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Finalmente un nuovo, imperdibile romanzo di

GENA SHOWALTER… I DEMONI sono tornati!

Un unico destino accomuna demoni e dei,

mortali e immortali:un amore capace

di superare ogni cosa, perfi no la morte...

Dopo il grandesuccesso internazionale,MARIA V.SNYDERè pronta a incantare anche l’Italia con una trilogia magica,che vi farà sognare.

“Affascinante… L’ho adoratofi n dal primo momento.Dark Moon è un viaggio incredibileai confi ni della realtà.”

Heather Graham

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Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: Treasured Priceless

Silhouette Special Edition Silhouette Special Edition

© 2004 Sherryl Woods © 2004 Sherryl Woods

Traduzioni di Emanuela Brock

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma.

Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

Harmony è un marchio registrato di proprietà

Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

© 2006 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Special Edition

giugno 2006 Seconda edizione Il Meglio di Harmony

maggio 2010

Questo volume è stato impresso nell'aprile 2010 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd)

IL MEGLIO DI HARMONY

ISSN 1126 - 263X Periodico mensile n. 129 del 29/5/2010

Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 777 del 6/12/1997 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti

contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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Mack Carlton, noto per la sua abilità a scansare gli avversari ai tempi in cui capitanava la squadra di football americano di Washington, era riuscito a scansare sua zia Destiny per un mese intero. Sfortu-natamente per lui, Destiny era la più veloce e la più determinata degli avversari con cui si fosse mai scontrato. Non sarebbe riuscito a sfuggirle ancora per molto. Da quando aveva messo a segno il suo colpo grosso, quello di far sposare Richard, il fratello maggiore, Destiny aveva spostato la sua attenzione su Mack. E senza neppure farne un mistero. Folte schiere di donne erano apparse qua e là all'improv-viso, come dal cappello di un prestigiatore. Non che questo fosse inusuale nella vita di Mack - non per niente il ragazzo si era conquistato la fama di play-boy - ma quelle ragazze non erano proprio il suo ti-po di donna. Tutte quante avevano l'aria seria e as-sennata, tutte quante sembravano voler dire: «Spo-sami e ti renderò un uomo felice». Mack non era fatto per le cose serie. Non era fat-to per avere una relazione stabile.

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Questo, Destiny avrebbe dovuto saperlo. E il motivo per cui non voleva legarsi stabilmen-te a una donna, contrariamente a quello che era ac-caduto a suo fratello Richard, non aveva niente a che vedere con il timore di perderla. Perché limitar-si a una donna soltanto, quando il mondo era pieno di donne? Questa era la filosofia che Mack aveva adottato nella vita senza porsi troppi problemi esi-stenziali. Certo, la sua esistenza era stata segnata dalla tra-gedia di perdere entrambi i genitori, morti in un in-cidente aereo nelle Ridge Mountains, all'età di soli dieci anni, ma lui affermava di aver superato il gra-ve trauma, al contrario di Richard che se lo era por-tato dietro anche in età adulta. Destiny e Richard, però, non credevano che le cose stessero così. Anche Ben, il fratello minore, era convinto che quella tragedia avesse avuto delle gravi conseguenze sulla psiche di tutti e tre, ma Mack insisteva che nel suo caso non era così. Non era affatto vero che lui non volesse amare per paura di soffrire, una volta che quella persona non ci fosse stata più. A lui, molto più semplicemente, piacevano le donne. Gli piaceva la loro intelligenza, il loro modo spigliato di affrontare la vita. Questa, perlomeno, era la sua versione ufficiale. In realtà, quello che gli piaceva delle donne era il loro desiderio di sedurre, la loro pelle soffice e la loro passione. Certo che gli piaceva poter fare una conversazione intelligente con una donna, ma quel-lo che amava davvero era l'intimità che si creava

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con il sesso, anche in un rapporto fugace e non pro-fondo. Non che fosse uno che aveva in testa solo il ses-so, ma quell'eccitante mondo che palpitava sotto le lenzuola lo faceva sentire vivo. Sì, era proprio que-sta la cosa che più gli piaceva del sesso, la sensa-zione di essere vivo, dopo aver scoperto già nell'in-fanzia che la vita era effimera e la morte, invece, permanente e senza possibilità di ritorno. In effetti, anche se non voleva ammetterlo neppure a se stes-so, forse l'incidente aereo in cui erano rimaste vit-time i suoi genitori gli aveva lasciato delle cicatrici emotive. Mentre era immerso in tutti questi pensieri, De-stiny fece irruzione nel suo ufficio di amministrato-re della squadra di football per cui un tempo aveva giocato. «Mi stai accuratamente evitando» disse sua zia in tono scherzoso, sedendosi dall'altra parte della scri-vania vestita di un tailleur celeste che rispecchiava il colore dei suoi occhi. Come d'abitudine, Destiny aveva l'aria di una ap-pena uscita da un salone di bellezza. Era davvero diversa da come la ritraevano le fotografie scattate ai tempi in cui faceva la pittrice nel Sud della Fran-cia, dove appariva vestita in modo informale e addi-rittura un po' hippy. Mack, ogni tanto, si chiedeva se sua zia rimpiangesse la sua vita passata, quella vita a cui aveva rinunciato per ritornare in Virginia a occuparsi di lui e dei suoi fratelli dopo la morte tragica dei suoi genitori. Da bambino non aveva mai trovato il coraggio di

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fare a Destiny quella domanda, per timore che lei prendesse coscienza di tutto quello che aveva sacri-ficato per loro e li lasciasse per tornare alla vita di prima. Da grande, invece, si era abituato a dare per scontata la presenza costante e affettuosa di sua zia. «Io ti starei evitando?» disse Mack, cercando di nascondere la sua sorpresa per quell'inaspettata visi-ta. «Hai proprio una fervida immaginazione, se pensi questo.» «È la mia fervida immaginazione, allora, che mi ha fatto vedere che scappavi dalla porta di servizio a casa di Richard e Melanie l'altra sera quando sono entrata io? Ti ho intravisto di spalle, e ho visto quel-le spalle troppo spesso nelle foto dei giornali spor-tivi per confonderle con quelle di qualcun altro.» Accidenti. Mack pensava che la sua fuga fosse passata inos-servata. Be', era possibile che suo fratello avesse fatto la spia con Destiny. Richard era convinto che Mack si fosse divertito in modo eccessivo quando Destiny aveva manovrato affinché lui cadesse nelle braccia di Melanie, e magari ora si era preso una piccola rivincita nei suoi confronti. «Mi hai visto davvero, o è stato Richard a dirti che a casa loro c'ero anch'io?» chiese, sospettoso. «Lo so che mio fratello vuole che io cada nella trappola che mi stai preparando proprio come è successo a lui.» «Tuo fratello non è uno spione» lo rassicurò lei. «E io ho dieci decimi di vista. Di che cosa hai pau-ra, Mack?» «Sappiamo benissimo tutt'e due qual è la risposta

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a questa domanda. Ora vorrei essere io a chiederti qualcosa. Perché sei venuta a trovarmi in ufficio? Che cosa stai tramando contro di me? E prima che tu mi risponda, vorrei che ti fosse chiara una cosa. La mia vita sociale riguarda solo me. Me la cavo benissimo da solo.» Destiny gli lanciò uno sguardo di compassione. «Sì, lo so che te la cavi benissimo da solo. Lo ap-prendo tutti i giorni dai giornali scandalistici della città. Non è una cosa che ci fa onore, Mack. Tu puoi anche non aver nulla a che fare direttamente con la Carlton Industries, ma la nostra è la famiglia più in vista di tutta la città. Devi tenerlo bene a mente, soprattutto ora che Richard sta per entrare in politica.» La carta della responsabilità nei confronti della famiglia era il jolly che Destiny usava spesso nelle sue ramanzine. Strano che la tirasse fuori un'altra volta, visto che non aveva mai funzionato. «La gen-te sa benissimo che mio fratello e io siamo due per-sone diverse. E, a parte questo, sono una persona adulta» replicò Mack, ripetendo un ritornello ormai consunto. «Inoltre, le donne che frequento sono maggiorenni e vaccinate. Non ho niente di cui rim-proverarmi.» «E sei contento di vivere così?» chiese Destiny con un tono di scetticismo nella voce. «Assolutamente sì» insistette lui. «Non potrei es-sere più felice.» Destiny annuì. «Bene, allora questo è tutto. Quel-lo che mi sta a cuore è solo la tua felicità. La tua e quella dei tuoi fratelli.»

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Mack la studiò con uno sguardo intenso. Destiny era costituzionalmente incapace di arrendersi senza lottare. Se si fosse arresa al primo ostacolo, ora Ri-chard non sarebbe sposato. Mack doveva tenere be-ne a mente tutto ciò. «Ti siamo grati per l'amore che nutri per noi» dis-se con cautela. «E ti sono ancor più grato del fatto che non ti intrometterai più nella mia vita sentimen-tale. Anzi, sono davvero sollevato a questo pensie-ro.» Destiny si sforzò di non sorridere. «Già, devi davvero essermi grato per la mia discrezione, visto che la donna con cui ti vedrei è molto diversa dal-l'oca che ti scegli d'abitudine.» Mack incassò la rispostaccia di sua zia. Non era la prima volta che Destiny si permetteva dei com-menti riguardo ai suoi gusti in fatto di donne. «Pos-so fare qualcosa per te, dato che sei venuta fin qui?» chiese educatamente. «Vuoi dei souvenir della squadra da mettere all'asta per raccogliere fondi da destinare a una delle tue organizzazioni benefiche?» «No, grazie. Sono passata solo per scambiare due chiacchiere con te. Vuoi venire a cena, una di que-ste sere?» «Certo, visto che so che non ti intrometterai più nella mia vita privata. A proposito, saranno tutti a pranzo da te, questa domenica?» «Certamente.» «Allora ci sarò anch'io» promise Mack. Destiny si alzò dalla sedia. «Bene, io me ne vado, allora.» Mack l'accompagnò all'ascensore e, camminando

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di fianco a lei, notò ancora una volta quanto fosse piccolina di statura rispetto a lui. Non gli arrivava neppure alla spalla. Destiny era sempre stata una tale forza della natura da sembrargli un gigante. Lui, comunque, era un metro e novanta, quindi sua zia era di statura assolutamente normale per essere una donna. Se si aggiungeva alla sua altezza fisica anche la sua straordinaria personalità, la si poteva annoverare fra le donne più energiche di tutta Wa-shington. Destiny stava per entrare in ascensore, quando sfoderò il suo sorriso da trionfatrice, quello che ri-servava per estorcere denaro da devolvere in bene-ficenza a qualche ingenuo amministratore delegato di importanti società. Mack capì subito che doveva tenere alta la guardia. «Ah, tesoro, quasi mi dimenticavo» disse lei, e-straendo dalla borsetta un appunto scritto di suo pu-gno su un foglio della sua carta da lettera tutto ro-selline e svolazzi. «Potresti passare dall'ospedale, nel pomeriggio? Un medico dell'ospedale, il dottor Browning, mi ha telefonato per dirmi che uno dei ragazzini ricoverati in Oncologia sta peggiorando. Il ragazzino è un tuo grande fan, e i medici sono con-vinti che una tua visita possa risollevargli il mora-le.» Nonostante i campanelli d'allarme che sentì suo-nare nella testa, Mack prese l'appunto. Anche se Destiny stava tramando qualcosa, quello non era il tipo di richiesta che si poteva ignorare. E lei sapeva che lui non sarebbe rimasto insensibile davanti a una richiesta di questo genere. Destiny aveva instil-

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lato un grande senso di responsabilità nei suoi nipo-ti. E Mack, per il semplice fatto di essere una cele-brità del mondo dello sport, a richieste simili era a-bituato. Anzi, erano ormai parte integrante della sua vita. Mack guardò l'orologio. «Ho una riunione di la-voro fuori ufficio fra un paio d'ore, ma prima posso fare una scappata in ospedale.» «Grazie, tesoro. Sapevo di poter contare su di te. Ho detto che saresti passato, e li ho rassicurati spie-gando che le altre richieste inoltrate dall'ospedale sicuramente sono andate perdute.» Mack sentì un nodo allo stomaco. «Ci sono state altre richieste?» «Parecchie, credo. Hanno telefonato a me come ultima spiaggia.» Mack annuì tristemente, e i suoi sospetti iniziali che sua zia stesse architettando qualcosa svanirono all'istante. «Vedrò di andare in fondo alla cosa. Lo staff che collabora con me in ufficio sa benissimo che devo essere avvertito quando arrivano richieste di questo genere dall'ospedale, soprattutto se si trat-ta di bambini.» «Sono certa che si sarà trattato di un banale erro-re di comunicazione fra te e il tuo staff. L'im-portante è che ora tu vada in ospedale. Dirò una preghierina per quel ragazzino. E tu, domenica a pranzo, mi racconterai come è andata. Forse anch'io posso fare qualcosa per lui.» Mack si chinò e baciò Destiny sulla guancia. «Dovresti andare tu a far visita a quel ragazzino.

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Una piccola dose della tua allegria farebbe tornare il buonumore a chiunque.» «Che cose carine sei capace di dire, Mack» repli-cò sua zia, guardandolo sorpresa. «Ecco perché fai colpo sulle donne!» Mack avrebbe potuto dirle che non erano esatta-mente le sue frasi carine a far colpo sulle donne, ma un uomo non può dire certe cose alla propria zia. Se Destiny voleva credere che il suo successo con le donne si spiegava con il fatto che era una persona gentile e garbata, lui glielo avrebbe lasciato credere. Forse non avrebbe più dovuto sopportare le sue ra-manzine. «È solo un gioco, per l'amor di Dio!» dichiarò Beth Browning, oncologa nel reparto di Pediatria del Children's Cancer Hospital, attirandosi sguardi rabbiosi da parte dei suoi colleghi maschi. «Un gio-co giocato da adulti, che dovrebbero saper usare il cervello invece che i muscoli, ammesso che il cer-vello non se lo siano frullato in qualche scontro frontale con l'avversario.» «Stiamo parlando di football a livello professio-nale» replicò scandalizzato il radiologo Jason Mor-gan, come se Beth avesse detto qualcosa di blasfe-mo. «Vincere e perdere. Una metafora della vita. Il bene che trionfa sul male.» «Non sento parlare i chirurghi in questo modo, quando devono rimettere a posto le ossa di qualche ragazzino dopo la partita del sabato» replicò Beth prontamente. «Le ferite del football sono una cerimonia di ini-

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ziazione all'età adulta» aggiunse Hal Watkins, me-dico traumatologo. «E anche una buona entrata per il tuo reparto» ribatté Beth, irritata. «Che cosa dici?» protestò lui. «Nessuno gode a vedere un ragazzino con le ossa rotte.» «Allora teneteli lontani dal campo» suggerì Beth. Jason aveva l'aria scioccata. «E chi diventerebbe giocatore professionista, da adulto?» «Oh, per favore, perché uno dovrebbe diventare giocatore professionista?» esclamò Beth, infervo-randosi nella discussione. Aveva letto sui giornali la storia di Mack Carlton, un campione che era poi di-ventato il proprietario e amministratore della squa-dra. Quell'uomo era laureato in legge, non era in-credibile? Che laurea sprecata! «Perché il football è il football, non lo capisci?» replicò Hal, come se quello sport fosse necessario alla sopravvivenza. «Insomma, ragazzi. Si tratta di un gioco. Né più ne meno di un gioco.» Beth si girò verso Peyton Lang, ematologo nel suo reparto, che se n'era rima-sto in silenzio fino a quel momento. «Tu che ne pensi?» Lui sollevò le braccia. «Non voglio essere trasci-nato in questa discussione. Non ho un'opinione pre-cisa al riguardo. Non me ne importa molto del foot-ball, ma capisco anche che qualcuno possa trovarlo uno sport affascinante.» «Non trovi assurdo che si sprechi tanto tempo, tanto denaro e tanta energia per conquistare uno stupido titolo?» continuò Beth. «Diciamoci la veri-

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tà. In questa città c'è un signore che ha i soldi per comprare i giocatori migliori che esistono sul mer-cato, e così si assicura il divertimento alla domenica pomeriggio» disse in tono sprezzante. «Se Mack Carlton avesse una vita sua, se avesse una famiglia, se avesse qualcosa di importante a cui pensare, non butterebbe via i suoi soldi in una squadra di calcio!» Aspettandosi un coro di proteste dopo le sue di-chiarazioni, Beth rimase stupita quando i suoi col-leghi, seduti a tavola nella pausa pranzo alla mensa dell'ospedale, restarono in silenzio. «Sei sicura di non voler rivedere le tue posizio-ni?» le chiese Jason, lanciandole uno sguardo im-plorante. «E perché dovrei farlo?» «Perché, prima che iniziassimo questa discussio-ne, ci avevi detto che avevi chiamato Mack Carlton affinché venisse qui per scambiare due parole con Tony Vitale» disse Jason. «Il ragazzino stravede per lui. E tu ritieni che vederlo possa risollevarlo un po', dato che la chemioterapia non sta funzionando troppo bene.» Lei gli lanciò uno sguardo pensoso. «E allora? Questo presunto campione di football e di virtù non si è neanche degnato di rispondere alle mie chiama-te.» Jason si schiarì la voce e le fece segno di guarda-re dietro di lei. Oh, accidenti, pensò Beth, girando la testa e scor-gendo alle sue spalle un uomo alto e ben messo, ve-stito elegantemente in giacca e cravatta. La minu-scola cicatrice che si notava sotto l'occhio non de-

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turpava affatto i perfetti lineamenti del volto, anzi metteva in risalto i suoi grandi occhi enigmatici, rendendolo davvero affascinante. Tutti i particolari del suo aspetto facevano pensare a una persona ric-ca, arrogante e dai gusti dispendiosi, tranne forse la sua pettinatura, che lo faceva assomigliare a una sorta di arruffato Harrison Ford. «Dottoressa Browning?» chiese Mack con un to-no esitante che tradiva sorpresa. Già, non si aspet-tava che il medico in questione fosse così giovane, né, soprattutto, che fosse una donna. Beth rimase di stucco vedendo che la persona che aveva appena finito di denigrare era proprio lì die-tro le sue spalle. Cercò dentro di sé le parole per rimediare alla brutta gaffe che aveva commesso, ma non riuscì a dire nulla. «La dottoressa Browning sarà lieta di parlarle non appena avrà ingoiato l'ultimo boccone del suo pranzo» disse Jason, cercando di rompere la tensio-ne che si era creata. Grata al collega radiologo che le era corso in aiu-to, Beth si alzò dalla sedia e porse la mano a Mack. «Signor Carlton, non pensavo che sarebbe venuto a trovarci.» «Mia zia mi ha riferito che ha avuto problemi a contattarmi. Mi scuso a nome del mio staff» disse lui, abbozzando un timido sorriso. Beth aveva letto della sua fama di rubacuori. A-desso sapeva che i giornali non avevano mentito. Se il suo sguardo era riuscito ad ammutolirla, il suo sorriso ora le stava togliendo il respiro. Aggiungen-do a tutto questo anche quel tocco di umiltà e la

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sincerità con cui aveva porto le sue scuse, Beth concluse che il suo giudizio iniziale su di lui era completamente sbagliato. Non aveva mai provato sensazioni così forti per un uomo a prima vista. E questo non le piaceva. «Possiamo offrirle un caffè?» chiese con voce malferma. «La ringrazio, ma vado di fretta. Ho un appunta-mento di lavoro vicino all'ospedale e ho pensato di passare di qui per dirle che mi dispiace non aver ri-sposto prima alle sue chiamate. E vorrei incontrare Tony, se è possibile.» «Certamente» disse Beth, pur sapendo che non era ancora orario di visita. «La porto subito nella sua stanza. Il ragazzino sarà felice di conoscerla.» Jason si schiarì la voce e Beth si rese conto che lui e gli altri medici non aspettavano altro che esse-re presentati a quella leggenda del football. Stupita del fatto che degli adulti potessero impazzire per Mack Carlton come il suo paziente dodicenne, Beth fece le presentazioni. Quando si rese conto che i suoi colleghi stavano commentando ogni singola partita a cui Mack aveva preso parte, Beth li interruppe bruscamente. «Capi-sco che potreste andare avanti per ore a parlare dei successi sul campo del signor Carlton, ma vi ricor-do che lo scopo della sua visita è vedere Tony.» Mack le indirizzò un altro dei suoi ammalianti sorrisi. «Inoltre» disse, «probabilmente stiamo an-noiando a morte la dottoressa Browning.» «Non mi sto annoiando per nulla» mentì Beth, nel tentativo di rimediare alla gaffe fatta in prece-

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denza. «Ma non voglio trattenerla a lungo, dato che ha detto di avere fretta. L'accompagno subito da Tony.» «Mi parli di Tony» disse Mack, mentre Beth gli faceva strada nei corridoi dell'ospedale. «Ha dodici anni ed è malato di leucemia» gli spie-gò Beth, cercando di nascondere la sua emozione. Detestava raccontare le storie dei suoi piccoli pazien-ti, soprattutto quando le cose non promettevano be-ne. «È la terza volta che viene ricoverato qui. Ma stavolta non risponde bene alla chemioterapia. Spe-ravamo di poterlo sottoporre a un trapianto di midol-lo, però non abbiamo trovato il donatore giusto, e comunque in questo momento le sue condizioni di salute sconsigliano un intervento chirurgico.» Mack ascoltava attentamente. «E la prognosi?» «Non è buona» rispose Beth in tono neutro. «E lei sta prendendosi a cuore il caso di questo ragazzo.» «So che non è possibile vincere tutte le battaglie» ammise lei, ripetendo quello che aveva già detto quel mattino allo psicologo che aveva espresso pre-occupazione per il suo stato emotivo. Non erano in tanti ad aver capito quanto il caso di Tony la preoc-cupasse a livello personale e non solo professionale. Beth si stupì che Mack Carlton lo avesse indovinato immediatamente. «Ma lei odia perdere» continuò Mack. «Certo che odio perdere, quando perdere signifi-ca sacrificare una vita» replicò Beth, decisa. «Ho fatto il medico per salvare la vita delle persone, non per vederle morire.»

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«Perché?» Prima che lei potesse rispondere, Mack aggiunse: «So che è una professione nobile, ma occuparsi di bambini malati dev'essere estre-mamente difficile. Per quale motivo ha scelto pro-prio questo campo?». «È stata una scelta quasi obbligata» disse lei, sa-pendo di dare una risposta evasiva. «E perché?» domandò Mack, non accontentando-si di quella risposta così generica. «E perché dovrebbe interessarle il motivo della mia scelta?» chiese lei, evitando ancora una volta di dare una risposta diretta. Gli occhi di lui la stavano studiando con atten-zione. «Perché è una cosa importante per lei.» La sensibilità di quell'uomo l'aveva colta nuova-mente di sorpresa. «Va bene, in poche parole la sto-ria è questa. Avevo un fratello maggiore che è mor-to di leucemia quando io avevo dieci anni» spiegò lei, rivelandogli qualcosa che non aveva confessato a nessuno tranne alla sua famiglia. «Ho giurato a me stessa che avrei tentato di salvare altri ragazzini come lui.» Mack la guardò con sincera comprensione. «A-vevo ragione, per lei si tratta di una faccenda perso-nale.» Beth sospirò a quel commento. «Credo di sì.» «E quanto pensa di poter durare, se prende a cuo-re ogni caso in modo così personale?» «Ce la farò» rispose lei. «Comunque, non seguo molti pazienti. Mi occupo soprattutto di ricerca. Le cure per sconfiggere questa malattia stanno diven-tando sempre più efficaci.» Purtroppo, Tony invece

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non rispondeva bene alle cure. Ecco perché lei si era interessata al suo caso. «Ma le cure non sono efficaci per Tony» disse Mack. Beth dovette ricacciare indietro le lacrime. «Al momento no» ammise a voce bassa. «Ma faremo di tutto per vincere anche questa battaglia.» Mack le lanciò uno sguardo di ammirazione. «Pensa che io possa fare qualcosa per lui?» chiese. «Sicuramente gli farà rinascere il buonumore» lo rassicurò Beth. «È un po' depresso, ultimamente, e qualche volta risollevare il morale di un bambino è la cosa più importante che possiamo fare. Dobbia-mo aiutarlo a voler continuare a combattere.» Mack annuì. «Va bene. Entriamo in quella stanza e parliamo di football.» Poi le lanciò uno sguardo divertito. «Immagino che lei non si unirà alla con-versazione.» Beth si mise a ridere. Mack le era più simpatico del previsto. «Credo proprio di no.» «Meglio così. La mia professione non fa progredi-re la scienza e non salva nessuna vita, tuttavia mi sa-rebbe dispiaciuto se lei avesse denigrato il football davanti a un ragazzino che invece ne va matto.» Beth apprezzò le parole di Mack. Quello che pensava lei del football e di Mack Carlton ora non aveva nessuna importanza. «Touché, signor Car-lton. Mi asterrò dal fare commenti. Quello che con-ta, in questo momento, è portare un po' di allegria a Tony.» «Mi chiami Mack. I miei fan mi chiamano per nome.»

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«Io non sono una sua fan.» «Non lo dica a voce alta» replicò lui in tono scherzoso. «Potrebbe sempre diventarlo, un gior-no.» Beth represse un sospiro. Sì, avrebbe potuto di-ventare una sua fan. Non che lui avesse bisogno di fare un'altra conquista. Le pagine dei giornali scan-dalistici erano piene di foto di donne che pensavano di aver fatto breccia nel suo cuore. Ma quelle foto ritraevano donne sempre diverse. Lei non aveva nessuna intenzione di entrare in un campo da gioco già così affollato. «Non ci conti troppo, signor Carlton. Inoltre, qui dentro c'è già una persona che l'adora, e quella per-sona è Tony.» «Non mi spiacerebbe se anche lei mostrasse al-meno un po' di interesse nei miei confronti» disse lui, guardandola fisso negli occhi. Beth, pur capendo che il suo era solo un goffo tentativo per metterla in imbarazzo, non rimase in-sensibile a quello sguardo. E questa sua reazione non le piacque per nulla. «Perché? Deve per forza conquistare tutte le donne che incontra per strada?» Lui ebbe un attimo di esitazione, e nei suoi occhi apparve un'ombra di smarrimento. «Conosce bene mia zia?» Questa domanda apparentemente fuori contesto la colse di sorpresa. «Sua zia?» «Destiny Carlton, la signora che lei ha contattato per farmi venire qui oggi.» Beth scosse il capo. «Non credo di conoscerla» disse. «Però, questo nome mi ricorda qualcosa.

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Penso che si occupi della raccolta di fondi per l'o-spedale. Io comunque non le ho mai parlato perso-nalmente.» Mack aveva l'aria sorpresa. «Davvero non la co-nosce?» «No.» «Non è stata lei a telefonarle?» «No. Perché?» Mack scosse il capo, sempre più confuso. «Non importa.» Beth, invece, ebbe l'impressione che la cosa gli importasse molto. Ma non sapeva spiegarsene il motivo.

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