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mneme - unipa.it · San Pietro e San Paolo quali colonne della Chiesa1. ... nella mano destra e l’altro nella sinistra, alludono alla scelta di vita monastica. Nell’ultimo quarto

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MNEMEquaderni dei corsi di beni culturali e archeologia

Antico e ModernoLaboratorio di ricerche trasversali II

a cura di Luna Figurelli

palermo2016

Editing fotografico: Filly Ciavanni

Immagine di copertina: Palermo, Palazzo Forcella, mosaico ‘di Ippolito’: il cacciatore, particolare (foto Aiosa).

MNEME. Quaderni dei Corsi di Beni Culturali e Archeologia

Direttore: Elisa Chiara PortaleComitato scientifico: Johannes Bergemann, Nicola Bonacasa †, Annliese Nef, Salvatore Nicosia,Vivien Prigent, Natascha Sojc.Comitato editoriale: Sergio Aiosa, Nunzio Allegro, Fabiola Ardizzone †, Oscar Belvedere,Armando Bisanti, Aurelio Burgio, Alfredo Casamento, Delia Chillura, Massimo Cultraro,Salvatore D’Onofrio, Monica de Cesare, Gioacchino Falsone, Franco Giorgianni, MauroLo Brutto, Leonardo Mercatanti, Vincenzo Messana, Giovanni Nuzzo, Pierfrancesco Palazzotto,Daniele Palermo, Simone Rambaldi, Cristina Rognoni, Roberto Sammartano, Luca Sineo.Coordinamento di redazione: Simone RambaldiProgetto editoriale e redazione web: Filly CiavanniDirezione e Redazione:Mneme. Quaderni dei Corsi di Beni Culturali e ArcheologiaUniversità degli Studi di PalermoDipartimento Culture e Societàviale delle Scienze, Edificio 1590128 PalermoContatti:[email protected]@unipa.it tel.: +39 091 [email protected] tel.: +39 091 23899549

La collana di monografie Mneme è pubblicata on line, sul sito: www.unipa.it/dipartimenti/beniculturalistudiculturali/riviste/mneme

Copyright 2016 © MNEME. Quaderni dei Corsi di Beni Culturali e ArcheologiaDipartimento Culture e Società, viale delle Scienze, Edificio 15, 90128 PalermoISSN 2532-1722 - ISBN 978-88-943324-0-7

I testi sono sottoposti a peer review interno a cura del Comitato scientifico e del Comitato editoriale

2016 - Anno 1 - Volume 1

Indice generale9 Premessa

di Elisa Chiara Portale

11 Introduzionedi Giuseppina Barone

15 Una caccia al cinghiale, mostri marini e temi nilotici nei mosaici pavimentali dell’ottocentescopalazzo Forcella a Palermo: tra suggestioni classiche e riproduzioni ‘in stile’ di Sergio Aiosa

47 Revival neoclassico e ideali risorgimentali nel programma decorativo della casa di unantiborbonico sicilianodi Fabiola Ardizzone

57 Anus ebria: l’estetica della vecchiaia nella storia del gustodi Alessia Dimartino

75 Vasi ‘all’antica’. Falsificazioni e rielaborazioni nella collezione vascolare del settecentescoMuseo di S. Martino delle Scale a Palermo di Rosanna Equizzi

87 La società italiana postunitaria nella pittura di Revival Classico di Luna Figurelli

103 L'invenzione della Sicilia antica. La protostoria siciliana nella storiografia italiana nazionalistae fascistadi Pietro Giammellaro

113 Le radici letterarie del mito nella pittura ‘neoclassica’ di Giuseppe Velasco di Mariny Guttilla

139 Settecento neoclassico nel Palazzo Reale di Caserta. Vanvitelli, Hamilton, Tischbein e ladecorazione ‘all’etrusca’di Margot Hleunig Heilmann

159 Idols Ancient and Modern: A Neapolitan Saint Manufactory by Thomas Uwinsdi Michael Liversidge

173 La corona rostrata oggi: appunti per una ricercadi Antonina Lo Porto

181 Dei milites. Esempi di foggia militare romana nella scultura barocca sicilianadi Salvatore Machì

195 Esempi di ispirazione all’antico nella produzione scultorea di Ippolito Buzzi, Nicolas Cordier,Pietro Berninidi Alessandra Migliorato

221 Giovanni da Cavino, ovvero storia di un onesto falsariodi Magda Modica

227 British Conservative Thought and the Classical Imagination, c. 1720-1820di James Moore

239 “È morto al posto mio”: da Elias Canetti ad Elio Aristidedi Salvatore Nicosia

249 “A city famed throughout the world”: Pompeii in 20th and 21st century fictiondi Joanna Paul

257 A pranzo con Matteo Della Cortedi Loredana Vermi

277 Abstracts

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Nell’Iconologia (1618) il Ripa, parlando della Sublimità della gloria, spiegò che due simulacribronzei, riproducenti l’uno San Pietro, l’altro San Paolo, erano stati posti, per volere di Sisto V,rispettivamente al culmine della Colonna Traiana e della Colonna Antonina, per esaltare le figure diSan Pietro e San Paolo quali colonne della Chiesa1.

Quanto fosse invalso anche nella temperie barocca il reimpiego, con intento celebrativo, dellevestigia romane, lo conferma il progetto berniniano di “trasportare la colonna Traiana nella piazza incui è l’Antonina, e di fare due fontane cheriempissero tutta la piazza” che così sarebbedivenuta “la più bella di Roma”2.

Ma il rapporto con il passato gloriosonon si limitava né al semplice riuso di opereammirate né al loro appassionato studio – ilBernini affermò che il monumento eretto daTraiano era “opera degli uomini più grandiche mai siano stati”3 e che consultava “comesuo oracolo, l’Antinoo”4. Infatti, il legamecon l’antica Roma riguardava sia il pianoiconologico sia l’aspetto iconografico. Peresempio, nel gruppo raffigurante Enea eAnchise, Gian Lorenzo sovrappose, per voleredel cardinale Scipione Borghese, il temareligioso cristiano a quello storico-mitologico,facendo di Enea, padre dell’Impero romano,la metafora di Cristo fondatore della Chiesa,e conferendo maggiore rilievo, rispetto altesto dell’Eneide, al fuoco di Vesta recato daAscanio, allusivo della Carità cristiana5;inoltre, l’opera è stata interpretata come ilsimbolo dell’appoggio dato dal giovane prelatoal vecchio zio, papa Paolo V6. Mentre, ilDavid berniniano risulta raffigurato – aspetto,questo, che non mi pare sia stato mai notato –nelle vesti di un legionario che ha dismessouna duplici squama lorica (Verg., Aen. 9.707)per scagliare più agevolmente il sasso letalecon la funda (Caes., B.G. 5.35).

Salvatore Machì

Dei milites. Esempi di foggia militare romana nella scultura barocca siciliana

Fig. 1. Giovan Battista Firrera e Baldassare Pampillonia, San Lotarioimperatore, 1680-1690, marmo, chiesa dell’Immacolata Concezioneal Capo Palermo (foto Machì).

Al fenomeno non rimaseestranea la Sicilia tra la finedel XVII secolo e lo scorciodi quello seguente, comedimostrano alcuni esempi discultura barocca di soggettosacro.

A Palermo, tra il 1680e il 1690, Giovan BattistaFirrera e Baldassare Pampilloniaeseguirono la statua marmoreariproducente San Lotarioimperatore (fig. 1) per la chiesadell’Immacolata Concezione alCapo7; si tratta di Lotario I,ritiratosi nel convento di Prümil 23 settembre 8558.

Nell’effigie palermitanail figlio di Ludovico il Pioindossa non già le vesti di unmonarca medievale bensì quelledel princeps in guerra; infatti, ilpaludatus (Varr., De ling. Lat. 7.57)porta la tunica, probabilmente dicuoio, con pteryges9, il balteum(Caes., B.G. 5.44) e le caligae(Cic., Ad Att. 2.3.1), mentre lafrusta e il teschio, tenuti l’unanella mano destra e l’altro nellasinistra, alludono alla scelta divita monastica. Nell’ultimo quartodel Seicento il palermitanoGiovanni Marino firmò per lachiesa mazarese di Sant’Agostinoun simulacro marmoreo raffigu-rante San Michele Arcangelo(fig. 2), vivacizzato da unasensibile ricerca di tensionee dinamicità10.

Dal punto di vista iconografico, l’arcangelo viene rappresentato non solo nell’atto di uccidere ildrago-demonio, secondo il modello caro all’Occidente cristiano11, ma anche nei panni del ‘guerrieroromano’12; in effetti, ho rilevato che il suo equipaggiamento consta di una crista galea (Verg., Aen.9.50), che, seppur rivisitata baroccamente, deriva dal tipo ellenistico in uso nell’esercito romano dal IIsec. a.C. al IV sec. d.C.13, una corazza anatomica con pteryges, di caligae e pilum14; il gusto dell’artefice

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Fig. 2. Giovanni Marino, San Michele Arcangelo, ultimo quarto del XVII sec.,marmo, chiesa di Sant’Agostino, Mazara del Vallo (foto Machì).

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compare anche nellacaetra (Verg. Aen. 7.732)il cui orlo s’avviluppa involute.

Pur non essendogaleatus (Cic., Denat.deor. 1.100), il vigorosotuttotondo marmoreo,d’analogo soggetto scol-pito, a mio avviso, daVincenzo Vitagliano15

per la Colonna del-l’Immacolata, eretta aPalermo nel 172716,sfoggia una corazzaanatomica con pteryges,una Gorgo in pectore(Verg., Aen. 8.437-438)e brandisce una spatha,di cui erano dotati gliequites (Caes., B.G.5.10) durante la primaetà imperiale e tutti ilegionari nel bassoimpero17; inoltre, lafascia annodata allavita ne contraddistinguel’alto rango militare18;in tanta meticolosaricostruzione l’unica in-coerenza è rappresentatadallo scutum (Caes.,B.G. 2.21).

L’ancheggianteSan Michele Arcagelo(fig. 3) plasmato a rilievocon lo stucco, intorno alquarto decennio delSettecento, da Gabriele

Messina nella chiesa marsalese della Sacra Famiglia19 appare raffigurato come un vexillarius (Tac.,Hist. 1.41.1) con spada, vexillum (Caes., B.G. 2.20) ed elmo ‘ellenistico’.

La briosa statua marmorea, d’analogo soggetto (fig. 4), realizzata nel 1753 da Giovanni BattistaMarino20 all’interno della chiesa del Collegio a Caltanissetta, presenta, oltre a una crista galea cesellatacon motivi floreali, anche una ben tornita corazza anatomica con pteryges.

Fig. 3. Gabriele Messina, San Michele Arcangelo, quarto decennio del XVIII sec., stucco, chiesadella Sacra Famiglia, Marsala (foto Machì).

Dei milites. Esempi di foggia militare romana Salvatore Machì

In ossequio al Ripa,che voleva la Sapienza Divina“armata nel petto di corsaletto,e di cimiero in testa”21, nel1722 lo stuccatore ProcopioSerpotta22 dotò l’accattivantetuttotondo, riproducente taleallegoria, conservato nell’Ora-torio palermitano intitolato aSanta Caterina d’Alessandria,di crista galea, parma (Liv.2.20.10) e thorax (Verg., Aen.11.487) con Gorgone e motivifitomorfi lavorati a sbalzo.

Ma se le figure del-l’arcangelo Michele e dellaSapienza Divina sono senzatempo per cui il tipo diarmatura costituisce unascelta contingente, così nonè né per il franco Lotario Iné, tanto meno, per Davide,vissuto all’incirca tra il 1040e il 980 a. C.23. Infatti, honotato che il secondo red’Israele viene rappresentatonelle vesti del dux, dotato dicimiero ‘ellenistico’ finementeextusus (Verg., Aen. 8.665),corazza anatomica conpteryges, Gorgo in pectore,fascia alla vita e caligaedecorate con teste leonine,all’interno dei gruppi mar-morei, raffiguranti David eAchimelech e David e Abigail,scolpiti per il cappellone dellachiesa del Gesù a Palermo,il primo, entro il 1708,da Gioacchino Vitagliano,Baldassare Pampillonia ePietro Nucifora su disegno diAntonino Grano, il secondo(fig. 5), tra il 1706 e il 1709,

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Fig. 4. Giovan Battista Marino, San Michele Arcangelo, 1753, marmo, chiesa del Collegio,Caltanissetta (foto Machì).

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Fig. 5. Gioacchino Vitagliano, David e Abigail, 1706-1709, marmo, particolare, chiesa del Gesù, Palermo (foto Machì).

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dal Vitagliano, su disegno delcognato Giacomo Serpotta24.Anche i due David, plasmatidallo stuccatore palermitanoBartolomeo Sanseverino arilievo, il primo, nel 1766all’interno della chiesa delCollegio di Trapani e, ilsecondo (fig. 6), a tuttotondo,all’incirca nello stesso periodo,dentro la chiesa della Ganciaa Palermo25, ostentano unafoggia militare romana: inentrambi gli stucchi, sottol’esuberante paludamentum(Liv. 1.26.2) del re, caligatus(Suet., Vitell. 7.3), s’intravedela consueta corazza anatomicacon pteryges. Dal punto divista storico, ci si trova,dunque, come nel Davidberniniano e nel San Lotarioimperatore, di fronte ad unapalese incongruenza.

Il caso di Davide,comunque, non costituisce unepisodio isolato, dal momentoche altri Israeliti vengono,per così dire, reclutati nel-l’esercito romano: si trattadi quattro dei dodici santirappresentati a tuttotondo nel1754, su disegno di PaoloVasta, dal catanese GiovanBattista Marino nel sagratodella chiesa di San Sebastianoad Acireale26: sulla balaustra,procedendo da sinistra, ilprofeta Giona, Giosuè, il

sacerdote Eleazaro e il profeta Malachia27 (fig. 7) indossano un’armatura da legionario completa.Per di più, nel sito acese l’anomalia non è rappresentata soltanto dall’incompatibilità ‘etnica’ del lookdei quattro ma anche dall’incoerenza della tenuta militare – soltanto Giosuè fu un condottiero28 – conil ruolo storico di personaggi come Eleazaro29, Giona30 e Malachia31 insolitamente raffigurati comecombattenti.

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Fig. 6. Bartolomeo Sanseverino, David, 1766 ca, stucco, chiesa della Gancia, Palermo(foto Machì).

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Fig. 7. Giovan Battista Marino, Malachia, 1754, calcare, chiesa di San Sebastiano, Acireale (foto Machì).

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Fig. 8. Ignazio Marabitti, San Vito, 1771, marmo, piazza della Repubblica, Mazara (foto Machì).

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Dei menzionati dodicisanti fa parte anche unnerboruto San Cristoforo:il gigante cananeo vissuto nelIII sec. d.C., anziché esserediscinto, come di consueto32,porta stranamente una corazzaanatomica con pteryges.

Un ulteriore caso,anche se più diffuso, diarruolamento tra le file deisoldati romani è costituitoda San Vito, vissuto sottoDiocleziano33. Infatti, aMazara del Vallo, in cui ilmartire vide la luce34, èpossibile ammirare duesimulacri marmorei del santo:il primo (fig. 8), scolpitoda Ignazio Marabitti, venneeretto dentro il ‘foro’ – orapiazza della Repubblica – nel1771; il secondo (fig. 9),uscito dallo scalpello delpalermitano Filippo Pennino,venne collocato nel presbite-rio della chiesa di San Vito aMare il 20 maggio 178435.

Il vibrante San Vitomarabittiano – l’artefice sog-giornò a Roma un lustro36 –tradisce non solo nell’equi-paggiamento (vedi corazzaanatomica con pteryges, fasciaalla vita e caligae) ma anchenella posa, nell’equilibrio deivolumi e nella purezza del profilo una chiara derivazione dalle statue degli imperatori; solo l’andamentostudiato del paludamentum rivela la cultura barocchetta del Marabitti: l’atteggiamento è quello tipicodell’imperator, ma, anziché limitarsi a salutare la folla levando semplicemente il braccio destro, ilvittorioso dux cristiano ostenta la croce, con cui ha prevalso sul peccato, e tiene, nella mano sinistra, ilvangelo in luogo della lancia, a testimoniare che il suo potere si fonda non sulla forza bensì sulla lieta novella.Del resto, non manca nell’iconografia cristiana l’assimilazione di una figura sacra all’imperatore, comemostra il mosaico, rappresentante il Christus Imperator (494-520 ca.), ubicato nella cappella Arcivescoviledi Ravenna: Gesù loricato e paludato regge con la mano destra la croce e tiene nella sinistra il vangelo37.

Dei milites. Esempi di foggia militare romana Salvatore Machì

Fig. 9. Filippo Pennino, San Vito, 1784, marmo, chiesa di San Vito a Mare, Mazara(foto Machì).

L’inarcato ed estatico San Vito del Pennino incarna, invece, il modello iconografico del baroChristi38: il caligatus combattente di Cristo indossa una lorica squamata, in dotazione ai legionari distanza sui fronti europei nel II e III sec. d.C.39, e porta a tracolla il balteum.

La singolarità delle menzionate effigi del martire mazarese consiste nell’infondatezza storica ditali raffigurazioni, considerato che Vito visse appena sette anni prima di essere ucciso, presso il fiumeSele, assieme al suo pedagogo, Modesto, e alla sua nutrice, Crescenzia, che con lui condividevano lafede cristiana40.

Infine, un minuzioso quanto preciso esempio di equipaggiamento militare romano è godibile nelgruppo marmoreo firmato dal Marabitti nel 178641, riproducente San Martino e il povero, ubicatonell’Abbazia di San Martino delle Scale presso Palermo. Il santo, coerentemente con le sue vicendeterrene (visse nel IV sec. d.C. e fu ufficiale dell’esercito romano)42, viene raffigurato come un eques contanto di crista galea, assimilabile al tipo ‘Intercisa’ in dotazione ai milites tra il III e il V sec.43, corazzaanatomica con pteryges, fascia annodata alla vita, caligae, ornate di teste leonine, mentre taglia con unaspada dall’elsa adorna di una testa aquilina il suo sagulum (Caes., B.G. 5.42).

Ma come spiegare un fenomeno iconografico così diffuso? Si tratta di un mero gusto dell’antico,di una predilezione per le citazioni archeologiche oppure di un uso strumentale e ideologico, da partedella committenza, della foggia militare romana per celebrare il trionfo della Chiesa cattolica attraversoi campioni della fede?

Certamente la diffusa consuetudine fra gli artisti di cultura sia barocca sia classicistica di studiarele sculture della Roma antica via via venute alla luce – come testimoniano, ad esempio, i disegni delBatoni riproducenti il Sarcofago Ludovisi44 – non basta a spiegare le ragioni di siffatte raffigurazioni.

Una chiave di lettura mi viene suggerita da due epigrafi poste rispettivamente nelle menzionatechiese di San Sebastiano e di San Vito a Mare.

Nell’angolo sinistro della facciata del tempio acese si legge all’interno di una targa: D.T.V. /INVICTISSIMO / DVCI ILLVSTRISSIMO / BIMARTyRI FIDEI / DEFENSORI SEBASTIANO / ACISPATRONO / INCLyTA SOCIETAS / D.D.D. / 1705; alla luce di ciò, i suddetti Giona, Giosuè, Eleazaro,Malachia e San Cristoforo potrebbero essere interpretati come i legionari della schiera comandatadall’invitto duce e difensore della fede, San Sebastiano, cui è intitolata la chiesa.

La seconda lapide, ubicata sul fianco sinistro dell’edificio mazarese ricostruito nel 1776 pervolontà del vescovo Ugone Papè45, così recita: VITE BARO CHRISTI QUI COELICA REGNA PETISTI/ VRBS TVA MAzARA CLEMENTER SIT TIBI CARA / NE SVBITA MORTE PEREAMVS CVM LABE /NE CANVM RABIE PRAESVL ADESTO PIE; Vito, dunque, è definito con un termine della tarda latinità,baro, combattente di Cristo che aspira alla conquista dei regni celesti (peto è termine militare che vuoldire ‘prendo la mira’).

Essendo l’effigie una forma di comunicazione, costituendo essa stessa un messaggio visivo, chetrova, a mio avviso, la sua ragion d’essere nel triangolo committente-autore-destinatario, il quale ladetermina nei suoi elementi formali e contenutistici, è possibile che concorrano a determinare i tipiiconografici in questione sia la volontà celebrativa della committenza sia la vena erudita degli artefici.

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Note

1 Ripa 1618, pp. 432-433.2 La notizia di questo progetto è riportata nel diario di Paul Fréar de Chantelou, compagno del Bernini durante il soggiorno

francese (1665) dell’artista italiano. Fréar de Chantelou 1988, p. 74.3 Ibid.4 Fréar de Chantelou 1988, p. 139.5 Ulivi 2002, pp. 117-118.6 Montanari 2004, p. 66.7 Scuderi 2003, pp. 35, 39.8 www.santibeati.it.9 Connolly 1998, p. 229.

10 Machì 2007, pp. 420-421.11 Giorgi 2004a, p. 132.12 Mara 1967, p. 443.13 Connolly 1998, pp. 227, 260.14 Ibid., pp. 228-234.15 Il simulacro di San Michele arcangelo, ubicato alla base della colonna dell’Immacolata a Palermo, è ascritto a Giovan Battista

Ragusa (La Barbera 2006, p. 261). Confrontando la statua col tuttotondo marmoreo, raffigurante Sant’Uriele arcangelo, firmatoda detto scultore per il medesimo monumento (Salvo Barcellona 1971, pp. 266-267), ho notato una netta diversità di mano,invece ho rilevato delle forti affinità stilistico-formali tra detto San Michele e i due simulacri, pure di marmo, riproducenti SanGabriele arcangelo e San Raffaele arcangelo, firmati e datati (1753) da Vincenzo Vitagliano per la Cattedrale di Caltanissetta(Sola 2005, p. 33): in particolare, analoghi risultano il mosso panneggio, il modellato delle ali e delle chiome, infine l’espressionesevera delle tre creature celesti; alla luce di ciò, attribuisco al Vitagliano il San Michele in questione.

16 Vedi Villabianca 1988, p. 88.17 Connolly 1998, pp. 236, 260.18 Ibid., p. 229.19 Machì 2008, pp. 19, 42, n. 120.20 Il confronto formale e culturale tra il San Michele arcangelo e la statua marmorea, ubicata nella chiesa nissena del Collegio,

raffigurante l’Immacolata, di cui ho scoperto la firma e la data (sulla base si legge: ioannes baptista / marino sculptorpanormitanus 1753), mi ha fatto rilevare la presenza di analoghi stilemi in entrambe le opere; inoltre, il tuttotondo riproducentel’arcangelo presenta delle analogie morfologiche con le 12 statue che Giovanni Battista Marino realizzò, su disegno di PaoloVasta, nel 1754 per il sagrato della chiesa di San Sebastiano ad Acireale; per cui ritengo ragionevole attribuire l’ancheggiantesimulacro dell’arcangelo al medesimo artefice dell’Immacolata e indicare come anno d’esecuzione quello stesso 1753 in cuivide la luce il simulacro mariano.

21 Ripa 1618, p. 394.22 Meli 1934, II, pp. 74, 211-212.23 De Capoa, 2004b, p. 76.24 Garstang 1990, pp. 270-271.25 Machì 2008, pp. 24-27.26 Pisani 1958, p. 37.27 Sui rispettivi piedistalli sono leggibili le seguenti iscrizioni: jona[s] prop[heta], josue, eleazer sacerdos, malachia propheta.28 Cardinali 1965, pp. 553-554; Sisti 1965, pp. 549-553.29 Spadafora 1964, p. 985; Boudart 1995, p. 464.

Dei milites. Esempi di foggia militare romana Salvatore Machì

30 De Capoa 2004a, pp. 186-187.31 Colafranceschi 1967, p. 576; Spadafora 1967, pp. 570-576.32 Giorgi 2004b, pp. 87-89.33 Amore 1969, pp. 1244-1245.34 Pisciotta 2004, p. 271.35 Per entrambe le opere vedi Machì 2008, p. 21.36 Machì 2008, pp. 43-45, n. 131.37 Schatz 1997, pp. 138-139.38 Manzo 2004, p. 265.39 Bishop, Coulston 1993, p. 40; Brizzi 2002, p. 173.40 Amore 1969, pp. 1244-1245.41 Fittipaldi 1976, p. 86.42 Giorgi 2004c, p. 72.43 Bishop, Coulston 1993, pp. 167-172.44 Palma 1983, pp. 137-138.45 Pisciotta 2004, p. 273.

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MNEME 1

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Dei milites. Esempi di foggia militare romana nella scultura barocca siciliana

The great fame of the ancient Roman army goes beyond the fall of the Western Roman Empire.It even inspires Christian iconography. The Catholic-Reformation Church represents its heroes as‘Soldiers of Christ’ or ‘Soldiers of God’. Did anyone ever notice that Bernini’s warlike David has justtaken off a proper legionary armor, which is laying at his feet (while he gets ready to throw his deadlystone with a funda, an ancient Roman weapon)?

Many statues made in Sicily between the XVII and the XVIII century portray saints as ancientRoman soldiers. From the Archangel Michele to the Emperor Lotharios, from King David to the prophetMalachi, from the Sicilian Saint, Vitus, a puer, to the brawny Cristopher, they all seem as part of arenewed, ancient Roman army, ready to battle for the glory of God.

Salvatore Machì[email protected]

MNEME 1 Quaderni dei Corsi di Beni Culturali e Archeologia

Finito di editareDipartimento Culture e Società

Università di Palermo Dicembre 2016

Mneme. quaderni dei Corsi diBeni Culturali e Archeologia

Dipartimento Culture e SocietàUniversità degli Studi di Palermoviale delle Scienze, Edificio 15 - 90128 Palermo

ISSN 2532-1722 - ISBN 978-88-943324-0-7

www.unipa.it/dipartimenti/beniculturalistudiculturali/riviste/mneme