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UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI CAGLIARI FACOLTÁ DI SCIENZE POLITICHE Classe XIX – Laurea in Scienze dell'Amministrazione CORSO DI LAUREA IN AMMINISTRAZIONE GOVERNO E SVILUPPO LOCALE LA COOPERAZIONE EUROPEA TRA SEGRETO BANCARIO E LOTTA AL RICICLAGGIO Relatore: Tesi di Laurea di: Prof. Filippo Rau Michela Cardone ANNO ACCADEMICO 2010 - 2011

MICHELA CARDONE

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La cooperazione europea tra segreto bancario e lotta al reciclaggio

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UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI CAGLIARI

FACOLTÁ DI SCIENZE POLITICHEClasse XIX – Laurea in Scienze dell'Amministrazione

CORSO DI LAUREA IN AMMINISTRAZIONE GOVERNO E SVILUPPO LOCALE

LA COOPERAZIONE EUROPEATRA SEGRETO BANCARIO E

LOTTA AL RICICLAGGIO

Relatore: Tesi di Laurea di:Prof. Filippo Rau Michela Cardone

ANNO ACCADEMICO 2010 - 2011

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Alla mia famiglia,

ai miei amici più cari,

a me stessa.

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La legge è la ragione libera dalla passione

Aristotele

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UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI CAGLIARI

FACOLTÁ DI SCIENZE POLITICHEClasse XIX – Laurea in Scienze dell'Amministrazione

CORSO DI LAUREA IN AMMINISTRAZIONE GOVERNO E SVILUPPO LOCALE

LA COOPERAZIONE EUROPEATRA SEGRETO BANCARIO E

LOTTA AL RICICLAGGIO

Relatore: Tesi di Laurea di:Prof. Filippo Rau Michela Cardone

ANNO ACCADEMICO 2010 - 2011

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Indice

INTRODUZIONE.....................................................................................................Pag. 1

Capitolo IIL SEGRETO BANCARIO

1.1. - Il problema del fondamento giuridico. Il dibattito in dottrina.........................Pag. 4 1.1.1. - Il segreto bancario nell'art. 10 della legge bancaria.............................. >> 5 1.1.2. - Segreto bancario come segreto professionale. Le diverse scuole di

pensiero................................................................................................. >> 7 1.1.3. - La tutela del risparmio mediante l'istituto del segreto bancario............ >> 7 1.1.4 - Il segreto bancario quale clausola di correttezza tra le parti di un

contratto................................................................................................. >> 8 1.1.5. - La fonte primaria del segreto bancario.................................................. >> 91.2. - Il segreto bancario: evoluzione normativa...................................................... >> 10 1.2.1. - Prime disposizioni in materia di segreto bancario nella normativa

fiscale agli inizi del Novecento. Cenni................................................. >> 11 1.2.2. - La riforma tributaria del 1971............................................................... >> 11 1.2.3. - Le novità introdotte dalla legge 30 dicembre 1991, n. 413 e dalla

legge 28 dicembre 1995, n. 549............................................................ >> 12 1.2.4. - La legge di bilancio del 2005 in materia di indagini finanziarie.......... >> 14

Capitolo IIIL DELITTO DEL RICICLAGGIO

2.1. - Definizione del concetto di riciclaggio...................................................................Pag. 182.2. - L'evoluzione normativa.................................................................................. >> 182.3. - L'attuale normativa antiriciclaggio................................................................. >> 21 2.3.1. - Limitazione all'uso dei contanti e ai titoli al portatore......................... >> 22 2.3.2. - Gli obblighi di segnalazione: gli adempimenti a carico dei

professionisti........................................................................................ >> 25 2.3.3. - Modelli e schemi rappresentativi di comportamenti anomali.............. >> 26 2.3.4. - Istruzioni per la compilazione delle segnalazioni riguardanti

operazioni sospette............................................................................... >> 302.4. - Internet e riciclaggio...................................................................................... >> 33

Capitolo IIILA COOPERAZIONE FISCALE INTERNAZIONALE:

IL PANORAMA EUROPEO

3.1. - I primi passi nella costituzione del quadro normativo europeo......................Pag. 35 3.1.1. - La Convenzione di Vienna.................................................................... >> 35 3.1.2. - La Dichiarazione di Basilea.................................................................. >> 37 3.1.3. - La Convenzione di Strasburgo del 1990............................................... >> 38 3.1.4. - La Convenzione di Palermo.................................................................. >> 39

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3.2. - Verso la definizione di una disciplina giuridica globale.................................Pag. 40 3.2.1. - La Raccomandazione n.80/10............................................................... >> 41 3.2.2. - La I Direttiva Comunitaria.................................................................... >> 41 3.2.3. - La II Direttiva Comunitaria.................................................................. >> 44 3.2.4. - La III Direttiva Comunitaria................................................................. >> 463.3. - La cooperazione internazionale. Dalle 40 Raccomandazioni alla nuova

Convenzione del 10 marzo 2010.................................................................... >> 47 3.3.1. - La Financial Action Task Force o Gruppo di azione finanziaria.......... >> 48 3.3.2. - Nuove prospettive di collaborazione: il G-20 di Londra...................... >> 51 3.3.3. - La svolta nel quadro cooperativo internazionale: l'accordo tra

l'OCSE e il Consiglio d'Europa............................................................ >> 52

CONCLUSIONI................................................................................................................Pag. 55

BIBLIOGRAFIA...............................................................................................................Pag. 57

RIVISTE...................................................................................................................Pag. 59

FONTI TELEMATICHE..................................................................................................Pag. 61

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INTRODUZIONE

Il segreto bancario è conosciuto e praticato nella maggior parte dei Paesi del mondo. Alcuni di questi riservano all'istituto una dettagliata previsione, altri invece si limitano a disciplinarlo ricorrendo alla prassi giurisprudenziale, contrattuale o bancaria.

Le diverse esperienze maturate a livello internazionale fanno ritenere che il segreto bancario si renda necessario ed indispensabile al fine di tutelare il diritto di riservatezza nella gestione e nel trattamento di notizie ed informazioni acquisite nel corso di operazioni poste in essere con le banche anche se, in sempre più frequenti casi, ad esse si ricorre al fine di favorire il riciclaggio di denaro “sporco” e la realizzazione di ingenti evasioni fiscali e rendere possibile, quindi, il trasferimento e la gestione off-shore di illecite attività finanziare in modo più redditizio. A questo si aggiunge la estrema prontezza con la quale le organizzazioni malavitose riescono ad evolversi ed adeguarsi al sistema finanziario internazionale, riuscendo, in maniera sempre più facile e arguta, ad occultare i frutti dei propri delitti.

La presenza di Stati confinanti o di enclave dediti alla cattura del risparmio estero agevola anche il persistere di forme meno sofisticate, ma egualmente efficaci, di riciclaggio, quali il trasferimento fisico di denaro contante, o titoli al portatore o di altri valori che garantiscano l'anonimato. Altro elemento importante da sottolineare è il progresso tecnologico, infatti, la maggior parte dei movimenti finanziari, oggi si realizza appunto tramite i canali telematici, quali Internet, tanto che ormai si parla anche di paradisi fiscali virtuali, che hanno dimezzato i tempi per il trasferimento dei fondi in qualsiasi direzione si voglia senza che rimanga traccia alcuna del contribuente.

La possibilità di dislocare tra diverse giurisdizioni le distinte fasi nelle quali si articola il riciclaggio pone, a livello internazionale, rilevanti problemi di determinazione e rispetto delle regole, nonché di collaborazione tra le autorità dei diversi Paesi interessati. A riguardo, l'ultimo passo decisivo verso una collaborazione proficua tra gli stati dell'Unione Europea è stato compiuto con l’adozione, da parte dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico e del Consiglio d’Europa, del Protocollo di modifica della Convenzione sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale1 del 1988 prevedendo standards di trasparenza e disciplinando lo scambio di informazioni ampiamente riconosciuti ed accettati a livello internazionale. Lo scopo è essenzialmente quello di consentire a ciascuno Stato contraente di combattere i delitti al patrimonio, derogando al segreto bancario nelle fattispecie previste, e di applicare più efficacemente la legislazione interna in materia, nel rispetto, allo stesso tempo, dei diritti del contribuente.

1 Sottoscritta a Strasburgo il 25 gennaio 1988, sotto l'egidia congiunta del Consiglio d'Europa e dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). L'accordo internazionale è entrato in vigore il 1° aprile del 1995.

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Capitolo I

IL SEGRETO BANCARIO

Il termine segreto bancario costituisce senza dubbio una formula che riscuote grande successo, sia in termini di diffusione, che in termini di ricorrenza, anche nel linguaggio dei nostri giorni. Economisti, politici, studiosi, addetti ai lavori vi fanno spesso riferimento, pur esprimendo posizioni contrarie in ordine alla stessa definizione e fondamento. La dinamica dei rapporti economici e l'attuale assetto creditizio hanno contribuito ad enfatizzare ancora di più l'aspetto collegato alla natura ed alla tutela delle relazioni che intercorrono tra le banche, cuore e luogo di transito dei flussi finanziari, e i suoi utenti. Il segreto bancario rappresenta uno degli istituti del nostro ordinamento sul quale si accentua maggiormente da sempre l'attenzione di parte non soltanto degli esperti e degli operatori del settore ma, per ragioni diverse, anche degli estranei dell'ambiente creditizio, in quanto tutti nel momento in cui vengono in contatto con una banca, ne sono di conseguenza coinvolti e personalmente interessati.

Le informazioni relative alla sfera finanziaria di ogni individuo hanno, per la loro stessa natura, carattere prettamente personale ed è, quindi, del tutto normale che siano trattate come strettamente confidenziali. In questa dimensione, si colloca il riscontro storico della evoluzione del modus operandi del banchiere, basato sul rigoroso rispetto della confidenzialità del rapporto con il cliente2. Tale comportamento si è consolidato nel tempo, quale espressione concreta di norme morali e di costume, applicate in maniera talmente costante ed uniforma da divenire un comportamento giuridicamente rilevante per la collettività.

I primi riferimenti all'istituto de quo si rivengono nell'antica Babilonia, in particolare nel Codice di Hammurabi, che costituisce la prima raccolta organica di leggi a noi pervenute. In esso viene definito il ruolo del banchiere e si prevede anche che, in determinate situazioni, egli possa derogare ai segreti cui è depositario3

Prime tracce di segreto bancario si rinvengono all'epoca degli antichi greci, i quali prevedevano l'assenza di testimoni durante l'attività di trapeziti4. Con l'avvento del Medio Evo, si è prodotto un consolidamento del principio di segretezza come conseguenza della progressiva istituzionalizzazione dell'attività bancaria. In vari scritti dell'epoca medioevale5 prevalentemente di autori fiorentini, si possono leggere esortazioni al rispetto di un assoluto riserbo nella conduzione degli affari: un uso costantemente osservato dai banchieri6, al fine di garantire il massimo riserbo sui prestiti che concedevano a favore di mercanti, signori e governanti. Infine, anche il settore dei monti di credito su pegno era permeato di riservatezza, conseguenza dell'esigenza di salvaguardare le operazioni effettuate con i clienti.

Per una compiuta disciplina del segreto bancario bisogna giungere all'epoca moderna attraverso passaggi graduali. In particolare, fu nei secoli XVII e XVIII che il segreto bancario cominciò a divenire oggetto, in diversi Paesi europei, di una vera e

2 D. CORRIDORE, Appunti sulle origini del segreto bancario, in Economia e banca, Anno IX.3 D. CONTINI, R. LENZI, F. VEDANA, Il segreto bancario e fiduciario in Italia e all'estero, EGEA,

2008, p. 17 e ss.4 Così chiamati coloro che svolgeno l'attività di cambia monete su apposti banchi chiamati trapeza.5 Anonimo Fiorentino, Consigli sul commercio, Firenze 1872.6 Il termine compare per la prima volta nel XII secolo.

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propria disciplina legislativa, fino ad arrivare al secolo XVIII, periodo cruciale per quanto attiene, appunto, all'evoluzione in campo giuridico di tale istituto. In Italia si riscontrano le prime tracce della disciplina negli statuti delle prime banche7, che prescrivevano espressamente l'obbligo del mantenimento del segreto nei rapporti della clientela.

Nell'ambito dottrinale vi è, da sempre, una costante attenzione riguardo l'istituto de quo, data la trasversalità della materia che investe molteplici profili d'interesse. Allo stesso tempo vi sono orientamenti non sempre unanimi circa il riconoscimento normativo, l'effettivo contenuto e i limiti che esso contiene.

1.1. Il problema del fondamento giuridico. Il dibattito in dottrina

Pur mancando nel nostro ordinamento una precisa definizione legislativa8, l'espressione comunemente apprezzata individua nel segreto bancario quel vincolo gravante sugli istituti di credito che richiede l'adozione di particolari forme di riservatezza e di tutela intorno agli affari del cliente9. Il vincolo si costituisce, dal momento in cui il cliente affida alla banca, la conoscenza di notizie circa la propria situazione finanziaria e patrimoniale e implica, che ogni diffusione illegittima di informazioni sui suoi conti, ovvero qualsiasi conferma dell'esattezza dei dati relativi ad essi, a un terzo che non vi abbia titolo, ovvero a terzi che chiedano di conoscere tali informazioni per meglio tutelare le proprie ragioni in sede giudiziaria, rappresenta una illegittima divulgazione del segreto bancario. Solo il cliente unico detentore del segreto, può liberare la banca dall'obbligo di discrezione, permettendole di rivelare informazioni protette. Ed è proprio nel conflitto tra l'interesse del cliente al riserbo sulle notizie e sugli affari che lo riguardano e l'interesse dei terzi, siano essi pubblici o privati, alla conoscenza dei medesimi, si coglie l'aspetto fondamentale della problematica inerente il segreto bancario10: da un lato abbiamo la ragionevole premura della clientela di custodire quanto si riferisce alla propria sfera privata, dall'altro, abbiamo, invece, l'esigenza da parte di terzi di conoscere dettagliatamente la situazione economica dei singoli qualora s'intenda stabilire con essi dei rapporti aventi dei riflessi di carattere, appunto, economico. Al centro, si pone la banca quale depositaria di notizie sensibili.

Sul piano dottrinale, vi è tra gli interpreti un accordo piuttosto diffuso circa la effettiva sussistenza del segreto bancario e il riconoscimento di un conseguente precetto giuridico di comportamento da parte degli istituti di credito. E', infatti, comunemente accettato che le aziende di credito sono tenute a mantenere il più stretto riserbo in ordine alle operazione poste in essere dai clienti, non per mera compiacenza, bensì in osservanza di un puntuale obbligo giuridico. La difficoltà di riuscire a dare una definizione sufficientemente precisa, ma al contempo, esauriente del segreto bancario è avvertita diffusamente fin dalle origini della riflessione sul tema tanto che il giudice Bankes nel caso Tournier v. National Provincial and Union Bank of England11, afferma:

7 Tra le quali il Banco di Sant'Ambrogio fondato nel 1593.8 R. SCHIAVOLIN, voce Segreto bancario, in Digesto, Discipline Privatistiche, Sez. comm., XIII,

Torino, 1996, p. 354.9 F. TOSCANO, R. RAZZANTE, Il segreto bancario nelle indagini tributarie ed antiriciclaggio,

Giuffrè, Milano 2002, p. 14 e ss.10 A. DI AMATO, Il segreto bancario, Ed. Scientifiche italiane, Camerino 1979.11 Tournier -v- National Provincial and Union Bank of England [1924] 1 K.B. 461; [1923] All ER Rep

550; 130 LT 682, http://www.swarb.co.uk.

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“It is not possible to frame any exhaustive definition of the duty of secrecy”12.Sul piano sostanziale, emergono però difficoltà, nel momento in cui si richiede di

individuale con esattezza la base normativa del suddetto obbligo, in modo da dirimere ogni difficoltà sul modo di procedere in seno alla banca, qualora le siano richieste informazioni sensibili sul cliente, ovvero sia chiamata a deporre in giudizio, o sia sollecitata dal fisco.

A causa delle diversità di opinioni e della labilità normativa dell'istituto de quo, è venuta a formarsi una vasta gamma di elaborazioni di pensiero e, dunque, gli sforzi profusi nel tempo dalla dottrina nel tentativo di individuare un fondamento specifico non hanno condotto a una conclusione unanimemente condivisa.

Per queste ragioni, gli orientamenti assunti in dottrina hanno, di volta in volta, individuato la fonte normativa di tale vincoli di discrezione:

• nell'art. 10 del r.d.l. 12 marzo 1936, n. 375, convertito con modificazioni dalla legge 7 marzo 1938, n. 141 - c.d. Legge bancaria – successivamente ripreso dall'art. 7 del d.lgs. 23 agosto 1993, n. 385 – Testo Unico delle Leggi in materia bancaria – che prevede l'operatività del segreto d'ufficio rispetto a tutte le notizie e le informazioni o i dati riguardanti le aziende di credito, anche nei riguardi della Pubblica Amministrazione;

• nell'art. 622 c.p., che contempla la disciplina sanzionatoria applicabile nei casi di violazione del segreto professionale;

• nell'art. 47 della Costituzione, con riferimento all'esistenza di una generale necessità di tutela di risparmio in tutte le sue forme;

• nell'art. 1175 c.c., in tema di obbligo di reciproca correttezza che vincola tutte le parti coinvolte in rapporti di natura contrattuale;

• nella sentenza della Corte di Cassazione n. 2147 del 18 luglio 1975 e n. 51 del 3 febbraio 1992, definendo il segreto bancario come quel dovere di riserbo cui sono tradizionalmente tenute le imprese bancarie in relazione alle operazioni, ai rapporti ed alle posizioni concernenti gli utenti dei servizi da esse erogati. A tale dovere non corrisponde nei singoli clienti delle Banche una posizione giuridica soggettiva costituzionalmente protetta, né un diritto della personalità, poiché la sfera di riservatezza con la quale vengono circondati i conti e le operazioni degli utenti dei servizi bancari è direttamente strumentale all'obiettivo della sicurezza e del buon andamento dei traffici commerciali.

1.1.1. Il segreto bancario nell'art. 10 della legge bancaria

In assenza di disposizioni puntuali sul fondamento del segreto bancario, in passato13 si è ritenuto di poter individuare la fonte del segreto bancario nell'art. 10 del r.d.l. 12 marzo 1936, n. 375, convertito con modificazione dalla legge 7 marzo 1938, n. 141 - c.d. legge bancaria - trovando solide argomentazioni nella lettura dello stesso, che così recita:

Tutte le notizie, le informazioni o i dati riguardanti le aziende di credito sottoposte al controllo dell'Ispettorato sono tutelati dal segreto d'ufficio anche nei riguardi delle pubbliche amministrazioni.

12 G. DE FALCO, Segreto bancario: morte o resurrezione?, Rivista di diritto bancario, 2009.13 G. RUTA, Il fondamento del segreto bancario nel sistema della legge bancaria, in Banca, borsa e

titoli di credito, 1964.

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I funzionari dell'Ispettorato nell'esercizio delle loro funzioni sono considerati pubblici ufficiali: essi hanno l'obbligo di riferire esclusivamente al Capo dell'Ispettorato tutte le irregolarità constata anche quando assumano la veste di reati.

I funzionari e tutti i dipendenti dell'Ispettorato sono vincolati dal segreto d'ufficio.

Dobbiamo, in primo luogo, operare una distinzione tra il primo comma e il secondo e terzo, in quanto questi ultimi due sono una particolare previsione del segreto d'ufficio posto a carico dei funzionari preposti alle operazioni di vigilanza e controllo sull'attività degli istituti di credito, conferendo, quindi, un diverso significato al primo comma nel quale è stato rinvenuto il fondamento giuridico del segreto bancario. In questa direzione, va osservato che questo orientamento è confermato dalla collocazione dell'art. 10 nel Titolo I della legge bancaria, quindi fra le Disposizioni generali, al fine di raggiungere due obiettivi, in quanto da un lato vincola al segreto d'ufficio i funzionari ed i dipendenti dell'Organo di Vigilanza, e dall'altro enuncia regole di ordine generale a tutela del segreto bancario. Infatti, se così non fosse stato collocato, esso avrebbe fatto parte del Titolo II della legge bancaria nel quale si disciplina l'ordinamento dell'Organo Vigilanza14.

E' stato, inoltre, rilevato che l'espressione tutte le notizie, le informazioni e i dati riguardanti le aziende di credito, così citata al comma 1, art. 10 dev'essere letta nel senso di considerare l'obbligo di riservatezza esteso sia alle notizie ed alle informazioni sulle banche, sia a quelle acquisiste da queste ultime sul conto della propria clientela, con l'obiettivo dunque di tutelare qualsivoglia dato nella disponibilità di un'azienda di credito.

Adoperando una più attenta lettura dell'art. 10, si evince come nel citato comma 1 si reciti che l'insieme delle informazioni e dati sono tutelati dal segreto, a differenza del verbo utilizzato nel comma 3 dello stesso articolo nel quale invece si parla di vincolo. L'impostazione che si è voluta dare deriva dal fatto che, mentre, nel secondo caso il vincolo al segreto d'ufficio è la naturale conseguenza giuridica del fatto che i funzionari alla vigilanza sono investiti del titolo di pubblici ufficiali15, nel primo caso il fine ultimo è invece quello della tutela e difesa del risparmio, quale obiettivo fondamentale di tutta la legislazione bancaria. Non deve trarre, comunque, in inganno la dicitura segreto d'ufficio, in quanto servirebbe soltanto ad evidenziare il suo collegamento con il dovere devoluto alle aziende di credito, e non perché i destinatari debbano essere investiti necessariamente della qualifica di pubblici ufficiali. Secondo la corrente critica, appare del tutto inappropriato l'ascrizione del segreto bancario con quella d'ufficio, in quanto pare che quest'ultimo sia collegato alla persona fisica che ricopra l'ufficio, quindi i destinatari non potrebbero essere le banche ma i loro dipendenti.

Elemento nuovo nel dibattito arriva con l'emanazione del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, nel quale all'art. 7 si riscontra la formulazione secondo cui le notizie acquisite dalla Banca d'Italia sono coperte dal segreto d'ufficio in ragione della sua attività di vigilanza, anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni, e che i suoi dipendenti sono pubblici uffici con l'obbligo di riferire, esclusivamente, al Governatore tutte le irregolarità riscontrate. Appare chiaro, che il decreto vuole tutelare i dati acquisiti dai funzionari nell'ambito delle attività di controllo coprendoli con il segreto

14 F. TOSCANO, R. RAZZANTE, Il segreto bancario nelle indagini tributarie ed antiriciclaggio, Milano, Giuffrè, 2002, p. 18 e ss.

15 Articolo 7, primo comma, del Dlgs 1° settembre 1993, n. 385, recante il Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia.

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d'ufficio, opponibile anche alle pubbliche amministrazioni.

1.1.2. Segreto bancario come segreto professionale. Le diverse scuole di pensiero

E' prassi comune di una parte della dottrina16 quella di annoverare il segreto bancario nella categoria del segreto professionale, divenendo la sua fonte primaria, imposto dall'art. 622 del Codice penale in base al quale Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione, o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, ... Il delitto è punibile a querela della persona offesa.

E' stato evidenziato che tale disposizione è meramente sanzionatoria e dunque presuppone la presenza di una norma extrapenale che qualifichi come segreta una determinata notizia17

Una corrente opposta riterrebbe, invece, di dover intendere per segreto professionale non soltanto quello del professionista, ma, anche, quello relativo all'esercizio di determinate attività: l'interesse protetto non è soltanto, l'interesse del singolo, ma è interesse anche dell'imprenditore coprire di discrezione i rapporti con i terzi, che data la particolare natura della sua attività che esige il rispetto delle confidenze, risulta essenziale per la conservazione della sua fiducia. Proprio in questa direzione, si configura il particolare rapporto tra il cliente ed il banchiere, il quale viene messo nella condizione di conoscere notizie particolarmente precise, non soltanto in ordine al tipo di affari del primo, ma anche il suo carattere e aspetti importanti della vita privata, assumendo in ultima istanza la qualità di confidente, il tutto culminante in un legame di reciproco affidamento18.

L'aspetto critico qui rilevato è che la figura del fedele confidente mal si adatta alla struttura organizzativa articolata come quella della banca, la quale ha perduto nel tempo il carattere di esercizio individuale, rimasto a quelle attività che si imperniano sull'opera del singolo, per assumere quello più vasto e complesso di azienda per l'esercizio del credito, in cui la figura del singolo scompare19 Quindi, il tentativo di ricondurre la fattispecie nello schema del segreto professionale sembra debba venir meno di fronte all'obiezione che tale citata norma, contenuta nell'art. 622 del Codice penale, presuppone un attività individuale e professionale, mentre quella bancaria fa' capo ad un ente a carattere imprenditoriale.

1.1.3. La tutela del risparmio mediante l'istituto del segreto bancario

Si è sostenuto che l'art. 47 della Costituzione – La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme – promuovesse l'esercizio del credito e di tutti gli strumenti in grado di sostenerne il potenziamento, tra i quali possiamo includere il segreto bancario. In questa ottica è dunque indiscutibile il ruolo del settore bancario,

16 A. CRESPI, La tutela penale del segreto, Palermo, Priulla, 1952.17 C. PEDRAZZI, Aspetti penali e processuali del segreto bancario, in M. ROMANO, La responsabilità

penale degli operatori bancari, Bologna, il Mulino, 1980.18 F. TOSCANO, R. RAZZANTE, Il segreto bancario nelle indagini tributarie ed antiriciclaggio,

Milano, Giuffrè, 2002, p. 23 e ss.19 G. MOLLE, I contratti bancari, Milano, 1981.

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protagonista in un sistema di sviluppo del sistema economico e produttivo20. In tempi storici, la Commissione economica dell'Assemblea Costituente ritenne

addirittura opportuno che l'istituto fosse sancito nella stessa Costituzione, quale incoraggiamento nella formazione del risparmio nazionale rispondendo a finalità pubbliche di protezione del sistema creditizio. Nonostante il parere della Commissione economica, l'Assemblea Costituente non ritenne comunque di dover tradurre il suggerimento nella previsione di un principio ad hoc.

Allo stesso modo, non convince nemmeno il richiamo dell'art. 47 in quanto il segreto bancario sarebbe riscontrato a livello costituzionale solo con riguardo alla classe dei risparmiatori e non rispetto a quella di coloro che operano grazie al credito che ottengono dalle aziende banchiere21.

1.1.4 Il segreto bancario quale clausola di correttezza tra le parti di un contratto

Un'altra strada seguita dalla dottrina22 è stata quella di ricercare il fondamento giuridico del segreto bancario, nell'analisi degli obblighi che nascono tra le parti legate da un negozio giuridico. Più precisamente, l'art. 1175 del Codice civile pone a carico delle parti il dovere di comportarsi secondo correttezza, come fonte di integrazione del rapporto contrattuale.

Ne deriva, dunque, come l'obbligo di correttezza sostenuto dal principio del non arrecare danno, garantirebbe che dalla condotta tenuta dalla controparte non derivi pregiudizio, di conseguenza è ravvisabile l'obbligo di ciascuna delle parti di mantenere un comportamento tale da conservare l'integrità della sfera altrui23.

Sulla scia delle suddette considerazioni, si è sostenuta l'esistenza di un generale dovere di riserbo che si pone come espressione del dovere di correttezza riconducibile al rapporto nato in seno al cliente e alla banca, alla quale si impone il divieto di divulgare le informazioni apprese arrecando, nel caso di un esercizio contrario, un grave pregiudizio alla sfera privata del cliente. In considerazione quindi del dovere di correttezza deve inquadrarsi l'obbligo della banca al segreto, con il conseguente divieto di rivelare fatti cui si è venuti a conoscenza nell'ambito dei rapporti instaurati con il cliente.

Le critiche mosse, al riguardo, rileverebbero però come siano privi di tutela coloro le cui relazioni con l'istituto di credito non hanno trovato sviluppo, in una conclusione contrattuale, fermandosi alla fase delle trattative24.

Altre soluzioni sono state proposte, a partire dal far inquadrare il dovere di

20 Per un riferimento all'articolo 47 Cost., vedere L. Desiderio, Prospettive costituzionali del segreto bancario, in Bancaria, 1979, pag. 463 e ss. ma contra R. Vigo, in Libertà e divieti nella circolazione delle notizie bancarie, Milano, 1983, pp. 114-5, secondo cui l'articolo 47 lascerebbe scoperta la tutela di soggetti diversi dai risparmiatori che pure operano con le banche e che il segreto bancario incoraggia il risparmio bancario ma non il risparmio "in tutte le sue forme".

21 M. PORZIO, Il fondamento normativo del segreto bancario, BBTC, 1982, I, p. 573.22 G. ALPA, Diffusione di informazioni economiche e problemi di responsabilità civile, BBTC, 1977, I,

p. 62.23 F. TOSCANO, R. RAZZANTE, Il segreto bancario nelle indagini tributarie ed antiriciclaggio,

Milano, Giuffrè, 2002, p. 31 e ss.24 E. GIANFELICI-F. GIANFELICI, Il segreto bancario. Norme civili, penali e fiscali, Milano, Giuffrè,

2002.

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correttezza in una responsabilità per-contrattuale ex art. 1337 Codice civile, ovvero nel riconoscimento di una più generale responsabilità extra-contrattuale della banca nell'ex art. 2043del Codice civile.

In conclusione, però, si può affermare come la riconducibilità del fondamento segreto bancario all'obbligo ex articolo 1175, appare aderente, più di altre tesi, allo studio dell'istituto nell'attuale contesto normativo25.

1.1.5. La fonte primaria del segreto bancario

L'ultimo passo a cui si è giunti, e sembrerebbe quello che ha accolto più consensi, è quella di considerare la consuetudine come fonte del segreto bancario26, pure sempre con tutti i limiti che ne derivano trattandosi di norme non scritte e sottoposte di volta in volta alle valutazioni degli esperti. Ad avvalorare questo orientamento27, vi è la constatazione del comportamento tenuto tradizionalmente dalle banche di stretto riserbo sulle relazioni con il pubblico e, nello specifico, degli affari affidati alle stesse nella certezza che sarebbero stati preservati dall'altrui discrezione. Si è sostenuto, quindi, che la ripetizione di questa condotta dia origine ad un obbligo giuridico tacitamente sancito dalla volontà collettiva. A dare credito maggiore a questa corrente di pensiero, vi è l'antica consuetudine, che sempre accompagnava l'attività creditizia dei banchieri nelle varie epoche, partendo dai trapeziti greci, passando per i banchieri del medioevo, fino a culminare alla specifica disposizione prevista negli statuti delle banche del XVI secolo.

Sulla base della relazione del Supremo Collegio, nella quale si è evidenziato come le banche siano solite circondare l'attività svolta con estrema riservatezza che la comune esperienza e la tradizione storica propongono come regola universalmente osservata, recentemente la Corte di Cassazione ha sancito suddetto orientamento con la sentenza n. 2147 del 18 luglio 197428 stabilendo che sulla base di tale pratica è venuto a realizzarsi un uso vincolane come fonte di diritto, ed ha riconosciuto allo stesso un carattere integrativo dei contratti ai sensi dell'art. 1374 del Codice civile, affermando al contempo che da esso deriva un obbligo contrattuale tra il cliente ed il banchiere al fine di non rivelare agli altri che ciò che è dichiarato è destinato a rimanere segreto.

Va, però, precisato che tale previsione ha in sé dei limiti, in quanto gerarchicamente è posta sotto alla legge e alla Costituzione. Quindi l'obbligo del segreto entra nel rapporto in via di integrazione ex art.1374 del Codice civile stabilendo che il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche con tutte le conseguenze che e derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l'equità. Si capisce, dunque, che all'instaurazione di un rapporto tra banca e cliente ne deriva la conseguenza che il contratto perfezionato tra le parti viene ad essere integrato dall'uso, e cioè tra gli obblighi riscontrabili vi sarà implicata la previsione secondo la quale viene in capo alla banca l'obbligo alla riservatezza in ordine ad ogni notizia inerente al contratto.

25 D. CONTINI, R. LENZI, F. VEDANA, Il segreto bancario e fiduciario in Italia e all'estero, EGEA, 2008, p. 40.

26 L'articolo 1 delle disposizioni sulla legge in generale colloca gli usi tra le fonti del diritto.27 G. MOLLE, op.cit.,1981.28 Cass. 18 luglio 1974, n. 2147, in Banca, borsa e titoli di credito, 1974.

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1.2. Il segreto bancario: evoluzione normativa

L'atteggiamento normativo, nei confronti del segreto bancario, ha subito nel tempo una costante evoluzione determinata dall'esigenza di impedire che si potessero nascondere, sotto questo mantello di riservatezza, delle operazioni potenzialmente pericolose avente ad oggetto riciclaggio di denaro e altre forme di delitti fiscali.

La fiscalità moderna è caratterizzata, secondo un preciso precetto costituzionale, dall'autotassazione, il contribuente è chiamato a versare il tributo dovuto, e dall'operare dell'Amministrazione finanziaria, tenuta a verificare il corretto adempimento degli obblighi. Al fine di perseguire quest'ultimo obiettivo, le indagini bancarie hanno costituito uno degli strumenti più efficaci allo di facilitare il controllo della posizione reddituale del contribuente, anche attraverso le limitazioni che il segreto bancario presupponeva. Non si può, comunque, sostenere che suddetti accertamenti fossero l'arma risolutiva contro la sottrazione della materia imponibile, in quanto, secondo l'opinione prevalente, sarebbe stato necessario prevedere specifici poteri, più efficaci, esercitabili dall'Amministrazione finanziaria, il tutto contornato da una giurisprudenza in continua evoluzione in materia29.

Al riguardo, si formarono due opposti allineamenti: da un lato, coloro che ravvisavano nella vigenza del segreto bancario, e nonostante l'ampliamento delle relative deroghe previste da specifiche norme, un ostacolo il più delle volte determinante frapposto al buon esito dell'azione accertatrice degli uffici finanziari, dall'altro e per contro, coloro che continuano a concepire il segreto bancario non come un anacronistico privilegio a disposizione degli evasori, sebbene alla stregua di un principio cardine del nostro ordinamento in quanto posto a presidio del fondamentale e quindi ineliminabile diritto alla riservatezza del singolo30.

In realtà, sarebbe per rispondere ad una presunta tutela dell'economia che tendono le motivazioni storiche a cui hanno portato a un effettivo riconoscimento dell'istituto in parola. Ciò viene desunto dai documenti del Governo sul progetto della riforma tributaria, adducendo dei potenziali pericoli connessi ad una totale trasparenza della posizione dei contribuenti con dei risvolti assolutamente negativi nell'economia del paese. In breve si sostenne che l'abolizione del segreto bancario avrebbe portato a una riduzione degli affari delle aziende di credito, una diminuzione dei depositi e un'esportazione massiccia di capitali all'estero dove continuerebbe a vigere il segreto bancario.

In conclusione, la previsione di incrementare le competenze dell'Amministrazione finanziaria, a favore di un più analitico potere di controllo, ha comportato scelte politiche delicate, in quanto si è reso necessario equilibrare l'interesse del contribuente, da una parte, ed evitare pregiudizi all'attività bancaria, dall'altra.

29 F. TOSCANO, R. RAZZANTE, Il segreto bancario nelle indagini tributarie ed antiriciclaggio, Milano, Giuffrè, 2002, p. 101 e ss.

30 RUSSO 1991.

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1.2.1. Prime disposizioni in materia di segreto bancario nella normativa fiscale agli inizi del Novecento. Cenni

Prima del 1971, il segreto bancario risultava pienamente operante rispetto all'Amministrazione finanziaria come risulta ai sensi dell'art. 37 del Testo Unico delle leggi d'imposta sui redditi della ricchezza mobile – abrogato in seguito all'entrata in vigore del Testo Unico delle leggi sulle imposte dirette del 1958 – era attribuita agli agenti delle imposte la facoltà di svolgere attività di verifica e indagini ai fini dell'accertamento dei redditi, senza che fosse previsto alcun temperamento degli ampi poteri suddetti nei confronti delle banche.

Con l'entrata in vigore della legge bancaria del 1938, divenne più ampio l'ambito degli interessi tutelati dal segreto bancario, registrando un mutamento di orientamento da parte dell'Amministrazione finanziaria. Due documenti importanti possono essere presi a titolo esemplificativo della nuova impostazione: una circolare del Ministero delle finanze del 28 giugno 1937 nella quale si sanciva l'obbligo per le banche di dichiarare gli interessi corrisposti sui crediti ma chiariva, che l'adempimento richiesto non comportava la denuncia nominativa dei singoli depositanti e le Istruzioni di servizio per la Guardia di finanza, approvate con D.M. Del 1° febbraio 1957, che sanciva il divieto per gli appartenenti al Corpo di accedere presso gli enti e le aziende che esercitavano esclusivamente attività di credito31.

In conclusione, si può osservare come già in epoca antecedente alla riforma tributaria del 1971il principio del segreto bancario risultava pienamente operante nei confronti dell'Amministrazione finanziaria.

1.2.2. La riforma tributaria del 1971

E' con la Legge 9 ottobre 1971, n. 385, di delega legislativa al Governo per la riforma tributaria, che, per la prima volta, venne prevista l'introduzione, limitata ad ipotesi di particolare gravità, di deroghe al segreto bancario nei rapporti con l'Amministrazione finanziaria, tassativamente determinate nel contenuto e nei presupposti32. Analizzando il periodo riscontriamo come l'art. 10 faccia specifico riferimento all'istituto del segreto bancario , con le previsioni di deroga solo in particolari circostanze di ordine pubblico, con il fine ultimo di bilanciare l'interesse al ricorso legittimo al sistema creditizio con la necessità di reprimere l'evasione fiscale33.

Risultava manifesta, in quegli anni, la viva preoccupazione del legislatore, necessariamente correlata al dettato costituzionale contenuto nell'art. 47, che prevede la tutela del risparmio, di salvaguardare l'economia del Paese e di non scoraggiare l'accumulazione di denaro, nell'assoluto impegno di non favorire l'emergenza di quelle condizioni che avessero potuto causare o incoraggiare la dispersione o, peggio, la fuga di massa di capitali all'estero34.

Un ulteriore sviluppo della materia, si rileva nell'art. 35 del d.p.r. 29 settembre

31 F. TOSCANO – R. RAZZANTE, Il segreto bancario nelle indagini tributarie e antiriciclaggio, Giuffrè, 2002, p. 103 e ss.

32 Articolo 10 della legge 9 ottobre 1971, n. 825.33 G.D.F., Istruzioni di verifica, Volume III, circolare 1/2008.34 Cfr. § 1.1.3.

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1973, n. 600, avente per titolo Deroghe al segreto bancario, che nel disciplinare i poteri istruttori riconosciuti in capo agli Uffici finanziari ed esercitabili nei confronti delle aziende di credito e dell'Amministrazione postale, aveva previsto quattro precisi vincoli:

1. vincoli di ordine procedurale, ovvero l'obbligo per l'ufficio di acquisire il parere conforme dell'Ispettorato compartimentale delle imposte dirette e l'autorizzazione del presidente della Commissione tributaria di primo grado competente per territorio;

2. vincoli di contenuto, posto che l'acquisizione della documentazione bancaria poteva avvenire solamente attraverso l'istituto della richiesta da indirizzare all'istituto di credito;

3. vincoli oggettivi, con la limitazione degli accertamenti bancari alle sole copie dei conti intestati al contribuente o al coniuge non legalmente ed effettivamente separato o ai figli minori conviventi;

4. vincoli di presupposto, ovvero al verificarsi di determinate situazioni era consentito il riscontro documentale in argomento. A tale proposito è bene richiamare l'art. 35 del D.P.R. n. 600 del 1973 nel quale sono elencate le ipotesi di particolare gravità in cui veniva consentito all'Amministrazione finanziaria di derogare al segreto bancarioi.

Alla luce di quanto precedentemente esposto, è chiaro come il punto cardine della riforma fiscale del 1971 sia imperniato sulla possibilità per gli uffici finanziari di avvalersi della facoltà di derogare al segreto bancario soltanto in presenza di elementi certi che, rendendo esplicita una maggiore capacità contributiva, inducevano a ritenere che il contribuente si fosse macchiato del reato di sottrazione di ingenti redditi all'imposizione35.

Importante passo successivo alla riforma del 1973, è quello operato con il d.p.r. 15 luglio 1982, n. 463, con il quale gli uffici acquisivano, per la prima volta, la possibilità di accedere essi stessi, oltre alla Guardia di finanza, presso gli sportelli e le sedi degli istituti di credito, in funzione ispettiva e per il controllo della posizione riguardante il singolo contribuente. Inoltre, veniva introdotta l'utilizzabilità dei dati bancari all'interno dell'avviso di accertamento, se il contribuente non avesse fornito la prova contraria di aver tenuto conto delle somme accertate per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che i movimenti non avevano rilevanza allo stesso ufficio – inversione dell'onere della prova a favore dell'Ufficio36.

1.2.3. Le novità introdotte dalla legge 30 dicembre 1991, n. 413 e dalla legge 28 dicembre 1995, n. 549

Il vero e proprio riordino delle indagini bancarie si è attuato solo con la legge 30 dicembre 1991, n. 41337, entrata in vigore il 1° gennaio 1992, che apportato sostanziali modifiche legislative in materia di accertamenti bancari, abrogando l'art. 35 d.p.r. 600/73 e modificandone l'art. 32. Le numerose disposizioni volte al potenziamento complessivo degli strumenti di contrasto ai delitti fiscali, ha nella pratica reso inefficace il segreto bancario in campo tributario.

35 F. TOSCANO – R. RAZZANTE, Il segreto bancario nelle indagini tributarie e antiriciclaggio, Giuffrè, 2002, p. 108.

36 Cass. n. 4589 del 26/02/2009, n. 1739 del 2007.37 In Gazz. Uff. 31 dicembre 1991, n.305, S.O.

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Analizzando le prescrizioni della normativa, notiamo come, all'art. 18 della suddetta legge, si preveda, in primo luogo, che vengano eliminate le fattispecie tassative di esercizio del potere di indagine bancaria, con il conseguente ampliamento dell'operatività del mezzo istruttorio; in un seconda battuta vengono individuate il Comandante di Zona della Guardia di Finanza e l'Ispettore Compartimentale, quali Autorità competenti al rilascio dell'autorizzazione all'accesso ai conti bancari per gli Uffici finanziari, con la conseguente eliminazione del passaggio intermedio di acquisizione del parere preventivo; in terza e ultima istanza viene puntualmente prescritto l'utilizzo riservato e corretto dei dati e delle notizie da acquisire, nonché l'immediata denuncia, da parte dell'istituto di credito, dei contribuenti nei cui confronti dovevano essere attivati gli accertamenti38.

Ai sensi dell'art. 20, comma 4, della stessa legge, inoltre, venne prevista l'istituzione dell'Anagrafe dei conti e dei depositi, un altro importante strumento strettamente connesso allo sviluppo delle indagini bancarie, concepita come una speciale banca dati dell'Amministrazione finanziaria destinata a raccogliere le comunicazioni da parte delle aziende ed istituti di credito e dell'Amministrazione postale nonché delle società fiduciarie e di ogni altro intermediario finanziario dei dati identificativi, compreso il codice fiscale dei rispettivi utenti; tale banca dati, successivamente regolamentata dal d.m. 4 agosto 2000, n. 269, non trovò per lungo tempo concreta attuazione.

La riforma è stata agevolmente ratificata dalla Corte Costituzionale, che, con sentenza n. 51 del 18 febbraio 1992, ha definito il segreto bancario come un dovere di riserbo cui sono tradizionalmente tenute le imprese bancarie in relazione alle operazioni, ai conti ed alle posizoini concernenti gli utenti dei servizi da essi erogati. A tale dovere, tuttavia, non corrisponde nei singoli clienti delle banche una posizione giuridica soggettiva costituzionalmente protetta, né, men che meno, un diritto della personalità, poiché la sfera di riservatezza con la quale vengono tradizionalmente circondati i conti e le operazioni degli utenti dei servizi bancari è direttamente strumentale all'obiettivo della sicurezza e del buon andamento dei traffici commerciali39.

A completamento del quadro legislativo previgente all'attuale assetto delle indagini finanziarie, occorre infine citare la novità introdotta dall'art. 3, comma 178, della legge 28 dicembre 1995, n. 598 che, nell'intento di semplificare e ridurre i tempi e le risorse nel contesto dello sviluppo degli accertamenti bancari, ha introdotto la possibilità di richiesta diretta al contribuente, da parte degli Organi ispettivi, di un'apposita dichiarazione finalizzata a individuare, in via preventiva, gli istituti bancari e postali che con il medesimo risultavano intrattenere rapporti di conto, verso cui inoltrare le successive richieste.

38 G.D.F., Istruzioni di verifica, Volume III, circolare 1/2008.39 In Foro Italiano, parte I. Col. 1038, con nota di Amoroso.

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1.2.4. La legge di bilancio del 2005 in materia di indagini finanziarie

L'ultimo decisivo passo in avanti nel processo di evoluzione della disciplina si è registrato con la legge 30 dicembre 2004, n. 311 – c.d. Finanziaria 2005 - che ha determinato il passaggio dal concetto di accertamento bancario alla nozione di indagine finanziaria, più ampia e realmente onnicomprensiva di tutti i possibili flussi finanziari riconducibili al contribuente, imponendogli una particolare attenzione nell'annotazione della movimentazione del proprio conto corrente.

Con la riforma della richiamata legge, è derivato un notevole ampliamento degli strumenti a disposizione dell'opera antielusiva dello Stato, una semplificazione procedurale delle indagini bancarie e una estensione dei soggetti passivi dei controlli effettuati dagli incaricati del settore. E' stata definita, questa, come una riforma che, se avrà il vantaggio di aver chiarito molti aspetti dubbi sull'argomento, costituisce oggetto di preoccupazione per l'ampliamento del ventaglio di possibilità che tutti quei movimenti finanziari dei quali il titolare non riesca a dimostrare l'effettiva provenienza finiscano per essere indiscriminatamente assoggettati a tassazione40.

L'articolo 1, commi 402-404, della legge 311/2004, apporta una serie di modifiche agli artt. 32 d.p.r. 602/73 e 51 d.p.r. 633/72. Nell'impianto delle modifiche apportate agli strumenti di lotta all'evasione fiscale nell'ambito dei poteri istruttori e di quelli di accertamento è individuabile una duplice direttrice normativa consistente nell'ampliamento, sia oggettivo che soggettivo, degli ambiti di operatività delle deroghe al segreto bancario e nell'introduzione di una più consistente informatizzazione dello scambio dei dati concernenti le richieste di deroga al segreto bancario e le correlate risposte delle banche41.

In linea generale, la già richiamata legge n. 311/2004, nel rivisitare la materia, ha previsto, sia sul piano sostanziale che procedimentale, sostanziali modifiche: l'allargamento della portata soggettiva degli accertamenti, con l'inclusione, tra i destinatari delle richieste dell'Amministrazione finanziaria, oltre alle banche e alla società Poste Italiane S.p.a., di tutti gli intermediari finanziari, delle imprese di investimento, nonché degli organismi di investimento collettivo del risparmio, delle società di gestione del risparmio e delle società fiduciarie; il parallelo ampliamento della portata oggettiva delle indagini, che, dal previgente ristretto ambito riferito alla alla copia dei conti intrattenuti con il contribuente e degli ulteriori dati, notizie e documenti di carattere specifico relativi agli stessi conti, acquisibili con l'invio di appositi questionari, è passato a comprendere tutti i dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati, con i loro clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi; il riconoscimento dell'applicabilità agli esercenti attività di lavoro autonomo, della presunzione legale di compenso per i prelevamenti dai conti non annotati in contabilità e non giustificati, già operante, con riferimento ai ricavi, nei confronti dei contribuenti titolari di reddito d'impresa; una notevole semplificazione della procedura di acquisizione materiale dei dati dagli intermediari, ottenuta attraverso l'eliminazione del doppio passaggio dell'acquisizione della copia dei conti e del successivo invio dei questionari e l'introduzione di un obbligo generalizzato degli enti creditizi e finanziari di mettere a disposizione degli Organi di

40 FAVA, Accertamenti e segreto bancario dopo la Finanziaria 2005, in www.commercialistatelematico.com.

41 PASQUALE, Le deroghe al segreto bancario alla luce delle modifiche apportate con la Finanziaria 2005, in Rivista della Scuola Superiore dell'economia e delle finanze, 2005.

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polizia tributaria, sulla base di un'unica richiesta, tutti i dati e gli elementi in loro possesso; la riduzione dei tempi minimi di risposta delle banche e degli altri operatori, dai 60 giorni previsti nel passato agli attuali 30 giorni; la radicale innovazione delle modalità di sviluppo delle interrelazioni tra gli Organi di polizia tributaria e gli operatori finanziari, attraverso l'eliminazione dei flussi cartacei delle comunicazioni e la loro sostituzione con modalità esclusivamente in via telematica42.Una particolare riflessione è dovuta a tale nuova disciplina, quale chiaro elemento rivoluzionario nel panorama legislativo e portatrice di nuovo sistema più moderno e funzionale. E' apprezzabile l'intento del legislatore di tutelare maggiormente il contribuente, anche se, va' osservato, come le difficoltà applicative del dettato normativo, possano produrre dei risultati anomali, quali, ad esempio, una reale probatio diabolica a carico del contribuente onesto e poco avveduto, che, semplicemente, non si sia preoccupato di conservare la documentazione idonea ad escludere le somme oggetto di accertamento da presunzione di ricavi occulti. Né, d'altro canto, il nuovo strumento di indagine appare ineludibile dall'evasore esperto che non versi in banca le somme incassate in “nero” ed utilizzi le stesse somme per pagare le spese non contabilizzate43. Se è vero, quindi, che alla base dei nuovi poteri di indagine previsti a favore del soggetto impositore permane la necessità dei requisiti di gravità, precisione concordanza, che sottendono ogni accertamento fiscale analitico per definizione, è pur vero che tali principi non bastano ad evitare possibili incresciosi equivoci e casi di imposizione non dovuta. Senza, per questo, risolvere i problemi di evasione che avevano ispirato la norma stessa.

Da ultimo, è necessario accennare alle novità recate dal d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248 e dall'art. 63 del d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231; con tali disposizioni, infatti, i processi operativi di sviluppo delle indagini finanziare sono stati ulteriormente affinati e semplificati grazie anche alla creazione di uno strumento informatico chiamato Archivio dei rapporti con operatori finanziari, in grado di consentire agli Organi di controllo fiscale la piena ed automatica individuazione, nel ampio ventaglio dei potenziali destinatari delle richieste d'accesso alla documentazione finanziaria, degli intermediari in effettivo contatto con il contribuente44.

42 G.D.F., Istruzioni di verifica, Volume III, circolare 1/2008.43 LUPI, I nuovi accertamenti bancari nei confronti dei professionisti, in www.ordine-ingegneri.ap.it.44 M. VILLANI, Gli accertamenti bancari: i casi di deroga al segreto bancario dopo la Finanziaria

2005, in www.ilcommercialistatelematico.com.

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Capitolo II

IL DELITTO DEL RICICLAGGIO

Il riciclaggio45 del denaro sporco costituisce una delle attività più remunerative di reimpiego di proventi illeciti utilizzato dalla malavita organizzata. I grandi flussi di denaro provenienti da reato costituiscono un grave problema di ordine pubblico e nel contempo rappresentano una distorsione dell’economia legale46

. Col trascorrere degli anni tale pratica ha assunto dimensioni piuttosto consistenti, investendo, oltre che l'Italia, anche il resto del mondo in quanto il procedimento per riciclare il denaro sporco, per il numero e la varietà delle transazioni di cui si compone, è sempre più complesso e coinvolge spesso strutture finanziarie di diversi paesi. L'effetto collaterale più preoccupante che ne deriva da tale fenomeno è la distorsione che crea all'interno del sistema finanziario, sui cui ha conseguenze immediate, consistenti nell'alterazione dei meccanismi allocativi di risparmio, con derivante disallineamento del costo del denaro rispetto a quello che si viene a creare normalmente sul mercato ufficiale47.

La tendenza attuale, da parte degli attori del delinquere, è quella di dotarsi di strutture rivestite all'esterno di formalità, ma celanti organizzazioni di opposta natura, con capacità evolutive che si tengono al passo con il mutare delle leggi del mercato e dello scenario politico.

Inoltre, con l'abbattimento delle barriere nazionali e l'istituzione della moneta48 e il mercato unico49, che hanno accentuato la spinta congiunta alla ricerca di ricavi e alla comprensione dei costi, ovvero i progressi della tecnologia, quali le nuove frontiere della comunicazione aperte da Internet e da altri sistemi on line, capaci soprattutto di fornire una notevole velocizzazione del trasferimento di denaro e degli investimenti di capitali, ha fatto sorgere la necessità di richiedere una collaborazione più attiva agli operatori del settore bancario, facendosi promotori di un apporto attivo di informazioni su operazioni sospette e un ruolo preventivo nella lotta al riciclaggio del denaro, le cui dinamiche risultano essere influenzate dal progressivo integrarsi degli scambi creditizi e finanziari.

45 Il lavaggio, occultamento della reale provenienza, in verità delittuosa, del denaro, ovvero dei titoli o dei beni, utilizzati in transazioni finanziarie, commerciali o immobiliari del tutto regolari all’apparenza.

46 G. POLLARI, in “Criminalità economica e frode fiscale”, in “Diritto Penale e Diritto Processuale Penale Tributario”IPSOA, che sul punto citano G.M. Rey, “L’impresa criminale”, op. cit.

47 D. MASCIANDARO-F. BRUNI, Mercati finanziari e riciclaggio. L'Italia nello scenario internazionale, Milano, EGEA, 1998.

48 È la valuta unica ufficiale dell'Unione Europea. Vi aderiscono Austria, Belgio, Cipro, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Slovacchia, Slovenia e Spagna.

49 Si basa su quattro libertà: libera circolazione delle persone, libera circolazione dei servizi, libera circolazione delle merci, libera circolazione dei capitali.

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2.1. Definizione del concetto di riciclaggio

La nozione giuridica di riciclaggio – c.d. money laundering – comunemente accolta è quella prevista dall'art. 6 della Convenzione di Strasburgo del'8 novembre 1990, secondo cui definisce l'istituto de quo come un fenomeno criminale consistente nella sostituzione o trasferimento di denaro, beni o altre utilità provenienti da reato, ovvero nel compimento in relazione ad essi di altre operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza illecita.

Il fenomeno del riciclaggio si esplica nel "modello trifasico" costituito da tre passaggi fondamentali: Placement, Layering, Integration50.

I. Placement. i beni e le utilità derivanti da atti illeciti vengono accumulati, e poi occultati, integrandoli nel sistema finanziario. L'obiettivo dei riciclatori è quello di distogliere l'attenzione degli organismi di controllo da movimentazioni troppo evidenti di denaro o valori, per importo o caratteristiche. A tal fine, si realizza la diversificazione dei canali attraverso cui tentare il processo di progressiva legittimazione;

II. Layering. Al fine di impedire il collegamento tra i fondi riciclati e l'attività criminale, vengono poste in essere una serie di transazioni finanziarie consistenti in trasferimenti, bonifici, prestiti, pagamenti. In questa fase vengono previste più vie di flusso per ogni passaggio dei proventi illeciti, in modo da diversificare quantitativamente il rischio relativo a ciascuno di essi, garantendo sempre una via alternativa di flusso in caso di scoperta di un canale o di un rapporto, culminando nella predisposizione di più canali paralleli, appunto stratificati;

III. Integration. Fase in cui i mezzi finanziari vengono inseriti nel ciclo economico legale mediante investimenti in beni immobili, beni di lusso, aziende od altro, essendone già stata occultata la provenienza illecita e l'origine, anche geografica, e apparendo sostanzialmente delle operazioni perfettamente lecite51.

2.2. L'evoluzione normativa

La disciplina in tema di antiriciclaggio ha subito in questi anni mutevoli evoluzioni. Il diritto penale italiano prevede due fattispecie di reato, tra loro simili, riconducibili al fenomeno del riciclaggio, ovvero i delitti di riciclaggio52 e di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita53, previsti e puniti rispettivamente dagli articoli 648 bis e 648 ter del Codice Penale.

In origine, l'emanazione di norme penali relative all'attività criminale in

50 UNDOC Money Laundering Terms Dictionary.51 L. STAROLA, Dall'UIF gli schemi sui comportamenti anomali per la prevenzione del riciclaggio, in

Corriere Tributario, del 28 febbraio 2011, n.9.52 L'istituto del riciclaggio è espressamente previsto dall'articolo 648 bis del codice penale italiano - Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce denaro, beni o altre utilità provenienti dai delitti di rapina aggravata, di estorsione aggravata, di sequestro di persona a scopo di estorsione o dai delitti concernenti la produzione o il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope, con altro denaro, altri beni o altre utilità, ovvero ostacola l’identificazione della loro provenienza dai delitti suddetti. 53 Articolo 648 ter codice penale - Chiunque, fuori dai casi di concorso nel reato e dai casi previsti

dagli articoli 648 e 648- bis , impiega in attività economica o finanziaria denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto.

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considerazione è stata ricondotta all'esigenza di contrastare gravi reati quali rapine, estorsioni, sequestri di persona a scopo di estorsione e l'espansione della delinquenza di stampo mafioso.

La previsione di un'autonoma fattispecie di reato di riciclaggio nell'ordinamento italiano ha avuto inizio con l'introduzione dell'art. 648 bis54 previsto dal decreto-legge n. 59 del 1978, convertito nella Legge 18 maggio 1978. n. 191 recante Norme penali e processuali per la prevenzione e la repressione di gravi reati55.

In precedenza, in assenza di una espressa disposizione legislativa, il fenomeno veniva ricondotto per alcuni profili agli schemi dell'art. 648 c.p. Ricettazione, dell'art. 378 c.p. Favoreggiamento personale , e dell'art. 379 c.p Favoreggiamento reale. Con l'introduzione del nuovo reato, il legislatore volle colmare una lacuna del sistema penale italiano, sanzionando comportamenti diretti a rendere più remunerativo il c.d. Delitto "fonte"56. Tale soluzione costituì un notevole passo in avanti per il nostro ordinamento giuridico.

Successivamente, con la Legge 19 marzo 1990, n. 55 recante Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale, si ebbe un'ulteriore evoluzione della disciplina penalistica della condotta in esame, introducendo gran parte dei principi e degli adempimenti imposti più avanti dalla Convenzione di Strasburgo del settembre 1990, recante le più ampie forme di tutela penale contro il riciclaggio. La novità più significativa che fu introdotta con la suddetta legge è stata la sostanziale modifica dell'art. 648 bis c.p. e l'introduzione dell'art. 648 ter.

In particolare, per quel che riguarda il riciclaggio, oltre ad ampliare lo spettro dei reati di presupposto, si pervenne ad una concezione più vasta delle forme di attuazione della condotta, prevedendo con la dicitura denaro, beni o altre utilità una nuova definizione dell'oggetto materiale del reato rispetto alla concezione precedente che riportava denaro e valori. Inoltre, furono introdotte la punibilità di chi ostacola l'identificazione della provenienza delittuosa dei beni ed un'aggravante specifica per chi commette il reato nell'esercizio di un'attività professionale.

Per quanto concerne l'art. 648 ter c.p., con la sua introduzione si volle creare un'ipotesi residuale diretta a colpire il legittimo impiego dei capitali illeciti.

Nel febbraio del 1990 il GAFI - Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale - elaborò le 40 Raccomandazioni, fra le principali ritroviamo collaborazione fra gli Stati nella lotta al riciclaggio di denaro sporco; abolizione dell'anonimato nelle transazioni finanziarie; identificare l'autore dell'operazione e registrare la stessa in apposito Archivio informatizzato, conservando tali informazioni per almeno cinque anni; sviluppare programmi contro il riciclaggio di capitali, che comprendano procedure e controlli interni di aggiornamento continuo del personale.

Le 40 Raccomandazioni furono recepite in Italia attraverso la Legge 5 luglio 1991, n. 19757 recante il titolo Provvedimenti urgenti per limitare l'uso del contante e dei titoli al portatore nelle transazioni e prevenire l'utilizzazione del sistema finanziario

54 Avente inizialmente la rubrica "Sostituzione di denaro o valori provenienti da rapina aggravata, estorsione aggravata o sequestro di persone a scopo di estorsione".

55 G. FALCONE, Evoluzione del reato di riciclaggio, in Rivista di diritto bancario, maggio 2004.56 Caratterizzato dalla presenza necessaria di un'autonoma condotta penalmente rilevante, compiuta

preliminarmente e denominata appunto "reato presupposto" o "reato fonte", dalla quale scaturiscono i proventi illeciti che poi saranno oggetto dell'attività di riciclaggio.

57 In attuazione della I Direttiva Antiriciclaggio 10 giugno 1991, n. 91/308/Cee con la quale si è inteso estendere a tutti gli Stati Membri severi obblighi di legge, con l'intento di combattere in maniera efficace il riciclaggio di danaro sporco.

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a scopo di riciclaggio. La legge costituita da 14 articoli e contenente una serie di precetti, divieti, obblighi e sanzioni costituisce la base normativa per la lotta al riciclaggio di denaro sporco da parte del circuito finanziario e creditizio. In estrema sintesi, il provvedimento in rassegna ha previsto: il passaggio di competenze dal Questore d'Ufficio Italiano Cambi quale “collettore” delle segnalazioni di operazioni sospette; il riconoscimento al predetto Ufficio italiano dei cambi, anche su richiesta dei competenti organi investigativi, della facoltà di sospendere l'operazione per un massimo di quarantotto ore, sempre che ciò non determini pregiudizio per il corso delle indagini e per l'operatività corrente degli intermediari, dandone immediata notizia agli organi investigativi; la trasmissione, da parte dell'Ufficio Italiano Cambi, delle segnalazioni alla Direzioni Investigativa Antimafia, oltre che alla Guardia di finanza58 la possibilità di rivelare l'identità delle persone e degli intermediari che hanno effettuato le segnalazioni soltanto nei casi in cui l'Autorità Giudiziaria lo ritenga indispensabile al fine di accertare i reati per i quali si procede; l'affidamento all'Ufficio Italiano Cambi di poteri in materia di accertamento e di controllo nei confronti degli intermediari; l'istituzione di una “Commissione di indirizzo”, presso il Ministero del tesoro, con l'onere di esaminare l'attività svolta dall'U.I.C., per valutarne l'andamento e i risultati raggiunti allo scopo di valutare eventuali proposte dirette a rendere più efficace il contrasto al riciclaggio dei proventi illeciti; l'applicazione della normativa di cui alla legge n. 197 del 1991 anche nei confronti dei soggetti svolgenti attività che risultino suscettibili di utilizzazione a fini di riciclaggio59.

Le novità che hanno maggiormente inciso dal punto di vista della fattispecie riguardano la devoluzione all'Ufficio Cambi Italiano dell'intera materia delle segnalazioni a fini antiriciclaggio e la riforma delle procedure di segnalazione.

Passando in rassegna l'elenco delle diverse normative che si sono succedute in materia di riciclaggio nel tempo, arriviamo al D. Lgs. 26 maggio 1997, n. 15360, di adeguamento della normativa sull'antiriciclaggio alla I Direttiva comunitaria. Il decreto ha migliorato in termini significativi il rapporto delle banche verso le istituzioni in generale, migliorando la “collaborazione attiva” e provvedendo a trasferire i compiti di controllo sulla gestione dell'antiriciclaggio all'Ufficio Italiano Cambi61 lasciando al Ministero del Tesoro compiti sostanzialmente di indirizzo.

Con il D. Lgs. 25 settembre del 1999, n. 374 - Estensione delle disposizioni in materia di riciclaggio dei capitali di provenienza illecita ed attività finanziare particolarmente suscettibili di utilizzazione a fini di riciclaggio, di attuazione della direttiva 91/308/CEE, si è proceduto all'estensione degli obblighi antiriciclaggio ad altre categorie di soggetti62 che vanno ad aggiungersi ai già previsti intermediari.

Con l'avvento della Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 4

58 Uno specifico protocollo d'intesa regola la suddivisione delle competenze tra gli organi investigativi in argomento: la Direzione Investigativa Antimafia provede a dare corso alle segnalazioni che risultano attinenti a contesti riferiti alla criminalità organizzata di stampo mafioso, mentre le strutture della Guardia di finanza operano in tutti gli altri casi.

59 Articolo 4 della Legge 5 luglio 1991, n. 19760 Recante Integrazione dell'attauzione della direttrice 91/308/Cee in materia di riciclaggio e dei

capitali di provenienza illecita.61 Dal 1 gennaio 2008 l’Ufficio Italiano dei Cambi è soppresso e le sue funzioni sono esercitate dalla

Banca d’Italia, che succede in tutti i diritti e rapporti giuridici di cui l’UIC è titolare (D.lgs. 21/11/2007 n. 231). L’attività di prevenzione e contrasto al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo internazionale verrà svolta, in piena autonomia e indipendenza, dall’Unità di Informazione Finanziaria istituita presso la Banca d'Italia. Le altre funzioni istituzionali dell’Ufficio saranno svolte dalle corrispondenti strutture della Banca d’Italia.

62 Articolo 1 e articolo 7 del D.Lgs. 25 settembre 1999, n. 374.

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dicembre 2001, n. 2001/97/CE – c.d. II Direttiva Antiriciclaggio – l'Italia provvedeva a conformarsi, promulgando il D.Lgs. 20 febbraio 2004, n.56: con tale provvedimento gli obblighi di segnalazione vengono a coinvolgere anche i professionisti63. Rispetto alla normativa previgente, si definisce meglio l'ambito soggettivo di applicazione degli obblighi, tenendo conto delle novità normative intervenute dopo l'emanazione della Legge 1997/191.

Con la Legge del 25 gennaio 2006, n. 29 si estende ulteriormente l'ambito di applicazione circa gli obblighi di identificazione della clientela, registrazione e conservazione dei dati ai soggetti che rendono servizi forniti da revisori contabili, periti e consulenti, ovvero svolgono attività di amministrazione, contabilità e tributi.

Ulteriore integrazione è rinvenibile nel Supplemento ordinario n. 86/L della Gazzetta Ufficiale del 7 aprile 2006, n. 82, nel quale sono stati pubblicati i tre regolamenti del 3 febbraio 2006, n. 141, 142, 143, emessi dal Ministero dell'economia, in attuazione del D.Lgs. 56/2004, che individuano gli obblighi di identificazione della clientela e di segnalazione delle operazioni sospette a carico dei professionisti, intermediari finanziari ed enti non finanziari. Inoltre, nel Supplemento della Gazzetta Ufficiale n. 87, sono stati pubblicati a supporto dei suddetti testi, anche i tre provvedimenti redatti dall'Ufficio Cambi Italiani del 24 febbraio 2006, con le istruzioni applicative e gli indici di anomalia da seguire per effettuare rilevazioni e segnalazioni anti-illeciti.

2.3. L'attuale normativa antiriciclaggio

Con la Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 26 ottobre 2005, n. 2005/60/CE – c.d. III Direttiva Antiriciclaggio – il legislatore comunitario intese dare una svolta decisiva alla lotta al riciclaggio, oltre che al terrorismo internazionale. La concreta attuazione si realizzò con l'emanazione del D.Lgs. 21 novembre 2007, n.231, che estende notevolmente i doveri e gli adempimenti in capo ad un ampio ventaglio di soggetti, che vede rientrare nell'elenco, oltre agli operatori finanziari, anche le categorie professionali di commercialisti, notai ed avvocati64.

D'importanza fondamentale è segnalare come nella nuova normativa si inserisca anche l'ipotesi dell'autoriciclaggio, agli esclusi fini dell'anti-riciclaggio. In questa nuova ottica non ci si pone più il problema dell’estraneità del cliente rispetto all’origine delittuosa dei capitali oggetto di trasferimento/movimentazione. Questo vuol dire che tutti gli intermediari finanziari e non finanziari sono tenuti a segnalare le operazioni sospette di riciclaggio, anche quando è il cliente stesso ad essere sospettato di aver commesso il reato presupposto.

L’elemento nuovo introdotto dall’art. 2 del D. Lgs. 231/07 rispetto alla nozione penalistica di riciclaggio – art. 648 bis c.p. e di impiego di denaro, beni o altre utilità di provenienza illecita - art. 648 ter c.p. - è la mancanza dell’inciso fuori dei casi di concorso nel reato il che determina un ampliamento dell’obbligo di segnalazione, estendendola a tutte le operazioni sospette, comprese appunto quelle di “autoriciclaggio”.

I sospetti o i motivi ragionevoli che devono indurre l’intermediario o il

63 Puntualmente elencati nell'articolo 2 del D.Lgs. 20 febbraio 2004, n. 56.64 R. SALOMONE, Normativa antiriciclaggio e reati fiscali. Sulla nozione di provento di reato, in Il

Fisco, n. 13/2010, p. 2004.

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professionista a sospettare della provenienza delittuosa dei mezzi di pagamento utilizzati sono desumibili da alcune considerazioni di carattere oggettivo - caratteristiche, entità e natura delle operazioni. Mentre tra quelle di carattere soggettivo soggettivo - capacità economica ed attività svolta dal cliente e ogni altra circostanza che riguarda gli intermediari finanziari e non in relazione alla funzione esercitata65.

Per le banche i criteri per individuare le operazioni sospette di riciclaggio sono quelli del decalogo di Banca d’Italia del 12 gennaio 2001, i professionisti ed i revisori contabili dovranno, invece, fare riferimento ai provvedimenti Ufficio Italiano Cambi del 24 febbraio 2006.

2.3.1. Limitazione all'uso dei contanti e ai titoli al portatore

Nella nuova normativa antiriciclaggio il legislatore vieta le transazioni in contanti al di sopra di una determinata soglia di ammontare, e attribuisce valenza di sospetto ai prelevamenti e ai versamenti in contanti presso intermediari, sempre al di sopra di una soglia fissa. Inoltre, riguardo a quanto detto, è bene notare che le operazioni che utilizzano il contante sono scoraggiate, oltre che dalla normativa antiriciclaggio, anche dalla sicura rilevanza delle operazioni poste in essere, quali accreditamenti, addebitamenti, nonché operazioni extra-conto, ai fini dell'accertamento tributario66.

Con l'emanazione del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 convertito con modificazioni dalla L. 30 luglio 2010, n. 122 – c.d. manovra correttiva - ha apportato alcune modifiche normative riguardo i trasferimenti di denaro contante e ai libretti di deposito o titoli al portatore, all'emissione e alla richiesta di assegni bancari, circolari e postali privi della clausola di non trasferibilità, e al saldo dei libretti di deposito al portatore.

All'articolo 20 della suddetta legge ha ridotto il limite per i trasferimenti di denaro contante, disponendo che non è più possibile effettuare pagamenti tra soggetti diversi in un'unica soluzione in contanti di importo pari o superiore a 5.000 euro: l'intervento del legislatore ha comportato la riformulazione dell'art. 49 del D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231 ove sono previste le limitazioni all'utilizzo del contante e dei titoli al portatore67.

L'art. 36 dello stesso atto normativo ha integrato l'art. 41 del richiamato decreto legislativo, prevedendo che è un elemento di sospetto il ricorso frequento o ingiustificato a operazioni in contante, e il prelievo o il versamento in contante con intermediari finanziari di importo pari o superiore a 15.000 euro.

Il Ministero dell'economia e delle finanze è intervenuto con la circolare 11 ottobre 2010, n. 297944, al fine di fornire gli opportuni chiarimenti in merito alla corretta applicazione di tale disposizione.

La relazione di accompagnamento al D.L. 31 maggio 2010, n. 78 convertito con

65 R. MAFFIA, Cos'è l'autoriciclaggio, in www.compliancenet.it.66 F. CARRIROLO, Limitazione all'uso del contante, segnalazione di operazioni sospette e controlli

fiscali, in Il Fisco, n. 42/2010, p. 6818 e ss.67 La soglia minima e i vincoli introdotti nel 2010 hanno sostanzialmente ripristinato le regole più

restrittive che erano state introdotte in forza dell'originaria versione del D.Lgs. n. 231/2007. Infatti, con l'art. 32, comma 1, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito nella L. 6 agosto 2008, n. 133 era stata elevata a 12.500 euro la soglia massima per i pagamenti in contanti ed era stato eliminato l'obbligo di corredare ogni girata apposta su assegni bancari e circolari, postali e vaglia trasferibili a terzi, con il codice fiscale del girante.

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modificazioni della L. 30 luglio 2010, n. 122, reca importanti precisazioni in ordine d alcune disposizioni specificamente introdotte per ridurre il rischio di abusi economico-finanziari e tributari mediante l'utilizzo del denaro contante. Per quanto riguarda l'art. 20 del decreto-legge, viene osservato nella relazione che le transazioni in contanti sono effettuate in Italia in misura superiore a quanto avviene nei Paesi partner europei. Secondo la relazione, a tal riguardo, non si tratterebbe solamente di una preferenza culturale per il contante ma degli effetti di un settore sommerso, in parte illegale, che in Italia è più ampio che in altri paesi, e che utilizza il contante per evitare la tracciabilità delle operazioni68, ciò ha reso necessario stringere i limiti legali di utilizzo del contante, abbassando drasticamente la soglia dagli attuali 12.500 euro a 5.000 euro. La soglia opera indistintamente con contanti e strumenti al portatore, e si affianca all'inasprimento dei valori minimi e massimi riferibili alle infrazioni superiori a 50.000 euro. Per le violazioni inferiori a tale importo è invece prevista una sanzione minima in valore assoluto di 3.000 euro.

Il principale documento emanato sulle modificazioni normative in materia di limitazioni all'utilizzo del denaro contante è rappresentato dalla circolare n. 281178 del 5 agosto 2010 del Ministero dell'economia e delle finanze. Tale circolare fornisce le opportune indicazioni operative, mettendo in evidenza come nel nuovo contesto normativo la soglia indicata di 12.500 euro sia ridotta ai 5.000 euro, mentre rimane inalterata la struttura delle violazioni previste dai commi dal'1 al 19 dell'art. 49 del decreto legislativo 231/2007. La successione tra la vecchia e la nuova soglia massima per le transazioni in contanti viene risolta nel senso che non si rendono applicabili le sanzioni per le violazioni previste dai commi 1, 3, 5, 8, 12 e 13 dell'art. 49 del D.Lgs. n. 231/2007, commesse tra il 31 maggio 2010 e il 15 giugno 2010, se riferite ad importi compresi tra 5.000 e 12.500 euro.

Conseguenze della revisione normativa sono: il trasferimento di contanti e titoli al portatore tra soggetti diversi è consentito solamente quando il valore oggetto del trasferimento è inferiore a 5.000 euro. Non è comunque consentito il trasferimento di somme di importo inferiore, se si tratta di frazionamenti artificiosi, intesi a eludere il limite massimo; l'emissione di assegni bancari e postali, assegni circolari e vaglia postali e cambiari liberi è consentita per importi inferiori a 5.000 euro; gli assegni utilizzati, anche per la medesima transazione, non sono cumulabili ai fini del calcolo dell'importo totale del trasferimento: la soglia è quindi intesa solamente per il singolo assegno; gli assegni bancari e postali per importi pari o superiori a 5.000 euro devono recare l'indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario; gli assegni emessi all'ordine del traente non possono circolare, qualunque sia l'importo: l'unico utilizzo possibile è la girata per l'incasso allo stesso nome del traente/beneficiario; il saldo dei libretti al portatore in circolazione dev'essere inferiore a 5.000 euro. I libretti eccedenti tale soglia alla data del 31 maggio 2010 devono essere ricondotti al di sotto della soglia massima entro il 30 giugno 2011.

Ai sensi dell'art. 58, comma 8, D.Lgs. n. 231/2007 l'importo minimo della sanzione applicabile in caso di violazione è fissato a 3.000 euro. Secondo la circ. n. 281178 del 5 agosto 2010 questo valore di partenza per le sanzioni amministrative è applicabile a prescindere dalla tipologia di trasferimento in contanti o a mezzo assegni o titoli al portatore. L'intento è quello di scoraggiare l'uso di strumenti di pagamento anonimi che possono favorire il riciclaggio e l'evasione fiscale. Per tutti i trasferimenti

68 Il dato percentuale emerso mette a confronto la quota Pil derivante dall'economia sommersa in Italia del 26,2% con quello delle transazioni in contanti rispetto al totale 90% - ISTAT.

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di importo compreso tra 5.000 e 50.000 euro69 si applica una sanzione compresa tra l'1% e il 40% dell'importo trasferito. In ogni caso la sanzione non può essere inferiore all'importo di 3.000 euro.

Se i trasferimenti in violazione delle norme antiriciclaggio sono invece di importo superiore a 50.000 euro si applica una sanzione compresa tra il 5% e il 40% dell'importo trasferito70.

E' previsto, ai sensi dell'art. 60 del decreto, il pagamento in misura ridotta – oblazione - pari al 2% dell'importo per le transazioni non superiori ai 250.000 euro, effettuate in violazione dei commi 1, 5 e 7 dell'art. 49. Il pagamento deve effettuarsi entro 60 giorni dall'avvenuta notifica della contestazioni e ne definisce e chiude il procedimento sanzionatorio.

Per gli assegni trasferiti in violazione del comma 671 dell'art. 49 la sanzione si applica anche per importi inferiori a 5.000 euro. Per questa violazione non è prevista l'oblazione72.

Secondo la più volte citata circolare, per le violazioni dei commi 12, 13, 14, 18 e 19 dell'art. 49, per importi superiori a 50.000 euro, le sanzioni minime e massime sono aumentate del 50%ii.

Sempre nell'ambito della normativa antiriciclaggio, occorre considerare la normativa riguardante gli obblighi dei revisori legali in quanto soggetti preposti alla segnalazione delle operazioni sospette realizzate dalle imprese. Per ciò che concerne la materia, si vedrà in maniera più approfondita nel successivo paragrafo, ciò a cui si farà riferimento ora riguarda gli obblighi di segnalazione riguardanti il trasferimento di contanti.

La normativa di riferimento in tale materia è prevista dal D.L. 31 maggio 2010, l’art. 36 - Disposizione Antifrode - inerente la Manovra correttiva, che modifica l’art. 41 del D.Lgs 231/07. Al primo comma del già citato articolo 41 viene, infatti, aggiunto un ulteriore periodo ai sensi del quale: …è un elemento di sospetto il ricorso frequente o ingiustificato a operazioni in contante, anche se non in violazione dei limiti di cui all’art. 49 e, in particolare, il prelievo o il versamento in contanti con intermediari finanziari di importi pari o superiori a 15.000 euro.

Secondo il Ministero, i soggetti destinati agli obblighi di segnalazione devono valutare con attenzione due elementi: il primo è l'operatività in contante della clientela, anche per importi sotto la soglia di 5.000 euro, quando questa appaia frequente e/o ingiustificata alla luce del patrimonio informativo complessivo del segnalante; il secondo attiene le operazioni di versamento e prelievo in contante effettuate con intermediari finanziari per un importo parti o superiore a 15.000 euro.Inoltre, essi devono Raffrontare i predetti elementi con il profilo soggettivo del cliente o dell'effettivo beneficiario dell'operazione, al pari di quanto accade per le altre tipologie di indici di anomalia.

69 Avvenuti in violazione dei commi 1, 5, 6 e 7 dell'art. 49 del D.Lgs. n. 231/2007.70 Fermo restando l'importo minimo della sanzione di 3.000 euro.71 Assegni bancari e postali emessi all'ordine traente possono essere girati unicamente per l'incasso a una

banca o a Poste Italiane S.p.a.72 Quindi, se è trasferito un assegno bancario emesso all'ordine del traente per l'importo di 1.000 euro,

risulta applicabile la sanzione minima di 3.000 euro.

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2.3.2. Gli obblighi di segnalazione: gli adempimenti a carico dei professionisti.

I destinatari della normativa di prevenzione del riciclaggio sono chiamati a prestare collaborazione attiva, attraverso la segnalazione di operazioni di natura sospetta, quando sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. La segnalazione di operazione sospetta rappresenta una frontiera avanzata nel contrasto al riciclaggio, che mira a portare alla luce comportamenti criminosi per i quali non si dispone ancora di notitiae criminis. In tal senso, la segnalazione, di regola, non nasce dalla conoscenza di un reato, bensì rappresenta solo una deduzione, supportata da obiettive circostanze di fatto e fondata sulle competenze tecniche del segnalante. Tale deduzione è quindi affetta da un margine di incertezza73.

I soggetti tenuti agli obblighi di segnalazione74 sono, in generale, le società di gestione di strumenti finanziari, gli esercenti particolari attività quali commercio oro, oggetti preziosi, cose antiche, gli uffici della Pubblica Amministrazione, gli intermediari finanziari e gli altri soggetti in attività finanziaria, i professionisti, i revisori legali e altri soggetti quali operatori che svolgono attività di recupero crediti, custodia e trasporto denaro contante75.

L'oggetto del sospetto è il comportamento del cliente, connotato da elementi di anomalia tali da indurre l'idea plausibile della volontà di occultare l'origine – riciclaggio – o la destinazione dei fondi utilizzati. Gli strumenti previsti dal legislatore per agevolare l'individuazione delle operazioni sospette sono essenzialmente di due tipi: nel primo, gli indicatori di anomalia76 emanati con provvedimento della Banca d'Italia per gli intermediari finanziari e altri soggetti che svolgono attività finanziaria, nonché per i revisori legali iscritti all'albo Consob77 e con decreto del Ministero della giustizia per i professionisti e per i revisori legali iscritti solo al registro dei revisori78. Si tratta di elementi soggettivi ed oggettivi, che prescindono da fenomeni criminali definiti e sono caratterizzati dall'astrattezza temporale e di connessione logica, che servono a suscitare il sospetto; il secondo, modelli e schemi rappresentativi di comportamenti anomali79, elaborati dall'Unità di informazione finanziaria. Si tratta di un complesso di anomalie, soggettive ed oggettive, che sono connesse tra loro sotto il profilo logico ovvero temporale, riconducibili a determinati fenomeni criminali, che servono a qualificare il sospetto.

73 L. STAROLA, Dall'UIF gli schemi sui comportamenti anomali per la prevenzione del riciclaggio, in Corriere Tributario, n. 9/2010, p. 709 e ss.

74Puntualmente elencati negli artt. 10, 11, 12, 13 e 14, D.Lgs. 231/2007.75 F. CARRIROLO, Limitazioni all'uso del contante, segnalazione di operazioni sospette e controlli

fiscali, in Il Fisco, n. 42/2010, p. 6823.76 Art. 41, comma2, del D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231.77 Delibera n. 616 del 24 agosto 2010.78 Decreto Ministero della giustizia 16 aprile 2010.79 Art. 6, comma 7, lett. B, del D.Lgs. n. 231/2007.

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2.3.3.Modelli e schemi rappresentativi di comportamenti anomali

L'Unità di Informazione Finanziaria80 per l'Italia svolgendo funzioni di analisi dei flussi finanziari e delle segnalazioni di operazioni sospette, è in possesso di un vasto complesso di informazioni, che sono oggetto di analisi e di studi e dalle quali possono emergere singole anomalie riferibili a ipotesi di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo in specifici settori dell'economia, su categorie di strumenti di pagamento o su specifiche realtà economiche territoriali. Da tali analisi emergono elementi per elaborare modelli e schemi che possono essere rappresentativi di comportamenti anomali sul piano economico e finanziario e pertanto indirizzano i destinatari della normativa a qualificare il sospetto di attività di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo81.

In questo ambito sono state emanate dall'Ufficio di Informazione Finanziaria diverse comunicazioni a partire dalla meno recente:

• Imprese in crisi e usura - 24 settembre 2009;• Conti dedicati - 13 ottobre 2009;• Frodi informatiche – 5 febbraio 2010;• Operatività connessa con l'abuso di finanziamenti pubblici – 8 luglio 2010 ;• Operatività connessa con le frodi nell'attività di leasing – 17 gennaio 2011.

La prima Comunicazione dell'Unità di Informazione Finanziaria trae origine da un fenomeno segnalato dal Governatore della Banca d'Italia nel corso dell'audizione del 22 luglio 2009 dinanzi alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali82. In tale occasione il Governatore sottolineò che in periodi di crisi è necessario rafforzare l'azione di prevenzione e contrasto dei fenomeni criminali, per evitare che imprese indebolite sotto il profilo economico o patrimoniale finiscano sotto il controllo della criminalità organizzata, ovvero che possa aumentare il ricorso all'usura.

La Comunicazione richiama sia gli intermediari bancari e finanziari che i professionisti e gli operatori non finanziari a valutare con la massima attenzione l'evoluzione dei rapporti intrattenuti con soggetti in difficoltà economica o finanziaria, che risultano maggiormente esposti a infiltrazioni criminali, nonché l'operatività riconducibile a ipotesi di illegale erogazione di prestiti. Sono schemi riconducibili a imprese caratterizzate da alto indebitamento e peggioramento dei flussi di cassa, che si rendono dunque più vulnerabili e appetibili come strumenti di layering nelle mani delle organizzazioni criminali.

Le anomalie che vengono riscontrate riguardano tanto il profilo soggettivo, quanto quello oggettivo.

Sotto il primo aspetto sono stati individuati, come sintomi di un comportamento anomalo, l'acquisto di partecipazioni in imprese in difficoltà economiche da parte di soggetti che operano in settori diversi rispetto quello in questione; improvvise o ripetute variazioni degli assetti proprietari dell'amministrazione dell'impresa con ingresso di soci e/o amministratori che, in seguito al loro profilo economico, potrebbero rappresentare meri prestanome di soggetti terzi, ovvero posseggono residenza o hanno sede in Paesi diversi da quelli in cui opera l'impresa, ovvero il trasferimento degli stessi in Paesi con

80 Rinvio al capitolo III.81 L. STAROLA, Dall'UIF gli schemi sui comportamenti anomali per la prevenzione del riciclaggio, in

Corriere Tributario, n. 9/2010, p. 710 e ss.82 Inserto Affari & Finanza del quotidiano Repubblica, Aziende, l'allarme di Draghi: Con la crisi

avanza l'usura, del 22 luglio 2009.

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regime fiscale privilegiato o non equivalente al contrasto al riciclaggio.Sotto il secondo aspetto, quello oggettivo, si avvisaglia una condotta ambigua

qualora avvenga una ricezione improvvisa di contributi in conto aumento capitale o finanziamenti da parte di soci attraverso flussi che coinvolgono più intermediari diversi da quelle ove sono radicati i rapporti di impresa; improvviso appianamento della situazione patrimoniale verso ricezione di finanziamenti dall'estero, ovvero per mezzo di operazioni che presentano caratteristiche che non hanno alcun legame con l'attività economica svolta dall'impresa, ovvero flussi finanziari rilevanti originati all'estero in Paesi caratterizzati da regime fiscale privilegiato o, comunque, non in contrasto con il delitto del riciclaggio; cessione a terzi di beni immobili e mobili a prezzi sensibilmente inferiori o non coerenti a quelli di mercato e in ultimo operazioni di emissione di assegni e di versamento di contante riconducibili al c.d. giro di assegni.

Altro fenomeno che da tempo si trova al centro dell'attenzione dell'Autorità internazionale è quello delle frodi all'IVA intracomunitaria83 il quale consente, attraverso condotte penalmente rilevanti – emissione di fatture per operazioni inesistenti o dichiarazioni fraudolente mediante fatture simulate – di sottrarre ingenti risorse finanziarie destinate all'Erario assicurando, di contro, notevoli profitti alle organizzazioni criminali.

E' proprio con riguardo a questo fenomeno che fu emanata la Comunicazione dell'UIF del 15 febbraio 2010 indirizzandone il contenuto a tutti i soggetti già individuati dal Decreto 231/2007. In tale Comunicazione viene proposto una schema operativo nel quale si possono osservare due ipotetiche manovre delittuose: la prima consta nello sfruttare il principio comunitario di tassazione IVA nello Stato di destinazione del bene, ovvero taluni soggetti acquistano beni senza IVA da un soggetto residente in un diverso Stato UE e li fanno confluire nel mercato nazionale rivendendoli con IVA, ovviamente a prezzi più bassi della media di mercato e senza riversare l'imposta incassata all'Erario; nella seconda manovra, invece, è previsto che i beni possano essere rivenduti al primo cedente residente in un altro Stato UE, ma solo dopo diversi passaggi e seguendo uno schema circolare – c.d. Frodi carosello84 -. La frode è realizzata da entità spesso prive di effettiva organizzazione o consistenza economica, talora anche interposte o semplicemente create ad hoc e successivamente chiuse ovvero costituite in Stati caratterizzati da sistemi normativi carenti dal punto di vista della regolamentazione e dei controlli.

Oggetto della frode può essere qualsiasi tipologia di bene, quelli, però, di più frequente richiamo riguardano il settore tecnologico, automobilistico e più in generale beni agevolmente trasportabili e di largo consumo vendibili su ampi mercati. Più di recente gli schemi fraudolenti si sono estesi anche ai servizi.

Per quanto concerne le anomalie riscontrate in tale fattispecie, anche in questo caso operiamo una distinzione tra quelle che riguardano il piano soggettivo e quello oggettivo.

Sotto il profilo soggettivo le anomalie riguardano imprese in precedenza non operative o, comunque, di recente costituzione operanti in settori economici interessati dalla movimentazione di elevati flussi finanziari, ovvero imprese con capitale non superiore ai limiti minimi previsti, prive di unità operative e aventi sede in Paesi a regime fiscale vantaggioso, ovvero imprese che risultano cedute o cessate poco tempo dopo la loro costituzione; i soci o gli amministratori di un impresa di dubbio profilo reputazionale a causa di precedenti penali, ovvero sono gravati da procedure pregresse

83 Rapporto GAFI, Laundering the proceeds of Vat carousel fraud, del 23 febbraio 2008.84 Quotidiano Repubblica, Riciclaggio, le frodi Carosello ecco come funzionavano, del 23 febbraio 2010.

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pregiudizievoli o risultano nulla tenenti e irreperibili.Sotto il profilo oggettivo ritroviamo vertiginose movimentazioni del conto con

cifre rilevanti in un ristretto periodo di tempo, ovvero caratterizzate da ricezioni o trasferimenti di fondi da/verso l'estero, ovvero giro di fondi per importi ingenti effettuati fra imprese riconducibili ai medesimi soggetti, ovvero giro di fondi intercorsi per importi significativi con soci, specie se residenti in Paesi a regime fiscale privilegiato; accrediti di assegni o bonifici di importo ingente disposti da operatori nazionali, ai quali fanno contestualmente seguito trasferimenti, tramite assegni o bonifici, verso altri Paesi della UE o verso Paesi extra-UE; flussi in entrata contestualmente seguiti da trasferimenti di fondi privi di apparente giustificazione commerciale, in favore di altre società che non sembrano collegabili all'attività svolta dal cliente; cessione a terzi, a prezzi sensibilmente inferiori, di beni a contenuto tecnologico, di autoveicoli e in generale di beni agevolmente trasportabili e di largo consumo, ovvero cessione di beni e prestazione di servizi nei confronti di una sola impresa cliente o di un numero molto limitato di imprese clienti; infine, movimentazione dei conti priva di addebiti per le forniture - luce, gas, acqua -, tributi, previdenza sociale, o comunque caratterizzata da addebiti della specie in misura insignificante rispetto ai volumi di movimentazione.

Anche in questo caso nella valutazione assumono centralità le informazioni che riguardano gli assetti costitutivi e proprietari dell'impresa e le finalità economiche sottostanti alle transazioni. Ancora una volta il fenomeno concretizza da un lato un grave danno per l'Erario, in quanto vi è il mancato versamento IVA, il quale si interseca con movimentazioni del conto caratterizzate da flussi d'importo rilevante in un ristretto periodo di tempo e che tipicizzano la fase di layering.

La Comunicazione dell'UIF dell'8 luglio 2010 tratta del fenomeno degli abusi nell'erogazione e nella gestione dei finanziamenti pubblici alle imprese. La tematica assume particolare rilievo in quanto evidenzia sostanziose connessioni con la corruzione ed elevati rischi di condizionamento e in inquinamento nelle scelte pubbliche. I soggetti destinatari della Comunicazione sono oltre agli intermediari bancari e finanziari, tutti i professionisti che potrebbero essere coinvolti sia nella fase prodromica alla concessione dei fondi sia nella fase relativa all'impiego degli stessi.

Le operazioni devono essere monitorate, nella fase prodromica all'erogazione del finanziamento sotto il profilo soggettivo, in relazione a imprese interessate da improvvise o ripetute variazioni negli assetti proprietari o di controllo, ovvero imprese interessate da processi di capitalizzazione attuati attraverso consistenti apporti di contante, ovvero bonifici con causale finanziamento soci o apporto soci in conto aumento di capitale, seguiti pressoché contestualmente da trasferimenti di fondi in favore di società collegate, ovvero da bonifici, assegni o altre modalità di afflusso di capitali disposti da soggetti che non appaiono avere collegamenti societari od operativi, o comunque rapporti con l'impresa; imprese i cui soci o amministratori risultino di dubbio profilo professionale nonché sottoposti a procedimenti penali, ovvero privi di esperienza nel settore in cui opera la società che richiede il finanziamento, ovvero abbiano residenza/sede all'estero, specie se in Paesi a regime fiscalmente vantaggioso o non equivalente al contrasto del riciclaggio;Sotto il profilo oggettivo, le operazioni devo essere monitorate in relazione all'apertura di rapporti con imprese operanti in settori economici diversi da quello oggetto del finanziamento, specie se in precedenza non operative o costituite dal soggetto richiedente, ovvero entità del finanziamento richiesto che appaia del tutto incompatibile con il profilo economico-finanziario del soggetto richiedente, ovvero documentazione prodotta ai fini dell'erogazione del finanziamento che presenti elementi di criticità o di

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dubbio, soprattutto sotto il profilo economico-finanziario, ovvero richiesta di finanziamenti pubblici effettuata anche contestualmente da più società appartenenti allo stesso gruppo.Sempre sotto il profilo oggettivo la Comunicazione elenca anche una serie di comportamenti inerenti al flusso di utilizzo dei fondi, la cui individuazione appare di elevata delicatezza e difficoltà per prelevamento per contanti, immediato o tramite più operazioni frazionate, di quote del finanziamento ricevuto, ovvero immediato trasferimento presso altro intermediario dei fondi ricevuti, specie se per finalità non riconducibili al progetto finanziato, ovvero trasferimento dei fondi ricevuti a soggetti terzi, effettuato con operazioni che non appaiono logicamente collegate alle finalità per le quali il finanziamento è stato erogato, ovvero improvvisa o ripetuta variazione degli assetti proprietari dell'impresa, successivamente all'erogazione dei fondi; ripetuti giri di fondi tra conti di società collegate, specie se effettuati nei confronti di una società che risulta fallita o posta in liquidazione, ovvero trasferimento dei fondi ricevuti a favore di persone fisiche o giuridiche con sede in Paesi a regime fiscalmente privilegiato o non equivalenti nel contrasto al riciclaggio, ovvero trasferimenti di parte dei fondi ricevuti a favore di persone fisiche o di società a titolo di consulenze e prestazioni professionali di varia natura, ovvero rimborso in via anticipata del finanziamento ricevuto, specie se con operazioni in contanti o con fondi provenienti da Paesi con regime fiscale privilegiato o non equivalente al contrasto del riciclaggio.In conclusione, nella fattispecie in esame notiamo come la fase del layering si concretizzi nel trasferimento a terzi del finanziamento ricevuto e nel rimborso dello stesso con flussi di dubbia provenienza , resi evidenti dal cambiamento degli assetti proprietari delle imprese e dall'incongruenza delle finalità economiche finanziarie sottostanti all'operazione85.

Ultima e più recente è la Comunicazione emanata dall'UIF datata 7 gennaio 2011 indirizzata essenzialmente agli intermediari bancari e finanziari operanti nel comparto del leasing; tuttavia, per la natura trasversale della materia, è utile la conoscenza degli elementi soggettivi ed oggettivi contenuti negli schemi anche per il professionista, il quale potrebbe essere inconsapevolmente coinvolto nella stipula di taluni negozi giuridici.

La direttiva 2006/70/CE del 1° agosto 2006, al 9° Considerando, ricomprende i contratti di leasing tra le casistiche alle quali appare ragionevole associare un basso rischio di riciclaggio. Tuttavia, nella pratica, sono stati riscontrati fenomeni criminosi da parte di soggetti utilizzatori di beni concessi in leasing o di fornitori degli stessi86, che si sono concretizzati in una truffa perpetrata ai danni di una società di leasing. Dall'analisi di tali fenomeni l'UIF ha desunto lo schema che viene comunicato agli operatori per metterli in allerta nell'individuare possibili anomalie nell'operatività connessa ai contratti de quo. Gli operatori sono chiamati a valutare il contratto di concessione di finanziamento in forma di leasing alla luce del profilo del cliente e delle caratteristiche del bene, tenendo in considerazione le finalità economico-finanziarie dell'operazione, desumibili da idonea documentazione.

I fattori oggetto di valutazione sono, sotto l'aspetto soggettivo, connessi alla ricorrenza di un medesimo fornitore, il quale esercita un'attività che non appare coerente con le caratteristiche del bene concesso in leasing, ovvero collegamenti tra utilizzatore e fornitore di un bene in leasing tale da lasciar presumere che gli stessi siano riconducibili

85 L. STAROLA, Dall'UIF gli schemi sui comportamenti anomali per la prevenzione del riciclaggio, in Corriere Tributario, n. 9/2010, p. 713 e ss.

86 Comunicazione della Banca d'Italia n. 1009226 del 17 ottobre 2007.

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al medesimo soggetto economico, ovvero la ricorrenza del medesimo fornitore in più contratti risolti per insolvenza ed elementi riconducibili in capo ad un medesimo soggetto della qualifica di amministratore unico, socio o delegato ad operare sui rapporti relativi a più società utilizzatrici, ovvero la ricorrenza della medesima sede legale per più società utilizzatrici, fra di loro non collegate giuridicamente.

Sotto l'aspetto oggettivo i fattori al centro della valutazione riguardano l'incongruenza tra l'oggetto sociale dei clienti utilizzatori e la tipologia dei beni richiesti in leasing, ovvero la variazione dei dati relativi agli stessi in oggetto al contratto tale da lasciar supporre l'inesistenza del bene stesso o la mancata consegna al cliente utilizzatore, ovvero la falsificazione della documentazione necessaria alla stipula del contratto; il mancato o parziale pagamento di canoni di locazione e successivo inadempimento da parte del cliente utilizzatore, ovvero il pagamento degli stessi senza che il bene sia stato mai consegnato, ovvero la risoluzione nel negozio per insolvenza del cliente dopo breve lasso di tempo dalla erogazione, senza che il bene venga restituito; l'interruzione da parte del fornitore dei lavori per la realizzazione del bene senza che il cliente dia inizio ad alcuna azione per l'inadempimento e la comunicazione di furto dei beni concessi in leasing effettuate da soggetti terzi rispetto al cliente utilizzatore.

Le operatività descritte appaiono un intreccio tra una truffa ai danni del soggetto finanziatore ed una modalità di layering, ovvero denaro “pulito” ricevuto dal finanziamento contro denaro “sporco” per pagare i canoni.

A conclusione di quanto analizzato negli schemi sopra descritti, è bene sottolineare come ai fini della segnalazione di operazioni sospette non sia necessario che ricorrano contemporaneamente tutti i comportamenti anomali esposti in quanto la mera ricorrenza dei singoli comportamenti indicati non è motivo di per sé sufficienze per procedere alla segnalazione, per la quale è sempre richiesta la deduzione valutativa da parte del segnalante.

2.3.4. Istruzioni per la compilazione delle segnalazioni riguardanti operazioni sospette

A partire dal recepimento della direttiva 2001/97/CE del 4 dicembre 200187, come precedente affermato i professionisti sono stati ricompresi tra i destinatari della normativa di prevenzione del riciclaggio88, investendoli dell'obbligo di segnalazione delle operazioni sospette, risultando questo il mezzo più significativo per l'individuazione per gli illeciti ma, al contempo, anche quello di più problematica applicazione.

Il regolamento attuativo89 prevedeva, all'art. 12, che l'Ufficio italiano cambi potesse stabilire le modalità di produzione e trasmissione delle segnalazioni, anche prevedendo l'utilizzo di procedure informatiche e telematiche. Il motivo per il quale è stato preferito il canale telematico è intuitivo se si considera la tempestività con la quale possa essere effettuato l'inoltro della pratica e della rettifica di eventuali errori, lacune o incongruenze, favorendo perciò un sostanziale snellimento dei tempi morti ed evitando

87 Tramite il d.lgs. 20 febbraio 2004, n. 56.88 V. G. REBECCA-G. CERVINO, Evasione fiscale e riciclaggio di denaro: i nuovi obblighi per le

professioni economiche-giuridiche, in Il Fisco, n. 47/2006, p. 7281.89 D.m. 3 febbraio 2006, n. 141.

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la macchinosità dell'attività90. Le disposizioni applicative dell'Ufficio italiano cambi, emanate con

Provvedimento 24 febbraio 2006, nella parte IV Rilevazione e segnalazione di operazioni sospette, oltre a contenere gli indicatori di anomalia a cui fare riferimento nella rilevazione di operazioni sospette91, contempla anche le indicazioni operative sulla procedura di segnalazione92 da compilarsi secondo le istruzioni di cui all'allegato E del medesimo decreto. L'indicazione data dall'UIC ha riguardato la trasmissione della segnalazione in forma cartacea, pur riservandosi di predisporre strumenti informatici necessari per la trasmissione in via informatica.

A seguito del recepimento della direttiva 2005/60/CE del 26 ottobre 2005, la nota del Ministero dell'economia e delle finanze 19 dicembre 2007, n. 125367 ha precisato che continuano ad applicarsi gli indicatori di anomalia vigenti, come pure le disposizioni in tema di procedure per le segnalazioni delle operazioni sospette, sostituendo i riferimenti all'Ufficio italiano cambi con l'Unità di informazione finanziaria. Tuttavia, l'art. 41, comma 2, del d.lgs. 21 novembre 2007, n.231 recita che, al fine di agevolare l'individuazione delle operazioni sospette, su proposta dell'UIF, sono emanati e periodicamente aggiornati gli indicatori di anomalia dal Ministero della giustizia, sentiti gli ordini professionali.

Successivamente, il d.lgs. 25 settembre 2009, n. 15193 ha sancito94 che, per migliorare e rendere maggiormente incisivo il contenuto delle segnalazioni, l'UIF avrebbe emanato istruzioni sui dati e le informazioni necessariamente prescritte nelle segnalazioni, da pubblicarsi sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana.

In esecuzione a quanto previsto dall'art. 6, comma 6, lett. E-bis) e dall'art. 41, comma l-bis), del d.lgs. n. 231/2007, l'UIF ha ora effettuato una revisione del sistema di raccolta e gestione delle segnalazioni sospette, migliorare la qualità di queste, per assicurare una maggiore uniformità e completezza95. Comunque, nell'analizzare le numerose segnalazioni inviate, si sono rilevate numerose criticità che hanno portato alla necessità di accelerare la predisposizione delle apposite istruzioni previste dalla normativa, espressamente indicando che la segnalazione deve riportare tutti e solo gli elementi che consentono all'UIF di avviare gli eventuali approfondimenti.

Le nuove istruzioni, operative dal maggio 2011 secondo le istruzioni rese disponibili a partire dal marzo 201196, e prevedono che sia gli intermediari finanziari,che i professionisti e gli altri soggetti segnalanti, dovranno trasmettere le segnalazioni alla UIF in via telematica, attraverso la rete Internet, mediante il portale della Banca d'Italia, previa registrazione in funzione delle diverse categorie dei segnalanti. La segnalazione potrà essere redatta, mediante modulo data entry che costituirà la compilazione della segnalazione attraverso un interfaccia video, ovvero mediante trasmissione, tramite lo

90 L. STAROLA, Istruzioni UIF sulle segnalazioni di operazioni sospette: analisi, dubbi, perplessità, in Il Corriere Tributario, n. 2/2011, p. 120 e ss.

91 A tal proposito consultare l'allegato C del d.m. 24 febbraio 2004, n. 56.92 Schema contenuto nell'allegato D del d.m. 24 febbraio 2004, n. 56.93 Recante Disposizioni integrative e correttive del d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231.94 Con l'inserimento del punto e-bis al comma 6 dell'art. 6 del d.lgs. n. 231/2007 e del comma I-bis

dell'art. 41.95 Vedi il documento Istruzioni sui dati e le informazioni da inserire nelle segnalazioni di operazioni

sospette consultabile nel sito www.bancaditalia.it nella sezione Circolari e provvedimenti.96 Provvedimento della Banca d'Italia del 10 marzo 2011 recante Disposizioni attuative in materia di

organizzazione, procedure e controlli interni volti a prevenire l'utilizzo degli intermediari e degli altri soggetti che svolgono attivita' finanziaria a fini di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, ai sensi dell'art. 7 comma 2 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231.

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stesso portale, di un file predisposto autonomamente dal segnalante – modalità upload97 - , secondo il formato XBRL - eXtended Business Reporting Language -98.

Il nuovo sistema segnaletico implica che il segnalante, prima dell'invio, attivi una serie di controlli mediante una funzionalità diagnostica attivabile online sul sito dell'Unità di informazione finanziaria, al fine di individuare anomali che impedirebbero l'acquisizione della segnalazione. Gli ulteriori controlli sono attivati dall'UIF prima di acquisire la segnalazione. Al termine del processo di controllo, al segnalante viene inviata una comunicazione di conferma acquisizione della segnalazione senza errori, ovvero l'acquisizione con notifica di anomalie, ovvero lo scarto della segnalazione. In questi ultimi due casi è necessario trasmettere una segnalazione sostitutiva che contenga tutti gli elementi originari corretti e tutti quelli integrativi.

Indubbi sono i vantaggi acquisiti dall'adozione del canale informatico, tuttavia aleggiano dei dubbi riguardo le garanzie di sicurezza e riservatezza dei dati inviati secondo le modalità upload, con tracciato secondo il formato XBRL, richieda, nella maggioranza dei casi, l'intervento del personale dello studio, con buona pace della segretezza della segnalazione. D'altro canto, l'utilizzo del data entry non sarà così veloce ed immediato, per la innumerevole schiera di risposte da inserire, con utilizzo di predefiniti codici numerici.

Passando in rassegna l'allegato 2 del documento UIF, questo prevede che la segnalazione sia corredata da un giudizio di valutazione del rischio dell'operatività segnalata, espresso secondo il proprio prudente apprezzamento, anche tenendo conto dei criteri indicati nell'art. 20 del d.lgs. n. 231/2007. E' chiaro, dunque, ci sia necessità di un ulteriore valutazione del rischio, oltre a quella già richiesta ed operata nello spirito della direttiva 2005/60/CE99, in sede di adeguata verifica.

Secondo il nuovo modello, proposto dal provvedimento dell'Unità informazione finanziaria, il contenuto della segnalazione100 è articolato in:

a) dati identificativi della segnalazione;b) elementi informativi in forma strutturata;c) elementi descrittivi in forma libera.

I dati identificativi qualificano la segnalazione e il segnalante: fenomeno al quale l'operazione sospetta si riferisce, evento da cui ha tratto origini il sospetto, livello di rischio attribuito all'operatività segnalata, eventuali riferimenti a segnalazioni collegate. Nella segnalazione deve essere indicata la categoria alla quale si riferisce - riciclaggio, ovvero finanziamento del terrorismo, ovvero programmi di proliferazione delle armi di distruzione di massa -, l'evento di origine del sospetto, il risultato della valutazione del rischio, le informazioni inerenti gli eventuali provvedimenti a carico dei soggetti segnalati, la riconducibilità del fenomeno agli schemi rappresentativi di comportamento anomali individuati dall'UIF ex art. 6, comma 7, del d.lgs. n. 231/2007101.

Per quel che riguarda gli elementi informativi in forma strutturata, essi si riferiscono alle operazioni, ai soggetti, ai rapporti e a legami intercorrenti tra tali entità. Suddetti elementi riguardano,da una parte, gli attributi di classificazione – ovvero le

97 Banca d'Italia Revisione del sistema di invio delle segnalazioni antiriciclaggio aggregate del 23 dicembre 2010.

98 L'allegato 3A contiene le note tecniche, la tassonomia e il documento di istanza delle SOS in XBRL ed una descrizione concettuale dei contenuti della segnalazione.

99 Si rimanda all'art. 9, comma 6, della direttiva 2005/60/CE. 100Art. 6, comma 2, del provvedimento Istruzioni sui dati e le informazioni da inserire nelle segnalazioni di operazioni

sospette.101 L. STAROLA, Istruzioni UIF sulle segnalazioni di operazioni sospette: analisi, dubbi, perplessità, in

Il Corriere Tributario, n. 2/2011, p. 122 e ss.

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caratteristiche - e il relativo dominio – ovvero la descrizione -, dall'altra i legami ovvero le relazioni intercorrenti tra le varie entità.

In ultimo, gli elementi descrittivi in forma libera si riferiscono alle informazioni qualitative dell'operatività segnalata e ai motivi del sospetto. Inoltre, il segnalante deve indicare se la segnalazione riguarda un numero limitato di operazioni, ovvero attiene all'operatività complessiva posta in essere dal soggetto nell'arco temporale esaminato.

2.4. Internet e riciclaggio

Le opportunità di riciclare i proventi derivanti da attività illecite sono state favorite, inoltre, dalla crescita imponente di Internet come il mezzo di comunicazione scambio più veloce e diffuso del mondo.

L’utilizzo di Internet come strumento per il transito di attività illecite è, infatti, una conseguenza inevitabile e connessa con le caratteristiche proprie di questo mezzo di comunicazione, fra le quali: l’anonimato delle controparti della transazione; la rapidità con cui questa viene eseguita; la connessione virtuale – ma valida a tutti gli effetti – anche fra parti residenti in opposti punti del globo, in modo da sfuggire al controllo delle Autorità di polizia. Queste caratteristiche, inoltre, non riguardano solo la fase di conclusione dell’accordo negoziale ma anche, e soprattutto, la fase della regolarizzazione monetaria102.

Occorre considerare che, oltre alla pericolosità sociale di questo particolare utilizzo della rete, esso assume un ruolo preoccupante dal punto di vista economico, soprattutto per le conseguenze destabilizzanti che provoca in questo settore. Infatti, le attività intraprese mediante l’impiego di fondi di dubbia provenienza hanno, evidentemente, un minore costo del capitale d’avvio e conseguentemente un elevatissimo grado di concorrenzialità.

Gli scambi finanziari che utilizzano la rete come strumento di contatto, offrono alle organizzazioni criminali e terroristiche numerosi canali di riciclaggio estremamente innovativi rispetto a quelli tradizionali. La vera rivoluzione offerta da Internet nel campo dei sistemi di pagamento è rappresentata dall’introduzione del "denaro elettronico" e della "moneta virtuale"103, termini con i quali si è soliti definire quei nuovi strumenti di liquidità che si caratterizzano in particolare per il mancato supporto cartaceo, per l’anonimato garantito e per la notevole velocità di circolazione dei capitali da essi rappresentati.

In tal modo, si riduce significativamente la possibilità di individuare la relazione tra riciclatore ed attività illecita. Inoltre questi mezzi, anche se dotati di caratteristiche e limitazioni proprie, sono progettati in modo da conservare i «tratti somatici» della moneta convenzionale, cioè: convertibilità, trasferibilità, anonimato, basso livello di rischio. Allo stesso tempo, però, essi godono di una migliore flessibilità e minori costi di

102 S. SCREPANTI, Riflessi operativi di Internet, in Riv. G.d.F, 1999, pp. 1439-1440. Per approfondimenti si veda anche la Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza redatta per l’anno 2010 della Presidenza del Consiglio dei Ministri e scaricabile dal sito www.governo.it., nonché la Comunicazione UIF del 5 febbraio 2010: “Schemi rappresentativi di comportamenti anomali ai sensi dell’art. 6, comma 7, lett. b) del d.lgs. 231/2007 – Frodi Informatiche -.

103 G. LEMME, Moneta scritturale e Moneta elettronica, Giappichelli, Torino, 2003; R. NANULA, Gli IMEL, in Il governo delle banche in Italia: commento al TU bancario e alla normativa collegata, a cura di R. RAZZANTE-L. LACAITA, Giappichelli, Torino, 2006. Sul tema, da ultimo, i rapports dell’UCAMP rinvenibili sul sito del Ministero dell’Economia Sezioni frodi su strumenti di pagamento. Inoltre, la comunicazione UIF sulle carte c.d. “Revolving” del 24 aprile 2010.

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transazione.Proprio da questi vantaggi offerti dalla comunicazione in rete discende la

preferenza da parte della criminalità organizzata per Internet, in cui viene offerto ogni genere di prodotto o servizio ma, soprattutto, per la presenza di un sistema giuridico internazionale altamente debole e ambiguo – in particolare rispetto alla sanzionabilità dei reati informatici104 – e, pertanto, inadeguato nell’affrontare i rischi derivanti dalla globalizzazione delle attività economiche, garantendo così a chiunque, a costi ridotti e spesso anonimamente, l’accesso ad una serie di servizi particolarmente utili per l’attività di riciclaggio. Purtroppo, l’ingresso ai siti che offrono questi servizi è difficilmente limitabile da parte delle autorità di controllo perché, spesso, gli intermediari che offrono i suddetti servizi agiscono sui confini della legalità, adducendo finalità di privacy degli utenti e, frequentemente, collocano le loro società in Paesi che adottano in merito una legislazione particolarmente flessibile105. In questo modo viene resa più difficile l’attività d’indagine sui soggetti sospettati; per conseguenza ciò ha spinto ad un rafforzamento della legislazione sul controllo e la trasparenza dei movimenti di capitali da parte delle Authority della maggior parte dei Paesi, mediante un’efficace cooperazione internazionale a livello legislativo ed uno stretto coordinamento tra organismi operativi e organismi di intelligence.

104L. CUOMO - R. RAZZANTE, I crimini informatici, Giappichelli, Torino, 2006, versione aggiornata dello stesso testo, La nuova disciplina dei reati informatici, Giappichelli, Torino, 2009.

105L. CARTA-N. ALTIERO, L’utilizzo dei sistemi telematici a scopo di riciclaggio, in Riv. G.d.F., 1999, pp. 961-962. Ancora, il Rapporto GAFI del novembre 2010 sulla moneta elettronica.

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Capitolo III

LA COOPERAZIONE FISCALE INTERNAZIONALE:

IL PANORAMA EUROPEO

3.1. I primi passi nella costituzione del quadro normativo europeo

Nella seconda metà degli anni ottanta, anche se tardivamente, si perveniva alla progressiva presa di coscienza della gravità del fenomeno di riciclaggio106 a causa della dimensione multinazionale assunta dai reati fiscali, sentendo sempre più l'esigenza generalizzata dell'adozione di sempre più numerosi testi normativi a livello internazionale. Tali produzioni si differenziano fortemente fra loro sotto il profilo contenutistico, per l'ambito geografico di applicazione nonché per la diversa efficacia esplicata sugli ordinamenti nazionali. Sono una tipologia di atti, definibili a vocazione universale107, indirizzati alla comunità internazionale nel suo complesso. Atti che, essendo destinati ad incidere su sistemi giuridici estremamente eterogenei, si caratterizzano per una certa genericità delle disposizioni che devono consentire un elevato grado di flessibilità in sede di implementazione nel diritto interno.

Di seguito verranno prese in esame le diverse convenzioni stipulate, a livello internazionale, nell'ultimo ventennio, con il proposito di stabilire delle regole generali per il raggiungimento di una cooperazione internazionale, volte alla lotta dei delitti al patrimonio.

3.1.1. La Convenzione di Vienna

Le prime disposizioni antiriciclaggio adottate in ambito internazionale sono contenute nella Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico delle sostanze stupefacenti e sostanze psicotrope, conclusa a Vienna il 19 dicembre del 1988108, che segna il coronamento, sul piano normativo, di un impegno pluridecennale delle Nazioni Unite nel campo della lotta alla droga e rappresenta, al contempo, il primo strumento internazionale di larga portata contenente un espresso riferimento del reato di riciclaggio e dell'obbligo di confisca dei proventi di reato109. Trattandosi di un atto non destinato unicamente alla lotta del fenomeno in questione, l'approccio era sostanzialmente di tipo settoriale, ma ciò che è da osservare è che sicuramente la

106O. CUCUZZA, Il segreto bancario tra lotta al riciclaggio e repressione dell'evasione fiscale, EPC Libri, 1993.

107Definizione di MANACRODA, L'incriminazione del riciclaggio in Europa fra norme internazionali e naizonali, in MOCCIA (a cura di), Criminalità organizzata e risposte ordinamentali, Napoli, 1999.

108All'interno dell'ordinamento italiano la Convenzione è stata ratificata con legge n. 328 del 5 novembre 1990 mediante un semplice procedimento di rinvio in quanto la normativa italiana, soprattutto dopo l'approvazine della legge n. 55/90, non richiedeva vistosi adattamenti.

109DE GUTTRY – PAGANI, La cooperazione tra gli stati in materia di confisca dei proventi di reato e lotta la riciclaggio, Padova, 1995, pag. 48.

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centralità del problema della droga e l'intensità con la quale veniva avvertita, hanno certamente favorito l'approvazione di norme che forse non avrebbero avuto uguale sorte se isolate da tale contesto.

La Convenzione ha imposto agli Stati firmatari l'adozione di provvedimenti tali da conferire una rilevanza penale alla particolare figura delittuosa provvedendo anche a fornire una definizione attraverso la descrizione di una serie di generiche condotte rilevanti ai fini della costruzione della fattispecie. Inoltre, sempre in tale contesto, è stato affrontato il tema della cooperazione internazionale dettando precise regole che, riferendosi espressamente ai reati contemplati nell'atto convenzionale, e quindi anche al riciclaggio, risolvono in radice il problema della doppia incriminabilità rendendo meno problematico il funzionamento dei meccanismi di estradizione. L'articolo 6, della Convenzione, detta un insieme di disposizioni atte a coprire l'intera gamma dei meccanismi di estradizione al fine di garantire in ogni caso la traduzione del reo. In particolare è previsto l'impegno, da parte degli Stati, di qualificare il riciclaggio come reato estradabile in tutti gli strumenti convenzionali conclusi o in corso di negoziazione, considerando la stessa Convenzione come trattato di estradizione in tutti i casi in cui gli ordinamenti statali richiedano uno specifico accordo a fondamento dell'istituto. La normativa, inoltre, escludendo la natura politica del reato quale presupposto per negare l'estradizione o altre forme di assistenza giudiziaria, ha eliminato uno dei più frequenti ostacoli riscontrati in ambito internazionale nella repressione dei reati. Analogamente è stata preclusa la possibilità di attribuire al reato di riciclaggio una natura fiscale che lo escluderebbe da ogni forma di cooperazione giudiziaria110.

Al fine di conferire maggiore incisività ai provvedimenti in esame, è stata posta particolare attenzione all'aspetto dell'aggressione dei patrimoni illeciti prevedendo la possibilità di richiedere allo Stato estero nel quale siano localizzati, l'applicazione di misure tanto provvisorie, quali il sequestro, quanto definitive, quali la confisca111. In tema di confisca, adottando una soluzione all'epoca sconosciuta non solo nell'ordinamento italiano, è stata prevista, dall'articolo 5, comma 1, la c.d. confisca di valore, ovvero la possibilità di agire, secondo le procedure nazionali, per addivenire alla confisca, non solo dei beni individuati come provento di reato, ma anche di beni il cui valore corrisponda a quello di tali proventi112.

La Convenzione di Vienna, pur se limitata ad un preciso settore criminale, ha prodotto ugualmente risultati apprezzabili determinando la criminalizzazione della figura del riciclaggio in un elevato numero di Paesi e costituendo occasione, in altri, per sottoporre a revisione la disciplina al tempo vigente. Ha inoltre richiamato l'attenzione della comunità internazionale sul problema conferendo al riciclaggio un'autonoma rilevanza che prima sembrava non avere.

110M. POPPI, Finanziamento del terrorismo e cooperazione internazionale in materia di riciclaggio, in GNOSIS, n. 22, 2002.

111La misura della confisca è definita all'articolo 1, lettera f, come la permanente privazione della proprietà su ordine delle competenti autorità. Il sequestro, ai sensi dell'articolo 1, lettera l, ocnsiste nel temporaneo divieto, su ordine delle medesime autorità, di trasferimento, conversione, disposizione della proprietà o temporanea assunzione di custodia o controllo.

112ZAGARIS – KINGMA, Asset forfeiture international and foreign law: an emerging regime, in Emory International Law Review, 1991. La particolarità della confisca di valore consiste nel fatto che attraverso di essa, anziché aggredire il bene che costituisce, direttamente o indirettamente, il provento del reato, è possibile agire, secondo le procedure esecutive vigenti nello Stato ospitante, per ottenere il pagamento di una somma equivalente. Il vantaggio che ne deriva è rappresentato dalla possibilità di sottoporre ad esecuzione qualsiasi bene individuato nella disponibilità del destinatario del provvedimento indipendentemente dalla natura legale o meno della sua provenienza.

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3.1.2. La Dichiarazione di Basilea

Uno dei primi contributi nell'affermazione dei principi di prevenzione del riciclaggio si deve al Comitato di Basilea per le regolamentaizoni bancarie nelle pratiche di vigilanza ed, in particolare, alla Dichiarazione di Principi sulla prevenzione dell'utilizzo a fini criminosi del sistema bancario per il riciclaggio di fondi di provenienza illecita113, da questo adottata il 12 dicembre 1988.

Tale Comitato fu istituito alla fine del 1974, in seguito a crisi bancarie e valutarie dei mercati interni e internazionali, con lo scopo di favori re lo scambio di informazioni sulle pratiche di vigilanza tra i paesi aderenti e sviluppare la cooperazione in tal senso per istituire dei sistemi di preallarme in caso di crisi bancarie con riflessi internazionali. I documenti prodotti da tale organo non hanno valore vincolante, bensì si presentano solo come raccomandazioni.

La Dichiarazione dei principi è articolata in sei punti: nel primo veniva illustrato come le banche potessero essere utilizzate per effettuare depositi o trasferimenti di fondi criminali, quindi come centri di attività di riciclaggio; nel secondo si affermava la necessità di adottare forme di cooperazione internazionale per reprimere il riciclaggio; nel terzo e quarto punto si afferma che le autorità di vigilanza bancaria non potevano rimanere indifferenti all'utilizzo dei loro istituti come centro della criminalità, in quanto il pubblico riponeva in loro un grado di fiducia tale da poter diminuire o cessare nel caso di coinvolgimenti del sistema bancario in situazioni delittuose, con la conseguenza peggiore di un instabilità del sistema; nel quinto punto si faceva richiesta di adesione al sistema bancario a tutti i paesi aderenti alla dichiarazione stessa, la quale era assunta come una raccolta di Principi etici fondamentali, con lo scopo di sollecitare le banche ad adottare procedure volte ad assicurare l'identificazione di tutti i clienti; infine nel sesto punto si confermava l'impegno delle autorità dei paesi aderenti ad adottare politiche e procedure coerenti con la Dichiarazione e l'impegno dello stesso Comitato a diffondere la Dichiarazione anche presso le autorità dei paesi che non ne facevano parte.

Per ciò che riguarda i principi, essi attenevano all'identificazione della clientela, in quanto tutte le banche avrebbero dovuto istituire procedure efficaci ad ottenere l'identificazione dei propri clienti; era espressamente richiamato il principio dell'osservanza delle leggi, al riguardo le banche, non avrebbero dovuto fornire assistenza per operazioni di sospetto riciclaggio ed erano tenute ad effettuare le operazioni solo in conformità delle norme vigenti. Per ciò che riguarda la collaborazione, le banche avrebbero dovuto collaborare con le autorità nazionali giudiziarie e di polizia ed evitare di fornire assistenza ai clienti intenzionati ad eludere tali autorità. Infine si prescriveva l'adozione, da parte delle banche, di politiche coerenti ai Principi esposti nella Dichiarazione, volte quindi ad assicurare il rispetto delle osservazioni sopra elencate114.

In tale occasione sono stati elaborati altri principi comuni che attengono al contrasto del riciclaggio. Tali principi sono emanati in tema di vigilanza sul sistema bancario e contengono indicazioni per la prevenzione del riciclaggio e la conoscenza del cliente115. Sono stati emanate, poi, ulteriori indicazioni nei confronti del sistema

113Dichiarazione di Principi sulla prevenzione dell'utilizzo a fini criminosi del sistema bancario per il riciclaggio di fondi di provenienza illecita, in Diritto della banca, 1989, II, 97.

114M. CONDEMI-F. DE PASQUALE, Lineamenti della disciplina internazionale di prevenzione e contrasto al riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, in Quaderni di ricerca giuridica della Consulenza Legale, 2008, n. 60, pag. 37.

115Core principles for effective banking supervision, in Bank for international settlements, www.bis.org.

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bancario, nelle quali si affronta il principio della conoscenza della clientela come fondamento della prevenzione dell'uso del sistema bancario a scopo di riciclaggio116 e, nel 2003, è stato pubblicato un documento comune sugli standard antiriciclaggio e antiterrorismo applicabili ai settori banche, assicurazioni, società di investimento117.

Nel frattempo venivano emanati altri atti internazionali andando a svilupparsi una disciplina comunitaria con la conseguente adozione di sistemi nazionali di prevenzione e contrasto, ampliati dalle azioni di intervento al contrasto del finanziamento del terrorismo.

3.1.3. La Convenzione di Strasburgo del 1990

Il Consiglio d'Europa è stato il primo organismo internazionale a percepire la gravità degli effetti del riciclaggio sull'economia legale ed ha fornito una risposta al problema istituendo, già nel 1977, un Comitato di esperti incaricato di studiare un'adeguata strategia di contrasto. Il risultato, conseguente ai lavori, è rappresentato dalla Raccomandazione sulle misure di trasferimento e la protezione dei fondi di origine illecita negli Stati membri del Consiglio d'Europa del 1980118.

Le tendenze anticipate nella Raccomandazione del 1980, hanno trovato un più esaustivo sviluppo nella Convenzione di Strasburgo119, il quale rappresenta la prima risposta organica di natura normativa al riciclaggio elaborata in ambito internazionale.In questa sede sono stati affrontati alcuni aspetti del fenomeno trascurati a Vienna, pervenendo all'adozione di un complesso normativo ispirato ad un approccio globale sensibile tanto all'esigenza di perseguire sul piano penale le operazioni di riciclaggio di respiro transnazionale, quanto a quello di prevenirne la realizzazione con misure di natura amministrativa. L'obiettivo dichiarato è stato quello di facilitare la cooperazione internazionale stimolando120, da un lato, la convergenza verso livelli minimi di uniformità delle discipline nazionali vigenti; dall'altro, di creare le condizioni per una più stretta collaborazione fra gli organi inquirenti competenti: circa il primo aspetto, analogamente a quanto stabilito dalla Convenzione di Vienna, le parti si sono impegnate ad apportare le opportune modifiche ai loro sistemi penali al fine di conferire al riciclaggio la natura di reato e ad adottare efficaci meccanismi procedurali per consentire la confisca dei beni che ne costituiscono oggetto, con previsione ulteriore della possibilità di intervenire con misure di carattere cautelare ogni qual volta sussista il pericolo di una loro dispersione; Sotto il secondo aspetto, sono previste forme di collaborazione, fra gli apparati statali competenti, basate essenzialmente su scambi informativi e sulla concertazione delle tecniche investigative. Nell'affermare la penalizzazione del riciclaggio121 è stato risolto lo spinoso problema dei reati presupposto

116Customer due diligence for banks, ottobre 2001.117E. CASSESE, Il controllo del riciclaggio finanziario, in Trattato di Diritto Amministrativo, Milano,

Giuffrè, 2003, Tomo III, p. 3103.118Raccomandazione del Comitato dei Ministri n. R(80) del 27 giugno 1980, Misure contro il

trasferimento e la custodia dei fondi di origine criminale adottata ai sensi dell'articolo 15b dello Statuto del Consiglio d'Europa.

119Banca, borsa e titoli di credito, 1994, V, p. 720 e ss.120L. BONZANINI, La Convenzione di Strasburgo e la legge 328/1993; nuove fasi nella lotta al

riciclaggio di denaro "sporco" ed effetti sul sistema bancario, in Banca, borsa e titoli di credito, 1994, V, p. 724 e ss.

121La definizione delle condotte rilevanti ai fini della configurazione della specifica figura delittuosa

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estendendone il concetto a tutti i reati gravi.I redattori dell'atto, consapevoli dell'impatto che una simile affermazione di

principio poteva determinare, hanno previsto un correttivo riconoscendo alle parti la possibilità di limitarli ad un numero inferiore di fattispecie inviando una esplicita Dichiarazione, indirizzata al Segretario Generale del Consiglio d'Europa, da presentarsi al momento della firma o, al più tardi, al momento del deposito degli strumenti di ratifica122. Le norme dettate in tema di cooperazione sul piano operativo riguardano tanto l'assistenza nella conduzione delle indagini, quanto quella giudiziaria necessaria per pervenire alla confisca dei proventi con possibilità, se richiesto da altra Parte nel cui territorio sia pendente un procedimento penale, di adottare misure cautelari. Del tutto innovativa è la norma contenuta all'articolo 10, in quanto è prevista una forma di collaborazione d'iniziativa consistente nella trasmissione di elementi informativi, ritenuti utili per avviare o proseguire indagini o procedimenti, senza una precedente richiesta. Si tratta di una assistenza a largo spettro dovuta alle controparti che ne facciano richiesta, non solo per addivenire al rintraccio dei proventi, ma anche per tutte le misure atte ad acquisire e assicurare la prova dell'esistenza, ubicazione, stato giuridico e valore dei beni. I doveri di assistenza e collaborazione, imposti dall'atto negoziale, possono essere derogati solo nei casi espressamente previsti, tutti sostanzialmente riconducibili a ipotesi di pregiudizio di interessi essenziali della Parte richiesta o contrasto con i principi fondamentali del suo ordinamento giuridicoiii.

In ultima analisi notiamo coma la Convenzione abbai ripreso un istituto già contemplato nella Convenzione di Vienna, la confisca di valore123, il quale, ancora, non risultava introdotto in tutti i sistemi europei. La procedura di confisca internazionale così introdotta, integra la precedente possibilità di ottenere unicamente la c.d. estradizione materiale, ovvero la consegna di oggetti o beni individuati nel possesso della persona al momento dell'arresto o comunque utilizzabili come prove a carico124.

3.1.4. La Convenzione di Palermo

Nel mese di dicembre 2000, a testimonianza del costante impegno profuso dall'Organizzazione delle Nazioni Unite nelle delicate problematiche anticrimine, è stata firmata a Palermo una nuova e più ampia convenzione125 avente ad oggetto l'intero settore della criminalità organizzata transnazionale, nell'ambito della quale è stato nuovamente trattato il tema del riciclaggio. L'atto negoziale, dopo aver fornito una serie di importanti definizioni, finalizzate ad attenuare eventuali successivi problemi interpretativi126, affronta, oltre al tema del riciclaggio, e di quelli già noti delle

riprende sostanzialmente i contenuti della Convenzione di Vienna.122M. POPPI, Finanziamento del terrorismo e cooperazione internazionale in materia di riciclaggio , in

GNOSIS, n. 22, 2002.123Il significato del termine è stato illustrato nel Rapporto esplicativo sulla Convenzione, redatto dal

Consiglio d'Europa, e consiste nell'imporre il pagamento di una somma di denaro fissata sulla base della valutazione dei proventi direttamente o indirettamente derivati da reati, ovvero di ciò che tali proventi sostituiscono.

124Articolo 20 della Convenzione eruopea di estradizione, Parigi 13 dicembre 1957.125Convenizone delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale, sottoscritta nel

corso della Conferenza O.N.U. di Palermo il 15 dicembre 2000.126Fra le nozioni specificate dalla Convenzione, all'art. 2, si menzionano quelle di Gruppo criminale

organizzato, Reato grave, Congelamento e sequestro, Confisca, Reato presupposto e Consegna sorvegliata.

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conseguenti misure ablative e della cooperazione sul piano operativo, quello della destinazione dei beni oggetto di confisca. La Convenzione prevede che quando si agisca su richiesta di altro Stato Parte, compatibilmente con le disposizioni di diritto interno, e previa istanza nel senso, sia possibile una restituzione delle ricchezze confiscate al fine di reintegrare i legittimi proprietari di tali beni e, soprattutto, di risarcire le vittime del reato presupposto. Nell'ambito degli accordi che possono intercorrere fra gli Stati ai sensi della Convenzione, è prevista inoltre la possibilità di devolvere i beni confiscati, o parte di essi, eventualmente previa vendita degli stessi, ad organismi intergovernativi specializzati nella lotta alla criminalità organizzata127.

si tratta di prescrizioni non innovative, già note ai sistemi più evoluti fra i quali gli Stati aderenti all'Unione Europea, ma si deve sottolineare la rilevanza dell'atto sotto il profilo politico e della vastità dei destinatari, fra i quali molti Paesi a "rischio" sui quali non può non pesare la solennità dell'atto sottoscritto e l'autorevolezza del contesto all'interno del quale è maturata l'iniziativa.

Nella convenzione assumono importanza i reati presupposto del riciclaggio comprendendo quelli commessi, sia all’interno che all’esterno della giurisdizione dello Stato. Peraltro, i reati commessi al di fuori della giurisdizione costituiscono reato presupposto soltanto quando la relativa condotta costituisca reato ai sensi del diritto interno dello Stato ove è stato commesso e sarebbe stato reato ai sensi del diritto interno dello Stato che attua o applica tali norme se il reato fosse stato ivi commesso128.l'istituzione di sistemi di regolazione interna deputati al controllo delle attività suscettibili di utilizzazione a fini di riciclaggio; una disciplina normativa relativa alla registrazione delle operazioni finanziarie, all'identificazione degli autori ed alla segnalazione di quelle sospette; l'adozione di strumenti normativi per aggredire direttamente le ricchezze illegali attraverso gli istituti del sequestro e della confisca; il monitoraggio dei movimenti transfrontalieri di capitali, ed il consueto auspicio all'incremento delle pratiche cooperative fra gli organismi competenti su scala transnazionale.

3.2. Verso la definizione di una disciplina giuridica globale

La disciplina comunitaria, per quanto attiene la prevenzione del riciclaggio del denaro sporco, utilizza strumenti giuridici tradizionali della cooperazione istituzionale, attuata attraverso gli organi delle Comunità europee, con Direttive, Regolamenti e altri atti aventi forza giuridica più o meno vincolante, affermando il suo ruolo di protagonista nell'armonizzazione legislativa europea129.

E’ proprio in questa direzione che già dal 1991 con la prima Direttiva sul riciclaggio che il legislatore comunitario ha mosso i suoi passi. L’introduzione di normative a livello nazionale e comunitario sul riciclaggio e quindi sul sistema bancario ha provocato lo spostamento delle attività di riciclaggio dalle grandi banche verso quelle più piccole, meno regolamentate, o verso meccanismi non finanziari con l’intervento di

127 M. POPPI, Finanziamento del terrorismo e cooperazione internazionale in materia di riciclaggio , in GNOSIS, n. 22, 2002.

128 O. Cocuzza, Impresa, riciclaggio e controlli, in Impresa Commerciale e industriale, n.1/2001.129 M. CONDEMI-F. DE PASQUALE, Lineamenti della disciplina internazionale di prevenzione e

contrasto al riciclaggio e del finanziamento al terrorismo, in Quaderni giuridici di ricerca giuridica della Consulenza Legale, 2008, n. 60, p. 43.

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altre figure professionali. In tale prospettiva la Direttiva n.97 del 2001 realizza un chiaro tentativo di risposta. Viene, dunque, tratteggiato un nuovo scenario che prevede l’allargamento delle categorie di soggetti obbligati alla segnalazione di operazioni sospette.

Con l'emanazione, infine, della direttiva 2005/60/CE, consolida il diritto esistente, abrogando definitivamente le due direttive precedenti. Al centro delle sue prescrizioni si trova la prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo e introduce vari obblighi finalizzati alla prevenzione delle pratiche di money laundering, destinati agli operatori economici.

3.2.1. La Raccomandazione n.80/10

La Raccomandazione n. 80/10 del 27 giugno 1980 del Consiglio d'Europa, intitolata Misure contro il trasferimento e la custodia di fondi di origine criminale, la prima norma comunitaria in materia di riciclaggio e considerata come l’antecedente della Convenzione di Strasburgo, metteva in primo piano l'esigenza di accertare l'identià dei clienti da parte degli operatori bancari e di instaurare una più stretta collaborazione tra gli istituti bancari stessi130.

Scopo della norma era contrastare i flussi di capitali illeciti accumulati a seguito dei sequestri di persona attività tipica degli anni '70. Strumento di questa strategia di contrasto viene individuato nella attiva cooperazione delle banche. L’armamentario della raccomandazione era per la stessa natura dell’atto normativo individuato piuttosto spuntato confidando nella forza della persuasione attraverso degli auspici. Dall’auspicio di maggiore assistenza, alla facoltà di infrangere il segreto professionale anche fuori dai casi di specifica richiesta dell’autorità, sino all’obbligo, pesantemente sanzionato, di segnalare “spontaneamente” i propri clienti “sospetti131.

La Raccomandazione prevedeva l’obbligo per le banche di verificare l'identità dei clienti, lo scambio di informazioni sulla provenienza e la circolazione di banconote sospette e l'accantonamento di contante con un numero di serie segnalato.

3.2.2. La I Direttiva Comunitaria

A seguito della Convenzione di Strasburgo è intervenuta l'iniziativa della Comunità europea che, in una fase ormai prossima al completamento del Mercato Unico, non poteva più rimanere insensibile alla minaccia rappresentata dal riciclaggio. La Direttiva comunitaria, relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi da attività illecite132, nelle intenzioni dei redattori,

130 M. CONDEMI, Profili internazionali del fenomeno del riciclaggio, organismi e forme di collaborazione, in Quaderni di ricerca giuridica della consulenza legale della Banca d'Italia, 1996, n.46, p. 94.

131 M. ZANCHETTI, Il contributo delle organizzazioni internazionali nella definizione delle strategie di contrasto al riciclaggio in A. MANNA, Riciclaggio e reati connessi all’intermediazione mobiliare, UTET, Torino, 2000, p. 14.

132Direttiva del Consiglio n. 308/91 adottata il 10 giugno 1991, in G.U.C.E. n. 166 del 28 giugno 1991.

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tendeva a realizzare un livello minimo di armonizzazione fra le legislazioni nazionali degli Stati membri che consentisse di fornire al problema una risposta, quanto più possibile uniforme, in un momento in cui l'evoluzione del processo d'integrazione e liberalizzazione sembrava, suo malgrado, creare condizioni sempre più favorevoli all'espansione ed al consolidamento del fenomeno133.

L'atto, i cui contenuti erano in perfetta sintonia con i risultati già conseguiti in altre sedi internazionali134, è stato adottato dopo un lungo ed acceso dibattito relativo alla definizione della sua base giuridica resa problematica in virtù delle interferenze della materia regolata con il diritto penale che non è materia comunitarizzata.

La decisione definitiva è stata presa dal Consiglio dei Ministri che ha definito la questione prevedendo la sottoscrizione di una apposita Dichiarazione dei rappresentanti dei Governi degli Stati membri con la quale si ribadiva l'impegno di approvare, entro il 31 dicembre 1992, tutte le misure legislative necessarie per adeguare la normativa interna agli obblighi imposti135. Quanto ai destinatari della disciplina, benché siano formalmente gli Stati membri, le specifiche previsioni sono state indirizzate di fatto agli enti creditizi e finanziari, così come definiti dalla legislazione bancaria comunitaria dell'epocaiv

Si trattava di definizioni da intendersi in senso ampio che comprendevano tutti gli intermediari finanziari professionali, comprese le succursali di enti creditizi e finanziari con sede all'esterno della Comunità136 ma operanti sul suo territorio anche se deve rilevarsi, non coprono tutte le forme di attività professionale che possono, a vario titolo, essere sfruttate per realizzare operazioni di riciclaggio.

La penalizzazione del riciclaggio è stata riaffermata in termini di obbligatorietà ma si è purtroppo registrata una regressione con riferimento al concetto di reato presupposto, il cui novero è stato limitato ai soli delitti già indicati dalla Convenzione di Vienna. La restrizione dell'ambito di applicazione al solo fenomeno droga ha posto una serie ipoteca sull'efficacia della disciplina comunitaria anche se la stessa norma auspicava, ma in termini di assoluta discrezionalità, un'estensione ad ogni altra attività che gli Stati membri considerassero rilevante ai fini dell'oggetto della Direttiva. La portata della disposizione risultava ulteriormente ridimensionata dall'assenza di precise indicazioni circa la natura e l'entità delle relative sanzioni, la cui definizione non poteva che essere rimessa al libero apprezzamento delle autorità nazionali, frustrando la possibilità di garantire livelli accettabili di uniformità applicativa e consentendo agli operatori economico-criminali di elaborare mirate strategie di forum shopping concepite per lo sfruttamento delle opportunità offerte dall'esistenza di diversi livelli di attuazione delle previsioni comunitarie.

La Direttiva ha previsto la realizzazione di un costante scambio di informazioni fra gli intermediari finanziari, da un lato, e le autorità antiriciclaggio dall'altra, provvedendo a disciplinarne le modalità concrete nell'intento di conferire livelli di trasparenza più elevati al sistema finanziario. Agli intermediari veniva attribuito per la prima volta un ruolo da interlocutore qualificato degli organismi inquirenti con i quali sono chiamati a cooperare attraverso una fitta rete di scambi informativi, su richiesta da

133La prima Istituzione ad avvertire l'esigenza di un intervento nel delicato settore, anche se nell'ambito antidroga, è stata il Parlamento europeo che è intervenuto con due Risoluzioni nel 1987 e nel 1989.

134Il rinvio a tali iniziative era espressamente contenuto nel 4,5, e, 7 considerando. In particolare i riferimenti sono alla Convenzione di Vienna, alla Convenzione di Strasburgo, alla Dichiarazione dei principi di Basilea, alla Raccomandazione R(80) del Consiglio d'Europa e alla misure adottate dal Gruppo d'Azione Finanziaria.

135 GRASSO, Comunità europee e diritto comunitario, Milano, 1989.136 Cfr. nota IV.

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parte delle competenti autorità e, in presenza di elementi di sospetto liberamente valutabili, anche d'iniziativa. La disciplina relativa all'analisi delle operazioni da loro effettuate, con conseguente obbligo di segnalazione alle autorità antiriciclaggio di quelle ritenute sospette, istituto tuttora centrale in ogni impianto normativo antiriciclaggio, evidenzia in tutta la loro onerosità le incombenze che gravano sugli intermediari che sono chiamati a valutare, caso per caso, le singole operazioni esprimendo apprezzamenti estremamente complessi e delicati. La Direttiva si è posta anche l'ambizioso obiettivo di assicurare maggiori livelli di trasparenza prevedendo doveri di identificazione in caso di operazioni di ammontare superiore ad una determinata soglia o, a prescindere dall'entità dell'operazione, in presenza di indizi o sospetti di finalità di riciclaggio137. La disciplina si è spinta anche a dettare norme relative all'organizzazione interna degli enti interessati imponendo adeguate procedure che garantiscano l'efficacia dei controlli richiesti sulle operazioni e la celerità delle prescritte comunicazioni alle autorità competenti con la previsione di idonei sistemi di controllo interno tendenti alla verifica della rispondenza, in termini di funzionalità, della struttura aziendale agli adempimenti imposti.

Apprezzabile è anche il tentativo di scalfire uno dei santuari del sistema bancario, la disciplina del segreto, tanto che, nel corso dei lavori preparatori, sembrava si volesse operare una sorta di inversione di priorità fra la tutela della riservatezza a favore del singolo cliente e l'esigenza di ordine generale di rendere maggiormente trasparente il sistema138. Il principio è esposto con chiarezza nel preambolo ma la relativa trasposizione nel testo normativo non è stata così univoca. Il testo si limita, infatti, ad affermare una generica esenzione di responsabilità derivante dalla violazione delle norme poste a tutela del segreto quando l'infrazione si sia resa necessaria per adempiere in buona fede agli obblighi imposti.

L'imponente processo di liberalizzazione delle economie mondiali vissuto negli anni '90 ha ben presto evidenziato i limiti dello strumento normativo comunitario dimostratosi incapace, nonostante i pregi evidenziati in precedenza, di mantenere il passo con una realtà in fase di rapidissima trasformazione: il primo è emerso in relazione alla individuazione dei reati presupposto circoscritti ai soli reati connessi al traffico di droga anche se l'invito ad aumentarne la gamma è stato raccolto dalla maggior parte dei Membri; un ulteriore spunto problematico è stato offerto dalla definizione dell'ambito di applicazione soggettivo della Direttiva sul quale sarebbe stato opportuno fare maggiore chiarezza. Il rinvio alle disposizioni contenute nella legislazione bancaria comunitaria, inoltre, si è rivelato insufficiente e non ha eliminato ogni possibilità di confusione. Altre perplessità sono sorte a seguito dell'adozione della Direttiva relativa ai servizi d'investimento139, successiva a quella sul riciclaggio, che ha delineato figure non sempre perfettamente riconducibili alle definizioni precedentemente esistenti.

Il punto più delicato è stato tuttavia quello relativo alla copertura delle attività estranee al settore finanziario di cui all'articolo 12140 il quale, sebbene configurasse un vero e proprio obbligo di estensione, era carente nella sua formulazione che, data

137 A. DE VIVO, Approvazione definitiva del decreto attuativo della III Direttiva antiriciclaggio, in Il Fisco, n. 44/2007, p. 5951 e ss.

138 M. POPPI, Finanziamento del terrorismo e cooperazione internazionale in materia di riciclaggio, GNONIS, n. 22/2002.

139 Direttiva n. 93/22 del 10 maggio 1993.140 Articolo 12 della Direttiva 91/308/CEE del Consiglio, del 10 giugno 1991, Gli Stati membri

provvedono ad estendere, in tutto o in parte, le disposizioni della presente direttiva ad attività professionali e categorie di imprese diverse dagli enti creditizi e finanziari di cui all'articolo 1, le quali svolgono attività particolarmente suscettibili di utilizzazione a fini di riciclaggio.

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l'eccessiva genericità, lasciava ampi margini discrezionali in sede di attuazione nonostante la prassi testimoniasse, già allora, uno spostamento delle attività di riciclaggio dal settore bancario tradizionale alle imprese o professioni non finanziarie.Sulla scorta delle valutazioni dell'esecutivo comunitario, il Parlamento europeo, con proprie Risoluzioni141, ha più volte sollecitato una revisione della Direttiva, la cui modifica è divenuta un impegno formale nell'ambito del Piano d'azione per i servizi finanziari, adottato dal Consiglio Europeo di Colonia nel giugno 1999142. La Direttiva originaria creava non pochi problemi anche con riguardo ad uno degli istituti più importanti dell'intero impianto normativo, le operazioni sospette, in relazione alle quali non era sempre chiaro a quale autorità dovessero essere indirizzate. In particolare non era specificato il destinatario delle segnalazioni originate da succursali di enti creditizi aventi sede centrale in altro Paese membro, né a quale dei due Paesi, quello ospitante la sede centrale o quello ove fossero stabilite le succursali, spettasse assicurare il rispetto della Direttiva. Al fine di porre rimedio a quanto lamentato adeguando gli strumenti normativi alla mutata realtà, la Commissione ha quindi formulato una proposta di Direttiva, poi fatta propria dal Consiglio e dal Parlamento, recante modifiche all'impianto della Direttiva n. 91/308 il cui iter si è concluso con la definitiva adozione della Direttiva di modifica n. 2001/97/CE143, sui cui tempi di approvazione ha inciso in maniera determinante la tragedia dell'11 settembre.

3.2.3. La II Direttiva Comunitaria

Il 4 dicembre 2001 fu adottata, in sede comunitaria, la Direttiva 2001/97/CE è intitolata prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite,ma i suoi contenuti sono strettamente collegati a tematiche di pertinenza del Terzo pilastro144. Lo scopo era quello di adeguare e aggiornare la Direttiva 1991/308/CEE in materia di riciclaggio, per far fronte ai sempre più diffusi e sofisticati sistemi di riciclaggio di denaro sporco e del connesso finanziamento di attività criminali. In particolare, il Parlamento Europeo ed il Consiglio, vista la proposta avanzata dalla Commissione145 e visto il parere del Comitato Economico e Sociale146, come espresso puntualmente nei considerando del provvedimento stesso, hanno ritenuto che fosse opportuno che la direttiva 1991/308/CEE venisse aggiornata conformemente alle conclusioni della Commissione, riflettendo così le migliori pratiche internazionali del settore e continuando anche a garantire uno standard elevato nella protezione del settore finanziario e di altre attività a rischio dagli effetti dannosi del denaro proveniente da attività criminose147. E' stato inoltre considerato che l'eliminazione della criminalità organizzata sia strettamente collegata con la lotta al riciclaggio dei capitali e che pertanto il catalogo dei reati presupposti debba essere aggiornato di conseguenza.

141 Rispettivamente Doc. A4-0187/96 e Doc. A4-0093/99.142 In tale occasione, affermando il pieno impegno delle Istituzioni a favore di una quanto più ampia

possibile liberalizzazione dei mercati dei capitali e dei servizi finanziari, è stata nuovamente esternata la preoccupazione che il processo in atto possa favorire il riciclaggio.

143 In GUCE, L. 344 del 28 dicembre 2001.144 Rivista Unione Europea n.5 del 9 febbraio 2002, pgg.54-58.145 In GUCE, 177 del 27 giugno 2000, pag. 14.146 In GUCE, 75 del 15 marzo 2000, pag. 22.147 C. COCUZZA-M. GIOFFRE', L'avvocato tra deontologia e nuovi obblighi di segnalazione: la

direttiva 2001/97/CE, in www.consiglionazionaleforense.it.

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Il Parlamento Europeo ed il Consiglio hanno poi considerato che i soggetti protagonisti di attività di riciclaggio di denaro sporco sono soliti all'utilizzo di enti non finanziari, una tendenza confermata da numerosi studi condotti dal GAFI sul tema. In ragione di ciò, si è ritenuto opportuno di dover estendere gli obblighi, stabiliti dalla Direttiva in oggetto, ad un numero limitato di attività e di professionisti che sono sensibili all'utilizzo a fini di riciclaggio148. Alla luce di ciò, tanto la Commissione quando gli organi competenti nel caso, hanno inteso estendere gli obblighi antiriciclaggio a particolari figure, che, nonostante non appartengano in modo diretto al settore finanziario, creditizio o delle banche in generale, per la natura della loro particolare attività, prestano la loro opera professionale in riferimento ad operazioni di natura finanziaria o societaria.

Tali soggetti sono individuati, dal legislatore comunitario, nella persona di “professionisti legali indipendenti che dovrebbero essere assoggettati alle disposizioni della direttiva quando partecipano a operazioni di natura finanziaria o societaria, inclusa la consulenza tributaria, per le quali è particolarmente elevato il rischio che i servizi dei predetti professionisti vengano utilizzati a fini di riciclaggio dei proventi di attività criminali149.

Analizzando le modifiche e le integrazioni di maggior rilievo apportate alla vecchia direttiva, notiamo che l'articolo 1 della Direttiva contempla una definizione più approfondita di riciclaggiov. L'intento del legislatore è quello di prevedere una definizione dell'attività di riciclaggio che sia la più ampia possibile, in modo da poter comprendere tutte le attività criminose finalizzate ai delitti del patrimonio. Inoltre, il legislatore comunitario ha previsto che la conoscenza, l'intenzione ovvero la finalità, quali elemento essenziale, possono essere dedotte da circostanze di fatto obiettive e che il riciclaggio comprende anche i casi in cui le attività che hanno dato origine ai beni da riciclare siano compiute nel territorio di un altro Stato Membro o di un Paese Terzo150.

Andando avanti nell'analisi, la Direttiva prevede l'inserimento dell'articolo 2 bis nel testo della precedente direttiva del 1991, che individua i soggetti cui gli Stati Membri dovranno imporre gli obblighi previsti dal provvedimento stesso. Nella nuova previsione, come detto in precedenza, accanto alle figure degli enti creditizi e degli enti finanziari, vengono individuati, nell'esercizio della loro attività professionale, alcuni specifici soggetti individuati nelle figure dei revisori contabili, notai e gli altri professionisti legali.

Sempre la nuova Direttiva prevede una duplice tipologia di obblighi: l'obbligo di identificazione e di informazione, ovvero l'obbligo di procedere all'identificazione della clientela mediante documento probante, e l'adozione di congrue misure per ottenere informazioni sull'effettiva identità delle persone per conto delle quali alcuni clienti agiscono, soprattutto per le cosiddette operazioni a distanza151.

In conclusione, il nuovo orientamento comunitario, è chiaro nel perseguire un miglior controllo della movimentazione della ricchezza con la possibilità costante di identificare, non solo l'agente diretto, ma anche il beneficiario finale delle transazioni, superando gli schemi interpositivi.

148 A. BEBCCHI, Il riciclaggio nel contesto dei rapporti tra economia criminale ed economia legale, in http://brezza.iuav.it/.

149 Considerando 16 della direttiva 2001/97/CE.150 C. COCUZZA-M. GIOFFRE', L'avvocato tra deontologia e nuovi obblighi di segnalazione: la

direttiva 2001/97/CE, in www.consiglionazionaleforense.it. 151 V. G. REBECCA-G. CERVINO, Evasione fiscale e riciclaggio di denaro: i nuovi obblighi per le

professioni economico-giuridiche, in Il fisco, n. 47/2009.

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3.2.4. La III Direttiva Comunitaria

La disciplina comunitaria è oggi costituita dalla Direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo152. La direttiva consolida il diritto esistente abrogando le due precedenti, e introducendo significative novità, inoltre, si caratterizza per l'elevato grado di articolazione rispetto alle precedenti.

Proprio per tenere conto del rilievo tecnico delle materie trattate e della necessità di un rapido adeguamento alla realtà di riferimento e all'armonizzazione dei sistemi nazionali, alla Commissione Europea vengono affidati vasti compiti di intervento normativo per la specificazione delle disposizioni generali contenute nella direttiva, a scapito delle autorità degli Stati membri.

La direttiva, partendo dalla consapevolezza della presenza di criminali che utilizzano il sistema bancario a scopo di attività illecite, introduce misure comuni al fine di garantire la solidità, l'integrità e la stabilità degli enti creditizi e finanziari e la fiducia nel sistema finanziario nel suo complesso153.

Il provvedimento si inserisce in un ampio processo di revisione della disciplina antiriciclaggio e di estensione degli obblighi e dei controlli alle varie forme di finanziamento del terrorismo. In tal senso particolare rilievo assume l'estensione dell'incriminazione al finanziamento del terrorismo. Infatti, come si evince dal primo comma della direttiva, si impone agli Stati membri di assicurare non solo il divieto di riciclaggio dei proventi illeciti, ma anche il finanziamento del terrorismo, definendolo come la fornitura o la raccolta di fondi, in qualunque modo, direttamente o indirettamente, con l'intenzione di utilizzarli, in tutto o in parte, per compiere uno dei reati collegati al terrorismo.

Per quanto concerne l'applicazione degli obblighi, i soggetti destinatari della direttiva hanno obblighi di adeguata verifica della clientela e di segnalazione di operazioni sospette nei confronti della Financial Intelligence Unit154. Inoltre, data la pericolosità che il contante costituisce ai fini del riciclaggio e al finanziamento del terrorismo, la direttiva si applica nei confronti delle persone fisiche o giuridiche che negoziano beni, ma soltanto quando il pagamento è effettuato in contanti per un importo pari o superiore a 15.000 euro, indipendentemente dal fatto che la transazione sia effettuata con un operazione unica o diverse operazioni che appaiono collegate.

Andando avanti nell'analisi del testo normativo, notiamo come la direttiva disciplini i poteri e le funzioni delle Financial Intelligence Unit, nonché lo scambio di informazioni tra queste. Si prevede espressamente l'obbligo per ogni Stato Membro di istituire una FIU per combattere efficacemente il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo. La FIU riceve e richiede le informazioni finanziarie che riguardano casi potenziali di riciclaggio o finanziamento del terrorismo e accede alle informazioni finanziarie e amministrative in possesso di altre autorità. Viene introdotto anche un

152 E. CASSESE-P. COSTANZO, La Terza Direttiva comunitaria in materia di antiriciclaggio e antiterrorismo, in Giornale di Diritto Amministrativo, n. 1/2006, p. 5.

153 M. CONDEMI-F. DE PASQUALE, Lineamenti della disciplina internazionale di prevenzione e contrasto al riciclaggio e del finanziamento al terrorismo, in Quaderni giuridici di ricerca giuridica della Consulenza Legale, 2008, n. 60, p. 44 e ss.

154 A. BALDASSARRE, Il Gruppo Egmont, in M. CONDEMI-F. DE PASQUALE, Lineamenti della disciplina internazionale di prevenzione e contrasto al riciclaggio e del finanziamento al terrorismo , in Quaderni giuridici di ricerca giuridica della Consulenza Legale, 2008, n. 60, p. 286.

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sistema di collaborazione nella vigilanza antiriciclaggio tra la FIU e le autorità di vigilanza di settore, per i settori sottoposti a vigilanza di stabilità.

Per quanto riguarda gli obblighi di verifica, registrazione e segnalazione, il sistema antiriciclaggio e antiterrorismo della direttiva è caratterizzato dall'approccio in base al rischio. Infatti, tra i criteri che la direttiva indica per la determinazione del contenuto concreto di numerose disposizioni, figura quello della considerazione del rischio di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo: l'ampiezza maggiore o minore delle misure concrete ovvero l'intensità nella loro applicazione viene fatta dipendere dalla valutazione dall'apprezzamento nel caso specifico. Tale apprezzamento è rimesso a diverse fonti, in alcuni casi è la stessa direttiva a fornire classificazioni ed esemplificazioni del rischio, in altri è affidata ai destinatari155, in altri ancora la valutazione del rischio è rimessa alla Commissione Europea nell'adozione di misure applicative.

3.3. La cooperazione internazionale. Dalle 40 Raccomandazioni alla nuova Convenzione del 10 marzo 2010

L'istituto del segreto bancario è collegato a due fenomeni di enorme rilevanza: il riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite, e di evasione fiscale. Negli ultimi anni sono stati fatti enormi passi in avanti nel quadro della collaborazione tra gli Stati, nonostante la diversità dei sistemi fiscali. Infatti, eliminare o ridurre fortemente i limiti posti al potere di indagine fiscale significa, di fatto, consentire lo scambio transfrontaliero dell'informazione bancaria tra autorità nazionali con specifici trattati156.

Tuttavia, i paesi più reticenti in questo senso sono proprio quelli che fondono il loro vantaggio competitivo su un sistema bancario blindato alle autorità fiscali di altri Stati, e per questo si rendono disponibili solo di fronte a situazioni fiscali di particolare gravità157.

In primo luogo bisogna, comunque, operare una distinzione tra la cooperazione giudiziaria e la cooperazione amministrativa.

La prima si riferisce alla cooperazione internazionale in relazione alla repressione dei reati di diritto comune, nella lotta alle organizzazioni malavitose e al fenomeno del riciclaggio del denaro e terrorismo. Essa è posta in essere tra le autorità giurisdizionali dei paesi interessati, attraverso lo strumento della rogatoria internazionale158. Lo strumento della rogatoria internazionale presuppone per la sua ammissibilità l'intervento dell'autorità giudiziaria, oltre la politica, che potrà accoglierla solo dopo che si sia accertato che essa è coerente con i principi giuridici fondamentali in materia159.

La seconda attiene all'aspetto amministrativo e può riguardare informazioni di

155 P. COSTANZO, L. CRISCUOLO e G. LUPI, L’attività dell’Unione Europea nel campo della prevenzione e del contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, in M. CONDEMI-F. DE PASQUALE, Lineamenti della disciplina internazionale di prevenzione e contrasto al riciclaggio e del finanziamento al terrorismo, in Quaderni giuridici di ricerca giuridica della Consulenza Legale, 2008, n. 60, p. 201 e ss.

156 G. D'ALFONSO, La cooperazione internazionale a livello fiscale, Tax Planning – Ifaf, n. 8/1999.157 D. CONTINI, R. LENZI, F. VEDANA, Segreto bancario e fiduciario in Italia e all'estero, EGEA,

2008, 22.158 Codice di procedura penale, Giuffré, 2002.159 R. LENZI, Praticamente top secret, in www.milanofinanza.it, 15 febbraio 1997.

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natura fiscale e vede come attori i soggetti operanti nella Pubblica Amministrazione160.L'adesione dei cosiddetti paradisi bancari europei alle convenzioni e agli

accordi internazionali di cooperazione in materia di lotta al riciclaggio del denaro sporco, permette per contro di tutelare il segreto bancario nella quasi totalità dei casi161.

Sotto il profilo fiscale, si è tentato – sia in sede OCSE che in sede ECOFIN – di trovare una soluzione a questa disomogeneità. Il passo storico, verso il raggiungimento di tale obiettivo che si è tentato di perseguire da oltre un ventennio, è culminato nel 2010, con la firma, tra l'OCSE e il Consiglio d'Europa, del protocollo di modifica della Convenzione multilaterale sulla mutua assistenza amministrativa in campo fiscale che era stata sottoscritta a Strasburgo il 25 gennaio 1988162.

3.3.1. La Financial Action Task Force o Gruppo di azione finanziaria

Il Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale contro il riciclaggio di denaro, chiamato anche GAFI è il primo stabile organismo che, sul piano internazionale,si occupa del fenomeno del riciclaggio con carattere di sistematicità163, creato in occasione della riunione del G7 tenutasi a Parigi nel 1989 con l'obiettivo di sviluppare e promuovere, in un sistema finanziario internazionale sempre più complesso, le politiche nazionali e internazionali contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo. Costituito inizialmente solo dai rappresentanti del G7, dalla Commissione Europea e da altri 8 Stati strategici, il GAFI ha visto annoverare successivamente tra i propri membri numerosi altri paesi, affiancati da oltre 30 organizzazioni internazionali in qualità di osservatori164. E' l'unico organo che si occupa, in maniera esclusiva e con alto grado di competenza, dello sviluppo internazionale di una strategia antiriciclaggio esaminandone gli sviluppi delle tecnica. Inoltre tra le sue competenze, vi è quella di valutare i risultati della cooperazione tra i paesi nella lotta all'uso del sistema bancario e finanziario a scopi di riciclaggio, analizzando le misure prese a livello nazionale e definendo gli standard internazionali. Per quanto concerne questi ultimi, il GAFI mantiene un piano di relazioni tra i paesi aderenti e non, con l'obiettivo di divulgazione degli stessi.

Nel 1990 sono state elaborate dall'organo le richiamate più volte 40 Raccomandazioni165, le quali offrono un panorama completo di contromisure

160 B. SANTACROCE, La UE all'attacco sullo scambio di informazioni, in Il Sole 24 ore, 3 marzo 2008.161 G. D'ALONSO, In Europa migliora la cooperazione fiscale, in Amministrazione e finanza – Iposa, n.

7/2008.162 G. DI MURO, Ocse e Consiglio d'Europa, intesa antievasione fiscale, su FiscoOggi, del 06/04/2010.163 C. LAURIA-A. MENGALI, Codice delle norme antiriciclaggio ed antiusura, Borgia Editore, Roma,

1996.164 I membri del GAFI sono 32 paesi e territori: Argentina, Australia, Austria, Belgio, Brasile, Canada,

Cina, Danimarca, Filandia, Francia, Germania, Grecia, Hong Kong, Islanda, Irlanda, Italia, Giappone, Paesi Bassi, Lussemburgo, Messico, Nuova Zelanda, Norvegia, Portogallo, Federazione Russa, Singapore, Sud Africa, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Gran Bretagna, Stati Uniti. Due organizzazioni regionai: Unione Europea e il Consiglio di cooperazione del Golfo. Sono Associate Members igruppi regionali affiliati al GAFI APG (per l'Area Asia Pacifico), al GAFISUD ( per il Sud America), alla Caribbean Financial Action Task Force (CFATF), alla Middle East and North Africa Financial Action Task Force (MENAFATF), nonchè il Moneyval del Consiglio d'Europa, il Fondo Monetario Internazionale, l'Interpol, la Banca Mondiale e l'Europol.

165 Per una completa disamina delle varie raccomandazioni si suggerisce la lettua del Quaderno di Ricerca Giuridica predisposto da Banca d'Italia sul tema Lineamenti della disciplina internazionale di

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antiriciclaggio, che ogni paese mette in opera in funzione delle proprie circostanze e quadri costituzionali. Tra le innovazioni apportate, vi è la creazione di un organismo, l'Unità d'Informazione Finanziaria166, destinato alla gestione delle segnalazioni di operazioni sospette.

Le Raccomandazioni sono state revisionate più volte nel corso degli anni, subendo una successiva integrazione dalle 9 Raccomandazioni speciali per la lotta al finanziamento del terrorismo, in quanto l'aggiornamento degli standard internazionali rende più efficace la prevenzione del riciclaggio a fronte delle nuove strategie sviluppate dalla criminalità internazionale, il tutto culminante in un ampliamento notevole delle legislazione in materia. L'ultima revisione delle 40 Raccomandazioni, è datata al 2003, introducendo importanti novità consistenti in una più puntuale definizione delle regole da seguire con le persone politicamente esposte e con l'identificazione dei clienti delle banche da parte di terzi. I Paesi sono tenuti a fare in modo che le leggi sul segreto professionale degli istituti finanziari non ostacolino la loro messa in opera.

Per quanto riguarda gli aspetti principali di tale disposto, prevede delle specifiche regole per ciò che riguarda la verifica e identificazione della clientela. E' infatti previsto che si debba procedere all'identificazione del cliente e del relativo beneficial owner, con la conseguente conservazione dei relativi dati per almeno cinque anni. Inoltre, si raccomanda di eliminare i conti anonimi e i conti sotto nomi evidentemente fittizi. Altra prescrizione è quella di dare particolare attenzione alle operazioni complesse, di un ammontare anormalmente elevato e inusuali, così come per le operazioni che hanno chiaro scopo economico o legale. E' fatto salvo, inoltre, la possibilità di ricorrere a terzi per l'identificazione a distanza dei clienti, sulla base di attestazione rilasciata da soggetti abilitati, ovvero presso i quali hanno rapporti continuativi, anche se la responsabilità finale dell'identificazione del cliente rimane, comunque, in seno alle istituzioni finanziarie nazionali.

Altro ambito applicativo del disposto riguarda la segnalazione delle operazioni sospette e compliance. La disposizione prescrive lo sviluppo di programmi che prevedano controlli interni per monitorare la conformità e l'efficacia del sistema, non ché la formazione del personale professionista, e in ultimo prevede la segnalazione dell'operazione, qualora risulti sospetta, all'organo competente, quale appunto l'Unità di Informazione Finanziaria nazionale.

Particolare attenzione si deve avere in riferimento alle altre misure persuasive nelle quali si accenna alla lotta contro la costituzione delle banche fittizie e si invita a una più partecipativa collaborazione, tanto a livello nazionale che internazionale, della monitorizzazione delle movimentazioni finanziarie in modo tale da renderle meno vulnerabili al fenomeno del riciclaggio. Elemento che spicca è la particolare attenzione che si suole dare alle operazioni poste in essere con persone, società ed istituzioni dei paesi non collaborativi, prevedendo una regolamentazione e vigilanza adeguata e prevedendo delle relative sanzioni efficaci167.

Guardando nel complesso, lo spirito animatore del testo normativo del GAFI è orientato a incrementare la cooperazione nazionale e completare il processo di armonizzazione agli standard nazionali.

prevenzione e contrasto al riciclaggio e del finanziamento del terrorismo curato da M. CONDEMI e F. DE PASQUALE, nonché del libro A. MIFSUD, A. PAGANI, A. TADINI, Antiriciclaggio, EGEA, Milano, 2007.

166 Cfr. nota 41.167 D. CONTINI, R. LENZI, F. VEDANA, Il segreto bancario e fiduciario in Italia e all'estero, EGEA,

2008.

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In questo contesto si inserisce la formulazione delle liste. E' identificato con questo nomeil processo mediante il quale si identificano i paesi non collaborativi e la sua prima formulazione si è avuta dopo la plenaria GAFI del febbraio 2000, con il risultato della formazione di una black list168. Il carattere comune dei paesi inseriti in questa lista è rappresentato dall'assenza, sul piano legislativo, di un quadro sistematico di disposizioni antiriciclaggio, con mancanza di previsione del reato di riciclaggio, l'assenza di meccanismi di segnalazione sospette la mancata istituzione di una FIU169. Accanto a tali mancanze, ne sono emerse altre che, indirettamente, ostacolano la prevenzione ed il contrasto del fenomeno delittuoso in esame, sia perchè alcuni centri non cooperativi prevedevano la possibilità di aprire conti bancari anonimi o con nomi fittizi, sia perchè spesso sono risultate carenti le disposizioni sulla verifica della effettiva identità dei clienti ovvero del reale beneficiario dei rapporti, e altresì, sono caratterizzati dalla scarsa attenzione alla vigilanza sulle istituzioni bancarie e finanziarie.

Il primo aggiornamento della black list risale nel rapporto del GAFI del 2001, dal quale si evince chiaramente che l'inserimento di questo nuovo meccanismo ha avuto l'effetto di accellerare i processi di riforma nei paesi originariamente dichiarati non cooperativi. Un ulteriore aggiornamento della lista è stato effettuato durante il vertice del G-20.

Le due raccomandazioni, su cui in questa sede preme porre l'accento, sono la n. 36 e la n. 40, le quali hanno inciso maggiormente sull'effettiva portata del segreto bancario.

La raccomandazione 36 è diretta a realizzare la più ampia politica di mutual legal assisstance e di supporto all'estradizione tra i paesi GAFI. Nel primo comma, si dispone che gli Stati GAFI, nell'ipotesi in cui si presentino dei profili compatibili con la fattispecie in esame, debbano immediatamente disporre degli strumenti idonei a garantire la più ampia reciproca assistenza in materia di investigazioni, giudizi e procedimenti per la prevenzione e contrasto del riciclaggio del terrorismo internazionale. Nella pratica non devono opporre ostacoli o proibizioni in merito alla mutual legal assistance, devono necessariamente assicurare un'efficace e rapida assistenza e non possono opporre un rifiuto solo in ragione dell'esistenza di un segreto o di un obbligo di riservatezza bancaria-finanziaria nella legge nazionale.

La raccomandazione 40, oltre ad essere mirate al contrasto del riciclaggio170, sono orientate a disciplinare le altre forme di cooperazione che si rendono necessarie al fine di un pronto ed efficace scambio di informazioni e di prestazioni di assistenza tra le autorità non solo giudiziarie e di law enforcement degli Stati GAFI, ma anche tra quelle aventi funzioni di vigilanza e di monitoraggio di settore, le cosiddette competent authorities. Pertanto, al primo comma si prescrive che gli Stati debbano assicurare la più ampia cooperazione internazionale delle proprie competent authorities, mediante procedimenti efficaci e trasparenti che consentano il più ampio scambio diretto di informazioni, ed evitando determinate condizioni restrittive, quali ad esempio, tra quelle già citate prima, opporre un rifiuto solo in ragione dell'esistenza di un segreto o di un obbligo di riservatezza bancaria-finanziaria nella legge nazionale.

Si desume, dunque, che i membri del GAFI debbano dotarsi di una legislazione sul segreto bancario e fiduciario che sia compatibile con i principi enunciati dalle

168 M. GARA-A.PAVESI, Il Gruppo di Azione Finanziaria (GAFI/FATF), in M. CONDEMI-F. DE PASQUALE, Lineamenti della disciplina internazionale di prevenzione e contrasto al riciclaggio e del finanziamento al terrorismo, in Quaderni giuridici di ricerca giuridica della Consulenza Legale, 2008, n. 60, p. 63

169 Cfr. nota 122.170 R. RAZZANTE, La normativa antiriciclaggio in Italia, Giapichelli Editore, Torino, 1999.

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raccomandazioni. Tale aspetto potrebbe apparire un grave limite alla tutela del segreto bancario e fiduciario, in realtà con l'emanazione della direttiva 2005/60/CE, gli Stati membri del GAFI possono assicurare agli intermediari e agli operatori bancari autorizzati a operare sul loro territorio un sistema di tutela del segreto bancario addirittura più forte rispetto a quello offerto da molti paesi non aderenti. La dimostrazione più concreta la si trova nel decreto del ministero dell'Economia e delle Finanze del 18 agosto 2008171 il quale contiene l'elenco degli Stati extracomunitari che, in quanto membri del GAFI, godono di particolari guarantige in termini di tutela del segreto bancario172. Ciò si evince leggendo l'art. 25 del d.lgs. 231/2007, al cui primo comma prevede che i soggetti tenuti a porre in essere gli adempimenti antiriciclaggio non sono soggetti agli obblighi di adeguata verifica della clientela situato in uno Stato comunitario o extra-comunitario che imponga obblighi equivalenti a quelli previsti dalla terza direttiva antiricilaggio e preveda il rispetto del controllo di tali obblighi.

3.3.2. Nuove prospettive di collaborazione: il G-20 di Londra

Altro passo, di particolare rilevanza, compiuto nel quadro internazionale verso una più attiva collaborazione tra gli Stati, sono state le decisioni prese durante il vertice di Londra nell'aprile del 2009. La novità, che emerge rispetto al passato, è la constatazione del fatto che non è più oltremodo tollerabile la distorsione del mercato provocata dai regimi fiscali agevolati esistenti in alcuni paesi173. E' proprio verso questa direzione che è stato animato il vertice di Londra, considerato ormai come uno spartiacque nella lotta ai crimini sul patrimonio, incentivati dal regimi fiscali privilegiati.

Gli aspetti più rilevanti emersi da tale vertice riguardano, in prima sintesi, l'elencazione ufficiale, da parte dell'OCSE, dei paradisi fiscali, resa necessaria per la messa in atto di misure limitative e repressive nei confronti di quei territori che, a causa del loro regime favorevole, creano un danno all'economia dei paesi trasparenti. In seconda battuta, sono state individuate nuove misure di collaborazione degli Stati “alleati” verso i paesi “non collaborativi”. A riguardo, particolare attenzione è data dalla ferma decisione di combattere il segreto bancario che ancora resiste in molti Paesi del mondo, ma soprattutto europei174.

Con riguardo alle liste, sulla base di quanto deliberato nel G-20, su indicazione dell'OCSE, sono stati individuati tre livelli di valutazione per giudicare la “bontà” fiscale di un Paese, in riferimento alla sua trasparenza e alla propensione alla collaborazione con le altre amministrazioni fiscali.

In prima battuta è stata individuata una lista bianca, contente chi rispetta gli standard fissati dall'OCSE in materia di accessibilità e scambi informazioni. Ne fanno parte: l'Italia, quasi tutti i partner UE, gli USA, Isole Vergini, l'Isola Man. Nel secondo livello, quello della lista grigia, convergono quei paesi che erano stati classificati, all'origine, come paradisi fiscali. In questa lista sono stati inseriti alcuni territori critici in qualità di centri finanziari: Austria, Belgio, Brunei, Cile, Guatemala, Lussemburgo,

171 In G.U. Del 29 agosto 2008.172 D. CONTINI, R. LENZI, F. VEDANA, Segreto bancario e fiduciario in Italia e all'estero, EGEA,

2008, 35 e ss.173 L. MAISANO, Linea dura sui paradisi fiscali, in Il Sole 24 ore, 3 aprile 2009.174 V. DA ROLD, Nella lista nera dell'OCSE i nuovi "paradisi fiscali", in Il Sole-24 Ore, 12 marzo 2009.

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Singapore, Svizzera. Sono stati che, all'epoca, avevano avviato l'adeguamento agli standard OCSE ma che ancora non potevano essere promossi alla lista bianca. Nell'ultimo decennio, molti dei tax havens, che in passato era assolutamente presenti nella lista nera, hanno siglato accordi con l'OCSE, entrando a far parte di tale lista grigia. Si tratta di Paesi che stanno avviando dei processi per adeguarsi agli standard internazionali per essere promossi alla lista bianca (LISTA). Infine, nel terzo elenco, ritroviamo i paesi cattivi tout court, in quanto non hanno accettato di tax standard fissati dall'OCSE: Costa Rica, Malesia, Filippine, Uruguay175.

E' bene sottolineare la assoluta incisività che ha avuto il vertice nella ridefinizione della situazione: la pubblicazione della lista nera dei paradisi fiscali da parte dell'OCSE ha determinato un immediata reazione degli stati incriminanti, che si sono dichiarati pronti ad adeguarsi alle richieste della comunità internazionale. Infatti, la black list ha un chiaro intento politico e cioè quello di indurre spontaneamente gli stati non cooperativi ad assicurare lo scambio di informazioni. Lo scambio di informazioni e l'abolizione del segreto bancario rappresentano, dunque, i principali obiettivi cui punta la comunità internazionale.

Per ciò che riguarda l'aspetto collaborativo tra i paesi, è stato previsto, oltre alla possibilità di ricorrere a indagini finanziari transazionali, il punto cruciale emerso dal vertice è rappresentato dagli accordi di collaborazione che uno Stato deve stipulare per poter essere definito, dai parametri OCSE, trasparente.

3.3.3. La svolta nel quadro cooperativo internazionale: l'accordo tra l'OCSE e il Consiglio d'Europa

In data 31 marzo 2010, l'OCSE e il Consiglio d'Europa hanno adottato il Protocollo di modifica dela Convenzione multilaterale sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale176. La Convenzione disciplina la cooperazione internazionale attuata mediante l'assistenza e lo scambio di informazioni sul piano multilaterale.

Lo scopo primario è quello di consentire a ciascuno Stato contraente di combattere l'evasione fiscale internazionale e di applicare più efficacemente la legislazione interna in materia, nel rispetto dei diritti del contribuente. Il Protocollo di modifica risponde principalmente all'esigenza di adeguare le disposizioni convenzionali agli standard di trasparenza e scambio di informazioni accettati a livello internazionale i quali implicano, tra gli altri, l'obbligo allo scambio di informazioni coperte dal segreto bancario secondo la legislazione interna, nonché l'obbligo allo scambio di informazioni anche in assenza di uno specifico interesse dello Stato richiesto177. In prima battuta è necessario sottolineare che vengono disciplinati i casi in cui lo Stato richiesto possa sottrarsi all'obbligo di fornire le informazioni se lo Stato richiedente non abbia fatto ricorso a tutti i mezzi di cui dispone sul proprio territorio, tranne nel caso in cui il ricorso a tali mezzi comporti difficoltà sproporzionate178.

175 Black List: Elenco dei Paesi a regime fiscale privilegiato c.d. Paradisi Fiscali , in www.fiscoetasse.com

176 Cfr. § 4.1.1.177 P. VALENTE, I Tax Information Exchange Agreements (TIEAs). Disposizioni OCSE su scambio

informazioni con paradisi fiscali, in Il Fisco, n. 35/2009, 5781 e ss.178 Articolo 19 della Convenzione.

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Rientrano nell'ambito dell'applicazione della Convenzione lo scambio di informazioni su richiesta, disciplinato dall'art. 5, in virtù del quale su domanda dello Stato richiedente, lo Stato richiesto fornisce al primo ogni informazione relativa a una data persona o transazione. Prima di avanzare una richiesta, lo Stato richiedente è tenuto a utilizzare tutti i mezzi a disposizione sul proprio territorio per ottenere le informazioni. La richiesta dovrebbe effettuarsi per iscritto in modo da consentire la raccolta e la trasmissione delle informazioni nella maniera più celere possibile.

Altra forma di scambio di informazioni prevista è quello dello scambio spontaneo di informazioni. In generale, in questo caso, le autorità competenti di uno Stato comunicano, senza che ne sia fatta preventiva richiesta, talune informazioni in loro possesso, all'autorità competente di ogni altro Stato interessato. Per sua natura, lo scambio di informazioni spontaneo si basa sulla partecipazione attiva tra funzionari locali179.

Successiva previsione è lo scambio di informazioni automatico, il quale implica la sistematica e periodica trasmissione di informazioni riguardanti un dato contribuente, da parte dello stato della fonte allo Stato di residenza del contribuente stesso. Questo genere di operazione, seppur strettamente previsto, può avvenire soltanto previo accordo tra le Parti180.

In ultimo, sono previste verifiche fiscali simultanee e le verifiche fiscali all'estero, regolate rispettivamente dagli articoli 8 e 9 della Convenzione181.

Alcuni dei problemi aperti, riguardo la cooperazione internazionale, riguarda l'esistenza di diverse fonti che hanno ambiti di applicazione non sempre coincidenti e spesso causano problemi di conflitti di competenza. Inoltre, ulteriore aspetto particolare e cruciale della materia che comporta non pochi problemi applicativi e interpretativi, riguarda l'utilizzo della lingua, fonte di possibili malintesi che si potrebbero creare a causa della diversità linguistica.

Infine, il successo dello scambio di informazioni dipende, non solo dalla adeguatezza degli strumenti, ma spesso anche dalla celerità e dalla tempestività dello scambio182.

179 OCSE, Manual on the implementation of exchange of information provisions for tax purposes, Module 2 on spontaneous exchange of information, 2006.

180 P. VALENTE, Lo scambio di informazioni automatico nelle fonti internazionali e sovranazionali, in Il Fisco, n. 20/2010, fascicolo n. 1, 3160 e ss.

181 P. VALENTE, Il Protocollo 2010 di modifica della Convenzione sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale, in Il Fisco, n. 23/2010, fascicolo n. 1, 3623 e ss.

182 P. SCOTTO DI SANTOLO, La cooperazione fiscale internazionale, in Innovazione e diritto, n. 6/2010, in http://www.innovazionediritto.unina.it.

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CONCLUSIONI

Riservatezza e trasparenza, storici poli antitetici verso i quali si sono schierati i sostenitori di opposte prospettive: da un lato la necessità che sente il cittadino di sapere il proprio risparmio protetto dall'interferenza di soggetti non autorizzati; dall'altro l'esigenza di tutelare il mercato dalle distorsioni delle attività criminose.

E' evidente, però, come sia difficile coordinare queste due prospettive nell'attività storica della lotta al riciclaggio, in uno scenario che da sempre ha visto alcuni Paesi incentivare i fenomeni criminosi a causa del loro regime fiscale privilegiato. Negli ultimi anni, però, sono stati fatti enormi passi in avanti nel quadro della collaborazione tra gli Stati, nonostante la diversità dei sistemi fiscali, vedendo eliminare o ridurre fortemente i limiti posti al potere di indagine fiscale consentendo, finalmente, lo scambio transfrontaliero dell'informazione bancaria tra autorità internazionali. Lo strumento dello scambio di informazioni è destinato sempre più a svilupparsi nella misura in cui l'economia sempre più si internazionalizza.

Già ai tempi del G20 di Londra, i leaders mondali avevano auspicato l'adozione di un multilater approach allo scambio di informazioni, ma solo con protocollo del 2010 è stata posta una pietra miliare nella lunga serie di interventi che si sono succeduti nella storia, con l'obiettivo dichiarato di migliorare il corretto funzionamento dei sistemi finanziari con la cooperazione tra i paesi partecipanti, tra le diverse amministrazioni e i loro funzionari. Occorre, infatti, valorizzare sempre al massimo l'utilizzo della cooperazione internazionale che rappresenta uno dei più importanti strumenti per il contrasto dei fenomeni delittuosi internazionali. Ed è proprio la sottoscrizione di tale accordo da parte di paesi come la Svizzera, Lussemburgo, San Marino, Monaco, Andorra, da sempre conosciuti per la rigidità del loro segreto bancario, che rappresenta un ulteriore rilevante passo verso la piena cooperazione in materia fiscale e il superamento del segreto bancario a livello multilaterale.

La svolta storica, però, nella lotta al riciclaggio di denaro mediante conti esteri protetti si raggiungerà solamente con l'abbattimento totale del segreto bancario, nel prossimo se non immediato futuro, consentendo di arginare notevolmente la proliferazione dei fenomeni delittuosi e, anche se è pur vero che i paradisi fiscali extracontinentali non scompariranno del tutto, più complessa risulterà la canalizzazione in tali luoghi dei proventi illeciti frutto di violazioni fiscali.

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i Art. 35 del d.p.r. n. 600 del 1973:• il contribuente non aveva presentato la dichiarazione dei redditi e l'ufficio era in possesso degli elementi dai

quali risultava che il medesimo contribuente nel periodo d'imposta aveva conseguito ricavi ok altre entrate per un ammontare superiore a 100 milioni di lire, ovvero se persona fisica, aveva acquistato, per un ammontare superiore a 25 milioni di lire, alcuni tipi di beni considerati come voluttuari ed indicativi di elevata capacità contributiva;

• l'ufficio disponeva di elementi certi da cui risultava che il contribuente aveva conseguito nel periodo d'imposta ricavi od altre entrate, rilevanti per la determinazione dell'imponibile, per un ammontare superiore al quadruplo di quelli dichiarati, salvo il caso in cui tale differenza risultava inferiore a 100 milioni;

• il soggetto aveva omesso di predisporre, per tre periodi d'imposta consecutivi, le scritture contabili previste dagli art. 14, 18, 19 e 20 del d.p.r. n. 600 del 1973.

ii Ai sensi dei commi 12, 132, 14, 18 e 19 dell'art. 49:• il saldo dei libretti di deposito bancari o postali al portatore non può essere pari o superiore ai 5.000 euro;• i libretti di deposito bancari o postali al portatore con saldo pari o superiore a 5.000 euro, esistenti alla data di

entrata in vigore del presente decreto, sono estinti dal portatore, o il loro saldo dev'essere ridotto a una somma non eccedente tale importo entro il 30 giugno 2011;

• in caso di trasferimento di libretti di deposito bancari o postali al portatore, il cedente comunica, entro 30 giorni, alla banca o alla Poste Italiane S.p.a. I dati identificativi del cessionario, l'accettazione di questi e la data del trasferimento;

• è vietato il trasferimento di denaro contante per importi pari o superiori a 2.000 euro, effettuato per il tramite degli esercenti attività di prestazione di servizi di pagamento nella forma dell'incasso e trasferimento dei fondi, limitatametne alle operazioni per le quali si avvalgono di agenti in attività finanziaria, salvo il disposto dal comma 19; il divieto non si applica nei confronti della moneta elettronica;

• il trasferimento di denaro contante per importi pari o superiori a 2.000 euro e inferiori a 5.000 euro, effettuato per il tramite di esercenti attività di prestazione di servizi di pagamento nella forma dell'incasso e trasferimento dei fondi, nonchè di agenti in attività finanziaria dei quali gli stessi esercenti si avvalgono, è consentito solo se il soggetto che ordina l'operazione consegna all'intermediario copia della documentazione idonea ad attestare la congruità dell'operazione rispetto al profilo economico dello stesso ordinante.

iii Alle parti è concessa ulteriormente, dall'articolo 20, la possibilità di accogliere le richieste solo parzialmente o di sottoporle a determinate condizioni da loro ritenute necessarie. Rientrano nella fattispecie i casi in cui la confisca sia ammessa solo con riferimento ad alcuni beni o venga concessa l'esecuzione solo su di una parte della somma oggetto della confisca di valore. La norma è stata concepita anche per consentire la tutela di eventuali terzi o per consentire di risolvere questioni inerenti la titolarità dei beni prima che questi divengano oggetto di un provvedimento di confisca. Oltre alle ipotesi di rifiuto o accoglimento parziale, l'articolo 19, prevede altresì un caso di differimento dell'esecuzione della richiesta quando questa possa pregiudicare indagini o procedimenti in corso da parte delle proprie autorità. La delicatezza del tema, anche per le strette implicazioni della materia con i sistemi penali nazionali, ha indotto i redattori a prevedere dei meccanismi per la risoluzione delle inevitabili controversie. A tal proposito è stato previsto che il Comitato Europeo per i Problemi Criminali del Consiglio d'Europa deve essere tenuto informato circa l'interpretazione e l'applicazione della Convenzione, ipotizzando una serie di soluzioni. Tali rimedi consistono nell'investire della questione, alternativamente, lo stesso Comitato, la Corte Internazionale di Giustizia oppure un Collegio arbitrale la cui decisione sarà vincolante per le parti.

iv Direttiva del Consiglio n. 77/780 del 12 dicembre 1977, in GUCE n. L322/77 del 17 dicembre 1977 e Direttiva n. 89/646 del 15 dicembre 1989, in GUCE n. L386/89 del 30 dicembre 1989. L'articolo 1 precisa che: • per ente creditizio si intende un ente definito in conformità dell'articolo 1, primo trattino della Direttiva

77/780/CEE, modificata da ultimo dalla Direttiva 89/646/CEE, nonché una succursale, quale definita dall'articolo 1 terzo trattino della Direttiva citata e situata nella Comunità, di un ente creditizio che abbia la sede sociale al di fuori della Comunità;

• per ente finanziario si intende un'impresa diversa da un ente creditizio la cui attività principale consista nell'effettuare una o più operazioni menzionate ai punti da 2 a 12 e 14 dell'elenco allegato alla Direttiva 89/646/CEE, nonché un'impresa di assicurazione debitamente autorizzata in conformità della Direttiva 79/267/CEE modificata da ultimo dalla Direttiva 90/619/CEE, nella misura in cui svolga attività che rientrano nel campo di applicazione di detta Direttiva; tale definizione comprende anche le succursali, situate nella Comunità, di enti finanziari che hanno la sede sociale al di fuori dalla Comunità.

v Secondo l'articolo 1 della Direttiva 2001/97/CE, l'attività di riciclaggio si sostanzia nella realizzazione delle seguenti azioni:• la conversione o il trasferimento di beni, effettuati essendo a conoscenza del fatto che essi provengono da

un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività, allo scopo di occultare o dissimulare l'origine illecita dei beni medesimi o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attività a sottrarsi alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni;

• l'occultamento o la dissimulazione della reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione, movimento, proprietà dei beni o diritti sugli stessi, effettuati essendo a conoscenza del fatto che tali beni provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività;

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• l'acquisto, la detenzione o l'utilizzazione di beni essendo a conoscenza, al momento della loro ricezione, che tali beni provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività;

• la partecipazione ad uno degli atti di cui ai trattini precedenti, l'associazione per commettere tale atto, il tentativo di perpetrarlo, il fatto di aiutare, istigare o consigliare qualcuno a commetterlo o il fatto di agevolarne l'esecuzione.

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Grafica, impaginazione, stampa e rilegatura