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CREMS Centro di Ricerca in Economia e Management in Sanità e nel Sociale Introduzione alla comunicazione efficace: ascoltare, comprendere, convincere Master di 1° Livello per Funzioni di Coordinamento delle Professioni Sanitarie - CoPS Anno Accademico 2011/12 Dispensa didattica Dispensa a cura di: Ivano Boscardini Università Carlo Cattaneo LIUC Castellanza 2012

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CREMS Centro di Ricerca in Economia e

Management in Sanità e nel Sociale

Introduzione alla comunicazione efficace: ascoltare, comprendere, convincere

Master di 1° Livello per Funzioni di Coordinamento

delle Professioni Sanitarie - CoPS Anno Accademico 2011/12

Dispensa didattica

Dispensa a cura di:

Ivano Boscardini

Università Carlo Cattaneo LIUC

Castellanza 2012

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INDICE

CAPITOLO 1: LA PROGRAMMAZIONE NEUROLINGUISTICA

1.1 Cosa è la PNL 2

1.2 Obiettivi e presupposti 3

1.3 I sistemi di rappresentazione sensoriale – V-A-K-O-G 5

1.4 I predicati verbali 7

CAPITOLO 2: L’EMPATIA

2.1 L’empatia 8

2.2 Essere in relazione 9

2.3 I neuroni specchio 10

2.4 La sincronizzazione e il rispecchiamento 13

2.5 La calibrazione 15

2.6 Esercizi per imparare a calibrare 16

2.7 Esercizi per imparare a rispecchiare 17

CAPITOLO 3: L’ASCOLTO ATTIVO

3.1 L’ascolto attivo 19

3.2 Sviluppare l’ascolto empatico 22

Glossario 24

Bibliografia 25

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LA PROGRAMMAZIONE NEUROLINGUISTICA

1.1 Cosa è la PNL

La Programmazione Neurolinguistica – PNL – è nata negli anni ’70 dall’originale

progetto dell’informatico Richard Bandler e del linguista John Grinder che hanno stu-

diato la struttura della comunicazione applicando gli strumenti scientifici di altre disci-

pline quali la linguistica, la cibernetica, la matematica. Lo scopo era quello di fondare

una psicologia della comunicazione su basi sperimentali facendo leva sul concetto di

osservabilità. Seguendo il principio del modellamento furono studiati i comportamenti

di famosi psicoterapeuti:

Fritz Perls (1893-1970), fondatore della terapia della Gestalt, aveva notato che

l’uomo tende a staccarsi dalle esperienze negative, perciò tentò di sviluppare delle tec-

niche per aiutarlo ad accettare anche l’esperienza negativa e a farla propria.

Virginia Satir (1916-1988), terapista familiare, autrice di libri e insegnante delle tec-

niche della terapia familiare, stimolava il cambiamento nelle persone che si rivolgevano

a lei attraverso il sistema di psicoterapia conosciuto come The Satir Growth Model, un

modello basato sulla presa di coscienza di comportamenti che provocano incomprensio-

ne all’interno della famiglia e il cambiamento degli stessi.

Milton Erickson (1901-1980), importante ipnoterapista che lavorò sia nel campo del-

la psicologia che in quello della psichiatria, sviluppò tecniche ipnoterapiche utili per

esplorare l’inconscio e per permettere al paziente di superare le proprie paure. Si definì

consulente familiare e acuto osservatore, qualità che lui stesso riteneva efficace per il

suo lavoro.

La PNL, però, affonda le sue origini in un’epoca ancora più remota, nel 1949, dallo

studio sull’Assertività. Bandler e Grinder studiarono quei particolari soggetti che eccel-

levano nei loro campi di attività professionali come manager, scienziati, sportivi chie-

dendosi quale fosse la strategia utilizzata per essere così efficaci. Si accorsero che que-

ste persone applicavano alcune strategie comportamentali, di motivazione e automoti-

vazione che potevano essere riprodotte.

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Da quest’analisi nacque la convinzione secondo la quale, se esiste un individuo al

mondo che riesce ad eccellere in una determinata cosa, tutti gli individui possono rag-

giungere lo stesso risultato, rimodellando la propria strategia personale.

La PNL si può definire come una disciplina che studia la struttura dell’esperienza

soggettiva, vale a dire l’individuazione delle operazioni mentali principali che, ponen-

dosi in sequenza, delineano la struttura dei processi comunicativi, delle strategie di pen-

siero delle persone. La PNL si può quindi considerare una disciplina che si occupa di

analizzare e riprodurre la comunicazione efficace. I campi di applicazione sono tutti

quelli in cui la comunicazione interpersonale assume un’importanza rilevante ai fini dei

risultati professionali.

Risultati ormai sperimentati si ottengono in ambito terapeutico (medico e psicologi-

co), nell’ambito educativo e formativo (insegnamento scolastico e professionale) e

aziendale (formazione, leadership, management, analisi dei ruoli, analisi organizzativa,

selezione e servizi (marketing, pubblicità, ricerche di mercato).

1.2 Obiettivi e presupposti

Si ritiene che la Programmazione Neurolinguistica sia un efficace strumento per co-

municare meglio con gli altri, migliorando i rapporti interpersonali per raggiungere i

propri obiettivi e influenzare il raggiungimento dei target altrui; un mezzo necessario

per individuare e selezionare modelli di comportamento che permettano la crescita per-

sonale, lo sviluppo della propria creatività e la rapidità di apprendimento.

Alla base di questi cambiamenti c’è la convinzione che ogni individuo può avere un

miglior controllo su alcuni processi della nostra neurologia, che vengono erroneamente

chiamati “automatici”. La PNL considera alcuni presupposti, che determinano il com-

portamento, indispensabili insieme ad attitudini e metodologie. I presupposti sono:

• La PNL è lo studio dell’esperienza soggettiva ed è nata da una ricerca per cui la

curiosità della ricerca le appartiene.

• Qualunque processo umano che può essere schematizzato è riproducibile.

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• Si possono programmare le strategie efficaci e scoprire i motivi dell’inefficacia

di una strategia. Le strategie sono processi di pensiero che conducono alla rea-

lizzazione di un comportamento.

• Una dote fondamentale di una persona, di una società, di un’istituzione o impre-

sa è la flessibilità, cioè la capacità di modificare tanto quanto è necessario del

proprio comportamento per ottenere il risultato voluto.

• Se al mondo esiste qualcuno abile nel fare qualcosa, è possibile imparare la stra-

tegia della sua abilità* e insegnarla a tutti quelli che ne hanno bisogno.

• Il mondo è il territorio di tutti, la mappa del mondo è una costruzione personale,

questa mappa non è il territorio intero, ma solo una parte di esso.

• Per raggiungere l’efficacia occorre superare i limiti della propria percezione del-

la realtà e la PNL tende ad estendere i limiti e aumentare le percezioni di ciò che

è possibile.

• La capacità di cambiare il processo con il quale si fa esperienza della realtà è

molto più utile ed efficace che pensare di cambiare il contenuto dell’esperienza

personale della realtà.

• Le risorse di cui un individuo necessita per affrontare un cambiamento sono già

dentro di esso.

• Occorre considerare i risultati come feedback ovvero come risposte e non come

fallimenti. Tutti i risultati e i comportamenti sono apprendimento, sia che porti-

no a raggiungere l’obiettivo desiderato, sia che non ottengano l’obiettivo.

• Ogni comportamento nasconde un’intenzione positiva e ogni comportamento ha

il suo valore nel contesto in cui si è verificato, occorre solo scoprirlo.

• Ogni comportamento è una forma di adattamento al contesto in cui viene appre-

so e che lo determina.

• L’essere umano è un sistema cibernetico, quindi qualunque cosa accada, anche

solo una parte di questo sistema, influenzerà tutte le altri parti del sistema e dei

sistemi entro i quali questo sistema è parte.

• Ogni comportamento è comunicazione, anche il silenzio comunica, spesso mol-

to più efficacemente delle parole.

• Ogni comportamento è frutto del funzionamento dei processi neurali interni, che

si tratti di linguaggio o del colore della pelle o del movimento degli occhi. Ogni

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cambiamento di questi segnali fornisce informazioni sulla trasformazione di

questi processi interni.

• Le rappresentazioni sensoriali, verbali e non verbali, sono le basi del linguaggio

dell’esperienza soggettiva.

• Non esiste una comunicazione giusta o sbagliata. Esiste il risultato che definisce

il tipo di comunicazione che lo ha determinato e bisogna imparare a leggere o

ascoltare cosa esprime il risultato e di conseguenza variare il comportamento

che lo determina.

• Chi sa comunicare bene è responsabile sempre di ciò che ottiene, ma anche di

ciò che non ottiene.

• I comunicatori efficaci sono creativi e accettano e utilizzano tutti i comporta-

menti.

1.3 I sistemi di rappresentazione sensoriale – V-A-K-O-G

I nostri cinque sensi raccolgono i dati sensoriali: essi vedono, ascoltano, sentono, an-

nusano e assaporano per raccogliere informazioni della realtà intorno a noi. I dati rac-

colti dai sensi danno origine al processo di comunicazione, guidandolo, e determinano il

modo in cui ci comportiamo. Ognuno di noi si fida, stima ed utilizza i dati raccolti mag-

giormente da un particolare senso piuttosto dei dati raccolti dagli altri sensi, ha cioè un

canale preferito e le sue informazioni percepiscono, pensano, e selezionano le nostre

parole. Questo significa che alcune delle nostre immagini preferite, alcune delle nostre

canzoni preferite e alcune sensazioni preferite danno senso al mondo in cui viviamo.

Così possiamo identificare tre categorie di persone che parlano linguaggi differenti an-

che quando parlano nella propria lingua nativa.

I Visivi, persone sensibili alle sfera visiva dell’esperienza, usano molte espressioni

che hanno a che vedere con la vista «mi faccio un quadro della situazione» o ancora

«vedo quello che stai dicendo».

Gli Uditivi, persone sensibili alle sfera uditiva dell’esperienza possono dire «siamo

in sintonia» oppure «mi suona bene».

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I Cinestesici, persone sensibili alle sfera tattile, propriocettiva ed emotiva

dell’esperienza amano le parole come percepire (con il tatto), afferrare, maneggiare e

possono dire «sento che ci muoveremo bene» o «riesci ad afferrare ciò che sto dicen-

do?».

Un comunicatore efficace riconosce quale linguaggio è parlato e riproduce quel lin-

guaggio per migliorare la comprensione; se non si traduce ad un'altra persona, si rischia

la non-comunicazione e la perdita parziale della relazione. Si può approfondire la com-

prensione prendendo tempo per ascoltare meglio le parole che l’interlocutore sta utiliz-

zando e successivamente scegliere le parole del suo sistema percettivo preferito per ri-

proporle.

Ciò necessita di un po’ di pratica, ma è tempo speso bene perché in tal modo si può

aumentare la comprensione che altri avranno di voi e il vostro linguaggio diventerà più

ricco.

Vi sono inoltre alcune parole, chiamate neutre, che non appartengono a nessun si-

stema sensoriale ma descrivono il processo di elaborazione dei dati.

Qui di seguito sono riportati in tabella alcuni dei termini che le persone con differenti

categorie di sistemi di rappresentazione sensoriale utilizzano per descrivere

l’esperienza.

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1.4 I predicati verbali

VISIVO AUDITIVO CENESTESICO NEUTRO

Vedere Sentire Sentire Senso

Guardare Ascoltare Toccare Esperienza

Vista Suoni Afferrare Capire

Apparire Armonizzate Trattenere Pensare

Mostrare Sintonizzarsi Far presa Imparare

Spuntare Silenzio Fare contatto Processo

Rivelare Essere

ascoltato

Scivolare

attraverso Risolvere

Visione Risuonare Buttar fuori Motivo

Immagine Sordo Girare intorno Considerare

Quadro/foto Parlare Duro Cambiare

Chiaro Discorrere Concreto Percepire

Nebbioso Gemere Raschiare Distinto

Focalizzato Scampanare Grattare Concepire

Offuscato Ciarlare Solido Conoscere

Scintillante Chiamare Cementato Meraviglioso

Lampo Dire Morbido Realizzare

Cornice Rumore Crespo Convincere

Vago Eco Fresco Piano

Tenere

d’occhio

A portata

d’orecchio

Tenersi

aggiornato Essere conscio

Colorato Cantare Fluttuante Identificare

Avvistare Volume Caldo/Freddo Creare

Luce debole A tono Liscio/Ruvido Motivare

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L’EMPATIA

2.1 L’empatia

L’empatia è la capacità degli esseri umani di immedesimarsi nel vissuto emotivo

dell’altro.

È un fenomeno biologico connesso a un tipo di linguaggio primitivo molto efficace

per la conoscenza dell’altro. Implica sensibilità e capacità di cogliere nella realtà le va-

rie sfumature dell’essere. Il metodo empatico permette di comunicare fiducia, speranza

e bontà del percorso intrapreso.

L’empatia può essere considerata come:

• uno stato emozionale-esperienziale in cui il processo di comprensione emotiva

dell’altro è considerato prioritario, mentre gli aspetti cognitivi, benché presenti,

hanno un ruolo secondario.

• un processo cognitivo, dove si esalta la comprensione degli stati emotivi dell’altro

senza doverli necessariamente sperimentare.

• un processo interattivo tra l’aspetto cognitivo e quello emozionale-esperienziale in

cui gli aspetti cognitivi di decodifica dello stato altrui interagiscono, influiscono e

si accompagnano all’esperienza di uno stato emozionale personale.

• una competenza interpersonale tipicamente appartenente all’indirizzo umanista

della psicologia, è intesa come un processo comunicativo che facilità

l’autoconoscenza dell’altro.

Il processo di empatia è:

• il percepire lo schema di riferimento interiore di un altro con accuratezza e con le

componenti emozionali e di significato ad esso pertinenti, come se una sola fosse

la persona, ma senza mai perdere di vista questa condizione di “come se”.

Per rendere attiva l’empatia occorre avere:

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• la percezione dei messaggi verbali e non verbali dell’altra persona

• una comprensione accurata del messaggio dell’altro

• l’esperienza della propria risposta somatica al messaggio dell’altro

• una separazione dei sentimenti condivisi con l’altro da quelli sperimentati da solo

• una comunicazione accurata dei sentimenti sperimentati con messaggi verbali e

non verbali comprensibili e congruenti

2.2 Essere in relazione

Il diapason è formato da una forcella di acciaio che messa in vibrazione emette con

grande purezza il “la” della terza ottava permettendo all’accordatore di iniziare

l’accordatura degli strumenti musicali. Se si colpisce un diapason e lo si pone vicino ad

un altro diapason possiamo osservare che, nonostante non vi sia contatto fra i due, an-

che il secondo diapason incomincia a vibrare. La risonanza sonora permette un passag-

gio di informazioni tra i diapason. Potrebbe sembrare strano, ma la stessa cosa succede

nella comunicazione fra due persone; pensiamo ad esempio due innamorati seduti al

ristorante: la loro postura è molto simile se non identica, sono rivolti l’uno verso l’altra,

lei beve e lui dopo poco la segue accostando le labbra al bicchiere, lui cambia posizione

e si aggiusta i capelli e lei lo imita quasi subito.

Osserviamo come entrambi, per lo più inconsapevolmente, abbiano adottato modalità

di comunicazione molto simili: i movimenti che compiono sono quasi sincronizzati, con

gli stessi ritmi e con la stessa postura. Se poi potessimo avvicinarci ad essi, scoprirem-

mo, con molte probabilità, che anche il ritmo della respirazione e dell’eloquio è simile,

così pure il volume della voce. Potremmo dire di quelle due persone che sono in sinto-

nia oppure che c'è feeling tra loro.

Scopriamo inoltre, che i due innamorati, sono entrati in un certo tipo di rapporto che

esula dal rapporto sentimentale e affettivo o professionale, e che ha a che fare con il

processo di comunicazione che stanno attivando l’una verso l’altro; possiamo riassume-

re questo processo nella parola, sincronizzazione o rapporto. I loro sistemi si stanno

mettendo in collegamento attraverso la fisiologia dei due corpi e le posture da essi as-

sunte prima ancora che il contenuto verbale venga effettivamente organizzato ed espres-

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so. È una modalità di comunicazione inconscia che permette al sistema composto dalle

due persone di stabilizzarsi emotivamente per poi esprimersi nella comunicazione di

contenuto. È un processo assolutamente naturale che ognuno di noi attiva quando deve

comunicare con un altro.

Steven Spielberg utilizza questo processo nel film E.T. per permettere

l’avvicinamento dell’alieno al terrestre. Il bimbo è un essere umano quasi privo di pre-

giudizi e per lui E.T. non è altro che un amico che non ha ancora conosciuto. Se rivi-

viamo la scena con gli occhi, i presupposti e l’intelligenza superiore di E.T. , i gesti del

bambino potrebbero rappresentare un saluto a cui l’alieno risponde di buon grado. Tutti

movimenti successivi diventano un linguaggio comune che permette il contatto conclu-

sivo e definitivo.

Il sinonimo per tale concetto è “sintonia”; studiando le persone che si riconoscono e

si sentono in sincronizzazione, si è visto che esse stabiliscono e mantengono molti

schemi fisici, mimici, vocali, verbali in cui si seguono come in una danza. Il processo

della sincronizzazione può durare a lungo prima di stabilizzarsi; diversamente possiamo

attivarlo consapevolmente attraverso il rispecchiamento.

2.3 I neuroni specchio

Sono stati scoperti per caso. L’equipe di neuroscienziati guidata dal prof. Giacomo

Rizzolatti nella città di Parma, stava studiando l’area della corteccia premotoria cioè di

quella zona dove avviene la programmazione del movimento e che si attiva perciò qual-

che millisecondo prima dell’area motoria di un macaco. L’equipe del prof. Rizzolatti

mirava a conoscere nello specifico i meccanismi neurofisiologici alla base dei movi-

menti della mano per studiare le possibilità di recupero in pazienti con lesioni neurolo-

giche. Lo studio avveniva, come sempre, utilizzando macachi su cui erano stati applicati

elettrodi collegati a un amplificatore acustico. Ogni volta che i neuroni si attivavano si

udiva quindi il suono dei neuroni che “scaricavano”.

La scimmia doveva solo allungare la mano per prendere delle arachidi e ogni volta

che la scimmia allungava la mano si udiva il suono dei neuroni in attività. Durante una

pausa dell’esperimento, mentre la scimmia era seduta, immobile, un ricercatore ha al-

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lungato la mano verso un’arachide e inaspettatamente i neuroni della scimmia hanno

scaricato con la medesima intensità e durata di quando era la scimmia stessa ad afferrare

le noccioline. Inizialmente gli scienziati hanno pensato di trovarsi di fronte a uno di quei

rumori di fondo che spesso sporcano la raccolta dei dati. Ben presto però si sono accorti

che questo fenomeno inspiegabile si ripeteva costantemente: i neuroni motori della

scimmia scaricavano anche quando la scimmia era immobile e si muoveva invece il ri-

cercatore. Esperimenti successivi eseguiti anche sull’uomo hanno confermato che alcuni

neuroni, che vennero dapprima chiamati «monkey see-monkey do» e poi definitivamente

denominati «specchio», dell’area premotoria del macaco e dell’uomo si attivano allo

stesso modo sia quando gli individui eseguono l’azione sia quando la vedono soltanto

eseguire. Il che significa che quando il macaco o l’uomo vedono compiersi un’azione,

nella loro area premotoria si attiva il pattern motorio necessario al compimento

dell’azione, si verifica cioè un atto motorio potenziale, una simulazione interna del mo-

vimento osservato.

L’area dei neuroni specchio è maggiore nell’uomo che nelle scimmie. La loro princi-

pale funzione non è l’imitazione ma è la comprensione dello scopo dell’azione, cioè

delle intenzioni dell’altro. È ovvio che più la società in cui vive l’individuo è comples-

sa, più la possibilità di comprendere le intenzioni degli altri diventa una caratteristica

favorevole e quindi presenta un vantaggio evolutivo. La comprensione attraverso i neu-

roni specchio non è l’unica forma di comprensione a nostra disposizione: noi compren-

diamo le intenzioni degli altri anche in modo razionale, per vie più complesse servendo-

ci delle informazioni provenienti dal contesto e facendo dei ragionamenti di tipo dedut-

tivo. Ma la comprensione attraverso i neuroni specchio è preziosa perché nascendo da

una simulazione interna del movimento è corporea e perché è immediata, simultanea a

ciò che osserviamo.

I neuroni più diffusi sono quelli che attivano il pattern motorio necessario a interagi-

re con gli oggetti e costituiscono circa l’80% della corteccia premotoria. Il restante 20%

è costituito da neuroni specchio, che hanno tutte le caratteristiche dei neuroni classici

ma in più sono capaci di attivarsi non solo quando progettiamo un’azione, ma anche

quando la vediamo compiere da altri. La scoperta dei neuroni specchio ha rivoluzionato

alcune certezze dei neuro scienziati che fino agli anni ‘80 pensavano che le funzioni del

cervello fossero confinate in compartimenti stagni anche se ovviamente comunicanti fra

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loro. Attualmente percezione, comprensione e azione non possono più essere considera-

te totalmente separate e indipendenti: percezione e azione sono le due facce della stessa

medaglia. La percezione attiva pattern motori, anche se solo potenziali, e diventa

un’implicita preparazione dell’organismo a rispondere e ad agire. L’area motoria non

può più essere considerata solo esecutiva, ma ha capacità anche cognitive: è il nostro

patrimonio motorio che ci permette di comprendere quello che altri stanno facendo.

Il fatto di simulare internamente l’azione osservata non implica certo il fatto di ripe-

tere effettivamente ogni azione. L’imitazione può essere attivata volontariamente

nell’apprendimento. Per imparare a suonare uno strumento musicale, per esempio,

guardiamo attentamente cosa fa il maestro, scomponiamo i suoi movimenti in atti moto-

ri elementari, presenti nel nostro vocabolario motorio, e li assembliamo infine per otte-

nere il movimento più complesso che non conoscevamo e che, da quel momento, diven-

ta parte del nostro repertorio. L’imitazione però può attivarsi anche involontariamente,

soprattutto quando ci troviamo di fronte ad azioni emotivamente coinvolgenti. Succede

spesso guardando un evento sportivo che ci coinvolge, di percepire i nostri muscoli che

si attivano in sincronia con quelli dell’atleta osservato. Ma esiste anche una imitazione

inconsapevole, il cosiddetto ricalco, cioè la propensione a imitare il comportamento del-

le persone a cui teniamo. In una coppia o in gruppo ben affiatato le persone tendono ad

assumere posture simili. Imitando chi ci troviamo di fronte, da una parte ci mettiamo nei

suoi panni, ci immedesimiamo in lui, provando ciò che l’altro prova, e dall’altra gli co-

munichiamo un senso di comunanza. L’imitazione reciproca è di fatto un atto comuni-

cativo inconsapevole che trasmette desiderio di sincronizzare i corpi, i movimenti, le

azioni e che suscita senso di intimità e gradimento inconsapevole nella persona imitata.

Esperimenti sui bambini dimostrano in effetti che i soggetti imitati gradiscono di più le

persone che li imitano di quelli che non li imitano. È stato dimostrato che esiste un mec-

canismo specchio non solo per quanto riguarda l’osservazione del movimento, ma an-

che per quanto riguarda l’osservazione negli altri di emozioni e dolore. Le emozioni so-

no esperienze costituite da interpretazioni coscienti degli stati corporei; hanno, quindi,

una componente cognitiva e affettiva e una viscerale e motoria.

Vedere qualcuno che soffre o prova disgusto attiva in alcune regioni della corteccia

neuroni specchio autonomi e specifici che riproducono le stesse sensazioni che prova

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chi si sta osservando. Non riproducono evidentemente la percezione sensoriale del dolo-

re o del disgusto, ma la sensazione emotiva e viscerale.

Quindi attraverso i neuroni specchio sperimentiamo nel nostro corpo l’emozione

dell’altro e l’emozione dell’altro diventa la nostra emozione: è come se l’altro diventas-

se noi, come se l’esperienza dell’altro ci abitasse. Vivendo in noi le emozioni in modo

immediato, involontario, simulato, possiamo comprendere a fondo ciò che gli altri pro-

vano. Si pensa che i neuroni specchio siano la base neurale dell’empatia. La capacità di

rispondere dei neuroni specchio emotivi è maggiore o minore nei diversi individui: è più

bassa normalmente negli uomini che nelle donne, ed è comunque sempre più alta quan-

do la persona sofferente che osserviamo ci è cara.

2.4 La sincronizzazione e il rispecchiamento

Il rispecchiamento o ricalco è l'essenza di ciò che è necessario per attivare il rapporto

fra due persone. Ciò implica di dover incontrare il nostro interlocutore nella sua acce-

zione di mondo, nelle sue abitudini comportamentali e stabilire con lui un'affinità con-

scia e, ancora più importante, inconscia. Ci sono moltissimi modi per farlo, tanti quanti

la nostra esperienza sensoriale e la nostra capacità di osservazione del comportamento

verbale e non verbale di una persona ci permettono. Fondamentalmente ciò significa che

un comunicatore fa di sé un meccanismo di biofeedback, uno specchio per l’altro. Per

raccogliere informazioni o cominciare un processo di comunicazione in modo efficace è

sempre importante essere in sincronizzazione con l'interlocutore sia a livello conscio

che inconscio. Per questo preciso scopo, una tecnica valida è appunto generare un com-

portamento verbale, paraverbale e non-verbale che rispecchi quello dell'altra persona. Il

concetto di rispecchiamento è universale. Gli amici si rispecchiano naturalmente; sono

in un certo tipo di rapporto, si capiscono, hanno più o meno cose in comune, parlano la

stessa lingua. Se incontriamo uno sconosciuto in una situazione sociale, la prima cosa

che facciamo è andare a cercare una qualche comunanza, pensiamo solo ai tanti discorsi

banali che intrecciamo nelle sale di attesa di qualche ufficio pubblico: il tempo “non ci

sono più le mezze stagioni!” ; il governo “si stava meglio quando si stava peggio” e così

via. Vi sono innumerevoli situazioni di rispecchiamento nella nostra vita; qualunque

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relazione empatica, profonda o superficiale, con un altro essere umano implica il rical-

co. Possiamo ricalcare l'altra persona rispecchiando la sua postura, il respiro, tono e ca-

denza della voce, predicati e sintassi, movimenti muscolari grandi o piccoli, battiti di

palpebre, e via dicendo. Se abbiamo sufficiente esperienza sensoriale abbiamo una mi-

riade di scelte, limitate solo dalla nostra flessibilità di comportamento. Per cominciare

ad apprendere queste capacità per noi stessi possiamo iniziare con qualcosa di semplice,

e fare un pezzo per volta. Quando si parla di rispecchiamento si intende proprio attivare

un comportamento speculare nei confronti del nostro interlocutore, come se fosse da-

vanti ad uno specchio. Si comincia di solito col rispecchiare i comportamenti macrosco-

pici dell’altro, la postura, la posizione delle braccia e delle gambe, l’angolazione della

testa, per continuare poi con il volume e il ritmo dell’eloquio, le parole e le metafore

che utilizza più spesso nel suo discorso per finire con la respirazione e le strutture lin-

guistiche inconsce.

Da alcune ricerche compiute sui processi di interazione, risulta che efficacia/effetto

della comunicazione è dato per il 7% dal significato delle parole o contenuto verbale,

per il 38% dalle caratteristiche dell’eloquio o paraverbale e per il 55% dalla fisiologia o

dal non verbale, cioè il linguaggio del corpo. Inoltre, se si considera che la sintonia ver-

bale traduce effetti a livello conscio mentre quella paraverbale e analogica manda mes-

saggi di affinità a livello inconscio, si comprende quanto sia potente quest’ultima per

creare un clima di fiducia e una percezione di rapporto. Attenzione però, se si rispecchia

e si ricalca qualcuno che è profondamente stressato o tormentato da un problema fisico,

proprio per la potenza di questo processo, ci si può ritrovare ad avere effetti collaterali

spiacevoli.

Conviene allora utilizzare il ricalco indiretto cioè il rispecchiamento "incrociato": in-

vece di rispecchiare il respiro di un asmatico, si può ricalcarlo alzando il pollice al ritmo

della sua respirazione; si può anche fare un piccolo cenno ogni volta che l’altro sbatte le

palpebre, muovere la mano quando sposta la testa e così via. Si può quindi rispecchiare

il nostro interlocutore nello stesso canale in cui il comportamento viene espresso, o in

uno qualunque dei canali "incrociati". La cosa principale da ricordare è di rimanere coe-

renti con le proprie scelte. Riassumendo rispecchiamento diretto o ricalco vuol dire ri-

produrre simultaneamente il comportamento di un'altra persona; rispecchiare il compor-

tamento non verbale di qualcuno è un modo potente di creare sincronizzazione. Una

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volta rispecchiato il comportamento di una persona per un tempo ragionevole che varia

da persona a persona da contesto a contesto, possiamo verificare se siamo sincronizzati

guidandola, modificando cioè gradualmente il nostro comportamento, e notando se

adotta i nostri stessi movimenti cioè ci segue. Rispecchiamento incrociato vuol dire ri-

specchiare il comportamento di un'altra persona con il vostro, ma in altro un canale; ad

esempio: possiamo ricalcare il respiro dell'altro con la cadenza del nostro discorso, o

con il movimento di una mano. Infine il rispecchiamento verbale o matching utilizza le

parole di processo cioè tutte quelle che esprimono azioni o relazioni: verbi, aggettivi e

avverbi. Molte parole di processo indicano come una persona si sta rappresentando l'in-

formazione internamente: visivamente, auditivamente, cenestesicamente, gustativamen-

te, olfattivamente. Rispecchiare il sistema nel quale queste parole dette anche "predica-

ti" vengono rappresentate può essere molto utile per ottenere sincronizzazione, tanto

quanto l’attenzione che prestiamo nel porgere l'informazione in maniera che l'interlocu-

tore possa comprendere meglio ciò che stiamo esprimendo; è come parlare tedesco a un

tedesco, francese a un francese.

2.5 La calibrazione

Per imparare ad utilizzare al meglio il rispecchiamento è bene suddividere questo

processo in due momenti distinti: il primo riguarda l’osservazione e l’ascolto delle per-

sone con le quali vi trovate in relazione, questa operazione si chiama calibrazione. Per

fisiologia (comportamento) si intendono i segnali non verbali che seguono e che vengo-

no definiti “analogici”.

� la posizione o postura totale del corpo;

� gambe allargate o unite o accavallate ecc.;

� tronco spostato in avanti, indietro, eretto, ripiegato su se stesso;

� braccia conserte, distese lungo il corpo, unite dietro una piegata l’altra distesa

ecc.;

• mani chiuse, aperte, intrecciate tra loro ecc.;

• spalle dritte, spostate in avanti, in alto, all’indietro, una alta una bassa ecc.;

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• testa eretta, spostata di lato, china davanti, ecc.;

• i movimenti del corpo e di ogni sua parte e il ritmo degli stessi;

• le espressioni facciali (mimica) con particolare riguardo agli occhi, bocca, ten-

sione dei muscoli facciali;

• colorazione del viso e sue variazioni;

• respirazione: alta (toracica), media (tra torace e addome) bassa (addominale o

diaframmatica)

Rispecchiare significa riprodurre la fisiologia; il modo di usare la voce. Esemplifi-

cando, se il vostro interlocutore ha le gambe incrociate, le mani in tasca, la testa inclina-

ta da un lato, se muove ritmicamente le spalle, se parla con volume “medio” di voce e

con ritmo costante e si riferisce di prevalenza a quello che si dice e a come suonano le

cose , voi incrocerete le gambe, terrete le mani in tasca, la testa un po' inclinata, muo-

vendo le spalle e parlerete con il suo tipo di voce usando in prevalenza predicati verbali

di tipo auditivo. Questo significa rispecchiare l’altro. Il rispecchiamento è un mezzo as-

sai potente per creare il “rapporto”.

2.6 Esercizi per imparare a calibrare

Alcuni di questi esercizi potranno essere svolti durante la normale vita quotidiana,

quando osserverete l’interazione tra le altre persone o tra voi e gli altri.

È necessario un luogo tranquillo dove potersi concentrare senza essere disturbati per

mezz'ora o per un'ora senza dare troppo nell'occhio.

1. Esercitatevi a osservare la fisiologia delle persone mentre comunicano tra di

loro o con voi: guardate tutte le posizioni delle braccia, delle gambe, del tron-

co e della testa, guardate anche il movimento. Per fare un buon esercizio, tra-

scurate la parte verbale quando ciò è possibile.

2. Osservate la fisiologia di due persone che comunicano tra di loro, facendo ri-

ferimento alle posture e ai ritmi osservati il giorno prima, notate se ci sono

posizioni o movimenti simili tra i due e quali sono.

3. Esercitatevi a osservare la respirazione degli altri, in particolare la posizione

(parte alta del torace, tra torace e addome, al livello dell'addome), la profon-

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dità (superficiale, media, profonda), la frequenza (lenta, media, rapida) e i

cambiamenti nel tempo di queste tre variabili. Nota: le variazioni sono asso-

ciate coi processi di pensiero e i contenuti della comunicazione, ma per il

momento non occupatevene. In seguito osservate persone che comunicano tra

di loro: in cosa si assomigliano, o tendono ad assomigliare, le loro respirazio-

ni? Ci sono differenze tra persone in rapporto e persone non in rapporto? Per

esempio le prime tendono ad avere respirazioni più simili? o a respirare allo

stesso ritmo?.

4. Osservate la mimica delle persone che comunicano tra di loro e con voi no-

tando i movimenti della bocca, delle sopracciglia, dei muscoli delle guance e

inoltre le variazioni di colorazione del viso.

5. Osservate i gesti tipici delle persone (quindi ricorrenti). Per esempio sposta-

menti ripetitivi del capo a destra o sinistra, oscillazioni del busto, posizioni

particolari della bocca, movimento di una mano, ecc.).

6. Ascoltate persone che comunicano tra di loro e con voi e fate attenzione al

tono, timbro, volume, ritmo (velocità) della voce. Notate queste differenze tra

le persone. Ascoltate due persone che comunicano e verificate se hanno tono,

timbro, volume, ritmo simili oppure no. Ascoltate persone in rapporto e per-

sone non in rapporto. C’è qualcosa che distingue le prime dalle seconde? Per

esempio la stessa rapidità di eloquio, stesso volume di voce, stessi toni, stesso

ritmo, stessi intercalari eccetera.

2.7 Esercizi per imparare a rispecchiare

Queste esercitazioni prevedono l'utilizzo della capacità di osservare/ascoltare quindi

calibrare al fine di riprodurre a livello di comportamenti quello che avete visto ed ascol-

tato. Questa operazione si chiama rispecchiamento e troverete nelle esercitazioni se-

guenti le modalità per eseguirla correttamente. Avvertenza; è necessario continuare e/o

ripetere gli esercizi fin quando i comportamenti relativi diventano spontanei, naturali,

automatici. Controllare di essere "in rapporto" o no con le persone, quindi ascoltati, se-

guiti, capiti, insieme e viceversa, al di là degli aspetti conflittuali o competitivi, delle

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obiezioni e delle difficoltà. Ogni volta che la risposta è no, cambiate qualche cosa del

linguaggio corporeo o della voce fino a ritrovare il rapporto.

1. Postura: allenarsi a riprodurre la posizione fisica dell'altro, (in tutto o in parte)

e seguirne con discrezione i cambiamenti. Quindi rispecchiatene la posizione

e i relativi movimenti della testa, delle braccia, del tronco e delle gambe. Do-

po un po' questa operazione deve essere così naturale da non essere recepita

consapevolmente dall'altro. Sarà quello il momento in cui trasferirete questa

capacità al contesto della vostra attività. Questo vale anche per gli esercizi

che seguono.

2. Imitare i movimenti ritmici dell'altro in modo diverso (es. se l'altro oscilla un

piede, voi potete giocherellare con le dita). Scoprite se, variando il ritmo, l'al-

tro "segue", e cercate di riuscirci.

3. Allenatevi ad imitare con la propria la respirazione degli altri (Inoltre: scopri-

te cosa succede se dopo un po' modificate la propria.

4. Esercitatevi ad imitare, con discrezione, le espressioni del volto di persone

che comunicano con voi, rispecchiandone i movimenti della bocca, delle so-

pracciglia, dei muscoli facciali. Inoltre restituite i gesti tipici dell'altro cioè

usateli a vostra volta ogni tanto (es. quando tocca a voi parlare).

5. Allenatevi a riprodurre il ritmo, il volume, il tono, il timbro del linguaggio al-

trui. Parlate il più possibile alle persone con ritmo, volume, tono, rapidità si-

mili alle loro.

6. Allenatevi a restituire agli altri il tipo di metafore ed esempi che usano (es.

sportive, automobilistiche, ecc.)

esempio:

l’altro : «oggi ho gli ammortizzatori scarichi»

tu: «dopo che ti avrò detto la mia nuova idea sembrerai una Ferrari»

Naturalmente non è necessario farlo subito (come nell'esempio) ma lo si potrà fare

anche in un momento successivo, nel corso della conversazione.

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L’ASCOLTO ATTIVO

3.1 L’ascolto attivo

La comunicazione è più efficace quando una delle parti è ben disposta ad essere la

prima a capire. Ma dove inizia la comprensione? L’esigenza di essere capiti è un modo

di dire «voi aprite la vostra mente per me», il bisogno di comprendere le altre persone è

un modo per dire: «io aprirò la mia mente per te». Le due frasi sono così differenti in

tono e significato che è difficile fare entrare entrambe le cose nello stesso tempo, così

noi generalmente, ci focalizziamo su una o sull’altra. La maggior parte delle persone

vuole solo essere compresa. Possiamo essere differenti, con grandi benefici per la rela-

zione, cercando di capire per primi. Quando cerchiamo di capire stiamo applicando il

principio dell’empatia attraverso l’ascolto attivo. Siamo in empatia, quindi, quando ci

poniamo in mezzo agli altri per sperimentare le loro emozioni e loro esperienze; questo

però non significa che siamo d’accordo, semplicemente che capiamo il loro punto di

vista. Una volta capito il punto di vista dell’altro sarà più probabile essere compresi. Per

capire un’altra persona, dobbiamo essere disposti a essere influenzati ma, superficial-

mente, essere aperti alle idee di altre persone può sembrare di ammettere di essere in

una posizione di inferiorità. È risaputo che a poche persone piace essere in questa posi-

zione, poche sono disposte ad essere aperte, ed è questo il perché si tende ad entrare in

discussione in difesa delle nostre posizioni. In una situazione di interdipendenza, le idee

di giusto o sbagliato o vincitori e perdenti non sono applicate realmente. Le situazioni

interdipendenti hanno come alternativa la condivisione delle vittorie, una posizione

completamente nuova che le persone creano insieme. Questo è ciò che otteniamo quan-

do siamo disposti ad essere influenzati. Quando siamo aperti diamo alle persone lo spa-

zio per rendersi conto delle loro posizioni fisse e considerare eventuali alternative.

Quando siamo veramente interessati al punto di vista delle altre persone, la nostra aper-

tura crea un clima che permette di guardare alle idee (sia le loro sia le nostre), senza

sentirsi minacciati. Quando non ci sentiamo minacciati, siamo più propensi ad allentare

la nostra posizione ed a considerarne una nuova favorevole per noi e per l’altro.

Provare a capire per primi ci dà atto di una posizione di consapevolezza. Provare a

capire per primi è un principio universale di efficacia. I medici lo fanno quando diagno-

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sticano, gli avvocati lo fanno quando raccolgono le informazioni per rappresentare un

cliente, i venditori quando valutano i bisogni dei loro clienti. Noi applichiamo lo stesso

principio nelle nostre relazioni interpersonali quando proviamo a capire prima di essere

capiti. Questo ci consente di essere consapevoli piuttosto che ignari. Cercando di capire,

guadagniamo influenza nella relazione.

Quando dedichiamo tempo per capire le persone, esse sono più probabilmente dispo-

ste a permetterci di influenzarle; essere aggrediti da qualcuno che ha una posizione ir-

removibile è fastidioso mentre essere compresi è piacevole. Il contrasto tra le due cose è

così grande che le persone tendono ad essere flessibili e ben disposte con quelli che li

capiscono e contrastanti con quelle che non lo fanno. Se però noi usiamo la nostra in-

fluenza per imporre la nostra posizione, probabilmente la perderemo. Questa connessio-

ne tra comprensione ed influenza è delicata ed è vera solo fino a quando le nostre inten-

zioni sono indiscutibili ed è sorretta da una promessa di “vincere-vincere” altrimenti

non ci sarà nessun accordo. Provare a capire per primi induce le persone a scoprire una

nuova alternativa. Quando proviamo a capire, incoraggiamo il seguente processo:

• le persone diventano meno difese riguardo le loro posizioni.

• diventano più aperte alla domanda “Come possiamo ottenere entrambi ciò che

vogliamo?”.

• esse iniziano a vedere i loro valori più chiaramente utilizzandoli come indicazio-

ni per creare e valutare altre opinioni.

• considerano la totalità delle altre opinioni, sviluppando una nuova alternativa.

Le risposte autobiografiche ci impediscono la comprensione.

Quando ascoltiamo le persone, tendiamo a filtrare quello che sentiamo attraverso la

nostra esperienza. I nostri ricordi creano alcuni filtri autobiografici. Traduciamo le paro-

le degli altri e le adattiamo alle nostre opinioni ed esperienze.

Quando rispondiamo, noi diciamo loro realmente che cosa potremmo fare in quella

situazione e non necessariamente quello che loro dovrebbero fare. Quante volte dicia-

mo: «Se fossi in te...»

Le quattro principali risposte autobiografiche sono:

Consigliare

È dire agli altri cosa devono fare. Quando diamo un consiglio generalmente abbiamo

buone intenzioni, ma quando il nostro consiglio arriva da un nostro pregiudizio, come

21

un dovere, che blocca la comunicazione, perché è semplicemente un’altra posizione, per

noi da difendere, per gli altri a cui resistere.

Indagare

È fare domande. L’indagine ha l’aspetto di provare a capire, ma le domande che fac-

ciamo derivano dalle nostre esperienze passate, non dal momento presente, e le usiamo

per dirigere la conversazione verso le cose che la nostra autobiografia ritiene importan-

te.

Interpretare

È spiegare il perché le persone si comportano in un certo modo. Quando interpretia-

mo, noi spieghiamo il comportamento altrui attraverso le nostre motivazioni privando i

nostri interlocutori del senso di responsabilità riguardo ciò che fanno, e rischiamo di

farli sentire manipolati, offesi o psicanalizzati.

Valutare

È, a volte, come giudicare. Ha due forme: essere d’accordo o in disaccordo. Possia-

mo dichiarare le nostre valutazioni direttamente, oppure possiamo esprimerle attraverso

il tono della voce, le espressioni del viso e la postura del corpo.

Sono tutti meccanismi di controllo. Li usiamo per controllare ciò che abbiamo in

comune e il significato che ne assume. Qualunque sia la forma, le valutazioni sono modi

di vedere il presente non per quello che è ma in termini della esperienza passata. Le ri-

sposte autobiografiche non sono necessariamente sbagliate o cattive per sé, possono es-

sere di grande aiuto se sono basate su una precisa comprensione della situazione che gli

altri stanno vivendo.

La tendenza per la maggior parte delle persone è quella di utilizzare questo tipo di ri-

sposta prima di aver cercato di ottenere una comprensione completa. Provare a capire

per primi fa risparmiare tempo.

Quando ascoltiamo empaticamente, restituiamo alle altre persone che cosa stiamo

comprendendo. Da un certo punto di vista può sembrare un lungo e difficile modo di

fare le cose; certamente risulta più diretto e più veloce fare domande anche se le do-

mande d’indagine prendono tempo e sembrano dirette verso la comprensione ma in ef-

fetti dipendono dai nostri pregiudizi e servono principalmente a tutelarli. Non possiamo

però raggiungere la comprensione reciproca che l’ascolto empatico produce, facendo

domande che forzano l’altra persona a dire ciò che pensiamo essere importante per noi.

22

Infatti solo l’ascolto empatico può guidare alla vera comprensione e una volta stabilita

una sincera fiducia, la comunicazione può essere facile ed effettiva: le persone che si

capiscono l’un l’altra possono comunicare molti significati con poche parole.

L’ascolto empatico non è una panacea el’ascolto empatico non è appropriato per ogni

cosa.

Ci sono casi in cui nulla funziona tranne il silenzio e la pazienza mentre ci sono casi

in cui le risposte autobiografiche funzionano perché seguono la comprensione e le per-

sone sono preparate a questo. A volte niente funziona. L’ascolto empatico è uno stru-

mento per aiutarci nello spazio di comprensione. Comprendere non è essere d’accordo.

Essere d’accordo o sostenere le stesse opinioni degli altri è chiamato simpatia ma non è

empatia: l’empatia non è essere d’accordo con le persone, ma comprenderle, dare loro

sostegno psicologico, farle sentire sicure cosicché possiamo comunicare. In quel senso

la simpatia può intrappolarci in una relazione “perdo-vinco” che non consente nessuna

alternativa. L’empatia invece nutre le alternative comunicative. L’ascolto empatico è il

più alto dei livelli di ascolto.

I cinque livelli di ascolto sono:

Ascolto empatico: ascoltiamo con le orecchie, gli occhi e il cuore, muovendoci sotto

la superficie del significato verso emozioni e problemi che accadono veramente.

Ascolto attento. ascoltiamo tutto ma solo con le orecchie, non considerando i pro-

blemi più profondi.

Ascolto selettivo: ascoltiamo alcune cose e ignoriamo le altre.

Ascolto finto (non vero): riconosciamo l’altra persona e ci atteggiamo come se stes-

simo ascoltando, ma la nostra attenzione è da tutt’altra parte.

Ignorare: non facciamo attenzione alle altre persone o a quello che stanno dicendo.

3.2 Sviluppare l’ascolto empatico

L’ascolto empatico combina diverse capacità, compreso catturare le sensazioni da

segnali non-verbali ed enunciando risposte chiave e di sostegno. Queste abilità di ascol-

to empatico hanno bisogno di pratica. Solitamente le persone imparano l’ascolto empa-

tico attraverso cinque stadi:

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� Mimare il contenuto della comunicazione. In questo stadio noi ripetiamo sempli-

cemente quello che è detto (solo parole non sensazioni).

� Restituire il contenuto. Ora mettiamo il loro significato nelle nostre proprie pa-

role. Questo prende molto più pensiero che al punto 1, ma crea anche più consa-

pevolezza.

� Riflettere le sensazioni. Qui osserviamo più profondamente e iniziamo a cattura-

re le sensazioni.

� Ripetere il contenuto e riflettere sensazioni. Esprimere parole e sensazioni. ( pun-

ti 2 e 3 insieme)

� Imparare quando non riflettere. Cioè distinguere quando è necessario e quando

no.

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Glossario

Esperienza soggettiva: rappresentazione personale della realtà che ogni persona si

crea ed in base ad essa attribuisce un significato agli avvenimenti del mondo esterno, e

valuta quali siano le scelte possibili e consigliabili.

Sistemi di rappresentazione sensoriale: sono processi sensoriali che danno origine

e regolano il comportamento.

Visivo: è una persona sensibile alla sfera visiva dell’esperienza

Auditivo : è una persona sensibile alla sfera auditiva e linguistica dell’esperienza

Cinestesico: è una persona sensibile alle sensazioni che prova in certi momenti

Empatia: è la capacità degli esseri umani di immedesimarsi nel vissuto emotivo

dell’altro.

Sincronizzazione: sintonizzare il proprio comportamento verbale e non verbale con

quello dell’altra persona.

Rispecchiamento: riprodurre simultaneamente il comportamento verbale e non ver-

bale di un'altra persona.

Ricalco: rispecchiamento diretto. Significa andare incontro all’altra persona nel pun-

to in cui lui o lei si trova, riflettendo quello che lui o lei sa o presuppone sia vero, o ac-

cordarsi ad alcune parti dell’esperienza che lui o lei sta vivendo.

Matching: rispecchiamento verbale.

Predicati verbali: parole appartenenti ad un determinato sistema di rappresentazione

sensoriale.

Rappresentazioni sensoriali: sono le basi dell'esperienza soggettiva. È attraverso la

percezione sensoriale che noi costruiamo la nostra esperienza, associando alle sensazio-

ni un particolare significato.

Fisiologia del comportamento: segnali non verbali che vengono definiti analogici.

Calibrazione: processo di rispecchiamento che comprende due momenti distinti:

l’osservazione e l’ascolto delle persone con le quali ci si trova in relazione.

Strategia: la sequenza ordinata di sistemi rappresentazionali che generano un com-

portamento. Ciascuno di noi mette in atto una serie di strategie: alcune ci conducono

all’obiettivo mentre altre portano al fallimento: il segreto sta nel saper utilizzare di volta

in volta le strategie più efficaci. È possibile rendere esplicite le strategie, modificarle o

apprenderle per conseguire degli obiettivi.

25

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