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Mattia F. - Il Superuomo Nella Letteratura Tra '800 e '900

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Page 1: Mattia F. - Il Superuomo Nella Letteratura Tra '800 e '900

Elaborato per il colloquio d’esame - Mattia Fattorello 5B

IL SUPERUOMO NELLA LETTERATURA TRA ‘800 E ‘900

Page 2: Mattia F. - Il Superuomo Nella Letteratura Tra '800 e '900

Elaborato per il colloquio orale dell’esame di stato – Mattia Fattorello 5B

INDICE

1 INTRODUZIONE Pg. 3

2 IL SUPERUOMO Pg. 3

3 UN’ANTICIPAZIONE DEL SUPERUOMO Pg. 4

4 DOSTOEVSKIJ E IL SUPERUOMO Pg. 5

5 IL SUPEROMISMO IN D’ANNUNZIO Pg. 6

6 CONCLUSIONI Pg. 7

7 BIBLIOGRAFIA Pg. 7

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INTRODUZIONE

Nelle opere del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche l’idea di un individuo superiore, fuori dal comune, che sia andato oltre l’idea stessa di uomo, è forse uno dei concetti che maggiormente ha avuto ripercussioni sulla storia della letteratura. Tale idea di uomo ha ispirato una serie di personaggi, vere e proprie “incarnazioni letterarie” del superuomo, che hanno anche contribuito alla formazione di questa idea. Tra questi annoveriamo protagonisti di epoche diverse che riprendono soprattutto differenti aspetti di questa figura emblematica: Julien Sorel nel Rosso e il nero di Stendhal, Raskol’nikov in Delitto e castigo di Dostoevskij e, infine, il dannunziano Claudio Cantelmo protagonista de Le vergini delle rocce.

IL SUPERUOMO

E Zarathustra parlò così alla folla:«Io vi insegno il superuomo. L’uomo è qualcosa che deve essere superato. Che avete fatto per superarlo?

Tutti gli esseri hanno creato qualcosa al di sopra di sé: e voi volete essere il riflusso di questa grande marea e retrocedere alla bestia piuttosto che superare l’uomo? Che cos’è per l’uomo la scimmia?

Un ghigno o una vergogna dolorosa.E questo ha appunto da essere l’uomo per il superuomo:

Un ghigno o una vergogna dolorosa.»(Così parlò Zarathustra)

Il superuomo è uno dei concetti chiave del pensiero nietzschiano. In Così parlò Zarathustra il filosofo, tramite la voce del profeta iranico, ci descrive la nascita dell’Übermensch.

Il superuomo, tuttavia, non è un aspetto nuovo e inaspettato del pensiero di Nietzsche, anzi, è la naturale continuazione del concetto di spirito libero che era già stata descritta nel libro La gaia scienza (1882). Lo spirito libero è colui che, scettico nei confronti della ragione, non accetta ciò che gli “spiriti vincolati”, la gente comune, riconosce come verità e, facendosi guidare dalla sua etica del coraggio e della responsabilità, adempie la vera finalità dell’uomo che ha per obiettivo l’essere artefice del proprio destino come lo furono Napoleone, Cristoforo Colombo, i sofisti e la maggior parte dei grandi uomini della storia.

Il superuomo è, quindi, il passaggio successivo allo spirito libero. Nella Gaia scienza, oltre allo spirito libero, viene anche annunciata la morte di Dio, o meglio, il suo assassinio. Si rende pertanto necessario sostituirci al vecchio Dio e affrontare l’annichilimento del sistema di valori comune imponendo noi stessi sugli altri senza il bisogno di sottostare ad alcuna ipocrita morale. Nei termini usati dallo stesso Nietzsche, il superuomo è colui che realizza la propria volontà di potenza: un desiderio irresistibile di acquisire potere per dominare su tutti gli altri. Il superuomo è quindi al di là del bene e del male, è lui stesso a dettare una morale basata su valori mutabili; nutre un profondo amore per la vita e ne accetta con “gaio” coraggio le sofferenze e i dolori, anzi, essendo la vita un continuo riproporsi della storia, essendoci un eterno ritorno di ogni attimo, è importante per il superuomo che ogni momento della sua vita sia perfetto. Il termine utilizzato da Nietzsche è Übermensch che può essere tradotto sia come superuomo, sia come oltreuomo. Nessuno dei due modi è sbagliato perché indicano rispettivamente come questo nuovo individuo sia superiore, si sia elevato sopra gli altri uomini e come, allo stesso tempo non si tratti di un semplice uomo, ma di un qualcosa che è andato oltre i limiti dell’uomo, una specie di evoluzione per utilizzare una metafora presente in Così parlò Zarathustra.

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UN’ANTICIPATORE DEL SUPERUOMO

Julien Sorel è il protagonista de Il rosso e il nero, un romanzo di Stendhal, che anticipa alcuni atteggiamenti tipici del superuomo nella sua fantasia di diventare il nuovo Napoleone. Il rosso e il nero è stato pubblicato nel 1830 ed è ambientato nella Francia di quel periodo, solo 52 anni dopo Nietzsche scriverà La gaia scienza. La trama del romanzo si può riassumere in questo modo:

«Julien Sorel, figlio del proprietario di una segheria, è un giovane molto portato per le lettere e per la teologia che, in virtù della sua capacità e della sua ambizione, diventa precettore dei figli di Monsieur Rênal, sindaco della sua cittadina. A causa della sua voglia di innalzarsi nella scala sociale, inizia un rapporto amoroso con la moglie del sindaco, della quale però s’innamora sul serio. Per questo motivo, e per una lettera anonima giunta al sindaco Rênal, Julien viene allontanato e mandato a studiare in seminario.In seminario Julien diventa il preferito dell’abate Pirard, direttore del monastero, il quale, dopo un anno di studi, gli trova un’occupazione da segretario in una delle più importanti famiglie di Francia: i De la Mole. Presso questi signori, Julien entrerà a contatto con l’alta società parigina, riceverà importanti incarichi che lo metteranno in buona luce con il padrone di casa. Julien è benvoluto dai De la Mole e vive a stretto contatto con loro fintanto che la figlia del marchese, Mathilda De la Mole, trovando in Julien qualità che sono introvabili nell’aristocrazia parigina, se ne innamora e ne rimane incinta. Il marchese De la Mole, grazie alla sua umanità, accetta il matrimonio tra i due e, desiderando un titolo nobiliare per la figlia fa investire Julien come cavaliere e dona loro dei terreni. Tuttavia il marchese in preparazione alle nozze chiede una lettera di raccomandazioni a Madame Rênal, la quale dipinge Julien come uomo infimo, spregevole e dedito alla menzogna. Julien, accecato dall’odio verso il suo primo amore, si reca alla sua cittadina e, in chiesa, spara alla donna. Madame Rênal resta solo lievemente ferita, mentre Julien Sorel è condannato alla ghigliottina, e perdonato dalla sua vittima. Le vicende si concludono con Mathilda che bacia la sua testa mozzata prima di seppellirla, e la morte di Madame Rênal alcuni giorni dopo per il rimorso».

Per introdurre la figura di Julien Sorel, può essere utile ragionare sul titolo dell’opera che inizialmente doveva intitolarsi “Julien” ma che è poi stata intitolata nel modo che conosciamo. Il rosso e il nero sono le due bandiere sotto cui si è giocata la vita di Julien. Il rosso è il colore della divisa militare che il giovane sognava di indossare, e che avrebbe indossato se fosse nato quando ancora era in vita Napoleone, e che era quasi riuscito a raggiungere con la nomina a Cavaliere. Il nero, invece, è il colore del curato, della carriera ecclesiastica che lo avrebbe portato a vivere una vita lunga e ricca, se si fosse saputo controllare e se avesse rinunciato ai suoi sogni di scalata sociale. Alla fine Julien si lascia dominare dalla sua passione per il rosso, vive la sua vita con la sola intenzione di migliorare la sua condizione sociale, è orgoglioso e non sopporta la boria dei nobili parigini che, pur essendo meno colti e meno coraggiosi di lui, continuano a beffarlo e a non riconoscerlo come loro pari.

L’orgoglio di Julien Sorel e il suo egoismo sono visti da tutti come virtù negative eppure egli non è lontano dal nichilismo di Nietzsche. Julien vive seguendo una sua morale che si è costruito da sé e non si preoccupa di usare gli altri per raggiungere i suoi obiettivi. È un’anticipazione del superuomo che attua la sua volontà di potenza subordinando gli altri ai propri fini. Il giovane però ha ancora dei debiti con il romanticismo, la passione e l’amore lo smascherano e lo rovinano. È la prima volta che la figura del superuomo fa la sua comparsa nella letteratura e si noterà nel giro di pochi anni la sua evoluzione nella mente di altri autori.

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DOSTOEVSKIJ E IL SUPERUOMO

A differenza di quanto detto riguardo al romanzo di Stendhal, in Dostoevskij il rapporto con il superuomo nietzschiano è molto più forte e intuibile. Il romanzo per eccellenza di Fëdor Dostoevskij è Delitto e castigo, ed è stato pubblicato nel 1866, in altre parole quando Nietzsche aveva solo 22 anni e non aveva nemmeno scritto La nascita della tragedia, anzi, può essere interessante evidenziare che l’autore russo muore nel 1881 ovvero l’anno precedente all’uscita della Gaia scienza.

Questa è la trama del romanzo:

«Raskol’nikov è un giovane che, lasciati gli studi, resta a vivere a San Pietroburgo nel minuscolo alloggio dove comincia a soffrire di una sorta di ipocondria, di depressione. Schiacciato dalla situazione opprimente, e preoccupato per gli sforzi fatti dalla madre e dalla sorella per il suo mantenimento, comincia a pianificare l’assassinio di una vecchia usuraia a cui doveva dei soldi. Al delitto, tuttavia, è presente anche la sorella della vecchia ed egli è costretto a uccidere anche lei. Dopo l’omicidio Raskol’nikov soffre per diversi giorni di febbre celebrale che lo costringe a letto e, quando la sua mente riacquista una certa lucidità, l’angoscia e il rimorso lo attanagliano. Intanto, il giudice istruttore Porfiri Petrovic’ comincia a indagare sulla morte delle due donne e sospetta di Raskol’nikov, messo in guardia dalle condizioni psicofisiche di Raskol’nikov e dal suo interesse per l’omicidio. A salvare l’omicida dalla pazzia giunge Sonja Mermeladova, figlia di un funzionario statale che muore per un banale incidente. Ella, costretta a prostituirsi per mantenere la madre e i tre fratelli, con la sua fede in Dio, sostiene e incoraggia il suo amante, anche dopo che lui le confessa l’omicidio. Infatti, spinto da Sonja, Raskol’nikov confessa il suo crimine e sconterà in Siberia la sua condanna ai lavori forzati».

“Secondo me, se le scoperte di Keplero e di Newton, per qualche combinazione, in nessuna maniera avessero potuto divenir note agli uomini altrimenti che col sacrificio della vita di uno, di dieci, di cento persone e via dicendo, che

impacciassero quella scoperta, o che si fossero messe sulla sua strada come un ostacolo, allora Newton avrebbe avuto il diritto, e sarebbe perfin stato in obbligo… di eliminare quelle dieci o cento persone, per far note le sue scoperte a

tutta l’umanità”(Raskol’nikov)

Raskol’nikov è un ragazzo molto dotato che non è riuscito a mantenersi gli studi, tuttavia è e si ritiene una persona molto intelligente. All’inizio del romanzo, prima dell’omicidio, è presuntuoso e crede di poter dare un diverso valore alla sua vita e a quella della vecchia usuraia, si ritiene moralmente giustificato nel suo intento omicida da un bene superiore. Il primo Raskol’nikov è un grezzo esperimento di superuomo, anche lui è attratto dalle grandi personalità del passato, anche lui crede di essere superiore, sfrutta gli altri uomini per ottenerne un tornaconto personale. Ma l’aver ucciso una persona innocente lo cambia, dopo il delitto comincia il castigo, la sofferenza interiore che lo lacera per tutta la durata del romanzo e che trasforma il “superuomo” che era in un criminale che confessa le sue colpe e occupa l’ultimo gradino della scala sociale. Il distacco con Julien Sorel è evidente. Mentre il giovane francese nei suoi intenti superomistici è al contempo un eroe romantico e un perfido egoista, Raskol’nikov gli è superiore dal punto di vista psicologico, passa dall’essere un giovane dai forte ideale con una dubbia morale a essere l’accusatore di sé stesso.

Nietzsche, nella sua biografia del 1888, Ecce Homo, parla di Stendhal e di Dostoevskij con profondo rispetto, anzi, per il filosofo la lettura dei loro scritti è stata fondamentale per la formulazione del suo pensiero, tuttavia Nietzsche considera i due autori soprattutto psicologi, come esperti analizzatori dell’anima umana. Su Stendhal troviamo scritto

“Stendhal, uno dei casi più belli della mia vita”(EH, Perché sono così accorto, 3)

mentre, parlando di Dostoevskij in una lettera del 4 marzo 1887, scrive:«per quanto riguarda l’acume nell’analisi, non ha nessuno che possa stargli al fianco neppure nella modernissima Parigi».

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IL SUPEROMISMO IN D’ANNUNZIO

In Gabriele D’Annunzio possiamo trovare la figura del superuomo esprimersi in modo duplice. Da un lato, dopo la lettura di Così parlò Zarathustra, D’Annunzio concepisce una trilogia ispirata all’ideale dell’Übermensch di cui completa un solo romanzo. D’altro canto la stessa vita dello scrittore è un insieme di estetismo e superomismo.

Gabriele D’Annunzio nasce a Pescara nel 1863 e già nel 1879, all’età di 16 anni, fa pubblicare la sua prima raccolta di poesie Primo vere accompagnandola con la notizia della sua precoce morte per attirare l’attenzione del pubblico e della critica. A 18 anni si trasferisce a Roma e da subito acquista notorietà per i suoi versi sia per il contenuto singolare delle sue opere. Nel 1897 decide di tentare la carriera politica come deputato dell’estrema destra, assecondando i suoi ideali antidemocratici, tuttavia, nel 1900 nulla gli vieta di cambiare schieramento e di unirsi all’estrema sinistra; D’Annunzio, infatti, non è attirato realmente dalla vita politica, ma è interessato solo a ottenere visibilità e potere. Lo stile di vita di D’Annunzio è eccessivamente alto per la sua disponibilità economica e nel 1910 il “vate” è costretto a recarsi in Francia per fuggire dai creditori. Nella Prima guerra mondiale D’Annunzio vede l’occasione tanto attesa di compiere un’azione eroica degna di un superuomo come lui, torna quindi in Italia e si arruola come volontario e compì “la beffa di Buccari” nel 1918 e il volo su Vienna dello stesso anno. Nell’immediato dopoguerra D’Annunzio, dando voce ai malumori dovuti al mito della vittoria mutilata, mettendosi a capo di un gruppo di ex soldati, prende la città di Fiume e la tiene per circa un anno fino al 1920. Dopo quest’avventura spera di proporsi come “duce” ma è battuto da Mussolini che lo “confina” nel mausoleo che D’Annunzio erige a se stesso. Durante la sua esistenza D’Annunzio conduce una vita privata da vero esteta: un matrimonio non particolarmente fedele e relazioni amorose molteplici e fugaci, la più famosa con la celebre attrice Eleonora Duse; D’Annunzio, il vate, è sempre al centro delle cronache, ammirato e invidiato dalla gente comune che riconosce in lui non un uomo, ma un divo.

Nel 1895 D’Annunzio, ispirato dalla lettura di Nietzsche, scrive il romanzo Le vergini delle rocce. Quest’opera è stata definita «il manifesto politico del superuomo», e doveva essere il primo volume del ciclo “del giglio”, ma è significativo come la stesura dei successivi romanzi non sia mai avvenuta.

«Claudio Cantelmo è un nobile nauseato dalla moderna società borghese di Roma che sogna di avere un erede che, anche con l’uso della forza ristabilisca l’egemonia nei nobili, dei “Patrizi”. Per dare forma a questo suo desiderio decide di prendere per sposa una delle tre figlie di un ormai decaduto principe borbonico, per generare da questa il futuro “Re di Roma”»

Come negli altri romanzi dannunziani, anche in Le vergini delle rocce la storia raccontata è un elemento narrativo debole, fa da sfondo a uno stile elaborato e ricercato che rende difficile la lettura del romanzo e, che, francamente, è improponibile al gusto moderno; nel testo domina la propensione per la decadenza, per la “putredine”, stimolo alla ricerca di un nuovo punto d’inizio che però non verrà.

Claudio Cantelmo, secondo la visione di D’Annunzio è un superuomo, disgustato dalla plebe vuole sfruttare la decaduta nobiltà delle tre donne per dare vita a una creatura superiore che governerà sul popolo Italiano. Altresì il protagonista è un misero fallimento, dei suoi ideali non riesce a farsene nulla, nemmeno un suo progetto si concretizza. Non è all’altezza del ruolo che si è dato.

Rispetto alle figure che precedentemente hanno impersonato il ruolo di superuomo Claudio Cantelmo è la versione più originale, reduce del passato estetismo del suo autore. La differenza principale è l’incapacità di agire: mentre Julien e Raskol’nikov sono puniti per aver tentato di cambiare le cose, il personaggio dannunziano non è sicuro di sé, ha perso la sua occasione e non ci sarà un seguito per la sua storia.

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CONCLUSIONI

Il superuomo è stato molto ricercato e narrato dalla letteratura nei due secoli scorsi, e questi sono solo alcuni tra i più grandi classici che ne sfruttano la figura. Tuttavia nella mia analisi di questi testi sono giunto a una personale conclusione: il superuomo non esiste. È una mera fantasia credere a un uomo che possa vivere senza conformarsi alla morale convenzionale e sappia dare un impulso positivo alla storia. Stendhal narra di un uomo falso e subdolo, che per i suoi interessi si serve dei sentimenti di donne influenti solo perché non è in grado di accettare le possibilità che gli sono state concesse, come non accetta che quello che ha ottenuto con le sofferenze altrui gli venga tolto. In realtà non è un superuomo, ma un uomo asociale che non sa accettare le conseguenze delle sue azioni. Un passo avanti l'ha compiuto Raskol’nikov. Il ragazzo inizialmente si crede superiore, ma, dopo aver commesso il delitto prende coscienza dell’enorme sbaglio commesso. Lui non è il superuomo che crede di essere ma un misero uomo infimo, peccatore, e terrorizzato e sarà la fede in quel Dio che per Nietzsche è morto e che, invece, per Sonja è fonte di speranza a dargli il coraggio di confessare la sua colpa e assumersi la sua responsabilità. Claudio Cantelmo è l’ultimo personaggio letterario che ho analizzato. È il personaggio che più degli altri ha chiaro in mente il significato di superuomo, è, infatti, l’unico post-nietzschiano, ma è quello che meno di tutti si avvicina a esserlo, è il completo e totale fallimento di ogni tentativo di superiorità. Infine, se nemmeno la letteratura è riuscita a descrivere un vero superuomo completo: Dio di se stesso, creatore della propria morale, superiore agli altri uomini che riesce a sottomettere alla sua volontà di potenza, come può riuscirci un vero uomo? Gabriele D’Annunzio è, in accordo con il suo personaggio, un pessimo superuomo: lui vive la sua vita in modo estetico, non attua una vera volontà di potenza, le sue avventure durante la Prima guerra mondiale non anno avuto una reale utilità nel conflitto e sono state messe in atto al mero fine di ottenere notorietà e visibilità. A questo proposito si esprime anche il filosofo Jean-Paul Sartre, che pone l’attenzione sull’essenza dell’uomo e arriva a concepire come l’uomo è per sé stesso un superuomo. L’uomo è le scelte che compie, la propria volontà.

“In questo senso si può dire, se volete, che ciascuno di noi fa l’assoluto respirando, mangiando, dormendo e operando in qualsiasi maniera. Non c’è alcuna differenza tra essere liberamente, essere come progetto, come esistenza che

sceglie la propria essenza, ed essere assoluto”(Sartre, L’esistenzialismo è un umanismo)

Solo pochissimi uomini nella storia dell’umanità sembrano aver effettivamente avuto le caratteristiche proprie del superuomo e, come dicono Julien Sorel e Raskol’nikov, primo fra tutti Napoleone. Ebbene, dal mio punto di vista è l’uomo che più di tutti si è avvicinato a quella condizione, ma rammento anche che la sua vita è terminata mentre si trovava in esilio sull’isola di Sant’Elena a causa della sua ambizione spropositata che l’ha portato alla campagna di Russia prima, e alle diverse battaglie contro le varie coalizioni e soprattutto contro gli inglesi poi.

BIBLIOGRAFIA

Friederich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Newton Compton Editori, 2010

Stendhal, Il rosso e il nero, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2003

Dostoevskij, Delitto e castigo, Edizioni Paoline, Arnoldo Mondadori Editore, 1992

Diego Fusaro, http://www.filosofico.net/nietzsche.htm

http://omero.humnet.unipi.it/matdid/562/ Nietzsche %20e%20gli%20psicologi%20francesi.doc

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