Upload
derguteeuropaer
View
28
Download
2
Embed Size (px)
Citation preview
P. Stellino, “Marlow e il fantasma di Atropo: analisi della presenza delle Parche in
Heart of Darkness”, in: Nae 6 (Primavera), 2004, pp. 21-24.
Heart of Darkness, il romanzo breve di Joseph Conrad, è oramai unanimemente riconosciuto
dalla critica letteraria come una catabasi, ossia una metaforica discesa agli Inferi, inserita all’interno
di una tradizione letteraria che va dall’Odissea di Omero alla Divina Commedia dantesca. A
compiere tale viaggio è Marlow, il protagonista della vicenda, che a bordo di un battello risale un
fiume infernale (presumibilmente il fiume Congo) alla ricerca di Kurtz, uomo della Compagnia
Commerciale del quale si hanno solamente notizie confuse. La narrazione si apre inizialmente sulle
plumbee acque del Tamigi e si sposta in seguito oltremanica, in una città deserta che pare un
sepolcro imbiancato; qui Marlow si reca per la firma del contratto e trova ad attenderlo due strane
guardiane, due donne che lavorano «la loro lana nera come per una calda coltre mortuaria»1. Le due
knitters, una giovane, che annuncia gli sventurati alla porta dell’ignoto, e una vecchia, che scruta
placidamente le facce dei morituri, rappresentano un’incarnazione delle prime due Parche, le dee
del Fato, figlie di Nyx, la Notte: Cloto, che tesse il filo della vita, e Lachesi, che assegna la sorte ad
ogni individuo.
Le Parche, che nella mitologia greca appaiono come Moire e in quella germanica come
Norne, sono per tradizione tre, Tria Fata: a Cloto e Lachesi va aggiunta dunque Atropo, colei che
determina la lunghezza del filo della vita e che a sua volta lo recide. Se la presenza delle prime due
Klothes, le filatrici, in Heart of Darkness è alquanto evidente, non altrettanto si può dire della terza:
la critica conradiana ha espresso in questo senso pareri contrastanti.
Nel 1956 C. Sanders ricollegava le due donne che filano la lana a Cloto e Lachesi, negando
però la presenza di Atropo:
Atropos, who cuts the thread, is missing because Marlow does not die, because he does not succumb to the full
temptation of the heart of darkness.2
R. Ambrosini nella sua Introduzione a Conrad3 identifica nelle due placide donnette che
sferruzzano la lana una raffigurazione delle Parche, ma non accenna ad Atropo, che in tal modo
verrebbe esclusa dalla narrazione. M. Domenichelli4 invece, attraverso una lettura in chiave
psicoanalitica, identifica l’immagine sdoppiata di Lachesi nelle due Knitters, quella di Cloto nelle
due galline nere a causa delle quali muore il capitano danese Fresleven, e infine quella di Atropo
nelle due donne di Kurtz, la donna selvaggia e la fidanzata europea, l’Intended. Per finire M.
Curreli, nella sua Introduzione alle Opere di Conrad, richiamando l’analisi di Domenichelli,
identifica a sua volta la terza Parca, la Morte in persona, colei che recide impietosamente il filo
della vita, nelle due donne di Kurtz:
[…] Atropo, che recide il filo, è sdoppiata nelle figure dell’amante negra e della fidanzata bianca, il contatto
con le quali porta sia alla morte di Kurtz (il cui nome, simile al tedesco kurz, sembra presagirne la precocità della fine)
sia alla lunga morte-in-vita di Marlow (il quale si è sottratto a stento all’abbraccio mortale della darkness africana per
cedere al fascino dell’abitatrice della città sepolcrale).5
La terza Parca si aggira dunque come un fantasma attraverso l’intera narrazione, un
fantasma, la cui presenza è sicuramente ambigua ed incerta.
1 Joseph Conrad, Cuore di tenebra, trad. di Alberto Rossi, Einaudi, Torino 1989, p. 15 (d’ora in poi in sigla CT). Per
l’ed. originale: Joseph Conrad, Heart of Darkness, Penguin, London 1994, (d’ora in poi in sigla HD), p. 16: «knitting
black wool as for a warm pall». 2 C. Sanders, Conrad’s Heart of Darkness, in The Explicator, XXIV, No. 1, September 1965. 3 R. Ambrosini, Introduzione a Conrad, Laterza, Roma-Bari 1991, cfr. p. 58. 4 M. Domenichelli, Narciso al buio, Longo Editore, Ravenna 1978, cfr. pp. 34 – 40. 5 M. Curreli, Introduzione a Joseph Conrad, Opere. Romanzi e racconti 1895.1903, Bompiani, Milano 2001, LXIX.
L’incontro con le due Knitters lascia presumere al lettore che la meta finale del viaggio di
Marlow sia un’inevitabile appuntamento con la Morte in persona, il cui fastidioso odore si spande
sull’intero cuore di tenebra. Conrad traccia un quadro raccapricciante, simile a quello di un incubo
notturno, attraverso molteplici scene macabre: le certe forme nere che, moribonde e sofferenti, si
appartano per morire in silenzio; il cadavere di Fresleven, abbandonato e dimenticato, oramai
ricoperto dalla lunga erba; lo Svedese impiccato; i “nocchi ornamentali”, in realtà teste decapitate
esposte per monito sopra i pali di uno steccato distrutto; il timoniere che muore assumendo
un’espressione «inesprimibilmente cupa, torva e minacciosa»6. Atropo non porta alcuna maschera
che possa esser indossata chiaramente da qualche personaggio, ma il suo gelido respiro sparge su
tutta l’Africa primordiale una morte pestilenziale.
Per quanto dietro le numerose morti, tanto degli europei, quanto dei selvaggi africani, non vi
sia concretamente che la brama d’avorio, simbolo dell’avidità di potere e di ricchezze delle potenze
coloniali, tuttavia ad un livello allegorico l’ipotesi più plausibile rimane quella tendente ad
identificare nelle due donne di Kurtz l’immagine sdoppiata di Atropo, la Morte. In questo senso,
come fa notare Curreli7, Marlow, al cospetto dell’Intended non mente circa le ultime parole
pronunciate da Kurtz8, poiché essa, immagine di Atropo, diventa simbolo non solo della morte, ma
anche dell’orrore. L’equazione orrore=Intended=Morte=Atropo appare così chiara ed esplicita. Non
ci stupiamo dunque delle numerose allusioni di Conrad a elementi funebri, nell’episodio della visita
alla fidanzata di Kurtz: la cupa e opprimente oscurità, la porta di mogano, il pianoforte a coda
«simile a un cupo e lucente sarcofago»9, la donna interamente vestita di nero.
Il grido fioco emesso da Kurtz nell’ultimo istante diventa in questo caso un gemito di paura
nei confronti della morte che gli si para davanti. L’interpretazione della bugia finale di Marlow e la
lettura delle ultime parole di Kurtz, «The horror! The horror!»10, sono qui strettamente connesse.
Come nel caso della presenza della terza Parca, anche per quanto riguarda la nota esclamazione
d’orrore la critica conradiana ha espresso differenti opinioni. Per A. White, Kurtz, riconoscendo con
orrore ciò che ha fatto, si tramuterebbe agli occhi di Marlow e a quelli del lettore «into a moral
being»11. La bugia finale inoltre avrebbe il compito di preservare e nascondere ulteriormente la
darkness12. F. R. Karl, nella sua illuminante analisi di Heart of Darkness13, distingue la lettura
“cristiana” fornita da Marlow (Kurtz, pentendosi in fin di vita, ha ottenuto una vittoria morale),
dalla propria interpretazione: l’urlo potrebbe essere un grido d’angoscia di fronte alla morte che,
indesiderata, giunge a porre fine al regno costruito dal Dio bianco, appunto Kurtz. Marlow, inoltre,
mentirebbe al cospetto della Intended per preservare le proprie illusioni, non solo riguardanti Kurtz,
ma anche l’intera natura umana. Infine secondo R. Oliva14 Conrad condanna esplicitamente Kurtz,
implicitamente lo assolve. Marlow dunque mente in apparenza per pietà, ma in realtà anch’egli
accetterebbe il Kurtz immaginario della Intended: attraverso un processo di rimozione, l’immagine
idilliaca si sostituisce a quella ghignante.
Tale varietà d’interpretazioni non aiuta a risolvere il problema della presenza di Atropo
all’interno della narrazione, anzi, sicuramente lo rende più complicato. Per capire dunque se anche
6 CT, 74; HD, 67: «an inconceivably sombre, brooding, and menacing expression». 7 Op. cit. 8 CT, 111: «Egli gridò fiocamente, a non so quale immagine, quale fantasma, quale visione: - due volte gridò, con voce
che era appena più di un sospiro:
Quale orrore! quale orrore!» 9 CT, 118; HD, 106: «like a sombre and polished sarcophagus». 10 HD, 100. 11 A. White, Joseph Conrad and the adventure tradition, Cambridge University Press, Cambridge 1993, p. 185. 12 Ibid. p. 186. 13 F. R. Karl, Introduction to the Danse Macabre: Conrad’s Heart of Darkness, in C. B. Cox, Heart of darkness: A
Selection of Critical Essays, Macmillian, London 1981. 14 R. Oliva, L’ambigua redenzione di Kurtz, in Renato Oliva – Alessandro Portelli, Conrad: l’imperialismo imperfetto,
Einaudi, Torino 1973.
la terza Parca sia presente in Heart of Darkness è necessario anzitutto rivedere la figura delle Parche
nella mitologia e nella letteratura.
In Omero (Il. 22,5) troviamo una sola Moira, che decide funestamente il destino di Ettore,
non permettendogli all’arrivo di Achille di rifugiarsi dentro le mura troiane. Secondo Esiodo
(Theog. 905-906) Cloto, Lachesi e Atropo sono figlie di Zeus e Temi e concedono agli uomini
mortali il bene e il male. Un inno orfico (59, Profumo delle Moire) propiziatorio della benevolenza
delle Moire, descrive queste divinità come onniscienti, immutabili e indistruttibili, dispensatrici per
necessità del destino umano. Virgilio (Ei. I,22) attribuisce al volere delle Parche tanto la fondazione
di Roma, quanto la conseguente rovina dei popoli suoi nemici, mentre nelle Metamorfosi di Ovidio
così Giove si rivolge a Cerere, che invoca la restituzione della figlia Proserpina, rapita da Plutone,
Dio degli Inferi:
Però se desideri tanto
che si separino, Proserpina rivedrà il cielo,
ma a una condizione precisa: che lei non abbia laggiù toccato
cibo alcuno con la sua bocca: questo hanno decretato le Parche.15
Nella letteratura moderna possiamo ricordare tra i numerosi richiami un’ode di Hölderlin
(An die Parzen, in Taschenbuch für Frauenzimmer von Bildung 1799), che si rivolge alle Parche
perché gli possano concedere ancora un’estate e un autunno, affinché il suo canto possa maturare, e
il Parzenlied di Goethe in Iphigenie auf Tauris (Atto IV, Scena V), una canzone cantata dalle
Parche stesse, riferita da Ifigenia, che esorta l’uomo ad aver timore dei Numi immortali16.
Dall’antichità fino ai tempi moderni, insomma, scrittori e poeti hanno ripreso e variamente
elaborato il mito delle Moire o Parche. All’interno di tale differente panorama una caratteristica
contraddistingue però costantemente le dee del Fato: esse hanno sempre un ruolo decisionale
all’interno della vita umana. Persino Zeus, come riferisce K. Kerényi, non ha il potere di revocare o
modificare ciò che queste hanno decretato:
Ciò che le Moire filano sono i giorni della nostra vita, uno dei quali sarà inevitabilmente il giorno della nostra
morte. La lunghezza del filo che esse concederanno a un mortale dipende esclusivamente da loro e nemmeno Zeus può
cambiare la loro decisione. Tutt’al più egli può prendere la sua bilancia d’oro, preferibilmente nelle ore pomeridiane,e
misurare, per esempio, per quale di due avversari in lotta, il giorno sta per tramontare per sempre.17
Cloto, Lachesi e Atropo hanno dunque innanzitutto un ruolo attivo all’interno della vicenda
umana, dispensano bene e male, decidono della sorte degli eroi e stabiliscono addirittura il corso del
fluire temporale. Esse sono potenti, impiegabili ad alcuna volontà, persino quella divina, dunque del
tutto autonome, e in più onniscienti, ossia capaci di leggere e conoscere passato, presente e futuro.
Insomma, niente di più lontano dalla doppia figura donna selvaggia-Intended, le quali subiscono
infatti passivamente e con una potente carica di tragicità il corso degli eventi.
La prima, vera e propria incarnazione della wilderness e del suo potere, vedendo il
«diguazzante, tonfante, feroce demone fluviale»18 portar via il proprio uomo, non può far altro che,
figura immobile e statica, chiusa nella sua atroce sofferenza, tendere tragicamente le braccia nude in
direzione del battello, che lentamente si allontana. La seconda incarna una figura altrettanto, se non
maggiormente tragica: a distanza di un anno dalla morte dell’amato veste ancora a lutto, ha un’aria
di tremenda desolazione, un accento di disperato rimpianto, uno sguardo supplichevole e occhi
colmi di lacrime, «di lacrime che non volevan cadere»19. Entrambe le donne patiscono dunque il
15 Ovidio, Metamorfosi, Garzanti, Milano 1992, V, 529-532. 16 Sul testo di Goethe J. Brahms comporrà poi il Gesang der Parzen per coro e orchestra. 17 Károly Kérenyi, Gli dei e gli eroi della Grecia, Mondadori, Milano 1989, p. 42. 18 CT, 107; HD, 96: «splashing, thumping, fierce river-demon». 19 CT, 121; HD, 109: «of tears that would not fall».
dolore dell’assenza di Kurtz, entrambe sono figure tragiche ed infelici. Piuttosto che modificare
attivamente il corso del destino, esse lo subiscono passivamente e da esso sono inevitabilmente
travolte. In questo senso la lettura di P. Hyland20, che accusa Conrad di mantenere le donne del
proprio racconto all’interno del classico stereotipo vittoriano (le donne come esseri deboli, indifesi e
inadatti a sopportare il carico che comporta la consapevolezza della verità), non fa che confermare
la visione di una Intended sofferente, capace di fede e di dedizione, quasi schiava dell’immagine
idealizzata di Kurtz, che lei stessa si è forgiata.
Per quanto l’atmosfera funebre della casa possa far pensare che l’Intended sia il vero centro
da cui promana la darkness, e per quanto essa, al pari dell’orrore e della morte, sia innominata e
innominabile, inconosciuta e inconoscibile, tuttavia l’intensa tragicità, che caratterizza la sua figura,
mal si concilia con la classica immagine che la letteratura ha sempre tessuto delle Parche. Kurtz
decide sempre autonomamente il proprio destino, nel caso della fidanzata europea, partendo per
l’Africa, poiché attratto dalla possibilità di far carriera e di accumulare ricchezze, nel caso della
donna selvaggia, scegliendo di far ritorno al mondo civilizzato, dimostrando così di tenere in poco
conto i sentimenti delle donne che lo amano. Queste, anziché modificare la decisione del proprio
amato, la subiscono impotenti, permanendo così figure sofferenti e tragiche. Tanto le Parche sono
potenti e svolgono un ruolo attivo nel corso degli eventi, quanto le due donne sono deboli e
svolgono un ruolo tristemente passivo. L’inconciliabilità delle due rappresentazioni è manifesta e
palese e il fantasma di Atropo sembra svanire lievemente dalla vicenda.
Anche analizzando più a fondo la figura della donna selvaggia, si evince come difficilmente
essa, date le caratteristiche del suo personaggio, possa incarnare l’immagine della terza Parca.
Come è già stato fatto notare, la savage woman incarna appieno la wilderness che la circonda,
diventando così simbolo altamente carico di sessualità, potere, fertilità e passione21. La wilderness a
sua volta esercita un’irresistibile potere d’attrazione che porta con sé il pericolo per ogni uomo di
perdersi nel suo seno:
Cercai di rompere l’incanto – il greve e muto incanto della foresta vergine – che pareva se lo attirasse al seno,
risvegliando in lui certi istinti brutali e dimenticati, e il ricordo di chi sa quali passioni mostruose e soddisfatte. Questo
soltanto, ne ero convinto, lo aveva attirato fin sul ciglio della foresta, fino alla boscaglia, verso quel bagliore di fuochi,
quel rullare di tamburi, quel confuso borbottio di bizzarri incantamenti; solamente questo aveva sedotto la sua anima
senza legge di là dai limiti di ogni aspirazione permessa.22
L’incanto della foresta vergine non è qui molto lontano dal richiamo delle Sirene omeriche,
la cui funzione e il cui ruolo potrebbero esser svolti dalla donna selvaggia, proprio in quanto
incarnazione viva della wilderness. Marlow, al pari dei compagni di Odisseo, solo dedicandosi
costantemente al lavoro può lasciar cadere inascoltato il canto e le promesse che le Sirene gli
offrono. Ma dietro tali promesse si cela, se non la morte stessa, il pericolo mortale di perdersi nel
passato23. Piacere e pericolo mortale, amore e morte, sono i caratteri opposti che contraddistinguono
le Sirene, e per estensione, dunque, la savage woman. D’altronde, come fa notare ancora Kerényi24,
le Sirene erano tanto dee della morte, quanto dell’amore, e sottostavano a servizio della dea degli
Inferi. Attribuendo l’ambivalenza amore/morte alla donna selvaggia, potremmo anche ammettere
che essa incarni Atropo, la terza Parca, la Morte in persona, ma se accettiamo tale comparazione,
dobbiamo anche riconoscere che Marlow, pur rimanendo affascinato dal canto della wilderness,
tuttavia non cade in sua balia. Ecco ripresentarsi il destino tragico della donna nera: le Sirene, il cui
20 Peter Hyland, The little woman in the Heart of Darkness, in Conradiana, XX (1988), pp. 3-11. 21 Cfr. ibid., pp. 8-10. 22 CT, 105; HD, 94-95: «I tried to break the spell – the heavy, mute spell of the wilderness – that seemed to draw him to
its pitiless breast by the awakening of forgotten and brutal instincts, by the memory of gratified and monstrous passions.
This alone, I was convinced, had driven him out to the edge of the forest, to the bush, towards the gleam of fires, the
throb of drums, the drone of weird incantations; this alone has beguiled his unlawful soul beyond the bounds of
permitted aspirations». 23 Cfr. M. Horkheimer – Th. W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino 1997, p. 40. 24 Op. cit., p. 62.
canto non riesce a trattenere Odisseo, si uccidono25, così come, metaforicamente, muore la savage
woman, poiché incapace di trattenere Kurtz. Ancora una volta la tragicità di tale destino non
permette l’identificazione della donna selvaggia nella terza Parca, ammesso che non si voglia
sostenere che Atropo recida il filo della propria vita.
Date queste premesse, sembra dunque impossibile riscontrare nel romanzo conradiano la
presenza della terza Parca Atropo. Al riguardo però ci viene in aiuto Freud, fornendoci forse la
soluzione del difficile problema.
Nello scritto del 1913, Il motivo della scelta degli scrigni26, lo studioso austriaco analizza la
scelta che tre pretendenti, nel Mercante di Venezia di Shakespeare, compiono fra tre scrigni,
rispettivamente uno d’oro, uno d’argento e uno di piombo. Tralasciando l’interessante analisi, che
compara la scelta tra i tre scrigni a quella tra tre figure femminili, archetipo mitologico (Paride e il
pomo della discordia) e fiabesco (Cenerentola), e che associa la triade femminile alle tre Parche,
troviamo il nostro punto d’interesse nell’interpretazione freudiana della figura di Cordelia nel Re
Lear shakespiriano. All’interno del dramma Cordelia è indiscutibilmente una figura tragica: al
principio, rinnegata dal padre per la sua sincerità, viene privata della sua parte d’eredità e per questo
rifiutata dal Duca di Borgogna, suo promesso sposo; nel finale, dopo che il Re di Francia è stato
sconfitto, è fatta prigioniera e, su ordine di Edmund, uccisa. Nonostante questa figura, così carica di
tragicità, sia sofferente e passiva all’interno della vicenda (essa subisce il corso degli eventi al pari
delle due donne conradiane), tuttavia Freud non esita a scorgere in lei l’incarnazione della Morte in
persona.
[…] quando tu chiederai la mia benedizione, io m’inginocchierò
per chiederti perdono;27
Queste sono le parole che Lear, oramai pentito della propria scelta, rivolge alla figlia
Cordelia. Egli è oramai giunto al termine del suo viaggio di conoscenza (l’acquisizione è semplice:
«ci si deve […] guardare dal prendere le lusinghe per moneta sonante»28) e ora è pronto per
genuflettersi di fronte alla Morte; nel momento in cui la conquista è raggiunta, il Re, stanco e
vessato, può finalmente morire. La situazione si capovolge e simbolicamente, al contrario di come il
poeta racconta, è Cordelia che porta via dalla scena il cadavere del padre.
Accettando l’interpretazione di Freud, possiamo riconoscere come anche una figura tragica e
passiva possa divenire simbolo della Morte, dunque della terza Parca, Atropo, colei che recide il filo
della vita, così come Cordelia fa con Lear, e come la donna selvaggia e l’Intended farebbero con
Kurtz. Come in Shakespeare, anche in Conrad la Morte sarebbe impersonata proprio da colei, o
coloro, che il destino travolge in pieno, col suo carico di dolori e sofferenze, di sospiri e di lacrime.
È anche vero, comunque, che la figura di una terza Parca sofferente e debole, mal si concilia, non
solo con la tradizione letteraria e mitologica, ma anche con la descrizione che Conrad ci fornisce
delle prime due Parche, le due guardiane della porta degli Inferi: entrambe intente a lavorare la lana
nera con una fretta febbrile, la più giovane, simile ad un sonnambulo, la più vecchia, con uno
sguardo di sapienza indifferente e un’apparenza misteriosa e fatale.
Come sostiene M. Curreli, «l’ambiguità rimane fino in fondo»29, e il lettore attento di Heart
of Darkness non può che presentire continuamente, all’interno della narrazione, la presenza di un
fantasma, il fantasma di Atropo:
Sovente, laggiù lontano, ripensai a quelle due donne, che facevano guardia alla porta delle tenebre, e
lavoravano la loro lana nera come per una calda coltre mortuaria; una ad annunciare continuamente alla porta
dell’ignoto, l’altra a scrutare le facce idiote e ridenti coi suoi vecchi occhi pieni d’indifferenza. Ave, antica lavoratrice
25 Ibid. 26 S. Freud, Il motivo della scelta degli scrigni, in 27 W. Shakespeare, Re Lear, Mondadori, Milano 2003, p. 237. 28 S. Freud, op. cit., p.172. 29 Op. cit., LXIII.
di lana nera: Morituri te salutant. Non molti di coloro che essa guardò così la videro più mai; meno della metà, di gran
lunga meno.30
Bibliografia
- Joseph Conrad, Heart of Darkness, Penguin, London 1994; ed. it. Cuore di tenebra, trad. Di
Alberto Rossi, Einaudi, Torino 1989.
- C. Sanders, Conrad’s Heart of Darkness, in The Explicator, Vol. XXIV, No. 1, September
1965.
- P. Hyland, The little woman in the Heart of Darkness, in Conradiana, XX (1988).
- M. Domenichelli, Narciso al buio, Longo Editore, Ravenna 1978.
- M. Curreli, Introduzione a Joseph Conrad, Opere. Romanzi e racconti 1895.1903,
Bompiani, Milano 2001.
- C. Watts, Conrad’s Heart of Darkness, Mursia International, Milano 1977, pp. 122-125.
- R. Oliva, L’ambigua redenzione di Kurtz, in R. Oliva – A. Portelli, Conrad: l’imperialismo
imperfetto, Einaudi, Torino 1973.
- A. White, Joseph Conrad and the Adventure Tradition, Cambridge University Press,
Cambridge 1993.
- F. R. Karl, Introduction to the Danse Macabre: Conrad’s Heart of Darkness, in C. B. Cox,
Heart of Darkness: A Selection of Critical Essays, Macmillian, London 1981.
- S. Freud, Il motivo della scelta degli scrigni, in
- W. Shakespeare, Re Lear, Mondadori, Milano 2003.
- Károly Kerényi, Gli dei e gli eroi della Grecia, Mondadori, Milano 1989.
30 CT, 15.