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4 È forse nelle ultime parole di Nerone morente che si racchiude la chiave per comprenderel’architettura neroniana. Artifex, infatti, è la radice di artificio, artificioso, ma anche di fuochiartificiali, e se i due primi termini soffrono ancora di una lettura pregiudizialmente negativa, èdifficile trovare chi possa sottrarsi alla fascinazione pirotecnica. Eppure, anche dei fuochi artificialipiù fantasmagorici, a fine spettacolo rimane giusto un abbaglio, una scia di fumo, e un po’ dipolvere. A voler essere rigorosi, infatti, dell’architettura di Nerone non conosciamo granché; anzi,di tutta l’architettura giulio-claudia pochissimi sono gli edifici che possano essere datati concertezza assoluta all’uno o all’altro dei successori di Augusto, figuriamoci quindi a voler sceveraretra Nerone, Galba, Otone (che pure spese cifre folli nei suoi pochi mesi di regno per proseguire ilcantiere della Domus Aurea), Vitellio, o, addirittura, interventi flavi (in particolar modo di Tito).Se poi volessimo postulare un’architettura neroniana, intesa come una cifra particolare checaratterizzi l’architettura dell’Impero negli anni tra il 54 e il 68 d.C., dovremmo fare i contiindifferentemente con edifici neodorici ad Efeso o con gli stucchi di ordine ibrido del restauro deltempio di Apollo a Pompei dopo il terremoto del 62 d.C. Proprio le città vesuviane, da sempreconsiderate “quasi speculum Urbis”, e comunque campo di osservazione ideale per quasi ognifenomeno del mondo romano, offrono la prova di una certa vischiosità delle datazioni, chepossono scivolare facilmente dal regno di un imperatore a quello di un altro (per non parlare delfatale anno 69, che vide 4 imperatori) se non ci sono cardini storici o epigrafici a porre puntifermi. Attualmente peraltro anche lo spartiacque del terremoto del 62 viene messo in discussione,non solo come data (si è proposto di spostarla al 63), ma come evento-crisi di un sistema sociale edella sua architettura, preferendo vedere nei cantieri interrotti dal Vesuvio non più l’onda lunga diuna catastrofe remota, ma il normale sviluppo di una storia edilizia. Da un altro punto di vista,però, questa assenza di definizione dell’architettura giulio-claudia può essere letta in positivo,ovvero come cifra del periodo in cui il “classicismo” augusteo, inteso come norma stabilita non perlegge ma per propria auctoritas, si evolve prima in senso manierato (imitazione), poi manierista(approfondimenti e varianti), fino allo scatto inventivo di età flavia, quando nuove e diverseesigenze politiche imporranno altrettanto nuove e diverse forme architettoniche. Interrogarsisull’architettura neroniana acquista allora un senso, per sistematizzare una prassi costruttiva(tecnologie), edilizia (tipologie) e architettonica (exempla), che scorreva sui binari saldamentestabiliti da Augusto, e dai quali si deragliava solo in circostanze estremamente rare e specifiche, permotivi incidentali, spesso dovuti alla lontananza dal centro del potere o a specifiche condizioni locali.Agli estremi orientali dell’Impero, ad esempio, in Caria, ad Afrodisias, tra l’età tiberiana e l’etàclaudia si sta realizzando uno dei monumenti più spettacolari che ci sia pervenuto della romanità,

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Q U A L I S A RT I F E X P E R E O .L ’ A R C H I T E T T U R A N E R O N I A N A

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strettamente legato peraltro alla figura dell’Imperatore: il Sebasteion. Si tratta di un complessocostituito dal tempio di Afrodite Promètore o progenitrice, il tratto di strada monumentale che loraggiunge e del propylon che marca l’attacco (peraltro sghimbescio) di questa con il principale assestradale della città. Mentre il tempio è un tempio imbarazzantemente ordinario, prostilo esastilocome centinaia di altri nell’Impero, il propylon è la più antica facciata monumentale, costruita apuri fini decorativi, che ci sia pervenuta. Se è esatta la ricostruzione che ne viene proposta, ilmarmo è usato ai limiti dell’ammissibilità statica, in quella che si sarebbe tentati di bollare comeun’architettura fantastica, più adatta al quarto stile pittorico in gestazione proprio negli stessi anni:la larghezza della sede stradale è spartita in tre da una coppia di tetrapili su podio, a due ordinisovrapposti, che formano una facciata a timpano spezzato; trabeazioni preoccupantemente esili lacollegano a due ali estreme che ne ripetono, libere nell’aria, il motivo architettonico. Appenaoltrepassato questo diafano schermo, più che una strada, una corte stretta e lunga (14 x 90 metricirca) ha come fondale il tempio, costruito sull’unica eminenza disponibile sul sito oltre quella delteatro, ma tutto l’interesse è per le due pareti longitudinali, costituite da tre ordini sovrapposti dicolonne canonicamente doriche, ioniche e corinzie, che al pianterreno danno accesso a vani maiutilizzati fino al tardo antico, e ai piani superiori intelaiano duecento rilievi a soggetto mitologico,allegorico e politico. Che tutto questo non sia farina del sacco degli Afrodisiensi, per quantostraordinari artigiani del marmo, lo prova non soltanto la serie di allusioni puntigliosamente up todate: Claudio che conquista la Britannia e Claudio che viene conquistato da Agrippina, Agrippinache incorona Nerone, Nerone che conquista l’Armenia (chissà se Tiridate era mai passato perAfrodisia...), ma anche per le cinquanta figurazioni di popoli soggetti a Roma, dall’Atlanticoall’Arabia, tra cui i Pirusti, che oggi figurano anche su Wikipedia, ma di cui è difficile che adAfrodisia si fosse mai sentito parlare: si trattava infatti di popolazioni stanziate tra le Bocche diCattaro e il Montenegro. Se una città modesta e provinciale, come Afrodisia era ancora alla metàdel primo secolo dopo Cristo, poteva esibire monumenti del genere, cosa facevano i Giulio-Claudiia Roma? Ebbene, per quanto possa sembrare strano, nei primi cinquant’anni della nostra era,Roma è ancora la Roma di Augusto: i due Cesari successivi, Tiberio e Caligola, non avrebberointerferito in grande stile sul centro monumentale, già saturo. La città ha un ruolo promotore,esporta nel mondo romanizzato modi e modelli, e nessuno può prevedere che sia in atto una vera epropria rivoluzione. Già in età tiberiana, infatti, si avrà la prima affermazione su vasta scala di una“nuova” tecnica costruttiva, ancora fino a età augustea impiegata solo per usi specifici come lepareti curve a stretto raggio, per il notevolissimo costo di uno dei suoi componenti. L’opustestaceum, in italiano il laterizio, altro non era che il già sperimentatissimo opus caementicium, ilcui paramento, però, anziché essere costituito da tufelli più o meno regolarizzati e più o menoregolarmente disposti (opus incertum, opus quasi reticulatum, opus reticulatum), è costituito dimattoni di argilla cotta. Il rifornimento e il costo della legna per la cottura (più il mattone venivacotto a temperatura elevata, migliori erano le sue caratteristiche tecniche) aveva probabilmenterallentato il suo impiego, ma le immense disponibilità dell’Augusto rendevano il problematrascurabile: le mura dei Castra Praetoria, l’accampamento della guardia imperiale, oculatamentetenuto fuori dalla città, sono in opera laterizia. Questa nuova tecnica verrà impiegata anche per uncantiere ancora poco noto, ma di cui M. Antonietta Tomei parla in questo stesso catalogo, e di benaltro impegno costruttivo: la cosiddetta Domus Tiberiana, ovvero il palazzo in cui i discendenti diAugusto incarnarono la nuova dimensione autocratica di Roma. Mentre la retorica ufficiale(peraltro riportata da Svetonio un secolo dopo) voleva Augusto inquilino di una modesta dimorapriva di marmi e appena degna di un privato cittadino, un progetto modularmente concepito esostanzialmente unitario, impensabile al di fuori dell’ambito della famiglia imperiale, venivarealizzato sulla metà settentrionale del Palatino, non accorpando, ma sostituendosi alle case deimembri della famiglia imperiale. Da questo palazzo, probabilmente già in funzione, Caligola conuna serie di ponti levatoi sui tetti delle case e dei templi sottostanti raggiungeva il tempio di GioveCapitolino e nei criptoportici di questo palazzo trovò la morte per mano di Cassio Cherea. Unpalazzo dinastico, che non escluderà l’esistenza di altri palazzi, contemporanei e futuri, che ad essoverranno collegati da giardini o da criptoportici, in cui si sperimenteranno formule architettonicheche possono rappresentarne un’evoluzione o un’alternativa. Un palazzo bloccato, geometrizzato,ma del cui elevato, purtroppo, non abbiamo al momento alcuna traccia, salvo sapere che eradotato di una (probabilmente maestosa) facciata con fastigio e scalinata: è su questi gradini che

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sarà incoronato Nerone. È abitando in questo palazzo che Nerone si occuperà di architettura inprima persona, elaborando progetti di un fuori scala che sembra inconciliabile con qualsiasipratica nel quotidiano e progetti totalmente calati nella realtà, come dimostrò dopo l’incendio del64, emanando tutta una serie di prescrizioni, oggi diremmo un vero e proprio regolamentourbanistico, che perfezionò quello preesistente di Augusto e fu solo ritoccato da Traiano, mettendole premesse per il volto di Roma imperiale. Ma a dire il vero tutto il progetto della Domus Aurea ,di cui si parla diffusamente in questa stessa sede, è il progetto di riforma di una Roma definita daTito Livio “magis occupata quam divisa”, più un accampamento di zingari che una cittàpianificata, nella capitale degna di primeggiare su Alessandria d’Egitto, fino allora la città più belladel mondo antico. Non è purtroppo possibile analizzare la grande architettura a scala geografica,di cui Nerone fu insuperabile propositore, solo perché ne risulta una cronaca di conati rimastisenza forma, ma il solo elenco giustifica l’epiteto affibbiatogli da Tacito di incredibiliumconcupitor, smanioso di cose impossibili: il taglio dell’istmo di Corinto, il congiungimento diPozzuoli ad Ostia attraverso canali navigabili, portare il mare fino a Roma, esplorare il Caucaso o ilcuore dell’Africa (e un eventuale successo avrebbe comportato l’apertura di strade). Ma, comeriportava Filostrato, queste sono cose da semidio. A scala territoriale, invece, Nerone se la cavavabenissimo, come dimostra una delle sue prime imprese architettoniche, la villa di Subiaco, cheperò va inquadrata in un fenomeno già in atto. Se viaggiare era un’incognita per qualsiasi abitantedel mondo antico, per il sovrano di Roma allontanarsi dal Palatino poteva significare lasciar spazioa potenziali usurpatori, lo aveva sperimentato pochi anni prima Tiberio con Seiano. Pure, senzafare psicanalisi spicciola, il bisogno di evasione è un anelito incoercibile dell’anima umana: aquesta esigenza la cultura tardo-ellenistica oramai robustamente romanizzata aveva dato sfogo conl’ars topiaria, l’arte di rimodellare la natura per ricreare, in un contesto diverso da quello originalee perfino urbanizzato, i paesaggi dell’epica, dell’idillio e della mitologia. Sperlonga e Capri sonoesempi di un genere che fino ad età augustea contava vari estimatori nel ceto dei ricchissimi edegli aristocratici (dalle cui fila peraltro proveniva lo stesso Tiberio), ma che, disapprovato daAugusto, che smontò gli splendidi giardini che Vedio Pollione gli aveva lasciato in eredità per farneun portico aperto al pubblico, sembra per un certo periodo essere rimasto appannaggio dellafamiglia imperiale. Caligola, come già accennato, si esibì più in costruzioni effimere (il ponte suitetti di Roma, un ponte di barche da Baia a Pozzuoli), di cui le più interessanti sono le famose navidi Nemi, il cui livello di raffinatezza è pari solo a quello dell’idea di navigare nell’assoluto silenziodel cratere lacustre immerso nel Nemus Aricinum, al chiarore della luna piena. Sub laqueum,Subiaco, trae il suo toponimo dal lago creato da Nerone (come Sperlonga dalla spelunca, la grottadi Tiberio) per avere, a meno di un giorno di viaggio da una Roma troppo urbanizzata, unpaesaggio come quelli di Ludius (o Studius) che forse ancora ornavano il suo palazzo. Rocce comesculture e sculture tra le rocce, padiglioni un po’ irreali e ponti più sottili e aggraziati di quelli fattiper far passare l’esercito, tra boschi impervii e cielo mutevole, il tutto riflesso nell’acqua più freddae più verde del Lazio. La pittura contemporanea ci offre centinaia di immagini come quella cheevochiamo, perché i gusti dell’imperatore facevano sognare il popolo, e chi poteva cercava diadeguarvisi. Non potendo vivere a Subiaco (giusto Benedetto da Norcia ci riuscirà, mezzomillennio dopo, ma era un santo e per di più in vena di automortificazione) Nerone cerca diannettere alla dimora Palatina i Giardini di Mecenate sull’Esquilino, e inventa la casa di passaggio,la Domus Transitoria. A pensarci bene, vicino Roma ne esiste ancora oggi una validissima replica,significativamente extraterritoriale: a Castelgandolfo il Sommo Pontefice abita nel PalazzoPontificio in pieno centro abitato; un passaggio sospeso gli permette di raggiungere la villa Cybo,ove potrebbe trovare la piscina olimpionica edificata per Papa Wojtyla (le terme?), oltre al bizzarrogiardino a scalinate degli antichi signori di Massa, oppure, tramite un altro cavalcavia recarsi neimeravigliosi giardini della villa Barberini, dove potrebbe passeggiare in perfetta solitudine fino adAlbano: il tutto senza uscire dal territorio vaticano. Se è possibile oggi, era ancora più facile inantico, quando robusti pretoriani armati fino ai denti vigilavano sul loro sovrano (o lo tenevano inostaggio, a seconda dei casi) e “dissuadevano” i romani in maniera più pittoresca di quanto facciaora un manipolo di garbate guardie svizzere equiparate a vigili urbani. Della Domus Transitoria,definita spesso “casa a festone”, o “festone di case”, per la discontinuità del suo impianto, cheperaltro impegnò Nerone nei suoi primi dieci anni di regno, si parla diffusamente nel catalogo.Qui interessa invece riesaminare le riflessioni di L.F. Ball, uno dei pochissimi studiosi che abbia

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potuto occuparsi a fondo della sola grande realizzazione neroniana sopravvissuta, il palazzo delColle Oppio, quello che oggi sopporta da solo e in condizioni abissalmente diverse da quelleoriginali, il nome di Domus Aurea. Fino alla pubblicazione di Ball, The Domus Aurea and theroman architectural revolution, Cambridge 2003, quello che aveva sempre colpito gli studiosi diarchitettura romana era la straordinaria irrequietezza planimetrica dell’insieme, costituito da dueali, una cosiddetta orientale, oggi ricostruita come un corpo di fabbrica a due piani, con al centrola sorprendente sala ottagonale con ambienti satelliti, esaltato da due cortili mistilinei e due breviali estreme, ed un’ala cosiddetta occidentale, costituita da un grande peristilio verso il colle su cui siaffacciano tre lati di ambienti rigorosamente ortogonali; il contatto tra le due lati è una lineaspezzata che genera ambienti monchi, asimmetrici, oscuri. Solo la fretta, dovuta ad eventi storiciconvulsamente vicini, avrebbe obbligato gli architetti a non risolvere quei nessi architettoniciinsensati, quegli spessori pletorici e quei labirinti oscuri, di cui ci si rende conto solo in pianta:l’augusto abitatore in quelle zone buie non avrebbe mai messo piede. Si è comunque sempre lettol’edificio nel suo complesso, come prima grande e innovatrice realizzazione dell’architetturaromana in laterizio, con particolare riguardo alla famosa sala ottagona, esaltandone i valori spaziali(la sala ottagona anticipa le più importanticostruzioni del primo millennio, dal c.d. Ninfeo degliHorti Liciniani o tempio di Minerva Medica, alla chiesa di San Vitale a Ravenna, alla CappellaPalatina di Aquisgrana), luministici (a prescindere dall’oculo centrale di sei metri di diametro, gliambienti satelliti appaiono illuminati”magicamente”, senza alcuna finestra visibile, grazie a bocchedi lupo aperte rasente l’estradosso della cupola centrale), tecnologici (le immense piattabandeannullano le pareti; le spinte della cupola sono scomposte e sopportate da una raggiera di muriche si irradiano dagli spigoli). Meno piaciuta l’ala occidentale, meglio accettata da quando laFabbrini ne aveva postulata una uguale e contraria ad est. A questo punto è necessaria una brevedigressione. La scoperta, all’interno del palazzo dell’Oppio, di muri appartenenti ad edifici piùantichi (Fabbrini, ma è ancora da dimostrare che si trattasse di horrea o di altri edifici utilitaristici)ha portato Ball a configurare l’ideatore della Domus Aurea capace di dominare mentalmente egraficamente il suo progetto fino al punto di risparmiare, di edifici preesistenti, solo i muri che glisarebbero serviti, salvo scavarli e risagomarli qua e là, procedimento non impossibile néindimostrabile, ma in questo caso ingiustificabile. I relitti degli edifici preesistenti, infatti, nonconservavano decorazioni di pregio, memorie o feticci di situazioni pregresse di cui si volessesfruttare l’auctoritas, non risultano staticamente determinanti, sono in percentuale minima, mafortemente fastidiosa per l’intero complesso, tanto che, anche ammessane la casuale possibilità diriutilizzo, sarebbe infinitamente più semplice abbatterli e ricostruirli. L’unica strada per giustificarela presenza, sempre perimetrale rispetto a un nucleo architettonico del palazzo, di questi “fossili” diuna situazione preesistente, è leggerli come tali: costituiscono gli ultimi indizi di fasi successive diaccrescimento di un progetto tutt’altro che unitario, di cui possediamo l’ultima redazione, che nonè necessariamente la somma algebrica delle precedenti.. Ball infatti sottolinea come ognitrasformazione non si sovrapponga mai alla precedente prima che questa sia completamenteterminata, come a dire che le evoluzioni sono dovute ad un cambiamento o ad un progressivoaffinamento del gusto, e avvenivano solo dopo aver sperimentato ciò che ancora non era stato vistomai. Si può pertanto riconoscere nell’ala orientale del palazzo dell’Oppio uno dei padiglioni dellaDomus Transitoria, al limite di quegli Horti di Mecenate che Nerone ambiva annettere al Palatino,ove i giardini erano un po’ risicati; incastrata originariamente tra un salto di quota certamentevoluto, se non cercato, ed edifici la cui destinazione servile non è accertata, si potrebbe addiritturaipotizzare che questi ultimi sostenessero ambienti di più alta qualità al livello superiore, che eraforse quello principale, e che rimasero in essere, opportunamente modificati, per tutta la durata diuna prima fase architettonica. Quando, probabilmente proprio per l’incendio del 64, ci furono lecondizioni per rimuoverli, la loro impronta rimase inamovibile, condizionando lo sviluppo perfinodella nuova ala occidentale, così regolare e apparentemente priva di condizionamenti visibili. Alcontrario, questa nuova ala dovette inserirsi tra un confine occidentale preesistente (e non èescluso che dietro quel muro non vi fossero già le terme che anni dopo, col nome di terme di Tito,sarebbero state aperte al pubblico sudato del Colosseo) ed il limite spezzato e ora si immodificabile(pena la perdita della preziosissima decorazione) dell’ala orientale. L’ala occidentale costituirebbequindi l’intervento che trasformò un padiglione della vecchia Domus Transitoria in uno dei puntipiù importanti della nuova Domus Aurea: riconoscere questo metodo di reimpiego di quanto

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possibile della casa precedente ci permette di capire meglio come in soli tre anni si potesseinaugurare un progetto così immane, perché Otone dovesse ancora spendervi milioni di sesterzi,per far poi dire alla moglie di Vitellio che quella casa mancava di confort. Ciò giustificherebbeanche la vistosa differenza della decorazione parietale: nell’ala orientale uno stile fastosissimo,elaboratissimo, molto simile a quello dei c.d. Bagni di Livia del Palatino, oggi generalmenteritenuti neroniani, quasi certamente parte della Domus Transitoria e comunque precedenti al 64;nell’ala occidentale altissimi rivestimenti marmorei, da cui si dipartiva una vera e propriadecorazione di quarto stile. Interessantissimo, in termine di percezione estetica antica, il fatto chele mostre marmoree delle porte “rompessero” sistematicamente la decorazione pittorica dellepareti, come se vi fossero state ricavate in un secondo momento: così non è, la decorazione è stataaltrettanto sistematicamente concepita in questo modo, che evidentemente non disturbava l’occhiosquisito (o quanto meno le pretese artistiche) di Nerone (?). Che si tratti o meno degli interventipost incendio del 64 (in fondo Nerone, incoronato nel 54 e morto nel 68 per sfrenarsiarchitettonicamente ha avuto molto più tempo prima dell’incendio che non dopo) o non anchedella Domus Titi (ipotesi da tener sempre presente) potrà essere stabilito solo da una serie disondaggi archeologici opportunamente mirati (e perché no, fortunati). I contemporanei, menointeressati degli studiosi odierni alla filologia, colsero i risultati finali, il che spiega anche ilcomparire in molti quadretti del terzo stile tardivo, come quelli (ma non solo) della casa di M.Lucrezio Frontone a Pompei, di edifici molto simili alla ricostruzione proposta per il corpo centraledel padiglione dell’Oppio nella sua prima versione, ribadendo come la pittura rifletta e al massimo“canonizzi” ma non inventi l’architettura contemporanea. A Roma, quindi, e nelle immediatedipendenze come le zone vesuviane, si assiste alla sperimentazione di un’architettura di massemurarie, in cui gli ordini architettonici sottolineano – ma non costituiscono – l’invenzione. Anchedal punto di vista dell’ordine architettonico, il periodo giulio-claudio mostra il consolidarsi delpredominio dell’ordine corinzio, che si era affermato in età augustea, con una accentuazionecalligrafica dei dettagli che in età neroniana tocca un acme di perfetto equilibrio tral’accentuazione delle potenzialità decorative del capitello e il rispetto della sua immagine stabilita,anche quando qualche inserzione figurata più esuberante potrebbe evocare una voglia dirisemantizzazione che per esprimersi compiutamente dovrà attendere l’età adrianea. In mostra sipresentano due begli esemplari, uno di provenienza sublacense, l’altro palatina, che incarnanoperfettamente questa tendenza. Un ulteriore scatto inventivo, però, è dato dalla ricomparsa deipilastri a sezione rettangolare, apparsi nella c.d. basilica Emilia del Foro Romano in età augustea epoi eclissatisi, e riscontrabili nello stesso giro di anni nella Domus Aurea e dai predia di Julia Felixa Pompei. L’esemplare romano, ritrovato in pezzi in un punto imprecisato degli interri delpadiglione dell’Oppio, costituisce un unicum per il suo trattamento: quando era in opera, infatti, lesue facce, interrotte a mezza altezza da un modulo quadrato, non erano scanalate, mapresentavano scorniciature concentriche intarsiate di porfidi rossi e verdi, prevalenti per quantità eintensità cromatica sul marmo bianco del supporto. Più semplici e “standardizzati”, con le loroscanalature d’ordinanza, ma anch’essi con il modulo quadrato a mezz’altezza, i pilastri pompeianiconservano i capitelli assolutamente paragonabili, peraltro, a capitelli sporadici sempre rinvenutinegli interri della Domus Aurea. La casa di Julia Felix, peraltro, sembra voler citare in tempo realele novità più appariscenti della casa del principe, di cui forse si favoleggiava nelle fasce piùambiziose della società, come la fontana a gradini nel triclinio, o l’uso dei tartari e del mosaico apasta vitrea nelle decorazioni murali. Da Anzio proviene il sacello di Ercole del Museo NazionaleRomano, che sembra essere tra le prime manifestazioni compiute di un genere destinato amoltiplicarsi nei ninfei-fontana delle case vesuviane di età neroniana e flavia, culminando colmosaico della casa di Nettuno e Anfitrite. La polimatericità di questa decorazione non è di per séuna novità, essendo già ben nota nei ninfei tardo repubblicani, mentre lo è il prevalere del mosaicoparietale di paste vitree, il cui impiego è già peraltro attestato su vasta scala nella grotta diSperlonga e, naturalmente, nel ninfeo del Polifemo, in asse col grandioso cortile occidentale delpadiglione del Colle Oppio. Ben altri materiali erano stati usati, ad esempio, per l’intronizzazionedi Tiridate a re di Armenia sulla scena del teatro di Pompeo, ove tutto rifulgeva di oro: si èproposto di riconoscerne una pallida eco nella famosa e oggi deperitissima scenografia su unaparete della casa di Apollo a Pompei o sulle pareti dei Triclini di Murecine. Non ci si meravigliquindi di scoprire derivazioni neanche troppo lontane di quanto creato per il principe recepite con

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velocità insospettata non solo da aristocratici e plutocrati ambiziosi (la classe dei liberti allaTrimalcione, ma non si dimentichino gli onnipotenti liberti di Claudio, ancora attivi in gran partedel regno di Nerone, prima di cedere il posto ai nuovi favoriti) ma anche dai borghesi piùvelleitari: è grazie a loro che di tante meraviglie, fatte per inganno oppur per arte, è rimastoqualche ricordo.

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10 Nerone è noto soprattutto per le dimensioni e lo sfarzo delle sue residenze, in particolare gli edifici,da lui ampliati, dei suoi predecessori sul Palatino e negli horti di Roma (fig. 1). Dopo il grandeincendio del 64 d.C., tentò riunirli in un’unica struttura, la Domus Aurea, oltre ad edificaresistematicamente diverse zone di Roma.

Tacito (Storie, 15, 43, cfr. Svetonio, Nerone, 16 e Historia Augusta 5, 1-2) racconta conammirazione che dopo il terribile incendio Nerone fece ricostruire i quartieri distrutti con ampiestrade e portici che circondavano ogni isolato, lasciando aree vuote per farne piazze e prescrivendol’altezza degli edifici. Le macerie furono utilizzate per bonificare le paludi di Ostia e i porticivennero costruiti a spese dell’imperatore. Nerone ridusse la percentuale di legno utilizzato nelleinsulae a più piani a favore della pietra, refrattaria al fuoco, garantì l’approvvigionamento idricodei vari quartieri e prescrisse che presso ogni casa fosse tenuto il necessario per spegnere il fuoco.Questi provvedimenti accrebbero il decoro della città, che fino ad allora non spiccava per laparticolare qualità delle case per la plebe. Si affermò dunque uno schema che rimase determinanteanche per il periodo successivo, sebbene non mancarono le critiche di chi considerava migliorel’antica struttura, con vicoli stretti ma al riparo dai raggi del sole, come riferisce Tacito.Già in precedenza gli imperatori avevano varato provvedimenti per regolamentare la costruzionedegli edifici; sotto Nerone essi presero però forma più concreta, già solo per il fatto che bisognavaricostruire grandi aree. Abbiamo tracce di questi nuovi edifici forse sul Celio, all’angolo tral’acquedotto fatto costruire da Nerone per l’approvvigionamento del Palatino e il lato meridionaledel Tempio del Divo Giulio. Qui dopo il grande incendio del 64 d.C. furono costruite, quasi adelimitare la Domus Aurea, prestigiose insulae che riflettono tutta una serie dei criteri descritti, inparticolare i portici lungo la strada, profondi circa 6 metri (Pavolini 2006, pp. 93-101, figg. 64-65,71). Resta tuttavia oscuro in quale misura e con quale efficacia siano state attuate le nuove forme.L’ammirazione di Tacito fa comunque supporre un’attività estesa e non limitata alle immediatevicinanze della Domus Aurea.

Sebbene le nuove insulae siano sorte in conseguenza dell’incendio, Nerone già in precedenza si erapreoccupato della popolazione urbana, inaugurando nel 59 d.C. il macellum magnum (fig. 2,Cassio Dione 61, 18, 3). Possiamo avere un’idea del suo aspetto dall’immagine riportata su alcunidupondi: un edificio rotondo a due piani al centro di una grande piazza, in cui venivano venduti aldettaglio soprattutto carne e pesce ma anche beni di lusso, come testimonia l’iscrizione tombale diun argentarius (LTUR III s.v. Macellum Magnum).

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L ’ AT T I V I T À E D I L I Z I A A R O M AA L L ’ E P O C A D I N E R O N E

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La preoccupazione per il benessere fisico del popolo trovò espressione in azioni spettacolari: nel 62d.C. ad esempio Nerone fece gettare nel Tevere il frumento destinato alla plebe che era vecchio edeteriorato. Tentò inoltre di migliorare l’approvvigionamento attraverso nuove opere, tra cui gliimpianti portuali di Ostia e Portus, quest’ultimo iniziato da Claudio e riprodotto su alcune serie dimonete neroniane (fig. 3, Mattingly-Sydenham 1923). I porti e quindi l’approvvigionamento diRoma dovevano avere un ruolo molto importante per Nerone, il quale progettò di portare le muradi Roma fino ad Ostia e di fare arrivare l’acqua del mare nell’urbe (Svetonio, Nerone, 16). Iniziòanche i lavori per un canale che dal Lago d’Averno, nei pressi di Pozzuoli, arrivasse fino ad Ostiacon una larghezza tale “che due navi a cinque ordini di remi potessero navigarvi in senso contrario”(Svetonio, Nerone, 31). Accanto alla testimonianza di Tacito (Annali 15, 42), restano tracce dilunghi tratti di questo canale tra il lago di Lucrino, Cuma e Mondragone nonché nella zona diMonte Circeo, sebbene qui fossero sfruttate anche le lagune del lago di Paola. Probabilmente giàprima di Nerone si tentò di evitare attraverso un canale il viaggio intorno al promontorio(Johannowsky 1990; Johannowsky 1994; Lugli 1928). Resta dubbio se l’ampliamento di Anziocon un prestigioso porto e la colonia di veterani pretoriani (Svetonio, Nerone, 9) fosse legato aquesto sistema di canali.

Una delle maggiori aspirazioni di ogni imperatore romano era la legittimazione della propriarivendicazione di potere. Questa avveniva a diversi livelli, ma già Augusto con uno dei suoi primiprovvedimenti fece erigere in posizione dominante sul Foro Romano un tempio dedicato al padre,Giulio Cesare, divinizzato dopo la morte. Anche Nerone dimostrò la sua pietas con ladivinizzazione del padre secondo il modello stabilizzato: tenne un elogio funebre per Claudio dairostra del Foro e decretò funerali solenni (Tacito, Annali, 12, 69, 2-3; Svetonio, Nerone, 9, 1).L’apoteosi viene ironizzata nella nota Apokolokyntosis di Seneca (La deificazione della zucca) e lostesso Svetonio (Vespasiano 9) riporta che il tempio del Divo Claudio sul Celio, secondo questatradizione iniziato da Agrippina e subito dopo demolito da Nerone, sia stato terminato solo daVespasiano. Nel complesso questo quadro crea però alcuni problemi (fig. 4). Agrippina deve averiniziato la costruzione dell’edificio negli anni immediatamente successivi all’apoteosi di Claudio del54 d.C. Il tempio doveva mostrare a tutto il mondo che il suo consorte era stato accolto tra gli dei equesta divinizzazione confermava la sua pietas, allontanando da lei il sospetto di aver avvelenatol’imperatore, e soprattutto garantiva il potere alla stessa Agrippina e al figlio Nerone, adottato daClaudio.I resti archeologici mostrano innanzitutto un impianto articolato in due parti (LTUR I s.v.Claudius Divus, Templum). Il tempio era impostato su un’imponente terrazza delle dimensioni dim 205 x 160 circa, alta in parte ben oltre 10 metri. Le dimensioni del tempio, al centro dellaterrazza, tramandate solo dalla pianta nella forma urbis Romae severiana, erano invece piuttostomodeste, m 25 x 40 circa. Le indicazioni relative alla pianta fanno inoltre supporre che il tempio,circondato da siepi o file di alberi concentriche, costituisse il fulcro di un ampio parco.I resti del terrazzamento conservato sotto la chiesa dei SS. Giovanni e Paolo dovrebbero esseredatabili all’epoca di Agrippina, come testimoniano i blocchi in bugnato particolarmenteaccentuato, che trovano un parallelo solo nella Porta Maggiore, di età claudia. La sostruzione eraquindi stata terminata poco dopo l’ascesa al trono di Nerone.Resta naturalmente aperta la questione se ciò valga anche per il tempio, in quanto non ne sonoconservati resti, sebbene non sia verosimile che, dopo la costruzione di una tale terrazza, si siarinunciato a costruire il tempio, di dimensioni ben limitate, tanto più che l’edificazione dellaDomus Aurea iniziò solo dopo il 64 d.C. È invece piuttosto improbabile che Nerone abbiavolutamente distrutto l’edificio, come vuol far credere il passo di Svetonio, poiché non ne avrebbeguadagnato nulla. Il fatto che l’edificio sia stato inserito nell’area della Domus Aurea, facendoloprecedere da un’enorme fontana, la più grande di Roma fino ad allora, potrebbe essere statointerpretato piuttosto in questo senso dai contemporanei. Inoltre anche la sproporzione traterrazza e tempio potrebbe aver portato ad interpretazioni astiose. Se paragonato al tempio delDivo Giulio, infatti, questo edificio non era neppure particolarmente piccolo ma, diversamente daquesto e dal tempio del Divo Augusto, era lontano dal Foro Romano, su un’alta terrazza e inseritoin un parco. Qui dunque rispetto agli edifici precedenti con la stessa funzione è subentrato uncambiamento di significato, che sposta il culto dell’imperatore divinizzato dal centro politico

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trasformandolo in un momento di piacere per il visitatore, per cui è praticamente predestinato avenire poi integrato come “parte estrema” del vasto impianto della Domus Aurea (Marziale, Despectaculis, 2, 9-10).I primi anni di regno dell’imperatore, pertanto, invece di una presupposta cattiveria, potevanonascondere una generale trasformazione nella concezione di tali impianti templari e delladivinizzazione. Infatti la disposizione degli elementi viene in seguito ripresa nel Templum Pacis:anche qui il concetto tradizionale dei fori degli imperatori viene trasformato e arricchito conl’aspetto del parco. Comunque siano da interpretare i dettagli , nel complesso il tempio del DivoClaudio rappresenta il primo grande edificio templare di età postaugustea. Conosciamo il tempiodi Augusto, fatto costruire da Tiberio, solo dalle immagini riportate sulle monete (LTUR I s.v.Augustus, Divus, templum). L’ampia facciata del tempio del Divo Claudio era orientata allaresidenza dei primi imperatori sul Palatino e con le sue dimensioni dominava la strada che passavatra questo colle e il Celio, una via percorsa da importanti processioni, come ad esempio i trionfi o icortei funebri dei membri della casa imperiale che dal Foro raggiungevano il Campo Marzio. Lamoglie dell’imperatore, Poppea, dopo la sua morte nel 65 d.C., sebbene Nerone nel suo elogiofunebre l’abbia chiamata “madre di una figlia divina”, non venne divinizzata ma imbalsamata allamaniera dei re orientali e tumulata nel mausoleo di Augusto (Tacito, Annali, 16, 6). Anche aNerone venne prospettato dal Senato un tempio quando era ancora in vita, dopo la congiura diPisone, ma lo rifiutò.

Dopo le vittoriose battaglie contro i Parti, nel 58 d. C. il Senato fece erigere sul Campidoglio unarco trionfale che venne però inaugurato solo nel 62 d. C. Si tratta di un monumento moltoinsolito rispetto alla tradizione degli archi trionfali, con una ricca decorazione figurativa e sfarzosiornamenti, testimoniati, oltre che dalle riproduzioni sulle monete (fig. 5), da alcuni frammentimarmorei del rivestimento. A differenza degli archi precedenti, in cui il trionfatore, rappresentatoda una statua sulla sommità dell’arco, costituiva l’effettivo scopo del monumento, qui il riccodecoro con immagini illustrava ulteriormente le gesta e il programma dell’imperatore (LTUR V s.v.Tropaea Neronis).In seguito al catastrofico incendio del 64 d. C. venne distrutta gran parte del centro della città.Caddero vittima del fuoco anche il tempio di Vesta con la casa delleVestali (Tacito, Annali, 15, 41),riedificato con alcune limitazioni a favore dei portici nel vestibolo della Domus Aurea. Il tempio èriprodotto anche su una serie di sesterzi (LTUR V s.v. Vesta Aedes).

Nerone diede grande importanza alla nuova articolazione del Campo Marzio (fig. 1). Agrippa eAugusto avevano qui dato vita a una qualità urbana fondamentalmente nuova rispetto all’etàrepubblicana, inserendo la parte settentrionale di Campo Marzio con il mausoleo ed il Pantheonnella sfera urbana. Con il teatro di Pompeo e i portici annessi si erano qui già concentrati edificiper l’intrattenimento del popolo, ma anche questi impianti in età augustea erano stati ampliati convari teatri e l’anfiteatro di Statilio Tauro, le terme di Agrippa e una quantità di portici e stagni, inparte anche per i giochi, e in un’area praticamente ininterrotta aperta al divertimento del popolo. Ciò considerato non è facile definire la qualità specificamente nuova che determinò le attività diNerone in questa regione. “Cosa è peggio di Nerone? E cosa meglio delle sue terme?“ si era giàchiesto Marziale (7, 34, 4), evidenziano così ancora una volta il dilemma della nostra tradizione. Lefonti oscillano anche qui tra polemica astiosa e affermazioni panegiriche che nella loro esaltazioneoffuscano ben presto caratteristiche fondamentali delle attività. Le testimonianze archeologicherestano invece scarse o incerte nella loro attribuzione.Nella cronologia delle attività edilizie l’anfiteatro, in legno ma con una prestigiosa decorazione, fuil primo impianto ad essere edificato sul Campo Marzio sotto Nerone nel 57 d.C. Possiamo avereun’idea dell’edificio solo dalla descrizione di Calpurnio Siculo (Egloghe, 7, 23-84; LTUR I s.v.Amphitheatrum Neroni).Se possiamo dar credito a Svetonio (Nerone 12,1), i Romani, fedeli alle tradizioni, siscandalizzarono per il fatto che durante i giochi vennissero soppresse determinate regole: durante icombattimenti dei gladiatori l’imperatore non fece uccidere nessuno e fece poi esibire neicombattimenti con le spade persino 400 senatori e 600 membri dell’ordo equestre. Svetoniosottolinea indignato che alcuni di loro godevano di una fortuna e una reputazione altissima.

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Evidentemente dietro ciò si nascondeva il tentativo di sperimentare con gli edifici nuove forme dipresentazione sociale, alle quali parteciparono volontariamente rappresentanti dei singoli ordines.Altrimenti infatti non si sarebbero presentati circa i due terzi del Senato. Se a questo aggiungiamoche alcuni giovani eseguirono danze pirriche, ottenendo come compenso la cittadinanza romana,ci troviamo apparentemente di fronte al tentativo di trasferire a Roma forme greche. Ciò dovrebbevalere sia per i giochi gladiatori incruenti che per i combattimenti con le spade e spiegherebbeperché vi fosse un certo interesse anche da parte dei rappresentanti dei due ordines più elevati(Flaig, Ritualisierte Politik, pp. 254-259, parla di “rivoluzione culturale neroniana”).Vi furono poi altri due particolari irritanti: l’imperatore non presiedette infatti, come era usuale, igiochi, ma si nascose nella sua loggia, segnalando così che, seguendo la tradizione greca, nonvoleva dominarli. Aveva piuttosto previsto un comitato appositamente scelto. Malgrado tutto vifurono anche degli imprevisti, come l’episodio di Pasifae con il toro o un Icaro che al primotentativo di volo cadde schizzando di sangue addirittura l’imperatore (Coleman 1990). Se alcuni diquesti episodi si svolsero nell’anfiteatro ligneo, allora è indicativo che Calpurnio Siculo riferiscasolo di bestie feroci e della presenza dell’imperatore. Ci troviamo sempre nuovamente di fronte aconflitti nella tradizione.Con la costruzione dell’anfiteatro devono essere iniziati anche i lavori per le grandi terme,inaugurate nel 62 d.C. (LTUR V s.v. Thermae Neronianae/Alexandrinae), nel contesto deiNeronia, giochi che si tenevano ogni cinque anni, i primi dei quali risalenti al 60 d.C., i secondi al65 d.C. Tra le discipline Svetonio (Nerone 12, 3) cita la musica, la ginnastica e l’equitazione. CassioDione (61, 21) sottolinea espressamente che i Neronia, per il loro orientamento ai modelli greci,erano i primi giochi di questo tipo a Roma. Nerone riprese lo schema dei giochi greci ad esempiodi Olimpia, sottolineando ulteriormente questo riferimento con strutture quali il collegio digiudici, a cui sembra sottomettersi anche l’imperatore, e la partecipazione delle vergini Vestali, inanalogia alle sacerdotesse di Demetra ad Olimpia.Le terme ci sono note in particolare dalla documentazione di Andrea Palladio e dai resti in situ(fig. 6), interpretati da ultimo da Giuseppina Ghini. Il restauro di Alessandro Severo, che dovetteessere molto vasto, costituisce un problema in quanto risalgono a questo periodo il noto capitellofigurato conservato nel Giardino della Pigna dei Musei Vaticani e anche la maggior parte delladecorazione architettonica, e solo pochissimi resti possono essere datati in età neroniana (Ghini1988, p. 168, tav. 30). Se la disposizione della pianta corrisponde all’edificio neroniano, come èprobabile già solo per il fatto che gli assi dell’impianto si allacciano al precedente ginnasio, ilcomplesso costituì il prototipo delle successive terme imperiali, le più note delle quali sono quelledi Traiano, Caracalla e Diocleziano. Diversamente dagli impianti fino ad allora in uso, le terme diNerone si distinguevano per le immense sale e i grandi cortili. Al di là dell’enorme impegnocostruttivo e degli ingenti costi per la decorazione architettonica e le sculture, il problema erasoprattutto l’approvvigionamento di acqua e calore. Dimensione e disposizione dei vanirichiedevano grandi quantità di energia.Così era profondamente cambiato il carattere di questi impianti. Già i balnea o le terme precedenticomprendevano molti elementi che, diversamente dagli impianti ellenistici con le loro semplicivasche, permettevano grande lusso. La nuova qualità delle terme di Nerone era data dallasequenza di alte sale inondate di luce in stretto rapporto con le vasche. A queste si aggiungevanodiversi cortili, esaltando ulteriormente una qualità già propria delle terme romane ma ancoramodesta, ovvero da un lato la possibilità di incontrarsi e intrattenersi in modo informale in unambiente piacevole e dall’altro dedicarsi alla cura del corpo anche con esercizi ginnici. Questiaspetti furono connotati postivamente attraverso la decorazione, in quanto l’ampiezza delle sale e ilfacile accesso creavano una sorta di piazza pubblica, analogamente ad altri portici e piazze sulCampo Marzio.Se possiamo considerare neroniana la pianta tramandata delle terme e riferirla all’attività ediliziadell’imperatore, essa si distingue chiaramente dagli impianti successivi di questo tipo a Roma(Krencker 1929, pp. 263-265). Le grandi terme degli imperatori che seguirono erano inserite inampi cortili a loro volta annessi ad una serie di edifici subordinati. Alle terme di Nerone i cortilierano invece annessi, come si vede in modo particolarmente chiaro a sud. Queste disposizioni nonpossono essere spiegate semplicemente con la mancanza di spazio, in quanto si sarebbero potutetrovare soluzioni diverse. Si delinea piuttosto una diversa concezione per l’uso dell’edificio. Le

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grandi sale caldarium, tepidarium e frigidarium, pur formando anche qui già l’asse principaledell’impianto, per dimensioni vengono quasi raggiunte da due assi che le circondano e colleganocortili, sale e altri ambienti. Mentre successivamente tutte le sequenze e disposizioni di vani eranoorientate verso il centro, nelle Terme di Nerone le parti erano affiancate ed equiparate.La loro importanza venne ulteriormente sottolineata dai numerosi vani collegati che possonoessere interpretati come biblioteche, sale per conferenze ed esedre. Nel progetto si nota che gliarchitetti dovevano ancora prendere dimestichezza con le nuove funzioni dell’edificio. Il risaltodato ai singoli peristili ha però un effetto programmatico. Qui erano presenti diversi cortili per lacura del corpo e dello spirito come in un ginnasio greco. Le terme possono dunque essere intesecome luogo di educazione e di otium, ma appunto con la specifica sfumatura del modello greco.Questa interpretazione viene avallata dall’impianto annesso a sud alle terme. Recenti scavieffettuati nell’ambito della progettazione di una nuova metropolitana davanti alla chiesa diSant’Andrea della Valle hanno permesso a Fedora Filippi di reinterpretare scavi precedenti inquest’area e identificare l’edificio con il ginnasio di Nerone (figg. 7, 8; LTUR II s.v. GymnasiumNeronis; Filippi, in XXX). Si tratta di un peristilio lungo circa 200 metri e largo 100, checircondava una o più profonde vasche. L’impianto può essere datato in età neroniana, sebbenerestaurato in epoca successiva, e nella pianta ricorda i gymnasia greci per cui potrebbe essereidentificato con il ginnasio neroniano testimoniato da diverse fonti. Tacito (Annali, 15, 22) riportache il ginnasio bruciò poco dopo essere stato costruito e la statua di Nerone in esso contenuta siridusse ad una massa informe di bronzo. Tuttavia vede questo edificio anche come espressionedella forma greca di libertas. Filostrato (Vita di Apollonio di Tiana, 4, 42) racconta che Nerone, inoccasione dell’inaugurazione del ginnasio, cantò in uno dei suoi ambienti.Con le terme e il ginnasio Nerone voleva raggiungere una qualità della cultura greca. Sia Svetonio(Nerone 12, 3) che Tacito (Annali 14, 47) tramandano infatti un evento singolare: nel ginnasiol’imperatore fece distribuire dell’olio ai membri dell’ordo senatorius ed equestris. Poiché è esclusoche essi non avessero i mezzi per acquistarlo, si intendeva così integrare socialmente i due gruppinella vita delle terme, la cui disposizione spaziale permetteva nella stessa misura distanza eavvicinamento, cosa impensabile negli edifici precedenti. Nerone aveva dunque in mente un nuovotipo di edificio per la comunità in cui i cittadini si potessero riunire con disinvoltura.Analogamente ai giochi nell’anfiteatro questo nuovo tipo di partecipazione di tutti i cittadini ailudi veniva accompagnato da riferimenti al passato greco. Tutti dovevano curare il corpo in giochiginnici, come in passato nelle città greche e godere delle relative manifestazioni, che culminavanocon la premiazione dei Neronia. Lo stesso Nerone vi prese parte e Svetonio (Nerone, 10) e moltialtri tramandano che alle sue esercitazioni ginniche sul Campo Marzio poteva assistere anche ilpopolo. Declamò pure in pubblico e recitò poesie. Viene espressamente sottolineato che non lo fecesolo in casa sua, ma anche in teatro e sorprende leggere nella descrizione Svetonio, altrimentiostile, che lo fece “con così grande gioia di tutti, che dopo una simile esibizione furono decretatiringraziamenti agli dei e i versi da lui letti impressi a caratteri d’oro e dedicati a Giove Capitolino”.In un altro passo Svetonio (Nerone, 12) riferisce che l’imperatore durante i certamina si sedeva trai senatori al margine dell’orchestra del teatro, e qui aveva ottenuto la corona dell’eloquenza e dellapoesia latina, contesa a onorevoli concorrenti, ma quando gli fu offerta la corona di suonatore dicetra la fece portare di fronte alla statua di Augusto. Durante il concorso era seriamenteossequiente al regolamento (Svetonio, Nerone, 24; Tacito, Annali, 16, 4). Evidentemente si sforzòaffinché nell’ambito dei giochi i concorrenti avessero gli stessi diritti e incoraggiò i membri degliordines più elevati a concorrere alle gare, partecipandovi in prima persona.È ovvio che questa concezione, da un certo punto di vista quasi utopica, sarebbe rimasta in sécontraddittoria e avrebbe portato di conseguenza a molti atteggiamenti e reazioni controverse.Scandalosa rimase per i senatori e gli equites che sin dal principio rifiutarono di partecipare, nontanto la disciplina –retorica, poesia e ginnastica erano infatti praticate dalla maggior parte di loro– quanto piuttosto la rappresentazione in pubblico. Questi dubbi caratterizzano persino lo stessoNerone, in principio ancora titubante a comparire come attore nei ludi. Solo alcune attività eranotradizionalmente permesse a questi ordines. Problematico era certamente anche il fatto chel’imperatore si identificasse sempre maggiormente con questo atteggiamento, volesse averesuccesso in ogni campo e dovesse necessariamente averlo, riuscendo a conciliare sempre meno lerivendicazioni della sua concezione con il proprio atteggiamento personale. Si arrivò persino al

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punto che durante i Neronia, contrariamente alla prassi, salì sul palco con una parte dei pretorianie alcuni amici (Svetonio, Nerone, 21).I Neronia con le loro diverse discipline si svolgevano sostanzialmente in tutta Roma (fig. 1). Legare equestri non si possono che immaginare al Circo Massimo, per quelle ginniche vengonomenzionati i saepta (LTUR IV s.v. Saepta Iulia). Angelo Maria Colini aveva inoltre supposto chel’edificio dello stadio (l’attuale Piazza Navona) datato in età domizianea avesse una fase neroniana(Colini 1941, pp. 22-23.). Nell’area delle terme di Nerone si sarebbero dunque trovati vari edificiper lo svolgimento delle singole discipline dei ludi.Altre attività edilizie di Nerone sono tramandate soprattutto nell’ambito di feste e giochi. TiridateIII venne confermato nella sua dignità di re d’Armenia nel 66 d.C. a Roma all’interno di uncerimoniale estremamente sfarzoso, ma neppure la relazione di Svetonio (Nerone, 13) chiariscequanto ciò si possa interpretare come evento mediatico. Lo storico inserisce questo evento tra glispettacoli e riporta che dovette essere spostato a causa della nebbia. La prima intronizzazionevenne celebrata sui rostra, nel Foro Romano, la seconda nel teatro di Pompeo, il cui palcoscenico,secondo la testimonianza di Plinio (Storia Naturale, 30, 3) per questo giorno venne ricopertod’oro, mentre sulla vela fu intessuta l’immagine del dio del sole con il ritratto di Nerone (LTUR Vs.v. Theatrum Pompei).Per i suoi ludi e le rappresentazioni utilizzò anche gli impianti al di là del Tevere, negli hortiVaticani. Qui Caligola aveva costruito un imponente circo, il cui obelisco si trova oggi al centro diPiazza San Pietro (Liverani 1999, pp. 21-27, 131 n. 57). Probabilmente risale a questo imperatoreanche un ponte, di cui si riconoscono ancora nel Tevere i possenti pilastri, che collegavadirettamente il Campo Marzio con questi luoghi dei giochi. La definizione Pons Neronianus ètuttavia testimoniata solo successivamente, nel medioevo (LTUR IV s.v. Pons Neronianus ).Nerone utilizzò gli impianti nell’ager Vaticanus anche per gli spettacoli pubblici: qui nel 64 d.C.fece bruciare vivi i Cristiani, considerati colpevoli dell’incendio di Roma, certamente una terribilepunizione, ma forse da interpretare come uno degli spettacoli con soggetti mitici sopra citati, peresempio la fine di Troia (Tacito, Annali 15, 44). Si esibì qui anche davanti agli schiavi e alla plebenelle corse dei carri, come riporta Svetonio (Svetonio, Nerone, 22), per prepararsi alle grandiesibizioni al Circo Massimo.Il suo ritorno dall’Achaia nel 66 d. C., dove partecipò a tutti i giochi possibili, fu organizzato,secondo quanto tramandato da Svetonio (Nerone, 25) come un corteo trionfale. Approdato aNapoli gli venne aperta una breccia nelle mura poi, passando per Anzio e Bovillae (Albanum)entrò a Roma, dove nel Circo Massimo venne smantellato un arco. La processione terminò,diversamente dal trionfo, sul Palatino, davanti al tempio di Apollo.Al di fuori di Roma Nerone progettò una piscina coperta e circondata da portici che dovevaestendersi da Miseno fino al lago d’Averno e raccogliere tutte le acque termali della regione(Svetonio, Nerone, 31), probabilmente per valorizzare la regione di Baiae.La tradizione offre un quadro variegato dell’attività edilizia di Nerone che da un canto testimonial’attenzione dell’imperatore e allo stesso tempo anche i deficit nella realizzabilità di grandi progetti.Evidentemente, come per la costruzione dei canali in Italia, era l’idea ad essere in primo piano,non tanto il fatto che il progetto venisse portato a termine. A giudicare dalle restanti attivitàedilizie si ha l’impressione che con l’ausilio dei giochi volesse creare a Roma nuove forme diintrattenimento in cui il popolo potesse ritrovarsi. L’otium una volta riservato alla sfera privata,diventava ora pubblico.

Una qualità precipua degli edifici romani era la decorazione, in particolare il rivestimento dipavimenti e pareti e gli ornamenti scelti. Proprio questa qualità viene qui esaltata. Conosciamosolo pochi edifici chiaramente datati in epoca neroniana che permettano di avere un’idea di taliforme di decorazione. Si tratta soprattutto di impianti di rappresentanza, quindi gli edifici sulPalatino, la villa a Subiaco o singole parti di altri contesti (figg. 8, 9). In essi si può leggere il nuovolinguaggio delle forme che utilizza modelli diffusi in determinati settori dell’architetturaprecedente, ad esempio in edifici privati o ambienti interni di edifici pubblici, un linguaggio cherientrerebbe pertanto perfettamente nel contesto della sua epoca. Allo stesso tempo si nota peròche in queste parti di edifici di età neroniana i dettagli sono particolarmente sottolineati,guadagnando così monumentalità e rifacendosi alle modalità di articolazione della decorazione

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degli edifici pubblici tradizionali (von Hesberg 2004, pp. 64-72, figg. 94-109).Viceversa, per i pochi edifici pubblici di età neroniana di cui conosciamo parte della decorazioneornamentale, quindi ad esempio il c.d. ginnasio, le terme o l’arco di trionfo, vengono scelte formeche si distinguono chiaramente dalle modalità di articolazione precedenti e possono a loro voltaessere messe in relazione con modelli dell’architettura privata tradizionale, in particolare ledecorazioni in stucco (La Rocca 1992; Riemenschneider 1986, pp. 41-82). Evidentemente vengonoquindi superati o confusi i limiti della semantica degli ornamenti.Plinio (Storia Naturale, 36, 163) riferisce che sotto Nerone nella Domus Aurea il tempio dellaFortuna, chiamato tempio di Seiano, consacrato da re Servio, venne restaurato con una pietratrasparente proveniente dalla Cappadocia, per ottenere l’effetto che a porte chiuse, fosse inondatodi luce, come se fosse catturata all’interno di specchi (LTUR II 1995 s.v. Fortuna Seiani, aedes).Evidentemente si volevano stupire i visitatori con effetti strabilianti.È significativo che queste forme non vengano più utilizzate nell’architettura pubblica di età flavia,dove dominano capitelli corinzi e trabeazioni dalle forme tradizionali. Proprio l’ornamentazionepuò pertanto mostrare quanto gli artigiani e gli architetti in età neroniana si sforzassero di trovareun linguaggio di forme adeguato alle nuove concezioni edilizie.

Si possono dunque riconoscere nell’attività edilizia di Nerone a Roma alcune chiare tendenze.Cerca di essere all’altezza delle rivendicazioni degli imperatori e costruisce “per il popolo” (Zanker1997), tentando però in modo particolare di attuare un concetto che, proprio nel campo dei giochi,in una sfera dunque in cui aveva luogo una forma privilegiata di intensa comunicazione con ilpopolo, si distaccava dalla tradizione dominante implicando una profonda trasformazione chepareva eliminare, almeno per la durata dei giochi, i vari ordines (Flaig, Ritualisierte Politik, pp.254-259). A queste aspirazioni corrisponde il desiderio di evidenziare in modo fino allora senzaprecedenti la propria posizione come imperatore nella sua residenza. Per raggiungere questiobiettivi venne sviluppato praticamente in tutti i generi edilizi un nuovo linguaggio di forme.

Il contributo ampliato verrà pubblicato nel volume Blackwell Companion to Neronian Literature and Culture, a cura di

Emma Buckley e Martin Dinter (pubblicazione prevista per il 2012).

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18 Per molti aspetti è comprensibile che l’interesse per la Domus Aurea abbia sempre sovrastatoquello per la Domus Transitoria (De Vos 1995, pp. 199-202; Tomei 1999, pp. 10-20; Tomei 2009,pp. 172-183), come si riscontra anche presso gli autori antichi. Svetonio (Nerone, 31, 1) non ne fache un breve accenno trattando della Domus Aurea: “Ma il denaro lo sperperò soprattutto nellecostruzioni. Si fece erigere una casa che andava dal Palatino all’Esquilino e la battezzò subito ‘ilpassaggio’ e quando un incendio la distrusse, se la fece ricostruire e la chiamò ‘casa d’oro’” eneppure Tacito (Annali, 15, 39,1), che riporta dettagliatamente l’incendio del 64 d. C. e il progettodella Domus Aurea, fornisce indicazioni sull’articolazione e il tracciato della Domus Transitoria,limitandosi a scrivere: “Nerone, allora ad Anzio, tornò a Roma solo quando il fuoco si stavaavvicinando alla residenza che aveva edificato per congiungere il Palazzo con i Giardini diMecenate”.Del grande progetto della Domus Transitoria ci sono tramandati solo questi due rapidi accenni: lasua costruzione iniziò intorno al 60 d.C. e nel 64 d.C. venne distrutta o danneggiata dall’incendioche bruciò gran parte della città. In ogni caso l’impianto era minacciato dalle fiamme, come scriveTacito, e proprio questo avrebbe spinto Nerone a tornare a Roma, sebbene non sappiamo in qualefase dell’incendio, durato ben nove giorni. Si potrebbe dunque argomentare che il suocomportamento confermi le accuse che gli venivano mosse, ma non è questo il punto. Il tardatorientro di Nerone può fare piuttosto supporre che il grande progetto non fosse ancora moltoavanzato, per cui i danni causati dall’incendio sarebbero stati limitati, oppure l’impianto, dopoquattro anni di lavori, fosse già terminato e si estendesse dal Palatino agli horti sull’Esquilino, circa1 km in linea d’aria. Sia Svetonio che Tacito sono infatti concordi nel riportare che la DomusTransitoria doveva collegare il Palatino con gli horti (fig. 1).Per comprendere la finalità dell’impianto bisogna soffermarsi brevemente sullo sviluppo delPalatino e la funzione degli horti. L’apparato del potere dell’Impero romano nasceva da unacombinazione di vecchie strutture di potere repubblicane e di amministrazione familiare dei primiprincipes, si sviluppò dunque solo lentamente un tipo di residenza che potesse soddisfare ilcrescente aspetto pubblico e le rilevanti funzioni di rappresentanza del princeps. L’imperatoreAugusto risiedeva in un complesso di case aristocratiche preesistenti fatte accorpare sul Palatino.Oltre al Tempio di Apollo facevano parte della residenza anche biblioteche ed archivi. I suoisuccessori ampliarono questi impianti, senza che tuttavia sorgesse ancora un complessoresidenziale unitario. Una nuova residenza sganciata dai precedessori augustei era costituita dallacd. Domus Tiberiana, nome dato al complesso di edifici sul Palatino solo a partire dall’età flavia(Tacito, Storie, 1, 27, 2; Plutarco, Galba, 34, 7; Svetonio, Vitellio, 15, 3).

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Gli horti Maecenatis, realizzati da Gaio Cilnio Mecenate intorno al 33 a.C. sull’Esquilinobonificando un’antica necropoli (Orazio, Satire, 1, 8-15), non sono che uno dei grandi giardini, i cd.horti, che circondavano a mo’ di corona l’area edificata dell’antica Roma. Il limite orientale deiGiardini di Mecenate dovrebbe trovarsi all’altezza del Portico di Livia e della cisterna delle SetteSale; il giardino era dunque situato a breve distanza dal Palatino (Grimal 1969, pp. 144-145;LTUR III s.v. Horti Maecenatis). Oltre al parco con la sua vegetazione facevano parte dell’impiantoanche diversi edifici, tra cui il cd. auditorium. Alla morte di Mecenate, nell’anno 8 d.C., gli hortidivennero di proprietà imperiale, essendo Augusto erede universale (Cassio Dione 55, 7, 5). Peredifici e posizione – Orazio (Carmina, 3, 29, 5-11) descrive la vista dall’edificio principale sui ColliAlbani – gli horti godettero probabilmente sempre del favore imperiale. Tiberio vi si trasferì al suorientro da Rodi nel 2 d.C. (Svetonio, Tiberio, 15) e Tito (Plinio il Vecchio, Storia Naturale, 36, 37-38) vi risiedette al suo ritorno da Gerusalemme nel 71 d.C. Di certo anche Nerone apprezzò ilparco con i suoi edifici e le prestigiose sculture, tanto più che gli horti vennero ampliati sottoCaligola, che aquisì pure gli horti Lamiani. La Domus Transitoria doveva dunque collegareattraverso una prestigiosa cornice architettonica l’area amministrativa e residenziale sul Palatinocon gli horti, destinati allo svago e al riposo dell’imperatore.

Qualunque cosa vogliamo immaginare con il termine transitoria, non conosciamo né l’esattopercorso dell’impianto né l’architettura del corpo edilizio attraverso il quale sarebbe stato creato ilcollegamento, distrutto dall’incendio del 64 d.C.Per altri edifici vittime di questa catastrofe abbiamo la testimonianza archeologica o letteraria chevennero ricostruiti, mentre sembra che il progetto Domus Transitoria sia stato completamenteabbandonato e sostituito dall’impianto della molto più vasta Domus Aurea (64-68 d.C.). Malgradol’attribuzione di edifici sia scarsa e non sempre certa, tenteremo di ricostruire il progetto dellaDomus Transitoria e la sua possibile ubicazione.Se si parte dai pochi impianti architettonici oggi attribuiti alla Domus Transitoria bisognamenzionare innanzitutto i cd. “Bagni di Livia” precedentemente noti anche come “Bagno diAugusto” o “Bagno di Tiberio”, solo 40 metri ad est del Tempio di Apollo, circa 8-10 metri al disotto del triclinio e del peristilio della Domus Flavia, dalla quale sono poi stati ricoperti (Bastet1971, pp. 144-172; Bastet 1972, pp. 61-87; Carettoni 1949, pp. 48-79; De Vos 1990, pp. 167-186).La definizione “Bagni” non è corretta in quanto, sebbene i pavimenti e le pareti dell’impianto sianodotati di intercapedini come nelle terme romane, non si tratta di un balneum ma di un triclinioriccamente decorato con pitture, stucchi, pasta vitrea e diverse varietà di marmi policromi (vedi ilcontributo di Tomei in questo volume).

Per tutti gli altri edifici e resti messi in relazione con la Domus Transitoria non è possibileun’attribuzione certa. Tanto più che i resti conservati non possono essere inseriti in un contestocerto. Ciò vale anche per il prestigioso edificio ottagonale, dal quale si dipartono quattro ampicorridoi, situato sotto il tempio di Venere e Roma (Blake 1959, p. 36; Morricone 1987, pp. 69-82,figg. 1-20; Palombi 1990, pp. 53-72). Evidentemente nell’ottagono si incrociavano due sistemi divani o passaggi, uno dei quali circondava un bacino idrico ed era chiuso da una fila di colonne. Lapavimentazione è lussuosa, con lastre triangolari in marmo bianco e pasta vitrea blu lapislazzuli.Questo edificio viene attribuito alla domus di Gneo Domizio Enobarbo, padre dell’imperatoreNerone, una circostanza che a mio avviso non esclude affatto un’attribuzione alla DomusTransitoria. Viene piuttosto spostata così l’attenzione sui rapporti di proprietà, in quanto una partedella Domus Transitoria si trovava sul terreno imperiale. In questo senso andrebbero interpretateanche le strutture sotto la chiesa di San Pietro in Vincoli, pertinenti secondo Antonio Maria Colinialla Domus Transitoria e comprenti la domus di Pompeo Magno, confiscata da Antonio e per unperiodo residenza di Tiberio (Colini-Matthiae 1966, pp. 52-56; LTUR II s.v. Domus Pompeiorum).Se questa ipotesi fosse esatta l’edificio sarebbe quindi di proprietà imperiale e costituirebbe unpunto di orientamento per ricostruire il tracciato della Domus Transitoria.La ricerca di elementi architettonici pertinenti alla Domus Transitoria porta anche all’alaoccidentale della Domus Aurea, attribuibile secondo Larry Ball (Ball 2003) ad un edificioprecedente. Vi sono tuttavia argomenti che confutano questa attribuzione e, prima dellaconclusione delle indagini ancora in corso, non sarà possibile fare affermazioni definitive. Va

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inoltre ricordato il ninfeo all’incrocio Viale del Monte Oppio / Via delle Terme di Traiano, situatoad un livello di sei metri più basso. Sebbene non sia possibile attribuirlo alla Domus Transitoria, èverosimile una datazione in età neroniana (Bizzarri Vivarelli 1976, pp. 742-747).Se gli edifici menzionati si considerano come parti della Domus Transitoria, si delinea un percorsoche dal Palatino, attraverso la Domus Tiberiana e il Clivus Palatinus porterebbe fino all’angolonordoccidentale del Tempio di Venere e Roma, dove si trovano i resti della domus del padre diNerone. Da qui il sentiero avrebbe proseguito attraverso la collina della Velia e la depressione traVelia e Carinae fino a San Pietro in Vincoli, poi verso est fino ai Giardini di Mecenate (Palombi1997; Volpe 2000). Il ninfeo sotto l’incrocio di Viale del Monte Oppio si sarebbe così trovato pocoprima degli horti e, se pertinente alla Domus Transitoria, ne avrebbe costituito un ingresso. Èplausibile che le diverse parti della Domus Transitoria fossero formate da nuove costruzioni,considerando i “Bagni di Livia” si potrebbe pensare a una combinazione di ninfei e triclini.

Oltre all’attribuzione delle strutture edilizie e al possibile percorso della Domus Transitoria restaaperta la questione dei rapporti di proprietà dei lotti sui quali si trovava la domus, tanto più chel’occupazione di lotti intramurani da parte di Nerone per la realizzazione della Domus Aureacostituisce una delle principali critiche tramandate dagli autori antichi. Se per la Domus Aurea siparte tacitamente dal presupposto che all’imperatore fosse possibile occupare dei lotti senza alcunindennizzo a causa dell’incendio, per la Domus Transitoria questo è escluso. Pertanto bisognaipotizzare che il terreno su cui si estendeva la Domus Transitoria fosse già di proprietà imperiale edi conseguenza i lotti su cui si trovava questa domus, dopo l’incendio del 64 d.C., costituissero unfattore importante per l’estensione dell’area della Domus Aurea.

Non bisogna tuttavia dimenticare che, allo stato attuale della ricerca, la ricostruzione qui propostadella Domus Transitoria si basa in buona misura su ipotesi, non solo per la mancanza di chiareevidenze nell’attribuzione degli edifici ma anche per la configurazione moderna di Colle Oppio, chefino all’incendio del 64 d.C. aveva una topografia molto diversa.

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22 Le fonti antiche sono sostanzialmente concordi sul più famoso dei progetti neroniani: la DomusAurea, la casa finalmente degna di un uomo, cornice della sua regalità e divinità, era stata pensata e,per quanto possibile, realizzata dopo l’incendio del 64, inglobando buona parte delle aree resedisponibili dall’incendio, con qualche aiuto delle macchine da guerra dell’esercito. Svetonio riporta la“pasquinata” che circolò all’epoca: “Tutta Roma diventa una sola casa: trovatevi una casa a Veio, figlidi Romolo, sempreché questa casa non inghiotta pure Veio”. Smembrata da Vespasiano, che nerestituì ad uso pubblico gran parte delle aeree, un’idea della sua estensione è riportata da Marziale,che puntigliosamente ne enumera i settori offrendone le relative corrispondenze con la “democratica”(o populista?) Roma dei Flavi:

“Qui dove un colosso alto fino al cielo vede le stelle più da vicinoE dove altissime macchine sceniche ingombrano la viaSi irradiavano le sale odiose di un sovrano ferocequando una sola casa occupava tutta la città.Qui dove si erge la mole impressionante del mirabileAnfiteatro, c’era il lago di NeroneQui dove apprezziamo le terme che ci hanno messo a disposizione a tempo di record,una enorme tenuta aveva cancellato le case dei poveri.Dove il portico di Claudio stende la sua vasta ombra,c’era l’ultima parte della reggia incompiuta.Roma è stata restituita a se stessa, e grazie a te, o Cesare,sono delizie del popolo quelle che furono di un sovrano.”

Marziale non prende nemmeno in considerazione il Palatino, che difficilmente si potrebbe sostenererestituito a Roma da Domiziano, anche perché non sottratto al popolo da Nerone; parte quindi dalColosso, in fondo restituito anch’esso al popolo da Vespasiano, che aveva fatto sostituire il volto diNerone con quelle del Sole coronato di raggi. Il Colosso si ergeva nel vestibolo della Domus Aurea:Marziale dice “radiabant atria”, “sale che (si) irradiavano”, giocando forse con una metafora di cuioggi cogliamo anche il valore architettonico-distributivo, oltreché poetico: il Colosso, quindi, comefulcro visivo di tutto il complesso, collocato nel padiglione da cui si diramavano le varie parti della“casa”, che arrivava fino al Celio, solo perché era rimasta incompiuta. Dove oggi resiste il Colosseo, chedel Colosso invece scomparso da milleseicento anni ancora porta il nome (amphitheatrum adcolossum), c’erano gli stagna, che Svetonio dice circondati da edifici come città che si affacciano sul

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mare. Gli scavi hanno riportato alla luce grandiose strutture per un bacino rettangolare, in cui perònulla vieta che confluissero le acque di laghetti minori disseminati nei giardini che lo circondavano(Svetonio, che scrive intorno al 120 non poteva aver visto nulla di quanto racconta, ma, segretario diVibia Sabina, moglie di Adriano, è comunque da considerarsi “informato dei fatti”). Poco più a est,per le esigenze dei Romani esposti per ore e ore al sole nell’anfiteatro, Tito aprì le terme che portanoil suo nome, ma si è proposto che si trattasse di quelle della Domus Aurea, di cui sempre Svetonioriferisce che erano alimentate dalle acque Albule di Tivoli e da quelle marine (d’altronde è probabileche Tito sia stato l’ultimo fruitore di quanto rimaneva ad uso abitativo della Domus Aurea, ovvero ilpadiglione del Colle Oppio, che oggi per tutti è la Domus Aurea). Interessante che Marziale utilizziqueste terme per alludere agli sfratti e alle vere e proprie deportazioni di massa adombrate dalla“pasquinata” di Svetonio: per un romano di oggi è difficile da immaginare, ma il cuore residenziale diRoma antica era qui, tra le Carinae, il Fagutal e l’Iseo Metellino, il più antico tempio di Isidecostruito a Roma; d’altronde è qui che nella Domus Aurea la maglia del costruito si diradava e al suoposto comparivano campi e boschi, con panorami a perdita d’occhio, come riferito da Tacito. Èprobabile che gran parte di questa vera e propria opera di paesaggismo fosse già in nuce nei giardinidi Mecenate, che all’epoca di Nerone da un buon mezzo secolo facevano parte del demanio imperiale,e che non bruciarono nell’incendio: fu anzi da una torre, un triclinio aereo come quello più tardodescritto da Plinio il Giovane nella sua villa di Laurento, che Nerone cantò il suo incendio di Troia,finalmente al cospetto di una catastrofe degna di Omero. E gli scavi archeologici hanno rivelato chenella valle tra il colle Oppio e il Celio dopo l’incendio di Nerone fino a piena età flavia non vi fualcuna attività edilizia, indizio plausibilissimo della destinazione a giardino finora postulata. Mal’unione di questi giardini al Celio e al Palatino dovette comportare se non l’eliminazione, quantomeno la deviazione di tutti i percorsi che innervavano l’area, in primis l’antichissima via Labicana,ma non fu risparmiato nemmeno il prolungamento della Sacra Via, che congiungeva la città colsantuario di Juppiter Latiaris sul Monte Cavo. Un intero settore della città veniva segregato: tutticoloro che arrivavano nell’Urbe dalle città latine, e dall’intera città i devoti di Iside che si volesserorecare al tempio, avrebbero dovuto compiere penose deviazioni intorno al muro di cinta che prima opoi avrebbe estromesso chiunque dalle delizie dell’imperatore. Ciò non significa che i tracciatisparissero: ne è prova la Sacra Via che, opportunamente rettificata e monumentalizzata, diventeràl’asse portante del progetto di Severo e Celere. Se infatti osserviamo una pianta delle struttureneroniane tra il Foro romano e la valle dell’Anfiteatro, di cui, come si è detto, conosciamo le regolaristrutture che circondavano lo stagno, tutto il centro di Roma antica è stato ridisegnato dagliarchitetti di Nerone, che hanno sbancato, sostruito, rettificato e, dove non potevano allineare,coordinato. Un unico orientamento lega la casa delle Vestali ricostruita da Nerone con i grandiosiporticati della Sacra via regolarizzata, l’area del Vestibolo, la grande terrazza del Palatino su cuisorgeva la torre, forse un triclinio aereo, forse la praecipua coenatio rotunda dal soffitto ruotante, e illago circondato da portici. Da questo asse monumentale si irradiano (che verbo fatale!) il Palatinocon il suo orientamento dettato dal palazzo di Tiberio, l’asse stradale (oggi via di San Gregorio) checonnetteva con l’Appia, con Ostia e con Anzio, l’aerea terrazza del Claudium, magnifico belvedere sullago e, soprattutto, mirabile fondale scenografico delle solitudines, i campi strappati alla città. Un asseviario doveva costeggiare la fantastica fontana, la più grande del mondo romano, vera mostra d’acquadell’acquedotto Claudio che giorno e notte gettava acqua inutilizzata nello stagnum, degno paredrodello stagno di Agrippa in Campo Marzio; quasi simmetrica e speculare rispetto all’asse dellostagnum, la “stecca” architettonica del padiglione del colle Oppio; all’estremo opposto, infisso nelForo Romano, un progetto di rettifica dell’Argileto, prima di diventare il foro Transitorio, farà intempo a trasmettere al templum Pacis di Vespasiano l’orientamento del foro di Augusto. Questo è ilmiracolo di Severo e Celere, le date sono impressionanti nella loro compressione: l’incendio di Romaè del luglio 64, Nerone muore nel giugno del 68, per tutto l’evo antico Roma sarà quella rimodellatada loro. Ma tutto ciò ha un precedente illustre: la più grande, la più bella, la più famosa città delmondo antico, fondata dal modello di tutti gli imperatori e disegnata da un architetto d’ingegno, ovei basìleia, i quartieri imperiali, con i loro palazzi, i templi i giardini, il Ninfeo e la Biblioteca, sispecchiavano nelle placide acque del lago Mareotide (in fondo, uno stagnum), ove i viali dei giardiniuscivano dalle mura del palazzo e diventavano le strade della città. Alexandria, la città di Alessandro:Svetonio, sempre lui, che malalingua, sosteneva che Nerone, ricostruita Roma, pensava di darle il suonome. Un’altra fosca pennellata, un pettegolezzo o un buon indizio?

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24 “Non in alia re tamen damnosior quam in edificando”, così Svetonio commenta (Nerone, 31) lamegalomania di costruire che caratterizzò Nerone durante tutto il suo regno (fig. 1).In realtà dopo Augusto, che visse in una casa che non si distingueva “né per lusso, né percomodità” (Svetonio, Augusto, 72, 1), si pensava, in base ad un famoso passo di Flavio Giuseppe(Antichità Giudaiche, 19, 117), che anche gli imperatori giulio-claudii, fino a Nerone,continuassero nella sobrietà del loro avo e non abitassero in un vero palazzo, ma in una residenzacostituita da abitazioni separate, le domus Palatinae o domus Caesarum, denominate da chi leaveva abitate per primo oppure le aveva costruite.Era stato Nerone, infatti, a edificare il primo palazzo concepito in forma unitaria sul colle, e acambiare completamente l’architettura e le dimensioni della residenza palatina, arrivando arivoluzionare i criteri costruttivi e l’organizzazione urbanistica di tutta la città.In quest’ottica gli scavi lunghi e complessi condotti nel settore occidentale del Palatino avevanoindotto a ritenere che il palazzo denominato Domus Tiberiana altro non fosse che un nucleo dellaDomus Aurea, costruito da Nerone e inserito nel suo progetto architettonico.Questa consolidata credenza è stata di recente rivoluzionata dagli scavi sulla terrazza degli OrtiFarnesiani, intrapresi al fine di sanare i gravissimi dissesti statici della costruzione, e che hannopermesso di ricostruire un quadro cronologico della Domus Tiberiana del tutto nuovo, conripercussioni che investono la cronologia e l’architettura dei Palazzi imperiali del Palatino nel lorocomplesso.Gli scavi ancora in corso sia sulla terrazza degli Orti che nei sottostanti criptoportici, fino a tempirecenti interrati, hanno evidenziato una planimetria – articolata su due livelli – finora sconosciuta,che oggi delinea un nuovo quadro dell’architettura e delle fasi del palazzo giulio-claudio del Palatino.Nella I fase (fig. 2, in rosso nella planimetria), esistente forse già in epoca tiberiana, ilcriptoportico, alto circa 5 metri, presentava bocche di lupo aperte lungo i muri perimetrali (fig. 3);al di sopra si deve immaginare un portico le cui colonne erano posizionate negli spazi tra le gole dilupo.In una seconda fase (arancione in pianta) fu messa in opera, con funzione di rinforzo, una foderalaterizia, di spessore di cm 60 circa, che ha rivestito tutta la parete interna del criptoportico,provocandone un restringimento e un abbassamento. In questa fase il portico sovrastante dovetterimanere invariato, ma l’elemento architettonicamente nuovo e più rilevante evidenziato dagliscavi è la costruzione, all’interno del peristilio, di una grande vasca polilobata, rivestita di lastre dimarmo bianco; sui lati, due zone rettangolari destinate a giardino, realizzato con il consuetosistema di impermeabilizzazione costituito da suspensurae (fig. 4).

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La realizzazione della vasca si può collegare con la presenza di un lungo frammento di fistulaplumbea del diametro di cm 15, rinvenuta in situ a ridosso della fodera di rinforzo: il condottoreca l’iscrizione TI CLAVDI CAES AVG, menzionando pertanto il nome dell’imperatore Claudio(fig. 5).Si era già supposto all’inizio delle indagini che potesse essere questa la galleria dove, secondoFlavio Giuseppe, l’imperatore Caligola fu ucciso dai congiurati capeggiati da Cassio Cherea (FlavioGiuseppe, Antichità Giudaiche, 19, 103-104). Oggi i dati dello scavo, condotto in condizioni dinotevole difficoltà a causa delle difficili situazioni statiche, confermano l’ipotesi, in quanto questiampi criptoportici – da considerare gallerie di comunicazione all’interno del Palazzo – furonoristrutturati e rinforzati da Claudio, come si è visto, ma certamente già esistevano al tempo diCaligola.È dunque un dato inatteso e assai rilevante che non fu Nerone e neppure gli imperatori Flavi adare per la prima volta monumentalità al palazzo imperiale del Palatino, ma forse già Tiberio e poiCaligola avevano iniziato un progetto, poi realizzato dal vecchio Claudio (41-54 d.C.), l’eruditomarito prima di Messalina, che egli fece uccidere per i suoi tradimenti, e poi di Agrippina, di cuiadottò il figlio Nerone.Sotto Claudio dunque la prima residenza imperiale, costituita dai nuclei differenziati delle domuspalatinae Caesarum , era già stata trasformata in un palazzo architettonicamente unitario cheoccupava tutta la parte occidentale del Palatino, sia pur inglobando al suo interno i diversi settori.Sotto Claudio già esistevano, infatti, sul piano nobile della Domus Tiberiana, un ampio porticocolonnato, ricchi giardini e una grande vasca, anticipando quanto poi riproposero i Flavi sia inquesto, che negli altri peristili del loro palazzo.Tra i ricchi e numerosi i materiali scultorei di età giulio-claudia finora recuperati nello scavo diquesta settore centrale della Domus Tiberiana segnaliamo, in quanto esposta in mostra, la statuamaschile acefala in marmo greco, con tracce evidenti di colore nel panneggio (fig. 6). La scultura –di particolare complessità nell’assemblaggio dei pezzi che la compongono, come ha evidenziato ilrestauro – raffigura verosimilmente un principe di età giulio-claudia, stante in nudità eroica; dellastessa epoca la raffinatissima cista con tracce di doratura e numerosi importanti resti didecorazioni architettoniche.

Fu qui, sui gradus Palatii della residenza di Claudio, che Nerone diciassettenne nel 54 d.C. fueletto imperatore (Svetonio, Nerone, 8) e in questo palazzo visse certamente i primi anni del suoregno, sotto il controllo illuminato del maestro Seneca.Le costruzioni neroniane del Palatino, più che dai resti archeologici che ci sono conservati, sononote in base al famoso passo di Svetonio secondo cui Nerone “domum a Palatio Esquilis usquefecit”; la residenza, dapprima definita “transitoria”, fu ricostruita dopo l’incendio del 64 d.C. echiamata “aurea” (Nerone, 31).I resti neroniani – nelle due fasi pre e post incendio – non sono ancora stati definiti con chiarezza,né studiati complessivamente, anche se gli scavi e i lavori in corso su vaste aree del colle ne stannoprecisando gradualmente i caratteri e la vera estensione. Certamente Nerone, non diversamentedai suoi predecessori e per gli stessi motivi ideologici e politici, edificò sul Palatino il suo nuovopalazzo, anche se lo ampliò a dismisura, estendendolo fino all’Oppio.Il centro del potere rimase, e non poteva essere altrimenti, sul colle dove nacque Romolo e fufondata Roma.Con molta probabilità la Domus Transitoria, come anche il nome sembra suggerire, mantennel’accorpamento architettonico – già presente al tempo di Claudio – delle domus PalatinaeCaesarum, tra loro diversamente orientate; gli architetti neroniani, oltre ad arricchirne a dismisural’apparato decorativo, ricucirono la loro dislocazione attraverso percorsi che dettero alla primaresidenza neroniana una connotazione urbanistica. Pur se alla costruzione venne mantenuto iltermine domus, esso fu palesemente dilatato a comprendere nuclei differenziati in una forma soloapparentemente casuale e spontanea. Questo tipo di articolazione a settori differenziati costituì delresto la caratteristica anche della Villa che Nerone si fece costruire presso Subiaco, lungo i“Simbruina stagna”.Certo comincia con questo imperatore quel “discorso continuo” dell’architettura che sarà poirealizzato compiutamente a Villa Adriana.

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Della domus neroniana preincendio, la “transitoria”, restano importanti strutture – comunementedenominate “ Bagni di Livia” – scavate a più riprese (dai Farnese nel Settecento e poi da GiacomoBoni) sotto il triclinio della Domus Flavia (fig. 7). Attraverso due scale di accesso, che siconfigurano come due parodoi ai lati della frons scaenae e di cui una conserva la volta ornata dacassettoni di stucco, si scende ad un ricco cortile con ninfeo articolato in nicchie (fig. 8) ; la cascataN (fig. 9) alimentava gli zampilli antistanti il pulpito ornato di colonnine di marmo colorato, conbase a capitello corinzio di bronzo dorato; la struttura ripropone le forme architettoniche dellaquinta teatrale.Sul lato opposto un padiglione (P nella pianta) a dodici colonne di porfido, era posto nell’asse dellacascata-scalone ed era destinato all’imperatore, sdraiato nella lettiga in corrispondenza dellanicchia retrostante (fig. 10).Ai lati, ambienti riccamente decorati, con pavimenti intarsiati (fig. 11) e pareti di marmi con scenefigurate (fig. 12), erano affrescati con raffigurazioni epiche e avevano le pareti arditamenteinterrotte da strutture a gradini per la caduta dell’acqua.È solo a Nerone che – per fasto e tipologia della decorazione – possiamo attribuire questacostruzione che doveva essere destinata al soggiorno estivo dell’imperatore (specus aestivus). Postaal piano inferiore al riparo dal sole – gli ambienti prendevano luce solo dal piccolo cortile – erarinfrescata da articolati giochi d’acqua. Originale per pianta ed architettura, è creazione di ungeniale architetto coadiuvato da abili decoratori. Né sono da sottovalutare i riferimenti a luoghimitici greco-orientali perché il complesso si configura in realtà come una grotta rinfrescata dacascate. Non esistono altri esempi di un complesso simile nel mondo ellenistico romano; i parallelisono stati giustamente ricercati nell’architettura scenica, argomento, come noto, particolarmentecaro a Nerone.L’intera superficie orizzontale e verticale del complesso (800 mq circa) era completamente rivestitadi preziosi marmi colorati; le volte affrescate e stuccate, dorate e arricchite di pasta vitrea e fintilapislazzuli, producevano effetti di raffinata opulenza.Scene figurate sono dipinte nel finto cassettonato delle volte, in uno stile classicheggiante a figuredistanziate.In uno degli ambienti minori (A2), dove la volta presenta uno schema a cerchi con disco dorato alcentro, circondato da un disegno floreale (fig. 13), la profusione dell’oro è tale che immediato è ilcollegamento simbolico di questo cielo dorato con l’età dell’oro (fig. 14); alla stessa favolosa etàsembra ricollegarsi il fregio con tiaso dionisiaco sotto l’imposta della volta. Non si può nonricordare che Seneca prevedeva l’inizio “saeculi felicissimi” (Seneca, Apocolocyntosis, 1,1 ss.) allamorte di Claudio, quando il filo di lana aveva lasciato il posto al filo d’oro di Nerone.Il tiaso dionisiaco è anche strettamente collegato al carattere musico-teatrale del complesso,disposto intorno ad un ninfeo con funzione di teatro d’acqua, dove la scenae frons miniaturistica dimarmi colorati è arricchita con elementi architettonici di bronzo dorato.In un altro degli ambienti (A 4) le pitture, messe in luce da Giacomo Boni, distaccate negli annisessanta e attualmente esposte al Museo Palatino, raffigurano scene incorniciate da grottesche: sitratta – anche se le interpretazioni non sono univoche – di quadri riferibili ad eroi del ciclotroiano, che rafforzano, se ce ne fosse bisogno, l’attribuzione della costruzione (fig. 15-16).Sappiamo infatti da Svetonio (Nerone, 52) non solo “l’amore non piccolo per la pittura “ di Nerone,ma anche lo strettissimo rapporto che egli, discendente da Enea, aveva con i miti troiani. Unlegame che lo accompagnò per tutta la vita: “Quand’era ancora bambino... prese parte ai giochitroiani nell’arena. Con grande volontà e grande successo” (Svetonio, Nerone, 7); lo stesso autoresottolinea la predilezione di questo imperatore per gli scyphi omerii (Nerone, 47), coppe preziosecon rappresentazioni omeriche a rilievo; e mentre Roma bruciava è a tutti noto che Nerone cantòla caduta di Troia, l’Halosis Ilii, in abito scenico (Svetonio, Nerone, 38). Ma la conferma supremadi questo profondo legame con il mito troiano Nerone ce la lascia negli ultimi istanti della sua vita,quando, all’avvicinarsi dei cavalieri che avevano l’ordine di prenderlo vivo, cita il “galoppo di velocicorsieri” dal libro X dell’Iliade (Svetonio, Nerone, 49), prima di trafiggersi con la spada.Rappresentazioni omeriche si trovano anche nell’ambiente A3 (fig. 17) e nel vano A5, sopra ad unfregio con Amazzonomachia (fig. 18): lo spirito guerriero di queste figure mitiche aveva colpitoNerone a tal punto, che prima della spedizione in Grecia fece rasare i capelli alle concubine che

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voleva portare con sé, e le armò di pelta e di scure, come le Amazzoni (Svetonio, Nerone, 44), inuna sorta di mitica evocazione.Sia l’architettura che la decorazione della Domus Transitoria riappariranno, ampiamentesviluppate, nella Domus Aurea, dove verranno riproposti i motivi della finta grotta, della cascata ascalini, i fregi dionisiaci, i quadri con scene a soggetto troiano, le grottesche floreali.I resti pittorici della Domus Transitoria costituiscono certamente uno degli esempi più ricchi dipittura neroniana, e i colori caldi e dorati, i giochi di luce, l’immediatezza quasi impressionisticadelle scene, la raffinatezza dei dettagli, sembrano bene adattarsi alla maniera di Fabullo, il pittoredella Domus Aurea definito da Plinio (Storia Naturale, 35,145) floridus et humidus.La splendida costruzione detta “Bagni di Livia” ebbe breve vita ed uso limitato, come confermano igradini delle scale dagli spigoli ancora vivi: l’incendio del 64 d.C. si propagò anche all’interno dellaDomus Transitoria, come attestano i marmi combusti, le tracce evidenti di fuoco sui materiali discavo, i metalli fusi al centro del ninfeo.L’edificio fu dunque abbandonato per essere inglobato nella nuova residenza neroniana. Gliambienti, spogliati degli elementi decorativi riutilizzabili, furono tagliati dalle possenti fondazionidi nuovi, grandiosi edifici; costruite affrettatamente – nelle murature è evidente l’uso di elementidecorativi di marmi colorati della precedente costruzione – sono comunemente attribuite – e glistudi recenti lo hanno confermato – alla Domus Aurea (fig. 19).

Non è chiaro il rapporto tra il ninfeo interrato (“Bagni di Livia”) e i resti del soprastante porticocon il pavimento a intarsio, presso la Casina Farnese, i quali resti non appaiono organicamentecollegati, anzi divergono come orientamento, dalle costruzioni sottostanti, pur presentando stretteaffinità con il tipo di pavimento e la tecnica costruttiva (fig. 20). Poiché il loro orientamentocorrisponde a quello del vicino tempio di Apollo e alla zona delle Biblioteche, resta difficile, allostato attuale delle conoscenze, decidere a quale complesso appartenevano.In questo tentativo di ricomporre le strutture neroniane del Palatino, è importante rilevare cheanche le fondazioni sotto l’Aula Regia, scavate dal Boni all’inizio del Novecento, presentano duefasi sovrapposte e lo stesso orientamento dei “Bagni di Livia”; quindi sono verosimilmente daattribuire alle costruzioni di Nerone, prima e dopo l’incendio.

Sicuramente riferibili al palazzo giulio-claudio prima dell’incendio sono anche i tre ambienti –sontuosamente decorati con mosaici parietali – scavati negli anni sessanta, allineati lungo il latosud-est della Domus Tiberiana e tagliati da un criptoportico di età neroniana datato dopol’incendio 64 d.C.I tre locali – di impianto forse augusteo come attesta l’opus reticulatum – erano coperti a volta edisposti in modo da creare quasi un terrazzo artificiale su questo versante del Palatino.Gli scavi – nei quali sono state evidenziate tracce dell’incendio neroniano – hanno permesso diricostruirne i ricchissimi rivestimenti marmorei parietali, ancora parzialmente in situ. Al di sopradi un plinto in marmo bianco, la zona mediana rivestita di candide lastre alte oltre un metro, erasovrastata da un fregio e da una cornice sporgente a mosaico (fig. 21); anche le volte eranomosaicate (fig. 22). Ben conservato è il fregio a fondo bianco – la predominanza del bianco è certodovuta al tentativo di trattenere al massimo la luce esterna – articolato da due tipi di edicolealternate: uno a tholos con pantera, l’altro ad abside con catino a conchiglia. Le edicole sonocollegate da ghirlande sovrapposte (fig. 23).Le allusioni dionisiache (pantera, edera, pampini) inducono a pensare che l’ambiente fosse unaspecie di triclinio o specus aestivus (Seneca, La tranquillità dell’animo, 9, 9, 2). Lo schemadecorativo della porzione conservata della volta mostra una serie di tappeti rettangolari orientati,decorati con tholoi sostenute da tirsi in funzione di colonne e collegate da ghirlande (fig. 24). Letessere vitree del fregio a mosaico erano sovra dipinte.I pavimenti erano in opus sectile, come attestano le impronte, costituiti da formelle quadrate, incui erano allettati frammenti di marmo colorato.Stretti i collegamenti con la Domus Transitoria sotto il palazzo flavio. Anche qui infatti peraccedere all’ambiente bisognava scendere dal piano nobile attraverso una scala di gradini rivestitidi marmo bianco e con le pareti decorate in nero.L’estensione delle superfici mosaicate e l’uso delle grandi lastre monolitiche è indicativa della

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ricchezza e della classe sociale del committente, certamente un membro della famiglia imperiale.La Domus Transitoria e la Domus Aurea sono infatti tra i primi esempi conosciuti di complessiabitativi con serie di stanze rivestite di marmo fino all’imposta della volta. Moltissimi elementiinducono pertanto a ritenere che anche queste splendide stanze facessero parte di un altro nucleodella Domus Transitoria di Nerone.Dopo le distruzioni dell’incendio del 64 e gli espropri che ne seguirono, Nerone, su progetto degliarditi architetti Severo e Celere (Tacito, Annali, 15, 42) edificò una nuova reggia, organizzata comeuna enorme villa suburbana al centro di Roma; dal Palatino, occupando la valle dove in seguitosorgerà il Colosseo, la residenza arrivava ad occupare le pendici e la sommità dell’Oppio.Questo enorme complesso, che non sopravvisse a Nerone, ancor oggi tende ad essere identificatocon il solo nucleo sull’Oppio, mentre ben altra estensione doveva avere la costruzione che, come siricava dalla descrizione di Svetonio, doveva certamente avere il suo nucleo centrale sul Palatino.I vari edifici erano inseriti arditamente in opere di taglio e di contenimento delle alture e i dislivellidel terreno erano raccordati da ampie vie porticate, rimesse parzialmente in luce dagli scavi.Il centro della valle, occupato dallo stagnum Neronis, collegava scenograficamente le terrazzedigradanti, che servivano a superare il salto di livello verso le colline circostanti.

Sull’asse che dalla sommità del Palatino si dirige verso l’Oppio si colloca la spianata erbosa della exVigna Barberini, con doppio affaccio: verso la valle del Colosseo e verso il tempio di Venere eRoma. Questa particolare posizione della terrazza spinge a ritenere che i grandiosi progettineroniani non potessero non comprenderla al loro interno.Gli interventi della Soprintendenza, iniziati nel 2009 e finalizzati al consolidamento dell’angoloche si affaccia sulla valle del Colosseo e ancora in corso, hanno infatti evidenziato struttureneroniane di eccezionale importanza.Esse consistono in un possente edificio a pianta centrale (fig. 25), di struttura particolarmentecomplessa, articolata intorno ad un pilone circolare di circa 4 metri di diametro, da cui sidipartono 8 arcate a raggiera, che disegnano un ambiente circolare di circa 16 metri di diametro;la costruzione non trova confronti nell’architettura romana.Della poderosa struttura di sostegno, rimessa in luce solo in parte e databile in età neroniana, sonostati finora scavati due livelli, che con le loro solide arcate sostenevano un piano che presenta unastrana particolarità: un vuoto centrale, quasi ad alloggiare un perno, e degli incassi circolari dicirca 20 cm di diametro, riempiti di una sostanza scura di strana consistenza, da analizzare. Si èipotizzato – ma la supposizione è ancora tutta da verificare – che si possa trattare di un piano chealloggia meccanismi circolari, su cui poteva essere poggiato un pavimento rotante.Immediato è il collegamento con quanto descrive Svetonio relativamente alla Coenatio Rotundadella Domus Aurea (Nerone, 31): “Il soffitto dei saloni per i banchetti era a tasselli di avorio mobilie perforati, in modo da poter spargere fiori e profumi sui convitati. Il principale di questi saloni erarotondo e girava su se stesso tutto il giorno, continuamente, come la terra”.L’ipotesi trova molti elementi a sostegno – non ultima la posizione scenografica di questa specie ditorre, in direzione dell’Oppio e affacciata sulla valle del Colosseo.

La complessa architettura delle costruzioni neroniane del Palatino e la sontuosità del suo apparatodecorativo sembrano derivare dai basileia di Alessandria, che occupavano enormi estensioni dellacittà. Come e più dei sovrani ellenistici, Nerone scelse il linguaggio della grandiosità, dellaraffinatezza, della sontuosità, per impressionare il popolo e dare così una giustificazione sacrale alsuo potere assoluto.La concezione teocratica della monarchia imperiale è enunciata da Nerone stesso in Seneca (Sullaclemenza): “Tra tutti i mortali non sono piaciuto e non sono stato eletto per fare le veci degli dei interra?”.La ricchezza delle decorazioni marmoree e pittoriche dei resti descritti è tale che senza dubbio adesse si riferisce la famosa descrizione dell’opulenza delle costruzioni neroniane lasciataci daSvetonio (Nerone, 31) : “tutto era coperto di oro, pietre preziose e madreperla”.L’uso dell’oro e delle gemme, criticato da Lucano (Farsalia, 10, 109 ss.), che apparentemente siriferisce al palazzo di Cleopatra ad Alessandria, ma in realtà al palazzo neroniano a Roma, èampiamente attestato negli ambienti dipinti del Palatino.

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Opulenza e luxuria, efficacemente espresse nel ciclo pittorico e nei rivestimenti dei due nucleidella Domus Transitoria illustrati (i “Bagni di Livia” e i tre ambienti sotto la Domus Tiberiana),con la loro profusione di oro e di paste vitree, con la pienezza rigogliosa delle decorazioni floreali emitologiche, sembrano alludere costantemente all’aurea aetas che Nerone avrebbe assicurato alpopolo. La diffusione in infinite varianti delle grottesche attesta che il loro messaggio ideologico fufacilmente recepito, e si diffuse con incredibile rapidità.Le possenti e articolate strutture genialmente progettate nella Domus Aurea da Severo e Celere –sia pure per quel poco che ne resta – segnarono un punto fermo nella storia dell’architettura edell’urbanistica, come confermano le analogie costruttive presenti nelle realizzazioni rinascimentali(la poderosa torre con archi rampanti della Coenatio rotunda trova confronti stretti con le torri e lefortificazioni cinquecentesche).Per quest’imperatore “che aveva un desiderio sommo ma inconsulto di perpetuare la propriamemoria e la propria fama nell’eternità” (Svetonio, Nerone, 55), tutto doveva concorrere in mododa dare al popolo un’impressione di grandezza e di splendore quasi divini, garanzia di un governoricco e potente. Ed è sul Palatino – indiscusso centro del potere imperiale – che soprattutto dovevarealizzarsi questo grandioso programma.

Gli scavi sulla Domus Tiberiana (Orti Farnesiani), diretti scientificamente da chi scrive, sono stati seguiti e

documentati da Francesca Carboni e Fiammetta Sforza. La direzione dei lavori è dell’architetto Giuseppe Morganti

Gli scavi sulla ex Vigna Barberini, effettuati dalla Soprintendenza, sono stati seguiti e documentati da Françoise

Villedieu e dalla sua équipe: La direzione dei lavori è dell’architetto Antonella Tomasello.

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30 Ricordando Esther Boise Van Deman

Nerone è l’imperatore di Roma che meglio ha impersonato la figura del despota: il Superboredivivo, dopo 564 anni? Nel giudicarlo è arduo scegliere tra le tinte fosche degli storici antichi e leriabilitazioni degli storici moderni. Verrebbe la tentazione di pensare che quanto il suo maestro ecollaboratore Seneca considerava virtuoso fosse il rovescio del ritratto principe. E verrebbe ancheda credere che il liberto Trimalcione descritto da Petronio sia uno schizzo, in piccolo, di quel chesembrava il liberto Elio, l’uomo più potente della città in assenza del principe. Nerone veniva dauna famiglia di perversi: i Domizi Ahenobarbi, padre e nonno. Perversi si potrebbe dire, ma constile; non nel modo squallido di chi ama potere e sesso bruti. Benché fino a undici anni fosse statoallevato da un ballerino e da un barbiere, si era rifatto con Seneca, per cui di cultura certo nonmancava, anzi pareva un sovrano ellenistico, sportivo e artista. Si coglie a volte in lui un tratto dicafoneria: applicatogli da storici avversi? Ma i signori possono mascherarsi da uomini nuovi, perpiacere di più alla massa, alla plebe urbana, che i tratti nobiliari mal sopporta (i radical-chic diallora).Nerone è anche il prototipo del capo carismatico, che conquista il popolo dando di sé spettacolo.In assenza di stampa, radio e televisione, erano gli edifici teatrali e altri spazi aperti della città i setin cui sempre più il principe si esibiva. Questi edifici e spazi è possibile conoscerli nei loro resti ericonoscerli grazie a ipotesi ricostruttive, sempre in progress, per cui in questo caso l’archeologiadella città – esterna alle tradizioni storiche – è in grado di verificare e di arricchire la storiadell’imperatore, facendoci vedere l’attore tramite la scena da lui scelta o voluta. È attraverso lericostruzioni dei paesaggi e degli edifici urbani che possiamo intravedere la sua figura – oltre chenei ritratti figurativi e letterari – ed è ciò che in questo breve saggio ci proponiamo di fare,avvalendoci dei grafici elaborati per l’Atlante di Roma antica, in corso di elaborazione.

La scena da cui conviene partire è la casa di Augusto (figg. 1 e 2), che finalmente oggi conosciamonell’ibrido armonioso delle parti abitative, il tempio di Apollo con l’antistante area su due livelli(portico delle Danaidi e silva di Apollo) e la potente sostruzione per il terrazzo inferiore nellaquale potevano essere alloggiati liberti e schiavi dell’amministrazione imperiale. La casa era stataabitata anche da Tiberio, era stata fuggita e spoliata da Caligola, che si era fatto un propriopalazzetto tra Palatino e tempio dei Castori, ed era stata abitata probabilmente anche da Claudio. I tre successori di Augusto – Tiberio, Caligola e Claudio – dovevano trovare le parti abitative diAugusto troppo modeste. La parte privata a ovest del tempio di Apollo con il tempietto antistante

1 9A N D R E A C A R A N D I N I

C O N D A N I E L A B R U N OE F A B I O L A F R A I O L I

G L I AT R I O D I O S ID I U N R E C R U D E L E

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(tetrastylum Augusti) era riservata oramai per lo più al culto del genius, del numen di Augusto edel divo. La parte pubblica, a est del tempio, pareva in quel tempo piccola, dotata forse già daClaudio o più probabilmente da Nerone, già prima del 64, di una basilica, con retrostante piscina,che si affacciava sul portico delle Danaidi (fig. 3). Eppure la casa di Augusto rimase per sempre ilnocciolo fondativo e simbolicamente principale dei palazzi imperiali: Claudio aggiunse una coronanavale al vestibolo della casa, nella sua Curia Nerone riunì ancora il senato, mentre l’intriganteAgrippina, sua madre, spiava e si faceva avanti, fino a quando Nerone non la cacciò dal palazzo;sarà anche la meta dell’ultimo trionfo di questo principe.Fu così che, vicino alla Domus Augusti, si edificò una enorme domus – la più grande di Roma (mq18.700) – anche questa su un’alta sostruzione ospitante liberti e schiavi. Era stata volutaprobabilmente già dal vecchio Tiberio; nel suo cantiere fu assassinato Caligola; verrà perfezionatae proseguita da Claudio e completata infine da Nerone. Era la Domus Tiberiana, sorta nelquartiere abitativo più elegante del Palatino e di Roma (fig. 4).Manca a tutt’oggi una edizione scientifica aggiornata di questo palazzo. Per quello che riusciamo aevincere dal piano sottostante conservato e dagli scavi recenti della Soprintendenza, la domus siapriva, tramite un portico, sull’area Palatina; era circondata su due lati da giardini pensili, isolatidalle sostruzioni tramite intercapedini; disponeva di un’area di accesso, non sappiamo comearticolata, tramite la quale si accedeva al palazzo vero e proprio: un quadrato di mezzo stadio perlato, bordato su tre lati da portici e gravitante su un sontuoso peristilio – fondato sopra unquadriportico sotterraneo illuminato da alte “bocche di lupo” – la cui area scoperta era occupata dauna vasta piscina, rivelata dagli ultimi scavi di M.A. Tomei. Sul retro della domus era un hortuslungo e stretto, seguito da un’ambulatio, di mezzo stadio, da cui si godeva una vista sulCampidoglio e sul tempio di Giove, Giunone e Minerva, che si trovava di fronte. Contrariamentealla casa di Augusto, incentrata sul tempio di Apollo, non conosciamo un culto importanteconnesso a questo palazzo, forse a carattere privato, che doveva tuttavia albergare l’Auguratorium,una memoria dell’osservatorio del volo degli uccelli connesso alla benedizione fondativa della cittàda parte del re fondatore Romolo. Al tempo di Claudio o più probabilmente di Nerone vennecreata nella Domus Gai (di Caligola) una piscina nella parte scoperta del peristilio, decorata anicchie, come quelle forse coeve allestite nella Domus Augusti e nell’edificio residenziale sull’Oppiodella Domus Aurea (figg. 2, 3, 16). Il resto del monte Palatino, cioè la sua parte orientale, eraancora in mano privata.

Sull’Esquilino Nerone possedeva casa e horti che erano stati di Mecenate, passati poi ad Augusto eai suoi successori. Ogni grande di Roma aveva avuto una domus in città, una domus negli hortiche attorniavano il centro storico contenuto entro le mura Serviane e varie villae in campagna o almare. Per condurre la sua vita da despota-artista-atleta Nerone avrebbe potuto accontentarsi delletre residenze romane che abbiamo sopra nominato. Ma il potere assoluto richiede sfrenatezzeillimitate. Così prima dell’incendio del 64 il principe ebbe l’idea della Domus Transitoria –anteprima della Domus Aurea, progettata dopo quell’incendio. Come racconta l’aggettivo“transitoria” e come ricaviamo dagli storici antichi, la Domus Transitoria doveva interporsi tra ledomus Palatinae e gli horti imperiali sull’Esquilino, già di Mecenate. Questo primo progettodoveva consentire all’imperatore di unire in qualche modo i due possedimenti, separati da unaparte importante del centro storico, che fra loro si interponeva. Forse già da allora questa domus siarticolava in un edificio sulla pendice della Velia – sovrapposto alla dimora paterna, dove sorgerà ilvestibulum della Domus Aurea? – e di un altro edificio sull’Oppio – dove ancora si conserva unpalazzetto che pare anteriore all’incendio (mq. 6470; fig. 15).Sorge a questo punto una questione. Per quanto limitati, questi primi palazzetti, per configurarsirealmente “transitori” dovevano essere incastonati in un parco. Come era possibile creare questopaesaggio “transitorio” se l’area in cui i palazzetti dovevano sorgere era occupata dalla città?Potevano quei palazzetti essere circondati da case di altri privati? Se ne ricava che il progetto“transitorio” invocava fin dall’inizio un grande esproprio, e come altro motivarlo se non con graziea un incendio? Questa è una delle ragioni per cui chi scrive ha finito per annoverarsi tra icolpevolisti nell’accusa mossa a Nerone di aver causato o favorito l’incendio, visto che il progettodella Domus Transitoria e poi Aurea sembra precedere l’incendio della città. Forse anche perquesto è da prediligere l’immagine fosca di Nerone. D’altra parte il principe aveva fatto

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rappresentare una togata di Afranio nel 59, dal titolo inquietante: Incendio!

Per le esibizioni davanti ai cittadini Nerone si avvaleva di teatri, di un anfiteatro ligneo, del CircoMassimo e di quello privato negli horti di Agrippina, usando della città come se fosse casa sua. Ciòsignifica che considerava i palazzi palatini e le case negli horti palcoscenici inadeguati per larappresentazione imperiale da lui ambita. Ma anche i suddetti luoghi di spettacolo parvero alprincipe troppo ristretti. Eliminata la madre, liberatosi di Seneca e Burro, Nerone si scatenò perdiventare sempre più somigliante a sé medesimo: un tiranno demagogo. Spasimava per contattifusionali con i cittadini comuni, possibili soltanto entro spazi assai vasti e inusuali. Fu così checercò grandi specchi d’acqua, dove si erano svolte rappresentazioni di battaglie navali, fino adesiderare una casa propria che avesse la dimensione di una città, stagno compreso – vedi l’edificioresidenziale della Velia –, non di un microcosmo di città, come aveva voluto Augusto. Gli eranonecessari banchetti colossali in cui le sfrenatezze della vecchia nobiltà fossero rese disponibili allaplebe, involgarite oltre l’immaginabile da una sconcia regia. Un primo di questi banchetti si tennenello stagno di Augusto a Trastevere – siamo nel 59 – e un altro banchetto nello stagno di Agrippain Campo Marzio, regista il prefetto al pretorio Tigellino – siamo nel 62-63. Erano luoghi vastiintorno a piccoli mari – ricordavano Baia? – dove una finta imbarcazione consentiva al principe diessere allo stesso tempo al centro del popolino e protetto da esso. Era circondato fin da allora dauna numerosissima guardia di applauditori e acclamatori: gli Augustiani. È in un contesto diquesto genere che fiorì il progetto della Domus Transitoria. Poi venne l’incendio.

Anche dopo l’incendio Roma rimase la città irregolare che da sempre era stata, salvo la DomusAurea e la strada di regime che ad essa portava dal Foro. Nerone restaurò allora la casa di Augusto(già bruciata due generazioni prima): ripavimentò sontuosamente la basilica eretta da Claudio (fig. 3)o più probabilmente da lui stesso prima dell’incendio, dotata sicuramente dal tempo di Vespasianodi otto statue imperiali. Il complesso è da interpretare come la aedes Caesarum o Caesareum dellaresidenza palatina, attestata da una fonte nell’ultimo anno del regno (Svetonio, Galba, 1) e da untubo di piombo bollato trovato in un criptoportico sotto la basilica. La Domus Augusti, divenutaluogo di culto dei Cesari defunti, parve sempre meno adatta ad accogliere l’abitazione del Cesare invita. Sul lato lungo il c.d. clivo Palatino A sorgerà un piccolo portico, probabilmente per statue, chepreannunciavano all’esterno la nuova funzione della casa-santuario (fig. 2).Fu dopo l’incendio che Nerone ideò uno sviluppo enorme della casa di Augusto (mq 23.000): laDomus Augustiana, che occupò, insieme al suo giardino, la parte restante del Palatino, tolto ormaidel tutto ai privati. Pur trattandosi di una sola domus, la nuova residenza si articolava in dueedifici residenziali affiancati (fig. 2).Il primo corpo (mq 8.680) fu edificato a contatto con la casa di Augusto, aveva un caratterepubblico e si apriva sull’area Palatina. Era forse dotata di un portico a L, di una corte di ingressoaffiancata da due aule, di un peristilio circondato da sale e di un ninfeo in parte sotterraneo, chefungeva da cerniera con la Domus Augusti (fig. 3). Lo schema architettonico pare simile a quelloricostruibile in grandi linee per la Domus Tiberiana.Il secondo corpo, molto più ampio (mq 14.320), era dotato probabilmente di una zona di ingressocon tempio tardo-repubblicano sopravvissuto (scavo della No man’s land), di un primo peristilio edi un secondo peristilio con altre sale intorno. Questo secondo era a due piani, per cui dal pianoterra ci si affacciava su un peristilio sotterraneo, dotato anch’esso di sale. Entrambi i peristilisembrano inglobati in un lungo triportico. Questo palazzo si concludeva con un maenianumimminente sul circo, la cui sostruzione conteneva una fila di stanze su due piani: per liberti eschiavi?Davanti a questo secondo palazzo, privato, della Domus Augustiana fu creato, tramite unasostruzione verso le pendici della Velia, un giardino, che doveva avere – come avrà poi dai Flavi –valenze cultuali (culti della Dea Syria, cara a Nerone – Svetonio, Nerone, 56 – e forse anche diAdone?). All’angolo nord-est del giardino, che segnava anche l’angolo dell’intero monte, era unatorre rotonda, che sorreggeva un tempietto, rotondo anch’esso, accessibile solamente dall’alto epertanto connesso al palazzo imperiale privato palatino. La torre-tempietto si trovava pertanto allimite del complesso palaziale e non nello spazio “transitorio”, che sappiamo dalle fonti essereesterno al Palatino (secondo le scavatrici della torre, M.A. Tomei e Françoise Villedieu, si

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tratterebbe invece della sala da pranzo circolare e ruotante della Domus Aurea, per la quale siveda oltre).Conduceva alla Domus Augusti, alla Domus Tiberiana e alla Domus Augustiana, con il suogiardino, un clivo fiancheggiato da portici – il c.d. clivo Palatino B – che aveva origine in cima allaSacra via e che terminava nell’area Palatina (è questo il percorso che fa il libro di Marziale inviatodall’autore ad un certo Giulio Proculo, probabilmente il bibliotecario della Domus Augusti inepoca flavia: Marziale, Epigrammi, 1, 70).

Dopo l’incendio del 64 la Sacra via fu raddrizzata e ampliata in una grande percorso (largo piedi60 = m 17,71) che portava dalla Regia alla Domus Aurea (si veda oltre): la Domus Transitoriariprogettata e resa finalmente attuabile grazie alla rovinosa azione dell’incendio e ai conseguentiespropri. La nuova Sacra via è ora fiancheggiata da portici (fig. 5), il cui secondo piano verràcostruito da Tito/Domiziano, dietro i quali era la casa delle vestali, spostata e interamentericostruita, in mezzo ai quali era il tempio di Giove Statore e diversi horrea o mercati, concepiticome enormi spazi le cui volte di copertura erano rette da una selva di pilastri, distanti tra lorocinque metri, per cui formavano spazi distinti di mq 25, che potevano essere affittati ai diversimercanti (fig. 2). Il culto di Vesta e la nuova casa delle Vestali facevano parte della regione VIII,del Foro, ma allo stesso tempo dimora e sacerdotesse erano sotto la patria potestas dei principi-pontefici, per cui il santuario veniva anche a far parte delle dimore palatine dei principi e inparticolare della Domus Tiberiana sovrastante. Un arco lungo la Sacra via (fig. 5) introduceva inuna breve strada che univa la Sacra via alla c.d. Nova via: era quanto restava del c.d. clivo PalatinoA, un tempo la strada principale del monte. L’arco è da intendersi come quello in summa Sacravia raffigurato sul rilievo degli Haterii (età di Domiziano), insieme al tempio di Giove Statore, cheappare affiancato da portici a due piani, che lo risparmiano (fig. 6). È questo il nucleoarchitettonico maestoso – eccezionale a Roma per la sua regolarità – che immetteva alle domusPalatinae e all’edificio residenziale principale della Domus Aurea, che si trovava ai piedi dellaVelia. Questo insieme “Haussmanniano” fu portato a termine da Vespasiano (horrea Vespasiani).Poi Tito/Domiziano costruirono il piano superiore dei portici, rinforzando il piano terreno concontrafforti in opera laterizia. Siamo poco dopo il 75, quando Vespasiano eresse la statua colossaledel Sole, che Nerone aveva commissionato, situata nell’unica parte del corpo centrale della DomusAurea, il vestibulum, che aveva resistito alle distruzioni necessarie per far fare luogo all’anfiteatro.Fu fiancheggiato di portici anche il vicus Curiarum, che portava alla fontana, ricostruita anch’essa,della meta Sudans, presso la quale si stavano costruendo la premesse di un nuovo tempio dellecuriae Veteres, distrutto nell’incendio.

Dunque una via enorme e porticata: per portare al vestibulum di uno stagnum rettangolare? Iltutto non persuade. Nessuno stagno della città è mai stato dotato di un vestibulum, spazio tipicoche metteva in comunicazione una strada con la ianua di una domus, e non con uno stagnum. Nelnostro caso la strada c’è ed è la Sacra via porticata, il vestibolo esiste ed è l’enorme basamento sucui Adriano costruirà i templi di Venere e Roma, ma sembrerebbe mancare la domus. Marziale ciregala questo edificio residenziale mancante: “qui dove il raggiante colosso [eretto nel 75 a.C.]vede le costellazioni da vicino [grazie alla sua altezza] e dove le alte impalcature si innalzano inmezzo alla strada [erette nella Sacra via per costruire il piano superiore dei portici] splendevano[prima di Vespasiano] gli atri odiosi di un re crudele [Nerone]” (Marziale, de spectaculis, 1, 2).L’edificio residenziale (atria) del corpo principale della Domus Aurea doveva interporsi tra ilvestibulum e lo stagnum, con facciata principale sul bacino. Esso si articolava verosimilmente inun emiciclo centrale contenente la cenatio (vedi oltre), in due corti e in due corpi laterali aggettanti(fig. 6). Una domus pertanto, in luogo di terrazzamenti degradanti, che Clementina Panella,ottima scavatrice del luogo, al contrario predilige. Infatti l’atrium segue sempre il vestibulum,seguito a sua volta sovente da un peristylium con piscina. Lo spazio tra vestibolo e stagno ha lastessa dimensione dello spessore dell’edificio residenziale sull’Oppio (fig. 16), per cui una dimora diforma simile è perfettamente proponibile in quel luogo. Solo nel centro di questa casa potevatrovarsi la cenatio principalis rotunda (Svetonio, Nerone, 31), che invano si è cercata nellaresidenza dell’Oppio – la cui sala principale è un ottagono tronco – e sul Palatino – che però nonrientrava nello spazio “transitorio” della Domus Aurea. Nel descrivere la Domus Aurea, Svetonio

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(Nerone, 31) non saltapicchia da un corpo (ai piedi della Velia) all’altro (sull’Oppio) – come fino aora si è creduto – ma descrive unicamente il corpo principale della nuova reggia eretto ai piedidella Velia. Non è un caso che i portici triplici del complesso – descritti da Svetonio – articolaticioè in tre parti, sono quelli delle tre zone del complesso (vestibulum, atria, stagnum), cheraggiungono la dimensione di un miglio che l’autore attesta. È da ricordare tuttavia che della realtàtra vestibolo e stagno conosciamo solo i limiti ed alcune fondazioni. Ma le fondazioni di un grandeedificio residenziale possono, nella loro trama seriale, non corrispondere alla planimetria del pianoterreno (fig. 8). Alle distruzioni di Vespasiano e della Metropolitana B non possiamo porre riparo.

Il grande vestibolo, che accoglierà il Colosso, circondato da un portico, la domus lunga e stretta,probabilmente con un portico mosso sulla fronte (come nella residenza sull’Oppio) e con al centrola cenatio rotunda, lo stagno rettangolare, circondato probabilmente anch’esso da portici, esicuramente da edifici a modo di città (come scrive Svetonio), offrono un’immaginestraordinariamente efficace della politica spettacolarmente megalomane di Nerone (mq 65.215).Gli enormi spazi aperti davanti e dietro tale residenza garantivano l’accoglimento dei ceti alti edella plebe urbana nei grandi banchetti di fine regno. Al trionfo e alla cerimonia partica di Tiridatenel 66 era seguito un banchetto, e un banchetto si ebbe dopo al trionfo di Nerone tornato dallaGrecia nel 67. In queste ultime feste il principe non aveva più dovuto girovagare alla ricerca dispecchi d’acqua tra Trastevere e Campo Marzio: lo stagno lo aveva ormai nella nuova dimora acarattere pubblico, che aveva preso l’aspetto di una enorme villa marittima (fig. 9). Possiamoimmaginare, al centro dello stagno, una nave simile a quella maggiore di Caligola scoperta nel lagodi Nemi, sulla quale Nerone, circondato dal popolo e protetto dall’acqua – sogno di ognidemagogo – banchettava con gli intimi della corte, mentre la guardia degli Augustiani applaudivae inneggiava al principe da tre rive. Intorno allo stagno erano stanze per accogliere gli ospiti e sulretro, verosimilmente, i nuovi alloggi degli Augustiani, secondo il modello dell’edificio di serviziorinvenuto davanti alla residenza dell’Oppio (fig. 15). Sulla base della sala ottagona troncadell’Oppio è possibile ricostruire la cenatio rotunda (fig. 11), che dovette essere il suo modello, ilcui pavimento non girava – come in taluni ristoranti pacchiani odierni – ma ruotava nelrivestimento della cupola, mossa probabilmente da schiavi disposti intorno al bordo dell’oculus,secondo un meccanismo simile a quello di una macina (fig. 11). Infatti Petronio, nel descrivere ilmeccanismo ruotante del soffitto del triclinio di Trimalcione, allude a una mola. Ciò si apprendeanche dai solchi regolari e rotondi che circondano l’oculus della residenza dell’Oppio. Anche lacupola dell’aviarium della villa di Varrone a Cassino aveva una lancetta ruotante (fig. 12).

Se la nuova reggia, grande quasi come Versailles (fig. 13), fosse stata ancora più capiente e a essaavessero potuto affluire le plebi di tutta Italia, Nerone avrebbe avuto un set pari a quello mediaticoche conosciamo oggi in Italia. Ma in quel tempo bastava il popolino della metropoli, che siidentificava a vista con il principe e viceversa, a dispetto dell’antica classe nobiliare, ormaidecimata.

Terminata con Nerone la stirpe adottiva dei Cesari – siamo nel 69 – sarà Otone, primo marito diPoppea, primo amico di Nerone e aspirante alla mano di Statilia Messalina, ultima moglie delprincipe suicida, a destinare 50 milioni di sesterzi al completamento della Domus Aurea. Vitellio,che avrebbe speso in cene 900 milioni di sesterzi, potrebbe essere stato l’ultimo ad usare la cenatioprincipalis rotunda. Era andato anche ad abitare nella Domus Aurea, nonostante sua moglie e luistesso trovassero la nuova reggia inelegante e non adeguata nelle decorazioni, cioè fatta di corpiper ricevere eretti e rivestiti in fretta, troppo enormi per essere curati nei dettagli, come lo erano,invece, le domus Palatinae. Vespasiano demolirà lo stagno, gli edifici intorno, l’annesso edificioresidenziale e parte del vestibolo, che per il resto verrà conservato come un’area sacra porticata chericeverà, nel 75, la statua di Sol, che rimarrà in quel luogo fino ad Adriano (fig. 14). C’erano volutipiù di dieci anni per realizzarla.Al tempo dei Flavi la casa di Augusto verrà conservata con i suoi culti ai Cesari, la DomusTiberiana sarà ampliata nel basamento e dotata di un balneum, la Domus Gai verrà rasata al suoloe un nuovo edificio vi verrà eretto, collegato tramite rampe alla Domus Tiberiana. Anche laDomus Augustiana e il suo giardino verranno completamente ricostruiti, secondo uno stile

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architettonico nuovo.

A questo punto ci si potrebbe domandare: se tra vestibolo e stagno dobbiamo immaginare unedificio residenziale, cosa rappresenta la residenza sull’Oppio, ritenuta fino ad oggi l’unica dellaDomus Aurea? Dobbiamo ricordare quanto segue. 1) La “reggia” di Ottaviano fu progettata inmodo da avere due quartieri, uno privato e uno pubblico, disposti intorno a due identici peristili.2) Augusto disporrà poi di due abitazioni separate dal tempio di Apollo, una a carattere privato euna a carattere pubblico. 3) Alla casa-santuario di Augusto si affiancherà la Domus Tiberiana, acarattere privato, per cui si hanno anche in questo caso due palazzi. 4) La Domus Augustiana saràconcepita come due edifici residenziali, perfettamente distinti anche se affiancati, uno pubblico el’altro privato. Si intende allora perché la Domus Aurea poteva articolarsi, anch’essa, in due edificiresidenziali, di analoga forma lunga e stretta, il primo alle falde della Velia, di carattere pubblico, eil secondo sull’Oppio, a carattere privato (sul genere della dimora in un hortus, ma questa volta inpieno centro storico trasformato in parco). L’intera Domus Aurea era immersa in un hortus creatonel cuore della città dopo l’incendio, per cui era come se la periferia avesse lambito il Palatino. Ilcorpo centrale della dimora sull’Oppio, conosciuto nel suo piano terreno e in quello superiore,aiuta a capire come dovevano apparire ed articolarsi gli appartamenti imperiali nel corpo centraledella dimora ai piedi della Velia. Nel corpo dell’Oppio si ha al piano terreno una grande cenatioottagonale con un oecus e un cubiculum ai suoi due lati, riservati all’Augusto e all’Augusta –l’apparement de monsieur et de madame – con gli ambienti di servizio sul retro; al piano superioresi ha una grande piscina, simile a quelle che vennero realizzate in questo tempo nella DomusAugusti e nella Domus Gai, due appartamenti separati, sempre per la coppia imperiale, ciascunodotato di proprio peristilio, che entrambi si affacciavano su un terrazzo triangolare, che aveva alcentro una apertura che si apriva sulla cupola e sull’oculus della sottostante cenatio ottagona (fig.11), non sappiamo se bordata da una balaustra o coperta da un lucernario, simile a quelli che siosservano nelle pitture che rappresentano ville (fig. 9). Ai lati di questo complesso centrale su duepiani, destinato all’imperatore e all’imperatrice, erano gli appartamenti di rappresentanzasecondari, affacciati su due corti e anch’essi a due piani. Davanti a tale sontuosissima facciata,dall’andamento mosso per i cortili e decorata da due ordini architettoni (figg. 15, 16), eranoprobabilmente uno xystus – sul modello di una villa marittima a Baia (fig. 17) – e, più in basso, unedificio di servizio per liberti e schiavi (fig. 15). Il corpo residenziale dell’Oppio verrà abbandonatodai Flavi. (La Domus Titi sarà vicina, ma non coinciderà con la residenza dell’Oppio, trovandositra la casa di Servio Tullio e poi di Seiano e la casa di Mecenate nei suoi horti: il Laocoonte verràtrovato a est delle Settesale, come abbiamo appreso da Rita Volpe). La distruzione dell’edificiodell’Oppio giungerà nel 104, per un incendio e per l’ edificazione delle terme di Traiano. Eranopassati dall’incendio del 64 soltanto 40 anni.

Dal terrazzo triangolare del piano superiore dell’edificio residenziale sull’Oppio, si ammirava ilbasamento grandioso del Claudium, volto a sostenere un’area sacra a giardino di siepi, che aveva alcentro il tempio del divo Claudio (fig. 18). Edificato da Agrippina (54-59), fu distrutto da Nerone(59-68) e fu poi ricostruito da Vespasiano. Dopo il 64 il retro del basamento fu dotato di unmagnifico ninfeo – visibile dal complesso dell’Oppio – che alimentava d’acqua lo stagno dellaDomus Aurea. Vicino all’edificio giungeva l’Aqua Claudia e dietro, ma ormai fuori dalla DomusAurea, era il sontuoso Macellum Magnum, dedicato nel 59 e restaurato dopo l’incendio(monumento trascuratissimo, ancora tutto da studiare).

Qui si chiude questa interpretazione breve della Roma di Nerone, specchio fedele della suapersonalità controversa. Essa presenta numerose novità, che dovranno essere assimilate e vagliate.Ma almeno la proposta che viene dal nostro gruppo di lavoro è ben definita. Non ci siamoaccontentati di somme di muri: abbiamo tentato di dare loro un significato. Senza il travaglio deglistudi precedenti, divenuti alla fine tradizione vulgata, le nostre nuove ipotesi non avrebbero potutoessere avanzate. Sono le idee diverse – non le lodi – che portano ad approfondire l’analisi dei dati ea formulare nuove congetture.

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36 Gli impianti monumentali edificati sulla vasta area occupata dalla Domus Aurea sono stati in granparte cancellati dall’edificazione successiva. La parte meglio conservata della Domus è il padiglionealle pendici del Colle Oppio, da sempre ritenuto l’edificio principale dell’impianto. Danneggiato daun incendio nel 104 d.C., esso venne in parte demolito per costruire le Terme di Traiano (106-109d.C.). Finora non si conoscono nel dettaglio l’esatta estensione del complesso di edifici e la suapianta originale (Bergmann 1993, pp. 18-30; Essen 1954, pp. 371-398; Segala, Sciortino 1999) eneppure sappiamo quali altri complessi si trovassero ancora sul Colle Oppio e in quale combinazione.Laura Fabbrini (Fabbrini 1982, pp. 5-24; Fabbrini 1983, pp. 169-184; Fabbrini 1985-1986, pp.129-179), che ha studiato dettagliatamente l’impianto e scavato una parte del primo piano,suppone che il palazzo fosse costituito da due grandi cortili poligonali, un’area centrale all’internodella quale si trovava anche la sala ottagona, un’ala orientale e una occidentale. L’edificio avrebbeavuto così una lunghezza di circa 330 metri. L’imperatore Nerone affidò la progettazione ecostruzione della Domus Aurea agli architetti Severo e Celere “…che avevano avuto l’ingegno el’audacia di creare con l’artificio ciò che la natura aveva negato…” (Tacito, Annali, XV 42). Perridurre i tempi di costruzione, essi inglobarono nel nuovo complesso parte degli edifici risparmiatidall’incendio del 64 d.C., creando così una basis villae, un espediente largamente utilizzato nelleville romane per ampliare la superficie edificabile. I pochi resti noti del piano superiore oggiandato perduto – due piccoli peristili con fontane e il lato breve di un bacino idrico decorato concolonne – mostrano che possiamo qui supporre il vero piano nobile del palazzo. Sebbene non siapiù possibile determinare nel dettaglio estensione, articolazione e funzioni di questo piano nobile,possiamo avere una vaga idea del complesso paragonandolo alla ville marittime del Golfo diNapoli, meglio conservate (Mielsch 1987).Il piano inferiore conservato del padiglione sul Colle Oppio, al quale è convenzionalmente legatal’immagine della Domus Aurea, è dotato di gruppi di ambienti con diversa articolazione, inconseguenza del già menzionato inserimento di strutture precedenti.Varie strutture in laterizi erano sopravvissute all’incendio e gli architetti si trovarono di fronte alcompito di inglobare questi edifici nel padiglione. Basandosi sull’orientamento degli edificirisparmiati, Severo e Celere progettarono vari gruppi di ambienti. Uno di questi, delle dimensionidi m 30 x 60 circa, ospita al centro una sala ottagonale, sulla quale torneremo. Questo gruppo divani è situato davanti alle strutture precedenti e quello che era il collegamento ad un magazzino(horrea), fu trasformato in corridoio di servizio (vano 92).La parte centrale di questo gruppo è dominata da una sala ottagonale coperta da una cupola ecircondata su 5 lati da grandi nicchie rettangolari, due ulteriori nicchie costituiscono i corridoi di

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I L PA D I G L I O N E D E L L ’ O P P I O

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accesso e l’ottava parete funge da facciata esterna. Mentre quattro di queste nicchie possono essereinterpretate come triclini, nella quinta è inserito un largo scivolo per una cascata, proveniente dalpiano superiore oggi andato perduto e da qui alimentato, che finisce in un bacino. La funzione diquesto vano è discussa, bacino e scivolo potrebbero fare ipotizzare un ninfeo. Dalla sala si potevacertamente accedere al giardino pensile. Resta dubbio se questo collegamento costituisse l’accessoprincipale alla residenza, come rappresentato in molte ricostruzioni.Nella sala ottagona sono conservate tracce di un rivestimento marmoreo fino all’impostazionedella volta, mentre la volta stessa non presenta resti di decorazione o pittura. Sono stati quindiipotizzati rivestimenti in legni pregiati, madreperla e avorio, che farebbero suggestivamentepensare a questa sala come alla sala da pranzo principale descritta da Svetonio, che ruotavacontinuamente, notte e giorno “vice mundi” (Svetonio, Nerone, 31). La rotazione sarebbe statacreata attraverso un rivestimento mobile della volta che mostrava il moto delle costellazioni, unmeccanismo simile a quello delle coperture dei soffitti che si spalancavano per far scendere fiori eprofumi (cfr. Petronio, Satyricon, 60). Tali architetture mobili sono testimoniate già per le sale avolta delle ville repubblicane, ad esempio per l’aviarum della villa di Varrone a Cassino, dotato unmeccanismo che mostrava il movimento delle stelle (Varrone, De re rustica, V 9-17) (Prückner,Storz 1971, pp. 323-339; Moormann 1999, pp. 354-355). Andrebbe approfondito se il motorotatorio del soffitto venisse azionato dall’ampia cascata, come proposto da Helmut Prückner eSebastian Storz.Questo gruppo di vani era incorniciato ad est e ad ovest da un cortile pentagonale aperto versosud. Per il cortile occidentale è possibile dimostrare che dimensioni e forma furono condizionatedallo spazio lasciato da un’edificazione precedente (vani 69 e 70 nonché 84-86).Non meno innovativa, sebbene non priva di difficoltà per la sequenza dei vani e i giochi di luce, èla composizione di ambienti nell’area occidentale dell’impianto. Per la loro realizzazione venneabbattuto un edificio abitativo anch’esso risalente all’epoca precedente all’incendio del 64 d.C.Purtroppo questo settore è stato frazionato in compartimenti dai muri di rinforzo eretti in epocatraianea per la costruzione delle terme ed è oggi difficile cogliere direttamente la grandezza el’effetto complessivo dei vani. L’ambiente più grande di questo gruppo aveva in origine unasuperficie di più di 100 metri quadri ed era coperto da un’unica volta a botte. Esso si apriva con illato breve su un peristilio di m 20 x 30 circa. La parete è aperta, fatta eccezione per 4 colonne chesorreggono una grande finestra. Alla parete posteriore della sala, articolata con la stessa sequenzadi colonne, è annesso uno stretto cortile che porta ad un ninfeo. La volta a botte, sulla quale sonoapplicati cinque grandi tondi con scene dell’Odissea, è rivestita di finte stalattiti ricoperte dipolvere d’oro (Lavagne 1970, pp. 673-722). Su ciascuna delle due pareti laterali vi erano tre nicchieche ospitavano delle statue e sulla parete posteriore del ninfeo una piccola cascata alimentava unavasca situata sul pavimento. L’effetto scenografico dei giochi d’acqua, del soffitto con stalattiti edelle pareti aperte era accresciuto dal sapiente uso della luce, che creava una sequenza di zone diluce e ombra.

Spesso viene dibattuta la questione se sotto gli edifici sopravvissuti quasi intatti all’incendio del 64d.C. si possano localizzare anche strutture appartenenti alla Domus Transitoria. Larry Ball, che si èa lungo occupato dell’argomento, ipotizza che quasi tutta l’ala occidentale faccia parte della DomusTransitoria (Ball 2003). Senza entrare nei dettagli vi sono una serie di argomenti, quali la tecnicadi costruzione del lungo tratto di muro che chiude l’ala occidentale e il riuso di laterizi in questosettore, che smentiscono l’attribuzione dell’intera ala occidentale alla Domus Transitoria.

Dei giudizi tramandati sulla Domus Aurea sono giunte fino a noi soprattutto le critiche.L’impianto di un enorme parco al centro della città densamente popolata fu largamenteosteggiato. Per l’interpretazione della concezione neroniana della Domus Aurea la questionecentrale è comprendere se l’impianto vada inteso come villa suburbana di particole prestigio, cheoffriva altissimi standard di lusso, o come imitazione di palazzi e paradeisoi ellenistici o orientali.La villa romana, tuttavia, riuniva in sé sin dalle origini l’aspetto agrario delle antiche tenute e laricezione del lusso abitativo ellenistico, per cui al più tardi in età tardo repubblicana la villamostrava già rivendicazioni di grande lusso e prestigio.La discussione sulla Domus Aurea è molto accesa in particolare per quanto riguarda la praecipua

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cenationum rotunda. Nel 1942 Hans Peter L’Orange in un articolo che ebbe ampie ripercussioniinterpretò la Domus Aurea come palazzo di un cosmocratore, il quale, collocando la sua statuacolossale con attributi solari nel vestibolo e ricorrendo all’uso dell’oro, avrebbe perseguito intentiprogrammatici (L’Orange 1942, pp. 68-100). La sala che ruotava su se stessa “come la terra” vennericostruita come sala dotata di una cupola con la rappresentazione dei movimenti celesti,identificando in essa una corrispondenza con le sale del trono di Parti e Sassanidi. L’Orangeipotizzò che la sala fosse restituita nell’architettura di un padiglione a volta raffigurato su undipondio neroniano, interpretando la legenda MAC AUG come Machina Augusti, mentre altri vileggono Macellum Augusti. Altri autori hanno voluto vedere una simbologia nella luce che entranella sala ottagona dall’oculus della volta. Da tutto questo si dedusse che Nerone avrebbe ripresonella Domus Aurea l’architettura dei palazzi tolemaici e la loro simbologia del potere. Altri ancorahanno visto nella Domus Aurea la riproduzione paradisiaca del cosmo e la scena di una esaltanteconcezione di rinnovamento del mondo. Jocelyn C. Toynbee (Toynbee 1947, pp. 126-149) ed altrihanno invece sostenuto la posizione opposta, asserendo che la Domus Aurea non sarebbe altro cheuna villa di lusso particolarmente prestigiosa e la simbologia Apollo-Sole l’allusione alla passionedi Nerone per il canto e le corse delle bighe.Gli argomenti di molte di queste discussioni si possono spesso verificare nel dettaglio, tuttavia lavalutazione finale è legata all’interpretazione complessiva del comportamento e dei provvedimentidell’imperatore.Ci si può chiedere se questi edifici fossero innovativi o riflettessero semplicemente la megalomaniadi Nerone. Alla mancata conoscenza di molti dettagli si aggiunge che per la Domus Aurea si puòdifficilmente trovare un confronto utile. In ogni caso per molti aspetti questo complesso si distaccachiaramente dalle tipologie note di ville o domus urbane e per la vicinanza a Palatino e Foro, sedidell’amministrazione, non può neppure essere paragonato alla Villa di Domiziano a CastelGandolfo o Villa Adriana a Tivoli, residenze che alle funzioni dell’otium durante il soggiornodell’imperatore affiancavano quelle amministrative.Fintanto che non avremo altri dati ogni interpretazione di questo affascinante progetto rimane inbuona misura ipotetica.

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