo nella porzione più esterna del C.U.E. (parte cartilaginea) e sono rappresentati da peli, ghiandole sebacee, ghiandole ceruminose. 1

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dispense, appunti 5o anno con integrazione libro.

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MALATTIE DELL’ORECCHIO

CENNI DI FISIOLOGIA ED ANATOMIA

L’orecchio svolge due distinte funzioni: trasporta energia meccanica e la trasforma in energia nervosa (funzione uditiva), concorre con altri apparati (visivo e propiocettivo) al mantenimento dell’equilibrio, valutando la posizione del capo nello spazio in rapporto alle sollecitazioni a cui è sottoposto dalla forza di gravità e da accelerazioni angolari o rettilinee (funzione vestibolare). La prima funzione implica la compartecipazione dell’orecchio esterno, dell’orecchio medio e della parte anteriore o cocleare dell’orecchio interno; la seconda invece è esplicitata esclusivamente dalla parte posteriore dell’orecchio interno (utricolo, sacculo e canali semicircolari).L’organo dell’udito è composto dal sistema di trasmissione dell’energia meccanica vibratoria, dal sistema che trasforma questa energia in energia nervosa e dal sistema che la trasferisce alla corteccia del lobo temporale, ove viene trasformata in sensazione acustica.

Il sistema di trasmissione dell’energia meccanica vibratoria inizia con l’ORECCHIO ESTERNO formato dal padiglione auricolare e condotto uditivo esterno. Il padiglione auricolare può essere considerato un’espansione della pelle sostenuta per la massima parte della sua estensione da uno scheletro cartilagineo. Esso esercita un’azione graduale di rinforzo dell’energia meccanica vibratoria presente sull’intero padiglione concentrandola in un’area più ristretta con conseguente incremento della pressione sonora.Il condotto uditivo esterno (C.U.E.) è lungo circa 24 mm, di cui 1/3 spetta alla parte esterna o fibrocartilaginea (cartilagine – pericondrio – cute con annessi) e 2/3 a quella interna o ossea (osso – periostio – cute priva di annessi).Gli annessi cutanei sono dunque presenti solo nella porzione più esterna del C.U.E. (parte cartilaginea) e sono rappresentati da peli, ghiandole sebacee, ghiandole ceruminose.Il cerume prodotto dalle ghiandole ceruminose (gh. sudoripare modificate apocrine) svolge un’importante funzione protettiva per la cute del C.U.E.; contiene lisozima e Ig e presenta un ph acido poco favorevole alla crescita di germi. E’ presente una naturale desquamazione delle cellule epiteliali della cute del C.U.E. che vengono progressivamente trasportate verso l’esterno del condotto.La cute che riveste il C.U.E. si prolunga sulla membrana timpanica (M.T.), della quale forma lo strato esterno. Il C.U.E. funziona come un risuonatore elettivo per determinate frequenze. Questo effetto di risonanza, sommandosi a quello esplicato dal padiglione auricolare, determina un incremento di pressione sonora a livello della M.T.

L’ORECCHIO MEDIO può essere suddiviso in tre parti: la porzione anteriore, costituita dalla tuba di Eustachio, collega l’orecchio medio con il rinofaringe; la parte media è costituita dal cavo del timpano con il recesso epitimpanico e contiene al suo interno la catena ossiculare; la porzione postero-laterale è rappresentata dall’apparato mastoideo.La tuba uditiva o tromba di Eustachio è costituita da una porzione cartilaginea che inizia con l’orifizio rinofaringeo e per mezzo di una zona più ristretta (istmo) si continua con la parte ossea formata dal semicanale tubarico dell’osso temporale. Nel tratto cartilagineo la tuba ha forma di fessura verticale, le cui pareti vengono a contatto fra di loro. Durante i movimenti di deglutizione e nello sbadiglio, per azione dei muscoli peristafilini (muscolo tensore ed elevatore del velo palatino, innervati dal V n.c.) la tuba cartilaginea si apre e l’aria penetra nella cavità dell’orecchio medio. La

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periodica apertura della tuba durante la deglutizione e lo sbadiglio consente la penetrazione di aria nel cavo del timpano e il ripristinarsi dell’equilibrio pressorio sulle due facce della membrana timpanica, premessa indispensabile al suo funzionamento ottimale. La parte ossea della tuba si apre nella parte anteriore del perimetro del cavo del timpano a livello dell’ipotimpano. La manovra di Valsalva consente l’apertura della tuba, mentre la manovra di Toynbee (deglutizione con naso chiuso) permette all’aria di fuoriuscire dal cavo del timpano. La tuba è rivestita da epitelio cilindrico ciliato rivestito normalmente da un film di muco che viene convogliato, grazie al movimento cigliare, verso il rinofaringe per essere poi deglutito. La tuba svolge quindi due funzioni: da un lato consente un’adeguata ventilazione della cassa timpanica, dall’altro garantisce il drenaggio delle secrezioni verso il rinofaringe. Il cavo del timpano è una fessura appiattita a forma di lente biconcava in cui si distinguono una parete laterale membranosa (M.T.), una parete mediale ossea e un perimetro (pavimento, volta, parete anteriore e posteriore). Il cavo timpanico si prolunga in alto con il recesso epitimpanico o epitimpano. La catena degli ossicini è in massima parte contenuta nell’epitimpano.La parte laterale del cavo del timpano è formata dalla membrana timpanica. Nella M.T. si riconoscono due parti: la pars tensa e la pars flaccida o membrana di Shrapnell situata in alto e in avanti, al disopra del processo breve del martello.La pars tensa è formata da tre strati: lo strato esterno è costituito dalla cute, lo strato interno è costituito dalla mucosa della cassa. Fra lo strato mucoso e lo strato cutaneo è interposto o strato intermedio formato da fibre di collagene ed elastiche. Nella pars flaccida non esiste lo strato intermedio fibroso. Solo la pars tensa riveste importanza fondamentale per la trasmissione dell’energia meccanica vibratoria.L’apparato di trasmissione della cassa è composto da tre ossicini (martello, incudine e staffa), articolati fra loro, uniti alla cassa da legamenti e sottoposti all’azione di due piccoli muscoli. Il martello presenta sulla superficie postero-mediale della testa un’area ellittica che costituisce la superficie di articolazione con l’incudine. Alla testa fa seguito una superficie più ristretta, collo, che si continua i basso con il manico, fissato alla membrana timpanica.La faccia anteriore del corpo dell’incudine si articola con il martello, dalla faccia posteriore si staccano l’apofisi breve e l’apofisi lunga. Quest’ultima presenta nella sua parte terminale il processo lenticolare che si articola con la testa della staffa.La testa della staffa si continua con il collo da cui originano due piccoli archi, anteriore e posteriore, che si portano verso la platina. La platina della staffa, di forma ovalare, presenta una faccia laterale rivolta verso la cassa timpanica ed una faccia mediale rivolta verso l’orecchio interno. La platina della staffa è contenuta nella finestra ovale. Fra platina della staffa e finestra ovale è interposto un anello fibroso (legamento anulare della staffa).

L’apparato di trasmissione della cassa è sottoposto all’azione di due muscoli.Il muscolo tensore del timpano si inserisce alla radice del manico del martello. Questo muscolo è innervato da un ramo collaterale della terza branca trigeminale (n. mandibolare).Il muscolo stapedio è contenuto in una piccola sporgenza ossea detta eminenza piramidale e si inserisce sul collo della staffa. Il muscolo stapedio è innervato dal n. faciale (VII n.c.). con la sua contrazione diminuisce il grado di affondamento della staffa nella finestra ovale.La contrazione riflessa del m. stapedio, che si attua per toni puri ad intensità superiore di 70-90 dB al loro livello di soglia tonale, ha lo scopo di proteggere le delicate strutture dell’orecchio interno da stimolazioni acustiche troppo intense.

I suoni possono raggiungere l’ORECCHIO INTERNO (Organo del Corti) sia per via aerea, sia attraverso le strutture ossee che circondano e proteggono l’orecchio interno. La catena ossiculare rappresenta certamente la via più importante e funzionalmente più significativa per condurre ai recettori cocleari lo stimolo adeguato, ma la compartecipazione della via ossea spiega come la

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distruzione della catena ossiculare comporta solo la diminuzione ma non la perdita completa della capacità uditiva.

Lo stimolo acustico per raggiungere l’apparato che lo trasformerà in energia nervosa, deve passare attraverso un ultimo settore dell’apparato di trasmissione, costituito dai liquidi labirintici e da alcune strutture membranose immerse in essi.Nel labirinto osseo si riconosce una cavità centrale o vestibolo, che contiene l’utricolo e il sacculo. Da questa cavità si dipartono posteriormente i canali semicircolari e anteriormente il canale spirale della chiocciola. Il labirinto osseo comunica lateralmente con la cassa timpanica mediante la finestra ovale e la finestra rotonda chiusa dalla membrana secondaria del timpano o membrana di Scarpa.Il labirinto membranoso è contenuto nel labirinto osseo. Lo spazio interposto contiene perilinfa. Le strutture membranose immerse nella perilinfa contengono endolinfa.Il canale cocleare, contenente endolinfa, si impegna in un canale osseo avvolto a spira (chiocciola ossea) e ne percorre i due giri e mezzo (giro basale, giro intermedio, giro apicale).Il canale cocleare suddivide la chiocciola ossea in due settori detti scala vestibolare (superiore) e scala timpanica (inferiore). Essi comunicano fra loro a livello dell’apice della chiocciola per mezzo dell’elicotrema e a questo livello la perilinfa in essi contenuta può passare da un settore all’altro.Il canale cocleare ha forma triangolare e la sua parete esterna, contenente la stria vascolare, è addossata alla chiocciola ossea. La parete superiore o vestibolare è costituita dalla membrana di Reissner. La parete inferiore del canale cocleare (parete timpanica) è formata invece dalla membrana basilare sulla quale è situato l’organo di Corti.

L’onda sonora viene captata dal padiglione auricolare, attraversa il condotto uditivo esterno e giunge alla membrana timpanica. Il timpano viene in questo modo sollecitato e vibra in risonanza con l’onda sonora, in relazione alle caratteristiche dell’onda stessa. Il movimento del timpano fa sì che la vibrazione venga trasmessa alla catena ossiculare dell’orecchio medio, costituita da martello, incudine e staffa. La platina della staffa situata all’interno della finestra ovale può compiere 2 tipi di movimento a seconda del suono: affondamento all’interno della finestra ovale (movimento a stantuffo) per suoni gravi (250-500-750 Hz); movimento a sportello per i suoni acuti (6000-8000 Hz). I movimenti della finestra ovale determinano spostamenti dei liquidi contenuti nell’orecchio interno che a loro volta stimolano l’organo deputato alla trasformazione dello stimolo meccanico in stimolo nervoso (organo del Corti). Da qui ha origine la via nervosa che collega l’orecchio interno alla corteccia cerebrale.

Prima di cominciare una trattazione sistematica delle patologie auricolari è necessario sottolineare alcuni aspetti clinici.Con il termine ipoacusia si intende una diminuzione unilaterale o bilaterale della capacità uditiva, che può derivare da una compromissione delle strutture deputate al trasporto dell’energia meccanica vibratoria (orecchio esterno e medio) (ipoacusia di trasmissione) o da alterazioni dell’apparato che trasforma questa energia in energia nervosa (orecchio interno) (ipoacusie cocleari). L’ipoacusia può dipendere inoltre da deficit delle vie nervose e dei centri corticali ( ipoacusie retrococleari). Nella pratica clinica l’ipoacusia cocleare e retrococleare vengono unitariamente considerate come ipoacusie recettive. Si possono avere delle ipoacusie di tipo misto per l’associazione nello stesso orecchio di una ipoacusia di trasmissione e di una ipoacusia recettiva. Il termine anacusia indica la perdita completa ed unilaterale della funzione uditiva, mentre la perdita completa e bilaterale viene definita cofosi. Sordomuto è invece il soggetto affetto da cofosi congenita o acquisita; nel primo caso la mancanza di udito non consente l’acquisizione del patrimonio verbale (mutismo); se la

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cofosi si manifesta fra 3 e 7 anni, si ha la perdita totale o parziale del patrimonio verbale già acquisito.

Gli acufeni sono costituiti da percezioni sonore in assenza di stimolazione fisiologica dei recettori cocleari. Sono provocati dalla stimolazione abnorme di un punto qualsiasi della via acustica, dall’Organo di Corti sino alle aree corticali.Gli acufeni debbono essere distinti da eventuali rumori di origine vascolare, tubarica, muscolare, articolare trasmessi di solito per via ossea ed in grado di stimolare il recettore.

L’otorrea può essere sierosa (eczema del C.U.E.), mucosa o muco-purulenta, purulenta. Talora è fedita (tipica dell’otite media cronica colesteatomatosa con osteite). Può assumere un colore particolare (fine punteggiatura nera nell’otomicosi da Aspergillus Niger) o essere striata di sangue. Quando è costituita solo da sangue si parla di otoraggia. Nelle frattura della base cranica si può avere fuoriuscita di liqour dall’orecchio (cranio-oto-liqiorrea).

Il dolore auricolare può essere causato da una lesione all’orecchio (otodinia) oppure può manifestarsi senza lesioni otologiche (otalgia).L’otalgia riflessa è sintomo frequente in lesioni infiammatorie o ulcerative della lingua, dei denti, della faringe e della laringe. L’orecchio esterno è innervato dal V n.c. (n. auricolo-temporale), dal X n.c. (n. grande auricolare), da rami del plesso cervicale (C2-C3), da rami del VII n.c.. Il IX n.c. provvede principalmente all’innervazione della cassa timpanica. Un riflesso vagale giustifica quindi la comparsa di tosse quando si va a stimolare con lo speculum auricolare la cute del C.U.E.

PATOLOGIE DELL’ORECCHIO ESTERNO

Il condotto uditivo esterno è caratterizzato da una parte esterna a scheletro cartilagineo, ed una interna ossea. La cute che ricopre la parte cartilaginea è dotata di annessi: peli e ghiandole ceruminose (sono ghiandole sudoripare modificate). L’orecchio esterno ha una peculiarità, la desquamazione della cute: l’epitelio che riveste la membrana timpanica migra all’esterno portando con sé il cerume. Questa sorta di tapis roulant cutaneo garantisce l”autopulizia” dell’orecchio.

OTITE ESTERNA

L’otite esterna è un’infiammazione del condotto uditivo esterno con flogosi ed edema delle sue pareti. E’ una patologia tipica della stagione estiva in quanto i più frequenti lavaggi tendono ad eliminare il mantello protettivo ceruminoso che protegge la cute: un’eccessiva pulizia e l’uso dei “cotton fioc” favoriscono pertanto l’insorgenza di un’infezione da parte dei batteri che si trovano comunemente sulla cute.I germi coinvolti nella patogenesi dell’otite esterna sono lo stafilococco e lo pseudomonas.La sintomatologia è caratterizzata da dolore violento e pulsante (otodinia), che viene esacerbato dalla compressione sul trago (dolore provocato).Il paziente riferisce una sensazione di ovattamento auricolare (fullness) ed ipoacusia trasmissiva.Può insorgere una adenite satellite dolente (soprattutto nei pazienti diabetici) a carico dei linfonodi preauricolari, retroauricolari e dei linfonodi più profondi della catene giugulare.Talora può comparire febbre (più frequente nell’otite media).La terapia è antibiotica e cortisonica locale sotto forma di gocce (neomicina, tobramicina + idrocortisone) da applicare 2/3 volte al giorno per 8-10 giorni. In genere si associano dei lavaggi

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con soluzioni acide (acido borico o acido acetico) per creare un ambiente ostile alla proliferazione batterica. Bisogna evitare di occludere il condotto con cotone.Una temibile complicanza dell’otite esterna nel paziente diabetico, anziano e defedato è rappresentata dall’otite esterna maligna caratterizzata da un processo osteitico a carico del timpano, della mastoide, della base cranica. Poco responsiva alla terapia antibiotica endovenosa, richiede di frequente il ricorso ad interventi chirurgici di bonifica molto demolitivi.

ECZEMA

L’eczema del meato acustico esterno e del padiglione auricolare è una patologia caratterizzata da una desquamazione eccessiva della cute con la presenza di squame epiteliali visibili. Può essere scatenato da molteplici sostanze esogene (farmaci, prodotti detergenti e cosmetici, tinture per capelli, metalli) ed endogene (pazienti epatopatici o con turbe gastrointestinali). L’aumento della desquamazione provoca prurito, che viene spesso esacerbato dall’ingresso di acqua nel condotto uditivo. Il grattamento può poi determinare delle scarificazioni cutanee che facilitano l’insorgenza di infezioni e cioè di un’otite esterna.La terapia si basa sull’instillazione nel C.U.E. di gocce di cortisone per 5/6 giorni ed eventualmente su lavaggi con soluzioni acide (acido acetico, acido borico). L’abuso di cortisone può facilitare l’insorgenza di micosi del C.U.E.

INFEZIONE DA FUNGHI (OTOMICOSI)

La micosi del C.U.E. è una dermatite a decorso subacuto o cronico provocata da funghi (Aspergillus fumigatus, albus, niger, Candida). I funghi si annidano nell’epitelio provocandone il rigonfiamento ed il distacco sotto forma di larghe lamine imbevute di liquido sieroso. Ne deriva la formazione dei miceli costituiti da ife fungine, spore e cellule epiteliali desquamate.Analogamente alle otiti esterne batteriche e all’eczema, le otomicosi sono più frequenti nella stagione estiva. Si sviluppano in ambiente caldo umido come quello che si crea nel condotto uditivo esterno quando si utilizza del cotone; la loro insorgenza può essere favorita dall’abuso di gocce auricolari di cortisone.La sintomatologia è caratterizzata da ipoacusia trasmissiva e talora prurito, che contrariamente all’eczema è tipicamente monolaterale.L’otoscopia mette in evidenza nella fase iniziale colonie fungine stratificate sulle pareti del C.U.E.; in uno stadio successivo si osservano gli ammassi miceliali che formano una sorta di tappo, il cui colore varia a seconda della specie fungina che sostiene l’infezione. Dopo l’asportazione delle masse miceliali si osserva un arrossamento della cute della cute del meato e del timpano.La terapia prevede l’utilizzo di antimicotici topici in gocce (per 4/5 settimane), lavaggi che acidifichino l’ambiente (ac. borico o acetico) previa aspirazione delle ife fungine in otomicroscopia.

TAPPO DI CERUME

Qualora si verifichi uno squilibrio tra la produzione di cerume e la sua migrazione verso l’esterno, si possono formare dei tappi che ostruiscono il condotto uditivo esterno. Questi hanno la peculiarità di essere igroscopici, cioè di aumentare rapidamente il proprio volume quando vengono a contatto con l’acqua. Ciò determina quindi un’ipoacusia trasmissiva ed autofonia.La formazione di un tappo di cerume è più frequente nella stagione estiva quando sudiamo di più (il cerume è prodotto da gh. sudoripare modificate).Vengono rimossi con un getto d’acqua a temperatura ambiente, instillato mediante siringa. Talora, prima di procedere al lavaggio, si rende necessario ammorbidire il tappo con delle gocce di H2O2 o con altri prodotti specifici in commercio.

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PATOLOGIA DELL’ORECCHIO MEDIO

L’orecchio medio, o cassa timpanica, comunica con il rinofaringe attraverso la tuba di Eustachio e, posteriormente, con l’apofisi mastoidea attraverso l’aditus ad antrum. La tuba di Eustachio garantisce il drenaggio di secrezioni dall’orecchio medio al rinofaringe e l’uguaglianza tra le pressioni della cassa timpanica e quella atmosferica. L’apofisi mastoidea o mastoide è invece importante per le complicazioni cui può andare incontro un processo flogistico a carico dell’orecchio medio.E’ utile ricordare che nella rinofaringe del bambino, dietro allo sbocco della tuba di Eustachio, sono presenti le adenoidi, costituite da tessuto linforeticolare che va incontro ad un processo di involuzione fisiologica e scompare verso i 9-12 anni di età.

OTITE MEDIA ACUTA

L’otite media acuta è quasi sempre rinogena, cioè dipendente da microrganismi che dal naso si propagano alla cassa timpanica attraverso la tuba di Eustachio.E’ una patologia tipica dell’età infantile (8 bimbi su 10 colpiti entro i 3 anni), favorita dall’ingresso precoce al nido. Il sistema immunitario dei bambini è immaturo e ciò li espone a frequenti virosi ed infezioni batteriche delle alte vie respiratorie. Un’infezione rinofaringea determina un interessamento delle adenoidi con edema ed ostruzione dello sbocco tubarico.Inoltre la tuba di Eustachio nel bambino è telescopica con il rinofaringe: è più corta, più larga e più orizzontale e ciò facilita la risalita di virus e batteri verso l’orecchio medio. Altro elemento che facilita la comparsa di un otite media nei bambini è l’incapacità di questi a soffiarsi il naso: l’abitudine a “tirare su” con il naso (sniffing) fa sì che recuperino dal rinofaringe i batteri qui presenti. Inoltre l’abitudine ad allattare con il poppatoio comporta che il lattante si nutra in posizione erronea, cioè orizzontale anziché semiseduta, con possibilità che il latte vada in rinofaringe e, di qui, in orecchio medio, dove costituisce ideale pabulum per la proliferazione batterica.L’infezione almeno nelle fasi iniziale è su base virale con successiva sovrainfezione batterica.I batteri implicati sono lo Pneumococco (Gram +), l’Haemophilus (Gram -), la Moraxella (Gram +).La flogosi dell’orecchio medio determina edema e chiusura della tuba con la formazione di essudato all’interno della cassa timpanica che tende ad estroflettere la membrana timpanica.La sintomatologia dell’otite media acuta è caratterizzata da otodinia, cioè dolore, pulsante, violentissimo che insorge soprattutto quando il soggetto è coricato, in quanto la tuba assume un decorso antigravitario, favorendo il ristagno delle secrezioni nella cassa timpanica e nella mastoide (non è presente dolore provocato). L’otodinia scompare quando la pressione dell’essudato all’interno della cassa timpanica è tale da determinare la perforazione del timpano: si ha allora otorrea, cioè la fuoriuscita di muco-pus dall’orecchio. La perforazione è destinata a cicatrizzarsi e chiudersi spontaneamente. Le perforazioni flogistiche hanno aspetto circolare ed in genere sono localizzate nel quadrante anteroinferiore. Le perforazioni traumatiche (da schiaffo, tuffo) sono invece fissurali.Frequentemente si ha febbre (39-40° C) di tipo settico.E’ sempre presente ipoacusia trasmissiva, legata alla presenza dell’essudato o alla perforazione timpanica con sensazione di fullness auricolare ed autofonia.Non vi è adenopatia apprezzabile palpatoriamente in quanto i linfonodi tributari di questa regione sono quelli retrofaringei, non palpabili.

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All’otoscopia si apprezza una M.T. estroflessa ed iperemicaLa terapia dell’otite media acuta si basa sull’utilizzo di antibiotici ad ampio spettro per 7/10 giorni (amoxicillina- ac. clavulanico, cefalosporine di III generazione, chinolonici nel’adulto). La terapia deve essere sufficientemente protratta allo scopo di eradicare completamente la flogosi per evitare eventuali complicanze e sequele (otiti recidivanti, otite sieromucosa da ristagno, timpanosclerosi, otite fibroadesiva).Bisogna tentare di eliminare l’edema della tuba per permettere il drenaggio delle secrezioni; a tal fine può essere utile una short therapy con cortisone per os (4/5 giorni).Nel bambino di età superiore ai 3 anni e nell’adulto si può ricorrere all’uso di spray vasocostrittori per 3/4 giorni (non abusarne, pena la comparsa di riniti croniche medicamentose).Bisogna evitare la somministrazione di antistaminici ed aereosol che rapprendono le secrezioni mucose ostruendo la tuba. Utili sono invece i suffumigi alcalini. E’ indispensabile nel bimbo aspirare le secrezioni nasali e qualora sia fattibile insegnare al bimbo a soffiarsi il naso.Possibile complicanza dell’otite media catarrale è la propagazione dell’infezione alla mastoide (che è, comunque, sempre interessata nei processi flogistici dell’orecchio medio), con la comparsa di una otomastoidite acuta (nel bimbo la mastoide non si è ancora sviluppata e quindi si avrà una otoantrite). Questa evenienza è facilitata proprio dalla mancata perforazione della membrana timpanica, che determina l’evacuazione del pus dalla cassa timpanica. La mastoidite acuta richiede una terapia farmacologica adeguata e tempestiva e talvolta l’intervento chirurgico con bonifica completa del focus suppurato. La mastoidite acuta può esteriorizzarsi con formazione di una raccolta di pus in sede sottocutanea retroauricolare (spostamento in avanti e in basso del padiglione auricolare, scomparsa del solco retroauricolare). Le complicanze possono essere letali (tromboflebiti, meningiti, ascessi cerebrali).

OTITE SIEROMUCOSA

E’ un’infiammazione cronica dell’orecchio medio con presenza di liquido endotimpanico, senza segni e sintomi di infezione acuta (manca l’otodinia).La tuba uditiva è una struttura osteocartilaginea con cavità normalmente virtuale con duplice funzione: 1) mantenimento di un equilibrio pressorio adeguato fra cavità timpanica e pressione atmosferica; 2) drenaggio delle secrezioni dall’orecchio medio al rinofaringe.Se la tuba non funziona (non si apre o si apre meno) si viene a creare nella cassa timpanica una pressione negativa (l’aria presente viene gradualmente riassorbita dalla mucosa della cassa) con conseguente richiamo di liquidi e formazione di un trasudato (nel 10-20% dei casi il liquido presente nella cassa timpanica è sterile). Tale trasudato può andare incontro a contaminazione batterica o virale (essudato non purulento). Il liquido contenuto nella cassa del timpano può divenire col tempo particolarmente denso, vischioso, colloso (glue-ear).La membrana timpanica appare introflessa, ispessita, grigiastra, ma integra (non c’è otorrea). E’ possibile talora visualizzare all’esame otoscopio un livello idroaereo o bollicine d’aria intrappolate all’interno del trasudato.Mancano l’otodinia e la febbre. Il paziente riferisce ipoacusia trasmissiva ed autofonia. Il bambino non risponde alla mamma che lo chiama, alza il volume della televisione, può presentare un ritardo del linguaggio. Talora l’ipoacusia passa inosservata se monolaterale.L’otite media sieromucosa è acuta se dura meno di 3 settimane, subacuta se permane per più di 3 settimane, ma per meno di 3 mesi, cronica se persiste per più di 3 mesi.Rappresenta la principale causa di ipoacusia infantile (massima incidenza fra 1 e 5 anni, più frequente nel sesso maschile).Le infezioni respiratorie nasosinusali facilitano la comparsa dell’otite sieromucosa; processi flogistici a carico del tessuto linforeticolare adenoideo determinano un’ostruzione meccanica dello sbocco della tuba (ipertrofia adenoidea, adenoidite acuta).Fattori di rischio sembrano essere il basso peso alla nascita, la prematurità, la rinosinusite allergica.

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Anche il reflusso gastro-esofageo rappresenta un fattore favorente la comparsa di otite sieromucosa.Altre cause di otite sieromucosa sono la palatoschisi (i muscoli peristafilini deputati all’apertura della tuba si inseriscono sul palato), le discinesie cigliari (S. di Kartagener) e la fibrosi cistica.Nell’adulto tumori maligni o benigni del rinofaringe (fibroangioma sanguinante della pubertà maschile) e cisti possono ostruire l’orifizio rinofaringeo della tuba causando l’insorgenza di otite sieromucosa (in genere monolaterale).L’esame audiometrico documenta un’ipoacusia di trasmissione (non sempre fattibile se bimbo ha età inferiore ai 4/5 anni).L’esame impedenziometrico (metodica oggettiva) è dirimente. Nell’otite sieromucosa si ha la perdita del picco del timpanogramma; il tracciato sarà piatto (timpanogramma tipo B) per la compromissione della fisiologica compliance del sistema timpano-ossiculare.La terapia si basa sull’utilizzo di decongestionanti nasali (mucolitici, fluidificanti) e di brevi cicli di cortisonici (effetto antiedemigeno).Nei pazienti allergici può essere efficace una terapia antistaminica.Se è presente una flogosi a livello rinofaringeo bisogna ricorrere alla terapia antibiotica.Qualora la terapia medica non sia efficace, nel caso di ipertrofia adeoidea, si rende necessario procedere all’intervento chirurgico di adenoidectomia.Se l’otite sieromucosa diviene cronica, con formazione di vero e proprio glue, si può effettuare una miringotomia o paracentesi timpanica in otomicroscopia. Si pratica un forellino nel quadrante anteroinferiore della M.T. e si aspira il liquido filante contenuto nella cassa timpanica. Segue il posizionamento di un piccolo drenaggio transtimpanico che verrà successivamente espulso spontaneamente grazie alla progressiva migrazione dell’epitelio del timpano verso l’esterno.

AUDIOLOGIA

Il sistema di traduzione dell’energia meccanica vibratoria in energia nervosa è contenuto nell’orecchio interno ed è costituito dai recettori dell’Organo di Corti, raccolti nella parte più esterna della parete timpanica del condotto cocleare.L’Organo di Corti è formato da cellule sensoriali sorrette da un dispositivo di sostegno fornito principalmente dai pilastri del Corti (interni ed esterni), i quali, articolandosi fra di loro con l’estremità superiore o testa, circoscrivono uno spazio triangolare detto galleria di Corti.Le cellule acustiche situate all’interno della galleria di Corti (cellule acustiche interne) sono disposte in un’unica fila e sono contenute fra le cellule di sostegno interne; le cellule acustiche esterne sono disposte in più file, di solito tre. E sono contenute fra le cellule di sostegno esterne.Le cellule acustiche interne sono circa 3500, mentre quelle esterne circa 30000.Dalla superficie libera di ciascuna cellula acustica si dipartono sottili estroflessioni citoplasmatiche che prendono il nome di stereociglia..La parte basale di ogni cellula cigliate esterna è contenuta in una specie di nicchia scavata a spese delle cellule di Deiters.Nella parte basale di ogni cellula acustica esiste la zona di giunzione cito-neurale.L’organo di Corti è connesso al sistema nervoso centrale da una via afferente che porta alle aree corticali lo stimolo acustico e da una via efferente che consente al sistema nervoso centrale di modulare l’attività del recettore..Le fibre afferenti, che costituiscono il ramo cocleare del n. acustico, nascono da cellule situate in un canale spirale, contenuto nel modiolo (canale di Rosenthal, contenente il ganglio di Corti).Il labirinto membranoso è sospeso in un liquido detto perilinfa e a sua volta contiene un’altra sostanza liquida, definita endolinfa.

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La perilinfa ha una composizione molto simile a quella dei liquidi extracellulari, mentre l’endolinfa, con il suo alto contenuto di potassio, è molto simile ai liquidi intracellulari. Il liquido contenuto nella galleria di Corti è definito cortilinfa.Le vibrazioni della staffa, attraverso lo spostamento impresso alla perilinfa della scala timpanica, producono nella membrana che chiude la finestra rotonda movimenti uguali ed opposti a quelli compiuti dalla platina della staffa.Il punto da massima sollecitazione, e quindi di massima ondulazione, è in rapporto con la frequenza del suono stimolante e si sposta gradatamente verso l’apice della chiocciola per stimoli di frequenza progressivamente minore.La stimolazione delle cellule acustiche sarebbe la conseguenza dei fenomeni di depolarizzazione che in esse si manifesterebbero per il ripiegamento delle stereociglia.La membrana basilare è in grado di vibrare in modo complesso, determinando la scomposizione temporo-spaziale del suono in rapporto allo spettro frequenziale da cui esso è composto, eseguendo in tal modo un’analisi di frequenza degli stimoli acustici.L’organo di Corti, che è appoggiato su di essa, viene sottoposto ad un movimento vibratorio avente le stesse caratteristiche dell’onda migrante della membrana che lo sostiene.L’aumento di pressione prodotto dalla staffa nella perilinfa della scala vestibolare si trasmette alla scala timpanica scaricandosi sulla membrana della finestra rotonda, dopo essere stato trasmesso al condotto cocleare e quindi alle membrane che di esso fanno parte.La stimolazione delle cellule acustiche si verifica attraverso la flessione delle loro stereociglia.Le stereociglia più alte della fila più esterna delle cellule acustiche esterne contraggono particolari rapporti con la membrana tectoria, mentre le stereociglia delle cellule acustiche interne non contraggono questo rapporto, mantenendo la loro indipendenza anatomica.Le cellule acustiche esterne contengono sostanze proteiche compatibili con processi contrattili (actina).Le cellule che trasformano l’energia meccanica dello stimolo acustico in energia bioelettrica non sono tanto le cellule acustiche esterne, ma piuttosto quelle interne.Il suono determinerebbe la contrazione delle cellule acustiche esterne con abbassamento della membrana tectoria. Questa prende contatto con le stereociglia delle cellule cigliate interne con conseguente deflessione delle stesse e apertura dei canali ionici responsabili della depolarizzazione.Suoni di intensità inferiore a 40 dB attivano le cellule acustiche esterne con successiva attivazione delle cellule acustiche interne (attivazione indiretta). Suoni più intensi sembrano in grado di attivare direttamente le cellule acustiche interneIl sistema di trasferimento dell’energia nervosa e di trasformazione in sensazione uditiva inizia con il neurone di primo ordine, rappresentato dalle fibre cocleari del n. acustico. Esse terminano nel nucleo cocleare ventrale e dorsale situati nel ponte. Le fibre che originano da tali nuclei entrano a far parte del lenisco laterale e si portano al corpo genicolato mediale, in parte direttamente, in parte interrompendosi nel nucleo del lemnisco laterale e nel tubercolo quadrigemino inferiore. Altre fibre si portano al complesso olivare superiore. Dal corpo genicolato mediale si stacca l’ultimo neurone della via acustica che raggiunge l’area acustica primaria, situata nella corteccia del lobo temporale.E’ presente una localizzazione tonotopica dei recettori dell’organo del Corti, con conseguente discriminazione periferica della frequenza del suono stimolante (la massima vibrazione della membrana basilare avviene in punti differenti a seconda della frequenza del suono stimolante).L’analisi d’intensità del suono appare legata al numero di impulsi che raggiungono le aree corticali nell’unità di tempo.

TONO PURO: armonico, rappresentato da un’onda sinusoidale (prodotto dal diapason).Rumore: somma di toni puri.PARAMETRI:

- frequenza (Herts), numero di oscillazioni per unità di tempo- intensità (dB); unità relativa, logaritmica (ampiezza dell’oscillazione dell’onda)

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ADATTATORI DI IMPEDENZA: membrana timpanica ed ossicini.Impedenza molto diversa fra aria e liquido. Gran parte dell’energia sonora verrebbe riflessa nel passaggio dal mezzo aria al mezzo liquido se non vi fosse il sistema timpano-ossiculare.La differenza di superficie fra timpano e platina della staffa consente la concentrazione del suono.

PROVE COL DIAPASONPROVA DI RINNE. Stabilisce il rapporto fra la durata della percezione per via aerea e quella per via ossea di un suono prodotto da un diapason di tonalità grave. Il diapason vibrante viene posto a circa 2 cm dal C.U.E. per esaminare la percezione per via aerea ed appoggiato sulla mastoide per esaminare la via ossea.Nell’orecchio normoudente la durata della percezione per via aerea è superiore a quella per via ossea (Rinne positivo). Nelle sordità di trasmissione la durata per via ossea è superiore a quella per via aerea (Rinne negativo). Nelle sordità recettive il Rinne è positivo, ma la durata di percezione sia per via aerea che per via ossea, è nettamente accorciata (Rinne positivo accorciato).PROVA DI WEBER: si esegue ponendo un diapason vibrante al vertice del capo o sulla fronte. Il soggetto normoudente o il soggetto con una ipoacusia bilaterale simmetrica localizzerà il suono da ambo i lati o al centro.Il paziente affetto da ipoacusia trasmissiva localizzerà il suono nell’orecchio malato o più malato; il paziente affetto da ipoacusia recettiva lo localizzerà nell’orecchio sano o in quello meno malato.

AUDIOMERIA TONALE LIMINAREL’audiometria tonale liminare studia il comportamento della funzione uditiva utilizzando suoni di intensità liminare, in grado cioè di provocare per ogni frequenza un’iniziale sensazione sonora.Ricerca della soglia uditiva: la ricerca della soglia uditiva viene eseguita sia per via aerea (cuffie) che per via ossea (vibratore poggiato sulla mastoide) con l’impiego di toni puri, emessi da un sistema elettrico che costituisce l’audiometro. L’intensità del suono emesso è graduato di 5 in 5 decibel (dB) e il valore di soglia è espresso da un numero che indica il valore in dB del deficit uditivo rispetto ad un orecchio normale.Il decibel non è un’unità di misura assoluta, ma esprime soltanto il rapporto logaritmico esistente fra la pressione di un suono e la pressione di un valore di base assunto come valore di riferimento.I valori di soglia per via aerea ed ossea, ricercati per ciascuna frequenza udibile, vengono riportati su di un grafico in cui sono riportate in ascissa le frequenze e sull’ordinata le intensità. Si ottiene così la curva audiometrica.Le ipoacusie di trasmissione sono caratterizzate da una curva per via ossea normale e da una curva per via aerea tracciata su valori superiori a quelli normali.Nelle ipoacusie recettive la via ossea presenta un deficit analogo a quello per via aera e le due curve decorrono pertanto in stretta sovrapposizione (prevale quasi sempre l’interessamento delle frequenze acute).Nelle ipoacusie di tipo misto si ha di solito un aumento di soglia per via aerea e per via ossea. La curva per via ossea decorre al di sopra di quella per via aerea.La soglia audiometrica è la minima intensità del suono che può essere percepita dal paziente.L’esame audiometrico è un esame soggettivo, richiede la collaborazione del paziente (si può eseguire dopo i 4/5 anni di età).La frequenza di suoni percepibile dall’orecchio umano varia da 125/250 Hz a 8000 Hz circa.Sino a 15/20 dB la soglia può essere considerata normale (normoacusia).L’ipoacusia viene definita profonda quando la soglia è pari a 90/110 dB.

TRAUMA ACUSTICO (acuto, cronico): curva a cucchiaio; i recettori per i 4000 Hz sono particolarmente suscettibili al danno da rumore.

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IPOACUSIE RECETTIVE: le frequenze acute sono le più sensibili agli insulti infettivi, ischemici; avremo delle curve in discesa. Nella malattia di Meniere (idrope cocleare) si ha una ipoacusia recettiva con una curva in salita (compromissione della parte apicale della chiocciola con peggioramento della soglia sulle frequenze più gravi).Se compare in un giovane un danno recettivo monolaterale si deve sospettare una parotite epidemica.N.B.: una ipoacusia bilaterale di media entità è più grave di una anacusia monolaterale.

POTENZIALI EVOCATI UDITIVI (ABR)E’ un esame elettrofisiologico oggettivo che valuta l’integrità funzionale della via acustica dalle cellule acustiche sino a livello corticale.Con questa tecnica è possibile seguire la progressione del potenziale d’azione dal punto in cui esso è generato (onda I), sino al momento in cui esso raggiunge i tubercoli quadrigemini inferiori (onda V) o addirittura il corpo genicolato mediale e le proiezioni talamo-corticali.I dati ricavati offrono validi criteri topo-diagnostici sulla sede della lesione che provoca l’ipoacusia. La registrazione viene effettuata con elettrodo attivo sulla mastoide, elettrodo di terra sulla fronte, elettrodo di riferimento al vertice. Nell’esame vengono impiegati clicks non filtrati centrati sulla frequenza di 2000 Hz, a polarità alternata, con una cadenza di 10/sec.La risposta si ottiene per stimoli di intensità di 90-100-110 dB SPL con derivazione omolaterale e controlaterali. La latenza delle diverse onde costituisce il parametro più importante e affidabile (l’onda V è la più costante e con maggiore ampiezza; latenza fra 5 e 6 msec).Tale indagine consente di ricavare dati molto utili ai fini della definizione topo-diagnostica della sede di processi morbosi retrococleari responsabili della ipoacusia.L’aumento di latenza delle onde indica, nel tratto in cui si verifica, l’esistenza di un ostacolo alla progressione dei fenomeni bioelettrici lungo le vie acustiche centrali nel tronco encefalico.Consente una diagnosi differenziale fra ipoacusia cocleare e retrococleare.Nelle forme cocleari la latenza della V onda è normale (talora anticipata per il fenomeno del recruitment).Nelle ipoacusie retrococleari (neurinoma acustico) la latenza della V onda aumenta (se la via acustica è interrotta l’onda V manca completamente).

IPOACUSIA IMPROVVISA

L’ipoacusia improvvisa o blocco cocleare acuto di Citelli è per lo più unilaterale, si verifica in persone apparentemente sane, ha inizio improvviso (24/48 ore), ha caratteristiche audiometriche di tipo cocleare o retrococleare ed è suscettibile, in una parte dei casi almeno, di regressione, salvo ripresentarsi a distanza di tempo (ipoacusia fluttuante). L’ipoacusia può essere parcellare, oppure pantonale. La curva può essere di tipo piatto, a corda molle, oppure in salita o in discesa. Può essere associata ad acufeni e talora a sintomi vestibolari. Si distinguono forme di ipoacusia improvvisa sintomatiche ad etiologia accertata e forme idiopatiche ad etiologia non accertata. Le modalità etiopatogenetiche sono in parte dei casi costituite da fenomeni flogistici secondari ad infezioni virali con conseguenti alterazioni a carico delle strutture cocleari e/o del nervo acustico; dall’associazione del meccanismo virale e vascolare; da processi di natura autoimmunitaria. Una responsabilità vascolare in molti casi è innegabile in considerazione dell’abbondanza e della caratteristiche della circolazione arteriosa cocleare che è di tipo terminale e non può compensare l’insufficienza circolatoria di un distretto per mezzo di circoli collaterali. L’insufficienza microcircolatoria acuta (trombosi, spasmo) determina una riduzione della velocità di flusso con conseguenti alterazioni emodinamiche e con riduzione del numero di capillari pervi. Possono essere coinvolte l’arteria cocleare, l’arteria cocleo-vestibolare, l’arteria uditiva interna. Bisogna

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tener presente che nelle persone anziane una ipoacusia improvvisa può precedere nel distretto cerebrale l’instaurarsi di processi vascolari di notevole gravità.Numerose malattie virali (parotite, morbillo, varicella, influenza, ecc.) che possono provocare ipoacusia, nel periodo immediatamente precedente la loro comparsa sono contraddistinte da flogosi delle vie aeree superiori di probabile natura virale.Alcune sordità, anche improvvise, si manifestano nel corso di malattie autoimmuni (poliartrite nodosa, artrite reumatoide, granulomatosi di Wegener).La definizione del meccanismo etiopatogenetico fornisce elementi prognostici di notevole significato sull’eventuale reversibilità della ipoacusia e sulla possibilità che essa assuma carattere fluttuante.L’idrope labirintica può esordire con una ipoacusia improvvisa che assume spesso carattere fluttuante.Anche un neurinoma dell’acustico può determinare una ipoacusia improvvisa (fenomeni emorragici all’interno della massa neoplasica).La diagnosi deve essere precoce! Un recupero parziale o totale dell’udito è tanto più probabile quanto più precoce è la diagnosi e l’inizio della terapia.La diagnosi si basa sull’anamnesi (ipoacusia a rapida comparsa), sull’esame otoscopio (normale), sulle prove col diapason (Weber lateralizzato dall’orecchio sano), sull’esame audiometrico (ipoacusia recettiva).La terapia si effettua con cortisonici per via parenterale, con farmaci vasoattivi (pentosifillina), con diuretici osmotici (mannitolo, glicerolo),. Si raccomanda infine il riposo acustico.

OTOSCLEROSI o OTOSPONGIOSI

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Fra i processi osteodistrofici che interessano la capsula labirintica, l’otospongiosi o otosclerosi o anchilosi stapedio-ovalare si contraddistingue per frequenza e caratteristiche cliniche.E’ rappresentata da una distrofia localizzata unicamente alla capsula ossea del labirinto, che non coinvolge le altre ossa dello scheletro e del cranio. Essa è generalmente bilaterale, si manifesta prevalentemente nei soggetti giovani (intorno ai 20 anni) e nelle donne.E’ considerata una patologia ereditaria trasmessa secondo alcuni autori con meccanismo autosomico dominante, secondo altri con meccanismo recessivo, ma comunque a penetranza incompleta. Nella razza bianca il sesso femminile è colpito con incidenza doppia rispetto al sesso maschile; nei neri l’incidenza complessiva della patologia è inferiore e si distribuisce in ugual misura in entrambi i sessi. Sono state formulate numerose ipotesi riguardo l’etiologia della malattia: fattori endocrini hanno indubbiamente importanza (predilezione per il sesso femminile, insorgenza spesso in epoca puberale, peggioramento durante la gravidanza, l’allattamento, la menopausa). L’eventuale stasi venosa a carico dell’orecchio interno e medio con alterazioni del letto vascolare del promontorio è chiamata i causa nella comparsa di focolai otospongiotici. Anche fenomeni autoimmunitari diretti contro il collagene potrebbero essere in causa nella genesi del processo osteodistrofico.Il processo osteodistrofico interessa lo strato endocondrale inizialmente, per poi estendersi allo strato periostale ed endostale. Si distinguono tre stadi: lo stadio della congestione osteoide (i capillari dei canali Haversiani appaiono di dilatati e circondati da manicotti di cellule di notevoli dimensioni); lo stadio della spongiosi (compaiono osteoclasti i quali determinano un riassorbimento osseo, si formano ampia cavità, l’osso assume aspetto spugnoso); lo stadio della sclerosi (si verifica una neoformazione di osso ad opera di osteoblasti, ma le lamelle neoformate non hanno la normale disposizione concentrica; l’osso diviene sclerotico, compatto, con aspetto tipico a mosaico).La progressione della malattia è molto lenta, alternando fasi di quiescenza a fasi evolutive e si attua nel giro di anni.Il focolaio otospongiotico è situato spesso nella parte anteriore della finestra ovale, presso la fistola antefenestram (fessura contenente residui cartilaginei). Frequentemente il focolaio otospongiotico può trovarsi sul promontorio, posteriormente alla finestra ovale (fissula postfenestram).L’otosclerosi è un processo osteodistrofico a focolaio unico o a focolai multipli, che può insorgere in qualsiasi punto della capsula labirintica.In rapporto alla diversa sede dei focolai otospongiotici, il decorso clinico può essere asintomatico o comunque diverso da quello legato alla più comune localizzazione a livello dell’articolazione stapedio-ovalare.La malattia si manifesta clinicamente solo quando i focolai otospongiotici, in rapporto alla loro sede e alla loro evoluzione anatomo-patologica, provocano l’ipocusia. L’esistenza di focolai clinicamente silenti può giustificare il carattere sporadico con cui si manifesta tale malattia in appartenenti allo stesso ceppo familiare. Nella più comune forma stapedio-ovalare, l’ipocusia interessa inizialmente la percezione per via aerea dei toni gravi; la curva audiometria è una curva in salita o curva di rigidità. Successivamente si avrà un coinvolgimento anche delle frequenze medio-acute. Il livello di soglia per via ossea, che permette di valutare le condizioni del recettore (riserva cocleare), si mantiene normale, ad eccezione di una flessione a livello delle frequenze centrali (tacca di Carhart).L’ipoacusia è di tipo trasmissivo (Rinne negativo, Weber lateralizzato dall’orecchio leso o più leso).L’impedenzometria documenta una riduzione della compliance, senza spostamenti del picco del timpanogramma verso valori negativi (timpanogramma tipo A1: picco abbassato, ma centrato sul valore 0).La contrazione del muscolo stapedio non modifica l’impedenza dell’orecchio medio a causa della fissità della staffa all’interno della finestra ovale (assenza di riflessi stapediali). Nelle fasi iniziali della malattia si osserva spesso il fenomeno on-off (duplice deflessione negativa verso l’alto).

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L’osso otospongiotico neoformato è di solito esuberante (rende irregolare la faccia interna del vestibolo e provoca un aumento della pressione dei liquidi labirintici). Dal focolaio inoltre si liberano sostanze citotossiche responsabili dei processi degenerativi che si instaurano seppur lentamente a carico dei recettori cocleari. Si sovrappone col tempo una componente recettiva alla ipoacusia trasmissiva comparsa all’esordio clinico della patologia.Per l’instaurarsi di questi processi degenerativi cocleari l’ipoacusia di trasmissione si trasforma in una ipoacusia mista, in cui la componente recettiva associata a recruitment tende a divenire sempre più accentuata. La malattia esita in una ipoacusia di notevole entità.L’ipoacusia è associata ad acufeni continui a tonalità in genere grave (l’otospongiotico avverte il rumore del sangue che circola a livello del focolaio otospongiotico in evoluzione).La paraacusia di Willis, ossia la possibilità di percepire i suoni in ambiente rumoroso meglio che in ambiente silente, è di frequente riscontro negli otospongiotici. I rumori ambientali sarebbero in grado di vincere l’inerzia della catena ossiculare permettendole di vibrare per stimolazioni di per sé insufficienti vincere l’attrito iniziale. L’otosclerotico tende a parlare a bassa voce per la fastidiosa autofonia (la voce rimbomba nella testa).La membrana timpanica è normale; può lasciare intravedere una colorazione rossastra a livello del promontorio legata all’aumentata vascolarizzazione del focolaio otospongiotico (segno di Schwartze).Oltre che la forma stapedio-ovalare che rappresenta l’80-90% dei casi, l’otospongiosi in rapporto alla localizzazione del focolaio osteodistrofico, può manifestarsi già inizialmente con una ipoacusia recettiva (forma cocleare) o con una ipoacusia di tipo misto (forma mista).Nella maggioranza dei casi l’otosclerosi si manifesta clinicamente fra i 20-35 anni, sotto forma di una ipoacusia a carattere lentamente peggiorativo, il cui inizio è sovente preceduto dalla comparsa di acufeni a tonalità grave.La sintomatologia alterna fasi di progressione a fasi di stabilizzazione. In genere ha un decorso lento sino alla cofosi (si interviene chirurgicamente prima dei 65 anni).La chirurgia della sordità si propone di creare una nuova via di passaggio all’energia meccanica vibratoria con recupero della normale motilità della catena ossiculare.Si effettua l’intervento di timpanotomia esplorativa (consente la diagnosi di certezza di otosclerosi) e di stapedotomia con interposizione di protesi a pistone (in materiale biocompatibile), in anestesia locale, in otomicroscopia (ho riscontro immediato durante l’intervento del miglioramento della capacità uditiva del paziente se la protesi è stata posizionata correttamente).La protesi o pistone che sostituisce la staffa anchilosata viene inserita direttamente attraverso la platina della staffa. Dopo aver asportato la testa e le crura della staffa e dopo aver assottigliato il focolaio otospongiotico, si pratica nella parte centrale della platina della staffa un foro che viene successivamente allargato sino a contenere la parte distale del pistone, ancorato all’apofisi lunga dell’incudine ed al suo processo lenticolare. L’intervento viene eseguito per la via del meato acustico esterno.Si opera inizialmente l’orecchio con la soglia uditiva peggiore. A distanza di 1-2 anni si può intervenire anche sull’altro orecchio in caso di otosclerosi bilaterale.L’intervento non è scevro di complicanze: vertigini, nausea e vomito nel postoperatorio tendono a scomparire nell’arco di qualche giorno, labirintiti, anacusia (fistola labirintica iatrogenica).Si raccomanda al paziente nel postoperatorio di starnutire a bocca aperta, di soffiarsi il naso con cautela e delicatezza, di non esporsi a brusche variazioni pressorie (viaggi in aereo, immersioni, spostamenti in alta quota) ecc. allo scopo di evitare condizioni in grado di causare una dislocazione accidentale della protesi.

OTITE MEDIA CRONICA

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Si distinguono 2 tipi di otite media cronica: la forma semplice (terapia farmacologica); la forma colesteatomatosa (terapia chirurgica).

OTITE MEDIA CRONICA SEMPLICE o SUPPURATIVAE’ un’infiammazione cronica dell’orecchio medio con perforazione timpanica cronicaPuò essere secondaria ad un’otite media acuta purulenta trascurata con mancata chiusura della perforazione timpanica.È caratterizzata otoscopicamente da una perforazione per lo più unica, di dimensioni variabili, a sede centrale o inferiore.L’infiammazione cronica dell’orecchio medio è sempre associata ad un concomitante coinvolgimento della mastoide, con otorrea cronica, subcontinua o ricorrente, mucosa, muco-purulenta.I germi responsabili del processo infiammatorio sono quelli residenti nell’orecchio esterno (stafilococco, pseudomonas, batteri anaerobi), in grado di penetrare nell’orecchio medio attraverso la perforazione timpanica cronica.I sintomi dell’otite media cronica semplice sono:- otorrea muco-purulenta, subcontinua o ricorrente; l’orecchio è “bagnato”, cronicamente infiammato;- frequentemente manca il dolore (no otodinia); il paziente può riferire una sensazione di fastidio locale; il dolore può comparire in fase di riacutizzazione del processo otitico cronico;- il paziente lamenta ipoacusia (trasmissiva).L’ipoacusia, obiettivabile mediante l’esecuzione dell’esame audiometrico, ha carattere inizialmente trasmissivo, ma col tempo può diventare mista o francamente recettiva (i germi e i prodotti tossici generati dal processo infiammatorio cronico possono ledere irreversibilmente le cellule acustiche cocleari).Il processo infiammatorio cronico resta limitato al rivestimento mucoso e non coinvolge l’osso che circonda il cavo del timpano. Gli ossicini possono apparire amputati per fenomeni di necrosi intervenuti durante la fase acuta.In pazienti affetti da otite media cronica semplice può verificarsi la formazione di tessuto di granulazione esuberante da cui deriva il quadro otoscopico dell’otite media purulenta cronica granulomatosa.La terapia deve contrastare le reinfezioni. Si basa sull’utilizzo di antibiotici ad ampio spettro (cefalosporine di III generazione, chinolonici, amoxicillina-clavulanato) per via sistemica.La terapia topica (gocce auricolari) con aminoglicosidi (tobramicina, neomicina, ect.) può essere effettuata solo per breve durata (gli aminoglicosidi sono farmaci ototossici; possono passare dall’orecchio medio all’orecchio interno e danneggiare i recettori acustici).Utili sono i lavaggi auricolari con soluzioni acide (ac. acetico o borico).In taluni casi si rende necessario l’intervento chirurgico (solo quando l’infezione auricolare sia spenta). L’intervento si propone di ricostruire un orecchio medio “chiuso” mediante posizionamento di un neotimpano e di ricostruire la catena ossiculare in alcuni casi erosa ed interrotta.Si effettua una timpanoplastica con ricostruzione della catena ossiculare (ossiculoplastica), nel caso in cui questa sia parzialmente erosa dal processo infiammatorio cronico, e con chiusura della perforazione timpanica (miringoplastica). L’incudine è l’ossicino più suscettibile a danni erosivi.L’intervento di miringoplastica o timpanoplastica di tipo I consiste nella chiusura della perforazione timpanica mediante una neo-membrana ottenuta prelevando la fascia del muscolo temporale.

OTITE MEDIA CRONICA COLESTEATOMATOSAE’ caratterizzata sempre da una perforazione marginale della membrana timpanica postero-superiore, spesso coinvolgente la membrana di Sharpnell ed estesa in alto con un processo di erosione del muro della soggetta (parete laterale dell’epitimpano).

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Nella regione epitimpanico dei pazienti affetti da colesteatoma è possibile osservare una massa biancastra costituita da un nucleo centrale di materiale amorfo (cellule epiteliali squamate, cristalli di colesterina), attorno al quale si sono stratificate lamine di cellule epiteliali.Il colesteatoma ha accrescimento espansivo (similtumorale). Può raggiungere l’antro, le cellule mastoidee di cui distrugge le pareti ossee.Si distinguono una forma congenita (membrana timpanica integra) che origina da residui epiteliali ectodermici ed una forma acquisita.La forma acquisita, più comune, può presentarsi con infezione o senza infezione concomitante.Il tessuto colesteatomatoso è in grado di produrre e rilasciare enzimi idrolitici (lisozima, collagenasi, ect.) responsabili dei processi di erosione ossea e mucosa.Diverse teorie sono state formulate per giustificare la comparsa del colesteatoma.Secondo alcuni si verificherebbe un processo di metaplasia piatta dell’epitelio del cavo del timpano per effetto dello stimolo irritatativo prodotto dall’essudato purulento. La formazione dl colestatoma sarebbe legata alla penetrazione nella cassa (rivestita normalmente da epitelio cilindrico), attraverso una perforazione del timpano, dell’epitelio di rivestimento del meato acustico esterno.La presenza di tasche di retrazione e di invaginazioni della membrana timpanica potrebbe giustificare la penetrazione dell’epitelio squamoso nella cassa timpanica.La sintomatologia è dominata dalla comparsa dell’otorrea, contenente piccoli detriti biancastri staccatisi dalla massa colesteatomatosa, densa e spesso fetida (tipico odore nauseabondo dovuto ai processi di osteolisi).Soggettivamente il paziente lamenta ipoacusia con i caratteri dell’ipoacusia di trasmissione ed un senso di peso, di fullness a carico dell’orecchio. Il dolore manca o può essere sfumato. L’ipoacusia di trasmissione almeno inizialmente può essere modesta per l’effetto columella esercitato dalla massa colesteatomatosa. Col tempo l’ipoacusia tende a peggiorare, assumendo i caratteri dell’ipoacusia mista e successivamente recettiva (effetto dannoso delle sostanze rilasciate dal colesteatoma sui recettori cocleari).Con l’otoscopia è possibile riscontrare (tranne nella forma congenita) una perforazione marginale postero-superiore o epitimpanica. La perforazione può essere talora mascherata da granulazioni polipoidi e da squame ceruminose che è necessario asportare, smascherando così l’ammasso biancastro del colesteatoma affiorante dalla perforazione. L’accrescimento del colesteatoma è tipicamente diretto verso l’alto (antro e mastoide).L’indagine radiografica (TC rocche mastoidi senza m.d.c.) metterà in evidenza l’estensione del colesteatoma attraverso l’erosione ossea del muro della soggetta, l’allargamento del recesso epitimpanico, l’usura delle strutture ossee timpano-mastoidee.L’otite cronica colesteatomatosa rappresenta un minaccia costante per il paziente, soprattutto se si considerano le complicanze che possono insorgere improvvisamente.Può comparire una meningite o un ascesso del lobo temporale o cerebellare (per contiguità in seguito a distruzione delle strutture ossee adiacenti o per tromboflebite settica).La paralisi del nervo facciale rappresenta un’altra temibile complicanza. Il nervo facciale attraversa la cassa timpanica a livello della parete mediale. E’ contenuto in un canale osseo (canale di Fallopio) talora incompleto.L’erosione della parete del canale semicircolare laterale determina la formazione di una fistola labirintica con comparsa di violenta vertigine (segno della fistola: la compressione del trago scatena la vertigine).Infine può svilupparsi una mastoidite acuta (l’infezione purulenta dall’orecchio medio si diffonde all’antro e alla mastoide) con possibile evoluzione in mastoidite esteriorizzata ed ascesso sottoperiosteo.La terapia dell’otite media colesteatomatosa si basa sull’intervento chirurgico che allontani il colesteatoma e la zona osteolitica circostante. L’intervento viene eseguito per via retroauricolare; si aprono la mastoide e la cassa timpanica. Se la malattia è in fase avanzata si effettua una

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timpanoplastica di pulizia, senza ricostruzione. Se il colesteatoma non è invasivo (si è sicuri di aver asportato interamente la matrice colesteatomatosa) si effettua invece una timpanoplastica di pulizia e ricostruttiva. Il follow-up deve essere necessariamente prolungato (10-15 anni)

MALATTIA DI MENIEREQuesta malattia è caratterizzata da vertigini, ipoacusia ed acufeni. E’ dovuta ad una alterazione dei fini meccanismi che regolano la produzione ed il riassorbimento dei liquidi labirintici ed in particolare dell’endolinfa, nella maggioranza dei casi di natura idiopatica.La sintomatologia è legata all’insorgenza di un idrope endolinfatico che interessa nella maggioranza dei casi entrambi i labirinti e che modifica le caratteristiche chimico-fisiche del liquido in cui sono immersi i recettori del labirinto membranoso.Il meccanismo attraverso cui si genera l’idrope è ancora dibattuto. Si ipotizzano fattori di natura neurovascolare con costrizione arteriolare e conseguente dilatazione capillare; ne deriverebbe un aumento della permeabilità vasale con edema ed aumento della pressione endolinfatica.Il meccanismo angioneurotico sarebbe favorito da condizioni generali di distonia neurovegetativa. Fattori disendocrini possono influenzare il meccanismo di ritenzione idrica.L’idrope endolinfatico provoca una dilatazione del labirinto membranoso ed in particolare del condotto cocleare con estroflessione della membrana di Reissner e conseguente riduzione di volume dello spazio perilinfatico. La membrana tectoria è compressa sull’organo di Corti, che appare appiattito. Il ripetersi delle crisi idropiche provoca lesioni irreversibili a carico delle cellule dell’organo del Corti e delle cellule delle creste ampollari e delle macule.La malattia insorge spesso senza alcun segno premonitore, in completo benessere.Gli acufeni hanno tonalità acuta ed in genere precedono lo scatenarsi dell’ipoacusia e della crisi vertiginosa.L’insorgenza della ipoacusia segue la comparsa degli acufeni. E’ inizialmente unilaterale. Si accompagna alla paracusia disarmonica (lo stesso suono viene percepito con altezza differente nei due orecchi) e a sensazione di fullness auricolare.La vertigine oggettiva rotatoria può essere tanto violenta da far cadere a terra il paziente. E’ accompagnata da nausea, vomito, ma non provoca mai perdita di coscienza. Pallore, sudorazione e tachicardia completano il quadro clinico. La crisi vertiginosa ha durata varia (in genere di parecchie ore) e costringe il paziente a letto.Le crisi possono assumere carattere subentrante, oppure ripetersi soltanto a distanza di parecchio tempo (la prognosi della malattia è alquanto variabile; talora le crisi non sono molto frequenti, in altri casi si succedono crisi recidivanti intensissime).La crisi vertiginosa riproduce il quadro della sindrome vestibolare periferica armonica irritativa; il nistagmo orizzontale-rotatorio di II-III grado batte verso il lato ove maggiore è lo stimolo irritativo provocato dall’idrope endolinfatico sui recettori e le asimmetrie toniche muscolari provocano la deviazione degli arti superiori in senso opposto alla fase rapida del nistagmo. Dopo alcune ore questa sindrome irritativa viene sostituita da una sindrome deficitaria con inversione dei segni spontanei (nistagmo battente verso il lato sano, asimmetrie toniche muscolari concordi alla fase lenta del nistagmo). Durante la crisi vertiginosa è impossibile eseguire l’esame audiometrico.Superata la fase acuta, si rileva una ipoacusia recettiva con caratteristiche peculiari. Nella fase iniziale della malattia si avrà una curva di soglia per via aerea piatta o leggermente in salita sia verso i toni gravi che verso quelli acuti (curva a corda molle). La curva di soglia per via ossea appare costantemente abbassata, pur non essendo perfettamente sovrapponibile alla curva per via aerea. L’ipoacusia è talvolta bilaterale, ma non sempre simmetrica. L’ipoacusia può avere carattere fluttuante.

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Il test al glicerolo è positivo; esso consiste in un miglioramento della soglia uditiva che raggiunge la sua massima entità 3 ore circa dopo la somministrazione per via orale di glicerolo.È possibile evidenziare il fenomeno del recruitment (ipoacusia cocleare).Con l’instaurarsi di lesioni degenerative a carico dell’epitelio sensoriale, l’ipoacusia diviene permanente, con interessamento pressoché uguale di tutte le frequenze (in alcuni casi possono risultare maggiormente compromesse le frequenze gravi o quelle acute) e con netta sovrapposizione delle curve per via aerea e per via ossea.Bisogna segnalare come in taluni casi l’idrope non colpisce tutto il labirinto membranoso, ma si localizza selettivamente alla parte cocleare (Meniere cocleare). In questo caso i sintomi vestibolari saranno sfumati, con netta predominanza sintomatologica di quelli cocleari.Anche l’esame vestibolare potrà essere eseguito soltanto una volta superata la fase acuta della crisi. In tali condizioni il ny spontaneo è di solito assente. Le prove strumentali (prove caloriche) dimostreranno nelle fasi iniziali una iperriflessia che si trasforma poi negli stadi successivi in una iporeflessia più o meno marcata del labirinto colpito dall’idrope.Con il progredire della malattia l’ipoacusia tende a farsi più marcata, mentre le crisi vertiginose divengono meno frequenti. Si dovrà effettuare una terapia medica e solo qualora questa fallisca si potrà programmare una terapia chirurgica.Durante la crisi vertiginosa il paziente va posto al buio, in condizioni di assoluta tranquillità.Può essere utile la somministrazione di farmaci del gruppo delle promazine, che esplicano azione antivertiginosa sintomatica deprimendo l’attività della sostanza reticolare mesencefalica (tietilperazina).Si ricorre in genere a una terapia endovenosa di glicerolo o mannitolo (diuretici osmotici) per una durata di 5 gg. Utile l’utilizzo di antiemetici.Superata la fase acuta deve essere programmata un’adeguata terapia antiritenzionale mediante una dieta iperidrica iposodica, associata eventualmente all’uso di diuretici (moduretic). La terapia con beta-istina per os sembra poter attenuare e prevenire le crisi.L’ingestione di caffè e il fumo di sigaretta dovranno essere aboliti.La terapia chirurgica deve essere riservata ai pazienti con funzione uditiva notevolmente compromessa e con crisi vertiginose molto frequenti e persistenti tanto da rappresentare un serio ostacolo alla vita sociale. Trovano sempre più applicazione interventi di deafferentazione vestibolare, eseguiti rispettando la funzionalità uditiva. La deafferentazione può essere ottenuta mediante introduzione di gentamicina (sostanza ototossica prevalentemente sui recettori vestibolari) nell’orecchio medio per via transtimpanica. Alternativamente si può praticare una neurectomia selettiva vestibolare (sezione del nervo vestibolare) per via translabirintica o attraverso la fossa cranica media a livello del condotto uditivo interno o dell’angolo ponto-cerebellare.

IMPEDENZOMETRIA

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Comprende la timpanometria e lo studio del riflesso del muscolo stapedio (esami oggettivi, non richiedono la collaborazione del paziente, eseguibili anche nei bimbi).Per timpanometria si intende lo studio dei rapporti fra impedenza acustica e pressione esercitata sulla membrana del timpano.La timpanometria si basa sulle modificazioni di elasticità o compliance del sistema timpano-ossiculare che si verificano variando la pressione del meato acustico esterno, trasformato in cavità chiusa (una sonda dotata di “tappino” viene posizionata nel condotto uditivo esterno; si viene pertanto a formare una cavità chiusa fra il tappino e la membrana timpanica).Quando la pressione vigente nel meato acustico esterno è superiore (o inferiore) del 2% a quella dell’orecchio medio (200 mm H2O2), la compliance del sistema timpano-ossiculare è minima. Diminuendo progressivamente la pressione esistente nel meato acustico esterno dopo averla aumentata del 2% (+ 200 mm H2O2), osserviamo un parallelo aumento della compliance sino ad un valore massimo che corrisponde all’eguagliarsi della pressione del meato acustico esterno con quella dell’orecchio medio. Diminuendo ulteriormente la pressione, la compliance si riduce progressivamente per raggiungere un valore minimo, quando la pressione vigente nel C.U.E. sarà del 2% inferiore a quella esistente nell’orecchio medio (- 200 mm H2O2).Il valore massimo di compliance si ottiene pertanto quando la pressione è uguale nelle due cavità, separate dalla membrana del timpano (l’esame non può essere eseguito qualora si riscontri otoscopicamente una perforazione timpanica).In condizioni normali la pressione esistente nell’orecchio medio è uguale a quella atmosferica (picco del timpanogramma centrato sul valore 0, timpanogramma tipo A ).La timpanometria consente di valutare inoltre la funzionalità della tuba di Eustachio. La diminuita pervietà della tuba determina l’instaurarsi di una pressione negativa nella cassa del timpano (picco del timpanogramma spostato su valori negativi, timpanogramma tipo C).Nell’otite siero-mucosa l’accumulo di secrezioni dense e vischiose impedisce la normale vibrazione della membrana timpanica (timpanogramma piatto, manca il picco, tipo B).Nell’otosclerosi avrò un picco più baso rispetto alla normalità, ma centrato sul valore 0 (timpanogramma tipo A1).In caso di lussazione degli ossicini il picco invece sarà accentuato e centrato sul valore 0.Utile è lo studio del riflesso del muscolo stapedio. La contrazione dei due muscoli dell’orecchio medio (m. stapedio e m. tensore del timpano) provoca un aumento della rigidità del sistema timpano-ossiculare, con riduzione della compliance. Questo effetto è praticamente dovuto alla contrazione isolata del muscolo della staffa.Uno stimolo acustico presentato ad un orecchio con particolari caratteristiche di intensità, provoca la contrazione bilaterale del muscolo della staffa. Questo stimolo attraverso il ramo cocleare del nervo acustico (branca afferente), raggiunge i nuclei cocleari dorsale e ventrale omolaterali e il complesso olivare superiore omolaterale e controlaterale. I neuroni di associazione trasferiscono lo stimolo ai nucleo di origine del nervo facciale omolaterale e controlaterale (branca efferente) con conseguente contrazione dello stapedio.Per ottenere la contrazione dello stapedio controlaterale occorre impiegare toni di intensità almeno 70-90 dB superiore alla soglia di udibilità per la frequenza alla quale viene provocato il riflesso. La stimolazione acustica omolaterale ha una soglia inferiore alla stimolazione acustica controlaterale.La contrazione dello stapedio aumenta la rigidità del sistema timpano-ossiculare, riducendo la compliance (irrigidisce la catena ossiculare, blocca l’affondamento della staffa nella finestra ovale impedendo che suoni molto intensi raggiungano l’orecchio interno). La registrazione grafica di questo fenomeno ci consente di evidenziare l’esistenza del riflesso e di valutarne le caratteristiche.Il riflesso sarà assente in caso di paralisi del facciale quando il processo che la provoca è situato a monte del punto in cui si stacca dal tronco del nervo in ramo destinato allo stapedio.Le modificazioni di compliance per contrazione dello stapedio mancano quando la staffa è fissa per anchiloso stapedio-ovalare (otosclerosi) o per anchilosi fibrosa timpanosclerotica. Nella fase

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iniziale di otosclerosi, la penna scrivente può descrivere due deflessioni verso l’alto (effetto on-off); nelle fasi più avanzate di malattia il riflesso scompare completamente.Nell’otite siero-mucosa del bimbo con ipertrofia adenoidea, la presenza di trasudato denso nella cassa timpanica blocca la catena ossiculare e il riflesso potrà mancare.La presenza del fenomeno del recruitment riduce l’intensità dello stimolo in grado di evocare il riflesso. La presenza del riflesso stapediale ottenuto con un tono di intensità superiore a meno di 50 dB a quella della sua soglia, è chiaro segno di recruitment (ipoacusia recettiva cocleare).

PARALISI VESTIBOLARE IMPROVISA O NEURONITE VESTIBOLARELa paralisi vestibolare improvvisa è costituita da un quadro di sofferenza acuta del sistema vestibolare in assenza di qualsiasi altra manifestazione coclearie o neurologica.La sintomatologia è caratterizzata da un singolo violento episodio di vertigine che insorge improvvisamente, con carattere oggettivo rotatorio, accompagnatao da nausea e vomito. Mancano l’ipacusia e gli acufeni.Esiste sempre un Ny di tipo orizzontale-rotatorio di II o III grado (fase rapida del Ny bate verso il lato sano) e i gravi disturbi dell’equilibrio (Romberg +, cade dal lato patologico; prova degli indici, deviazione dal lato patologico) impediscono il mantenimento della stazione eretta e la deambulazione. L’esame vestibolare rivela l’esistenza di una areflessia o iporeflessia labirintica monolaterale. E’ una classica sindrome vestibolare armonica.I sintomi si attenuano nel giro di qualche giorno per scomparire completamente nell’arco di 2-4 settimane. Possono permanere lievi vertigini, che si manifestano in periodi di affaticamento o di tensione emotiva. L’areflessia o l’iporeflessia labirintica possono presentare un recupero rapido e completo, in altri casi possono residuare definitivamente.Questa patologia si presenta talora in persone giovani che hanno sofferto nella settimana precedente la comparsa della crisi vertiginosa di un episodio infettivo a carico delle vie respiratorie superiori di probabile natura virale (infiammazione acuta virale del ganglio di Scarpa). Questa casi giustificano la dizione di neuronite vestibolare.In altri casi sia la sede che l’etiologia della lesione sono opinabili e non consentono una definizione etiopatogenetica (infezione, intossicazione, disturbi imunologici o vascolari) e topografica (lesione dei recettori labirintici, del nervo vestibolare, dei nuclei vestibolari).In rapporto alla benignità della prognosi e alla mancata conoscenza dei meccanismi etiopatogenetici delle manifestazioni cliniche, gli orientamenti terapeutici mancano di una precisa base razionale. La somministrazione di fenotiazine e di altri sedativi centrali può ridurre la vertigine e gli imponenti fenomeni vegetativi della fase acuta iniziale. Si ricorre alla somministraione di tietilperazina di breve durata (la somministrazione prolungata del farmaco può indurre u ritardo del fisiologico compenso centrale). Si usano inoltre farmaci antiemetici.

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VERTIGINE PAROSSISTAICA POSIZIONALE BENIGNA O CUPULOLITIASI Si tratta di una labirintopatia maculare con distacco degli otoliti dalla macula dell’utricolo, caratterizzata da brusche vertigini oggettive di posizione, transitorie ma recidivanti, accompagnate da Ny con peculiari caratteristiche.Il distacco degli otoliti può verificarsi per processi degenerativi, che quasi sempre su base vascolare, colpiscono il nuroepitelio delle macule.La cupulolitiasi può anche verificarsi per meccanismo diretto traumatico.E’ caratterizzata da violente crisi vertiginose oggettive a brusca insorgenza, di breve durata e recidivanti. Le crisi si manifestano prevalentemente nel passare dal clinostatismo all’ortostatismo o viceversa e da brusche rotazioni del capo. Mancano ipoacusia ed acufeni.Nella forma più frequente gli otoliti distaccatisi dalla macula dell’utricolo vanno a depositasi nel canale semicircolare posteriore, ma sono descritti casi in cui la sintomatologia sembra doversi mettere in rapporto con l’interessamento del canale semicircolare laterale (gli otoliti vanno a stimolare i recettori ampollari del canale semicircolare nel quale sono andati a depositarsi).E’ descritta una forma idiopatica che si riscontra in pazienti giovani.Nella fase iniziale della malattia il Ny e la sintomatologia vertiginosa si possono manifestare anche per una semplice iperestensione del capo, senza rotazione.Il Ny ha una latenza di comparsa fra 2.15 sec. E una durata che di solito no supera i 20-30 sec.Le scosse presentano un rapido incremento sino a raggiungere la massima frequenza e ampiezza. Segue un decremento più lento e graduale. Il Ny è di tipo orizzontale-rotatorio. Le conessioni esistenti fra ampolla del canale semicircolare posteriore con i muscoli obliquo superiore ipsilaterale e retto inferiore controlaterale giustificano le caratteristiche del Ny di tipo geotropo.Il Ny tipico della cupuolitiasi può essere scatenato dalla manovra di Dix Hallpike (ricerca del Ny di posizionamento). L’esaminatore, tenendo la testa del paziente posto seduto con le gambe sul lettino, lo fa passare rapidamente dalla posizione seduta alla posizione supina con il capo iperesteso e ruotato di lato (si esegue la manovra prima da un lato poi dall’altro). Se si tratta di una cupulolitiasi, comparirò un Ny parossistico quando il paziente verrà portato in posizione supina col capo ruotato verso il lato patologico.La ripetizione della manovra provoca una progressiva riduzione del Ny sino alla sua scomparsa (faticabilità del Ny).Al Ny si associa una vertigine oggettiva rotatoria, intensa spesso con nausea.La diagnosi della malattia è dunque semplice (anamnesi tipica e manovra di posizionamento).La terapia della cupulolitisi non si avvale di alcun presidio farmacologico.Si procede i genere alla manovra liberatoria di Semont (si cerca di riportare gli otoliti nella sede usuale facendoli uscire dal canale semicircolare nel quale sono “caduti”). Il paziente seduto su lettino con le gambe penzoloni, viene portato inizialmente sul lato patologico (identificato precedentemente con la manovra diagnostica di Dix Hallpike) e lasciato i tale posizione per circa 1 minuto e poi rapidamente sul lato opposto (rotazione di 180° del busto).Talora è necessario ripetere la manovra più volte.E’ bene ricordare che esistono delle cupulolitiasi con caratteristiche atipiche; in questi casi bisogna prudentemente sospettare una patologia di tipo centrale.

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MALATTIE DEL NASO E DEI SENI PARANASALI

CENNI DI ANATOMIA E FISIOLOGIA NASALE

La funzione principale del naso è quella RESPIRATORIA. Noi respiriamo alternativamente da una narice o dall’altra. Questa condizione è fisiologica ed è legata a quello che chiamiamo ciclo nasale. Sulla parete laterale delle fosse nasali si trovano infatti tre strutture chiamate turbinati nasali (INFERIORE, MEDIO e SUPERIORE), ciascuno composto da una testa ed una coda e costituito da tessuto cavernoso. Alternativamente i turbinati si riempiono di sangue e si inturgidiscono. Questo accade ogni 3-4 ore circa. La respirazione fisiologica avviene attraverso il naso e non attraverso la bocca. Infatti le cavità nasali svolgono un ruolo fondamentale nel modificare l’aria inspirata. In particolare la umidificano e la riscaldano. Per rendersi conto dell’importanza di tale azione basti pensare che, indipendentemente dalla temperatura esterna, la temperatura dell’aria a livello del rinofaringe è costante (31-34°C), grazie all’azione di riscaldamento svolta dal sangue che irrora i turbinati nasali.Una temperatura di 18°C ed una umidità del 60% rappresentano le condizioni ambientali ideali per la funzionalità del nostro naso. Un’altra funzione nasale è quella DIFENSIVA. Le vibrisse (i peli che si trovano a livello del vestibolo nasale) svolgono una prima azione di filtro dell’aria inspirata. L’epitelio delle cavità nasali è di tipo cilindrico cigliato. Le ciglia battono rapidamente e con movimento a “tapiroulant” trasportano il muco che le ricopre all’indietro verso il rinofaringe; anche a livello dei seni paranasali l’epitelio cilindrico cigliato svolge la stessa funzione, convogliando il muco verso l’ostio sinusale e da lì in rinofaringe, dove viene deglutito. Questo trasporto accade rapidamente: basti pensare che se si pone del carbone vegetale o della saccarina a livello del turbinato inferiore, lo si trova in rinofaringe dopo 15-20 minuti (test alla saccarina).La funzione OLFATTIVA del naso è determinata dalla presenza di mucosa olfattoria a livello della parete superiori delle cavità nasali (lamina cribrosa dell’etmoide). Le sostanze volatili raggiungono la mucosa olfattoria e dà lì le cellule olfattive trasportano la stimolazione nervosa fino alla stazione olfattiva, che si trova a livello del giro dell’ippocampo. A questo livello vi è la zona della rappresentazione delle emozioni ed è per questo motivo, che l’olfatto è strettamente collegato alla sfera emotiva. Requisito fondamentale perché ci sia una stimolazione delle terminazioni sensitive è che le particelle volatili raggiungano la mucosa olfattoria. Possiamo quindi capire perchè in corso di rinite acuta, ipertrofizzandosi i turbinati nasali, aumentando le secrezioni e venendosi quindi a determinare un ostacolo al passaggio di aria nella cavità nasali, sia presente iposmia.

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La funzione olfattiva nasale è molto importante anche per la percezione del gusto. Infatti a livello linguale esistono dei recettori, le papille gustative, che permettono di discriminare quattro tipi di sapori (dolce, acido, salato ed amaro), mentre l’aroma di un cibo lo percepiamo solo se la funzione olfattiva è intatta, poiché le sostanze volatili devono venire in contatto, attraverso il rinofaringe, con la mucosa olfattoria.Il naso svolge un ruolo significativo nella FONAZIONE, infatti le cavità naso-sinusali funzionano da risuonatori per certi tipi si fonemi o suoni nasali (m, n, gn). L’occlusione del rinofaringe o della parte posteriore delle fosse nasali provoca la perdita di risonanza per i suddetti fonemi (rinolalia chiusa posteriore), mentre un’occlusione della parte anteriore delle cavità nasali determina un’accentuazione della normale risonanza nasale (rinolalia chiusa anteriore). Nella rinolalia aperta, che si ha per esempio nelle paralisi del palato molle, acquistano risonanza nasale fonemi che normalmente non la posseggono.Il naso presenta infine una importante funzione RIFLESSOGENA. Infatti la ricca innervazione delle fosse nasali fa sì che dalla mucosa di tale organo si scatenino riflessi vasomotori o secretivi locali e riflessi a distanza (naso-cardiaco, naso-respiratorio, naso-circolatorio). Il riflesso dello starnuto e un riflesso trigemino-vagale.Il naso è costituito da due fosse nasali, separate dal setto nasale. Ogni fossa nasale sbocca posteriormente nel rino-faringe attraverso le coane ed è costituita da quattro pareti.La parete mediale è costituita dal setto nasale, che nella sua parte anteriore è cartilagineo (cartilagine quadrangolare), mentre posteriormente è costituito dalla lamina perpendicolare dell’etmoide e dal vomere. I turbinati nasali si trovano sulla parete laterale delle fosse nasali; subito al di sotto del turbinato inferiore sbocca il dotto naso-lacrimale, mentre tra il turbinato inferiore ed il turbinato medio si trova in meato medio, attraverso cui drena il seno mascellare, frontale e l’etmoide anteriore.La volta o parete superiore è formata dalla faccia posteriore della cartilagine quadrangolare, e delle ossa nasali, dal frontale, dalla lamina cribrosa dell’etmoide e dal corpo dello sfenoide.La parete inferiore o pavimento è costituita anteriormente dal processo palatino del mascellare e dalla lamina orizzontale dell’osso palatino nel suo quarto anteriore.

La piramide nasale presenta una scheletro cartilagineo ed uno osseo. E’ infatti formata dalle cartilagini alari (che hanno la forma di un ferro di cavallo, con una crus mediale ed una crus laterale e triangolari) nella parte anteriore, e dalle ossa nasali (rettangolari ed unite tra di loro mediante una sinartrosi) posteriormente. Le ossa nasali si congiungono medialmente alla branca montante del mascellare e superiormente al processo nasale del frontale. A livello della cavità nasale, inoltre, sboccano i seni paranasali, otto cavità pari e simmetriche, che hanno la funzione di risuonatori e di protezione, distinte in:

- seni frontali- seni etmoidali- seni mascellari- seni sfenoidali

RINITE MUCOSA

E’ il comune raffreddore, sostenuto da agenti infettivi virali (rinovirus, adenovirus, coronavirus, ortomixovirus, ect). L’attacco virale della mucosa nasale causa una paralisi del movimento cigliare (cigliostasi) aprendo le porte alla sovrainfezione batterica.L’infezione virale causa un aumento delle secrezioni mucose nasali con comparsa di rinorrea (rinorrea anteriore: muco scende dalle narici; rinorrea posteriore: muco cola nel rinofaringe “post nasal drip”). I turbinati nasali appaiono alla rinoscopia anteriore gonfi, edematosi, congesti.La sintomatologia è dominata dalla rinorrea mucosa bilaterale con starnuti (per la rinorrea anteriore) e tosse secca (per la rinorrea posteriore). Lo starnuto è un riflesso trigemino-vagale. La tosse secca

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stizzosa è di riscontro frequente soprattutto nei bimbi che effettuano il cosiddetto sniffing (non si soffiano il naso e quindi il muco finisce in rinofaringe ed orofaringe) scatenando gli accessi di tosse spesso notturni.Il ristagno di muco nel cavo rinofaringeo altera la normale funzione della cassa di risonanza; si avrà rinolalia chiusa.Il paziente lamenta stenosi respiratoria nasale ed ipoosmia.Si può avere febbre (in genere qualche linea).Se la secrezione nasale perde l’aspetto mucoso e diviene muco-purulenta (giallo-verdastra) si è verificata una sovrainfezione batterica.La terapia si basa sull’utilizzo dei suffumigi (con bicarbonato o con sostanze balsamiche) che riscaldano l’aria inspirata (40-50° C) consentendo l’inattivazione della maggior parte dei virus.Controindicati sono gli aerosol che seccano le secrezioni nasali rapprendendole in croste. Gli spray a base di sostanze vasocostrittrici sono da utilizzare con estrema prudenza e per brevi periodi di trattamento (massimo 5 giorni). L’utilizzo prolungato di tali spray determina un’alterazione irreversibile del fisiologico ciclo nasale causando una rinite cronica medicamentosa. Al giovamento immediato (per riduzione del volume dei turbinati congesti) segue un effetto cosiddetto rebound (aumento ipertrofico del volume dei turbinati) con conseguente stenosi respiratoria.L’uso di vasocostrittori può inoltre scatenare crisi ipertensive e tachicardia.E’ raccomandabile evitare la somministrazione di vasocostrittori nei bambini di età inferiore ai 3 anni. Sono state descritte complicanze mortali per crisi ipertensive endocraniche con edema cerebrale.Qualora il paziente sia allergico (tipica idrorrea acquosa della rinite allergica) si può associare un farmaco antistaminico.Se il muco appare giallo-verdastro (rinorrea purulenta da sovrainfezione batterica) si deve ricorrere ad una terapia antibiotica ragionata. I batteri coinvolti sono gli stessi coinvolti nelle otiti medie acute (Pneumococco, Haemophilus, Moraxella). La terapia antibiotica dovrà essere dunque ad ampio spettro (per Gram + e Gram -) prolungata per 6/7 giorni.In alcuni casi si può effettuare un tampone nasale.

RINITE ALLERGICA

E’ una patologia estremamente comune, scatenata da allergeni quali gli acari della polvere o le graminacee (per citare i più comuni). L’inquinamento atmosferico sembra determinare un aumento della suscettibilità allo sviluppo della rinite allergica (danneggia l’epitelio nasale e le sue strutture muco-cigliari con conseguente compromissione della clearence). Si differenziano due forme di rinite allergica; la forma stagionale, associata ad una allergia ai pollini e la forma perenne scatenata dalla polvere.E’ scatenata da un meccanismo di ipersensibilità di I tipo IgE mediato. L’allergene incriminato legandosi a 2 IgE determina il rilascio da parte dei mastociti di istamina, PAF, leucotrieni, chemochine, ectI sintomi sono peculiari: starnuti ripetuti, prurito nasale, palatale e oculare. Compare una rinorrea acquosa abbondante bilaterale (idrorrea) con ostruzione respiratoria nasale di varia entità a seconda della gravità della crisi.All’esame obiettivo in rinoscopia anteriore si evidenziano le mucose nasali edematose, i turbinati appaiono congesti e turgidi nella fasi iniziali. Le mucose successivamente divengono cianotiche ed infine pallide.La diagnosi è banale. Si basa su di un’anamnesi suggestiva supportata spesso da una famigliarità per la patologia. La rinoscopia anteriore con speculum nasale o con le fibre ottiche permette di ispezionare le fosse nasali sino al rinofaringe. Qualora i turbinati siano molto ipertrofici e congesti,

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è bene far precedere l’esame rinoscopico dall’instillazione locale di vasocostrittori (tamponcini imbevuti di vasocostrittori lasciati nella fossa nasale per 5-10 minuti prima dell’esame obiettivo).Si possono eseguire test specifici: Prik test cutanei, dosaggio delle IgE totali (RAST), dosaggio delle IgE specifiche (PRIST), test di provocazione nasale con allergene a concentrazioni idonee vaporizzati a livello nasale. La rinomanometria consente di valutare le variazioni del flusso nasale basale in seguito alla stimolazione con allergeni a concentrazioni crescenti.E’ indispensabile eseguire una adeguata profilassi (bonifica ambientale, lavorativa; eventuale vaccinoterapia).La terapia farmacologia si basa sul ricorso ad antistaminici e cortisonici.I cortisonici vengono somministrati per via topica nasale anche per lunghi periodi (15-20 gg) e ripetuti a cicli. Utile è l’associazione con antistaminici di ultima generazione per via orale (cetiriziana per esempio), dotati di scarsi effetti sedativi collaterali, e con il chetotifene ed il sodiocromoglicato (tali sostanze agiscono bloccando la degranulazione dei mastociti). I cortisonici per via sistemica sono indispensabili nel caso i cui alla sintomatologia rinitica si associ la presenza di asma bronchiale.Nella fasi avanzate di malattia si ricorre alla terapia chirurgica. Le crisi allergiche recidivanti lasciano delle sequele. Si ha una ipertrofia dei turbinati inferiori con degenerazione moriforme delle loro code ed alterazione irreversibile del normale ciclo nasale. L’intervento può essere eseguito con svariate tecniche. Lo scopo è comunque quello di asportare la porzione di turbinato ipertrofico non più funzionante (decorticazione dei turbinati, turbinoplastica).

RINITE VASOMOTORIA

La rinite vasomotoria assomiglia molto alla rinite allergica. A differenza di quest’ultima non riconosce alla sua base un meccanismo immunologico reaginico (IgE mediato); è aspecifica. Consiste in uno stato di iperreattività nasale a stimoli endogeni ed esogeni (stimoli termici, fattori stressanti, etc). La patologia è estremamente comune colpendo il 20-30% della popolazione. Non ha stagionalità e presenta un andamento estremamente capriccioso.I sintomi coincidono con quelli della rinite allergica: rinorrea abbondante acquosa (idrorrea), starnuti, prurito nasale, palatale, oculare, ostruzione respiratoria nasale. All’esame obiettivo si ha ipertrofia dei turbinati, con mucosa congesta ed edematosa.La diagnosi differenziale con la rinite allergica viene effettuata con i test allergometrici (saranno negativi nella rinite vasomotoria).La terapia si avvale di spray nasali a base di cortisonici inalatori (utilizzati per lunghi periodi, 20-30 gg e ripetuti a cicli).La terapia chirurgica è riservata alla sequele (degenerazione moriforme della coda dei turbinati inferiori).La somministrazione di antistaminici, disodiocromoglicato e chetotifene sembra poter migliorare nei casi più gravi la sintomatologia.

EPISTASSI

Definiamo epistassi la fuoriuscita di sangue dalle fosse nasali o lo scolo ematico posteriore nel rinofaringe, per rottura od erosione vascolare.Il naso presenta una ricca vascolarizzazione, ed è irrorato da rami della carotide interna e della carotide esterna. In particolare dalla carotide interna, attraverso la arteria oftalmica, originano le arterie etmoidale anteriore e posteriore; mentre dalla carotide esterna originano le arterie sfeno-palatina, palatina maggiore e del sottosetto, rami dell’arteria mascellare interna. A livello della porzione anteriore del setto nasale si viene a creare una zona particolarmente irrorata, che prende il nome di “locus Valsalvae”, da cui originano la maggior parte delle epistassi. Nella

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zona posteriore delle fosse nasali si anastomizzano rami provenienti dalle arterie sfeno-palatina e palatina maggiore. I sanguinamenti che originano da questa zona sono meno frequenti, ma più difficilmente controllabili.Nel 60-70% dei casi l’epistassi è determinata da cause di tipo generale. Le condizioni sistemiche che possono determinare epistassi sono numerose. Segue un elenco delle possibili cause generali di epistassi:

• Ipertensione arteriosa• Assunzione di antiaggreganti od anticoagulanti• Emopatie (della serie eritrocitaria, leucocitaria, difetti coagulativi, da alterazione delle

piastrine, da alterazione capillare)• Epatopatie (deficit di sintesi dei fattori della coagulazione)• Cardiopatie congenite od acquisite (stenosi aortica)• Malattie del ricambio (diabete)• Malattie infettive virali o batteriche• Malattie renali (attraverso l’ipertensione e l’iperazotemia)• Carenze vitaminiche (scorbuto, deficit vit. K)• Disfunzioni endocrine• Barotraumatismi

Nel 30-40% dei casi l’epistassi è determinata da fattori locali. Segue un elenco delle possibili cause locali:

• Traumatismi (microtraumi nei bambini che si infilano le dita nel naso, fratture delle ossa nasali, gravi traumi del massiccio facciale)

• Corpi estranei (nei bambini)• Varici del locus valsalvae• Polipo sanguinante del setto (giovani donne)• Neoplasie maligne naso-sinusali• Fibroangioma sanguinante della pubertà maschile• Ulcera trofica del setto (cocaina, cromo, cemento)• Rinopatie acute (rinite secca crostosa)• Rinopatie granulomatose (granulomatosi di Wegener)• Fenomeni vasomotori (esposizione solare eccessiva)• Fenomeni di congestione nasale passiva (tumori mediastinici, timici o tiroidei)• Post-operatorie

La terapia dell’epistassi varia a seconda dell’entità e della sede del sanguinamento.In caso di sanguinamento di lieve entità il paziente deve essere posto a capo flesso (la pratica

popolare di posizionare il paziente con il capo iperesteso può causare inalazione ed innescare il riflesso della tosse, che provoca un aumento della pressione arteriose e del sanguinamento) e bisogna comprimere la porzione anteriore cartilaginea del naso per un periodo di tempo pari a quello di stillicidio. Si può poi posizionare in fossa nasale del cotone imbevuto in acqua fredda o antiemorragici ed applicare ghiaccio alla radice del naso. E’ invece sconsigliato l’utilizzo di cotone emostatico, che può estesamente causticare la mucosa settale ed il pericondrio, determinando una necrosi cartilaginea settale. Di fronte a epistassi anteriori di maggiore entità si deve procedere ad un tamponamento nasale anteriore, che si effettua introducendo e stipando le fosse nasali con dei tamponi (disponibili in diverse lunghezze - 8 e 10 cm) di spugna idrofili, che vengono gonfiati con soluzione fisiologica e che vanno lasciati in sede per 48 ore circa. In caso ci si trovi di fronte a bambini od a pazienti affetti da fragilità capillare, malattie ematologiche, etc. si preferisce, quando possibile, utilizzare

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materiali riassorbibili, impregnati eventualmente di coagulanti, per il tamponamento, in modo da evitare lo stamponamento nasale, che può essere traumatico sulla mucosa nasale.In caso di sanguinamenti massivi o posteriori si deve procedere ad un tamponamento nasale posteriore, che può esser effettuato introducendo nelle cavità nasali dei sondini particolari, dotati di due palloncini, uno che sta nella fossa nasale ed uno che viene posizionato in rinofaringe.Un'altra modalità per effettuare un tamponamento posteriore è quella di introdurre un sondino nel naso, farlo fuoriuscire dalla bocca, ancorargli dei tamponi e tirarlo dal naso, fino a che i tamponi non si troveranno in rinofaringe. Un paziente con tamponamento nasale posteriore avrà un filo che spunterà dalla fossa nasale ed uno dalla bocca, che verrà utilizzato come filo di richiamo per lo stamponamento. In caso di tamponamento posteriore è necessario sottoporre il paziente a terapia antibiotica profilattica.Naturalmente nei casi di epistassi da causa sistemica è necessario, per controllare il sanguinamento, agire sulla causa che lo ha prodotto. In particolare è sempre opportuno misurare la pressione arteriosa e controllarla farmacologicamente in caso di ipertensione.Nel caso l’epistassi sia causata da varici settali si può procedere alla causticazione chimica con acido cromico, acido tricloroacetico o nitrato d’argento.

FORUNCOLOSI del VESTIBOLO NASALE

La foruncolosi del vestibolo nasale (dove sono presenti le vibrisse) è una patologia, per lo più monolaterale, che va ricordata non tanto perché particolarmente dolorosa, quanto per ricordare le complicanze, anche mortali, che può causare, soprattutto nei pazienti diabetici ed immunocompromessi. Il foruncolo è caratterizzato da cute tumida, tesa ed arrossata, da un dolore pulsante esacerbato dalla palpazione, sensazione di tensione, calore, a volte, da un modico rialzo termico e da edema (che si può estendere verso l’alto, annullando in solco naso-genieno, fino ad interessare la palpebra).Oltre che l’ascesso del setto e della parete laterale del naso, bisogna ricordare una complicanza non frequente, ma estremamente grave di tale patologia, che è la tromboflebite del seno cavernoso. La tromboflebite settica della vena facciale si può estendere alla vena angolare e da questa, attraverso la vena oftalmica superiore, raggiunge il seno cavernoso. La sintomatologia è caratterizzata da febbre elevata, cefalea gravativa, chemosi congiuntivale, esoftalmo e, nelle fasi finali, da oftalmoplegia e segni di ipertensione endocranica. Pertanto di fronte ad una affezione flogistica del vestibolo nasale, ma anche dell’ala nasale e del labbro superiore, è bene applicare localmente delle pomate antibiotiche (a base di neomicina, tobramicina, etc.).

POLIPOSI NASALE

I polipi sono una reazione edematosa cronica delle mucosa nasale e dei seni paranasali su base flogistica e/o allergica.

L’eziopatogenesi di tale patologia è a tutt’oggi sconosciuta, e la si ritiene a genesi multi-fattoriale. Una delle teorie che viene più seguita è quella della rottura epiteliale. Secondo tale ipotesi, si verrebbe a creare a livello della mucosa nasale la rottura dell’epitelio di rivestimento in seguito ad episodi infiammatori cronici. Tale rottura dell’epitelio favorirebbe il prolasso della porzione sottoepiteliale (lamina propria): questo prolasso viene in un secondo tempo coperto nuovamente dall’epitelio.

I polipi sono quindi estroflessioni della mucosa (edema cronicizzato) che con il tempo, grazie alla forza di gravità, vanno ad occupare le fosse nasali.La poliposi nasale può essere associata ad altre patologie.

1. Nel 10-20% dei casi la poliposi è su base allergica;

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2. È molto più significativa l’associazione tra la poliposi nasale e l’asma e tra la poliposi nasale e l’intolleranza all’acido acetilsalicilico (aspirina). In taluni casi c’è associazione tra asma, poliposi nasale ed intolleranza all’ASA, e allora si parla di sindrome di Widal;

3. Molto più raramente vi è associazione con rare sindromi che determinano un’alterazione delle ciglia vibratili o con la fibrosi cistica (o mucoviscidosi). Quest’ultima è una patologia delle ghiandole esocrine che interessa numerosi organi tra cui la cute, l’apparato respiratorio e quello gastrointestinale. È determinata da un difetto nella pompa del cloro e provoca delle secrezioni molto più dense del normale che vanno ad ostruire i dotti ghiandolari. La rara associazione della poliposi con la mucoviscidosi viene diagnosticata di norma in età infantile.Generalmente la popolazione più colpita dalla poliposi nasale è quella dei giovani adulti: quindi se abbiamo un bambino con poliposi nasale è opportuno tenere presente la possibile associazione con asma, allergia e mucoviscidosi.La sintomatologia della poliposi nasale è caratterizzata da ostruzione respiratoria nasale bilaterale ed iposmia; vi possono inoltre essere frequenti episodi rino-sinusitici secondari alla ostruzione degli orifizi dei seni paranasali a livello del meato medio. La diagnosi spesso è clinica e viene effettuata con una semplice rinoscopia anteriore.Dal punto di vista clinico il polipo si presenta alla rinoscopia anteriore come una formazione tondeggiante, polilobata, liscia, traslucida, quasi sempre bilaterale (nota bene: di fronte ad un polipo monolaterale bisogna sempre escludere che sia un polipo “sentinella” di una neoplasia dei seni paranasali!) che generalmente origina nella zona sita a livello del meato medio (dove c’è lo sbocco dei seni paranasali).In alcuni casi, soprattutto in fase di programmazione chirurgica, è utile eseguire una TC del massiccio facciale senza mezzo di contrasto in proiezione coronale.Nella terapia della poliposi nasale vengono inizialmente utilizzati dei cortisonici topici sotto forma di spray nasali, impiegati ad alte dosi per 30-40 giorni, a cui si può associare una terapia per via sistemica di pochi giorni. Tale terapia, comunque, è utile soltanto nelle forme iniziali in cui si riesce a migliorare la sintomatologia riducendo l’edema; quest’ultimo, con il passare del tempo, diventa però irriducibile farmacologicamente e si deve eseguire una escissione dei polipi per via endonasale in anestesia generale. Molto spesso la poliposi nasale è recidivante anche dopo interventi radicali; ciò accade soprattutto nelle forme associate ad intolleranza all’aspirina ed all’asma.Per prevenire le recidive si è dimostrato efficace l’impiego di cortisonici topici.

SINUSITE ACUTA

Per sinusite si intende un processo flogistico a carico di uno o più seni paranasali. Il seno etmoidale, rappresentando il “carrefour” dei seni paranasali, risulta frequentemente coinvolto. Per quanto riguarda la patogenesi della sinusite, è più frequentemente rinogena, ossia secondaria ad un processo infiammatorio nasale. Qualunque patologia che comprometta la pervietà degli orifizi di sbocco dei seni paranasali nella cavità nasale crea i presupposti per una sinusite: una poliposi nasale o una marcata ipertrofia dei turbinati che interferiscano con il drenaggio della naturale secrezione sinusale possono favorire l’insorgenza di un processo flogistico sinusale. Nelle sinusiti secondarie ad infezione nasale si verifica di solito il contemporaneo interessamento di tutte le cavità paranasali. Questo interessamento può non essere uniforme ed in un quadro di pansinusite prevalgono spesso le manifestazioni legate ad una fra le diverse cavità paranasali. La sinusite può avere un’origine odontogena ed in questo caso il seno interessato sarà unicamente quello mascellare.Infatti, poiché le radici del secondo dente premolare e del primo e del secondo molare sono a stretto contatto con il pavimento del seno mascellare, le patologie radicolari di questi denti possono essere causa di una sinusite mascellare. Cause di sinusiti mascellare odontogene sono, ad esempio, estrazioni dentarie o granulomi apicali.

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Altre cause, benché più rare, di sinusite possono essere la sovrainfezione di una raccolta endosinusale di sangue (emoseno) in conseguenza ad un trauma, la penetrazione di sostanze estranee, quali acqua infetta all’interno della cavità sinusali od i barotrumi. I batteri più frequentemente coinvolti sono lo Streptococcus Pneumoniae (gram-positivo), l’Haemofilus Influentiae (gram-negativo) e la Moraxella Catarrhalis (gram-positivo). Meno frequentemente la sinusite può fungina (gli Aspergilli sono i miceti maggiormente isolati). In caso di infezione micotica un sintomo importante è la cacosmia.L’aumento delle secrezioni e la cigliostasi determinati dalla infezione causano un accumulo di muco o di muco-pus a livello dei seni paranasali e la chiusura degli osti.La sintomatologia della sinusite è caratterizzata da rinorrea muco-purulenta mono o, meno frequentemente, bilaterale, ostruzione respiratoria nasale (in genere monolaterale) e tosse secca mattutina (secondaria alla rinorrea posteriore); in fase acuta, in presenza di un arresto della rinorrea, è presente cefalea nel 10% dei pazienti: si tratta di un dolore sordo (che gli inglesi definiscono “dull”), continuo, più violento in tarda mattinata (perché il ritmo delle ciglia è circadiano ed in tarda mattinata è il momento in cui è più lento) e con esacerbazioni causate dai movimenti del capo. Il dolore presenta diversa localizzazione a seconda della sede d’infezione. Il dolore si presenterà a livello dello zigomo in caso di coinvolgimento del seno mascellare, a livello frontale se implicato il seno frontale e sarà sovraorbitario/orbitario in caso di flogosi etmoidale; mentre il dolore causato da una flogosi dello sfenoide verrà percepito al vertice.La diagnosi di sinusite acuta si basa su dati anamnestici, sull’esame obiettivo e, meno frequentemente, si avvale di tecniche di imaging, quali la TC del massiccio facciale senza mezzo di contrasto in proiezione coronale, che si usa per lo più nella diagnosi delle forme croniche. Nelle sinusiti odontogene mascellari trova indicazione l’esecuzione di una OPT.Alla rinoscopia anteriore si osserverà la fuoriuscita di muco-pus a livello del meato medio ed il turbinato medio apparirà congesto (segno di Hoffman). Si potrà poi osservare lo scolo posteriore dal rinofaringe di secrezione mucopurulenta. Inoltre la compressione di alcuni punti del volto può causare una esarcebazione del dolore (vedi schema sottostante).

La terapia della sinusite è costituita da antibiotici ad ampio spettro (che devono essere somministrati per 10-15 giorni) e vasocostrittori nasali, questi ultimi solo per pochi giorni (rinite medicamentosa!!), per ridurre l’ostruzione degli osti dei seni paranasali; sono utili i suffumigi, mentre è da evitare l’utilizzo di aerosol in fase acuta, in quanto può peggiorare l’ostruzione degli osti paranasali. Può essere utile associare nei primi giorni di terapia dei cortisonici per via sistemica (“short-therapy”), sfruttando l’effetto antiedemigeno degli steroidi.Una sinusite acuta mal curata può andare in contro ad una cronicizzazione del processo flogistico, con riacutizzazioni periodiche. In tal caso l’approccio terapeutico sarà di tipo chirurgico. La moderna chirurgia endoscopica si avvale di fibre ottiche e prevede l’aperture e l’ampiamento dell’ostio dei seni mascellari in modo da favorire l’areazione degli stesi ed il drenaggio delle secrezioni. Complicanze delle sinusitiLe sinusiti possono determinare complicanze ossee, orbitarie ed endocraniche.

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Seno frontale : punto di Ewing ed emergenza n. sovraorbitario

Seno mascellare: emergenza n. sottorbitario

Seno etmoidale: punto di Grunwald

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1. Ossee: osteomielite frontale (interessa elettivamente la parete anteriore del seno frontale e si manifesta con febbre elevata, cefalea gravativa ed edema delle parti molli).2. Endocraniche: meningite, ascesso cerebrale del lobo frontale e tromboflebite del seno cavernoso (da flogosi sfenoidali) o del seno longitudinale superiore (da sinusiti etmoido-frontali). N.B. Le complicanze endocraniche sono assai pericolose in quanto, se misconosciute, possono condurre a morte il paziente.3. Orbitarie: cellulite orbitaria (per erosione della lamina papiracea da flogosi etmoidali), ascesso palpebrale, flemmone ed ascesso orbitario e nevrite ottica retrobulbare.

L’insorgenza di complicanze è un’evenienza piuttosto rara e si verifica soprattutto in caso di riacutizzazione di sinusiti croniche. In caso di complicanze si impone, oltre che ad una terapia antibiotica ragionata, un approccio chirurgico una volte che le condizioni del paziente siano state stabilizzate.

FRATTURE

Le fratture, di origine traumatica, possono riguardare la parte cartilaginea anteriore della piramide nasale o, più frequentemente la parte ossea, che ricordiamo, è costituita dalle ossa nasali propriamente dette (unite tra loro sulla linea mediana da una sinartrosi), unite lateralmente alla branca montante dell’osso mascellare superiore e cranialmente al processo nasale dell’osso frontale. La disgiunzione delle suture naso-nasale o naso-frontale è rara e si ha per traumi importanti, mentre frequente è la disgiunzione naso mascellare o la frattura delle ossa nasali a livello del loro terzo medio od in prossimità del bordo inferiore (fratture marginali).Le fratture nasali possono essere chiuse od aperte e con o senza spostamento di frammenti, mentre dal punto di vista anatomo-patologico possiamo avere:

Fratture dello scheletro osseo Fratture dello scheletro cartilagineo (per lo più riguardanti la cartilagine quadrangolare del

setto) Fratture osteo-cartilaginee Fratture associate del naso e delle ossa del massiccio facciale

Le fratture delle ossa nasali possono essere lineari, senza spostamento di frammenti ossei (fratture “a legno verde”, tipiche dei bambini), con infossamento o con schiacciamento.La sintomatologia delle fratture nasali è caratterizzata da:

Epistassi Tumefazione della piramide nasale Deformità ossea (affondamento) Ematoma della piramide nasale Ecchimosi con estensione alla regione palpebrale inferiore (“a farfalla”) Enfisema sottocutaneo (se coesiste una lacerazione della mucosa nasale) Ematoma settale (evenienza rara, ma che deve essere tempestivamente riconosciuta per

evitare la condronecrosi settali)Alla palpazione si evidenzia dolore, motilità abnorme dei frammenti ossei e crepitio.La terapia consiste nella riduzione della frattura in narcosi (da effettuarsi entro 7 giorni circa dal trauma, per evitare che inizi il consolidamento in sede anomala dei frammenti ossei) con contenzione interna (tamponamento nasale con garze grasse o merocel da mantenere in sede per 3 giorni) ed esterna (mediante archetto protettivo posizionato sulla piramide nasale per una settimana circa). E’ opportuno impostare una terapia antibiotica profilattica.In fratture ormai consolidate si dovrà ricorrere ad interventi di rinoplastica.

DEVIAZIONE DEL SETTO NASALE

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Il setto divide le due fosse nasali ed è costituito, come già detto, da una porzione anteriore cartilaginea e da una posteriore ossea. Le deviazioni del setto nasale possono essere classificate in congenite ed acquisite (traumatiche, spesso microtraumi passati inosservati nell’infanzia); anche le deviazioni congenite deriverebbero nella maggior parte dei casi da traumi i da parto. I quadri clinici variano dalla sublussazione della cartilagine quadrangolare fino alla sua completa dislocazione; esistono poi deviazioni curvilinee, che possono interessare sia la porzione cartilaginea che quella ossea, ma anche ispessimenti, speroni o creste settali (spesso queste alterazioni sono associate tra loro).La sintomatologia è caratterizzata da ostruzione respiratoria, per lo più bilaterale. Infatti si può osservare controlateralmente alla deviazione una ipertrofia compensatoria dei turbinati nasali. Inoltre speso si assiste alla formazione di croste (che possono causare piccole emorragie), poiché la corrente inspiratoria viene a concentrarsi in una zona ristretta della mucosa nasale e ne provoca disidratazione (e quindi aumenta la suscettibilità ad eventuali agenti infettivi). In caso di deviazioni settali importanti si possono avere deformità del palato osseo, anomalie dentarie ed appiattimento della guancia. Di più frequente riscontro sono le possibili ripercussioni sulla funzionalità della tuba di Eustachio e le deformità associate della piramide nasale.La terapia prevede l’intervento di settoplastica (resezione sottoperiostea e sottopericondrale del setto e suo modellamento e riposizionamento), da effettuarsi non prima che lo scheletro naso facciale abbia raggiunto il suo sviluppo definitivo, ossia non prima dei 21 anni circa.

MALATTIE DELLA LARINGE

CENNI DI ANATOMOFISIOLOGIA

La laringe è un organo pari e mediano situato nella regione cervicale e posto tra trachea ed ipofaringe. Essa è costituita dalle cartilagini epiglottide, tiroidea, cricoidea e dalle due aritenoidi. Queste cartilagini sono tutte di tipo ialino, ad eccezione dell’epiglottide che è di tipo elastico. Le corde vocali vere sono localizzate a circa 0,5 cm al di sotto della incisura della cartilagine tiroidea; esse sono costituite (dall’interno all’esterno) dal legamento vocale, dal muscolo vocale (tiro-aritenoideo interno) da uno spazio sottomucoso (spazio di Reinke) e dalla mucosa. Durante la respirazione risultano aperte, mentre in fase fonatoria vengono addotte. La glottide può essere divisa in una parte anteriore fonatoria ed una parte posteriore respiratoria.L’innervazione laringea è di pertinenza del nervo vago, attraverso i nervi ricorrente e laringeo superiore. Il nervo ricorrente assicura l’innervazione motoria laringea, mentre il laringeo superiore è responsabile dell’innervazione sensitiva (l’unica componente motoria è destinata al muscolo crico-tiroideo).La funzione filogeneticamente più antica della laringe è quella sfinterica. La via digestiva e quella respiratoria si incrociano a livello dell’ipofaringe. La laringe coopera affinché il cibo segua la naturale via digestiva e non vi siano fenomeni di inalazione mediante la chiusura di tre sfinteri (l’innalzamento della laringe e la sua chiusura sono causati da un riflesso mediato dai nervi vago e glosso-faringeo che viene innescato dal contatto del bolo con il velo):

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Epiglottide e pliche ari-epiglottiche False corde Corde vocali vere

La funzione respiratoria prevede il passaggio del flusso aereo attraverso la laringe ed attraverso le corde vocali che risultano abdotte. La dispnea di tipo laringeo è inspiratoria (a differenza di quella bronchiale che risulta prevalentemente espiratoria) ed è accompagnata da tirage (rientramento del giugulo e dell’epigastrio in fase inspiratoria) e cornage (rumore inspiratorio). Il paziente con dispnea laringea assume una posizione seduta e iperestende il capo, in modo da rendere l’asse laringeo il più rettilineo possibile.La funzione fonatoria laringea avviene in fase espiratoria. Il mantice polmonare garantisce un adeguato flusso aereo, che, fuoriuscendo dalla laringe, a livello della glottide viene interrotto dalle corde vocali vere, che, come già detto, risultano addotte. Grazie alla presenza dello spazio di Reinke, si viene a creare a livello glottico un’onda mucosa che pone in vibrazione il margine libero delle corde vocali. I toni gravi vengono prodotti quando le corde vocali sono vicine e poco tese, mentre la produzione dei toni acuti prevede che le corde vocali siano addotte e molto tese.La risonanza ed il timbro vocale sono poi determinati dalle strutture sovraglottiche.

NODULI VOCALI

I noduli laringei sono ispessimenti circoscritti della mucosa che insorgono per lo più a livello del terzo anteriore delle corde vocali bilateralmente e che sono dovuti ad un abuso ed un cattivo uso della voce. Colpiscono per lo più il sesso femminile (in cui la respirazione ortofonica diaframmatica non è fisiologica), soprattutto le donne che per ragioni lavorative utilizzano molto la voce, ma possono interessare ogni sesso e fascia d’età.La sintomatologia di tale patologia è caratterizzata da astenofonia e disfonia ingravescente.La diagnosi viene posta mediante la laringoscopia indiretta con specchietto o con fibre ottiche.La terapia consiste in una rieducazione ortofonica logopedia, mentre l’exeresi in microlaringoscopia diretta con tecniche microchirurgiche è riservata ai casi che non rispondono al trattamento rieducativi (noduli fibrosi ormai consolidati).

POLIPI VOCALI

I polipi cordali sono estroflessioni della mucosa e della sottomucosa delle corde vocali; la loro patogenesi è legata ad un’alterata dinamica muscolare (abuso e cattivo uso vocale), per cui, per fatti edematosi ed emorragici, un tratto circoscritto della lamina di Reinke si ernia. Presentano un peduncolo vascolare e possono essere sessili o peduncolati.Sono generalmente monolaterali ed insorgono a livello del terzo anteriore delle corde vocali.La disfonia ingravescente (il continuo abuso e “malmenage” vocale fanno si che i polipi tendano ad aumentare di volume) è il sintomo caratterizzante tale patologia.La diagnosi si basa sulla laringoscopia diretta ed il trattamento dei polipi cordali è di tipo chirurgico (exeresi con tecniche microchirurgiche in microlaringoscopia diretta), seguito da un ciclo di rieducazione ortofonica.

EDEMA DI REINKE

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Si tratta di una patologia benigna che colpisce prevalentemente individui di sesso femminile dediti al fumo di sigaretta. Nello spazio di Reinke si accumula progressivamente dell’essudato (edema), per cui le corde vocali tendono a diventare edematose.La sintomatologia è caratterizzata da disfonia ingravescente, la voce femminile tende ad assumere un timbro mascolino; nelle fasi avanzate si possono osservare edemi cordali importanti con riduzione dello spazio respiratorio ed in tal caso la dispnea inspiratoria potrà essere un sintomo presente.La diagnosi si avvale della laringoscopia indiretta mediante specchietto o fibre ottiche.La terapia dell’edema di Reinke è di tipo chirurgico e prevede in microlalingoscopia diretta l’esecuzione di una cordotomia superiore e l’aspirazione dell’edema con conservazione del legamento vocale.

PAPILLOMI LARINGEI

La papillomatosi laringea è una patologia ad eziologia virale sostenuta dagli Human Papilloma Virus (HPV – sierotipi 6 e 11). L’infezione può essere contratta al momento della nascita durante il passaggio nel canale del parto (madre affetta da condilomi cervicali o vaginali), ma è possibile una forma di contagio materno-fetale durante la vita intrauterina. I papillomi possono localizzarsi a qualsiasi livello laringeo ed anche tracheale, possono essere singoli o multipli. Sono neoformazioni rossastre o rosso-grigiastre a superficie irregolare, che presentano una rapida crescita endoluminale; presentano un’impalcatura fibrosa, con espansioni digitiformi multiple, rivestite da epitelio piatto pluristratificato e cornificante.La sintomatologia è legata alla sede di insorgenza: qualora la localizzazione sia cordale il sintomo principale è la disfonia, mentre in altre sedi ci potrà essere dispnea qualora lo spazio respiratorio risulti insufficiente. Sono la causa più frequente di disfonia nel bambino.E’ una patologia ad andamento capriccioso: il virus rimane silente a livello intracellulare e dopo l’exeresi dei papillomi può riattivarsi e dare recidive anche a distanza di anni. In genere i soggetti affetti da papillomatosi laringea devono essere sottoposti a laringoscopie di controllo ad intervalli regolari, in modo da evidenziare in modo precoce le recidive e sottoporre il paziente all’exeresi delle stesse.Una trasformazione maligna è stata descritta nei soggetti adulti nel 2-7% dei casi: tuttavia la carcinogenesi è favorita dalle infezioni virali concomitanti, dal fumo, dalla terapia radiante e chemioterapia con bleomicina ed i sierotipi dotati di maggiore potenzialità maligna sembrano essere il 16 ed il 18.La terapia infatti dei papillomi non è causale, ma sintomatica e consiste nella asportazione chirurgica delle lesioni con il laser CO2.I tentativi di terapia medica (-interferone e cidofovir) si sono dimostrati nel tempo inefficaci e non hanno dato i risultati sperati.

GRANULOMI

I granulomi laringei si localizzano per lo più a livello del terzo posteriore delle corde vocali (processo vocale delle cartilagini aritenodi). Sono neoformazioni benigne polipoidi e di colore rosso cupo, che, interessando prevalentemente la glottide respiratoria, sono spesso paucisintomatiche; il sintomo più frequentemente lamentato dal paziente è una sensazione di corpo estraneo.Possono essere legati alla presenza di reflusso gastro-esofageo od ad una intubazione orotracheale.Il reflusso gastro-esofageo rappresenta un fattore irritativo per la mucosa laringea e, se gli episodi di reflusso risultano frequenti e protratti nel tempo (come capita in caso di patologie organiche quali l’ernia jatale), si può osservare la comparsa

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Ghiandole salivari

Le ghiandole salivari sono degli organi a funzione specifica, derivate dall’epitelio di rivestimento della cavità buccale e deputate alla produzione di saliva. Vengono classificate in ghiandole salivari maggiori quali: parotide, sottomandibolare, sottolinguale, organi pari e simmetrici ed in ghiandole salivari minori impari e disseminate nel cavo orale a livello del palato, lingua, labbra e guance.Queste ghiandole elaborano circa 1,5 lt di saliva al giorno che ha funzione di detersione e lubrificazione della mucosa orale, partecipa alla formazione del bolo alimentare ed alla digestione degli amidi contenendo ptialina ed amilasi ed ha inoltre funzione antibatterica, contenendo essa anche immunoglobuline.

• Gh. parotidi• dotto di Stenone • secrezione sierosa

• Gh. sottomandibolari• dotto di Warthon • secrezione siero-mucosa

• Gh. sottolinguali• dotto di Bartolini• secrezione mucosa

GHIANDOLA PAROTIDELa ghiandola parotide è la più voluminosa tra le ghiandole salivari maggiori. E’ posta al davanti e sotto al meato acustico esterno, dietro al ramo della mandibola e al davanti del muscolo sternocleidomastoide, accolta in una cavità detta loggia parotidea. E’ una ghiandola a secrezione sierosa che comunica con la cavità orale mediante il dotto di Stenone, che dal margine anteriore della ghiandola, decorre sulla faccia laterale del massetere, perfora il muscolo buccinatore e si apre a livello del II molare superiore. La sua secrezione è di tipo sierosa ed è suddivisa dal nervo facciale (VII paio n.c.) in due lobi uno superficiale ed uno profondo.

GHIANDOLA SOTTOMANDIBOLAREGhiandola alloggiata nella regione sopraioidea, accolta nella loggia sottomandibolare. Ha una secrezione mista anche se prevalentemente sierosa e comunica con il cavo orale mediante il dotto di Warthon che emerge a livello della caruncola sottolinguale, all’apice della quale si apre.

GHIANDOLA SOTTOLINGUALE La ghiandola sottolinguale è costituita da un complesso di piccole ghiandole riunite tra loro a formare un corpo apparentemente unico. E’ accolta nella loggia sottolinguale di cui riproduce la forma ed ha una secrezione di tipo misto prevalentemente mucosa.

Scialoadeniti acute. Flogosi delle ghiandole salivari che possono avere eziologia virale o batterica.La più importante fra le scialoadeniti acute virali è la parotite epidemica, sostenuta dai Paramixovirus che si localizza prevalentemente nella parotide e nelle altre ghiandole salivari, ma

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che aggredisce anche altri organi (sistema nervoso centrale, testicoli, pancreas…). Si manifesta come una tumefazione parotidea edematosa bilaterale specialmente nei bimbi. Ha una decorso benigno e la terapia è puramente sintomatica. La malattia dà complicanze frequenti a carico dell’ovaio e del testicolo, cui residua talvolta sterilità. Le complicanze d’ordine meningo-encefalitico rivestono notevole gravità un esempio è rappresentato dalla lesione a carico dell’VIII paio di nervi cranici che causano ipoacusia e talvolta anacusia dovuta ad un processo regressivo che colpisce l’organo del Corti.Le scialoadeniti acute ad eziologia batterica sono sostenute generalmente da Stafilococco Aureus, insorgono per lo più in ghiandole affette da scialoadenosi: la concomitante iposcialia può favorire la penetrazione dei germi dal cavo orale per via ascendente canalicolare. Possono insorgere anche in corso di malattie generali virali o batteriche; in questi casi la via d’infezione è ematica. Si manifestano come una tumefazione parotidea monolaterale dolente con cute sovrastante calda, iperemica e congesta, alla compressione digitale della ghiandola può comparire una secrezione purulenta nel punto d’emergenza del dotto di Stenone. La terapia è di tipo antibiotico e cortisonico per evitare eventuali complicazioni quali ascessualizzazione ghiandolare; se dopo 48 ore non si ha un miglioramento è necessario ricorrere all’incisione e drenaggio per via esterna.

Calcolosi salivare.Patologia caratterizzata dalla formazione di calcoli di cristalli di fosfato e carbonato di calcio che ostruiscono i dotti ghiandolari a livello del parenchima o dei suoi dotti escretori. Questa patologia e’ legata ad una modificazione del pH della saliva, per cui i sali, normalmente disciolti, precipitano formando piccoli ammassi. Nel 90% dei casi e’ colpita la ghiandola sottomandibolare in quanto il dotto di Warthon ha un decorso declive e la saliva ha una secrezione più densa (siero mucosa).L’esordio clinico (colica salivare) si caratterizza per la comparsa di un improvviso aumento di volume della ghiandola accompagnato da un dolore improvviso che viene esacerbato in concomitanza del pasto, infatti all’aumento della secrezione salivare si ha una distensione all’origine dell’ostruzione degli acini ghiandolari.La diagnosi viene eseguita con l’esame obbiettivo mediante la palpazione bimanuale del calcolo a livello della ghiandola o del suo dotto escretore. La terapia in acuto e’ di tipo sintomatica con antidolorifici, antispastici ed antibiotici per evitare una sovrainfezione batterica. Risolto l’episodio acuto e’ utile eseguire un’ecografia di controllo per la localizzazione del calcolo; se questo e’ di piccole dimensioni e si trova distalmente si può tentare la sua espulsione mediante terapia idropinica, se grosso e localizzato nel dotto escretore si eseguirà l’asportazione per via transorale mentre se l’ecografia documenta una sialoadenite cronica con fibrosi ghiandolare sarà necessaria l’asportazione in toto della ghiandola per via cervicotomica.

Sindrome di Sjogren.Patologia autoimmunitaria che coinvolge le ghiandole salivari e lacrimali, a livello salivare la più coinvolta e’ la ghiandola parotide. Questa patologia si caratterizza per la sostituzione del tessuto ghiandolare da parte di un infiltrato infiammatorio cronico linfocitario cui segue una fibrosi. Clinicamente si manifesta come una tumefazione ghiandolare bilaterale seguita da una progressiva atrofia ghiandolare e sostituzione adiposa. I sintomi sono rappresentati da xerostomia (deficit di produzione salivare) e xeroftalmia (deficit di produzione di lacrime) con cheratocongiuntivite secca e talvolta ulcere corneali.La diagnosi viene posta mediante biopsia delle ghiandole salivari ed esami ematochimici mirati.La terapia e’ di tipo immunosoppressivo con cortisonici, talvolta si ricorre alla chirurgia in caso di tumefazioni importanti, sovrainfezioni e litiasi.

TUMEFAZIONI DELLE GHIANDOLE SALIVARI:

PAROTIDE: Natura benigna > 80% dei casi

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SOTTOMANDIBOLARI: natura maligna ≥ 50% dei casiSOTTOLINGUALE: prevalenza di lesioni maligne

Tumori benigniA livello parotideo gli istotipi più frequenti sono l’adenoma pleomorfo ed il tumore di Warthin.L’adenoma pleomorfo e’ un tumore che origina da cellule mioepiteliali che possono avere una differenziazione epiteliale, mixoide e condroide mentre il cistoadenolinfoma di Warthin si caratterizza per aspetti cistici ed un infiltrato linfocitario reattivo.Clinicamente l’adenoma si manifesta come una massa parotidea non dolente caratterizzata da una crescita lenta ricoperta da cute integra e mobile sui piani superficiali e profondi; il cistoadenolinfoma invece si presenta come una massa teso elastica indolente di solito localizzata al polo inferiore della parotide.

Tumori maligniTra i primitivi gli istotipi sono carcinoma mucoepidermoide a grado intermedio, carcinoma a cellule aciniche, carcinomi spinocellulari, adenoido cistico o cilindroma e carcinomi indifferenziati. Gli istotipi più frequenti sono il carcinoma mucoepidermoide ed il cilindroma, quest’ultimo molto aggressivo si caratterizza per la crescita lungo le guaine perineurali con precoce infiltrazione del nervo facciale ed elevato rischio di metastasi a distanza (polmone).La parotide spesso e’sede di metastasi da carcinomi cutanei spinocellulari, basaliomi e melanomi ma anche tumori delle VADS e tumori extracervicofacciali possono metastatizzare a questo livello, in special modo carcinomi polmonari, renali… le vie di diffusione sono sia per infiltrazione per contiguità ( nei carcinomi cutanei) che per via ematica o linfatica.Clinicamente si presentano come masse di consistenza dura a rapida crescita, infiltrativi e dolenti, se e’ interessata la parotide nel 20% dei casi possono dare infiltrazione e paralisi del nervo facciale.

Linfomi La parotide e’ricca di tessuto linfatico e per tale motivo spesso sede di linfomi, questi si dividono in alto e basso grado; tra quelli a basso grado si hanno maltomi e linfomi follicolari, tra quelli ad alto grado invece si trovano i linfomi a grandi cellule.

Iter diagnosticoChe fare di fronte ad una massa parotidea? Fondamentale è l’anamnesi, la presenza d’eventuali comorbilita’ quali precedenti tumori: carcinomi della cute, delle VADS, linfomi.., le caratteristiche della lesione quali mobilita, cute sovrastante, adenopatie laterocervicali concomitanti, paralisi del nervo facciale.L’iter diagnostico prevede l’esecuzione di un’ecotomografia ed una RMN con mdc che permette una valutazione morfologica della ghiandola, ma non informazioni riguardo alla natura della lesione stessa. In caso di una sospetta lesione benigna l’ecografia e la FNAC con ago sottile permettono di valutare lesioni della porzione esofacciale e di ottenere prima della terapia chirurgica una valutazione citologica con una buona percentuale d’accuratezza.Se si sospetta una lesione maligna oltre ad all’ecografia e FNAC è necessaria una RMN con mezzo di contrasto che permettono di studiare in modo approfondito lo spazio parafaringeo e un’eventuale infiltrazione perineurale.

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Terapia sempre chirurgica, si prevede una parotidectomia esofacciale in caso di neoformazioni benigne superficiali e di basso grado previo isolamento e conservazione del nervo facciale; ed una parotidectomia totale in caso di lesione benigna del lobo profondo. La porzione di ghiandola deve essere asportata in quanto nel 4 % gli adenomi pleomorfi si possono trasformare mentre i cistoadenolinfomi possono sovrainfettarsi. In caso di lesione maligna primitiva o secondaria da altra sede l’indicazione chirurgica prevede una parotidectomia totale cercando di conservare il nervo facciale ed in presenza di metastasi laterocervicali si eseguirà anche uno svuotamento linfonodale selettivo ed eventuale radioterapiapostoperatoria in base all’istologico definitivo a cui far seguire uno stretto follow-up.

GHIANDOLE SALIVARI MAGGIORI

La parotide è la sede colpita di gran lunga più frequentemente (80%) mentre la sottomascellare (9%) e la sottolinguale (1%) sono interessate in misura minima. Nella parotide i tumori maligni incidono con percentuali variabili dal 17% al 34%, mentre nella sottomandibolare sono in media il 50% e nella sottolinguale l'85%. Le neoplasie maligne salivari hanno uno sviluppo iniziale prevalentemente in forma nodulare a crescita espansiva asintomatica mentre in un secondo tempo manifestano la loro malignità assumendo aspetti infiltrativi a carico delle strutture adiacenti, con la comparsa dei relativi sintomi. La paralisi del nervo facciale, che è il sintomo principale di infiltrazione maligna, compare solo nel 14% dei casi di carcinoma parotideo.

Distribuzione di frequenza per istotipo nella ghiandola parotide (Ellis 1992, 493 casi)

Benigni 

Maligni

adenoma pleomorfo 53.0%   ca. mucoepidermoide 9.6%altri adenomi 7.5%   ca. cellule aciniche 8.6%tumore di Warthin 7.7%   adenocarcinoma 5.1%    ca. adenoideo cistico 2.0%    ca. ex ad. pleomorfo 2.5%

 

  altri >5%

Ghiandole salivari minori Le neoplasie delle ghiandole salivari minori, globalmente considerate, incidono per circa il 10% di tutte le neoplasie salivari. Le forme maligne rappresentano in media il 50%. La sede più colpita è il cavo orale (64%). Gli istotipi maligni più frequenti nelle salivari minori sono il carcinoma mucoepidermoide (45%) ed il carcinoma adenoideo cistico (28%). Anche per queste forme l'aspetto più tipico è un nodulo a lenta crescita sottomucosa che si ulcera centralmente.

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Metastasi linfonodali L'incidenza di metastasi linfonodali presenti alla prima diagnosi varia dal 14% al 29%. La percentuale di metastasi linfonodali occulte, di difficile rilevazione, è intorno al 13%.

Metastasi a distanza La probabilità di avere una metastasi a distanza in 5 anni varia dal 2% circa per il I stadio fino al 39% circa per il III stadio. Queste percentuali rappresentano uno dei valori più alti per le neoplasie della testa e collo. E' tuttavia caratteristica una lenta evolutività delle metastasi di particolari tipi istologici, con sopravvivenza media di 3,5 anni dopo comparsa delle metastasi a distanza nei casi di carcinoma adenoideo cistico.

Diagnosi

Diagnosi clinica La presentazione più comune di una neoplasia parotidea o sottomandibolare è una tumefazione nodulare, spesso asintomatica, scoperta per caso dal paziente. Per le neoplasie delle ghiandole salivari minori la sintomatologia assume i caratteri propri della sede in cui insorgono. Il prelievo bioptico e gli esami strumentali eseguiti con le tecniche proprie per il distretto di insorgenza permettono una corretta diagnosi.

Diagnostica per immagini La radiologia standard e la scialografia sono state completamente abbandonate. L'ecografia rappresenta oggi l'esame di scelta come primo livello diagnostico strumentale. Ha come vantaggi principali la non invasività, il basso costo, un ottimo livello di risoluzione, la possibilità di guidare una agobiopsia e di effettuare nella stessa seduta anche un esame rapido delle stazioni linfatiche cervicali. Ha lo svantaggio di non consentire lo studio della ghiandola nel suo insieme, in particolare di non visualizzare bene le porzioni al di sotto dell'osso mandibolare. La RM ha gradualmente sostituito la TC nella valutazione delle lesioni delle ghiandole salivari per una migliore definizione dei tessuti molli. Sia la TC che la RM forniscono informazioni attendibili sulla localizzazione intrinseca o estrinseca alla ghiandola e sull'estensione di malattia. La scintigrafia salivare ha impiego clinico limitato alla diagnosi di cistoadenolinfoma.

Algoritmo diagnostico

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Citologia L'esame citologico da aspirato con ago sottile (FNAC) è in grado di attribuire l'origine salivare e distinguere tra patologie neoplastiche e non neoplastiche, permettendo di evitare l'intervento in circa un terzo dei soggetti. Tuttavia, a causa della notevole complessità cito-architetturale delle neoplasie salivari e delle similarità morfologiche esistenti tra numerosi istotipi, la FNAC risulta affidabile per diagnosticare non più dell' 80% dei carcinomi salivari.

Terapia chirurgica Il trattamento di queste neoplasie è tradizionalmente chirurgico, anche se recenti lavori clinici hanno contribuito a modificare il concetto di radioresistenza di questi tumori dimostrando che diversi istotipi tumorali sono relativamente sensibili alle radiazioni ionizzanti. Il successo del trattamento non è ancora soddisfacente in considerazione della tendenza a ripresentarsi sia localmente che a distanza. Se miglioramenti si sono ottenuti nel controllo loco-regionale e nelle riduzione dei deficit estetico-funzionali locali, poco si è fatto nel contenimento delle riprese a distanza. Nel delineare le strategie terapeutiche tutti gli autori hanno cercato di utilizzare variamente i fattori prognostici per l'individuazione di una classe a basso rischio in cui è corretta l'indicazione alla sola chirurgia conservativa.

Terapia delle aree linfatiche Il trattamento delle aree linfatiche cervicali presenta ancora alcuni aspetti che necessitano un chiarimento. In presenza di metastasi linfonodali, cliniche o radiologicamente evidenziate, lo svuotamento chirurgico migliora la sopravvivenza. Ancora controversa è l'indicazione alla terapia profilattica in pazienti N0.

Tipi di interventi Con il passare degli anni e l'affinamento delle tecniche chirurgiche è stato possibile definire con una certa precisione la tipologia degli interventi ammessi in caso di neoplasia maligna delle ghiandole salivari maggiori: parotidectomia superficiale conservativa: si asporta il lobo superficiale della ghiandola

parotide, previa dissezione e conservazione del nervo facciale; parotidectomia totale conservativa: si asporta tutto il parenchima ghiandolare parotideo

conservando l'integrità del nervo facciale; parotidectomia totale radicale: si asporta tutto il parenchima ghiandolare parotideo

comprendendo nel blocco di resezione anche il nervo facciale sezionato a livello dell'emergenza extracranica;

parotidectomia radicale allargata: si effettua una parotidectomia totale radicale estendendo la resezione in blocco alle strutture adiacenti invase dalla neoplasia (cute, osso temporale, mandibola, vasi, nervi) in funzione delle necessità del singolo caso;

svuotamento sottomandibolare: l'intervento comporta l'asportazione in blocco della ghiandola sottomandibolare e del cellulare lasso adiacente che contiene le strutture linfatiche della loggia sottomandibolare;

svuotamento sottomandibolare allargato: come il precedente estendendo la resezione in blocco anche alle strutture limitrofe invase dalla neoplasia (cute, mandibola, vasi, nervi) in funzione delle necessità del singolo caso.

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A livello delle ghiandole salivari minori ciascun caso ricade nelle indicazioni terapeutiche relative alla sede in cui si è presentato. Radioterapia Il ruolo della radioterapia è prevalentemente adiuvante dopo chirurgia in caso di lesioni ad alto rischio di ricaduta locale. La radioterapia esclusiva ad intento radicale può essere indicata in situazioni non resecabili o in pazienti inoperabili per condizioni generali o età avanzata. È possibile in casi selezionati l’utilizzo della brachiterapia mediante infissione di preparati radioattivi nel contesto del tumore.

Protocollo terapeutico di T

Parotide a) in caso di nodulo mobile < 4cm e senza segni di estensione locale (T1-T2) si effettua una parotidectomia superficiale se questo è del lobo superficiale/inferiore o una parotidectomia totale se è del lobo profondo, (entrambi gli interventi sono conservativi): se l'istologia definisce una neoplasia a bassa malignità non si fa altro; se l'istologia definisce una neoplasia a media od alta malignità o se manca la

radicalità si fa seguire il trattamento radioterapico

b) in caso di nodulo mobile > 4cm, senza segni di estensione locale (T3) si effettua una parotidectomia totale conservativa seguita da radioterapia in tutti i casi; c) in caso di nodulo di qualunque dimensione con paralisi del nervo facciale o segni di estensione locale clinici o intraoperatori (T3- T4), si effettua una parotidectomia totale radicale ± allargata seguita da radioterapia in tutti i casi; d) in caso di neoplasia inoperabile si effettua radioterapia esclusiva.

Sottomandibolare Si esegue in tutti i casi una scialoadenectomia con svuotamento sottomandibolare ± allargato.Per le neoplasie < 4 cm, senza estensione locale e a basso grado di malignità è sufficiente la terapia chirurgica; in tutti gli altri casi è indicata la radioterapia postoperatoria eventualmente estesa al collo per l'alta probabilità di metastasi occulte linfonodali.Protocollo terapeutico di N a) in caso di N+ clinico/radiologico si esegue in blocco lo svuotamento linfonodale laterocervicale e sottomandibolare eventualmente seguito da radioterapia postoperatoria; b) in caso di N0 con un tumore < 4cm (T1- T2), a basso grado di malignità e senza segni clinici o patologici di estensione locale, non si effettua alcuna terapia. In tutti gli altri casi è indicata la radioterapia postoperatoria sul collo ipsilaterale

Risultati e fattori prognostici

Sopravvivenza Lo stadio I ha una probabilità di sopravvivenza media di 90% a 5 anni, 75% a 10 anni. Lo stadio II ha una sopravvivenza del 75% a 5 anni e 60% a 10 anni. Lo stadio III ha una sopravvivenza di circa il 50% a 5 anni che scende a 25 % a 10 anni. Lo stadio IV ha una sopravvivenza del 10% circa, sia a 5 che a 10 anni. Istotipo

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Le neoplasie a migliore prognosi sono il carcinoma a cellule aciniche ed il carcinoma mucoepidermoide, con valori di sopravvivenza media per entrambi di 85% a 5 anni e 80% a 10 anni). Per gli altri istotipi la sopravvivenza continua a diminuire progressivamente fino a valori medi da 18% a 48% a 10 anni. Sede I carcinomi insorti nelle ghiandole sottomandibolari hanno prognosi peggiore con sopravvivenza variabile a 10 anni (22-35%) rispetto ai corrispondenti istotipi insorti nella ghiandola parotide che mostrano sopravvivenza compresa tra il 30% e il 55% a 10 anni. Per le ghiandole salivari minori, i carcinomi del palato mostrano di solito una buona prognosi (40-60% a 10 anni), mentre carcinomi insorti in sedi quali i seni mascellari o la laringe hanno sopravvivenze molto basse (15-30% a 10 anni). Altri fattori che condizionano la prognosi in senso sfavorevole sono: la presenza di paralisi del nervo facciale; l'età >60 anni; la non radicalità chirurgica (limitatamente al I e II stadio).

IPOFARINGE

Anatomia patologica: il carcinoma squamoso rappresenta oltre il 95% delle neoplasie ipofaringee con frequenti manifestazioni multifocali. Il restante 5% è costituito da una varietà di neoplasie rare. Storia naturale Evoluzione locale: i tumori dell'ipofaringe si manifestano frequentemente (20-25% dei casi) in forma multifocale. Nelle forme unifocali, a seconda della sede d'origine, tendono ad evolvere verso la zone vicine. Evoluzione regionale: l'invasione linfonodale è presente nel 75% dei casi, talvolta bilateralmente ed anche in sede ricorrenziale. Evoluzione a distanza: metastasi polmonari, epatiche ed ossee possono svilupparsi in percentuali piuttosto elevate (15%). Iter diagnostico La sintomatologia d'esordio è solitamente aspecifica e molto sfumata: comprende odinofagia, otalgia riflessa, disfagia, adenopatie laterocervicali. Nelle fasi tardive predominano disfagia meccanica dolorosa, disfonia, dispnea e scialorrea. La diagnosi del tumore primitivo si avvale della laringoscopia indiretta con specchietto laringeo o con fibre ottiche rigide o flessibili per valutare le alterazioni della morfologia ipofaringea e la presenza di edema o ristagno salivare. L'endoscopia in narcosi consente un'accurata valutazione dell'estensione della neoplasia, l'esecuzione del prelievo bioptico, l'individuazione di un eventuale secondo tumore, soprattutto esofageo. La TC e la RM individuano l'estensione profonda della neoplasia e l'interessamento degli organi contigui. La TC è utilizzata di routine riservando la RM a particolari difficoltà di stadiazione. Classificazione di T (UICC, 1997)

Sedi e sottosedi dell'Ipofaringe Giunzione faringo-esofagea (area postcricoidea) Seno piriforme Parete faringea posteriore

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Stadiazione T0 Tumore primitivo non evidenziabileTis Carcinoma in situT1 Limitato a una sottosede dell'ipofaringe o a dimensione massima inferiore a 2 cm T2 Invade più di una sottosede dell'ipofaringe o altra sede adiacente, oppure ha

dimensione massima fra 2 e 4 cm, senza fissazione dell'emilaringeT3 Ha una dimensione massima superiore a 4 cm, o con fissazione dell'emilaringeT4 Invade strutture adiacenti, (cartilagine tiroidea o cricoidea, la carotide, tessuti molli

del collo, fascia o muscoli prevertebrali, tiroide e/ o esofago)

Metodiche di trattamento

Terapia chirurgica Le esperienze circa il trattamento chirurgico delle neoplasie ipofaringee fanno riferimento essenzialmente ad interventi demolitivi, in ragione del fatto che questi tumori giungono a diagnosi in stadio avanzato. Inoltre, nei rari casi di diagnosi in stadio I, si tende ad optare per il trattamento radioterapico esclusivo. La terapia chirurgica conservativa (resezione per via faringotomica laterale, emifaringo-emilaringectomia) è realizzabile solamente per piccoli tumori della parte alta del seno piriforme. La chirurgia demolitiva è il trattamento di elezione per: T3 tutti (in assoluto i più frequenti) T2 non trattabili diversamente T4 operabili

Essa prevede sempre l'exeresi della laringe unitamente a porzioni più o meno estese dell'ipofaringe, fino alla sua ablazione completa, passando dall'intervento di emifaringolaringectomia totale (che non è altro che una laringectomia con exeresi estesa ad una adeguata porzione dell'ipofaringe), alla cosiddetta faringolaringectomia circolare segmentaria. Quest'ultima determina una completa discontinuità della via digestiva, che necessita di chirurgia ricostruttiva. Infine l'opzione chirurgica più demolitiva, indicata in alcuni tumori della giunzione faringo-esofagea e nei tumori multicentrici ipofaringo- esofagei, è la faringolaringoesofagectomia totale. Ogni qualvolta non sia possibile il mantenimento della continuità della via digestiva è necessario ricorrere a metodiche ricostruttive. In tutti questi interventi è imprescindibile lo svuotamento linfonodale del collo radicale, vista l'alta percentuale di metastasi laterocervicali palesi o occulte. E' generalmente riconosciuta l'indicazione allo svuotamento controlaterale del collo che diventa obbligatorio nelle lesioni della parete mediale del seno piriforme ed in quelle che evolvono verso la metà controlaterale dell'ipofaringe.

Radioterapia Le lesioni piccole, esofitiche e senza interessamento linfonodale (T1N0) possono essere ben curate con la sola radioterapia, qualunque sia la sottosede. Per aumentare il tasso di controllo locoregionale nel trattamento delle lesioni localmente avanzate in genere si fa ricorso ad un'associazione tra chirurgia e radioterapia. Il trattamento dei casi avanzati con sola radioterapia, eseguita con frazionamento classico, non consente probabilità di controllo e di sopravvivenza a 5 anni superiori rispettivamente al 25% ed al 15%.

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Indicazioni terapeutiche

Tumore primitivo Con i limiti imposti da un eccessivo schematismo, è possibile formulare delle opzioni terapeutiche abbastanza codificate.

Seno piriforme T1 - Radioterapia esclusivaT2 - Chirurgia conservativa (Faringolaringectomia Parziale, Dissezione del collo, +/-

Radioterapia postoperatoria) 

T3 e T4 operabili

- Chirurgia demolitiva (Faringolaringectomia totale +/- Chirurgia ricostruttiva, Dissezione del collo) + Radioterapia postoperatoria

- Protocolli randomizzati di preservazione d'organo con Chemioterapia+Radioterapia (con chirurgia di recupero) vs. Chirurgia + Radioterapia

 T3 e T4 non resecabili

- Radioterapia esclusiva

- Radioterapia + Chemioterapia ed eventuale Chirurgia di salvataggio  Pazienti inoperabili per ragioni internistiche

- Radioterapia esclusiva

 Parete faringea posteriore e giunzione faringo- esofagea

T1 - Radioterapia esclusiva T2 - Radioterapia esclusiva

T3 e T4 operabili

- Resezione + Chirurgia ricostruttiva con Radioterapia postoperatoria

- Chemioterapia + Radioterapia + eventuale Chirurgia di recupero  

T3 e T4 non resecabili- Radioterapia esclusiva

- Chemioterapia + Radioterapia Pazienti inoperabili per ragioni internistiche - Radioterapia esclusiva

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 Linfonodi regionali Seno piriforme

N Svuotamento ipsilaterale Svuotamento controlaterale

N0 funzionale funzionale/selettivo

N1 funzionale funzionale/selettivo

N2aradicale modificatoradicale classico

funzionale/selettivo

N2b funzionale/radicale funzionale

N2c funzionale/radicale funzionale/radicale

N3radicale classicoradicale modificato

funzionale/radicale

Parete faringea posteriore, area postcricoidea (estensione al IV livello)

N Svuotamento ipsilaterale Svuotamento controlaterale

N0 selettivo/funzionale selettivo/funzionale

N1, N2, N3 funzionale/radicale funzionale/radicale

 

Risultati La forma di trattamento dei carcinomi ipofaringei meglio documentata riguarda la combinazione chirurgia + radioterapia. Le percentuali di sopravvivenza globale a 5 anni oscillano intorno al 75% per i T1N0, 60% per i T2N0, 30% per i T1-T2N1 e T3N0-1 e 15% per i T4N0-1. Fattore condizionante la sopravvivenza globale e libera da malattia è non tanto la classe del tumore primitivo, quanto lo stato linfonodale. La sopravvivenza globale a 5 anni per gli N0 è del 60% circa, per gli N1 del 30% per gli N2 del 5%; per gli N3 non si hanno sopravvivenze a 5 anni. La radioterapia esclusiva fornisce, invariabilmente, risultati mediocri, eccezion fatta per lesioni limitate ed esofitiche del seno piriforme (circa il 50% di controllo locale).

LARINGE

Sedi e sottosedi (UICC)

Sovraglottide

I Epiglottide sovraioidea II Plica ariepiglottica, versante laringeo III Aritenoide IV Epiglottide infraioidea V False corde

Glottide

I Corde vocali II Commissura anteriore III Commissura posteriore

Sottoglottide

Richiami di anatomia patologica La maggior parte dei carcinomi laringei è costituita da carcinomi squamocellulari; tuttavia in tale sede anatomica è possibile l'insorgenza di numerosi altri istotipi. Macroscopicamente la neoplasia può essere vegetante, infiltrativa, ulcerativa.

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EziologiaFumo di sigaretta, assunzione di bevande alcoliche, fattori inquinanti ambientali, papilloma virus, predisposizione genetica, processi flogistici cronici.

Evoluzione regionale La localizzazione sovraglottica si osserva nel 40% dei casi.La localizzazione glottica si osserva nel 60% dei casi, dalla sede primitiva può estendersi lungo la corda vocale ed invadere la commissura anteriore e la corda vocale contro laterale.

La laringe sovraglottica ha una ricca rete linfatica sottomucosa. Le percentuali di metastasi linfonodali variano dal 15% al 51% relativamente alla classe ed alla sede del tumore primitivo. La laringe glottica ha una scarsa rete vascolare e linfatica, pertanto le neoplasie di questa sede hanno scarsa tendenza alla metastatizzazione. La laringe sottoglottica è fornita di una ricca rete linfatica drenante nei linfonodi giugulari inferiori o paratracheali.

Evoluzione a distanza Le metastasi si verificano nel 5- 10% dei casi, per lo più al polmone ed eccezionalmente all'osso e al fegato.

Iter diagnostico La sintomatologia è rappresentata da disfonia per i tumori glottici; senso di corpo estraneo, disfagia e otalgia riflessa per i tumori sovraglottici; dispnea inspiratoria per i tumori glotto-sottoglottici e più raramente per i tumori sovraglottici. Per la diagnosi del tumore primitivo si utilizzano: la laringoscopia indiretta con specchietto tradizionale o con fibroscopia ad ottiche

rigide o flessibili che consente di valutare la morfologia e la motilità laringea; la laringoscopia diretta in narcosi che consente un esame più particolareggiato e

l'esecuzione del prelievo bioptico; l'imaging (TC e RM) che fornisce informazioni dettagliate riguardanti l'infiltrazione in

profondità. La TC è sufficiente ad assicurare la programmazione di un piano terapeutico adeguato, la RM può essere utilizzata in modo più limitato nei casi dubbi.

Classificazione di T (UICC, 2002) Tx Tumore primitivo non definibileT0 Tumore primitivo non evidenziabileTis Carcinoma in situSovraglottideT1 Tumore limitato ad una sola sottosede della sovraglottide, con motilità normale delle corde vocali.T2 Il tumore invade la mucosa di più di una delle sottosedi adiacenti della sovraglottide o della glottide o

regioni esterne alla sovraglottide (ad esempio mucosa della base della lingua, vallecola, parete mediale del seno piriforme)senza fissazione della laringe

T3 Tumore limitato alla laringe con fissazione della corda vocale e/o invasione di una qualsiasi delle seguenti strutture: area post-cricoidea, tessuti pre-epiglottici, spazio paraglottico, e/o minima erosione cartilaginea

T4a Il tumore invade la cartilagine tiroidea e/o si estende nei tessuti extra-laringei (es. trachea, tessuti molli del collo, inclusi i muscoli estrinseci della lingua, muscoli pretiroidei, tiroide o esofago).

T4b Il tumore invade lo spazio prevertebrale, ingloba la carotide o invade le strutture mediastinicheGlottideT1 Tumore limitato alla(e) corda(e) vocale(i) (può coinvolgere la commissura anteriore o quella posteriore)

con normale motilitàT1a Lesione di una sola corda vocaleT1b Lesione di entrambe le corde vocali

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T2 Il tumore si estende alla sovraglottide e/o alla sottoglottide, e/o con compromissione della mobilità delle corde vocali

T3 Tumore limitato alla laringe con fissazione delle corde vocali e/o invade lo spazio paraglottico e/o presenta minima erosione cartilaginea

T4a Il tumore invade la cartilagine tiroidea e/o si estende nei tessuti extra-laringei (es. trachea, tessuti molli del collo inclusi i muscoli estrinseci della lingua, muscoli pre-tiroidei, tiroide, esofago)

T4b Il tumore invade lo spazio prevertebrale, ingloba la carotide o invade le strutture mediastinicheSottoglottide T1 Tumore limitato alla sottoglottide. T2 Il tumore si estende a una o entrambe le corde vocali, con mobilità normale o compromessaT3 Tumore limitato alla laringe con fissazione delle corde vocaliT4a Il tumore invade la cartilagine tiroidea e/o si estende nei tessuti extra-laringei (es. trachea, tessuti molli

del collo, inclusi i muscoli estrinseci della lingua, muscoli pretiroidei, tiroide o esofago).T4b Il tumore invade lo spazio prevertebrale, ingloba la carotide o invade le strutture mediastiniche

Terapia

Tipi di intervento chirurgico Tumore primitivo: il trattamento chirurgico dei carcinomi laringei si avvale di tecniche funzionali o demolitive. I tumori sovraglottici possono essere trattati con laser-chirurgia ed epiglottectomia se di piccole dimensioni oppure con laringectomia sovraglottica, eventualmente allargata alla base della lingua o al seno piriforme, per le lesioni più estese. I casi con fissità laringea richiedono una laringectomia totale. I tumori glottici in stadio iniziale possono essere trattati con cordectomia, glottectomia, laringectomia fronto-laterale, emilaringectomia, laringectomia subtotale ricostruttiva; le lesioni in stadio più avanzato possono essere sottoposte a chirurgia ricostruttiva o a laringectomia totale. I tumori sottoglottici devono essere trattati con laringectomia totale con sacrificio dei primi sei anelli tracheali. In tutti gli interventi funzionali viene conservata la funzione respiratoria, mentre risultano parzialmente compromesse la fonazione e la deglutizione, peraltro suscettibili di miglioramento dopo rieducazione logopedica. La laringectomia sovraglottica e le laringectomie subtotali ricostruttive prevedono una compromissione della deglutizione ed un certo grado di inalazione nel postoperatorio. Per tale ragione sono controindicazioni generali a questi interventi l'età avanzata, le scadenti condizioni generali, la compromissione delle funzioni cardio-respiratorie. La chirurgia demolitiva (laringectomia totale) comporta la perdita della funzione fonatoria e di quella respiratoria, per cui il paziente è portatore di tracheostoma permanente. L'utilizzo di protesi fonatorie o di valvole può consentire il recupero della fonazione. Linfonodi regionali: nei tumori sovraglottici, considerando l'elevato rischio di metastatizzazione, lo svuotamento bilaterale del collo è sempre indicato e può essere di tipo selettivo per gli N0, funzionale per gli N1, di tipo funzionale, radicale modificato o radicale classico per gli N 2 e di tipo radicale classico per gli N 3. I tumori glottici, data la scarsa tendenza alla metastatizzazione laterocervicale, consentono l'astensione dal trattamento chirurgico dei linfonodi in caso di lesione T1N0, mentre per tutte le altre classi di T è indicato lo svuotamento bilaterale selettivo per i casi N0, funzionale nei casi N 1, funzionale o radicale modificato o radicale classico nei casi N 2, radicale classico nei casi N 3. Considerando la possibile evoluzione metastatica dei tumori sottoglottici lo svuotamento laterocervicale bilaterale deve essere di tipo funzionale o radicale.

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Radioterapia La radioterapia è entrata a far parte delle opzioni terapeutiche per le forme iniziali, mentre per ciò che concerne il trattamento dei casi più avanzati la chirurgia rimane oggi, in Italia, il trattamento più utilizzato. La mucosite è un possibile effetto acuto, mentre tra le complicazioni (<1%) abbiamo l'edema laringeo, che può richiedere la tracheostomia e la condronecrosi.Laringe sovraglottica: in Italia il trattamento di scelta è la chirurgia, sebbene la radioterapia possa ottenere ottimi risultati per i T1- T2 N0 vegetanti. La radioterapia è il trattamento dei casi non operabili, dei pazienti che rifiutano la chirurgia e dei casi oncologicamente non resecabili. Laringe glottica: è ormai universalmente accettato che la radioterapia è in grado di ottenere percentuali di guarigione analoghe a quelle della chirurgia per i T1a e b della glottide. La qualità della voce, dopo radioterapia, è migliore di quella dopo chirurgia, anche dopo chirurgia laser. Nel trattamento dei T2 la radioterapia non consente le stesse probabilità di controllo della chirurgia. Il trattamento dei T3 è chirurgico.Laringe sottoglottica: la radioterapia è il trattamento di scelta nelle lesioni iniziali T1 e T2 senza adenopatie clinicamente palpabili. Nel trattamento dei casi più avanzati la radioterapia trova indicazione per i casi non operabili o non resecabili.

Indicazioni terapeutiche

Tumore primitivo La radioterapia postoperatoria è indicata se i margini sono positivi, se esiste un'incerta radicalità chirurgica, se si reperta un'evoluzione sottoglottica, in caso di T4, N+ R+ o in caso di più di 3 linfonodi metastatici. La radioterapia postoperatoria deve essere iniziata tra le 4 e le 6 settimane dall'intervento chirurgico.

Tumori sopraglottici

T1/T2 chirurgia funzionale

radioterapia esclusiva

T3/T4aoperabili

chirurgia funzionale o demolitiva: laringectomia orizzontale sopraglottica o allargata, laringectomia totale +/- radioterapia postoperatoria

T4bnon resecabili

radioterapia esclusiva

radioterapia + chemioterapia Pazienti inoperabili per ragioni internistiche

radioterapia esclusiva

Tumori glottici

T1 radioterapia esclusiva

chirurgia conservativa

T2

chirurgia funzionale (emilaringectomia o laringectomia subtotale)

radioterapia esclusiva T3/T4aresecabili

chirurgia funzionale o demolitiva +/- radioterapia postoperatoria

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T4bnon resecabili

radioterapia esclusiva

Pazienti inoperabili per ragioni internistiche

radioterapia esclusiva

Tumori sottoglottici

T1/T2 chirurgia demolitiva +/- radioterapia postoperatoria

radioterapia esclusiva T3/T4aoperabili

chirurgia demolitiva +/- radioterapia postoperatoria

Tumorinon resecabili

radioterapia + chemioterapia

Pazienti inoperabili per ragioni internistiche

radioterapia esclusiva

Rete linfatica Tumori sopraglottici

N0 svuotamento selettivo

N1 svuotamento funzionale

N2 svuotamento funzionale/radicale modificato/classico N3 svuotamento radicale classico Tumori glottici (solo per T2-T3-T4)

N0 svuotamento selettivo

N1 svuotamento funzionale

N2 svuotamento funzionale, radicale modificato/classico N3 svuotamento radicale classico Tumori sottoglottici (svuotamento esteso al VI livello)

N0 svuotamento funzionale

N1 svuotamento funzionale

N2 svuotamento funzionale, radicale modificato/classico N3 svuotamento radicale RisultatiNegli stadi iniziali delle lesioni sovraglottiche con la chirurgia si ottiene dal 90% al 95% di controllo nei T1 e dall'80% al 90% nei T2; la radioterapia ottiene una percentuale di controllo variabile dall'80 al 90% nei T1 e dal 70% all'80% nei T2. Il recupero chirurgico dei fallimenti radioterapici rende simili le percentuali di controllo delle due modalità di trattamento. Le classi avanzate dei carcinomi sovraglottici hanno invece una prognosi più infausta a causa della maggiore incidenza di metastasi laterocervicali. Il controllo locale dei T3 trattati con radioterapia è del 60%; per i T4 è del 40-50%. Il controllo locale dei T1 glottici trattati con radioterapia varia dal 90% al 95% e per i T2 dal 65% al 75%. I risultati del trattamento chirurgico variano dal 95% per i T1 all'80% per i T2. Negli stadi avanzati il controllo locale della chirurgia è del 90% ed i risultati del trattamento combinato chirurgico-radioterapico consentono sopravvivenze libere da malattia a 5 anni del 65%. I risultati del trattamento dei tumori sottoglottici consentono sopravvivenze a 5 anni di circa il 40%.

CAVITÀ PARANASALI

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I tumori maligni naso-paranasali sono rari: meno dell'1% di tutti i tumori e circa il 3% dei tumori delle vie aerodigestive superiori. Rappresentano l'oggetto di un impegno terapeutico notevole sia per la complessità della sede anatomica su cui insorgono ed i rapporti di contiguità con importanti strutture limitrofe, sia per la diagnosi spesso tardiva e conseguentemente lo stadio avanzato in cui giungono alla prima osservazione. È stato documentato un eccesso di rischio nei lavoratori del legno e del cuoio (con latenze anche molto lunghe), nell'industria tessile, metallurgica, metalmeccanica, chimica.

Richiamo anatomopatologico La complessità delle strutture anatomiche che concorrono alla formazione dei seni paranasali contribuisce all'ampio spettro di istotipi che si possono osservare in queste sedi. Il carcinoma squamocellulare è anche in questa sede la neoplasia più frequente, seguita da adenocarcinomi con vari aspetti differenziativi, carcinomi cosiddetti transizionali, carcinomi ad insorgenza da ghiandole salivari minori, tumori derivanti dal neuroepitelio olfattorio con aspetti differenziativi che possono andare dall'estesioneuroblastoma al carcinoma neuroendocrino a piccole cellule; ancor più rari melanomi, sarcomi, linfomi.

Sintomi, evoluzione I sintomi dei tumori naso- paranasali sono, in relazione al fatto che la sede di insorgenza o sviluppo sia nelle fosse nasali o all'interno di un seno, ostruzione nasale, dolore locale, epistassi, secrezione nasale, tumefazione della guancia o gengivale- palatina. Qualsiasi sintomo anche apparentemente banale (ostruzione nasale monolaterale, secrezione nasale corpuscolata, modico dolore locale), non altrimenti spiegabile e non risolto dopo 3 settimane, richiede un esame specialistico. Dovrebbe essere raccomandato l'uso sistematico dell'endoscopio nasale in ogni visita specialistica ORL ed il ricorso alla TC/ RM per qualsiasi sintomo o quadro clinico non migliorato dopo 15 giorni di trattamento medico e non chiarito dall'endoscopia nasosinusale. Particolare sospetto devono destare disturbi unilaterali, in pazienti di età superiore ai 35 anni con anamnesi negativa per patologie infiammatorie rinosinusali ricorrenti. L'evoluzione della malattia è locale: le metastasi laterocervicali alla prima osservazione (<10%) o a distanza, sono poco frequenti anche con tumori molto avanzati.

Diagnosi Talora si giunge alla diagnosi di neoplasia in corso di approccio chirurgico per patologia presunta diversa (sinusopatia cronica, poliposi). In tale evenienza è opportuno sospendere la procedura, attendere l'istologia definitiva, stadiare correttamente la malattia, programmare la terapia. La stadiazione comprende: anamnesi ed esame fisico, attribuzione di un punteggio di performance status, esame fibroendoscopico naso- paranasale, esame ORL completo, TC/ RM, (con particolare attenzione alla distinzione tra opacizzazione dei seni paranasali da raccolta di secrezioni e da massa tumorale, e per questi dettagli la risoluzione della RM è migliore) ecografia (o TC/ RM) delle aree linfatiche cervicali. La biopsia può quasi sempre essere eseguita per via transnasale, eventualmente

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con l'aiuto di ottiche per chirurgia endoscopica; per evitare alterazioni dovute ad edema, sanguinamento, tamponamento, andrebbe sempre programmata dopo la TC/ RM.

Classificazione del tumore primitivo Esiste solo per il seno mascellare e l'etmoide. La classificazione di N ed il raggruppamento in stadi sono uguali alle altre sedi ORL.

Seno mascellare (TNM, UICC 1997)

T1 Tumore limitato alla mucosa antrale, senza interessamento osseo

T2Tumore con erosione o distribuzione ossea, esclusa la parete posteriore del seno, ma compreso il palato duro o/e il meato medio

T3Tumore invadente una delle seguenti formazioni: parete posteriore del seno, pavimento o parete mediale dell'orbita, tessuti sottocutanei e cute della guancia

T4Tumore invadente il contenuto orbitario oltre le sue pareti, compreso l'apice o/e una delle seguenti strutture: lamina cribrosa, seno sferoidale, rinofaringe, seno frontale, base cranica

Etmoide

T1 Tumore limitato all’etmoide, con o senza erosione ossea

T2 Tumore esteso alla fossa nasale

T3 Tumore esteso alla parte anteriore dell'orbita o/e al seno ascellare

T4Tumore con estensione intracranica, nell'orbita compreso l'apice, con interessamento dello sfenoide o/e del seno frontale o/e della cute del naso

 

Terapia

Chirurgia Gran parte della letteratura concorda nell'attribuire i risultati migliori in termini di sopravvivenza all'associazione chirurgia- radioterapia, anche se non vi è unanimità di indicazioni su quando (prima o dopo l'intervento) effettuare la radioterapia. La chirurgia da sola può forse essere considerata in casi molto selezionati di neoplasie iniziali. L'indicazione chirurgica non è uguale per tutti gli istotipi: in casi localmente molto avanzati di tumori ad alto grado di malignità quali il carcinoma indifferenziato, andrebbe sempre valutata la possibilità di un trattamento alternativo ad una chirurgia estesamente demolitiva. Per il carcinoma adenoide cistico invece, con elevata tendenza alla recidiva locale ed alle metastasi a distanza, ma con un'evolutività particolarmente lenta, una resezione chirurgica con finalità palliative potrà essere presa in considerazione per migliorare la qualità di vita anche in presenza di metastasi. Vengono anche qui perseguiti i principi generali della chirurgia oncologica: resezione in monoblocco con margini adeguati e ben definiti in tessuto sano. Vi sono però estensioni tumorali ed aree anatomiche che costringono a qualche compromesso, richiedendo una rimozione a parti staccate e dei margini di tessuto sano esigui, in particolare a livello di seno cavernoso, clivus, orbita. Da qui l'importanza di una integrazione terapeutica postoperatoria. Il trattamento chirurgico profilattico delle aree linfatiche cervicali non trova indicazioni.

Modalità chirurgiche Il tipo di resezione chirurgica varia in relazione alla sede di origine ed alle strutture coinvolte.

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Maxillectomia parziale, con possibili estensioni inferiore e mediale: indicata per neoplasie della parete mediale del seno mascellare o per neoplasie dell'infrastruttura. La tuberosità mascellare, le pareti posteriore e laterale del seno mascellare devono essere indenni. Maxillectomia totale (subtotale se la resezione dell'emipalato duro è incompleta, eventualmente allargata alla fossa infratemporale -pterigomascellare, all'orbita, ai tegumenti facciali): indicata per invasione delle pareti del seno mascellare e per estrinsecazioni oltre a queste. Etmoidectomia monolaterale subtotale per via esterna: indicata per neoplasie limitate all' etmoide anteriore. Resezione cranio-facciale: per neoplasie etmoidali anche se ancora totalmente extracraniche, ma molto contigue al pavimento della fossa cranica anteriore, per consentire una escissione con margine di sicurezza ed in tutte le neoplasie etmoidali con estensione alla rinobase fino alla dura madre.

Ricostruzione L'impiego di lembi è raccomandato per rimpiazzare i difetti da ampie escissioni cutanee, per creare sostegno all'orbita o al cervello, per separare la cavità cranica dalle vie aeree. La riabilitazione palatina può avvenire con protesi mobili (richiedono pulizia, consentono una facile ispezione della cavità chirurgica) o con lembi (non richiedono pulizia non consentono l'esame diretto del letto operatorio).

Radioterapia Il trattamento radiante come singola modalità è riservato alle forme inoperabili, o per estensione locale o per condizioni generali del paziente. Di regola, pertanto, si adotta in associazione alla chirurgia. Non vi è una preferenza tra eseguire il trattamento radiante prima o dopo la chirurgia. Il volume da trattare con RT deve comprendere la sede clinicamente evidente di malattia e le aree in cui è sospettata la presenza di malattia subclinica. La dose totale nei pazienti inoperabili varia da 50 a 70 Gy.. Non è indicato trattamento radiante profilattico del collo nei casi N0. È prevista la radioterapia post-operatoria sul collo nei casi con interessamento linfonodale.

Strategia terapeutica T1: Chirurgia + eventuale ERT se adenocarcinoma poco differenziato, carcinoma

indifferenziato, melanoma se margini di resezione infiltrati o "stretti" (<5 mm); T2,3,4: Chirurgia + ERT (nota: il ruolo della chemioterapia loco- regionale o sistemica

associata alla radioterapia con l'intento di evitare la demolizione chirurgica ed il ruolo della chemioterapia neoadiuvante prima del trattamento definitivo per migliorare i risultati in termini di sopravvivenza, sono oggetto di studio);

T inoperabili: ERT (l'associazione con chemioterapia è limitata a studi clinici) N0: nessuna terapia; N>0: svuotamento laterocervicale dei livelli da 1 a 5 + ERT.

Risultati Il controllo locale è di circa il 50%, a 5 anni la sopravvivenza libera da malattia è del 20- 25%. La sopravvivenza globale media è attorno al 35%, e quella per la specifica malattia attorno al 45%, con ampie variazioni in relazione all'istotipo (dal 70% per l'adenocarcinoma ben differenziato al 15% per il melanoma e il carcinoma indifferenziato), alla classe di T (dall' 80% ed oltre per i T1, T2 a meno del 20% per i T4), alla classe di N (meno del 20% per gli N2, N3), alla fattibilità di un trattamento con intento radicale. La radioterapia da sola, impiegata usualmente in neoplasie avanzate non resecabili per estensione od in pazienti non operabili per condizioni generali, comporta sopravvivenze a 5 anni inferiori al 20%.

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OROFARINGE

due pareti laterali, dove si trovano i pilastri tonsillari anteriore e posteriore che racchiudono una zona triangolare dove è alloggiata la tonsilla ed è delimitata in basso dal solco amigdalo- glosso;

una parete superiore, che comprende la faccia inferiore del palato molle e il velo pendulo;

una parete anteriore, composta dal terzo posteriore della lingua, o base della lingua, e dalle vallecule;

una parete posteriore costituita dal piano mucoso e dai muscoli prevertebrali.

Anatomia Patologica I tumori benigni (papillomi, fibromi, angiomi) si localizzano sui pilastri tonsillari, palato ed ugola. Possono trasformarsi eccezionalmente in neoplasie maligne. Terapia chirurgica.Come la cavità orale, l'orofaringe è interamente rivestito da mucosa ad epitelio pavimentoso, da cui deriva il 90% dei tumori maligni della regione. La presenza di numerose formazioni ghiandolari salivari minori nel palato molle e di conglomerati linfatici nel tessuto tonsillare giustifica una distribuzione differenziata del restante 10%. Così il 15% dei tumori maligni del palato molle è rappresentato da carcinomi salivari mucoepidermoidi o adenoidocistici e il 10% dei tumori maligni tonsillari da linfomi. Nei carcinomi squamocellulari, a differenza del cavo orale, prevalgono le varianti meno differenziate, inclusi alcuni carcinomi indifferenziati definiti di "tipo rinofaringeo". La diffusione per via linfatica è rara nei tumori ghiandolari, estremamente frequente nei carcinomi squamosi (55-65% dei casi), in cui l'adenopatia rappresenta talora l'unico sintomo di malattia. Tra i tumori dell’orofaringe i più comuni sono quelli della tonsilla.Sintomi ed evoluzione In fase precoce il sintomo più frequente riferito dai pazienti è costituito da un vago mal di gola. E' inoltre possibile che il paziente descriva un senso di corpo estraneo in gola che determina difficoltà alla deglutizione. Il dolore può essere anche riferito all'orecchio, quasi sempre unilateralmente. (otalgia riflessa) Il trisma è in genere un sintomo tardivo dovuto alla infiltrazione dei muscoli pterigoidei. Anche il tono nasale della voce, l'alito fetido (per ulcerazione e necrosi) e la fissità della lingua sono sintomi tardivi. Un ingrossamento dei linfonodi giugulodigastrici, più frequentemente unilaterale, è molto frequente nei carcinomi della regione tonsillare e della base lingua e può spesso costituire il sintomo di esordio della malattia. Sintomi legati a disseminazione metastatica a distanza della malattia sono, invece, molto rari alla presentazione. Inquadramento diagnostico

Visita specialistica ORL (con ispezione e palpazione) Panendoscopia Biopsia RM con mezzo di contrasto (esame di prima istanza) TC con mezzo di contrasto Rx torace Ecografia epatica Esami del sangue completi

Classificazione in categorie di T (UICC, 2002) Tx primitivo non definibile T0 primitivo non evidenziabile

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Tis carcinoma in situ T1 dimensioni massime <=2 cm T2 dimensioni massime comprese fra 2 e 4 cm T3 dimensioni massime >4 cm T4 sono invase strutture adiacenti, ad es. muscoli pterigoidei, mandibola, palato duro,

muscoli profondi della lingua, laringe La classificazione delle adenopatie è la stessa usata per le altre localizzazioni.

Chirurgia In lesioni limitate (T1) sono possibili interventi conservativi, in genere di elettroexeresi per via transorale (velopendulo, tonsilla) o, in sedi più profonde (base linguale) per via faringotomica laterale. Nel caso di neoplasie più estese gli interventi sono più demolitivi, con conseguenze funzionali più o meno pesanti; di tipo diverso a seconda della sede del tumore e della sua estensione. Nelle neoplasie della regione tonsillare (o amigdalo- glosso- palatina) a sede laterale la chirurgia comporta spesso accessi transmandibolari e ricostruzioni complesse, con impegno sostanziale della funzione deglutitiva e masticatoria e alterazioni estetico- morfologiche. Gli interventi più radicali comportano la resezione della regione tonsillare e delle parti adiacenti del palato molle e della lingua per via transmandibolare (per lo più demolitiva dell'osso), la resezione di gran parte della base della lingua. In quelle più posteriori, in genere mediane (base della lingua, regione glossoepiglottica) sono più spesso coinvolte strutture laringee (epiglottide, spazio tireoepiglottico) e interventi che implicano laringectomie parziali o totali) e quindi disturbi della funzione fonatoria: la laringectomia sopraglottica allargata alla base linguale, la subglosso- laringectomia totale, fino alla glosso- laringectomia totale. In tutti i casi si rendono necessari svuotamenti delle logge linfatiche cervicali con tecnica variabile a seconda delle caratteristiche delle adenopatie, da eseguirsi mono- o bilateralmente secondo la sede del tumore primitivo, quasi sempre in concomitanza e in continuità con quest'ultimo. Si tratta comunque di approcci chirurgici complessi, con vari gradi di difficoltà, non realizzabili in tutti i reparti di chirurgia ORL o maxillo-facciale. I risultati in termini di guarigione sul piano oncologico sono soddisfacenti anche in forme molto estese. Il prezzo pagato in termini di qualità di vita può apparire elevato, anche se si è alquanto ridotto negli ultimi anni con il miglioramento delle procedure ricostruttive. Esso giustifica la continuazione degli sforzi per ricercare trattamenti alternativi più conservativi ma non la pervicacia nel perseguire questo obiettivo.

Radioterapia Il trattamento standard viene eseguito in genere per via transcutanea, utilizzando campi contrapposti e dosi comprese fra i 60 e i 70 Gy con frazionamento convenzionale (v. tabella pag. 42). Sensibili progressi sono stati ottenuti nei carcinomi della base linguale di limitata o media estensione (T1-T2) con l'impiego della brachiterapia interstiziale supplementare ad una irradiazione esterna condotta a dosi appropriate. Per il resto sono stati saggiati in campo radioterapico trattamenti condotti con diverse modalità di frazionamento delle dosi o/ e di combinazioni con farmaci radiosensibilizzanti o/ e antiblastici. Molte delle nuove strategie si prefiggono anche di cercare di ottenere uguali o migliori risultati di quelli ottenibili con terapie convenzionali con il massimo risparmio dell'organo, in questo caso l'orofaringe, e delle strutture adiacenti, al fine di assicurare il migliore risultato sotto il profilo oncologico con la migliore qualità di vita possibile. Una ulteriore opzione terapeutica è l'associazione di radioterapia e chemioterapia. E' possibile che le due armi terapeutiche combinate migliorino i risultati, specie se usate in modo concomitante anche se costituiscono una terapia piuttosto pesante per gli effetti collaterali. L'associazione più

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usata prevede per la chemioterapia schemi di trattamento con derivati del platino (cisplatino o carboplatino) e 5-fluorouracile.

Strategia terapeutica Le terapie di scelta sono rappresentate da: chirurgia e radioterapia, da sole o combinate, e dalla chemioterapia, utilizzata sempre in combinazione con le precedenti in varie sequenze. Le varie opzioni terapeutiche possono essere considerate diversamente a seconda che siano consolidate dalla pratica clinica o siano ancora da testare con studi clinici controllati. Utilizzando quanto già noto e collaudato, è possibile riportare sinteticamente in una tabella l'elenco delle indicazioni consigliabili come terapia standard tenendo presente che i risultati di vari studi attualmente in corso potrebbero modificare significativamente l'orientamento.

* Nelle lesioni più estese rimangono in opzione trattamenti multidisciplinari programmati (RT + CT concomitanti; ERT preoperatoria)  Risultati: controllo loco- regionale e sopravvivenza a 5 anni In linea generale è possibile affermare che negli stadi iniziali di malattia (T1-2/ N0) le possibilità di guarigione con radioterapia o chirurgia non demolitiva, da sole, oscillano fra l'80% e il 70%, per tutte le localizzazioni orofaringee.

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Negli stadi più avanzati per estensione locale (T3- T4) o regionale (N1- 2-3) le possibilità di sopravvivenza a 5 anni si riducono nettamente e progressivamente con l'avanzare dello stadio andando dal 50% al 20% a seconda del trattamento eseguito. La riduzione è nettissima per i casi trattati con la sola radioterapia transcutanea (20-22%), mentre il controllo locoregionale varia dal 55% al 60% per i casi trattati con chirurgia demolitiva (raramente da sola, quasi sempre associata a RT postoperatoria).

RINOFARINGE

Il carcinoma rinofaringeo riconosce una patogenesi genetica, virale e chimica. È più diffuso in Cina rispetto a tutte le altre regioni del mondo. Abitudini alimentari, quali consumo di pesce conservato sotto sale o carne affumicata fin da giovane età, sono correlate ad un incremento di rischio con l'aumentare del consumo. È stata evidenziata la presenza del genoma del virus di Epstein Barr (EBV) nel DNA di cellule tumorali di pazienti affetti da carcinoma del rinofaringe con livelli decrescenti dal carcinoma indifferenziato al cheratinizzante.

EVOLUZIONE

1. Rinofaringe 2. Ipofisi 3. Seno sfenoidale

4. Setto nasale

1. Verso la base cranica/seno sfenoidale 2. Verso lo spazio pararinofaringeo 3. Verso la fossa infratemporale

4. Verso l'orofaringe Cenni di anatomia La rinofaringe è il segmento più rigido ed esclusivamente aereo della faringe, in comunicazione permanente con le fosse nasali. È delimitata:

anteriormente dalle coane la parete superiore, confinante con il pavimento del seno sfenoidale e la base cranica e la

parete posteriore (che poggia sul piano prevertebrale) si continuano una nell'altra con una curva diretta postero- caudalmente proiettivamente fino a livello dell'ugola (2 a vertebra cervicale)

inferiormente dalla parete posteriore del palato molle lateralmente dall'orifizio delle tube di Eustachio, il torus tubarius e le fossette di

Rosenmüller, che confinano con lo spazio para- rinofaringeo

Il drenaggio linfatico avviene inizialmente attraverso i linfonodi retrofaringei, poi quelli giugulari, spinali superiori e medi.

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Richiami anatomo-patologici ed evoluzione Carcinoma squamoso (1)Carcinoma parz differenziato non cheratinizzante (2)Carcinoma indifferenziati non cheratinizzante (3) ebv correlato

Il tipo istologico più frequente è il carcinoma squamocellulare, a sua volta suddiviso in forme cheratinizzanti e non cheratinizzanti. Le neoplasie non cheratinizzanti sono associate all'infezione da EBV e vengono suddivise in forme differenziate ed indifferenziate. Queste ultime, per la ricca componente infiltrativa linfoide (c.d linfoepitelioma), possono essere talora confuse con linfomi a grandi cellule. L'attenta valutazione morfologica ed eventualmente la caratterizzazione immunofenotipica, ne permettono il corretto inquadramento istopatologico. Nella rinofaringe è possibile anche l'insorgenza di altre forme tumorali quali linfomi, sarcomi ed adenocarcinomi

Sintomatologia E' inizialmente estremamente povera o assente, tanto che la diagnosi iniziale viene formulata sulla base della comparsa di adenopatie cervicali in oltre 1/3 dei casi. I sintomi locali più precoci sono solo di ingombro: ipoacusia unilaterale per ostruzione tubarica, otite siero mucosa da ostruzione tubarica, ostruzione nasale, piccole epistassi. Sintomo tardivo è la cefalea o la comparsa di paralisi di nervi cranici oculomotori, tra questi prevale la paralisi del nervo abducente, con diplopia. Alla diagnosi sono presenti adenopatie metastatiche in almeno 2/3 dei casi. Queste neoplasie possono anche interessare i seni paranasali (etomoide, sfenoidale) e l’orbita (attraverso la lamina papiracea dell’etmoide).

Diagnosi È indispensabile un esame clinico generale e una precisa descrizione della presenza di sintomi correlati al carcinoma rinofaringeo e della loro durata: adenopatia cervicale, cefalea, epistassi, diplopia, ipoacusia, trisma, faringodinia, calo ponderale. L'esame con fibre ottiche della cavità nasale posteriore, del rinofaringe, dell'orofaringe e dell'ipofaringe- laringe deve essere praticato di necessità. Inoltre devono essere segnalati eventuali linfonodi palpabili al collo indicando il numero, il livello (I-V), la mobilità e la grandezza.

Deve essere effettuata una biopsia rinofaringea per via endoscopica al fine della definizione istologica.

In casi selezionati è indicato un agoaspirato dei linfonodi sospetti al collo. E' sconsigliabile la biopsia escissionale linfonodale, anche se a tutt'oggi un caso su 4 arriva alla diagnosi per questa via.

Le indagini radiologiche prevedono l'esecuzione di una RM di rinofaringe base cranica - collo per definire l'estensione loco- regionale di malattia. È indicata, in casi selezionati, una TC delle medesime regioni per una miglior definizione delle strutture ossee.

Sono necessarie: una radiografia del torace (ed eventuale TC toracica se sussiste il sospetto di altre localizzazioni secondarie), una ortopantomografia e una valutazione odontostomatologica in previsione del trattamento radiante.

Negli stadi più avanzati sono indicate ecografia epatica e scintigrafia ossea. In casi dubbi può essere utile il dosaggio degli anticorpi anti EBV.

Radioterapia A differenza degli altri carcinomi della sfera ORL, il carcinoma rinofaringeo riconosce come terapia di prima scelta il trattamento radiante per via esterna essendo l'approccio chirurgico reso

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difficoltoso dal possibile interessamento della base cranica e dei nervi cranici. Anche in pazienti che non presentano adenopatie, è necessaria l'irradiazione del collo vista l'alta incidenza di metastasi linfonodali clinicamente non evidenti ed indipendenti dalle dimensioni del tumore primitivo. Considerati gli organi a rischio adiacenti alla rinofaringe, quali gli occhi, i nervi ottici, l'ipofisi, i lobi temporali, il midollo allungato, l'articolazione temporo- mandibolare e le parotidi, la programmazione del piano di cura radiante deve essere attentamente valutata. Deve essere previsto l'impiego di apparecchiature ad alta energia per l'erogazione della dose. Le dosi totali da erogare variano da 66 Gy/ 33 frazioni per lo stadio T1, a dosi uguali o superiori a 70 Gy/ 35 frazioni per gli stadi più avanzati.

Classificazione TNM (UICC, 1997)

Tossicità del trattamento radiante La complicanza acuta più rilevante durante l'esecuzione della radioterapia è la mucosite che interessa tutto il distretto faringeo, fino a limitare in circa il 20% dei casi una adeguata alimentazione. Le complicanze tardive più frequenti sono la fibrosi del collo, il trisma (~ 10%), l'otite esterna (~ 10%). Complicanze più gravi quali il deficit dei nervi cranici, l'osteonecrosi, la mastoidite, la mielite da raggi si verificano in circa l'1% dei casi. La xerostomia e le alterazioni dentarie dopo radioterapia, presenti in quasi la totalità dei pazienti, possono essere ridotte, in casi selezionati, con l'uso di tecniche di irradiazione complesse. Risultati della radioterapia Nonostante l'impiego di un trattamento radiante aggressivo con dosi totali superiori a 70 Gy, la sopravvivenza globale a 5 anni di pazienti affetti da carcinoma del rinofaringe varia dal 35% al 60%. La percentuale è superiore per gli stadi iniziali (60- 70% per T1- T2/ N0- N1) rispetto agli stadi localmente avanzati (20-50% per T3-T4/N2-N3). I pazienti che presentano metastasi a distanza alla diagnosi hanno una sopravvivenza a 5 anni prossima allo zero. È stato dimostrato un aumento del controllo locale associando alla radioterapia esterna un sovradosaggio con BRT endocavitaria limitato alla sede del tumore. Una percentuale di pazienti variabile tra il 15% e il 35% sviluppa metastasi a distanza, nonostante il mantenimento del controllo

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loco- regionale. I casi N3 hanno più possibilità di sviluppare metastasi ematologiche (fino all'80% dei casi). Numerosi studi clinici che prevedono l'associazione radioterapia- chemioterapia sono in fase di sperimentazione al fine di aumentare, in casi avanzati, la percentuale di controllo loco-regionale e di ridurre lo sviluppo di metastasi a distanza.

Chirurgia Il ruolo della chirurgia nel trattamento dei carcinomi rinofaringei è limitato al recupero di recidive dopo radio± chemioterapia: non vi sono indicazioni ad una terapia inizialmente chirurgica nè su rinofaringe nè su linfonodi cervicali. L'indicazione allo svuotamento latero- cervicale per persistenza/ recidiva linfonodale dopo radioterapia è unanimemente riconosciuta valida.

Carcinoma rinofaringeo: note riassuntive T1 N0/ N1

radioterapia convenzionale esclusiva sul tumore primitivo + catene linfonodali del collo; dose: 66- 70 Gy/ 6-7 settimane (dosi differenziate ad N in funzione della categoria).

T2- T3, qualsiasi N la radioterapia convenzionale esclusiva non ha la stessa efficacia terapeutica rispetto ai casi precedenti; l'associazione

radio-chemioterapia è in fase di valutazione; alte classi di N sono associate alla possibilità di metastasi a distanza e può essere indicata una chemioterapia adiuvante; può essere preso in considerazione il frazionamento non convenzionale del trattamento.

T4 qualsiasi N radioterapia

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