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All’Interno | PROVA SUPERSPORTIVA | Triumph Daytona 675 2013 da Pag. 2 a Pag. 15 NEWS: N. Cereghini gli editoriali di Nico | M. Clarke “50 da corsa” | “Le moto carrozzate” | MOTOGP: S. Nakamoto “Marquez è il successore di Stoner” | SBK: Un anno di Superbike | MX: Barcia e Tomac mattatori a Phoenix Numero 89 15 Gennaio 2013 149 Pagine Prova bici elettrica Scott A metà tra bici e moto Nico Cereghini Piloti e Paesi: Gran Bretagna. Il DNA dei piloti inglesi. Mercato Triumph Tiger Sport Honda MSX125 BMW e KTM record di vendite nel 2012 Ricevi Moto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione motociclistica SPECIALE DAKAR

Motoit Magazine n 89

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All’Interno

| prova supersportiva |

Triumph Daytona 675

2013da Pag. 2 a Pag. 15

NEWS: N. Cereghini gli editoriali di Nico | M. Clarke “50 da corsa” | “Le moto carrozzate” | MOTOGP: S. Nakamoto “Marquez è il successore di Stoner” | SBK: Un anno di Superbike | MX: Barcia e Tomac mattatori a Phoenix

Numero 8915 Gennaio 2013

149 Pagine

Prova bici elettricaScottA metà tra bici e moto

Nico CereghiniPiloti e Paesi: Gran Bretagna. Il DNA dei piloti inglesi.

MercatoTriumph Tiger Sport Honda MSX125BMW e KTM record di vendite nel 2012

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SPeCialeDakar

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Sportiva Plug and play!di Francesco Paolillo | La supersport inglese si prepara ad affrontare il 2013 con una veste decisamente rinnovata. Nuova estetica, nuovo motore e ABS regolabile: queste le modifiche più significative. Ma c’è dell’altro oltre al prezzo di acquisto di 13.300 euro

ProvA SuPerSPortivA

PreZZo 13.300 €triuMPh Daytona 675 2013 PreGi Guida e caratteristiche motore DiFetti Leggibilità strumentazione

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E ’ davvero un peccato che il mercato italiano delle due ruote non sia più par-ticolarmente recettivo per le sportive di media cilindrata, i numeri sono de-

cisamente sconfortanti, e questo non fa che ac-crescere il dispiacere. Dispiacere per il fatto che gran parte delle Triumph 675 Daytona e Daytona 675 R, protagonista della nostra prova dinamica, finiranno sui mercati del nord Europa, ma soprat-tutto del nord America. Da tre anni i tecnici della Triumph lavoravano su questo progetto, che non è un semplice restyling della Daytona 675, ma un modello completamente nuovo. Gli obbiettivi da raggiungere erano legati a un incremento dell’a-gilità e delle prestazioni del motore, soprattutto ai regimi medio/alti, adozione dell’ABS, e per ul-timi, ma non per questo meno importanti, look rinnovato e più attenzione alle rifiniture.

estetica e finiturePur senza essere stravolta nei concetti e nei tratti fondamentali, la Daytona 675R 2013 è più affilata e tagliente della versione precedente. La parte che forse è cambiata meno è il cupo-lino, sempre aggressivo e sfuggente, riprende i tratti del modello che l’ha preceduta, incremen-tando le dimensioni della presa d’aria al centro dei gruppi ottici. Il laterale appare più leggero e dinamico, così come il codino, che persi per strada i terminali di scarico alti, in favore del sin-golo laterale montato in basso (particolarità che migliora decisamente la distribuzione dei pesi), rende più sfuggente e appuntito il posteriore. Le finiture sono in linea con il prezzo, e con gli obbiettivi di miglioramento che si sono imposti i tecnici inglesi. Materiali e assemblaggi sono a prova di critica, così come la dotazione tecnica,

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che giustifica un prezzo di acquisto impegnativo. Unica la colorazione disponibile per questa ver-sione “R”, Christal White e Black, con telaietto posteriore rosso.

telaio e sospensioniIl telaio, seppur assomigli al precedente, è stato completamente rivisto e adesso è formato da otto elementi invece degli undici precedenti. Ne traggono giovamento la rigidità torsionale e di conseguenza la guidabilità, che viene influenzata anche da un angolo di inclinazione del cannotto di sterzo che scende da 23.9° a 22.9°, mentre

l’avancorsa cresce da 85.1 a 87.2 mm. Rima-nendo in zona cannotto, si può notare anche l’adozione di un telaietto, che ingloba la presa d’aria per la cassa filtro, che alla prova bilancia fa segnare un -0,5 kg e che migliora la portata d’aria diretta all’air box. Il forcellone in alluminio è inedito, soprattutto a causa dello scarico bas-so che ne ha influenzato il disegno, e mantiene il punto di ancoraggio, detto pivot, registrabile in altezza (particolarità molto apprezzata nelle competizioni). Grazie a questo nuovo elemento, la Erre accorcia l’interasse di 20 mm, scendendo dai 1.395 mm del modello precedente ai 1.375 dell’attuale. Anche il telaietto posteriore in allu-minio pressofuso è totalmente nuovo, e ha con-tribuito ad alleggerire la Daytona 675R che pesa 184 kg totali, compreso 1,5 kg dell’ABS, rispetto ai 186 della “vecchia”. Di pregio la dotazione del-le sospensioni, che nella sola configurazione R prevede Öhlins totalmente regolabili davanti e dietro (la versione base prevede delle KYB), in particolare, forcella NIX30 e mono TTX36.

MotoreIl tre cilindri va di moda, soprattutto grazie alle sue caratteristiche intrinseche di compattez-za e prestazioni, se ne sono accorte MV Agusta prima, e ultimamente anche Yamaha, per cui la scelta effettuata da Triumph anni fa è sta-ta vincente e lo è ancora, viste le prestazioni , ma soprattutto la guidabilità e la piacevolezza di questo propulsore. Anche in questa versio-ne 2013 il tre cilindri inglese non si smentisce e grazie alle profonde modifiche apportate, lo si può definire un motore inedito. La ricerca di un maggior allungo, ha portato i tecnici inglesi a ridefinire alesaggio e corsa del propulsore, che oggi si può dire più superquadro che in passato. Il primo parametro, quello riferito al diametro dei pistoni, passa da 74 a 76 mm, mentre la loro cor-sa scende da 52.3 a 49.6 mm, con un rapporto di compressione accresciuto. Affinate anche le caratteristiche di scorrevolezza dei cilindri, che ora possono contare su un riporto superficiale in

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Nikasil, mentre valvole in titanio, albero motore e rotore dell’alternatore alleggeriti (rispettiva-mente del 5 e 15%) e doppi iniettori, permetto-no un innalzamento del regime di rotazione del motore da 13.900 a 14.400 giri. La potenza sale a 128 CV a 12.500 giri, 3 in più di prima, mentre il valore di coppia tocca i 74 Nm a 11.500 giri, 2 in più di quanti ne esprimesse il precedente tre cilindri. Varia anche il rapporto di trasmissione grazie ad un pignone da 15 denti al posto del pre-cedente da 16. Il reparto trasmissione prevede anche un’altra novità, la frizione antisaltellamen-to, oltre a una miglioria negli innesti del cambio tra la prima e la seconda marcia. La R ha inoltre il cambio dotato di quick shifter, cambio assisti-to elettronicamente, montato di serie (la base lo prevede come otpional), che varia i tempi di cambiata in funzione della velocità e del regime di rotazione del motore.

FreniL’ABS rappresenta un’altra importante no-vità della Daytona 675R 2013, il sistema

antibloccaggio delle ruote è di serie sulla ver-sione top, mentre per dotarne la base si deve mettere mano al portafogli. I due dischi anteriori da 310 mm sono lavorati da una coppia di pinze monoblocco Brembo con attacco radiale, così come radiale è la pompa freno, sempre Brem-bo (la standard prevede un impianto totalmen-te Nissin). Dietro il disco da 220 mm è invece accoppiato a una pompa a singolo pistoncino, sempre fornita dal costruttore italiano. Nissin ha sviluppato l’ABS per la Daytona, con la particola-rità della doppia modalità (oltre alla possibilità di poterlo disinserire). Normal e Circuit sono le due scelte a disposizione, e non ci vuole un’aquila per capirne le differenti caratteristiche di utilizzo. Al-meno speriamo!

Come vaIl circuito di Cartagena è una pista perfetta per mettere alla prova la nuova Daytona 675R, mol-to tecnico e impegnativo, il tracciato spagnolo esalta le ciclistiche rigorose e mette in evidenza eventuali difetti senza tanti complimenti. Ebbene

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la prima presa di contatto con la sportiva inglese ha come risultato che di pregi ne troviamo tan-ti e di difetti … nessuno. Troppo buoni? No, di-rei troppo bravi gli uomini che hanno sviluppato questa moto. Sorvolando su un peccato veniale come la strumentazione praticamente illeggibi-le in certe condizioni di luce (si vede bene solo il contagiri analogico), il resto è da applauso. Spa-rita la posizione di guida che caricava eccessiva-mente i polsi (grazie a una sella 1 cm più bassa e ai semi manubri più alti di 5 mm), la Daytona si guida davvero bene. Gommata di serie con le performanti, e omologate per uso stradale, Pirello Diablo Supercorsa SP, la tricilindrica in-glese si può definire una sportiva plug and play, ci sali e vai come se fosse sempre stata la tua

moto. Agile e reattiva, soprattutto nella versione dotata del kit pista, niente pedane passeggero, specchi e porta targa, scarico Arrow (che da solo vale 6 kg sulla bilancia), la Daytona 675R è faci-le da guidare, fin sulla soglia del limite, almeno nostro! Avantreno preciso, in ogni situazione, inserimento percorrenza e uscita di curva, un appoggio consistente e un posteriore che si può davvero sfruttare senza timore, con aperture di gas senza tanti riguardi (almeno finché le gom-me non sono alla frutta). Nei cambi di direzione, condizione in cui la vecchia serie pagava pegno nei confronti di qualche (forse sarebbe meglio dire di una o due) rivale più rapida, ma anche più nervosa, la nuova “R” si dimostra migliorata decisamente. Dove invece si tocca con mano il

La prima presa di contatto con la sportiva inglese ha come risultato che di pregi ne troviamo tanti e di difetti … nessuno

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ZooM

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progresso maggiore è nell’allungo del tre cilindri, che spinge di più agli alti regimi, ma soprattutto allunga maggiormente, pur senza perdere quella trattabilità che ha contraddistinto il suo prede-cessore. Solo una velata incertezza di erogazio-ne che emerge nel chiudi – apri in seconda mar-cia, ma per il resto questo è davvero un motore con i fiocchi. Non sarà il più potente, ma le doti di guidabilità e quindi di erogazione sono davve-ro notevoli. Difficile stabilire se le caratteristiche di ripresa leggermente migliorate siano merito delle modifiche al motore, o del pignone con un dente in meno. Di notevole c’è anche l’impianto frenante, con un ABS che in modalità “Circuit” è davvero difficile da percepire. Un paio di frenate, per così dire “lunghe”, non hanno richiesto il suo intervento. E se non è intervenuto in queste con-dizioni, il suo limite di intervento è davvero alto, per la felicità di tutti i superpiloti detrattori di questa utilissimo accessorio. Attualmente è pro-babilmente il miglior ABS che abbiamo provato. Il cambio elettronico è spettacolare da utilizza-re, in combinazione con lo scarico Arrow quasi esaltante (i “botti” che tira dopo ogni cambiata sono da registrare); rende difficile giudicare se c’è stato un miglioramento o no nella precisione degli innesti e nella rapidità di cambiata, tanto è che alla fine il suo comportamento durante il test è stato ottimo. Il sole inizia a calare, così come la temperatura dell’aria, è venuta l’ora di lasciare la Daytona 675R agli uomini della Triumph che aspettano ai box. Speriamo che ci sia presto la possibilità di incontrarci nuovamente con la moto, non con gli uomini Triumph!

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TRIUMPH Daytona R 675 € 13.300 €

Tempi: 4Cilindri: 3Cilindrata: 675 ccDisposizione cilindri: in lineaRaffreddamento: a liquidoAvviamento: EPotenza: 128 cv (94 kW) / 12500 giriCoppia: nM / 11500 giriMarce: 6Freni: DD-D Misure freni: 310-220 mmMisure cerchi (ant./post.): 17’’ / 17’’Normativa antinquinamento: Euro 3Peso: 184 kgLunghezza: 2045 mmLarghezza: 695 mmAltezza: 820 mmCapacità serbatoio: 17.4 lSegmento: Super Sportive

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Il codino, che persi per strada i terminali di scarico alti in favore del singolo laterale montato in basso, rende più sfuggente e appuntito il posteriore.

Di pregio la dotazione delle sospensioni, che nella sola configurazione R prevede Öhlins totalmente regolabili davanti e dietro.

I due dischi anteriori da 310 mm sono lavorati da una coppia di pinze monoblocco Brembo con attacco radiale.

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Scotta metà tra

bici e motodi Ippolito Fassati | Abbiamo provato due bici

a pedalata assistita Scott con tecnologia Bosch, una city e una mountain. Possono sostituire lo scooter

o la moto da enduro?

ProvA BiCi eLettriCA

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S cott, azienda impegnata nel mondo del ciclismo, motorsport, sci, run-ning e outdoor, ha da qualche tempo a listino una serie completa di bici a

pedalata assistita. Dopo aver provato scooter e auto elettrici abbiamo voluto testare anche “lo stato dell’arte” del segmento bici per capire se e come questi mezzi si possano “sostituire” ai mezzi a motore in città o nei boschi.

Pedalata assistitaCominciamo col comprendere cos’è la pedalata assistita per Scott. Intanto, come dice il nome, non è un sistema che sostituisce sempre e co-munque la spinta delle vostre gambe. Si trat-ta invece di un insieme di componenti molto

sofisticato, messo a punto da Bosch, capace di offrire al ciclista una totale personalizzazio-ne dell’aiuto offerto dal motore elettrico. Si può quindi passare, anche in movimento e con pochi e semplici click, da un aiuto pari a zero, a un ef-ficace supporto che entra sempre in funzione al momento giusto, non per sostituire ma per af-fiancare la vostra pedalata.

La tecnologia Bosch, potenza, durata e ricaricaTutto ciò è reso possibile da Bosch grazie al nuo-vo compattissimo motore, posto a fianco del de-ragliatore e capace di sprigionare una potenza di 250 W, al computer posto sul manubrio, alla batteria al litio e ai sensori di coppia, cadenza e

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velocità. Il motore, posizionato centralmente e molto in basso per agevolare la distribuzione dei pesi, include anche il sistema di trasmissione pri-mario ed è capace di assicurare picchi di 250 W di potenza con una coppia massima di 50 Nm, il tutto in meno di 4 Kg di peso. La durata della bat-teria (reale) va dagli 80-100 Km di un uso nor-male cittadino, ai 40 Km di un uso molto stres-sante del motore in off road. Molto veloci i tempi di ricarica che passano dalle 2h e 30 per avere il 100% ai 60 minuti per il 50% di batteria carica. Comoda la possibilità di staccare facilmente la batteria dal telaio (con una chiave di sicurezza dedicata) e poterla trasportare tramite apposita maniglia per ricaricarla a casa o in ufficio da una normale presa di corrente.

Come funziona il sistemaGrazie al computer posto sul manubrio si ha la possibilità di configurare una grande quantità di opzioni di assistenza alla pedalata. Possiamo infatti scegliere 5 modalità di funzionamento e all’interno di ciascuna selezionare la forza di intervento del motore in una scala da 1 a 3. Le modalità sono: Speed, Sport, Tour, Eco e Off. Oltre naturalmente a variare la prontezza con cui il motore interviene, queste opzioni incido-no anche sulla durata della batteria. Chi pedala sceglie il tipo di programma e varia la velocità e la forza con la quale far intervenire il motore. In un giorno di utilizzo ci si impratichisce e si impara facilmente, anche in corsa, a cambiare l’aiuto in base alle proprie necessità e alla carica

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rimanente della batteria o…delle gambe. Bosch è riuscita a costruire un sistema che grazie ai sensori di velocità, cadenza e soprattutto cop-pia, capisce quando intervenire fornendo alle vostre gambe un aiuto proporzionale alla forza con la quale state spingendo variabile tra il 30 e il 200% della coppia rilevata.

La prova dinamicaPer poter effettuare la nostra prova, Scott ci ha fornito una City Urban E-Venture 20 e una mountain bike E-Aspect 29, entrambe disponibi-li a listino a 2.699 Euro. Con le due bici abbiamo passato parecchi giorni pedalando per le strade di Milano e correndo su e giù per i sentieri bre-sciani.

e-venture 20, come lo scooter?La City bike della Scott sarebbe già senza mo-tore un’ottima bici da 26 pollici. Dotata di telaio in alluminio e di una buona componentistica con cambio Shimano XT a 9 velocità, freni a disco Avid Elixir 3, forcella (bloccabile) Suntour con corsa da 63 mm, luci e portapacchi (vedi scheda completa). Compresi motore, sensori e batteria il peso complessivo della E-Venture si attesta sui 21,80 Kg. La sensazione che si ha, utilizzan-dola normalmente per alcuni giorni, è che effet-tivamente questa tipologia di bici possa in alcu-ni casi sostituire uno scooter da 50 cc. I pregi sono tanti, a cominciare dai costi di esercizio e dall’autonomia, o che in sella alla Scott si pos-sa passare per alcune zone pedonali o giardini

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senza problemi. Restano però alcuni aspetti da considerare. Primo fra tutti la velocità massima di intervento del motore elettrico limitata a 25 km/h. Vi ritroverete spesso a superare il limite e se sulle brevi distanze questo non sarebbe un problema, su quelle lunghe invece i quasi 22 Kg si fanno sentire sulle gambe. L’altro aspetto deli-cato è il rischio furto di un mezzo del genere che per essere scongiurato obbliga all’acquisto di un ottimo “catenone” e all’asporto precauzionale della batteria se si lascia la bici in strada. Pos-siamo consigliare caldamente l’acquisto della E-Venture 20 a tutte le mamme che trasportano 1 o anche 2 bambini sulla bici tutti i giorni, alle per-sone che a una certa età non vogliono rinunciare alla bicicletta o a chi deve raggiungere l’ufficio, magari in strade chiuse al traffico, senza arrivare fradicio di sudore anche d’estate. La sensazione che si ha in sella è eccezionale, potendo scegliere facilmente di passare da un aiuto praticamente inesistente a uno sprint che vi spingerà da 0 a 25 km/h in pochi istanti, piano o salita che sia, fa-cendo sbiancare i vostri “vicini di bici”!

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e-Aspect 29, in fuoristrada con le gam-be di SchurterScott allestisce l’E-Aspect con telaio da 29 polli-ci in alluminio, cambio Shimano XT a 9 rapporti, freni a disco Shimano Deore, forcella Suntour da 100 mm (bloccabile) e un peso complessi-vo con motore e batteria di meno di 21 Kg. Noi l’abbiamo testata su vari percorsi di mountain bike bresciani, affrontando e filmando anche la salita della mitica “Madonna del Corno”, la cro-noscalata più dura della Gimondibike, una delle corse più conosciute della zona. Bene, in que-sto caso le differenze con l’enduro “a benzina” sono effettivamente troppe per poter conside-rare questa Scott una vera alternativa alla moto, vero è però che alcune emozioni che può rega-lare questo mezzo sono insostituibili. La cosa che salta subito all’occhio (e lo vedrete bene anche nel filmato) è che in nessun modo viene tolta la “sensazione” di fare fatica o di “andare” in mountain bike. Semplicemente potrete sce-gliere di spingere con lo stesso sforzo di sempre facendo però le cose molto più velocemente di

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prima, oppure fare molto meno fatica ma coprire distanze decisamente più lunghe. Intervenendo sui programmi del motore potrete togliervi gran-di soddisfazioni. Abbiamo voluto inserire il video della cronoscalata proprio per descrivere meglio la sensazione che abbiamo provato, di avere la gamba e il fiato del campione del mondo Nino Schurter (250 W in più su cui contare non sono pochi…). Siamo passati dai c.ca 18-25 minuti che ci mette un escursionista allenato a salire questo tratto, ai circa 7 minuti che solo i più forti campio-ni riescono a impiegare. E vi possiamo assicurare che la soddisfazione (ma anche lo sforzo) sono comunque stati importanti! Ma i vantaggi non sono solo in salita. Il peso del motore, posiziona-to al centro e in basso, aiuta anche a stabilizzare la bici in discesa. Il che unito alle ruote da 29 pol-lici e a una forcella con 100 mm di escursione, consente di raggiungere ottime velocità anche

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in questa fase dei percorsi. Nei tipici rilanci del Cross Country, quando si affrontano i saliscen-di con la E-Aspect, è una vera goduria. Nessuna preoccupazione per la durata della batteria, a meno che siate soliti percorrere uscite tirate da più di 70 Km in fuoristrada. Consigliata dunque a tutti coloro che non hanno la possibilità di allenarsi con costanza ma che vo-gliono comunque spingersi su percorsi duri o a chi per mancanza di tempo non può permettersi di stare in giro 3-4 ore in bici e vuole comunque percorrere lunghe escursioni o a chi, raggiunta una certa età vuole godere il piacere di fare usci-te nei boschi senza preoccupazioni. Infine pos-siamo raccomandarla anche a coloro che amano accompagnare i propri fidanzati, mariti o amici nelle loro escursioni in mtb, senza fargli perdere il loro ritmo ma senza nemmeno rischiare l’infar-to!

ConclusioniDue bici estremamente interessanti con due concetti d’uso molto diversi. La prima, la E-ven-ture 20, molto pratica e funzionale, utile anche a sostituire in certi casi un motorino a scoppio in città. La seconda invece dedicata al divertimen-to, capace di far raggiungere a tutti obiettivi a cui solo chi dispone di molto tempo per costanti e lunghi allenamenti potrebbe ambire. Entrambe consigliate anche a chi vuol fare cicloturismo impegnativo senza potersi allenare con costan-za. Molto buoni, come da tradizione Scott gli al-lestimenti, ottimo il sistema E-bike di Bosch che ha raggiunto un livello eccellente di prestazioni, personalizzazione, autonomia e godibilità. An-cora un po’ impegnativi (soprattutto in relazione all’offerta della concorrenza) i costi di acquisto, anche se la tecnologica è al top e la dotazione of-ferta è indubbiamente molto buona.

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Nuova Triumph Tiger Sport 1050 2013 La Tiger 1050 diventa Sport e nel 2013 guadagna 10 cavalli (ora 125) e un nuovo forcellone. Riviste anche le sospensioni, l’ABS e le grafiche. Arriva in aprile

P resentata al Salon de Bruxelles la nuovissima triumph tiger Sport 1050ccLa nuova Triumph Tiger è stata rin-

novata per il 2013 non solo nel look nuovo e più sportivo, ma anche nel nome che diventa Tiger Sport.

ecco in sintesi come cambia:•Potenza aumentata di 10 cavalli per il tre cilindri 1050cc, ora a 125•Nuovo forcellone monobraccio e sospensioni completamente riviste•Il nuovo sistema Triumph Dynamic Luggage system opzionale con capacità di carico di 10kg per borsa•Due nuove colorazioni e grafiche sportive•Garanzia standard di due anni a chilometraggio illimitato.

DesignSia parte posteriore sia parte anteriore sono state completamente riviste in ogni componen-te. I cambiamenti rispetto al modello della Tiger 1050 sono significativi: nuova carrozzeria (coda, pannelli laterali e parabrezza). Nuovo è anche il puntale standard.I nuovi quattro fari riflettori sono più leggeri e mi-gliorano la capacità di illuminazione, oltre a con-tribuire al generale cambiamento di look della Ti-ger Sport. La sella del pilota è più bassa di 5mm (830mm) e più stretta. Il manubrio è più basso e ravvicinato al pilota. Anche la sella posterio-re è più bassa. I maniglioni sono montati come

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standard. Grazie al nuovo telaietto posteriore, sulla Tiger Sport è stato possibile montare borse laterali più spaziose, disponibili come optional, con una capienza di carico di 10kg ciascuna, pari al doppio di quelle precedenti e possono con-tenere un casco integrale. Il Triumph Dynamic Luggage System è dotato di un cavo di intercon-nessione tra le borse per isolare dal telaio i movi-menti dovuti alle turbolenze e garantire una gui-da più stabile. Il blocchetto sinistro dei comandi al manubrio consente di eseguire tutte le funzio-ni con la mano sinistra, senza bisogno di lasciare la presa per operare sul pannello strumenti.

MotoreGrazie al nuovo scarico e al sistema di aspirazio-ne migliorato gli ingegneri Triumph sono riusciti a regalare 10 cv di potenza e 6 Nm di coppia, mentre il cambio è stato ottimizzato per offrire cambi marcia più dolci e veloci. Un attento lavoro sul sistema di iniezione ha portato a un migliora-mento dei consumi di carburante, che permette alla Tiger Sport di percorrere il 7% di strada in più con un pieno.

CiclisticaIl nuovo forcellone, disegnato appositamente per la Tiger Sport, consente più spazio per il nuovo scarico e le borse laterali più grandi. Geometria rivista – sterzo più chiuso di mezzo grado e inte-rasse leggermente più lungo. Le sospensioni in-teramente regolabili sono state completamente riprogettate con nuove molle e valvola idraulica. I freni radiali della nuova Tiger si accompagnano al più recente sistema ABS con un nuovo modu-latore. Le ruote in alluminio forgiate per la Tiger Sport sono montate con gli pneumatici Pirelli Angel GT. Per il 2013 la Tiger Sport è disponibile in Crystal White e Diablo Red. I prezzi della Tiger Sport saranno comunicati a febbraio e le prime motociclette saranno disponibili in concessiona-ria da aprile 2013.

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Nuova Honda MSX125arriva in italia la moderna Monkey!Arriva a sorpresa anche in Italia la MSX 125 (Mini Street Xtreme) con ruote da 12”. Studiata per divertire proprio come la mitica Monkey, sarà distribuita da maggio a un prezzo davvero interessante

A rriva a sorpresa anche in Italia la MSX 125 (Mini Street Xtreme) con ruote da 12”. Studiata per diverti-re proprio come la mitica Monkey,

sarà distribuita da maggio 2013 a un prezzo dav-vero interessante, di circa 3.000 euro su stra-da. La commercializzazione della MSX in Italia rientra nella nuova politica globale della Casa giapponese: i prodotti di maggiore successo sui principali mercati saranno infatti distribuiti dal colosso nipponico in tutto il mondo. Ecco perché la bella 125 coi piccoli ruotoni e un motore che ha fatto la storia della Honda arriverà anche da noi per fare breccia nel cuore dei sedicenni e di chi vuole una moto costruita bene e fatta per durare nel tempo. La prima Honda concepita per il puro divertimento fu la Monkey del 1963 che si carat-terizzava per le ruote di diametro ridotto. Svilup-pata e rinnovata di generazione in generazione, fu seguita dai modelli Dax ed Ape. Honda con la MSX125 guarda alle generazioni più giovani, le così dette “Generation Y” negli Stati Uniti o “Dek Neaw” in Thailandia e la “Street-Kei” in Giappo-ne. Prodotta nella fabbrica Honda in Thailandia, la MSX125 ha dimensioni compatte e un peso contenuto in soli 101 kg col pieno di benzina. Il cuore della MSX125 è un affidabilissimo motore monocilindrico a 4T con raffreddamento ad aria e cambio a 4 marce, alimentato a iniezione elet-tronica Honda PGM-FI con starter automatico e

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avviamento elettrico. I consumi sono bassissimi (il dato non è dichiarato ma potrebbero superare i 50 km/l). Al telaio in acciaio sono accoppiate la forcella rovesciata e il monoammortizzatore po-steriore con forcellone in acciaio. Le ruote da 12 pollici, con design a razze sdoppiate come sulle CBR-RR, ospitano pneumatici ribassati di larga sezione. Sono 4 i brevetti sviluppati e registrati da Honda per la nuova MSX125, tutti relativi alla struttura composita delle sovrastrutture che si uniscono al telaio. È stato scelto un telaio mo-notrave superiore in acciaio a sezione quadra. La trave principale congiunge direttamente il can-notto di sterzo con le piastre di infulcraggio del forcellone. Con un peso con il pieno di benzina di appena 101,7kg e la sella a soli 765mm da ter-ra, la MSX è adatta anche ai giovanissimi e può essere caricata agevolmente sui camper di chi parte per le vacanze. La forcella a steli rovesciati da 31 mm – che per la prima volta equipaggia un modello Honda da 125cc – riduce le masse non

sospese. I cerchi in alluminio pressofuso da 12’’ con canale da 2,5’’ montano pneumatici ribassa-ti nelle misure 120/70-12 all’anteriore e 130/70-12 al posteriore. In proporzione al diametro delle ruote, anche i freni sono grandi, con il disco an-teriore da 220 mm e il disco posteriore da 190 mm. La nuova MSX125 utilizza un faro anterio-re con proiettore combinato. Questa soluzione consente l’uso di un’unica lampada (tipo HS1 a doppio filamento da 35W/35W) per anabba-gliante e abbagliante che sfruttano le superfici della parabola multireflector. Infine una luce blu affianca la lente del proiettore migliorando la visibilità nel traffico. La compatta strumentazione con display digitale LCD offre tutte le informazioni fondamentali per il pilota: tachimetro, contakm con parziale, indicatore del livello carburante e orologio. Le versioni cro-matiche per il mercato italiano sono due: - Solid Asteroid Black Metallic - Pearl Himalayans Whi-te.

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il motoreIl motore raffreddato ad aria, con distribuzione monoalbero a 2 valvole, da 125cc della MSX125 deriva da uno dei più collaudati e affidabili pro-pulsori Honda di sempre, prodotto fino ad oggi in quasi 1 milione di unità. Sviluppato ulterior-mente per equipaggiare la nuova MSX125 è ora più efficiente nei consumi, grazie all’impiego di tecnologie a basso attrito, come il cilindro disas-sato (già adottato su PCX125/150, SH125/150i, CBR250R e CRF250L) e il bilanciere a rullo per l’azionamento delle valvole. Il cambio è a quattro rapporti, mentre la frizione multidisco è in bagno d’olio. La manutenzione è ridotta al minimo, tan-to che il filtro stesso ha un ciclo di servizio di ben 16.000 km. L’efficienza del catalizzatore è stata massimizzata posizionandolo all’interno del col-lettore stesso, in modo da raggiungere prima la temperatura di esercizio.

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kawasaki colorazioni 2013 per la Z1000SXEcco le nuove colorazioni, che più Kawasaki non si può, per la Z1000SX in versione 2013 sul mercato italiano

N essun aggiornamento di sostanza ma qualche ritocco alle grafiche per la Kawasaki Z1000SX, sportiva a manubrio alto della casa di Akashi

che ha riscosso un buon successo di vendite an-che a casa nostra. La Candy Lime Green/Metal-lic Spark Black è la tradizionale bicolore Kawasa-ki, con il verdone acido che si alterna con gusto al nero. Parere sicuramente personale, ma qui in redazione troviamo che dia una bella snellita alle linee della SX rispetto alla “normale” verde di quest’anno. La seconda proposta per il mer-cato italiano è un grintoso nero denominato Me-tallic Spark Black/Flat Ebony, tutto giocato sul contrasto fra il lucido e l’opaco. La cattiveria è fuori discussione, anche se non manca una cer-ta eleganza. Non verrà invece importata la Pearl Stardust White/Metallic Spark Black, riservata al mercato statunitense, che vi proponiamo co-munque nella Photo Gallery. Il bianco non “va” più come qualche stagione fa, ma ha ancora i suoi fan anche sul nostro mercato: forse farne arrivare qualcuna avrebbe pagato in termini di vendite...

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Husqvarnamotard turistica in arrivo? Sorpreso su strada un prototipo di una probabile proposta touring sulla base della 900 bicilindrica della Casa di Cassinetta

N on abbiamo nemmeno finito di me-tabolizzare le (poche, a dir la verità) novità per il 2013 che iniziano a pio-vere le foto rubate dei prototipi di

moto in arrivo. Stavolta sono stati i ragazzi del forum 100HP a postare su Facebook uno scat-to colto con prontezza che ritrae una Husqvar-na che, ragionevolmente, andrà ad allargare la (fortunata) gamma basata sul motore 900. Ad una prima, sommaria valutazione l’impressio-ne è che a Cassinetta stiano lavorando ad un

progetto analogo a quello messo in atto da Du-cati con la Hyperstrada. L’arrivo di carenatura, posizione di guida apparentemente più rilassata e (presumiamo) valige laterali dovrebbe quanto-meno far cambiare nome alla Nuda e dare vita ad un mezzo dalle ottime caratteristiche dinamiche pur con una certa attitudine al turismo a medio ed ampio raggio. Con ogni probabilità ne sen-tiremo parlare ancora prima che si avvicini alla produzione, difficilmente ipotizzabile prima del 2014.

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L e vendite complessive nel 2012Nel totale anno 2012 l‘immatricolato arriva a 206.422 veicoli con una fles-sione del -19,1%; di cui 147.119 scooter

-14,5% e 59.303 moto -28,5%. Il totale annuo per i ciclomotori (50cc) si ferma a 48.674 regi-strazioni pari al -31,8%. Complessivamente nel 2012 sono state vendute 255.096 due ruote a motore (immatricolazioni + 50cc), pari al -21,9% rispetto al 2011.

MotoLe moto registrano flessioni su tutte le cilindrate, dal segmento più importante delle moto superio-ri ai 1000cc con 17.039 pezzi pari al -31,5%, a se-guire i modelli tra 800 e 1000cc con 14.743 uni-tà, e un -30,8%; poi le medie cilindrate tra 650 e 750cc con 12.875 moto -18,4%, le 600cc che dimezzano le vendite con 3.214 moto -50,7%.

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Mercato moto 2012-21,9% rispetto al 2011. enduro stradali le più amate dagli italiani Nel 2012 sono state vendute 255.096 due ruote (immatricolazioni + 50 cc), pari al -21,9% rispetto al 2011. Le enduro stradali sono il segmento leader: BMW R1200 GS, Honda NC 700X e Ducati Multistrada le moto più vendute in Italia

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Infine le 300-500cc con 4.304 pezzi -17,2%, e le 125cc con 4.787 moto e un -27,8%. Il trend dei segmenti evidenzia un record negativo per le naked con 17.437 vendite -34,2% e le custom con 6.318 immatricolazioni -34,5 %, seguono le sportive con 5.601 moto -29,7% e le supermo-tard con 4.715 unità e un -31,1%, meno pesante la flessione delle enduro stradali che diventano il segmento più cospicuo con 18.133 pezzi -21,6%, e infine le moto da turismo con 5.629 moto -21,8%. Le enduro stradali la fanno da padrone e occupano i primi 5 posti delle moto più vendute. Da notare la performance di BMW che colloca 3 moto nella top five; sua è anche la moto più ven-duta, la R1200GS. Ma vanno bene le vendite an-che della R1200GS Adventure e della F800GS,

entrambe largamente oltre quota 1.000 immatri-colazioni. Al secondo posto troviamo una novità assoluta, la Honda NC700X che, superati i pro-blemi di distribuzione iniziali (dovuti alla forte do-manda), ha conquistato oltre 2.000 clienti. Otti-ma terza la Ducati Multistrada, che risulta anche la moto più immatricolata nel mese di dicembre (245 pezzi). In un mercato che nel 2012 ha fatto registrare una flessione complessiva di quasi il 20% rispetto al 2011, Honda - con una quota del 24,5% tra gli scooter (era del 19,7% nel 2011) e del 16,4% tra le moto (era del 12,8%) - conqui-sta la vetta sia del comparto moto che di quello scooter, passando dal secondo al primo posto, rispetto al 2011, in entrambe le categorie. Il det-taglio per cilindrata conferma il segmento più

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grande degli scooter di 125cc con 57.214 veicoli e un +1,1% grazie al contributo significativo dei mezzi immatricolati da Poste italiane. Abbastan-za in linea con il calo del mercato i 150-200cc con 30.632 pezzi -16,8%. In caduta libera i 250cc con 7.584 veicoli -46,7%, mentre i 300-500cc subiscono un travaso di volumi con 38.289 uni-tà -38,5%, che si spostano a favore dei maxi-scooter con 13.400 immatricolazioni rispetto alle 2.126 dello stesso periodo dell’anno scorso, con decisa impennata dei nuovi modelli di maggiore cilindrata e prestazioni. Vi abbiamo detto della commessa di Poste Italiane con Piaggio Liberty 125. Va sottolineato il secondo posto, ma primo sul mercato “vero”, dello Yamaha TMAX 530 che piazza ben 9.306 pezzi, staccando l’Honda SH 150 di poche centinaia di unità. Ottimo risultato per la famiglia degli SH realizzati ad Atessa: le tre cilindrate totalizzano oltre 22.000 immatri-colazioni, rafforzando la posizione di leader della Honda in Italia nel segmento scooter.

Le vendite nel mese di dicembreVendite negative nell’ultimo mese dell’anno, come purtroppo accaduto nel corso di tutto il 2012, che comportano 4.014 veicoli immatri-colati. In termini percentuali la perdita è pari al -29,8% rispetto allo stesso mese del 2011.

Le moto con 1.438 unità segnano un -14,6%; mentre gli scooter con 2.756 pezzi presentano un calo più consistente del -36,2%. Dicembre pesa solo il 2% delle vendite dell’anno, ma è preoccu-pante che negli ultimi 5 mesi ci sia stato un calo costante a 2 cifre. Non fanno eccezione i 50 cc con solo 1.462 registrazioni e un - 40,5%.

il commento di ANCMA: “Servono azioni concrete”“Azioni concrete che prospettino la crescita e sia-no in grado di dare fiducia agli utenti, far ripartire il mercato e sottolineare il ruolo che le due ruote stanno avendo come soluzione al problema della mobilità individuale: questa la richiesta del set-tore. Pressione fiscale ai massimi livelli, alti tassi di disoccupazione e precarietà non consentono una ripresa, in particolare sono penalizzati i più giovani che non hanno sufficiente potere d’acqui-sto - afferma Corrado Capelli, Presidente di Con-findustria ANCMA (Associazione Nazionale Ciclo Motociclo Accessori) – Servono maggiore credi-to al consumo, con tassi di interesse accessibili, tariffe assicurative calmierate e sotto controllo. Nel 2013 saranno i pilastri sui quali fonderemo le nostre battaglie”. Guarda le classifiche di vendita di moto e scooter di Gen-Dic 2012

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2012 record per BMWvendute nel mondo 106.358 moto. Cresce Husqvarna Anno record di vendite per BMW Motorrad che con 106.358 veicoli venduti incrementa del 2% il risultato del 2011. Le più vendute sono le R 1200 GS, bene anche i maxiscooter e i modelli Husqvarna

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N el 2012, BMW Motorrad ha conse-gnato ai propri clienti in tutto il mon-do 106.358 motocicli e maxi scoo-ter, stabilendo così il nuovo record

di vendite di tutti i tempi (anno prec. 104.286 uni-tà / +2,0%). Nel mese di dicembre, le consegne sono aumentate del 43,4% rispetto allo stesso mese del 2011, raggiungendo 6.069 unità (anno prec. 4.232 unità). La Germania è stata ancora una volta il mercato più forte del 2012; 20.516 veicoli sono stati assorbiti dal mercato interno, circa un quinto di tutte le consegne. Il secondo e terzo mercato in ordine di grandezza è stato rap-presentato dagli Stati Uniti (12.100 unità) e dalla Francia (10.950 unità). Fortemente influenzata

dalle condizioni di mercato, l’Italia si è attestata in quarta posizione (10.200 unità), dopo essere stata in precedenza il secondo più grande mer-cato di BMW Motorrad. Nel frattempo, il Brasile è cresciuto, aggiudicandosi il quinto posto con 7.442 unità. Attualmente, BMW Motorrad produ-ce quattro modelli a Manaus/Brasile destinati al mercato locale, per rispondere al ruolo sempre più importante di questo mercato.

Le BMW più venduteLa R 1200 GS con raffreddamento ad aria è la moto BMW di maggior successo. Nell’ultimo anno di produzione, la maxi enduro da viaggio R 1200 GS con motore boxer raffreddato ad aria si

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è dimostrata ancora una volta la moto BMW di maggior successo (17.249 unità), seguito dalla F 800 GS (11.487 unità), e dalla R 1200 GS Adven-ture (10.203 unità). I successivi modelli presenti in classifica sono la superbike S 1000 RR (8.970 unità) e la classica R 1200 RT touring (7.909 uni-tà). Anche le super touring K 1600 GT e GTL han-no riscosso un ottimo successo, con una vendita totale di 10.033 unità.

Stephan SchallerIl Presidente di BMW Motorrad, ha affermato «Mai prima d’ora nella storia di BMW Motorrad siamo riusciti a vendere una tale quantità di

veicoli. Abbiamo raggiunto questo sorprendente successo di vendita nel contesto di un mercato motociclistico molto difficile, soprattutto in Eu-ropa. Desidero ringraziare sinceramente tutti i nostri clienti per aver riposto la propria fiducia in noi. Questo record di vendite dimostra che le nostre moto e maxi scooter sono stati accolti in modo estremamente positivo. Siamo sul binario giusto con la nostra strategia di prodotto e vendi-ta, e procederemo a pieno ritmo per permettere una crescita continuativa. Nel mese di dicembre abbiamo iniziato a offrire ai clienti quello che at-tualmente è il veicolo più innovativo nel settore delle supersportive da 1000 cc: la nuova HP4.

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I tre speciali modelli boxer “90 anni di BMW Motorrad” arriveranno nelle concessionarie a gennaio. Nel mese di febbraio cominceremo la commercializzazione del nuovo modello touring di fascia media, la F 800 GT, mentre a marzo 2013 sarà lanciata la nuova versione del nostro bestseller, la nuovissima R 1200 GS – che rap-presenta la “summa” della nostra esperienza di oltre trent’anni nello sviluppo di GS, con pre-stazioni nettamente superiori, maggior adatta-bilità in termini di prestazioni touring e off-road, più dotazioni, maggior sicurezza e comfort e un caratteristico e moderno design GS. Siamo cer-ti che la nuova versione dell’enduro da viaggio più venduta al mondo attirerà ancor più clienti. Inoltre, ci aspettiamo forti segnali di crescita dai nostri maxi scooter. Dal lancio sul mercato nel secondo semestre del 2012, siamo riusciti a vendere quasi 5.300 veicoli, e ora attendiamo i numeri del primo anno completo di vendite. Ab-biamo molti nuovi prodotti in serbo per i nostri clienti nel 2013 - l’anno del nostro 90 ° anniver-sario. Sulla base dell’attuale offensiva di prodot-to, guardiamo fiduciosi alla prossima stagione. Il nostro obiettivo è di superare ancora una volta il record del 2012».

husqvarna Motorcycles: una crescita del 15,7% rispetto al 2011Da gennaio a dicembre incluso, Husqvarna Mo-torcycles ha consegnato un totale di 10.751 vei-coli alla rete di concessionari Husqvarna (anno prec. 9.286 unità / + 15,7%). Le consegne del mese di dicembre hanno rag-giunto un totale di 1.267 veicoli (anno preceden-te: 1.330 unità / - 4,7%). I modelli più popolari del segmento sportivo delle monocilindri (endu-ro, supermoto, motocross) sono stati i 250/310 cc (2.758 unità) e i 449/511 cc (1.627 unità). Nel segmento dei motocicli ideati per l’uso su strada, a dicembre sono stati consegnati 1.936 veicoli dei modelli Nuda 900 e Nuda 900R, così come 1.321 unità dei modelli TR 650 Terra e TR 650 Strada.

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kTM: il 2012 anno record nel mondoVendute 107.142 motodi Andrea Perfetti | La Casa austriaca ha chiuso il 2012 con un risultato molto positivo, il migliore della sua storia. Supera BMW e cresce del 32% grazie all’India e agli USA

L a Casa austriaca ha chiuso il 2012 con un risultato molto positivo, il migliore della sua storia. Supera BMW (di un soffio: 107.142 moto contro 106.358

della tedesca), e cresce del 32% grazie all’India e agli USA. L’abbiamo già detto più volte su Moto.it: questi anni di forte contrazione dei consumi e di incremento della disoccupazione nel Sud Europa lasceranno ben altro sapore nel resto del mondo. Sudafrica, India, Brasile, Cina, Tailandia, Russia e in parte gli stessi Stati Uniti d’America non stanno

vivendo le difficoltà del nostro Paese, che nel giro di due anni ha perso oltre 100.000 prime imma-tricolazioni di motocicli. Altrove le moto si vendo-no ancora e, in alcuni casi, si vivono veri e propri boom economici che richiamano alla memoria i nostri favolosi anni ’60. E’ il caso dell’India, ad esempio, che ha permesso alla KTM di crescere enormemente, con un incremento sul mercato globale del 32% rispetto al 2011, che vale 107.142 moto vendute. Cresce di conseguenza il fattu-rato, che supera i 610 milioni di euro. Il partner

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asiatico Bajaj ha venduto sul mercato indiano ol-tre 8.000 Duke 200. Ma la piccola nuda è andata a gonfie vele anche in Europa, consentendo alla Casa di Mattighofen di crescere del 9% (a fronte di un calo complessivo del 12% delle due ruote). Questo ha permesso alla KTM di aumentare il suo market share del 33%, raggiungendo una penetrazione del 7,5% in Europa. Di una crescita a due cifre gli austriaci sono protagonisti anche negli USA. Qui le vendite di moto sono rimaste pressoché stabili rispetto al 2011 (+1,2%), ma la KTM ha messo la quarta ed è cresciuta del 25%.

il centro del mondo si sposta a orienteLe aziende motociclistiche europee e giapponesi guardano con maggiore interesse al sud est asia-tico per compensare il calo delle vendite in Eu-ropa, e anzi veder crescere in modo significativo fatturato e produzione. Lo dice a chiare lettere il CEO KTM, Stefan Pierer, quando sottolinea come le vendite della Casa austriaca in Asia siano au-mentate nell’ultimo anno di ben dieci volte.

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Comune di Milano prevenuto su moto e scooter? di Ippolito Fassati | Pierfrancesco Maran, assessore alla Mobilità del Comune di Milano, ha una visione personale un po’ inquietante delle due ruote a motore in città. L’abbiamo scoperto durante un incontro organizzato dalla Compagnia dell’Automobile

M entre i milanesi non possono fare a meno della mobilità pratica, eco-nomica e poco inquinante data dalle due ruote e motore, l’asses-

sore Maran sembra avere una percezione perso-nale un po’ troppo negativa su questi mezzi e su chi li conduce. Il nostro collaboratore (Automo-to.it), Paolo Ciccarone, ha incontrato il 2 gennaio - insieme ai colleghi della Compagnia dell’Auto-mobile - Pierfrancesco Maran, assessore alla

Mobilità, Ambiente, Arredo urbano e Verde del Comune di Milano. Tema dell’incontro i proble-mi legati alla mobilità nel comune lombardo e le strategie future della giunta guidata dal sindaco Pisapia riguardanti diversi, scottanti argomenti (corsie preferenziali, parcheggi a pagamento, riduzione delle auto circolanti, piste ciclabili, par-cheggi di moto e motorini sui marciapiedi, AreaC e molto altro ancora). Paolo Ciccarone racconte-rà agli ascoltatori di Radio Montecarlo l’esito del

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dibattito sabato mattina alle 12:25. Ci teniamo a pubblicare alcuni passaggi dell’incontro che ci ri-guardano da vicino. I milanesi che infatti si muo-vono ogni giorno in moto e scooter – non per diletto, ma per lavoro – sono decine di migliaia. Sicuramente grazie a questo alto numero le città sono meno congestionate, meno inquinate e con minori problemi di parcheggio. Per questo senti-re dalla viva voce di Maran (ascolta l’audio alle-gato) un atteggiamento personale pregiudiziale nei confronti dei motociclisti stona e fa suonare un campanello di allarme.

La mia percezione di moto e motorini è negativa. Parola di MaranAbbiamo scoperto che il politico ha una percezio-ne alquanto personale delle due ruote in città. A noi piacerebbe sapere che lui, come tutte le per-sone che amministrano la cosa pubblica, basi le sue scelte politiche sulla scorta di studi di settore o di elaborazioni statistiche, non certamente di pregiudizi personali. Ma l’audio non lascia dubbi. «Abbiamo un problema generale di mancanza del rispetto delle regole che riguarda i ciclisti, i pedoni, gli automobilisti e forse mettiamo in pole position i motociclisti e gli scooter che oggettiva-mente sono la categoria più…». A questo punto Maran viene giustamente interrotto dal giorna-lista Giorgio Bungaro che gli chiede ragione di questa affermazione perlomeno discutibile. La risposta di Maran ci spiazza. «Oggettivamente come comportamento disinvolto in strada e nu-mero di infrazioni sono la categoria… (peggiore, ndr)». Ancora incalzato sul motivo della messa all’indice delle moto, Maran è autore di un clamo-roso autogoal, tanto da ridurre le sue dichiara-zioni oggettive a mere sensazioni personali. «E’ la mia percezione personale, sto parlando io e vi dico la mia percezione…».

La situazione per i motociclisti rischia di peggiorareNoi cittadini delle percezioni personali degli Assessori ce ne facciamo poco, soprattutto se

come temiamo, queste sono alla base di scelte politiche che possono peggiorare significativa-mente la qualità della nostra vita. Va detto che oggi le moto e i motorini non sono mal visti a Milano: sono esentati dal pagamento per l’in-gresso in AreaC, hanno accesso a molte corsie preferenziali destinate al trasporto pubblico e dalle forze dell’ordine è tollerato il loro parcheg-gio (purché non sia di intralcio ai pedoni) su al-cuni marciapiedi. Teniamo però alta l’attenzione sull’operato dell’assessore Maran, perché non vorremmo che l’aria cambiasse (non quella che respiriamo). Le sue affermazioni finali, relative ai parcheggi delle due ruote, non ci fanno ben sperare: «Che una bici sosti sul marciapiede mi convince, che lo faccia un motorino o un auto mi convince meno». Equiparare la sosta delle auto a quella dei motorini sui marciapiedi di Milano è un segnale che allarma. Vista l’aria che tira, l’avviso ai motociclisti è chiaro. Cerchiamo di controllarci fra noi perché il comportamento di quella picco-la minoranza presente in ogni “categoria”, che parcheggia di traverso sui marciapiedi e invade le strisce pedonali, non ricada su tutti. E a Maran continuiamo a suggerire di valutare bene la gran-de quantità di aspetti positivi che moto e scooter hanno sulla città.

Abbiamo scoperto che

il politico ha una percezione alquanto

personale delle due ruote in città

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Nico CereghiniPiloti e Paesi: Gran Bretagna Nella quinta puntata della rubrica scopriamo il DNA dei piloti inglesi. Le caratteristiche comuni che li uniscono ma anche i vizi e le virtù che li rendono unici rispetto ai rivali

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hiariamo subito un fatto: sono partiti prima, perché mentre da noi Garibaldi univa l’Italia, 1861, da loro già cominciava la rivoluzione industriale che li avrebbe portati a uno sviluppo enorme: industrie, mezzi, cul-tura, tecnologia, e dunque

gare, piste, primati. Oggi i piloti britannici (Ingle-si, Scozzesi, Irlandesi e Gallesi) sono una sparuta minoranza in tutti i campionati, ma fino agli anni Settanta erano i dominatori. Da Woods a Duke a Surtees, da Hailwood fino a Read e Sheene. Vere leggende del motociclismo. Vi basti un dato: 365 vittorie britanniche nel motomondiale, di cui 135 con 22 piloti nella top class. Con noi Italiani, sono in vetta a tutte le classifiche. Mi sarà impossibile citare tutti i piloti vincenti e le case britanniche, ci vorrebbe un libro, dunque questa volta – per cer-care il loro speciale DNA- mi limiterò a racconta-re qualche storia esemplare. I famosi di oggi, e penso soprattutto alla SBK e a Sykes, Rea, Ha-slam, Camier, Davies, non spiccano nel gruppo. Smith, Redding, Webb e Kent pure. Ma Geoff Duke spiccava eccome: stile impeccabile, gran-de sensibilità, sei titoli mondiali in 500 e 350, Norton e soprattutto Gilera, 33 vittorie, un prota-gonista degli anni Cinquanta, un personaggio di grande signorilità molto amato anche in Italia. Velocissimo anche sul bagnato come è tipico dei britannici. Poi John Surtes, altro fenomeno di quell’epoca: lui, che aveva iniziato con la Norton

come gli altri, diventò il numero Uno della MV Agusta nel 1956, e conquistò sette titoli iridati in 350 e 500 prima di passare alle auto. Vincendo anche lì: Surtees è l’unico pilota della storia con in tasca titoli mondiali in moto e in Formula 1: sta-gione 1964, quattro successi, campione con la Ferrari. MV e Ferrari, John deve tutto al made in Italy. Ancora adesso è un’autorità e forse ricor-derete: suo figlio Henry purtroppo ha perso la vita nel 2009, in F2, una ruota vagante lo ha col-pito al capo. Gran Bretagna vuol dire anche e so-prattutto Tourist Trophy, la famosa corsa stra-dale che si disputa dal 1907 sui 60 chilometri e rotti dell’isola di Man. Discutibile fin che si vuole, ma assolutamente unica per fascino e tradizio-ne. Il coraggio, ecco la prima caratteristica del DNA britannico. Ci vuole molto coraggio per tuf-farsi sul quel tracciato a medie pazzesche, e qua-si tutte le generazioni dei piloti britannici sono passate da quella scuola. Lassù, al TT, si certifi-cava anche la qualità delle moto, così agli albori vincevano soltanto le inglesi, la Guzzi la spuntò una prima volta con lo specialista Stanley Woods nel 1935 e con Omobono Tenni (primo “stranie-ro”) nel ’37. Ancora negli anni Sessanta, se volevi dimostrare che le tue moto erano valide, dovevi vincere al TT. La stessa Honda, quando pianificò di aggredire il mercato europeo, proprio in quella corsa (allora valida per il mondiale) fece debutta-re le sue favolose pluricilindriche. Dunque, l’indu-stria inglese a lungo fu la prima nel mondo. Oltre novanta le case che hanno prodotto moto dal

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1901 ad oggi. Solo qualche cartolina. La Matchless fu la prima, e già vinceva il TT nel 1907, faceva una bicilindrica nel ’12 e una quattro cilindri 593 a V stretto, la Silver Hawk, nel 1931. La Matchless, che assorbì la AJS diventando AMC, faceva moto fantastiche, aveva vinto il pri-mo mondiale 500 della storia, nel ’49, con Leslie Graham, e nel ’54 seppe costruire questa bicilin-drica di gran classe: la 500 Porcupine, porcospi-no per via dell’alettatura dei cilindri. Gli anni Ses-santa furono molto critici per tutta l’industria britannica, del ’66 la bancarotta del gruppo. In-vece la BSA faceva armi dal 1861, e le moto dal 1903; negli anni trenta aveva una gamma com-pletissima, dalla 250 alla 1000. Nel ’51, quando acquisì la Triumph, era la più grande casa moto-ciclistica mondiale. Vinsero tanto tra le derivate, le BSA: a Daytona, anno 1954, 5 BSA ai primi 5 posti. Ma nel ’68 anche quella fu spazzata via dalla crisi. Come la Norton, che dal 1902 faceva bellissime moto vincenti e nel ’47 iniziò a produr-re per i piloti privati la famosa Manx 500, eccola, che classe e che telaio, era il famoso “letto di piu-me”. Per molti la più bella monocilindrica da cor-sa mai costruita. Alla fine degli anni Sessanta ancora vinceva. Del ’67 è la felice Norton Com-mando, nel ‘76 la chiusura ufficiale. Tra le moto inglesi più belle non si possono dimenticare le Broguh Superior del periodo tra le due guerre, le Rolls Royce a due ruote: con una di queste si am-mazzò il celebre Lawrence d’Arabia nel 1935. Era il modello SST 100. E 100 stava per 100 miglia orarie, cioè oltre 160 chilometri all’ora. Di tutti questi marchi oggi sopravvive Royal Enfield, for-te negli anni Cinquanta e dal ’71 venduto agli

Indiani. E naturalmente il marchio Triumph, falli-to nell’83 ma acquistato da John Bloor e rilancia-to definitivamente nel ’90 con il nuovo stabili-mento di Hinckley. La Triumph che ha fatto la storia è soprattutto questa 650 bicilindrica del ‘69, chiamata Bonneville in memoria dei record ottenuti sul famoso lago salato dello Yutah. Era stata concepita per il mercato americano, fu la moto di Marlon Brando e di Steve Mc Queen, ed è bello che sia ancora vivo un modello che la ce-lebra. Tornando ai piloti, il più grande di tutti è stato Mike Hailwood, Mike the bike, nove volte campione del mondo con la Honda, con la MV e ancora con la Honda. Numero Uno degli anni Sessanta, lui ha vinto GP in quattro classi, dalla 125 in su, è stato il re del TT e la sua impresa più leggendaria ha avuto come teatro proprio l’isola di Man. Mike era ormai passato alle auto, aveva conquistato un titolo europeo di Formula 2 nel ’72, poi aveva fatto molto bene anche in F1 prima del terribile incidente del ’74 al Nurburgring. Ma nel 1978 tornò sulla moto, tornò al suo Tourist Trophy dove aveva già vinto tredici volte, con una Ducati SS 900 preparata a Bologna. E vinse, una gara epica, battendo Phil Read con la Honda. Nel ’73 Hailwood aveva salvato Regazzoni dal rogo della sua vettura, in Sud Africa, e gli era sta-ta assegnata la Medaglia di Re Giorgio. In Gran Bretagna sanno come si fa a valorizzare le cose e le persone. Mike è morto nel marzo dell’81, era appena quarantunenne, in un incidente stradale con la macchina sotto la pioggia. Lui che era con-siderato il re del bagnato… Dietro a Mike, per me i grandi britannici sono stati Phil Read, sette vol-te campione con Yamaha e poi MV, grandissimo

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stile di guida; Barry Sheene, re della 500 con la Suzuki nel biennio ‘76 e ’77, gran senso dello spettacolo; Carl Fogarty, 4 volte campione della SBK con la Ducati, guida fisica e temeraria. Nelle altre discipline penso a Sammy Miller, un riferi-mento per il trial e al giovane Lampkin, Dougie, sette volte campione outdoor e 5 indoor; a Dave Thorpe per il cross con i suoi tre titoli sulla Hon-da; a Paul Edmondson e David Knight per l’endu-ro; a Lee Richardson che era una star dello speedway, ed è morto nel maggio scorso in una gara in Polonia. Solo per citare qualcuno dei tan-tissimi piloti britannici che hanno vinto titoli mondiali. Una pagina in più merita però Joey Dunlop, scomparso nel 2000 a Tallin in una gara stradale che era la sua specialità, sul bagnato, contro gli alberi, con una piccola 125 subito dopo

aver vinto la 600 e la 750. Il suo funerale fu tra-smesso in diretta tv dalla sua Irlanda del Nord. Dunlop è il più vittorioso al TT –dove aveva esor-dito nel ’76!- con 26 successi e altri 14 podi, per la maggior parte in sella alla Honda; precede sull’al-bo d’oro dell’isola Mc Guinness a quota 19, ma primatista è anche Ian Hutchinson, che nell’edi-zione del 2010 ha colto cinque vittorie su 5 par-tenze. E al Tourist Trophy siamo tornati, perché la matrice dei piloti è qui. Gli Inglesi. Tutte queste storie hanno un comune denominatore? Sì, io penso che nel loro DNA c’è tutta la grandezza di un Paese che ha dominato a lungo la cultura e l’economia del mondo. Da lì quattro grandi quali-tà: facilità di relazione, coraggio, eleganza e so-prattutto classe. Grande classe per i piloti britan-nici, figlia della cultura.

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Nico Cereghini“Costa, agostini e i piloti ragazzini” Il dottore dei piloti mette al centro i fanciulli e la loro energia, il campione si preoccupa per la loro incolumità. Nello sport si comincia da piccoli. E’ opportuno oppure no?

iao a tutti! Domeni-ca ero a Valenza, f a m o s a città degli orafi e di q u e l l ’A -

misano Gino che con l’ini-ziale della sua città fondò l’AGV dei caschi. Amisano è scomparso pochi anni fa, è stato un protagonista della ricostruzione e un precursore, ha infilato i suoi caschi sulle teste di Ago, di Roberts e di mez-za F1, ha aiutato Checco Costa con le prime 200 Miglia, ha raccolto l’appello di Claudio Costa per la prima clinica mobile. Era un ometto che non stava mai fermo, simpatico, vivace e intelligente. E se passate da quelle parti sappiate che a Va-lenza, per un mese, potrete ammirare una bella

raccolta dei suoi caschi più famosi, delle moto che ha sponsorizzato, degli oggetti e delle foto della sua professione. Per info: il sito è www.ami-sanoginovalenza.it. Bene, c’era molta gente, do-menica, e c’erano quattro piloti. Danilo Petrucci, ventiduenne della CRT, poi, per la Moto3, i 17enni Niccolò Antonelli e Romano Fenati, e il non anco-ra sedicenne Francesco Bagnaia che affiancherà

Romano nel team Italia. Tra tante teste grigie –clas-siche di queste celebrazioni- i quattro non si sono intimiditi e anzi hanno partecipato con molta pro-fessionalità e soprattutto con entusiasmo. La sto-ria di Gino Amisano, che ovviamente non hanno mai conosciuto, è piaciuta anche a loro. E a un certo punto è nata una interessante discussione. Da una parte Agostini che metteva in dubbio l’op-portunità di mandare in pista i piloti-ragazzini, dall’altra il dottor Costa che introduceva argo-menti originali. I quattro, con qualche mamma al seguito, seguivano attenti. «I bambini – filo-sofeggiava Claudio- sono al centro del nostro mondo, per loro tutti noi adulti ci appassioniamo e ci impegniamo, e tra pochi giorni, a Natale, ne adoreremo uno molto speciale. Con i fanciulli noi adulti ci comportiamo in due modi, qual-che volta mostrando loro la strada della nostra esperienza e altre volte lasciandoli giocare spen-sierati. Il gioco li fa crescere. Credo che non si possa dire a priori ciò che è buono e ciò che non

lo è, ma che sia soltanto questione di trovare la personale misura». Ago è un uomo solido e concre-to, annuiva ma non pareva così convinto. «Siamo tutti felici di vederli correre –ha concluso con una certa saggezza- ma se poi succede qualcosa di doloroso ci chiediamo dove abbiamo sbagliato». Lui ed io siamo piloti (fatte le debite proporzio-ni) di altri tempi: i mezzi erano pochi, i genitori avevano altre urgenze, cominciare a correre pri-ma dei vent’anni era quasi impossibile. La nostra generazione oggi si preoccupa che questi ragazzi non valutino a fondo i rischi, e poi noi pensiamo che la fame (di correre, di andare, di crescere) alla fine aiuti anche a coltivare motivazione e talen-to. Io però ho fatto notare a Giacomo che questi ragazzini corrono già da molti anni, che hanno iniziato prestissimo come capita del resto in tutti gli sport, e che (finché dura) questo è lo spirito di oggi e poco ci si può fare. Però chissà, l’argomen-to è di quelli caldi, e mi piacerebbe sentire anche la vostra opinione.

E’ nata una interessante

discussione. Da una parte

Agostini dall’altra il dottor Costa che introduceva argomenti originali

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Nico Cereghini“Quei blinker delle auto in città” Argomento minore, ma non secondario. Molti automobilisti non sanno più indicare le loro intenzioni con la freccia giusta. Accendono le quattro luci lampeggianti, che sarebbero per l’emergenza, e fanno quello che gli pare

iao a tutti! Comincia l ’ a n n o nuovo e a noi mo-tociclisti, a b b a c -chiati e

tartassati più che mai, non resta che incrociare le dita e attendere tem-pi migliori. La speranza, mai sopita, è che il 2013 ci porti un po’ di ripresa e di serenità. Oppure che almeno ci liberi dagli automobilisti di città con i loro maledetti blinker. Questa settimana me la prendo con loro. Lo faccio per tanti buoni moti-vi: per esorcizzare la crisi, per sfuggire al buoni-smo che circola in dosi massicce in questi giorni, per educarli e infine per distrarci un po’. Do per scontato che gli automobilisti di città abbiano

conseguito la patente come tutti gli altri. Qual-cuno mi dice che ne circolano tante false, di pa-tenti, ma questa variabile preferisco ignorarla. Ebbene, se questa gente ha seguito un corso di teoria in autoscuola deve per forza aver sentito parlare del corretto uso delle frecce quando ci si accinge a parcheggiare la macchina. Parlo del parcheggio cosiddetto “ad esse in retromarcia”.

Una volta accertati, mediante gli specchi retro-visori, di non ostacolare altri veicoli, si inserisce l’indicatore di direzione sul lato prescelto per la sosta, si rallenta, si individua lo spazio adeguato alle dimensioni della propria automobile, si af-fianca il veicolo che sta davanti a tale spazio, si controlla ancora che nessun mezzo stia soprag-giungendo e infine si effettua la manovra finale di inserimento “ad esse” in retromarcia. Tutto que-sto è scritto sui libri. Per ben due volte è neces-sario guardare gli specchi per non danneggiare gli altri utenti, e va accesa solo la freccia giusta. Proprio come fanno qui a Milano. Non so se suc-cede anche nella vostra città, ma qui la procedu-ra è ormai la seguente: vedono un posto libero insperato, frenano in mezzo alla strada e atti-vano le quattro frecce, dentro la retro e via. Tu ti trovi improvvisamente dietro a una macchina ferma, e non sai che cosa farà: la passi a sinistra, la passi a destra? e quando si accendono le luci di retromarcia, allora puoi soltanto attaccarti al clacson sperando di essere sentito. Quando pro-testi, quelli ti mandano al diavolo: “ma non le hai

viste, le quattro frecce?”. Per loro, accendere i blinker è esattamente come gridare “arimo!” nei giochi dei bambini. Avete presente? Una volta si gridava la formula completa, arimortis, ades-so si abbrevia, ma serve sempre ad invocare la sospensione del gioco; per una sbucciatura al gi-nocchio, una stringa slacciata, la chiamata della mamma. Un po’ come gli allenatori del basket chiamano il time-out. Nessuno si sognerebbe di lanciare la palla nel canestro durante il time-out, esat-tamente come nessun ragazzino ti frega prima che tu gridi ”arivivis” per ricominciare a giocare. Ecco, i nostri automobilastri accendono i blinker e credono di poter godere di una specie di immu-nità temporanea, fino a che non li spegneranno diventano intoccabili, vietato protestare. Ho i blinker accesi, ergo posso fare quel che mi pare: sostare in seconda fila, fermarmi in mezzo alla strada per scaricare il ragazzino che va a tennis, parcheggiare a destra o a sinistra. Poi spengo i blinker e arivivis. Che l’anno nuovo ci porti alme-no la freccia giusta.

Vedono un posto libero insperato, frenano in mezzo alla strada e attivano

le quattro frecce, dentro la retro e via

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MaSSiMo Clarke“50 Da CorSa, PiCColi CaPolaVori iTaliaNi” Ecco le uniche quattro tempi specificamente realizzate dalle industrie nazionali per le gare della minima cilindrata, una volta tanto popolari

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P er lungo tempo la classe 50 è stata una importante prota-gonista delle competizioni di velocità, con splendide realiz-zazioni tanto artigianali quanto dovute a grandi case. Il cam-

pionato mondiale per le moto di questa cilindra-ta è cominciato nel 1962, con la vittoria di Ernst Degner in sella alla Suzuki monocilindrica a disco rotante. La scena è sempre stata dominata dai motori a due tempi, ma per diversi anni la Hon-da ha corso, con eccellenti risultati, con moto a quattro tempi, dapprima monocilindriche e subi-to dopo bicilindriche, sempre bialbero a quattro valvole. Una di queste ultime ha vinto il titolo iri-dato nel 1965 con Ralph Bryans. Da allora in poi però i 2T, via via migliorati a livello di prestazioni, si sono rivelati al di fuori della portata dei cugini a quattro tempi. In Italia i cinquantini sono stati formidabili primattori anche nei campionati ju-niores e nelle gare in salita. Pure qui i 2T hanno dettato legge, ma non inizialmente, quando tre delle nostre case più importanti hanno realizzato delle bellissime monocilindriche a quattro tem-pi espressamente studiate per le competizioni (pure la Motom ha corso per diverso tempo, ma si trattava di un mezzo derivato da un tranquil-lo modello di serie con distribuzione ad aste e bilancieri). La prima a pensare a un cinquanti-no di questo tipo è stata la Mondial, per merito precipuo del famoso tecnico Nerio Biavati, che ha avuto l’idea di realizzare questa moto e di seguire quindi la sua realizzazione. Il motore lo ha assemblato al di fuori del reparto corse, dato che in quel periodo la casa aveva cessato l’attivi-tà agonistica in forma ufficiale. Dopo una fase di

sviluppo iniziata nel 1958-59, la piccola Mondial ha preso parte a diverse gare, condotta princi-palmente da Francesco Villa, nei primi anni Ses-santa. Il motore monocilindrico aveva la distri-buzione monoalbero (ma è stata provata anche una versione con due alberi a camme in testa), comandata da una cascata di ingranaggi posta sul lato destro. Da circa sette cavalli a 10.000 giri al minuto iniziali, via via migliorato (ci ha

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lavorato molto anche lo stesso Villa, che oltre ad essere un veloce pilota era pure un ottimo tecni-co), è arrivato ad erogarne circa 12, a un regime prossimo ai 15.000 giri/min. Sul finire degli anni Cinquanta la Benelli aveva affidato all’ingegner Aulo Savelli la progettazione delle sue moto da competizione, in previsione del ritorno all’attività agonistica ai massimi livelli. La nuova 250 a quat-tro cilindri disegnata dal giovane tecnico è stata presentata ufficialmente nel giugno del 1960. Il lavoro di sviluppo e messa a punto, svolto con il fondamentale contributo di Renato Armaroli, è stato lungo e impegnativo e la moto ha potuto esordire solo nella primavera del 1962. Per ef-fettuare esperienze e prove a un certo punto si è deciso di realizzare un motore monocilindrico la cui testa e il cui cilindro erano in pratica una

“fetta” del 250. È nata così, alla fine del 1962, una snella bialbero di 62 cm3 (con un alesaggio di 44 mm e una corsa di 40,5 mm, ossia con le stesse misure della quadricilindrica). In seguito la cilin-drata è stata portata a 50 cm3 per poter prende-re parte alle competizioni riservate alle moto di tale classe. Le apparizioni in gara di questa moto sono state però assai poche. Il motore forniva ol-tre 11 cavalli, con una ottima curva di erogazione. Decisamente maggiore, per quanto riguarda la classe 50, è stato l’impegno della Demm. Que-sta azienda con direzione e uffici commerciali a Milano e stabilimento a Porretta Terme, in pro-vincia di Bologna, è stata per molti anni una im-portante realtà nel settore motociclistico. Punto di forza della sua gamma erano i ciclomotori, sia a due che a quattro tempi. Visto che le gare per le

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moto di 50 cm3 stavano diventando sempre più popolari e avevano un seguito via via crescente, nel 1960 la direzione dell’azienda ha deciso di re-alizzare un mezzo espressamente studiato per impiego agonistico. La prima Demm bialbero, un autentico gioiello di meccanica, era azionata da un motore con distribuzione comandata da un alberello verticale parallelo al cilindro, doppia accensione, molle valvole a spillo e frizione a sec-co. Il cambio, a crociera scorrevole, era a cinque marce e la lubrificazione a carter umido. Questa moto è stata costruita in cinque esemplari e ha corso nel 1961 aggiudicandosi in campionato italiano della montagna. Con l’obiettivo di miglio-rare ancora la competitività della loro 50 l’an-no successivo la Demm ne ha schierato una di nuova progettazione. Il motore, assolutamente inedito e straordinariamente raffinato dal punto di vista meccanico, aveva la testa sormontata da

un castello nel quale erano alloggiati i due alberi a camme, molle a spillo lavoranti allo scoperto (nel modello precedente erano in bagno d’olio), angolo tra le valvole notevolmente aumentato e cambio estraibile a sei marce. L’evoluzione delle splendide bialbero di Porretta Terme è culminata con la versione a 12 marce. Il motore era lo stes-so del modello precedente, ma aveva un nuovo basamento, che nella parte posteriore ospitava, oltre ai consueti alberi primario e secondario del cambio, anche un terzo albero. I 12 rapporti in-fatti venivano ottenuti mediante uno splitter (a espansione di sfere), posto all’uscita del cambio, che moltiplicava per due le sei marce di quest’ul-timo. La Demm ha vinto il campionato italiano della montagna nel 1963, pilotata da Franchi. È stato il canto del cigno per i motori a quattro tempi da competizione di 50 cm3 costruiti in Ita-lia.

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Massimo Clarke “le moto carrozzate degli anni Cinquanta” Nettamente in anticipo rispetto ai tempi, non hanno avuto fortuna, anche se assai valide tecnicamente e dotate di uno styling innovativo. Oggi sono giustamente assai quotate

N ella storia della moto le pro-poste coraggiose non sono certo mancate. Alcune han-no avuto successo ma molte altre no, anche se spesso si è trattato di tentativi deci-

samente interessanti. Altre ancora hanno mo-strato una strada che è stata seguita solo molti anni dopo la loro apparizione. In altre parole, erano in anticipo rispetto ai tempi e soltanto in seguito sono state capite e apprezzate come meritavano. È probabile che i gusti del pubblico non fossero ancora “maturi” per accettarle. E poi, bisogna anche dire che alcune di esse sono state presentate in momenti sfavorevoli, in cui il

mercato stava entrando in crisi. L’idea di realiz-zare delle moto con gli organi meccanici comple-tamente nascosti da una “carrozzeria” è stata avanzata più volte già assai prima della seconda guerra mondiale. Negli anni Venti in Germania sono state costruite delle avveniristiche bicilin-driche di questo tipo, con motore raffreddato ad acqua, dalla Aristos, dalla Sterna e dalla Me-nos. In seguito merita menzione la bella Miller del 1939. Questa stessa azienda milanese ha ri-proposto una moto carrozzata nel dopoguerra. In Inghilterra la Vincent ha messo in produzione nel 1954 la Black Knight, versione con meccanica interamente racchiusa della sua famosa bicilin-drica a V di 1000 cm3. In entrambi questi casi

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comunque si trattava fondamentalmente di va-rianti di modelli preesistenti. Gli anni Cinquanta sono stati straordinari tanto a livello di evoluzio-ne tecnica e stilistica delle moto quanto a livello di vitalità da parte del mercato, con apparizione di una miriade di nuovi modelli, molti dei quali ben diversi tra loro anche come scelte di base. Si trattava di realizzazioni dalla forte personalità, nelle quali era ben evidente la mano del progetti-sta. Poco prima che iniziasse la grande crisi, do-vuta al migliorato tenore di vita e alla disponibili-tà di vetture utilitarie economiche e agevolmente acquistabili a rate, alcuni costruttori hanno cer-cato di intraprendere la via della moto carroz-zata, progettando ex-novo dei modelli di questo

genere. L’obiettivo era da un lato quello di pro-porre un veicolo innovativo sotto l’aspetto stilisti-co e dall’altro quello di fornire un mezzo in grado di assicurare una protezione e una “pulizia” ana-loghe a quelle che si avevano negli scooter. Nella categoria dei modelli carrozzati rientra anche il semplice e robusto Guzzi Zigolo, che è stato l’u-nico a ottenere buoni risultati dal punto di vista commerciale. Si tratta di una moto a due tempi, entrata in produzione nel 1953, di impostazione nettamente utilitaria. Il motore a cilindro oriz-zontale di 98 cm3 (alesaggio e corsa = 50 x 50 mm) erogava quattro cavalli a 5200 giri/min. Tra le caratteristiche costruttive più rimarchevoli, vi erano l’albero a gomito con manovella a sbalzo

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e l’ammissione controllata da un manicotto ro-tante (azionato dall’albero stesso). Il cambio era a tre marce. Nel 1958 il cilindro in ghisa è stato sostituito da uno in lega di alluminio con canna cromata. Alla fine del 1959 ha fatto la sua com-parsa la versione di 110 cm3. La Motom 98, re-alizzata nelle versioni T e TS, è stata presentata alla fine del 1955. Si trattava di una motolegge-ra estremamente raffinata tanto sotto l’aspetto tecnico quanto a livello estetico. Un mezzo dun-que tutt’altro che “umile”, anche se di cilindrata contenuta, progettato da un tecnico brillante e spesso anticonformista nelle sue scelte, Piero Remor, padre delle mitiche Gilera 500 a quattro cilindri da Gran Premio e successivamente delle MV di eguale cilindrata e analogo frazionamento. Si trattava di una moto innovativa, con telaio in lamiera scatolata e organi meccanici completa-mente nascosti alla vista; anche la sospensione anteriore (come quella posteriore) era del tipo a

doppio braccio oscillante, con elementi elastici costituiti da grossi tamponi di gomma che lavo-ravano a torsione. Il motore a cilindro orizzontale aveva la distribuzione monoalbero con comando a catena, valvole inclinate e bilancieri (montati su barre di torsione nella versione TS!) muniti di rul-lo. Molto interessante era il parastrappi a barra di torsione piazzato tra l’albero a gomito e l’in-granaggio conduttore della trasmissione prima-ria. Il cambio era a espansione di sfere. Questa moto dallo styling straordinario (basta pensare che la Honda ne ha voluta una per il suo museo e che un’altra si trova al MoMa di New York!) è stata prodotta fino al 1959 in un numero piutto-sto modesto di esemplari. Dopo avere costruito per diversi anni delle tranquille monocilindriche a due tempi di impostazione semplice ed eco-nomica, attorno alla metà degli anni Cinquan-ta l’Aermacchi ha deciso di passare ai motori a quattro tempi, e di farlo con un mezzo dalle

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caratteristiche estremamente evolute. Del pro-getto è stato incaricato Alfredo Bianchi, che ha realizzato un motore di 175 cm3 a cilindro oriz-zontale di schema lineare e moderno, impronta-to alla massima robustezza. Lo styling di questa bellissima moto, denominata Chimera e presen-tata alla fine del 1956, era dovuta a Mario Revelli di Beaumont. Anche in questo caso tutti gli or-gani meccanici erano racchiusi dalla carrozzeria, costituita da pannelli in lamiera fissati al telaio, il cui elemento principale era un tubo superiore di grande diametro. La sospensione posteriore poteva essere considerata una antenata del si-stema Monocross, con forcellone oscillante e unico elemento molleggiante centrale. Il moto-re aveva il cilindro in ghisa e la distribuzione ad aste e bilancieri, con valvole inclinate e camera di combustione emisferica. La potenza era leg-germente superiore a 10 cavalli a 6800 giri/min. Nel 1958 è entrata in produzione la versione di

250 cm3 di questa moto, con misure di alesaggio e corsa portate a 66 x 72 mm, dagli originali 60 x 61. La Chimera non ha avuto successo, ma da essa sono derivate delle moto “nude” che han-no ottenuto eccellenti risultati sia sotto l’aspetto commerciale che per quanto riguarda l’impiego agonistico; i loro nomi (Ala Verde, Ala Blu, Ala d’Oro…) sono rimasti nella leggenda. Alla fine del 1957 la Parilla ha presentato la sua moto carrozzata. Progettata da Cesare Bossaglia, si chiamava Slughi ed era azionata da un motore monocilindrico di 99 cm3, con distribuzione ad aste e bilancieri e valvole parallele. Il cilindro era in ghisa e la potenza di sei cavalli a 7200 giri/min. Il telaio era realizzato con elementi in la-miera stampata e aveva una conformazione a culla doppia rialzata. Di questa moto successiva-mente è stata realizzata anche una versione con motore a due tempi di 125 cm3. Il mercato moto-ciclistico italiano era però oramai entrato in crisi e questa moto innovativa non stava ottenendo buoni risultati commerciali. La casa milanese decise pertanto di realizzare anche une versione nuda, denominata Olimpia, che però non ebbe successo. C’è un’altra moto carrozzata di quegli anni che merita senz’altro di essere ricordata. Si tratta della Ariel Leader, progettata dal grande tecnico Val Page. Questa bicilindrica a due tempi è apparsa nel 1958 ed è rimasta in listino fino alla metà degli anni Sessan-ta. Il telaio era costituito da una scocca di grande sezione in lamiera d’acciaio scatolata, sotto la quale era “appeso” il motore. I cilindri erano in ghisa e la trasmissione primaria a catena; la po-tenza era di 16 cavalli a 6400 giri/min. L’albero a gomiti, completo di bielle, poteva essere estrat-to dal basamento senza rimuovere il motore dal telaio. Molto interessante era la sospensione anteriore, costituita da una forcella in lamiera stampata con biscottini oscillanti inferiori e ruota “tirata”. Pure di questa moto è stata realizzata una ver-sione “nuda”, piuttosto sportiveggiante, denomi-nata Arrow.

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Casco in testa, ben allacciato! di Maurizio Tanca | Non potevamo che iniziare con il celebre motto del nostro Nico questa chiacchierata sull’utilizzo dei caschi da moto, prendendo spunto da una singolare iniziativa dei poliziotti motociclisti della prefettura francese di Morbihan

L ’autorevole quotidiano francese Le Figarò riporta la notizia che i poliziotti motociclisti della cittadina di Vannes, nella prefettura bretone di Morbihan,

hanno fatto valere il diritto di rifiutarsi di effettua-re il loro servizio di pattugliamento in moto, per motivi di sicurezza. Più specificamente, i “flic” motociclisti rifiutano di lavorare con in testa ca-schi utilizzati quotidianamente dal 2007/2008 ad oggi, e naturalmente non sono mai stati og-getto di alcuna manutenzione, quindi con interni

ormai consunti e non più perfettamente aderen-ti, e pure con visiere in pessimo stato: secondo il segretario dipartimentale dell’SGP (il locale sindacato del corpo di polizia), attualmente solo 4 caschi su 19 sarebbero ancora a norma. Insom-ma, gli agenti in moto ritengono giustamente di essere poco protetti, quindi hanno lasciato le loro moto in garage, effettuando i servizi di pattuglia-mento zonale in auto. Naturalmente la cosa ha suscitato un certo scalpore, e a quanto pare tutti i caschi obsoleti (con più di cinque anni) stanno

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per essere sostituiti: il loro costo, secondo un dirigente della prefettura locale, varierebbe da 1.000 a 1.400 euro, una volta equipaggiati con radio e grafiche adeguate.

Stati uniti Sempre per rimanere in argomento, nonostante sia ormai stato ampiamente acclarata l’impor-tanza del casco per salvare le nostre vite, è noto che ancora oggi l’obbligatorietà di indossarlo non sia stata digerita proprio da tutti. In partico-lare negli Stati Uniti, dove sono ancora in tanti a pensare che la cosa non debba essere imposta per legge, ma lasciata alla discrezionalità indi-viduale (un po’ come le cinture di sicurezza, da noi…). Laggiù, in quel grande Paese dove del resto si vendono normalmente armi da guerra come fossero giocattoli, le cose ad oggi funzio-nano così: nel distretto federale della Columbia, ove si trova la Capitale Washington, e in 19 dei 50 Stati dell’Unione, l’obbligo di indossare il casco

è attivo per tutti i motociclisti, contrariamente a quanto accade in Illinois, Iowa e New Hampshire, dove si può tranquillamente viaggiare alla “Easy Rider”: bandana in testa, e via. In altri 28 Stati, invece, vigono leggi differenziate per età, obbli-gando all’uso del casco fino al compimento del 18° anno, piuttosto che del 19° (solo nel Dela-ware) o del 21°, come nel Michigan, dove però è possibile guidare senza casco solo dimostrando il possesso di un’apposita polizza di assicura-zione sanitaria. Ogni Stato, comunque, prevede qualche condizione particolare per poter guidare tranquillamente (dal punto di vista legale, ovvia-mente) a testa scoperta. L’obbligatorietà d’uso del casco negli States risale generalmente alla fine degli anni sessanta, nella fattispecie a par-tire dal ’67, seppur con date differenti tra i vari Stati. Ma già l’anno seguente quei birichini del Michigan ritirarono l’obbligo a furor di popolo, innescando una serie di altri analoghi provvedi-menti, emendamenti e modifiche. E nel 1976, il

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Congresso fu costretto a sospendere le penaliz-zazioni finanziarie comminate dal Ministero dei Trasporti agli Stati che non avessero introdotto l’obbligo di usare il casco.

italiaQui da noi, invece, l’obbligo entrò in vigore molto più recentemente, nel 1986, ma bisognò atten-dere il 1999 per imporlo anche ai maggiorenni alla guida dei ciclomotori, mentre nel 2000 ven-nero finalmente banditi anche i famosi caschetti D.G.M., che tuttavia ancor oggi capita di vedere tranquillamente in testa a qualche burlone (an-che di mezza età…) in sella a potenti maximoto o maxiscooter. Chissà se costoro sono consci del fatto che in caso di malaugurato inciden-te, anche con ragione, difficilmente verrebbe-ro risarciti dalla compagnia assicurativa della

controparte… Comunque sia, concludiamo queste note inerenti l’utilizzo di un elemento assolutamente fondamentale per la nostra vita, esortando a mantenere il vostro casco sempre in ordine, senza arrivare alle condizioni di dete-rioramento lamentati dai poliziotti motociclisti transalpini (chissà se anche nostri saranno così attenti?), a non utilizzare caschi ormai obsole-ti, anche se apparentemente in buono stato, e chiaramente ad allacciarli, sempre, e soprattut-to correttamente. E per pura curiosità, giusto per far due chiacchiere, vi porgiamo un paio di domande. Prima domanda: se per una curiosa congiunzione astrale in Italia decadesse l’obbligo di utilizzare il casco,voi continuereste a portarlo normalmente? Seconda domanda: che tipo di casco utilizzate, voi lettori? Integrale, modulare, Jet, demi-jet?

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Gli articoli più letti del 2012 su Moto.it Ripercorriamo, attraverso gli articoli più letti da tutti voi, gli eventi motociclistici che hanno caratterizzato il 2012

E ccoci arrivati alle classificheRinnovando gli auguri a tutti per un 2013 veramente positivo, non solo sotto l’aspetto motociclistico e spor-

tivo, ma anche e soprattutto per salute, affetti e professione, proviamo a rivedere quali sono stati gli articoli più letti nel 2012 su Moto.it per capire quali argomenti hanno catturato la vostra attenzione. O vi hanno fatto compagnia in ufficio di giorno o a casa la sera. Dividiamo il lavoro in alcuni segmenti, le novità in generale e di merca-to, le prove. Non è stato un anno segnato da sole notizie positive. A inizio anno è infatti mancato all’affetto dei suoi cari e degli sportivi il grande pilota di enduro finlandese Mika Ahola. I lettori hanno anche seguito con apprensione la lenta ripresa fisica del pilota spagnolo di SBK Joan

Lascorz, vittima di un gravissimo incidente nei test a Imola. Per ciò che riguarda il mercato, le aziende hanno lavorato a pieno ritmo e hanno presentato una serie di modelli che faranno discutere gli appas-sionati durante tutto il 2013. Pensiamo ad esem-pio alla nuova BMW R1200GS, alla KTM 1190 Ad-venture, alle inedite Honda 500, alla Yamaha 3 cilindri, alla Ducati Hypermotard, alla Moto Guzzi California, alla Vespa 946 e la lista è ancora lun-ga! Ancora auguri a voi e alle vostre famiglie da tutti noi di Moto.it!

LA NotiZiA Piu’ LettA NeL 2012Si conferma purtroppo l’articolo sulla sull’inci-dente a Joan Lascorz, seguito dalla tragica noti-zia della morte di Mika Ahola.

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Intermot 2012: La nuova BMW R1200GS

3. Nuova KTM Adventure 1190: ci sarà anche la R

4. Tutte le novità di EICMA 2012

5. Tutte le novità di Intermot 2012

6. Nuova Aprilia Caponord 1200 con sospensioni attive

7. Nuova MV Agusta Brutale 800 2013

8. La nuova Ducati Multistrada 1200 2013

9. La nuova gamma Honda 500. Ecco le foto

10. Giornalista francese cade dal molo con la FJR 1300

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Le PriMe 10 NeWS Piu’ Lette DeL 2012Come tutti gli anni sono le novità di mercato a scatenare le letture degli appassionati, sia nei momenti che precedono i saloni, quando si diffondono le prime fotografie, sia durante e dopo. Da sottolineare il primo posto assoluto della MV Agusta Rivale 800, seguita dalla BMW R1200GS e dalla KTM Ad-venture 1190 e da un’altra MV, la Brutale 800. Anche il Salone di Colonia è in testa alla hit parade del 2012 di Moto.it. Da notare l’ottimo piazzamento del video che cattura il volo del giornalista francese in sella alla Yamaha FJR 1300: di diritto uno dei momenti più divertenti di questo 2012 che ci lasciamo alle spalle!

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L’eDitoriALe Piu’ Letto Di NiCo CereGhiNiRipassiamo insieme l’editoriale più letto del 2012 di Nico Cereghini. Questa volta usa la sua geniale penna per calarsi nei panni di Valentino Rossi:Nico Cereghini:”Provo ad entrare nei panni di Rossi”

Le Prove Piu’ Lette Arriviamo adesso alle prove più lette. In questo caso però, ancor più che nelle altre classifiche, i ri-sultati sono determinati anche dal tempo che è passato dalla pubblicazione della prova. Sono infatti tante le new entry ad aver scalato velocemente i posti in classifica e dunque meritevoli di essere men-zionate.

1. Ducati 1199 Panigale. Il nuovo riferimento

2. Honda Crosstourer 1200. Cambio fenomenale!

3. Comparativa BMW F 800 GS VS Triumph Tiger 800 XC

4. Comparativa BMW S1000RR VS Ducati Panigale 1199S

5. Triumph Tiger 1200 Explorer. Sua maestà la regina

6. Comparativa Yamaha T-Max 500 2011 VS T-Max 530 2012

7. MV Agusta Brutale 675. La piccola va alla... grande!

8. MV Agusta F3 675. Moto emozione!

9. Moto Guzzi V7 2012. Una moto con tre anime

10. BMW C 600 Sport e C 650 GT. Giano bifronte

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1MV Agusta Rivale 800 MV Agusta mostra le prime immagini della nuova Rivale 800. Equipaggiata con il moderno motore tre cilindri, della F3 675, con una potenza di 125 cv per 170 kg. Disponibile dal secondo semestre a questi prezzi

2Nico Cereghini:”Provo ad entrare nei panni di Rossi”Se si vuole capire, questa di vestire la sua tuta è l’unica strada possibile. Provateci anche voi e poi chiedetevi: come mi sento? Cosa provo? Ho fatto tutto quello che dovevo? Cosa posso fare ancora?

3Ducati 1199 Panigale. Il nuovo riferimento195 cavalli e 164 kg a secco di peso potrebbero spaventare. Invece la 1199 Panigale è la Ducati Superbike più facile di tutti i tempi. Il prezzo? Da 19.190 euro

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i racconti di Moto.it: “ViP” di Antonio Privitera | E’ finita così. Di tutti i personaggi che avrei potuto interpretare nella mia vita da operetta mi è capitato questo, il mio. A volte penso che la vita sia un teatro dove recitare prevedibili copioni...

E ’ finita così.Di tutti i personaggi che avrei potuto interpretare nella mia vita da operet-ta mi è capitato questo, il mio. A volte

penso che la vita sia un teatro dove recitare pre-vedibili copioni forzati dai ruoli che il destino ci ha assegnato.Certamente poteva andarmi molto peggio.Durante gli anni ‘80 non c’erano ancora

telecamere in giro per le strade a sorvegliare che tutti facessero i bravi e io e il mio amico Spanò rompevamo specchietti con i piedi. Prendevamo in prestito un motorino diverso ogni giorno e an-davamo in giro la sera senza meta, senza amici e senza paura; mentre Spanò guidava contro ogni regola del codice della strada io sedevo dietro e, stupidamente, alzavo il piede destro fino al li-vello degli specchietti esterni delle auto in sosta

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giocando a romperli ridendo come un babbeo, e Spanò assieme a me. Il motorino non aveva tar-ga, in giro non c’erano telecamere, la notte era un lungo intermezzo tra la scuola e la noia dei po-meriggi a guardare gli altri divertirsi o studiare con profitto. A fine serata lasciavamo il motori-no appoggiato ad un muro e tornavamo con un autobus ognuno alla propria casa. Degli esami di maturità alle porte ne avevamo soltanto sen-tito parlare, quello che mi piaceva era rubare un motorino, girare, rompere specchietti come un idiota.Una mattina presto, proprio dopo la sera in cui avevo festeggiato i miei diciott’anni facendo fi-lotto con ben sedici specchietti di macchine in sosta, arrivarono due carabinieri a casa mia e mentre correvo a nascondermi cercando una bugia credibile da dire per infilarla sotto la lingua pronta ad uscire per come l’avevo pensata, im-pegnato a maledire i carabinieri e a capire come avessero fatto a trovarmi, sentii passi pesanti attraversare l’uscio di casa e sporgendomi dal corridoio buio vidi mio padre uscire con i ceppi ai polsi, infilarsi dentro una gazzella e sparire dalla mia vista e dalla mia esistenza.Feci il punto della situazione, dotazione di bordo: un Garelli Vip 3, quello di mio papà.Tutto quello che avevo era sospeso tra due ruote.Mi rintanai a casa e attesi qualche giorno che mio padre tornasse, senza andare né con Spa-nò, né a scuola. Trascorrevo le mattine a letto e i pomeriggi a girare col motorino nel cortile del condominio sotto gli occhi infuriati del portina-io che subiva le pressioni degli altri condomini, decisamente inviperiti dalla mia condotta a dir poco incivile ma ugualmente spaventati dalla mia immeritata fama di ragazzo irascibile e ven-dicativo oltreché figlio di uno che stava in galera.

Il portinaio si chiamava Sicurella e al di là di un modesto sguardo di disapprovazione non andò mai. Continuai a lucidare e a truccare il motorino, del resto era l’unica cosa che potevo fare.Passati sei giorni senza avere notizie di mio papà ed esaurito pure l’ultimo pacco di crackers, risol-si di affrontare la situazione e garantirmi almeno un pasto caldo al giorno. Avviai il motorino, per il quale le Vespa parcheggiate nel cortile condo-miniale erano una sorta di distributore gratuito di miscela, e mi diressi verso l’officina del fratello maggiore di mio padre, Ugo, che riparava auto-mobili e motociclette. Sapeva già tutto e porgen-domi una tuta da lavoro già unta mi avvertì che si iniziava la mattina alle sette e si finiva la sera alle sette.La vita da apprendista meccanico non mi stimo-lava ma almeno potevo approfittare degli utensili e degli attrezzi di mio zio Ugo, magari celandomi dietro una macchina in riparazione o approfittan-do delle sue brevi assenze durante il giorno, per armeggiare sul motorino che oramai la cilindrata 50 l’aveva abbandonata da un bel pezzo per rice-vere anche modifiche radicali come il raffredda-mento ad acqua, il carburatore da 24, quest’ul-timo rubato ad un 125 in sosta, una marmitta grossa e grassa e un freno a disco anteriore. Lo so che sembra impossibile che io girassi per la città con questo ordigno ma erano altri tempi e tutto era più tollerato, meno europeo.Zio Ugo iniziò presto a stancarsi del mio scarso rendimento e invece di sbattermi sulla strada mi fece una proposta: dato che ero magro, sveglio e mi piaceva correre mi propose di guidare le motociclette che alcuni suoi amici preparavano per delle gare di accelerazione che si tenevano la mattina presto sulla strada dritta vicino l’ae-roporto. Gare clandestine. Accettai all’istante,

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come avrei potuto rifiutare? Mi aveva appena proposto di essere pagato per giocare con le mo-tociclette, annusare benzina proibita, raggiunge-re velocità altissime e ricevere plauso e approva-zione per questo. Ugo mi regalò un casco con la visiera scura, un po’ stretto e con qualche graffio.Vinsi immediatamente le prime gare, una dopo l’altra. Le competizioni erano brevi, non facevo in tempo a mettere la quarta che si tagliava il tra-guardo, i soldi passavano di mano tra le decine di persone che scommettevano sull’esito della gara e si fuggiva rapidi dentro un furgone. Prima del via la strada veniva bloccata da amici e poi su-bito dopo liberata, i pochissimi automobilisti che passavano di lì a quell’ora, sempre tra le cinque e le cinque e un quarto della mattina, sapevano e aspettavano pazienti per pochi minuti senza mo-strare nervosismo e senza guardare nessuno ne-gli occhi, chiusi nella loro automobile, rassegnati.Ogni tanto mio zio Ugo mi ordinava di perdere e quelle volte guadagnavo ancora di più. In breve divenni il pilota più richiesto dai meccanici per le loro gare d’accelerazione, mi chiamavano pure dalle provincie vicine per gareggiare in queste corse clandestine, c’erano sempre un sacco di soldi in giro e una parte andava a finire nelle mie tasche; aprii un libretto di risparmio alle poste, mi misi in regola con l’affitto, iniziai a vestirmi con vestiti migliori e a mangiare con più gusto. Feci queste corse per tanti anni, assistendo all’e-voluzione tecnica delle motociclette degli ultimi decenni. Misi il sedere sopra i primi bicilindrici veramente potenti, usai i primi quick shifter, rup-pi ogni tanto qualche motore o qualche cambio e alla stessa maniera rilevai la stupida, infantile cu-pidigia degli scommettitori e dei preparatori delle motociclette che poi andavo a guidare.Immancabilmente, un giorno ci scappò il mor-to: un ragazzo fu accoltellato nella ressa per la distribuzione delle vincite e in pochi minuti tut-ti sparimmo ancora più velocemente di come eravamo soliti fare, lasciando una chiazza rossa

sull’asfalto proprio accanto alle strisce nere delle accelerazioni. Volatilizzati.Dopo quel mattino di marzo, mi chiamarono ancora per correre: io rifiutai, avevo quasi qua-rant’anni e accolsi quel segnale come un segno del destino che mi ammoniva di chiudere con le corse clandestine quando ero ancora un vincente e sopratutto senza avere commesso reati troppo gravi. Potevo certamente fare qualcosa di diver-so, mi sentivo pieno di energie positive.Mi proposi come collaudatore, magazziniere, operaio, come tuttofare; pagato poco, sottopa-gato, in nero. Niente. Nessuno mi dava lavoro perché tutti mi conoscevano per ciò che ero e sopratutto la notizia della morte di quel ragazzo aveva ulteriormente insozzato la mia già sdrucita reputazione.Al di là delle moto e delle gare non ero riuscito a coltivare nulla; non avevo una relazione stabile con una donna, i miei parenti li avevo persi di vi-sta da tempo immemore, le amicizie che tenevo in piedi si rivelarono effimere ed opportunistiche, svanendo appena mi ritrovai in cattive acque.Decisi di ripartire da dove avevo lasciato.Presi il vecchio ma ancora arzillo Vip 3 di mio pa-dre e invece di spaccare specchietti (che come tutti i gesti atti a creare danno a qualcuno ma che non portano vantaggio a nessuno sono da repu-tarsi azioni da idioti), mi misi a trasportare pizze a domicilio la sera. Ma i tempi erano diversi e un motorino truccato come un dragster non pas-sava più inosservato dalle forze dell’ordine così una sera d’estate, con il cassone delle pizze sulle spalle, da una gazzella dei carabinieri mi fecero segno di accostare ma non mi fermai e ne nac-que un inseguimento furibondo. Privo di targa, tirai il collo al motore ad ogni rettilineo, zigzagai tra le macchine, imboccai rotonde al contrario per seminare i carabinieri che ad un certo pun-to spararono dei colpi di pistola, credo in aria; fui sul punto di credere di averli beffati quando mi trovai davanti un ragazzino con uno scooter in

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controsenso: per evitarlo feci una manovra di-sperata che mi portò in mezzo ai tavoli di un caf-fè all’aperto, impattando in pieno con il carrello degli aperitivi e ferendo lievemente un camerie-re. Cercai di rialzarmi da terra ma gli avventori inferociti mi bloccarono e subito dopo venni ar-restato dai carabinieri che non mi risparmiarono né l’ironia, né qualche scossa di assestamento appena giunti in caserma.Pochi giorni dopo entrai nell’aula di tribunale per essere processato per direttissima e lì mi resi conto che non ero lì per le violazioni al codice del-la strada ma per l’omicidio di quel ragazzo la mat-tina di marzo di tanti anni prima. Qualcuno aveva fatto il mio nome e l’inchiesta era stata riaperta.Rischiavo grosso: un rinvio a giudizio per omici-dio e nel frattempo il carcere in attesa del pro-cesso.Tenevo la testa bassa ed ero incredulo che mi stesse veramente accadendo questo. Ero sì un delinquente, ma uno di quelli che non fanno male a nessuno, uno stupido, un idiota che aveva ini-ziato rompendo specchietti e aveva finito la sua carriera di malvivente conto il carrello degli ape-ritivi tra un’oliva ascolana e i resti delle pizze che trasportava sulle spalle. Il leit motiv della mia vita era un motorino truccato. Ero un motociclista ir-requieto e poco incline a seguire le regole, non un criminale; ma chi mi avrebbe creduto?Entrò il giudice e mi alzai in piedi, trasalii non ap-pena lo vidi in volto. Il giudice lesse delle carte in silenzio, mi guardò calmo e rivolto all’aula disse delle cose che io non capii; poi si alzò e tolse il disturbo.Io fui un uomo libero da quel momento, mi la-sciarono andare e mi rimase sul groppone solo l’inseguimento e i danni che avevo causato, de-terminato a pagare tutto quello che dovevo e a rifondare la mia vita su altri e più giusti binari. Tornai a casa da uomo cambiato e mi ritenni for-tunato.scusi ma mi manca un tassello...quale?

Lei custodisce da anni questa ricca esposizione di moto d’epoca, il cui proprietario era famoso per essere un motociclista passionale ma intran-sigente; poco dopo essere stato rilasciato lei è stato nominato curatore di questo prestigioso museo della moto, come ha fatto?...è una domanda che mi fanno tanti visitatori in-vidiosi della mia fortuna... come le ho detto pri-ma, la vita è un teatro e il destino il suo regista. Le ho raccontato la mia storia, non è soddisfatto?Io, da giornalista, cerco di andare un po’ più in profondità... Lei da trent’anni è il solo curatore dell’esposizione e adesso che il proprietario è morto, l’ha ricevuta in eredità. Mi permette di dirle che è quantomeno inusuale? I lettori vorranno sapere chi è il nuovo proprietario della collezione di moto storiche più importante d’Europa e il modo in cui ne è venuto in possesso.La collezione Spanò aveva bisogno di un curatore che sapesse mettere insieme, memoria storica, affidabilità e capacità relazionali con il pubblico e con le istituzioni. Io evidentemente incarno tutto questo anche in un ottica di continuazione dell’attività. E poi il giudice Spanò era mio amico d’infanzia. Negli ultimi tempi mi diceva sempre che se io non fossi scomparso dalla sua vita a diciott’anni, lui sarebbe mai diventato giudice. In un certo sen-so, l’arresto di mio padre per spaccio e la mia vita turbolenta è stata necessaria per rendere la sua vita una vita agiata e costruttiva e il giudice Spa-nò ha voluto aiutarmi un pò come gesto di ricono-scenza. E ora, se vuole scusarmi, vado a finire di persona un restauro.Ah, quale?Ho finalmente trovato una marmitta “Proma” per un vecchio Vip 3 marce. Vorrei montarla perso-nalmente.Buon lavoro.Grazie. Buon lavoro anche a lei e a tutti i suoi let-tori.

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Shuhei Nakamoto “Marquez è il successore di Stoner”In attesa che i motori si riaccendano per i test a fine mese, l’Executive Vice President di HRC racconta la stagione 2012 e si sbilancia sul 2013

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I l diciannovesimo ti-tolo costruttori, che Honda si è aggiudi-cata con 12 vittorie su 18 gare, non può soddisfare la casa di

Tokyo. I propositi all’avvio del 2012 erano ben altri, sulla scor-ta del lavoro fatto ma anche della fiducia in un pilota, Ca-sey Stoner, quale mancava da tempo in HRC. Ma la stagione è andata diversamente, come ben sappiamo. In un’intervista rilascita direttamente da Hon-da, Shuhei Nakamoto ci parla del 2012, del suo rapporto con i piloti HRC e sulle prospettive 2013.

Qual è stato l’aspetto chiave, da un punto di vista tecnico, del 2012?«Sicuramente il regolamen-to che ha portato la cilindrata da 800 a 1000. Purtroppo la cosa ha portato con sé tutta una serie di corollari, in ter-mini di peso e modifica degli

pneumatici, che ci ha colto in contropiede. Il peso massimo delle 1000 avrebbe dovuto es-sere, da regolamento, 157kg. Purtroppo, poco prima di fine 2011, è stato innalzato a 161 costringendoci a zavorrare la moto disturbandone l’equili-brio. Dani è quello che ha sof-ferto di più, essendo più picco-lo e leggero di Casey; abbiamo provato a spostare i pesi un po’ ovunque, ma nella prima metà della stagione non siamo riusciti a trovare una soluzione definitiva.»

Le nuove Bridgestone hanno complicato la situazione...«Si, dopo la posteriore morbi-da arrivata già lo scorso anno Bridgestone ha presentato un nuovo anteriore con una diver-sa struttura della carcassa. Ab-biamo protestato - la gomma era inutilizzabile, mancando di sufficiente rigidità, ma Loris Capirossi, per conto di Dorna, ha insistito sul fatto che fosse

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impossibile per chiunque altro puntare alla vittoria. Ecco per-ché, personalmente, preferisco la concorrenza fra gommisti - le gare diventano più divertenti e credo che il mondo dei GP ne tragga beneficio.»

Casey Stoner si è ritirato a fine stagione. Cosa ne pensa del suo ultimo anno?«Casey ci aveva già detto lo scorso anno, dopo la vittoria del Mondiale in Australia, che pensava di ritirarsi a fine 2012. Abbiamo provato a convincerlo ma è stato irremovibile, e ha an-nunciato la sua decisione con molto anticipo. Speravo che la cosa lo motivasse a vincere il

suo ultimo titolo, ritirandosi da vincitore, ma sfortunatamente le cose non sono andate così. Va bene lo stesso, abbiamo avuto comunque un’ottima stagione.»

Deluso per non essere riusci-to a fargli cambiare idea?«Amo Casey come pilota, e non riesco a pensare ad un altro pilota con cui mi piacerebbe di più correre. E’ incredibilmente veloce, non credevamo che le nostre moto potessero andare tanto forte con lui sopra. Quan-do Casey è nello stato d’animo giusto, nessuno è veloce come lui: dopo il GP d’Australia, appena sceso di sella, la sua

prima dichiarazione è stata che sarebbe andato ancora più for-te se non avesse avuto una ca-viglia rotta. Abbiamo fatto una festa, dopo di cui abbiamo par-lato da soli. Il giorno successivo qualcuno mi ha chiesto di cosa avessimo parlato, perché pare che Casey, la mattina dopo, ab-bia detto “forse, dopotutto, do-vrei continuare a correre”. Per noi correre con Casey è stato sbalorditivo, se mai decidesse di ritornare troverà sempre un caldo benvenuto. Gli ho detto che l’offerta è sempre valida.»

e’ vero che Stoner stesso ha caldeggiato Marquez come suo sostituto?

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migliore, e abbiamo dovuto montarla. Così ci siamo trovati con gomme diverse sia davanti che dietro, dovendo rifare da zero una moto che avevamo appena perfezionato con un lavoro durato un anno a soli tre mesi dall’inizio del Mondiale. Abbiamo deciso di ripartire da zero, iniziando a lavorare su un nuovo complesso telaio-forcel-lone»

Da quando Bridgestone è di-ventata fornitore unico in Mo-toGP è diventato essenziale il modo in cui la moto sfrutta le prestazioni della gomma. Cambiare la struttura della gomma a metà stagione ha un

impatto devastante sulle pre-stazioni?«Tradizionalmente, il punto for-te delle Honda non è mai stato la velocità in curva, ma i caval-li del motore. Ma da quando Bridgestone è fornitore unico abbiamo dovuto spostare l’at-tenzione sullo sfruttamento delle gomme - bisogna cre-are la moto in funzione degli pneumatici. Abbimao dovuto rivedere completamente la moto, arrivando ad anticipa-re l’arrivo della moto 2013 nei test successivi al Mugello, con modifiche a telaio e motore per risolvere i nostri problemi in staccata ed ingresso cur-va. Ma non ho niente contro il

monofornitore: è semplice-mente una nuova sfida tecnica. Anzi, da quando Bridgestone è diventata fornitore unico ab-biamo imparato tantissimo, il problema è che i team ufficiali hanno le risorse per adeguare le moto alle gomme, le squadre private no. Quando c’erano di-versi gommisti gli pneumatici potevano compensare altri fat-tori, per cui abbiamo visto team satellite battere gli ufficiali. Ora non è più possibile, e le squadre più forti possono godere della loro esperienza nello sviluppare le moto. Guardate per esempio ai risultati di questa stagione: Dani, Casey e Jorge hanno mo-nopolizzato il podio. Era quasi

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«Non so se l’abbia detto davve-ro, ma Marc ha lo stesso tipo di energia di Casey, e puntiamo molto su di lui. Dopo quattro giorni di test, tutti con me-teo difficile, è riuscito a girare costantemente a Sepang sul piede del 2’01”, grossomodo quello di Casey e Dani. Ciono-nostante, Marc continuava ad analizzare metodicamente la sua guida nei vari punti della pista, annotando tutto. Il team è rimasto sbalordito. A metà 2011 gli avevo detto che se fos-se passato in MotoGP avevo una moto ufficiale per lui, ma ha voluto conquistare prima il titolo della Moto2. Attenzione: la mia offerta non aveva nulla a che vedere con lo sponsor, ho deciso io che la Honda aveva bi-sogno di Marc, e non vedo l’ora di vedere cosa sa fare. Quando è salito per la prima volta sul-la RC213V a Valencia, appena sceso ci ha detto di aver già capito come sfruttare i dischi in carbonio. In Malesia abbiamo visto che apriva già il gas nella maniera giusta a centro curva. E’ un pi-lota molto intelligente, costan-temente concentrato su come far andare pià forte la moto, e ha un carisma che gli porta molti fan. Me lo immagino competitivo con Dani e Jorge già quest’an-no, anche se non sarà facile vincere con quei due. Credo co-munque che potremmo vedere una vittoria di Marc già a metà stagione.»

Pedrosa ha vinto sette gare, più di tutti gli altri, quest’an-no. il 2013 sarà il suo anno?«Credo che se non vincerà quest’anno non lo farà più, mentre se dovesse farcela è possibile che possa riconqui-stare il titolo diverse altre volte. Ad inizio anno ha faticato, con la moto zavorrata e poi con il nuovo anteriore, ma una volta arrivata la moto nuova è miglio-rato costantemente. A Brno ha

fatto un gran duello con Loren-zo, una gara come non gli vede-vo correre dai tempi della 125. E anche a Valencia, ha corso come se la pista fosse asciutta solo per lui. La nostra moto è migliorata molto in frenata ed ingresso curva, e la cosa deve aver dato molta fiducia a Dani. Pedrosa sembra avere un sesto senso, nota cose impercettibili per gli altri, cambiamenti anche

di portata minima, ad esempio una perdita di grip della pista. il problema è che questo a volte lo porta ad eccessi di pruden-za, ma quest’anno sembra aver risolto questo problema trovando il giusto equilibrio. Ha battuto tutti i suoi avversari, ha vinto anche sul bagnato vero in Malesia - non c’è dubbio, Dani è salito al livello superiore, e credo davvero che l’anno pros-simo vincerà il titolo.»

il 2013 sarà la seconda stagio-ne in MotoGP di Stefan Bradl, e la seconda in sella alla hon-da per Bautista. un’opinione su questi piloti?«Stefan ha perso molte occa-sioni per salire sul podio che credo alla sua portata, ma in generale è migliorato e ha fatto il percorso che mi aspettavo da lui. E’ un pilota intelligente, che sa usare il cervello, ed è anche l’unico tedesco della MotoGP - è un pilota importante per tutti. Quest’anno ritroverà il suo vecchio rivale Marquez, e credo che la cosa potrà aiutare Stefan ad andare più forte. Al contrario, a dire la verità sono un po’ deluso da Alvaro. Se consideriamo anche il periodo in Suzuki ha molta più espe-rienza di Stefan, per cui crede-vo che avrebbe ottenuto risul-tati migliori. E’ salito sul podio due volte, ma l’anno prossimo lo voglio vedere lassù più spes-so. Deve perdere l’abitudine di guidare come se fosse ancora in 250!»

“Per noi correre con Casey è stato sbalorditivo, se

mai decidesse di tornare sarà sempre il

benvenuto. L’offerta è sempre

valida”

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1anno di Superbike di Carlo Baldi | Siamo alla fine del 2012 ed è tempo di bilanci. Diamo un’occhiata ai numeri della classifica della Superbike per valutare la stagione passata e fare qualche previsione per quella futura

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I l 2012 sta per finire ed è tempo di con-suntivi e di valutazioni per il mondiale Superbike che quest’anno ha vissuto uno dei campionati più avvincenti e combat-

tuti, proprio nell’anno che l’ha visto festeggiare il suo primo quarto di secolo. Una stagione che resterà nella storia dei campionati delle derivate dalla serie non solo perché si è decisa per mezzo punto, ma anche perché stata l’ultima sia per il gestore Infront che per il campione del mondo Biaggi. Come lo stesso Max ha scritto su Twitter: “Nulla sarà più come prima”.

i numeriUn campionato fantastico, deciso sul filo di lana, con tre piloti che se lo sono conteso a suon di vittorie di giri record e al di là delle impressioni e delle considerazioni personali restano i numeri a raccontarci che stagione abbiamo vissuto. Ab-biamo analizzato il campionato 2012 dividendolo in due gironi di sette gare ciascuno, (una specie di andata e ritorno) ed abbiamo stilato i nostri giudizi di fine anno per i magnifici dieci. I primi dieci piloti della classifica finale del 2012. Un’ana-lisi rivolta al passato ma che in alcuni casi ci può dare interessanti indicazioni anche per il futuro.

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Max BiaggiE’ stato nella prima parte della stagione che Biaggi ha costruito il suo successo raccoglien-do ben 210,5 punti, facendo meglio nell’ordine di Rea, Sykes e Melandri. Il Corsaro ha quindi potuto gestire la seconda parte del campionato, correndo nelle condizioni che più gli piacevano e che già nel 2010 gli avevano consentito di aggiu-dicarsi il titolo. Una seconda parte comunque difficile per il pi-lota dell’Aprilia, visto che ha conquistato solo 147,5 punti e nella speciale classifica del “girone di ritorno” è solo quarto, dietro a Sykes e Melan-dri e anche al suo compagno di squadra Laverty. Max è partito fortissimo per poi gestire il cam-pionato da professionista freddo e calcolatore qual’era. Una caratteristica tipica dei grandi campioni. Cinque vittorie e tre sole battute a

vuoto per un pilota che il prossimo anno ci man-cherà molto.

tom Sykes Al contrario di Biaggi Tom ha cercato in tutti i modi di recuperare nel finale quanto aveva per-so all’inizio, quando la sua Ninja consumava in modo anomalo le coperture Pirelli e lui doveva cedere alla distanza. Risolto il problema, Sykes ha fatto vedere a tutti i …. sorci verdi. Solo 164,5 punti nella prima parte di stagione contro i 193 della seconda. Le sue quattro vittorie di manche, ma soprattutto i due soli zero in classifica, dimo-strano che Tom è un pilota vincente ed estre-mamente costante. E’ quello che ha sbagliato di meno e che (come i test di fine stagione hanno dimostrato) partirà nel 2013 con i favori del pro-nostico.

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Marco MelandriE’ il pilota che ha vinto di più ma che ha anche sbagliato di più. Sei vittorie fanno da contraltare a ben sette battute a vuoto, di cui cinque nelle ultime sei manche. Ciò nonostante i punti raccolti da Marco nella seconda parte di stagione - 173 - sono stati su-periori a quelli conquistati nella prima 155,5. Una rimonta fantastica rovinata però nel finale, quan-do ha gettato alle ortiche un mondiale che era alla sua portata. Il prossimo anno Melandri sarà forte dell’espe-rienza maturata in questa sfortunata stagione e di una BMW ancora più competitiva e sarà molto probabilmente il più temibile avversario di Sykes.

Carlos ChecaE’ stata la sua peggior stagione da quando corre con la Ducati ed ha pagato lo scotto di correre con una moto non più in grado di reggere il con-fronto con Aprilia, BMW e Kawasaki. In queste condizioni il suo quarto posto finale non è certo da buttare via. Quattro vittorie ma anche sei vol-te senza punti, Carlos nel complesso si è espres-so in ugual misura nella prima parte della stagio-ne – 140,5 punti – come nella seconda – 137. Un dato indicativo circa la sua competitività : su 20 manche portate a termine Checa è salito sul po-dio 9 volte con una percentuale vicina al 50%. I dubbi che riguardano la sua stagione 2013 si ri-feriscono solo alla sua nuova Ducati e non certo alle sue grandi capacità.

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Jonathan reaUna stagione rovinata nella fase due, quando ha raccolto solo 106,5 punti contro i 172 otte-nuti nelle prime sette gare. Due vittorie e cinque volte con zero punti. Ci sarebbe piaciuto vederlo all’opera con una moto più competitiva rispetto alla CBR1000RR, che però ormai lascerà solo in cambio di una MotoGP. Un grande talento che non raccoglie quanto dovrebbe. Colpa di una moto inferiore o dei suoi ancora frequenti errori? A 26 anni Johnny deve trasformarsi da mina va-gante a pilota vincente. Staremo a vedere.

eugene LavertyUn campionato dalla due facce quello di Eugene, che ha fatto fatica nella prima parte, quando ha

raccolto solo 95 punti (anche a causa della rovi-nosa caduta nelle prove di Phillip Island) ma che ha poi concluso alla grande, portandone a casa ben 168,5 nelle successive sette gare. Il suo terzo posto nella classifica del girone di ritorno e la sua vittoria a Portimao (la sua unica vittoria stagio-nale) dimostrano che ormai il feeling con l’Aprilia è quello giusto e che nel campionato 2013 la casa di Noale potrà contare su di lui per difendere il proprio titolo mondiale.

Sylvain GuintoliMai come in questo caso è giusto dividere la sta-gione in due parti. Guintoli ha infatti disputato 8 prove con il team Effenbert, conquistando 110 punti ed una vittoria, mentre salito sulla Ducati

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del team Pata ha poi disputato 5 prove racco-gliendo 103,5 punti e due primi posti (Silversto-ne e Magny Cours). In pratica ha ottenuto negli ultimi 5 round quasi gli stessi punti raccolti nelle precedenti 8 prove. Un finale in crescendo per il francese, veloce sull’asciutto e velocissimo sul bagnato. Sylvain arriva all’Aprilia nel momento giusto, quello della sua massima maturazione. Nei test di Jerez ha dimostrato di trovarsi a suo agio con la RSV4 Factory e siamo certi che la sua fame di vittorie farà il resto. Con Sykes e Melan-dri sarà uno dei piloti da battere nel 2013.

Leon haslamPer Leon il giro di boa è stata la seconda gara di Donington quando è passato dalla felicità di po-ter essere il primo pilota a vincere con una BMW alla delusione ed alla rabbia per un’incolpevole caduta all’ultima curva. Non si è più ripreso ed il terzo posto di Misano è poi risultato essere un lampo di luce in una stagione grigia, se non buia.

I 123 punti conquistati nella prima fase (con un solo passaggio a vuoto) facevano presagire per l’inglese un campionato di vertice, ma i miseri 77 raccolti in seguito (con ben sei manche conclu-se con zero punti) lo hanno relegato all’ottavo posto. Costretto a cambiare aria, il figlio di Ron ha scelto la Honda per una stagione che non si preannuncia certo facile a meno che il team Ten Kate non riesca a ridargli quella fiducia nelle pro-prie capacità che sembra abbia perso.

Chaz DaviesLa rivelazione del 2013 sale sulla BMW ufficiale nel tentativo di entrare tra i top rider della cate-goria. Chaz ha pagato lo scotto del debutto in Superbike (non solo suo ma che del suo team) e nelle prime sette gare ha conquistato solo 49 punti con ben sei zero in classifica. Musica com-pletamente diversa nella seconda fase dove ha conquistato la vittoria al Nurburgring e portato a casa 115,5 punti pur se con altre 4 battute a

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vuoto. Di fatto però non appena moto e team sono risultati competitivi, lui ha corso nel grup-po di testa, dimostrando di poter andare decisa-mente forte. Per il prossimo anno il rischio è che la storia si ripeta e che il suo doversi adattare alla nuova moto gli possa far perdere la prima parte della stagione, ma se così non fosse Davies potrà dire la sua nella lotta per il titolo.

Davide GiuglianoIl talentuoso pilota del team Althea ha concluso la sua prima stagione in Superbike nella top ten. Un ottimo risultato per Davide che come Checa ha pagato la scarsa competitività della ormai vecchia 1198. Qualche volta ci ha messo del suo ed è caduto spesso, ma sono cose che capitano ai cavalli di razza che non sopportano di restare indietro. Agli 80 punti della prima fase hanno poi fatto riscontro i 63 della seconda. Nove passi fal-si sono molti, ma non troppi per un debuttante come lui che è riuscito a salire sul podio ad Assen e a Misano. Essere l’unico pilota dell’ambizioso team Althea, per di più al debutto con un’Apri-lia sulla quale non è ancora salito, non sarà una cosa facile e Giugliano dovrà dimostrare di aver raggiunto quella maturità che gli possa consen-tire di sopportare una pressione che quest’anno gli è stata risparmiata dall’ombra di Checa. In bocca al lupo.

Joan LascorzMa non possiamo concludere questa nostra analisi del 2013 senza pensare a Joan Lascorz e a quanto è successo allo sfortunato pilota spa-gnolo. Noi che cerchiamo di seguire, anche se da lontano, l’evolversi della sua situazione lo abbia-mo visto sereno e consapevole del suo stato. Chi gli è più vicino però ci parla anche di momenti di scoramento che comprendiamo e che ci strin-gono il cuore. Joan vuole tornare a correre, è già salito su di un kart e si parla di un suo futuro con le macchine da rally. Forza Johan, campione dentro e fuori la pista, il popolo della Superbike non ti dimentica.

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SupercrossBarcia e Tomac mattatori a Phoenix di Massimo Zanzani | Il pilota della Honda si aggiudica la sua prima vittoria in 450 al termine di un’altra giornata che ha di nuovo disatteso i pronostici; conferma per Tomac nella 250

L ’anno scorso fu la KTM a vincere il suo primo Supercross nella clas-se regina, quest’anno il discusso circuito realizzato all’interno del Chase Field, casa dei Diamond Back di Phoenix, ha invece por-

tato alla ribalta Justin “Bam Bam” Barcia, che alla sua seconda gara del campionato 450 ha

bruciato le tappe vincendo con grande lucidità sugli agguerriti pretendenti al titolo. Dopo essere stato terzo per quasi tutta la gara di Anaheim ed avere tagliato il traguardo settimo a causa di una caduta per essersi involontariamente trovato in folle prima delle whoops, questa volta il due volte campione 250 Costa Est incurante della caduta in allenamento che gli aveva procurato una forte

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contusione ad una spalla ha letteralmente domi-nato una finale che lo ha visto al comando dalla prima curva al traguardo. «E’ una fortuna che sia riuscito a correre qui oggi dopo l’infortunio di qualche giorno fa – ha spiegato il pilota della Georgia – ho cercato di correre fluido e con la testa e ha pagato specie in un circuito pazzesco come quello di oggi estremamente scivoloso. E’ semplicemente irreale, fantastico, non mi sem-bra ancora vero di aver vinto, ma non voglio fare previsioni perché siamo solo all’inizio e preferi-sco godermi questo momentaneo senso di feli-cità. La gara è andata bene, sono spuntato bene evitando tutti i miei più forti avversari che si era-no messi vicino e all’interno della prima curva, e dopo essermi sciolto all’inizio ho guidato pulito e senza neppure troppa pressione. Verso la fine a causa dei doppiati Villopoto cominciava a farsi

sotto, ma nonostante non sia ancora abituato a fare 20 giri visto che nella 250 ne facevamo 15 grazie al duro allenamento di quest’inverno ho reagito bene e ce l’ho fatta». Il secondo posto Ryan Villopoto se l’è dovuto sudare, ma alme-no questa volta rispetto alla prova d’apertura il risultato lo ha appagato. «Non è esattamente l’inizio di stagione che mio aspettavo – ha com-mentato l’ufficiale Kawasaki – ma se non altro oggi sono andato sul podio. Non è stato facile perché la pista era scivolosissima, sono partito quinto o sesto ed ho rimontato subito sino alla terza posizione ma poi sono caduto perdendo in controllo dell’avantreno ritrovandomi all’ottavo posto. Verso la fine ho agganciato Trey Canard, abbiamo lottato duramente sino a quando lui è caduto lasciandomi la strada aperta per la se-conda posizione. Il livello sembra si sia alzato

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ulteriormente quest’anno, ma è anche dovuto al fatto che i circuiti lasciano poco spazio ai sorpas-si e all’inventiva, tutti fanno più o meno gli stessi salti o passano a gas spalancato nelle whoops per cui la tecnica di guida ne soffre e prendono preponderanza gli eventuali errori che uno può fare. Quello di Phoenix poi è sempre quello più veloce della stagione». L’ottimo Canard si è quin-di giocato la possibilità di bissare il posto d’onore della prima gara con una caduta all’ultimo giro giunta dopo una consistente rimonta dal sesto al secondo posto, dovendosi quindi accontentarsi di una quinta piazza che gli ha lasciato l’amaro in bocca. Del suo errore ne ha approfittato anche Davi Mill-saps, che ha rimediato una giornata travagliata nella quale evidentemente ha pesato la tensione del suo ruolo di leader, mantenuta grazie al ter-zo posto spuntato nel main event. «Non è una

scusa, ma oggi non ho corso bene mentre gli altri avevano un ritmo decisamente veloce. Ho girato troppo teso, solo nella finale ho cercato di rilas-sarmi e le cose sono andate un po’ meglio, grazie anche alle buone partenze che ho avuto. Hanno inciso anche le condizioni del circuito, pieno di canali, scivoloso, davvero poco invitante. Mi sa che oggi non ho guadagnato tanti amici come con la vittoria di Anaheim, che in un colpo solo mi ha aggiunto 5.000 followers». La trasferta dell’Arizona ha messo un po’ in om-bra Chad Reed, che per via di errori non è riuscito a fare meglio di quarto, e Ryan Dungey, partito col piede sbagliato e soprattutto sempre nelle retrovie, ma soprattutto James Stewart protago-nista di un’altra caduta in prova, che ha brillato solo nella sua manche perché poi nella finale è spuntato ottavo ed ha sempre navigato attorno alla medesima posizione.

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250Nella 250 altro spettacolo di Eli Tomac, che va letteralmente come un razzo, da qualsiasi posi-zione parta. Ha vinto la manche rimontando qua-si con facilità sei posizioni, è stato imprendibile nella finale dopo un’altra rimonta, questa volta dalla quinta piazza, che già a metà gara lo ha in-stallato stabilmente in testa al gruppo. Purtrop-po per Ken Roczen, il pilota del Colorado amante del golf e delle escursioni a cavallo è davvero una brutta bestia quest’anno. Il tedesco invece ha avuto problemi delle partenze, ha lavorato duro, ha fatto degli splendidi sorpassi ma ha dovuto farsi bastare un pur onorevole posto d’onore. «I risultati della 450 confermano che i nuovi arriva-ti hanno portato nuova linfa al campionato – è il punto della situazione fatto a Moto.it da Ro-ger De Coster – che probabilmente quest’anno avrà risultati altalenanti senza che il podio venga

monopolizzato da uno o due piloti. E’ un bene per il pubblico perché le gare sono molto appassio-nanti, peccato che per come sono fatte quest’an-no le piste è difficile fare la differenza per i piloti più veloci che sono costretti a prendere ancora più rischi e di conseguenza portati anche a sba-gliare di più. Non si capisce perché vadano avanti così, anche perché loro sono convinti di lavorare bene. Mi spiace per Dungey che ha tutte le carte in regola per essere nei primi ma non è ancora riuscito ad entrare nel suo ruolo, per quanto ri-guarda la 250 invece se si vuole vincere il cam-pionato l’unica è essere proprio come Tomac, non si sfugge. E’ veloce, forte fisicamente ed è seguito bene dalla famiglia, un cocktail perfetto difficile da battere». La ricetta per farcela Roczen ce l’ha detta: «partire in testa e tenere duro sino alla fine». Vedremo nelle prossime prove se ce la farà.

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SpecialeDakar 2013

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le tappe e le difficoltà della gara sudamericanadi Piero Batini | 14 tappe, 8.500 km, un’altitudine variabile tra zero e 3.850 metri. Tutti i segreti del percorso della Dakar 2013 tra Lima e Santiago, che si svolgerà dal 5 al 19 gennaio

D akar Perù-Argentina-Cile: quale percorso? È la prima delle doman-de che si sono posti i partecipanti alla 34ma edizione della Maratona

ex-africana, ora solidamente trapiantata nel con-tinente sudamericano. Le quattro edizioni sin qui disputate hanno dimostrato che, dal punto di vi-sta strettamente legato al tracciato, la Dakar di oggi non ha niente da invidiare alla Dakar di ieri, e di ieri l’altro. Anzi, se visti da un’angolazione fred-damente analitica, i percorsi “possibili” in Sud America sono tecnicamente più vari. Diverso è l’aspetto ambientale ed emotivo, che rende diffi-cile comparare due continenti così diversi e due storie, quella della Dakar di ieri e quella di oggi, così sbilanciate.

La Dakar di oggi è ancora molto impegnativaGlobalmente in America del Sud c’è un maggio-re assortimento di terreni in una grande varietà di scenari morfologici e altimetrici, e quindi una più estesa gamma di scelte. Da una “cartolina” all’altra, i concorrenti possono passare da un contesto ad un altro completamente diverso, ri-trovare la “vecchia” Africa delle dune immense e delle lunghe galoppate a “manetta”, e scoprir-si poco più avanti ad arrancare su piste infernali di sassi, scendere lungo i toboga di spiagge in-finite fino alle rive dell’Oceano ed inerpicarsi su tortuose piste di montagna fino alle altitudini maestose delle Ande. Geograficamente le scel-te e le opzioni sono praticamente infinite. Per gli

organizzatori la possibilità più grande è quella di poter creare di volta in volta dei percorsi for-temente caratterizzati e mai troppo simili tra loro, anche passando per gli stessi luoghi, e di imprimere arbitrariamente alla Corsa un “carat-tere” più o meno deciso, stabilendo a priori an-che il ritmo ed il tipo di progressione. La Dakar di quest’anno, per esempio, correrà su un tracciato che non presenta sostanziali novità rispetto alle edizioni precedenti ma che, “prelevando” da cia-scuna delle corse degli ultimi anni un aspetto ca-ratteristico, può offrire ai partecipanti un’edizio-ne sostanzialmente nuova. Non molto di inedito in senso stretto dunque (i chilometri mai visti in precedenza sono davvero pochi) ma pochissime ripetizioni e una Dakar oltremodo tutta da sco-prire.

Dakar 2013: difficile fin dai primi kmSbagliano quelli che pensano che ASO abbia “economizzato” sui tracciatori o sui tempi delle ricognizioni avendo molto road book pratica-mente già fatto. La verità è che l’edizione 2013 potrebbe essere una stupenda antologia di que-sto grande scorcio di continente che ha dato alla Dakar una fisionomia molto diversa ma ugual-mente, e forse più, affascinante. E tutto questo in vista di un nuovo, radicale cambiamento di rotta. Il Perù è stato, lo scorso anno, la grande novità di un finale in parte sconosciuto e ignoto, e quindi anche inquietante. Quest’anno il Paese non solo ospita la partenza del Rally ma sarà ve-rosimilmente il “nodo” iniziale di una corsa che si

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annuncia da subito molto difficile. I terreni sab-biosi, che nell’immaginario della Dakar sono sempre stati teatro delle azioni “classiche” della sua epopea più intensa, sono concentrati in gran parte nelle cinque tappe peruviane. Se a questo si aggiunge il caldo a cui la maggior parte dei con-correnti non è abituata, e la Nazca – Arequipa, una tappa di oltre 700 chilometri (sebbene con una speciale non troppo lunga, circa 300 chilo-metri), non è difficile prevedere che, come acca-deva negli anni ottanta, la prima parte della Dakar di quest’anno pretenderà da subito un contribu-to rilevante di fatica e di impegno. Questa sembra essere la logica della prima parte, sulla carta, del Rally 2013: un via difficile, dispendioso, e di con-seguenza selettivo. Un’altra caratteristica gene-rale di un certo rilievo che emerge dalla struttura del percorso 2013 è che questo sarà globalmente meno sabbioso del solito. Pur caratterizzata dalle dune del Perù (con il terribile Fesh-Fesh), di Fiam-balà e di Copiapò, che sono entrate di diritto negli annali delle grandi difficoltà della Dakar, la parte “sabbiosa” del percorso 2013 è tra un quarto e un terzo soltanto dello sviluppo di Prove Speciali dell’intero Rally, la restante parte improntata a terreni da duri a durissimi e pietrosi. È, questo, uno dei motivi che hanno rilanciato (sempre sulla carta) le auto a due ruote motrici, e che favori-scono la “sopravvivenza” delle moto ammesse a partecipare alla Dakar, fino a 450cc.

Ci vuole intelligenza per non essere subito eliminatiComunque interpretati, tutti gli indizi portano a

decifrare in modo chiaro le difficoltà iniziali dell’e-dizione di quest’anno, e per i Piloti la conclusione dell’investigazione si traduce in una sorta di esor-tazione ad affrontare l’inizio della corsa con molta intelligenza e con la massima circospezione. Pare ancor più logico doversi concentrare nella ricerca prima di tutto dell’acclimatamento, quindi su una sorta di programma di impegno iniziale che non costi troppo in termini di dispendio fisico. Altri-menti, il rischio è quello, come appunto accadeva alle Dakar dei mitici anni ’80, di essere destinati a subire un’inevitabile, forte e prematura selezio-ne, tale cioè da “decimare” da subito la carovana. Pianificare la calma non è cosa facilissima, poi-ché a sfavore della concentrazione gioca la vici-nanza tra la fase d’insopportabile, crescente ec-citazione dei giorni immediatamente precedenti la partenza della gara vera e propria, l’adrenalina del podio di Lima e l’arrivo ravvicinato della par-te più difficile di inizio gara. Come ogni anno, in ogni caso, per verificare le condizioni suggerite dalla “carta” bisognerà attendere lo svolgimento di ogni singola tappa, in modo da aver lasciato intervenire quelle variabili, temperatura, consi-stenza della sabbia, eventuale piovosità e vento, che possono cambiare radicalmente le… carte in tavola.

14 tappe, 8.500 km, altitudine variabile tra zero e 3.850 mIl programma prevede 14 tappe. Le prime cinque in Perù, la sesta in Cile e le due seguenti in Argen-tina, prima della giornata di riposo di Tucuman. Dopo il riposo ancora due tappe interamente in

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Argentina e quindi il ritorno in Cile con la Fiam-balà-Copiapò (alternativamente, nel corso delle ultime edizioni, micidiale e “tollerabile”) prima delle due tappe che, con il passaggio oceanico di La Serena, condurranno i concorrenti all’epilogo di Santiago. In tutto circa 8.500 chilometri (il per-corso e il relativo sviluppo chilometrico varia, in alcune tappe, per le auto, le moto e i camion, in modo da evitare gli “incroci” più pericolosi), dei quali circa 4.100 (3.500 per i camion) di Prove Speciali. Il tutto ad un’altitudine variabile tra zero

e 3.850 metri s.l.m, ma con due passaggi in tra-sferimento oltre i 4.000 per attraversare le Ande, la prima volta all’ingresso in Argentina (settima tappa) e la seconda per tornare in Cile (dodicesi-ma). Lo scorso anno la neve pose non pochi pro-blemi alla carovana ed agli organizzatori. Quella riportata sopra è la mappa di tutto quello che ac-cadrà tra il 5 e il 19 Gennaio, tra Lima e Santiago, tra i 12° e 27 primi e i 33° e 39’ di latitudine Sud, attraverso Perù, Cile, Argentina e ancora Cile. Buon Anno Dakariani!

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1Tappa 1Chaleco lopez si aggiudica la prima specialedi Piero Batini | E finalmente è Dakar! Lima-Pisco, il prologo, la prima Prova Speciale-Spettacolo, la prima vittoria di Francisco Lopez (KTM)

È s olo un prologo, al termine del trasfe-rimento tra Lima e Pisco di 250 km. 13 chilometri soltanto, che lasciano lontana la Capitale che ha ospitato

la carovana e inaugurano la 34ma edizione della Dakar, ma è una prova che ha l’effetto di un de-tonatore, perché finalmente sprigiona e diluisce tutta la carica accumulata in un anno di attesa, e negli ultimi giorni di Lima, al villaggio Dakar di Magdalena, spiaggia a Nord della Capitale, appo-sitamente allestito con un il lavoro per tre mesi di 1.500 uomini. Sono stati tre giorni di verifiche finali, di protocolli da rispettare, di ultimi e ulti-missimi preparativi, di iniezioni di adrenalina che si accumulano e che i Piloti non vedevano l’ora di scaricare sulla pista.

L’emozione del podio di partenzaAlle 20:00 del 4 gennaio il primo briefing ufficia-le, ultimo appuntamento protocollare e burocra-tico. Le ultime regole e raccomandazioni, poi a letto presto per un sonno breve e certamente agitato, prima dell’alba del 5. Dopo il sempre emozionante podio di partenza di Agua Dulce a Lima, tanta gente, le massime autorità del Pae-se e di ASO, danzatori sul podio, il festival degli acrobati dell’aria e l’acrobazia di Robby Gordon che inizia con un volo oltre il palco, si comincia blandamente, con un lungo trasferimento alla volta di Pisco ed una prova che è soltanto un

prologo. Qualche momento di panico, una moto che non parte, il Quad dell’argentino Tom Maffei, uno dei favoriti della categoria, che sembra avere un problema più serio, ma la carovana è lanciata sulla fenomenale parabola di quattordici giorni di gara e di avventura che l’aspetta. L’inizio è una lunga cavalcata lungo le rive del Pacifico, mae-stosa, affascinante e… intelligente mossa d’av-vio, senza rischi e senza colpi di scena.

i big si accontentano di posizioni di arrivo secondarieNormalmente il prologo è destinato allo spetta-colo, e la località prescelta è una valle sabbiosa che gli spettatori, una marea, hanno invaso alle-gramente, ma anche ordinatamente. Lo spetta-colo rituale serve anche per stabilire l’ordine di partenza della tappa successiva, e per questo normalmente i piloti, soprattutto i big, non forza-no e cercano una posizione di arrivo secondaria, che li favorisca con una partenza arretrata il gior-no successivo. Partendo indietro, i piloti possono sfruttare gli apripista, recuperare sui battistrada della prima tappa “vera”, e dare la miglior forma iniziale possibile alla loro Dakar. Negli anni sono stati inventati vari tipi di accorgimenti per evita-re il “danno” d’immagine, con formule compli-cate (come il diritto di scelta della posizione di partenza) o inefficaci come l’ordine inverso alla classifica del prologo. Finalmente, quest’anno,

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sorpresa. L’idea l’hanno avuta gli organizzatori ed è semplice e geniale. Il tempo del prologo è moltiplicato per cinque, così dieci minuti diven-tano 50, ma anche i distacchi si dilatano di con-seguenza, diventando eventualmente importanti anche su una base chilometrica così breve. E lo spettacolo è assicurato, perché tutti ce l’hanno messa tutta, ripristinando gli obiettivi istintivi.

Nelle moto vince l’idolosudamericano Francisco LopezNon a caso la prima speciale è vinta dall’idolo sudamericano, Francisco Lopez, che batte sul traguardo di Pisco l’olandese Hans Verhoeven

ed il cileno Pablo Quintanilla. Per “Chaleco” è una importante iniezione di fiducia. I distacchi sono irrisori, anche moltiplicati per cinque, ed il prolo-go ha sortito in pieno l’effetto desiderato. Il Cam-pione in carica, Cyril Despres, è quinto davanti a David Casteu, Alessandro Botturi undicesimo rallentato da una piccola caduta. Non forzano i Piloti Honda del Team HRC, Pizzo-lito è ottavo e Rodrigues diciassettesimo, e nean-che Joan Barreda, decimo e che “anticamente” avrebbe fatto carte false per aggiudicarsi il pic-colo motocross del deserto di apertura. Ignacio Flores è il primo nome nella prima classifica della Dakar dei Quad.

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I piloti, soprattutto i big,

non forzano e cercano una posizione di arrivo

secondaria, che li favorisca con unapartenza arretrata il giorno

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2Tappa 2Barreda passa al comando di Piero Batini | Spettacolo tra le dune. Vince Barreda (Husqvarna). La Prova Speciale è resa particolarmente interessante da un difficile passaggio di navigazione

P er la sua festa la Befana ha portato ai “dakariani” la giostra delle dune. 100% sabbia, sette way point, “boe” ravvicinate di una regata nel mare di

onde di sabbia, pochissimi riferimenti e il primo scenario autenticamente espressivo della Da-kar appena partita… e già nel vivo. (A proposito, la Vendée Globe, regata a vela per solitari a cui abbiamo accennato all’inizio dei nostri report, sta per incrociare il meridiano dove si trova ora la Dakar, ma in Atlantico, François Gabart sempre in testa).

una tappa nella sabbiaDakar nel vivo, dicevamo. Ce lo aspettavamo, così come ci aspettavamo quelle piccole, elo-quenti sorprese che hanno fatto della prima giornata “vera” dell’edizione 2013 uno spettacolo all’altezza del biglietto pagato. La Pisco-Pisco, un anello ad Ovest della città che da il nome ad una Storia… e a un modo di bere che è tipico della fascia andina del Sudamerica, è più vicina ad un immenso tour di questo angolo di Paradi-so (soprattutto per gli amanti della sabbia), che ad una tappa “classica” della Dakar. La storia del Rally racconta, infatti, che sono ben poche le tappe con partenza e arrivo nello stesso luogo, e che l’opzione è riservata alle occasioni speciali,

altrimenti è più in generale trascurata in favore di una spiccata tendenza a “massacrare” i suoi ospiti in tappe spesso interminabili. Comunque gli ospitali peruviani meritavano uno spettacolo del genere, 85 chilometri di trasferimento e 242 di Prova Speciale, tutto nella sabbia, ed un super-bo colpo d’occhio. La Pisco-Pisco verrà probabil-mente ricordata per le sue caratteristiche, oggi speciali se consideriamo che tra qualche giorno la sabbia lascerà il posto a piste sempre più dure, e che grosse difficoltà non se ne sono ancora vi-ste (ma sono attese già per la tappa successiva). L’equilibrata formula della prima prova-prologo ha sortito il suo effetto. Non ha sacrificato lo spet-tacolo inaugurale e, altrettanto equilibratamen-te, ha influenzato la seconda prova speciale del Rally in corso. I Piloti più attenti alla prospettiva Santiago l’hanno interpretata in maniera sobria, ma non “loffia”, traendo il massimo profitto dalla posizione di partenza determinata da quel corto rush di tredici chilometri. È in virtù di questa scel-ta che Joan Barreda ha potuto agevolmente fare sua la ben più impegnativa speciale di oggi. Dopo un quarto d’ora lo spagnolo del Team Husqvarna by SpeedBrain ha recuperato sugli apripista, per poi guidare e controllare il gruppetto di testa che, come accade in queste situazioni, ha proseguito compatto sino all’arrivo. Nessun “colpo di testa”,

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ovvero nessun tentativo di fuga. Dopo mezz’ora la classifica finale aveva già assunto la sua fisio-nomia definitiva.

Alessandro Botturi si perde tra le duneO quasi. Sì, perché c’è sempre il diavolo che ci mette lo zampino, creando quel differenziale che in taluni casi diventa un vero e proprio colpo di scena. Dopo due way point, infatti, il terzo del KM 71 era più complicato da trovare. In questi casi bisogna passare ad una certa distanza dal punto, che non è noto, e solo allora lo strumento

rivela la posizione fornendo il consenso a prose-guire. Alessandro Botturi era sesto al secondo WP, ma a quello successivo il GPS non “apriva” il punto. Il meccanismo di funzionamento dei WPM (Way Pont Mascherato) e dei WPS (Way Point di Sicurezza) è semplice. Il punto viene evi-denziato quando il concorrente entra nel raggio, rispettivamente, di 3KM e di 800 metri, e il pas-saggio è validato quando il Pilota entra nel raggio concentrico di 90 metri, o 200 metri rispettiva-mente. Botturi ha così cercato a lungo il passag-gio corretto, finendo per “pascolare” insieme al

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compagno d Squadra Paulo Gonçalves per una ventina di minuti. Ecco spiegato il trentesimo posto finale del Bresciano (di Lumezzane). Ales-sandro Botturi. «Ero partito bene, e senza forza-re mi sono portato sul gruppo dei primi. Quinto all’inizio, poi sesto, ma ero lì e mi divertivo. Poi è arrivato il terzo Way Point e, pur passando dove ritenevo dovesse trovarsi, lo strumento non lo attivava mai. Passa e ripassa ho iniziato a perde-re tempo, poi ho allargato il campo di ricerca. Si vede che la prima volta sono passato a pochissi-mi metri dal “consenso”, o che lo strumento ha

Cyril Despres e Francisco Lopez, dal canto loro, attesi

ad una prova di “conferma” e di “rivincita”, hanno commesso invece

un analogo errore di navigazione, sempre nella zona “incriminata” cercando

di contornare un tratto di dune

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avuto un ritardo. Sta di fatto che mi sono perso ed ho lasciato tra le dune almeno una ventina di minuti. Mi sono poi ripreso ed ho cercato di recu-perare nella parte finale del percorso, ma senza forzare troppo per evitare rischi inutili. Il tempo che si perde per strada non si può recuperare subito, ci vuole altro tempo e non vale la pena di mettere a repentaglio la sicurezza e la gara per un obiettivo impossibile. Domani sarà un altro giorno, e vedrò di recuperare un altro “pezzet-to” del tempo perso oggi». Botturi non è stato comunque il solo a cadere nella prima trappola della Dakar 2013. Insieme a lui, come abbiamo visto, Paulo Gonçalves, ma anche Helder Rodri-gues, testa di serie Honda, ha perso una diecina di minuti, rimanendo anche senza carburante a pochi km dalla fine, e altri hanno accusato piccoli problemi, per fortuna non gravi, come Ruben Fa-ria, portatore d’acqua di Despres, cui si è spenta la moto in vista del traguardo. “Garone”, invece, per un altro portatore d’acqua, in questo sen-so disoccupato poiché era l’assistente di Marc

Coma. Joan Pedrero, partito molto indietro, oltre la quarantesima posizione, ha rischiato un poco nella sua lunga serie di sorpassi nella polvere, ma ha chiuso la Speciale al secondo posto, davanti al sorprendente australiano Matt Fish, al debutto con il Team di Barreda e Botturi.

errori di navigazione anche per DespresCyril Despres e Francisco Lopez, dal canto loro, attesi ad una prova di “conferma” e di “rivincita”, hanno commesso invece un analogo errore di na-vigazione, sempre nella zona “incriminata” cer-cando di contornare un tratto di dune. A Lopez va la parziale scusante di aver dovuto aprire la pista in virtù della vittoria nel prologo ma, chiudendo rispettivamente in 12ma e, addi-rittura, 29ma posizione, entrambi i Piloti pagano una bella cifra in termini di tempo, e sono quinto e ventesimo, ben “ridossati” dal leader provvi-sorio, ma autorevolmente in grado di “reggere”, Joan Barreda Bort.

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3Tappa 3Despres balza al comando della classificadi Piero Batini | Dakar 2013. Terza tappa. Cyril Despres (KTM) e Stephane Petehansel in testa. Balzo in avanti di Lopez, e indietro di Barreda, che paga alla sfortuna un forte ritardo

S i riparte dalle stesse dune della Speciale Pisco-Pisco, ma in una se-lezione più “appuntita”. Le difficoltà iniziano subito dopo il brevissimo

trasferimento iniziale (4 chilometri) della terza tappa della Dakar 2013. La Speciale è lunga 243 chilometri, con un finale su piste più scorrevoli, e la tappa si conclude a Nazca dopo un trasferi-mento finale da Pampa di cento chilometri scar-si. Mentre i Piloti sono già avviati a “scontare” la terza pena, rimbomba sulla tappa l’eco della ri-unione serale della giuria della Dakar, che ha ri-preso in mano la classifica del giorno precedente e rivoluzionato la classifica delle auto. L’errore di navigazione attribuito a Carlos Sainz sarebbe in realtà dovuto al malfunzionamento del suo GPS, il cui standard è imposto dagli organizzatori. Il sospetto che qualcosa potesse non funzionare alla perfezione ce lo aveva già ispirato Alessan-dro Botturi, inspiegabilmente intrappolato tra le dune alla ricerca del terzo way point della gior-nata che non si decideva a spuntare sullo stru-mento di navigazione. Per il momento il caso di Botturi non è stato richiamato alla sbarra, ma quello di Sainz è stato analizzato in profondità, ed allo spagnolo bi-mondiale Rally WRC è stato scontato il tempo perso alla ricerca del punto e non attribuibile ad un errore del copilota. Franco Panigalli, uno dei piloti che partecipa alla Dakar 2013 con Franco Picco, si è ritirato alla terza

tappa in seguito ad un incidente che ne ha provo-cato la lussazione della spalla.

Sainz in testa alla classifica generale provvisoria Il verdetto della giuria fornisce una nuova foto-grafia della seconda tappa. Sainz non solo di-venta il vincitore della seconda Prova Speciale, ma è catapultato in testa alla classifica generale provvisoria, e con il Matador va in testa anche il neonato Buggy Red Bull Qatar voluto da Nas-ser Al-Attiya. Stephane Peterhansel passa al se-condo posto, oltre cinque minuti di ritardo. Boh, non si capisce perché ci debba volere così tanto tempo per verificare delle cose che la tecnologia dovrebbe risolvere in automatico. Forse l’errore umano di tempi ormai lontani e rifiutati non era poi tanto male. Ma l’errore di navigazione (o del sistema GPS) si ripete anche nella terza tappa, ed a farne le spese sono i Piloti meglio piazzati nella tappa precedente e che hanno avuto l’ingrato compito di aprire la pista. Joan Barreda, Joan Pedrero e Ruben Faria fanno fatica a districarsi dalle insidie della difficile navigazione, e pagano pesantemen-te, scomparendo dalla parte alta della classifica generale. Il più sfortunato è l’ex leader della cor-sa, che distrugge una ruota dopo un salto e deve attendere l’arrivo di Matt Fish per poter riparare e ripartire.

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LopezCose della Dakar, ma certamente molta sfor-tuna, e il ritardo è pesante. Barreda passa dalla prima addirittura alla diciottesima posizione, a venti minuti dalla testa della corsa. La gara del-le moto ripristina così, in un certo senso, l’ordine naturale delle cose. Francisco “Chaleco” Lopez guida di forza l’intera Speciale e, favorito anche dal fato di partire indietro, va a vincere a Nazca la sua seconda Speciale di questa Dakar davanti a Paulo Gonçalves e Cyril Despres. Quest’ultimo sale, dopo soltanto tre tappe, in quella posizione che è maggiormente congeniale al Pilota france-se, e può controllare la corsa dall’alto. Giusto due minuti e mezzo su “Chaleco”, ma quel tanto che

basta per dare alla corsa la sua impronta carat-teristica. E dire che proprio alla vigilia Despres aveva messo in guardia sulle difficoltà della tappa odierna, evidentemente non ascoltato, soprattut-to dagli avversari diretti. Dopo tre tappe, insom-ma, la Dakar premia, come sempre, i più attenti (e fortunati, certo), quelli che non hanno forzato la partenza sapendo quanto è lungo il Rally. Piloti mai fattisi sentire, come Pal Anders Ullevalseter, Olivier Pain e David Casteu, che occupano ora le prime posizioni della generale. Suo malgrado protagonista ieri di una tappa sfortunata, Ales-sandro Botturi si è ripreso in fretta. Ha chiuso al quarto posto una tappa perfetta, non ostante una piccola caduta, e risale in 12ma nell’assoluta.

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4Tappa 4Barreda si aggiudica la specialedi Piero Batini | Il pilota Husqvarna si aggiudica la speciale davanti a Pain e Casteu. I francesi passano in testa nella classifica generale. Despres, 15° nella tappa odierna, scende la 3° posto in classifica. Botturi 9°

I l mistero delle Linee di Nazca, i geoglifi tracciati dalla Civiltà Nazca in un’area di cinquanta chilometri, e che rappresentano 800 gigantesche figure stilizzate di anima-

li visibili solo dall’alto, sono niente in confronto con il mistero della Dakar che ha appena lasciato questa zona e che mostra un’altra dei suoi innu-merevoli ed indecifrabili volti.

una tappa lunghissima ha messo a dura a prova la tenacia dei pilotiLa Nazca-Arequipa è, dall’inizio della 34ma edi-zione, la tappa più lunga, ben 720 chilometri, che i concorrenti abbiano sin qui affrontato, ed è stata tracciata su quel percorso del gran finale dell’edizione 2012, al contrario, che i concorrenti avevano scoperto particolarmente impegnativo, e che aveva mietuto non poche vittime a torto convinte di essere già in “discesa” verso il tra-guardo. Quest’anno molti conoscevano la zona e il terreno, ma per contro la Speciale, 289 chi-lometri, si è rivelata da subito ancor più difficile. In fuoripista tra le dune, i concorrenti partiti per primi hanno immediatamente incontrato le pri-me difficoltà, rallentando la marcia di apertura e favorendo il ritorno dei concorrenti alle loro spal-le. Lopez, Gonçalves e Despres al rallentatore nel deserto peruviano, dunque, e andatura a fuoco, invece, per Pizzolito e Barreda, l’ex leader partito

questa mattina dalla 24ma posizione.

il grande protagonista diventa BarredaMentre va delineandosi un nuovo scenario ago-nistico, globalmente più equilibrato, il protago-nista assoluto diventa Joan Barreda, lanciato nella rincorsa di avversari e tempo perso per l’incidente della tappa precedente. Partito indie-tro e con la strada in chiaro segnata dalle trac-ce di apripista autorevoli quali Despres e Lopez, “Bang Bang” Barreda demolisce dune, avversari e cronometro, e vince la tappa a mani basse, ol-tre otto minuti di vantaggio sul secondo. È a que-sto punto che entrano in scena quei Piloti fino ad oggi nell’ombra, come Olivier Pain, David Casteu e Jordi Viladoms, o appena sollecitati dalla man-canza di risultati, come Helder Rodrigues con la prima delle Honda e finalmente 5° al traguardo di Arequipa. La sorpresa è grande, ma logica. Oli-vier Pain, trentunenne francese di Niort alla sua settima Dakar e autore di una gara perfettamen-te regolare e senza intoppi, passa al comando del Rally, davanti a Casteu e Despres. Disarmante il candore del nuovo, inedito leader che ammette, essendo partito indietro, di aver potuto ottimiz-zare la propria rotta prendendo come riferimen-to la polvere degli avversari davanti a lui. Entusia-smante ed incerta, la gara si presenta di nuovo estremamente equilibrata alla vigilia della tappa

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che porta la carovana oltre confine, in Cile. De-spres, terzo in generale a tre minuti da Pain e a un minuto da Casteu, ha la possibilità di control-lare la corsa, ma non ancora il Barreda visto oggi e tornato in quinta posizione assoluta a cinque minuti dal nuovo leader. Dopo oltre dieci ore di infernali prove speciali tutti big, inclusi Lopez, in difficoltà con la navigazione (solo 19° con oltre venti minuti di ritardo a Arequipa) e Botturi, sono in un “fazzoletto” di poco più di dieci minuti. Die-tro a Rodrigues un altro redivivo, Gerard Farres, e Alessandro Botturi è 12°. Notevolmente rallen-tati, invece, David Fretigné, molto probabilmente costretto al ritiro, Joan Pedrero, James West e Frans Verhoeven, tutti con problemi meccanici o di insabbiamento. Marcos Patronelli e Sebastian Husseini, all’arivo nell’ordine, continuano a far da padroni nella gara dei Quad, e Camelia Liparoti si mantiene tenacemente in 17ma posizione nella generale.

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Il protagonista assoluto diventa Joan Barreda, lanciato nella rincorsa di avversari e tempo perso per l’incidente della tappa precedente

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5Tappa 5Vince David Casteu (Yamaha) di Piero Batini | Una volata. Vince David Casteu (Yamaha), Pain ancora in testa alla generale. Grosso problema per Joan Barreda, protagonista di una nuova giornata sfortunata

L a Dakar saluta il Perù e passa in Cile con una tappa diversa per moto e auto. Moto e quad entrano subito nel-la speciale di 136 chilometri fino alla

cittadina di Cachendo, e concludono con un tra-sferimento di 270 chilometri, auto e camion par-tono con il trasferimento di 280 chilometri e di-sputano una Speciale di 172 chilometri più a Sud verso il confine Perù-Chile. Le moto sono patite un po’ più tardi stamattina, alle 08:30 locali, e anche per le auto la partenza in trasferimento è una piccola tregua dopo la tremenda quarta tap-pa. Poi, naturalmente, in pista e contro il crono-metro si ricomincia con le “spigolosità” di questa Dakar. Per tutti, nonostante la diversa tracciatu-ra, la tappa si sviluppa su terreni finalmente più duri, e solo le moto devono affrontare un tratto più sabbioso nel finale. Entra in scena la naviga-zione al road book e… il fesh-fesh. 157 moto, 32 quad, 129 auto e 72 camion alla partenza. Joan Barreda apre la pista, tre piloti mantengono un’andatura elevata e si installano ai primi tre posti della provvisoria di tappa. Sono lo slovacco Stefan Svitko, Joan Pedrero e il rookie america-no Kurt Caselli, “riserva” di Marc Coma nel Team KTM. Ma dietro ai battistrada, con la compen-sazione dei tempi di partenza, il miglior tempo è quello di David Casteu, e Barreda, Depres, Bottu-ri e Barreda sono un po’ indietro, dall’ottavo all’11

posto. Manche di motocross, a manetta. All’ini-zio sembra una Speciale senza storia. Neanche un’ora e tre quarti dalla partenza, e i primi due Piloti tagliano il traguardo della Speciale. David Casteu e Olivier Pain, compagni di Marca (Yama-ha), protagonisti di questa fase iniziale del Rally e alleati ideali in questa circostanza, si sono tirati la volta a vicenda in un finale a velocità superso-nica, impedendo alla concorrenza di raggiunger-li, e irrompono nell’orizzonte sgombro dell’arrivo fermando il cronometro nell’ordine, un minuto uno dall’altro. Speciale non difficile, salvo per l’i-nizio complicato di terreni duri e navigazione, ve-loce e entusiasmante, di nuovo insidiata dal fesh-fesh, e drammatica per l’asso spagnolo, Joan Barreda, e per lo sfortunato Team Husqvarna by SpeedBrain. Inizia Paulo Gonçalves, che sbaglia strada nei primi chilometri, ma sin qui niente di grave. Mentre Alessandro Botturi spinge a fon-do e si inserisce nella lotta di vertice, più avanti, attorno al 50° chilometro, Joan Barreda, che sta ancora aprendo la pista in solitario, sbaglia stra-da. Anche in questo caso l’errore non è grave e costa solo qualche chilometro di strada in più. Poi, circa chilometro 70, Barreda si ferma. Que-sta volta il guaio è più importante. Il tempo pas-sa, ma la moto dello spagnolo è ancora ferma. Passa mezz’ora. Niente da fare. Arriva anche Matt Fish a dargli una mano, e mentre l’odissea e

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il problema di Barreda sembrano non avere fine, e le sue ambizioni di vittoria svanire questa volta definitivamente, Alessandro Botturi conclude la Speciale al quarto posto. Olivier Pain mantiene la testa del Rally al termine della quinta tappa con un minuto di vantaggio su David Casteu, due Yamaha ai primi due posti. Cyril Despres resta in contatto, sei minuti indietro e con le spalle pro-tette dal portatore d’acqua, Ruben Faria. Marcos Patronelli vince ancora nei quad ed è sempre più solo in testa. Tappa corta, ma emozionante e tut-ta da rileggere. La Dakar colpisce ancora!

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6Tappa 6Vince Francisco lopez (kTM)di Piero Batini | A Calama terza vittoria di Francisco Lopez (KTM). Fragili leadership nelle mani di Pain (Yamaha)

V erso il terzo di gara. La Dakar 2013 inaugura in Cile una trilogia inferna-le. Tre tappe in successione, tutte tra i 700 e gli oltre 800 chilome-

tri, con prove speciali per oltre 1.100 chilometri complessivi. Solo ai Camion il terzo volume della trilogia concede un abstract di 150 km di prova cronometrata. S’inizia con la Arica-Calama, inte-ramente in Cile alla vigilia dello “sconfinamento” in Argentina, dove la carovana disputerà cinque tappe prima di tornare in Cile per la terza ed ulti-ma fase del Rally.

i piloti devono ancora affrontare tappe micidialiUn programma semplicemente micidiale, con-siderato anche che i concorrenti portano già dentro le ossa la durezza della prima parte della corsa, che non ha loro risparmiato fatica, impre-visti e tensioni allucinanti. Per la sesta tappa si comincia con un lungo trasferimento di quasi 300 chilometri che i motociclisti hanno attac-cato in piena notte, alle 04:30! La Speciale, 454 km, è tracciata nel Deserto di Atacama, definito il più arido del Mondo, ed è divisa in due parti con una neutralizzazione centrale tra il Salar de Lla-mara e il Rio Loa, per il rifornimento e una breve tregua. La tappa attraversa la magnifica Riserva della Pampa del Tamarugal e passa non lontano dalla miniera di Chuquicamata, impressionan-te voragine dalla quale il rame è estratto a cielo aperto.

La gara delle motoTappa da affrontare con circospezione, magari mandando in scena un po’ di fifa. Troppi chilo-metri e un ventaglio di trappole che riunisce tutto il “best of” delle cinque tappe peruviane. Giusto che gli interessati alla classifica si tengano fuo-ri dai guai, eloquentemente rappresentati dalla navigazione, dalla sabbia molle, e dal fesh-fesh. I primi a partire rallentano subito l’andatura e con-sentono ai loro inseguitori di ottenere i migliori parziali cronometrici. Per Olivier Pain e David Casteu il compito di aprire la pista e contempo-raneamente proteggere la propria classifica è, oggi, un autentico supplizio. Si mettono in luce il cileno Israel Esquerre e soprattutto l’america-no Kurt Caselli. Javier Pizzolito ancora una volta è il più attivo dei Piloti Honda. A metà del tratto che precede la neutralizzazione, rinviene il por-toghese Paulo Gonçalves e ne approfittano per avvicinarsi alla testa della corsa Francisco Lopez e Jordi Viladoms. La classifica generale si com-patta. Cyril Despres è indietro di cinque minuti, e non forza pensando alla corsa “che conta”. I suoi diretti avversari nella generale, infatti, sono ben più indietro. Al termine della prima metà della Speciale David Casteu è già “riassorbito” e la di-stanza del francese dalla leadeship si è ormai di-mezzata. Olivier Pain conserva a fatica meno del-la metà del vantaggio iniziale di oltre sei minuti, e intanto si è avvicinato anche Lopez, che tallona Gonçalves. C’è solo un Pilota che può adottare una tattica diversa, esclusiva, perché corre nel

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“patio di casa sua” nel suo deserto dell’Atacama che conosce come le sue tasche, e può tenere un ritmo impossibile per gli altri con il minimo dei rischi: è il cileno Francisco Lopez. Gonçalves si ferma una prima volta al km 330, e Chaleco rom-pe gli indugi alla ripresa delle ostilità oltre il chek point del Rio Loa raggiunge facilmente gli apripi-sta, passa in testa e vince la Speciale, la terza del cileno in questa Dakar. Grande!

il piccolo capolavoro di Botturi in sella alla husqvarnaFuori dalla mischia, Alessandro Botturi ha com-piuto un piccolo capolavoro: ha capito perfet-tamente che era una di quelle giornate in cui mantenere intatto il patrimonio è già di per sé una conquista. Il bresciano si è riunito al gruppo che apriva la pista ed ha proseguito sino al tra-guardo facendosi trascinare in una nuova, ec-cellente performance. Il quinto posto alle spalle del Rookie che sembra destinato a succedergli,

Kurt Caselli, vale al Gigante di Lumezzane la sesta posizione assoluta, a 12 minuti dal leader Olivier Pain. Salta all’occhio, oltre all’incredibile potenziale tecnico e atletico, l’abilità di Despres nel gestire il gioco della sua squadra. È evidente che nella tappa precedente Cyril ha fatto rallen-tare il compagno di Squadra Ruben Faria, il quale ha avuto così la possibilità di inserirsi al secondo posto all’arrivo di Calama. Despres, terzo oggi, si è costruito un’impagabile opportunità. Con un apripista del valore di Lopez, il compagno a tirargli la volata e Caselli verosimilmente pronto a guardargli le spalle, la Calama-Salta può of-frire al quattro volte vincitore, non a caso, della Dakar, il primo matchpoint. Giornata storta per Jordi Viladoms, che perde oltre mezz’ora e il 5° posto, per Paulo Gonçalves, un’ora dal primo, e per Joan Barreda, ex protagonista sfortunato, quasi mezz’ora e l’anonimato della trentesima posizione. Si rivede Alex Zanotti, finalmente sen-za problemi.

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7Tappa 7Prima vittoria di kurt Caselli (kTM) di Piero Batini | Prima vittoria di Kurt Caselli, problemi per Cyril Despres. Tragedia nel trasferimento: il francese Thomas Bourgin ha perso la vita in uno sfortunato incidente

U na speciale relativamente corta, 218 chilometri, e due lunghi tra-sferimenti. Il primo, di oltre 400 chilometri porta la carovana in Ar-

gentina attraverso il Passo Jama, sulle Ande al confine tra Cile e Argentina e non lontano dalla Bolivia, il secondo, di 116 chilometri si conclude ai due bivacchi di Salta, distinti per auto e moto, dopo la disputa della Speciale. Quest’ultima è tracciata interamente ad un altitudine variabile tra i 3.400 e i 3.600 metri. Durate il primo tra-sferimento, questa mattina, ha perso la vita il venticinquenne Pilota francese Thomas Bourgin, vittima di uno scontro tra la sua moto e un’auto che proveniva in senso contrario. Tutta la tappa è molto faticosa, non solo per la lunghezza ma anche per l’altitudine e le temperature, drastica-mente scese dopo i giorni del Perù e del Deserto di Atacama.

American AceA vincere la speciale delle moto è Kurt Casel-li, l’americano chiamato all’ultimo momento a sostituire Marc Coma sulla KTM 450 Rally che brucia così le tappe della sua carriera nei Rally-Raids. Alle sue spalle Lopez, quindi Olivier Pain. Vistoso ritardo, invece, per Cyril Despres, tren-tacinquesimo al traguardo di Salta con oltre 13 minuti di ritardo da Caselli, che scende al quinto

posto nella generale a quasi 15 minuti dal leader, per la terza giornata consecutiva Olivier Pain.

imprevisti di garaBrivido in testa alla Dakar. Cyril Despres ha avuto più di un problema nel corso della tappa, principalmente al cambio. L’ufficiale KTM è ri-masto fermo in Prova Speciale e a lungo anche nel trasferimento finale, limitando i danni che potevano essere anche più gravi. Per il detento-re della corsa la beffa si aggiunge al danno, poi-ché il francese difficilmente potrà presentarsi al meglio alla partenza della seconda parte della tappa marathon. Ai concorrenti, infatti, è vietato ricevere assistenza stasera al bivacco di Salta. A fare il colpo del giorno è ancora Francisco Lopez. “Chaleco”, vincitore ieri e secondo al traguardo davanti a Pain, apre così la Dakar 2013 a un nuo-vo scenario ovviamente, in parte almeno, annun-ciato. Il cileno balza in seconda posizione nella generale, a sei minuti da Pain. David Casteu è alle costole, ma non è verosimilmente un problema e, con Despres dietro di otto minuti, il fuoriclasse cileno ha la possibilità di amministrare le tappe argentine e rilanciare ulteriormente le proprie quotazioni al ritorno in Cile, dove è imbattibile. Despres non è il solo a rammaricarsi per la brutta giornata di oggi. Jordi Viladoms si ferma al KM 40 della prova speciale. Per lo spagnolo, quarto al

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traguardo di Lima lo scorso anno e che era quin-to al termine della quinta tappa, continua l’odis-sea di quest’anno dopo il guasto che ha attarda-to la sua Husqvarna nel corso della sesta tappa. Si ferma anche Gerard Farres e ancora problemi per Paulo Gonçalves. Joan Barreda, ormai fuori gioco, è ripartito questa mattina dopo aver ma-nifestato l’intenzione di ritirarsi, ma ormai ha la testa altrove. Al contrario, Alessandro Botturi mantiene altissimo il livello di concentrazione. Nessun colpo di testa nella tappa veloce e solo pericolosa, e uno sguardo avanti e alla classifica, che vede il bresciano ora al nono posto a mezz’o-ra dal leader. Tuttavia c’è da tener presente che Botturi ha già giocato il “jolly” sostituendo per sicurezza il motore alla sua Husqvarna, cosa che nessun altro dei primi ha ancora fatto. Conside-rando che tutti, prima o poi, cambieranno il pro-pulsore a loro volta, oggi Botturi “vale” la quar-ta, quinta posizione della generale di una Dakar peraltro ancora lunghissima. Un rapido aggior-namento finale. Paolo Sabatucci si è ritirato ieri nel corso della sesta tappa per un inconveniente meccanico. A rincarare la dose il guasto al suo camion di assistenza, ancora lontano da Calama a tarda notte. Marcos Patronelli imprendibile, ma è il cileno Sebastian Palma che vince la sua prima tappa nella gara dei Quad. Camelia Liparo-ti, tenacissima, sale in 14ma posizione.

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Brivido in testa alla Dakar. Cyril Despres ha avuto più di un problema nel corso della tappa, principalmente al cambio

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8Tappa 8 Vince Barreda (Husqvarna) in una giornata rocambolesca di Piero Batini | Caos prima, durante e alla fine. Le vittoria di Joan Barreda arriva al termine di una serie impressionante di colpi di scena

P assate le Ande e arrivederci al Cile, qualcosa è cambiato. A parte gli sce-nari agonistici, influenzati da piccoli e grandi colpi di scena (ma è niente

in confronto con quello che sta per succedere), l’Argentina subentra al Cile, e la Cordillera al de-serto di Atacama nella gallery stratosferica di scenari tra i più belli del pianeta. La temperatu-ra scende (per poco) e… piove. Fortissimo nel-la provincia di Salta, dove ha reso impraticabili piste solitamente asciutte e polverose. La tappa marathon, ovvero senza possibilità di intervento delle assistenze, assume una nuova fisionomia. Nella notte gli organizzatori hanno deciso di “ta-gliare” la prima parte della Speciale Salta-San Miguel de Tucuman, spostando la partenza a Punta de Balastro e riducendola drasticamente per moto e auto dagli iniziali 491 chilometri ad un veloce sprint di meno della metà, e di annullare quella dei camion che vanno dritti al bivacco della giornata di riposo. Raddoppiato il trasferimento iniziale, 300 chilometri, e mantenuto quello fina-le di oltre 200. Cyril Despres, fortunosamente al bivacco per i problemi al cambio della sua KTM, ha effettuato lo “swap” del suo motore con quel-lo del polacco Marek Dabrowski, Franco Picco ha deciso di ritirarsi per sorvegliare e gestire meglio l’assistenza del suo Team, che resta in gara con il tostissimo Fabio Mauri, e Jordi Viladoms è ri-uscito a raggiungere il bivacco a notte fonda e sotto la pioggia, a riparare e a rimanere in gara.

Autentico Iron Man e grande professionista! A fatica, i ranghi sono compattati. A San Miguel de Tucuman, dove si consumerà la fatidica e caoti-ca, brevissima giornata di riposo, i concorrenti potranno tirare un bel sospiro di sollievo.

Kurt Caselli parte in testa ma sbaglia subito stradaKurt Caselli, vincitore della settima tappa, parte per primo e apre la pista. Al primo esame di navi-gazione in solitario l’americano sbaglia dopo ap-pena 30 chilometri, si allontana dalla pista cor-retta e perde venti posizioni. Cose che capitano. L’errore fa parte del gioco, ed è un rischio cui si sottopongono i più veloci, Joan Barreda, Franci-sco Lopez, Olivier Pain e… Cyril Despres, che non si può permettere il lusso di rimandare e attacca continuando a forzare. Olivier Pain, veloce e “si-curo” davanti al plotone, resiste e concede po-chissimo del suo patrimonio di leader. I distacchi restano contenuti, e sembrano relegare quella che era in origine una tappa chiave al ruolo di un ininfluente passaggio interlocutorio. Ma questa è la storia della prima parte della Speciale. Poi ar-riva l’imprevisto, il colpo di scena. Intorno al KM 120 la “muta” in fuga sbaglia, e questa volta tocca anche ai “professori”. Fantastico! Un solo agget-tivo polivalente per indicare stupore, incredulità, ironia, irrealtà. In sostanza un disastro. Cambia quasi tutto, leader di ieri che si ritrovano alle spalle di outsider, classifiche stravolte, distacchi

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abissali. È come se la Dakar iniziasse oggi, con handicap casuali distribuiti a caso. La dinamica è “classica”. Cala la concentrazione per un attimo, uno davanti si infila in un corridoio e tutti dietro. Come deficienti. Quando poi il gregge si accorge che qualcosa che non va e fa dietro front, sono quelli più indietro che, avendo percorso meno strada, si trovano avvantaggiati, e ancor di più lo sono quelli partiti con maggiori ritardi al mattino. Ci vuole un ragioniere per stilare una classifica inimmaginabile solo 24 ore prima. Sfogliamo dai suoi confusi appunti.

una classifica inaspettataJoan Barreda, remi in barca fino a ieri, vince a mani basse con un vantaggio considerevole. Alle sue spalle Johnny Campbell e figure di secon-do piano come lo slovacco Jakes, il portoghese

Bianchi Prata, il francese Guindani, e sulla sua testa, come su quella di altri Piloti, il dubbio che abbia saltato un way point, al momento per for-tuna fugato. Il primo nome noto, un quarto d’o-ra dopo Barreda, è quello di David Casteu, che diventa interessantissimo nella proiezione della classifica generale. Il Pilota Yamaha, terzo al termine della settima tappa, balza al comando della Dakar, provviso-riamente davanti a Despres, che è partito oltre la ventesima posizione per attaccare e ha pescato un altro jolly partecipando solo in parte al “tour” degli sventurati apripista. Despres è a 9 minuti da Casteu, ma deve ancora pagare i 15 del cambio di motore e scendere in classifica, giusto e ancora dietro a Olivier Pain, “ultrasettantesimo” con ol-tre mezz’ora di ritardo che crolla dalla prima alla quarta posizione. La nuova, incredibile classifica

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che i Piloti allibiti si gireranno tra le mani per tutta la giornata di riposo è questa: primo David Ca-steu, secondo Ruben Faria, il portatore d’acqua di Despres, a 11 minuti, e terzo è Francisco “Cha-leco” Lopez, un altro minuto di ritardo. Alessan-dro Botturi lascia la top ten (ci auguriamo provvi-soriamente) e vi entrano Jakes, Svitko, Pizzolito, Przygonski. Credo proprio che su questa tappa così rocam-bolesca si dovrà tornare a ragionare. Roba da non credere, mi ricorda quando durante la Dakar del 1988, il giorno del mio compleanno, fecero sparire la Peugeot di Ari Vatanen al bivacco di Bamako. E a proposito di auto e di colpi di scena, analogamente non si può dire che la gara delle quattro ruote sia filata liscia come l’olio e senza spunti interessanti, alcuni dei quali al limite del colpo di scena.

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Poker d’assi a Dakar, parte 4 Joan Barreda di Piero Batini | Concludiamo la nostra serie di interviste ai protagonisti della prossima Dakar con Joan Barreda, che dopo rodrigues, lo sfortunato Coma e Despres ci parla dell’avventura imminente

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IIl nostro poker d’assi si conclude con Joan Bar-reda, che chiude il ciclo iniziato da Helder Rodri-gues e proseguito con Cyril Despres e lo sfortu-nato Marc Coma. Joan si racconta, analizzando sé stesso, la sua squadra e i suoi avversari.Joan, insomma: sentendo gli altri è arrivato il momento di far vedere quanto vali alla Da-kar. Avrai di fronte due piloti “storicamente” imbattibili, ed uno che è cresciuto e che arriva con una Casa... storicamente agguerrita. Sei pronto a vincere?«Sono pronto per vincere ma non parto per vin-cere. Mi spiego: abbiamo fatto un grande lavo-ro quest’anno, e siamo progrediti sino al punto di essere realmente competitivi. Penso sempre, però, che abbiamo ancora da lavorare, e che sia più realistico prepararsi per poterlo fare, vince-re. Quello di Husqvarna e mio non è un progetto che si esaurisce quest’anno, e non ci siamo posti l’obiettivo di vincere quest’anno. Di migliorare costantemente, questo sì, ce lo siamo imposti categoricamente, e ci siamo riusciti. In questo ambito devo pensare a fare bene il mio lavoro. Tutti i giorni, prima e durante la Dakar, e senza fare errori. Vediamo alla fine come sarà andata. I tre Piloti di cui parliamo sono fortissimi. Meglio dunque stare tranquilli e continuare a lavorare con il criterio giusto. Sono sicuro che è un meto-do che darà i suoi frutti, questo sì, e i frutti maturi sono la vittoria.»

un poco arrendevole?«Niente affatto. Cerco solo di essere freddo e analitico in questi cinquanta giorni che mi

separano dalla Gara. Sono migliorato molto in quest’ultimo anno: nella velocità e soprattutto nella navigazione. Ho potuto iniziare a far suben-trare l’esperienza, della quale non bisogna mai accontentarsi, all’inesperienza delle mie prime stagioni. E ho vinto in Egitto. Dico solo che devo stare tranquillo ed evitare di “marcare” in antici-po un obiettivo che, una volta salito in sella, di-venta invariabilmente quello.»

Quali sono le caratteristiche dei tre Campioni dei giorni nostri, quelle almeno che reputi sa-lienti?«Penso che Marc sia il più forte, quando gli va tutto bene è molto difficile batterlo. Naviga molto bene e va molto forte. Dopo c’è Cyril, che è in-credibile. Forse non è veloce come Marc, ma non sbaglia mai ed è incredibile come riesca a trovar-si sempre al posto giusto nel momento giusto, ovvero davanti quando la gara finisce. Cyril in questo senso è un maestro in queste gare così lunghe ed incerte. Anche questa qualità, come la potenza di Marc, è da ammirare in un rally duro e difficile come la Dakar. Infine Rodrigues... penso che per Helder sia arrivato il momento in cui potrà fare quel pic-colo salto che gli mancava fino ad ora. Adesso che è ufficiale anche lui può stare più tranquillo e pensare solo alla sua preparazione ed a quella della Dakar. Prima era un po’ un casino, troppe cose da fare, e tutte sulle sue spalle...»

e della Dakar prossima ventura che pensi?«Penso che sarà una Dakar… piccante!»

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Tobias Moretti (il Commissario rex) “la mia passione per la moto, dalle gare in salita alla Dakar” di Andrea Perfetti | Il Commissario Rex sarà al via dell’Africa Race, da Parigi a Dakar, insieme al fratello Gregor in sella alle KTM Rally. L’attore austriaco ci racconta la sua grande passione per la moto: dalle gare in salita e gite in Vespa sino alle corse con la moto da enduro

I l Commissario rex corre in moto da Parigi a DakarNegli anni ’90 aveva preso il posto dell’i-spettore Derrick nell’auditel di mezza

Europa. Stiamo parlando della fortunatissima serie TV “Il Commissario Rex”, con Tobias Mo-retti in qualità di protagonista dal 1993 al 1997. Sono passati alcuni lustri, ma il telefilm tede-sco è ancora amatissimo da ragazzi di oggi (è in programmazione su Rai Due). A Salisburgo abbiamo incontrato l’attore austriaco (di mam-ma italiana, ecco spiegato il cognome nostrano), che da queste parti è una sorta di Montalbano in salsa tedesca. Il Commissario Rex sarà infatti al via dell’Africa Race, insieme al fratello Gregor Bloeb, in sella alle KTM Rally 450. Sarà seguito da sua maestà Heinz Kinigadner e dal suo staff dalla partenza, a Parigi, sino alle sponde del Lago Rosa a Dakar. Tobias ha già una buona dimesti-chezza con le moto (nel passato ha praticato motocross ed enduro) e negli ultimi mesi si è allenato duramente con gli assi Marc Coma e Cyril Despres in Marocco e in Tunisia, dove ha imparato a navigare con il roadbook. A Moto.it Moretti racconta gli esordi in moto, in sella a una piccola Italjet, e le prime (traumatiche...) espe-rienze in sella alla moto da cross in compagnia

del fratello. Da ragazzo ha preso parte alle gare in salita (molto popolari in Tirolo) e ha posseduto la Vespa, usata negli spostamenti quotidiani. Su-perata la soglia dei trent’anni, con la carriera da attore e regista consolidata e una bella famiglia alle spalle (Tobias ha tre figli), il Commissario Rex è tornato al primo amore. Alla moto da fuoristrada! Pratica infatti da diver-so tempo enduro e ha preso parte anche alla be-stiale gara di enduro estremo Erzbergrodeo, che si disputa ogni anno in Austria. Certo, la mam-ma non approva molto i passatempi dei figli, ma tant’è: il nostro amato poliziotto è pronto per raggiungere Dakar, partendo da Parigi, in sella al suo K 450 da Rally.

una sfida con se stessoTobias Moretti affronterà il Rally nel Continente Nero per conoscere nuovi posti, mettersi alla prova e vivere una nuova, forte esperienza. Ma siamo sicuri che darà fondo al gas della sua KTM per ben figurare nella classifica finale. Kinigadner ci ha infatti confidato che il commissario Rex, nei test in Tunisia, non si è certo risparmiato, supe-rando i 160 km/h sulla sabbia in più occasioni, in una sfida continua con il fratello Gregor. Proprio come ai tempi del primo Italjet.

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