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1 L’Immaginario Giornalino de L’ALBA associazione - Gruppi di autoaiuto e riabilitazione psichiatrica S ommario Non c’è salute senza... di Diana Gallo Pag. 1 Quel filo reciso di M. V. Lorenzi Bellani pag. 1 Verita’, rivelazioni e simbolismo in arteterapia di Eugenio Sanna pag. 2 Piani di Salute Integrati: quali servizi per la salute mentale di Roberto Pardini pag. 3 “Facilitatore Sociale”, parere personale di Luigi Marotta pag. 3 La muica all’Associazione di Angelo Russo pag. 4 Esprimersi con la scrittura Autori vari pag. 6 Vibrazioni di una materia in divenire di Ilario Luperini pag. 12 Non c’è salute senza... di Diana Gallo presidente L’ALBA Associazione “Non c’è salute senza salute mentale”: questo lo slogan del convegno Piani di Salute Integrati: Quali Servizi per la Salute Mentale Associazio- ni, Regione Toscana, Aziende Usl, enti locali a confronto organizzato dal Coordinamento Re- gionale Associazioni per la Salute Mentale il 15 Novembre 2005 a Firenze presso l’Auditorium della Banca Toscana. La Presidente del Coordinamento Gemma Del Car- lo ci ha chiesto di partecipare come Associazione “ L’Alba” e così Roberto Pardini è stato chiamato a condurre la parte del pomeriggio aprendo con una sua relazione. Hanno inoltre partecipato Angelo Russo, Luigi Marotta e Katia Buffoni con un con- tributo scritto rispetto alla loro esperienza di corso per facilitatori sociali e con un intervento. Un con- vegno che ha visto la partecipazione di oltre 400 persone, numerosissimi gli interventi e accesa e vivace la partecipazione. E’ stato anche proiettato lo spot sui Facilitatori Sociali realizzato dal lavoro di collaborazione tra esperti video e faci- litatori sociali. A me era stato chiesto di produrre un documen- to e una presentazio- ne come associazione sullo stato dell’arte a Pisa, cosa si è fatto, cosa è ancora da fare, come sono i rapporti con i Servizi e le isti- tuzioni, quale rete si è riusciti ad attivare. Non dico che la richie- sta fosse semplice e sintetizzare la com- plessità in poche sli- des non era affatto un compito da poco. Ero combattuta tra il desiderio di essere esaustiva, ma di dire molto e in maniera analitica e il desiderio di essere sintetica ed efficace, ma necessariamente tagliare qualcosa. Il fattore tempo ha prevalso e l’intervento è stato fatto. Ho raggiunto un giusto compromesso, un documento più analitico e dettagliato da conse- gnare in cartella ai partecipanti al convegno ed una presentazione più sintetica con slide che ponevano l’attenzione al percorso de L’Alba a Pisa in maniera generale dalla nascita ad oggi. Un convegno interessante che meritava di essere organizzato in più giornate data la numerosa par- tecipazione e interesse di tutti i partecipanti, non tutti hanno potuto esprimersi e questo è un pec- cato anche se pone il problema della scelta degli interventi e della scansione dei tempi come punto debole su cui fare autocrita per il futuro. Se penso che siamo quasi alla fine del 2005 e che questo articolo uscirà nel secondo numero de “L’immaginario” in occasione del 5 Dicembre 2005, giornata... www.lalbassociazione.com [email protected] tel. 050 970097 fax 050 506897 arci nuova associazione PISA Quel filo reciso di Maria Velia Lorenzi Bellani scrittrice e arte-terapeuta Mi è stato chiesto cosa rappresentino per me le parole “malattia”, “salute”, “cura”, “normali- tà”. Sono anni, ormai, che cerco di accostarmi alla loro verità e credo che, per rispondere in maniera appena appena onesta, più che pen- sare, sia necessario “sentire”. Ma l’occasione di farlo in maniera semplice, mi è venuta dalla nascita della prima nipotina. Non perché sia rincitrullita nel diventare nonna, ma perché questo evento mi ha riportato, questa volta non da protagonista ma da spettatore, in mez- zo alla gestazione e alla neonatalità. Fuori dal- la sala travaglio, ho riascoltato gli ultimi gridi delle partorienti, il primo vagito dei neonati, ho provato il sollievo grandioso di sapere l’uno e l’altro incolumi. E, dopo un po’, è arrivata una di quelle folgorazioni dell’ovvio che carat- terizzano l’umanità: ricerchiamo per tutta la vita il calore che ci ha generato e da cui siamo stati strappati per vivere. Nascendo, è finita la sicurezza della protezione, è cominciata la lotta contro il pericolo. Guardate quanto un neonato chieda sicurezza di continuo, quanto si spaventi se non è toccato quando è sve- glio, se non è consolato quando piange. “Ma dove sono capitato” pare esprimere a volte, “Hei, qui attorno c’è chi mi ama? Posso andar sicuro?”. L’istinto e la paura primordiali, si af- fievoliscono con il passar del tempo se l’amore c’è, scavano ferite indelebili, se non c’è o c’è in maniera sbagliata. Detto questo, il resto dovrebbe venire da se. Mens sana in corpore sano è conosciuto e, sia che si intenda che lo spirito rimane integro solo in un corpo sano, sia che dall’equilibrio di detto spirito dipenda la salute corpo, non cambia: siamo un tutt’uno fra materia e spirito. La medicina, in passato lo considerava e, fra i suoi studi, aveva anche la filosofia. Oggi, per fortuna, tanta spescializ- zazione e tante... “Progetto mare costa e dintorni” - Vacanze autogestite dagli utenti (segue a pag. 14) (segue a pag. 16)

L’Immaginario - lalbassociazione.com · arteterapia di Eugenio Sanna pag. 2 Piani di Salute Integrati: quali servizi per la salute mentale di Roberto Pardini pag. 3 “Facilitatore

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L’ Imma g i n a r i oGiornalino de L’ALBA associazione - Gruppi di autoaiuto e riabilitazione psichiatrica

Sommar ioNon c’è salute senza...di Diana GalloPag. 1

Quel fi lo recisodi M. V. Lorenzi Bellanipag. 1

Verita’, rivelazioni e simbolismo in arteterapiadi Eugenio Sanna pag. 2

Piani di Salute Integrati: quali servizi per la salute mentaledi Roberto Pardinipag. 3

“Facilitatore Sociale”, parere personale di Luigi Marottapag. 3

La muica all’Associazionedi Angelo Russopag. 4

Esprimersi con la scritturaAutori varipag. 6

Vibrazioni di una materia in diveniredi Ilario Luperinipag. 12

Non c’è salute senza...di Diana Gallo

presidente L’ALBA Associazione “Non c’è salute senza salute mentale”: questo lo slogan del convegno Piani di Salute Integrati: Quali Servizi per la Salute Mentale “Associazio-ni, Regione Toscana, Aziende Usl, enti locali a confronto organizzato dal Coordinamento Re-gionale Associazioni per la Salute Mentale il 15 Novembre 2005 a Firenze presso l’Auditorium della Banca Toscana.La Presidente del Coordinamento Gemma Del Car-lo ci ha chiesto di partecipare come Associazione “ L’Alba” e così Roberto Pardini è stato chiamato a condurre la parte del pomeriggio aprendo con una sua relazione. Hanno inoltre partecipato Angelo Russo, Luigi Marotta e Katia Buffoni con un con-tributo scritto rispetto alla loro esperienza di corso per facilitatori sociali e con un intervento. Un con-vegno che ha visto la partecipazione di oltre 400 persone, numerosissimi gli interventi e accesa e vivace la partecipazione. E’ stato anche proiettato lo spot sui Facilitatori Sociali realizzato dal lavoro di collaborazione tra esperti video e faci-litatori sociali. A me era stato chiesto di produrre un documen-to e una presentazio-ne come associazione sullo stato dell’arte a Pisa, cosa si è fatto, cosa è ancora da fare, come sono i rapporti con i Servizi e le isti-tuzioni, quale rete si è riusciti ad attivare.Non dico che la richie-sta fosse semplice e sintetizzare la com-plessità in poche sli-des non era affatto un compito da poco.Ero combattuta tra il desiderio di essere esaustiva, ma di dire molto e in maniera analitica e il desiderio di essere sintetica ed effi cace, ma necessariamente tagliare qualcosa. Il fattore tempo ha prevalso e l’intervento è stato fatto. Ho raggiunto un giusto compromesso, un documento più analitico e dettagliato da conse-gnare in cartella ai partecipanti al convegno ed una presentazione più sintetica con slide che ponevano l’attenzione al percorso de L’Alba a Pisa in maniera generale dalla nascita ad oggi.Un convegno interessante che meritava di essere organizzato in più giornate data la numerosa par-tecipazione e interesse di tutti i partecipanti, non tutti hanno potuto esprimersi e questo è un pec-cato anche se pone il problema della scelta degli interventi e della scansione dei tempi come punto debole su cui fare autocrita per il futuro.Se penso che siamo quasi alla fi ne del 2005 e che questo articolo uscirà nel secondo numero de “L’immaginario” in occasione del 5 Dicembre 2005, giornata...

[email protected]

tel. 050 970097fax 050 506897

arcinuova associazione

PISA

Quel fi lo recisodi Maria Velia Lorenzi Bellani

scrittrice e arte-terapeuta

Mi è stato chiesto cosa rappresentino per me le parole “malattia”, “salute”, “cura”, “normali-tà”. Sono anni, ormai, che cerco di accostarmi alla loro verità e credo che, per rispondere in maniera appena appena onesta, più che pen-sare, sia necessario “sentire”. Ma l’occasione di farlo in maniera semplice, mi è venuta dalla nascita della prima nipotina. Non perché sia rincitrullita nel diventare nonna, ma perché questo evento mi ha riportato, questa volta non da protagonista ma da spettatore, in mez-zo alla gestazione e alla neonatalità. Fuori dal-la sala travaglio, ho riascoltato gli ultimi gridi delle partorienti, il primo vagito dei neonati, ho provato il sollievo grandioso di sapere l’uno e l’altro incolumi. E, dopo un po’, è arrivata una di quelle folgorazioni dell’ovvio che carat-terizzano l’umanità: ricerchiamo per tutta la vita il calore che ci ha generato e da cui siamo stati strappati per vivere. Nascendo, è fi nita la sicurezza della protezione, è cominciata la

lotta contro il pericolo. Guardate quanto un neonato chieda sicurezza di continuo, quanto si spaventi se non è toccato quando è sve-glio, se non è consolato quando piange. “Ma dove sono capitato” pare esprimere a volte, “Hei, qui attorno c’è chi mi ama? Posso andar sicuro?”. L’istinto e la paura primordiali, si af-fi evoliscono con il passar del tempo se l’amore c’è, scavano ferite indelebili, se non c’è o c’è in maniera sbagliata. Detto questo, il resto dovrebbe venire da se. Mens sana in corpore sano è conosciuto e, sia che si intenda che lo spirito rimane integro solo in un corpo sano, sia che dall’equilibrio di detto spirito dipenda la salute corpo, non cambia: siamo un tutt’uno fra materia e spirito. La medicina, in passato lo considerava e, fra i suoi studi, aveva anche la fi losofi a. Oggi, per fortuna, tanta spescializ-zazione e tante...

“Progetto mare costa e dintorni” - Vacanze autogestite dagli utenti

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Nell’antichità, la persona che oggi potrebbe essere defi nita come mentalmente priva di equilibrio o in altri termini più estremi, il matto, il folle, perchè magari portatrice di stati allucinatori esterni, oppure uditrice di voci, o tutte e due le ipotesi, veniva spesso tenuta in gran considerazione e rispetto, essendo reputata come recante il messaggio divino o in ogni caso, un messaggio profetico che veniva rivelato a tutti coloro che vi entrassero in contatto.

Le “voci” parlavano infatti per mezzo della sua bocca e si rivelavano alle sue orecchie, come gli occhi erano partecipi di visioni alle volte catastrofi che: tutto quanto racchiuso nel-la mantica, ossia l’arte della divinazione praticata da coloro che erano presi e conquistati dalla divina mania.

A quei tempi in cui non erano certo ancora in vigore gli odierni studi della psichiatria, tali manifestazioni erano ascoltate con dignità e rispetto, perchè magari potevano contenere, all’interno di un linguaggio spesso oscuro, in-comprensibile, simbolico, delle verità che venivano rivelate agli altri. Cioè, in mezzo al torrente tumultuoso ed arcano, a tratti impetuoso, di parole visionarie, parole che a volte sembravano addirittura come provenienti da altre entità, come se molte personalità avessero preso possesso del cor-po del visionario, coloro che ne ascoltavano quei messaggi, non potevano fare a meno di percepire che il contenuto di quei discorsi risuonava in maniera inconsueta dentro di loro, mettendoli in grado di poter dare una risposta al senso delle domande da cui erano stati mossi, o per lo meno di entrare più in contatto con il loro inconscio individuale.

Quando il dottor D.P. Schreber, presidente della Corte d’Ap-pello di Dresda, fi glio di un educatore dalle idee ferocemente rigide, ebbe all’età di 51, anni nel 1893, una grave crisi nervosa e per questo venne internato nella clinica psichiatrica di Lipsia, scrisse in quel periodo, il suo “Memorie”, con il quale voleva tra l’altro dimostrare di non essere pazzo. Incredibilmente ci riuscì, riuscendo in tal maniera ad evitare la sentenza di inter-dizione. Sulle “Memorie” e sul resoconto di quei deliri narrati con sconcertante lucidità, fu scritta moltissima letteratura e se ne scrive tutt’ora. Soprattutto è opinione generale che questo testo costituisce molto di più della semplice cronaca di un de-lirio. Secondo il giudizio di molti, Schreber merita di avere un suo posto fra i grandi mistici illuminati e i fi losofi .

Tra gli altri, a recepire il messaggio contenuto nelle “Me-morie”, fu Elias Canetti che dedicò addirittura due capitoli al Dottor Schreber nel 1949, su “Massa e Potere”. Freud aveva liquidato seccamente questo caso come la manifestazione tipica della paranoia, con delle diramazioni verso l’omosessualità, Canetti legge invece in Schreber, la riconferma delle sue ipotesi: l’in-dissolubile connessione fra potere e paranoia, vedendone acutamen-te, in anticipo ai tempi, le radici collettive e ar-chetipiche, cogliendo lo Zeitgeist che aleggiava in quel periodo.

Ma tra i visionari, non bisognerebbe neanche tacere di Adolf Wölfl i, svizzero (1864-1930), artista dai mille volti, considerato schizofre-nico e che creò la sua opera durante i 35 anni di internamento nella clinica psichiatrica di Waldau, vicino a Berna, le cui opere sono oggi

raccolte per la maggior parte al Kunst Museum di questa cit-tà. Wölfl i era anche un naturalista, poeta, scrittore, musicista, compositore. Ciò che colpisce di lui e affascina è la ricchezza e l’ampiezza della sua espressione pittorica, poetica e musi-cale: più di 20.000 pagine di testi a carattere epico, poemi, composizioni musicali e più di 3000 illustrazioni e collages. Ma potremmo aggiungerne molti altri: artisti, visionari, mistici. J. August Strindberg (1849-1912), di cui è possibile leggere “Memoriale di un folle”; le opere del pittore Jackson Pollock (1912-1956) anche fautore della “Action painting”; il santo svizzero Niklaus von Flüe (1412), che rinchiusosi in isolamen-to in una grotta, lì ebbe una visione di Dio così terrifi cante, che fu costretto a dipingere per tentare di raccontarla agli al-tri e spiegarla.Il danzatore russo Vaslav Nijinsky (1888-1950) durante i suoi altissimi salti affermava di potersi incontrare con Dio. Nel suo diario scrive: “la natura è Dio e io sono la natura; nessun artista può ingannare la natura”.

Cio’ che accomuna questi casi illustri citati è l’esigenza, l’impulso di rendere gli altri partecipi di una propria verità in-teriore e quindi la sensazione che questa verità possa avere una portata collettiva. In ogni rivelazione vi è sempre infatti un soggetto a cui fare riferimento.

Nelle culture sciamaniche di molti popoli, l’aspirante-sciama-no spesso riceve in sogno la chiamata alla propria vocazione. Allora l’adepto si reca dallo stregone che nella base del raccon-to del sogno gli rivelerà i mezzi, i tempi e i luoghi per la sua iniziazione.

Per gli indiani d’America questa iniziazione sovente consiste-va nel ritirarsi in una grotta, al buio e in condizioni estreme di privazione, fi no all’incontro con il proprio animale totemico, spesso il lupo bianco, realizzando ciò che per loro era Mana.

Anche nell’arteterapia è possibile rintracciare delle rivelazio-ni di verità interiori fortemente cariche di energia simbolica e collettiva. D’altronde la psiche umana ha una funzione sim-bolizzatrice. Come C.G. Jung scrive a proposito del simbolo: “...il simbolo nella sua essenza rappresenta in sè e per sè uno stato di fatto non comprensibile dall’intelletto, ma al cui signi-fi cato si può accedere solo mediante l’intuizione...”.

Il simbolo dunque è patrimonio di molti. Questa energia simbolica si manifesta anche nel laboratorio di musicote-rapia. Durante un incontro di anni fa, uno dei partecipanti sovente soggetto a visioni, mi aveva riferito come nel corso di un pezzo in cui stava usando il triangolo, uno strumento dal suono molto acuto, stridulo e metallico, di vedere in un angolo della stanza qualcosa. Fermando quell’esercizio

sonoro, gli avevo do-mandato che cosa ve-desse esattamente. Mi ha risposto in maniera molto emozionata, di aver visto Dio e mi indicava con il dito un punto preciso accanto al tavolo. Guardando in quella direzione, avevo potuto notare come sul pavimento della stanza adibita a laboratorio, vi fosse il rifl esso dell’arcobale-no. Il sole in quell’ora pomeridiana, fi ltrato e scomposto da una por-ta scorrevole avente dei pannelli trasparenti di plexiglass come ve-tri, aveva dato adito ad una scomposizione della luce solare.

Nella Cabala ebraica, la divinità è appunto

Verita’, rivelazioni e simbolismo in arteterapia: Deus vocatus atque non vocatus, aderit.

di Eugenio Sannamusicista e arte-teraputa

sonoro, gli avevo do-mandato che cosa ve-desse esattamente. Mi ha risposto in maniera molto emozionata, di aver visto Dio e mi indicava con il dito un punto preciso accanto al tavolo. Guardando in quella direzione, avevo potuto notare come sul pavimento della stanza adibita a laboratorio, vi fosse il rifl esso dell’arcobale-no. Il sole in quell’ora pomeridiana, fi ltrato e scomposto da una por-ta scorrevole avente dei pannelli trasparenti di plexiglass come ve-tri, aveva dato adito ad una scomposizione della luce solare.

“Progetto mare costa e dintorni” - Gita sull’Arno

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rappresentata simbolicamente dai colori. Da Dio vengono emanate le dieci Sefiroth che sono sfere delle luci divine. Queste dieci potenze originarie non si possono comprendere mediante riflessioni intellettuali, quanto attraverso la medita-zione e un’attività intuitiva. Come Gershom Scholem dice nel suo saggio “I colori e la loro simbologia nella tradizione e nella mistica ebraica”: “l’armonia dei colori dell’arcobaleno si riferi-sce a volte alla concentrazione e alla riunione delle forze attive e generatrici nelle Sefiroth”.

Sotto il profilo terapeutico, è sempre consigliabile seguire fedelmente la traccia di un immagine, di un suono o di una visione, magari ampliandone il significato.

E’ segno allora che il suono ha assolto la sua funzione te-leologica, andando in direzione dell’immagine, facendo spe-rimentare al soggetto esperente uno stato di fusione totale e indifferenziata, assolvendo così quella funzione simbolica che è propria della psiche umana.

Sono contento della sempre maggiore presenza partecipati-va di utenti, familiari, cittadini: questo dimostra che la strada della informazione e della conoscenza della salute mentale, della cultura dell’auto-aiuto, della partecipazione attiva è quella giusta. Abbiamo bisogno di una società che accoglie, per vincere lo stigma e quindi la solitudine e l’esclusione so-ciale, che sono tra i nostri più pericolosi nemici. Vedo con piacere che qualcosa stà cam-biando: Regione, Enti Locali, SdS, Aziende USL e Servizi Territoriali più presenti, cioè più attenzione più responsabilità e più consape-volezza. E ormai tutti sono con-vinti che i farmaci, da soli, non risolvono, si parla di progetti indi-viduali personalizzati, di adeguate risorse personali e strutturali, di inclusione territoriale etc.. “C’e’ tanto da fare, e speriamo che ci sia la volontà di farlo”.

Voglio dire che molte, forse troppe, persone si nascondono, si auto-escludono, vivono un ritiro sociale negli angoli più bui e na-scosti: SOLI. Perché lo stigma e l’autostigma sono sempre molto forti, non si sentono accolti, non si sentono adeguati. Noi abbiamo capito che per chi vuole tentare di riappropriarsi della propria autonomia, essere protagonista, contrastare il destino – delega e vivere con dignità la malattia, sono necessarie: - relazioni significative – reddito – lavoro – impegno – soluzioni abita-tive – credibilità – investimenti. Così è possibile ARRIVARE A GRANDI RISULTATI DI INCLUSIONE SOCIALE. Alcuni per-corsi e progetti lo dimostrano. Il progetto “Mare – Costa”, Il

“ Facilitatore Sociale”, “ La Rete Regionale degli Utenti della Salute Mentale”, centri di Socializzazione come il “Circolino” che tra poco sarà una realtà a Pisa… e ne ho sentiti dire molti altri: tutte iniziative che devono essere sostenute e incoraggiate per essere con gli altri tra gli altri. Noi dobbia-mo essere presenti, come oggi, dobbiamo farci sentire, con forza, senza timore e con coraggio denunciare le nostre pro-

blematiche e i nostri bisogni, suggerire iniziative, percorsi, progetti. E’ importante che la Società Scientifica, Istituzioni, Servizi, Associazioni di Utenti, Familiari si parlino affinché il processo Medico Scientifico, Nuove tecniche di sostegno, di riabilitazione, nuove figure professionali, risorse e bisogni si possano conoscere bene per interagire, perchè la Salute Mentale sia curata e protetta in modo appropriato e le ri-sorse siano adeguatamente e completamente utilizzate, ma-gari raggiungendo la massima integrazione Socio – Sanitaria. Le risorse non sono finite, E’ vero, però, se per garantire sa-lute mentale fosse necessario ripensarle, dobbiamo avere il coraggio di ripensarle.

Per concludere: sento di dire che molto si lavora, si studia,

si investe per realizzare nuovi farmaci, e noi siamo grati e ci auguriamo che siano sempre più utili e meno dannosi, ma ci auguriamo anche che si parli sempre di più di sociale. Per fare e per proteggere la Salute Mentale è necessario raggiungere la massima integrazione Socio-Sanitaria.

Piani di Salute Integrati: Quali Servizi per la Salute Mentaledi Roberto Pardini

Relazione Introduttiva per “Associazione, Regione, Aziende USL, Enti Locali a confronto”15 Novembre 2005, Firenze.

Nell’ambito sociale della salute mentale è cambiato qualco-sa. Dopo la nascita di varie associazioni, del Coordinamento Toscano e della Rete Regionale, gli utenti e le famiglie stesse hanno incominciato a sentire il bisogno di una figura che completasse l’equipe di tutte le figure professionali presenti nell’ambito della salute mentale. Gli utenti ed i familiari stessi avevano bisogno di qualcuno che aiutasse a livello umano e sociale la persona con disagio psichico durante la sua “vita quotidiana”.

Proprio così, durante la vita quotidiana, perché no? In fondo uno dei problemi che le persone utenti hanno è quello di svol-gere da soli le cose di tutti i giorni ed anche le piccole passioni o hobby semplici da praticare. Ad esempio una delle difficoltà di queste persone è quella di uscire per andare a fare la spesa

perché hanno paura di incombere in attacchi di panico, oppu-re non riescono ad andare a vedere una partita di calcio o a prendere un caffè al bar perché hanno paura di essere presi in giro, o addirittura non escono di casa perché tanto fuori non hanno nessuno con cui parlare, fino a sentirsi escluse.

Nasce appunto da questo bisogno, la figura del Facilitatore Sociale che, in “punta di piedi”, si avvicina al disagiato psi-chico, fa conoscenza con lui, cerca di instaurarci un rapporto amicale per poi dopo preoccuparsi “di accompagnarlo per mano” dentro la società (spesso e volentieri molto ostica). Instaura in sostanza quel rapporto amicale di livello paritario che gli permette davvero a livello sociale, dove è possibile, di facilitare il disagiato nelle cose di tutti i giorni.

Tutto questo è possibile perché il facilitatore è un utente riabi-

“Facilitatore Sociale”, parere personale di Luigi Marotta

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Frequento quest’associazione da un anno, da quando ho iniziato a partecipare ai gruppi di self-help. Devo dire che all’inizio ero un po’ in difficoltà, preso da tutto quello che ricordavo indietro negli anni. Non mi potevo immaginare quello che sarebbe successo di lì a poco. Ho trovato persone splendide che mi hanno aiutato a superare il passato e a guardare in avanti. Rivivo con nostalgia i primi laboratori musicoterapici con Eugenio Sanna, persona in gamba, che lavora sempre con entusiasmo e passione. Ho avuto nel tempo la possibilità di diventare suo amico e quest’idea si è consolidata. La mia partecipazione al laboratorio è cam-biata col passare dei mesi, infatti da partecipante silenzioso e quasi assente ho adesso un ruolo attivo e in continua evoluzione. Sono in relazione con gli altri: mi diverto ad ascoltare il loro mondo musicale. Ognuno di noi ha a dispo-sizione strumenti per esprimersi con la musica. Si eseguono esercizi di ascolto e di terapia di gruppo. Uno dei motivi per cui lo trovo costruttivo è che probabilmente con i suoni si esprime una parte molto bassa del nostro io, e con questo si può entrare in contatto con le nostre emozioni più recondi-te, più naturali, più istintive. Si passa ad uno stato di estasi dettato dai suoni che spontaneamente scegliamo tra le varie possibilità che ci offre Eugenio. Oltre il laboratorio di musi-coterapia, che si svolge per la durata di due ore settimanali,

ho trovato molto interessante il gruppo di ascolto musicale, di cui da poco svolgo un ruolo di conduttore insieme ad altri due ragazzi che come me amano la musica. Sono Leonardo e Giuseppe, che puntualmente si trovano con tanto di stereo e cd. Ascoltiamo i brani che molto cortesemente vengono portati e di seguito facciamo un giro di impressioni sul lavoro svolto dagli artisti. La partecipazione degli utenti è sempre piacevole e si prospettano incontri sempre più numerosi. Ognuno di noi è assistito nel proporre il suo brano e si può capire che questo è un momento di condivisione importante, poiché le emozioni che vengono espresse nell’ascolto sono molto personali e il confronto non può che aiutare ad aprire le proprie porte della mente ad altri pareri, concordi o discor-di che siano. Per chi ha difficoltà a esporre una sua scelta, c’è chi ti aiuta a superare i timori, infatti i partecipanti sono accompagnati dalla buona accoglienza che ciascuno riceve all’interno del gruppo e dell’associazione in genere. Sono sicuramente dei modi che aiutano il percorso riabilititavo di un individuo, ne abbracciano le predisposizioni, musicali in questi due casi, e ne incoraggiano l’interesse quando non è presente. Mi piacerebbe che ci fosse un momento di socialità nelle giornate di tutti i pazienti, come succede all’associazio-ne “L’Alba”, come mi auguro che sia anche in altri luoghi.

La musica all’Associazionedi Angelo Russo

litato e può capire meglio e sotto un altro punto di vista i proble-mi della persona che sta male.

Quest’anno a Pisa sta terminando il terzo corso di “Facili-tatore Sociale per il disagio psichico”, ed io sono uno dei 16 corsisti. Durante alcune lezioni teoriche di questo corso e ascoltando l’esperienza di due facilitatori sociali, ho capito una cosa molto importante: la bellezza di questa professione è il ritorno del valore umano. Infatti il facilitatore riesce a far

emergere quei valori della persona molto nascosti che un tempo venivano sottovalutati. Ho capito quindi che facilitare vuol dire valorizzare le risorse umane positive dell’utente. La caratteristica fondamentale che un facilitatore sociale deve avere è proprio questa.

Spero in un futuro in cui questa figura diventerà professio-nale, perché ce n’è davvero molto bisogno.

Conosco l’alba da pochi mesi. Da subito ho iniziato a segui-re il laboratorio onirico. I partecipanti si siedono in cerchio e spontaneamente chi lo desidera “offre” sogno al gruppo. Cioè una persona racconta il suo sogno, descrivendo lo stato d’animo al risveglio, e gli altri a turno parlano come se fos-sero stati loro a sognarlo.Ogni immagine offerta dal sogno viene declinata nel conte-sto di vita di tutti. Parlare del sogno di un’ altro come se si fosse sognato noi ci permette di guardare le immagini oni-riche, traduzioni enigmatiche delle paure e delle fragilità dei desideri delle persone, indossandole a nostra volta.Questo linguaggio passa spesso attraverso il simbolo forte-mente evocativo. Iniziando a guardare gli oggetti e gli scenari descritti da chi li ha realmente sognati, ci muoviamo al loro interno seguendone di nuovi, come se quel sogno fosse stato anche dentro di noi, da qualche parte. Si cerca di dare una lettura dei misteriosi elementi che nella vita del sognatore effettivo hanno avuto una certa valenza, per carpirne i segreti e rivelarne i misteri. In questo c’e’ la cura e l’attenzione verso chi ha sognato “ per primo” e chi prende in prestito il sogno cerca di rassicurare, di dare speranza, coraggio al sognatore e a volte anche a se stesso attraverso il linguaggio più vivido che si possa pensare ed attraverso le immagini. Durante il laboratorio i partecipanti sembrano sospesi in uno spazio che non appartiene completamente alla realtà, per sognare è necessario che la persona dorma, solo se c’e’ questa condizione che appartiene all’ inconscio può tentare di emergere nella propria coscienza.Dunque tentare di entrare nel sogno di qualcuno e farlo nostro nello stato di veglia appare come qualcosa di difficile attuabilità. Eppure, forse per la natura del linguaggio e del materiale utilizzato, per via dell’ esercizio a raffigurarsi del-le immagini e per via della fortissima carica di energia che si genera nel sit-in altamente evocativo di queste ultime. Eppure per tutte queste ragioni e mille altre ancora, miste-riose e più o meno silenti, le due ore del laboratorio onirico sembrano in qualche modo vicini al mondo dei sogni in cui le difese si allentano e la realtà non è così marcatamente

distinta dal sogno.Una dimensione che forse si avvicina al sogno lucido, in cui il dormiente è in qualche modo vigile e protagonista attivo.Quando si parla del sogno si è contemporaneamente proiet-tati verso noi stessi e verso l’altro, rivolgendo le nostre con-siderazioni ad entrambi: “Se il sogno fosse mio” partendo dal presupposto che l’hai sognato tu, e che continuerai ad avvertire in tutti i partecipanti “se il sogno fosse mio” una risposta ed una spiegazione, un’ indizio che ti faccia capire. E mentre si crea questo indizio si scopre che più o meno tutti stanno avendo qualcosa. Ognuno troverà o cercherà qualcosa di diverso ma si cerca tutti nello stesso posto, nel sotterraneo del sogno.

La mia esperienza nel laboratorio oniricodi Nicoletta Raffo

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Che si deve dire di quanto si è detto e ancora bisogne-rebbe dire? Certo non si dirà mai tutto, ma li è che intanto bisogna lodare la bontà e l’efficacia del servizio toscano, che tra l’altro sta facendo uno sforzo enorme nel venire incon-tro alle varie esigenze di noi utenti- persone. Diciamo così perché bisogna partire proprio da qui per migliorare ancora e sempre di più il servizio: in quanto l’utente non oggetto ma soggetto persona ha diritto alla pari di ogni cittadino italiano e di ogni disagiato fisico allo svolgimento di una vita di benessere e di tranquillità, ma ha bisogno anche di altre cose. Solo i diritti e le fruizioni economiche, che vanno dalla esigenza di una casa all’esigenza di un lavoro possono dire tanto ma non tutto. Molti di noi tuttora si trovano a combattere un quotidiano difficile a gestirsi. Ma ci pensiamo sopra 1000 volte che una pensione di invalidità, quella che si prende sotto il 100% senza accompagnatura è una pen-sione da miseria? Con i tempi di oggi poi, in un attimo solo è già finita per chi deve pagarsi anche una bolletta sola. I vizi bisogna calcolarseli un mese prima e per sigarette, e per oggetti che ci piace comprare ma che fanno parte anche del-le nostre utilità, e per esigenze varie. Sì, si dirà: meglio che niente! Un corno, meglio che niente! I costi delle cose, negli ultimi tempi, sono raddoppiati e triplicati, dalle sigarette alle marche da bollo, e certo non si può stare sempre a piangere sul latte versato. Bisogna agire e reagire nello stesso tem-po, ma certo non possiamo permettere che se la prendano con calma soprattutto loro di un governo che pensa solo a tagli…e i tagli cominciarono, a partire a mia memoria dal 1973. I tagli si sono sempre abbattuti su Sanità e Pensioni e servizi sociali, invece che sugli stipendi e pensioni d’oro dei deputati di Senato e Camera. Uno spruzzo di tagli per le cosiddette auto blu, poi a rimetterci è stato sempre il so-ciale. Non solo: chi prende quella miseria di prima può solo prendere un sussidio o una borsa lavoro, per fortuna, perché questo non fa reddito. Tutto ciò che fa reddito, compresa una pensione minima viene tolto. È successo così anche a me…e poi? Quando si invecchia davvero andremo? Ancora avanti così, dal momento che se non potremo svolgere una borsa lavoro ci toccherà massimo un sussidio? Speriamo allora di non invecchiare mai…non solo, e scusate se ancora non basta, i soldi che si guadagnano per una borsa lavoro sono ancora pochi, e le ore ora sono rigidamente 80 e non si può sforare.

Per carità, nessuno si senta in colpa e nessuno si senta colpito in prima persona: sappiamo da dove vengono que-sti limiti: dai tagli di finanziarie sempre presenti ogni anno, alla indifferenza che consiste nel parlare sempre degli stessi argomenti senza con ciò crederci… e chi ci crede più? Noi

siamo arrivati a parlare di cose che pure devono realizzarsi, e sono l’empowerement, la recovery, la lotta al pregiudizio. Ma la lotta al pregiudizio e il resto presuppongono anche e per lo meno una solidità sociale-. Il sociale non è solo una serie di teorie per eliminare la depressione e l’ansia e la solitudine e la non comunicazione. Il sociale è anche avere un tetto sicuro senza finire nelle ganasce di una so-cietà affittuaria arrivata a far pagare un milione e passa un appartamento, senza parlare poi delle spese di condominio. Io lodo chi, come l’assessore Alfio Baldi ha fatto qualcosa per l’emergenza casa, ed ora è in difficoltà perché non ha avuto l’appoggio di nessuno.Lodo la regione Toscana che finalmente ha scoraggiato la discriminazione verso i gay riguardo al lavoro, anche con multa pesante, lodo chi come il dottor Serrano finalmente prende posizione anche sui tos-sicodipendenti e sugli ex carcerati chiamandoli persone e in cambio ricevendo da certi suoi misteriosi avversari quasi una sfiducia, una diffida, un dire no a questo. Lodo e appro-vo verso noi persone la posizione di chiunque ci da o ci vuol dare una mano, ma resta da fare tanto, resta da riorganiz-zare la base economica di noi in modo più solido e senza troppe discussioni di routine, resta infine l’eliminazione del pregiudizio interno, un pregiudizio sempre presente, quindi insidioso e pericoloso. È il pregiudizio anche di chi gioca a

Realtà economica nuda e crudadi Pietro Di Vita

presidente Associazione Mediterraneo

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Esprimersi con la

ScritturaScogliera

Sono qui seduta su una scogliera, c’e’ molta gente in bikini. Sono qui, ma la mia mente è lontana, molto in profondi-tà. In lontananza vedo una nave, vorrei esserci sopra per allontanarmi da tutti questi ostacoli, pensieri che mi girano nella mente. Dentro di me sento un ca-lore molto forte. Mi sembra di vedere il fondo. Mi domando cosa nasconde. Si, forse ognuno di noi è come un mare: in superfi cie facciamo vedere quello che vogliamo, ma sotto, nella profondità del nostro essere, siamo come polpi che si attaccano a persone, a oggetti, ed è diffi cile staccarsi. Il mio sguardo si distrae un’ attimo e dietro di me vedo una pineta. Che colori: il verde che si mischia con l’azzurro. Chissà che colo-re può nascere da azzurro a verde! For-se.. ah, il giallo! Che meraviglia tutto questo cielo: inizia ad avere un colore rosso come il corallo, che sicuramente in mezzo a questa immensità ci sarà. Il sole si sta abbassando e qui tutto ini-zia a scurirsi, i massi iniziano ad avere altre forme, se rimani a guardarli fi ssa, ma la loro durezza non cambia. Le loro punte si mischiano fra loro. Adesso piano piano, ma con nostalgia, lascio

questa scogliera, e il mio cuore rimane qui, pensando che al di là di questo mare, per me un’ ostacolo, c’ e’ il mio tesoro, e in quel sole rosso, ormai andato giù, immagino gli occhi del mio bam-bino.

Ghelardini Eleonora

Rifl essioni sulla notte

La notte per me è un momento che tra-scorro da sola, a me dispiace. Tuttavia non di rado riesco a divertirmi. Tendo ad addormentarmi e prima che accada mi alzo ripetutamente e ricerco con pia-cere le cose belle per antonomasia tipo quelle di sentire la musica, guardare la televisione, mangiucchiare qualcosa, pensare. Quando fi nalmente riesco a prendere sonno dormo e sogno. I miei sogni sono tendenzialmente brutti.

Chiara

Il rispetto verso l’infanzia propria ed altrui di tutti tutte i bambini bambine neonati neonate è segno di intelligen-za propria negli adulti adulte segno di civiltà e sviluppo intellettivo ben acqui-sito che si prospetta nel tempo vissuto individualmente similmente come il cosiddetto rispetto dovuto agli anziani anziane ed ai lavoratori lavoratrici in specie.

Liana Serragoni

Un ricordo di Guerra

Siamo agli inizi degli anni ’30 in Italia. La situazione sembra felice, ma non è così nel cuore degli italiani. Siamo a Pisa in un quartiere periferico della cit-tà. Un bambino con i suoi coetanei, ma ha una passione: l’ Arno, dove i suoi genitori d’estate lo portano. Lui sul fi u-me si sente bene pesca con suo padre. D’estate fa anche il bagno. Ha imparato a nuotare, si diverte. Ma un giorno suo padre deve partire per la guerra, non vuole dire nulla a suo fi glio, ma al regi-me non ci si puo’ ribellare. Si imbarca al porto di Livorno con altri commilito-ni. Il bimbo chiede alla mamma perché il babbo non c’è. A volte si dispera, piange. Un giorno scappa di casa con la sua canna da pesca, si dirige verso l’Arno e decide di passare la giornata a pescare. Riesce a pescare un grande pesce, una carpa specchi. Il bimbo si fa quasi male per tirarla su. Quando torna a casa sua madre lo mette in castigo. Il tempo passa, purtroppo il bimbo spera sempre che suo padre torni a casa, ma accade perchè il regime si allea con Hitler e Hirohito. La situazione è grave. L’Italia entra in guerra, suo padre vie-ne riconfermato e parte per la Grecia. Il bimbo ora ha già quattordici anni, vorrebbe partire per stare con suo pa-dre. Fa la domanda presso il podestà di Pisa, ma il podestà conoscendo la famiglia non sa come fare. Sua madre piange. Il podestà alla fi ne accetta la domanda del ragazzo che parte per la Grecia. Sua madre piange disperata.In Grecia, quando sbarca, viene ac-colto nell’ esercito tedesco. Purtroppo i più giovani vengono messi in un plotone di tedeschi per essere allenati alla dura lotta: siamo nel 1942. Ver-so la fi ne dell’anno, il ragazzo data la sua virtù militaresca viene mandato in licenza premio. In Italia la situazione

non capire e a deridere e scomunicare chi ha e ha avuto gli stessi disagi suoi. È soprattutto un pregiudizio che limita o annulla la comunicazione, in questo caso quel qualcuno che già si sente diverso e fa una mossa sbagliata rischia di farsi scoprire. Chiarisco. La diversità che molte volte è un valore positivo e può portare anche ad esprimere dei valori positivi in fatto di attività, non solo viene nascosta ma fatta nascon-dere perché non va bene così, anzi è peccato, è male verso gli altri. Faccio l’esempio di un gay o di una che batte. Chi sa che queste persone sono così tende ad allontanarle non solo ma anche ad isolarle, e questo avviene anche per luridi mo-tivi di vergogna, superbia, distinzione della persona tra gen-te dei nostri stessi gruppi. Va- e concludo- eliminata questa abominevole piaga con una rieducazione delle persone al rispetto della diversità di chi gli sta accanto. L’ignoranza o la troppo fondamendalistica asserzione di regole religiose porta a non capire, non solo, ma anche ad escludere e a distruggere i valori di chi potrebbe dare qualcosa per aiutare questa nostra società.

Il sociale- e così concludo davvero – va applicato in ma-niera uguale verso tutti i diversi, perché ogni persona è un uomo. Noi dobbiamo sempre aiutare le persone a tirarsi su, e cercare di far sì che anche con i nostri sforzi possano riuscire a tirarsi su. Sarà una goccia nel mare a volte ma il nostro sforzo può darci anche una medaglia d’oro.

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non è delle più rosee: dal governo vie-ne deciso di lasciare truppe nell’ Italia del sud. Infatti nel ‘43 arriva lo sbarco degli americani e iniziano i bombarda-menti in Italia. Il ragazzo è a Pisa, alla fine di agosto è di servizio all’ aeropor-to militare. All’ improvviso vengono individuati degli aerei, che vengono dal mare dietro a fortezze volanti. All’ improvviso, un mare di bombe cade su Pisa. La città non esiste più. L’Arno subisce il bombardamento, i ponti non esistono più. Il ragazzo piange per la sua città. E capisce che il suo governo ha ingannato per anni il popolo intero. Lui ha intenzione di disertare. Non sa se suo padre sia vivo o morto, sua ma-dre si è salvata per miracolo. Lui decide di andare sui monti a lottare per libe-rare l’Italia dall’ egemonia del regime, per fare un’Italia libera e repubblicana. Suo padre purtroppo è in Russia sul Don; non sa se sopravviverà all’inver-no, che supera i quaranta sotto zero. I tedeschi con i mezzi riescono a ritirarsi, gli italiani invece patiscono l’inferno in terra. La famiglia non sa se si riunirà, alla fine della guerra.

Massimiliano Biagini

Lotta interiore e reale

Dentro una persona a volte si sente un urlo: un potere che vuole uscire fuoririesce a sopirlo a calmarlo. Una lotta interiore anche per le cose che ti circondano,non sai come affrontarle, o subisci sen-za recriminare,oppure ti ribelli a te stesso e agli altri.Nella società di oggi ci vuole diploma-zia, che a volte viene presacome falsità. Ma non è così .Se si vuol vivere con gli altri bisogna andare incontro alla personali-

tà di quelli a cui vuoi bene, senza disintegrare la tua, facendo co-munque quello che senti e che vuoi.Le passioni, a volte, le devi mettere da parte per star vicino alle persone che reputi giuste. Ma se le cose ci vengo-no imposte, allora in te si attiva una ribellione. Perché le cose imposte sono quelle che non potranno mai essere accettate.La persona, le cose a cui si sente por-tato, deve farle, perché le sente nel profondo.Ma non può imporle agli altri.

Massimiliano Biagini

Vinceremo

Insieme Vinceremocon le nostre forzeci aiuteremouniti nell’amoresempre!Uno sguardo di dolcezzauna carezzaun’ abbraccio sinceroafferriamo la nostra vitae ce la faremoNon saremo mai soliuna luce s’accende in noinei momenti più oscurici sarà qualcuno ad ascoltarci.Il nostro amorela nostra speranzanon ci lasceremo mai.Stringiamoci l’un l’altroI nostri occhi brilleranno di gioia amiche mieamici mieiQuesto messaggio per voii nostri cuori sono per voipieni e traboccantid’amorericordiamoci che maici abbandoneremoe sempre uniti saremo!

Simona Murtas

Depressione

A te depressioneho dato tutto:la mia animail mio cuorela mia etàle mie emozionila mia vita.Ho barattato con tela mia libertàla mia volontà.ora tu riesci a pilotarmi.Grazie a teso cosa vuol direessere agli arresti domiciliari.Grazie a tenon distinguo giorno e nottema le scambio.Non so cos’è più l’amiciziae su cosa si fonda.Mi fa paura uscirema trovo sicurezzafra le quattro mura di casa.Grazie per l’etàche su cui ti sei divertitae beffata di leitogliendomela per sempre.Grazie a teper il mio unico vestito:il pigiama.Che come uno smokingper un attore di Hollywoodrappresenta ormaila mia seconda pelle.Grazieper il mio migliore amico:il letto.Consolatore di lacrimesogni andaticreatività persae vita vissuta.A te depressionededico questoe molto altro.Senza te sarei stato…

Giacomo Flussi Cattani

La Vedova

Lettera a Babbo Natale

Caro Babbo Natale non mi riesce de tenè un marito, tutti me morano. Forse son un tantinello sfortunata.

Io non chiedo molto: un marito normale, alto, biondo, occhi azzurri, con un animo femminile e ricco, così che se

dovesse morì anco questo, vivrei nel lusso. Una tua sincera ammiratrice.

Lettera a Babbo Natale tre giorni dopo

Mi sonarono er campanaccio: erano le sette der pomeriggio e ci mancava poo a pranzo. Vado ad

aprire e ti vedo un ragazzo alto, biondo, occhi azzurri ed era pure ricco. Abbassai lo sguardo ed era in

minigonna e tacchi a spillo. Lo volevo con un’ animo femminile, ma qui si esagera!!!

Simone Saviozzi

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Alcune Rifl essioni Sulla Notte

Quando il giorno fi nisce c’è un’altra vita: la notte. Di notte la mente riposa, elabora tutti i pensieri dell’ inconscio, sognando. Chissà, se fossimo svegli quante cose accadrebbero di notte, come si vorrebbe vivere un sogno. Il sogno è come qualcosa che si vorrebbe raggiungere oppure qualcosa che non torna, accaduto durante il giorno. Eppure la nostra fantasia vola ed elabora fatti che accadono come se fosse giorno. Forse noi vorremmo, se sono belle, che queste cose si avverassero. E rimaniamo, appena svegli, col dubbio di che cosa è accaduto nel sogno. Il sogno è lo specchio del nostro io, della nostra personalità, qualcosa che ci fa vivere in un altro mondo e vedere cose che non abbiamo mai vissuto nè visto. Come sarebbe il mondo dei sognassimo di giorno? Forse sarebbe un caos o forse sarebbero cose fantastiche ma sempre cose che fanno parte di noi. Alcuni dicono che la notte porta consiglio, e lì si svelano tutti i segreti chiusi nel cassetto durante il giorno. A volte si pensa: cosa faremmo di notte se fossimo svegli? Come vivremmo senza bisogno del sonno? Sarebbe bello? Secondo me no perché amo molto dormire.

Gabriella Puglisi

Un’altra ma vera

Sono stata anche io “malata” ma non mi ci sentivo. Ho fatto degli errori non penando. Ho sofferto e ancora oggi quando ci penso

mi fa male. Ho conosciu-to l’associazione L’ALBA, e come un

“miracolo” sono rinata. Ho iniziato a vi-vere, a sentire emozione, a ridere. Ma chi è ricco dentro? Molte volte osservo il mondo, le persone si alzano, vanno a lavoro, dal parrucchiere, discoteca ma poi mai si fermano un’ attimo ad ascol-tarsi. Io mi sono fermata e ho ascoltato e sto ancora ascoltando, è come una lotta con una Eleonora “bambina”. E’ più facile scappare e fi ngersi “sani”. Ma io mi sento fortunata di aver toccato il fondo. Adesso ogni giorno come una “bambina grande” sento cose nuove che non so come chiamarle e sto come disegnando mentalmente un quadro, ma vero. Sono un’altra ma vera.

Eleonora Ghelardini

A voi...

L’argomento di cui vi voglio parlare è, per me è molto signifi cativo, ed è molto importante condividerlo con voi perché ho un grande affetto anche per gli psi-chiatri, psicologi e facilitatori sociali.Senza essere contro nessuno, né giu-dicare, devo dire tutto dal profondo del mio cuore, e devo esporlo a voi con sincerità e senza timore.Nella psichiatria vengono usate delle tecniche con frasi che dicono:<Tu sei malato e hai bisogno di essere cura-to!>. Certo. Ma è perché quel malato nella sua vita ha avuto delusioni, soffe-renze, esperienze negative, mancanza di affetto, morte di persone care: pos-sono essere tante le cause. Ed è per questo che si arriva a comportarsi in maniera sbagliata, ad avere scatti d’ira e reazioni sbagliate. Il dover essere ma-lati aggrava di più il problema facendo pensare di essere diversi dagli altri e inferiore nel mondo, diversi e chiusi in

un guscio di solitudine. Si avrà il timore di stare an-che insieme agli altri.Secondo me, per aiutare, bisogna eliminare la paro-la malattia, e cercare di di-minuire un po’ alla volta la terapia. La medicina può calmare, tranquillizzare, ma non è il vero motivo e la soluzione della gua-rigione.La terapia ci rende immo-bili, privi di forze, come vegetali, creando tanti problemi al fi sico. Cercare di trovare un’ar-monia tra psichiatra, facilitatore e paziente, usare la parola amore, affetto, comprensione, e non trattare i pazienti con durezza, ma con dolcezza e affetto, capire il proble-ma e far sentire la persona normale come tutte le al-tre è la via giusta.

Togliere subito le medicine è sbagliato, ma cerchiamo di mettere in pratica queste cose: AMORE, COMPRENSIONE, AFFETTO, per stimolare nella persona la forza interiore, per arrivare a una guarigione.Tutti insieme aiutiamoci a vicenda, con for-za, pazienza, amore; lottiamo insieme pen-sando di essere persone uguali agli altri.NOI ABBIAMO TANTI VALORI DA DARE E DIMOSTRARE.

Luca Tinagli

Stella

Ogni giorno mi sveglio con la morte nel cuore e affronto i mille doveri con la mia maschera migliore… per non far capire quanta sofferenza c’è in me …Dov’è la bambina felice che correva nei prati e raccoglieva conchiglie al mare?Dove sono fi niti i suoi sogni?Ma soprattutto dov’è fi nita la sua vo-glia di vivere?Una notte tutto questo gli è stato portato via lentamente…. Molto lenta-menteE così ha perso tutto …… se stessa….Non sapeva più quale strada percorrere e si è lasciata andare…………Ha toccato il fondo e ha perso tutti i colori della vita…………Per lungo tempo si è persa e ha vagato senza una meta ben precisa……….Si è fatta molte domande…. Cos’è la vita? Cos’è l’amore?Per molto molto molto tempo non ha trovato rispostePoi una notte si è recata al mare e ha incontrato una “stella”Hanno parlato molto………………..La “stella” l’ha illuminata sul senso del-la vita e dell’amore….Gli ha detto che vita è la musica, calo-re, colori che si rinnovano ogni anno in Primavera quando la terra si ricopre di mille fi ori e gli animali scopronoLa stagione dell’Amore…..A questo punto gli ho chiesto “Che co-s’è per te l’amore?”L’amore è un sogno , una follia, un fuoco che divampa quando si accende la passione, ma soprattutto è un tesoro che pochi hanno la fortuna di trovare..Poi è giunta l’alba e la stella è scom-parsa………..Sono tornata su quello scoglio 10, 100, 1000 volte ma non ho piùRivisto la “stella.”Ma ho aspettato l’alba con gioia perché era l’inizio di un nuovo giorno……….In conclusione…………LA VITA è eternità, L’AMORE è un atti-mo……………

Katia Buffoni

C’è sempre qualcosa di nuovo per adesso da scoprire in questo universo liquido che è il mare ed il mio oceano da me per adesso ancora mai visto fosse solo il colore azzurro delle onde acque ed il sole che al tramonto si frange in esso alla linea dell’orizzonte personale e tante altre cose ancora.

Liana Serragoni

mi fa male. Ho conosciu-to l’associazione L’ALBA, e come un

“miracolo” sono rinata. Ho iniziato a vi-vere, a sentire emozione, a ridere. Ma chi è ricco dentro? Molte volte osservo

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Scrittura

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Felicità

La felicità è un sentimento che nasce dentro di noi, ed è dovuto alla vita che si conduce. E’ data da tante cose le piccole cose della vita quotidiana. E’ un evento improvviso, l’incontro con un amico che non vedi da molto tempo, l’intesa con il tuo partner. La felicità rende sereni e capaci di avere una vita piena di prove. E’ come vivi quel momento particolare, perché ti coinvolge continuamente e ti fa sentire tutto positivo. Anche se accadono cose che non sono belle, dentro di te trovi la forza che ti da la voglia di vivere pie-namente. Come sarebbe bello se la vita non fosse difficile come spesso si vede. Però, se uno riesce a superare le dif-ficoltà con l’amore, può essere felice, può vedere le cose da un altro aspetto. Si può conquistare la felicità con la se-renità. Se una persona è sempre sere-na, riesce a non cadere, e piano piano può diventare felice.

Gabriella Puglisi

Secondo me la felicità è una cosa pro-fonda che va scoperta. Esistono due tipi di felicità quella che vivi giornalmente, in vari episodi situazioni e circostanze, e poi c’è quella da conquistare. La fe-licità da conquistare è quella interiore, quella che dipende da noi stessi. Af-ferriamo la felicità, una volta afferrata e tenuta stretta a noi e dentro di noi, allora sarà più facile essere felici e sarà più difficile che ci sfugga di mano. La felicità è una cosa che se noi vogliamo la teniamo dentro: apriamole il cuore, lo spirito e l’anima. Per me felicità è an-che vedere gli altri felici, è vedere che con il tuo aiuto rendi felice un’altra per-sona. È vedere un bambino che sorri-de, dare amore al proprio fidanzato e a qualsiasi altra persona che ti circonda. Apriamo le porte alla felicità e la felicità farà parte della nostra vita.

Simona Murtas

La felicità può essere un momento associato ad un evento che ti appaga, che ti fa star bene: vivere intensamen-te un rapporto di amore e di amicizia crea momenti che ti fanno estasiare e ti liberano l’anima e la mente. Anche se dura poco e ti fa illudere, senti di stare bene solo in quel momento. Per me, la felicità può essere anche restare in mezzo alla natura, circondato dal verde splendido, natura che dà una emozione forte, una gioia felice. Anche se dura poco

Massimiliano Biagini

La felicità è accettazione. Felicità: equilibrio, piacere, sfumatura di un momento (evento), emozione, vivere

la vita giorno per giorno. Ritrovato benessere fisico e mentale, se vivi pienamente il presente la felicità ci si presenta da sola. Un bambino piccolo sa sorridere, chi si accontenta gode. Aspirare a ciò che si può raggiungere, tenere obiettivi e desideri che si possa-no raggiungere, saper vedere, vivere, sapere degli imprevisti quotidiani. La felicità è qualcosa d’interno che si proietta su oggetti e eventi esterni e ognuno ha un suo limite di felicità. La felicità si può accostare al termine spe-ranza. E’ come realizzazione.

Matteo Barzotti

Felicità:” che parola grossa”, sono molti anni che nella mia vita questo sentimento è cancellato. Ed anche prima, quando ho avuto dei momenti di innamoramento che mi rendevano felice, poi tutto è finito: ho scoperto la non intesa caratteriale, l’egocentri-smo, tutto un insieme di situazioni che hanno trasformato un rapporto, prima di amore, in una grande infelicità. Più gli anni sono passati, sono aumentati anche i problemi e l’energia per af-frontarli invece è scemata. Ci si sente deboli, avremmo bisogno di protezione ed invece mi sono ritrovata sola: le persone care se ne sono andate, chi nell’aldilà, chi è andato a vivere altrove e molto lontano da me. Per trovare la felicità devo guardare più indietro: cer-to, ho avuto delle amicizie a me molto care, ma ora non sono più qui. Mi devo sempre più attaccare ai ricordi. Ero felice quando da adolescente andavo in giro con il mio cane per le colline del mio paese, assaporando tutto ciò che avevo intorno: gli alberi, i fiori,

vari profumi. Stavo da sola in giro per i boschi, ma era come se sentissi nella natura qualcosa di animato, sentivo le piante come esseri viventi. Raggiunge-vo dei momenti di vero lirismo che, a volte, traducevo in poesia. Ora sono rari i momenti in cui posso andarme-ne a godere la natura. Come Leopardi penso che la felicità sia legata all’illu-sione, che è molto forte quando siamo bambini. Mi ritrovo spesso a pensare alla mia infanzia, forse il momento più felice della mia vita: il giocare, leggere fiabe, costruire un presepe. Ci sono state cose negative anche nella mia infanzia, ma erano messe in secondo piano. Ero una bambina che giocava molto e si illudeva, fino all’ adole-scenza: erano tanti i sogni. Ma mano a mano che crescevo e incominciavo a vedere la realtà, ho cominciato anche a vedere il crollo delle mie illusioni. Sem-pre citando Leopardi, “ delle gioie mie vidi la fine.” Nell’adolescenza, cominciò a manifestarsi la malattia di nervi che mi porto tutt’ora dietro e che mi ha causato dei momenti di disperazione. Devo per forza, per essere felice, guar-dare le piccole cose, perché la mia vita ha tante limitazioni. Sentire una buona musica, la compagnia del mio gatto. Ho anche l’aiuto di persone amiche e que-sto mi salva dal cadere nella dispera-zione più profonda, più delle pratiche, che pure ho intrapreso, di rilassamento e di meditazione. Ma ora non cerco più la felicità, avrei solo bisogno di un po’ d’ equilibrio che, nonostante queste pratiche, ancora non riesco a raggiungere. E gli anni che passano mi spaventano.

Giovanna Roventini

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Tristezza

Come dire una tristezza di rovoche avvolge la sera,un pianto incessanteconsuma la mia animaper te che ogni giorno anelo.

Oasi di luce viva

Oasi di luce vivala stanza hanella tua permanenzaun vivido abbaglio di sole.Allorché ne usciraisarà notte di metriche cadenze che accompagnano l’anima ispirata.Emergono dal profondo silenzioelegie di un tempo affi datoal riscatto della memoria.Non ha la vitache rari momentiin cui un’ immaginesarà rivisitata poi come sublime.

Poesia

Ridonandomi la vocenel desiderio di tedissipata,in un calvario di passionemutata in lamentoritorni ad esserelenta nella preghierasolitaria dolce cantilenacon cui di nottesi placano le stelle.

Giovanna Roventini

La pesca secondo Fulvio

Mi sono trovato un amico che è appas-sionato di pesca: desideravo trovarlo. Tutte le domeniche vado a pescare, anche d’inverno. Spero di riuscire a pescare qualcosa perché, in questo periodo danno poco. Purtroppo nella mia vita, d’inverno, non ho mai preso un pesce. Forse se vado al fosso di San Giuliano è più pescoso.

FulvioL’omino di piombo

L’omino di piombo aveva le gambe pesantiL’omino di neve aveva sempre freddoL’omino di burro si sentiva tutto unto e bisuntoMa quello che stava peggio era l’omino fatto di niente.

La Donna Cornice

La donna-corniceE’ tanto graziosa e leggiadraNemmeno un granello

di polvereNei suoi riccioli di legno intarziati“Oh che gioia essere rimiratada ogni passantesu questo mio candido muro!”Ma i visitatori del museoadditano compuntiil cavaliere fi ero e sprezzanteche lei circonda e decora,povera imbecille.

La donna arcobaleno

La donna arcobaleno Vibra nell’ ultimo pulviscolo d’acquaNata dalla prima luce dopo la pioggia.“Sono qui perché prima tutto era sconvolto di lampi e d’orroree tremo di vitanell’ attimo che mi separadall’ esser la mia acqua fatta aria dal solesono quella corrente leggera che vi percorre dalla gola alle cavigliequando vi svegliate a qualcosadi nuovo e mai vissutoe più leggeri del vaporee più vivi della lucerespirate sospesi,per poi tornare terra e corpo............ domenticandomi.”

La donna Rugiada

La donna-rugiadacomparsa su una verde fogliaNon sa com’è nataCosì piccola goccia!Dall’ umidità del mattino....Un po’ indecisa ondeggiaAl vento sottile

“Che sono? Ma sono? Chi sono?Dov’è l’incoscienza dell’ aria leggeraquell’ essere tutto molteplice e vario e veloce?”E’ troppo diffi cile sentire di esserci....E subito nella foglia sparisce assorbitaCon un’ onda di secca e stretta pauraFoglia diventa e non più.

Eva Campioni

Il silenzio nell’urlo

Ma cosa urliamo!Ma cosa urliamo?!Guardiamoci intornoCome un girotondoCi sono bambini, ci sono anzianiChe ci possono raccontare.Ascoltami tu che urli!Guarda la mia bocca, sembra dolceIo non urloMa se mi guardiIo sto urlando.Guardami, guardamiAscoltatemi siMa possiamo ascoltareAnche il silenzio.Osserviamo il girotondo.

Gherardini Eleonora

Oscurità

Oscurità nella menteOscurità tra la genteOscurità avvolgentedi te non sappiamo nienteOscurità forte e sconosciutaper molti inesistenteOscurità non capitaOscurità colpisci la vitaMa un gruppo di gentecon l’amore e le parole per tutti vuol far tornare il solee per chi ci seguirà pan piano si dilegueràe di nuovo “l’alba” risorgerà

Valeriana Ammannati

di polvereNei suoi riccioli di legno intarziati“Oh che gioia essere rimiratada ogni passantesu questo mio candido muro!”

Esprimersi con la

Scrittura

“Progetto mare costa e dintorni” - Campeggio Coltano

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La solitudine

Passeggiando ho incontrato una statua,Era ferma lì, da molto tempo!Ho provato a parlare con Lei.Mi fissava silenziosa ma attenta.Però non rispondeva.Mi sono avvicinato,e ho provato a sfiorarla:

Come era fredda la statua!

Come era triste la mia solitudine!

Roberto Pardini

Solitudine

La solitudine è un pretesto,quello di rimanere in contatto con se stessi,approfondendo la propria identità,magari impauriti di conoscersi,ma certamente utileper un rapporto libero e socialecon chi ci circonda.Forse mai è negativa,se vissuta giustamente ed in modo coerente,in grado di aiutarci ad affrontare meglio timidezza o insicurezza,nel pianificare il nostro futuro.La solitudine è un frangente di vita immenso e personale,vissuto da ognuno di noi a modo suo,a seconda del proprio carattere, emozione e sensazione,in maniera fragile o non,dove la razionalità o l’irrazionalità,traggono valutazioni su se stessi,positive e negative,di certo non mentendo,ma mettendo a nudo crude verità o parti troppo nascoste.Esso è un modo tutto nostro,nel quale nessun altro potrà entrarvise non ad eccezione di Lui:Dio.La fede casualmente cresce,le preghiere aumentano,mai prima di quel momento avevamo avuto tanta fede,ed ovviamente ne siamo consci,tale da rimproverarci questo ritardo,che ad un tratto, nel momento del bisogno,salta fuori come un coniglio da un cilindro,ricordandola.

Giacomo Flussi Cattani

Appartenenza all’associazione

Per me venire all’associazione è un po’ come un “rifugio”, anche se la conosco da pochissimo tempo. (In queste ultime settimane non sono stata benissimo)Venerdì 30 settembre c’ e’ stata la “mostra di arte terapia” in cui c’ e’ stata la dimostrazione soprattutto di pittura, musica e danza. Per me era una cosa

molto nuova , perchè non avevo mai partecipato a niente del genere.C’erano degli enormi cartelloni stesi per terra e a nostra disposizione c’era-no colori e pennelli. Io ho dipinto un grande sole col giallo e col rosso. Gli altri hanno dipinto quello che avevano per la testa, punti , cerchi righe, spira-li... ne è risultato un’ armonioso intrec-cio di figure e di immagini.La dimostrazione di musica e danza è stata anche più coinvolgente. Simona ci ha detto di mascherarci, non per farci più belle ma per esprimere noi stesse, così come ci sentivamo. Io mi sono rimboccata i pantaloni fino al gi-nocchio, e soprattutto mi sono fatta dei segni sul viso con il nastro adesivo su naso, mento e labbra. Poi ho danzato, con le altre ragazze, a ritmo dei tambu-relli e delle nacchere.

Chiara Pasqualetti

Laboratorio di scrittura

Sono arrivata al gruppo di scrittura “Di-sintegrata fuori e dentro di me”………. Ero molto stanca e stavo attraversando un brutto periodo, ma mi sono detta “…….prova, in fin dei conti hai poco da perde-re….. stai che è una schifezza…..magari puoi ricavarne qualcosa di buono”.Avrei preferito, come, credo, la mag-gior parte dei presenti che partecipano al gruppo, sapere dell’ associazione dell’Alba per conoscenza o per sentito dire e non per aver provato sulla pro-pria pelle la depressione, questa specie di “tsunami dell’anima”, una sorta di anestesia generale dei sentimenti, che dà come l’impressione di non riuscire ad essere più smaltita completamente. Rimane addosso un’ innaturale torpo-re, si perde il confine tra ciò che accade dentro e fuori di noi, sensazioni e pen-sieri si fondono ed è strano non aver più la certezza, ammesso di averla mai avuta veramente, che quello che pensi

non è quello che senti e viceversa.Questo gruppo mi ha aiutato a rivedere le cose nella giusta prospettiva, è stato simile a tornare a scuola, complici quaderni, re-gistro e penne, un salto indietro nel tempo riscoprendo la bambina che è in me.Vorrei fare un ringraziamento partico-lare a Simone, che è riuscito a farmi ridere, quando meno me lo sarei aspet-tato e nel momento in cui ne avevo maggiormente bisogno sorprendendo-mi, come solo fra bambini accade! Ed al gruppo in generale che mi dà una mano e m’incoraggia a vedere sempre “il bicchiere mezzo pieno”, l’ottimismo è una gran bella cura!!!!

Stefania Soldani

Scrittura

Mi chiamo Iuitari Fulvia. E’ da quasi un’ anno che frequento il corso di scrittura ed è molto bello. E pensare che all’inizio ero molto titubante e non mi piaceva. Volevo smettere. Invece ho continuato grazie a mia cognata e mio fratello che mi hanno spinto e, grazie a Maria Velia, ho imparato a mettere insieme gli scritti che facciamo tutti i venerdì.E’ bello ritrovarsi tutti insieme, parlia-mo, discutiamo di qualsiasi cosa e gio-chiamo. Sono contenta di tutto questo perché in vita mia non avevo fatto mai niente di simile, e perchè serve anche a distrarsi un po’, a uscire dal solito tran tran di tutti i giorni.

Fulvia Iuitari

Ho avuto sempre in vita ed esistenza terrena propria delle maestre dei pro-fessori professoresse che mi hanno in-segnato educato bene e dei genitori pa-renti affini amiche amici che mi hanno aiutato a vivere e bene sino ad adesso.

Liana Serragoni

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Ogni volta che mi viene chiesto di ragio-nare intorno a opere di arte figurativa per esprimere un parere e dare un giudizio vengo colto – anche ora, quando ormai sono molti i decenni trascorsi operando in questo specifico settore – da una buona dose di imbarazzo. Al di là e al di fuori di ogni discorso di circostanza e senza alcuna tentazione retorica, penso che rimanga assai attuale la questione relativa al ruolo del critico d’arte. Una questione ancora più scottante oggi, quando si è venuta definendo una figura di critico d’arte che mai in precedenza aveva avuto queste ca-ratteristiche.

In particolare il cosiddetto critico militan-te, nella situazione odierna, è più teso a promuovere una determinata tendenza e, qualche volta, persino a predeterminarla piuttosto che a dare una collocazione sto-rico- culturale al complesso di opere esami-nate. Ma ciò non impedisce che spesso il suo ruolo – quando il critico è ispirato da profon-da onestà intellettuale – sia servito e serva per capire a fondo l’artista o la tendenza artistica cui si affianca. L’importante è rimuovere fin dall’ini-zio ogni intento banalmente propagandistico o elogiativo che rischia di confondere e deformare i valori. La funzione del critico, dunque - che si deve avvalere degli scritti dell’artista (quando esistano) e della sua frequentazione - non può che essere quella di cercare di capire e di aiutare a capire, grazie agli strumenti che gli derivano dalla formazione e dall’espe-rienza. Né più, né meno.

Queste brevi premesse – di per sé fondamento metodologi-co - mi sono state suggerite in questa particolare occasione dalle opere di Giorgio Fornaca, perché ho sentito in esse una particolare autenticità e un’ apprezzabile serietà di ricer-ca, non condizionata da alcun intento strumentale. Una sen-sazione immediata, istintiva determinata da un modo artisti-co che, almeno in questa fase, appare di indubbia originalità. Con una tecnica mista che rivela la provenienza da lunghe esperienze di pittura ad acquarello sostenute da solidità dell’impianto disegnativo, Giorgio si addentra in un’interio-rità complessa e articolata, in una realtà di fervida fantasia, affollata da figure oniriche e fortemente simboliche, in un’at-mosfera rarefatta e intensamente colorata. Un’atmosfera al di fuori del tempo e dello spazio, che sembra scaturire dai più profondi recessi della coscienza. Dalla stessa materia pit-torica, costituita da vibrazioni cromatiche che danno il senso di un mondo in continua, febbrile trasformazione, prendono corpo sia figure indistinte, tremolanti, sia profili giganteschi che vanno a fondersi con gli spunti di paesaggio, sia accenni

di ambienti fantastici ogni volta diversi e sempre coinvolgenti. E’ una materia pittorica martoriata che da lontano ricorda il modo di trattare le superfici e i volumi proprio di un preciso momento di Giacometti, ma che, andando a ritroso nel tem-po, potrebbe far pensare, con una buona dose d’azzardo, al vibrare di luci frante e di ombre profonde della Maddalena di Donatello. Certo, rispetto al monocromo della scultura, l’intensità cromatica di queste opere appare tutt’altra cosa, ma i riferimenti sono giustificati dall’analogia nelle profonde, inusuali vibrazioni del tessuto pittorico.

Su questa esplosione di varianti cromatiche domina – sem-pre – una forma circolare, un disco. Il disco della perfezione, ma anche della disperazione in quanto modello irraggiungi-bile in un mondo in cui predominano le incertezze: la per-fezione del disco, nella sua immutabilità, nella sua forma di millenaria certezza fa da contrappunto – ma, spesso, anche da elemento di contrasto - alla vibratile realtà delle imma-gini; molte volte esso stesso viene coinvolto e travolto dallo spumeggiare multicolore della realtà circostante. Non man-cano i riferimenti colti, sorta di icone in forma di silhouette, che si incastonano con vita autonoma nel tessuto pittorico. E’ come se dal profondo della coscienza – della sua coscien-za – emergessero con fatica, ma con decisione, suggestioni, immagini, emozioni, ricordi, pensieri, ricondotti, tutti, allo stato sorgivo, lavico, quasi che la forma momentaneamente assunta fosse solo provvisoria, estremamente precaria , in via di erosione e disfacimento, in un processo, tuttavia, che non conduce all’annullamento, ma alla continua rigenerazio-

ne. Si ha l’impressione di essere di fronte ad una personalità complessa, talora anche tormentata , consapevole delle difficoltà dell’esistenza, delle sue contraddizioni, dei laceranti contrasti interiori, fenomeni, tutti, che egli sembra tendere a superare grazie a un atteggiamento volitivo, di po-sitività in fin dei conti abbastanza rassicu-rante. Rispetto a sue precedenti ricerche, Giorgio Fornaca sembra essere giunto ad una fase di maggiore intensità espressiva, essendosi liberato, non rigettandole ma rivitalizzandole all’interno di un personale ripensamento, delle memorie della sua formazione, dei vincoli del suo background culturale, delle esperienze negative della sua vita. Non è da escludere che su questo momento di artistica maturazione abbia-no inciso le recenti esperienze lavorative che, tenendolo continuamente in contatto con il mondo dei diversi, hanno stimolato la sua già fervida immaginazione e il suo complesso mondo interiore, arricchendoli di nuove opportunità. E non c’è dubbio che Giorgio non si fermerà qui.

Vibrazioni di una materia in divenireIntervento critico del prof. Ilario Luperini

sul catalogo della mostra di Giorgio Fornaca svoltasi presso “La Limonaia” a Pisa dal 17 Settembre al 2 Ottobre 2005

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(segue da pag. 01) [...] Nazionale della Salute Mentale penso al nostro bilancio, come ci si accinge a fare ad ogni fine anno.Lo scorso 5 dicembre in piazza delle Vettovaglie eravamo soli a Pisa a fare uno spettacolo teatrale con in seguito un dibatti-to atto a smuovere le menti sane e l’immaginario dei passanti sui temi del disagio e della salute mentale. Così “Luce per illuminare le menti” con lo spettacolo creato nel laboratorio teatrale dell’ Associazione si svolse in piazza, il dibattito in un Circolo Arci Circolo Jackson Pollock della nostra città.La giornata si ripetè anche il 23 dicembre e fu di notevole interesse.Cosa mi colpisce della nostra capacità di fare rete e della forte crescita che abbiamo avuto in questo anno è che questo 5 di-cembre abbiamo due spettacoli teatrali non nostri, ma di due centri limitrofi Firenze e S.Miniato, molti prodotti di video e di videoterapia di Associazioni e centri di tutta la Regione (Luc-ca, Pontasserchio, Pisa, Livorno) , prodotti anche dal lavoro dei facilitatori sociali. Inoltre e questa è una grande cosa ogni centro psichiatrico della nostra città parteciperà all’iniziativa per come può portando stand promozionali e informativi e materiale culinario per pranzare tutti insieme.Il Centro Basaglia, il Centro Diurno di via Romiti, la Casa Famiglia di via Flamini, il Centro Diurno di S.Frediano, per rimanere su Pisa, Il C.S.M. di San Miniato, il Gruppo Teatro di Sesto Fiorentino “La luna è verde”, l’Associazione Archimede dell’ AUSL 2 di Lucca, L’Associazione Mediterraneo dell’AU-SL 6 di Livorno, il Cinema Teatro Lux di Pisa, l’Associazione Progetto Laboratorio Pontasserchio l’AIART Pisa dove molti facilitatori de L’Alba stanno svolgendo un corso Cesvot sul-l’uso etico dello strumento video e molti altri che non hanno aderito poiché presi dalle loro iniziative locali.Insomma anche questa è l’ennesima prova di aver implemen-tato la nostra capacità di fare rete con il territorio.

Non c’è salute senza... di Diana Gallo

E’ stato aperto un forum per utenti e non per chi volesse può iscriversi dal nostro sito www.lalbassociazione.com è diret-tamente gestito dai nostri soci; mi ha colpito la lettera di un partecipante che ci scrive dall’Israele ponendoci riflessioni e domande di raffinato interesse. Sul finire dice che loro avreb-bero l’interesse di aprire un caffè cioè un punto di incontro, ma che ancora le istituzioni non investono in questa direzione. Mi ha colpito molto sapere che come noi molte altre persone sentono l’esigenza e vedono l’urgenza di investire sempre più in luoghi di socializzazione che di sanitarizzazione. Il nostro amico ha abitato molto tempo in Italia, non ho avuto ancora il tempo di rispondergli, ma gli risponderò di insistere poiché i loro bisogni sono sacrosanti e se ci credono profondamente le istituzioni non possono far altro che riconoscere queste sane necessità e iniziare a progettare insieme.Nelle mie slide a Firenze ho dovuto tagliare tutta una par-te che riguardava le difficoltà incontrate e che incontriamo quotidianamente nel nostro cammino per costruire percorsi di collaborazione dal micro al macro, questo è lavorare nella complessità questo è pensare che i cambiamenti avvengo-no gradualmente, ma che se si percorrono strade serie, di ricerca e confronto e pensieri rivolti non solo al proprio arric-chimento personale, ma alla costruzione di un arricchimento generale di tutti i cittadini, ecco forse così allora si produrrà un pensiero di rete, un pensiero di lavoro umanitario. Perché come si pensa la cura e come si pensa la patologia determina come si opera e come si investe. Per cui molto si è fatto, ma molto ancora dobbiamo fare. C’è adesso un grande fermento ed un grande cambiamento all’interno della programmazione generale socio-sanitaria parlo della Società della Salute che si sta strutturando nel territorio con una grande sfida: riallocare le risorse e iniziare un cammino di programmazione trasversale e non vertica-le delle stesse, si ragiona per obiettivi e si cerca gli attori che insieme realizzino gli obiettivi dei PIS (Piani integrati di Salute) così più aziende e più saperi saranno “ costretti a fare rete” a programmare e gestire insieme le azioni in una ottica che ha come fine ultimo il benessere, il welfare dei cittadini.Ripropongo parte della mia relazione di Firenze in questo articolo poiché ritengo che quanto detto merita una più ampia diffusione: cioè capire cosa è che blocca la rete è necessario per cominciare a farla (e il tema andrebbe molto approfondito, chi vuole può…)Il lavoro di rete necessita di connessione e sinergie tra diversi servizi e agenzie e diversi saperi che si compenetrano in un percorso integrato per rendere nel tempo le persona autono-me e svincolate dai circuiti assistenziali e/o ospedalieri, nel nostro caso psichiatrici.Rete nelle equipe sui casi, (psichiatra, assistente sociale, infermiere, educatore, riabilitatore, facili-tatore sociale, psicologo ecc…(micro)) ;Rete nelle organizza-zioni e nei rapporti tra agenzie e agenzie e tra servizi e servizi e tra agenzie, servizi e associazioni che si occupano di salute mentale (macro). La Società della Salute si presenta come un modello di rete un modello evolutivo e relazionale nella cui sperimentazione noi crediamo e siamo inseriti.In questo grande sforzo di conoscenza e programmazione reciproca credo che le risorse non debbano essere il nostro problema e la nostra fissazione o il nostro nemico come sento alle volte dire” Non mi devi convincere sulle idee, ma non ci sono soldi”, penso che bisogna andare oltre, che le risorse se si costruiscono progetti condivisi ed utili per tutti si trovano, perché si cercano insieme, perché si decide insieme che è bene per tutti investirle lì.Penso che il nodo della rete stia altrove: spesso le orga-nizzazioni siano la Piccola Associazione che la grande Or-

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di Salute Mentale e con i servizi dell’Azienda USL 5 con cui collaboriamo, anche se alcuni servizi e alcuni psichiatri hanno ancora molte resistenze e perplessità.I progetti sono stati realizzati grazie al sostegno e alla colla-borazione di soggetti pubblici e privati istituzioni locali, Pro-vincia di Pisa, Conferenza dei Sindaci ad oggi Società della Salute di Pisa, Fondazione Cari Pisa, Azienda USL 5, Regione Toscana,Cesvot,Performat srl,Clinica Psichiatrica Pisa.Inoltre abbiamo collaborato con molte associazioni e cooperative sociali della zona pisana, con associazioni di utenti e fami-liari a livello regionale, con il coordinamento Toscano delle Associazioni di Salute Mentale a cui si aderisce, con numerosi Dipartimenti di salute mentale della Toscana. Le Associazioni presenti sul territorio sono uno strumento da utilizzare come ponte per le dimissioni dalle strutture e dalla Clinica e l’inte-grazione sociale degli utenti, non cogliere questa occasione per pregiudizi o paure sarebbe veramente un grande limite per i servizi.

Concludo dicendo che : noi lottiamo per:- costruire modelli di servizi e saperi integrati.- mettere l’Associazionismo a sistema nella rete dei servizi della Salute Mentale.- investire sulla figura del facilitatore Sociale, creare nuovi posti di lavoro- Istituzionalizzare il cambiamento.- investire al consolidamento degli obiettivi raggiunti e con-quistarne di nuovi per dare risposte sempre più efficaci e pertinenti ai cittadini e prevenire l’esordio di nuove forme di disagio mentale.

Insieme a chiunque ci crede. Tutti esperiamo dentro di noi la malattia e siamo in contatto con parti sane e parti patologiche del nostro essere.Come dice l’OMS la salute è un processo dinamico, non stati-co: I sani per rimanere sani devono continuamente curarsi.

ganizzazione presentano disfunzionalità organizzative che impediscono la costruzione di buoni rapporti di rete. Quando il modello organizzativo è “ malato” lo sforzo energetico è tutto concentrato sulle dinamiche interne e non permette lo sviluppo di altri legami.Esattamente come accade nel micro se pensiamo a che cosa succede all’interno della psiche di una persona che sta molto male di nervi: nel nostro caso il paragone è d’HOC, essa non riesce a costruire validi rapporti e le relazioni sono disfun-zionali, per cui necessita di cure, non riesce a fare rete, non riesce a relazionarsi.Così le organizzazioni che non sono “ contenitori sufficiente-mente buoni” per dirla alla Winnicot possono presentare pa-tologie organizzative secondo gli stili: paranoide, ossessivo, isterico, depressivo, schizoide, e necessitano di cure, poiché non riescono a costruire rete la loro energia è bloccata dalle dinamiche interne. Come gli individui, e i gruppi, anche le organizzazioni si pos-sono curare. Le resistenze si insinuano ogni volta che si prospetta un cambiamento..Ogni sistema ha una propria organizzazione e nel tempo le organizzazioni tendono all’omeostasi anche se patologica ed alla configurazione di un copione aziendale alla cui trasformazione bisogna lavorare per relazionarsi con l’esterno.Si possono analizzare i modelli disfunzionali attraverso un la-voro di consulenza e supervisione e attraverso la formazione e trasformare, riabilitare cultura e copione aziendale attra-verso operazioni di riparazione, autenticità e cura. Così l’organizzazione può diventare un contenitore “sufficien-temente buono”capace di collaborare e integrarsi con gli altri servizi poiché capace di non perdere la propria identità, ma di crescere e trasformarsi nel tempo riadattando il mandato e gli obiettivi al cambiamento dei bisogni espressi dalle nuove circostanze e dai nuovi tempi.Fare rete ha un costo, significa mettersi in discussione, signi-fica aprirsi ad altri modelli di riferimento che non sono i no-stri, significa diffidare, mettere alla prova per credere e tutto questo è un processo che richiede tempo.Ci sono modelli teo-rici di riferimento e di approccio alla cura e alla riabilitazione molto diversi, si ha la necessità di aderire ad una propria teoria di riferimento, fedeli e attaccati alla propria formazio-ne, ma anche la necessità di tradire, nel senso carotenutiano di “tradere” andare oltre, le nostre radici per integrare ed approdare ad altre, nuove e più evolute conoscenze che ven-gono dal contributo e dalle conoscenze di tutti, anche di chi è passato direttamente dalla patologia.Per fare rete è necessario riuscire a trasformare la cultura e il “copione aziendale” (per usare una terminologia di analisi transazionale) e proporre modelli meno rigidi e spaventati, ma più sicuri di sé e per questo disposti a scambiarsi con l’esterno.Per cui la Società della Salute trova ed ha essa stessa re-sistenze poiché nasce da una trasformazione di un modello preesistente. Non è facile, è un percorso innovativo che tutti come cittadini siamo chiamati ad affrontare e che richiede un grande impegno, l’Alba sta accettando questa sfida.Per quan-to riguarda la nostra realtà possiamo dire che molto si è fatto, ma molto dobbiamo ancora fare, proprio perché se ci fermas-simo smetteremmo di produrre salute. L’atteggiamento dei servizi è piuttosto cooperativo, ormai siamo una realtà con cui confrontarsi e con cui operare, accettati e utilizzati, nella rete dei percorsi, ma non ancora come si dovrebbe e come vorremmo.I Corsi Cesvot, il corso e il progetto dei facilitatori sociali e tutto il lavoro negli anni hanno stimolato e permesso la costruzione di un rapporto molto buono con il Dipartimento

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tel. 050 970097fax 050 506897

arcinuova associazione

PISA

RedazioneMaria Velia Lorenzi Bellani

scrittrice e arte-terapeuta ha coordinato

Massimil iano Biagini Eleonora Gherardini

Livia Bulletti Leonardo Giomi Simona MurtasGabriel la PuglisiNicoletta Raffo

Giovanna RoventiniLuca Tinagli

Hanno collaboratoValeriana Ammannati, Matteo Barzotti, Katia Buffoni, Eva Campioni, Pietro Di

Vita, Giacomo Flussi Cattani, Fulvio, Fulvia Iuitari, Luigi Marotta, Roberto Pardini,

Chiara Pasqualetti, Alessandro Pellegrini, Angelo Russo, Simone Saviozzi, Liana

Serragoni, Stefania Soldani

Quadri G. Fornaca

Grafica e messa in paginaStefano Bellani

Le vignette sono di Sergio Staino e sono tratte dell ’ inserto de L’Unità del 13/11/05 uscito in occasione del convegno “Per un

Europa senza manicomi” tenutosi a Torino dal 10 al 12 novembre

Le foto a pag. 1, 2, 10 sono di Luca Tinagli

Per la realizzazione del giornalino si ringraziano

Diana GalloPresidente L’ALBA Associazione

Aldo BellaniVicepresidente L’ALBA Associazione

Roberto PardiniSegretario L’ALBA Associazione

Ferdinando RomeoAmministratore L’ALBA Associazione

il Comitato scientif ico nelle persone di

dott. Corrado Rossi

dott. Annibale Fanali

dott. Alessandro Lenzi

(segue da pag. 01) [...] conquiste, eppure si ha l’impressio-ne che i medici spesso trattino il malato come una macchina da riparare. Questo è curare a metà, perché la malattia passa da una rottura che lo squilibrio fra corpo e spirito ha provoca-to e, di conseguenza, solo riequilibrando il nostro essere é più facile guarire. Guardiamo come il disagio psichico o i semplici disturbi nervosi (che portano anche ad altre malattie) siano sempre legati a situazioni critiche per quel che riguarda l’af-fetto e la comprensione, la famiglia e la società. Non si può curare senza cercar di riempire i vuoti dell’anima. Il farmaco è necessario come è necessario l’antibiotico per la polmonite, ma serve solo in parte: una volta arginata la piena del disa-gio, il contatto umano, la comprensione, la partecipazione

Quel fi lo recisodi Maria Velia Lorenzi Bellani

continuano la cura. Sicura? Infallibile? No di certo, ma l’unica da non tralasciare. E la normalità. Come tentare di defi nirla senza cadere nella presunzione? Intendiamola qui come equi-librio che permetta di vedere gli avvenimenti né distorti, né ingigantiti da un disagio interiore profondo. Diciamo che po-ter vivere senza quel disagio, poter sorridere anche di poco, esser protesi in avanti, volere qualcosa con forza riguardi la normalità. Anche se qualcuno potrebbe insinuare che è pro-prio questa la follia. Ma il nostro attraversare salvi il fi ume dell’esistenza ha bisogno di una zattera atta a navigare nella norma, quindi “normale”. Poi c’è l’ “arteterapia”, che sembra una grossa parola, presuntuosa. Eppure diventa umile, se intesa come strada per cercare di riannodare il fi lo spezzato che ci collega all’universo di cui, purtroppo accorgendocene sempre meno, facciamo parte. E poi, a ben pensarci, tutto quello che ho detto, non si potrebbe riassumere in una sola parola? Non basterebbe dire “amore”?

A t t i v i t àlunedì

gruppo auto – aiuto c/o Arci Corso Italia 156 Pisa ore 15.00 – 17.00laboratorio arti plastiche c/o Scuola d’arte via Possenti Pisa ore 15.00 – 19.00laboratorio di decoupage c/o Scuola d’arte via Possenti Pisa ore 15.00 – 19.00laboratorio feldenkrais c/o Circolo San Biagio via di nudo 29 Pisa ore16.00 – 18.00gruppo familiari c/o Circolo San Biagio via di nudo 29 Pisa ore 21.30 – 23.30

martedì gruppo auto – aiuto c/o Clinica psichiatrica Pisa ore 15.00 – 17.00gruppo ascolto musicale c/o Circolo SanBiagio via di nudo n° 29 Pisa ore15.00 – 16.00gruppo teatro c/o Circolo San Biagio via di nudo 29 Pisa ore 16.00 – 18.00laboratorio onirico c/o Arci Corso Italia 156 Pisa ore 18.00 – 20.00

mercoledì gruppo auto – aiuto c/o Arci Corso Italia 156 Pisa ore 15.00 – 17.00gruppo auto – aiuto c/o Circolo San Biagio via di nudo 29 Pisa ore 15.00 – 17.00gruppo auto – aiuto c/o Casa del Popolo via Manin Vecchiano ore 15.00 – 17.00

giovedì gruppo auto – aiuto c/o Via Valtriani Pontedera ore 15.00 17.00laboratorio musicoterapia c/o Circolo San Biagio via di nudo 29 Pisa ore 15.00 – 17.00gruppo giornalino c/o Circolo San Biagio via di nudo 29 Pisa ore 17.00 – 19.00gruppo auto – aiuto c/o Arci Corso Italia 156 Pisa ore 21.00 – 22.30

venerdi laboratorio arti plastiche c/o Scuola d’arte via Possenti Pisa ore 15.00 – 19.00laboratorio di decoupage c/o Scuola d’arte via Possenti Pisa ore 15.00 – 19.00laboratorio esprimersi scrivendo c/o Circolo San Biagio via di nudo 29 Pisa ore 16.30 – 18.30

Attività di socializzazione, feste, cene, ritrovi, cineforum, convegni, dibattiti.

Attività di sostegno domiciliare ad opera dei Facilitatori Sociali Tutte le attività si svolgono grazie a:

Regione Toscana, USL 5 Pisa, Società della Salute di Pisa.

Per sostenere l’Associazione C/c bancario n° 2023223

ABI 06255 CAB 14022 Cassa di Risparmio di Pisa ag.2