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Gruppo di Artisti trentini "La Cerchia" Memoria Contadina

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Gruppo di Artisti trentini "La Cerchia"

Memoria Contadina

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In copertina: Remo WolfRiposo di contadina (particolare), 1964Xilografia

Ente patrocinante Presidenza del Consiglio della Provincia Autonoma di Trento

Sede espositiva Palazzo Trentini, Consiglio della Provincia Autonoma di TrentoVia Manci, 27 Tel. +39.0461. 213.111Fax. +39.0461. 981.823www.consiglio.provincia.tn.it

OrganizzazioneMauro Larentis

Ufficio stampaMonica Casata

Cura della mostra e del catalogo Claudia Gosetti

Testi Andrea ZanottiClaudia Gosetti

Allestimento Claudia GosettiBruno DegasperiCarlo Girardi

Progetto grafico PRIMA - Trento

Stampa Tipografia Alcione

Presidenza del Consiglio della Provincia Autonoma di Trento

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Mostra collettiva - “La Cerchia”14 dicembre 2007 - 12 gennaio 2008

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enso spesso alla religiosità della ter-ra. Penso al legame fra materia e spirito che permea di se l’intera sto-

ria di realtà coma la nostra. Penso alle Ma-donne che oscillavano nelle processioni di un tempo, con quei volti segnati più dalla fatica che dal misticismo. Adesso sono forse scom-parse nella polvere di qualche sacrestia, ma quei visi, sulle pendenze delle nostre valli, li incontriamo ancora ed in quei segni sta una parte non secondaria dell’anima di questo no-stro popolo. E’ riflettendo di queste cose che ho incrociato, oltremodo volentieri, il progetto culturale di una mostra degli Artisti della “Cer-chia” attorno alla memoria contadina, cioè al mondo primigenio; a quel mondo in definitiva che, dall’Eden biblico al tecnologismo delle incombenti modernità, accompagna i passi fondamentali che sono poi quelli della soprav-vivenza, nel divenire degli individui.Sin dai primi graffiti rupestri, testimoni muti del-la volontà umana di rappresentare simbolica-mente la propria vita, il dialogo quotidiano fra l’uomo e la terra è un tema, non solo ricorrente dell’arte, ma anche e forse soprattutto il perno attorno al quale si sviluppa la narrazione delle esistenze dentro il tempo ed il suo scorrere. Ecco allora che la sensibilità di questi Artisti, fi-gli di un Trentino che di quel mondo ha fatto un

paradigma con il quale attraversare la storia, riporta alla memoria collettiva i segni di epo-che, poi non molto lontane, dove agli inces-santi ritmi di questa urgenza del vivere nell’età della tecnica, si sostituiscono ai più lenti passi che la Natura scandisce da sempre. In questo rallentarsi della frenesia, così ben raccontato da queste plurali voci dell’arte del colore, an-che lo spettatore di quest’evento trova attimi di raccoglimento e, ricordando com’eravamo potrà forse immaginare come saremo, affidan-do alla serenità del fiorire di frutti e boccioli un ritrovato senso di speranza per le molte do-mande sull’incertezza del domani.Palazzo Trentini prosegue anche in tal modo il suo impegno nel riannodare i molti fili della cultura locale con quelli dell’arte universale, nella certezza che questo sia uno dei compiti principali per un ente pubblico attento a piani diversi da quelli del mero estetismo fine a se stesso.Ringrazio infine gli Artisti tutti, con un pensiero di particolare deferenza per il Maestro Remo Wolf, nella convinzione che questo loro canto su tela ha la forza per star dentro la più grande partitura dell’Infinito.

PRESENTAZIONE

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Il Presidente del Consiglio Provincialedott. Dario Pallaoro

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edicare una mostra iconografica al mondo contadino significa compiere un improbabile atto di fede sul pro-

prio passato, su di una provenienza arcaica della quale, assai poco innocentemente, ab-biamo perso le tracce.La terra è la grande matrice, la sostanza dalla quale l’uomo deriva in tutte le visioni mitologi-che che segnano la sua nascita: prima tra tut-te quella contenuta in quel libro della Genesi che narra della creazione. Noi siamo terra e terra diventeremo: così dice il Signore mentre forma Adamo, pupazzo d’argilla nel quale Dio soffia lo spirito che anima.La civiltà contadina è, nella sua stessa essen-za, una civiltà religiosa, che marca i suoi ritmi sul tempo e sulle stagioni, che dialoga con la luna e con l’acqua: che più di ogni altra sa del-la vita, del suo crescere e del suo morire.Come annotava T.S.Eliot: “…Attenti al tem-po/Attenti al ritmo della loro danza/Come a quello della vita alle lor vive stagioni/Il tempo delle stagioni e delle costellazioni/Il tempo del-la mungitura e il tempo del raccolto/Il tempo dell’accoppiamento dell’uomo e della donna/E quello delle bestie. Piedi che s’alzano e cado-no/Mangiare e bere. Letame e morte.”Ed è da quel lavorare la terra col sudore del-la fronte che per millenni l’uomo ha cavato di che mangiare, fondando sulle cadenze della semina e del raccolto il ritmo della propria esi-stenza, raccordandolo – in una armonia che non conosce discontinuità – col tempo della preghiera: le lodi, l’Angelus, il vespro e la com-pieta.

E la colonna sonora che ha accompagnato la litania della fatica dell’uomo, dandole un senso universale, sono stati il suono delle campane, ed un silenzio fatto di gesti così sobri ed es-senziali fino a mutarsi essi stessi in preghiera.Era, quello, un tempo nel quale l’identità ed il senso di appartenenza era legato ad un’ori-gine, ad un luogo: in definitiva – e ancora e sempre – ad una terra che donava i natali.Persino il paesaggio che ci circondava parlava di quella fatica e di quella preghiera, dal mo-mento che la fatica dell’uomo sortiva il potere magico di segnare il paesaggio, di ravviare i capelli alla natura, di trasformare l’incolto col tocco divino dato dalla capacità di amare le zolle, fecondandole, fino a farvi sbocciare nuovi germogli.Questa sedimentazione lenta – come è lento il tempo dei contadini – è radicata così profon-damente in ognuno di noi da rendere la no-stra sensibilità attenta ed empatica ogni volta che immagini, odori e suggestioni ci riportino a quel mondo, a quella patria ancestrale che è e rimane la madre terra.Ancor più, vorrei dire,questa nostalgia che affiora da chissà quali regioni dello spirito, è in qualche modo una sorta di movimento del profondo, quasi una rimozione psicoanalitica derivante dalla coscienza che il mondo conta-dino non esiste più.Il tempo in cui siamo chiamati a vivere è ormai solo un presente che non conosce pause e stagioni, che più non sa le liturgie dell’Angelus o la calma trepida che innerva il vespero o la compieta.

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I prodotti della terra che mangiamo non rispet-tano più il volgere delle lune, ma invadono la nostra tavola – emigranti provenienti dal Cile o Sudafrica, da Spagna o Taiwan – in ogni epo-ca dell’anno senza soluzione di continuità.Nessuno possiede più una stalla propria per-ché il mercato delle carni e del latte, divenen-do globale, cancella quelle microeconomie di scala che portavano la famiglia rurale ad essere una sorta di comunità autarchica dove la natura dettava ancora leggi ed equilibri tra uomo e ambiente e dove l’attenzione con cui ci si rapportava alle cose si transustanziava in quella grazia contadina della quale ,oggi, sia-mo ormai orfani. Altri dei ed altre meraviglie hanno soppiantato gli Dei dei campi e l’incanto di una semplicità che si faceva gesto e preghiera ad un tempo.Il mondo contadino, quel mondo contadino, è come un’Atlantide sommersa, che manda ancora, però, i segni potenti della propria pre-senza dentro l’immaginario collettivo.Ed è naturale che sia soprattutto l’arte a co-glierli ed amplificarli: l’arte che non incarna, qui, la mimesi dell’esistente, ma che coglie un’assenza; un’assenza che si fa consapevo-le malinconia. Come accade nei paesaggi arrossati del san-gue dei papaveri di Anna Maria Rossi Zen, nelle nature morte di Tullio Gasperi o nei cortili abitati solo dalla “cose” di cui ci parla Gior-gio Tomasi; ma come si coglie anche nello sforzo di Pierluigi Negriolli o di Laura Moraga volto a ricercare nella dimensione onirica quel

paesaggio mancante che un tempo è stato il nostro.Rimangono pur tuttavia, di quel mondo, alcu-ni tratti caratteristici che l’arte iconografica sa cogliere: la dimensione naif che reclama con Marco Berlanda il suo diritto di cittadinanza e che ancora pretende nella semina di Domeni-co Ferrari di celebrare, sotto un cielo improba-bile, la liturgia del lavoro e delle zolle; e quella dell’arguzia contadina che trova in Bertoldo il suo inarrivabile archetipo.E chi è - se non Bertoldo, il genio dei campi - quel contadino con rastrello che danza diverti-to sopra il cielo e le case nell’opera di Adriano Fracalossi e che sopravvive facendosi beffe dell’età della tecnica?Tocca dunque all’arte, fare oggi memoria del-la cultura contadina: e bene coglie questa di-mensione il titolo della Mostra e del presente Catalogo.Ma è memoria dolorosa perché coglie una radice senza più pianta, come sapeva bene Pierpaolo Pasolini quando nella sua ultima poesia in dialetto friulano esorta il “giovane dai capelli corti e dai calzetti d’alpino /a morire d’amore per le vigne, e gli ontani che segnano i confini sui fossati”.Sapeva Pasolini, come sappiamo noi, che quel mondo contadino sarebbe stato spietata-mente liquidato da una nuova Preistoria e che il mistero che esso celava era ormai un “antico mistero consumato.” Andrea Zanotti

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l lavoro dell’associazione “La Cerchia”, è sempre più meritevole di attenzione e non solo per l’opera degli artisti che

la compongono. Tale gruppo, costituitosi più di vent’anni fa, si fregia infatti di un valore aggiunto: la particolare forma del “lavoro a tema”. Quest’ultimo possiede la felice e ormai rara dimensione del “tempo commisurato allo scopo”, dedicato ad un argomento specifico, sviscerato attraverso la difformità dei linguag-gi comunicativi. Il tema che “La Cerchia” indaga in questa mo-stra, è quello della memoria contadina, ambito spesso chiacchierato, ma poco approfondito. Innanzitutto è opportuna qualche precisazione sul significato del termine “memoria”. Dimenti-cando l’importante ruolo che essa ha giocato nella storia dell’uomo, viene oggi intesa so-prattutto come esigenza del non dimenticare gli orribili eventi del XX secolo. La memoria diventa così retorica e non mette a tema tutto ciò che sappiamo di noi e del nostro passato, perdendo quelle caratteristiche di completez-za, di assiduità e continuità, delineate dal fi-losofo proto-illuminista Locke, quali elementi indispensabili alla definizione dell’identità per-sonale. Addentrarsi qui nella dibattuta e com-plessa questione dell’identità, può apparire rischioso, ma certo è opportuno accennarne: la ricerca dell’identità, sintomo dell’insicurez-za del vivere contemporaneo, ha valore non quando si presenta come tribale esclusione del diverso, ma quando è fattore fondante del-la coscienza di sé. Il principale problema dell’identità risiede nella

frammentarietà e parzialità della memoria, la quale tralascia, più o meno volontariamente, alcuni items a favore di altri. Per questo moti-vo è necessario coniugare il “come eravamo” al “come siamo” in maniera puntuale: qui trae il senso una esposizione come questa, per la quale i diciassette artisti de “La Cerchia”, han-no trovato il tempo di lavorare ad hoc per recu-perare un mondo da narrare e una società di cui è fondamentale ricostruire i tratti. L’accelerata tecnologica degli ultimi decenni ci strappa dal tempo continuo e regolare di una crescita umana. “Il racconto e non l’infor-mazione, ti rende padrone della storia”, dice Alessandro Baricco, uno tra i più noti scrittori italiani contemporanei. Solo il racconto, cioè, recuperato attraverso l’arte, può riportarci davvero in “quel tempo dell’approfondimento” e contrastare le perdite culturali di una devian-te omogeneità sociale. Solo l’arte, aggiungo io, nelle sue diverse forme, è capace di fis-sare nel tempo quelle “tappe umane” lente e silenziose che la velocità e il chiasso del vive-re moderno rischiano di relegare in un piano secondario.Vi sono due principali momenti di crisi della storia contemporanea: l’industrializzazione della seconda metà dell’Ottocento e le guerre del Novecento. In Italia, questi eventi hanno gradualmente portato il movimento realista, negli anni Cin-quanta, alla necessità di un’arte per immagini, vicina ad una dimensione di vita autentica. Il movimento fu anche l’espressione della cre-scita di una nuova coscienza civile e sociale,

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Il tempo dell’arte

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in opposizione ideologica al fascismo, che proponeva un ruralismo di regime attraverso un’iconografia lontana dalla realtà, deformante ed idilliaca. Con il realismo emerge l’esigenza di una pittura di storia, costruita per immagini, priva di formalismi, in favore di un linguaggio esplicito e diretto. Se nell’Ottocento il fotogra-fo e il pittore erano maggiormente interessati al paesaggio, con il movimento realista l’arte si avvicina al popolo e ritrae il mondo contadi-no che, più di tutti gli altri, sembrava esprimere ancora una dimensione di genuinità. In realtà, nella storia, la figura sociale del contadino è stata continuamente beffeggiata dalla letteratura e dall’arte, soprattutto in Ita-lia, dove, tra Medioevo e Rinascimento, non c’è nulla di quanto troviamo, ad esempio, nel-le rappresentazioni della pittura fiamminga. Questo punto di vista cambia radicalmente nel secondo dopoguerra, dove pittori, fotogra-fi e cineasti, traggono ispirazione dalla fatica dei lavoratori dei campi, dei braccianti e delle mondine. In seguito, il boom economico degli anni Sessanta e Settanta, ha stravolto il fare contadino, avvicinandolo –attraverso il mec-canicismo- all’industria. Il mondo rurale ha così perso appeal anche agli occhi di fotografi e artisti e –quel che è peggio- ha cominciato a generare imbarazzo, in un popolo che tuttora vi affonda le radici. Gli artisti di oggi hanno di rado la possibilità di raffigurare il lavoro contadino dal vivo, come poteva fare Bruegel. Lo possono per lo più im-maginare e, in alcuni casi, pescare nei ricordi dell’esperienza. Questa distanza non costitui-

sce però un limite, richiede solo uno sguardo concentrato, una riflessione vera. Sincero interprete è, in questa collettiva, l’arti-sta Adriano Fracalossi che, con il suo gusto grafico, pulito ed equilibrato, rappresenta la lontananza del mondo contadino e la sepa-ra con grande leggerezza dal nostro vivere contemporaneo. Molto diversa per stile ed impostazione risulta la natura morta di Tullio Gasperi: i suoi occhi, decisamente post-im-pressionisti, puntano direttamente ai frutti del lavoro umano e alla benevolenza della natura. C’è poi chi cerca di scovare gli ultimi rappre-sentanti di una vita veramente agreste: l’opera di Carla Caldonazzi, attraverso il bianco che la contiene e la isola dall’universo circostante, testimonia l’interesse per l’autenticità di uno stile di vita appartenente ormai, nell’immagi-nario collettivo, alla favola. Se Livio Conta ci riporta alla poesia e alla li-ricità dell’animo umano, Marco Berlanda ce ne ricorda l’ironia, sdrammatizzando così la nota nostalgica che frequentemente, in simili rassegne, appesantisce il clima e inibisce il ra-gionamento. Berlanda, anche attraverso titoli appropriatamente scelti, ci ricorda che spes-so, degli amici, amiamo i silenzi. Con Annamaria Rossi Zen torniamo alla poe-sia: quella dei colori e degli ambienti costruiti attraverso linee d’orizzonte innalzate rispetto alla composizione. Sono sempre grandi l’ar-monia e il calore delle sue tele. Anche in Domenico Ferrari troviamo equilibri compositivi suggestivi, che preferiscono dare importanza alla terra piuttosto che al cielo e

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ci fanno affondare nel gesto lento del lavoro, ponendolo al centro dell’attenzione. Pannocchie, lenzuola o altri prodotti della terra appesi all’esterno delle case sono il se-gno, nell’opera di Giorgio Tomasi, della vita trascorsa per gran parte al di fuori delle mura domestiche. La porta di quelle mura sembra aperta o comunque socchiusa e catalizza lo sguardo in una composizione squisitamente “chiusa”. Molto diversa, ma ugualmente fuo-ri da uno spazio tridimensionale, è l’opera di Bruno Degasperi che, con la sua materialità e plasticità pittorica, forte e veloce, realizza un’icona del mondo contadino, come a ricor-darci che abbiamo ancora bisogno delle gal-line. Il lavoro di Ilario Tomasi testimonia invece un approccio primitivista, rafforzato da un tratto deciso, come fosse una pittura rupestre, pro-piziatoria e riconoscente. Morbido, piacevolmente narrativo, è il bianco e nero di Mario Matteotti. La sua opera resti-tuisce all’osservatore una dimensione armoni-ca del lavoro: nell’operosità dei soggetti, quasi conglobati ai fusti arborei, un’estraniante tran-quillità pervade l’osservatore. Fuori dall’idillio e dentro un linguaggio con-taminato dall’informale è il segno di Carlo Girardi, dove un bue vanitoso ci offre il suo profilo: in negativo e in secondo piano rispetto al carro, l’animale ci ricorda che senza di lui, il lavoro era molto più pesante.Frutti succosi e colore rappresentano la me-moria contadina di Lina Pasqualetti Bezzi,

creando un richiamo, un’attrattiva, molto me-glio di quanto possa fare oggi un qualsiasi messaggio promozionale. Anche per Pierluigi Negriolli bisogna parlare di colore. Se que-st’ultimo è l’elemento immediatamente accat-tivante, l’osservatore è poi attratto dalla luce, quale elemento di connessione tra la terra e il cielo. Il colore di Eva Laura Moraga, artista messi-cana, è invece il rosso della fatica. L’uomo è al lavoro, mentre totemici alberi ci riportano, origi-nalmente, ad un lirismo nordeuropeo. Nell’opera di Franco Damonte la prospettiva falsata delle linee, insieme all’uso del colore, avvicina maturità e gioventù, ma ricorda che il bambino, ancora per un po’, vive la dimensio-ne del gioco, più accesa e vivace.La scelta di un’opera di Remo Wolf per la co-pertina del catalogo, non costituisce solo un riconoscimento all’artista da parte di allievi e amici attenti, ma rappresenta una testimonian-za eccezionale dell’opera di questo grande artista nell’omaggio al mondo contadino, nel riposo di una lavoratrice, così come il grande incisore l’ha raffigurato e magistralmente inter-pretato. Per l’esposizione di Palazzo Trentini sono state scelte anche le sue “mondine”, sim-bolo della necessità di osservare “l’altro da sé” e testimonianza della curiosità del viaggiatore che, per conoscersi meglio, guarda anche fuori dai propri confini regionali.

Claudia Gosetti

Il tempo dell’arte

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LE OPERE

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Adriano FracalossiMemoria che fuggeTempera (cm 70x50)

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Tullio GasperiI doni della terraAcrilico su cartone mesticato (cm 70x100)

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Carla CaldonazziLa Oliva di Maso TingherlaTempera su caseato (cm 50x70)

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Livio ContaMemoria contadinaTecnica mista (cm 100x70)

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Marco BerlandaEl pu bel polsar quando sen strachi, l’è coi amiziSmalto a olio (cm 70x100)

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Annamaria Rossi ZenEstate in campagna - Agosto: nel grano maturoTecnica mista su tela (cm 80x80)

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Domenico FerrariSeminaAcrilico (cm 120x100)

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Giorgio TomasiVecchia casa contadinaAcrilico su tela140x100

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Bruno DegasperiA masonAcrilico (cm 100x100)

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Ilario Tomasi ToroTecnica mista (cm 70x100)

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Mario Matteotti Raccolta delle oliveTecnica mista (cm 70x50)

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Carlo Girardi‘l car col bòOlio e smalto su multistrato (cm 100x100)

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Lina Pasqualetti BezziLuci, profumi e colori di una volta Olio su tela (cm 70x100)

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Pierluigi NegriolliIl carro Tecnica mista su mediodensit (cm 126x90)

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Eva Laura MoragaMemoria campesinatecnica mista (cm 57x70)

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Franco DamonteEl moleta e ‘l matelotOlio su tela (cm 80x80)

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RemoWolfRiposo di Contadina1964 - Xilografia (cm 24x18)

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PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DELLAPROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO