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MANAGEMENT PROFESSIONI SANITARIE per le IN COLLABORAZIONE CON

ManageMent - ecm corsi della rivista MAPScorsi-ecmfad.com/rivista/MAPS_1_12.pdf · LuCa marzoLa – legale Rappresentante sinergia & sviluppo, ... Giovanna asproni, ivano boscardini,

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ManageMent Professioni sanitarieper le

IN COLLABORAZIONE CON

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ManageMent Professioni sanitarieper le

Rivista quadrimestrale

DiRettoRe Responsabilepaolo Maggioli

DiRettoReDaviDe CroCe – Direttore CReMs, Università Carlo Cattaneo - liUC di Castellanza (Va)

pResiDente CoMitato DiRettiVoLaura D’aDDio – Direttore Centro di Formazione professionale – azienda ospedaliero Universitaria Careggi di Firenze

CoMitato DiRettiVoaLessanDro Beux – presidente Federazione nazionale tecnici sanitari di Radiologia MedicaniLa Bonini – Fisioterapista azienda sanitaria locale n. 6 livornoenriCo Burato – Risk Manager azienda ospedaliera Carlo poma di MantovaBruno CavaLiere – Dirigente iRCCs azienda ospedaliera Universitaria san Martino istemanueLe Porazzi – Vice Direttore CReMs, Università Carlo Cattaneo - liUC di Castellanza (Va)massimiLiano saBatino – presidente Consulta professioni sanitarie della lombardia

CoMitato sCientiFiCoseConDo BarBera – Dirigente delle professioni sanitarie presso asl bl biellaGiannantonio BarBieri – avvocatoroBerto BianCat – Dirigente dell’Ufficio Relazioni col pubblico, Dirigente del servizio infermieristico, Componente del Comitato etico - Centro di Riferimento oncologico, aviano (pn)GiusePPe BranCato – Dirigente area tecnico sanitaria e Riabilitazione - azienda ospedaliera Università Meyer di FirenzeFranCesCa CasteLveDere – Coordinatore tutor pedagogico aziendale s.i.t.R.a. (a.o. spedali Civili di brescia) e C.l.i.emanueLa FoGLia – Ricercatrice CReMs, Università Carlo Cattaneo - liUC di Castellanza (Va)LuCa marzoLa – legale Rappresentante sinergia & sviluppo, Formazione e servizi per le professioni sanitariemaria Grazia montaLBano – Direttore strutture Residenziali per anziani - lusan s.r.l.annaLisa Pennini – Direttore scientifico Gruppo Format sasantonio seBastiano – Direttore osservatorio settoriale sulle Rsa e Vice Direttore CReMs, Università Carlo Cattaneo - liUC di Castellanza (Va)DieGo snaiDero – Responsabile servizio infermieristico dell’asl 3 “Genovese”DanieLa tartaGLini – Direttore servizi infermieristici policlinico Universitario Campus bio-Medico

CoMitato Di ReVisioneGiovanna asproni, ivano boscardini, anna Cazzaniga, Fortunato D’orio, Maria adele Fumagalli, Raffaella Garavaglia, silvia Mambelli, Maristella Moscheni, salvatore santo

4 Per una diffusione della cultura manageriale di Davide Croce

5 Organizziamoci! di Laura D’Addio

7 Nuove organizzazioni ospedaliere

10 Intensità di cura e complessità assistenziale: concetti sovrapponibili?

14 La complessità assistenziale: metodologie e indicatori

22 Un metodo gestionale per definire i livelli di intensità: l’analisi dei flussi

24 Un dubbio organizzativo: complessità o modularità?

27 Organizzazione dipartimentale per intensità di cure

33 Nuovi ospedali e intensità di cura: criticità e opportunità

editoriale

Dispensa: intensità Di CURa e CoMplessità assistenziale

SoMMario

CoRso eCM a DistanzaCoRso eCM a Distanza

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ReDazioneanna vanzaGo (CaPoreDattore), marzia BonFanti, FranCesCa sCoLari, vaLentina teLesCa, simona raioLo

CReMs – Centro di Ricerca in economia e Management in sanità e nel sociale, Università Carlo Cattaneo - liUC, Corso Matteotti, 22 – 21053 Castellanza (Va) tel. 0331.572466 – fax 0331.572465e-mail: [email protected]

aMMinistRazione e DiFFUsionemaGGioLi eDitore

presso c.p.o. Rimini – Via Coriano, 58 – 47924 Riminitel. 0541.628111 – fax 0541.622100Maggioli editore è un marchio Maggioli spa

seRVizio Clientitel. 0541.628242 – fax 0541.622595e-mail: [email protected]

MaGGioli spaazienda con sistema Qualitàcertificato iso 9001:2000iscritta al registro operatori della comunicazione

pRoGetto GRaFiCoalice allegraGiorgia buzzone

ReGistRazionepresso il tribunale di Rimini al n. 1dell’8 febbraio 2012

tUtti i DiRitti RiseRVatiÈ vietata la riproduzione, anche parziale, del materialepubblicato senza l’autorizzazione dell’editore.le opinioni espresse negli articoli appartengono ai singoliautori, dei quali si rispetta la libertà di giudizio, lasciandoliresponsabili dei loro scritti.Gli autori garantiscono la paternità dei contenuti inviatiall’editore manlevando quest’ultimo da ogni eventualerichiesta di risarcimento danni proveniente da terzi chedovessero rivendicare diritti su tali contenuti.

staMpatitanlito spa – Dogana R.s.M.

ConDizioni Di abbonaMento 2012• il prezzo di abbonamento è di euro 120,00

prezzo di lancio euro 90,00* * L’offerta è valida per chi sottoscrive e paga l’abbonamento

entro il 31/12/2012

• il prezzo di una copia è di euro 40,00

il pagamento dell’abbonamento deve essere effettuato con bollettino di c.c.p. n. 31666589 intestato a Maggioli spa - periodici - Via del Carpino, 8 - 47822 santarcangelo di Romagna (Rn). La rivista è disponibile anche nelle migliori librerie. l’abbonamento decorre dal 1° gennaio con diritto al ricevimento dei fascicoli arretrati ed avrà validità per un anno.

aPPrOfONdImeNtI

inteRViste

35 Intensità di cura e complessità assistenziale

37 Critical Pathway: creazione, implementazione e sperimentazione. Un esempio in area cardiologica di Maurizio Ghidini e Francesca Castelvedere

43 Valutazione della complessità assistenziale: utilizzo del sistema NemS in terapia Intensiva di Monica Tolentini e Silvia Pazzaglia

51 Sperimentazioni gestionali: proposta di applicazione dell’I.C.a. in riabilitazione di Lucia Chiarelli

60 dott.ssa anna Cazzaniga, direttore S.I.t.r.a. dell’azienda Ospedaliera della Provincia di Lecco

65 dott.ssa maria adele fumagalli, responsabile S.I.t.r. Presidio Ospedaliero di Vimercate (mB)

69 dott.ssa Silvia mambelli, direttore S.I.t.r.a. aUSL forlì

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4 management per le professioni sanitarie

editoriale

Per una diffusione della cultura managerialeI progressi compiuti in ambito organizzativo e manageria-le dalle professioni sanitarie nell’ultimo decennio hanno dato un impulso autoalimentante allo sviluppo ulteriore del ruolo e delle competenze delle professioni sanitarie stesse.Se da un lato si sono aperti e sono stati conquistati spazi di gestione organizzativa nel servizio sanitario, dall’altro si è palesata la necessità odierna di legittimare questo ruo-lo, e ciò si manifesta attraverso la produzione scientifica di ricerca in ambito accademico (pubblicata in riviste spe-cialistiche); negli ultimi anni abbiamo così assistito a un in-cremento delle pubblicazioni italiane, sia cartacee sia on-line, dedicate al mondo dell’assistenza o dei tecnici. Ciò nonostante, molta strada resta da compiere per far sì che anche coloro i quali provengono dal mondo delle 22 pro-fessioni sanitarie possano accedere ai ruoli universitari. In questo contesto, i periodici scientifici costituiscono il cuore pulsante di qualsiasi disciplina favorendo il confron-to e la divulgazione, oltre che del sapere disciplinare, di una cultura specifica in grado di favorire l’adesione e il senso di appartenenza alla professione stessa. L’editoria professionale del nostro contesto sconta però ancora un grosso deficit nei confronti di quella di stampo anglosas-sone, nonostante il livello qualitativo di alcune riviste si sia adeguato ai necessari rigori metodologici delle pubblica-zioni scientifiche (come ad esempio la traduzione in ingle-se o il peer reviewing).In Italia esiste poi un’ulteriore importante questione che coinvolge il mondo delle professioni: il Programma Na-zionale di Educazione Continua in Medicina (ECM). Na-to per minimizzare gli effetti dell’autoreferenzialità del-le professioni sanitarie, non ha raggiunto lo sviluppo e la dovuta maturità per fornire a tutti il necessario aggior-namento: qualità della formazione, occasioni di parte-cipazione e difficoltà di finanziamento sono le ragioni principali che oggi limitano nel nostro Paese lo strumen-to ECM. È mancato, infatti, lo spunto per raggruppa-re aziende pubbliche e private in un modello di diffusio-ne della formazione a basso costo (se si raggruppassero più aziende sanitarie saremmo in grado di produrre for-mazione professionale quasi gratuita anche per profes-sioni numericamente poco rappresentate), mentre i finan-

ziamenti reperibili dall’industria sono quasi sempre indi-rizzati ad altre figure. Il CREMS, Centro di Ricerca in Economia e Management in Sanità e nel Sociale dell’Università Carlo Cattaneo – LIUC di Castellanza si fa quindi promotore e cura la reda-zione scientifica di questa nuova iniziativa editoriale, frut-to di un’esigenza maturata in anni in cui sembra necessa-rio proporre ambiti di dibattito e di confronto più ampi sui temi che coinvolgono l’organizzazione socio-sanitaria, in un quadro di riferimento politico ed economico sempre ric-co di situazioni inedite e per affrontare le quali è necessa-rio attrezzarsi culturalmente.MaPS - Rivista di Management per le Professioni Sanitarie, si prefigge l’obiettivo di diventare un utile strumento di ag-giornamento e formazione, di ricerca e confronto, di orien-tamento e riflessione, per tutti gli operatori del settore; essa trova negli appartenenti alle professioni sanitarie l’interlo-cutore primario, ma si rivolge al mondo della Sanità in ge-nerale, con l’intento di contribuire alla diffusione della cul-tura manageriale e della logica economica nella gestione delle aziende e dei sistemi sanitari.La presente rivista intende soprattutto pubblicare contributi inediti (ricerche, esperienze, rassegne di aggiornamento, ecc.) riferiti alla teoria e alla prassi dell’economia e orga-nizzativo-manageriale nell’ambito delle professioni sanita-rie, con interventi originali e di alto livello culturale, garan-tito dal giudizio e dalla supervisione di esperti accreditati.MaPS invita quindi tutti i lettori che intendono stimolare il di-battito, favorire il confronto e costruire reti di competenze at-te ad affrontare insieme e al meglio le sfide del rinnovamen-to, a proporre i propri contributi alla redazione. Gli artico-li, preceduti da un abstract di max 300 caratteri, verranno esaminati dalla redazione, la quale avrà cura di sottoporre il contributo alla revisione di componenti esperti della rivista, e di contattare tempestivamente i proponenti per concorda-re con loro i termini di redazione del contributo. Chi intende proporre il proprio lavoro è quindi invitato a farlo all’indirizzo e-mail: [email protected], o contattando la Redazione allo 0331-572.530.

Davide Croce

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5management per le professioni sanitarie

editoriale

Organizziamoci!All’uscita di una nuova rivista, viene spontaneo chiedersi se fosse proprio necessario arricchire il patrimonio di pub-blicazioni periodiche con una new entry. Ebbene, in que-sto caso la risposta non può essere altro che positiva, in quanto MaPS porta con sé una novità assoluta: superan-do le logiche di settore che per decenni sono state domi-nanti nello scenario italiano, introduce un approccio tra-sversale alle tematiche manageriali, convogliando in un’u-nica pubblicazione l’insieme delle innovazioni organizza-tive dei professionisti sanitari tutti.Sono ben ventitré le professioni interessate: quelle classi-che, ovvero la professione medica e infermieristica, co-me pure le restanti, sicuramente meno numerose in termi-ni di presenza nei servizi sanitari e nella libera professio-ne, ma di certo non meno importanti per la garanzia di servizi di qualità. L’intento quindi, come ben si comprende, è quello di riuni-re anziché settorializzare il dibattito e il confronto sui temi relativi all’organizzazione socio-sanitaria, in uno scenario oggi in profondo cambiamento, in cui la prospettiva di tut-

ti, nessuno escluso, è essenziale per sviluppare una cultu-ra organizzativa-manageriale in cui teoria e prassi si com-pletino e reciprocamente si arricchiscano, ma anche alla luce di una visione integrata e trasversale, che rappresen-ta una nuova prospettiva in assoluto.La rivista, ad uscita quadrimestrale, ospiterà contribuiti che di volta in volta approfondiranno uno specifico aspetto, attingen-do alla ricerca in ambito accademico, come pure alla speri-mentazione aziendale. Quest’ultima sarà messa a fuoco per individuare esperienze virtuose che possano essere di riferi-mento per l’azione di benchmarking che ormai investe tutte le famiglie professionali. In questa azione potranno essere di sostegno anche le associazioni professionali e gli enti rego-latori, che rappresentano soggetti in causa ogni qualvolta si voglia affrontare un percorso di miglioramento professionale.Con un invito ad organizzarsi insieme, e quindi sotto i mi-gliori auspici, MaPS avvia il suo percorso per i professio-nisti sanitari!

Laura D’Addio

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Intensità di cura e complessità assistenziale

Corso a distanza per tutte le professioni sanitarie

10 Crediti formativi eCm

Corso fad numero: 29316

Validità (inizio/fine): 15 aprile 2012 – 14 aprile 2013

Provider: Maggioli Formazione e Consulenza Provider ECM num. 587 accreditato dalla Commissione Nazionale per la Formazione Continua ad erogare formazione per tutte le professioni sanitarie. Accreditamento provvisorio concesso il 23 giugno 2011 con validità 24 mesi.

responsabile scientifico del corso: dott. Davide Croce Direttore CREMS (Centro di Ricerca in Economia e Management in Sanità e nel Sociale).

Come svolgere il corso ed ottenere i crediti eCm

Il materiale didattico consiste in una dispensa organizzata in capitoli, e comprende anche gli articoli di approfondimento (si veda l’indice).Richiede circa 10 ore di lettura/studio.

Dopo aver completato la lettura del materiale didattico del corso: ➠ collegarsi al sito www.corsi-ecmfad.com;➠ selezionare il corso;➠ registrarsi inserendo i dati richiesti (nome, cognome, codice fiscale, professione sanitaria, e-mail, ecc.);➠ inserire il codice di accesso stampato sulla rivista;➠ svolgere il test di verifica dell’apprendimento (il test prevede 40 domande a risposta multipla e si considera superato con l’80% di risposte esatte; va completato in un’unica sessione senza interruzioni, tempo massimo due ore; in caso di mancato superamento sarà possibile ripeterlo);➠ compilare il questionario sulla qualità percepita, che comparirà in automatico una volta superato il test;➠ il corso è concluso: riceverete via email l’attestato in formato pdf. L’attestato con i crediti ECM riporterà i dati del partecipante così come inseriti in fase di registrazione.

requisiti tecnici - Computer con connessione ad internet- Casella e-mail di posta elettronica

Il corso è riservato agli abbonati alla rivista “Maps – Management per le professioni sanitarie”o a chi acquista la rivista in libreria.

Per informazioni: servizio clienti – [email protected] - tel. 0541 628200.

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7management per le professioni sanitarie

dISPeNSaIntensità di cura e complessità assistenziale

Nuove organizzazioni ospedaliere

Complessità, cambiamento e sperimentazione sono le tre parole chiave che forniscono una visione di sintesi, ma concreta, delle realtà sanitarie odierne.Un’analisi attenta del settore sanitario evidenzia, infatti, come esso viva oggi un momento di forte tensione, continuamente chiamato a gestire la complessità sotto una pluralità di fron-ti, dalle dinamiche organizzative e gestionali, ai fenomeni re-lazionali, del gruppo di lavoro, fino ad arrivare agli aspet-ti etici relativi ai temi della solidarietà e dell’equità nella salu-te, che rivestono una primaria importanza per la particolari-tà del servizio che viene erogato (Materia e Baglio, 2008).Questa complessità risulta essere conseguenza della forte e sempre maggiore pressione esercitata sui Servizi Sani-tari di tutto il mondo da tre variabili chiave (Stevens et al., 1999; Joppi et al., 2009):• ilcambiamentodemografico;• l’aumentodelleaspettativedisalutedapartedeicittadini;• losviluppodinuovetecnologiesanitariechesemprepiù

rapidamente sono in grado di raggiungere il mercato.Per quanto concerne il primo degli aspetti segnalati, l’evo-luzione degli attuali fenomeni porta ad affermare, con ra-gionevole certezza, che lo scenario demografico italiano neiprossimitredecennivedràprotagoniste,semprepiùnumerose e incisive, le classi senili.In assenza, infatti, di repentini e radicali cambiamenti dal punto di vista demografico, quali un improvviso aumento dei livelli di fecondità (oggi ricordiamo ben al di sotto dei livelli di sostituzione) o una massiccia ondata migratoria, nel2030unitalianosutreavràpiùdi65anni,mentreta-le incidenza sulla popolazione complessiva nel 1980 era pari al 13%, nel 1990 al 15% e all’inizio del nuovo mil-lennio al 19% (Salina e Mastrorocco, 2004).A conferma di quanto sopra citato, si faccia riferimento ai dati sulla distribuzione mondiale della popolazione della Di-vision of the Department of Economic and Social Affairs of the United Nations Secretariat statistics (2009), secondo i quali, all’interno del ranking mondiale, l’Italia occupa la se-conda posizione: il nostro Paese può vantare così il record negativo di incidenza della popolazione over 65, alle spal-le del solo Giappone (19,74% di popolazione over 65).La fotografia che emerge dalle considerazioni effettuate è dunque quella di una realtà caratterizzata da una signifi-cativa componente anziana all’interno della propria popo-lazione.Ciòèancorpiùsuffragatodalfattochel’indicedivecchiaia (rapporto tra i residenti anziani di età superiore ai 65 anni e giovani di età inferiore ai 15 anni), che nel censimento del 1951 risultava essere pari al 46,4%, nel 1981 è addirittura salito al 61,7% e attualmente ha rag-giunto un valore pari al 144% (Istat, 2010).Se le cause di questo problema tipicamente italiano sono facilmente ricercabili nella frequenza delle classi nate nel

secondo dopoguerra (causa del cosiddetto baby boom de-gli anni ‘50 e ‘60, vedi Figura precedente), altrettanto ov-vie, seppur non banali, appaiono essere le conseguenze di questo progressivo invecchiamento della popolazione, de-stinato a generare notevoli ricadute sulla struttura e sulla or-ganizzazione dell’intera società in generale e del Servizio Sanitario Nazionale (di seguito anche SSN) in particolare.In primis si rammenta la già citata evoluzione nelle aspetta-tive di salute e quindi di vita dei cittadini. L’invecchiamen-to della popolazione determina un conseguente aumento delle malattie cronico degenerative, quali ad esempio ma-lattie cardiovascolari, neoplasie, artropie e disturbi neuro-pischici, che a loro volta si traducono in svariate, differen-ziate e continue richieste che gli utenti rivolgono al SSN.È chiaro, quindi, che di fronte a un progresso medico inar-restabile e ad una continua innovazione tecnologica, i pa-zienti sono spinti a modificare l’insieme delle loro esigen-ze rivedendo i propri bisogni di salute e richiedendo con-seguentemente servizi di maggiore efficacia e qualità.Infine, ultimo aspetto da considerare all’interno di questo sce-nario di cambiamento, è quello della componente tecnologi-ca,perdiversotempoconsideratamarginale,invirtùdelfat-to che era vista, dai nosocomi, come un investimento di lun-go periodo. Oggi invece essa costituisce un fattore critico sul quale intervenire per conservare la propria competitività e specificità. Del resto l’introduzione, e la conseguente diffusio-ne delle tecnologie sanitarie possono essere oggetto di una piùefficientegestione,inquantooggipiùfacilmentecontrol-labili. Pertanto esse rappresentano una delle principali varia-bili esterne sulle quali intervenire per restare all’avanguardia

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2010

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figura 1 – Distribuzione della popolazione per fasce di età in riferi-mento alla popolazione 2010 e alla proiezione della popolazione italiana al 2020 e al 2030

fonte – Rielaborazioni CREMS su dati Istat

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8 management per le professioni sanitarie

dISPeNSa Intensità di cura e complessità assistenziale

e rispondere in modo appropriato ai nuovi bisogni di salute. Si assiste quindi a un aumento di richiesta di nuove e costose tecnologie sanitarie, che evolvono con rapidità, aumentano in quantità e spesso richiedono risorse aggiuntive.Le considerazioni sinora effettuate si scontrano, tuttavia, con una realtà in continuo cambiamento all’interno della quale gli attori sanitari sono chiamati a coniugare il perseguimento di un duplice obiettivo nelle loro decisioni strategico-operati-ve. Da un lato, come detto, si deve garantire la fornitura, an-che attraverso tecnologie innovative, di un’adeguata risposta aimaggiorienuovibisognidiunapopolazionesemprepiùanziana e, in generale, maggiormente attenta, nonché foca-lizzata sulla qualità di servizi e prestazioni richieste. Dall’al-tro, non è possibile dimenticare come sussista l’evidente ne-cessità di operare all’interno di un contesto di disponibilità economichelimitate,resoancorapiùdifficiledallerecentimanovre finanziarie e dai conseguenti tagli.Proprio in questo momento di forte congiuntura economi-ca, l’innovazione e la sperimentazione organizzativa di-vengono un imperativo d’obbligo al fine di testare nuo-vi modelli per il miglioramento sia organizzativo sia delle performance economiche (Massazza et al., 2010).Di fronte a questo contesto sociale, demografico ed epi-demiologico in continua evoluzione, il sistema organizzati-vo ospedaliero è chiamato a riconfigurarsi per dare rispo-ste adeguate alle nuove necessità di cura e, nello specifico, questo percorso di cambiamento deve avvenire sulla base di questi punti essenziali:• revisionecontinuadeiprocessiorganizzatividelgover-

no clinico;• progressivomiglioramentodellasalutegenerale;• miglioramentodellaqualitàdeiservizi.La stessa letteratura nazionale e internazionale dà voce a queste esigenze di cambiamento, alle sperimentazioni e alle conseguenze che comportano, proponendo una mol-teplicità di modelli organizzativi che in modo diverso, in virtùdellelorospecificitàedeitratticaratteristicipermet-tano di rispondere alle nuove necessità progressivamen-te palesate dalle aziende sanitarie (Moroni et al., 2011).All’interno di questa tendenza di ricerca continua di nuovi modelli organizzativi è possibile identificare essenzialmen-te due fasi. In un primo momento, proprio con l’obiettivo di sposare le esigenze di razionalizzazione delle disponibili-tà economiche e di migliore utilizzo o assorbimento delle risorse, in un’ottica di gestione “a pareggio di bilancio” o isorisorse, si è assistito alla implementazione e introduzio-ne di modelli di controllo organizzativo e gestionale, deri-vanti dalle logiche della “produzione manifatturiera e indu-striale” (ampiamente spinti anche dagli adeguamenti e dai mutamenti richiesti dal d.lgs. 502/1992). In quest’ottica si introduce il Controllo di Gestione (budgeting e reporting) oppure si sperimentano novità organizzative che ricercano la massimizzazione nell’allocazione delle risorse e il con-cetto degli “zero sprechi” (la logica della lean organiza-tion viene applicata anche al mondo sanitario). Questi ele-menti, però, sono caratterizzati dall’essere focalizzati sugli aspetti meramente economici e finalizzati a produrre sofi-sticate analisi economico-finanziarie, per assicurare incre-

menti dell’efficienza e della produttività. Tali modelli, tutta-via, hanno manifestato, in poco tempo, evidenti limiti, ri-velandosi, così, non completamente adeguati e non sem-pre in grado di tener conto dell’eterogeneità e della muti-disciplinarietà tipiche del settore sanitario.Di fronte alla evidente consapevolezza che le aziende sanita-rie non possono essere governate con modelli basati solo ed esclusivamente sulle performance economiche, di recente han-no preso avvio (seconda fase) tentativi di sviluppo di modelli piùidoneiadassecondarelecaratteristichedellerealtàsani-tarie e in grado di affrontare anche gli stressor esterni (manca-ta corrispondenza tra finanziamento e richiesta di prestazioni degli assistiti, scarsità di figure professionali nel mercato del lavoro, spostamento del baricentro di cura e assistenza tra l’o-spedale e il territorio/domicilio), che inevitabilmente in questo periodo si ripercuotono sui sistemi, generando criticità.All’interno del contesto nazionale il tema della definizione di nuovi modelli organizzativi per le aziende sanitarie tro-va interessanti spunti anche a livello normativo, dove gli interventi legislativi regionali degli ultimi anni hanno con-tribuito ad alimentare ulteriormente il già acceso dibattito scientifico e politico. Si rammenta, a tal proposito, la leg-ge regionale 40/2005 di Regione Toscana, che con l’o-biettivo di incentivare l’efficienza delle attività ospedaliere, ha identificato tre trend da seguire (Moroni et al., 2010):• definizionediareedifferenziate,inbaseallemodalità

assistenziali;• strutturazioneperintensitàdicure;• superamento graduale dell’articolazione per Unità

Operative.Interminipiùgenerali,questimodelli,allacuiprogressivadif-fusione assistiamo, muovendo, per altro, dall’assunto secon-do il quale il confronto tra organizzazioni attraverso il bench-marking è uno dei pochi strumenti validi per il miglioramen-to delle medesime, si concentrano essenzialmente sulla strut-turazione dell’organizzazione, in quanto è quest’ultima che è coinvolta nella qualità delle prestazioni e, al tempo stesso, è causa della generazione dei costi (Massazza et al., 2010).La necessità di focalizzare l’attenzione e la tensione ge-stionale sull’organizzazione, si sposa, del resto, con l’evo-luzione continua delle medesime strutture, passate dall’es-sere strutture progettate e organizzate intorno alla crescita per unità specialistiche e frammentazione dei saperi, a or-ganizzazioni incentrate sui pazienti, nelle quali le specia-lizzazioni devono rispecchiare i bisogni di funzionamento della struttura a loro volta determinati dall’utente.Degni di nota, per citare solo alcuni esempi di questi ten-tativi di cambiamento organizzativo, sono:• separazionecompletaoparzialedeiflussidiemergen-

za da quelli di elezione, al fine di rendere possibile una saturazione dell’attività di elezione e quindi la mas-sima efficienza clinica ed economica (esempio IRCCS Humanitas, Rozzano, Milano);

• innovazioniinareachirurgica,cheprendendoariferi-mento la durata delle degenza, hanno consentito l’intro-duzione di una nuova modalità di differenziazione dei ricoveri, che utilizza la degenza media come indicatore di complessità, al fine di riservare una parte degli inter-

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9management per le professioni sanitarie

dISPeNSaIntensità di cura e complessità assistenziale

venti e dei letti di degenza ai casi che è possibile risol-vere entro quattro giorni dall’intervento (Week Surgery, Week Hospital) e permettendone la chiusura nel fine set-timana (esempio CTO-Maria Adelaide, Torino);

• modellohospitalist, secondo cui un medico case mana-ger prende in carico il paziente all’ingresso in ospedale e lo “consegna” al MMG in fase di dimissione protetta. Si tratta di un modello organizzativo tipico delle realtà statu-nitensi che, importato nel nostro ordinamento, imporrebbe l’inserimento stabile di un internista all’interno delle Unità Operative superspecialistiche (e.g. Cardiologia);

• modellodiassistenzamodulare,natodaunacombina-zione del team nursing con primary nursing, in cui la fi-gura chiave è l’infermiere che pianifica, attua e supervi-siona l’assistenza dei pazienti assegnati, collaborando con le altre figure professionali;

• modelliperintensitàdicurafinalizzatiarispondereall’esi-genza di incremento sia della complessità di pazienti con elevati gradi di instabilità, sia assistenziale dovuta alla si-gnificativa presenza di pazienti anziani comorbosi.

Se da un punto di vista contenutistico e di processo que-stiambitidiinnovazionerisultanoessereinfluenzatidal-le specifiche scelte progettuali implementate dalle singole strutture e pertanto introducibili in modo diverso e coeren-te con le specifiche esigenze di ciascuna, è possibile co-munque identificare un denominatore comune nel tentativo di superamento delle criticità proprie della forma professio-nale,quali,perricordarequellepiùrilevanti,labassain-tegrazione organizzativa, le limitate possibilità di indiriz-zo e controllo da parte degli organi direttivi e di staff, la scarsa convergenza valoriale tra la cultura organizzativa e quella dei professionisti (Croce et al., 2007; Sebastiano e Croce, 2007; Zoli et al., 2007; Massazza et al., 2009).Fermo restando questo comune denominatore, ciò che pre-me sottolineare alla luce delle considerazioni fatte in que-sto breve paragrafo introduttivo, è come, a fronte della com-plessità e del continuo cambiamento dello scenario in cui si trovano a operare le strutture sanitarie, la ricerca di nuo-ve forme organizzative diviene indispensabile per coniuga-re le esigenze di decision maker, professionisti e pazienti. È opinione diffusa, infatti, che l’ospedale del sapere incentra-to su conoscenze specialistiche abbia perso di centralità: il focus si è, infatti, progressivamente spostato verso nuovi e di-versi modelli maggiormente organizzati intorno al paziente per rispondere al meglio ai nuovi bisogni sanitari. L’esistenza di una molteplicità di modelli e forme organizza-tive, tuttavia, non deve essere vista come un fattore frenan-teilcambiamentoinvirtùdelfattochelastessaevidenzaempirica mette in luce come non esista una soluzione univo-ca e uguale per tutti, ma la ricerca e la conseguente imple-mentazione del proprio modello debba necessariamente te-ner conto delle proprie esigenze e disponibilità di risorse.In generale, comunque, si può affermare che un buon mo-dello organizzativo deve prevedere i seguenti cambiamen-ti organizzativi:1. una nuova organizzazione del lavoro che permetta un’ef-

ficiente presa in carico del paziente e del suo percorso di cura attraverso lo sviluppo dell’informatizzazione della

cartella clinica e della documentazione sanitaria in rete;2. un’organizzazione delle Unità Operative e delle struttu-

reafferenti,caratterizzatadaunamaggioreflessibilitàattraverso la massima integrazione tra competenze, li-velli di cura e volumi di attività;

3.un’organizzazionedeiflussiospedaliericheprevedauna separazione dell’urgenza dall’elezione e un’orga-nizzazionedeiflussidielezione,percomplessitàedu-rata delle cure e dell’assistenza;

4. una programmazione periodica delle sale operatorie, dei posti letto e dei ricoveri.

Solo la messa in atto di questi accorgimenti durante l’at-tuazione di un cambiamento organizzativo è in grado di assicurare delle risposte efficaci ed efficienti alle esigenze organizzativemultiprofessionalichesemprepiùstannoim-ponendo un avanzamento graduale di un modello ospe-dalierosemprepiùincentratosull’utente.

BibliografiaCroCe D., SebaStiano a. e GenDuSo G., Le innovazioni nella progettazione degli assetti organizzativi in sanità, in “Sanità Pubblica e Privata”, 2007, 4, pp. 26-31Joppi r., Demattè L., menti a.m., paSe D., poGGiani C. e mezzaLira L., The Italian Horizon Scanning Project, in “Eur J Clin Pharmacol”, 2009, 65, pp. 775-781.maSSazza G., CroCe D., anDrion a., porazzi e., SebaStiano a., Gerbi r., FoGLia e., reSteLLi u., SChirru m.a. e CaSarteL-Li L., Un nuovo modello organizzativo ospedaliero pubbli-co: il week hospital sovra dipartimentale, in “Sanità Pub-blica e Privata”, 2009, 2, pp. 9-19.maSSazza G., anDrion a., Gerbi r., bonFanti m., CaSarteLLi L., CroCe D., FoGLia e. e porazzi e., L’esperienza Week Ho-spital dell’Azienda Ospedaliera CTO – Maria Adelaide di Torino: dal cambiamento organizzativo al consolidamento delle attività, in “Tendenze nuove”, 2010, 6, pp. 457-474.materia e. e baGLio G., Complessità aziendale e postmo-dernità, in Vanara F., Il governo dell’azienda sanitaria, il Mulino, Bologna, 2008.moroni p., CoLnaGhi e., bonFanti m., CaSarteLLi L., Cro-Ce D., FoGLia e. e porazzi e., Nuovi “modelli modulari di cura”: l’intensità di cura a dimensione variabile. Il caso dell’Azienda Ospedaliera di Desio e Vimercate, in “Sani-tà Pubblica e Privata”, 2011, 3, pp. 46-57.SaLina u. e maStroroCCo n., Sull’invecchiamento della popolazione. Appunti e riflessioni, Bari, 2004.SebaStiano a. e CroCe D., Linee evolutive nello sviluppo orga-nizzativo delle strutture ospedaliere: case history e riflessioni si-stemiche, in “Sanità Pubblica e Privata”, 2007, 6, pp. 34-38.SteVenS a., miLne r., LiLForD r. e Gabbay J., How do new technologies get into practice? Keeping pace with new technologies: systems needed to identify and evaluate them, in “BMJ”, 1999, 319, pp. 1291-1294.zoLi a., SebaStiano a. e CroCe D., Organizzazione ospe-daliera pubblica: attivazione di letti dipartimentali secon-do un modello assistenziale di infermieristica modulare nel Dipartimento Chirurgico dell’Azienda Ospedaliera di Lec-co, in “Sanità Pubblica e Privata”, 2007, 5, pp. 35-39.

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10 management per le professioni sanitarie

dISPeNSa Intensità di cura e complessità assistenziale

Intensità di cura e complessità assistenziale: concetti sovrapponibili?

Ipercorsipiù recentiattuati incontesti internazionalieall’interno del nostro Sistema Sanitario Nazionale tendono alla ricerca di modelli organizzativi che valorizzino aspetti quali la multidisciplinarietà degli operatori coinvolti, l’inte-grazione tra le professioni, e la continuità delle cure.Nelle diverse realtà il modello originario di organizzazio-ne per intensità di cura è stato declinato in modo da adat-tarsi al meglio alle diverse situazioni locali e contingen-ti, risultandone quindi leggermente modificato rispetto ai costrutti di base dai quali ha preso le mosse. Risulta quin-di utile compiere uno studio e un confronto delle diverse esperienze di ospedali gestiti per intensità di cura, e delle pratiche attuate, al fine di trarre chiarimenti e spiegazioni sulle diverse declinazioni del modello e sulle possibili pra-tiche organizzativo-gestionali adottabili.Un’analisi comparativa delle diverse applicazioni del modello, mette in evidenza come, per la definizione del-lo stesso, sia di primaria importanza fare chiarezza in-torno alla distinzione tra due concetti chiave: “comples-sità assistenziale” e “intensità di cura”, che rappresenta-no nozioni disgiunte, ma spesso sovrapponibili, due fac-ce diverse e complementari di uno stesso modello orga-nizzativo.In particolare il concetto di complessità assistenziale non ha ancora trovato una definizione univoca, nonostan-tequellaattualmentepiùcondivisasiaquellaoffertadaMoiset nel 2003, che indica la complessità assistenzia-le come “l’insieme degli interventi che si riferiscono alle diverse dimensioni dell’assistenza infermieristica espressi in termini di intensità di impegno e quantità-lavoro dell’in-fermiere”.Per intensità di cura si intende invece la determinazione dell’intensità clinicamente richiesta, in base alla patologia e a specifiche alterazioni dei parametri fisiologici. Gene-ralmente vengono individuati tre livelli di intensità di cure, assegnati sulla base delle caratteristiche tecnologiche di-sponibili, delle competenze presenti e della tipologia, per quantità e qualità, di personale assegnato: alta intensità (letti intensivi e sub intensivi); media intensità (degenza or-dinaria e ricovero a ciclo breve); bassa intensità (riabilita-zione, cure post acuzie e low care) (Moroni, 2011).Ladeterminazionedellivellodiintensitàdicurapiùap-propriato per ciascun paziente viene solitamente stabilito in funzione del livello di gravità o instabilità clinica, inteso come il grado e la numerosità dei parametri fisiologici al-terati. Il livello di complessità assistenziale, invece, viene determinato attraverso la valutazione del livello di dipen-

denza, ovvero del grado e numero di problemi per i quali il paziente richiede un supporto assistenziale1.Nei diversi livelli di intensità di cura spesso corrispondo-no gradi di complessità assistenziale differenti: sono infat-ti due elementi distinti, anche se l’orientamento comune è quello di considerare delle soluzioni organizzative in gra-do di integrali, in quanto sempre co-presenti nel paziente. Il livello di complessità clinica e la complessità assistenzia-le infermieristica, quindi, non necessariamente coincido-no: si pensi ad esempio al caso di un bambino con larin-gite ipoglottica in fase acuta; esso presenterà una bassa complessità clinica, ma un’alta complessità assistenziale; mentre un paziente con fibrosi cistica riacutizzata è carat-terizzato da un’alta complessità clinica e una bassa com-plessità assistenziale.A indicare la configurazione dell’organizzazione ospeda-liera, così come l’iter di presa in carico e gestione del pa-ziente, è innanzitutto la complessità clinica, che una volta stabilita attraverso scale visionate, orienterà il paziente a un preciso livello nel quale esso riceverà le cure prescritte, secondo uno specifico grado di intensità. Tuttavia, dato il grado richiesto, a costituirsi come variabile del processo è la parte assistenziale, la quale deve essere intesa come entitàflessibile,ingradodiadattarsiallespecificitàdelleistanze (Pignatto, 2010).È inoltre ormai assodato che la diagnosi medica non sia di per sé unica e indiscutibile origine del bisogno di assisten-za infermieristica (Pasquot, 2000), ma sussiste ancora la necessità di individuare un sistema di valutazione condiviso dell’assistenza infermieristica in termini sia di quantità sia di

1 per una disamina delle differenti definizioni offerte intorno ai concetti di intensità di cura e complessità assistenziale si vedano, tra gli altri: 30 Tesi sull’Ospedale per Intensità di Cura - laboratorio Mes scuola sant’anna pisa azienda Usl 3 pistoia azienda Usl 4 prato azienda Usl 11 empoli, gen. 2007; K. Hillaman, The changing role for acute care hospitals, in “Medical Journal of australia”, 1999, 170(7): 325-329; e. GoGGi, l. Sormani, La sfida dei cinque nuovi ospedali in Lombardia. Realismo o velleità?, in “agorà”, 2010, 44, gen-mar:17-18; a. PiGnatto, C. reGazzo, P. tiberi, Intensità di cure e complessità dell’assistenza: i due nuovi paradigmi dell’organizzazione ospedaliera, in “agorà”, 2010, 44, gen-mar:13-15; società scientifiche di area medica e chirurgica, Ospedalizzazione per intensità di cure, in “toscana Medica”, 2/08; F. leGa, C. De Pietro, Converging patterns in hospital organization: beyond the professional bureaucracy, in “Health policy”, 2005, 74:261-281; s. briani, e. CorteSi, L’ospedale per intensità di cure: aspetti teorici e problemi aperti, in “igiene e sanità pubblica, 2007, 63:577-586; D. aleSani, m. barbieri, F. leGa, S.Villa, (2006), Gli impatti delle innovazioni dei modelli logistico organizzativi in ospedale: spunti da tre esperienze aziendali pilota, in e. aneSSi PeSSina, e. Cantù, L’aziendalizzazione della sanità in Italia, Rapporto oasi 2006, Milano, eGea, 457-493.

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dISPeNSaIntensità di cura e complessità assistenziale

qualità, nonostante sia ormai condivisa la necessità di una valutazione della complessità anche dal punto di vista as-sistenziale, e non solo clinico. Un modello coerente basato sulla definizione dei livelli di complessità deve quindi tenere necessariamente conto delle specificità dell’approccio infer-mieristico, maggiormente orientato ai bisogni e all’autono-mia del paziente, piuttosto che alla patologia in sé.In ambito ospedaliero i DRG (Diagnosis-Related Group) hanno dato, in parte, la possibilità di pesare l’attività me-dica erogata (assieme a quella assistenziale e di uso di farmaci, presidi, diagnostica, ecc.); altri indicatori che co-stituiscono possibili parametri con cui misurare la comples-sità clinica sono, ad esempio, la durata della degenza o l’uso di farmaci. In questi anni, l’idea della complessità assistenziale è stata for-temente condizionata da due preconcetti (Gazzola, 2009):1. la complessità è direttamente proporzionale al grado di

disabilità motoria della persona;2. la complessità è direttamente proporzionale al bisogno

di procedure diagnostico-terapeutiche.E ancora oggi, dopo aver effettuato verifiche attraverso ra-gionamenti logici di tipo induttivo, tali affermazioni non so-no state avvalorate. In particolare il Modello delle Prestazioni Infermieristiche (Cantarelli, 1996), che costituisce una delle pietre miliari nel panorama italiano per quanto riguarda la valutazione della complessità assistenziale, prevede che le prestazioni di competenza infermieristica siano inversamente propor-zionali all’autonomia del paziente, ovvero che l’attuarsi di performance infermieristiche sia subordinato al verificarsi di condizioni che manifestano una riduzione dell’autosuffi-cienza. In altre parole il sopraccitato modello individua le finalità che l’infermiere deve realizzare rispetto alla presta-zione richiesta attraverso la sua comparazione con la con-dizione dell’individuo, rispetto al soddisfacimento dei biso-gni di assistenza infermieristica. Tali interventi sono costitui-ti da azioni aventi la finalità di2:• indirizzare:orientarelapersonaaffinchéacquisiscade-

terminate conoscenze. Tale azione si fonda sul presup-posto che la persona, acquisite le conoscenze in ogget-to, sia in grado di soddisfare i propri bisogni;

• guidare:sorreggerelasceltaconuninterventoteoricoe/o pratico. L’azione di guida si fonda sul presuppo-sto che la persona, compiute le scelte e acquisite spe-cifiche abilità, sia in grado di agire efficacemente per soddisfare i propri bisogni;

• sostenere:contribuirealmantenimentodiunacondizio-ne di relativa stabilità e sicurezza. L’azione di sostegno si fonda sul presupposto che la persona, messa nelle con-dizioni di poterlo fare, mantenga o metta in atto le cono-scenze e le abilità acquisite per soddisfare il bisogno;

2 Rispetto al continuum salute/malattia, autonomia/dipendenza, le finalità di segui-to descritte sono elencate in ordine crescente.

• compensare:intervenireperristabilireunequilibriopre-cedente tramite una parziale sostituzione. L’azione di compensazione si fonda sul presupposto che la perso-na necessiti costantemente di interventi infermieristici di parziale sostituzione nello svolgere le attività collegate al soddisfacimento del bisogno;

• sostituire:espletarecompletamenteunaopiùfunzionidi una persona in sua vece. L’azione di sostituzione si fonda sul presupposto che la persona necessiti costan-temente di interventi infermieristici di totale sostituzione, che può avvenire anche mediante l’impiego di ausili, presidi, attrezzature da parte dell’infermiere.

È fondamentale, quindi, individuare parametri di analisi rappresentativi delle singole dimensioni relative alla condi-zione contingente dell’utente che consentano, con la loro combinazione, di ottenere la reale riproduzione della com-plessità assistenziale infermieristica attribuendo, nella de-finizione del profilo stesso, un valore a ogni dimensione3.Da questo punto di vista la valutazione assistenziale in un ospedale organizzato per intensità di cura riveste un ruolo importante sia in un’ottica di miglioramento della qualità, inteso come l’adeguamento delle prestazioni infermieristi-che alla necessità del paziente, sia per una corretta distri-buzione delle risorse infermieristiche, in base alle necessi-tà, da un duplice punto di vista: quantitativo (ovvero la de-terminazionedellapiùcorrettaproporzionetranumerodipersonale infermieristico e pazienti) e qualitativo.

tabella 1 – Vantaggi offerti dalla valutazione sistematica della com-plessità assistenziale

Punto di vista Vantaggi

Coordinatore

Gestire il personale infermieristico

allocare le risorse disponibili secondo il peso assistenziale effettivo

Monitorare il carico complessivo dell’U.o.

Valutare se l’organico è adeguato rispetto al carico assistenzia-le complessivo

Misurare e documentare il lavoro dell’U.o.

Confrontare le performances di UU.oo. diverse

infermiere

Garantire prestazioni sicure e adeguate alle necessità del paziente

Migliorare la documentazione del lavoro infermieristico

supportare gli operatori nella presa di decisioni

Management aziendale

Monitoraggio continuo della complessità in ogni singola U.o.

indicatore per la determinazione dei costi

strumento per l’assegnazione oggettiva della dotazione organi-ca più appropriata ed efficace

strumento per la pianificazione strategica

Misura una variabile determinante del rischio clinico

fonte – Rielaborazione CREMS

3 Cfr. “Complessità assistenziale: metodologie e indicatori” nella presente Rivista.

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dISPeNSa Intensità di cura e complessità assistenziale

La rappresentatività dei dati raccolti in merito alla determi-nazione del livello di complessità assistenziale consente, inoltre, a chi è investito del ruolo di decisore, di compie-re scelte strategiche ottimali e indicative di tutti gli aspetti dell’assistenza; in particolare (Moiset, 2003):• migliorarelaqualitàdell’assistenzainfermieristicaeroga-

taallepersonechenenecessitano,attraversounapiùef-ficace ed efficiente allocazione delle risorse disponibili;

• confrontarel’assistenzaoffertaagruppiomogeneidiutenti, classificati secondo un sistema prestabilito e, quindi, creare le basi per verificare la fattibilità di una ponderazione dell’assistenza.

In questo contesto si sta, dunque, evolvendo la professione infermieristica, a cui nei nuovi modelli organizzativi vengo-no richieste competenze di tipo gestionale sempre maggiori (gestione dei posti letto e delle liste di attesa, gestione della logistica, programmazione delle forniture di materiali, ecc.).La nuova organizzazione dell’ospedale per intensità di cu-ra richiede un ripensamento della presa in carico del pa-zienteperchésiailpiùpossibilepersonalizzata,univoca,condivisa attraverso tutti i livelli di cura. Occorre quindi ab-bandonare l’idea di curare la malattia, per abbracciare il farsi carico del malato nel suo complesso; ciò determina la necessità di introdurre modelli di lavoro multidisciplina-ri per processi e obiettivi, con una previa definizione di li-nee guida e protocolli condivisi, presupponendo inoltre la creazione e lo sviluppo di ruoli professionali coerenti con il nuovo sistema.Altri aspetti centrali sui quali bisogna intervenire per imple-mentare l’organizzazione per intensità di cura, e in cui i concetti di intensità di cura e complessità assistenziale si sovrappongono ancora una volta, sono i Percorsi Diagno-stico Terapeutici (PDT) e Percorsi Diagnostico Terapeutici

Riabilitativi Assistenziali (PDTRA). Questi si riproducono fa-cilmente dalle Linee Guida (le raccomandazioni di com-portamento clinico che sono elaborate attraverso un pro-cesso sistematico di revisione delle evidenze, con lo sco-po di assistere medici e pazienti nel decidere quali siano lemodalitàassistenzialipiùappropriateinspecifichesi-tuazioni cliniche, secondo la nota definizione dell’Institu-te of Medicine, 1992), e sono definiti come piani di as-sistenza per specifiche condizioni cliniche, elaborate a li-vello locale sulla base di raccomandazioni riconosciute e caratterizzate da multidisciplinarietà e multi-professionalità (Carenzi, 2008).I PDTRA in particolare fungono da strumenti di integrazione tra le professioni sanitarie, assicurando una vera e propria presa in carico unica del paziente, nonché la conformazio-ne dei processi di cura alle migliori evidenze cliniche, e la definizione di comportamenti standardizzati e replicabili, in grado di garantire una omogeneità di efficacia nell’ero-gazione delle prestazioni, adattati a livello locale (e quin-di con le risorse disponibili). Ciò dovrebbe assicurare inol-treunanuovaepiùfunzionalegestionedellerisorseumaneed economiche, evitando così le duplicazioni generate dal modello per specialità, di tipo professionale.Le fasi di un PDT/PDTRA sono riportate nella figura 1.È solo con la definizione di un percorso, inquadrato da una prospettiva tecnico-gestionale, che vengono condivi-si tra gli operatori obiettivi, ruoli e ambiti di intervento, ga-rantendo così anche una maggiore chiarezza nella comu-nicazione con il paziente.L’importanza dei PDTRA all’interno del modello per inten-sità di cura è primaria trattandosi di uno strumento utiliz-zabile in ambito sia ospedaliero, sia extra ospedaliero. Nel primo contesto, determinando la presa in carico del

selezione dell’argomento (per rilevanza e quantità)1

selezione del team multidisciplinarietà2

Raccolta delle informazioni, valutazione del processo di cura corrente e condivisione degli obiettivi3

Valutazione dell’evidenza medica e delle pratiche mediche esterne valutazione della letteratura per identificare le best practice4

Determinazione del format del pDt. Redazione e test5

implemetazione pDt, monitoraggio e successiva revisione dopo analisi dei risultati6

figura 1 – Fasi di strutturazione di un PDT

paziente, permettono al tempo stesso la standardizzazio-ne del processo e un orientamento dello stesso verso il mi-glioramento continuo; varcando le mura dell’ospedale, i PDTRA rappresentano inoltre un utile strumento di collega-mento con il territorio.La condivisione dei PDTRA rappresenta un passo impor-

tante per sviluppare l’orientamento che vede il paziente al centro, analogamente a quanto sostenuto dalle organizza-zioni per intensità di cura; essi infatti, garantendo un per-corso stabilito, permettono ai differenti attori del processo, di essere sempre in stretto coordinamento tra loro.Tra i molti vantaggi che comporta la condivisione e l’utiliz-

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13management per le professioni sanitarie

dISPeNSaIntensità di cura e complessità assistenziale

zo di PDTRA, possiamo inoltre annoverare una maggiore chiarezza nei ruoli e nelle responsabilità dello staff, lo svi-luppo e l’incremento della collaborazione multiprofessio-nale, nonché il supporto offerto al risk assessment e mana-gement. Dal punto di vista dell’utenza si pensi invece alla maggiore sicurezza per il paziente, ivi compresa una mi-glior garanzia della continuità delle cure e la diminuzione della probabilità di errore clinico.Una alternativa ad una strutturazione dell’attività clinica at-traverso PDTRA, peraltro attuabile praticamente non su tutte le necessità cliniche dei pazienti, è quella di utilizzo dello schema del tutor clinico (i.e. case manager), cioè di una presa in carico medica non da parte del team di U.O. ma da parte di un singolo della stessa U.O.Concludendo, possiamo affermare ancora una volta che non si rileva una netta contrapposizione tra complessità as-sistenziale e intensità di cura, piuttosto emerge un chiaro bisogno di costruire delle aree organizzativamente pensa-te in funzione dell’intensità di cura, intesa come l’instabilità clinica, o prevalentemente pensate in funzione della com-plessità assistenziale (si pensi ad esempio al paziente fra-gile, piuttosto che ad alcune aree all’interno del ricovero ordinario). Le due dimensioni sono strettamente correlate e sono entrambe elementi che vanno a fondare l’organizza-zione dell’ospedale. A volte instabilità e complessità assi-stenziale coincidono perfettamente, in altri casi invece no. Il fine è trovare delle soluzioni organizzative capaci di ri-spondere a una intensità diversificata data, da un lato, dal fatto che abbiamo dei pazienti che vista l’anzianità, dati i trend demografici attuali e le competenze che permetto-no di mantenere il controllo anche a gradi di instabilità cli-nicamoltoelevati,stannodiventandomoltopiùcomples-si nel profilo clinico; dall’altro lato, dal fatto che gli stessi pazienti – vista l’anzianità e nuovamente vista la tipologia diproblematiche–sonoanchemoltopiùcomplessisottoil profilo assistenziale.In particolare si rende necessario adottare uno strumento che, utilizzando indicatori oggettivi di complessità, possa predefinire la quantità e la qualità di assistenza necessa-ria, per assicurare che la presa in carico sia un reale ac-compagnamento del paziente lungo l’iter di cura, con il duplice obiettivo di evitare complicanze e ottimizzare il percorso di cura. Inoltre la definizione degli standard ge-

stionali e il rispetto del criterio dell’appropriatezza richie-dono una corretta e costante valutazione della complessi-tà, per assicurare gli standard assistenziali propri di cia-scun servizio.

BibliografiaCantareLLi M., Il Modello delle prestazioni infermieristiche, Masson, Milano, 1996.CantareLLi M., Riflessioni sui significati della determinazione dei carichi di lavoro e sulle responsabilità sottese alla de-terminazione del fabbisogno di personale infermieristico, in Professioni Infermieristiche, apr-giu 2006;59(2):120-126.Carenzi A., La salute e l’allungamento delle aspettative di vita: prospettive nell’Unione Europea, in “Quaderni Euro-pei sul nuovo welfare”, 2008, 10.FumaGaLLi e., LamboGLia e., maGon G., motta P.C., La car-tella infermieristica informatizzata. Uno strumento per la pianificazione dell’assistenza infermieristica, CG Edizioni Medico Scientifiche, Torino, 1998.GazzoLa G., Scheda di “Osservazione” in Lombardia, in “Assistenza Anziani”, apr-mag 2009.InStitute oF meDiCine. Guidelines for clinical practice: From Developement to Use. Washington DC; National Acade-mic Press, 1992.moiSet C., Migliorare la qualità dell’assistenza infermieri-stica: un investimento sicuro per la sanità, in “Area Quali-tà News”, ottobre 1999.moiSet C., Vanzetta M., Vallicella F., Misurare l’assistenza un modello di sistema informativo della performance infer-mieristica, Mc Graw-Hill, Milano, 2003.moroni p., CoLnaGhi e., bonFanti m., CaSarteLLi L., Cro-Ce D., FoGLia e. e porazzi e., Nuovi “modelli modulari di cura”: l’intensità di cura a dimensione variabile. Il caso dell’Azienda Ospedaliera di Desio e Vimercate, in “Sani-tà Pubblica e Privata”, 2011, 3, pp. 46-57paSquot L., zappa p., Da CoL D., Infermieristica clinica – i bisogni della persona nelle varie età della vita e nelle di-verse situazioni assistenziali con selezione dei casi, Mas-son, Milano, 2000.piGnatto a., reGazzo C., tiberi P., Intensità di cura e com-plessità dell’assistenza: i due nuovi paradigmi dell’orga-nizzazione ospedaliera, in “Agorà”, 44, gen-mar 2010.

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14 management per le professioni sanitarie

dISPeNSa Intensità di cura e complessità assistenziale

La complessità assistenziale: metodologie e indicatori

Premessa: le metodologie di misurazione della com-plessità assistenziale infermieristicaFocus primario dell’attività di classificazione dei pazienti è quello di riuscire a cogliere tutte le varietà e i costanti mu-tamenti dei bisogni delle persone assistite.I sistemi di classificazione dei pazienti nel processo di assi-stenza infermieristica non solo hanno un impatto rilevante sul paziente, ma offrono un valido contributo all’attività di defi-nizione e monitoraggio dei livelli di organico adeguati e al-le decisioni in merito al budget da dedicare ai costi del per-sonale (Strickland e Neely, 1995). La produttività, l’efficien-za e l’allocazione delle risorse, infatti, sono ritenuti strumen-ti fondamentali per la creazione dei diversi sistemi per la classificazione dei pazienti (Giovannetti e Johnson, 1990).Nella determinazione della complessità assistenziale del paziente, nonché dei carichi di lavoro ad esso correlato, esiste una variabilità di metodi che spazia da sistemi ma-tematicamentecostruitiamodalitàpiùsemplici,sviluppa-te in relazione a specifiche realtà aziendali. Pertanto, tale diversità di metodo rende la ricerca di parametri universal-mente accettati e utilizzabili molto difficile.I criteri adottati per la misurazione della complessità assi-stenziale del paziente possono essere ricondotti a tre prin-cipali macro-filoni, sulla base dei quali si sono sviluppati i sistemidideterminazionepiùdiffusi:1. secondo documentazione delle attività svolte;2. per profilo del paziente;3. mediante indicatori di assistenza.Il primo filone, basato sulla documentazione delle attività, fornisce un elenco dei compiti svolti dagli infermieri e ne definisce la durata.Il secondo approccio si basa sulla definizione di catego-rie di pazienti con caratteristiche specifiche e costanti dal punto di vista delle necessità assistenziali. Il carico di lavo-ro dell’infermiere, essendo dipendente dal numero di pa-zienti attribuiti a ciascuna categoria, può essere predeter-minato e standardizzato in base a dati di attività di ciascu-na Unità Operativa.Le metodologie di misurazione della complessità assisten-ziale infermieristica fondate sugli indicatori di assistenza, invece, prevedono la definizione dei bisogni specifici del paziente sulla base delle condizioni derivanti sia dalle ne-cessità assistenziali, sia dalle condizioni cliniche. A tali in-dicatori viene attribuito un punteggio numerico e il carico di lavoro infermieristico viene determinato dalla somma dei punteggi dei singoli indicatori.

La prima parte del presente capitolo passa in rassegna i principali modelli di classificazione della complessità assi-stenziale a livello internazionale.Nella seconda parte si descrivono i principali sistemi di misurazione della complessità assistenziale che hanno trovato maggior impiego in ambito nazionale, sofferman-dosi nell’analisi del sistema MAP (Metodo Assistenziale Professionalizzante), SIPI (Sistema Informativo della Per-formance Infermieristica) e ICA (Indice di Complessità As-sistenziale).

Overview delle principali metodologie di misurazio-ne della complessità assistenziale in ambito interna-zionaleSulla base dei principali macro-filoni illustrati in premessa, si sono sviluppati, a livello internazionale, numerosi ap-procci metodologici finalizzati a misurare la risorsa infer-mieristica. La definizione del livello di assistenza infermie-ristica scaturisce da tre ordini di criteri:• criteriobasatosullaquantificazionedelbisognodiassi-

stenza in termini di “tempo richiesto per l’assistenza” e, pertanto, sui piani di assistenza e sulla documentazio-ne delle attività svolte (ad esempio, PRN);

• criteriobasatosulbisognoglobaledelpaziente,ossiasulla dipendenza e sul profilo dello stesso (ad esempio, Metodo Svizzero);

• criteriobasatosullacomplessitàassistenzialeequindisugli indicatori (ad esempio, Rafaela e PINI).

metodologie basate sulla quantificazione del bisogno di assistenza in termini di “tempo richiesto per l’as-sistenza”• Project Research of Nursing (PRN)Nato nel 1969 presso il Centro Ospedaliero infantile Sain-te-Justine di Montréal (Canada), il PRN, periodicamente re-visionato, è prevalentemente utilizzato in Québec, Francia, Svizzera, Spagna e Lussemburgo e ha trovato anche una certa diffusione in alcune strutture sanitarie italiane.Il PRN, al fine di definire il peso assistenziale dei pazien-ti sulla base del tempo utilizzato nelle diverse attività assi-stenziali, prende avvio dall’analisi dei bisogni assistenzia-li del singolo paziente, in funzione dei quali viene stilato un piano di assistenza che si traduce in una lista di attività infermieristiche da attuare nelle ventiquattro ore successive all’ammissione. Il piano, formulato all’ingresso del pazien-te, viene revisionato giornalmente dall’équipe assistenziale

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dISPeNSaIntensità di cura e complessità assistenziale

fino alla dimissione. A ciascun atto infermieristico vengono assegnatiunoopiùpunti(inbase,adesempio,all’autono-mia del paziente, al numero di infermieri per l’assistenza, ecc.) e ciascun punto equivale a cinque minuti di lavoro infermieristico. Come tutti gli approcci metodologici di ti-po analitico, lo stesso presuppone un tempo di applicazio-ne significativo e richiede calcoli di una certa complessità.Il PRN si basa sulla previsione dell’assistenza infermieristi-ca che è utile erogare al paziente ed è applicabile a tut-te le unità di cura con ricovero ordinario sulle ventiquattro ore. Assumendo come metodo di lavoro il processo assi-stenziale, tale metodologia permette la misura statica del-le attività assistenziali e il confronto tra domanda e offerta.Il sistema nel suo complesso cerca, quindi, di quantifica-re in termini di tempo (trasformazione dei punti assegnati per ogni azione infermieristica in minuti/ore di assistenza giornaliera) il lavoro dell’infermiere, per fornire delle basi sia alla definizione delle risorse necessarie, sia per l’orga-nizzazione del lavoro stesso.

metodologie basate sul bisogno globale del paziente• Metodo SvizzeroTale metodo è il risultato finale di una serie di lunghe ricer-che sperimentali condotte negli ospedali dei Cantoni Sviz-zeri, iniziate nel 1965 e concluse nel 1975.Basato sull’individuazione del bisogno globale di assisten-za del paziente, il Metodo Svizzero appartiene ai meto-di che si basano sulla classificazione dei pazienti in classi di dipendenza. Tale metodologia può essere utilizzata sia in sede di valutazione del paziente, sia di programmazio-ne delle attività. L’assistenza infermieristica è strettamente collegata al grado di dipendenza dei pazienti e cresce in modo proporzionale a questa. Pertanto, le attività assisten-ziali sono suddivise in tre gruppi:1. assistenza diretta, indica le attività comprese nelle fun-

zioni del personale relative all’assistenza diretta di ba-se;

2. assistenza indiretta, indica le attività comprese nelle fun-zioni del personale infermieristico che vengono svolte non necessariamente alla presenza del paziente e che sono collegate con l’assistenza (preparazione del mate-riale necessario, relazione con famiglia, aggiornamen-to della documentazione infermieristica, ecc.), la gestio-ne del personale (attività di supervisione, trasmissione delle informazioni, formazione del personale/studente, ecc.), la gestione del servizio (stabilire gli orari di lavo-ro, i giorni di riposo, ecc.);

3. compiti alberghieri: sotto questo titolo cadono tutte le at-tività del personale di supporto centrate sull’erogazione di un servizio, ma diverse dalla partecipazione all’assi-stenza (pulizia ambienti, trasporto materiali, ecc.).

La classificazione dei pazienti nelle tre categorie di dipen-denza viene ottenuta attraverso la compilazione di una scheda che contiene una serie di criteri atti a esprimere i bisogni di assistenza della singola persona ricoverata.

Una volta compilata la griglia, si procede al conteggio fi-nale dei contrassegni di ogni colonna separatamente per le tre sezioni. La sezione che presenta il maggior nume-ro di contrassegni determina la classificazione del pazien-te nella specifica categoria di dipendenza. Va sottolinea-to, infine, che l’applicazione del Metodo Svizzero non è utilizzabile senza ulteriori studi di adattamento ad ambiti specialistici quali, per esempio, psichiatria, pediatria, ecc.

metodologie basate sulla complessità assistenziale• Patient Intensity for Nursing Index (PINI)Il Patient Intensity for Nursing Index (PINI) rappresenta un sistema di classificazione dei pazienti elaborato nel 1991 da Prescott presso l’Università del Maryland di Baltimora (Prescott et al., 1991). Tale metodologia prende in consi-derazione quattro dimensioni concettuali:1. severità della patologia;2. grado di dipendenza del paziente;3. complessità delle attività assistenziali;4. tempo impiegato.Tali dimensioni concettuali sono definite da 10 parametri (item), valutati con una scala ordinale di 5 punti. La gravi-tà della patologia è un concetto che si rifà alla gravità del-le condizioni cliniche del paziente, sulla base della dia-gnosi clinica, partendo dal presupposto che pazienti con la stessa patologia possono trovarsi in condizioni di stabi-lità-instabilità clinica profondamente differenti.

• Oulu Patient Classification System (OPC)Il sistema di classificazione dei pazienti OPC si fonda sui principi dell’assistenza infermieristica presentati nel programma del dipartimento di neurologia sulla qualità dell’assistenza e sul modello di assistenza infermieristica di Roper, Logan e Tierney (Roper et al., 1985).L’OPC è stato creato, nei primi anni Novanta, presso l’o-spedale universitario finlandese Oulu, sulla base del siste-ma di classificazione creato dal gruppo di studi dei siste-mi dell’ospedale, l’Hospital Systems Study Group (HSSG) (Goldstone et al., 1985). Tale gruppo di studio era for-mato da coordinatori, infermieri e personale ausiliario af-ferente alcune Unità Operative rappresentative delle aree di Chirurgia, Medicina Interna, Neurologia e Pediatria, nonché da esperti informatici. Il gruppo di lavoro si riuni-va una volta al mese per discutere dei problemi relativi al-la creazione del sistema di classificazione e per valutarne i progressi. Una volta testate la validità e l’attendibilità del sistema (Kaustinen, 1995), l’OPC è stato incorporato nel sistema di amministrazione dei pazienti in modo da poter effettuare delle stime statistiche giornaliere.Tale metodo prevede che ogni paziente afferente un’Unità Operativa venga valutato secondo sei dimensioni dell’as-sistenza infermieristica:1. pianificazione e coordinamento dell’assistenza;2. respirazione, circolazione e sintomi fisici;3. nutrizione e terapie farmacologiche;

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dISPeNSa Intensità di cura e complessità assistenziale

4. igiene e secrezioni;5. attività, sonno e riposo;6. insegnamento delle cure, supporto emozionale.I criteri per la differenziazione dei bisogni di assistenza sono definiti, separatamente per ogni dimensione dello strumento, come A, B, C e D. L’infermiere pianifica l’assi-stenza in base ai bisogni del paziente secondo una delle quattroalternative:“A”pazientecheèperlopiùautosuffi-ciente; “B” paziente che a volte necessita assistenza; “C” paziente che ha ripetutamente bisogno di assistenza; “D” paziente totalmente dipendente. A queste lettere viene af-fiancato un punteggio: A, 1 punto; B, 2 punti; C, 3 pun-ti; D, 4 punti.Le sei sottosezioni dell’assistenza infermieristica fornisco-no un punteggio totale che quantifica l’assistenza rivolta al paziente. Sulla base del punteggio totale raggiunto, i pa-zienti vengono classificati in 4 categorie: la categoria I (bi-sogno di assistenza minimo) comprende i pazienti con un punteggio da 6 a 8; la categoria II (bisogno di assisten-za medio) comprende i pazienti con un punteggio da 9 a 12; la categoria III (bisogno di assistenza superiore alla media) comprende i pazienti con un punteggio da 13 a 15; la categoria IV (bisogno di assistenza massimo) com-prende i pazienti con un punteggio da 16 a 24. In conformità alle linee guida, l’infermiere classifica gior-nalmente i pazienti dei quali è responsabile. Le discussio-ni all’interno delle singole Unità Operative sono importanti perché rendono possibile l’analisi dei contenuti delle varie sottosezioni dell’assistenza. Una partecipazione attiva al-la discussione da parte di tutto il personale infermieristico diventa così prerequisito fondamentale per una applicazio-ne significativa della classificazione e per la sua creazio-ne. Il punteggio così rilevato permette il monitoraggio con-tinuodelpazienteedèsubitoinseritoinflussoinformati-co interamente basato sulla valutazione del professionista.Al fine di rendere paragonabili le quattro categorie di pa-zienti, sono necessari dei coefficienti di ponderazione. La media per ognuna delle quattro categorie viene calcolata e i valori medi così ottenuti vengono divisi per il punteggio medio della prima categoria.Alla prima categoria viene attribuito il coefficiente di pon-derazione 1 e, tenuto conto di questo valore come stan-dard di comparazione, vengono stabiliti i coefficienti per le altre categorie. La media della seconda categoria è 10,5 e dividendo questa cifra per 7, si ottiene il coeffi-ciente 1,5. Il coefficiente della categoria III è 2,0 e 2,9 per la categoria IV. Quindi, per permettere un’analisi di-versificata della documentazione, le altre categorie sono state messe in scala in base alla categoria I. I coefficien-ti stanno a indicare un valore, ossia, il parametro dell’as-sistenza infermieristica di tutti i pazienti e del carico di la-voro. Immagazzinando nel sistema centrale computerizza-to dell’ospedale questi parametri, è possibile rintracciare i cambiamenti dell’assistenza infermieristica totale di un’U-nità Operativa nei vari periodi.

•Sistema RafaelaNato presso l’Ospedale di Vaasa (Finlandia), nel corso della fine degli anni Novanta, tale sistema è adottato da tutto il sistema sanitario finlandese ed è gestito da una Società per Azioni (Qualisan S.p.A.) di proprietà statale (Rauhala et al., 2007).Il Sistema Rafaela si compone essenzialmente di due fasi:- classificazione dei pazienti secondo la complessità as-

sistenziale (in base al sistema Oulu Patient Classifica-tion System – OPC – precedentemente descritto);

- valutazione dell’intensità assistenziale di una Unità Operativa in rapporto ai bisogni assistenziali del pa-ziente (Professional Assessment of Optimal Nursing Ca-re Intensity Level: PAONCIL).

Il metodo OPC, come precedentemente descritto, calco-la la complessità assistenziale per infermiere tramite una formula.Il metodo PAONCIL si basa invece sul concetto, espresso dal personale infermieristico, di creare una situazione ta-le da permettere di fornire un’adeguata assistenza ai pa-zienti. Tale metodologia PAONCIL rappresenta la valuta-zione complessiva dell’infermiere sulla corrispondenza tra le risorse e la necessità di assistenza per quanto riguarda i suoi pazienti durante tutto il turno. L’idea sulla quale si fon-da questo metodo è che, per mezzo di una valutazione professionale dell’intensità assistenziale infermieristica di un’Unità Operativa, è possibile stabilire un livello soglia ot-timale sulla base del quale l’organico esistente può essere giudicato come minimo, ottimale o massimo.La complessità ottimale corrisponde a una situazione in cui ogni infermiere riesce a gestire il suo carico di lavoro sen-za che il livello di qualità assistenziale ne possa risentire. Il periodo di raccolta dati è di 4-8 settimane e il punteggio può andare da -3 a +3. Se la valutazione ha segno ne-gativo l’infermiere è stato in grado di soddisfare i bisogni dei pazienti (livello di qualità alto), mentre se presenta se-gno positivo non si è riusciti a svolgere tutti i compiti e la qualità del lavoro non corrisponde con l’idea di buona as-sistenza (la qualità è scarsa). Inoltre, sono previste 12 do-mande aggiuntive per dare feedback sullo stress creato da fattori non dipendenti dai pazienti.Per assegnare il punteggio esiste un manuale oggetto di addestramento per gli operatori.

• Zebra SystemLa metodologia Zebra System, descritta da Levenstam, Bergbon ed Enberg in Svezia nel 1993 (Levenstam et al., 1997), rappresenta un sistema di classificazione del pa-ziente, nonché di stima del lavoro infermieristico ed allo-cazione delle risorse. Si tratta della metodologia di classi-ficazionedelpazientepiùdiffusainSvezia.Tale metodo si compone principalmente di due parti: la classificazione dei pazienti e lo studio dell’attività. Nella prima fase, ogni paziente viene valutato secondo sei di-

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dISPeNSaIntensità di cura e complessità assistenziale

mensioni dell’assistenza infermieristica:1. igiene;2. monitoraggio;3. mobilizzazione;4. nutrizione;5. risultati non prevedibili;6. ulteriori bisogni di assistenza.Per ognuna delle sei dimensioni assistenziali, sono indivi-duati tre livelli che rappresentano tre diversi gradi di auto-nomia della persona assistita: paziente autonomo, parzial-mente autonomo o totalmente dipendente.Le categorie di pazienti così individuate possono essere ri-assunte come di seguito proposto.- Categoria 1 - Minimo bisogno di assistenza infermieri-

stica diretta: identifica un paziente autonomo nelle atti-vità di vita quotidiana, che necessita di attenzione, in-formazioni, trattamenti terapeutici, medicazioni.

- Categoria 2 - Medio bisogno di assistenza infermieri-stica diretta: identifica un paziente che necessita di un certo supporto nelle attività di vita quotidiane, oltre al-la necessità di attenzione, informazioni, trattamenti te-rapeutici, medicazioni.

- Categoria 3 - Bisogno al di sopra della media di assisten-za infermieristica diretta: identifica un paziente che neces-sita di un importante supporto nello svolgimento delle atti-vità di vita quotidiana e un aumentato bisogno di control-lo, medicazioni, trattamenti terapeutici, informazioni.

- Categoria 4 - Bisogno intensivo di assistenza infermieri-stica diretta: identifica un paziente che necessita di un supporto intensivo nello svolgimento delle attività di vita quotidiana ed esprime un altissimo bisogno di control-lo, trattamenti terapeutici, medicazioni e informazioni.

Nella seconda fase, lo studio dell’attività viene effettuato in termini di tempo necessario all’attività infermieristica, ca-rico di lavoro, studio attraverso questionario.Punto di forza di tale metodo è il fatto che lo stesso con-sente di valutare la complessità assistenziale non solo di un paziente nel tempo, ma anche di una Unità Operati-vaediconfrontarelacomplessitàdipiùUnitàOperative.

• Paediatric Acuity and Nursing Dependency Asses-sment (PANDA)

IlPANDArappresentailsistemapiùdiffusodimisurazionedella complessità assistenziale in ambito pediatrico. Ela-borato dai ricercatori del Great Hormond Street Hospital di Londra nel 2006, tale sistema si presta sia a rilevazio-ni una tantum sia a un monitoraggio continuo della com-plessità assistenziale.Questo strumento utilizza gli standard qualitativi definiti a priori dal Royal College of Nursing (RCN1) al fine di de-terminare il numero di unità infermieristiche necessarie per una specifica Unità Operativa. Il PANDA funziona me-

1 http://www.rcn.org.uk/

diante uno schema a matrice che indica 50 tipologie di caratteristiche assistenziali che un bambino può presenta-re. Tali caratteristiche vengono raggruppate in 9 catego-rie, contrassegnate da un colore. Le categorie sono: vie aeree, apparato respiratorio, assistenza postoperatoria, si-stema cardiocircolatorio, monitoraggi shock/sepsi, appa-rato renale/liquidi, sistema neurologico, altro.Il sistema è corredato di una guida alla compilazione che permette a ogni infermiere che effettua la rilevazione di stabilire agevolmente se una caratteristica è presente o me-no in un certo bambino. La scheda di rilevazione permet-te, inoltre, di segnalare se un bambino è stato ricoverato dopo l’inizio del turno o dimesso prima della fine del tur-no, in modo tale che il suo peso assistenziale sia calcola-to esattamente per il tempo della sua permanenza in Uni-tà Operativa. Le schede compilate vengono poi inserite in un software che determina in quale categoria di dipenden-za infermieristica si trova ogni bambino. Una volta inseriti i dati ottenuti dalle rilevazioni, il sistema PANDA restituisce quattro diversi tipi di report.- Report 1 - Calcolo del numero ottimale di infermieri re-

lativo al periodo della rilevazione: indica il numero di infermieri di cui l’Unità Operativa dovrebbe essere do-tata con riferimento al periodo della rilevazione.

- Report 2 - Distribuzione della complessità totale dell’U-nità Operativa nel periodo: fornisce una fotografia del-la complessità totale dell’Unità Operativa stessa nel pe-riodo della rilevazione.

- Report 3 - Frequenza delle categorie di descrittori nel periodo della rilevazione: permette di identificare qua-lisonolecaratteristicheassistenzialichepiùfrequen-temente si riscontrano nei bambini ricoverati in Unità Operativa nel periodo di degenza.

- Report 4 - Distribuzione della complessità nel periodo della rilevazione: permette di individuare quali sono i giorni in cui la complessità è massima e in quali gior-ni è minima; può essere utilizzato quindi per prevedere in quali giorni, turni, settimane o mesi dell’anno vi sia il maggior fabbisogno di infermieri.

• I sistemi di rilevazione per la terapia intensiva: NEMS (Nine Equivalent of Manpower Score) e NAS (Nursing Activities Score)

Ideati appositamente per le Unità Operative di Terapia In-tensiva, il NEMS e il NAS permettono di determinare il fabbisogno infermieristico.Nel 1996, nell’ambito di uno studio osservazionale sull’or-ganizzazione delle terapie intensive europee realizzato dal-la Fondazione per la Ricerca sulle Cure Intensive in Europa (FRICE), al fine di determinare e valutare il fabbisogno infer-mieristico, viene sviluppato un sistema di punteggio deno-minato NEMS (Nine Equivalent of Manpower Score) con 9 voci. Il punteggio del NEMS va da 9 a 46 (1 punto equi-vale a 10 minuti di assistenza per turno da 8 ore, mentre 46 punti equivalgono a una necessità die di 1.440 minu-

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dISPeNSa Intensità di cura e complessità assistenziale

ti di assistenza). Il NEMS è uno strumento di facile compi-lazione e permette in breve tempo il monitoraggio e il cal-colo del fabbisogno assistenziale (Miranda et al., 1997).Successivamente, a partire dal NEMS, è stato elaborato un nuovo punteggio denominato NAS (Nursing Activities Score), articolato in 13 aree, corrispondenti ad attività in-fermieristiche in Terapia Intensiva. Il NAS esprime un pun-teggio in percentuale (50% = rapporto infermiere/persona 1 a 2), come risultato della somma delle voci rilevate nel-le 24 ore. Le variabili raccolte riguardano il “peso” assi-stenziale del paziente (monitoraggio e nursing, igiene del-la persona, mobilizzazione, gestione e supporto dei pa-renti, gestione amministrativa) e sono a risposta multipla.Tali sistemi, ampiamente testati, attraverso l’utilizzo dei punteggi, permettono di riorganizzare l’attività infermieri-stica modulando le presenze in relazione al case-mix dei pazienti.NonostanteilsistemaNASsiaflessibileedisem-plice utilizzo, non tiene conto di alcune condizioni cliniche che hanno delle ripercussioni sul carico di lavoro degli in-fermieri.IlmetodoNEMS,invece,moltopiùdettagliato,permettedidefinireinmodopiùpuntualeilpesodeipa-zienti, sia provenienti da area medica, sia chirurgica.

Sperimentazioni di definizione della complessità assi-stenziale in ItaliaNel nostro Paese, poche metodologie sono riuscite ad af-fermarsi e a ottenere una relativa divulgazione e, solo in an-nipiùrecenti,sisonosviluppatesperimentazioninatedalbisogno ormai impellente di adottare strumenti scientifici e specifici di misura delle attività assistenziali e di identificare un linguaggio comune e condiviso a livello professionale.La tabella che segue propone una sintesi dei tre principali strumenti utilizzati oggi in Italia. Nei sottoparagrafi successi-vi si intende fornire per ciascuno una sintetica descrizione.

tabella 1 – Sperimentazioni di definizione della complessità assistenziale

METODI MAP SIPI ICA

Modelli di riferi-mento

Modello di analisi della complessità assistenziale

Modello delle prestazioni infer-mieristiche

Modello delle prestazioni infer-mieristiche

Validazione del metodo

sperimentazione multicentrica

sperimentazione multicentrica -

Valutazione quali-quantitativa dell’équipe assistenziale

sì sì sì

applicazioni del metodo sì sì sì

informatizzazione sky Map - software iCa

fonte – Rielaborazione CREMS

metodo assistenziale Professionalizzante (maP)Nato nel 2007, sulla base della “Teoria della Complessi-tà” quale chiave di lettura di un’organizzazione sanitaria, e del “Modello di Analisi della Complessità Assistenziale” co-

me riferimento infermieristico, è stato elaborato un metodo definito “Metodo Assistenziale Professionalizzante” (MAP).Il MAP è costituito da due strumenti: il primo consente la valutazione della complessità assistenziale della persona assistita, mentre il secondo consente la stima del correlato fabbisogno di risorse umane.Per la ideazione del MAP è stato inoltre utilizzato come base il modello tassonomico rappresentato della “Classi-ficazione Internazionale del Funzionamento, della Disabi-lità e della Salute” (ICF) (Buono e Zagaria, 2003). Tale classificazione, sviluppata dall’Organizzazione Mondia-le della Sanità e pubblicata, nella sua ultima revisione, nel maggio del 2001, è stata scelta in quanto opera attraver-so una serie di categorie raggruppate secondo il modello “biopsicosociale”, che guarda alla persona nella sua inte-rezza e quindi non solo dal punto di vista sanitario, ma an-che nella consuetudine quotidiana delle relazioni sociali.La metodologia in oggetto prevede l’adozione di tre varia-bili, quali elementi costitutivi per la valutazione della com-plessità assistenziale:1. la stabilità/instabilità clinica della persona assistita (di-

mensione della stabilità clinica);2. la capacità dell’assistito di definire le proprie necessità

ediscegliereicomportamentialuipiùidonei(dimen-sione della responsività);

3. la possibilità dell’assistito di agire su se stesso autonoma-mente ed efficacemente (dimensione dell’indipendenza).

È stata inoltre definita una quarta variabile di valutazione, estrinseca alla persona, ossia il “fattore ambientale” che ri-guarda la valutazione di modalità estrinseche alla persona assistita relativa all’ambiente fisico, sociale e agli atteggia-menti in cui le persone vivono e conducono la loro esistenza.Per ognuna delle tre dimensioni e per l’elemento “conte-sto”, il MAP identifica funzioni e parametri attraverso i qua-li realizzare il processo di valutazione della complessità assistenziale della persona assistita. Il primo strumento del MAP è lo strumento per la valutazione della complessità assistenziale della persona assistita, composta da 60 mo-dalità attraverso le quali realizzare il processo di valutazio-ne, così suddivise nelle diverse dimensioni: - stabilità clinica: 19 modalità;- responsività: 7 modalità;- indipendenza: 7 modalità;- contesto: 27 modalità.Al fine di poter valutare le modalità, sono state declinate specifiche “variabili”, in totale 217, così suddivise:- stabilità clinica: 70 variabili;- responsività: 30 variabili;- indipendenza: 27 variabili;- contesto: 90 variabili. Lo scopo delle variabili è quello di descrivere i possibi-li stati osservabili nella persona assistita in relazione alla modalità oggetto di valutazione. Le variabili, sostanzial-mente, hanno lo scopo di guidare l’utilizzatore dello stru-mento a effettuare una valutazione sintetica della persona

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dISPeNSaIntensità di cura e complessità assistenziale

assistita al fine di ottenere gli elementi necessari a orien-tare le decisioni assistenziali. Di fatto, nell’ambito dello strumento elaborato le variabili svolgono il ruolo di veri e propri indicatori.Le variabili sono state declinate articolandole su una sca-la di valutazione, espressa in “score” con livelli di “perfor-mance” in un range compreso fra 0 e 4. Le variabili sono state declinate partendo, per ogni modalità, dalla descri-zione della condizione di integrità, fino ad arrivare in mo-do graduale e crescente alla descrizione della condizione di massima alterazione.A tal fine, quale supporto metodologico è stata realizza-ta una specifica scala, proposta dalla Classificazione ICF, che permette di denotare l’entità/gravità del problema della modalità oggetto di valutazione.Lo strumento di valutazione, infine, prevede un sistema bilanciato di pesatura, che permette di (i) riconoscere a ogni modalità un’importanza diversa nella definizione della complessità assistenziale della persona assistita; (ii) attribuire a ogni variabile un punteggio coerente con l’en-tità/gravità del problema e con il punteggio assegnato alla modalità di riferimento.Il sistema MAP è stato completato con l’ideazione di un software ad hoc, chiamato SKY MAP, al fine di rendere piùfacilelagestionedelleinformazioniinseritenelMAP,sia dal punto di vista della complessità assistenziale, sia per quanto attiene alla gestione delle risorse umane e al-la definizione del fabbisogno di personale. Il software, di tipo centralizzato, è stato pensato anche per essere im-piegato come strumento di un sistema di Information and Communication Technology (ICT), ovvero per essere colle-gabile con gli altri sistemi e funzioni dell’organizzazione sanitaria considerata.

Sistema Informativo della Performance Infermieristi-ca (SIPI)Il Sistema Informativo della Performance Infermieristica (SIPI) definisce una classificazione dei vari profili di complessità dell’assistenza che si configurano nelle Unità Operative del-le Aziende Sanitarie, sulla base del criterio della performan-ce infermieristica, ossia dell’insieme di interventi infermieristi-ci rappresentativi della complessità assistenziale.Tale sistema informativo prevede la creazione di un model-lo per l’elaborazione di griglie di rilevazione basate su da-ti rappresentativi dell’assistenza infermieristica.Scopo primario del SIPI è proprio quello di poter disporre di dati oggettivi e confrontabili e migliorare così la quali-tà complessiva dell’assistenza infermieristica. In particola-re tale sistema si propone di:- allocare il personale infermieristico in funzione della

complessità dell’assistenza infermieristica;- documentare l’impiego della risorsa infermieristica;- contribuire al monitoraggio e alla determinazione dei

costi dell’assistenza infermieristica;- definire un coefficiente di distribuzione del personale di

supporto in relazione alla complessità assistenziale in-fermieristica.

Il SIPI si basa su una scheda di rilevazione la quale, fon-data su dati rappresentativi della performance infermieristi-ca, fornisce una quadro sintetico ed esaustivo dei profili di complessità dell’assistenza.Vengono presentati di seguito i risultati di una ricerca mul-ticentrica sviluppata nel 2008 utilizzando il SIPI (Moiset e Vanzetta, 2009).La ricerca multicentrica è stata condotta dal D.I.T.R.A. (Di-partimento Infermieristico Tecnico Riabilitativo Aziendale) dell’Azienda Ospedaliera San Gerardo di Monza, in col-laborazione con l’Università degli Studi di Milano Bicoc-ca. L’obiettivo era quello di analizzare la complessità assi-stenziale in alcune aree sia mediche che chirurgiche di un ampio campione di ospedali, con il coinvolgimento di 25 Aziende Ospedaliere del nord Italia.Tali aree sono state individuate in quanto appartenenti alla classificazione proposta dalla D.G.R. VI/38133/1998 in cui i minuti di assistenza infermieristica/paziente sono distinti per specialità di base, specialità a media assisten-za, specialità ad elevata assistenza.Secondo la D.G.R. i minuti/paziente/die sono così asse-gnati nel seguente modo: specialità di base, 120 minuti di assistenza infermieristica specialità di media assistenza, 180 minuti di assistenza infermieristica specialità a eleva-ta assistenza, 240 minuti di assistenza infermieristica.

Indice di Complessità assistenziale (I.C.a.)La metodologia dell’Indice di Complessità Assistenziale (I.C.A.), elaborata nel 1999 sulla base del “Modello del-le Prestazioni Infermieristiche” (Cantarelli, 1997), è un va-lidostrumentodianalisimanagerialedeiflussioperativiin-fermieristici (Cavaliere, 2009). La metodologia I.C.A., in-fatti, si propone non solo come uno metodo di raccolta dei dati, ma piuttosto come un sistema integrato di analisi or-ganizzativa in grado di favorire l’applicazione dei modelli professionali assistenziali e di garantire un adeguato pro-cesso decisionale dell’infermiere.Tale indicatore esprime frequenza e caratteristiche di pre-sentazione delle problematiche assistenziali, opportuna-mente sintetizzate e standardizzate, unitamente alle pos-sibili variazioni. Il fine è quello di orientare l’attività infer-mieristica al riscontro di priorità assistenziali individuali o generali (siano esse del singolo utente o di un’unità ope-rativa o anche di strutture maggiori), disponendo di infor-mazioni e garantendo così la valutazione e il migliora-mento continuo della qualità.Come accennato, il metodo del calcolo dell’I.C.A., svi-luppato sull’approccio teorico del “Modello delle Presta-zioni Infermieristiche” (Cantarelli, 1997), ha l’intento di ri-badire la centralità del singolo paziente nel processo di assistenza infermieristica e di ricavarne standard genera-li di riferimento.Tale strumento consiste nella compilazione di un gruppo di

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dISPeNSa Intensità di cura e complessità assistenziale

schede di “Rilevazione dell’Indice di Complessità Assisten-ziale”, cui è unito un protocollo di linee guida, e nell’ela-borazione dei dati ricavati. Tali dati riassumono le genera-lità dell’assistito e ne identificano la complessità assisten-ziale totale e relativa alle singole prestazioni individuate per ogni singolo livello del continuum autonomia/dipen-denza (Cavaliere e Susmel, 2001).Tale metodo, basato sui cinque livelli di complessità assi-stenziale che si correlano alla condizione della persona assistita definiti nel “Modello delle Prestazioni Infermieristi-che” della Cantarelli, configura il “Numero Indice di Com-plessità Assistenziale”. Come descritto nel dettaglio nel ca-pitolo precedente (dal titolo “Intensità di cura e complessi-tà assistenziale: concetti sovrapponibili?”), tali livelli defi-niscono sia le finalità dell’intervento infermieristico, sia le azioni che ne derivano, ossia: indirizzare, guidare, soste-nere, compensare, sostituire.Gli “Indici di Complessità Assistenziale” attribuiti alle pre-stazioni infermieristiche con le modalità appena illustra-te, permettono la costruzione di una griglia di rilevazio-ne impostata sulle competenze poste in capo agli infer-mieri e la misurazione quali-quantitativa della complessità degli interventi richiesti dal caso/problema trattato (com-plessità intrinseca della prestazione). Attraverso il costan-te rilevamento dei dati, gli infermieri ottengono quotidia-namente la misurazione della complessità per singolo ma-lato, attraverso un sistema di misurazione obiettivo, verifi-cabile e riproducibile.Il fulcro di tale metodologia risulta essere il nomenclato-re, ovvero una lista di attività infermieristiche classifica-te per peso o livello, che acquista validità ponendo co-me base un modello concettuale dell’assistenza infermie-ristica. Il peso rispecchia il punteggio dell’azione o atti-vità in termini di complessità organizzativa, conoscitiva, pratica/manuale, intellettuale, educativa, ecc.. Il punto di forza del nomenclatore, e quindi della metodologia stessa, è pertanto la sua profonda condivisione all’inter-no del gruppo disciplinare. Questo strumento, infatti, ac-quista forza se viene redatto, validato, verificato e imple-mentato dal gruppo disciplinare che poi dovrà utilizzar-lo quotidianamente.Infine, risulta importante sottolineare come l’I.C.A., attra-verso la definizione e pianificazione delle attività, permet-ta: (i) a livello assistenziale, di stabilire priorità e criticità; (ii) a livello di coordinamento, di creare modelli organiz-zativipiùappropriatieidentificarelenecessitàformative;(iii) a livello di management, di creare una base dati inter-rogabile utilizzando un numero elevato di variabili e per-mettendo una lettura efficace ed immediata della realtà oggetto di analisi.

ConclusioniSaper rispondere ai bisogni dell’utente in maniera effica-ce,flessibile,personalizzataedeconomicamentecompati-bile con le risorse a disposizione, creando per ciascun pa-

ziente un piano assistenziale personalizzato, modificabile dinamicamente, costituisce condizione prioritaria per ga-rantire alti standard qualitativi dei servizi sanitari.A tal proposito, la definizione del fabbisogno delle risorse infermieristiche e del personale di supporto, atto a garanti-re adeguati ed appropriati livelli assistenziali nelle diverse aree cliniche, rappresenta sicuramente un elemento centra-le nel contesto di una programmazione sanitaria.Nonostante ad oggi poche metodologie di misurazione della complessità assistenziale siano riuscite ad affermarsi, sièsemprepiùconsapevolicheunamiglioreperformance infermieristica può determinare non solo un maggior con-trollo della spesa e un utilizzo appropriato del personale, ma anche un outcome superiore per il paziente.

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21management per le professioni sanitarie

dISPeNSaIntensità di cura e complessità assistenziale

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dISPeNSa Intensità di cura e complessità assistenziale

Un metodo gestionale per definire i livelli di intensità: l’analisi dei flussi

È opinione diffusa che un buon punto di partenza ai fi-ni dell’introduzione di un cambiamento organizzativo, so-prattutto nel caso di introduzione della logica per intensità dicura,siarappresentatodall’analisideiflussiospedalie-ri (Pignatto et al., 2010).Nel paragrafo introduttivo, si ha già avuto modo di ricor-dare, come un buon modello organizzativo debba preve-dereun’organizzazioneintelligentedeiflussiospedalieri.Diventa, in altre parole, essenziale, una categorizzazio-ne e una separazione di questi ultimi al fine di assicura-re la massima efficienza clinica ed economica di una da-ta struttura.Ferma restando l’importanza di quest’attività, occorre co-munquetenerbenpresenteche,affinchél’analisideiflussisia effettivamente utile, necessaria si rivela essere la strut-turazione di uno strumento metodologico da implementare poi in maniera coerente.Nella strutturazione di questo strumento metodologico oc-corre tener presente che l’obiettivo deve essere l’incremen-to di efficienza di tutta l’organizzazione che, in primis, ri-chiede nel caso di introduzione di un modello per intensi-tà di cura, un dimensionamento dei posti letto puntuale e coerente con le specificità aziendali.In particolare si è convinti che un buon strumento debba prevedere almeno questi step:1. accettazione del passaggio da una lettura dell’ospeda-

le esclusivamente di tipo specialistico a una di tipo tra-sversale, per attività;

2. definizione dei moduli specialistici nelle aree a diversa intensità di cura;

3. simulazione retrospettiva del modello su analisi epide-miologica e statistica delle necessità.

Constatato ciò, si ritiene opportuno che un dimensiona-mento coerente con i dettami dell’intensità di cura e con le esigenze di modularità palesate negli ultimi anni da mol-te strutture ospedaliere che hanno avviato un processo di cambiamento organizzativo in linee con queste tendenze, impone anzitutto l’individuazione di moduli composti da un numero minimo e fisso di posti letto destinati alla degen-za ordinaria (all’interno della quale è solitamente ulterior-mente prevista una distinzione tra i posti letto di elezione equelliriservatialflussodiemergenza)edaun’areafles-sibilepiùampiaausotrasversale,alfinedifavorire,così,un aumento della saturazione storica. Alla luce della considerazione appena effettuata, è oppor-tunosottolinearecome,affinchél’analisideiflussipossa

effettivamente fornire delle informazioni utili su come ope-rativamente introdurre dei cambiamenti organizzativi, es-sa deve essere svolta tenendo conto dei seguenti accorgi-menti (Moroni et al., 2011):- l’arco temporale considerato deve essere di almeno tre

anni, per tener conto sia del fattore stagionalità sia del trend di medio periodo;

- la durata della degenza di ogni singolo paziente/uten-te costituisce un buon driver per la differenziazione dei ricoveri perché in grado di tener conto della comples-sità(separazionefraflussidielezioneeemergenza,Week Surgery e Day Surgery);

- la definizione dei criteri delle attività da effettuare in re-gime di Day Hospital/Day Surgery e Week Hospital/Week Surgery tenendo conto di linee guida regionali, tempi di degenza per patologia e complessità degli in-terventi;

- i punti di snodo, mediante la creazione e/o riorganiz-zazione dei nuclei di smistamento e delle dimissioni at-traverso una valutazione del carico di lavoro e l’identifi-cazione del profilo professionale adeguato allo svolgi-mento di queste attività;

- lacreazionediletti“cuscinetto”ausoflessibileetrasver-sale polispecialistici e di apposite aree dotate di poltro-ne per accogliere i pazienti dimessi dalle UU.OO. in attesa di uscire dalla struttura;

- l’ottimizzazione della gestione del Pronto Soccorso af-finchéiflussiprovenientidaessononvadanoainficia-rel’efficienzadeinormaliflussidielezionedisolitode-stinatiasubireritardiacausadeicasipiùacuti;

- la creazione di un’area Sub-intensiva dotata di letti ad uso trasversale riservata a pazienti che richiedono

figura 1 – Alle origini degli ospedali

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dISPeNSaIntensità di cura e complessità assistenziale

un’assistenza inferiore a quella fornita in una Terapia In-tensiva, ma superiore a quella prestata da una U.O. di cure generali;

- la formulazione di ipotesi di proiezione di alcuni pos-sibili stock di posti letto assegnabili a ogni U.O. con-siderando i dati di occupazione giornalieri e confron-tandoli con il numero di giorni in cui non si avreb-be un tasso di utilizzo del 100%, per l’arco tempora-le preso a riferimento. Così facendo è possibile indi-viduare diversi scenari a seconda della percentuale di accettabilità di posti letto non occupati, ovvero l’in-dividuazione di un livello soglia di posti letto giornal-mente occupati.

Un’analisideiflussicondottaconquestiaccorgimentipo-trebbe portare a tre diverse tipologie di dimensionamenti:- undimensionamentoflessibile,incuisiriduceilnume-

ro di posti letto afferenti alle specifiche UU.OO., men-tre aumenta il numero di quelli a uso trasversale, impo-nendo un conseguente problema gestionale di corretta attribuzione degli stessi;

- un dimensionamento rigido, in cui il numero di posti let-toperciascunaU.O.risultaesserepiùvicinoalvaloremedio, con una conseguente maggiore probabilità di avere un basso tasso di saturazione e un minor numero di posti letto a uso promiscuo e trasversale;

- un dimensionamento che tenga conto sia del trend sia deglieffettidellastagionalitàechepertantosiaflessibi-le nel tempo.

È chiaro che la scelta di una delle tipologie di dimensio-namento appena descritte debba tener conto delle specifi-che esigenze e necessità di ogni data struttura. Non esiste un dimensionamento unico valido per tutte le strutture. Soli-tamente la soluzione ottimale nasce da una combinazione degli stessi. Occorre, tuttavia puntualizzare, che gli aspetti chepiùbisognatenerpresentequandosidecidediadot-tare un modello per intensità di cura, riguardano la ricerca di soluzioni in grado:- da un lato di ottimizzare la gestione di eventuali picchi

di attività e assicurare un’occupazione omogenea di posti letto;

- dall’altro di garantire un’adeguata individuazione di te-am monospecialistici per la gestione dei posti letti spe-cifici delle singole UU.OO. e plurispecialistici per il co-ordinamento dei posti letti da prevedere all’interno di un’areapiùflessibile.

Proprio la creazione di quest’ultima area rappresenta una significativa opportunità per un efficientamento della ge-stione dei posti letto in quanto presuppone l’identificazio-nedipostilettoausotrasversaledapartedipiùUU.OO.a seconda delle esigenze giornaliere. Identificata la proposta metodologica occorre tener pre-sente che la stessa debba essere testata empiricamente or-ganizzando incontri ad hoc di presentazione della stessa presso i referenti delle strutture incaricati di occuparsi ope-rativamente del percorso di incremento dell’efficienza del-la nuova organizzazione. Accettata internamente la pro-posta, allora essa potrà essere rivista e calata nelle singo-le realtà con l’ausilio dei professionisti delle stesse.In conclusione, si può affermare che una lettura attenta dei dati di ricovero, attraverso la conduzione di un’anali-sideiflussièingradodifornirerilevantifeedback per un dimensionamento dei posti letto della struttura che non so-lo tenga conto dei criteri di accreditamento, ma anche si basi sull’effettiva attività svolta e si sposi con quanto pre-visto a livello normativo e accademico sulla logica per in-tensità di cura.

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dISPeNSa Intensità di cura e complessità assistenziale

Un dubbio organizzativo: complessità o modularità?

PremessaL’intensità di cura e la complessità assistenziale sono alcu-ne delle conseguenze operative con le quali si esplica la Clinical Governance (NHS, 1997). La medicina e il nur-sing basato sulle evidenze sfociano infatti, come abbiamo già avuto modo di vedere (cfr. Capitolo dal titolo “Intensi-tà di cura e complessità assistenziale: concetti sovrapponi-bili?”), nella logica dell’adozione dei PDT/PDTA/PDTRA e dei piani di cura, come pure nella necessità di coinvol-gere il paziente come soggetto ricevente le azioni e pre-stazioni erogate dal Servizio Sanitario.Dal decennio scorso in Italia è aperto il dibattito circa il modelloorganizzativopiùidoneo,esonostateavviateleprime esperienze operative (si fa riferimento in particola-re alla Regione Toscana). A distanza di alcuni anni tutta-via molti sono i dubbi sulle definizioni e sui passi organiz-zativi che occorre intraprendere per avviare un modello di successo. Se da un lato l’intensità di cura è un concet-tomaggiormenteclinico,apparentementepiùlegatoallafigura del medico, la complessità assistenziale è un mo-dello che ha nei moduli infermieristici lo strumento operati-vopiùpotente,macheneèdaessoindipendente.Ilpre-sente lavoro intende chiarire la relazione tra i due strumen-ti di lavoro.

Complessità assistenziale, valutazione del paziente e assegnazione del posto lettoVari sono i modelli di valutazione della complessità assi-stenziale (si veda a questo riguardo il relativo Capitolo nel presente numero della Rivista): in termini sequenziali, nel ciclo o processo di ricovero per acuti questa attività è infat-ti la prima che si affronta, sia per la valutazione iniziale al fine di collocare il paziente nell’organizzazione, sia per le valutazioni intermedie e successive (condizionate da modi-ficazioni dello stato dei bisogni del paziente). Bisogna osservare inoltre che spesso le esperienze sui mo-delli mettono in luce alcuni punti di debolezza, sia per ri-sultati sia per mancanza di una misurazione dell’item. In questi casi occorre che il team al suo completo decida di modificare, adattandolo alla realtà, il modello, così come teorizzato e realizzato nella sequenza Linee Guida e suc-cessivi PDTA.Una volta superata questa fase e definita la necessità as-sistenziale del paziente, nel primo gradino del suo ciclo (processo) di ricovero occorre assegnarlo ad un posto let-to, atto eseguito dal tutor medico, dal coordinatore infer-

mieristico o da altre figure (o del team) intermedie depu-tate a tradurre in atti organizzativi i documenti valutativi. Questa azione organizzativa è cruciale per il funziona-mento dell’intero nosocomio e deve trovare a suo suppor-to meccanismi operativi semplici ed efficaci. Errori di asse-gnazione potrebbero smentire l’intero costrutto della struttu-ra della complessità assistenziale.Ilpiùsempliceschemaorganizzativocheassecondailmodello complessivo di intensità di cura/complessità as-sistenziale è l’assistenza modulare, in cui la relazione tra complessità e modularità è quindi sequenziale. Il model-lo di assistenza modulare permette l’inserimento di opera-tori di supporto, in particolare dell’operatore socio-sanita-rio (OSS), in una Unità Operativa, in un Dipartimento o in un altro servizio sanitario o sociale, è ed quindi trasversa-le alle organizzazioni ed assicura un abbinamento stabile tra équipe infermieristica e gruppo di malati.

I moduli assistenzialiNati per ovviare al modello assistenziale per compiti, con l’obiettivo di responsabilizzare gli operatori attraverso il meccanismo della presa in carico (si veda la definizione offerta di organizzazione professionale, nel Capitolo con-clusivo della presente Dispensa), i moduli assistenziali so-no il primo micro-modello di complessità assistenziale ap-plicato in Sanità. Ad ogni modulo (8-10-12 pazienti) è as-segnato un piccolo gruppo di operatori. Il modello è sta-to sviluppato per la prima volta negli USA negli anni ’50 e si basa sul concetto che un piccolo gruppo di infermieri, che lavora assieme sotto la guida di un leader, può dare un assistenza migliore rispetto agli stessi infermieri che la-vorano individualmente. Il modello si avvale di un gruppo eterogeneo di operatori sanitari con diversi gradi e tipi di formazione, competenze ed abilità come infermieri profes-sionali, personale tecnico ed ausiliario.Il sistema risponde a due principi strettamente interconnessi: - il principio dell’assistenza personalizzata, sancito an-

che dalla legge n. 251 del 10 agosto 2000; - il principio di un’attività qualificata da parte di un infer-

mierechenonèpiùunprofessionistaausiliariomaunprofessionista in senso pieno (legge n. 42 del 26 feb-braio 1999).

Infatti, un professionistasanitario non dovrebbe lavorare per compiti, ma erogare prestazioni mirate alle esigenze della singola persona assistita, cioè attraverso una presa in carico olistica del paziente.

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dISPeNSaIntensità di cura e complessità assistenziale

L’attività prioritaria nei moduli dovrà essere quella di iden-tificare i bisogni dei pazienti, pianificare gli interventi, ero-gare gli interventi infermieristici, assegnare i compiti al per-sonale di supporto, verificare il raggiungimento dei risultati ed esercitare una sistematica supervisione su quanto fanno gli operatori di supporto.I moduli (o settori, secondo la dizione di alcuni nosoco-mi) sono dimensionati sui posti letto (6, 8 o 12), in dipen-denza ovviamente dal numero di posti letto della U.O. o dell’area/dipartimento (divisione a numero intero). A cia-scuno di questi moduli deve essere assegnato a opera del coordinatore dell’area un carico assistenziale mediamen-te identico, in modo che il modulo stesso risulti equilibra-to per il numero di operatori, a loro volta divisi sui tre tur-ni di lavoro giornalieri. Una buona progettazione del mo-dulo prevede che l’alternanza di figure assistenziali e di fi-gure di supporto (quali, ad esempio, gli OSS) nei turni ri-spetti le attività core previste per ciascuna figura, arrivan-do nella realtà dei fatti alla separazione delle attività an-cillari e da quelle di assistenza.

figura 1 – Esempio di modularizzazione nel Dipartimento Cardiova-scolare dell’Azienda Ospedaliera della Provincia di Lecco

COrrIdOIO CeNtraLe

CardIOCHIrUrGIa - 6 PL

4 settori

2 settori: 1 INF/10 PZ (vascolare e CCH)

2 settori: 1 INF/12 PZ (riabilitativa)

CardIOLOGIa rIaBILItatIVa

24 pl

CHIrUrGIa VaSCOLare

14 pl

fonte – Rielaborazione da informazioni aziendali

Le motivazioni alla base del modello di assistenza per mo-dulo sono così riassumibili:- centralità della persona assistita;- continuità nella presa in carico;- pianificazione e documentazione dell’assistenza infer-

mieristica;- responsabilità infermieristica nella risposta ai bisogni di

assistenza infermieristica;- inserimento appropriato degli operatori di supporto.Segnaliamo che anche il modello di gestione per caso (conosciuto anche come case management) potrebbe adattarsi al modello di complessità assistenziale, ma in modo proficuo solo in organizzazioni non estremamente complesse in termini numerici.Poter contare su di una serie di moduli permette al coor-dinatore dell’assistenza (colui che assegna il posto letto

nell’area di competenza) di indirizzare al meglio il pa-ziente, ma anche di gestire il team secondo un modello di apprendimento nel tempo e di bilanciamento sui ca-richi di lavoro assegnati. Ciò implica l’assegnazione di un’estrema importanza all’equilibrio del coordinatore nei giudizi, nella sua competenza professionale e capacità di gestione e sviluppo delle risorse umane (capacità di relazione, di gestione dei gruppi e delle riunioni, di svi-luppo del potenziale personale, di valutazione delle com-petenze, ecc.).Inoltre, questo ruolo delicato, assegnato a tale figura or-ganizzativa, implica che sia in grado di conoscere per-fettamente le condizioni contingenti di lavoro dei team, in quanto le valutazioni di complessità assistenziale dei pa-zienti non sono statiche ma evolvono nel tempo, mentre dal lato del personale le assenze programmate e non pro-grammateavolteinfluenzanopesantementeiturni(sipen-si solo al fatto che circa il 70% degli infermieri è di sesso femminile, fattore per il quale assume un peso rilevante an-che l’ambito familiare). L’assunzione dei propri ruoli professionali è poi partico-larmente importante in questo frangente storico, periodo in cui il ruolo dell’assistenza è portato ad evolversi ver-so modelli (e quindi ruoli) assistenziali di stampo anglo-sassone.Cosa fa in pratica un infermiere inserito nel modulo assi-stenziale? - Assume la responsabilità del gruppo di persone ricove-

rate nel settore a cui è assegnato (presa in carico);- ha una conoscenza globale dei bisogni delle persone

ricoverate di cui è responsabile;- effettua quotidianamente una valutazione clinico-assi-

stenziale congiunta con il medico di riferimento;- pianifica, attua, valuta e registra sulla documentazione

sanitaria le prestazioni infermieristiche;- attribuisce al personale di supporto quegli interventi as-

sistenzialicaratterizzatidaaspettipiùtecnicieconno-tati da bassa complessità e da alta riproducibilità.

Gli assunti dell’organizzazione professionale, se rispettati, garantiscono la soddisfazione dell’operatore e l’ottenimen-to di un buon clima organizzativo, mentre al contrario un clima non favorevole in U.O. è spesso dovuto alla presen-za di un capo non riconosciuto professionalmente capace.Si osserva inoltre che i moduli possono essere applicati in-dipendentemente dall’inserimento di un modello generale di complessità, in quanto questo modello non lo richiede a monte, come costrutto di base, ma lo applica a valle in modo intrinseco tra i posti letto/paziente.È necessario infine che a questo sistema organizzativo sia abbinata una documentazione infermieristica coeren-te,completaepiùsemplicepossibile,taledafavoriredaun lato la personalizzazione dell’assistenza (cartella infer-mieristica o integrata), dall’altro la qualità della stessa, ren-dendopiùomogeneeecostantileprestazionistandardiz-zabili (standard, protocolli, procedure, ecc.).

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26 management per le professioni sanitarie

dISPeNSa Intensità di cura e complessità assistenziale

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Intensità di cura e complessità assistenziale

Corso a distanza per tutte le professioni sanitarie - 10 CredItI fOrmatIVI eCm

Corso fad numero: 29316Validità (inizio/fine): 15 aprile 2012 – 14 aprile 2013

Provider: Maggioli Formazione e Consulenza Provider ECM num. 587 accreditato dalla Commissione Nazionale per la Formazione Continua ad erogare formazione per tutte le professioni sanitarie. Accreditamento provvisorio concesso il 23 giugno 2011 con validità 24 mesi.

responsabile scientifico del corso: dott. Davide Croce Direttore CREMS (Centro di Ricerca in Economia e Management in Sanità e nel Sociale).

Come ottenere i crediti eCmDopo aver completato la lettura del materiale didattico del corso: ➠ collegarsi al sito www.corsi-ecmfad.com;➠ selezionare il corso;➠ registrarsi inserendo i dati richiesti (nome, cognome, codice fiscale, professione sanitaria, e-mail, ecc.);➠ inserire il codice di accesso stampato sulla rivista;➠ svolgere il test di verifica dell’apprendimento (il test prevede 40 domande a risposta multipla e si considera superato con l’80% di risposte esatte; va completato in un’unica sessione senza interruzioni, tempo massimo due ore; in caso di mancato superamento sarà possibile ripeterlo);➠ compilare il questionario sulla qualità percepita, che comparirà in automatico una volta superato il test;➠ il corso è concluso: riceverete via email l’attestato in formato pdf. L’attestato con i crediti ECM riporterà i dati del partecipante così come inseriti in fase di registrazione.

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27management per le professioni sanitarie

dISPeNSaIntensità di cura e complessità assistenziale

Organizzazione dipartimentale per intensità di cure

PremessaIl modello attualmente conosciuto di ospedale è focalizzato sulla cura di quella condizione particolare (cioè la malat-tia), nella quale incappa il paziente (appunto detto ma-lato), attraverso delle (super)specializzazioni. L’ospedale strutturato per intensità di cura dovrebbe essere orientato a prendere in carico non già un paziente, ma un essere umano, secondo una visione olistica dello stesso.Nell’ospedale organizzato per intensità di cura il persona-le infermieristico, grazie anche allo sviluppo che ha cono-sciuto la professione negli ultimi anni, diventerà di fatto il “gestore” dell’area della degenza, per cui sarà necessa-rio favorire e promuovere una presa in carico integrata del paziente, un’organizzazione del lavoro per processi, la re-alizzazione di un nursing avanzato.Agli albori dell’organizzazione ospedaliera per intensità di cura nel nostro Paese troviamo i dipartimenti chirurgici. Essi nascono con l’intento di organizzare l’attività di rico-

vero utilizzando la chiave di lettura del tempo di degen-za: Day Hospital, Week Hospital, alta intensità e terapia intensiva. Una tale lettura organizzativa non è però per-fettamente correlata con la reale intensità di cura richiesta dal paziente, ma rappresenta una chiara (a tutti) e sempli-ce approssimazione della lettura del bisogno del pazien-te. Ovviamente tale organizzazione era (ed è) applicabile principalmente ai presidi ospedalieri di piccole dimensio-ni (sotto i 250 posti letto), altrimenti all’interno delle Unità Operative o specialità sarebbero sempre possibili aggre-gazioni di nuclei con la stessa logica.Ecco allora la seconda premessa all’organizzazione dipar-timentale per intensità di cura: le dimensioni dei nosocomi analizzati. In Italia si presenta la situazione sotto riportata.Le dimensioni medie in Italia sono eccessivamente basse per assicurare efficienza economica e appropriatezza cli-nica, essenzialmente dovute alla limitata numerosità delle singole prestazioni. In questi casi una aggregazione per

tabella 1 – Strutture di ricovero pubbliche per classi di posti letto. Anno 2008

regione fino a 120 (%) 121-400 (%) 401-600 (%) 601-800 (%) 801-1500

(%)Oltre 1500

(%)totale strut-

ture

piemonte 17,5 40,0 30,0 10,0 2,5 0,0 40

Valle d`aosta 0,0 0,0 100,0 0,0 0,0 0,0 1

lombardia 9,7 38,7 9,7 14,5 25,8 1,6 62

prov. auton. bolzano 42,9 42,9 0,0 0,0 14,3 0,0 7

prov. auton. trento 44,4 33,3 11,1 0,0 11,1 0,0 9

Veneto 18,4 28,9 26,3 10,5 10,5 5,3 38

Friuli Venezia Giulia 25,0 56,3 6,3 0,0 12,5 0,0 16

liguria 25,0 0,0 25,0 33,3 16,7 0,0 12

emilia Romagna 11,1 33,3 11,1 22,2 14,8 7,4 27

toscana 35,7 31,0 23,8 2,4 2,4 4,8 42

Umbria 18,2 63,6 9,1 0,0 9,1 0,0 11

Marche 60,6 36,4 0,0 0,0 3,0 0,0 33

lazio 39,7 43,6 9,0 1,3 5,1 1,3 78

abruzzo 36,4 45,5 13,6 4,5 0,0 0,0 22

Molise 14,3 71,4 14,3 0,0 0,0 0,0 7

Campania 27,3 52,7 7,3 7,3 5,5 0,0 55

puglia 10,5 68,4 5,3 2,6 10,5 2,6 38

basilicata 33,3 55,6 0,0 11,1 0,0 0,0 9

Calabria 62,2 29,7 2,7 5,4 0,0 0,0 37

sicilia 43,5 40,6 8,7 4,3 2,9 0,0 69

sardegna 46,9 40,6 9,4 3,1 0,0 0,0 32

Italia 31,6 41,55 11,6 6,5 7,3 1,4 645

fonte – Ministero della Salute

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28 management per le professioni sanitarie

dISPeNSa Intensità di cura e complessità assistenziale

attività secondo la dimensione “tempo di degenza” po-trebbe essere facilmente implementata.Andiamo quindi a esplicitare questa prima dimensione or-ganizzativa: i posti letto della struttura analizzata. A secon-da del valore di questa dimensione si differenzia l’artico-lazione delle aree di assistenza omogenea in quanto: nei piccoli ospedali tali aree saranno in numero minore ma piùampieinterminidiprestazioniperspecialità;neigran-di ospedali, al contrario, le aree saranno in numero molto superiore (ovvero in corrispondenza ai dipartimenti con re-sponsabilità diretta di erogazione di cure) e maggiormen-te definite sotto il profilo scientifico disciplinare.Una seconda dimensione è la vocazione del presidio (ge-neralista vs. specialista, si pensi ad esempio a un istituto ortopedico o a una struttura specializzata nella diagnosi e cura dei tumori), a seconda della quale l’aggregazione organizzativa evidentemente si modifica.Nelle composizioni delle dimensioni organizzative indicate sopra si riproduce un unico elemento comune, che costituiva la prima premessa posta: il Dipartimento. Indicato come mi-nima aggregazione organizzativa efficiente anche dalla pro-posta di riforma sul governo clinico, secondo cui “l’organiz-zazione dipartimentale è il modello ordinario di gestione ope-rativa di tutte le attività delle Aziende Sanitarie Locali e delle Aziende Ospedaliere” (Principi fondamentali in materia di go-verno delle attività cliniche per una maggiore efficienza e fun-zionalità del Servizio Sanitario Nazionale, art. 7 comma 1), il Dipartimento rappresenta infatti l’elemento gerarchico mini-mo per applicare una organizzazione per intensità di cure.

tipologie di dipartimentiIl Dipartimento, che formalmente è definibile come un’aggre-gazione organizzativa di Strutture Complesse e Strutture Sem-plici, raggruppate in base all’affinità del loro sistema tecnico di riferimento o della loro interdipendenza nell’assistenza da erogare, deve essere costituito da Unità Operative omoge-nee, affini o complementari, che perseguono comuni finalità e sono quindi tra loro interdipendenti, pur mantenendo la pro-pria autonomia e responsabilità professionale. Le Unità Ope-rative costituenti il dipartimento sono aggregate in una speci-fica tipologia organizzativa e gestionale, volta a dare rispo-ste unitarie, tempestive, razionali e complete rispetto ai com-piti assegnati, e a tal fine adottano regole condivise di com-portamento assistenziale, didattico, di ricerca, etico, medico-legale ed economico (A.S.S.R., 1997).Attualmente non è ancora stata formalizzata una classifica-zione sistematica e quindi un elenco completo delle diver-se tipologie di dipartimento, tuttavia presentiamo qui di se-guitolecategoriepiùfrequentementeindicatedallalette-ratura1. Bisogna precisare inoltre come la diversificazione

1 per maggiori approfondimenti sul tema si rimanda a a.s.s.R., agenzia per i servizi sanitari Regionali, Il Dipartimento nel Servizio Sanitario Nazionale, Roma, 1996; e. an-neSSi PeSSina, e. Cantù, L’aziendalizzazione della Sanità in Italia, egea, Milano, 2002; s.

e la variabilità delle realtà locali renda in qualche modo limitativa qualsiasi tipo di classificazione, non riuscendo a comprendere tutte le possibilità e le sfaccettature esistenti.Una prima, elementare, classificazione divide i dipartimen-ti tra amministrativi e clinici, ovvero sulla base delle attività compiute dalle Unità Operative da cui sono composti.La principale suddivisione permette invece di dividere i di-partimenti tra strutturali e funzionali.Nei primi il criterio è centrato principalmente sulla produzio-ne sanitaria, ovvero vengono caratterizzati dall’omogeneità delle unità organizzative di appartenenza, dal punto di vi-sta delle attività, delle risorse umane e delle tecnologie im-piegate. Il termine strutturale è quindi da intendersi come ag-gregazione funzionale e, dove possibile, fisica che coinvol-ge unità con collocazione nella stessa area ospedaliera, in modo da favorire la gestione comune delle risorse umane, degli spazi, delle risorse tecnico-strumentali ed economiche.

tabella 2 – Principali caratteristiche dei dipartimenti funzionali e ge-stionali

dipartimento funzionale dipartimento gestionale

progettazione, realizzazione e verifica dei risultati dei protocolli diagnostici terapeutici, valutando anche le conse-guenze sul piano assistenziale.

produzione di prestazioni e di servizi assistenziali centrati sul bisogno della persona e caratterizzati da elevati livelli di appropriatezza, efficacia e di qualità tecnica.

individuazione degli indicatori per la valutazione dell’appropriatezza e dell’efficacia delle prestazioni.

organizzazione e gestione efficiente delle risorse assegnate in sede di nego-ziazione di budget.

Mantenimento e sviluppo delle cono-scenze e delle competenze tecniche e professionali che operano nel diparti-mento attraverso specifici programmi di formazione/aggiornamento e di ricerca clinica.

individuazione degli obiettivi da per-seguire, in coerenza con gli obiettivi indicati dalla direzione e, conseguen-temente, indicazioni delle modalità organizzative assistenziali e delle risorse necessarie per realizzare i livelli di assistenza concordati.

supporto alla gestione, nel rispetto dei principi di efficacia, dei percorsi di cura e degli aspetti socio-sanitari ad essi corre-lati, attraverso il coordinamento e l’inte-grazione tra le diverse fasi assistenziali ed i professionisti coinvolti.

la ricerca costante del miglioramento nell’uso delle risorse professionali, tecnologiche, logistiche e finanziarie assegnate.

Utilizzo razionale dei posti letto degli spazi per assistiti, e delle attrezzature, al fine di consentire qualità delle cure, efficienza nell’impiego di risorse e attenzione al paziente.

promozione di nuove attività o nuovi modelli operativi nel settore di com-petenza.

fonte – Rielaborazione da Pesaresi, 2000

I dipartimenti funzionali al contrario, aggregano Unità Operative non omogenee, multispecialistiche semplici e/o complesse, appartenenti contemporaneamente anche a di-partimenti diversi, al fine di realizzare obiettivi interdiparti-mentali e programmi di rilevanza strategica; in questo ca-so quindi il criterio di partenza è centrato sulla definizio-

baralDi (a cura di), L’organizzazione dipartimentale nelle aziende sanitarie, accademia nazionale di Medicina, Forum service editore, Genova, 2003; F. PeSareSi, I Dipartimenti Ospedalieri, la storia, i modelli regionali, i regolamenti, edizione asi, Roma, 2000.

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29management per le professioni sanitarie

dISPeNSaIntensità di cura e complessità assistenziale

ne di obiettivi comuni da realizzare. I dipartimenti posso-no poi avere una caratterizzazione di tipo verticale, qua-lora fossero intesi come organizzazioni con responsabilità ben definite rispetto alle unità che li compongono, oppure orizzontale, se costituiti da Unità Operative appartenenti a diversi dipartimenti verticali, anche afferenti ad aziende di-verse, con la funzione di coordinare unità che appartengo-no a uno stesso livello gerarchico.In base all’assetto di governo i dipartimenti si dividono poi in forti, se vi è una gestione gerarchica delle Unità Ope-rative di appartenenza, o al contrario deboli, se le Unità Operative mantengono una propria autonomia e vengono coordinate a livello trasversale.A seconda del coinvolgimento di Unità Operative ospeda-liere o territoriali si identificano poi i dipartimenti aziendali, costituiti da Unità Operative delle stessa azienda, rispetto a quelli interaziendali, derivati dall’aggregazione di Unità ap-partenenti ad aziende sanitarie diverse, con la finalità di ar-monizzare e coordinare attività clinico-assistenziali, di utiliz-zo efficiente e razionale delle tecnologie sanitarie, di man-tenere elevate le professionalità e di sviluppare le compe-tenze professionali, migliorando la qualità delle prestazioni. I primi possono poi essere di tipo ospedaliero (costituito esclusivamente da Unità Operative appartenenti all’ospe-dale), transmurale (costituito da unità intra ed extra ospe-dalieri facenti parte della stessa azienda), ad attività inte-grata o mista (costituito da unità ospedaliere e universita-rie). Alla tipologia interaziendale afferiscono invece i di-partimenti di tipo gestionale, in cui si realizza la gestione integrata di attività assistenziali appartenenti ad aziende sanitarie differenti, e tecnico scientifico, caratterizzato da una scarsa integrazione operativa e gestionale, ma con un ruolo di indirizzo e di governo culturale e tecnico di al-cuni settori sanitari (Ministero della Salute, 2007).

Perché il dipartimento?L’organizzazione autonoma delle discipline specialistiche ha indotto una dispersione delle risorse, con evidenti pro-blemi di gestione e di utilizzo integrato delle tecnologie e del personale di assistenza. La scelta del modello dipartimentale è quella che meglio sem-bra rispondere a queste esigenze, in quanto ridisegna l’assetto organizzativo ospedaliero tramite accorpamento di UU.OO. strettamente interrelate sul piano clinico e conseguente condivi-sione di risorse umane, fisiche e di know-how. Il dipartimento, dunque, si presenta come un’organizzazione destinata ad as-solvere il proprio specifico scopo mediante la gestione unitaria delle diverse componenti che la costituiscono.Il Dipartimento è inoltre luogo privilegiato per implementare un’organizzazione per PDT/PDTA, strumenti base per l’or-ganizzazione per intensità di cura. La valutazione infermie-ristica del bisogno di intensità assistenziale si configura co-me un elemento prognosticamente rilevante e rappresenta un driver di sicura utilità per l’équipe medica che orienta, di conseguenza, anche i propri comportamenti diagnostico-te-

rapeutici (C. Baiardi, Ospedale S. Martino Genova), allo-ra il PDTA deve tenerne necessariamente conto.Particolare attenzione deve essere posta alla forma pro-fessionale dell’organizzazione sanitaria, sia pubblica sia privata. L’organizzazione professionale secondo la sua te-oria (Mintzerg, 1983) vede un’attività collettiva realizza-ta da personale altamente qualificato e specializzato che si avvale di conoscenze, tecniche e metodologie difficili da apprendere e implementare, assorbite durante periodi di studio lunghi e complicati. I professionisti si sentono pri-ma di tutto dei membri della loro organizzazione profes-sionale (e.g. infermieri, tecnici di radiologia, tecnici del-la prevenzione), e solo in seguito si percepiscono dei pro-fessionisti dipendenti dell’ospedale X. Una organizzazio-ne professionale presenta serie difficoltà di gestione e di indirizzo, inoltre i classici strumenti di management del-le teorie aziendali falliscono frequentemente. Una qualsi-asi proposta organizzativa, anche banale, deve necessa-riamente assecondare le logiche dell’organizzazione pro-fessionale per essere accettata da tutte le professioni che compongono l’organizzazione stessa.All’interno del dipartimento si possono quindi creare le ba-si dell’organizzazione per intensità di cura attraverso la programmazione, la progettazione ed infine l’inserimen-to di aree omogenee per condividere PDT sui pazien-ti. Le aree omogenee sono state introdotte dalla norma-tiva per la prima volta con la legge regionale Toscana n. 40/2005, che al primo punto affermava che “…organiz-zazione funzionale per aree di assistenza omogenee co-stituite in modo da favorire la necessaria multidisciplinarie-tà dell’assistenza e la presa in carico multiprofessionale”.All’interno delle aree omogenee si possono creare delle aree omogenee assistenziali, basate sul carico di lavoro. Ad esempio i pazienti vengono allocati e riallocati nelle di-verse aree (alta-media-bassa complessità) delineate con il criterio dell’intensità di cura/complessità assistenziale in re-lazione alla valutazione clinico-assistenziale integrata d’ini-zio (presa in carico) inerente la tipologia di intervento chi-rurgico e le condizioni generali dell’assistito e di percorso (processi di assistenza), e inerente le necessità assistenzia-li nell’immediato e nel successivo post operatorio. In alcuni casi la permanenza dell’assistito in area ad alta complessi-tà si situa, mediamente, in un range temporale definito da 48 (minimo) - 72 ore (massimo) a seconda del grado di sta-bilità/instabilità delle condizioni cliniche e del carico assi-stenziale nel post operatorio, mentre la gestione dei letti vie-ne effettuata dall’infermiere, generalmente identificati come “Referenti di area”, e dall’infermiere coordinatore.

L’Ospedale G.B. morgagni - L. Pierantoni di forlìIl nuovo Ospedale Morgagni - Pierantoni di Forlì, inaugu-rato nel 2004, rappresenta un interessante esempio di in-tegrazione di un nuovo edificio ospedaliero, a un com-plesso preesistente, volto a riorganizzare l’intera struttura ri-spetto al modello organizzativo per intensità di cura.

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30 management per le professioni sanitarie

dISPeNSa Intensità di cura e complessità assistenziale

In passato il territorio di Forlì era caratterizzato dalla pre-senza di due principali strutture sanitarie pubbliche: il Mor-gagni e il Pierantoni. Alla fine degli anni ‘90 ha avuto ini-zio la riorganizzazione della rete ospedaliera che ha por-tato prima alla creazione dell’Azienda USL di Forlì, e, in seguito, alla suddivisione per competenze del Morgagni, a cui erano destinate l’emergenza, l’area di Chirurgica generale e la Medicina generale, e Pierantoni, a cui affe-rivano Chirurgia specialistica, Polo Oncologico, Materno-Infantile e Dipartimento Neuro-geriatrico-riabilitativo.Agli inizi del 2000, parallelamente alla costruzione del nuovo edificio, ha quindi preso forma la necessità di una riorganizzazione, in un’ottica di integrazione (amministra-tiva-verticale e clinica orizzontale), di organizzazione (pro-grammi e dipartimenti, budget e incentivi, organi di gover-no) e di istituzione (partecipata, aperta e agile).La strategia localizzativa ha privilegiato l’implementazione di un complesso centrale, che è diventato sede unica dell’O-spedale di Forlì grazie alla realizzazione di un nuovo edifi-cio situato in posizione centrale rispetto ai padiglioni esistenti.La nuova struttura è costituita da 2 piastre affiancate con-nesse da una piazza pubblica coperta, destinate l’una al-le attività ambulatoriali (per un totale di 65 ambulatori) per esterni, l’altra all’emergenza (inpatient); sopra quest’ultima si sviluppa la torre delle degenze, costituita da 350 posti letto (circa 64 per ogni piano di degenza) dotati di appa-recchiature per la terapia sub-intensiva. L’atrio d’ingresso, al pianoterra,distribuisceiflussiesterniversoareaaccoglien-za, accettazione sanitaria, CUP, bar e servizi commerciali. Il Pronto Soccorso dispone di 30 posti letto, dei quali 20 di Medicinad’urgenzae10perl’osservazionebreve,più13ambulatori dedicati; il Blocco Operatorio ha 8 sale, mentre la Terapia Intensiva è formata da 11 posti letto.

tabella 3 – Dimensionamento dei posti letto

totale generale posti letto 574 554

Di cui: anno 2004 anno 2007

0-3 gg. Medici 20 20 (di cui obi 12)

Medicina d’urgenza obi

gg. Chirurgici 33 20 Degenza breve

>15 gg. Medici 85 70 post-acuto

4-14 gg. (inappropriati secondo studio ReR) 16 2 post-acuto

fonte – Rielaborazione di dati aziendali

II nuovo padiglione è stato studiato con la finalità di ab-bandonare il ruolo generalistico proprio del vecchio ospe-dale, finalizzandosi per contro al trattamento e all’assisten-za high care dei pazienti con patologie acute, curati attra-verso percorsi personalizzati, con riferimenti sanitari certi e secondo processi di diagnosi e cura integrati. I pazien-ti con diagnosi non definite o non stabilizzati dal punto di vista clinico, che assorbono quindi gran parte delle risorse

specialistiche e richiedono assistenza intensiva, sono indi-rizzati a un percorso codificato che, oltre ad assicurare ri-sposta adeguata e trattamenti assistenziali appropriati al singolo caso, riduce l’uso improprio del Pronto Soccorso, l’utilizzo non ottimale dei posti letto e i trasferimenti interni.

Direttore Dipartimento

Coord. inf. emipiano

infermieri e oss

Direttore Medico(CDR)

Direttore Medico(CDR)

Direttore Medico(CDR)

Direttore inf.aziendale

Resp. inf.aziendale

figura 1 – Organigramma di un dipartimento tipo dell’Ospedale Mor-gagni – Pierantoni

fonte – Rielaborazione di dati aziendali

Gli elementi innovativi che caratterizzano la nuova orga-nizzazione consistono quindi in un superamento del “re-parto” così come tradizionalmente inteso, ai fini di una presa in carico globale del paziente, anche grazie all’as-segnazionedellivelloassistenzialepiùadeguatorispettoalla complessità dell’assistenza. Altra caratteristica è il mo-dello organizzativo di erogazione del processo assisten-ziale, che diviene di tipo professionale, nonché l’imple-mentazione e applicazione di Percorsi Diagnostico-Tera-peutico Assistenziali specifici per patologia.Prendendo ad esempio il Dipartimento collocato al 3° pia-no della torre, questo è costituito da un totale di 34 posti letto, di cui 20 dedicati alla Medicina Interna, 8 alla Ne-frologia e 6 alla Endocrinologia/Endocrinochirurgia, con una dotazione organica pari a 20 infermieri, 6 operatori socio-sanitari e un coordinatore.L’organizzazione prevede poi una divisione tra dipartimenti per acuti e per non acuti, in modo da garantire massima in-terdisciplinarietà e integrazione professionale degli operatori.

L’azienda Ospedaliera “alessandro manzoni” di LeccoUn’ulteriore interessante esemplificazione è data dalla strut-tura organizzativa dell’Ospedale di Lecco. A partire dai pri-mi anni del 2000, all’interno del nosocomio è stato porta-to avanti un processo si re-engeneering delle strutture sani-tarie che ha comportato una revisione dei modelli organiz-zativi, ma anche dei processi e delle procedure e, non da ultimo, delle relazioni tra professionisti. Tale processo è cul-minato con la creazione di dipartimenti gestionali interpresi-dio, che ha coinvolto i presidi di Lecco, Merate e Bellano.Il progetto, avviato a pieno regime nel 2004-2005, ha comportato un’assegnazione dei letti a livello dipartimen-

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31management per le professioni sanitarie

dISPeNSaIntensità di cura e complessità assistenziale

tale, con un’organizzazione per settori e la realizzazione di aree di degenza dipartimentali multispecialistiche, orga-nizzate secondo il nursing modulare.Le aree di degenza dipartimentali multispecialistiche sono state realizzate in cinque dipartimenti su sette (Chirurgico, Materno-Infantile, Cardiovascolare, Area Medica, Neuro-scienze); la strutturazione implementata è sintetizzata nel-la Tabella seguente.

tabella 4 – Aree di degenza dipartimentale nell’Azienda Ospeda-liera di Lecco

PreSIdIO dIPartImeNtO SPeCIaLItÀ SettOrI e POStI LettO

Merate di area Chirurgica e Materno-infantile

Chirurgia e Gine-cologia

area unica di 38 pl suddivisa in tre settori

lecco di area Chirurgica e Materno-infantile

Chirurgia Generale, Urologia, senologia, Ginecologia

area unica di 78 pl suddivisa in sette settori*

lecco di neuroscienze neurologia e neuro-chirurgia

area unica di 40 pl suddivisa in quattro settori

lecco di area Medica Medicina

• area unica di 60 pl suddivisa in cinque settori

• s.o.a.p. diparti-mentale con 30 pl suddivisa in tre settori

lecco Cardio-Vascolare Cardiochirurgia e Chirurgica

• area subintensiva dipartimentale di 8 pl suddivisa due settori

• area cardiologia con 24 pl suddivisa in tre settori

• area riabilitativa in un’unica area di 44 pl suddivisa in quattro settori

* in fase di revisione

fonte – Rielaborazione di dati aziendali

Proprio per la peculiarità del modello applicato, in que-sta rivista sarà presente un approfondimento in merito al-la strutturazione dipartimentale dell’Azienda Ospedaliera di Lecco. Si rimanda nello specifico all’intervista condotta con la Dott.ssa Anna Cazzaniga, Responsabile del Servi-zio Infermieristico, Tecnico, Riabilitativo Aziendale.

L’azienda Ospedaliera Universitaria meyer di firenze2

Non da ultimo risulta essere interessante anche il modello dipartimentale implementato all’interno dell’Azienda Ospe-daliera Universitaria Meyer. Struttura di non grande dimen-sioni (180 posti letto complessivi di cui 45 di Day Hospital medici e chirurgici, 72 di area medica, 40 per le specia-lità chirurgiche, 23 di terapia intensiva neonatale e pedia-

2 le informazioni riportate nel presente paragrafo sono tratte dall’atto aziendale e dal sito ufficiale http://www.meyer.it

trica e con un DEA di secondo livello), ha dato avvio il 1° gennaio 2005 alla sperimentazione relativa al nuovo mo-dello organizzativo per la gestione delle degenze mediche per intensità di cure e su base dipartimentale, con l’obiettivo di porre il bambino e la sua famiglia al centro dell’iter dia-gnostico-terapeutico, attorno al quale ruotano gli specialisti.Dal 2004, è giuridicamente costituita in Azienda Ospeda-liero-Universitaria (di seguito AOU), e il suo funzionamento è impostato secondo un modello organizzativo dipartimen-tale che ha convalidato l’attivazione di Dipartimenti esclu-sivamente ad Attività Integrata, in ciascuno dei quali vi è una compartecipazione dei professionisti, sia universitari sia ospedalieri, al processo decisionale, secondo i propri ambiti di responsabilità, al fine di assicurare l’esercizio in-tegrato delle attività assistenziali, didattiche e di ricerca.L’azienda è quindi costituita da cinque Dipartimenti ad Attività Integrata (DAI), di cui tre a direzione universitaria e due a direzione ospedaliera. In ciascuno di essi, oltre al Direttore di Dipartimento, è costituito un Comitato di Dipartimento, di cui sono membri di diritto i responsabili delle strutture complesse e delle strutture semplici diparti-mentali, il coordinatore del personale infermieristico e, se presente, il responsabile del personale tecnico-sanitario.All’interno del DAI di Pediatria Internistica, è attivata una struttura complessa a direzione ospedaliera, denominata Pediatria Medica: ad essa afferisce tutta l’attività di de-genza ordinaria di questa area: sia quella non program-mata, e pertanto direttamente proveniente dal Pronto Soc-corso o trasferita dall’accettazione, sia quella programma-ta, e quindi indirizzata da tutti gli specialisti delle cliniche. La strutturazione della U.O. è avvenuta riunificando in es-sa tutti i posti letto precedentemente suddivisi tra le diverse Cliniche Universitarie e le UU.OO. specialistiche.La sperimentazione ha trovato la sua motivazione in alcuni principi alla base del governo clinico dei percorsi assisten-ziali finalizzati all’appropriatezza e qualità, in grado quin-di di offrire risposte ai bisogni che percepisce ed esprime l’utenza, in questo caso pediatrica. Oltre a considerare il piccolo paziente il centro di ogni intervento diagnostico-terapeutico attorno al quale ruotano gli specialisti clinici e dei servizi, con questo modello organizzativo si punta per-ciò ad evitare la frammentazione delle cure e il disorien-tamento del bambino e della sua famiglia. Grazie a que-sto sistema, inoltre, è possibile garantire la presa in cari-co globale del bambino e non solo della sua patologia; favorire il continuo colloquio e confronto tra gli specialisti dell’ospedale a vantaggio della gestione multiprofessiona-le della casistica complessa; limitare il ricorso alla degen-za ospedaliera ai casi e alle giornate giustificate dalla si-tuazione di acuzie e dal carico assistenziale, favorendo il rapido passaggio ad altre forme di assistenza (Day Hospi-tal, ambulatorio, Assistenza Domiciliare Integrata) e porre maggiore cura alla comunicazione con i Pediatri di Libera Scelta (PLS) per il trasferimento delle conoscenze sui tratta-menti effettuati ai loro piccoli pazienti.

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dISPeNSa Intensità di cura e complessità assistenziale

Tra i posti letto di questa U.O., inoltre, sono individuati an-che un certo numero di postazioni attrezzate per cure su-bintensive, il cui utilizzo avviene in stretta collaborazione con gli specialisti rianimatori e neonatologi delle UU.OO. di Terapia Intensiva. Questa ulteriore esperienza assisten-ziale ha consentito di trovare risposta ad alcune situazio-ni critiche da sempre esistenti, ovvero garantire che il rico-vero del paziente sia effettuato nelle aree appropriate al-le sue esigenze di intensità di cura; favorire la dimissione tempestiva dalle UU.OO. intensive appena le condizioni cliniche lo rendono possibile; qualora necessario, accom-pagnare il percorso del termine delle cure dei pazienti ter-minali in un contesto meno disturbato dalle esigenze tera-peutiche intensive degli altri pazienti ricoverati.I pediatri internisti dovrebbero inoltre garantire che al mo-mento dell’ingresso siano unificate tutte le informazioni re-lative al paziente e provenienti dal PLS e/o dalle strutture specialistiche ospedaliere che già lo conoscono; per con-tro, i medici internisti curano al momento della dimissione il passaggio delle informazioni al PLS e, quando necessa-rio, accompagnano la presa in carica da parte dei setto-ri specialistici che dovessero curare la conclusione dell’iter diagnostico terapeutico o il follow-up del bambino.Nel regolamento del DAI di Pediatria Internistica sono stati inoltre puntualizzati tutti gli aspetti organizzativi delle relazioni tra professionisti generalisti e specialisti. Di pa-ri passo, tra i punti cardine del percorso va segnalata la valorizzazione degli incarichi professionali a tutti i livelli, con particolare riguardo a quelli di alta specializzazio-ne, identificati come responsabilità di attività professio-nale o settori interni alle strutture organizzative e ai quali viene riconosciuto, anche negli Atti di programmazione e riorganizzazione dipartimentale, il significato di incari-chi di “rilevanza aziendale”.

ConclusioniÈ importante notare come il processo di strutturazione di-partimentale possa essere innescato attraverso lo svolgi-mento di attività di revisione della struttura organizzativa o prendendo in considerazione nuovi percorsi, nonché l’im-plementazionedidifferentiflussidiattività.Ciòsoprattuttopergarantireunamaggioreflessibilità,chein altre modalità è impossibile da garantire.Tale situazione crea indubbiamente un vantaggio e la pos-sibilità di una maggiore condivisione, se si definiscono e si comunicano compiutamente gli obiettivi della struttura. Il fine ultimo, quindi è soprattutto una maggiore omogenei-tà di comportamento e una migliore gestione complessiva.Ciò però, non sempre è verificabile e verificato: il diparti-mento può essere paragonato a un condominio; laddove il condominio ha delle regole ben condivise che tutti seguono e rispettano, la gestione complessiva è ottimale e minimiz-za gli sprechi. Quando invece è l’individualità che regna sovrana e ciascun condomino vuole raggiungere prima un vantaggio personale, e una minor fatica, rispetto al bene e

alla tranquillità di tutti, gli sprechi aumentano, i rifiuti aumen-tano e così anche i costi di gestione. Questi sono gli aspetti gestionalmentepiùrilevantichepossonoessereminimizzatisolo attraverso una organizzazione condivisa e una ottima-le comunicazione delle regole. Il controllo attento e la defi-nizione di corretti obiettivi potrebbero divenire un supporto alla strutturazione organizzativa adeguata.Il fatto poi che le dimensioni divengono maggiori, implica una maggior fatica nella gestione dei posti letto dipartimentali e degli specialisti che, alternandosi, si occupano del paziente. Queste aumentate dimensioni necessitano di forti modifiche or-ganizzative strettamente correlate al grado di complessità.Le parole d’ordine necessariamente divengono: integrazio-ne, condivisione, formazione, comunicazione.In questo senso un supporto di integrazione e comunica-zione, come implementato in alcune strutture, è quello dei briefing mattutini tra personale medico e assistenziale o tecnico, in modo tale che le diverse discipline presenti all’interno delle aree omogenee non si trovino in sovrappo-sizione e possano così organizzare il lavoro in parallelo.Per rendere possibile questo modello e per vincere questa sfida organizzativa, diviene, però, necessaria la corretta e globale formazione del personale. L’infermiere tutor as-sume quindi un ruolo essenziale per l’inserimento nell’orga-nizzazione dei professionisti infermieri e tecnici. A questo proposito la attenta valutazione e il periodo di affianca-mento devono essere congruenti con le competenze e so-prattutto con le esperienze pregresse del personale che va a costituire l’organico della nuova struttura organizzativa. Questi sono aspetti assolutamente primari e imprescindibili se si vuole garantire un buon funzionamento complessivo e una soddisfazione dell’utente interno: elemento che ha un riscontro anche sull’immagine data al paziente del diparti-mento e del lavoro che in esso viene condotto.

BibliografiaA.S.S.R - Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali, Il dipar-timento nel Servizio Sanitario Nazionale in “Progettare per la Sanità”, 37, gennaio/febbraio 1997.inStitute oF meDiCine, Guidelines for Clinical Practice. From development to use, Washington DC: National Academy Press, 1992.miniStero DeLLa SaLute (Dipartimento della Qualità, Direzio-ne Generale della Programmazione Sanitaria, dei Livelli di Assistenza e dei Principi Etici di Sistema), I dipartimen-ti ospedalieri nel Servizio Sanitario Nazionale - Rapporto sulla indagine nazionale, ottobre 2007.mintzberG H., Structure in fives. Designing Effective Orga-nizations, Englewood Cliffs, Prentice-Hall 1983; trad. it. La progettazione dell’organizzazione aziendale, Il Muli-no, Bologna, 1985.peSareSi F., I Dipartimenti Ospedalieri, la storia, i modelli re-gionali, i regolamenti, Edizione ASI, Roma, 2000.riCCiarDi W. e La torre G., Health Technology Assessment. Principi, dimensioni e strumenti, SEEd Editore, 2010.

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dISPeNSaIntensità di cura e complessità assistenziale

Nuovi ospedali e intensità di cura: criticità e opportunità

Il momento di tensione e cambiamento che vivono oggi tut-te le realtà sanitarie del nostro Paese, ha imposto la ricerca di nuovi modelli organizzativi in grado di fornire una rispo-sta adeguata e coerente ai bisogni e alle esigenze in con-tinua evoluzione di medici, professionisti sanitari e utenti.Questa ricerca di forme organizzative diverse, come si ha avuto modo di leggere nel presente lavoro, si sposa con i nuovi dettami normativi che identificano innovativi modi di concepire i nosocomi dal punto di vista organizzativo, e che sono finalizzati a dare al paziente ciò di cui ha biso-gno, combinando la tradizionale esigenza di appropria-tezza clinica con quella, oggi maggiormente sentita, di appropriatezza organizzativa.In questo scenario di cambiamento, la riorganizzazione del-le attività ospedaliere per “intensità di cura” appare essere laformaorganizzativachepiùdialtrestaprendendopie-de, fornendo una risposta concreta all’esigenza di incre-mento sia della complessità clinica di pazienti con eleva-ti gradi di instabilità, sia assistenziale dovuta alla significa-tiva presenza di pazienti anziani comorbosi (Lega, 2010).Lalogicaèsemplice:nonsicercapiùdicollocareilpazien-te per patologia principale, avvalendosi della collaborazione di altri professionisti di patologie concomitanti. Il modello per intensità di cura vuole invece ammettere il paziente nel punto incuil’intensitàdicuradellostessoèpiùrappresentata.Saràpoi compito dei medici e dei professionisti ruotarvi intorno.La diffusione di questo modello sembra essere imputabile al fatto che l’ospedale del sapere, basato su competenze e professionalità specialistiche, come già avuto modo di sottolineare nella presente Dispensa, pur restando una ba-se fondamentale per la ricerca di nuove forme organizzati-ve, ha perso di centralità, favorendo una transizione verso un ospedale maggiormente organizzato attorno al pazien-te,perchéingradodirispondereinmanierapiùpuntualeallo sviluppo epidemiologico e demografico della popola-zione ospedaliera (Moroni et al., 2011).Ferme restando le considerazioni espresse finora, l’eviden-za empirica ha di recente messo in luce delle problematiche connesse al progressivo allargamento di questo modello or-ganizzativo, fornendo un’opportunità di analisi critica dello stesso al fine di evidenziarne punti di forza e di debolezza.Atalpropositounaprimariflessionechedeveesserenecessa-riamente valorizzata è di natura accademica: la letteratura in-segna che la buona riuscita di un cambiamento, soprattutto nel caso di un cambiamento organizzativo, non può prescinde-re da alcuni elementi chiave (Ansoff, 1984; Rebora, 2001).

L’aspetto basilare è rappresentato dalla pianificazione del progetto: il successo di un cambiamento richiede un ade-guato assetto delle risorse aziendali, in termini di tecno-logia, finanza, capacità e conoscenze incorporate nel-le strutture e nel personale. È inoltre essenziale che il cambiamento sia guidato da un leader forte e riconosciuto dal team chiamato a pianificare e implementare nel con-creto il cambiamento, in modo tale da creare una guida centrale, unitamente a diffuse responsabilità periferiche.Da ultimo la bontà di un percorso di riorganizzazione non può prescindere anche da un’informazione trasparente ed estesa, che consenta l’accettazione dello stesso da parte di tutta l’organizzazione (Massazza et al., 2010).Se prendiamo in considerazione un progetto di riorganizza-zione per intensità di cura, coerentemente con quanto propo-sto dalla letteratura, buona prassi si rivela essere quindi un’at-tenta pianificazione del processo di cambiamento. In altri ter-mini è importante che le Direzioni, interessate a intraprendere questo tipo di cambiamento, dedichino del tempo all’analisi e alla progettazione dello stesso attraverso la valutazione di molteplici dimensioni critiche necessarie all’accettazione da parte di tutta l’organizzazione di questo nuovo modello cli-nico-assistenziale che individua proprio nell’approccio multi-dimensionale e multi- professionale il suo aspetto peculiare.È chiaro che una pianificazione puntale non si deve limitare poi a tradursi in una mera implementazione ope-rativa di quanto previsto a livello teorico dal modello stan-dard. Del resto proprio le esperienze fornite da diversi no-socomi che hanno da qualche tempo introdotto questa nuova logica organizzativa all’interno delle proprie strut-ture, testimoniano come fondamentale si rivela essere sia una decisione ferma ed estrema di volere e dovere rimet-tere in discussione tutto, senza lasciare niente di inaltera-to, sia una rimodulazione e un dimensionamento dei pro-blemi che un simile cambiamento comporta.È opinione diffusa, infatti, che ogni realtà sia contraddistinta da peculiarità proprie. Pertanto se la coerenza del modello non viene messa in discussione, perché esso possa effettivamente migliorare la qualità e l’efficienza di un’organizzazione, è necessario apportare modifiche e cor-rezioni consone alle specificità delle singole strutture.Altro aspetto che si rivela essere necessario, come ricordato in precedenza, è rappresentato dallo spirito di collaborazio-ne dal quale dipenderà l’effettiva accettazione e applicazio-ne del modello. Per mettere a frutto e rendere efficiente un’or-ganizzazione per intensità di cura, che sotto certi aspetti po-

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dISPeNSa Intensità di cura e complessità assistenziale

trebberivelarsiesserepiùcostosadelvecchiomodello,èin-dispensabile realizzare una vera rete tra le strutture sanitarie presenti sul territorio, una collaborazione organica con il pa-ziente al centro tra realtà che erogano differenti prestazioni.In mancanza di questa rete collaborativa, essenziale a garantire l’implementazione dell’intensità di cura attraver-so una lettura globale, il rischio è che l’intero sistema si in-toppi e sia così destinato al fallimento, dal momento che le strutture non saranno in grado di ammettere il paziente nel modo corretto. Obiettivo di questo spirito di collabora-zione diviene quindi quello di riguadagnare all’esterno, la flessibilitàchesivaperdendoall’internopernondiminuirel’alto livello di qualità di cura in tutto il sistema.Altra criticità che è necessario affrontare nel passaggio a questo nuovo modello organizzativo è una condivisione delle scelte e decisioni tra tutti i professionisti. Nel presen-te numero, in particolare, si ha avuto modo di spiegare le diverse declinazioni date al concetto di intensità di cura da parte di medici e altri professionisti sanitari, infermieri in primis, che anche a livello concettuale si traduce nell’u-tilizzo di due diversi termini: intensità di cura versus com-plessità assistenziale. Proprio all’interno di questa contrap-posizione terminologica si inserisce il dibattito secondo il qualel’ospedalenonsiapiùdeimedici,madegliinfer-mieri,invirtùdelcaricoassistenzialelororichiestoafavo-re dei pazienti. Nella realtà dei fatti, si è convinti che que-sta diatriba non abbia nessun fondamento, perché non è pensabile che la responsabilità clinica di un paziente non sia del medico. Compito dell’infermiere, all’interno di que-sto processo di cambiamento, è quello di acquisire la ca-pacità di dare una risposta organizzativa coerente alle re-ali necessità di assistenza dei pazienti, ovvero occuparsi di quella che in precedenza si è chiamata appropriatezza organizzativa. Ecco quindi che il paziente torna a essere il centro di tutto, e quindi con il passaggio a un modello per intensità di cura si ha la concreta possibilità di dare una ri-sposta ai nuovi bisogni di pazienti e utenti.Analizzate le principali criticità e opportunità che il mo-dello per intensità di cura comporta, un altro aspetto su cuiriflettereèrappresentatodalsupportoall’implementa-zioneoperativadellostessofornitodall’analisideiflussi.Quest’ultima infatti, se accompagnata da una lettura at-tenta dei dati di ricovero, è in grado di fornire rilevanti feedback per un dimensionamento dei posti letto che ten-ga conto sia dei criteri di accreditamento sia dell’attività effettivamente svolta (Moroni et al., 2011).Ultimo aspetto da considerare ai fini dell’effettiva utilità di ri-correre a questa nuova forma organizzativa, è rappresen-tato dall’importanza che questo percorso che si realizza in ospedale trovi poi una continuità nel territorio. A tal proposito aspetto cruciale diviene quello delle dimissioni protette. Una volta che l’ospedale ha espletato il suo servizio, diviene fon-damentale che il territorio sia pronto ad accoglierlo. Di fron-te a questa esigenza, negli ultimi anni, diverse sono state le esperienze e le soluzioni proposte a livello territoriale. Si pen-si ad esempio all’ospedale per acuti, super acuti e a basso

livellodiassistenza,sinoadarrivareallapiùattualemoda-lità di cure sub acute, ossia di un livello di ricovero in struttu-ra a bassa complessità assistenziale e quindi anche tenden-zialmente a basso costo che permette di ricoverare quei pa-zienti, solitamente ricoverati in Medicina Generale, dopo che hanno usufruito di un trattamento giunto alla conclusione, ma che non sono ancora dimissibili a domicilio, necessitando di trattamentidinaturaperlopiùassistenziale.Il presupposto di partenza all’interno di questo percorso di riorganizzazione dei nosocomi secondo i dettami dell’in-tensità di cura è lo sviluppo di progetti finalizzati ad aiu-tare le persone e che quindi assicurino una completa pre-sa in carico del paziente, dall’ingresso in ospedale sino al ritorno al domicilio. Di fronte quindi a un cambiamento demografico, che vede un incremento di pazienti anziani cronici e pluripatologici e come conseguenza diretta an-che un cambiamento in quelli che sono i loro primari biso-gni di salute, gestire una completa presa in carico dei pa-zienti significa superare le pareti dell’ospedale. Un ospe-dale per acuti opererà in maniera efficiente solo se per-metterà un inquadramento perfetto dei pazienti che arriva-no, ovvero se esiste un sistema di supporto adeguato che garantisca la permanenza in ospedale non come fine del-la cura e dell’assistenza, ma come un intervallo all’interno diunpercorsopiùglobaledicuraediassistenza.Il processo di riorganizzazione per intensità di cura, in conclusione, non deve chiudersi quindi alle porte dell’o-spedale, ma deve essere pensato alla luce del passaggio successivo, il legame con il territorio. Tutto ciò implica la necessitàdiaffrontareunproblemadinaturapiùchealtrocomunicativa e informativa. Solo una comunicazione co-stante e trasparente tra i professionisti permetterà di garan-tire continuità a ciò che inizialmente era stato disegnato come un progetto organico, senza correre il rischio che es-so rimanga un mero collage discontinuo, poco in grado di offrire e costruire risposte efficaci e di qualità per gli utenti.

BibliografiaanSoFF I., Implanting Strategic Management, Prentice/Hall International Inc., 1984.LeGa F., Intensità di cure versus complessità dell’assistenza, in Atti del Convegno. Il modello assistenziale per intensità di cu-re nel nuovo ospedale: aspetti teorici e applicativi, 2010, Ber-gamo.maSSazza G., anDrion a., Gerbi r., bonFanti m., CaSarteLLi L., CroCe D., FoGLia e. e porazzi e., L’esperienza Week Hospital dell’Azienda Ospedaliera CTO – Maria Adelaide di Torino: dal cambiamento organizzativo al consolidamento delle atti-vità, in “Tendenze nuove”, 2010, 6, pp. 457-474.moroni p., CoLnaGhi e., bonFanti m., CaSarteLLi L., Cro-Ce D., FoGLia e. e porazzi e., Nuovi “modelli modulari di cura”: l’intensità di cura a dimensione variabile. Il caso dell’Azienda Ospedaliera di Desio e Vimercate, in “Sani-tà Pubblica e Privata”, 2011, 3, pp. 46-57.rebora G., Manuale di organizzazione aziendale, Caroc-ci, Roma, 2001.

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35management per le professioni sanitarie

dISPeNSaIntensità di cura e complessità assistenziale

Intensità di cura e complessità assistenziale

Che cosa sono e perché nascono?L’intensità di cura e la complessità assistenziale rappresen-tano modalità differenti rispetto all’attuale organizzazione ospedaliera di approccio al paziente acuto.Caratteristica peculiare di tale modalità organizzativa è proprio la multidimensionalità dell’approccio che ne sta al-la base. Le stesse, infatti, si distinguono attraverso un crite-rio, tarato principalmente sui bisogni dei pazienti (i.e. cli-nico di multispecialità, valutazione di carico assistenzia-le, stabilizzazione delle condizione cliniche), e per questo vengono definite anche patient-oriented.I modelli basati sull’intensità di cura e complessità assistenzia-le nascono per rispondere organizzativamente ai bisogni di un paziente tipicamente comorboso, condizione che caratte-rizzeràsemprepiùlepopolazionieuropeeenordamerica-ne, destinate a una progressiva crescita della popolazione anziana rispetto alla popolazione di età inferiore a 45 anni. Intensità di cura e complessità assistenziale non sono però di sempre facile applicazione, in quanto la notevole varie-tà e complessità esistente tra pazienti (i.e. per risposta al-le cure, per differente approccio culturale, per diversità di condizioni cliniche) richiede molteplici approcci di cura e assistenza. La parità di bisogni, pertanto, rimane esclusi-vamente teorica, facendo risultare difficoltosa la formula-zione di risposte organizzative adeguate.Il primo approccio dell’attività ospedaliera per intensità di cura intende valutare i bisogni essenzialmente clinici, di diagnosi e cura, generando un percorso clinico che può prevedere o meno l’intervento di specialisti di diverse bran-che (ad esempio, di medicina interna e cardiologia). Il pa-ziente è sempre comunque a carico di una Unità Opera-tiva. In questo contesto, però, pazienti non clinicamente stabili o con diagnosi incerte, o ancora con complicanze post ricovero generano difficoltà dal punto di vista orga-nizzativo per la presa in carico.La seconda modalità, basata sulla complessità assistenziale, invece, intende valutare i bisogni del paziente in termini di assistenza (e.g. carico assistenziale) richiesta, attraverso una valutazione infermieristica, generando quindi un’asse-gnazione (anche di posto letto) che tenga conto del carico di lavoro del modulo infermieristico o dell’area alla quale il paziente viene assegnato. La complessità assistenziale viene perciò espressa in termini di intensità d’impegno e quantità di lavoro richiesta all’infermiere. Anche in questo caso, difficoltà organizzative possono scaturire dalla pre-senza di pazienti non clinicamente stabili o con diagnosi incerte, oppure complicanze post ammissione.I due concetti, intensità di cura e complessità assistenzia-le, vissuti inizialmente come contigui, non sono sempre so-

vrapponibili. Non sempre a un elevato bisogno di cure cor-risponde un’elevata necessità di assistenza, così come, al contrario, non sempre soggetti che richiedono elevati livel-li di assistenza necessitano di cure elevate. Alla luce di ciò, diviene necessario che queste due tipologie di bisogno va-dano analizzate separatamente, possibilmente in team, per poi produrne una sintesi (concetto ben espresso dalla lingua inglese, che differenzia i termini “cure” e “care”).Anche se molto spesso, nella reale pratica clinica e assisten-ziale, tali concetti possono coincidere, vale a dire il paziente che presenta un bisogno di intensità di cura elevato spesse vol-te è caratterizzato anche da una complessità assistenziale al-ta, non sempre è così. Si pensi, ad esempio, a taluni pazienti ricoverati in Residenze Socio Assistenziali - RSA che richiedono complessità assistenziale alta, ma intensità di cura bassa, op-pure, al contrario, pazienti in osservazione fast track dopo in-tervento chirurgico che necessitano di un basso livello di com-plessità assistenziale con un’elevata intensità di cura.La tabella seguente aiuta ad esemplificare il concetto.

tabella 1 – Esempi di attività a differente impegno di cure e care

Prospetto dell’appropria-

tezza nell’eroga-zione dei servizi

Care

Bassa Intermedia alta

Cure

Bassa ambulatori assistenza Domiciliare

lungodegenza,Rsa, Country hospital

IntermediaWeek hospitalDay hospitalDay surgery

Ricoveri ordinariWeek hospital Unità spinali

alta Fast track terapie sub-intensive terapie intensive

dove si applica e con quali condizioniOccorre prima di tutto precisare che il modello organizza-tivo per intensità di cure è essenzialmente ospedaliero e per questo motivo si applica quasi esclusivamente alle pro-fessioni infermieristiche.L’organizzazione così impostata richiede una struttura mu-raria particolare: occorre una condivisione di alcuni ser-vizi comuni e gli spazi devono consentire l’aggregazio-ne delle attività. I nuovi nosocomi basati sul concetto di in-tensità di cura prevedono, inoltre, il superamento comple-to, o meglio la cancellazione, delle specialità a favore di un’aggregazione dei posti letto in strutture organizzative che ne comprendano un numero piuttosto elevato.Se per intensità di cura/complessità assistenziale usiamo la proxy della durata della degenza, e forniamo un’esemplifi-cazione relativamente alle attività chirurgiche, allora a una bassa complessità potrebbe corrispondere la Day Surgery,

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dISPeNSa Intensità di cura e complessità assistenziale

alla media intensità la Week Surgery, mentre l’alta comples-sità, la degenza, ricomprenderebbe tutti i pazienti non rien-tranti nelle prime due categorie. Ecco quindi una semplice spiegazione di come, aggregando in un dipartimento chi-rurgico questo tipo di organizzazione, si venga a costitui-re un primo nucleo di attività basato su un’organizzazione senza le specialità. L’esempio sopra descritto risulta comun-que essere solamente parziale, in quanto l’intensità di cura a volte richiede l’intervento in un percorso clinico di specia-lità non inserite in un dipartimento chirurgico classico.Le condizioni applicative necessarie per far funzionare al me-glio una tale organizzazione ospedaliera impongono inoltre una chiara identificazione, e una conseguente condivisione, di percorsi clinico-assistenziali (i cosiddetti PDT/PDTA) tra aree omogenee, in grado di favorire e incrementare un altro ele-mento fondamentale, ovvero la creazione di un robusto e pro-ficuo collegamento con il territorio, strutturato per percorsi e/o attraverso i principi dell’Assistenza Domiciliare Integrata - ADI.Ulteriore elemento essenziale a completamento di tale mo-dello organizzativo è la stabilizzazione del paziente; ciò comporta la predisposizione di un modello di Pronto Soc-corso all’interno del quale si possa valutare e stabilizzare il paziente, se non addirittura prenderlo in carico (tramite l’as-segnazionedipostilettodedicati)perperiodipiùlunghi.

ma… come si fa?Numerosi sono gli studi e i metodi sperimentali utilizzati per misurare la necessità di risorsa infermieristica idonea a soddisfare i bisogni del paziente, ciascuno dei quali ha sviluppato approcci metodologici e concettuali propri.Nel nostro Paese, in particolare, poche metodologie e po-chi strumenti sono riusciti ad affermarsi e a ottenere una re-lativa divulgazione, e solo negli ultimi anni si sono sviluppa-te ricerche e metodi propri nella e per la nostra realtà, frutto principalmente dell’esigenza di rendere visibile la compo-nente infermieristica, restituendole il suo reale “peso”, e del-la necessità di adottare strumenti scientifici e specifici di mi-surazione dell’attività assistenziale che permettano di identi-ficare un linguaggio comune a livello professionale.La complessità assistenziale viene generalmente definita te-nendo in considerazione tre variabili principali:1. la stabilità/instabilità clinica della persona;2. la capacità dell’assistito di definire le proprie necessità

escegliereicomportamentipiùidonei;3. la possibilità della persona di agire autonomamente e

in maniera efficace.Come già illustrato nel dettaglio nella presente dispensa, i sistemi di valutazione della complessità assistenziale del paziente sono riconducibili a tre principali criteri, ovvero il profilo del paziente, gli indicatori di assistenza e la docu-mentazione delle attività svolte.

La condizione applicativa principaleL’organizzazione professionale secondo la sua teoria (Mintzberg, 1983) vede un’attività collettiva realizzata da personale altamente qualificato e specializzato che si av-

vale di conoscenze, tecniche e metodologie difficili da apprendere e implementare, assorbite durante periodi di studio lunghi e complicati. Il settore sanitario rientra a pie-no titolo in questo tipo di organizzazione professionale in quanto incentrata sul servizio alle persone.Il nucleo operativo rappresenta la componente fondamenta-le dell’organizzazione, composto da professionisti che svol-gono le attività con notevole autonomia e alto livello di re-sponsabilizzazione. Di conseguenza, si verifica un gene-rale appiattimento delle linee gerarchiche e una limitazio-ne nel ruolo di coordinamento del management intermedio. L’agiredeiprofessionistièinfluenzatodanormeecriteripro-pri della professione, definiti e valutati da un punto di vista esterno all’organizzazione sanitaria (Rebora, 2001). Le figure di alta direzione hanno quasi sempre una speci-fica competenza professionale e provengono dai ranghi dei professionisti. Questi ultimi si sentono prima di tutto de-gli ortopedici, dei pneumologi, dei cardiologi e solo in se-guito si percepiscono dei professionisti dipendenti dell’a-zienda ospedaliera per cui lavorano.

tabella 2 – Vantaggi e svantaggi legati alla forma organizzativa pro-

fessionale

Vantaggi Svantaggi

Responsabilizzazione dei professionisti Difficoltà di coordinamento tra gli specialisti

Conduzione partecipata e democratica dell’attività lavorativa

abuso della discrezionalità inerente i compiti professionali

assegnazione di forte autonomia autoreferenzialità e scarso interesse per le innovazioni

fonte – Rielaborazione da Rebora (2001)

Una struttura organizzativa come quella descritta presen-ta serie difficoltà di gestione e di indirizzo, inoltre in essa i classici strumenti di management delle teorie aziendali falliscono frequentemente. Per darne un’esemplificazione pratica, in un contesto tipicamente industriale il know-how di produzione è dell’azienda stessa e quando il dipenden-te decide di cambiare lavoro l’azienda continuerà a pro-durre secondo i percorsi di conoscenza che negli anni ha sviluppato. In Sanità questo non si verifica: il know-how è del professionista e se lo stesso non l’ha trasferito ad altri membri del team, all’eventuale dipartita del professionista consegue un impoverimento della tecnica (Rebora, 2001). In conclusione, sono due le linee guida da seguire per il rin-novamento della forma professionale e consistono (i) in una maggiore integrazione della professione nell’organizzazio-ne aziendale e (ii)nellagestionepiùdinamicaecompetiti-va degli sviluppi professionali e della carriera (ibidem).

Bibliografia mintzberG h., Structure in fives. Designing Effective Organiza-tions, Englewood Cliffs, Prentice-Hall, 1983; trad. it. La progetta-zione dell’organizzazione aziendale, Il Mulino, Bologna, 1985.rebora G., Manuale di organizzazione aziendale, Caroc-ci, Roma, 2001.

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aPPrOfONdImeNtICritical Pathway: creazione, implementazione e sperimentazione. Un esempio in area cardiologica

Critical Pathway: creazione, implementazione e sperimentazione. Un esempio in area cardiologicadi Maurizio Ghidini*, Francesca Castelvedere**

IntroduzioneL’invecchiamento della popolazione e l’aumentata soprav-vivenza a seguito di infarto miocardico acuto (IMA), han-no portato a un rapido incremento del numero di perso-ne con scompenso cardiaco cronico, con un concomitan-te aumento del numero di ospedalizzazioni per aggrava-mento dello scompenso. La coronaropatia rappresenta la causa di scompenso acuto nel 60-70% dei casi, in parti-colar modo nella popolazione anziana, laddove nei sog-gettipiùgiovaniloscompensocardiacoacutoèspessoconseguenza di cardiomiopatia dilatativa, aritmie, cardio-patia congenita o valvolare, o miocardite. Nei Paesi eu-ropei, circa l’1-2% della spesa sanitaria è assorbita dal-lo scompenso cardiaco, di cui il 75% circa per pazienti ospedalizzati. Da queste cifre si può facilmente capire il perché lo scompenso cardiaco avanzato e l’aggravamen-to acuto ad esso associato siano diventati la sindrome me-dicapiùcostosainambitocardiologico.Circail45%deipazienti ospedalizzati per scompenso cardiaco acuto ven-gono nuovamente ricoverati almeno 1 volta (e il 15% al-meno 2 volte) entro 12 mesi. Stime circa il rischio di morte o di riospedalizzazione entro 60 giorni dalla prima ospe-dalizzazione variano dal 30 al 60%, a seconda della po-polazione studiata (ESICM, 2005).Negli ultimi anni si è assistito a un aumento di responsabilità nello svolgimento dell’attività assistenziale, con il raggiungimen-to di un significativo livello di autonomia professionale: questo processo, però, non è da considerarsi concluso ed è ancora in continua evoluzione. In questo contesto, inoltre, la pianifica-zione assistenziale è ormai considerata il modello unico possi-bile di relazione con il paziente e ciò assume maggior rilevan-za nelle realtà operative in cui l’aumento di responsabilità va di pari passo con un aumento di competenza tecnica, quali pos-sono essere considerate le unità che fanno parte dell’Area Cri-tica. È proprio in questo contesto che un processo di valutazio-ne infermieristica, seguita da interventi mirati, che sottendono una stima di obiettivi di assistenza, non sembra essere a tutt’og-gi applicato con costante correttezza e appropriatezza, forse a causa della presunta assenza di modelli organizzativi di ri-ferimento che possano davvero sintetizzare la complessità dei pazienti critici oppure, potremmo aggiungere, la sfiducia nella possibile applicabilità degli strumenti esistenti.

* Dottore in economia politica e in infermieristica; [email protected]** Coordinatore Tutor pedagogico aziendale s.i.t.R.a. (a.o. spedali Civili di brescia) e C.l.i.,

professore a Contratto C.l.i. e Master Funzioni di coordinamento e Tutor Clinico; [email protected]

lo scompenso cardiaco avanzato e l’aggravamento acuto ad esso associato sono diventati la sindrome medica più costosa in ambito cardiologico, e non solo dal punto di vista economico, anche a causa dei noti trend demografici che caratte-rizzano i paesi sviluppati. in questo contesto, un aumento di responsabilità nello svolgimento dell’attività assistenziale, nonché un corretto processo di valutazione infermieristica, assumono un ruolo fondamentale.il presente articolo riporta l’esperienza condotta presso l’Unità di terapia intensi-va Cardiologica dell’azienda spedali Civili di brescia, che ha visto la creazione e implementazione di un Critical Pathway finalizzato a supportare il collegamento dei diversi livelli di intensità del paziente, in un contesto organizzativo strutturato secondo il modello dell’intensità di cure. il Critical Pathway così elaborato è apparso utile per monitorare in modo continua-tivo l’evoluzione della pianificazione assistenziale, gli obiettivi che il paziente de-ve raggiungere e le procedure da seguire, diventando strumento comune per tut-ta l’équipe infermieristica.

parole chiaveUtiC, Critical/Clinical Pathway, nanDa, intensità di cure, scompenso cardiaco.

aBStraCt

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aPPrOfONdImeNtI Critical Pathway: creazione, implementazione e sperimentazione. Un esempio in area cardiologica

Considerando questo contesto di riferimento, ci si propo-ne di portare all’attenzione dei lettori, l’esperienza del-la creazione, sviluppo e implementazione di un Critical Pathway, che possa apportare miglioramenti nell’organiz-zazione dell’assistenza infermieristica all’interno dell’Uni-tà Operativa di Terapia Intensiva Cardiologica (di seguito UTIC) e che supporti il collegamento dei diversi livelli di in-tensità del paziente, in un contesto organizzativo già strut-turato secondo l’innovativo modello dell’intensità di cure.A livello internazionale e nazionale, sia sotto un profilo medi-co, sia assumendo un punto di vista prettamente gestionale, l’utilità dei Clinical Pathway (di seguito anche C.P.) può dive-nire uno strumento per la gestione dell’assistenza al pazien-te o a un gruppo di pazienti, per un periodo di tempo defini-to, che può combaciare proprio con il periodo del ricovero.Tale strumento di presa in carico non si sostituisce ai nuovi modelli organizzativi per intensità di cure, ma si può affian-care e sommare a questi, proprio a titolo di garanzia della standardizzazione dell’attività di erogazione dei servizi verso i clienti e come elemento facilitatore per la stratificazione del paziente all’interno delle aree di complessità di riferimento.A questo punto sorge una domanda: ma può un C.P. dive-nire trait d’union tra i livelli di complessità e allo stesso tem-po può agevolare la valutazione e la presa in carico del paziente? Può essere lo strumento che mette in evidenza i bisogni prioritari di salute della persona che viene accolta all’interno dell’Unità Operativa (di seguito U.O.)? Può es-sere il metodo per rendere visibile il processo assistenzia-le attraverso la tracciabilità degli atti compiuti dai profes-sionisti e la rintracciabilità dell’operatore che eroga l’assi-stenza e le singole prestazioni? Come?Gli autori del lavoro si sono posti questi quesiti e hanno cerca-to di costruire, implementare e integrare questo sistema all’in-terno di una U.O. grazie alla fattiva collaborazione dell’A-zienda Spedali Civili di Brescia è stata data loro la possibi-lità di modellare, implementare e poi sperimentare il C.P. da loro ideato nell’Unità di Terapia Intensiva Cardiologica (di se-guito UTIC), già all’avanguardia per quanto riguarda il pro-cesso di accertamento dei bisogni dei pazienti.L’UTIC oggetto di questa indagine è inserita all’interno di una azienda che è di valenza e rilievo regionale. Essa è organiz-zata secondo un regime di accettazione che funziona conti-nuativamente nelle 24 ore, a supporto di un Servizio di Emo-dinamica, che anch’esso svolge attività nell’arco delle 24 ore. Tale opportunità organizzativa porta il cosiddetto tempo door to balloon (quel tempo che intercorre tra l’accettazione e l’intervento invasivo di angiopalstica) al minimo, tentando così di ridurre, di fatto, la mortalità per scompenso acuto dei pazienti che accedono alla struttura o che vi potrebbero ac-cedere, per l’intero arco della giornata, 365 giorni all’anno, senza creare così delle fasce orarie nelle quali la presa in ca-ricodelpazientepotrebbedivenirepiùcritica.L’U.O. è organizzata secondo il modello per intensità di cure: i 12 posti letto di cui è composta sono suddivisi in bassa e medio-alta intensità. Nello specifico nelle prime due stanze, per un numero complessivo di 7 posti letto, vengono accolte le persone con criticità media ed eleva-

ta, mentre nella terza stanza, per i restanti 5 posti, si trova-nolepersoneconcondizionidisalutepiùstabili.L’assistenza infermieristica è garantita da dodici unità in-fermieristiche che ruotano all’interno delle ventiquattro ore su tutti e tre i settori: l’assistenza non è dunque organizza-ta su équipe assistenziali, ma secondo i settori di apparte-nenza/complessità assistenziale.L’interesse per lo sviluppo di un corretto modello di assi-stenza al paziente cardiopatico, unitamente alla convin-zione che i C.P. saranno il futuro dell’assistenza infermieri-stica, hanno generato degli ulteriori quesiti di ricerca: co-me il modello dei C.P. può essere utilizzato all’interno del-la realtà operativa di una UTIC? La loro applicazione può apportare dei concreti benefici in un orizzonte temporale di breve periodo? Cosa è possibile fare al fine di garanti-re che tali obiettivi siano raggiunti?

materiali e metodiAl fine di comprendere come si è cercato di raggiungere l’o-biettivo principale dell’indagine condotta è necessario ana-lizzare quali sono gli elementi che hanno costituito il model-lo per la rilevazione delle informazioni, e che dunque hanno gettato le fondamenta per la strutturazione del C.P.Il piano assistenziale in essere all’interno della struttura e il C.P., sono stati sviluppati a partire dagli undici modelli fun-zionali della salute di Marjory Gordon (1987). Da notare come tale C.P. possa essere definito anche come Critical Pathway, giacché si riferisce a una specifica patologia me-dica di afferenza all’area critica (Sermeus et al., 2005). IlmodelloteoricodiMarjoryGordon,unodeipiùcono-sciuti al mondo, fu creato per conseguire due principali scopi, ossia l’organizzazione delle conoscenze cliniche e la classificazione delle diagnosi infermieristiche.I modelli funzionali sui quali si basano le teorie di Gordon sono undici e vanno sempre considerati e analizzati non come entità separate, ma tenendo conto dei loro collega-menti nell’unicità e complessità dell’individuo.1. Il primo modello è quello relativo alla percezione e

gestione della salute: descrive il modello di salute e di benessere così com’è percepito dalla persona e il modo in cui questa gestisce la propria salute.

2. Il secondo descrive il modello di assunzione di cibi e bevande cui la persona si attiene in rapporto al suo fabbisogno metabolico e agli indicatori organici di adeguatezza della nutrizione.

3. Il terzo riguarda i modelli di funzione escretoria, sia es-sa intestinale, urinaria o cutanea, e include le percezio-ni della persona circa la regolarità della funzione mede-sima, le abitudini intestinali e l’eventuale uso di lassativi.

4. Il quarto modello include le attività della vita quotidia-na che richiedono dispendio di energia come cuci-nare, fare la spesa, mangiare, lavorare, provvedere all’igiene personale.

5. Il quinto analizza il grado di adeguatezza dei sensi, come vista, udito, tatto, gusto, olfatto e le compen-sazioni o le protesi utilizzate in presenza di disturbi.

6. Il sesto descrive i modelli di sonno, riposo e rilassamento.

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aPPrOfONdImeNtICritical Pathway: creazione, implementazione e sperimentazione. Un esempio in area cardiologica

7. Il settimo modello comprende gli atteggiamenti del-la persona nei propri confronti, la percezione che es-sa ha delle proprie capacità cognitive, affettive e fi-siche, della propria immagine corporea, della pro-pria identità, del senso generale del proprio valore e il suo modello emozionale generale.

8. L’ottavo include la percezione che la persona ha dei suoi ruoli e le sue responsabilità principali nella situa-zione di vita attuale.

9. Il nono descrive i modelli di soddisfazione e insoddi-sfazione sessuale, ma anche a livello riproduttivo.

10. Il modello numero dieci riguarda la modalità genera-le di adattamento e la sua efficacia in termini di tolle-ranza allo stress.

11. L’undicesimo descrive i modelli di valori, obiettivi e convinzioni che guidano le scelte dell’individuo.

Per l’applicazione di questi undici differenti modelli, è stato strutturato un ulteriore strumento applicativo di indagine, os-sia il Critical Pathway, che ha la finalità di connotare una specifica sequenza di eventi propri di un processo. Esso è un piano strutturato di assistenza multidisciplinare, che de-scrive in modo dettagliato i passi essenziali nell’assistenza a pazienti con un problema specifico di salute (ad esempio il percorso per il paziente con infarto miocardico acuto).Essi prestabiliscono uno schema ottimale della sequenza dei comportamenti di una équipe in relazione all’iter diagnosti-co, terapeutico e assistenziale da attivare a fronte di una si-tuazione clinica tipica, allo scopo di massimizzare l’effica-cia e l’efficienza delle attività. Tali schemi, da considerarsi comunqueflessibilienonstatici,presuppongono,perciò,lapossibilità di essere impiegati nella maggior parte dei ca-si in cui si presenta una determinata situazione o patologia.I C.P. prevedono la costruzione di un percorso metodolo-gico incentrato sui seguenti aspetti principali:- la definizione delle caratteristiche cliniche (o patologi-

che) del paziente, a cui si riferisce il C.P. stesso;- la specificazione delle azioni diagnostiche, terapeuti-

che e assistenziali e la loro sequenza;- la definizione degli esiti di salute, in termini di promo-

zione, miglioramento o mantenimento della situazione clinica presente, ad esempio, all’inizio del ricovero.

L’adozione di questo strumento rappresenta una fondamen-tale strategia per governare il sistema organizzativo e in-formativo di una determinata U.O., soprattutto qualora es-sa sia organizzata per complessità di cura, poiché orienta la prassi in funzione del controllo dei risultati degli esiti assi-stenziali e, quindi, della qualità delle prestazioni. Inoltre, la diffusione di tali strumenti potenzia e favorisce l’integrazione interdisciplinare e il ruolo degli infermieri nell’organizzazio-ne dell’assistenza infermieristica e nel controllo della quali-tà. Per questo ordine di ragioni diviene essenziale poter in-tegrare l’organizzazione per intensità di cure con strumenti gestionali di altra natura, al fine di rendere completo ed ef-ficace il percorso di presa in carico della persona.Non da ultimo è importante ricordare come vi sia un ulte-riore strumento che si è integrato a supporto del C.P., os-sia l’applicazione della tassonomia NANDA (dal nome di

coloro che hanno per primi strutturato tale sistema, ossia la North American Nursing Diagnosis Associaton), linguaggio internazionale condiviso e convalidato, uno dei sistemi di classificazionepiùnotialmondoecheapartiredaglian-ni Settanta ha sviluppato un elenco di diagnosi infermieri-stiche, le quali rappresentano i principali problemi di salu-te di competenza infermieristica esistenti. L’obiettivo è quel-lo di organizzare e standardizzare le informazioni, al fine di renderle utili allo svolgimento dell’assistenza (Calaman-drei, 2009).Partendo da tutte queste considerazioni si è cercato di defi-nire operativamente e nel contesto della patologia oggetto delC.P.gliaspettipiùrilevanti,soprattuttoperl’applicazio-ne degli 11 modelli di Gordon. Le proposte riguardo al me-todo da applicare sono state numerose e in ultimo si è deci-so, sulla base di numerosi incontri effettuati con il personale infermieristico dell’U.O. oggetto della sperimentazione, di definirequalifosseroilivellipiùdisfunzionalidellapersonaaffetta da scompenso cardiaco acuto sinistro. Si è convenu-to che i due modelli prioritari fossero il modello “attività e ri-poso” e il modello “nutrizione e metabolismo”.Dai due modelli prioritari sono state proposte e implemen-tate le possibili diagnosi infermieristiche reali utili per la definizione del quadro clinico e assistenziale di riferimen-to. Da tutte le possibili diagnosi trovate ne sono state scel-te quattro, ossia (i) eccessivo volume di liquidi; (ii) compro-missione della ventilazione spontanea; (iii) riduzione della gittata cardiaca e (iv) inefficace perfusione tissutale perife-rica. Queste quattro dimensioni di valutazione sono state corredate degli adeguati NIC (Nursing Interventions Clas-sifications), ossia del sistema di classificazione, e NOC (Nursing Outcome Classification), ossia del relativo siste-ma di valutazione e classificazione dei risultati infermieri-stici codificati dalla classificazione NANDA.

risultatiI dati sono stati raccolti nell’arco di sette mesi, da genna-io a luglio 2011, e hanno riguardato l’osservazione di tut-te le persone accettate in UTIC con la diagnosi di scompen-so acuto sinistro, a prescindere dall’età o dalla gravità del quadro iniziale. In tutto sono state seguite quindici persone, ilpiùgiovanedeiqualiaveva32annieilpiùanziano84.Due sono stati i pazienti arrivati in shock (uno cardioge-no e uno emorragico) e due sono stati quelli che hanno avuto bisogno del supporto emodinamico invasivo (o con-tro pulsatore aortico). Infine, due persone hanno necessi-tato di ventilazione non invasiva (NIV). Ciò fa comprende-re l’estrema eterogeneità dei pazienti assistiti nel periodo.Delle quindici persone osservate, 10 hanno seguito perfetta-menteilC.P.,2nonlohannoseguitonellamanierapiùas-soluta, essendo stati dimessi ancora in giornata zero (mentre erano, cioè, ancora in una fase di prima osservazione), infi-ne 3 pazienti hanno potuto seguire il C.P. solo parzialmente in quanto trasferiti in seconda giornata. Nessuno ha neces-sitatodiunricoveropiùlungodiquattrogiornate.Questi dati confermano la validità del Critical Pathway visto che in letteratura è considerato come validato un protocollo che

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aPPrOfONdImeNtI Critical Pathway: creazione, implementazione e sperimentazione. Un esempio in area cardiologica

viene seguito al 100% da almeno l’80% dei pazienti, mentre il restante 20% della popolazione di riferimento lo segue solo in parte o addirittura non lo segue affatto (Fauci et al., 2008).Sembra utile, a questo punto, analizzare i pazienti attra-verso le diagnosi infermieristiche, gli interventi e gli obietti-vi, rispetto alla loro osservazione, che è avvenuta giornata per giornata, per evidenziare quelle peculiarità che hanno condizionato il loro percorso clinico.Le persone risultanti non rispondenti alle caratteristiche iden-tificate per il Critical Pathway sono stati in totale 5. Per quanto concerne invece l’osservazione dei clienti risponden-ti, in sede di definizione degli obiettivi, era stato valutato co-me congeniale un percorso basato su quattro giornate di degenza. Il motivo va ricercato nel fatto che, nella maggior parte dei casi, pazienti con scompenso acuto sinistro che presentano determinate caratteristiche, non possono prescin-dere da un monitoraggio continuo prolungato per scongiu-rare l’insorgere di eventuali aritmie pericolose, unito a un’os-servazione clinica attenta che trova proprio nelle Unità di Terapia Intensiva la sua ragion d’essere.Grazie alla presenza del Critical Pathway, in una real-tà dove l’intensità di cura ha fornito dei feedback positi-vi, già all’ingresso del paziente in U.O., la collimazione tra i suoi segni e le caratteristiche definenti segnalate nel-la scheda di raccolta dati, è possibile individuare imme-diatamente i soggetti che necessiteranno di un ricovero di quattro giornate e quindi attivare subito tutti gli interven-tipiùidonei.Diseguitoverrannoillustrate,diviseperdia-gnosi infermieristiche, le suddette caratteristiche definenti.L’obiettivo principale della prima diagnosi è stato il rag-giungere un bilancio tra assunzione ed eliminazione nega-tivo, per permettere un minor affaticamento del cuore, ge-stendo il post-carico e aiutando la respirazione riducendo o eliminando la congestione polmonare. All’uscita si no-ta la scomparsa di alcune caratteristiche definenti (anasar-ca,riflessoepato-giugularepositivo,aumentoPCV,conge-stione polmonare, distensione vene giugulari e versamen-to pleurico) e la drastica diminuzione del numero di pa-zienti che ancora presentano alcuni segni/sintomi, come si può evincere dal confronto tra prima e quarta giornata.

figura 1 – Modello di nutrizione: eccessivo volume di liquidi. Pri-ma giornat

fonte – Rielaborazione degli autori relativa ai dati della ricerca

figura 2 – Modello di nutrizione: eccessivo volume di liquidi. Quar-ta giornata

fonte – Rielaborazione degli autori relativa ai dati della ricerca

figura 3 – Modello di attività e riposo: compromissione ventilazione spontanea. Prima giornata

fonte – Rielaborazione degli autori relativa ai dati della ricerca

figura 4 – Modello di attività e riposo: compromissione ventilazione spontanea. Quarta giornata

fonte – Rielaborazione degli autori relativa ai dati della ricerca

Anche in questo caso gli interventi si sono basati su ossige-noterapia e gestione dei liquidi per raggiungere una satu-razione superiore al 93% e una frequenza respiratoria nel-la norma, quindi su valori intorno ai 20 atti/minuto.Nella diagnosi riportata precedentemente, l’obiettivo pre-ponderante deve essere quello di ottenere una diuresi su-periore ai 1.500cc/die con parametri vitali nella norma. È da notare il fatto che si è dimezzato il numero di pazien-

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41management per le professioni sanitarie

aPPrOfONdImeNtICritical Pathway: creazione, implementazione e sperimentazione. Un esempio in area cardiologica

ti con oligo-anuria e dei sei pazienti che presentavano or-topnea, dopo l’intervento solo uno ha nuovamente manife-stato tale problematica. Si può affermare dunque che tutti gli interventi si sono rivelati molto efficaci sui segni/sinto-mi principali della diagnosi in oggetto.

figura 5 – Modello di attività e riposo: riduzione della gittata cardia-ca. Prima giornata

fonte – Rielaborazione degli autori relativa ai dati della ricerca

figura 6 – Modello di attività e riposo: riduzione della gittata cardia-ca. Quarta giornata

fonte – Rielaborazione degli autori relativa ai dati della ricerca

figura 7 – Modello di nutrizione: inefficace perfusione tissutale. Pri-ma giornata

fonte – Rielaborazione degli autori relativa ai dati della ricerca

Per quanto attiene invece il modello di nutrizione e l’inef-ficace perfusione tessutale, si sono presentate poche ca-ratteristiche definenti e su 10 pazienti addirittura tre non

presentavano alcun segno/sintomo. Nei restanti gli inter-venti hanno risolto la sintomatologia quasi completamente con interventi riguardanti ossigenoterapia e attenta gestio-ne del bilancio idroelettrico.

figura 8 – Modello di nutrizione: inefficace perfusione tissutale. Quar-ta giornata

fonte – Rielaborazione degli autori relativa ai dati della ricerca

discussioni e conclusioniLe impressioni raccolte al termine della sperimentazione sono state, nel complesso, positive.È stata apprezzata la modalità utilizzata per la fase di ac-certamento mirata al reperimento dei dati, che è apparsa immediata e di rapida compilazione, e hanno trovato am-pio consenso le diagnosi codificate dalla NANDA che so-noapparsepiùrispondentiallinguaggioutilizzatocorren-temente in U.O. Il Critical Pathway prodotto è poi appar-so utile per monitorare in modo continuativo l’evoluzione della pianificazione assistenziale, gli obiettivi che il cliente deve raggiungere e le procedure da seguire, diventando strumento comune per tutta l’équipe infermieristica.Uno dei primi risultati ottenuto utilizzando il nuovo strumen-to riguarda il sensibile risparmio di tempo, giacché non ri-sulta necessario definire ulteriori incontri per scegliere ciò che deve o non deve essere erogato al paziente nel corso del ricovero, dal momento che questa informazione può essere tranquillamente reperibile tra quelle inserite duran-te la compilazione delle schede. Ciò è divenuto un ulte-riore punto di forza e un vantaggio per il team, soprattutto nell’ottica di un miglior passaggio di informazioni tra tutti i componenti del gruppo di lavoro che, a vario titolo, o in momenti differenti e non sovrapponibili, necessitavano di dati sul paziente preso in carico, generando così un patri-monio fruibile sia internamente, sia trasversalmente in altre UU.OO. o in una fase di trasferimento dell’assistito.È stato inoltre segnalato dagli operatori quanto sia impor-tante possedere questo tipo di strumento, soprattutto all’in-terno di una realtà organizzata secondo il modello per in-tensità di cura, in quanto tali C.P. possono portare a un ri-sparmio di tempo, e quindi a un guadagno in termini di efficienza complessiva, dal momento che, al posto di nu-

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aPPrOfONdImeNtI Critical Pathway: creazione, implementazione e sperimentazione. Un esempio in area cardiologica

merose pagine di documentazione e di diario necessarie per descrivere ogni operazione fatta, è sufficiente una uni-ca pagina, che potrà diventare uno strumento di tracciabi-lità del lavoro degli operatori.È stata poi accolta positivamente la possibilità di effet-tuare il lavoro di stesura del progetto in équipe, in quan-to ognuno ha potuto evidenziare problematiche e critici-tà del medesimo, indicando anche le soluzioni preferibi-li per ovviare ai problemi emergenti, rendendo così il ri-sultato ottenuto davvero corale e rispondente alle necessi-tà degli operatori.L’esperienza di questo progetto sottolinea come, a prescin-dere da quale sia lo strumento gestionale proposto, la pos-sibilità di rispondere alle esigenze che derivano da biso-gni operativi emersi sul campo (di tipo bottom up), trova una maggiore base di consenso e, qualora questa sia cor-rettamente guidata da un leader, nonché se alla sua crea-zione partecipi un’ampia popolazione di riferimento, pre-senta normalmente un felice esito e una buona compliance.Nonostante ciò anche all’interno di questo progetto si so-no evidenziate delle difficoltà di natura operativa.La prima risiede nel fatto che l’introduzione di un nuovo modello organizzativo/lavorativo è sempre difficoltosa nella sua fase iniziale, soprattutto quando si inserisce in un contesto che già ha dei buoni risultati: il modus operan-di precedentemente implementato all’interno dell’UTIC, in-fatti, ha sempre dato risultati molto positivi. Sarebbe stato differente qualora il livello assistenziale fosse stato scarso e la disorganizzazione all’ordine del giorno: in questo ca-so l’esigenza operativa e le motivazioni potevano essere piùsentite.Daciòdivienecomplessoilprocessodicam-biamento, in quanto non sempre tutti ne condividono mo-tivazioni e obiettivi. Infine c’è da dire che è difficile coniugare le necessità di una sperimentazione con le dinamiche di una U.O. di Te-rapia Intensiva dove, al fine di salvaguardare la vita e la salutedelpaziente,larapiditàèpiùimportantedelpro-cesso di sperimentazione stesso.I risultati hanno evidenziato il raggiungimento dell’obietti-vo primario dello studio, ossia la possibilità di strutturazio-ne di un C.P., con ottima soddisfazione del personale in-fermieristico coinvolto. Il lavoro illustrato è da considerarsi un inizio, un punto zero dal quale ripensare un nuovo mo-do di fare assistenza. Nell’esperienza oggetto di questa trattazione si è scelto di lasciare spazio anche alla professionalità degli infermie-ri permettendo loro di assegnare gli obiettivi delle diagno-si infermieristiche in modo che fossero perfettamente dise-gnati sul paziente presente in quel momento.Anche nel Critical Pathway si è deciso di lasciare un mi-nimo di arbitrio indicando, quindi, le diverse possibilità ri-guardo all’utilizzo dei farmaci o al tipo di esami ematochi-mici da eseguire. Tale decisione è stata guidata dalla con-sapevolezza che questo tipo di protocollo non deve essere utilizzato rigidamente come un manuale di istruzioni, ma è

una scelta che, alla base, riconosce il fatto che ogni per-sona è diversa e deve essere guidata al raggiungimento degli obiettivi che devono essere assolutamente personali, e quindi fissati volta per volta dal professionista che pren-de in carico il singolo paziente. Però, gli interventi che ser-vono a raggiungere gli obiettivi, possono essere standar-dizzati, quindi fare parte di percorsi e protocollati, perché devono adempiere alla funzione di dare un’assistenza di qualità che prescinde da chi la eroga. Devono insomma guidare il paziente a raggiungere gli obiettivi in un deter-minato tempo, perché è necessario puntare a un fine che coniughi appropriatezza ed efficienza per permettere il mi-glior servizio possibile a tutti quelli che ne hanno bisogno.All’interno poi di una struttura per intensità di cure, l’imple-mentazione di un percorso diagnostico terapeutico può supportare la presa in carico e la stratificazione dei biso-gni del paziente, senza però modificare le informazioni ri-chieste e quindi con una totale comparabilità dei dati sulle differenti categorizzazioni di utenza. Ciò garantisce una trasversale comparabilità dei clienti e al tempo stesso di-minuisce la possibilità di errore, con maggiore equità del sistema nel suo complesso.

BibliografiaCaLamanDrei C., Le diagnosi infermieristiche secondo la North American Nursing Diagnosis Association (NANDA), ed. it. CEA Milano, 2009.GorDon M., Nursing Diagnosis: process and applica-tions, 2nd edition, The McGraw Hill Companies Inc., New York, 1987.FauCi a.S., braunWaLD e., KaSper D.L., hauSer S.L., LonGo D.L., JameSon J.L., LoSCaLzo J., Malattie del sistema cardio-vascolare, The McGraw Hill Companies Inc., New York, 2008.motta P.C., Linee guida, Clinical Pathway e procedure per la pratica infermieristica: un inquadramento concettua-le e metodologico, in “Nursing Oggi”, 2001, 4.Riassunto esecutivo delle linee guida sulla diagnosi e trat-tamento dello scompenso cardiaco acuto. Task Force sul-lo Scompenso Cardiaco Acuto della Società Europea di Cardiologia, Approvate dalla Società Europea di Medici-na Intensiva (ESICM), 2005.SermeuS W., De bLeSer L., Depreitere r., De WaeLe K., Van-haeCht K., VLayen J., An introduction to clinical pathways, in DeVrieSe S., Lambert m. L., eySSen m., Van De SanDe S., poeLmanS J., Van brabanDt H. et al., editors, The use of cli-nical pathways and guidelines to determine physicians’ hospital fees prospectively: easier said than done, Brus-sels: Belgian Healthcare Knowledge Centre (KCE), KCE Reports, Volume 18A, 2005.

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43management per le professioni sanitarie

Valutazione della complessità assistenziale: utilizzo del sistema neMs in terapia intensiva aPPrOfONdImeNtI

* infermiere Coordinatore neurorianimazione presso la Fondazione i.R.C.C.s. Ca’ Granda ospedale Maggiore policlinico di Milano, [email protected]

** Responsabile programmazione e controllo della gestione delle risorse – s.i.t.R.a. della Fondazione i.R.C.C.s. Ca’ Granda ospedale Maggiore policlini-co di Milano, [email protected]

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Valutazione della complessità assistenziale: utilizzo del sistema NEMS in Terapia Intensivadi Monica tolentini* e silvia pazzaglia**

IntroduzioneIn Sanità i livelli di dotazione di personale infermieristico e le condizioni necessarie per fornire un’adeguata assisten-za sanitaria sono argomento di grande attualità, in parti-colare in relazione alla determinazione del fabbisogno di personale. Sembra, infatti, che una delle principali criticità per i vertici delle Aziende Sanitarie non sia reperire perso-nale assistenziale, inserirlo e integrarlo, ma fornire la cor-retta motivazione al fine di non perderlo nel corso degli anni. Come affrontare quindi questa sfida?Se anni fa si affrontava questa problematica unicamente preoccupandosi del “numero di infermieri” a disposizione, ora è imprescindibile tenere conto di altre variabili che in-fluenzanolanecessitàdicure:ilcaricodilavoro,ilcon-testo in cui si eroga l’assistenza, la complessità dello sta-to di salute dei pazienti, il livello di competenza e di spe-cializzazione del personale, nonché la composizione del-lo stesso, tutto ciò senza dimenticare che il fine ultimo de-ve essere l’efficienza e l’efficacia degli interventi sanitari.Già da tempo è stato dimostrato come la mancanza di un adeguato rapporto infermiere-paziente possa portare a un aumento della durata dei ricoveri ospedalieri e della mor-talità, nonché all’incremento del verificarsi di eventi avversi e, per il personale infermieristico, a un accrescimento del-la mobilità (Cantarelli e Pontello, 1989).Un rapporto infermiere-paziente insufficiente non solo pro-duce, quindi, un impatto negativo sugli esiti dei pazienti, masiriflettenegativamenteanchesuglistessiinfermieri,esposti a un rischio superiore di stress, insoddisfazione ed esaurimento psico-fisico con una maggiore tendenza ad assenteismo. Tutto questo porta a un indebolimento della capacità del sistema sanitario di rispondere adeguatamen-te ai bisogni del pubblico (Cantarelli e Pontello, 1989).Il carico di lavoro infermieristico costituisce un argomento ancorpiùrilevanteedinotevolesignificatosevalutatoas-sumendo il punto di vista della stessa professione infermie-ristica: spesso, infatti, esso viene citato in quanto elemen-tocheinfluenzal’abbandonodellaprofessioneechepuòcomportare rischi per la salute degli infermieri. Tale tema ha un forte risvolto anche sull’efficienza ed efficacia dei si-stemi sanitari, e giacché le risorse sanitarie sono sempre piùscarse,questidueelementidivengonoognigiornopiùcruciali, pertanto richiedono monitoraggi e generazione continua di evidenze al riguardo.

l’analisi dei carichi di lavoro non è più riducibile alla mera quantificazione del nu-mero di infermieri necessari, bensì deve valutare aspetti quali: il contesto in cui si erogano le prestazioni, la complessità dei pazienti, il livello di competenza e spe-cializzazione del personale.per queste ragioni, obiettivo dello studio qui presentato è la valutazione sistema-tica, attraverso l’utilizzo del neMs (Nine Equivalents of Nursing Manpower Use Score), dell’utilizzo del personale infermieristico in rapporto ai bisogni assisten-ziali espressi dai pazienti, affinché sia possibile un’adeguata redistribuzione del-le risorse umane.la corretta valutazione del personale infermieristico risulta avere un impatto po-sitivo sugli aspetti motivazionali, oltre che sugli esiti dei pazienti. lo strumento utilizzato è risultato essere flessibile, di facile compilazione e adeguato alla valu-tazione della complessità assistenziale all’interno della realtà di terapia intensi-va oggetto di studio, anche se carente nella valutazione di alcune condizioni clini-che e di alcuni elementi intangibili che rappresentano gli aspetti più critici del la-voro infermieristico.

parole chiaveneMs, carichi di lavoro, complessità assistenziale, terapia intensiva, bisogno as-sistenziale.

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44 management per le professioni sanitarie

Valutazione della complessità assistenziale: utilizzo del sistema neMs in terapia intensivaaPPrOfONdImeNtI

L’analisi dei carichi di lavoro assume, pertanto, un ruo-lo fondamentale nel nuovo assetto organizzativo delinea-to per la Pubblica Amministrazione italiana dal d.lgs. n. 29/1993. L’ottimale allocazione delle risorse di perso-nale è, infatti, condizione necessaria per realizzare gli sperati recuperi di efficienza nel settore pubblico (Span-donaro et al., 1997).È necessario altresì sottolineare che il carico medio di lavoro degli infermieri è aumentato costantemente ne-gli ultimi venti anni, mentre il numero degli infermieri pre-senti è diminuito, a fronte di un incremento del persona-le medico (come già accennato in Cantarelli e Pontel-lo, 1989).La necessità di ridefinire lo standard di assistenza infer-mieristica nelle degenze ospedaliere consegue a due im-portanti evoluzioni. Innanzi tutto l’evoluzione della nor-mativa della professione infermieristica, che ora garanti-sce al professionista la diretta responsabilità e la gestio-ne delle attività di assistenza e delle funzioni di suppor-to, ma soprattutto un’evoluzione e una volontà di spe-rimentare nuovi modelli organizzativi, che massimizzi-no l’efficienza allocativa delle strutture ospedaliere; un esempio tra tutti può essere quello della complessità/in-tensità di cura e di assistenza.Diventa, quindi, fondamentale, valutare regolarmente il carico di lavoro del personale infermieristico relativo al-la cura dei pazienti, con lo scopo di stimare il gap tra personale necessario ed effettivo: ciò è fattore essenzia-le all’interno di tutte le Unità Operative, ma assume una rilevanza particolare all’interno di quelle strutture che presentano elevata complessità e pazienti in gravi con-dizioni cliniche.Proprio per tutto questo ordine di ragioni, obiettivo del-lo studio è valutare l’appropriatezza di utilizzo del perso-nale infermieristico in rapporto alle necessità assistenziali dei pazienti ricoverati, in modo da poter ottenere dei da-ti reali e sistematici, ai fini di una adeguata redistribuzio-ne delle risorse umane, con conseguente miglioramento della risposta ai bisogni assistenziali degli utenti degenti, in un’ottica di empowerment complessivo del servizio of-ferto, all’interno dell’area critica.Si vuole raggiungere questo obiettivo attraverso un sem-plice strumento operativo, ossia mediante la valutazio-ne della complessità assistenziale del paziente ricovera-to presso una delle Unità Operative (di seguito UU.OO.) che afferiscono all’area Terapie Intensive della Fonda-zione I.R.C.C.S. Ca’ Granda Ospedale Maggiore Po-liclinico di Milano. Ciò sarà possibile attraverso l’utiliz-zo di un sistema oggettivo e validato per definire il fab-bisogno di personale in base alle esigenze di assisten-za dei degenti.Lo strumento adottato è una scala di valutazione, meglio noto come sistema Nine Equivalents of Nursing Manpo-wer Use Score (di seguito NEMS), che possiede requisiti quali la semplicità, la rapidità di compilazione e la capa-

cità di misurare la complessità assistenziale, caratteristiche che bene si adattano a una realtà come quella della Tera-pia Intensiva, presa in esame.La Terapia Intensiva è caratterizzata da un forte impiego di tecnologie, dalla presenza di personale specializza-to e dal trattamento di pazienti critici, elementi che uni-ti creano una complessità che è generalmente superiore a quella riscontrabile in una Unità Operativa (di seguito U.O.)ordinaria.Conassistenzaintensivasiindicailpiùelevato livello disponibile di trattamento continuo del pa-ziente (Reisner-Sénélar, 2011).In Terapia Intensiva vengono ricoverati pazienti con pato-logie molto gravi o che necessitano un monitoraggio con-tinuo, dopo un particolare intervento. Il Dipartimento di Anestesia e Rianimazione, della Fonda-zione I.R.C.C.S. Ca’ Granda Ospedale Maggiore Poli-clinico, è costituito dall’Unità Operativa di Anestesia e Ri-animazione (Ospedale Maggiore Policlinico) e dall’Uni-tà Operativa di Anestesia e Rianimazione Pediatrica (Cli-nica De Marchi).L’Area Terapie Intensive (di seguito T.I.) è così composta:- Terapia Intensiva Generale (di seguito anche U.O. Ria-

nimazione Generale);- Terapia Intensiva Neuroscienze;- Terapia Intensiva Post-Operatoria;- Terapia Intensiva Pediatrica.L’Unità Operativa Semplice (di seguito U.O.S.) Rianima-zione Generale, dotata di 8 letti (6 attivi), è caratteriz-zata da un’alta specializzazione nel trattamento di gravi patologie dell’apparato respiratorio e circolatorio. Offre assistenza post-operatoria intensiva a pazienti sottoposti a interventi complessi di chirurgia maggiore in elezione e in urgenza e a pazienti sottoposti a trapianti di polmo-ne e fegato (adulti e bambini). Fa, inoltre, fronte a ogni emergenza e urgenza intraospedaliera o extraospedalie-ra. Il turn-over lavorativo è garantito dalla presenza di 16 infermieri e dallo staff medico.L’U.O.S. Neurorianimazione, dotata di 7 letti (4 attivi), è caratterizzata da un’alta specializzazione nel tratta-mento di gravi patologie traumatiche e vascolari cere-brali. Offre monitoraggio e assistenza post-operatoria intensiva dopo interventi di neurochirurgia. Sono asse-gnati 11 infermieri che, con lo staff medico a essa affe-rente, forniscono monitoraggio e assistenza per l’esecu-zione di procedure diagnostiche e interventistiche neu-roradiologiche. Da sottolineare come, ad oggi, rispetto al periodo in cui è intercorsa la sperimentazione, la do-tazione di questa U.O. si sia modificata e presenti due letti aggiuntivi, variando nei volumi, ma non nella tipo-logia di pazienti presi in carico. In termini sperimenta-li, comunque, è da considerarsi ugualmente significati-vo fornire i risultati, nonostante la realtà sia lievemente sottodimensionata.L’U.O.S. di Terapia Intensiva Pediatrica è dotata di 6 po-sti letto intensivi, due dei quali di isolamento con camera

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45management per le professioni sanitarie

Valutazione della complessità assistenziale: utilizzo del sistema neMs in terapia intensiva aPPrOfONdImeNtI

PAZIENTE MEDICO PAZIENTE CHIRURGICO TOTALE

T.I. Generale 77(37%)

130(63%) 207

T.I. Neuroscienze 18(5%)

348(95%) 366

T.I. Post-operatoria 17(3%)

575(97%) 592

T.I. Pediatrica 142(50%)

140(50%)

282

(192 età <14aa, pari al 68%)

tOtaLe 254(18%)

1193(82%) 1447

tabella 1 – Tabella riassuntiva della provenienza, con indicazione del totale arruolati per lo studio

fonte – Rielaborazione personale di dati tratti dallo studio

a eventuale pressione negativa (SARS, tubercolosi, ecc.) con un organico di 14 infermieri. Vengono ricoverati bam-bini affetti da patologie acute che richiedono trattamento urgente per insufficienza respiratoria, circolatoria, renale, gravi malattie metaboliche o che necessitano di assisten-za/monitoraggio post-operatorio dopo interventi di chirur-gia maggiore e di trapianti.L’U.O.S. di Terapia Intensiva Post-Operatoria, dotata di 8 posti letto di cui 6 attivi, possiede un organico di 11 infermieri e 4 operatori socio-sanitari. Vengono ricovera-ti pazienti sottoposti a interventi di chirurgia maggiore o pazienti le cui condizioni generali suggeriscano la neces-sità di stretto monitoraggio delle funzioni vitali dopo inter-venti di qualsiasi entità. Accoglie anche i pazienti sotto-posti a chirurgia dell’obesità che hanno necessità di tec-nologia dedicata.L’organico infermieristico del Dipartimento è, pertanto, di circa 45 infermieri. Alla Terapia Intensiva Pediatrica è sta-to assegnato un organico fisso, mentre gli infermieri delle altre tre UU.OO. sono interscambiabili.Emerge, pertanto, la necessità di definire e misurare la complessità assistenziale degli utenti ricoverati, così da poter impiegare un adeguato numero di personale in ba-se alla domanda.

materiali e metodiÈ stato applicato il sistema NEMS, score di area infermie-ristica come indice di complessità terapeutica. Esso è stato sviluppato dal Therapeutic Intervention Scoring System 28 (TISS 28), al fine di ottenere analoghe informazioni con unostrumentocheperòfossepiùagileequindipiùadat-to a studi epidemiologici su larga scala. Le voci sono sta-te ridotte da 28 a 9 ricalcolando il peso di ciascuna attra-verso calcoli statistici (regressioni multivariate) in modo da mantenere invariato il punteggio ottenuto dal TISS 28 (Mi-randa et al., 1997).La scelta si è orientata verso questo strumento per il suo va-lidato e documentato impiego e per la facilità di compila-

zione, che non aumentando il carico di lavoro, lo rende ben accetto dal personale.La scheda NEMS valuta la complessità assistenziale del paziente in carico alla T.I. assegnando punti (in un range che va da 3 a 12), a nove prestazioni (che vengono di seguito esplicitate, a. monitoraggio parametri vitali e bi-lancio idrico; b. infusioni; c. ventilazione meccanica; d. somministrazione di ossigeno; e. terapia vaso-attiva som-ministrata; f. modalità di filtrazione; g. interventi straordi-nari in Terapia Intensiva o all’esterno da questa; h. profi-lo della persona assistita).Il massimo punteggio ottenibile, in un periodo di 24 ore, è di 63 punti. Giacché lo strumento deve fungere anche da scala predittiva in grado di fornire un quadro di biso-gno assistenziale da colmare, è possibile riconvertire ta-le informazione in minutaggio di assistenza infermieristi-ca necessaria. Un punto NEMS, dunque, corrisponde a 10 minuti di assistenza per un turno di otto ore. Quindi, per esempio, un punteggio NEMS di 46 corrisponde a 1.380 minuti nelle 24 ore, un punteggio di 20 equivale a 600 minuti nelle 24 ore.Per l’applicazione all’interno del contesto organizzativo di riferimento, è stato condotto uno studio pilota, che ha visto l’arruolamento, in 12 mesi, di 1.447 pazienti, ovve-ro tutti i pazienti ricoverati nelle quattro UU.OO. in esa-me e sopra descritte.Importante è sottolineare che, del totale dei ricoverati, 1.193 pazienti (82%) sono risultati di area chirurgica, mentre 254 (18%) di area medica (vedi tabella 1). La compilazione della scheda NEMS è stata integrata da uno strumento di rilevazione che ha permesso di documen-tare tutte quelle attività infermieristiche erogate, legate a protocolli di ricerca medica in corso.I dati, rilevati quotidianamente con le schede, sono stati successivamente rielaborati per poter verificare i risultati ot-tenuti, ovvero i livelli di complessità dei pazienti ricovera-ti nelle Terapie Intensive della Fondazione e correlarli agli organici infermieristici presenti.

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46 management per le professioni sanitarie

Valutazione della complessità assistenziale: utilizzo del sistema neMs in terapia intensivaaPPrOfONdImeNtI

Mese NEMS medio

% saturazione

NEMS/ saturazione

malati media/die

Infer. NEMS

Piantaorganica

Minuti assistenza/pz gg mese ip mese WUR

Gennaio 34 94 32 6 4,43 24,4 1016 31 15 1,38

Febbraio 35 95 33 6 4,53 24,9 1048 28 15 1,27

Marzo 30 97 29 6 3,88 21,3 917 31 15 1,20

aprile 29 94 27 6 3,78 20,8 867 30 15 1,14

Maggio 33 94 31 6 4,26 23,4 975 31 15 1,32

Giugno 27 95 26 4 2,38 13,1 828 30 11 0,98

luglio 31 84 26 4 2,70 14,8 828 31 11 1,14

agosto 26 78 20 4 2,23 12,3 637 31 11 0,95

settembre 28 90 26 4 2,47 13,6 812 30 11 1,01

ottobre 33 83 27 6 4,25 23,4 861 31 15 1,32

novembre 31 99 30 6 3,99 21,9 963 30 15 1,20

Dicembre 29 92 27 6 3,78 20,8 848 31 15 1,18

Media 30 91 27,8 5,33 3,6 19,56 883 365 13,67 1,41

tabella 2 – Terapia Intensiva Generale

fonte – Rielaborazione personale di dati tratti dallo studio

Mese NEMS medio

% saturazione

NEMS/ saturazione

malati media/die

Infer. NEMS

Pianta organica

Minuti assistenza/pz gg mese infer. pre-

senti WUR

Gennaio 21 82 17 4 1,83 10,0 548 31 11 0,77

Febbraio 23 89 20 4 1,97 10,8 641 28 11 0,75

Marzo 24 96 23 4 2,05 11,3 720 31 11 0,87

aprile 22 93 20 4 1,91 10,5 651 30 11 0,78

Maggio 23 95 22 4 2,03 11,2 705 31 11 0,86

Giugno 24 97 23 4 2,10 11,5 745 30 11 0,86

luglio 20 91 18 4 1,74 9,6 579 31 11 0,74

agosto 24 96 23 4 2,10 11,5 736 31 11 0,89

settembre 23 87 20 4 2,04 11,2 650 30 11 0,84

ottobre 24 91 21 4 2,05 11,3 682 31 11 0,87

novembre 24 97 24 4 2,12 11,7 752 30 11 0,87

Dicembre 23 97 22 4 2,01 11,1 713 31 11 0,85

Media 23 93 21,3 4 2 10,97 677 365 11 1

tabella 3 – Terapia Intensiva Neurochirurgica

fonte – Rielaborazione personale di dati tratti dallo studio

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47management per le professioni sanitarie

Valutazione della complessità assistenziale: utilizzo del sistema neMs in terapia intensiva aPPrOfONdImeNtI

Mese NEMS medio

% saturazione

NEMS/ saturazione

malati media/die

Infer. NEMS

Pianta organica

Minuti assistenza/pz gg mese infer. pre-

senti WUR

Gennaio 21 74 16 5 2,28 12,6 494 31 10 1,06

Febbraio 22 95 20 5 2,34 12,9 650 28 10 0,98

Marzo 21 77 16 5 2,32 12,7 522 31 10 1,08

aprile 21 69 14 5 2,28 12,6 461 30 10 1,03

Maggio 20 75 15 5 2,22 12,2 487 31 10 1,04

Giugno 20 72 15 5 2,21 12,1 465 30 10 0,99

luglio 21 60 13 5 2,28 12,6 401 31 10 1,06

agosto 20 81 16 5 2,14 11,8 507 31 10 1,00

settembre 21 79 16 5 2,24 12,3 519 30 10 1,01

ottobre 20 58 12 5 2,16 11,9 366 31 10 1,01

novembre 20 83 17 5 2,21 12,2 537 30 10 1,00

Dicembre 21 64 13 5 2,24 12,3 419 31 10 1,04

Media 21 74 15,3 5 2,2 12,34 486 365 10 1,23

tabella 4 – Terapia Intensiva post chirurgia “Zonda”

fonte – Rielaborazione personale di dati tratti dallo studio

Mese NEMSmedio

% saturazione

NEMS/ saturazione

malati me-dia/die Infer. NEMS

Pianta organica

NEMS

Minuti assistenza/pz gg mese infer. mese WUR

Gennaio 22 100 22 5 2,39 13,2 700 31 12 0,93

Febbraio 23 100 23 5 2,52 13,8 737 28 12 0,88

Marzo 22 100 22 5 2,44 13,4 714 31 12 0,95

aprile 22 100 22 5 2,39 13,2 700 30 12 0,90

Maggio 23 100 23 5 2,50 13,7 730 31 11 1,06

Giugno 23 100 23 5 2,52 13,8 736 30 11 1,03

luglio 22 100 22 5 2,39 13,2 700 31 11 1,01

agosto 23 100 23 4 2,00 11,00 732 31 11 0,85

settembre 24 100 24 4 2,09 11,5 766 30 10 0,94

ottobre 22 100 22 4 1,89 10,4 690 31 10 0,88

novembre 25 100 25 4 2,17 11,9 794 30 9 1,09

Dicembre 26 100 26 4 2,24 12,3 819 31 9 1,16

Media 23 100 23,1 4,58 2,3 12,62 735 365 10,83 1,17

tabella 5 – Terapia Intensiva Pediatrica

fonte – Rielaborazione personale di dati tratti dallo studio

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48 management per le professioni sanitarie

Valutazione della complessità assistenziale: utilizzo del sistema neMs in terapia intensivaaPPrOfONdImeNtI

t.i. pediatrica

t.i. post operatoria

t.i. generale

neurorianimazione

0 3530252015105

23

23

30

21

figura 1 – Sintesi risultati rilevazione NEMS medio, non correlato al-la saturazione di posti letto

fonte – Rielaborazione personale di dati tratti dallo studio

figura 2 – Sintesi NEMS reale in relazione alla saturazione dei posti letto

fonte – Rielaborazione personale di dati tratti dallo studio

risultatiPer ogni paziente è stata compilata quotidianamente (1 volta per le 24 ore) una scheda NEMS assegnando un punteggio per ogni variabile presa in esame dalla sche-da. Le tabelle presentate di seguito rappresentano la sinte-si dei dati, suddivisi per U.O.Per ogni mese (prima colonna), a seconda del valore me-dio mensile di NEMS rilevato (seconda colonna) e del tas-so di occupazione dei posti letto (terza colonna), si ottie-ne un valore NEMS reale (quarta colonna), che è il risul-tato della divisione fra NEMS medio mensile e percentua-le di occupazione. La quinta colonna riporta il numero me-dio di malati presenti nel mese, quindi il numero di posti letto attivi. Nella sesta colonna sono indicati gli infermieri che dovrebbero essere presenti per ogni turno lavorativo in base alla complessità rilevata delle persone ricoverate: ta-le valore si ottiene dividendo il NEMS medio a 46 per la media pazienti al giorno; 46 è il punteggio NEMS mas-simo sostenibile da un infermiere durante un turno lavorati-vo. Nella settima colonna è riportata la pianta organica, ovvero il numero totale di infermieri che dovrebbero essere dati in dotazione all’U.O., tenendo conto della comples-sità assistenziale rilevata. L’ottava colonna calcola i minu-ti di assistenza per paziente nelle 24 ore, a cui corrispon-de il valore NEMS medio mensile rilevato e risulta da una formula che deve essere così calcolata:

(NEMS medio x 10,6 (K) x 3 x % di occupazione posti letto)/100

dove

10,6 (K) è il risultato dei minuti di assistenza totali giorna-lieri/46 (punteggio massimo sostenibile), il tutto diviso 3 (turni giornalieri). È bene specificare che questi minuti sono quelli calcolati in base alla complessità rilevata e non sono quelli realmen-

te erogati. Nella nona colonna vengono indicati il numero dei giorni del mese preso in considerazione. Nella deci-ma colonna si inserisce il numero di infermieri effettivamen-te presenti in organico; le colonne nove e dieci permetto-no il calcolo del Work Utilisation Ratio (di seguito WUR) della undicesima colonna.Il WUR non è altro che un indice di utilizzo del personale infermieristico e viene calcolato nel seguente modo:

(NEMS x pz/die x gg. Mese/Inf. Organico x 20 x 15,3 (k))

dove

15,3 (k) è il quoziente di 46 (punteggio massimo soste-nibile da un infermiere in un turno) e 3 è il numero di tur-ni in 24 ore

Le tabelle 2, 3, 4 e 5 sintetizzano la rilevazione quotidia-na mostrando la media mensile dei dati rilevati.

La figura 1 esprime la media annua del valore NEMS ri-levato per ogni Unità Operativa. Si nota come la com-plessità assistenziale delle persone ricoverate sia superio-re in tutte le UU.OO. al valore di 20, dato soglia che cor-rispondente a 600 minuti di assistenza nelle 24 h. In mo-do particolare è la Terapia Intensiva Generale a rivelare un dato di complessità assistenziale media, molto al di so-pra del valore 20.Significativo sottolineare come la tabella consideri il dato di NEMS rilevato e non correlato alla percentuale di satu-razione dei posti letto.La figura 2 mostra invece il NEMS reale ovvero il risulta-to del NEMS medio sulla percentuale di occupazione dei posti letto.Quantoemergedall’indagineportaariflessionieconclu-sioni assai diversificate per le quattro UU.OO. in esame.

t.i. pediatrica

t.i. post operatoria

t.i. generale

neurorianimazione 21

28

15

23

0 3530252015105

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Valutazione della complessità assistenziale: utilizzo del sistema neMs in terapia intensiva aPPrOfONdImeNtI

In Terapia Intensiva Generale è emerso come i 600 mi-nuti di assistenza pro paziente, per le 24 ore al giorno previste dalla legislazione (d.G.R. 6 agosto 1998, n. 638133, Attuazione dell’art. 12, comma 3 e 4 della l.r. 11 luglio 1997, n. 31 “Definizione dei requisiti e indica-tori per l’accreditamento delle strutture sanitarie”) non sia-no sufficienti a garantire un’assistenza infermieristica ade-guata alla complessità assistenziale della persona ricove-rata, infatti in questa U.O. il valore NEMS medio rilevato è di 27,8 pari a circa 883 minuti pro paziente, nelle 24 ore, con punte che arrivano addirittura fino a 1.048 minu-ti nelle 24 ore, per il mese di febbraio.Il carico di lavoro infermieristico, in Terapia Intensiva Ge-nerale, tende ad aumentare nel periodo invernale, dato probabilmente correlato alla specificità delle patologie in carico in questa U.O., in particolare quelle di natura re-spiratoria. Si può osservare, infatti, come i minuti di assi-stenza e il punteggio NEMS siano estremamente elevati nei mesi invernali e diminuiscano durante il periodo estivo, con valori NEMS mai inferiori a 26.Sicuramente quella della Terapia Intensiva Generale risul-taesserelasituazionepiùcritica,infatti,afrontediunapianta organica prevista secondo il punteggio NEMS di 19,56 infermieri, la media degli infermieri in organico ogni mese è di 13,67 (si veda a tal proposito la tabella 2). Il gap tra organico presente e necessario, secondo il sistema NEMS (circa 4 infermieri), viene in parte “colma-to” con l’istituto delle “Prestazioni Aggiuntive”. Il budget di 300 ore al mese previsto per l’intera area delle Tera-pie Intensive, consente di ridistribuire il carico di lavoro le-gato alle carenze di organico, sul personale presente, re-tribuendolo in regime di prestazioni aggiuntive. Ne con-segue che l’indice di utilizzo del personale infermieristico (WUR) risulta pari a 1,41 in Rianimazione Generale con-tro lo 0,86 della media nazionale e 0,73 di quella euro-pea (studio EURICUS 1, 1995).Considerata la complessità assistenziale rilevata si eviden-zia la necessità di un’integrazione dell’organico presente che permetterebbe di aumentare il personale infermieristico nei turni di mattino e pomeriggio, ovvero i momenti della giorna-ta in cui l’attività clinico-assistenziale routinaria è maggiore.La complessità assistenziale rilevata delle persone ricoverate in Neurorianimazione è in media di 21,3 a fronte dei 600 mi-nuti nelle 24 ore previsti dalla legislazione (600 min/24 ore = 20 punti NEMS) ne vengono rilevati in media 677, pun-teggio quasi allineato alla complessità assistenziale rilevata.La complessità assistenziale rilevata in Terapia Intensiva Pediatrica si assesta su valori NEMS di 23,1 pari a circa 753 minuti di assistenza. Tuttavia, non disponendo del tas-so di occupazione di tale U.O., non è possibile avere un dato veritiero del NEMS reale (NEMS/% occupazione). La mancanza di tali dati è dovuta alla differente modali-tà di gestione dei dati relativi al turnover dei posti letto da parte delle Divisioni Mediche di Presidio dei due enti con-seguente alla fusione degli stessi.

La tipologia di ricoverati prevalentemente pediatrici (192 ri-coverati con meno di 14 anni) fa comunque dedurre che l’impegno assistenziale sia elevato e che sussista la necessi-tà di un maggiore approfondimento in merito a questo tema, con l’ipotesi di poter applicare una specifica scala di valuta-zione pediatrica, differente quindi, ma comparabile con la NEMS, in modo tale da rivalutare la situazione rispetto al-le peculiarità proprie di questo definito ambito di intervento.Situazione particolare è quella della Terapia Intensiva Post-Operatoria. Il dato che emerge è che la complessità del-la persona ricoverata in questa struttura presenti un valore medio di 21, quindi sovrapponibile ai dati rilevati in Neu-rorianimazione. Se il dato di NEMS medio viene correla-to alla percentuale di occupazione dei posti letto ottenia-moperòunNEMSrealemoltopiùbasso(15,3).Lacom-plessità assistenziale rilevata è elevata (maggiore di 600 min/24 ore), ma rischia di essere sottovalutata se viene letta considerandola solo correlata alla percentuale di oc-cupazionedeipostilettoenoncomespuntoeriflessioneper interventi riorganizzativi.Una puntuale riorganizzazione delle attività sia delle sedu-te operatorie sia della Terapia Intensiva, potrebbe permet-tere di aumentare l’indice di occupazione, che in questo momento si attesta a un valore non particolarmente eleva-to (dato medio 74%).La pianta organica secondo il NEMS prevedrebbe 12,34 infermieri, mentre gli infermieri presenti sono 10. In que-sta U.O. però, proprio per la tipologia di ricoverati, sono presenti altre figure professionali quali gli operatori socio-sanitari (OSS) che svolgono attività di assistenza diretta e indiretta e che integrano l’organico previsto per la funzio-ne assistenziale, colmando quindi, il quadro che, a primo acchito, potrebbe sembrare non correttamente presidiato.

discussioni e conclusioniL’indagine svolta ha permesso di analizzare il carico di la-voro infermieristico in relazione al bisogno assistenziale delle persone ricoverate nelle Terapie Intensive della Fon-dazione I.R.C.C.S. Ca’ Granda Ospedale Maggiore Po-liclinico con lo scopo di migliorare la qualità dell’assisten-za e ridurre i rischi per il paziente.Un’inadeguata presenza infermieristica aumenta gli indici di rischio clinico e il verificarsi di eventi avversi, ulcere da pressione, infezioni del tratto urinario, infezioni da ferite chirurgiche, cadute, errori relativi alla somministrazione di farmaci che sensibilmente aumentano i costi di degenza, la durata dei ricoveri, la mortalità e la morbilità.Attraverso il modello utilizzato, l’ottica si è spostata dalla comune valutazione delle prestazioni infermieristiche, ov-vero del complesso di azioni coordinate, utili al soddisfa-cimento dei bisogni dell’individuo, al computo dei minuti di assistenza, ponendo così l’accento sul carico di lavoro del professionista infermiere.L’utilizzo del punteggio NEMS ha permesso di evidenziare le differenti necessità delle quattro UU.OO. prese in esame.

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50 management per le professioni sanitarie

Valutazione della complessità assistenziale: utilizzo del sistema neMs in terapia intensivaaPPrOfONdImeNtI

Nello specifico, la Terapia Intensiva Generale rappresenta la situazionepiùcritica,inquantolostrumentohamessoinevi-denza come l’organico infermieristico presente sia insufficien-te per coprire le necessità assistenziali dei pazienti ricoverati.PerquantoconcerneilNEMS,èapparsounostrumentofles-sibile e di facile e rapida compilazione. Queste sue caratte-ristiche lo rendono ideale per una valutazione delle necessità aziendali, in particolare nelle strutture intensive. Non è neces-sario il coinvolgimento di tutto il personale infermieristico nel-la rilevazione quotidiana in quanto le schede possono esse-re compilate anche da una singola persona, impiegando un tempo relativamente ristretto (tra i 30 e i 60 secondi), senza l’utilizzo di software dedicati (Lucchini et al., 2008).La semplicità di utilizzo ha però due limiti: in primis non tie-ne conto di alcune condizioni cliniche che possono avere delle ripercussioni sul carico di lavoro e, in seconda anali-si esso prende in esame solo ed esclusivamente aspetti vi-sibili e prevedibili delle attività quotidiane, non riuscendo a cogliere l’essenza dell’assistenza infermieristica, ovvero gli elementi intangibili delle attività che rappresentano gli aspettipiùcriticidellavorodell’infermiere.Da notare, poi, è sicuramente il fatto che la necessità di cor-relare il dato del NEMS con il tasso di saturazione dei po-sti letto, può avere dei risvolti fuorvianti nella sua valutazio-ne conclusiva: se confrontiamo, infatti, le nuove sperimenta-zioni organizzative che prediligono l’intensità di cura e gli ospedali tradizionali, le prime presenteranno un tasso di sa-turazione medio lievemente inferiore rispetto alle seconde, ciò al fine di garantire un corretto inserimento dei pazien-ti nelle diverse aree di riferimento (e di complessità). Que-sta necessità non deve generare, però, una sostanziale dif-ferenza in termini di valutazione del bisogno assistenziale o di correlazione dei risultati tra le due realtà prese ad esem-pio, pena, una diversa considerazione e quindi un differen-te trattamento per il paziente che troverà accesso in una o nell’altra realtà. Ciò non è garantito al momento attuale, dal solo calcolo dell’indice, ma richiede una supervisione com-plessiva della realtà di riferimento all’interno della quale la scala di valutazione deve essere applicata. Tale considera-zionepuòguidareanchelenostreriflessionirelativamentea quanto riscontrabile all’interno della Terapia Intensiva Pe-diatrica: probabilmente laddove il livello di specializzazio-

ne e caratterizzazione del bisogno del paziente cambia, è preferibileutilizzareunascalaancorapiùspecialistica.Ciòdovrebbe essere verificato approfondendo il tema con ulte-riori sperimentazioni e raccolte dati.Nonostante questi esami scrupolosi che palesano alcune aree grigie e di potenziale miglioramento dello strumento, è da sottolineare come tale esperienza sia stata comples-sivamente positiva, nonché utile. Essa ha generato delle si-gnificative evidenze per la struttura di riferimento, che pos-sono essere generalizzabili, non solo ad altre aziende del-lestessedimensioni,maancheadaziendepiùpiccoleecon una diversa collocazione dei posti letto.Molteplici sono gli aspetti positivi della scala NEMS ri-scontrati e da ciò è possibile affermare come essa sia uno strumento ottimale per la rilevazione della complessità as-sistenziale all’interno della realtà della Terapia Intensiva.

BibliografiaCantareLLi m. e ponteLLo G., Principi amministrativi appli-cati alla professione, in “Quaderno dell’infermiere”, 26, Masson Italia, 1989.CuLLen D.J., CiVetta G.m., briGGS b.a. e Ferrara L., Ther-apeutic intervention scoring system: a method for quan-titative comparison of patient care, in “Crit Care Med”, 1974, 2, pp. 57-60.LuCChini a., ChineLLo V., LoLLo V., De FiLippiS C., SChena m., eLLi S., SaSSo m., peLuCChi G., poLoniato L., martino m., CoStanzo a. e VimerCati S., Utilizzo di sistemi di rilevazio-ne NEMS (Nine Equivalent of Manpower Score) e NAS (Nursing Activities Scores) per determinare il fabbisogno infermieristico in una terapia intensiva polivalente, in “Assi-stenza infermieristica e ricerca”, 2008.miranDa D.r., moreno r. e iapiChino G., Nine equiva-lents of nursing Manpower use score (NEMS), in “Intensive Care Med”, 1997, 23, pp. 760-765.reiSner-SénéLar L., The birth of intensive care medicine: Bjorn Ibsen’s records, in “Intensive Care Med”, 2011, 38, pp. 1349-1355.SpanDonaro F., buzzi n., Lorenzini V., SaLmoiraGhi m. e Si-Leo C., L’analisi dei carichi di lavoro assistenziali in Sani-tà, in La gestione manageriale della Sanità, a cura di S. SpinSanti, ed. EdiSES, 1997.

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51management per le professioni sanitarie

sperimentazioni gestionali: proposta di applicazione dell’i.C.a. in riabilitazione aPPrOfONdImeNtI

Sperimentazioni gestionali: proposta di applicazione dell’I.C.A. in riabilitazionedi lucia Chiarelli*

IntroduzioneIl metodo I.C.A. (Indice di Complessità Assistenziale) elaborato da Bruno Cavaliere (2009) sulla scorta dei bisogni individua-ti da Marisa Cantarelli (1997), nasce proprio come uno stru-mento che, ideato e impostato sulle competenze degli infermie-ri, sia in grado di definire i livelli di intervento infermieristico, for-nendo una misurazione quali-quantitativa della complessità as-sistenziale richiesta da ciascun caso preso in carico.Premesso ciò, la principale difficoltà che si riscontra in sede di effettiva implementazione e applicabilità di tale strumento all’interno delle specifiche strutture e Unità Operative (o an-che UU.OO.) è rappresentata dalla necessaria operazione di adattamento e personalizzazione che deve essere fatta al fine di assicurare un uso efficace dello stesso.Ciò risulta particolarmente importante nel caso in cui si do-vesse ulteriormente decidere di applicare e trasferire tale metodo in un contesto che non sia tipicamente quello infer-mieristico, ma specificatamente riabilitativo, dove non risul-tapiùsufficienteutilizzareunmodelloessenzialmenteassi-stenziale, bensì risulta necessario adeguarlo ad una realtà piùarticolatacheprendainconsiderazionetuttiivaricam-pi di intervento dell’attività di riabilitazione, dalla valuta-zione alla programmazione della diverse attività. Coerentemente con quanto appena affermato, nel prosieguo si intende presentare l’esperienza dell’Unità Operativa di Me-dicina Riabilitazione Specialistica – Riabilitazione Generale Geriatrica della Fondazione Richiedei di Gussago (di seguito anche U.O.M.R.S - R.G.G),la quale si è interrogata sull’op-portunità di poter utilizzare il modello I.C.A., quale strumento gestionale, debitamente adeguato al contesto riabilitativo e fruibile da parte del coordinatore fisioterapista, al fine di po-ter garantire una distribuzione coerente del carico di lavoro. Per raggiungere tale obiettivo la struttura di riferimento per l’indagine ha cercato di definire uno specifico disegno dello studio, adottando differenti step operativi, tra cui: (i) lo svolgimento di attività di osservazione e confronto con altre realtà riabilitative, al fine di indagare la possibilità di utilizzo di ulteriori elementi gestionali; (ii) la valutazio-ne della coesione e della motivazione nonché l’analisi de-gli elementi di forza e di debolezza interni alla realtà ope-rativa, al fine di comprendere le leve critiche di successo di una eventuale riorganizzazione; (iii) la proposta di uno strumento e il test dello stesso attraverso attività di indagi-ne operativa sul campo. * Fisioterapista collaboratore, Fondazione Richiedei di Gussago (bs);

e-mail: [email protected]

l’indice di Complessità assistenziale (i.C.a.) si propone come sistema integra-to di analisi organizzativa in grado di garantire un adeguato processo decisiona-le dell’infermiere, al fine di orientare l’attività infermieristica al riscontro di prio-rità assistenziali individuali o generali; ma può considerarsi valido anche in con-testo riabilitativo?l’indagine qui presentata intende valutare l’applicabilità, a seguito di opportu-ni adattamenti, di tale metodologia nell’Unità operativa di Medicina Riabilitazio-ne specialistica – Riabilitazione Generale Geriatrica della Fondazione Richiedei di Gussago, utilizzando come punti di partenza concettuali la classificazione interna-zionale di funzionamento della disabilità e della salute (i.C.F. – International Clas-sification of Functioning, Disability and Health) e un modello teorico sperimentale elaborato da una équipe riabilitativa dell’ospedale san Camillo Forlanini di Roma.lo strumento proposto, nonostante necessiti di un elevato consumo di risorse e tempo per essere ben strutturato, è risultato essere utile per la valutazione da par-te del coordinatore del fabbisogno fisioterapico quotidiano in relazione alla gravi-tà delle persone assistite.

parole chiaveindice di Complessità assistenziale (i.C.a.), riabilitazione, fabbisogno assistenziale.

aBStraCt

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52 management per le professioni sanitarie

sperimentazioni gestionali: proposta di applicazione dell’i.C.a. in riabilitazioneaPPrOfONdImeNtI

Prima di entrare nel merito della descrizione delle sopraci-tate attività, svolte per il raggiungimento della finalità pri-maria dello studio, s’intende fornire una breve descrizione dell’Unità Operativa (in seguito anche U.O.) presa in esa-me e degli specifici compiti assolti dal fisioterapista, pro-prio per garantire una migliore contestualizzazione delle considerazioni che si andranno a svolgere.L’U.O. considerata consta di 72 posti letto ed è suddivisa in un’area Specialistica per pazienti con patologie molto gravi e un’area Generale-Geriatrica per patologie osteoarticola-ri. Il numero complessivo di risorse umane presenti ammonta a 70 unità così distribuite: n. 1 coordinatore infermieristico, n. 1 coordinatore fisioterapista, n. 16 collaboratori profes-sionali sanitari fisioterapisti, n. 21 collaboratori sanitari in-fermieri, n. 2 collaboratori sanitari logopedisti, n. 6 dirigen-ti sanitari medici, n. 1 collaboratore sanitario dietista, n. 6 operatori socio-sanitari (O.S.S.), n. 4 operatori tecnici ad-detti all’assistenza (O.T.A.), n. 11 ausiliari socio assistenzia-li (A.S.A.), n. 1 coadiutore amministrativo.Ogni fisioterapista è responsabile di un numero di posti let-to in base all’orario di servizio e al setting di appartenenza del paziente (Specialistica, con 18 posti letto, oppure Ge-nerale – Geriatrica, con 54 posti letto): tale suddivisione sot-tende una complessità differente del paziente preso in cari-co e pertanto anche l’attività-setting correlata assorbe ener-gie e tempistiche differenti da parte degli operatori coinvolti.Possiamo riscontrare tre principali fasi nelle qua-li il fisioterapista assolve a degli specifici compiti: (i) la fase di presa in carico, (ii) la fase di adempimento delle attività quotidiane e infine (iii) la fase di dimissione. Le tipologie di prestazioni riabilitative che vengono eroga-te da parte del professionista sono complesse e molteplici, basti pensare che non si limitano alla sfera personale del paziente, ma giungono fino all’educazione del care giver.Data la varietà e la non linearità dei compiti del fisiote-rapista all’interno della U.O. sopradescritta, difficile è il compito di strutturazione e suddivisione dei carichi di la-voro dei professionisti che vi operano. Ciò crea proble-matiche e tensioni organizzative che la struttura vorrebbe risolvere,andandoproprioadagiresudiunapiùequadistribuzione del carico riabilitativo.La presente indagine è stata condotta con lo scopo di inda-gare la possibilità di adeguare e migliorare l’organizzazio-ne, cercando di agire sulle due principali leve che rappre-sentano i soggetti/attori chiave dell’attività riabilitativa, ossia il professionista fisioterapista e l’utente, oggetto delle cure.

materiali e metodiIl modello teorico sperimentale I.C.a. per un’équipe di fisioterapistiLa pianificazione delle attività rappresenta l’elemento fonda-mentale dell’intero processo terapeutico per qualsiasi profes-sionista sanitario e, quindi, anche per il fisioterapista. Il mo-dello concettuale di riferimento è senza ombra di dubbio la classificazione internazionale di funzionamento della disabi-

lità e della salute (I.C.F. – International Classification of Fun-ctioning, Disability and Health), emanato dall’Organizzazio-ne Mondiale della Sanità (WHO, 2001), che valuta lo stato di salute dell’individuo nelle sue diverse componenti: fisiche, psichiche, funzionali, emozionali e sociali.Giacché il focus dell’azione riabilitativa si concentra non tan-to sul livello di dipendenza (che è invece fondamentale per la valutazione infermieristica), quanto piuttosto sul concetto di au-tonomia residua, all’atto della conduzione della sperimentazio-ne, al fine di testare l’applicazione dello strumento I.C.A., il gruppo di lavoro ha sollevato la necessità di modificare lo stes-so, superando e aggiornando i livelli di complessità che so-no normalmente considerati per le prestazioni infermieristiche.Proprio con lo scopo di applicare uno strumento che ri-spondesse a queste caratteristiche, si è stabilito di utilizza-re un modello sperimentale frutto del lavoro di una équipe riabilitativa dell’Ospedale San Camillo Forlanini di Roma. Tale strumento valuta le funzioni svolte, nello specifico die-ci, secondo una categorizzazione I.C.F. che aggrega le dieci principali aree di attività fisioterapiche, seguendo un definito nomenclatore. Da tali aree dipendono poi delle azioni riabilitative, che sono valutate rispetto a cinque livel-li, che rappresentano i cinque principali livelli di comples-sità riabilitativa, e che si possono così elencare: educare, prevenire, sostenere, compensare, sostituire1.Essi nascono dal Modello delle Prestazioni Infermieristiche di Cantarelli (1997) e sono stati però aggiornati e variati ri-spetto alla specificità del settore di riferimento. Il modello ori-ginario, infatti, prevedeva, anziché il livello uno e due “edu-care e prevenire”, i due elementi “indirizzare e guidare”.Tali dimensioni, sono sintetizzabili come di seguito proposto:- educare: si tratta di un intervento previsto per un pa-

ziente con buona autonomia funzionale, oppure pa-zienti che sono arrivati al proprio obiettivo terapeutico al termine dell’iter riabilitativo. Presuppone l’insieme di consigli e interventi terapeutici ed ergonomici che mira-no a una migliore qualità di vita mediante un addestra-mento basato su esercizi e/o correzioni posturali, che cambiano le cattive abitudini motorie;

- prevenire: obiettivo è quello di predisporre, adattare e identificare accorgimenti e tecniche utili per evitare pa-tologie secondarie che si possono associare a quella principale ed evitare infortuni accidentali.

Secondo questo modello, la rilevazione dell’I.C.A. avviene utilizzando una scheda che registra: (i) i riferimenti di ricono-scimento univoco dell’utente, (ii) le categorie delle prestazio-ni, (iii) il giorno di rilevazione, (iv) il livello di complessità e (v) le azioni. Ai fini della compilazione della scheda si procede partendo dalla registrazione dell’utente e del giorno.Per ciascuna categoria di prestazioni, infine, sono identificate

1 tale classificazione non è ancora stata pubblicata; essa è stata gentilmente fornita all’autrice dall’équipe riabilitativa dell’ospedale san Camillo Forlanini di Roma coordi-nato da antonio Gallo, che si è occupato della realizzazione di tale modello ex novo.

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53management per le professioni sanitarie

sperimentazioni gestionali: proposta di applicazione dell’i.C.a. in riabilitazione aPPrOfONdImeNtI

tutte le azioni ritenute necessarie dal fisioterapista per quell’u-tente in quella giornata. Le decisioni prese determinano la regi-strazione delle azioni di cui ha bisogno l’utente sotto forma di codici univoci tratti dal nomenclatore. È possibile segnare un numero indefinito di azioni per ogni categoria di prestazioni. Le azioni così raccolte consentono di compilare il campo (livel-lo/peso). Sarà quindi riportato sulla scheda il livello con mag-gior “peso assistenziale”. Una volta completata la compilazio-ne giornaliera della scheda, la colonna dei pesi viene somma-ta determinando l’I.C.A. giornaliero, che viene poi associato alla classe di gravità relativa (Cavaliere, 2009).Per meglio comprendere la scheda di raccolta dati, si pro-pone qui il framework utilizzato (figura 1).

Il secondo strumento operativo di indagine: il model-lo dell’Istituto Scientifico di riabilitazione di Castel GoffredoAl primo strumento applicativo teorico, già modificato per il contesto di riferimento operativo, se ne è aggiunto un se-condo, reperito attraverso attività di osservazione e con-fronto di altre realtà che svolgono attività nel contesto ria-bilitativo. Nello specifico, è stata individuata una struttura a forte impronta riabilitativa, che utilizzasse strumenti ge-stionali innovativi e che avesse una mission e un contesto simili a quello della Fondazione Richiedei.A questo concetto teorico si lega uno studio di benchmar-king svolto presso l’ospedale di Castel Goffredo (MN), in

figura 1 – Scheda di rilevazione I.C.A. revisionata per le attività riabilitative

U.o. __________________________ CoDiCe CentRo Di Costo _________

RileVazione i.C.a assistito _____________________________________

Drgs__________________________ i.D. _________________________________

aree di intervento Data _______ Data _______ Data _______

1. Presa in carico riabilitativa

azioni livello

1 2 3 4 5

azioni livello

1 2 3 4 5

azioni livello

1 2 3 4 5

2. Contenimento dolore azioni livello

1 2 3 4 5

azioni livello

1 2 3 4 5

azioni livello

1 2 3 4 5

3. funzione respiratoria azioni livello

1 2 3 4 5

azioni livello

1 2 3 4 5

azioni livello

1 2 3 4 5

4. mobilità azioni livello

1 2 3 4 5

azioni livello

1 2 3 4 5

azioni livello

1 2 3 4 5

5. disabilità/ abilità residue azioni livello

1 2 3 4 5

azioni livello

1 2 3 4 5

azioni livello

1 2 3 4 5

6. trasferimenti azioni livello

1 2 3 4 5

azioni livello

1 2 3 4 5

azioni livello

1 2 3 4 5

7. autonomia nelle adL azioni livello

1 2 3 4 5

azioni livello

1 2 3 4 5

azioni livello

1 2 3 4 5

8. autonomia comunicativo-relazionale

azioni livello

1 2 3 4 5

azioni livello

1 2 3 4 5

azioni livello

1 2 3 4 5

9. autonomia cognitivo- comportamentale

azioni livello

1 2 3 4 5

azioni livello

1 2 3 4 5

azioni livello

1 2 3 4 5

10. reinserimento sociale azioni livello

1 2 3 4 5

azioni livello

1 2 3 4 5

azioni livello

1 2 3 4 5

i.C.a.

Classe di gravità

Classe di gravità: Classe 1 (1-10); Classe 2 (11-20); Classe 3 (21-30); Classe 4 (31-40); Classe 5 (41-50)

fonte – Ospedale San Camillo Forlanini (Roma), 2010

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sperimentazioni gestionali: proposta di applicazione dell’i.C.a. in riabilitazioneaPPrOfONdImeNtI

cui è stata messa in atto un’organizzazione basata su di una codifica diagnostica dei pazienti, che permette di dif-ferenziare la tempistica e quindi il carico di lavoro relativo, rispettando i criteri di trasparenza, efficienza ed efficacia.Obiettivo di questa innovazione organizzativa è quello di trovareunasoluzionepiùoggettivaescientificaperladi-stribuzione del “carico riabilitativo” e nello stesso tempo ri-uscireadeterminareunatracciabilitàpiùesplicitaditaledistribuzione e dare maggiore visibilità alle attività fisiote-rapiche, core dell’assetto istituzionale dell’ospedale.I risultati ottenuti dallo studio hanno rappresentato una fon-damentale base di partenza per l’U.O.M.R.S - R.G.G del-la Fondazione Richiedei di Gussago e per la messa in at-to di un proprio strumento, in quanto i need organizzativi e specialistici di partenza sono da considerarsi completa-mente sovrapponibili.Dalpuntodivistaoperativo,aifinidiunapiùopportunadi-stribuzione del carico di lavoro, il team dell’Istituto Scientifi-co di Riabilitazione di Castel Goffredo, ha progettato e im-plementato una propria metodica di “classificazione dei pa-zienti per codici”. Tale metodica prevede che, al momento della visita medica di accettazione del paziente, il medico responsabile attribuisca al paziente un codice identificativo, identificativo del livello di disabilità. Ciò può essere consi-derato vantaggioso, soprattutto in fase di programmazione delle attività tra UU.OO. e palestra, tema assai complesso organizzativamente quanto importante per garantire la cor-retta presa in carico e assistenza all’utenza.Per una miglior distribuzione dell’attività lavorativa in pa-lestra, si sono definiti i seguenti codici di identificazione:

N1 N2 O1 O2 R1 R2R3 G1 G2 G3

Risulta importante sottolineare come le lettere indichino una specifica tipologia di paziente, come qui sotto indicato.

- N: paziente neurologico;- O: paziente ortopedico;- R: paziente reumatico, osteo-degenerativo;- G: paziente generale-geriatrico.

I numeri da 1 a 3, invece, vanno a specificare la complessità del paziente, secondo il grado di disabilità manifestato, ossia:- Gruppo1:pazienti che possono svolgere compiti au-

tonomamente per minima parte (da un minimo di 0 a un massimo sempre inferiore al 50% del tempo).

- Gruppo2: utenti che sono in grado di svolgere autono-mamente almeno il 50% delle attività, e che necessitano di sola supervisione, training o feedback da parte del TdR.

- Gruppo3:pazienti che possono svolgere kinesitera-pia di gruppo.

Infine, ultimo aspetto rilevante per la pianificazione e pro-grammazione dell’attività riabilitativa è il tempo. In termini di unità di tempo utilizzate, si hanno a disposizione:1 ora

di trattamento effettivo (non considerando eventuali frazio-namenti dovuti alle capacità di resistenza/attenzione del soggetto) per i pazienti in area specialistica e 1/2 ora di trattamento effettivo per gli utenti di area geriatrica.Indagine conoscitiva nell’Unità Operativa di Medicina Ri-abilitazione Specialistica - Riabilitazione Generale Geria-trica (U.O.M.R.S. - R.G.G.)Come già precedentemente anticipato, al fine di conclu-dere il percorso di indagine, validando, confermando e analizzando le motivazioni interne sottostanti alle necessi-tà organizzative, la terza e ultima metodologia applicata è stata quella propria delle metodologie di ricerca qualita-tiva, ovvero un’indagine mediante uno strumento che po-tesse sondare nel profondo le convinzioni e le motivazio-ni degli operatori fisioterapisti della U.O.M.R.S. – R.G.G. (Patton, 2002), con i seguenti obiettivi:- monitorare l’interesse, le criticità e la motivazione di tut-

ti i fisioterapisti dell’U.O.M.R.S. - R.G.G. riguardo l’at-tuale distribuzione dei 74 pazienti degenti rispetto alla presa in carico riabilitativa;

- fotografare la percezione dei fisioterapisti della realtà organizzativa in essere;

- verificare che processi e iniziative aziendali rispondesse-ro alle esigenze e alle priorità espresse dalle persone;

- evidenziare gli aspetti sui quali intervenire, definire e at-tuare una proposta di modello organizzativo utile al co-ordinatore per gestire questo ambito rispetto ai criteri di trasparenza, equità, efficacia ed efficienza.

L’indagine si è svolta in due fasi. La prima fase ha previsto la di-stribuzione di un questionario e la convocazione di una riunio-ne d’équipe tra fisioterapisti e dirigenti per valutare le motiva-zioni verso un cambiamento organizzativo e per far conosce-re un nuovo strumento organizzativo-gestionale qual è l’I.C.A.Dopo la definizione del quadro motivazionale di riferimen-to, nella seconda fase di indagine interna si è elaborata una proposta organizzativa, a seguito dell’applicazione nel contesto aziendale, dei due strumenti sopra descritti e rielaborati, per la distribuzione dei pazienti ai fisioterapisti responsabili, utilizzando un programma ideato ad hoc su supporto informatico Excel.

risultatiUno sguardo all’U.O.m.r.S. - r.G.G.Al fine di analizzare i dati reperiti dalla sperimentazio-ne effettuata, ripercorreremo a ritroso i materiali e metodi presentati, mostrando per primi quei risultati che, nell’ordi-ne temporale, hanno contribuito alla realizzazione del di-segno dello studio e hanno permesso il raggiungimento dell’obiettivo primario stabilito.L’indagine è stata condotta su tutti i fisioterapisti dell’U.O., attraverso la somministrazione di un questionario struttura-to, auto compilato in forma anonima, su supporto carta-ceo, nel corso del mese di luglio 2010.Gli aspetti presi in considerazione in quest’analisi sono stati la pressione lavorativa, la coesione tra i colleghi, la

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sperimentazioni gestionali: proposta di applicazione dell’i.C.a. in riabilitazione aPPrOfONdImeNtI

relazione tra il carico di lavoro ed eventuali problematiche psicofisiche, prospettive di sviluppo dell’attività, i rappor-ti e i livelli comunicativi in essere, nonché, infine, la perce-zione della propria motivazione al lavoro.In seguito alla somministrazione del questionario si è svol-ta una riunione d’équipe in cui erano presenti il coordinato-re dell’attività di ricerca, i fisioterapisti nel (numero di 12 su 15), il coordinatore dei fisioterapisti dell’U.O. e il Respon-sabile di Struttura Complessa. L’incontro, della durata di cir-ca due ore, ha avuto lo scopo di verificare la disponibili-tà e l’interesse dei colleghi e della direzione verso gli obiet-tivi dello studio, informare e approfondire i principi teorici dell’I.C.A.; della medesima, modificata secondo il nomen-clatore che attinge alla concettualizzazione I.C.F., è stata spiegata la compilazione di sintesi utile per quantificare il valore dell’I.C.A. di ogni singolo paziente, è stata effettua-ta un’analisi dell’organizzazione in quel dato momento ed esplicitati i dettagli del nuovo progetto riorganizzativo.Dall’elaborazione del questionario somministrato è emerso come i partecipanti all’indagine ritengano che l’attuale or-ganizzazione per posti letto dell’U.O. non permetta di di-stribuire i pazienti ai professionisti pesando la “gravità” co-me criterio cardine per l’attribuzione dei pazienti da trattare.Il risultato di questa scelta si evince nella valutazione degli ope-ratori, secondo i quali i carichi di lavoro non sono bene orga-nizzati e addirittura si verificano dei comportamenti non del tut-to corretti da parte dei colleghi. Ciò ha una rilevanza notevole sul benessere complessivo dell’organizzazione, giacché il cari-codilavoroinfluisceinmodoabbastanzaosignificativamentenotevole per il 90% del campione intervistato.L’80% degli intervistati sostiene di non essere motivato nell’investire energie a favore dell’organizzazione e pro-prio a questo riguardo, il 90% del campione afferma che un elemento di spinta e motivazione potrebbe essere una riorganizzazione, da considerarsi come il fattore di cam-biamentopiùurgenteenecessario,ancoradipiùdellamodifica nella circolazione e chiarezza delle informazio-ni,checomunqueèilsecondofattorepiùrilevanteperilmiglioramento complessivo sia del servizio erogato, sia del benessere complessivo percepito.A tale proposito, è emerso il desiderio di utilizzare uno strumento che permetta di mettere in evidenza, in termi-nipiùdettagliatielogici,tuttelemolteplici“azioni”chefanno parte del lavoro quotidiano e che l’attuale orga-nizzazione per compiti, che non considera la comples-sità dell’attività, fa perdere completamente di vista. Il fat-to che l’attuale organizzazione non consideri la comples-sità dell’attività svolta, infatti, comporta effetti negativi, sia in termini di aumento delle competenze, sia motivazionali, sia in termini economici.Affrontando tutte queste problematiche, alcune perplessità sono emerse da parte della direzione, che, a differenza di quanto inizialmente percepito e atteso da parte dell’u-tenza interna, si è rivelata subito proattiva e attore positivo del cambiamento organizzativo, con però la preoccupa-

zione che l’utilizzo di uno strumento rigido potesse porta-re a una “standardizzazione delle capacità”, allontanan-do l’interesse verso un’organizzazione specializzata inve-ce per competenza.

L’applicabilità del modello dell’Istituto Scientifico di riabilitazione di Castel GoffredoA seguito dell’osservazione e dei confronti effettuati presso la Fondazione di Castel Goffredo, è stato possibile comprende-re come la classificazione dei pazienti utilizzata e proposta all’interno di questa struttura ovviamente sottende a un effet-tivo miglioramento complessivo del clima lavorativo e a una maggiore trasparenza nell’organizzazione delle attività: il ca-rico di lavoro personale si modifica, come anche il rapporto tra i due soggetti e attori dell’attività riabilitativa. Il professioni-sta, infatti, conoscendo la categoria alla quale fa riferimento l’utente, può comprendere il carico di lavoro che lo attende.Nonostante ciò, non è possibile dimenticare come la distribu-zione finale dei carichi sia affidata al fisioterapista coordina-tore. L’attività, infatti, viene organizzata in modo tale da con-siderare un numero di diciotto fisioterapisti, anche se in orga-nico sono a disposizione venti professionisti, per novantadue posti letto di degenza e diciotto posti letto di day-hospital.In base all’orario lavorativo giornaliero, ciascun fisioterapi-sta avrà una diversa ripartizione e distribuzione del nume-ro e della tipologia di pazienti, con presenza di soggetti piùomenocomplessi.A supporto di questa equa ripartizione delle attività, un si-stema informativo costantemente e quotidianamente ag-giornato, garantisce la fruizione dei dati corretti, che pos-sono essere utilizzati dal coordinatore per una tempestiva distribuzione dei carichi di lavoro o per una loro modifi-ca, in caso di necessità. Rappresenta sempre un compito del coordinatore quello di gestire le eventuali assenze non programmate o improvvise, in modo tale da poter garan-tire la corretta erogazione dei servizi richiesti. Per quanto riguarda i congedi ordinari, l’organizzazione prevede, in situazione di assenza contemporanea di quattro colleghi, la sospensione dei due pazienti a regime ambulatoriale (che rientrano nell’orario di servizio di ogni singolo fisiote-rapista), qualora invece le assenze simultanee fossero 2, per esempio assenze per malattia, sarebbe sospeso un so-lo trattamento a regime ambulatoriale.Quando accade questa seconda tipologia di avvenimen-ti, la tempestività dell’informazione è un fattore critico es-senziale. Il coordinatore che riceve notizia, infatti, si pre-occupa di avvisare e sospendere il paziente ambulato-riale, se ciò dovesse essere impossibile, il coordinato-re valutando il “quadro d’insieme” ridistribuisce il cari-co di attività.L’implementazione e strutturazione di una simile organiz-zazione, fa sì che ciascun fisioterapista, anche nei perio-dipiùcriticidigrandecaricodilavoro,abbiasempreunaggravio costante.Gli aspetti positivi emersi dall’applicazione dello strumen-

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sperimentazioni gestionali: proposta di applicazione dell’i.C.a. in riabilitazioneaPPrOfONdImeNtI

to operativo e di cui gli operatori sono ben consci, sono di seguito esplicitati.- Soddisfazione per la possibilità di pianificare la pro-

pria attività.- Implementazione di una procedura operativa che è in

grado di facilitare le relazioni coordinatore-fisioterapi-sta - U.O., dove molto spesso la comunicazione è inve-ce scarsa e non sempre lineare.

- Definizione di un metodo capace di determinare le competenze necessarie.

Oltre agli aspetti positivi, è emersa la necessità e la volon-tà di un ulteriore miglioramento nella strutturazione dell’attivi-tà lavorativa, attraverso un’opera di potenziamento di alcuni aspetti ancora poco sviluppati, ma per i quali l’équipe sente una profondissima esigenza di cambiamento e che coincido-no con alcune criticità rilevate anche all’interno della Fonda-zione di Gussago. Innanzitutto, l’attuale criterio non fotografa l’intera complessità assistenziale e riabilitativa del paziente ri-coverato, risultando non completo per la gestione del critico coordinamento tra U.O. e palestra.Si sono inoltre verificate molte difficoltà organizzative, so-prattutto per quanto riguarda la possibilità di applicare questo strumento a livello interprofessionale (può essere ap-pannaggio della sola professione riabilitativa).Infine, si sono registrate forti resistenze culturali da parte degli operatori ad accettare un’organizzazione basata su un processo di pianificazione, che a sua volta si fonda sul-le interdipendenze delle attività e sulla valutazione ogget-tiva, a fronte di una scarsa abitudine a utilizzare scale di valutazione come supporto.Proprio da queste considerazioni, soprattutto in tema di resi-stenza al cambiamento e di necessità di utilizzare uno stru-mento che sia in grado di cogliere anche gli aspetti ove non sussiste una completa soddisfazione nell’applicazione della metodologia oggi in uso, si è cercato di trovare un ulteriore strumento operativo di riorganizzazione dell’attività lavorati-va, in grado di contemplare differenti aspetti, soprattutto in un’ottica di multidimensionalità e multidisciplinarietà.

Il modello della fondazione richiedei: primi risultati di una sperimentazione gestionaleCome suggerito nelle riunioni operative e riorganizzative, è stato utilizzato uno strumento di supporto informatico che fos-seilpiùsempliceeimmediatopossibile,macomunquene-cessario, considerando le numerose informazioni da inserire.Per questo motivo, ci si è avvalsi di un semplice foglio di calcolo Excel di Microsoft, pensato per essere utilizzato dal coordinatore del Servizio. Per rendere preciso, ma an-che veloce e immediato l’uso di tale strumento, sono stati utilizzati indicatori numerici e grafici.Qui di seguito è riportata la descrizione della proposta, che è al contempo una spiegazione teorica degli assunti su cui si basa lo strumento che può supportare il nuovo as-setto organizzativo e una interpretazione empirica su co-me applicare nel contesto operativo tali principi.

Grafico 1 – Rappresentazione dei pazienti gravi attesi e reali come carico di lavoro per singolo fisioterapista

fonte – Rielaborazione dell’autore da dati raccolti durante l’indagine, 2010

Grafico 2 – Rappresentazione dei pazienti medi attesi e reali come carico di lavoro per singolo fisioterapista

fonte – Rielaborazione dell’autore da dati raccolti durante l’indagine, 2010

Grafico 3 – Rappresentazione dei pazienti leggeri attesi e reali come carico di lavoro per singolo fisioterapista

fonte – Rielaborazione dell’autore da dati raccolti durante l’indagine, 2010

Con una scadenza settimanale è stato raccolto l’I.C.A. per ciascun paziente, sia in ambito ambulatoriale, durante le visite specialistiche pre-ricovero, sia all’interno della U.O. di degenza e a ogni nuovo ingresso.Questi dati sono stati raccolti in un database, con un numero progressivo legato al numero di pazienti osservati e con indi-cazione del valore I.C.A. per ciascuna osservazione.Essi vengono poi sommati e viene calcolata la media dell’I.C.A. dell’U.O., nonché la deviazione standard, co-me rappresentato nella sotto indicata tabella.Dalla tabella seguente si nota come il software conteggi il nu-mero complessivo di pazienti in carico, per poi suddivider-

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sperimentazioni gestionali: proposta di applicazione dell’i.C.a. in riabilitazione aPPrOfONdImeNtI

li all’interno di tre categorie, rilevando le percentuali di fre-quenza:- pazienti gravi con I.C.A. maggiore o uguale a 30 (il

32% della popolazione circa);- pazienti mediamente impegnativi con I.C.A. compreso tra

15e30(piùdellametàdellapopolazionecomplessiva);- pazienti leggeri con I.C.A. inferiore o uguale a 15 (la

minoranza dell’utenza, pari al 13% circa).La valutazione della complessità così completata deve poi esse-re correlata alla situazione di produttività e quindi alla potenzia-le ed effettiva attività che il personale riabilitativo può effettuare.A questo proposito, è necessario conoscere la composizio-ne della pianta organica. Si consideri che l’équipe dei fi-sioterapisti è così composta: 7 full-time a 7 ore e12 minuti al giorno, 1 part-time a 5 ore, 2 part-time a 3 ore e 36 mi-nuti, 3 part-time a 6 ore e 1 part-time a 6 ore e 30 minuti.È stato preso in considerazione il part-time a 3 ore e 36

minuti giornalieri come unità temporale di riferimento sulla quale costruire la distribuzione dei carichi.È stato calcolato, rispetto a tale unità di riferimento X, pari a 3 ore e 36, il valore di ciascun dipendente, in questo modo:- il full-time corrisponde a 2 X = 2 volte 3 ore e 36,- il part-time a 5 ore, che equivale a 1,39 X,- il part-time a 6 ore, pari a 1,67 X,- il part-time a 6 ore e mezza, corrispondente a 1,805 X.Nel programma viene calcolata la somma delle unità di misura presenti in servizio nell’U.O.M.R.S. - R.G.G., in tempo reale.Nell’U.O., a organico completo, tale somma corrispon-de a 24,19 X.Per chiarezza, denomineremo tale somma come “somma di unità di personale”.È stato dunque calcolato l’I.C.A. totale teorico giornaliero per il part-time, utilizzando il rapporto tra il totale I.C.A. dell’U.O. e il numero di unità di personale.

tabella 2 – Esemplificazione della raccolta dati I.C.A.

fonte – Rielaborazione dell’autore da dati raccolti durante l’indagine, 2010

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Moltiplicando tale valore per i riferimenti valoriali (rispetto a X) ricavati per ciascun terapista si ottiene l’I.C.A. teorico totale giornaliero per ciascuno.Utilizzando la stessa logica procedurale, si possono ottenere il numero teorico giornaliero di pazienti delle differenti cate-gorie per ciascun terapista in relazione ai pazienti presenti in U.O. e al personale realmente presente in servizio.È possibile inoltre calcolare quanti pazienti gravi, medi e leggeri dovrebbe trattare un part-time (di 18 ore settima-nali) al giorno, dividendo il numero di pazienti (ovviamen-te per tipologia) per la somma delle unità di personale.Moltiplicando i risultati ottenuti per il valore di ciascun altro fisioterapista, è possibile conoscere quanti pazienti gravi, medi e leggeri dovrebbe avere in carico ognuno.Tali risultati appaiono d’immediata visualizzazione nei gra-fici 1, 2 e 3, dove sull’asse delle ordinate vengono ripor-tati il numero di pazienti teorici per ciascun terapista, e sull’asse delle ascisse i terapisti identificati con dei numeri.

discussione e conclusioniLo strumento proposto nella presente ricerca implica una lunga strada di valutazione delle percezioni e dei bisogni da parte dei professional coinvolti. A tal proposito, la do-manda che sorge spontanea è la seguente: il cammino di accettazionesarebbepotutoesserepiùbreve?Piùrapido?Essendo la risposta positiva, ci si chiede: con quali risulta-ti? Una palese resistenza al cambiamento e un peggiora-mento della situazione motivazionale del team?Nonostante il metodo necessiti di un notevole consumo di risorse per essere ben strutturato, tale fatto non è da consi-

derarsi come un punto di debolezza, bensì come un pun-to di forza, di condivisione e quindi di stretta accettazione delle metodologie applicate. Indubbiamente il tempo costituisce un importantissimo fat-tore critico. Risulta infatti necessario fornire le corrette tem-pistiche individuali perché ciascuno possa rielaborare il cambiamento e non generare delle personali idiosincrasie alla situazione che può evolvere, chiedendo una modifica dei comportamenti individuali.Data la complessità della problematica, pertanto, si è cer-catodiideareetestareunostrumentochefosseilpiùsem-plice e adattabile alle abitudini già in essere. La variabilità lavorativa era già significativa senza necessità di apporta-re un’ulteriore variabile al sistema organizzativo.È il software, infatti, il centro delle rielaborazioni. Esso adat-ta automaticamente i calcoli e l’elaborazione degli strumen-ti grafici in relazione sia alla presenza di personale assen-te per ferie, malattie, ecc. sia ai posti di degenza occupati.Tale strumento è stato ideato in modo da essere utile in vari momenti della vita dell’U.O., ossia in fase di assegnare dei pazienti ex novo, nonché per verificare la distribuzione dei carichi in ogni istante, per modificare il carico di lavoro in se-guito a variazioni quali ingressi/dimissioni/peggioramento o miglioramento delle condizioni cliniche dei pazienti.La proposta di riorganizzazione dei carichi di lavoro che si è basata sull’utilizzo dell’I.C.A. sulla valutazione di gravità del paziente in relazione ad esso e sulle tempistiche di lavo-ro di ciascun professionista sanitario ha dimostrato di esse-re un utile strumento gestionale per il coordinatore. L’I.C.A. puòessereutilizzatoperattuareunaridistribuzionepiùomo-

tabella 3 – Raccordo tra calcolo I.C.A. e calcolo del carico di lavoro per fisioterapista

fonte – Rielaborazione dell’autore da dati raccolti durante l’indagine, 2010

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genea e opportuna delle risorse umane specializzate, con-siderando nello stesso tempo il reale bisogno assistenziale del paziente. La complessità in questo modo potrebbe es-sere inserita come valutazione e divenire non solo un fatto-re clinico di scelta, ma anche gestionale. A consistente sup-porto di tale ipotesi, infatti, basti pensare quale agevole ap-plicazione potrebbe avere un simile strumento all’interno di quelle UU.OO. di Riabilitazione che già sono strutturate per intensità di cura e che necessitano esclusivamente di trovare il giusto criterio di ripartizione della forza lavoro professio-nale (per piccole équipe? Per moduli fissi?).Il monitoraggio proposto permette infatti al coordinatore di valutare il fabbisogno fisioterapico quotidiano in relazio-ne alla gravità delle persone assistite, distribuendo così la “pressionelavorativa”conlamodalitàpiùequapossibile.L’attuazione del metodo presuppone da parte del coor-dinatore una conoscenza tecnico-informatica di base del programma Excel di Microsoft e capacità di lettura dei grafici semplici generati dal programma. Per gli operatori è invece necessario un breve percorso formativo di alcuni giorni per apprendere, anche attraverso simulazioni prati-che, l’utilizzo del nomenclatore e della scheda di sintesi.Numerosi sono gli aspetti di interesse da monitorare e ap-profondire al fine di garantire l’efficacia del modello orga-nizzativo proposto. Un primo elemento riguarda innanzi-tutto la valutazione del miglioramento di percezione com-plessiva da parte degli operatori, al fine di comprende-re quanto ha inciso sulla motivazione del gruppo di lavo-ro. Risulta importante, inoltre analizzare se i benefici introdotti nell’organizzazione possano essere considerati superiori rispet-to all’impegno di tempo richiesto per la formulazione dello stru-mento e la formazione dedicata. Da non dimenticare, infine,

che in altre realtà dove sperimentazioni gestionali sui carichi di lavoro sono state attuate, si evincono comunque, con il passa-re del tempo, delle criticità e delle richieste di miglioramento.Da ciò comprendiamo come la tensione verso il raggiungi-mento dell’obiettivo e verso la scoperta di nuove soluzioni deve sempre essere accompagnata da una forza di pari in-tensità che riesce a garantire l’attenzione nei confronti del clima e la perenne spinta verso il miglioramento continuo.Tali considerazioni, che fanno luce sui fattori critici per il suc-cesso di una sperimentazione gestionale di alto livello, ram-mentano anche l’importanza della presenza di un leader carismatico che deve saper traghettare (un po’ come fosse Caronte), la barca delle anime perse verso lidi migliori, ove ciascuno possa esprimere il meglio di sé e della propria professionalità, a prescindere dalla categoria professionale alla quale fa parte. L’esperienza qui proposta si propone di fornire un’ottica innovativa anche per l’ambito specifico del-le professioni sanitarie coinvolte. Le problematiche espresse, infatti, sono quanto mai poco settoriali e danno uno spacca-to proprio di moltissime realtà sanitarie all’interno delle quali si presta servizio, a prescindere dal fatto che esse siano pri-vate o pubbliche, territoriali od ospedaliere.

BibliografiaCantareLLi m., Il modello delle Prestazioni Infermieristiche, Masson, Milano, 1997.CaVaLiere B., Misurare la complessità assistenziale, Mag-gioli, Rimini, 2009.patton m.q., Qualitative Research & Evaluation Methods, 2002 (3rd ed.), Thousand Oaks, CA: Sage Publications.WHO, International classification of functioning, disability, and health, World Health Organization, Genève, 2001.

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Dott.ssa anna Cazzaniga - Direttore s.i.t.R.a. dell’azienda ospedaliera della provincia di leccointeRViste

Dott.ssa Anna Cazzaniga, Direttore S.I.T.R.A. dell’Azienda Ospedaliera della Provincia di Lecco

L’Azienda Ospedaliera di Lecco si è sempre distinta nel panorama lombardo – e non solo – per efficienza e inno-vatività. Già nel 1995, infatti, la Giunta Regionale certifi-cava il nosocomio essere il primo in Lombardia per reddi-tività e produttività.Tra il 1998 e il 1999 ha preso poi avvio la riforma sani-taria regionale, in base alla quale l’Azienda Ospedalie-ra di Lecco è stata organizzata su base provinciale per la gestione dei poli ospedalieri di Lecco, Merate e Bellano e dei Poliambulatori del territorio.Nel 2000 viene inaugurato il nuovo Ospedale di Lec-co, intitolato ad Alessandro Manzoni, e prendono avvio i trasferimenti delle prime Unità Operative. Tra il 2001 e il 2003, il trasferimento viene completato e l’Ospedale Alessandro Manzoni diviene attivo in tutte le sue aree spe-cialistiche.La dirigenza presente nel quinquennio 2003-2007 deci-de quindi di dare il via a nuove iniziative, quali ad esem-pio il potenziamento dell’emodinamica a Lecco e l’introdu-zione della stessa a Merate, nonché diverse riorganizza-zioni all’interno dei tre Presidi. In Azienda vengono inoltre lanciati e realizzati impegnativi programmi di riorganizza-zione (dipartimentalizzazione, integrazione tra ospedali, accentramento delle attività di supporto, riorganizzazione dei posti letto secondo il metodo del Bed Grouping, inse-rimento massiccio nelle équipe assistenziali degli operato-ri socio-sanitari, ecc.).Nel 2010 l’Azienda Ospedaliera festeggia il decenna-le, avviando tra le altre un’ampia riorganizzazione del Di-partimento Chirurgico, avvenuta nel dicembre dello stes-so anno.Proponiamodiseguitopiùneldettaglio,grazieall’inter-vista rilasciata dalla Dott.ssa Cazzaniga, il percorso rior-ganizzativo compiuto dall’Ospedale di Lecco, caratteriz-zato dalla strutturazione dipartimentale dello stesso e da sempre orientato verso la centralità del paziente e l’inten-sità di cura.

Quando ha avuto inizio la riorganizzazione e quali problematiche/necessità di base hanno spinto verso la riorganizzazione?La riorganizzazione messa in atto e basata sui concetti di intensità di cura e complessità assistenziale, ha caratteriz-zato soprattutto l’ospedale di Lecco, presidio Alessandro Manzoni, anche se abbiamo avuto modo di testare alcune esperienze anche presso il presidio di Merate.

Una premessa ha condizionato la riorganizzazione: la no-stra Azienda Ospedaliera è caratterizzata da Dipartimenti gestionali trasversali, quindi non Dipartimenti di presidio, bensì d’azienda, perciò le Unità Operative che ne fanno parte afferiscono in parte a Lecco e in parte a Merate. Ovviamente però la riorganizzazione, che abbiamo defi-nito per aree omogenee prima e per aree dipartimentali in seguito, trova la sua caratterizzazione principalmente nei presidi, perché è in questa sede che i posti letto hanno la loro collocazione fisica.Dunque, inizialmente avevamo due ospedali per acuti strutturati nel modo classico, ovvero per divisioni e struttu-re complesse, con le diverse Unità Operative di afferenza (medicina generale, ginecologia, otorino, ecc.).Ilprimoproblemachecihaspintiacompieredellerifles-sioni verso il cambiamento è stata la difficoltà nel recluta-mento di personale infermieristico che ha caratterizzato il contesto lombardo, e italiano in genere, nei primi anni del 2000. Questa crisi nel reperimento delle risorse aveva, in-fatti, causato dei gap nell’organico, la continua presenza di posti vacanti e un turnover molto elevato, fattori che ci hanno spinti a ipotizzare una riorganizzazione.Il primo passo è stato quello di compiere e successiva-mente utilizzare un’analisi dei dati di attività di alcune Uni-tà Operative, focalizzando all’inizio l’attenzione su quelle chirurgiche, in quanto c’era la sensazione che i posti letto non fossero sempre utilizzati al meglio e ci potesse quindi essere un buon margine di miglioramento. Questa preoc-cupazione, grazie all’analisi dei dati di attività, si è dimo-strataesserepiùcheunasemplicesensazione,infattiitas-si di occupazione dei mesi precedenti presentavano Uni-tà Operative con valori non positivi – in alcuni casi addi-rittura inferiori al 70%.Il primo ragionamento è stato quindi quello di unire delle aree chirurgiche: all’inizio abbiamo proceduto, nel presi-dio ospedaliero di Merate, con un accorpamento dell’a-rea di chirurgia generale con quella di ginecologia, cre-ando così un’area dipartimentale – un’area omogenea –che comprendeva due Unità Operative afferenti a diparti-menti diversi, ma partendo da ciò che si era rilevato esse-re il bisogno contingente e le possibilità reali e concrete. Si è proceduto quindi a un ricalcolo del numero di posti letto necessario e, dal momento che in tale sede era già in corso una ristrutturazione, è stata utilizzata questa nuo-va parte di ospedale che presentava un’area di 38 posti letto e si prestava quindi benissimo ad accogliere la nuo-

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inteRVisteDott.ssa anna Cazzaniga - Direttore s.i.t.R.a. dell’azienda ospedaliera della provincia di lecco

va struttura. Attraverso quindi il miglior utilizzo di questi po-sti letto abbiamo assorbito e gestito molto bene tutta l’a-rea della chirurgia generale e della ginecologia, che pri-ma contavano rispettivamente circa 40 e 12-15 posti let-to: diminuzione che ha colmato il gap di inefficienza esi-stente, ma soprattutto ha portato a utilizzare meglio le ri-sorse disponibili.Questo primissimo approccio con il nuovo tipo di orga-nizzazione, ideato alla fine del 2004 e portato a compi-mento nel 2005, ha inizialmente creato alcuni problemi di adattamento (in particolare il personale afferente all’a-rea di ginecologia ha dovuto imparare a gestire i pazienti di chirurgia generale, e viceversa), ma ha anche portato a un innalzamento dei tassi di occupazione al 96-97%, non-ché a un miglior utilizzo delle sale operatorie. Sono stati inoltre messi in atto meccanismi di miglioramento dell’effi-cienza organizzativa, i posti letto sono stati, infatti, gesti-ti sulla base delle reali disponibilità delle sale e sulla fun-zionalità operatoria, portando a una sensibile diminuzio-ne dei tempi di pre ricovero.Dal momento che la sperimentazione è risultata essere vin-cente nel presidio di Merate, tale riorganizzazione è sta-ta estesa anche all’area chirurgica e materno-infantile del presidio di Lecco.

Dal punto di vista infermieristico, come viene gesti-to il lavoro?All’epoca il ragionamento fatto non era molto fine ed evo-luto sui concetti di intensità di cura e complessità assisten-ziale, il nostro obiettivo era principalmente quello di uti-lizzareinmanierapiùefficientepostilettoerisorse;ini-zialmente il lavoro era stato definito secondo una riorga-nizzazione per aree omogenee o dipartimentali, senza quindi ulteriori suddivisioni rispetto all’intensità di cura, an-che se dal punto di vista infermieristico abbiamo utilizza-to questo momento di cambiamento per iniziare a utilizza-re al meglio le risorse del personale, sia da un punto di vi-sta quantitativo sia qualitativo, inserendo un’organizzazio-ne per settori.Eravamo ancora caratterizzati da una strutturazione definibi-le per compiti, ma gli infermieri iniziavano a chiedere qual-cosa di diverso; quindi, riorganizzate queste aree, che poi si sono andate definendo anche in altri dipartimenti, sono stati composti al loro interno dei settori che portassero il per-sonale infermieristico ad assumersi una maggiore responsa-bilità. Anche la gestione dei turni si è strutturata sulla base di tali settori, affinché un gruppo di infermieri seguisse per un determinato tempo un settore, che abbiamo deciso di carat-terizzare utilizzando il codice colore.Ad esempio, nel presidio di Merate vi erano tre settori (due da 12 posti letto e uno da 14) utilizzati in modo in-differenziato per la Chirurgia Generale e la Ginecologia, e su ognuno di questi settori ruotava un preciso gruppo di infermieri. Poi, con il passare del tempo, e soprattutto per un miglior coordinamento del lavoro con il personale me-

dico, il modello è stato adattato al fine di creare una distri-buzione meno caotica: si è quindi deciso di identificare il ricovero dei pazienti ginecologici affinché avvenisse esclu-sivamente su due dei tre settori coinvolti, in modo tale da avere una situazione contraddistinta da maggior ordine. Elemento portante che ha accompagnato la riorganizza-zione è dato dal fatto che i posti letto non appartengono piùallaspecialità,bensìvièsemplicementeunnumeroin-dicativo di posti che può variare a seconda delle necessi-tà (a causa di un aumento delle liste d’attesa o di un incre-mento delle attività, per esempio), introducendo già da al-loraquellaflessibilitàchevieneorarichiestaancheformal-mente da Regione Lombardia.

Come si è poi evoluta la riorganizzazione?Da questi punti di partenza è stata compiuta un’analisi del-la situazione degli altri dipartimenti; in particolare, appro-fittando di dati di attività da migliorare e della necessità di una riorganizzazione logistica, abbiamo avviato sul pre-sidio di Lecco (anche se era nuovo), un processo di rior-ganizzazione all’interno del Dipartimento di Neuroscien-ze, che ci ha portati ad aggregare la struttura di Neuro-chirurgia con la struttura di Neurologia in un’unica area di 40 posti letto (prima erano due strutture separate, anche logisticamente, e si trovavano su due corridoi differenti). Anche qui è stata introdotta un’organizzazione per settori dell’assistenza infermieristica, ma ancora senza ragiona-menti compiuti su intensità di cura piuttosto che complessi-tà assistenziale.Il primo momento in cui abbiamo iniziato a pensare an-che a un percorso del paziente legato a queste logiche è stato nel dipartimento di area medica, dove avevamo due strutture di medicina, ciascuna delle quali suddivise in due aree (avevamo quindi quattro settori di degenza per un to-tale di 120 posti letto, quindi un numero decisamente con-sistente), dove erano ricoverati in maniera indistinta i pa-zienti elettivi (pochi) e quelli provenienti da Pronto Soccor-so (circa il 95%). Abbiamo quindi capito che era necessario iniziare a diffe-renziare,creandounpercorsodedicatoepiùprotettoperquesta seconda categoria di pazienti. Sono quindi sta-ti individuati all’interno di quest’area di medicina 27 po-sti letto – ora aumentati a trenta – dedicati esclusivamen-te all’accettazione di malati provenienti da Pronto Soccor-so: è stato quindi portato avanti in questa occasione il pri-mo vero ragionamento in un’ottica di distribuzione dei po-sti letto per livelli di intensità. Questi posti letti sono speci-ficatamente adibiti ad accogliere i pazienti che arrivano dall’urgenza, e quindi presumibilmente caratterizzati da un’instabilità di tipo clinico. Tali pazienti vengono qui sta-bilizzati e inquadrati dal punto di vista sia clinico, sia infer-mieristico-assistenziale; dopo di che essi vengono dimes-si (in circa il 20% dei casi) o vengono trasferiti nelle altre Unità Operative, in base alle diverse competenze di cui necessitano. Gli altri pazienti, una volta che il loro percor-

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so di cura è definito, terminano la degenza nei restanti let-ti di degenza della medicina, quindi in una situazione di maggior stabilità clinica e con un quadro meglio definito, anche se magari ancora di alta complessità assistenziale.Il secondo dipartimento su cui siamo andati avanti a svilup-pare questa logica è stato il cardiovascolare, grazie alla grande opportunità offerta dall’apertura di una struttura di Cardiochirurgia; è stata quindi ribaltata completamente la logica con cui era costruito quel Dipartimento, disegnando il percorso del paziente utilizzando il gradiente dell’inten-sità di cura. È stata inoltre creata un’area per la Cardiolo-gia Riabilitativa, struttura che prima era presente su un pre-sidio territoriale, quindi con una serie di problemi legati al-le tempistiche di trasferimento del paziente. Vi è poi un’area di degenza, quella cardiologica, in cui vengono ammessi i pazienti che hanno una situazione di necessità di approfondimento dal punto di vista clinico, ma non si trovano in una condizione di emergenza; ac-canto all’Unità Coronarica è stato poi creato un nuovo set-tore della Sub intensiva del Dipartimento Cardiovascolare, mentre vicino all’Unità Coronarica sono stati ricavati i posti letto di terapia intensiva della Cardiochirurgia, costituendo quindiun’areaintensivaflessibileasecondadellasituazio-ne e delle necessità contingenti. I posti di Cardiochirurgia sulla carta sono quattro, mentre sei quelli di Unità Corona-rica; essi risultano però essere scambievoli qual ora se ne rilevasse la necessità. La Sub intensiva è invece costituita da 8 posti letto dedicati in maniera indifferenziata al di-partimento, che comprende anche la Chirurgia vascolare. Ciò che risulta importante sottolineare è che il ragionamen-tononèquindipiùsull’etichettadellaspecialitàdelpa-ziente, ma sulla sua situazione clinica.Abbiamo poi delle aree di degenza del Dipartimento con aree comuni: Cardiochirurgia, Chirurgia vascolare e Car-diologia Riabilitativa con un totale di 40 posti letto, che si integrano con la degenza cardiologica e che, in base al-la situazione contingente, aumentano i letti destinati a una tipologia di pazienti piuttosto che a un’altra, dimostrando ancoraunavoltagrandeflessibilità.Per quanto riguarda la struttura di medicina e il Dipartimento di area medica abbiamo anche sviluppato il ragionamento sulla complessità assistenziale, progetto che vogliamo esten-dere anche alle altre aree di degenza dipartimentale.

Come viene gestita la presa in carico del paziente? Come viene valutato per essere ammesso ai diver-si settori?Chiaramente, in particolar modo trattandosi di un ospeda-le per acuti, il primo criterio di collocamento del paziente non può essere altro se non la condizione clinica. Nelle te-rapie intensive il concetto di intensità di cura si sovrappone a quello di complessità assistenziale, poiché sono molto in-tegrati anche i livelli di instabilità e di rischio del paziente, mentrepiùandiamoversoleUnitàOperative“generaliste”e maggiore risulta essere il discostamento tra i due livelli.

Inoltre si è potuto notare che, dove la condizione del pa-ziente è, dal punto di vista medico, stabile e caratterizza-ta da una bassa intensità in quanto il paziente è già stato inquadrato, la diagnosi è stata accertata e una terapia im-postata, questo andamento clinico tende alla stabilità e al-la bassa intensità di intervento, salvo situazioni particolari e in presenza di variazioni impreviste. Dall’altro lato, è or-mai noto l’innalzamento della complessità, causato tra gli altri dai noti cambiamenti demografici.Noi abbiamo avuto modo di studiare in maniera appro-fondita questo aspetto, introducendo nell’area medica la misurazione della complessità assistenziale sistematica-mente da ormai due anni, con il metodo SIPI - Sistema In-formativo della Performance Infermieristica. Abbiamo in un primo momento partecipato allo studio multicentrico con-dotto dall’Università di Monza - Bicocca (a cui era prece-duta anche un’esperienza interna che era servita da base per il suddetto studio), da cui è poi nata la pubblicazione che propone la scheda con i parametri da utilizzare. Nel-la nostra struttura tale strumento viene applicato così come è stato validato dallo studio, definendo il cut-off azienda-le che delimita il passaggio da bassa ad alta complessità assistenziale nel valore pari a 38; si procede quindi con l’osservazione del paziente all’ingresso, con la classifica-zione dello stesso tramite questo punteggio, e con una suc-cessiva rivalutazione anche durante la degenza, secondo criteri specifici. Questo processo e il punteggio SIPI deter-minato servono poi per andare a collocare i pazienti all’in-terno dei diversi settori. Abbiamo inoltre notato che da quando è stato applicato questo tipo di misurazione, è stato ottenuto il vantaggio di rendere la composizione del settore non solo oggettiva, ma anche evidente; ciò ha favorito la possibilità reale di mantenere i settori a complessità simile, evitando lo sbilan-ciamento tra tipologie di pazienti, e di conseguenza tra carichi di lavoro.Ci siamo quindi chiesti se avesse senso a questo punto creare dei settori dove collocare e differenziare i pazien-ti in base al livello di complessità assistenziale. Questo però avrebbe portato a movimenti ulteriori del paziente, che avrebbe dovuto sopportare: un primo passaggio per il ricovero, un secondo passaggio una volta stabilizza-to, e ulteriori passaggi intermedi in base alla variazione dellostatoassistenziale(tantopiùnumerosiquantopiùèlungo il periodo di degenza). A tale proposito abbiamo compiuto un’analisi sui dati di un anno, che hanno mes-so in evidenza numerose variazioni soprattutto per i pa-zienti la cui degenza era intorno ai 15 giorni, con tutte le conseguenze dal punto di vista clinico e di risk mana-gement. Abbiamo quindi preferito la non introduzione di questo ulteriore passaggio.La valutazione della complessità assistenziale oggi viene quindi utilizzata ai fini della composizione e dell’allocazio-ne del paziente nel settore, per tenere omogeneo il carico di lavoro nel settore stesso.

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Le riorganizzazioni compiute e soprattutto l’introduzione del modello organizzativo per settori hanno inoltro prodot-to delle percezioni positive nell’utenza, misurate tramite questionari di gradimento: nelle Unità Operative dove ab-biamo implementato il modello organizzativo per settori, a distanza di 4-6 mesi dalla sua introduzione, c’è stato un incremento dei termini di encomio e una diminuzione del-le lamentele, oltre che una maggior personalizzazione nei riguardi dell’équipe infermieristica.Altro aspetto non meno importante, sul versante organizza-tivo, è che laddove si consolida questo tipo di modello le domande di trasferimento in uscita del personale infermie-ristico diminuiscono sensibilmente, dimostrando inoltre una gestione positiva da parte degli infermieri del maggior ca-rico di responsabilità che tale modello comporta.

In quali altri dipartimenti è stato applicato il modello per intensità di cure?Il criterio dell’intensità di cura è stato poi incrementato ulte-riormente nell’area delle Neuroscienze con l’apertura del-la Stroke Unit; anche qui abbiamo quindi: l’area di degen-za comune, Neurologia e Neurochirurgia, con i posti let-tidipertinenza,mautilizzatiinmanieraflessibile;un’areasub intensiva dipartimentale che ospita prevalentemente malati di Stroke Unit (quindi l’accesso è per i pazienti col-piti da ictus in urgenza), che però accoglie anche pazien-ti ad esempio di Neurochirurgia in condizioni di instabili-tà, per evitare l’utilizzo non corretto della terapia intensi-va o collocare impropriamente il paziente in un letto di de-genza non monitorato, utilizzando il letto in funzione della esigenza clinica del paziente.Nel dipartimento poi, anche in questo caso organizzato per settori, oltre ai letti di terapia sub intensiva abbiamo in-serito la Riabilitazione motoria, in modo che si possa com-pletare il percorso del paziente.Ulteriore evoluzione, applicando meglio il concetto di inten-sità di cura, è stata compiuta nel Dipartimento Chirurgico nel 2011: qui infatti vi era già un’area dipartimentale che aveva preso avvio nel 2005, dove però non vi era una sud-divisione tra ricoveri in urgenza, ricoveri in elezione, ecc. Anche in questo caso, grazie a un’analisi dei dati di atti-vità, è stato rilevato un utilizzo dei posti letto non sempre efficiente, degenze pre operatorie in caso di elezione an-cora alte, degenze post operatorie troppo diversificate e non sempre giustificate da motivi clinici. Si è quindi proce-duto a una riallocazione dei letti, creando delle aree sud-divise in base alla previsione della durata della degenza. Si sono così costituite la Day Surgery, polispecialistica e con 14 posti letti dedicati, che apre e chiude a orari pre-stabiliti (dalle 7.00 alle 19.00); l’area della Week Surge-ry, cha apre il lunedì mattina e chiude il sabato mattina, con un’organizzazione per settori e una modularità nella gestione degli stessi (la parte centrale della settimana, in cuic’èunamaggioraffluenzadipazienti,sonoapertituttie 36 i posti letto – 3 settori da 12 – mentre il lunedì e ve-

nerdì sono aperti solo due settori); vi è poi un settore det-to di degenza ordinaria/degenza lunga, ovvero con una previsione di ricovero superiore alle cinque notti; da ultimo vi è un settore costituito da trenta posti letto e atto a rac-cogliere le ammissioni in urgenza, pazienti quindi prove-nienti da Pronto Soccorso, che hanno un percorso colle-gato verticalmente e direttamente alle sale operatorie tra-mite ascensori dedicati.È stato quindi separato anche fisicamente il percorso del paziente, mentre prima avevamo i posti letto indifferenziati tra urgenza ed elezione. Così facendo, avendo ben sepa-ratoiflussi,èstatopotenziatomoltoilpre ricovero (adesso le degenze pre operatorie sull’elettivo sono quasi ridotte a zero, i pazienti vengono ammessi e operati lo stesso gior-no, tranne in alcuni casi ma ben codificati in cui posso-no avere la necessità di essere ricoverati il giorno prima). Questo ha prodotto un ordine maggiore nell’uso dei letti, in quanto i posti letto in elettivo vengono pianificati in base alla loro reale disponibilità, ovvero in base a uno schema settimanale o quindicinale per il corretto uso dei posti letto.Nell’area caratterizzata da stabilità organizzativa c’è un rapporto di infermieri 1:12, nell’area dei ricoveri in urgen-za vi è un rapporto 1:10, differenziando così l’aggravio di responsabilità e modulando il numero dei pazienti in ca-rico agli infermieri. La parola d’ordine della nuova orga-nizzazioneèquindiflessibilità,eadattamentoallesitua-zioni contingenti.

All’atto pratico, come viene gestito il SIPI e la valuta-zione della complessità assistenziale?Prima di tutto è stato fatto un lavoro di formazione e infor-mazione rivolto ai coordinatori, in cui si è cercato di moti-varli rispetto al significato e al valore di questo strumento, facendo sì che diventassero loro stessi per primi i respon-sabili della gestione di questo metodo nella struttura o Uni-tà Operativa di appartenenza.Sono stati poi organizzati momenti formativi rivolti a tutti gli infermieri, finalizzati soprattutto all’utilizzo pratico dello strumento e dei dati. Il lavoro è stato sicuramente facilitato dal fatto che nelle nostre strutture il personale infermieristi-co già utilizzava l’approccio della pianificazione dell’assi-stenza, concetto su cui si sviluppa il SIPI. Dunque ogni infermiere, nel momento in cui prende in ca-rico un paziente, organizza la pianificazione e fa una pri-ma valutazione della complessità del malato; in seguito al variare della pianificazione dell’assistenza, in concomitan-za del variare dei bisogni, l’infermiere rivaluta il punteggio della complessità assistenziale.Il SIPI è oggi ben accettato dagli infermieri, in quanto ne percepiscono appieno l’utilità, ed è diventato parte inte-grante della loro attività quotidiana. È stata inoltre lascia-ta libertà in merito al momento in cui compiere la valutazio-ne; essa viene svolta all’ingresso, nel giro delle primissime ore dalla presa in carico, mentre la rivalutazione viene fat-ta al cambio della situazione del paziente. Il coordinatore

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invece utilizza il SIPI giornalmente, nel momento di briefing quotidiano con il medico, per stabilire eventuali spostamen-ti o dove allocare i pazienti provenienti dall’accettazione del Pronto Soccorso, in base alla complessità assegnata ai pazienti che devono essere ammessi nei diversi settori e a quella globale presente all’interno dei settori stessi.

Quali prospettive vi sono per il futuro?L’obiettivo che ci siamo posti per il 2012 è quello di al-largare ai dipartimenti che hanno le aree organizzate per settori la rilevazione della complessità dell’assistenza. Questo rappresenta, infatti, un dato utile, in quanto ogget-tivo, per andare ad allocare in maniera corretta i pazien-ti ed evitare uno sbilanciamento per il personale infermie-ristico in riferimento alla presa in carico di un numero trop-po elevato di pazienti complessi, e quindi anche di gestio-ne del rischio clinico.Pur non avendo la documentazione informatizzata, è stato sviluppato un database in cui l’infermiere introduce i dati del paziente e in automatico viene calcolato il punteggio relativo al livello di complessità assistenziale; questo per-mette inoltre di tenere traccia della storia non solo del pa-ziente, ma anche dell’area di degenza, in modo da poter prevedere un’analisi dei dati di attività e dei momenti di ri-flessioneincuianalizzaresiailcaricodilavorodegliin-fermieri, sia il piano assistenziale dei degenti.Ulteriore passo in avanti che ci siamo prefissi di compie-re in futuro (finora è stato sperimentato solo sul Pronto Soc-corso del presidio di Merate, con dei primi riscontri posi-tivi) è la valutazione della complessità in ingresso. Il SIPI viene, infatti, attualmente utilizzato quando c’è già in atto una pianificazione, ovvero se sono già stati raccolti i da-ti sul paziente, individuati i bisogni e pianificata l’assisten-za infermieristica. Abbiamo quindi sviluppato una scheda, sempre in collabo-razione con l’Università Bicocca, che anziché leggere la pianificazione sui bisogni, legge la manifestazione del bi-sogno, utilizzando quindi i dati disponibili all’ingresso del paziente in ospedale. Questo genera una facilitazione per-ché, si inquadra il paziente utilizzando la manifestazione dei bisogni. L’idea è di applicare questo strumento in mo-do sistematico, per gli ingressi in urgenza da parte dell’in-fermiere di Pronto Soccorso, in modo tale che il paziente ar-rivi nell’Unità Operativa con già una valutazione ad hoc.

Sugli ingressi in elezione, soprattutto quelli chirurgici, l’ipo-tesi è quella di far fare questa valutazione al momento del pre ricovero; questo perché attualmente la scelta del pa-ziente da ricoverare avviene sulla base della patologia, del tipo di intervento chirurgico e della previsione di de-genza postoperatoria,cheperòavolteèinfluenzatadal-la situazione e condizione assistenziale del paziente. L’a-spettativa è quella di riuscire a modulare ancora meglio il carico di lavoro sui settori.

Quali criticità sono emerse e avete dovuto affronta-re a seguito della riorganizzazione? È molto acceso ad esempio il dibattito con il comparto medico…Ildibattitoèancoraforte.Iclinicisonorisultatiesserepiùlegati alla specialità e alla lettura del paziente rispetto alla patologia. Per quanto riguarda la nostra realtà, dal 2005 a oggi e in particolar modo in quei dipartimenti in cui ci sonomedicimenolegatial“postoletto”ealcontrariopiùinteressati all’evoluzione dell’interesse clinico sul paziente, questo limite è stato profondamente discusso, ma poi su-perato, arrivando alla creazione anche dal loro punto di vista di valutazioni multidisciplinari. Il problema che permane tuttora, ma che può essere ge-stito solo con l’intelligenza e il buon senso interno, è co-me organizzare l’attività dentro queste aree multispeciali-stiche omogenee, in cui è richiesta una forte collaborazio-ne tra équipe infermieristica e medica, essendo quest’ulti-ma costituita da una varietà di professionisti diversi. Come accade nella Week Surgery o nella degenza lunga, un in-fermiere ha in carico pazienti afferenti a tre o quattro spe-cialità diverse, con la conseguente necessità di modulare e organizzare al meglio i momenti di incontro e confronto con i medici responsabili.Le modalità con cui abbiamo cercato di fronteggiare que-sto problema sono due: da un lato si è cercato di limita-re a due il numero di specialità differenti all’interno di un medesimo settore; dall’altro sono state stabilite, per quan-to possibile, delle fasce orarie di riferimento (ad esempio se il medico che deve visitare i pazienti è lo stesso a dover andare in sala operatoria, egli avrà la precedenza nella valutazione del paziente e nel momento di briefing con il personale infermieristico, rispetto al clinico che è assegna-to per tutto il turno al comparto di degenza).

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inteRVisteDott.ssa Maria adele Fumagalli - Responsabile s.i.t.R. presidio ospedaliero di Vimercate (Mb)

Dott.ssa Maria Adele Fumagalli, Responsabile S.I.T.R. Presidio Ospedaliero di Vimercate (MB)

L’Azienda Ospedaliera di Desio e Vimercate conta nel suo complesso 5 presidi ospedalieri (Vimercate, Carate Brian-za, Desio, Giussano, Seregno), 10 presidi ambulatoriali e 15 strutture psichiatriche e neuropsichiatriche. Il nuovo ospedale di Vimercate, inaugurato alla fine del 2010 e realizzato in soli 3 anni su una superficie di oltre 100.000 metri quadri, può contare un totale di circa 500 posti letto ed è dotato delle migliori tecnologie, oltre che di strutture confortevoli e accoglienti (che si affacciano su quello che dovrà essere un’ampia distesa di verde), in gra-do di soddisfare non solo le esigenze di cura e assisten-za, ma anche di garantire l’integrazione con il territorio.Il nuovo nosocomio è suddiviso in tre blocchi. Il primo, su tre piani e con un livello seminterrato, è destinato all’accoglienza: al primo piano del parallelepipedo si trova l’area commercia-le, il servizio di ricezione e accettazione dell’ospedale. Il se-condo blocco consiste in un edificio rettangolare, detto “pia-stra” dove sono collocati i servizi veri e propri dell’ospedale: chirurgia,saleoperatorie(intotale11,piùunasalaparto),ra-diologia, pronto soccorso e tutte le funzioni sanitarie. Il terzo blocco, destinato alla degenza, è immerso nel parco che cir-conda l’ospedale. Viene collegato con la piastra ed è costitui-to da quattro edifici a “petalo” disposti a semi-raggiera.Il modello scelto è stato quello dell’intensità di cura, in cui la soluzione organizzativa prevede una pianificazione del-le attività per intensità di cura modulare a dimensione va-riabile, in grado di assicurare l’integrazione della riorga-nizzazione tra instabilità clinica e attribuzione del livello di complessitàassistenziale,attraversol’utilizzodellaflessibi-lità propria del nursing modulare.VediamodiseguitopiùneldettaglioinsiemeallaDott.ssaFumagalli come si è giunti a questa riorganizzazione, in che modo si è sviluppata e quali effetti ha prodotto.

Quando ha avuto inizio la riorganizzazione e quali problematiche/necessità di base hanno spinto verso la riorganizzazione?Abbiamo iniziato a pensare all’organizzazione nel 2002 con la notizia della costruzione del nuovo ospedale; da su-bito sono stati valutati da una parte i vincoli strutturali dati dall’architettonica della nuova sede, dall’altra le opportuni-tà offerte dalla nuova struttura. Ad esempio le aree di degen-za avevano una conformazione di tipo dipartimentale, ovve-ro erano state previste aree che potevano ospitare fino a 60 pazienti, molto diverse dalle Unità Operative a cui eravamo abituati, che solitamente ospitavano da 18 a 32 degenti; ab-biamo quindi dovuto pensare all’organizzazione delle aree di degenza tenendo conto di quanto sopra. Secondo punto di partenza, non per importanza, sono sta-

te le indicazioni Nazionali e Regionali e la letteratura di ri-ferimento. Abbiamo colto le indicazioni contenute nel Pia-no Socio Sanitario Nazionale 2006/2008 dove in alcu-ni passaggi trattava di un innovativo sistema dove non esi-stepiùunsolosoggetto,bensìnumerosiattori.Laloroco-esistenza secondo precise relazioni orizzontali e verticali, poneva a tema un nuovo modo di fare assistenza fonda-to sull’integrazione e sull’intersecarsi di diversi livelli gestio-nali. Il Piano Sanitario Nazionale vedeva un Servizio Sa-nitario Nazionale caratterizzato da “percorsi assistenziali complessi a diverso grado di protezione e intensità di cu-ra partendo da una valutazione multiprofessionale e mul-tidisciplinare del bisogno”, introducendo il tema della ne-cessaria collaborazione tra i professionisti. Abbiamo studiato che cosa succedeva a livello internazio-nale, soprattutto nelle realtà di stampo anglosassone, e in Italia; in particolare a quel tempo mi trovavo a Firenze per motivi di studio e ho avuto modo di conoscere molte perso-ne e approfondire molte esperienze relative al modello per intensità di cura in uso in Toscana. Vi è stata poi anche una collaborazione tra la nostra struttura e l’Azienda Ospedalie-ra San Giovanni di Dio di Firenze, che ci ha dato la possi-bilità di lavorare a stretto contatto sia con l’équipe infermie-ristica ma anche con i vertici dell’Azienda, in particolare il Direttore Generale e il Direttore Sanitario; tale collaborazio-ne ha permesso uno scambio reciproco di conoscenze ed esperienze, nonché la possibilità di istituire delle giornate in-formative e degli incontri formativi ad hoc.Quindi da un lato la struttura, dall’altro uno sguardo verso ciò che succedeva in Italia e nel mondo, non da ultimo ciò che volevamo fare noi. Elemento trainante è stata la forte spinta verso questo modello data dalla Direzione Genera-le; la riorganizzazione per intensità di cura è stata quin-di sposata in quanto rappresentava la reale possibilità di mettere la persona davvero al centro, non come semplice slogan da condividere ma come qualcosa in cui abbiamo creduto fortemente e fin dall’inizio.Altro elemento fondamentale a condizionare la riorganiz-zazione è stata la tecnologia: potevamo infatti scegliere di avere la tecnologia in maniera diffusa e capillare, com-portando però dei costi elevatissimi e la conseguente ne-cessità di nuovi investimenti, oppure concentrarla in alcu-ne aree, alternativa che si è realizzata. La scelta di con-centrare la tecnologia in alcune aree, unitamente alla mo-bilità dei sistemi scelti, ha consentito di realizzare aree ad alta intensità dove l’unità di degenza può essere attrezza-taconlatecnologiapiùavanzataperrispondereaibiso-gni clinici e assistenziali della persona.Un’ulteriore caratteristica che ci ha spinti verso questo tipo di ri-

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Dott.ssa Maria adele Fumagalli - Responsabile s.i.t.R. presidio ospedaliero di Vimercate (Mb)inteRViste

organizzazione era rappresentata dal gap, dall’assenza di un livello intermedio tra le terapie intensive e il resto della degenza. Non ultimo la professionalità, non come competenze spe-cialistiche relative alla patologia, perché di fatto l’intensi-tà di cura e la complessità assistenziale accomunano su una sola riga i problemi della persona, che sono la stabi-lità o l’instabilità clinica e la compromissione dei bisogni.

Com’è strutturata/costituita la nuova struttura? Quali sono le principali caratteristiche? La collaborazione tra pubblico e privato ha reso possibi-le l’utilizzo di uno strumento finanziario dalle potenzialità straordinarie: il project financing. Questo strumento è in grado d’integrare i capitali privati con le risorse in dotazio-ne al pubblico e, allo stesso tempo, di valorizzare il ruo-lo che anche il privato può svolgere in ambito sanitario.Nello specifico Regione Lombardia ha affidato, attraverso una procedura concorsuale gestita da Infrastrutture Lombar-de, la costruzione e la gestione del nuovo ospedale di Vi-mercate a un’associazione temporanea d’impresa denomi-nata “Vimercate Salute”. Questa, in veste di concessiona-rio, ha provveduto alla redazione del progetto definitivo ed esecutivo del nuovo ospedale, alla realizzazione dei lavori e, oggi, alla gestione dei servizi no core come ad esempio i servizi di pulizia, ristorazione, vigilanza, ecc. Il contratto, firmato l’8 marzo 2006, ha previsto una durata di 24 anni.L’ospedale di Vimercate può contare su una superficie di 115.588 m2 situata a sud dell’abitato della città di Vimer-cate. L’articolazione dei volumi di costruzione si suddivi-de in tre settori (i) accoglienza, (ii) piastra, (iii) degenze.L’insieme dei volumi strutturali fornisce un carattere di cit-tadella in cui le varie articolazioni sono ben separate per funzioni, evitando l’incrocio di attività non compatibili. Il blocco strutturale dell’accoglienza si collega al tessuto cit-tadino e ne diventa una testata, mentre la parte delle de-genze,piùprivata,siapreversoilparco;quellarelativaalla piastra tecnologica s’innesta tra le prime due aree con un contenuto ad alta complessità.

figura 1 – Visione aerea dell’ospedale

Il nuovo ospedale si sviluppa su due piani fuori terra e due interrati, mentre il terzo piano fuori terra è occupato da volumi impiantistici che lo configurano come un vero e proprio piano tecnico.Sia per la piastra tecnologica che per le degenze sono state create delle formazioni modulari di ampie corti in-terne, così da assicurare la necessaria luce naturale alla maggior parte delle attività presenti e la visione della ve-

getazione come elemento di coniugazione per le persone per lo scorrere del periodo della giornata e delle stagioni. Il particolare impianto planimetrico, ricorda i petali di un fiore e immerge completamente le degenze in un parco. A sud-ovest si aggiunge il quarto edificio, il polo tecnologico caratterizzato dalla torre impiantistica.

figura 2 – Impianto planimetrico delle degenze

Come viene gestita la presa in carico della persona? Co-me viene valutato per essere ammesso ai diversi livelli?Il modello organizzativo per intensità di cura si basa sull’assegnazione al malato di un posto letto nel settore piùappropriatorispettoaisuoibisogni,collegatinonso-lo alla tipologia di ricovero, ma anche alla sua condizio-ne clinica e di dipendenza.Questo nuovo modello poggia su un importante ruolo di filtro del Dipartimento di Emergenza-Urgenza (DEA) e sul-la condivisione di criteri di accesso ai vari livelli e di as-segnazione dei pazienti alle diverse Unità Operative spe-cialistiche. Il DEA stratifica clinicamente il paziente e lo in-via al livello che gli compete. In tal senso un ruolo fondamentale è attribuito al Pronto Soccorso, dove è attivata un’area di stazionamento per l’osservazione breve intensiva (OBI), che oltre a permette-re una maggiore appropriatezza nella decisione di rico-vero, consente la realizzazione di procedure diagnostiche conmaggioreflessibilità,cosìdastabilizzarel’assistitopri-ma del suo invio all’area di degenza. Invio che comun-que non si realizza, di norma, nella fascia oraria notturna. Il modello prevede infatti che durante la fascia oraria not-turna il Pronto Soccorso garantisca la continuità assistenzia-le alle persone in osservazione, procrastinando alla matti-na seguente l’invio al setting assistenzialepiùappropriato.Il modello organizzativo per intensità di cura comporta per i professionisti l’adozione di nuovi schemi di funzionamen-to sia sul piano gestionale, sia su quello clinico-assistenzia-le, superando le caratteristiche del modello organizzativo

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attuale e puntando verso le seguenti finalità:- assistenza basata sulla presa in carico della persona;- responsabilizzazione dei professionisti e coinvolgimen-

to del personale di supporto;- sviluppo della comunicazione orizzontale e della capa-

cità d’integrazione;- utilizzo di modalità e strumenti di lavoro comuni.Facciamo però un passo indietro: il profilo professionale re-cita che l’infermiere è responsabile dell’assistenza infermieri-stica generale e questo non può certo realizzarsi lavorando per compiti; infatti nei vecchi modelli era responsabile di un flussodilavoro.Diconseguenzalapresaincaricodelma-lato e il lavoro per processi – e non per compiti – ha rappre-sentato un cambiamento anche dal punto di vista delle re-sponsabilità.Tornando alla presa in carico della persona, quando l’ac-cesso è da Pronto Soccorso, viene valutato in sede di tria-ge e inviato secondo un codice colore – come da proto-collo – nella aree dedicate corrispondenti; qui la persona viene valutata e vengono messi in atto tutti i provvedimenti diagnostico-terapeutici opportuni per la stabilizzazione del quadro clinico e/o la risoluzione del problema. Al termi-ne della valutazione, nella condizione in cui risultasse ne-cessario un ricovero, viene eseguita un’ulteriore valutazio-ne per definirne il settingpiùappropriato.Per fare ciò viene valutata: - la MEWS - Modified Early Warning Score -, (scala in

cui si valutano diversi parametri);- la scala cognitiva;- il supporto di tecniche invasive.La sommatoria dei tre punteggi dà origine a un valore che determina a quale livello le persone debbano essere as-segnate: a un’area critica, un’area ad alta intensità o in un’area di media intensità.Il modello che abbiamo scelto di condividere per questo presidio si basa quindi su una prima valutazione data dal-la condizione clinica del paziente, quindi: intensità di cura.A questo proposito, prima che avvenisse il trasferimento è stata condotta una valutazione dei pazienti relativamente al grado di intensità di cura e complessità assistenziale. La spe-rimentazione ha previsto l’inclusione di 160 consecutive ca-ses (valore ritenuto sufficiente per essere statisticamente soli-do), numerosità campionaria ottenuta indicativamente in un lasso temporale di circa un mese, cioè utenti ammessi in ma-niera consecutiva al Pronto Soccorso e destinati ai settori di area medica; tali persone sono state classificate dal punto di vista dell’intensità di cura e della complessità assistenziale, ri-spettivamente attraverso le sopracitate scale e attraverso l’In-dice di Complessità Assistenziale (I.C.A.).Dai risultati emersi si evince che circa il 40% del campio-ne preso in esame è stato valutato secondo un grado di alta intensità di cura, il restante 60% in un’area di media intensità; valori analoghi sono stati riscontrati sul versante della complessità assistenziale, infatti circa il 40% è stato classificato secondo un livello di alta complessità, il 60% media complessità. Oltre a non esistere quindi formalmen-te un livello di bassa intensità – dato comunque prevedibi-le – è interessante notare come i risultati relativi all’intensi-

tà di cura e complessità assistenziale siano pressoché so-vrapponibili, presentando dei buoni livelli di concordanza.La raccolta e la valutazione dei dati è stata facilitata dal-la presenza della cartella clinica informatizzata, uguale e condivisa da tutti all’interno dell’ospedale.Dal punto di vista infermieristico, all’ammissione della per-sona nel settingdicurapiùappropriato,lapresaincari-co avviene attraverso una valutazione della condizione a domicilio, ovvero della situazione antecedente al ricovero (importante per pianificare una dimissione protetta e sicu-ra), e una valutazione della condizione all’ingresso – cosa è successo e come mai la persona è arrivata da noi – va-lutazione che si completa con la somministrazione di quat-tro scale: la Vas, scala di valutazione del dolore; la Scala di Conley, relativamente al rischio di caduta; la Braden, che stima il rischio che si verifichino lesioni da pressione e la Bartel, per una valutazione delle attività di vita quotidia-na. Così facendo siamo in grado di avere velocemente un quadro completo della persona, visibile a tutti professioni-sti attori del processo di cura e assistenziale. In concomi-tanza con il verificarsi di cambiamenti di stato della perso-na e ad intervalli prestabiliti i dati vengono aggiornati, e la valutazione iniziale e le successive danno origine alla pianificazione dell’assistenza. Oggi la cartella clinica informatizzata è ritenuta una risorsa irrinunciabile al fine della realizzazione del piano di assisten-za; in realtà il processo di introduzione e implementazione è stato lungo e difficoltoso: all’inizio si aveva l’impressione di perdere troppo tempo nella compilazione della cartella, a di-scapito del tempo dedicato alla persona. Ma quello che pri-ma era percepito come un vincolo, una costrizione, oggi si è dimostrata essere una grande opportunità e ha comprova-to tutte le sue potenzialità (completezza, chiarezza, funziona-lità,fruibilità,ecc.),convincendoancheicolleghipiùscettici.La cartella infermieristica informatizzata risulta inoltre es-sere uno strumento gestionale molto importante in quanto, fornendo una fotografia precisa e aggiornata della com-plessità dell’assistenza richiesta nei vari settori, orienta ver-so un miglior utilizzo delle risorse, garantendo un’assisten-za adeguata, sia in termini qualitativi sia quantitativi. La gestione del caso ha richiesto l’adeguamento delle figu-re sanitarie tradizionali a ruoli di nuova responsabilità, ove la caratteristica principale è costituita dalla capacità di valu-tare i bisogni, di pianificare gli interventi e di mantenere livel-li di efficace ed efficiente cooperazione tra gli operatori e la rete informale dell’assistito (familiari, amici, volontari, ecc.).La tradizionale figura del coordinatore infermieristico ha assuntosemprepiùlafunzionedicoordinamentodelleri-sorseumaneediregolatoredeiflussidellalogistica.Ilco-ordinatore infermieristico infatti assegna il personale infer-mieristico e di supporto, in base all’intensità di cura e al-la complessità assistenziale delle persone assistite all’inter-no dei vari moduli; gestisce i processi di supporto in base alle esigenze del processo primario di cura e assistenza, conparticolareattenzionealflussoealsincronismodell’at-tività. Il ruolo strategico del coordinatore infermieristico è quello di condividere, individuare, implementare e svilup-pare gli obiettivi aziendali, dipartimentali, di Unità Opera-

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Dott.ssa Maria adele Fumagalli - Responsabile s.i.t.R. presidio ospedaliero di Vimercate (Mb)inteRViste

tiva e territoriali che si sviluppano nell’unità assistenziale.Il nuovo ruolo professionale è invece rappresentato dall’in-fermiere di processo o infermiere tutor, con aree d’interven-to e responsabilità legate alla capacità di presa in carico della persona. L’infermiere di processo s’identifica con un professionistaingradodigestireunoopiùcasialuiaf-fidati con un percorso prestabilito, in un contesto spazio-temporale definito. Egli prende in carico la persona, redi-ge il piano di assistenza sulla base del percorso assisten-ziale e lo segue sino alla dimissione.È chiamato anche infermiere tutor in quanto svolge una funzione operativa che va oltre la funzione esercitata in seno al processo diagnostico-terapeutico, concentrandosi sull’appropriatezza delle decisioni operative e cercando di evitare duplicazioni d’interventi, ridondanze o attese.L’infermiere di modulo attua invece le prescrizioni diagnosti-co-terapeutiche ed eroga prestazioni, garantendo il piano di assistenza che personalizza in base alle caratteristiche della persona e assicura la continuità assistenziale alle per-sone a lui affidate anche attraverso il personale di supporto.

Come comunicano l’attività di valutazione assistenzia-le con quella clinica?Principalmente attraverso la cartella clinica informatizzata; qui sono presenti tutti i dati relativi alla persona ricoverata e in qualsiasi momento ogni membro dell’équipe può pren-derne visione e aggiornarla. Questa possibilità di condivi-sione risulta essere molto importante anche al di fuori dei settori di degenza, ad esempio nei servizi di diagnosi do-ve le persone sono sottoposte ad accertamenti strumentali.Ci sono poi momenti condivisi di valutazione, e momenti istituzionalizzati come i briefing, dove i diversi componen-ti del processo di cura pianificano e verificano i percorsi diagnostico terapeutici e assistenziali.

Come viene gestita la turnazione degli infermieri?L’organizzazione all’interno delle aree di degenza preve-de la suddivisione dei posti letto in settori chiamati moduli.Il modulo, e quindi il numero dei posti letto, hanno un’e-stensione variabile data dalla intensità di cura/complessi-tà assistenziale delle persone presenti. Ne deriva che il nu-mero di persone ricoverate all’interno del modulo è inver-samente proporzionale alla loro complessità. Moduli con persone che richiedono un impegno elevato possono esse-re costituiti da 5-6 posti letto, mentre moduli meno “impe-gnativi”, dove le persone ricoverate volgono verso la riso-luzione del problema acuto e di conseguenza la comples-sità diminuisce, possono ospitare sino a 12-13 posti letto. La costituzione dei moduli assistenziali e l’assegnazione delle risorse è definito dal coordinatore infermieristico.All’interno di ciascun modulo operano un infermiere e un ope-ratore di supporto per il turno del mattino e quello del pome-riggio, mentre nel turno notturno, che ha carattere di “sorve-glianza” e intervento solo per tutto quello che non è differibi-le, prestano assistenza tre infermieri e un operatore di suppor-to su tutta l’area di degenza. Tutte le attività non indispensabi-li, che venivano effettuate prima della nuova organizzazione nel turno notturno, sono state oggetto di valutazione attenta e

ricollocazione all’interno di fasce orarie diverse, al fine di non recare “disturbi inutili” alle persone ricoverate.Per ogni area di degenza sono quindi presenti un coordi-natore infermieristico nei giorni feriali, e due infermieri tu-tor tutti i giorni dell’anno, ciascuno dei quali realizza il suo intervento su 2 - 3 moduli.Un’altra caratteristica fondamentale della nostra organiz-zazione è data dal fatto che dopo l’assegnazione della persona a un determinato settore, non ci sono spostamen-ti di area se non in caso di aggravamento delle condizio-ne cliniche; ad esempio, se un paziente che si trova rico-verato presso l’alta intensità migliora la sua condizione cli-nica, non viene spostato in un’Unità Operativa di degen-za a media intensità, bensì rimane nel “suo” settore fino al momento della dimissione. Questo è stato scelto per evi-tare da un lato disagi al paziente dovuti allo spostamen-to, dall’altro che avvengano perdite di tempo (giorni di de-genza), necessari per realizzare la nuova presa in carico in un settore diverso ad opera di équipe diverse.

È stata rilevata una variazione nella degenza media?È passato ancora troppo poco tempo per poter effettuare una corretta valutazione in tal senso, anche se in alcuni casi la durata della degenza media è forse aumentata, a causa del necessario periodo di assestamento rispetto alla nuova organizzazione. L’area in cui si stanno già rilevando i pri-mi segni di miglioramento è però quella chirurgica, settore incuièstatopotenziatoeresonotevolmentepiùefficienteilprocesso di pre-ricovero e i percorsi per la chirurgia breve.

Abbiamo avuto modo di analizzare diversi punti di forza e migliorie apportate dall’attuale modello orga-nizzativo; ma quali criticità sono emerse con la nuova organizzazione?Nonostante la formazione sia stata condotta in maniera condivisa e capillare, trovarsi in un nuovo ospedale, orga-nizzato in un modo completamente diverso da come era-vamo sempre stati abituati, ha sicuramente avuto un forte impatto sul lavoro dei professionisti al suo interno, anche perché le aspettative in partenza erano molto alte e non sempre la realtà ha coinciso con le attese.L’organizzazione per aree ha poi costituito motivo di malumo-re tra il personale, in particolar modo medico, che si ritrova a dover compiere spostamenti per poter visitare tutte le persone assegnate per competenza, unitamente alla perdita di identi-tà legata alla “fusione” delle Unità Operative. In generale abbiamo assistito ad alcune manifestazioni di resistenza al cambiamento, inevitabili quando si affronta-no non una, ma due modificazioni nell’abituale modo di lavorare: la nuova struttura e la nuova organizzazione. Ta-li fenomeni sono stati maggiormente vissuti dal compar-to medico, mentre le professioni sanitarie hanno costitui-to un grande punto di forza del processo. Da ultimo non bisogna poi dimenticare l’importanza del commitment e il grande contributo dato dall’alto, ovvero dalla Direzione Generale, che ha sempre creduto fortemente nella validi-tà del progetto; convinzione e stimolo che continua ad es-sere alimentato.

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Dott.ssa Silvia Mambelli, Direttore S.I.T.R.A. AUSL Forlì

Quando ha avuto inizio la riorganizzazione e quali problematiche/necessità di base hanno spinto verso la riorganizzazione?Il movente principale è stato il trasferimento dal vecchio ospedale, situato nel centro storico di Forlì; si è infatti co-minciato a lavorare da un punto di vista progettuale con circa un paio di anni di anticipo, al fine di affrontare al meglio lo spostamento. La motivazione di partenza della Direzione Strategica di allora è stata proprio quella di non trasferire solo le Unità Operative così come si presentavano fino ad allora, quin-di con un semplice spostamento di tipo strutturale; da subi-to si è voluta cogliere l’occasione ai fini di un ripensamen-to in merito all’insieme complessivo di tutta l’azienda, per riorganizzare tutte le aree, impostandole con una differen-ziazione, ovvero attraverso una pianificazione per aree ad alta e bassa intensità di cura. Punto di partenza e direttrice che ha condotto la riorganiz-zazione sono stati i percorsi dei pazienti: in base agli ac-cessi,inbaseaiflussi,èstatadifferenziatalapartedell’a-rea ambulatoriale, di Pronto Soccorso ed Emergenza/Ur-genza, e quella adibita ad ospitare pazienti nella fase acuta della malattia, da quelle di degenza in cui i pazien-ti hanno già superato tale fase.Altro presupposto fondante è stata la considerazione che i pazienti acuti e quelli non acuti sono caratterizzati da bi-sogni diversi, e assorbono risorse diverse, e quindi l’offer-ta dei servizi doveva essere differenziata in base a questi presupposti. L’analisi di come offrire i nuovi servizi in ba-se alla nuova organizzazione è stata quindi principalmen-tequelladipensareaiflussideipazienti.Per arrivare a questo nuovo modello concettuale di diffe-renziazione delle aree, sono stati costituiti diversi gruppi di lavoro formati da professionisti. L’input maggiore è stato dato dalla Direzione Generale, allora ricoperta dal Dott. Massimo Pieratelli, che ha dato un mandato forte ai va-ri Direttori di Dipartimento, alle Direzioni Tecniche di Presi-dio, alla Direzione Infermieristica, ecc. Attraverso il coinvolgimento di tutti i professionisti in gruppi di lavoro si è così lavorato per arrivare a studiare dal pun-to di vista organizzativo, quale potesse essere la propo-sta migliore per rispondere al mandato dato dal Direttore Generale. Da qui sono nate delle ipotesi su come differen-ziare le aree di degenza dalle aree ambulatoriali, per de-

clinareinmanierapiùoperativaecapillarecomepotevaessere realizzato a livello pratico questo impulso ricevuto.

A che soluzione organizzativa si è quindi giunti?Nel 2004 è quindi avvenuto il trasferimento con questo mo-dello di base. È stata impostata un’organizzazione che pren-desse in esame diversi fattori: primi fra tutti la logistica del pa-ziente, la struttura già esistente e quella di nuova costruzione (bisogna infatti ricordare come l’ospedale sia stato trasferito a una distanza di quattro km, in una struttura in cui già esisteva-no tre padiglioni, al centro dei quali sorge il padiglione nuo-vo Morgagni che comprende circa 500 posti letto).Èstatafattainnanzituttounariflessionedalpuntodivistastrutturale in merito agli edifici a disposizione: il padiglio-ne nuovo Morgagni e i tre padiglioni preesistenti nella vec-chia struttura Pierantoni. Si è quindi improntata un’organiz-zazione che prendesse in esame la logistica, soprattutto quella che coinvolge i pazienti. Il padiglione Morgagni comprende l’area dedicata al paziente nella fase acuta della malattia; quindi, da un punto di vista logistico, sono state disposte in maniera attigua (sullo stesso livello, o nel piano immediatamente superiore o inferiore), tutta la par-te relativa a Pronto Soccorso, Blocco Operatorio, Riani-mazione, Pronto Soccorso Ortopedico e Radiologia, con ascensori dedicati in modo da ridurre i tempi e facilitare l’afflussodeglioperatorichedevonolavorareinstrettasi-nergia. Il piano terra e il primo piano sono perciò dedica-ti all’area dell’Emergenza/Urgenza. Al piano immediatamente superiore, sempre collegato da ascensori dedicati, si trovano: UTIC, Emodinamica, Medici-na d’Urgenza e Cardiologia, nel rispetto delle medesime fina-lità; ad esempio, il paziente che arriva in Pronto Soccorso con un infarto del miocardio acuto, in tempi brevissimi riceve la dia-gnosi e viene indirizzato verso l’Emodinamica per la PTCA pri-maria. Si garantisce quindi, attraverso la predisposizione di percorsi ben codificati, una velocità di accesso e un interven-to tempestivo, garanzia di continuità assistenziale e rapidità di risposta soprattutto nell’urgenza, con il supporto fondamentale dato dalla logistica. Nella parte superiore ci sono quattro piani dedicati alla degenza; la caratteristica fondamentale di queste aree è data dal fatto che nel trasferimento non sono state tra-sportate le Unità Operative suddivise per patologia così come da tradizione, come la vecchia impostazione avrebbe richie-sto, bensì per aree di degenza omogenee.

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Dott.ssa silvia Mambelli - Direttore s.i.t.R.a. aUsl ForlìinteRViste

Un piano è quindi costituito da due aree complanari, det-ti emipiano, di uguali dimensioni (circa 32-34 posti letto ca-dauna), per un totale di appunto 64-68 posti letto per piano; la caratteristica di queste aree di degenza è data dal fatto chesonoareeomogenee,ovveroaccolgonopiùspecialità,accorpate per affinità. Ad esempio, il Dipartimento Toracico ha la propria area di degenza su un unico emipiano, in cui alcuni posti letto sono dedicati ai pazienti di Pneumologia, al-tri a quelli di Chirurgia Toracica; ma il paziente di Pneumolo-gia, sotto osservazione del pneumologo, rimane nello stesso posto letto anche qualora dovesse passare in carico alla Chi-rurgia Toracica per un eventuale intervento.Caratteristica fondamentale di questa nuova organizza-zione è che cambiano i professionisti della presa in cari-co clinica, ma i pazienti rimangono nello stesso emipia-no. Da un punto di vista assistenziale, ad ogni emipiano cor-risponde un’unica équipe infermieristica con un unico coordi-natore, che di conseguenza ha organizzato il proprio lavoro in settori. Questa caratteristica dell’organizzazione consente, anche da un punto di vista infermieristico, di differenziare i posti letto in settori, e di assegnare al personale assistenziale un gruppo di pazienti (in media circa 8-10 per settore, quin-di su ogni emipiano vi sono tre settori), che vengono segui-ti in maniera continuativa e con una presa in carico globale.

Quali sono i vantaggi che avete riscontrato rispetto al modello organizzativo precedentemente in uso? Prima avevamo una visione tradizionale delle Unità Operative, con gli infermieri che svolgevano i diversi compiti, e la classi-ca organizzazione “per giri”. Il fatto di aver introdotto questo nuovo tipo di modello, con aree omogenee contraddistinte da piùspecialità,econseguentementeconun’organizzazionepersettori, ha portato l’infermiere ad assumere un ruolo diverso in quanto responsabile di quel gruppo di pazienti.Per contro, il paziente non vede molti infermieri che ruota-no intorno al suo letto, bensì ha un punto di riferimento, che è quell’infermiere di settore. Abbiamo riscontrato quindi un duplice vantaggio: dal punto di vista del paziente, che ve-de meno persone aggirarsi intorno al suo letto, con una con-seguente maggiore personalizzazione delle cure; dal punto divistadelpersonaleassistenziale,checonoscemoltopiùin dettaglio e in maniera globale i bisogni del paziente, in quanto maggiormente responsabilizzato rispetto a tutto ciò che deve essere eseguito per assistere il paziente.Questo modello di organizzazione per settori, implementato su tutte le aree di degenza, ha apportato vantaggi importanti: un miglioramento della qualità dell’assistenza da un punto di vista di personalizzazione delle cure; un miglioramento della qualità della presa in carico in quanto vi è una maggiore responsabi-lizzazione dell’infermiere; una maggior soddisfazione da parte del paziente rispetto alle cure e assistenza ricevute.

È stato difficile per il personale infermieristico adat-tarsi a questo nuovo modo di lavorare?Il cambiamento e la paura del cambiamento portano sem-

pre con sé delle grosse difficoltà; il solo trasferimento è sta-to infatti inizialmente fonte di qualche timore. Gli aspetti che hanno comportato un cambiamento radica-le sono stati duplici e hanno coinvolto sia il comparto in-fermieristico, sia a quello medico: dal punto di vista orga-nizzativo (di cui abbiamo già parlato) e da quello del sup-porto informatico, attraverso l’introduzione della cartella in-tegrata e informatizzata. Da rilevare inoltre come contemporaneamente, tra il 2004 e il 2005, si sia avviata la somministrazione dei farmaci in dose unitaria. Così tanti cambiamenti attuati quasi negli stessi tempi hanno portato quasi a uno stordimento del personale. Per quello che è stata la nostra esperienza, possiamo però af-fermare che i grandi cambiamenti culturali devono necessaria-mente passare da queste fasi “rivoluzionarie”. Ovviamente è statonecessariopiùdiqualchemeseperl’assestamento,mapossiamo ora affermare con certezza che nessuno tornerebbe piùindietro,siaperquantoriguardailsistemainformatizzato,sia per la nuova modalità di presa in carico del paziente, per il sistema a dose unitaria, e per il nuovo modello organizzativo che responsabilizza maggiormente i professionisti. Ormai si è consolidato questo modo innovativo di pensa-re all’organizzazione; ne è testimonianza una sperimenta-zione in atto da ormai due anni, atta a rivedere l’organiz-zazione di tutte le aree di degenza, che ha reso eviden-te come la precedente sia stata solo una fase di traghetta-mento, in quanto ci sono ancora buoni margini di miglio-ramento per lavorare sulla distinzione di aree tra intensive, sub intensive e post acuzie. Per il 2012 c’è ad esempio in programma l’attivazione della Casa della Salute e la dif-ferenziazione ulteriore delle aree di degenza.

Come viene gestita la presa in carico del paziente? Come viene valutato per essere ammesso ai diver-si settori?Questo rappresenta forse ilnodopiùcriticoall’internodell’organizzazione per intensità di cura sviluppata nel no-stro ospedale, e definire come avvenga la valutazione del paziente dal punto di vista della complessità clinica piutto-sto che assistenziale non è semplice.Parlare di intensità di cura sottende quelli che sono gli aspet-ti clinici della malattia (in particolare nella fase acuta), e quin-diparadossalmenteilcriteriocheapparepiùsempliceappli-careèquellodellastabilità/instabilitàclinica.Ilprocessopiùdifficile consiste nel coniugare questa variabile clinica con quella che è la richiesta di risorse dal punto di vista infermie-ristico, che è data dalla complessità assistenziale, ivi compre-so anche il livello di dipendenza del paziente. Nel progetto che intendiamo sviluppare nel corso del 2012 e che ha l’obiettivo principale di affinare ulteriormente que-sta valutazione, stiamo valutando un modello che abbia nei punti accesso il proprio focus, ambito nel quale già adesso avviene la prima valutazione, a livello di entrambi i percorsi di ammissione: programmato e urgenza. I pazienti che si trovano nella fase acuta della malattia ar-

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rivano alle aree di degenza per acuti, ma talvolta tali per-corsi incappano in inutili rallentamenti, in quanto dall’area acuta i pazienti non dimissibili vengono ammessi nel pa-diglione di lungo-degenza. Stiamo quindi ragionando su come affinare questi percorsi, in modo tale che la valuta-zione avvenga già durante il servizio di ricezione/accet-tazione. Questo permetterebbe al paziente già conosciu-to, perché magari pluripatologico o con patologie croni-che, e che ha una riacutizzazione della malattia, di poter essere ammesso direttamente nell’area per post acuti, con unapresaincaricopiùspecificatamenteditipoassisten-ziale (senza prescindere ovviamente dalla valutazione cli-nica). Una tale riorganizzazione dovrebbe permettere un flussodipazientipiùscorrevolerispettoaquantoavvengaoggi, contesto in cui non c’è un percorso ben codificato, che implica a volte l’assegnazione impropria di posti letto destinabili a pazienti in emergenza.Attualmente i percorsi del paziente programmato sono ben stabiliti sia in area chirurgica, sia in area di degenza; nei primi giorni di fase acuta della malattia – il classico esem-pio di intervento chirurgico – il paziente viene collocato nell’area acuti (e questo vale anche per i pazienti in ur-genza). Una volta che questi si è stabilizzato, ovvero che ha superato la fase acuta della malattia, se non ci sono le condizioni sufficienti per la dimissione e quindi per torna-re al proprio domicilio, viene valutato dall’infermiere case manager e dal medico dell’area post acuti, attraverso la misurazione effettuata ad opera dell’Unità di Valutazione Multidimensionale. Tale valutazione è finalizzata all’analisi delle condizioni complessive del paziente, ovvero se sus-sistono i presupposti necessari per il trasferimento nel pa-diglione dei post acuti. Se al contrario mancano tali con-dizioni, perché ad esempio il paziente è ancora instabile, viene mantenuta la permanenza nel padiglione acuti, men-tre se viene valutata la necessità di una dimissione protet-ta si procede con l’attivazione dell’assistenza domiciliare. L’obiettivo generale è quindi quello di svolgere una valuta-zione complessiva multidimensionale e garantire una con-tinuità assistenziale tra la fase acuta, post acuta e il domi-cilio/strutture dedicate sul territorio.L’Unità di Valutazione Multidimensionale si interpone tra l’area acuti e post acuti, mentre alle porte di ingresso dell’ospedale, siano esse programmate o di Pronto Soc-corso, si viene indirizzati direttamente all’area acuti, come se vi fosse un unico binario. Questo rappresenta la condi-zione attuale e sicuramente il punto su cui ci interessa la-vorare nel futuro prossimo.Sono già stati effettuati degli studi, ivi comprese delle ana-lisi organizzative, ed è già stato condotto un lavoro molto approfondito sull’analisi del livello di complessità assisten-ziale caratteristico dei pazienti nelle diverse aree. Tale pro-getto ha infatti previsto l’applicazione della scala di valu-tazione di dipendenza del paziente per stimare la compo-sizione dei pazienti presenti nelle diverse aree; questo ha consentito di adeguare le dotazioni organiche e la turna-

zione del personale, coerentemente con il maggior nume-ro di pazienti complessi – dal punto di vista di dipenden-za – presenti nelle diverse aree. Non è però attualmente ancora in uso in modo sistemati-co e condiviso alcuna scala di valutazione.

Dopo la riorganizzazione sono state rilevate delle va-riazioni nella degenza media?L’individuazione di percorsi ben codificati, come ad esempio nel contesto orto-geriatrico implementato tre an-ni fa, ha permesso, dopo il primo anno di assestamento, di ottenere degli ottimi risultati a livello di riduzione del-la degenza media, in particolar modo nell’area acuti; il paziente con frattura del femore, infatti, viene attualmen-te preso in carico dall’area geriatrica e valutato entro le 24-48 ore dall’ingresso, per essere quindi trasferito (do-po l’intervento) nell’area geriatrica del post acuti, dove completare il periodo di ricovero.La degenza media complessiva si è quindi ridotta, e ancor dipiùquelladipermanenzanell’areaacutiditraumatologia.

Come si è evoluto il rapporto di collaborazione con il comparto medico? E quali criticità sono emerse a se-guito della riorganizzazione? Un cambiamento culturale così forte non è stato facile da gestire, soprattutto per coloro i quali avevano un’imposta-zione fortemente radicata sul vecchio modello, e non man-cano ancora oggi nostalgici del precedente modello. Non è stato facile impostare questo tipo di organizzazio-ne, in quanto in un’area di degenza si trovano un’unica équipeinfermieristicaepiùéquipe mediche organizzate per settori; perché il piano delle attività e l’organizzazio-ne così impostate funzionino, inevitabilmente il medico di specialitànonpuòpiùaverecomepuntodiriferimentoilcoordinatore, ma l’infermiere di settore. Il personale ha quindi spesso contestato il venir meno di de-terminate abitudini, come appunto il riferimento al coordinato-re, persona al corrente del quadro completo dal punto di vista diagnostico-terapeutico di ogni paziente; è in qualche modo venuta meno la continuità di informazioni, garantita in passa-to in prima persona dal coordinatore nell’arco della settimana.Chiaramente nel modello attualmente in uso ci sono altri strumenti che devono essere utilizzati e raffinati, quali la cartella informatizzata, clinica e infermieristica. La resistenza al cambiamento si è quindi in parte verifica-ta: il solo fatto di prescrivere la terapia da parte del medi-co direttamente a pc è stata inizialmente vista come una perdita di tempo. Ad oggi possiamo però affermare che il clima tra professionisti – medici e infermieri – è buono (an-che se, come in tutte le famiglie, ci sono delle realtà me-no rosee rispetto ad altre), e complessivamente la nuova mentalità si è ben diffusa e, a distanza di sette anni, può definirsi consolidata.

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