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giulia-cignacco
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Ladies and G
entlemen,
meine Damen und Herren,
Signore e Signori,
e nei piedi il ritmo
jazz
baaaand!!!
Ladies and G
entlemen,
meine Damen und Herren,
Signore e Signori,
Mesdames e Messieurs...
Quel che non vi succederà più,
è di stare lì seduti col culo su
dieci centimetri di poltrona
e centinaia di metri d’acqua,
nel cuore dell’Oceano,
e nelle orecchie la meraviglia,
e nei piedi il ritmo
e nel cuore il sound dell’unica, inimitabile, infinita...
atlantic jazz
Al clarinetto,
Sam Sleepy Washington!
Alla tromba,
Tim Tooney!
Al trombone,
Jim Jim Breath Gallup!
Alla chitarra,
Samuel Hockins!
E infine, al piano...
Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento!
Il più grande. Non esisteva quella roba, prima che la suonasse lui, okay?
Noi suonavamo musica,
lui era qualcosa di diverso.
A trovarlo era stato un marinaio che si chiamava Danny Boodmann, lo trovò in una scatola di cartone.
Trovò solo una scritta, stampata con inchiostro blu: T.D. Limoni.
Pigliò il bambino in braccio e gli disse
Avrà avuto dieci giorni.
L’avevano lasciato nella sala da ballo della prima classe.
Per tutta la vita continuò a sostenere che quel T.D. significava evidentemente
Thanks Danny. Grazie Danny.
“hello lemon!”
A quel bambino incominciò a dare il suo nome: Danny Boodmann. Poi ci aggiunse T.D. Lemon, proprio uguale alla scritta che c’era sulla scatola.
“L’ho trovato nel primo anno di questo nuovo,
fottutissimo secolo, no? lo chiamerò Novecento.
adesso è un nome.”
A trovarlo era stato un marinaio che si chiamava Danny Boodmann, lo trovò in una scatola di cartone.
Sul pianoforte.
“hello lemon!”
A quel bambino incominciò a dare il suo nome: Danny Boodmann. Poi ci aggiunse T.D. Lemon, proprio uguale alla scritta che c’era sulla scatola.
“L’ho trovato nel primo anno di questo nuovo,
fottutissimo secolo, no? lo chiamerò Novecento.
adesso è un nome.”
Danny Boodmann fece ancora il marinaio per
anni, mesi e giorni.
Così,
d’improvviso, Novecento divenne orfano per la seconda volta.
E quanto alla terra, be’, non ci aveva mai messo piede, L’ c e a n o e r a c a s a s u a .non aveva patria, non aveva data di nascita, non aveva famiglia.
Alla fine del viaggio in cui Danny morì, il capitano chiamò le autorità portuali e lo cercarono per tutta la nave, per 2 giorni.
8 211
Danny Boodmann fece ancora il marinaio per
anni, mesi e giorni.
Così,
d’improvviso, Novecento divenne orfano per la seconda volta.
Era sparito.
La seconda notte di viaggio, Barry, il nostromo, entrò come un pazzo nella cabina del comandante, svegliandolo e dicendogli che doveva assolutamente venire a vedere.
Aveva anni ma ufficialmente non era mai nato.
8
non to
ccavano nemmeno per terra
.
S
uonava non so che diavolo di m
usica,
m a p i c c o l a e . . . b e l l a .
Novecento, tutto
questo è
assolutamente contra
rio
al regolamento In
culo il
regolamen
to
Il comandante attr
aversò a passi
decisi il s
alone: Si fe
rmò so
lo quando arrivò al p
ianoforte. Salone da ballo
della prim
a classe.
Novecento.
Stava se
duto sul se
ggiolino del p
ianoforte,
c
on le gambe che penzolavano giù,
Novecento, tutto
questo è
assolutamente contra
rio
al regolamento In
culo il
regolamen
to
Il comandante attr
aversò a passi
decisi il s
alone: Si fe
rmò so
lo quando arrivò al p
ianoforte.
In piena notte.
Primo viaggio, prima burrasca.
alla fine mi persi.
Me ne andai fuori dalla cabina
e
Vieni.
Quella notte mi guardò, sorrise, e mi disse:
Arrivammo nella sala da ballo, vicino al pianoforte.
Non c’era nessuno in giro. Novecento mi indicò il pianoforte.
La nave ballava che era un piacere,
facevi fatica astare in piedi, era una cosa senza senso.
Togli i fermi.
Se ti fidi di me, toglili.
E adesso vieni a sederti qua e
non avre paura
La verità dei fatti è che quel pianoforte inco-
minciò a scivolare sul legno della sala da ballo,
e noi dietro a lui, con Novecento che suonava,
e il piano seguiva le onde e andava e tornava,
e si girava su se stesso, sembrava che il m
are
lo cullasse, e cullasse noi, e Novecento suona-
va, non smetteva un attim
o.
E m
entre volteggiavamo tra i tavoli, sfioran-
do lampadari e poltrone, io capii che in quel
mom
ento, quel che stavamo facendo, era dan-
zare con l’Oceano, noi e lui, ballerini pazzi, e
perfetti, stretti in un torbido valzer, sul dorato
parquet della notte. Oh yes.
Quella notte N
ovecento e io
diventamm
o amici.
Una
vol
ta c
hies
i a N
ovec
ento
a
cosa
dia
volo
pen
sava
, men
-tr
e su
onav
a,
e in
som
ma
dove
fini
va, c
on la
te
sta,
men
tre
le m
ani
gli
an-
dava
no a
vant
i e
indi
etro
sui
ta
sti.
Ogg
i so
n fi
nit
o in
un
pa
ese
belli
ssim
o,
le
don
ne
avev
ano
i ca
pelli
pr
ofu
mat
i,
c’er
a lu
ce d
appe
rtu
tto
ed e
ra p
ien
o di
tig
ri
Via
ggia
va, l
ui. E
ogn
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lta
fi-ni
va i
n un
pos
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so:
nel
cent
ro d
i Lon
dra,
su
un t
reno
in
mez
zo a
lla c
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gna,
su u
na m
onta
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così
alt
a ch
e la
nev
e ti
arr
ivav
a al
la p
anci
a,
nella
chi
esa
più
gran
de d
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mon
do.
Era
dif
ficile
cap
ire
cosa
mai
po
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e sa
pern
e lu
i di c
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nev
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di t
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m
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do
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va
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nella
chi
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gran
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Era
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m
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ceso
, da
quel
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ave.
Il
mon
do
non
l’ave
va
vist
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ai.
Ma erano ventisette anni che il mondo passava su quella
nav
e
ed erano ventisette anni che lui, lo spiava.E gli rubava l’a
nima
Novecento, perché cristo non scendi, una volta,
anche solo una volta, perché non lo vai a vedere,
il mondo,
con gli occhi tuoi, proprio i tuoi. tu potresti fare quello che vuoi,
suoni il pianoforte da dio,
impazzirebbero per te,
ti faresti un sacco di soldi,
e potresti sceglierti la casa più bella che c’è,
ma te la metteresti dove vuoi,
in mezzo alle tigri, o in Bertham Street...
tu sei grande, il mondo è lì.
c’è solo quella fottuta scaletta da scendere,
qualche stupido gradino, cristo, c’è tutto alla fine di quei gradini,
tutto.
Novecento... Perché non scendi?
È meglio che non ci pensi, se no ci esci m
atto.
Quando ti svegli, un mattino, e non la am
i più.
Quando apri il giornale e leggi è scoppiata la guerra.
Quando vedi un treno e pensi io devo andarmene da qui.
Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che sei vecchio.
Quando, in mezzo all’Oceano, Novecento alzò lo sguardo e m
i disse:
A New York, fra tre giorni, io scenderò da questa nave
Devo vedere una cosa, laggiù
Quale cosa?
Il mare
Sono trentadue anni che lo vedi, il mare, Novecento Da qui. Io lo voglio vedere da là. Non è la stessa cosa
Va be’, aspetta di essere in porto, ti sporgi e lo guardi per bene. È la stessa cosa Non è la stessa cosa.Posso rimanere anche anni, qua sopra, ma il mare non mi dirà mai nulla. Io adesso scendo, vivo sulla terra per anni, divento uno normale, poi un giorno parto, arrivo su una costa qualsiasi, alzo gli occhi e guardo il mare: e lì, io l’ascoltero gridare
Devo vedere una cosa, laggiù
Quale cosa?
Il mare
Sono trentadue anni che lo vedi, il mare, Novecento Da qui. Io lo voglio vedere da là. Non è la stessa cosa
Va be’, aspetta di essere in porto, ti sporgi e lo guardi per bene. È la stessa cosa Non è la stessa cosa.Posso rimanere anche anni, qua sopra, ma il mare non mi dirà mai nulla. Io adesso scendo, vivo sulla terra per anni, divento uno normale, poi un giorno parto, arrivo su una costa qualsiasi, alzo gli occhi e guardo il mare: e lì, io l’ascoltero gridare
E intanto
lui, f
ermo, c
on un piede sul s
econdo gradino e uno su
l terzo
. Se ne ri
mase
così per u
n tempo etern
o. Guard
ava davanti a sé
, sembra
va che cercass
e qualcosa.
Quando rialza
mmo gli
occhi verso
la sc
aletta, v
edemmo Novecento
, che ri
saliv
a
quei due gra
dini, con le
spalle
al mondo.
Cercai il Virginian.
Salii sulla nave,
la girai da cima a fondo,
scesi alla sala macchine,
mi sedetti su una cassa che aveva l’aria di essere piena di dinamite,
e rimasi lì,
in silenzio,
senza sapere cosa dire.
Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento
Mica era sceso,
sarebbe saltato insieme a tutto il resto,
in mezzo al mare.
Gran finale,
con tutti a guardare,
dal molo, e da riva,
il grande fuoco d’artificio,
adieu,
giù il sipario,
fumo e fiamme,
un’onda grande,
alla fine.
Cercai il Virginian.
Salii sulla nave,
la girai da cima a fondo,
scesi alla sala macchine,
mi sedetti su una cassa che aveva l’aria di essere piena di dinamite,
e rimasi lì,
in silenzio,
senza sapere cosa dire.
Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento
Mica era sceso,
sarebbe saltato insieme a tutto il resto,
in mezzo al mare.
Gran finale,
con tutti a guardare,
dal molo, e da riva,
il grande fuoco d’artificio,
adieu,
giù il sipario,
fumo e fiamme,
un’onda grande,
alla fine.
Tutt
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ella
cit
tà...
non
se
ne
vede
va la
fin
e...
La
fine,
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i fe
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ra u
na
fine.
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u p
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Tu,
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Cristo, ma le vedevi le strade? Anche solo le strade, ce n’era a migliaia,
come fate voi laggiù a sceglierne una.
A scegliere una donna. Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire. Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla? A viverla...
Io sono nato su questa nave. La terra è una nave troppo grande per me. È un viaggio troppo lungo. È una musica che non so suonare.
Perdonatemi. Ma io non scenderò. La paura di farlo. Diventi matto, qualcosa devi farlo. E io l’ho fatto. Prima. L’ho immaginato, ogni giorno per anni.
Dodici anni.
Io, che non ero stato capace
di scendere da questa nave, per salvarmi sono sceso dalla mia vita.
Gradino dopo gradino. ogni gradino era un desiderio.
Per ogni passo, un desiderio a cui dicevo addio.
I desideri stavano strappandomi l’anima. Potevo viverli, ma non ci son riuscito.
Allora li ho incantati.
E a uno a uno li ho lasciati dietro di me.
Tutte le donne
del mondo le ho incantate suonando
una notte intera per una donna, una, le mani senza un gioiello, le gambe sottili, on-
deggiava la testa al suono della mia musica, senza un sorriso,
senza piegare lo sguardo, quando si alzò non fu
lei che uscì dalla mia vita, furono tutte
le donne del mondo.
Il padre che non sarò mai l’ho incantato guardando un bambino morire, per giorni, seduto accanto a lui, senza perdere niente di quello spettacolo tremendo bellissimo, volevo essere l’ultima cosa che guardava al mondo, quando se ne andò, guardandomi negli occhi, non fu lui ad andarsene ma tutti i figli che mai ho avuto.
La terra che era la
mia terra, da qualche parte nel
mondo, l’ho incantata sentendo cantare
un uomo che veniva dal nord, e tu lo ascol-
tavi e vedevi, vedevi la valle, i monti intorno,
il fiume che adagio scendeva, la neve d’inverno, i
lupi la notte, quando quell’uomo finì di cantare finì
la mia terra, per sempre, ovunque essa sia. Ho det-
to addio alla rabbia quando ho visto riempire questa
nave di dinamite, ho detto addio alla musica, alla mia
musica, il giorno che sono riuscito a suonarla tutta in
una sola nota di un istante, e ho detto addio alla gioia,
incantandola, quando ti ho visto entrare qui.
Ho sfilato via la m
ia vita dai m
iei desi
deri.
Se tu potes
si ris
alire il
mio cammino, li
trovere
sti uno dopo l’a
ltro,
incantati,
immobili.
È dinamite quella che hai sotto
il culo.
Alzati da lì e
vattene. È finita.
Questa volta è finita davvero.
Ho sfilato via la m
ia vita dai m
iei desi
deri.
Se tu potes
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mio cammino, li
trovere
sti uno dopo l’a
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incantati,
immobili.
È dinamite quella che hai sotto
il culo.
Alzati da lì e
vattene. È finita.
Questa volta è finita davvero.