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Comune di Monte Castello di Vibio Società del Teatro della Concordia IMAGE: progetti e Idee per Monte Castello Provincia di Perugia 4 Quaderni del volontariato 2014 CESVOL EDITORE Simone Mazzi Monte Castello di Vibio si racconta ... a fumetti

Monte Castello di Vibio

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Monte Castello di Vibio raccontata a fumetti

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Comune di Monte Castello di Vibio

Società del Teatro della Concordia

IMAGE: progetti e Idee per Monte Castello

Provincia di Perugia

4Quaderni del volontariato

2014

CESVOL EDITORE

Simone Mazzi

Monte Castello di Vibio si racconta ... a fumetti

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Quaderni del volontariato

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Edizione 2014

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CesvolCentro Servizi Volontariatodella Provincia di Perugia

Via Campo di Marte n. 9 - IV piano06124 Perugia

tel 075 5271976fax 075 5287998

[email protected]

Edizione Maggio 2014 Coordinamento editoriale di Stefania Iacono

Stampa Digital Editor - Umbertide

tutti i diritti sono riservatiogni produzione, anche parziale, è vietata

ISBN: 9788896649275

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I Quaderni del Volontariato,un viaggio nel mondo del sociale

Il CESVOL, Centro Servizi Volontariato per la Provincia di Perugia, nell’ambito delle proprie attività istituzionali, ha de-finito un piano specifico nell’area della pubblicistica del vo-lontariato.

L’ obiettivo è quello di fornire proposte ed idee coerenti ri-spetto ai temi di interesse e di competenza del settore, di valo-rizzare il patrimonio di esperienze e di contenuti già esistenti nell’ambito del volontariato ed inoltre di favorire e promuo-vere la circolazione e diffusione di argomenti e questioni che possono ritenersi coerenti rispetto a quelli presenti al centro della riflessione regionale o nazionale sulle tematiche sociali.

La collana Quaderni del Volontariato presenta una serie di produzioni pubblicistiche dedicate alle tematiche sociali, ma anche ai contenuti ed alle azioni portate avanti dall’asso-ciazionismo e del volontariato.

I Quaderni del Volontariato, inoltre, rappresentano un utile supporto per chiunque volesse approfondire i temi ine-renti il sociale.

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E’ con grande gioia che scrivo questo breve commento, ac-cogliendo con soddisfazione la riedizione della guida “Monte Castello di Vibio a fumetti“, frutto dell’incessante impegno e dell’inesauribile fantasia e creatività di Simone.

Questo piccolo volumetto estremamente maneggevole offre un’interpretazione della storia del nostro paese accessibile e fruibile a tutti, sintetizzando e riportando tutti gli elementi di interesse culturale, artistico, religioso e architettonico e in-troducendo per la prima volta un particolarissimo dizionario minimo di dialetto.

Una “chicca“ che ogni montecastellese dovrebbe avere a casa e che ci impegneremo a valorizzare non solo mettendola a di-sposizione di turisti e visitatori, ma anche e soprattutto facen-dola conoscere ed apprezzare alle nuove generazioni per far si che i bambini e i ragazzi di oggi diventino domani adulti con-sapevoli del patrimonio storico del nostro favoloso territorio.

Daniela BrugnossiSindaco del Comune

di Monte Castello di Vibio

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La vita e la storia passano sulle città umbre con ritmi che non possono sfuggirci di mano. Le vicende dei secoli più lontani e ciò che è accaduto appena ieri, pur nelle differenze incolmabili che si portano addosso, appartengono a un unico, grande ciclo di partecipazione vitale a certi ritmi il cui svolgimento è nelle nostre mani, per intero, come lo era per chi ci ha preceduto, tan-te generazioni fa. Poggia, sicuramente, su questa consapevolezza basilare il lavoro che Simone Mazzi, non da oggi, dedica e consacra al “suo” paese, Monte Castello di Vibio. La riedizione di questa storia a fumetti, quasi dieci anni dopo la sua prima pubblicazione, dà modo di fare riflessioni ad ampio raggio sul rapporto che viviamo, anche quotidianamente, con i nostri paesi e con le nostre città. Se ognuno di noi potesse ripercorrere la storia dell’ambiente in cui è nato e si è formato partendo da qualche documento inop-pugnabile e da tanta fantasia, creerebbe il lavoro che ci offre Si-mone Mazzi. Egli è stato capace, infatti, di saper fare molte cose che tecnicamente sono ineccepibili e hanno un loro valore: ricer-care, disegnare, impaginare, editare. Ma, oltre a ciò, egli è stato capace di seguire fino in fondo l’im-pulso della sua fantasia, il disegno mentale della sua emozione, il gusto del tutto soggettivo di scegliere delle parole da far inte-ragire con delle immagini disegnate. Egli è stato capace di amare fino in fondo il suo paese-città e di sottoporre questo amore alla prova del tempo. Il fatto che egli, quasi un decennio dopo, sco-pra che quell’amore non ha perso nulla del suo fascino e della sua vitalità, vuol dire che le grandi passioni ancora esistono. E che noi, se ancora non lo abbiamo fatto, possiamo goderci la piccola, grande storia illustrata in questo libro.

Donatella Porzi Marco Vinicio Guasticchi Assessore alla Cultura Presidente Provincia di PerugiaProvincia di Perugia

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Dopo la fortunata ed apprezzata prima edizione del 2002 vie-ne riproposta a gran richiesta dei lettori la guida “Monte Ca-stello di Vibio a fumetti” frutto dell’originale fantasia artistica di Simone Mazzi.

L’opera, dal contenuto storico e divulgativo, si adatta sorpren-dentemente sia al pubblico giovanissimo che al pubblico più maturo che viene incuriosito e stimolato alla lettura da un di-verso modo di presentare un antico borgo medioevale con le sue caratteristiche piazze, vicoli, mura e torri di guardia che, per un momento, sembrano riascoltare le voci, i suoni e le vicende di un passato ormai remoto ma mai completamente dimenticato.

La semplicità del linguaggio volutamente adoperato e la raffi-natezza dei fumetti e dei disegni si coniugano poi con il rigore e la precisione dei riferimenti e delle notizie riportate.

Grazie a “Monte Castello di Vibio a fumetti” il nostro paese si arricchisce di un altro valido strumento per far conoscere, veicolare e far apprezzare le proprie peculiarità culturali, ar-chitettoniche, storiche ed ambientali che ne fanno ormai uno dei migliori esempi dell’Umbria e dell’Italia cosiddetta “mi-nore”.

Roberto CerquagliaSindaco del Comune di Monte Castello di Vibiodal 2004 al 2014

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Il fumetto è quella lettura a noi cara sin da quando eravamo bambini e qualsiasi stampa ci capita tra le mani ci viene vo-glia di sfogliarla volentieri. E trovarsi adesso questo libro che narra le vicende storiche salienti della nostra cittadina, non è scontato!

Non era scontato che potessimo contare per Monte Castello di Vibio una storia a fumetti. Non ci avevamo mai pensato, né come operazione promozionale, né come narrazione di vicis-situdini. Simone però ha trovato la voglia e lo stimolo di farlo, lui che ha talento non poteva far mancare al suo paese questo libro.

Lui che ha già consolidato l’esperienza in questo genere, per aver scritto e pubblicato “La storia di Marsciano a fumetti”, pubblica ora questa seconda ristampa di “La storia di Monte Castello di Vibio a fumetti”, dopo che la prima edizione è an-data a ruba e dopo che da molti ci veniva richiesta a gran voce.

In questo paese tranquillo, che timidamente ostenta le bel-lezze del suo patrimonio storico, artistico e architettonico, le quali si sposano con le bellezze naturalistiche di questa terra umbra, dove la gente ha profonde radici e valori insostituibili che sono alla base del buon vivere, Simone Mazzi sa testimo-niare l’attaccamento inscindibile alle sue radici con questo e quanto altro ha già scritto di Monte Castello. Il tuo”Monte Ca-stello di Vibio a fumetti” non lo avremmo mai pensato ed è un dono così meraviglioso quando sorprendente!

Edoardo Brenci Presidente della Società del Teatro della Concordia

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ORA NESSUNO OSERA’ PIU’ SFIDARCI !

Nel 1290 infatti, troviamo Monte Castello iscritto nel

“LIBER FOCULARUM” cioè nel catasto delle famiglie tuderti,

con una popolazione di 1.000 abitanti.

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EH EH, SE CONTINUIAMO COSI’ FINIREMO PRIMA

DEL PREVISTO !

ATTENTI LI SOTTO !

NEL 1323 LA ROCCA VENNE RICO-STRUITA E REGISTRATA COME FA-

CENTE PARTE DEL SISTEMA DIFEN-SIVO TUDERTE COMANDATO DA UN CASTELLANO DA LORO NOMINATO.

Annunci di questo genere venivano affissi in ogni paese e in molti aderivano all’invito. Nei pensieri dei cavalieri c’erano solo parole come coraggio, conquista, danaro e battaglia.

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DIFENDIAMOCI O FINIREMO NELLE MANI DEL TERRIBILE

PICCININO ! Anche se gli Atti dimostrarono più volte l’obbedienza al Papa, la rocca fu dapprima rivendicata al diretto dominio della chiesa ed in seguito a Bartolomeo Jacopo della Rovere.

BARTOLOMEO, TENGO TANTO A QUESTO PAESE E NON

VOGLIO RISCHIARE DI PERDERLO !

ABBIATE FIDUCIA IN ME E NON VE NE PENTIRETE!

TODI DEVE DOMINARE

FINCHE’ PUO.

Dieci anni dopo, il 27 novembre

1475 tornò sotto Todi che però tiranneggiava

con pesanti tasse e dazi e lo spirito di indipendenza dei castellani fu

tale da sfociare in incendi, omicidi e

saccheggi.

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Per gli amanti della storia e della geografia, il territorio di Monte Castello comprendeva: Fratta, Montione. Riparvella, Collelungo, Rotecastello, Capretta, San Faustino, Prodo, Castel della Ripa, Palazzo Bovarino, Corbara, Titignano, Case di Mascio, Torre di Luca, Quadro, Cordigliano, Doglio, Cecanibbi, Pian di San Martino, Montegiove, Cantone, Pornello e San Venanzo.

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C. M. CERIONI GIOVANNI LORENZINI ATTILLIO MACCIONI DOMENICO ACCIONI DOMENICO ACACI UMBERTOMAGRINI DOMENICO ARICHETTI GIULIO MARINELLI LUCIO ASPRINI COSTANZO MAZZOCCHINI ALCIDEBRUGNOSSI GETTULIO MONELLA GIAMBATTISTA CAPOCIUCHI AGOSTINOCAPOCIUCHI ANGELO MORA ERNESTO MORELLI ULDERICOMORETTI SABATINO CAPPELLETTI VALENTINO MORICONI MODESTOCARDACCIA INNOCENZO MORTARO ANTONIO CATERINI GIOVANNIPEZZANERA FIORINO CAVALLETTI ANTONIO RANIERI FLORIDOCECCHINI DOMENICO RICCI DOMENICO CHICCHIERO COLOMBO CHICCHIERO RICCARDO RICCI GINO SABATINI ALCESTEROSSINI LUIGI CICIONI GIUSEPPE FABRIZI ELETTOCOMODINI EMILIO SERPERICCI CESARE SILVI ATTILIOSERPERICCI NELLO FECCIO ALESSANDRO TASCINI GIOVANNISILVI AGOSTINO GALLETTI CARLO LIPPARONI ERNESTO FRANA RODOLFO SILVI ATTILIO ZAFFERAMI AUGUSTOTENTELLINI UMBERTO VENTO DOMENICO

Il 16 giugno del 1944, dieci giorni dopo Roma, gli americani irruppero nel nostro paese liberandolo dall’ennesimo pericolo!

Ecco i nomi di alcuni dei caduti

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Le dolci colline umbre che Monte Castello sovrasta, offrono ancora i sani e genuini frutti della terra, coltivati con rispetto per l’ambiente e l’antica tradizione, che si tramanda di padre in figlio. Costituiscono l’eccellenza l’olio, il vino, il formaggio, i cereali e gli ortaggi locali, che forniscono la materia prima per i tanti agriturismi dislocati su tutto il territorio. Anche durante le feste paesane, tali prodotti vengono particolarmente apprezzate dai numerosi partecipanti, che affollano le serate estive montecastellesi. Nonostan-te il notevole sviluppo turistico, dovuto al restauro del Teatro della Concordia, il paese non ha abbandonato la tradizione della civiltà contadina.Anzi, proprio grazie a questa scelta, sono sempre più numerosi coloro che desi-derano passare più tempo in questo luogo ed assaporare non solo i prodotti ma l’ospitalità di questa gente.Il Teatro della Concordia, promuovendo il territorio, propone ai gruppi che scel-gono di visitare il teatro ed il borgo, una merenda a base di prodotti tipici locali, gustati magari sulla piazza centrale, da dove si può ammirare un panorama di straordinaria bellezza.

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Il paese del senso civico Non appena ci si addentra per le vie del paese, appare subito evidente che Monte Castello è un paese vivo, dove trovano spazio tanti servizi per ogni esigenza, an-che per i “palati più fini”. Cosa c’è di meglio che avere tutto a portata di mano e a misura d’uomo? A ciò si deve aggiungere il fatto che Monte Catello si trova, pur rimanendo al di fuori delle più trafficate vie di comunicazione, in una posizione ideale per visitare l’Umbria, poiché Perugia, Assisi, Todi ed Orvieto distano una manciata di chilo-metri dal borgo. Le piazze, da sempre, sono luoghi di incontro tra persone che si ritrovano per il piacere di stare insieme e di scambiarsi esperienze. Da non sottovalutare è l’aspetto spirituale, che trova la sua massima espressione nella chiesa parrocchiale e in quella di Santa Illuminata. Così, il visitatore che sce-glie di venire a Monte Castello trova cultura, natura spiritualità e antichi sapori. Il senso civico dei suoi abitanti, lo si evince da come viene tenuto pulito il paese – questa è la prima sensazione che si prova – grazie anche ai cestini dipinti a mano che con simpatiche frasi invitano tutti a fare più del proprio dovere. Segno di civil-tà è senz’altro la presenza di luoghi culturali come il teatro, la biblioteca e l’archivio storico che si intrecciano in un percorso ideale che apre le porte ad una maggiore conoscenza del paese e della sua gente. Nel 1516 questo paese si diede uno statuto, ma l’archivio conserva documenti del 1496 e un imponente raccolta di atti notarili che vanno dal 1504 al 1820. Ma i segni della civiltà non si fermano solo alle carte. Di notevole spessore è infatti la vita associativa basata sul volontariato, che garantisce non solo la gestione e conservazione del Teatro della Concordia, ma anche la produzione di attività cul-turali, ricreative e sportive, che tendono a valorizzare le tradizioni e le peculiarità di questo paese. Per questi motivi, sono molti coloro che una volta visitato Monte Castello, desi-derano stabilirvi qui una dimora, per ritemprarsi dalla vita frenetica quotidiana e tuffarsi in un paese anti-stress e ricco di civiltà.Nel centro storico risiedono i veri e propri gioielli conservati grazie anche a una ristrutturazione urbanistica che ha coinvolto edifici pubblici e privati, per dare a questo paese il giusto valore anche dal punto di vista architettonico. Tra le rarità il Teatro della Concordia “il più piccolo del mondo”, costruito nel 1809, la Chiesa di Santa Illuminata detta anche del Crocefisso poiché all’interno si custodisce la statua lignea la cui testa (del 1400) fu donata da Beato Placido da Monte Castello, la torre campanaria con il Monumento ai caduti, Piazza Vittorio Emanuele II° con la sua terrazza dove si può ammirare l’ampio panorama a sud dell’Umbria fino a scorgere i monti del Lazio e dell’Abruzzo. Sulla stessa piazza domina la Chiesa parrocchiale dei Santi Filippo e Giacomo del XVIII secolo, all’interno della quale si venera l’immagine della Madonna dei Por-tenti con San Carlo Borromeo e un pozzo cisterna del XVI secolo e la Torre di Porta di Maggio che testimonia le antiche vestigia di questo paese. Di particolare interes-se sono i vicoli e gli scorci caratteristici.

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L’avvento di Napoleone in Italia, portò con sé uno spirito di rinnovamento, che non lasciò insensibili i cuori montecastellesi. Gli ideali di libertà, eguaglianza e fraternità e l’enorme potere amministrativo del paese, suscitò nelle famiglie più notabili del posto il desiderio di suggellare il periodo più fiorente del paese co-struendosi un teatro: “… piccolo, a misura di paese”. Un salotto dove trascorrere le serate tra un ballo ed uno scherzo, tra una poesia ed un concerto. Negli articoli della cronaca locale pubblicati tra il 1890 e 1l 1896 nel giornale “La Sveglia”, si legge come il teatro costiruiva un punto di riferimento per la vita del paese. L’utilizzo della platea come sala da ballo ad esempio, non era una novità e si rac-contano numerose storie ed aneddoti curiosi, legati ai primi baci rubati a lume di candela, dello scambio delle dame e dell’ordine con cui queste venivano prenotate. Prima venivano invitate al ballo le donne più giovani, non ancora sposate, che prendevano posto nel primo ordine dei palchi, poi quelle sposate.Nel dopoguerra, il teatro veniva utilizzato anche come cinema, con la bobina del film proiettato il giorno precedente a Todi e l’ultima proiezione fu l’indimentica-bile: “Roma città aperta”.Il Teatro della Concordia è frutto del genio di progettisti e costruttori, che purtrop-po né le carte, né la tradizione orale, hanno sino ad ora tramandato, ma se ne può senz’altro apprezzare il risultato: un piccolo salotto, la “bomboniera della cultura”, “il teatro più piccolo del mondo!”.La struttura, inaugurata nel 1809, è stata ricavata sullo stesso luogo dove esisteva una palazzina a tre piani circondata da una piazza, dai vicoli e dagli edifici circo-stanti, che oggi costituiscono lo scrigno che nasconde il “bel gioiello napoleonico”. Lo spazio angusto, solo 200 metri quadri, non ha comunque impedito ai progetti-sti, di distribuire gli spazi in modo equilibrato. All’interno infatti, trovano posto due ordini di palchi ed un Foyeur, mentre all’ingresso sottostante è stata ricavata una sala espositiva. L’esistenza di questo teatro, metteva Monte Castello di Vibio al centro dell’attenzione della vita mondana dei paesi vicini, ed oggi il paese è ap-prezzato e conosciuto in tutto il mondo proprio grazie alla promozione attraverso i mezzi di comunicazione, ma soprattutto ai numerosissimi visitatori, che accolti con passione ed amore per il proprio paese dal gruppo di volontari che lo gestisce, invitano amici e conoscenti a fare la stessa esperienza. La Stagione Teatrale offre un cartellone piuttosto vario, che va dalla prosa alla musica e gli artisti che scelgono di esibirsi sul palcoscenico del “più piccolo tea-tro del mondo” rimangono colpiti dall’acustica, dal calore e dall’aria che si respira all’interno di questa piccola conchiglia, concepita con il pubblico, praticamente a ridosso dell’artista. Dopo le esibizioni di due indiscusse dive come Antonietta Stel-la e Gina Lollobrigida nel dopoguerra, grande successo hanno riscosso il tenore Gianluca Terranova e l’attore Virginio Gazzolo. Entrambi sono molto legati a que-sto luogo e non perdono occasione per trasmettere questo affetto ai propri amici.Ma la struttura è particolarmente indicata come luogo ideale per matrimoni, con-vegni e meeting. Grazie anche alla promozione su internet e la presenza nei più importanti social network, sono sempre più coloro che desiderano celebrare un momento importante della loro vita.

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L’internoLa struttura, costituita interamente da legno quercino e roverella, consta due or-dini di palchi, che in origine erano di proprietà delle famiglie. La suddivisione era in “Carati”, per questo i proprietari erano chiamati “Caratanti”. I proprietari si scambiavano i palchetti a rotazione, per poter usufruire della visio-ne dello spettacolo anche da quelle centrali, e di tanto in tanto invitavano a salire persone comuni che gli avevano fatto un favore.Il 6 gennaio 1929 Renato Ippoliti, a cui toccava il palchetto centrale, lo cedette al piccolo Nello Latini, che per la prima voltà potè così vedere uno spettacolo. Quella sera viene scattata l’unica foto conservata all’ingresso del teatro che raccoglie 270 persone assiepate tra palchetti e platea.In platea trovano posto 37 poltroncine, che aggiunte ai 62 posti dislocati nei pal-chetti, fanno un totale di 99 posti.Ma non è per questo che il teatro è conosciuto come “il più piccolo del mondo”. Esso infatti racchiude in se tutte le caratteristiche dei grandi teatri ottocenteschi, che lo rendono inconfrontabile con altre strutture più piccole. Oltre al palcosceni-co il teatro dispone anche di due camerini, di una sala riunioni, di un Foyeur, dei servizi e di una sala ingresso. È praticamente impossibile trovare questi elementi in una struttura più piccola, anche perché “la cultura non si misura a metraggio!” come si legge in un articolo del 1892 apparso sul giornale: “L’Unione Liberale”.La pianta ha la tipica forma a campana che ricorda i grandi teatri ottocenteschi e la sua costruzione può certamente definirsi un miracolo di perfezione e pro-porzione. La distribuzione omogenea dello spazio, suddiviso in due file da nove palchi, più i quattro di proscenio, e l’ampio palcoscenico, permettono al visitatore di sentirsi perfettamente a suo agio, qualunque sia la sua dimensione.

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Cesare AgrettiDi particolare interesse sono gli affreschi del teatro realizzati in epoche diverse. Nella prima metà dell’800 fu il pittore perugino Cesare Agretti, amico delle fa-miglie proprietarie, ad eseguire le decorazioni dei palchetti sui quali mise i nomi degli scrittori e commediografi del tempo come Goldoni, Del Testa, Giocosa, Ma-renco, Cicconi ecc.. e dipinse le colonne lignee in finto marmo venato. Nella decorazione che si trova nel palchetto centrale sono raffigurate due mani che si stringono in segno di Concordia. Durante il ventennio fascista, la pittura fu ricoperta applicando il simbolo del co-mune: una torre merlata che sovrasta un fossato, contornata da fronde di quercia e alloro. La sua maturità ed austerità, si riscontra nel colore e nella scelta dei sogget-ti, come le maschere nel secondo ordine dei palchi.Dello stesso autore è anche il fondale dipinto nel quale si vede Monte Castello sullo sfondo ed un bosco di querce in primo piano. La visione è probabilmente presa da uno dei tanti boschi che si trovano nella vicina frazione di Doglio. Nel 2003 il fon-dale è stato restaurato e dotato di un sistema di avvolgimento, che permette il suo nascondimento in caso della presenza di scenari forniti dalle compagnie teatrali.

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Gli affreschi: Luigi AgrettiLuigi AgrettiNel 1892 fu il figlio Luigi Agretti a decorare il plafone, i quattro palchetti di prosce-nio, le due lunette laterali ed il Foyeur dove i signori si riunivano in attesa dell’ini-zio dello spettacolo. In occasione di un bando fatto dai proprietari che invitavano i pittori a completare l’opera di Cesare Agretti, proprio questi mandò suo figlio Luigi, che aveva solo 14 anni quando in due mesi realizzò tutti questi lavori.Nel sito internet: www.teatropiccolo.it, molte pagine sono dedicate alla sua opera ed al suo amore per questo paese. Luigi Agretti era esperto nella decorazione flo-reale e la sua abilità la si può ammirare non solo nei palchetti, ma soprattutto nel Foyeur.

L’orologio: dipinto sopra il palcoscenico alle 8,30 indica l’inizio degli spettacoli o delle danze dato che in origine non essendoci poltrone fisse la platea veniva utiliz-zata come pista da ballo dove gli uomini prenotavano le donne poste nei palchetti.

Il plafone: realizzato con la tecnica pittorica del “tromp’loeil” cioè dell’illusione, il giovanissimo pittore dipinge le figlie delle ore alternate all’allegoria della concordia riconoscibili con il volto di donna ed il corpo di un uccello, che danzano attorno ad un rosone centrale dove tre putti sorreggono lo stemma del paese. Il tutto è legato all’orologio dipinto che campeggia sopra al palcoscenico.

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Il Foyeur è concepito come una grande veranda con tendaggi mossi dal vento dell’innovazione artistica europea, soprattutto quella francese a cui il giovane Agretti sembrava traesse ispirazione. La tipica decorazione utilizzata anche per il soffitto, dove sono raffigurati gli stem-mi delle città di allora, tra cui La Spezia, sua città natale, induce lo spettatore a sporgersi per guardare oltre il drappo. Questo tipo di tecnica pittorica da l’illusione di trovarsi in un ampio spazio e non in una piccola sala arredata da un caminetto, utilizzato per riscaldare signori e vivande.

La dedica a Monte Castello: il giovanissimo pittore, si innamorò di questo paese e della sua gente, tanto da considerarla “una seconda patria” come si legge nella dedica sottostante. Il padre infatti, trasferitosi a La Spezia, proprio da qui mandò il figlio a rendere ancora più affascinate il teatro. La dedica è anche lo stratagemma di questo pittore, per poter firmare i suoi dipinti. In occasione del restauro del teatro, i figli ed i nipoti di Luigi Agretti, sono venuti ad ammirare le sue opere

Sguardi curiosi sul FoyeurTra i tendaggi dipinti dal quattordicenne, si scorge un gattino nero che osserva e da il benvenuto ai visitatori. La leggenda racconta che questo gattino gli facesse compagnia, immaginiamo facendogli qualche scherzetto, così per poterlo fare star fermo lo immortalò per sempre sulla parete con i suoi pennelli. Solo con la fan-tasia di un bambino si può notare nelle vicinanze un topo “camuffato da radice” che cerca di sfuggire al suo sguardo ma… il gattino è interessato solo ai visitatori!

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L’ultimo spettacoloDi come veniva utilizzato il teatro fino ai primi del ‘900, si hanno poche notizie, ma non è difficile pensare che molto intensa doveva essere l’attività teatrale. Alcuni documenti esposti nel Foyeur, indicano che nel 1823, lo scrittore Cesari scrisse tre commedie appositamente per questo teatro. “Ciò piace alle donne” è stata rappre-sentata dalla filodrammatica locale riscuotendo un notevole successo.Nel 1911 fu installato l’impianto di illuminazione, prima costituito da lampade a petrolio o candele, e solo in seguito dal Cinema di Deruta, si aggiunsero due file di poltroncine mobili, per i più fortunati, mentre solo nei primi anni venti, il teatro poté dotarsi di due file di poltroncine di sei posti ciascuna, che si mettevano a ridosso delle colonne in occasione del ballo.Dopo la chiusura del teatro le due file di poltroncine vennero sistemate sotto l’arco di Piazza Garibaldi dove i personaggi più importanti del paese, si sedevano per gustarsi il fresco e l’ombra, nelle calde giornate estive.Dal 1912 si tennero a teatro oltre alla commedia in tre atti “Le mosche bianche” nu-merose farse e rappresentazioni di grande successo come “La nemica”, “Scampolo”, “Addio Giovinezza”, “Sette articoli di un testamento bizzarro”, “Il giro del mondo in 24 ore”, “Tontolini e Somarelli”, la storia di un ciabattino e di un suo cliente che registrò un numero impressionante di repliche, ma fu nel 1942 che il teatro ospitò il grande soprano Antonietta Stella, una delle più grandi interpreti del repertorio verdiano. Nel 1945 fu la giovanissima Gina Lollobrigida ad interpretare Corina nella comme-dia di Scarpetta “Santarellina”. Ma gran parte della produzione artistica di quegli anni, si deve alla vena di Renato Ippoliti, unico dei caratanti ad opporsi al comune per edificare un teatro più grande, che sapeva tirare fuori il meglio soprattutto dai più giovani che lanciava sul palcoscenico. L’8 aprile 1951 va in scena “La Passione di Nostro Signore” che coinvolge circa 40 attori locali più o meno esordienti, e dopo mesi di prove, il meritato successo fu raggiunto, tanto che ne parlò anche la cronaca regionale. Da quel momento si chiusero i battenti, per riaprirsi 40 anni dopo, anche se si registrarono altre attivià negli anni appena successivi.Di queste memorie, dobbiamo ringraziare Nello Latini, che pur non essendo uno dei proprietari del teatro, si è sempre impegnato per mantenere vive le tradizioni, trasmettendo a tutti un profondo amore per il paese. In eredità ha lasciato tutta la sua raccolta di foto e documenti legati al paese, che trovano posto nella sala espo-sitiva del teatro a lui dedicata. La Società del Teatro della Concordia, costituitasi il 4 luglio 1993, a seguito di un gruppo di lavoro promosso dal comune che intendeva trovare una soluzione, al difficile problema della gestione del bene, si propone di realizzare la tutela, promo-zione e valorizzazione del patrimonio storico ed artistico costituito dal teatro e la promozione del suo territorio. L’impegno dell’associazione e del gruppo di volontari che lo costituisce e che ac-colgono i visitatori hanno creato all’interno del teatro un percorso ideale che dalla Sala Espositiva Nello Latini, di recente costituzione, porta ai pannelli che descri-vono i lavori di restauro, all’emissione del francobollo alle figure legate al teatro e ai nomi delle nove famiglie che hanno costruito il teatro.

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Il restauro e l’InaugurazIone

Quarant’anni di abbandono, hanno messo a dura prova la struttura, che ha saputo comunque resistere al crollo della platea e di una parte del tetto nel 1974 a causa della vacanza di fondamenta costituite solo da terreno di riporto. In quella circostanza i montecastellesi offrirono danaro, materiali e lavoro per riparare almeno il tetto, scongiurando così l’infiltrazione dell’acqua che avrebbe provocato danni irreparabili sul legno dei palchetti e delle colonne.Intanto parallelamente, proseguiva un lungo lavoro che portò al ritrovamento di documenti storici come l’antico statuto della Società del Teatro della Concordia che permise di risalire agli eredi legittimi proprietari del teatro. L’Amministrazione Comunale ne diviene proprietario nei primi anni ’80 e grazie ad una intensa campagna di sensibilizzazione attraverso i media, la Regione dell’Umbria, nell’intento di voler restaurare i suoi 18 teatri, inserisce anche questo nel progetto, ed attingendo ai fondi europei raggiunge il suo scopo.I lavori, iniziati nel 1987, furono affidati agli architetti ternani Mario Struzzi e Paolo Leonelli, che grazie alla loro volontà di voler recuperare la struttura, mantenendone intatta la storia, hanno restituito al pubblico la freschezza dei dipinti, la genuinità del legno, l’acustica di una volta; tutto questo nel rispetto delle norme sulla sicurezza difficili da applicare in un teatro che ha 200 anni. Innanzitutto si è pensato al consolidamento e al rafforzamento della struttura portante ponendo alla base otto colonne di cemento armato di scarico al posto del terreno di riporto, quindi al restauro delle colonne e dei palchetti, poi alla costruzione dei servizi, alla dotazione di impianto di illuminazione e riscaldamento ed al restauro degli affreschi.Il 21 settembre 1993, alle ore 21,00 il teatro torna a respirare con il concerto dell’Orchestra di Tirana, che per la prima volta si esibisce in Italia. Grazie all’Accademia Musicale Umbra il teatro ha potuto riassaporare le prime note e negli occhi di coloro che lo hanno vissuto e respirato, pianto e riapprezzato in tutta la sua bellezza, saranno certamente tornati in mente quei momenti in cui il teatro costituiva il centro della vita del paese.Nel pomeriggio, il concerto inaugurale della Banda Musicale “Gli Amici della Musica Don Oscar Marri” di Monte Castello di Vibio, aveva rotto il silenzio durato per quaranta anni, durante i quali la comunità montecastellese, grazie soprattutto alla tenacia e alla passione di Nello Latini, non ha mai dimenticato questo teatro, restituito ora a quel ruolo di attrazione e polo culturale che ha portato Monte Castello di Vibio ad essere conosciuto in tutto il mondo.L’8 Dicembre 1994 è stata inaugurata la prima Stagione Teatrale del Teatro della Concordia, grazie alla presenza sul territorio di tre importanti realtà: la “Filodrammatica Montecastellese”, la “Schola Cantorum Don Francesco Dominici” e “Gli Amici della Musica Don Oscar Marri”. Da allora, grazie alla convenzione con le strutture alberghiere e agrituristiche della zona, è offerto a tutti coloro che desiderano passare una serata indimenticabile un pacchetto weekend che comprende cena tipica, pernottamento, prima colazione e biglietto a teatro. Sono sempre più numerosi coloro che scelgono questa offerta, in grado di valorizzare le peculiarità del nostro territorio nel rispetto della tradizione degli antichi sapori: un viaggio anti-stress a contatto con la natura!

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Matrimonio tra “l’elefante e la formica”

Dal più piccolo al più grande uniti nel segno del teatro: nasce così il gemellaggio tra Monte Ca-stello di Vibio e Parma, o meglio tra il luogo che l’uno e l’altra comunità hanno destinato all’arte. Il Teatro della Concordia di Monte Castello di Vi-bio, considerato “il più piccolo del mondo”, nel settembre 1997 si è gemellato con il Teatro Far-nese di Parma, “il più grande del mondo”. Questa iniziativa concertata tra il Sindaco di Monte Castello di Vibio, Elio Primiera, il Presi-dente della Società del Teatro della Concordia, Edoardo Brenci, il Direttore del Teatro Festival Parma, Giorgio Gennari, il Presidente del Te-atro Stabile di Parma, Walter Le Moli, ha rap-presentato un’azione significativa per inserire il piccolo teatro montecastellese tra i teatri più prestigiosi.

La cerimonia, che ha sancito il proficuo rapporto tra la struttura umbra, in grado di ospitare al massimo 99 posti e quella di Parma, concepita per accoglierne 4.000, si è svolta a Parma il 6 settembre 1997 e a Monte Castello di Vibio il 21 settembre, con la rappresentazione dello spettacolo “Una tavolozza rosso sangue” (Premio Super-fondi 1995) di Valeria Moretti, con Elisabetta Pozzi, prodotto dal Teatro delle Donne ed è frutto dell’intesa tra i comuni interessati.Con tale evento si intendeva collocare in modo stabile il nostro gioiello tra i luoghi d’arte di maggior pregio a livello nazionale, favorendo il circuito degli spettacoli e della cultura in genere, aprendo le porte a scambi interculturali.La pergamena d’intesa del gemellaggio realizzata da Simone Mazzi recita:

“Nell’approssimarsi del Terzo Millennio si gemellano nella consapevolezza che l’arte coinvolgerà sempre più positivamente

le coscienze dei popoli!”.

“Il gemellaggio con il Teatro Farnese di Parma che abbiamo fortemente voluto – spiega il Presidente della Società del Teatro della Concordia Edoardo Brenci – assieme all’Amministrazione Comunale, è stato un notevole passo in avanti verso una crescita nostra e dell’intera comunità. I mezzi di comunicazione ha dato molto risalto a questo evento, ma più che una trovata promozionale, questa è stata una grande esperienza di studio e di confronto nella gestione di un bene storico di enorme valore civico e culturale!

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Piccolo come un francobolloÈ cominciata all’alba la giornata che ha visto la celebrazione del nostro piccolissi-mo teatro in miniatura che il 7 Settembre 2002 è entrato a far parte dei francobolli delle Poste Italiane, annoverato tra i pochissimi teatri a cui è stato dedicato un francobollo. Da una ricerca Filatelica fatta nell’area italiana questi erano i franco-bolli precedentemente emessi: Bicentenario Teatro della Scala, Teatro San Carlo di Napoli, Centenario inaugurazione Teatro Massimo di Palermo, Riapertura Teatro della Fortuna a Fano. In occasione dell’emissione del francobollo il Presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciampi ha inviato il telegramma di felicitazioni letto dal Sindaco del Comu-ne di Monte Castello di Vibio Elio Primiera. Questi sono i componenti della Consulta per la filatelia che ha dato parere favore-vole alla emissione del francobollo sul Teatro della Concordia per il patrimonio artistico e culturale italiano.La Consulta per la filatelia si è riunita il 13 dicembre 2000, presieduta dal ministro Salvatore Cardinale. Presenti Giorgio Guidarelli Mattioli e Raffaele Maria De Lipsis, segretario generale e capo di gabinetto del ministero delle comunicazioni; Enzo Cardi, presidente di Poste Italiane, Everardo Dalla Noce, consulente del ministero, Annabella Ponsiglione, dirigente del ministero, Marisa Giannini, divisione filatelia di Poste Italiane; Fulvio Apollonio, Danilo Bogoni, Umberto D’Arrò, Maurizio Te-cardi, Stefano Cosenz, Furio Gallina, giornalisti specializzati; Paolo Emilio Taviani, Alberto Bolaffi, Augusto Ferrara, Battista Aquino, Ambretta Mondolfo, Giovanni Marchesi, Elio Fusco, esperti; Lorenzo Dellavalle, presidente FNCFI, Piero Macrelli.Questo è il Telegramma inviato dal Presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciam-pi:“L’emissione di un francobollo celebrativo conferisce giusto e orgoglioso risalto al Tea-tro della Concordia di Monte Castello di Vibio, esempio di recupero e di promozione della tradizione scenica e rappresentativa italiana. Il Teatro, un piccolo gioiello in un piccolo comune, è stato costruito a misura del pa-ese che lo ospita. Il suo restauro testimonia la cura e l’impegno a custodire l’identità italiana. Rinnovare questa istituzione come luogo di incontro valorizza la memoria del pas-sato e rilancia oggi la cultura come ragione ulteriore di un sereno e comune vivere civile. Con questo animo, esprimo apprezzamento agli organizzatori della manifestazione e invio a tutti i presenti un cordiale saluto augurale”. Nel corso della settimana di festeggiamenti è stato presentato ad un numerosissi-mo pubblico presente a teatro, il libro: “Storia di Monte Castello di Vibio a Fumetti” realizzata dallo storico locale Simone Mazzi.L’opera, patrocinata dalla Provincia di Perugia, dal Comune di Monte Castello e dalla Società del Teatro della Concordia, è divisa in due parti: la prima consiste in una rappresentazione storico-artistica, mentre la seconda presenta una dettagliata guida ai monumenti.

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Chiesa dei Santi Filippo e GiacomoLa storiaDopo la prima visita del vescovo di Todi Mons. Francesco Maria Gazzoli del 1808, la chiesa arcipretale versava in cattive condizioni, e chiese alle autorità ed ai citta-dini di restaurarla, per il decoro che necessita la presenza di Cristo o di costruirne una nuova.In mancanza di fondi però, nessuna delle due proposte poteva realizzarsi, tanto che nelle due visite successive: 1827 e 1831 vedendo che lo stato delle cose non cambiava, promise di trovare parte dei fondi necessari per realizzare l’opera. Tor-nato nel 1835 elargì i sopravanzi dei beni ecclesiastici della parrocchia, affidan-done l’amministrazione ad una commissione detta “Commissione della Fabbrica della Chiesa”, composta da nove membri fra cui l’arciprete, il priore comunale ed altri notabili locali.Le dimensioni insufficienti della chiesa (si contavano 1.500 abitanti) e le difficoltà di restaurare la vecchia chiesa del Pio Suffragio, si decise di incrementarla con quella che comprendeva l’oratorio del Pio Suffragio, le vecchie sacrestie, l’orto ed una sezione della casa parrocchiale adiacente.Del progetto fu incaricato il perugino Giovanni Santini il quale realizzò il progetto che piacque molto alla commissione. La perizia portava una spesa di 6.506 scudi, e fondi cospicui vennero dalle elargizioni dei Papi Gregorio XVI e Pio IX, che ri-spettivamente concessero 120 e 3.198 scudi per la realizzazione della chiesa. Tali concessioni si ottennero grazie alla generosa collaborazione delle chiese di Todi.I lavori furono appaltati al Capomastro Angelo Cica di Chiusi. Poiché l’erezione della nuova chiesa sarebbe avvenuta nel medesimo luogo della precedente, si rese necessario provvedere ad un’altra chiesa per celebrare le funzioni.Esistevano nel paese altre due chiese di proprietà della Confraternita della Mise-ricordia: Chiesa di Santa Illuminata con annesso Oratorio del Pio Suffragio ma entrambe potevano contenere non più di un terzo dei fedeli. Si decise così di ri-edificare nello stesso luogo la Chiesa di Santa Illuminata: il progetto fu sempre affidato a Santini ed i lavori allo stesso Angelo Cica. Il progetto fu consegnato il 15 luglio 1838 ed i lavori furono velocemente realizzati e portati a termine nel 1839, per una spesa di 1,314,33 scudi. I lavori della nuova chiesa arcipretale iniziarono nel 1837 e terminarono nel 1851 ed il costo fu di 8.237,07 scudi.

La facciataDivisa in tre parti, con corpo centrale coronato dal timpano e le ali laterali a sem-plice copertura. Il corpo centrale presenta sopra l’entrata un finestrone semicirco-lare, chiaro riferimento dei templi e delle ville disegnate dal Palladio. Il rifacimen-to della facciata fu pensato in occasione del secondo centenario della rivelazione della Madonna dei Portenti, cioè 1932. I lavori furono realizzati dal Vignaroli, con l’aiuto di Domenico Moriconi e Gustavo Federici. Il finestrone circolare fu eseguito dall’artigiano locale Lorenzo Ciani.In effetti le facciate progettate dal Santini hanno molte similitudini con le chiese di Agello, san Martino in Colle, Trevi. I tre portali di ingresso, sono inquadrati da cornici di ordine dorico.

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L’internoLa chiesa, di stile neoclassico, è a pianta rettangolare a tre navate. Quella cen-trale termina con un abside semicircolare. La volta, le pareti e i pilastri furono dipinti dal perugino Nicola Benvenuti. I dipinti sugli altari laterali rappresentano “La Madonna Addolorata”, “Il Sacro Cuore di Gesù” realizzato dal pittore romano Mario Barberis nel 1943 per proteggere i montecastellesi andati in guerra, “La Ma-donna di Lourdes con Bernadette” e “L’Esaltazione della Santa Croce” con Sant’An-tonio Abate, Sant’Antonio da Padova, San Francesco di Assisi, Santa Chiara, San Bernardino e Santa Caterina da Siena. Dello stesso autore è “La Madonna del Pio Suffragio” con gli angeli che ad ogni preghiera dei cristiani, gettano acqua sulle anime del Purgatorio per portar loro sollievo”. Nel mezzo del presbiterio si innalza il grandioso altare maggiore che custodisce l’immagine della Madonna dei Portenti con il Bambino in braccio e San Carlo Borromeo vescovo milanese accanto.Di grande valore sono gli arredi sacri e le reliquie: il braccio Santo dei Santi Filippo e Giacomo – le cui statue trovano posto sull’altar maggiore, e di San Giovanni Bat-tista e l’antichissimo fonte battesimale. Da notare sono anche le sei lunette laterali con vetro decorato che raccolgono “L’Annunciazione”, “La Nascita di Gesù”, “La presentazione di Gesù al Tempio”, “La deposizione di Gesù”, “La discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli riuniti in pre-ghiera con Maria”, “Maria Regina della Chiesa”. Il rosone centrale, posto sopra la cantoria, rappresenta “L’Incoronazione di Maria”.

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Le Statue Partendo dal fondo, navata sinistraMadonna Addolorata Sant’Antonio da Padova con il Bambino in Braccio Partendo dal fondo, navata destraBeata Vergine di Lourdes Sant’Antonio Abate con porcellino DipintiPartendo dal fondo, navata destra- prima nicchia (Altare dell’Addolorata) Madonna Addolorata ai piedi della Croce (commissionato dalla Confraternita della Madonna dell’Addolorata nel 1952)- seconda nicchia (Altare del Sacro Cuore) Sacro Cuore di Gesù (opera del pittore romano Mario Barberis nel 1943 per pro-teggere i montecastellesi andati in guerra, commissionata dalla famiglia Ippoliti). Nella tela, Gesù appare in conversazione con alcuni personaggi montecastellesi tra cui vestito da militare Renato Ippoliti, mostrando il suo Sacro Cuore. Sullo sfondo si nota il panorama di Monte Castello sotto il cielo cupo della guerra ed un cannone posto lontano dal paese quasi a voler scongiurare il conflitto mondiale.- terza nicchia (Altare dell’Esaltazione della Santa Croce) Esaltazione della Santa Croce (opera del pittore romano Mario Barberis). Nel dipinto si notano in atto di adorazione con Sant’Antonio Abate, Sant’Antonio da Padova, San Francesco di Assisi, Santa Chiara, San Bernardino e Santa Caterina da Siena.Partendo dal fondo, navata destra- prima nicchia (Altare Beata Vergine di Lourdes) Apparizione della Vergine di Lourdes a Bernadette (opera del pittore romano Mario Barberis). Il dipinto ri-corda l’apparizione della Beata Vergine Maria che si presentò a Bernadette come “l’Immacolata Concezione”. Bernadette è inginocchiata ai piedi della grotta dell’ap-parizione- seconda nicchia (Altare della Madonna del Pio Suffragio) Madonna del Pio Suf-fragio (opera del pittore romano Mario Barberis). Il dipinto rappresenta Maria con il Bambino in braccio ed il Santo Rosario in mano. Accanto ad essa due angeli gettano dell’acqua sulle anime sottostanti immerse nel fuoco. La devozione vuole che ad ogni Ave Maria che recitiamo, Ella incarichi di portare sollievo alle anime del purgatorio.- terza nicchia (Altare del Santo Rosario) Vergine del Rosario con Bambino in brac-cio. Accanto San Benedetto da Norcia e Santa Rita da Cascia. Inginocchiati sotto la nube San Pietro con la chiave in mano e Papa Pio IX°.Altare MaggioreSopra l’altare la scritta: “ALTARE PRIVILEGIO PERPETUO” indica che la Chiesa dei S.s. Filippo e Giacomo ha avuto dalla Chiesa il particolare privilegio che ogni volta si celebri una Messa in suffragio dei defunti, questi acquisiscano particolari indulgenze per abbreviare la loro presenza nel Purgatorio. Questo privilegio non viene concesso a tutte le basiliche e in Sagrestia è conservato il decreto di Papa Pio IX con rescritto del 28 novembre 1864.

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L’immagine e il prodigioL’immagine, dipinta sul muro esterno di una torre appartenente alla famiglia di Andrea Fioretti nella contrada Vinello, esisteva fin dai primi del secolo XVIII, ed è al principio dell’anno 1732 che avviene la miracolosa manifestazione della Vergine.La tradizione orale afferma che nell’anno suddetto un fanciullo di nome Egidio, trovandosi a pascolare le sue pecore nel prato rimpetto all’immagine, udì da que-sta uscire una voce che chiamandolo per nome, gli chiese di accenderle un lume. Il bambino corse a raccontare l’accaduto alla mamma, ma questa non prestò fede al racconto del ragazzo e senza dargli ascolto aggiunse che, anche se la Madonna avesse parlato, non aveva in casa neppure una goccia d’olio per accendere il lume.Il bambino tornò sul luogo e rivolgendosi all’immagine sacra le riferì fedelmente la risposta della madre. Allora il fanciullo udì di nuovo una voce che gli comandò di tornare a casa e guardare nel vaso perché lo avrebbe trovato pieno d’olio. Essendosi sparsa la voce della prodigiosa manifestazione, grande fu l’accorrere del popolo dei dintorni per venerare la Sacra Immagine e grandi furono ancora le grazie che Dio volle operare. In una supplica inviata al Pontefice di allora Clemente XII, il popolo chiede sussidi per erigere una chiesa in onore della Vergine, chiesa che, secondo un primo progetto del vescovo diocesano, doveva essere sul luogo sesso del miracolo.L’immagine è incastonata al centro dell’Altare Maggiore, concepito come una gran-de edicola, progettata per esaltare la grandezza e la maestà della Vergine Maria.

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La storia e il secondo prodigioIn un decreto di Monsignor Ludovico Gualtieri (1733), allora Vescovo di Todi, ricono-scendo le grazie e i miracoli operati dalla Santa Immagine, veniva stabilito il giorno della festa della Madonna dei Portenti nell’ultima domenica di novembre e ribadita la collocazione della S. Immagine, trasferita all’altare della chiesa parrocchiale dove sarebbe stata religiosamente custodita e venerata dal popolo di Monte Castello di Vibio e dei paesi vicini, fatti delle sue insigni grazie. Da questo decreto appare chiaro come sia vera la tradizione dei prodigi operati dalla Vergine. Questo risulta anche dal titolo “Dei Portenti” decretatogli dallo stesso Mons. Gualtieri. La volontà del popolo affinché l’immagine venisse trasportata nella chiesa parrocchiale, venne assecondata da Mons. Gualtieri che abbandonò dunque il primi-tivo progetto di erigere una chiesa sul luogo stesso dove si trovava l’immagine.Nel momento in cui si dovette procedere al trasloco dell’immagine si presentò un gra-ve problema perché bisognava staccare dal resto del muro il beano dove era dipinta l’Immagine e questo faceva temere uno scollegamento del tratto di muro effigiato. Ed è in questo frangente che si verificò un nuovo prodigio.Dopo aver disegnate con la matita le linee dove doveva essere eseguito l’isolamento del tratto di muro effigiato dal resto della parete, i periti si appartarono per mangiare. Quando tornarono per terminare il lavoro, trovarono il muro staccato perfettamente su tutti i lati secondo le linee disegnate. La quarta domenica del mese di novembre dell’anno 1832 fu fatto il trasloco della prodigiosa Immagine all’Altare Arcipretale, accompagnata dal religioso entusiasmo dei festanti canti del popolo. Giunta alla chie-sa parrocchiale, venne provvisoriamente collocata nell’altare sotto il titolo dei Santi Giuseppe e Anna.Intanto Monsignor Gualtieri, affinché ogni anno venissero resi solenni ringraziamen-ti alla Sacra Immagine, perpetuando il ricordo della sua traslazione, stabiliva la festa annuale nella domenica fra l’ottava dell’Assunzione di Maria Santissima in cielo. Questa festa è stata sempre celebrata fino ai giorni nostri, e tra tutte le altre è da ricordarsi la festa grandissima svoltasi dalla torre della famiglia Fioretti fino in chiesa, recando trionfalmente dentro una macchina una copia in tela dell’Immagine Sacra.A seguito di questa traslazione venne eretto un nuovo Altar Maggiore, dove venne collocata definitivamente l’Immagine della Vergine. Terminata la costruzione della nuova chiesa, fu di nuovo trasferita in questa il 10 marzo 1851 e collocata in alto nel fondo del coro in una apposita nicchia già preparata e ornata di stucchi. Ma al popolo non piaceva di veder collocata l’immagine nella parete del coro e così, operandosi devotamente con offerte ed elemosine, il giorno 11 settembre del 1864 fu benedetta e collocata la prima pietra dell’edificio.L’opera fu portata a termine nell’anno 1864, però fin dai primi di dicembre l’Immagi-ne vi era stata stabilita e trasportata, così da poterla scoprire il giorno dell’Immacolata Concezione, sebbene i lavori di decorazione non erano ancora terminati. Il nuovo altare della Vergine Santissima dei portenti fu reso Privilegiato Perpetuo da Pio IX° con rescritto del 28 novembre 1864. Nell’anno 1932, con solenni festeggiamenti, venne celebrato il secondo centenario della manifestazione prodigiosa della Vergine Santissima dei Portenti. Ed anche in questa occasione si svolsero solenni cerimonie, alla presenza di un grande numero di fedeli convenuti da ogni parte della Diocesi di Todi e dell’Umbria.

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Costruita su una piccola chiesa preesistente, i lavori terminarono nel 1839 e parte dei fondi fu possibile reperirli dalla Santa Sede dato che la stessa doveva essere edificata proprio a Roma, nei pressi di San Giovanni in Laterano. Un documento dei primi dell’800 testimonia la richiesta di fondi per edificare una nuova chiesa più grande poiché: “…molti sono i fedeli che non trovano posto neppure in piedi, e spesso chi può sosta sulla piazza antistante pur di partecipare con si devozione alle sante funzioni”. Monte Castello – come risulta dagli archivi – contava più di 3.000 fuochi (famiglie) e quindi la popolazione ammontava a circa 3.500 persone. La fede qui era molto radicata poiché Monte Castello per tanti secoli è stato un feudo Papale.

L’interno E’ ad una sola navata e nell’abside in fondo campeggia l’altare di recente costruzio-ne. Quello originale era unito al presbiterio. Probabilmente l’antica chiesa faceva parte di un complesso monacale, mentre sopra l’altare è custodito un crocefisso ligneo. La volta fu affrescata nel 1903 dal giovanissimo Luigi Agretti che nel 1892 aveva fatto notare la sua maestria nel Teatro della Concordia.

Il CrocifissoL’origine del crocefisso è rivelata da un manoscritto dove si narra che Beato Placido da Monte Castello chiamato alla fede da San Bernardino da Siena, prima di recarsi nel convento di Valencia, volle portare in dono al suo paese la testa di un crocifisso ligneo di fattura spagnola risalente al XV secolo.

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La Cappella della “Madonna delle Carceri si trovava eretta nello stesso posto già nel 1505 ma alla sua esatta data di costruzione non è possibile risalire dal momento che molti documenti sono andati dispersi. Il titolo di “Madonna delle Carceri” lo troviamo in una delibera del Consiglio datata 19 marzo 1826, che vista l’imminen-te caduta del tetto a causa del mancato restauro della cappellina e considerando che la sua demolizione sarebbe costata quanto il restauro, impegnò la spesa di 41 scudi e 91 baj e mezzo, per recuperarla. Nonostante quel recupero fino a poco fa, le condizioni della cappellina risultavano essere le stesse del 1826: il tetto era quasi completamente crollato (i pochi metri quadrati rimasi in piedi a ridosso dell’im-magine della Madonna sembravano volerla proteggere), le finestre non esistevano più, e gli affreschi all’interno erano abbandonati alle intemperie.Molto si discusse, ma nessuno intervenne e così la montecastellese Anna Rita Frol-lini in Marchetti, particolarmente legata a quella chiesa ormai in rovina, incaricò Alfredo Brachini (proprietario di una ditta edile del paese) di restaurarla, affidando il restauro degli affreschi alla mano del pittore Benedetto di Todi che lasciò allo stato originale solo le immagini sacre dell’altare, dicendosi disposta essa stessa con le proprie risorse al pagamento dei lavori e dei materiali. Mossi dalla devozione alla Madonna circa 300 persone contribuirono economica-mente ed offrirono materiali ed anche le famiglie più disagiate offrirono somme ingenti, mentre altri lavorarono gratuitamente per il suo recupero. I soldi raccolti (2.065.900) risultarono più delle spese effettuate (2.038.190). Così, l’11 novembre 1971, si celebrò nuovamente la messa nella Chiesa della Ma-donna delle Carceri e l’affluenza e la devozione dei numerosissimi partecipanti fu davvero commovente. Per quell’occasione la Banda Musicale di Marsciano venne a rendere più solenne questo momento: prima di quella data, ogni anno si festeg-giava la Madonna il 2 luglio con la Santa messa, ma proprio da quel 1971 nacque la Festa della Madonna delle Carceri.

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Sin dalla sua costruzione il paese era dotato di numerose torri e di due porte di accesso: Porta Tramontana e Porta di Maggio, così detta perché esposta ai venti primaverili. Solo quest’ultima è rimasta a testimoniare il glorioso passato ed è stata recentemente restaurata. I merli della torre sono tipicamente guelfi – cioè piatti – poiché il paese era un feudo papale. Con il restauro, la torre è tornata ad essere meta dei tanti visitatori, ed è stata riportata alla sua antica funzionalità. La Torre di Porta di Maggio è stata e rimane un simbolo di un paese ed era presen-te già nello Statuto del 1516 come stemma del Castello ed ancora oggi è effigiata nel Gonfalone Comunale. Nel 2004, grazie all’intervento del Ministero dei Beni Culturali è stato riconsegnato un bene che persegue l’obiettivo di valorizzare il proprio passato attraverso visite guidate, mostre a tema, ecc.L’archivio Storico custodito nella torre, è stato spostato in alcuni locali di proprietà dell’amministrazione comunale, dove sono conservati documenti di grande inte-resse storico.Al suo interno i tanti cimeli storici guidano il visitatore verso un percorso storico che culmina con l’accesso ai merli e al parapetto della torre, da dove si può ammi-rare uno sconfinato panorama che va dal Tevere alla vicina Todi, dominando tutta la valle. Tra i cimeli di particolare interesse al primo livello si possono trovare:

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INGRESSO- tabella dei legati pii da soddisfarsi dalla venerabile Compagnia della Misericordia (1726);- chiave della torre: donata da Renato Ippoliti e Aldo Budelli rinvenuta nel 1985 in prossimità della torre stessa;- obblighi da soddisfarsi dalla venerabile Compagnia del Santissimo Sacramento di Monte Castello (1619);- reperti archeologici rinvenuti a ridosso della torre risalenti all’ “Età Imperiale” e a quella “Tardo Repubblicana”;- progetto della facciata del Municipio realizzato da Falini Romani (MICCCIV);- pianta delle nuove strade da ridursi per salire a Monte Castello (1853);- progetto di arginazione del torrente Faena alla confluenza con il Tevere - progetto della torre campanaria;- pesi romani;- fregi e stemmi nobiliari in legno e gesso;- feritoia di guardia e piccola finestra.

I rampa di scale:- pianta che riproduce l’alluvione del fiume Tevere (1801);- pianta dei terreni esistenti nel territorio di Monte Castello posti lungo il Tevere (1807);

1° piano interno porta di Maggio II rampa di scale:- pianta dei terreni in località Bocca Faena (1872);- lettera autografa di Giuseppe Garibaldi indirizzata al Comune di Monte Castello di Vibio (1862);- elenco dei Governatori, delle Delegazioni e dei Distretti Moto-proprio da accor-parsi. Notifica della Camera Apostolica di Roma (1816);- armi della guerra d’Africa;- teca con timbri appartenenti al periodo napoleonico;- busto di Napoleone- pesi romani e palle in pietra.- una spada probabilmente medioevale;- tre elmetti – uno tedesco, uno italiano e uno francese – risalenti alla I Guerra Mondiale;- maschera antigas della I Guerra Mondiale;- carta Geometrica – Statistica ed Economica- due acquasantiere di epoca medioevale probabilmente appartenuta all’antica Chiesa di San Rocco;

Teca delle armi:- tre moschetti risalenti al primo novecento;- quattro fucili a bacchetta ad avancarica del 1822, utilizzati dagli otto garibaldini montecastellesi che presero parte alla spedizione dei Mille.

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Il comune di Monte Castello di Vibio che si estende per circa 32 chilometri qua-drati, confina a sud-ovest con la provincia di Terni e, precisamente con il comune di San Venanzo. Sempre nella zona di sud-ovest sono forti i legami con l’orvietano da cui è collegato attraverso la strada provinciale 373 di Doglio che si innesta, all’altezza di “Apparita”, con la strada statale 79 bis Todi – Orvieto.E’ questa un’antica via di comunicazione che per molti anni, prima della costruzio-ne della nuova e comoda strada di Corbara, ha collegato il tuderte con l’orvietano ed il Monte Peglia. Essa costituisce oggi un itinerario alternativo soprattutto per i turisti e per quanti soggiornano nei vari agriturismi della zona o per chi pratica la montagna per la ricerca dei funghi e dei tartufi, l’attività venatoria, il trekking, il cicloturismo, ecc. Lungo il percorso, Doglio, un castrum medioevale arroccato su un piccolo colle, immerso in un contesto naturalistico pressoché incontaminato in cui si alternano campi coltivati e boschi, si incontrano vari castelli di chiara origine medioevale fra cui Titignano (un vicus di proprietà dei principi Corsini di Firenze raccolto tutt’intorno ad una piazza principale da cui si può ammirare il lago di Corbara) e Prodo, caratterizzato da torri angolari perfettamente conservate che nel 1949 ospitò anche Giuseppe Garibaldi inseguito dalle truppe pontifice dopo la caduta della II Repubblica Romana.La strada, caratterizzata da frequenti e stretti tornanti (per questo si dice anche: “questa strada è peggio della strada di Orvieto”) ha perso oggi molta importanza dal punto di vista dei collegamenti fra le due maggiori città della zona ma, per gli aspetti paesaggistici della campagna circostante, conserva caratteristiche tipica-mente umbre che la rendono meritevole di essere percorsa.

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La storiaUn tempo, Doglio rappresentava uno dei numerosi castelli tuderti, segnando il naturale confine tra i guelfi orvietani e i ghibellini todini: solamente sotto la re-pubblica Giacobina (1789-1799) Doglio entrò a far parte del Cantone di Monte Castello di Vibio. Questo stupendo paesino immerso nel verde delle colline umbre a 500 metri sul livello del mare, è delimitato da due torrenti e ancora oggi conserva le sue forme di castello con due porte: Porta Fuje che dà verso il Borgo e l’altra por-ta principale che dà sul Viale Rimembranza. Porta Fuje è sovrastata da un’aquila in pietra in rappresentanza di Todi con due aquilotti sotto le sue ali che rappre-sentano i comuni sottomessi di Spoleto ed Amelia. Il Viale Rimembranza invece è l’accesso al centro storico ed e’ costeggiato da piante di leccio, ognuna delle quali rappresenta un caduto dogliese della I° Guerra Mondiale.La Chiesa di san SalvatoreLa vecchia chiesa parrocchiale è un edificio del 1600, oggi sede della sala par-rocchiale. I locali situati al disotto erano sede della Confraternita del Santissimo Sacramento istituita nel ‘600. sul finire dell’800 però, si presentarono i primi pro-blemi strutturali ma non solo. Le dimensioni esigue non potevano ospitare una comunità crescente. Nei giorni festivi erano circa 350 i fedeli che partecipavano alle funzioni. Si pensò allora, non senza problemi per la sua ubicazione, a costruire una nuova chiesa più grande e furono interpellati vari ingegneri. I lavori furono affidati a Edoardo Vignaoli ed il 22 maggio 1903 furono appaltati i lavori. Che terminarono 3 anni dopo, grazie alla partecipazione di tutti gli abitanti che offrirono materiale, mano d’opera, lavoro gratuito e danaro. Il 20 maggio 1906 la nuova chiesa venne inaugurata e tutto uil paese fu illuminato da fiaccole, poiché la corrente elettrica arrivò a Doglio nel 1923 e fu uno dei primi paesi a servirsene.Il miracolo di Sant’Antonio da PadovaNel 1918 in Italia si manifestò una terribile malattia chiamata “spasgnola” che cau-sò la morte di 600.000 persone. Proprio in quell’anno si ammalò anche Chiara Lipparoni (1895 – 1982). Il medico ne accertò la morte ed il parroco di Doglio Don Domenico Mecarelli iniziò la preghiera dei defunti ma i genitori della piccola Chiara sperando oltre l’impossibile, pregarono Sant’Antonio da Padova. Conosciuta la devozione un vicino, portò con se un fazzoletto toccato sulla reli-quia del Santo in occasione di un suo pellegrinaggio a Padova e lo pose sulla fronte di Chiara. I genitori, mossi dalla fede, fecero voto di donare al paese una statua del Santo se la figlia fosse guarita. Con grande stupore da parte di tutti la fede fu premiata e Chiara cominciò a dare segni di vita senza l’ausilio dei farmaci ed il mattino seguente il medico del paese la dichiarò fuori pericolo. Nel 1920 la statua di Sant’Antonio fu posta nella Chiesa parrocchiale di San Sal-vatore ed il 13 giugno dello stesso anno si registrò la prima festa di Sant’Antonio da Padova. Da quel momento in poi, praticamente tutto il paese è impegnato in questa manifestazione popolare ed il Comitato per i festeggiamenti che si è forma-to comprende circa 300 soci (più o meno giovani) che sfruttando la bellezza del territorio e la genuinità dei suoi cibi, riscuote sempre un maggiore successo.

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E’ la frazione più giovane del comune. La sua posizione in corrispondenza della via di comunicazione che congiunge Todi, Montemolino, Fratta e Marsciano, ne favo-risce la continua espansione tanto da essere considerata “il cuore economico più importante del paese”. Madonna del Piano segna il confine del territorio monteca-stellese che confina con Fratta Todina, La Spineta, San Venanzo e Montemolino. Il suo fertile terreno collinare produce ortaggi, legumi, viti, girasoli che grazie alla presenza di numerose aziende agrarie qui presenti, sono apprezzati in tutta Italia. Essi ne garantiscono la genuinità, coltivando i propri prodotti secondo la tradi-zione tramandata da generazioni. Qui trovano posto le aziende che vanno dalla meccanica alla ristorazione, dalla produzione di tende alla falegnameria. Oltre a ciò trovano spazio un campo da calcetto e la scuola materna.

La Chiesa Di recentissima costruzione è la chiesa. Dalle linee moderne ed essenziali dell’e-sterno, il suo fascino è costituito da un quadro raffigurante la Madonna in atteg-giamento di preghiera di pregevole fattura. L’interno, illuminato da fari posti nel soffitto è dotato di alcune vetrate direzionabi-li ed alla costruzione di questa chiesa hanno partecipato praticamente tutti gli abi-tanti, ognuno con le sue risorse e capacità. Madonna del Piano è particolarmente legata alla figura di San Biagio che viene celebrato ogni anno con una grande festa.

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La fonte dell’Acquaforte Anticamente Madonna del Piano era sede della Fonte dell’Acquaforte e le virtù curative, scoperte dal dottor Antonio Melloni, richiamavano gente proveniente non solo dalle vicine località, ma anche di diverse regioni. Questo avrebbe potuto creare uno sviluppo economico non indifferente al paese, come si legge in una relazione dell’epoca:

“Le acque minerali di Monte Castello di Vibio furono da me casualmente scoperte nel 1862. I loro caratteri fisici, ed alcune indagini qualitative analitiche a cui furono da me sottoposte dall’ottimo collega il dottore Annibale Breccia in quel tempo Medico Condotto alla Fratta Todina, mi fecero conoscere contenere esse del ferro e dell’acido carbonico in copia; e quindi mi determinarono a sperimentarle alle debite cautele in varie malattie l’efficacia”E poiché al riacquisto della robusta salute molto pure giova, che il polo delle acque medicinali sia accompagnato dalla salubrità dell’aria e dei comodi della vita, così di questi utili accessori certamente fruiranno a dovizia tutti quei non indigeni indivi-dui, che durante l’uso delle acque, fisseranno in Monte Castello loro temporanea di-mora. Ivi infatti puro e balsamico è quel vasto oceano gassoso che l’alto colle circonda. Ivi carni e bovini salubri. Ivi strada rotabile ti offre facile alle sorgenti l’accesso, ivi ti invitano pure al pomeri-diano passaggio le piane e comode vie che le mura circondano di quel vetusto Castel-lo. E per esse a diporto recandoti sull’ora in cui il sole è vicino a nascondersi dietro le vette occidentali delle lontane montagne, ultime finte del vastissimo panorama che ti si presenta allo sguardo, tu ti senti rallegrato lo spirito alla vista di quell’incante-vole prospettiva, la quale d’ogni intorno ti offre le amene colline seminate di città e di castelli, che rompono la monotonia delle ridenti pianure, e ai quali maestoso in meandrici giri serpeggia quel fiume di sublimi ricordanze non periture, che superbo si reca a lambire la Città Eterna prima di rendere al mare tributo”.

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Dizionario minimo di dialetto montecastellese A

A nocetta: Al riparo (es. P’accenne me so’ dovuto mette a nocetta)Accommidato: Aggiustato, Mangiato bene (es. Che nun ete accomidato bene?)Affastellati: Ravvicinati, Accorpati (es. Nun v’affastellate come le pecore)Affelata / Linita: Affaticata, Stremata (es. So’ jata a pulì casa me so’ affelata)Ammannita: Radunata, Riordinata (es. Su, damo ‘n ammannita t aste quattro fascine)Anfrore: Profumo, Odore, Puzza, Aroma (es. So’ mbriaco de l’anfrore)Appallotta: Blocco compatto di terra bagnata (es. La cicoria tocca cojela prima che s’appal-lotta)Arcutinata: Rassettata, Riordinata (es. Si tocca scappì famme da’ ‘n arcutinata almeno)Arimanessimo: Rimanemmo (es. Erimo quattro, rimanessimo trene, partessimo in dui)Arispadarmio: Risparmio, Convenienza (es. Pija tisto che arispadarmi ‘nco)Arruncinato: Rattrappito (es. I deti del piede me se so’ arruncinati del freddo)

BBiccumino: Attaccagnino, Pidocchio (es. Quanto sei biccumino)Biciancola: Bilico, Altalena, Tenere il piede in equilibrio su due staffeBirci: Capelli (es. ‘Mpo’ damme ‘n arcutinata ta sti birci che stasera c’ho da muccì)Bjuto: Bevuto (es. ‘Nguastiscevo quanto ete bjuto. M’ete sciuttato la panata)Brollastre: Fronde degli alberi (es. C’ho d’annà a scrolla quattro piante)

CCapele / Cernele: Separare, Scegliere (es. ‘Ste carte capele mejo)Capie: Entrare, Stare in un contenitore (es. ‘L disegno sul fojo nun ce capie)Caraolle: Le due ossa che sporgono dalle caviglie (es. M’onno dato ‘n calcio ta le carolle)Celletto: Che ha un bel colorito, Ha una bella cera (es. ‘Nguastiscete quanto stai celletto)Cianco: Zampa di un mobile (es. Cianco de la sedia)Ciuca: Piccola (es. N’te ricordi quanno erimo ciuchi ciuchi?)Còcco: Caro, Modo di dire affettuoso (es. Do’ vai cocco?)Cocco: Uovo (es. ‘N cocco bjuto e ‘na mela magnata)Cofana: Grande quantità (es. Me so’ magnato ‘na cofana de’nsalata)Coste: Costole oppure Greppe, Grossi avvallamenti di terreno scosceso (es. Ju pe’ le coste de Batella)Crescio: Cresco (es. Calo uno e crescio due)Cunsumarella: Tensione, Ansia che contrae i muscoli, in particolare quelli dello stomaco

DDeti: Dita (es. Me ce mancavano quattro deti pe’ arrivacce)Duelle: Da nessuna parte, Senza fissa meta (es. Do’ jate? Duelle)

EEi, Ete: Avevi, Avete (es. Ete bjuto? Allora ete anche magnato)Erimo: Eravamo (es. Erimo io, te e altri quattro potti su la biciancola)Ertotta: Più spessa (es. Deteme ‘na fittina più ertotta se no me se stillisce quanno la cocio)

FFiara: Grande fiamma (es. ‘Nguastisci che fiara)Fugato: di corsa (es. n’el so’ c’ha fatto ma venea ju fugato)

GGattio guasto / Tristo arrabbito: Cattivo al gusto, immangiabile (es. ‘Sta zuppa è gattia guasta)Gnao: Modo per indicare che si è arraffato tutto (es. Per fortuna che so’ arrivato se no gnao)Gracicio: Acino d’uva (es. Detemene ‘n gracidio, ve l’ pago ve)

JJubba: Giacca, Giubbotto (es. E’ cusì friddo che ho dovuto mette la jubba)

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Jummella: Manciata (es. Mettemice ‘na jummella de sale se no è sciutile)L

Li o la: Termine che indica quasi, appena (es. Ce so’ arrivato li o la)Loto: Fango (es. P’anna su l’orto metti tisti de stivali che c’è ‘l loto)

MMarmito: Gelido, freddo come la pietra (es. C’ho i piedi marmiti)Marruano: Manesco, Sgraziato (es. ‘Nguastiscevo quanto sete marruano)Mentuato: Ricordato (es Io te l’io mentuato d’arportamme drento casa la sporta)Merollo: Midollo (es. Me so’ ‘nfraciato fino al merollo)Motto: Segno, Accenno (es. Partessimo de quil motto)

N‘N ticchio: Un poco (es. Detemene ‘nantro ticchio che c’aggiusto mejo)‘Na magnata: Modo per dire nulla o quasi niente (es. M’onno dato du’ ovi. ‘Na magnata!)‘Nciamurrito: Raffreddato, con naso e gola tappate (es. So’ tutto ‘nciamurrito)‘Ntrisa: Miscuglio con vari cibi diversi (es. Je l’hai fatta la ‘ntrisa ta le galline che fetono?)‘Ntruppa: Inceppa, Impunta (es. ‘Sto cassetto nu scorre, famme vedè do’ ‘ntruppa)

OOgni: Unghie degli arti (es. Ho preso la mano tra la porta e c’ho tutti l’ogni neri)Onto / Ugnolito: Unto, Oleoso, Grasso (es. Sei tutto onto)Orello: L’estremità del filone del pane (es. Deteme l’orello ce fo’ tanto)

PPescolla: Piccola buca in terra con acqua piovana (es. Sta’ attento ta la pescolla)Petrangola: Trappola che si usa per la caccia fatta con due pietre sorrette da bastoniPìolo: Riprendersi da una malattia o uno spavento (es. El ve come ha arpreso piolo)Pianello: Locale al coperto esterno all’abitazione a cui si accede attraverso le scalePotto / Bardascio: Ragazzo, Giovane, Figlio (es. De chi potto sai? = Di chi sei figlio?)

RRancicarella: Fastidio alla gola, Tosse stizzosa (es. Stamattina c’ho ‘na rancicarella)Reggio: Reggere, tenere ben stretto (es. Lo reggio fusse ‘l diavolo)Réne: Re, figura nel gioco di carte (es. Che c’avrò ‘nto le mano el réne)Rinturcinato: Raggomitolato, Attorcigliato (es. ‘L gatto stea rinturcinato tal cianco del tavu-lino)

SSai: Sei nel senso di essere (es. Tune sai come sai = Tu sei come sei)Sbricciaiato: Scapigliato, Spettinato (es. Nu scappì così sbricciaiato)Scalamarato: Stanco, con le borse agli occhi (es. Quanto sei scalamarato)Scappito / Muccito: Fuggito, Scappato (es. Curreme che me so’ mucciti i maiali)Sciarso: Assettato, Con la gola arida (es. Deteme da bee che so’ sciarso de la sete)Sciutta come l’esca: Modo di dire che la terra ad esempio è arida e secca come l’esca per pescareScelle: Ali per gli uccelli, Sottobraccio (es. Me so’ messo ‘l prefume sotto le scelle ‘nco)Sciaramenti: Tralci secchi utili per accendere il fuoco (es. Tocca mettece i sciaramenti p’ac-cenne)Sciarluttime: Termine per indicare qualcosa andato a male (es. ‘Sto prosciutto sa de sciarlut-time)Sciolliga: Fare i primi voli, Uscire per le prime volte dal nido (es. i potti so’ jati a sciolliga)Sciarso: Assettato, Con la gola arida (es. Deteme da bee che so’ sciarso de la sete)Scioppico: Senza alcun peso sulle spalle (es. So’ jato carico, so’ artornato scioppico)Scappito / Muccito: Fuggito, Scappato (es. Curreme che me so’ mucciti i maiali)Sciutta come l’esca: Modo di dire che la terra ad esempio è arida e secca come l’esca per

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pescareSciutile / Scialito: Sciocco, Senza sapore, Che non sa di nulla (es. ‘Sto vino è sciutile sciutile)Sdrucito: Strappato, sgualcito (es. Me se sdrucito ‘l vestito)Serra: Chiudere (es. Serrame la porta se no m’ajelo)Sfisura: Fessura (es. Metti le mano tra la sfisura de la porta)Sgommero: Grosso cucchiaio da cucina per servire minestre (es. Detemene ‘nantre du sgom-merate)Smeolla: Strugge, Languisce (es. ‘L core mio smeolla per te, come ‘l maiale ‘nto la troscia)Sperella: Luogo dove c’è gran fresco e tira vento (es. Jamo ta la sperella che se sta mejo)Stantio: Andato a male, ammuffito (es. Mo’ ‘sto pane è stantio)Stavimo: Stavamo (es. Come stavimo arimanessimo)Stillita:Troppo cotta (es. La bistecca nun me la fa’ stillita)Stò: Stanno (es. Do’ sto’ l’attrezzi? Sto’ tustì)Stommico: Stomaco (es. C’ho ‘na cunsumarella de stommico)Stracanato: Stanco morto (es. M’onno fatto ammannì le fascine e so’ stracanato)Strancichellosa: Fettina di carne con molti nervi (es. la fittina era trista arrabbita e stranci-chellosa)Stregno: Stringere con forza (es. Lo stregno ‘nto le mano cusì forte che me se fonno l’africi)Streppi / Rogaia: Sterpaglia, Rovi (es. So’nciampicato t’ai streppi)Stroncicato: Sgraffiato, Scorticato (es. Me so’ stroncicato ta la rogaia)

TTonna: Grosso recipiente usato per accondire una grande quantità di alimentiToqquane / Tollane / Lassune / Lajune: Avverbi di luogo per indicare qua, là, su e giùTroscia: Ampia zona di acqua mischia a fango (es. Stea ‘l maiale ‘nto la troscia)Tustì: Sono qui (es. Do sto’? sto’ tustì)

VVencastre: I tralci della vite (es. Nun buttà via le vencastre che ce famo i sciaramenti)Vetriche: Le fronde dei salici piangenti (es. Nun te ‘ntruppà ta le vetriche)

ZZitto tu, zitto io: Modo di dire per indicare la regola del pesce che con il chiasso non si pesca

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Il Cesvol svolge le sue attività con risorse del Fondo Speciale per il Volontariato amministrato dal Comitato di Gestione dell'Umbria

La storia di un “paese da fiaba” come è Monte Castello di Vibio, non poteva

che essere raccontata a fumetti. In questo libro il lettore viene

accompagnato in un percorso ideale che ognuno dovrebbe compiere,

quando si mette in viaggio per visitare un luogo che non conosce.Si cercano per prima cosa i riferimenti storici che qui hanno ampio spazio,

per conoscere il passato del paese. Poi si cerca di scoprire i luoghi d'arte e di

culto presenti, incastonati come gioielli tra le mura. Quindi si va alla scoperta

del territorio, e dei suoi prodotti tipici, ed in fine ci si addentra nel linguaggio

della popolazione di quel luogo.Il fumetto ha una grande tradizione in Umbria e questa non è certo la prima

pubblicazione che viene realizzata a fumetti, ma ogni storia è diversa, unica

ed irripetibile e quindi affascinante. Così, dalle origini del nome di Monte

Castello di Vibio, dai grandi personaggi della storia agli eroi locali che hanno

legato il proprio nome a questa terra, senza accorgersene ci si ritrova

immersi nella storia dei monumenti: il Teatro della Concordia, noto per

essere “il teatro più piccolo del mondo”, la maestosa Chiesa dei Ss. Filippo e

Giacomo, l'antica torre Porta di Maggio, gli scorci e i vicoli caratteristici.Nulla è trascurato, tutto è osservato con l'occhio del visitatore che per la

prima volta giunge in questo luogo, in cui il tempo sembra essersi fermato. È

una guida preziosa ed accurata, capace di affascinare per primi i bambini, che

si lasciano guidare da questo linguaggio, ma ogni lettore. È uno strumento

piccolo ma ricco di tesori nascosti, come lo è il paese che è raccontato.

L'autoreSimone Mazzi