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S ommario Il lavoro con le famiglie delle persone con disagio mentale di Diana Gallo pag.1 Il pane rovesciato di M. V. Lorenzi pag.1 Il VII Convegno nazionale self-help di Eva Campioni pag.3 Un libro insolito di Maria Velia Lorenzi Pag. 5 Esprimersi con la Scrittura Autori Vari pag.8 Versi per l’Anima Autori Vari pag. 16 L’esperienza dell’improvvisazione di Eugenio Sanna pag.27 Nuovi Spazi di Vita Autori Vari pag. 34 Fermate il mondo di Lillo pag. 37 Civiz di Alessandro Civitella pag. 38 Associazione Ascoltarci di Angelo Russo pag. 39 I disegni di questo numero sono stati realizzati all’interno del Laboratorio di Arti Grafiche condotto da Giorgio Fornaca Le foto di questo numero sono di Carlo Baldacci (segue a pag. 2) offerta libera (segue a pag. 2) Il lavoro con le famiglie di persone con disagio mentale: una trasformazione possibile di Diana Gallo Da sempre l’Associazione L’Alba lavo- ra per promuovere la consapevolezza in familiari di pazienti con problematiche di salute mentale al fine di sviluppare una evoluzione creativa e sana dell’intero nucleo, accettare la patologia e le cure, collaborare con i servizi e i tecnici co- struendo rapporti fiduciari, non colpevo- lizzarsi, ma prendersi la responsabilità di avviare un percorso di cambiamento che vede il coinvolgimento dei vari esponenti della persona con patologia della mente , genitori, fratelli, sorelle, figli ecc… pro- tagonisti del processo di cambiamen- to a fianco della persona che in primis deve fare la fatica più grande: uscire dalla malattia. Tutti sappiamo che il fa- miliare soffre accanto alle sofferenze di chi porta un disagio della mente, tutto il nucleo ne risente e spesso in talune re- altà proprio le dinamiche che vengono a crearsi in famiglia non facilitano l’uscita dalla patologia, ma creano i presupposti per una cronicizzazione del problema. In questa ottica pensare alla famiglia come risorsa, come laboratorio di cambiamen- to in collegamento con le associazioni ed Il pane rovesciato di Maria Velia Lorenzi E’ più forte di me, quando vedo il pane “rovesciato” devo immediatamente ri- metterlo nel verso giusto. Ed è più forte di me separare i “rosicchi” dal resto dei rifiuti e regalarli a chi fa il”pastone” per gli animali da cortile o la zuppa al cane. E’ la cultura del rispetto per il pane nella quale sono cresciuta. Mia nonna, a tavola, mi ri- peteva che era uno spreco grave lasciare l’avanzo di una fetta a fine pasto, che but - tare il pane era peccato e che le briciole lasciate sulla tovaglia saremmo andati poi a ricercarle col dito mignolo acceso, una volta morti. Terrorismo inflitto ai bambini, dicono oggi. Per parte mia. non ricordo di esser stata terrorizzata da questo. Rima- nevo un po’ scettica, un po’ perplessa, e mi è rimasto il rispetto del pane. Per me, è quasi malinconia ritrovarmi in tavola una mollica bianca slavata e insipida, di quella che indurisce dopo poche ore. Il pane “vero”, quello di pura farina di gra- no, diventa dolce in bocca, perché l’ami- do, durante la masticazione, si trasforma in zucchero, si mantiene per diversi giorni e in Toscana, per fortuna, non è una rari- tà. Basta conoscere il fornaio giusto. E, a ASSOCIAZIONE l‘alba G. A. A. Periodico bimestrale dell’Associazione L’ALBA - Anno V N° 4-6 LUGLIO DICEMBRE 2010 - Anno VI - N° 1-2 GENNAIO APRILE 2011 | Pubblicazione bimestrale registrata presso il Tribunale di Pisa al n. 9/06 del 24 Maggio 2006 | La riproduzione, anche parziale, è soggetta ad autorizzazione

a ZIONE L’Immaginario alb ASSOCIA · 2014-09-10 · gio mentale condotti da utenti o ex-utenti della salute mentale, anche se gli “operatori” hanno mostrato una grandissima

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L’ I m m a g i n a r i o

Sommar ioIl lavoro con le famiglie delle persone con disagio mentaledi Diana Gallopag.1

Il pane rovesciatodi M. V. Lorenzipag.1

Il VII Convegno nazionale self-helpdi Eva Campionipag.3

Un libro insolitodi Maria Velia LorenziPag. 5

Esprimersi con la ScritturaAutori Varipag.8

Versi per l’AnimaAutori Varipag. 16

L’esperienza dell’improvvisazionedi Eugenio Sannapag.27

Nuovi Spazi di VitaAutori Varipag. 34

Fermate il mondodi Lillopag. 37

Civizdi Alessandro Civitellapag. 38

Associazione Ascoltarcidi Angelo Russopag. 39

I disegni di questo numero sono stati realizzati all’interno del Laboratorio di Arti Grafiche condotto da Giorgio Fornaca

Le foto di questo numero sono di Carlo Baldacci

(segue a pag. 2)

o f f e r t al i b e r a

(segue a pag. 2)

Il lavoro con le famiglie dipersone con disagio mentale:una trasformazione possibile

di Diana Gallo

Da sempre l’Associazione L’Alba lavo-ra per promuovere la consapevolezza in familiari di pazienti con problematiche di salute mentale al fine di sviluppare una evoluzione creativa e sana dell’intero nucleo, accettare la patologia e le cure, collaborare con i servizi e i tecnici co-struendo rapporti fiduciari, non colpevo-lizzarsi, ma prendersi la responsabilità di avviare un percorso di cambiamento che vede il coinvolgimento dei vari esponenti della persona con patologia della mente , genitori, fratelli, sorelle, figli ecc… pro-tagonisti del processo di cambiamen-to a fianco della persona che in primis deve fare la fatica più grande: uscire dalla malattia. Tutti sappiamo che il fa-miliare soffre accanto alle sofferenze di chi porta un disagio della mente, tutto il nucleo ne risente e spesso in talune re-altà proprio le dinamiche che vengono a crearsi in famiglia non facilitano l’uscita dalla patologia, ma creano i presupposti per una cronicizzazione del problema. In questa ottica pensare alla famiglia come risorsa, come laboratorio di cambiamen-to in collegamento con le associazioni ed

Il pane rovesciato

di Maria Velia Lorenzi

E’ più forte di me, quando vedo il pane “rovesciato” devo immediatamente ri-metterlo nel verso giusto. Ed è più forte di me separare i “rosicchi” dal resto dei rifiuti e regalarli a chi fa il”pastone” per gli animali da cortile o la zuppa al cane. E’ la cultura del rispetto per il pane nella quale sono cresciuta. Mia nonna, a tavola, mi ri-peteva che era uno spreco grave lasciare l’avanzo di una fetta a fine pasto, che but-tare il pane era peccato e che le briciole lasciate sulla tovaglia saremmo andati poi a ricercarle col dito mignolo acceso, una volta morti. Terrorismo inflitto ai bambini, dicono oggi. Per parte mia. non ricordo di esser stata terrorizzata da questo. Rima-nevo un po’ scettica, un po’ perplessa, e mi è rimasto il rispetto del pane. Per me, è quasi malinconia ritrovarmi in tavola una mollica bianca slavata e insipida, di quella che indurisce dopo poche ore. Il pane “vero”, quello di pura farina di gra-no, diventa dolce in bocca, perché l’ami-do, durante la masticazione, si trasforma in zucchero, si mantiene per diversi giorni e in Toscana, per fortuna, non è una rari-tà. Basta conoscere il fornaio giusto. E, a

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A.Periodico bimestrale dell’Associazione L’ALBA - Anno V N° 4-6 LUGLIO DICEMBRE 2010 - Anno VI - N° 1-2 GENNAIO APRILE 2011 | Pubblicazione bimestrale registrata presso il Tribunale di Pisa al n. 9/06 del 24 Maggio 2006 | La riproduzione, anche parziale, è soggetta ad autorizzazione

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2L’IMMAGINARIO n. 4-6 Anno V Luglio/Dicembre 2010 - n. 1-2 Anno VI Gennaio/Aprile 2011

parte il gusto e la sostanza perduti, come si potreb-bero preparare, col pane slavato, piatti tradizionali ed irrinunciabili come la “zuppa”, il pancotto, la pan-zanella? Tutto diventerebbe una sbobba. Nella ge-nuinità e solidità del pane trovo, forse non del tutto stranamente, una sicurezza morale, una solidità di sentimento. Ci risento la dura fatica dei nostri nonni non sprecata, la loro gioia di semplici cose che non è giusto svanisca. “Pensa ai bambini che hanno fame” mi dicevano se lasciavo il pane. Ed io mi arrabbiavo e sentivo ingiuste quelle parole, perché ero sazia e pensare alla fame dei bimbi come me non mi faceva venir voglia di mangiare ancora. E immaginavo che la fame, con il progredire dei tempi, con il benessere economico che vedevo avanzare, sarebbe diventa-ta una parola astratta, da citare narrando il tempi passati. Ma, pane della mia tradizione e dei miei più cari ricordi, quanta fame, non solo corporale ho vi-sto, nei tempi della clonazione e dei trapianti, quanta ne vedo mentre tu invadi i supermarket e i fast-food, sotto varie forme e sostanze mentre, mascherato e addolcito, il mercato fa sì che sia data ai ragazzi una falsa immagine di te. Nella loro alimentazione il tuo nome è ovviato. In hamburgers e hotdogs serve un sandwich che più o meno ha a che fare con te. Anch’io ho perso la dimestichezza con le colazioni e le merende di molto tempo fa. Pane olio e sale, pane vino e zucchero, pane e burro, pane aceto, olio e sale, pane e panna del latte, pane e pomodoro. I detti “sotto la neve pane”, “guadagnarsi il pane”, “per un morso di pane”, “buono come il pane , sono a dimostrazione dell’importanza vitale che una volta aveva questo alimento fatto di farina, acqua, lievito di birra, fuoco e fatica. Fatica che, a quanto pare, nonostante le macchine e i congegni a nostra dispo-sizione, non potremo mai evitare, dato che, a quella fisica di un tempo artigianale, si è sostituita la fatica mentale, morale e spirituale nata dal non sapere o potere trarre dal progresso un benessere vero. E c’è la fatica di doversi difendere dall’ “adulterato”: attenzione ai conservanti, ai coloranti, ai concimi chimici, agli antiparassitari, alla buccia della frutta e così via. La scelta del cibo meno velenoso possibile

non diventa un lavoro? E il doverti ricordare per forza ogni minuto che sbarchi il lunario e che potresti vin-cere i miliardi ripetuti di continuo dalla televisione, non è un lavoro? Giocate e vincite fatte diventare argomento e speranza del giorno. Il giocatore è un’ intera popolazione, di giorno in giorno speranzosa prima e delusa poi. E si gioca anche con la vita e la morte. Se questa non è fatica... Sarà per questo che mi è venuta questa attenzione per il pane “vero”. Era la base dell’alimentazione di una volta, ed era poco. Ma oggi, che potremmo avere tanto, la genu-inità degli alimenti, come quella degli eventi e delle conquiste, è spesso adulterata. Così, il benessere del progresso, come il pane che manca di vera farina e vero lievito, ha la freschezza che dura al massimo lo spazio di un giorno.

i servizi, come luogo di relazioni da formare e far crescere, è fondamentale ed indispensabile per faci-litare la cura della persona interessata e l’evoluzione creativa dell’intero nucleo in sé. Dal 2004 L’Alba ha svolto un gruppo settimanale con le famiglie, utiliz-zando il gruppo di ascolto rogersiano per oltre tre anni, grazie al lavoro della Dott.ssa Nada Poggianti che, affiancandomi ormai da anni nella conduzione di questi gruppi, svolge in seno all’Associazione un importante lavoro di supporto, ascolto alle famiglie e supervisione al gruppo dei facilitatori e dei conduttori dei gruppi e dei laboratori. Nel tempo è aumenta-to notevolmente il numero dei genitori e familiari di persone con doppia diagnosi, patologia psichiatrica e disabilità intellettiva che ha visto, grazie al progetto Nuovi Spazi di Vita, il nascere e strutturarsi interna-mente di un eccellente lavoro sulla D.I. medio lieve di cui ampiamente si parlerà in questo numero de L’Immaginario. Il numero dei familiari che si stanno impegnando per fare un percorso di cambiamento è alto e nel tempo si sono fissati tre gruppi mensi-li, due di ascolto ed uno di auto-aiuto per familiari interessati alla riflessione del “dopo di noi- durante noi” e all’abitare supportato per la vita autonoma, riflessione che ha proposto e stimolato una nuova progettualità sulla vita autonoma.

Queste parole per invitare le famiglie ad acquisi-re la consapevolezza che per vedere il cambiamen-to del p r o -p r i o figlio o di altro f am i -l i a r e mala-to oc-c o r r e innan-zitutto ef fet-t u a -re un proprio lavoro personale di trasformazione che porta nel tempo a godere di grandi risultati in termini di maggiore salute ed equilibrio e qualità della vita di tutti. Agire su piccole e impercettibili azioni che quo-tidianamente cambiano le dinamiche delle relazioni interpersonali interne al proprio nucleo familiare, la-vorare sull’accettazione della propria e altrui libertà personale di essere e di esprimere, sulla ricerca della propria libertà e della propria felicità, esempio ra-dioso per la vita degli altri. Questo si può fare. Ma ci vuole tempo, impegno, pazienza, dedizione, affidarsi e crederci.

In questo senso vorrei riproporre su questo nume-ro un articolo che ho scritto in riconoscenza ad una esperienza che per me andava in questa direzione, un gruppo di familiari che si sono presi cura di sé

Il pane rovesciato (da pag.1)il lavoro con le famiglie... (da pag.1)

segue a pag. 25 Maria Velia Lorenzi

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3L’IMMAGINARIO n. 4-6 Anno V Luglio/Dicembre 2010 - n. 1-2 Anno VI Gennaio/Aprile 2011

Il VII Convegno Nazionale self-help

Eva Campioni

Il 17, 18 e 19 settembre 2010 a Brescia è stato organizzato il VII Convegno Nazionale selh-help, auto-aiuto e auto mutuo aiuto, dal gruppo alla comunità: la forza della condivisione, pro-mosso dal coordinamento nazio-nale delle realtà di auto-aiuto e organizzato dal Coordinamento Regionale Lombardo delle Real-tà di auto-aiuto, con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento delle Poli-tiche della Famiglia e ho avuto la preziosa occasione di partecipar-vi come portavoce di tutti i soci dell’Associazione L’Alba. Sono state tre giornate molto inten-se, tra conferenze interessantis-sime, come quella di Fabio Fol-gheraiter, professore di “Metodi e tecniche del servizio sociale” al Corso di laurea in servizio so-ciale presso l’Università Cattolica di Milano. Dirige la collana di te-sti professionali di lavoro socia-le del Centro Studi Erickson di Trento ed è autore di numerosi libri tra cui “Teoria e metodologia del servizio sociale: la prospet-tiva di rete” (Angeli, 1998), “Gli operatori sociali nel welfare mix” (con P. Donati, Erickson, 1999), “L’utente che non c’è”, “La libe-ralizzazione dei servizi sociali”, “Tossicodipendenti riflessivi” e “Il servizio sociale postmoderno”.

Ho potuto ascoltare una lunga serie di testimonianze di persone che raccontavano i propri gruppi, dedicati ad una varietà di difficoltà: dal lutto, all’affidamento, dal divorzio alle malattie più invalidanti, per il benessere mentale e lottare contro ansia, depressione, attacchi di panico, disturbi alimentari, gruppi per i diritti e la con-sapevolezza dei gay, gruppi per il sostegno delle persone cun un familiare deceduto per un incidente stradale.

L’Associazione L’Alba di Pisa ha attivato gruppi d’auto-aiuto per il disagio psichico dal 1993 ed è stato inte-ressante confrontarsi con altre realtà. Mi ha colpito quanto siano pochi i gruppi d’auto-aiuto inerenti al disa-gio mentale condotti da utenti o ex-utenti della salute mentale, anche se gli “operatori” hanno mostrato una grandissima capacità di porsi alla pari. Mi auguro che sempre più realtà e associazioni riescano a garantire, con fiducia e speranza, alla persona che soffre di un disagio psichico questa possibilità, che stimola moltissimo l’autonomia, l’Empowerment e l’autodeterminazione. Una guida professionale esterna che fornisca un’adeguata supervisione e una buona formazione è più che sufficiente alla maturazione di facilitatori di gruppi.

Partecipare a questo convegno è stata un’esperienza molto coinvolgente. Entrare a far parte di un gruppo d’auto-aiuto ti consente di arricchire la tua vita di valori, come l’ascolto, la cura del rapporto paritario, la soli-darietà che contribuiscono sensibilmente a migliorare la propria “rappresentazione del mondo”, al di là degli obiettivi di benessere e salute. Vedere così tante persone, provenienti da tutta Italia, condividere tutto questo è stato molto bello.

Quanta energia, quante emozioni positive, quanti sorrisi, quanta voglia di vivere e conoscerci c’era in tut-ti noi! Eppure per le difficoltà grandissime attraversate da ciascuna di queste persona, non avremmo dovuti essere tutti in lacrime, incapaci perfino di parlare? Ancora una volta ho avuto la conferma di quanto sia forte l’auto-aiuto!

http://www.amabrescia.org/convegno-nazionale-automutuoaiuto.html Contiene materiale del convegno e la possibilità di lasciare la propria testimonianza.

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4L’IMMAGINARIO n. 4-6 Anno V Luglio/Dicembre 2010 - n. 1-2 Anno VI Gennaio/Aprile 2011

Grande successo quest’ anno anche più degli anni scorsi in termini di partecipazione e gra-dimento per le Giornate Nazionali della Salute Mentale che hanno visto una frequenza media di 50 persone ad incontro per un totale di 1000 in tutto il mese.

Infatti da una giornata, ad una settimana sia-mo arrivati a fare un mese di iniziative a pro-mozione della salute e dei buoni stili di vita che hanno stimolato l’intera cittadinanza svolgendosi dentro il Circolo L’Alba, ma anche sul territorio cittadino.

Così il primo evento si è svolto mercoledì 24 novembre in Biblioteca Comunale a Pisa, ripro-ponendo la presentazione del libro “Andata e ri-torno”, storie e testimonianze di trasformazione

nei gruppi di auto - aiuto psichiatrico per ripar-lare ancora del valore dell’auto-aiuto e del pro-tagonismo degli utenti nel loro percorso di cura.

Venerdi 26 novembre al Circolo L’Alba la novità della presentazione del calendario 2011 con le foto dei ragazzi soci de L’ Associazione a cura di Riccardo Romeo e la mostra fotografica “tratti e ritratti” a cura di Riccardo Romeo e Carlo Bal-dacci, mostra che è rimasta fino a fine Gennaio 2011.

Sabato 27 novembre al Circolo L’Alba un po-meriggio dedicato all’ improvvisazione musicale e alla danza.

Il seminario sull’ improvvisazione musicale e vocale in ambito terapeutico a cura di Eugenio Sanna e Diana Gallo e a seguire “Le milleuna” tri-

buto a Demetrio Stratos, una Per-formance di improvvisazione mu-sicale, vocale e di movimento con Eugenio Sanna, Diana Gallo e Man-rico Fiorentini. Successivamente un interessantissimo concerto de: LA CARRETERA DEL CANTO che ha visto il plauso dei presenti stupiti dalle sonorità che uscivano.

Il 30 novembre il Circolo L’Alba si è riempito di soci curiosi e deside-rosi per il Seminario: “Come rag-giungere la felicità e liberarsi dai condizionamenti”. In tre relazioni diverse, ma altrettanto avvincen-ti si sono susseguiti gli incontri di Vincenzo Tallarico - psicologo e psi-coterapeuta junghiano a orienta-mento buddista, Alessandro Lenzi - psichiatra Ricercatore del D.P.F.N.B. dell’Università degli Studi di Pisa e di Corrado Rossi - psichiatra Di-rettore DSM dell’ Azienda USL 5 di Pisa. Le persone felici e contente non volevano andarsene…

Mercoledi 1 dicembre la pittura di gruppo prevista per piazza della Berlina con Giorgio Fornaca, causa pioggia, si è spostata al Circolo, a se-guito lavori sono stati appesi con la soddisfazione degli autori. Poi tutti a pranzo con I centri Diurni, le case famiglia, le residenze e le associa-zioni del territorio che si occupano di salute mentale, oltre 60 persone insieme a convidere un bel momen-to di scambio da cui è scaturito un video ad opera di una stagista Au-rora Piaggesi, che ha rappresentato

GIORNATE NAZIONALI DELLASALUTE MENTALE

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Dipartimento di

Salute Mentale D.P.N.F.B.

Segreteria Organizzativa: Associazione L’ALBA | via delle Belle Torri n. 8 | 56127 Pisa (PI) | tel. 050544211 | mail: [email protected] | web: www.lalbassociazione.com

25 eventi culturali e promozionaliprogramma completo su:

www.lalbassociazione.com

Giornate Nazionali dellaSalute Mentale20 10

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5L’IMMAGINARIO n. 4-6 Anno V Luglio/Dicembre 2010 - n. 1-2 Anno VI Gennaio/Aprile 2011

l’anima vivace e dinamica della giornata. Nel pome-riggio un canto collettivo con Claudia Zimmerman ha rallegrato ancor più gli animi per poi tuffarsi nel profondo lavoro di Acquadrama con Chiara De Marino. Un video e una conferenza tematica sull’ E s p e -r i e n z a locale e interna-z ionale dell’uso dell ’ac-qua con la tera-pia psi-codram-m a t i c a ci ha catapul-tati in una ri-flessio-ne pro-f o n d a sull’ora, l’allora e l’oltre.

A se-guire la presentazione del libro “Leggere all’infini-to” di Daniela Bettini e Bellatalla Luciana con Bet-tini Daniela l’ autrice. Maria Velia Lorenzi e Diana Gallo hanno presentato l’autrice e il testo prezioso che la stessa ha trasmesso ai presenti con lettu-re calde e sentite. Non sono mancati momenti di grande commozione.

Giovedi 2 dicembre 2010 Esempi di Cultura So-ciale con Claudio Neri, Pietro Malavenda, Diana Gallo, Eugenio Sanna, Vincenzo Tallarico, Alessan-dro Scarpellini, Elisa Bini, Consuelo Arrighi, Mano-lo Panicucci, Erika Arrighi, Mirella Vernizzi, Grazia Carmignani. Tutti insieme uniti tra presente passa-to e future sull’amore per l’arte e la cultura.

Venerdi 3 dicembre un importante seminario: La famiglia della persona con problemi psichici: limite o risorsa ? Paolo Marinari - Psichiatra Azienda USL 5 di Pisa e Annibale Fanali - Psichiatra Presidente Cooperativa Agape hanno accompagnato I presenti in un percorso di riflessione sulle modalità di es-sere delle famiglie in relazione a sè e ai servizi e come poter modificare alcuni comportamenti per migliorare.

Presente Manuela Sassi-Presidente Associazione Speranza Onlus di familiari di Pisa che ha presen-tato una ricerca sulle parole utilizzate dai giornali sul tema del disagio mentale.

Il tutto moderato da Aldo Bellani. A seguito una buona cena tra i Familiari dell’ Associazione L’Alba e dell’ Associazione Speranza Onlus accompagna-ta dalla musica di Stefano Bauer in concerto con chitarra acustica e voce.

Sabato 4 dicembre la Premiazione del concorso “Versi per l’anima” seconda edizione con Maria Ve-lia Lorenzi, Cristiana Vettori, Diana Gallo, Eva Cam-pioni, Piero Floriani. Le Letture delle poesie dal vivo

Tratti RitrattiVenerdì 26 novembre 2010 ore 17.30

Associazione L’Albavia delle Belle Torri 8-Pisa

Evento inserito all’interno delleGiornate Nazionali della Salute Mentale 2010

info: 050544211 | [email protected]| www.lalbassociazione.com

Mostra Fotografica a cura diCarlo Baldacci & Riccardo Romeo

Dipartimento diSalute Mentale D.P.N.F.B.

sono state accompagnata dalle musiche di Eugenio Sanna, momento molto emozionante la premiazio-ne con i lavori di ceramica svolti nel laboratorio e premi in denaro.

Domenica 5 dicembre in Borgo Stretto un Ban-

chetto promozionale sulla Salute Mentale con lo slogan “Luce per Illuminare le Menti” informava la cittadinanza sulle tematiche.

Giovedi 9 dicembre “La formazione nella relazio-ne di aiuto - Corsi e percorsi di facilitazione sociale, counseling e psicoterapia con Cristina Innocenti, psicologa e Marilla Biasci, counselor e docenti Per-format S.r.l..

Venerdi 10 dicembre uno splendido concerto di flauto barocco con Carlo Ipata “Geometria delle emozioni, viaggio attraverso gli stili musicali del‘ 700” ci ha scaldato il cuore in atmosfere suggesti-ve.

Domenica 12 dicembre l’evento “Cose da pazzi“, I Media e la Salute Mentale, una discussione tra le realtà sociali presenti sui video a cura di Lucia Gonnelli dell’ Associazione L’Alba Pisa e l’ Associa-zione Mediterraneo di Livorno, e Cosma Ognissanti Associazione Aiart. Presente in sala una giornalista del Tirreno che ha fatto un articolo pubblicato suc-cessivamente sull’iniziativa.

Il 15 dicembre il libro di Angelo Tonelli “Sperare l‘insperabile” con letture accompagnate dalla mu-sica di Eugenio Sanna ha alzato la rilflessione sulla necessità di politici illuminati per il rinnovamento vero dell’umanità, mercoledi 23 due risate con il Cabaret con lo spettacolo “Le faremo sapere” di e con Laura Rossi e Andrea Lancioni.

A concludere il tutto sabato 25 dicembre il Pranzo di Natale: circa 35 persone a condividere la festa in compagnia. La solitudine al Circolo L’Alba non c’era….

Un mese della salute mentale veramente bello, da riproporre e da ricordare.

Ferdinando Romeo

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6L’IMMAGINARIO n. 4-6 Anno V Luglio/Dicembre 2010 - n. 1-2 Anno VI Gennaio/Aprile 2011

Il 18 dicembre 2010, nell’ambito delle Giornate Nazionali della Salute Mentale, al Circolo L’Alba è stato presentato, con la partecipazione dell’autore, l’ultimo libro di Angelo Tonelli: Sperare l’insperabile. Per una democrazia sapienziale. Armando Editore. Roma. Euro 19,00.

Di seguito l’intervento di presentazione di Maria Velia Lorenzi Bellani (n.d.r.)

La figura in copertina è altamente simbolica: un uomo solo con se stesso sul filo sospeso, che avanza fidandosi del suo equilibrio. Nudo come la verità, i piedi non evidenti perché per poter camminare gli serve di più la forza interiore, la consapevolezza di esser capace. La vita umana è questo: difficile, da equilibrista, non può evitare la fatica, il prezzo è la perdita di se stesso. Fatica e gioia della meta ottenu-ta anche con sofferenza, la fatica per ottenere l’equi-librio, la sofferenza della paura di cadere che tenace resta, la bellezza e il riposo dell’essere giunti alla meta senza cadere.

Di questa opera ci sarebbe da parlare così tanto da meritare un dibattito fra eruditi del pensiero antico e moderno. Troppo vasto è il campo, troppo profondo l’argomento e ardita la sfida lanciata a coloro che, “dormienti” come li defini-sce Eraclito, del cui pensie-ro il libro è costellato, non possono o fanno fatica a raccogliere il “LOGOS CO-SMICO”, il linguaggio uni-versale.

Quando Diana Gallo mi ha proposto di partecipare alla presentazione all’Alba di questo libro, ho accetta-to perplessa, credendo di dover parlare di un argo-mento che non è nelle mia corde: la politica. La politi-ca nel significato che essa ha ormai da tempo assun-to. Ma subito, con grande compiacimento, mi sono accorta che quello che an-davo leggendo era alla fine quello che vado meditando e portando da anni al mio Laboratorio di scrittura, qui descritto in maniera colta e scientifica. Io mi sento di ringraziare l’autore per quello che ha scritto, perché non si è arreso all’in-sperabile e, come tutti quelli che ascoltano ciò che Eraclito chiama “il logos cosmico”, non sa e non vuo-le tacere e coraggiosamente cerca di svegliare chi non riesce a sentire. “Sperare l’insperabile” perché

“se non lo speri non lo scoprirai, perché è chiuso alla ricerca e ad esso non conduce nessuna strada”, dice sempre Eraclito. Politica è scienza e arte di governa-re lo stato ed etimologicamente parlando viene dal greco politikòs, relativo al cittadino (polites). Questa parola però non mi sembra certo fedele al suo si-gnificato originario: ormai il linguaggio politico è un linguaggio a se e per se, il politichese è sinonimo di un modo di esprimersi con parole a effetto, fine ai politici, il politicone è un personaggio che, sempre a parole sa dartela a bere. Se posso osare un conio di parola, mi sentirei di dire che ‘politica’ non è ‘poleti-ca’. Etica, dal greco ethiké, scienza della morale che insegna a governare i nostri costumi. ‘Eticamente corretto’ è anche di più che ‘moralmente corretto’ che, da mos, costume, riguarda il modo corretto di comportarmi, ma che posso rifiutare per qualche ragione a costo di essere giudicato scorretto. Etica-mente corretto si estende invece a valori universali non rifiutabili: dire che i diritti umani sono uguali per tutti è una verità che non si discute. La verità, che va nuda per esser riconosciuta nelle sua interezza, la verità che fa paura.

L’utopia, il non luogo, messo accanto ad eventi af-fascinanti da realizzare, rende quegli stessi eventi

inutili da essere perfino pensati. “Ma è utopia” si dice al più sorridendo indulgenti. Ma l’utopia fa parte del-lo sperare l’insperabile che, come detto prima, scopriremo solo ren-dendolo vero dentro di noi come realtà difficile ma non inesistente. Quando i compagni meno ingenui di me mi dissero che Babbo Natale non esiste, provai una specie di vuo-to, certo dovuto anche all’improvvi-sa consapevolezza di aver vissuto nove, dieci anni in un inganno. Pure, la magia del Natale non mi ha mai abbandonato. Aspettavo lo stesso emozionata i pochi doni e li ho mes-si ai miei figli sotto l’Albero fin da grandi. E anche la Befana la sento in me, insediata in un luogo del cuore da me bambina. Pensare quindi che possa chi governa riuscire ad essere illuminato è un po’ come credere in

qualcosa di affascinante ma possibile solo nel nostro mondo interiore? Il desiderio che possa esistere lo farà alla fine esistere? Quando Gesù disse: ”Il mio regno non è di questo mondo” non volle dire che è impossibile regnare spogli di quelle cose che rendo-no potenti, quali denaro, porsi al disopra degli altri, pretendere ubbidienza e, alla fine intossicati da que-

Un libro insolito,una riflessione sull’utopia

di Maria Velia Lorenzi

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sto modo di essere, volere sempre di più per se senza vedere cosa il raccogliere egoistico, il compromesso ecc. producono a chi dipende da noi e al mondo stesso? Come avere il potere su questa terra ed essere illuminati? Mia madre direbbe semplicemente che “basterebbe essere onesti”. Perciò questo libro, io lo ritengo un vero lume per chi sa leggerlo, un lume che mostra le vie e i luoghi interiori dell’illuminazione, un linguaggio universale che ai politici insegna a non nuocere e al popolo che deve eleggerli a distinguere gli inganni e a difendersi da propo-ste ingannatrici e in se pericolose. Questo non mi sembrerebbe nemmeno utopia se non mi risuonasse dentro quella la frase di Gesù. La storia ci insegna. Ma... Ma oggi viviamo un tempo assurdo, dove alle grandi scoperte e conquiste si affianca una realtà di catastrofi assurde a un progresso grandioso: facili allagamenti, frane assas-sine, terremoti lasciati devastare, crolli di antichità non protette, morti per banali cause, come in una guerra. E’ la natura che si ribella al sopruso, è la perdita dei veri valori a devastare. Il mercato fa da padrone e attira tutti, ma soprattutto i più giovani cresciuti nel suo terreno, nel pericoloso Paese dei Balocchi: allora la salvezza potrà solo venire dallo svegliarsi di ognuno per ascoltare quel linguaggio dell’Universo che fa del mondo interiore un luogo di salvezza. Mi piace pensare che questo libro possa essere una guida per il giardino incantato. Qualcuno ne sorriderà, ma è scontato. L’utopia va protetta dal corpo che qualcuno vorrebbe darle, chi crede davvero in lei sa che resta nell’invisibile mondo dell’amore impalpabile. Quello che illumina tutte le cose.

In memoria del Padre BuonoMostra personale a cura di

Francesca CalamiaCircolo L’ALBA - via delle Belle Torri 8 Pisa

Il 05 Febbraio 2011 al Circolo L’ALBA, Fran-cesca Calamia che ha presen-tato le sue fie-re nature mor-te ad olio con queste belle parole:

“La necessità di lasciare im-pressa la mia felicità e lascia-re un’impronta è racchiusa in queste tele. E’ la dimostazione che pur viven-do una situa-zione di preca-rietà assoluta, quando non hai più nemmeno gli occhi per piangere, dentro hai la voglia di vivere.

Una voglia di vivere nata dopo la nascita di Marco. Io e Gigi, il mio compagno e padre di Marco, da clochard siamo arrivati a Pisa, dove ho partorito in strada. Gigi è riuscito a trovare una tana, come la chiamava lui, sen-za luce né riscadamenti, vuota. Con la sua tranquillità e tenacia è riuscito a tenere unita la famiglia con tanti sacrifici, ci ha trasmesso tranquillità e felicità. Marco cresceva sereno, circondato dall’affetto di tutti gli ami-ci, cosi la mia gioia si sprigionavaconcoloriepennelli.Gigi inseguendo la sua libertà non è più fra noi, Marco ora è cresciuto è un ragazzino. Ringrazio le Associazio-ni di volontariato che ci hanno sostenuto in questa pa-

gina di vita: i familiari, l’Associazione L’Alba, S.Vincenzo De Paoli, Sant’Egidio, Gli Amici della Strada, l’Unitalsi, la Caritas , la S.d.S. zona pisana, il Dott. Maurizio Pieri, Dott.ssa Maria Letizia Ciompi e i clochard”.

Dedicata a Marco e Gigi.Inizia la presentazione Giorgio Fornaca che in mezzo

ad una calda e numerosa partecipazione e commosso propone ai presenti la lettura di un suo scritto che com-pleta di bellezza e poeticità la serata.

Un buffet e chiacchiere serene tra i presenti che am-mirano le opere prese in prestito dai privati che hanno la proprietà proseguono tra i partecipanti.

Tutti felici di aver preso parte ad un così bella e in-tensa iniziativa.

Ne’ con te, ne’ senza di teI tuoi fiori e la natura che esprimono sono i frutti

ben raccolti dei giorni, di quei giorni, che sono un po’ la passione di tutti i

giorni. I giorni che non conoscono ne’ il bene ne’ il male, bensì un filo

sottile che supera entrambe, così come fa ogni creatura quando si fa sera e si

acquieta il cuore. Così fa l’onda che cede il passo alla battigia umida che

ricca di frutti apre l’occhio agli amanti ormai avvezzi al giorno.

Ne traspare flebile la luce che contorna gli og-getti e di velluto li accarezza per

emergere dal nero profondo della stanza. Si avverte la quinta parte di ciò che è

quarto e ne deriva immensa sostanza. Giorgio Fornaca

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Esprimersi con la

Scrittura

Non venirmi incontro

Non venirmi incontroquando seduta come un Buddhaguardo nell’ariai rossi incensi dell’autunno.Perché la mia animanon è più presente ma proiettataverso simulacriche ancora omaggiano la sera. Chiudi gli occhi e meditache la vita viene e vae talvolta ci tradiscenascondendo il doloreche a piene maniun giorno ci elargirà.

La vita è

La vita è,non ha storiema taluni momentiin cui ci pare di ravvisarneil senso, una galassia di oreche corrono viae già non ci sei più,come venimmo al mondocosì ce ne andremo.La vita è un intervallotalora di cose amareche mordono il pettovipere dell’aria.Le perle sono in un guscioche non si apre.Dal profondo puoi cercarela scala dei pensieriche porti in alto,sul tetto come un gattoa miagolare con sentimenti scopertila tua solitudine,ma, altrove, essa è altrove.

Donne di mare

Incontriamoci a ovestdove il sole inviai suoi fantasmagorici vascelli.E’ là che posso imbarcarmie sentirmi regina di sentimenti.Ma quando trassi dal baulei miei gioielliuna nebbia li appannòe spense i loro bagliori.Persi l’amoreche con un lamento di esuleancora, povera naufraga,vado cercando.

Giovanna Roventini

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Persona

Sono persone le anime perseè il loro ruolo individualesmessa la maschera appiccicatadella giornata morentesi ritrovano solea far chiarezza dei momenti buia riprendere il dialogo interrottoe i pensieri vagantirientrano nella loro solitudine.

Crescere

Crescere, assaporare con lentezza.Da un punto, una luceun gioco di immagini si forma.Creare, sviluppare le ideeche vengono in mente.Una luce di coloriillumina l’interno dell’anima.Correre, correreperdutamente nella raduraed inciampare nei ricordi,rialzarsi all’ombra di una fronda.

Daniela Cellai

Franco Galli

Daniela Cellai

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NEBBIA

Nebbia: nella mia vita difficoltà nel lavoro, tanti ragazzi da conoscere e nessuna certezza. La mia vita che procede allo stesso modo.Pericoloso: Le cose che vorrei fare, ma i rischi che corro.Umidità: i fallimenti ricevutiNuvole che raccolgono i miei troppi pensieri.Offuscamento: correre, provare e non vedere mai un buon finale.Orientamento: i consigli che mi danno e di cui non ho mai fiducia.Fatica nel raggiungere miei scopi.Castello di sogni mai raggiunti.Perdersi in questo mare di progetti.Sole che spero prima o poi di vedere.

Monica Sodini

Fabiana Pacini

La nebbia della mente offusca il pensiero; lento il cervello si muove, annaspando affannoso, cer-cando l’aria che manca. Si dibatte disperato boccheggiando, in una lenta agonia senza fine.Quando la nebbia della mente offusca il pensiero, un nero sudario si stende e tutto rende dello stesso colore funereo, tu vaghi disperato nella perenne oscurità, dove il dolore regna sovrano e la via d’uscita è negata.Se la nebbia della mente offusca il pensiero, ti senti disperato, banale, incapace di vivere perché lo splendore del tuo diamante è fuggito via lasciando un sudicio strato di polvere a coprire lo smalto che un tempo era fulgido.Ricorda che quando la nebbia della mente offusca il tuo pensiero ti sentirai sì uno straccio d’essere vivente, incapace di uscire dalla prigione che il nero ha creato attorno a te; ma credimi che nel cuore di ognuno c’è anche la consapevolezza che la nebbia non può durare per sempre e quieto aspetta il caldo sole della nuova primavera che verrà.

Dario Ciardelli

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ERRORE

Non mi sono mai perdonata gli errori, ho sempre avuto questo viziaccio e, con la paura di chiedere ho addirittura perseverato. Solo quando avevo fiducia in me stessa non mi importava niente se sba-gliavo, non facevo nessun errore: ma questi momenti, nella mia vita sono stati rari. Errore la paura di sbagliare, rimpianti per gli errori fatti e giornate di lavoro passate in agonia. L’intera mia depressione pone le sue motivazioni negli sbagli, e quelle volte in cui ho avuto fiducia di me stessa non le scorderò mai. Mi sentivo più forte, come se qualcosa mi sostenesse. Accettare di sbagliare, una frase per me inesistente, quasi fosse lingua araba. Chiedere se si ha paura di sbagliare, frase a me conosciuta, ma è come se fosse la suocera la quale tante persone cercano di tenere lontana. Il coraggio di agire, anche e soprattutto questo mi manca. Aspetto con ansia il giorno in cui tutto cambierà, ma si dice che il destino te lo fai un po’ da te. Per fortuna che ho tante passioni: leggere, scrivere e dipingere. Ma questo non basta, non basta sopravvivere, prima di tutto e soprattutto, bisogna vivere.

NIENTE

“L’amore è eterno finché dura” Carlo VerdoneE’ bastato un niente per far sì che i nostri sguardi s’incontrassero; un impercettibile battito di ciglia tra la nuvola di un fumetto e l’altra, che creò un lieve legame di anime.E’ bastato un niente perché c’innamorassimo e allora i nostri cuori impazzirono nel rincorrersi tra gli arcobaleni scintillanti, in un mondo lontano alla ricerca di quell’UNICO che solo gli angeli beati riescono a percepire; e allora venne il tempo delle promesse, dei progetti, del sognare di un futuro assieme tra anelli nuziali e capelli d’argento ondeggianti nel vento dei lieti ricordi.E’ bastato un niente perché il gelo penetrasse tra di noi. Parole non dette, mal comprese o inventate, sguardi ormai lontani pur nella forzata convivenza, i cuori che presero strade diverse, e le nostre mani nello stringere invece di trovare le dita dell’altro alla fine trovarono solo il niente.

Monica

Fabiana Pacini

Personalità

Quanti ricordi intorno alla mia personalità, quante tappe lungo la strada verso il traguar-do che ci porta alla nostra anima. Con il tempo riusciamo a modellarla, per cercare di stare attenti a tenere quello che sia buono ed allon-tanare qualche cattiva erba, sradicarla prima che metta le radici. Dopo tantissimi anni ho raggiunto un buon livello; questa personalità che ho costruito mi piace di più; da bambino e fino a venti anni ho vissuto con la timidezza

e per scrollarla di dosso quanto ho dovuto lottare: diciamo che ne è rimasta solo un po’. Adesso son o più spigliato, estroverso, ho una buona dose di autoironia e sto cercando sempre di ottenere quello che la mia anima desidera: la pace interiore; infatti se manca quella addio...per curare un’anima non bastano le medicine, le bende ed i cerotti..se qualcuno ti ferisce cerchi di essere sempre più forte e, come disse Rocky Balboa, “nella vita non è importante come colpisci, ma come sai reagire ai colpi”. Quando mi sono lasciato, sono andato a tappeto, ho creduto di non sapere più rialzarmi. Mi ha salvato una mia amica iscrivendomi a Facebook; lì ho buttato tutte le mie lacrime, lì ho curato le ferite, lì ho trovato nuovi amici, lì ho ritrovato il sorriso..dopo sei mesi ho ricominciato a ridere; adesso la mia per-sona è più serena. Quando adesso Daniela ha detto la parola “pensiero”, ho pensato alla canzone dei Pooh “Tanta voglia di lei”. Tanta voglia di ritornare a vivere, e anche se l’amore finisce, e anche se nel mio cuore c’è un momento di tristezza, ci pensano gli amici a regalarmi una carezza. Mi danno tanto amore e ritorna pure la dolcezza.

Gaspare Scalzo

Alessio Mammini

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Labirinti II

Non ricordo la citazione precisa, ma Eraclito di-ceva, più o meno, che nessuno mai arriverà a scoprire i confini dell’anima. E del resto, sembra che anche l’universo sia in espansione. Mi è capitato tra le mani un libro sui labirinti. E ricordo il labirinto di Collodi, dentro al parco di Pinocchio, da cui, se non sbaglio, si esce proprio dall’entrata. Tradizionalmente il labirinto è sim-bolo della ricerca del centro. E’ un atteggiamen-to errato il desiderio sfrenato di uscirne. Poiché per venirne fuori bisogna prima trovarne il cen-tro del labirinto che è pure il centro dell’anima. Ancora da Eraclito: l’anima è un’espressione che accresce se stessa. Nel mio labirinto inte-riore trovare il sentiero per il centro significa in-contrare i fantasmi, le paure che attanagliano la mia anima. Ma, come mostra Kafka, può essere ancora più inquietante un labirinto formato una linea retta, dove vedi sì l’uscita ed il sentiero per venirne fuori, ma più cammini e più la meta si allontana; sembra che questa situazione sia capitata pure a me durante un sogno.Se il labirinto è una prova da superare, è il luo-go dove s’incontrano le proprie paure, è anche il territorio dove posso incontrare la “persona” che mi più mi spaventa, e cioè me stesso. Il me stesso “forte”, addestrato e controllato, che a mio parere non dovrei essere. Ma di fronte allo spazio aperto, mentre sto sulla soglia del la-birinto interiore e quello dell’esistenza, provo a guardarli entrambi dall’alto, ed allora vedo solo geometrie affascinanti e in qualche modo molto ordinate.

Davide C.

Viandante

Come un viandante di altri tempi, lasci la città e t’incammini in un percorso tutto nuovo; sai quello che lasci, ma non sai quello che trovi. Incominci il tuo cammino come un pellegrino e decidi tu la via da seguire; cammini per ore ed ore, affrontando rischi e pericoli, ma anche in-contri interessanti, sia con persone nuove, che ti stimolano ad andare avanti, sia con i paesaggi che si pongono davanti a te: un monte da sca-lare, una vallata da superare, suoni e luci che cambiano. Il sole illumina il percorso che tu hai deciso di intraprendere, e quando la fatica si fa sentire, allora decidi di fermarti, di ristorarti con quello che hai dietro, o come facevano gli anti-chi viandanti, con quello che la natura ti dona.

In alcune stagioni ti offre un mondo con i suoi frutti, che basta allungare una mano per co-glierli, in altre stagioni non è così, anzi il pericolo è dietro l’angolo. Il freddo intenso rende tutto il percorso rischioso. Ma incontri altri viandanti e con loro prosegui il viaggio e non sai dove ti porterà o dove arriverai, ma continui il tuo cam-mino fatto di sofferenza, o voglia di conoscenza e curiosità, che t’ispira nonostante la fatica di andare avanti.

Massimiliano Biagini

Risveglio della Felicità

Come rinascere da un passato cancellato, un ideale in testa che ti accompagna per qualcosa che desideri, quando sei solo non piangere ma riprendi il cammino. Se ti sei fermato, non aver paura di raggiungere una meta e l’ignoto che si presenta. Non giocare sul fatto dell’insicurezza, ma fai tesoro di ciò che hai senza sperare di raggiungere altre mete. Non importa se sei po-vero o ricco, basta che sia te stesso. Dai tempo al tempo e troverai sempre qualcosa che ti farà felice. Prendi le occasioni al volo senza perderti nell’irraggiungibile. Le cose, vadano come va-dano, sei tu il protagonista di te stesso. Vivi e cerca sempre in te un motivo per vivere in pace e appieno. Se godere il piacere da soli non è possibile, puoi offrire la parte migliore di te a chi ti sta intorno. Non lasciarti sfuggire l’attimo e non fuggire dall’attimo. La vita è piena di cam-biamenti e di novità e tu non puoi rincorrere tutto ciò che vedi. Accetta la vita e accetterai te stesso e sarai sempre pieno di pace per un nuovo risveglio.

Gabriella

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Inserimento socio-lavorativo

Mi chiamo STEFANO MEUCCI , è tre anni che svolgo una attività di inserimento socio-lavorativo presso il Circolo L’ALBA .Mi interessa lavorare sempre; perché senza attività mi ammalo di più, mi viene di più il disturbo bipolare e la depressione.La mattina vengo a lavorare alle nove, due volte fino all’una.I miei compiti sono prima di spazzare, poi di dare il cencio, in tutta la sala.Poi devo pulire il pianoforte, la vetrina, il tavolino di legno; gli angoli vicino al muro.Devo pulire vicino al banco del bar, la tavola di legno, dove c’e la cioccolata; poi il banco del bar.Devo prendere l’acqua dal magazzino, il vino, metto a posto i cenci di terra, i cenci per pulire le posate e altre cose da fare.Pulisco il magazzino, spazzo e do il cencio.Mi piacciono le attività, come il video, la socializzazione; fra amici, i ragazzi che frequentano L’ALBA.Infine mi piace lavorare perché maturo, miglioro la socializzazione, sia lavorativa che sociale, con gli altri.Mi interessa farmi fotografare, nell’immaginario, nel calendario e nelle foto della sala.Spero di lavorare fino alla pensione, di migliorare sempre di più.Mi aiutano Elisa e Diana, nella socializzazione, con le altre persone; ad aprirmi sempre di più.Mi aiuta molto mia madre, a volte mio padre, ma le girate in pulmino con ELISA e i miei amici sono il mio forte; perchè socializzo in tutti i posti dove si và e anche all’ALBA.

Compagnia

Deriva da compagno = cum+panis, con pane = commensale o meglio partecipe dello stesso vitto.Mi piace il significato di convivialità legato all’origine di questo nome, anche perché, in questi tempi così stressanti, c’è tempo per gli amici, quasi esclusivamente, quando si mangia. Ed è piacevole stare insieme mentre si gusta un buon piatto, magari preparato da noi stessi, o davanti a una buona pizza. Mi è capitato spesso ultimamente di organizzare pizzate con gli amici, rare e preziose occasioni di incontrarsi, tanto pia-cere di raccontarsi, di condividere, di esprimere anche la più intima sensazione. E ho scoperto il gusto di accogliere, di farmi vuota e capiente e restare in un ascolto grande che è come un grande abbraccio. Offri-re il pane della propria presenza, e prendere a piene mani il dono della presenza dell’altro. Un compagno però si considera diverso da un amico, un amico è più importante, il rapporto è più profondo. Un compa-gno di viaggio, di scuola, di lavoro o di gruppo di auto-aiuto non necessariamente è un amico. Personal-mente non vedo tanto questa differenza, semplicemente perché la profondità di un rapporto non dipende dal tempo, può durare anche pochi irripetibili momenti. L’amicizia è un dono, un caldo regalo da accogliere con gioia anche se dura un attimo, un secondo in cui si prende qualcosa si dà qualcosa. Nella mia espe-rienza di gruppi di auto-aiuto e dei laboratori sento spesso l’esigenza di molti di avere amici, qualcuno con cui poter raccontarsi, sentirsi, uscire insieme, condividere cose, qualcuno da amare e da cui essere amati. Io mi stupisco di questo pensando “Ma come, siamo tutti qui, tutti orecchi, ad ascoltarti, ad accoglierti, così come sei, a condividere ogni nostro passo, ogni emozione e tu cerchi ancora l’amicizia? Come pensi che debba essere l’amicizia se non così?” Certo, so bene che un amico ti incontra anche fuori dal gruppo, ma è da qui che si parte per poter andare oltre. Si parte dalla compagnia per arrivare, se possibile, se ci si piace a vicenda, se si crea la magia di un sentimento profondo e reciproco, all’amicizia più completa, quella che crea legami indissolubili ed eterni . C’ è un passo del piccolo principe in cui il principe chiede alla volpe di giocare con lui e la volpe risponde che non è possibile finché lui non l’abbia addomesticata. E cosa vuol dire addomesticare? Le chiede il principe. E la volpe risponde che significa creare dei legami in cui ognuno diventa importante per l’altro, smettendo di essere uno come tanti. Significa sedersi prima un po’ lontano, poi volta per volta sempre più vicino fino a quando si finisce per aspettarsi. “Ma poi quando ci separeremo piangerai”, dice il principe, “allora forse sarebbe stato meglio non cominciare un’amicizia”. Allora la volpe risponde che non è vero “perché anche quando non verrai più io ricorderò i tuoi capelli del colore del grano e quando incontrerò il grano mi ricorderò di te e della nostra amicizia. Anche il grano, che non ha mai significato niente per me, diventerà una cosa importante“.I gruppi di auto-aiuto e i laboratori sono compagnia, partecipazione, uno scambio sempre fruttuoso che genera amicizia, sostegno, bellezza e cambiamento.Ho sempre avuto degli amici, ma ho scoperto da poco gli incontri con gruppi anche numerosi, quando si è animati dall’intento di condividere è il massimo e ho avuto momenti di grande gioia e partecipazione, il piacere immenso di essere per gli altri.

Stefano Meucci

M.G.

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www.lalbassociazione.com

Un vortice dell’Anima

La conoscevo appena. Era una ragazza trenten-ne, bloccata in una carrozzina, dopo un inciden-te in auto, dove aveva perso la vita suo marito. Stava ore e ore nel giardino interno del nostro condominio e quando mi affacciavo al balcone la salutavo. Aveva un aspetto insolito: era bion-da, però con degli occhi scurissimi, quasi neri. Ma ciò che mi colpiva era il suo sguardo intenso con cui sfaccettava il mondo intorno a sé. Stava lì, affogata nella bellezza verde del prato (che le donava), si tratteneva tanto tempo, e osserva-va attentamente ogni particolare. Se passavo di là, mi sorrideva dolcemente e rispondeva al mio saluto. Tutto qua, non sapevo altro di lei. Ah, no, mi sto sbagliando; conoscevo il suo nome, si chiamava Michela. La Michela dal sorriso dolce e ben custodito nella profondità dei suoi occhi.Un bel giorno mi decisi di scendere nel giardino e affrontare il suo sguardo. Andai da lei senza alcun pretesto, giusto per conoscerla. La sua compagnia era tanto silenziosa, come se non volesse conoscermi, né avere a che fare con me e forse con nessun altro. Il suo sguardo era di-ventato tagliente e la sua voce era chiara, ben definita, pacata. La voce e lo sguardo non com-baciavano: la prima era dolce e piena di schizzi di malinconia, il secondo era molto reticente e non ospitale. Date le condizioni, mi sedetti, ri-spettando il suo quasi silenzio, in una panchina nella sua vicinanza e, quasi senza volerlo, iniziai ad osservarla attentamente. Aveva un viso leg-germente allungato, inquadrato dai suoi capelli chiari e quegli occhi scuri, in un inedito contrasto con il colore bianco della sua carnagione. Tutto sommato mi “degnò” nel dirmi il suo nome e scusarsi apertamente per la sua indole taci-turna. Solo poche parole, ma abbastanza per

rendermi conto che si trattava di una ragazza speciale, un essere umano che si racchiudeva tanto, forse troppo, dentro di sé. Sapevo che era diversa dal aspetto ridotto che voleva dimo-strare. E infatti, come se di colpo fosse diven-tata una mia cara amica, iniziò a raccontarmi di se stessa. Del suo incidente. Del marito che le mancava. Della sua esistenza a dir poco piatta. E mi parlò a lungo, con lo sguardo accompagna-to dalla sua voce dolcissima. Era cosciente che soffriva tanto, più del dovuto, disse lei. Testi-moniò, con una sincerità schiacciante, che non aveva vissuto un matrimonio felice, però che il ricordo di suo marito era tanto pregnante den-tro di sé. Mi disse che finire in una carrozzina dal giorno alla notte, non la rendeva tanto infe-lice, quanto le aveva cambiato completamente il corso della vita Era diventata quasi acida con tutti i suoi parenti, inclusi i genitori. Aveva scelto coscientemente la sua solitudine. E d’un tratto si fermò. Mi chiese bisbigliando scusa per il tempo che mi aveva rubato. Mi fece sapere che ormai parlava raramente e che il mio arrivo lì, vicino a lei, le ha fatto scatenare tutta la sua rabbia. La tranquillizzai e le dissi che potevo restare ancora con lei. Mi ringraziò e di scatto ridiventò la figura taciturna di prima e la sua vita si confuse con un muro insormontabile. Gli occhi suoi erano neri e, insieme, lo sguardo era scuro. La sua bocca non si apriva più, le sue mani non si muovevano ancora. Le strinsi la mano e me ne andai, sentendomi immensa-mente in colpa per non poterle essere di nean-che un minimo aiuto. Il tramonto era arrivato, come se, per incanto, la nostra storia fosse fi-nita non per scelta, ma per il limite creato dalla natura che ci circondava.Non la conoscevo prima e adesso mi sembra-va di conoscerla addirittura di meno. Lei era un essere coinvolto in un buio totale. Pensai sola-mente questo: che se tutti noi fossimo avvolti nel vortice dell’anima come quello della Miche-la, la nostra vita finirebbe in una oscurità intra-montabile. Mi allontanai da lei, provando tan-ta tenerezza nei suoi confronti ma, allo stesso tempo, cercando intensamente dei raggi di luce che avrebbero potuto illuminare la mia vita.

Silvia Godini

Esprimers i con la

Scri t tura

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Gli Acrostici Insieme

Riflessi sui vetri

Giovanna, Daniela, Massimiliano, Dana, Maria Velia

Raggi di sole hanno squarciato le nubiIridescenze creano immaginiFlebili colori pastello si mescolanoLuce che si scompone e si mostraEntità vibranti nell’ariaSi agitano lenteSomigliano a reminescenze interrotteIl pensiero si ferma

Sosto immobile alla finestraUn riflesso mi abbagliaImprovvisamente l’anima si rivela

Vive di questo bagliore da favolaE più non sente il peso delle coseTrasportata da nuove visioniRiflette su se stessa e si interrogaIl segreto del creato si vede anche da qui.

Giuseppe Farinella

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concorso di poesia inedita

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2010

Per il secondo anno l’Associazione L’Alba ha proposto il Concorso di Poesia Versi Per L’Anima, aperto a parte-cipanti da tutta Italia, come occasione per portare lon-tano la riflessione sul benessere mentale, la lotta allo stigma e rammentare quanto sia importante la scrit-tura come mezzo d’espressione e comunicazione della propria interiorità. Il silenzio impotente di non poter esprimere le emozioni più profonde e di non poter esi-stere per il mondo con il proprio dolore e la propria gioia a volte si scioglie proprio di fronte ad un foglio bianco.Quest’anno è stata presa la decisione di amplia-re il Concorso anche alla prosa, per racconti brevi, di stanziare un premio in denaro oltre alle bellissi-me lampade in ceramica dipinte a mano create dal laboratorio dell’Associazione “Ceramica & Psiche”.La serata di premiazione del 4 dicembre, alla pre-senza della giuria, composta da Pietro Floria-ni, Cristiana Vettori, Diana Gallo, Maria Velia Lo-renzi, Eva Campioni, in cui sono state lette dagli stessi autori premiati le poesie e racconti, è sta-ta caratterizzata da momenti di grande emozione.Ci sono state lacrime di gioia per antichi ricordi che riaffioravano, ci sono stati applausi sentiti per una re-citazione particolarmente esperta e un po’ di dispiace-re al termine della lettura… volevamo ascoltare anco-ra altri racconti, altri versi. Ma quello che rimane nel ricordo è l’incontro tra persone sconosciute, di città lontane, in un luogo, il Circolo L’Alba, nato proprio per essere un territorio di conoscenza senza barriere di paura, di finta esteriorità, di menzogne malsane.

Primo Premio: Paolo Borsoni con la poesia “Frecce”

Versi all’apparenza semplici con un significato che prende subito e porta a camminare “coi calzari che af-fondano sulle foglie” come mitologici arcieri, nell’universo del significato della nostra vita. Belle similitudini per dire che lo scopo dell’esistere non finisce nel bersaglio da centrare perchè dobbiamo raggiungere altre radure dove flettere ancora l’arco e che la nostra vita in cerca di una meta è vana se non comprendiamo che il bersaglio da colpire è dentro di noi.

Tirando con l’arco...essere la freccia.Scoccando la freccia...essere l’arco.Nel fruscio del sibilo...divenire il bersaglio.E mentre la puntas’infigge acuminatatra gli atomi della materiafondersi coll’inquietudinedensa che vibra nel suolo.Camminando sul sentieroessere terra, essere cielo.E coi calzari che affondanosulle foglie sapereche non c’è alcuna mètaa cui tendere né terraa cui giungere solo raduredove flettere un arcoper scoccare una frecciaper tentare di colpireun bersaglio che nella curvaturadella vita e del vuotoinfine è solo dentro l’arciere.

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Secondo Premio: Mariella Rocca con la poesia “La casa dell’infanzia”

La lirica si segnala per l’armonia di contenuto e forma, e per il messaggio positivo che sa trasmettere sullo scor-rere del tempo e su un possibile recupero del passato.Il testo poetico ripercorre i luoghi dell’infanzia, ormai logorati dagli anni, ma ancora depositari di emozioni e ri-cordi, per distinguere ciò che si è definitivamente perduto e ciò che invece può essere conservato nella memoria per illuminare ancora il “vivere lento” di chi scrive.Il linguaggio, penetrante e ricco di immagini, è caratterizzato da effetti sonori, metafore, similitudini, che de-notano un’accurata ricerca linguistica e stilistica.

Negli anni pacati del vivere lentotorno a visitare la casa dell’infanziaabbracciata d’arbusti e rovi spinosi,dove il glicine è rimasto,fiero custode nel tempo,a protezione dello scrigno di antichi ricordi,a profumare coi suoi grappoli fioritiavanzi di vita incuneati tra i sassisgretolati come denti di vecchi,corrosi e ingialliti.La finestra sul retro,che illuminava i miei risvegli,è soffocata da edera abbarbicata alle imposteoggi palpebre chiuse di occhi morenti.Sottraggo i ricordi ancora vivi,a quei ruderi muschiosiormai tana di fantasmi e di animali randagi,per portarli ai miei anni del vivere lento,spalancare le imposte al sole della seraper cullarmi con loro nell’ombra del tramonto.

Terzo Premio: Alessandro Scarpellini con la poesia “Domani”

La lirica si segnala per la musicalità del linguaggio poetico e la leggerezza con cui chi scrive sa evocare vicende salienti e significative della propria vita.I luoghi della città diventano luoghi dell’anima, in cui si specchiano emozioni e ricordi, che danno sostanza alla storia passata e alimentano la speranza nel futuro.Il linguaggio poetico, caratterizzato da audaci accostamenti lessicali, metafore, ripetizioni, versi di varia lunghez-za, si distingue per una sonorità scorrevole e raffinata, e al tempo stesso singolare e inconsueta.

E’ un incrocio di strade / di pietrela mia vita,uno sguardo che confondele vie di Pisacol corso silenzioso e segreto dell’Arno.Un graffio di passionee la stella riflessa nel firmamentodell’acqua sporca di una pozzanghera.E’ la sera nel vicolo quandola muffa racconta storie di amanti.E’ un momento di vento / polverenei tuoi occhi smarritiche guardano lontano, verso il mare.E lancio la mia trottola di sognisui Lungarni.Qui i miei passi di bambinohanno cercato l’infinitosfiorando Dio e le lotte degli operai(e forse l’hanno trovato).Domani il mio fiumesarà abbaglio di sole.

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Riceve una segnalazione di merito Stefano Ging con la poesia “Corsa semplice”

Un commovente momento di illuminazione interiore da fermare sul foglio bianco al ricordo della visione vec-chia, ma ieri improvvisamente nuova del dono del mare limpido. Una delle visioni del mondo che donano la coscienza di sé.

Corsa semplice.Ieri sul lungomareLa finestra dell’autobusInquadrava un mareLimpidoSerenità un attimo

Riceve una segnalazione di merito Mariagrazia (detta Marc) De’ Pasquali con la poesia “Fiesta Mobile (come direbbe Heminway)”

Descrizione incalzante della fiesta del percorso della vita dove ci si può allontanare dalle ribellioni, stanchi perché al profitto che ha vinto, stravinto, convinto, resistono gli ideali e si può ancora credere incontrando il calore umano e le semplici cose della vita.

Sono sessantasei anni - compleanni volati capitati versati - per cuimi sono allontanata da rimostranze concordanze utilità uguaglianzesenza energie, tra Pisa e Milano (du’ posti porelli, smurati sporcatitant’è che a breve mangeremo cemento e berremo petrolio)io campo di solitudine, di fantasie un po’ malate e un po’ declassateuna testa che fatica a confidare nelle relazioni, nella bellezza, nell’usanzaanche perché - ah quale sconforto e pochi se lo dicono! - anche perché il profittocosì goffo, così brutto, così stolto, così fritto dappertuttoHA VINTO – STRAVINTO - CONVINTOe ora, tutti tinti, tutti stanchi, zitti, sempre più vili, più comunicol cuore che non crede nell’intelligenza affamata e sconsideratanonostante due ideali resistano, a volte persino un amore romantico, epico…Per esempio in me che ancora mi colora, cresce, agisce, percepiscecome quei cani seminati in giro d’agosto poi dagli angeli adottaticome le belle musicanti toscane nottate d’estatecome una sera di luna piena all’Associazione l’Alba.Tra offerte di cibo e vino, tra volti e occhi mai scialbinel transitante privilegio d’esser attorniata d’alleatinell’illusione di controllare altre ragioni, cieli stellati.

Sezione Prosa

Primo Premio: Paolo Borsoni con la prosa “Si”

Il racconto si segnala per l’essenzialità e la profondità dei significati.Scritta in prima persona, la narrazione ripercorre la giornata di un musicista che esprime in una sola nota di flauto il proprio intenso sentimento della vita e dell’esistere.La musica assurge così a linguaggio privilegiato per rappresentare una dimensione esistenziale che rifiuta derive solipsistiche o vittimistici abbandoni per concedersi la pienezza di un attimo in cui la vita si illumina di senso.Lo stile è sobrio, conciso e vibrante, caratterizzato da brevi periodi che sanno cogliere l’essenzialità della storia mettendone in luce i più profondi significati.

Preparo la colazione. Bevo il caffè. Mangio un biscotto. Finito di mangiare ripongo i piatti nella dispensa. Nell’anticamera indosso il cappotto. Infilo il cappello. Prendo un piccolo astuccio.Esco di casa. Raggiungo la fermata dell’autobus, circondato subito da un gruppo di studenti vocianti. In pul-lman compio un lungo tragitto. Scendo dall’autobus. Entro dal lato secondario di un immenso palazzo fino a

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una piccola stanza. Tolgo il cappello. Sfilo il cappotto. Apro l’astuccio.Mi dirigo verso la grande sala. Anche i miei colleghi hanno portato i loro strumenti. Presto si scatena un miscuglio di armonie che s’inseguono in un disegnno di timbri e dissonanze. Io cerco la posizione più comoda sulla sedia.All’arrivo del direttore, gli applausi degli spettatori prorompono scroscianti. Il maestro alza la bacchetta. Resta a lungo fermo in quella posizione. Infine il sottile legno si abbassa, la grande sinfonia inizia. Col mio strumento in grembo io cerco di compenetrarmi nella trama che si sta delineando. Studio lo sviluppo dei vari movimenti… e aspetto. A intervalli regolari mi chino per voltare pagina. E mentre la musica sta crescendo di intensità, con lentezza mi rialzo in piedi. Con delicatezza accosto il beccuccio del flauto alle labbra. Con il cuore che batte a velocità doppia di sempre, attendo.E a un gesto del direttore, soffio nel flauto una nota… facendola vibrae nell’aria con la più grande delicatezza. E’ una notsa in cui esprimo tutto il mio sentimento più profondo sulla vita, sull’esistere.La nota scivola via. Allontano il flauto dalle labbra, ascolto il fluttuare della mia semiminima, un semplice Si. Osservo con un nodo alla gola gli altri orchestrali, il direttore, la folla degli spettatori.La sinfonia sta crescendo di intensità. Come un fiume in piena il concerto si avvicina alla sua acme. In un turbinio di linee melodiche vigorose, di suoni pulsanti la tensione si tende allo spasimo, sembra sul punto di lacerarsi. Il direttore fa vibrare all’unicono i violini, i violoncelli, gli stantuffi delle trombe e dei fiati, li unifica in una potente massa appassionata, rivolge uno sguardo fulmineo versi i timpani. La bacchetta sollecita da tutti un’intensità ancora più acuta. La composizione colpisce per la sua veemenza. Io sulla sedia aspetto.Mi chino per voltare una pagina dello spartito. In quell’attimo la musica s’interrompe. La pagina che stavo vol-tando era l’ultima! Ci sono attimi di sconcerto. La conclusione improvvisa ha sorpreso tutti.Poi gli appalusi scrosciano entusiasti. Il pubblico è in preda al delirio, acclama il direttore con trepidazione.Al battimani io mi alzo, m’inchio. Raccolgo il consenso degli astanti… “Bis!”. Più e più volte ringrazio il pubblico. I battimani pian piano si affievoliscono. Gli applausi si smorzano. Lascio la sala. Ascolto i commenti dei miei colleghi, le recriminazioni su imprecisioni compiute. Ripongo con delicatezza il flauto nell’astuccio. E provo una sensazione singolare, quasi di incompiutezza. Nel camerino riprendo il cappello a bombetta. Infilo il cappotto. Esco dal gande palazzo. Mi dirigo verso la fermata dell’autobus. Devo aspettare a lungo. Salgo sul pullman che è molto tardi.Quando raggiungo la mia abitazione, chiudo la porta a doppia mandata. Poso il piccolo flauto all’entrata; accanto al flauto il cappello. Mangio da solo in cucina. Una cena frugale. E ripenso a quanto è accaduto in questa giornata: ai giovani che di prima mattina erano in attesa alla fermata dell’autobus e parlavano ad alta voce della loro vita di cui ritenevano essere certi, padroni.Ripendo ai miei colleghi che prima del concerto si burlavano e si facevano il verso con i loro strumenti con disso-nanze stravaganti, per sottrarsi per qualche istante alla melma del loro presente.Spengo la luce e ripenso a come ho vissuto io questa giornata: quasi senza sfiorare il suolo; una semiminima che ha vibrato nell’aria quasi per non disturbare, un’unica nota che ha aleggiato in una dissonanza sommessa.

Secondo Premio: Stefano Agresti con la prosa “Il mare ha sete”

“Se oggi racconto questa storia è proprio per ciò che non racconta”. Così inizia la storia. E ciò che sembra non raccontare è il grande significato non considerato dall’indifferenza. La forza del racconto, ben articolato e accat-tivante nelle descrizioni, sta in quel bicchiere d’acqua che Antonio, escluso ormai dalla vita dei “normali”, versa ogni giorno nel mare. Quel bicchiere d’acqua ritenuto inutile dai più, versato irresistibilmente da chi si fa scoperto e ostinato come Antonio a “togliere il sale dal mondo”. L’affascinante utopia che è proprio il giusto sale della vita.

Se oggi racconto questa storia è proprio per ciò che non racconta. Ormai da giorni non dormo più, almeno come si intende nel senso comune, tuttalpiù riposo, mi rilasso, ma ogni volta che i miei occhi si chiudono, ogni volta vedo Antonio.Lo vedo in un’azione, in un attggiamento o mentre osserva il mare come fosse un muro, invalicabile.Per me la notte è solo un’area da oltrepassare lentamente e con cautela, in cui il mio primo passo è abbassare le palpebre e aspettare. Che passi, che scorra e mi porti al di là di se stessa, dove c’è la luce.Il fatto è che attraverso Antonio rivivo ogni notte lo stesso giorno. Antonio si muove vacillando, la figura pesante, i pantaloni che gli calano mentre cammina, scalzo, nel corridoio davanti alle grandi vetrate dell’ingresso, si ferma e guarda il litorale, poi indifferente a quanto accade intorno a lui avanza verso l’esterno. Ha indosso una camicia aperta celeste.- Marta, vada anche lei nel giardino sul retro – anzi, scusi, “Dott.ssa Marta” – si rivolge a me Lina, l’infermiera.Io passo dall’ingresso e mi dirigo verso la loggia ed il prato. Lo vedo, ha gli occhi bassi, è immobile, la faccia bianca, quando gli sono accanto si anima, mi prende il braccio e mi conduuce sotto il porticato, lentamente.Piero, Marco e Ida sono seduti ai tavoli tra il giardino e il loggiato. Lorenzo legge un giornale su una panchina scuotendo la testa ritmicamente, è magro, la pelle arida seccata dall’alcool, ha un accappatoio bianco, di quelli che danno qui a villa Solaia.Piero è piccolo, grassoccio, capelli brizzolati, lavorava come inserviente ad una mensa, prima. Ora ride spesso, di niente.Antonio guarda in basso, poi alza la testa e cerca dove potersi andare a sedere con me, si mette il dito sulla bocca

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per farmi capire di fare silenzio, come se dovessimo nasconderci, deve rivelarmi un segreto.Scegliamo il tavolo più appartato, fuori, sotto un grande ombrellone rettangolare.Antonio è lento nel parlare, sto spesso ad ascoltarlo benché si faccia fatica, ma lo ascolto perché credo che a lui faccia bene come lo fa a me.Mi racconta spesso storie inverosimili, alle quali non crederebbe nessuno. Il più delle volte ripete che inse-gnava filosofia e che ora scrive poesie, da quando sta qua almeno.Antonio è qui da otto anni. Mi racconta che Lorenzo lo spia, sempre, anche adesso, mi fa cenno di non voltar-mi, mi tiene la mano. Dice che anche se finge di leggere lo osserva ed è geloso di lui, perché lui ha studiato, mentre quel “grissino” non ha mai aperto libro.Ora sento l’odore de pini, il vento del mare mi porta lo iodio e sparge sul prato il profumo dei gerani, delle surfinie, dei plumbago.Proprio oggi però non racconta storie assurde, ma mi legge due righe scritte a lapis su un foglio spiegazza-to. Parlano di un senso di solitudine, dell’amore verso il mondo e del mare come la madre di tutti, ma sono scritte male e i concetti sono stravolti ed esagerati.Penso che quello che vuole dire sia inceppato dentro di lui come in un lavandino intasato, come in me si è inceppata la notte e il giorno che non scorrono più come dovrebbero.Tra queste righe parla di me e dice che sono come lui, che voglliamo togliere il sale dal mondo, che inaridisce le menti, perché le persone non soffrano. Ha ragione!Dopo di ciò mi alllontano e lui resta seduto.Tutti i giorni da quando sono qui, vado sulla riva riepiego il mio camice e mi siedo sulla battigia. E’ un giugno caldo questo.Il mare mi si avvicina sempre mentre guardo avanti, poi mi volto dietro verso il grande caseggiato bianco. Ogni giorno Antonio mi viene accano, ha in mano un bicchier d’acqua e rimane qualche istante immobile rivolto verso le onde.L’ambiente è limitato, sa che non è permesso uscire da quel tratto, un infermiere-bagnino controlla la spiag-gia: non ci darebbe allontanare. Quindi avanza fino a quando il mare lambisce la lingua di sabbia, si ferma, rovescia il bicchiere e mi dice – il mare a sete –Non rispondo, sorrido. Questo succede ogni giorno.

Terzo Premio: Mariella Robertazzi con la prosa “Al di là dell’al di qua del racconto”

Echi di leggende e di fiabe contribuiscono all’intreccio di questo breve racconto ben scritto e articolato nei vari passaggi narrativi: una sorta di “noir” che si nutre di storie tramandate oralmente e in cui gli elementi fantastici acquistano un valore fortemente simbolico, sollecitando una riflessione sul rapporto tra vita, amore e morte.La prosa, scorrevole e diretta, sa intrecciare aspetti immaginari, particolari realistici, riflessioni, ricordi, in modo armonico e avvincente.

C’era una volta e una volta non c’era.Questa frase paradossale intende avvertire l’anima di chi ascolta che questa storia si è svolta in un tempo distante, perduto per sempre e in un mondo tra i mondi in cui nulla è come appare sulle prime.Lei aveva qualcosa che per la famiglia di lui disapprovava, nessuno rammenta più cosa.Lui viene costretto a partire per un posto irraggiungibile anche al solo pensiero e lei decide di scomparire nell’oscurità di un pozzo.Riportatala alla luce, decidono di restituirla all’abbraccio dei suoi cari ma, durante il tragitto, un piede messo in fallo da uno dei portatori della lettiga, fa precipitare la fanciulla nelle acque del fiume sottostante il ponte.Il fondo di quelle acque divenne la sua dimora.Un giorno, con le mani ormai scritte dal tempo, ritornò nella sua terra un uomo che veniva da lontano e che divenuto nel frattempo pescatore fu richiamato dalla brezza mormorante di quel fiume, ignaro che la solitu-dine del posto derivasse dalla paura che lo si credesse rifugio degli spiriti.L’amo del pescatore si immerse nell’acqua e rimase impigliato proprio nello scheletro della fanciulla e mentre l’uomo cercava di tirare su quello che credeva un grosso pesce, il fiume prese a ribollire e la sua barchetta fu quasi per essere rovesciata da colei che dal fondo lottava per liberarsi.Ma più costei lottava, più restava avviluppata e più veniva inesorabilmente riportata in superficie.Il pescatore che si era voltato per raccogliere la rete sulle prime non si accorse di nulla ma una volta rigiratosi il suo sguardo si posò sullo scheletro appeso al ramo.Il terrore fu tale che egli iniziò a remare forsennatamente verso la riva tentando al contempo di buttar giù l’ossuta fanciulla dall’imbarcazione.Non si rese conto però che lo scheletro era rimasto aggrovigliato all’amo e quando raggiunta la terra, saltò giù dalla barchetta e iniziò a correre tenendo stretta la lenza, la scheletrica ragazza lo seguiva a balzelloni.Con il cuore precipitatogli fino alle ginocchia per la paura, l’uomo raggiunse il suo rifugio e credendosi al si-

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curo accese la lampada ad olio.La luce della fiammella rischiarò d’intorno e il pescatore si accorse dello scheletro riverso sul pavimento e, forse per via d’un inspiegabile richiamo, sentì nascere in lui un sentimento di tenerezza.Dunque, accompagnando le sue grosse mani con parole dolci, liberò la fanciulla senza pelle dalla lenza e la rivestì cosa di meglio aveva per scaldarla.Accese il fuoco, preparò da mangiare e divise il pasto con lei.Dopo non molto, al pescatore venne sonno, scivolò sotto le coperte e cominciò a sognare.Può accadere che durante il sonno, non si sa bene provocata da cosa, una lacrima scivoli giù dalle palpebre di chi sogna: questo è quello che accadde anche all’uomo.La giovinetta scheletro vide risplendere la lacrima alla fiamma del fuoco e d’improvviso avvertì una irresistibile sete.Si trascinò accanto all’uomo e posò la sua bocca su quella lacrima che divenne come un piccolo torrente. Bevve così del suo sentimento più profondo, placando l’arsura di anni.Appoggiò poi quelle che una volta erano state le sue mani, sul cuore del pescatore e prese a batterlo come un tamburo e mentre così lo suonava iniziò a pronunciare la parola carne come se fosse una melodia.E più la ripeteva, più iniziava a ricoprirsi di carne. Ed ecco che allora cantò per riavere gli occhi e i capelli, le mani e le gambe e tutto il resto.Quando fu completa, si accovacciò accanto a lui, pelle contro pelle.E così si risvegliarono, l’uno nelle braccia dell’altro, aggrovigliati nel loro essersi riconosciuti.Narrano che i due scomparvero nel fiume, accolti dalle creature che la fanciulla aveva conosciuto nella sua esi-stenza sott’acqua.Mia nonna, cui devo la materia prima del racconto, dice che nelle storie sapienti raramente l’amore è un ap-puntamento romantico tra due innamorati; più spesso è un incontro tra due esseri che vivono il destino che li accomuna come una danza tra la vita e la morte.

Riceve una segnalazione di merito Mario Guidi con la prosa “Accadde a Pisa”

Una storia vera narrata con il bisogno di dare a un personaggio pisano, trattato come un mostro usato per spa-ventare i “ragazzacci, un po’ di giustizia nel ricordo. Un ritornare bambino per vedere con altri occhi quel Gianni lungo che, con i piedi rattrappiti che somigliavano a zoccoli e un aspetto animalesco caracollava percuotendo il selciato con una lunga frusta. Forse gli piaceva vestire almeno un ruolo nella sua triste vita. Gianni lungo sparito un giorno nel nulla: internato come una bestia e poi morto non si sa come. Nessuno ha mai saputo quando e, che sia vero o leggenda, non fu sepolto. L’uomo è sempre re e da lui nasce sempre qualcosa di lirico e affascinante che vince alla fine qualsiasi bruttura che sia solo fisica. E questo brano, dove c’è una vera indignazione finale, lo dice con forza.

Dico di un personaggio singolare che, anni fa, pareva divertirsi a spaventare i ragazzini che si trattenevano in strada. L’anomalo soggetto era da sempre qualcosa di diverso da un nome e cognome, di cui aveva perso perfino il diritto. Per tutti era semplicemente “Gianni il lungo”.Altri tempi. Di auto ne circolavano poche e la circostanza favoriva l’esuberanza di quei mascalzoni in erba che, incuranti del malumore dei negozianti, che subivano il chiasso, continuavano a sfidarsi a “cin-cin-polla” con le figurine, a gridare “piomba!” a “rimpiattino” e a rinnovare lanci con la trottola.“Ih, ih, ragazzacci! Vi faccio acchiappare da Gianni il lungo!” Minacciava Otello, il macellaio, agitando il coltello per le bistecche. “Il lungo vi mangerà tre alla volta!” Ribadiva Olinto, sulla soglia dell’osteria. E come evocato dal nulla, il mostro arrivava davvero.L’uomo, ammesso che in lui vi fosse qualcosa di vagamente umano, era alto ben oltre la media, i tratti del viso erano perennemente alterati e sulla sommità del capo, da cui gli occhi parevano che volessero schizzar via da un momento all’altro, ondeggiava una massa ispida e grigiastra di aculei, difficile a definirsi capelli.Dalla bocca, semiaperta e atteggiata perennemente in una smorfia dolorosa, si affacciavano le radici giallastre di due soli denti e insieme ad un filo di bava, gli colava giù dalle labbra una sorta di scandito e animalesco grugnito, che faceva accapponare la pelle e rabbrividire l’anima.Mentre brandiva minacciosamente una lunga frusta, con la quale percuoteva rumorosamente il selciato, avan-zava alzando nugoli di polvere, caracollando goffamente. Senza correre però, perché, anche se avesse voluto, non ne sarebbe stato capace. I suoi rattrappiti arti estremi, nascosti in due fagotti di stoffa attaccati alle lunghe leve, più che a dei piedi somigliavano agli zoccoli terminali delle pertiche degli equilibristi. Il morbo, che la scienza riuscirà a sconfiggere troppi anni dopo, aveva prodotto, una volta di più senza alcuna pietà, l’abituale e raccapric-ciante scempio, che completava orribilmente l’aspetto del mostro.Non saprei dire per quanto tempo quell’obbrobrio tra l’umano e l’animale abbia continuato a imperversare per le strade del quartiere. E’ certo però che se il suo apparire avveniva improvvisamente, altrettanto improvvisamente sparì senza lasciare traccia di sé.“Ci hanno pensato le autorità...” mi dissero sorridendo maliziosamente.Con la dovuta circospezione, opportuna quando si parla di questioni torbide o oscure, mi raccontarono che, per

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levarlo dalla circolazione e impedirgli di continuare a dare scandalo con la sua orrida presenza, notte tempo, l’avevano preso e ingabbiato come avrebbero potuto fare con una bestia.I più informati, presenti in qualsiasi comunità, dicevano certi che qualche luminare (e non nascondevano nome e cognome...) gli aveva aperto la testa a scopo di studio e che altri l’avevano sottoposto ad esperi-menti per testare la correttezza di certe procedure chirurgiche.Anche quando Sorella Morte, io spero in breve, lo liberò da qualsiasi angoscia, (e mai definizione fu così appropriata..) nessuno si preoccupò di darne notizia. Nessun manifesto, neanche un trafiletto sul giornale, poiché la morte di un mostro è ovvio: non interessa a nessuno. Anzi, non mi stupirei se, così come si mor-morava “rumorosamente”, fosse confermato che le sue ossa, resti senza valore, furono dati in pasto ai cani o gettate nella spazzatura.Per quanto inverosimile, la storia è vera e accadde a Pisa. Dal che ne consegue una riflessione, un’amara riflessione: e se padre Dante non avesse avuto tutti i torti sul conto dei miei concittadini..!Per carità, solo su qualcuno, probabilmente e disgraziatamente contaminato da oscuri influssi livornesi! Ed escluso i presenti, naturalmente!Come sempre!

Alessio Mammini

Antonio Bufalini

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per un intero fine settimana, lavorando alla propria crescita personale e alla propria consapevolezza. Ve lo ripropongo:

Familiari consapevoli 4

Sabato 10 e Domenica 11 Luglio 2010 alla CASA al GIOGO a Fiorenzuola si è tenuto un Week-end di consapevolezza per familiari di persone con disagio psichico: Familiari Consapevoli 4. L’Associazione L’Astolfo insieme al Coordinamento Toscano Salute Mentale hanno proposto per la quarta volta alla Casa al Giogo questo nuovo appuntamento divenuto un gradito evento annuale aperto a familiari, volontari di Associazioni Toscane per la Salute Mentale, rap-presentanti dei Gruppi di Auto-Aiuto Toscani, opera-tori di Salute Mentale e dei Servizi Sociali, persone sensibili e interessate….insomma a chiunque volesse crescere partecipando a questa esperienza. “Un We-ek-end per crescere nella consapevolezza dell’impor-tanza di lavorare per la prevenzione, il cambiamen-to, l’innovazione, la diffusione di “pratiche dolci e soprattutto per l’inclusione,la dignità e le pari oppor-tunità sociali”, un w.e. di condivisione, conoscenza reciproca, scambio di esperienze in un clima disteso e di energie positive, con il contributo qualificato di utenti ed esperti”così nel depliant. Le due giornate hanno visto in rassegna un nutrito gruppo di persone che si sono confrontate e scam-biate rispetto alle loro compe-tenze e alle loro esperienze personali e professionali. La mattina i saluti di molti auto-revoli esponenti di autorità locali, della Regione Toscana, Dott. Guidi Galileo e di altre Provincia Toscane con la par-tecipazione delle delegazioni del Cesvot di Firenze e Pisto-ia, gli interventi sempre com-petenti ed interessanti degli psichiatri Dott.Corlito con l’esperienza dell’auto-aiuto e dell’associazionismo grosse-tano e del Dott.Pini che ha dato al suo intervento un re-spiro europeo parlando del movimento europeo degli utenti. Il Coordinamento To-scano, il Centro di auto-aiuto Toscano, le considera-zioni regionali a cura di Marzia Fratti e tanto altro la domenica mattina coordinata da Roberto Pardini. Ma quello che mi ha colpito di più in tutta questa espe-rienza è stato l’interesse ed il calore umano che cir-colava dietro ed intorno a tutto il w.e. organizzato con attenzione al dettaglio ed amore. Mi hanno col-pito le signore e i signori che animavano la cucina dalla mattina presto intenti a preparare la pausa pranzo, che facevano i versetti a Iside mentre le da-vamo la pappa, mi ha colpito il gruppo musicale “tre

per due” che ci ha dilettato con le sue musiche la domenica a pranzo e lo scambio incontro conviviale con il progetto dell’associazione Le Case che ci ha ospitato il sabato a Vicchio dandoci per cena delle pizze fatte a mano appositamente per noi su un aia che guardava un bellissimo panorama di natura mu-gellese. Mi hanno colpito Beppe e Lucia pieni di amore e premure per ogni ospite e di sorrisi per la mia bimba Iside, l’ospite più piccolo del w.e. , ma molto gradito da tutti, testimone che il miracolo del-la vita continua a compiersi. Mi ha colpito la forza che ho sentito e sento rinascere in questi familiari che per anni si sono sentiti persi, abbandonati, sconfitti dalla vita e che qui in queste due giornate di intensa condivisione e comunione ho sentito ri-sorgere. I pomeriggi hanno dato un colore ed un calore particolare al percorso partendo dal sabato che ha visto le due toccanti testimonianze di Eva Campioni, facilitatrice sociale dell’Associazione L’Al-ba di Pisa che ha parlato del suo vissuto diretto, della sua esperienza di uscita dalla sofferenza e di partecipazione di vita associativa e della signora Fio-renza Colligiani, familiare dell’Associazione oltre l’Orizzonte – Pistoia, che ha avuto il coraggio di te-stimoniare la sua esperienza di madre con il portato di dolore per un figlio malato, ma con il sorriso e la forza nel cuore di chi sa che il figlio ne uscirà. Que-ste due esperienze forti di vita vera si sono raccon-tate tra la commozione e le lacrime di chi ascoltava

genitore o funzionario regionale che fosse in uno spirito tipico dell’essere alla pari e quindi dell’auto-aiuto e della condivisione e dell’ascolto. Tutto è ve-ramente trascorso in un clima di energie positive, di rinnovamento come ha detto il filosofo Roberto Mancini che ha magistralmente condotto l’incontro dialogo del sabato pomeriggio sul tema “Affrontare la sofferenza”, “i veri esperti siete voi” rivolgendosi a chi, davanti a lui sapeva perché aveva vissuto, dicendo che colui che vive una esperienza umana di sofferenza e dolore e trova una soluzione creativa e positiva a questa esperienza in termini di esistenza

Il lavoro con le famiglie... di Diana Gallo (da pag.2)

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concreta ecco lui è il vero esperto per cui nell’umiltà dei grandi pensatori Roberto Mancini inizia così il suo dialogo portando la discussione del pomeriggio su interessantissimi e profondi temi spirituali, ma con un ri-spettoso linguaggio laico che abbracciava tutti i presenti nelle individuali differenze, ha provato a smantella-re secolari condizionamenti che spesso hanno portato e portano gli esseri umani a credere in una cultura del sacrificio e del personale annientamento, non del reciproco rispetto e del dono, del rapporto dominato-do-minatore, non dell’amore che cura. È l’amore che cura, non il sacrificio. Il senso della vita è divenire felici, non conta tanto quanto ti succede nell’esistenza, ma la risposta che dai alle tue esperienze. In rassegna tre parole chiave: Integrità, compassione, Misericordia o comunità. Che sono l’opposto di disintegrazione o scis-sione, disperazione, isolamento. E io aggiungerei accettazione, consapevolezza e responsabilità grazie al nostro libero arbitrio. Noi possiamo scegliere se essere felici o meno. Per essere felici occorre condividere, occorre amare e ad amare si impara. Ma bisogna tessere convivenze e per far questo occorre metodo. Il metodo è la giustizia che risana le situazioni. La risposta umana alla sofferenza è la resurrezione alle situa-zioni di morte. Non è il privilegio, non è la fortuna, la felicità è stare insieme è essere insieme e fare una vera esperienza di comunione e di comunità. Queste parole ridefinite dal mio essere e fissate nella mia memoria mi sono rimaste impresse come un insegnamento che andava a confermare già miei profondi convincimen-ti, ringrazio anche questo w.e per questo. E le lacrime di commozione e i sorrisi che le persone cercavano di scambiarsi e spesso ci riuscivano con più verità con più forza e profondità di altri anni in cui ho partecipato a queste esperienze di familiari. Ciò significa che qualcosa sta succedendo che il percorso di questi familiari si è innescato e che finalmente qualcuno ha trovato delle risposte di vita e non più di lutto e sofferenza alla malattia del figlio e questa vita, questa rinascita, questa resurrezione dei genitori non può che arrivare tera-peuticamente anche ai figli. E così nella domenica pomeriggio dopo il pranzo e la musica un gruppo di fami-lari si sono fatti guidare da un educatore professionale Daniele Caciotti in un percorso di ascolto profondo di sé negli elementi della natura un percorso per essere con se stessi, per riiniziare ad impare ad ascoltarsi, ad amarsi. In ultimo condivisione e proposte, idee per l’oggi e il domani. Con tante emozioni ci accingevamo a venire via mentre uno dei familiari diceva che finalmente si sentiva libero da una cappa di sofferenza e che si sentiva come rinato come se finalmente stesse pensando anche a sé stesso e non solo a suo figlio con il suo problema. Io stavo salutando Beppe per rimetterci in cammino con la piccola e Ferdinando verso Pisa e Beppe mi chiede di condividere con tutti quello che gli stavo dicendo in privato perché per lui e loro quelle parole sarebbero state preziose. Quello che dissi è che sentivo una energia nuova in loro, una nuova libertà e che pensavo che quella fosse veramente la strada giusta per crescere ed aiutare se stessi ed i propri figli a star meglio. Uscire dalla disperazione e lavorare per raggiungere la propria personale felicità interiore. Cosa più che essere felici si può fare per gli altri? Pensiamoci bene. Più siamo felici più portiamo gioia e benessere ai nostri vicini e a chiunque entra in contatto con noi. Per cui continuiamo su questa via che mi sembra l’uni-ca che veramente può portare enormi frutti per tutta la comunità umana universale. Spero che queste mie parole che ho deciso di fissare con la scrittura per farne dono a tutti coloro che vorranno possano essere cosa gradita a chi ha partecipato a questa esperienza e utili a tutti quei familiari che ancora sommersi nel buio del dolore forse leggendo queste mie possano almeno iniziare a pensare che altre strade di vita e di soluzioni dei problema sono possibili perché altri ci sono riusciti e decidere di unirsi a gruppi di familiari e utenti che que-sto percorso lo hanno iniziato e lo stanno portando avanti giorno dopo giorno. Una signora mi ha detto: “le tue parole sono sincere anche perché hai appena fatto una bimba e quindi sei in uno stato di grazia”. Credo che ogni esperienza di vita sia una tap-pa verso altre evoluzioni, il mio essere divenuta madre mi fa sicuramente sentire più vici-ni tutti quei genitori e in quei visi ed in quei cuori ripongo un caldo abbraccio dicendo loro di continuare così. Nella mia esperienza professionale as-sociativa di lavoro con persone sofferenti e con i loro familiari ho avuto modo di vedere che soprattutto per i familiari non è semplice fare esperienza di auto-aiuto nel senso profondo del termine a cui noi de L’alba di Pisa crediamo e cerchiamo di promuovere. Auto-aiuto vuol dire comunione, vuol dire

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essere insieme, vuol dire condividere, sentirsi apparte-nenti ebbene se questo non succede non si sta facendo auto-aiuto, la signora che ha portato la sua testimo-nianza come madre di una persona sofferente ha detto che nel gruppo di auto-aiuto si sentiva male, si sentiva giudicata ecc.. ebbene ciò significa che quello che sta-va facendo non era auto-aiuto. Forse lo chiamavano così, ma non era quello. Un pò come dire: “pensavo fosse amore, ma non era amore…” insomma le cose sono quelle che sono se hanno le caratteristiche nella loro essenza. Se i genitori iniziano veramente un rap-porto di solidarietà, condivisione ed ascolto allora lavo-rano alla creazione della loro felicità uscendo dalla di-visione cui invece li pongono il giudizio morale, l’egoismo e il narcisismo, l’isolamento. Per questo scri-vo queste righe, per lasciare traccia, per lasciare me-moria di un momento bello condiviso insieme e per ricondividere il senso di un cammino che reputo un buon cammino per i familiari e per ogni cittadino. Spesso vedo persone che hanno grosse d i f f i c o l t à nell’accettare la problemati-ca del figlio, la negano, o la svalutano o la ingrandiscono insomma non si riesce a per-cepire la realtà per quella che è, si perde lu-cidità, ci si a m m a l a . Nell’enorme sofferenza il familiare è travolto, è stordito, è sconvolto, disperato, sopraffatto, “malato” anche lui, solo unendosi con gli altri, condividendo, facendosi aiutare, non stigmatiz-zando i figli altrui perché con problemi più grandi di quelli del proprio o più brutti secondo una “personale misera scala di valori”, cerchiamo di entrare in una mente aperta, una mente pura, una mente che non mente ma che cerca la profonda verità della vita, il suo senso e questo non può che trovarsi in una autentica ricerca della felicità, nella liberazione dalla sofferenza, almeno del più possibile che si può. Impegniamoci in questa direzione e vedremo crescere e moltiplicarsi momenti felici, w.e. come questi. Non perdiamoci nell’angoscia e nell’abbandono continuiamo a credere che felici si può essere in questa vita, su questa terra al di là di tutto ciò che abbiamo esperito. E che forse ciò che viviamo, anche e soprattutto le esperienze più dure e dolorose, non sono state altro che passaggi verso livelli più evoluti di consapevolezza e di verità.

Diana Gallo

L’esperienza dell’improvvisazione in musica: suoi aspetti teorici e di

prassi energetica ad uso quotidiano

di Eugenio Sanna

Per Leo Smith nel suo “NOTE SULLA NATURA DELLA MUSICA” nell’arte della musica (ritmo-suono) non ci sono che due tipi di discipline: l’improvvisazione (gli improvvisatori) e la composizione (gli interpreti).L’improvvisazione significa che la musica è creata nel momento stesso in cui viene eseguita: viene cioè crea-ta in un “qui ed ora”, un’organizzazione di suono, silen-zio e ritmo che non è mai stata ascoltata in precedenza e non lo sarà in futuro.Composizione vuol dire che la musica deve essere pri-ma composta e poi interpretata, con l’accento sul fatto che durante l’esecuzione dovrebbe suonare sempre

nello stesso modo.Per Derek Bailey l’im-provvisazio-ne è conti-nuamente in via di cam-biamento e perfeziona-mento, non è mai fissa ed è troppo s f uggen t e per analisi e descrizioni precise. Non solo; qualsia-

si tentativo di descrizione ne fornirebbe un’immagine falsa, perché c’è qualcosa di sostanziale nello spirito dell’improvvisazione, che si oppone a venir documen-tato e ne contraddice l’idea stessa.F. T. Ferand nel suo libro “L’IMPROVVISAZIONE IN NOVE SECOLI DI MUSICA OCCIDENTALE”, scrive: “ Non è possibile trovare un solo settore della musica che non sia stato influenzato dall’improvvisazione e neppure una sola tecnica e forma musicale che non abbia avuto origine dalla pratica improvvisativa e non sia stata da essa sostanzialmente condizionata. L’inte-ra storia dello sviluppo musicale è accompagnata da manifestazioni dell’impulso a improvvisare”.Ma anche nelle forme dell’abbellimento, anticamente, l’ improvvisazione non veniva impiegata per alterare qualcosa già esistente, bensì per celebrare l’atto del fare musica. Così la composizione poteva dirsi riuscita o meno a seconda della possibilità di improvvisarvi.

Così sostiene Hong Zicheng, filosofo cinese del XVII secolo: “...col suo flauto suona soltanto arie improvvi-sate. Vuole cogliere lo spirito del liuto non limitandosi a pizzicarne le corde...”Nella musica classica persiana i suoi teorici considera-no l’improvvisazione come ‘pratica intuitiva’.Ed è soprattutto nella musica orientale che il musicista

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non tiene conto delle procedure che devono guidare la sua musica: suona ad un livello di coscienza che è in qualche modo diverso da quello razionale.Analogamente a quanto avviene oggi, per qualsia-si musicista improvvisatore. Il musicista è immerso totalmente nel suo mondo interiore attraverso strati molto profondi e remoti della sua psiche; accede per il tramite dello strumento al proprio immaginario, dando vita a delle vere e proprie azioni che vanno oltre il fatto sonoro: da luogo a movimenti evocati-vi, descrive col proprio corpo tracciati e traiettorie, esplora lo spazio e il silenzio in una perfetta sincro-nia.Ogni improvvisazione è sempre in primo luogo un’esplorazione, possiede un carattere sperimenta-le. Vengono saggiate tutte le possibilità dello stru-mento e si cerca in ultima analisi un “andare oltre”. La direzione non ha molta importanza, è quella che di volta in volta la musica sembra assumere.E’ possibile fare degli esercizi atti a sviluppare la pro-pria capacità improvvisativa. Questi esercizi possono trarre spunto da momenti comuni di vita quotidiana: le gocce d’acqua che fuoriescono da un rubinetto che perde, ci suggeriscono un pezzo...” Improvvisando mi è venuto in mente il suono di quelle gocce d’ac-qua....: “, oppure la particolare sensazione suscita-tami dalle tende rosse della finestra della mia came-ra...: “ Posso evocare attraverso lo strumento tutto questo...”; il passo o il gesticolare di qualcuno, il fitto chiacchiericcio, sono altri elementi e se ne possono trovare moltissimi.Occorre cioè imparare ad osservare e ad ascoltare, solo allora si percepirà il flusso continuo di immagini e suoni offerto dalla nostra stessa vita quotidiana; quanto più aboliremo il nostro io-giudicante, tanto più riusciremo a entrare in contatto con uno stato di energia creativa, un’energia che sembra assomiglia-re enormemente all’intuizione.Scrive Marius Schneider: “...poiché il linguaggio che aveva creato gli dei era un canto di luce, tutti gli esseri e tutti gli ogget-ti di quel mondo, nati da quelle musica, non costituivano oggetti o esseri concreti e pal-pabili, ma inni di luce che riflettevano le idee del loro creatore. Essi costituivano le immagi-ni acustiche che erano l’essenza della loro na-tura e che solamente nel secondo stadio della creazione si sarebbero rivestite di materia”.

E ancora altri esempi di semplici esercizi che ci possono permettere di mi-gliorare il nostro rapporto con l’ambiente: “...ho cer-cato di imitare col mio strumento l’abbaiare di quel cane che sento sempre vicino a casa mia; per far-lo però ho dovuto modificare la mia tecnica usuale,

sperimentando altre possibilità di suono”. Sovente, l’improvvisazione possiede il carattere di un esperi-mento che non si potrà mai dire concluso: è sempre un work in progress.Dentro ognuno di noi c’è un mistero, il cercare di volta in volta di svelarlo agli altri, ci può mettere in contatto col nostro immenso potenziale creativo, en-triamo in comunione con esso, accorciando quella distanza, colmando il vuoto datoci dal rapporto Io-tu. Questa forza misteriosa è la stessa che il filosofo Martin Buber definisce come ‘mana’, presente nelle credenze di molti popoli primitivi.La pratica dell’improvvisazione ci può mettere in sin-tonia con tutto ciò, svelando il nostro potenziale ar-caico, evidenziandone le immagini acustiche.Kierkegaard in “AUT-AUT” diceva: “ Se ti trovi di fronte al nulla la tua anima si acquieta; anzi può divenire malinconica se dal nulla ti viene incontro musicalmente l’eco della tua passione, poiché l’eco risuona solo nel vuoto”. Ed è proprio così: tutto ri-suona dentro di noi, solo se ci facciamo cavi, vuoti, accoglienti ed elastici; riflettiamo come attraverso uno specchio quanto ci sta attorno: le nostre imma-gini interiori, quelle esteriori, abbiamo libero accesso al nostro mistero.L’attinenza dell’improvvisazione con le altre arti è evidente, soprattutto con quelle visuali, con la danza e l’espressione del corpo.Fautori di un certo stile improvvisativo, furono i pit-tori Jackson Pollock, Jean Dubuffet, Basquiat, Keith Haring e altri, creatori oltrechè di una certa action painting, anche di uno stile che tiene conto del flusso e di una coscienza del momento presente. Furono influenzati dal rapporto con l’ambiente e quindi an-che da una relazione coi suoni e con lo stato di vita quotidiano. Fluxus e Giuseppe Chiari in particolare hanno approfondito nelle loro proposte quella che si può a buon diritto definire una estetica dell’improv-visazione.Così scrive Chiari nel suo “Dubbio sull’armonia” : “...

Chiamo un amico da una cabina te-lefonica. Intorno a me c’è molto ru-more. C’è un mar-cato. L’amico non c’è. Risponde una segreteria telefo-nica. La segreteria telefonica trasmet-te Chopin. Cosa faccio? Ascolto? Non mi sembra un luogo adatto per ascoltare Chopin. Abbasso. Devo dare la risposta.

Lasciare un messaggio. Però questo Chopin è incan-tevole. Anche in una cabina.”A quanto affermato da questo autore, si potrebbe aggiungere che l’ambiente sonoro stesso offerto da una cabina telefonica, immette qualcosa di più nel

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pezzo di Chopin trasmesso dalla segreteria telefonica: in tal maniera viene ricreato un nuovo clima sonoro che dà luogo ad una trasmutazione, generando un prodotto originale, frutto di quella interazione sponta-nea e momentanea che l’ambiente da un lato, e l’azio-ne unificatrice dell’orecchio dell’ascoltatore dall’altro, ha fatto scaturire. E più in là in “Improvvisazione li-bera-esperienza musicale per 70 solisti”, questo stesso autore sostiene: “...dunque improvvisiamo, forse in-contriamo la musica, forse no, incontriamo noi stessi sicuramente...”.Anche in una cabina telefonica, possiamo incontrare noi stessi!Per quanto concerne l’espressione corporea, la dan-zatrice tedesca Pina Bausch con i lavori del Tanz The-ater ha usato molto i postulati improvvisativi nei suoi numeri e nelle sue coreografie. Attualmente nella danza tradizionale giapponese di tipo buto il rapporto con l’improvvisazione è estremamente rigido e Kazuo Ohno, danzatore ultranovantenne, ne è un entusiasta sonstenitore.Derek Bailey: “Perché improvvisare? E come fare se no?”.

Per ogni informazione e/o approfondimento potete ri-vogervi direttamente all’autoremail: [email protected]: www.eugeniosanna.it

“Nel caos di Babele…riconosco il tuo canto”

Sono passati cinque mesi dal convegno sulla voce: “Nel caos di Babele… riconosco il tuo canto”, tenutosi a Volterra .A seguito dibattito a cui abbiamo assistito all’interno del convegno vi è stata una condivisione e un appro-fondimento all’interno del gruppo musicale “La Carre-tera del canto” in cui abbiamo parlato dell’esperienza e dei commenti suscitati dalla performance, quasi tutti si sono espressi ed hanno scritto come hanno vissuto l’evento e perché cantano così. Durante il dibattito mi sono mancate le loro voci, che se ci fossero state sono sicura avremo sicuramente udito. A questo proposito vorrei condividere con voi i loro lavori scritti e pensati che ho inviato via mail ai partecipanti al convegno, ma di cui non ho da nessuno ricevuto alcuna risposta.All’interno delle giornate della salute mentale 2010 abbiamo realizzato eventi vocali e musicali con spe-rimentazioni in ambito terapeutico. Il 1 dicembre un canto corale collettivo con Claudia Zimmerman, e il 27 novembre dopo un “ Seminario sull’ improvvisazione musicale e vocale in ambito terapeutico” sono seguite più performance tra cui il concerto de La Carrettera del Canto in più vesti.Di seguito il pensiero di un grande artista forse il più grande sperimentatore della vocalità di tutti i tempi che apre la serie di riflessioni e pensieri sul “Perché si canta cos씓Un’altra cosa importante attaccata alla voce è l’orec-

chio.L’orecchio si sente da dentro.Qui c’è la voglia a livello umano di misurarsi con quello che non si può, …con i limiti interni dell’essere umano....tra voce cantata e voce parlata c’è una differenza assurda…ci sono piccole differenze nel materiale fonico che noi non conosciamo…in questa sperimentazione facciamo lo studio della vo-calità…Il problema è abolire la parola, se cantiamo in questa direzione noi non crediamo alla parola, la parola ci in-castra e ci schiavizza nello stile, non crediamo nello stile…Si cerca di rovistare nelle pieghe e nelle piaghe del linguaggio per tirare fuori qualcosa di nuovo..Questa è la direzione della sperimentazione che fac-ciamo, sperimentazione sul limite del linguaggio, che non è un tornare indietro…può essere utile al bimbo, allo psicoanalista, al foniatra, al logopedista, al folle, all’analista, alla casalinga…insomma a tutti.Siamo tanti al mondo e non utilizziamo bene la voce.Si cerca di scoprire la voce… che non è tornare indietro è sperimentare i limiti del linguaggio ed utilizzarli tutti per quelli che troviamo e questo da un’ enorme libertà. Ci si sente liberi ad esprimere la voce così.”

Demetrio Stratos. “Suonare la voce” - 2006 Edel. 60 min. - euro 19,40

Improvvisazione, un’esperienza. di Eva Campioni

Ho avuto le prime esperienze di laboratorio di musi-coterapia basato sull’improvvisazione 9 anni fa e dopo qualche anno il laboratorio di canto e il coro “La Carre-tera del Canto”. A quel tempo soffrivo di un accentuato disturbo dell’umore e una forte incapacitazione rispet-to alla comprensione, espressione e gestione delle mie emozioni. Ricordo che quando ho iniziato a frequen-tare il laboratorio di musicoterapia mi rifiutavo spesso di espormi anche nell’eseguire gli esercizi più semplici che mi venivano proposti, sperimentando tantissima ansia appena mostravo tramite i suoni qualcosa in più di quello che provavo dentro di me. Conoscevo già la musica: avevo studiato chitarra classica dall’età di sei anni fino a raggiungere il compimento medio. La mu-sica mi aveva sempre accompagnato anche negli anni più brutti, era un momento solo mio a cui tenevo mol-to, anche se lo studio era pesante perchè si intrecciava con la mia ossessività e bisogno di perfezione. Però, almeno metà del tempo dedicato allo studio, io im-provvisavo, senza saperlo, dando voce tramite i suoni al mio stato emotivo. Provavo molta soddisfazione a creare frasi che sentivo piene di tristezza e raggiunge-re lentamente frasi allegre, o trasformare frasi rabbio-se in frasi che avessero una sonorità dolce e tranquilla. A volte componevo dei piccoli pezzi trascrivendoli su pentagramma. A volte semplicemente mi “cullavo” in una melodia che ripetevo a lungo. In un certo senso utilizzavo la musica per elaborare la fatica che prova-vo giornalmente con gli sbalzi d’umore, senza preoc-cuparmi di quello che ne potevano pensare gli altri, perché era un’attività solitaria. Suonare per gli altri mi

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era invece quasi impossibile: negli esami in conser-vatorio l’ansia mi impediva di restituire quello che avevo appreso, non riuscivo quasi mai a suonare per gli amici.Questa passione è lentamente riemersa frequen-tando il laboratorio, con la formidabile differenza che non si trattava più di un’attività solitaria, ma di gruppo! L’ascolto degli altri e l’essere “con loro” nella dimensione sonora era una continua scoperta del-le mie possibilità di esplorare come rapportarmi agli altri. Mi sentivo bene quando trovavo “il mio posto” nelle dinamiche sonore che realizzavamo, mi piace-va a volte sostenere gli altri dando un contributo di omogeneità ritmica quando sentivo che l’atmosfera sonora era sfaldata oppure colloquiare con le altre voci accogliendo e restituendo strutture che mi pia-cevano, a volte era bello esserci in modo “prepoten-te”, tirando fuori tutta la voce e la forza. Nei labo-ratori ho imparato ad urlare, facendo uscire rabbia repressa da anni e a quel tempo inaccettabile nella mia visione di me stessa. In quel contesto, invece, le mie urla erano apprezzate e ammirate, avevo ini-ziato a familiarizzare con il permesso di provare ed esprimere rabbia. Anche i suoni “brutti”, distorti e sgradevoli, non orecchiabili e non armonici erano un’occasione di sperimentare e dar voce ad una tra-sgressività che nella vita quotidiana prendeva spazio in comportamenti disfunzionali: era liberatorio poter essere “sgradevole” e comunque ascoltata e presen-te senza sentirmi in pericolo per averlo fatto e sen-za danneggiare me stessa, ed era piacevole sentire come spontaneamente tornavo a una musicalità “or-dinata” e melodica dopo aver dato spazio “alle parti brutte”.E’ stata una palestra formidabile che ha rafforzato e influenzato il percorso che stavo facen-do in parallelo con i colloqui di psicotera-pia e i gruppi d’auto-aiuto, rispetto alla mia capaci-tà di agire consapevol-mente nelle relazioni in-terpersonali e nell’esplora-zione di me stessa. Cantare per un pubblico, improvvisando in coro o in assolo, è un’occasione preziosissima per dare un messaggio per me fondamentale: ogni emozione veicolata dalla voce e dal canto ha diritto di essere ascoltata. Uno degli ostacoli sociali all’integrazione è l’incapacità di ascoltare e dare spazio alla sofferenza degli altri e alla propria, di essere consapevoli che dentro ognuno di noi ci sono tantissime parti disar-moniche e non accordate con i ritmi standard della vita, parti inefficienti, parti disfunzionali e zoppicanti

con cui ognuno deve fare i conti. Non basta nascon-derle e rinchiuderle in forme accomodanti ed addo-mesticate, è importante accoglierle e trasformarle. Spesso è proprio perché non hanno diritto di esisten-za che si radicano dentro di noi fino a diventare sin-tomi patologici e veleno. Quando “La Carretera del Canto” si esibisce racconta una storia sempre diver-sa, la storia di un flusso di emozioni che dialogano o si scontrano tra loro, scorrendo fino alla conclu-sione del brano, seguendo i binari della conoscenza reciproca delle nostre voci, delle loro potenzialità in estensione e timbro e dei temi sonori preferiti che ognuno di noi ha. C’è spazio per i suoni della rab-bia e della tristezza, della gioia e della tenerezza, dell’amore e dell’odio, dell’infanzia e del ricordo. Cantare è come dipingere su una tela bianca. Poi c’è il silenzio e i nostri sguardi sorridenti perché abbiamo potuto comunicare qualcosa che di solito è messo a tacere, per paura e per vergogna. Qualcosa che si è trasformato in suono ed energia. Qualcosa che si è trasformato in benessere.Grazie per averci ascoltato e aver “risuonato” con noi.

Cantare per conoscersi – riflessioni sul La-boratorio di Canto e la performance finaledi Gianni Lo Piccolo

Ho seguito il laboratorio di canto diretto da Diana Gallo nella preparazione della performance dei ra-gazzi del Circolo L’Alba a Volterra, partecipando at-tivamente. Conosco i ragazzi ormai da un anno, ho frequentato vari laboratori insieme a loro, ma sen-tirli cantare è stato come presentarsi per la prima

volta. E’ stupefacente come le voci cambino dal parlato al cantato, e quello che più mi ha colpito è stato scoprire questa vastissima gamma di suoni, registri e modulazioni che sono schizzate fuori con naturalez-za da persone che conoscevo già, rimarcando o a volte aggiungendo tratti della loro personalità a me sconosciuti. Alcune di queste voci mi si sono stampate nella mente per la loro espressività, me le im-magino ancora sospese al soffitto della sala prove alla Stazione Leo-polda come tanti palloncini colorati dopo che finisce una festa. Ognuno

ha tirato fuori una parte di sé, chi più chi meno, e nel cerchio ogni parte aveva un suo peso, un suo colore, un suo significato: potenti pieni per imporre la propria presenza, versi buffi per ridere insieme, gorgheggi di vocali per creare melodie, poche sillabe scandite per superare la timidezza. E poi gli esercizi a gruppetti, per imparare ad ascoltarsi, a raccoglie-re l’ispirazione passata dal compagno come un te-stimone, ed imparare ad essere più consapevoli del proprio respiro, del diaframma, dell’apporto vocale che ognuno può dare grazie alla propria unicità, al di

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fuori del canto come tecnica, nella sua dimensione più personale.

La performance di Volterra è stato un momento molto importante per noi partecipanti dell’ Associazione L’Al-ba, forse per motivi diversi, ma non ci giurerei. L’im-portanza di tirare fuori la propria voce con un mezzo magico come il canto è qualcosa che riguarda tutti e viene prima di qualunque palcoscenico, di qualunque platea: parlo del canto come espressione primitiva, quell’espressione che comprende urla, versi, monosil-labi incomprensibili e suoni disarticolati, e può raggiun-gere l’inconscio, il midollo, il nucleo di noi stessi che ingabbiamo in una prigione di correttez-za e precisione orale sin dal momento in cui ci viene insegnato a parlare secondo le regole. E così facendo purtroppo diventiamo riluttanti ai “versacci”, ai volumi esagera-ti e perdiamo quelle forme di espressione primordiali, quel lin-guaggio che quando siamo bambini creia-mo seguendo l’istinto e insegniamo ai no-stri genitori. Ma come si può acquisire piena consapevolezza di sé quando il nostro nucleo viene lasciato sempre in silenzio, senza possibilità di esprimersi, temuto proprio perché incon-scio e incontrollabile? Come si può se non ci si lascia mai andare un po’ all’improvvisazione, alla spontanei-tà, all’istinto del momento? Non riesco a immaginare nulla di più potente e al tem-po stesso costruttivo di uno sfogo improvvisato vei-colato dal canto, per di più di fronte ad un pubblico. Tanto che a pensarci bene, non c’è mai stata una vol-ta durante le prove in cui qualcuno dei ragazzi abbia manifestato fastidio per via delle improvvisazioni degli altri. L’intenso timbro da vichingo di Davide, Eva che con il suo lamento cupo scende verso gemiti grattati e angosciati, il canto pagano da brividi di Daniela, le loro voci in particolare mi hanno toccato profondamente. Ricorderò sempre con piacere il crescendo che è par-tito come un flusso collettivo durante la performan-ce finale, quasi a spronarci l’un l’altro a farci sentire, ognuno con le proprie peculiarità, senza paura del giu-dizio. Un mio amico che suona l’organo per un coro di chiesa dice che “cantare è come pregare due volte”, dopo questa esperienza io invece dico che “cantare è come conoscersi due volte”.

Noi siamo stati tutti benedi Davide Cecchi

Il secondo giorno del convegno non c’ero, e quindi non ho capito bene la natura delle critiche fatte alla esi-bizione del coro de L’Alba. Inoltre non sono un musi-coterapeuta, non ho questa competenza, e quindi mi

limiterò a fare qualche riflessione così come mi viene, osservazioni del tutto personali.Per quanto riguarda il nostro modo di lavorare, mi sembra che il fine non sia l’esibizione di fronte a un pubblico, ma riabilitare le persone. Questo avviene in due modi: il primo è il lavoro con la voce, in cui ven-gono incoraggiate sia la creatività dell’individuo, sia la ricerca dell’armonia con gli altri nel canto corale. La creatività è un buon modo per elaborare la depres-sione, e non è la sua unica funzione. Un filosofo che amo tanto, Spinoza, sosteneva che la felicità consiste nel contemplare la potenza di agire del corpo, e que-sto può avvenire anche cantando. Il secondo modo,

che non è il meno importan-te, è quello di lavorare sulle relazioni fra le persone, sia nell’ ambiente protetto in cui si esercitano le attività, sia in ambienti informali come può essere una pizzeria.Secondo me ogni emozione può essere cantata. Può es-serlo anche il dolore. Se qual-cuno si sente turbato da un paziente psichiatrico che can-ta il dolore, o anche la forza, di chi è il problema?Con la voce si può esprimere tutto, come in poesia: Dan-te Alighieri può scrivere versi come “l’amor che move il sole

e le altre stelle” ma anche come “ed ei avea del cul fatto trombetta”. Distinguere fra poesia e non poesia non è più di moda, come distinguere fra musica e non musica, e forse anche fra coro e non coro.Una volta durante le prove un ragazzo ha improvvisato una semplice vocalizzazione, e dopo gli veniva da pian-gere. La conduttrice e noi ci siamo un po’ preoccupati, fino a quando abbiamo capito che si era semplicemen-te emozionato. Chissà, forse in quel momento ha sco-perto di avere una potenzialità che prima ignorava di possedere, Insomma, è diventato uno dei partecipanti più entusiasti del coro. Ma non credo che sia l’unico a pensare che partecipare al coro gli faccia bene.Secondo me, visto che il fine del nostro coro è quello riabilitativo, esibirsi davanti a un pubblico non è neces-sario, però è utile: è una piccola sfida, un modo per superare la timidezza, è ricevere un applauso e sentirsi soddisfatti per il lavoro svolto ecc.Il momento per me più divertente della performance di Volterra è stato quando, all’inizio di una improvvi-sazione di cui avevamo durante le prove stabilito la traccia, un nostro amico ha fatto un passo avanti e ha cantato “siamo ragazzi di oggi”, e quindi, guidati da Diana, siamo stati costretti ad improvvisare qualcosa di totalmente nuovo. Per me è più importante la pre-senza di questa persona nel coro di una interpretazio-ne impeccabile.Dopo aver cantato, stavamo tutti bene.Mi viene a mente quella scena del film “The Blues Bro-thers”, in cui si trovano a cantare il rythm’n blues in un locale country, e vengono presi a bottigliate. Nel film la scelta dei Blues Brothers è quella di adeguarsi ai gusti del pubblico. Non è detto però che debba essere la

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scelta della Carretera del Canto. Forse la cosa giusta da fare è selezionare bene il locale.Comunque credo che fra persone di buona volontà, le critiche e il dibattito sono utili, per rifletterci sopra e migliorare sempre.Improvvisazione vocale: “La Carretera del Canto”di Daniela Cellai

Avevo affrontato la platea e il pubblico di Volterra due anni fa e quella era la prima volta in vita mia che cantavo e mi esibivo in pubblico, in un teatro poi! Ero emozionata alle stelle, ma l’esperienza di canta-re insieme a “La carrettera del canto” diretta da Dia-na Gallo, improvvisazione canora mi ha dato tantosia come esperienza, sia a livello terapeutico di riu-scire a relazionarmi anche con il pubblico.Il 28 ottobre 2010 sono andata a Volterra più tran-quilla, perché conoscevo il teatro ed ero preparata mentalmente al pubblico e quindi sono salita sul palco più sicura dell’altra volta. Certo l’emozione era presente, ma sono riuscita a controllarla.Eravamo un gruppo numeroso diretti da Diana Gallo, presidente dell’associazione L’Alba di Pisa, e molto affiatato e penso che ci siamo anche divertiti durante l’esibizione.La nostra non è la classica esibizione canora, ma di improvvisazione libera usando la voce. Nella prima parte si esibiva il sestetto, di cui faccio parte, prima insieme in un canto profondo che sprigionava una forza ed energia considerevole e poi ognuno con un proprio assolo: il mio scava nella profondità dell’ani-ma e si libera vibrando. Poi si è unito il coro e abbia-mo improvvisato vocalizzi, l’imput ce lo dava Diana, ascoltandoci cercando di rendere il tutto più possibil-mente armonioso.L’esibizione mi è piaciuta molto, ognuno ha dato il meglio di sé con una coloritura espressiva tanto da, secondo me, riempire il teatro di sonorità che non possono non aver colpito il pubblico.Infatti la nostra esibizione è arrivata talmente al pubblico da essere apprezzata, ma anche criticata in quanto per alcuni l’improvvisazione è pericolosa, libera e mozioni così forti che rimangono nell’aria che può far star male chi canta o chi ascolta.Un’altra obbiezione è che quello che abbiamo pro-posto non è un coro, perché non è strutturato con classico inizio e una fine e forse i “ben pensanti” vo-levano anche il ritornello.Per quanto mi riguarda, mi sono divertita a cantare e dopo stavo molto bene, per niente depressa, anzi improvvisare è liberatorio, perché tiri tutto quello che hai dentro l’anima e quello che esce è irripetibile perché creato lì per lì, non è pensato prima (anche quando facevamo le prove al laboratorio di canto l’improvvisazione era sempre diversa). Se quello che abbiamo proposto può aver turbato qualcuno che ascoltava onestamente è un suo problema, deve avere paletti mentali e musicali.

Esperienza Volterra

di Dario Ciardelli

Prima di iniziare, tanta era l’emozione che avevo dentro che sentivo il battito cardiaco più forte che mai. sono stati importanti i massaggi prima di inizia-re e poi, sul palco, è passato tutto ed è stato bellissi-mo. Gli applausi mi hanno fatto molto piacere perchè alla gente che ascoltava è piaciuto vedere quello che sappiamo fare.Inoltre mi è piaciuta particolarmente la voce di Ales-sio quando faceva l’ assolo, ha veramente una bella voce.

Volterradi Carlo BuffoniDi prima mattina, siamo arrivati a L’Alba, poco alla volta arrivavano le persone tutti emozionati, eccitati, contenti, già prima di partire. Sono arrivati tutti. Sia-mo partiti con i mezzi e ci siamo fermati a Cascina a prendere Marco Riposati. Poi siamo ripartiti. Il viag-gio è stato un po’ lungo. Siamo arrivati ed abbiamo salutato Diana e Ferdinando, poi abbiamo preso l’ attestato che abbiamo partecipato, poi ci siamo se-duti e abbiamo aspettato il nostro momento. Ci sia-mo preparati per andare al teatro. Poi, quando era il nostro momento ci siamo preparati e quando Diana è salita per parlare del circolo L’ Alba abbiamo fatto sentire la nostra voce. C’ è stata da parte mia una forte emozione percepita alle 10 e 40 minuti circa ci siamo preparati, siamo saliti sul palco in compagnia di Diana che ci ha preparati a questa esperienza, ci siamo esercitati con la voce e poi.. mi è uscita una cosa che tenevo dentro da tanto. Appena abbiamo iniziato tutta le tensione che avevo dentro è uscita ed è diventata bella, mi sono sentito sereno, apprez-zato.Dopo aver finito abbiamo sentito l’ altra gruppo “ Le apparenti stonature” con i “Neri per caso”. Ter-minate le prove siamo andati tutti insieme a pranzo, come facciamo sempre, ma abbiamo mangiato fuori ed eravamo, tutti ma proprio tutti felici ed era bello. Siamo stati tutti bravissimi e se ne sono accorti tutti. Dopo siamo andati a mangiare schiacciatine, pizza e calzoni molto grandi. Dopo siamo ritornati al teatro e ci siamo addormentati tutti. Ci siamo avviati verso i mezzi. Io sono salito con Chiara. Matteo per tutto il viaggio faceva le puzzette. A me l’ esperienza a Volterra è PIACIUTA MOLTO !È stata una giornata positiva.

Antonio BufaliniPrima sentivo dentro un vuoto, cantando è uscito fuori e adesso sono felice;

Luciano GrazziniMi ci sono trovato bene a Volterra e poi mi è piaciuto tutto del canto. C’ era un po’ freddo. Ho cantato nel coro assieme a Matteo, Alessio, Carlo, Dario, Elisa e Guido. Ho cantato “Ahhhhhhhhhhhh.........”. C’ era

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un fotografo che mi è piaciuto e poi c’ era un altro coro, che ha cantato dopo di noi, che mi è piaciuto. Mi sono portato il mangiare al sacco. Ero emozionato e Diana ci ha fatto un massaggio prima di cantare, per farci rilassare. Ci hanno applaudito, e sono stato contento. Dario dormiva sul palco, in alto. Poi abbiamo cantato “Cip-Cip”. Siamo andati con il pulmino a noleggio per-ché il nostro era a riparare. Il viaggio è stato lungo e mi sono stancato, però ero contento.

Dario ChiocchettiGiovedì 28 Ottobre alle ore 10:00 c’è stato il conve-gno con i cori. Alla fine ho visto Chiara che stava giù al palco a vedere Diana che ha fatto il coro ai ragaz-zi che erano bravi; poi ci sono stati gli applausi; alla fine siamo andati a mangiare tutti assieme una pizza a pranzo. Ero felice e dopo pranzo abbiamo fatto un pisolino. Ferdinando mi ha portato a dormire sopra il palco, mentre gli altri ragazzi sono andati a vedere il museo. Siamo partiti dal circolo alle ore 7:30 con il pulmino e ci siamo fermati a fare una sosta. Siamo arrivati al parcheggio. Siamo ritornati a Pisa alle 19:30 con Elisa. A Volterra siamo arrivati al teatro alle 10:00.

Matteo CittiMi sono divertito. Sono stato a Volterra. C’era Eva e c’era Alessio, c’era Carlo, c’era Dario, c’era Luciano, c’era Laura, c’era Alessandro… Siamo partiti alle 7:30 e siamo andati con il pulmino. Sono andato a fare una passeggiata, ho pure cantato io. Ho conosciuto e can-tato i “Ragazzi di oggi” e quando ho finito di cantare tutti mi hanno applaudito ed io ero contento. Abbiamo mangiato la pizza e siamo arrivati di sera alle 19:30 a Pisa.

Laura Baglini28/10/10 Giovedì. L’esperienza a Volterra mi è piaciuta da una parte sì e dall’ altra no. A me è piaciuto stare a sedere ad ascoltare le can-zoni ed i vocalizzi, andare al rinfresco, cantare sul pal-co con il microfono, stare in compagnia con la gente, an-dare al bar, sapersi gestire e spiegare, andare a vedere i posti e le vetrine delle cose ed ascoltare. Le cose che mi hanno dato noia: l’imprevi-sto dei bagni, ma meno male che ho trovato la soluzione, e mi ha dato meno noia ri-spetto agli anni addietro che non sarei neanche venuta dato il mio stato, il viaggio, le file del rientro, il mangia-re fuori dal locale con quel freddo e alcune persone che sono noiose e ripetitive.Ma cantare mi è piaciuto tanto, voglio cantare tanto e sempre.

Alessio MamminiGiovedì 28 Ottobre ore 7:00. Per me era freddo a Volterra e si è cantato al caldo; è stata stancante. Mi è piaciuto quando ho cantato io e mi sono annoiato quando facevo “su e giù”. Ho cantato con Alessandro, Davide, Daniela, Laura ed Eva; ci si faceva i massaggi prima di cantare. Alla fine ci hanno applaudito, poi in pizzeria e dopo siamo andati tutti a casa.Quando si ricanta scip, scip, cip, scip, ship, shi…!!!!!?????

Alessandro CivitellaMi è piaciuto, ma pensavo ci fossero più parti canore…

Irene MenicucciMi sono divertita tantissimo.

Guido GalloEh, si si. Bello.

Gioacchino Incandela Mi sono divertito… bello il canto Diana, bello.Ma suoniamo anche percussioni prossima volta ?

Carmela MarraraBello, bello. Si.

Marco RiposatiMi sono divertito tanto, lo rifacciamo l’ anno prossimo? Hai visto che siamo piaciuti alla gente ci hanno applau-dito tutti ?

Alessandro PellegriniMi sono molto divertito a Volterra.

Yoko Krieble

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Il 28 gennaio 2011 presso l’Auditorium del Polo Tecnologico di Navacchio si è svolto il Convegno “Nuovi Spazi di Vita - Ricerca e nuove frontiere per il ritardo mendale medio - lieve”, organizzato dall’Associazione L’ALBA e dall’Azienda USL 5 di Pisa, con il contributo della Regione Toscana.Il convegno a conclusione dell’anno di sperimentazione della nuova progettualità dell’Associazione L’ALBA, è stato un grande successo ricco di momenti commoventi e toccanti nonché di interessanti scambi scientifici.Oltre 180 persone hanno partecipato per l’intera giornata formativa che prevedeva al suo interno la pre-sentazione della ricerca scientifica effettuata nell’anno sottoponendo a test standardizzati i partecipanti per misurarne i miglioramenti in termini di qualità di vita e riduzione dei sintomi psichiatrici e dei tratti auti-stici della personalità, la scommessa successsiva è quella di vedere un miglioramento non solo delle relazioni, ma anche sul piano cognitivo, dato il tipo di disabilità.E’ stato dato a tutti i par-tecipanti una copia del-la pubblicazione con un bellissimo dvd realizzato da Lucia Gonnelli, con-duttrice del laboratorio video dell’Associazione L’ Alba e proiettato a metà mattinata. La condivisio-ne del dvd ha portato i partecipanti a sprofon-dare e respirare in un attimo l’ atmosfera e la qualità relazionale che il progetto ha promosso durante tutto l’anno con ricche testi-monianze dei partecipanti utenti e familiari e dei referenti istituzionali.Nella tavola rotonda della mattinata il Dott. Corrado Rossi, la dott.ssa Gabriella Smorto e la dott.ssa Di Beo Rossella si sono confrontati e hanno riflettuto sui modelli della disabilità nel territorio evidenziando l’impor-tanza di realizzare e promuovere servizi socio-sanitari integrati e di dedicare più attenzione al settore della disabilità medio lieve che riguarda il 95% delle persone disabili, ma che non ha grandi progetti. Il Dott.Corrado Rossi ha evidenziato come l’esperienza del nuovo progetto possa essere un esperienza modello per il settore. Nuovi Spazi di Vita si sviluppa e cresce all’interno dell’ambiente accogliente, stimolante e ricco di continue e positive trasformazioni relazionali e comportamentali, caratterizzanti la cultura dell’auto-aiuto del Circolo L’Alba e del L’Alba auto-aiuto. In completa sintonia con l’atteggiamento che lascia spazio al protago-nismo degli utenti nel loro percorso di emancipazione, prende forma l’innovativo progetto stimolato dai ser-vizi sociali e sanitari di zona che vedevano nel nostro circolo e nel nostro mondo associativo una interessante risorsa per far uscire di casa persone con disabilità intellettiva medio-lieve che altrimenti rimanevano isolate acutizzando ulteriormente patologie psichiatriche. Tutto ciò ha proiettato l’ Associazione verso la nuova sfida di combattere lo stigma nei confronti di persone con ritardo mentale lieve e medio, considerate, ingiusta-mente, come persone inferiori e non in grado di capire. Il progetto ha creato, per l’appunto, nuovi spazi di vita all’interno dei quali lavorare all’abilitazione e/o riabi-litazione di soggetti con lieve e medio ritardo mentale.

L’Associazione L’Alba ha risposto alla mancanza di servizi specifici, per la fascia di utenza con ritardo mentale medio-lieve, offrendo la possibilità di frequentare le attività strutturate ed esistenti al suo interno e nel Cir-colo ARCI; il continuo monitoraggio ha permesso gli aggiustamenti in itinere al fine di stigmatizzare l’emar-ginazione e veicolare le persone, con disagio intellettivo e psichico, a sentirsi parte integrante della società.

I soggetti iperstimolati giornalmente attraverso un approccio olistico alla persona, inseriti in una serie di at-tività continue e variegate, sono stati assistiti, senza soluzione di continuità, nell’arco dell’intera giornata, e durante tutto l’anno, da operatori qualificati che hanno vissuto “con loro” moltissime esperienze di crescita ed autonomia, inclusione sociale, in un percorso, studiato per il raggiungimento di maggior consapevolezza e del maggior equilibrio globale possibile tra mente e corpo.L’innovatività più importante osservata nella nostra sperimentazione è stata proprio quella che poi il Dott.

Nuovi Spazi di Vitaun nuovo progetto, un nuovo successo

venerdi 28 gennaio 2011Auditorium Polo Tecnologico di Navacchio

via Giuntini n. 13 - Navacchio (PI)

Nuovi Spazi di VitaRicerca e nuove frontiere per il ritardo mentale medio-lieve

A S S O C I A Z I O N El ‘ a l b aG.

A.A.

A u t o - a i u t ol ‘ a l b aG.

A. A.

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VALIDITÀ DELL’APPROCCIO OLISTICO INTEGRATO ALLA PERSONA NEL RM MEDIO-LIEVE: L’ESPERIENZA NSV

Dott. Alessandro Lenzi - psichiatra e ricercatore del D.P.N.F.B. dell’Università degli Studi di PisaDr.ssa Chiara Di Vanni - psicologa, coordinatrice progetto NSV

Al momento attuale non esiste una vera modalità di cura, scientificamente dimostrata, in grado di migliorare le capacità cognitive ed intellettive di soggetti affetti da RM. I farmaci sono ampiamente usati per contenere i disturbi comportamentali legati al deficit e per curare la frequente comorbidità psichiatrica, ma si sono rilevati inutili, se non addirittura dannosi per quanto riguarda il funzionamento cognitivo. Anche i vari interventi cosid-detti riabilitativi, nel migliore dei casi, si sono rilevati utili strumenti pedagogici, non in grado però di permettere la reale maturazione e presa di coscienza del singolo. Appartiene al sapere comune che una vita ricca di stimoli fisici, intellettuali, sociali e affettivi ha effetti benefici sull’organismo, migliora le capacità cognitive nei compiti di apprendimento e memoria ed è stato dimostrato che riesce persino a rallentare, in modo anche notevole, i processi di invecchiamento, compresi i sintomi del morbo di Alzheimer (Wilson, 2002). Gli effetti esercitati dall’ambiente sono stati studiati in modelli animali, nei roditori da laboratorio (topi e ratti) al fine di poter investi-gare anche i meccanismi cellulari e molecolari che sottendono la plasticità neurale legata agli stimoli ambientali. Per creare un ambiente stimolante i roditori sono stati tenuti in condizioni più simili alla vita libera, cioè hanno vissuto in gruppi sociali numerosi, all’interno di grosse gabbie piene di tane, tunnel, scale, ruote di movimento che rappresentano per l’animale una forte spinta all’esplorazione, all’attività motoria spontanea, alla curiosità e al gioco. (Sale, 2009). Come misura di esito è stata considerata la capacità di recuperare la vista nell’occhio ambliope (occhio pigro) di ratti a cui questo era stato occluso alla nascita. Tale condizione non viene ritenuta curabile, nell’uomo e negli animali: ma nel campione di ratti la forte stimolazione ambientale ha portato ad un recupero della vista nell’occhio ambliope. A questo miglioramento è corrisposto, a livello cerebrale, una riduzione del neurotrasmettitore GABA, probabilmente uno dei responsabili della perdita di plasticità del cervello, e l’au-mento del BDNF, che invece favorisce i cambiamenti strutturali e funzionali.Gli AA concludono che l’arricchimento ambientale permette di agire su molecole essenziali per la plasticità in maniera fisiologica e naturale, ed apre un nuovo scenario per la cura delle patologie dell’intero sistema nervosoSu questa base è stata progettata l’esperienza di Nuovi Spazi di Vita, ampiamente descritta nei capitoli prece-denti: creare per soggetti con ritardo intellettivo medio-lieve un ambiente estremamente stimolante, in grado di incrementare le capacità cognitive, intellettive oltre che migliorare la qualità della vita.

Scopo dello studio: valutare la fattibilità e l’efficacia, sulle capacità cognitive, di un intervento di stimolazione continua (per 10 ore al dì) su soggetti con RM.

Sale Alessandro, Ricercatore Istituto di Neuroscienze del CNR di Pisa ha illustrato nel suo intervento: “Verso una farmacoterapia endogena per il cervello: l’arricchimento ambientale” illustrandoci interessanti risultati ottenuti da esperimenti di arricchimento ambientale su topolini che hanno evidenziato che solo con l’arricchimento am-bientale i topolini arrivano a sviluppare cambiamenti neuronali e comportamentali, migliorando la salute e la propria qualità di vita in genere, senza l’aggiunta di farmaci specifici. In maniera analoga noi abbiamo provato a sperimentare e a misurare sui 25 ragazzi inseriti nel progetto i miglioramenti ottenuti ed abbiamo osservato che proprio l’iperstimolazione e l’inserimento in ambiente ricco di scambi e relazioni ha creato dei grandi cam-biamenti nella salute e qualità di vita.Sotto la guida scientifica del Dott.Lenzi che ha illustrato i risultati della ricerca nell’intervento pomeridiano“ Validità dell’approccio olistico integrato alla persona nel ritardo mentale medio-lieve: l’esperienza Nuovi Spazi di Vita”, con il confronto continuo di tutto il Comitato Tecnico Scientifico nell’arco dell’anno siamo riusciti con orgoglio a presentare i risultati di questo anno di lavoro proponendo di vedere ulteriori sviluppi negli anni futuri.Alcune autorità sono state assenti, ma si sono premunite di avvisare, il Dott. Cecchi Direttore della Società della Salute assente in mattinata per altri impegni istituzionali, non è mancato nel pomeriggio come promesso fa-cendo i suoi saluti ed un intervento che ampliava il suo pensiero sul tema della disabilità ampiamente espresso all’interno delle interviste effettuate per il video. Il Dott.Damone Rocco nuovo Direttore dell’USL 5 ha aperto i lavori con i suoi saluti calorosi e con attestazione di stima, il Dott.Roti Lorenzo, Dirigente Regione ci ha chiamato dicendoci che sarebbe venuto direttamente a conoscere la realtà del Circolo L’Alba.Emozionante anche la relazione “Quando le parole non bastano: il disegno come strumento espressivo”, Mau-rizio Camoni, psicologo-psicoterapeuta ha commentato alcuni disegni dei partecipanti al progetto mostrando quanto sia importante ciò che le immagini ci comunicano e quanto sia importante saperle leggere.Di seguito riportiamo il capitolo 4 “Validità dell’approccio olistico integrato alla persona nel ritardo mentale me-dio-lieve” come estratto della pubblicazione “ Nuovi Spazi di Vita: ricerca e Nuove frontiere per il ritardo mentale medio-lieve”, sperando che dalla lettura siate incuriositi a leggere l’intera pubblicazione che potete trovare in cartaceo presso il Circolo L’Alba in via delle Belle Torri n°8 a Pisa e in digitale sul sito www.lalbassociaione.com.

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Arruolamento: gli utenti inviati dai servizi della locale UFSMA come possibili partecipanti al progetto sono stati valutati mediante la WAIS-R. Ai soggetti con valori QI tra 45 e 70 è stato proposto di partecipare alla ricerca in oggetto, previo colloquio motivazionale e accettazione scritta del Consenso Informato. Gli strumenti di valutazione sono descritti nel capitolo 3, al paragrafo 3.1 Modalità operativa.Tempistica: gli strumenti di valutazione sono stati somministrati all’inizio e ogni 3 mesi fino ad un anno di trattamento. I test proiettivi e la Wais-R, saranno ripetuti alla fine dello studio.

Il campione è composto da 24 soggetti affetti da RM (Punteggio WAIS 55.67±8,3; max 66, min 47) inviati dai servizi territoriali del DSM e dai GOM attivi su Pisa; 20 persone hanno accettato di partecipare alla ricer-ca; 4 hanno interrotto, uno per problemi legali; uno per incompatibilità con gli altri membri del gruppo; due hanno rifiutato di sottoporsi ai test per motivi personali.I 20 soggetti che hanno preso parte alla ricerca sono in maggioranza di giovane età (34,56±12,4) con una percentuale maggiore di uomini (60%). Vivono tutti nella famiglia di origine, accuditi dai genitori o familiari; 2 sono stati sottoposti ad interdizione; prima dell’arruolamento il 60% dei pazienti non era inserito in alcun programma terapeutico-riabilitativo, mentre il 40% frequentava altre strutture in ambito sia privato che pubblico.6 soggetti hanno frequentato tutti i giorni, dalle 09.00 alle 19.00, 9 soggetti tre giorni a settimana; 5 soggetti solo di pomeriggio.

Reattivo della Famiglia Dall’analisi del reattivo della Famiglia emerge che tutti i soggetti eseguono il reattivo utilizzando un tratto abbastanza marcato denotando una forte emotività non controllata; questa caratteristica trova conferma osservando i soggetti mentre disegnano.Il 95% disegna le parti del reattivo in modo disorganizzato e sproporzionato rispetto allo spazio a disposizio-ne, indicando una mancata percezione della realtà, una disorganizzazione spaziale/mentale e un’incapacità di rappresentazione del sé. Il 75% disegna la famiglia sospesa: gli elementi del disegno non appoggiano su una superficie, questo aspet-to potrebbe indicare un esame errato della realtà, instabilità, insicurezza e irrazionalità. Il 60% non colora il proprio disegno. Questo dato potrebbe indicare una mancata consapevolezza delle proprie emozioni, una difficoltà nel riconoscimento e nella definizione delle emozioni esperite dal soggetto e dai componenti fami-liari (censura e rigidità emotiva).Il 60% disegna i componenti della famiglia con le mani, questo particolare dato indica la presenza di una buona comunicazione intra famigliare oltre la presenza di una funzione relazionale e affettiva.Il 50% del campione esegue il test disegnando forme geometriche che richiamano figure robotiche (parti della figura umana come braccia, testa e busto hanno forme rettangolari, triangolari, ecc); questo dato potrebbe indicare la presenza di sintomi depressivi, nevrotici, di regressione psicotica e di tratti autistici, nonché l’ipotesi di RM. Il 45% non si rappresenta nel disegno, questo potrebbe indicare una mancanza di percezione di sé stessi come componenti della famiglia. Il 30% disegna sé stesso per ultimo, ciò denoterebbe una svalorizzazione di sé, poca fiducia nelle proprie capacità, mancato riconoscimento delle proprie risorse, chiusura, timidezza e difficoltà nel manifestare la propria affettività.La revisione dei dati, compiuta prima della fine dell’esperienza, riguarda i dati grezzi delle scale utilizzate. Su 24 utenti inviati, 20 hanno accettato di far parte alla ricerca e sono rimasti fino al termine: solo il 16 % ha rifiutato o interrotto il progetto. Questo dato suggerisce come il tipo di approccio indagato e utilizzato per il problema del RM medio-lieve sia richiesto e conferma quanto appare dal Questionario di Gradimento.I test proiettivi (SIS, reattivo dell’albero e della famiglia) hanno dato risultati tipici per questa diagnosi e sarà interessante confrontare se l’esperienza ha portato cambiamenti su questi indici, difficilmente influenzabili razionalmente data la loro valenza. Lo stesso vale per la WAIS.Gli strumenti di valutazione somministrati a cadenza trimestrale confermano un miglioramento in tutti i campi esaminati. Per quanto riguarda le SOA, i pazienti hanno presentato un notevole miglioramento dei campi esaminati, con un aumento del punteggio pari a circa il 30%. Anche la BPRS, scala essenzialmente clinica, mostra un miglioramento nei fattori Ansia/depressione e Anergia, ambedue fattori che indicano una maggiore soddisfazione e progettualità.Lo stare insieme, la condivisone di spazi, attività, giochi, il costruire insieme, il vivere in un ambiente “nor-male”, lontano dal mondo sanitario, ha attenuato la solitudine e l’isolamento tipici di questa diagnosi e delle persone sottoposte a istituzionalizzazione. I risultati più importanti hanno infatti riguardato i tratti autistici che si sono ridotti, ed è migliorata l’autonomia personale, l’integrazione sociale, le capacità relazionali. Infine al di fuori delle scale di valutazioni, da segnalare che al termine dell’osservazione tutti i soggetti sono in gra-do di seguire le normali regole di convivenza civile; in particolare 4 soggetti sugli 8 che non erano autonomi negli spostamenti, hanno imparato a muoversi attraverso l’uso di mezzi pubblici; 3 soggetti su 4 che erano violenti in famiglia, comunicano verbalmente senza l’uso della forza.Questo è un esame dei dati preliminare e si presta a molte critiche. Il campione è ridotto rispetto all’obiettivo

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preposto, la frequentazione dei NSV non è uguale per tutti i componenti, i dati e l’elaborazione non sono defini-tivi, manca un gruppo di controllo. Ma la soddisfazione di vedere pazienti comportarsi da persone dopo anni ed anni di isolamento e stigmatizzazione sociale ci spinge a continuare questa indagine, sperando da una parte di vedere il miglioramento stabilizzarsi nel tempo e le persone andar via a vivere al di fuori delle strutture sanitarie ed assistenziali, dall’altra di riuscire a dimostrare che anche per il pz con RM esiste un concreto approccio tera-peutico al di fuori della farmacologia.

Fermate il mondo: voglio scendere!

Il 18 gennaio 2011 in Afganistan un altro nostro giovane militare in missione di pace, Luca Sanna di 33 anni, è morto: l’Italia è ancora in lutto. Ma l’Italia ha problemi “politici” ben più impellenti che i mass-media non pos-sono trascurare o mettere in secondo piano; infatti, il sacrificio del nostro militare è stato trattato a valle della “politica”.Questo greve comportamento, di taluni mass-media, mi ha fatto vergognare di essere italiano e sono stato ten-tato di gridare ai quattro venti: “fermate il mondo: voglio scendere!”. Il 28 gennaio 2011 ho partecipato alla pre-sentazione consuntiva del progetto Nuovi Spazi di Vita (N.S.V.) per il recupero delle persone con ritardo mentale medio-lieve, che non sono figli di un Dio minore come qualcuno pensa, dove, invece, mi sono sentito orgoglioso di essere italiano (già questo, da solo, compensa i sacrifici sostenuti per poter essere presente).Una giornata che mi ha arricchito di qualcosa che va aldilà della mera ricchezza stereotipa legata al successo e al denaro: lo spirito. Tutto è stato bello e interessante: le tematiche trattate, l’ascolto interessato, l’organizzazione eccellente.Ho seguito con attenzione tutti gli ottimi interventi, ma una frase in particolare, pronunciata dalla dott.ssa Rita La Mura che in maniera molto semplice ha messo in risalto come noi “normodotati” si viva cinicamente nella convinzione di essere nel giusto, mi ha scosso: “danno molto più loro (indicando gli utenti presenti) con la loro genuina quotidianità che certi sofisticati intellettuali” (citazione a memoria).Questi “loro”, che Voi avete trattato con una metodologia innovativa e dirompente, hanno raggiunto, come si evince dagli interventi e dalle tabelle riassuntive in calce al libro che generosamente ci avete donato, hanno rag-giunto traguardi eccellenti che, penso, sono andati aldilà anche delle Vostre aspettative.Le aspettative superate mi hanno fatto venire in mente un commento, di un mio collega di lavoro, in occasione del tragico crollo delle Twin Towers dell’11 settembre 2001: “la realtà ha superato la fantasia”. Questo commen-to, per me, è sicuramente etichettabile anche a siffatto progetto perché i risultarti raggiunti hanno superato qualunque rosea ipotesi iniziale; anche in N.S.V. la realtà ha superato la fantasia questa volta, però, in positivo.In un mondo cinico, dove i valori sembrano rimescolati e dove l’unico traguardo da raggiungere, in ogni modo (il fine giustifica i mezzi), è il successo legato alla ricchezza, questa bella realtà sembra andare controcorrente; ma quello che Voi fate, come lo fate e che, vi auguro con tutto il cuore, continuerete a fare vi deve inorgoglire: le persone come Voi, tutte e a qualsiasi titolo, la meravigliosa associazione L’ALBA e tutti i lodevoli progetti che promuove, meritano la mia personale stima e quella di tutti gli uomini di buona volontà.Concludo augurandoVi tutto il bene del mondo (perché lo meritate) e citando una frase, di una mia cara estinta, che nella sua semplicità diceva a chi si lamentava di non aver riconosciuti i suoi meriti: “sono tutti talenti per il paradiso”. Vi abbraccio tutti e, permettetemi, vi voglio bene.

Lillo

Chiunque fosse interessato alla pubblicazione può ri-chiederne una copia direttamente in Associazione, op-pure telefonando allo 050544211 o inviando una mail

a: [email protected] testo è disponibile anche on-line sul sito web:

www.lalbassociazione.com

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Mi chiamo Angelo Russo, sono di Reggio Calabria, ho 35 anni, ed ho vissuto un lungo periodo di sofferenza psi-chica. Proprio per questo nel 2003 mi son trasferito a Pisa, dove ho vissuto fino al 2007. Grazie alle cure, ed alla mia volontà, oggi posso dire di aver superato la mia malattia. Lavoro, ho degli amici, vivo serenamente la mia vita, ed ho recuperato gli affetti più importanti, quelli familiari. Grazie all’esperienza pisana è maturata in me la voglia di creare quello che sto per presentarvi, cioè un’associazione per il disagio psichico. I motivi che mi hanno spinto a intraprendere quest’iniziativa sono personali, ma anche di valore sociale. Ho letto un libro tempo fa, si intitola “Il cammino di Santiago” di Paulo Coelho, ed è un libro che vi consiglio. In sintesi, racconta del cammino di pellegrinaggio verso Santiago di Compostela, cammino spirituale in cui misuri la tua fede con prove ed eser-cizi, finalizzati a farti crescere, ed arricchirti, per portarti a diventare Maestro Ram. Una volta divenuto Maestro potrai fare da guida ad un nuovo pellegrino, e così guarirai insegnando, ti approprierai delle conoscenze che ti aveva trasmesso la tua guida. Io ci ho visto il mio cammino nella malattia, la sofferenza, la continua ansia di arrivare, la paura di non farcela. Infine ho capito che il mio scopo non è soltanto di guarire da una malattia, ma di far sì che la mia guarigione sia da guida a quanti ne vogliano fare tesoro. Solo così si può guarire veramente. Non trascuro, nel mio intento, la difficoltà delle relazioni, la diversità delle patologie, l’impossibilità di sopperire alle cure farmacologiche, ma allo stesso tempo, penso che aiutare, seppur con una voce nel frastuono, con un gesto, con l’ascolto, sia una nobile causa da perseguire. Per confermare ciò che dicevo, ho trovato una defini-zione che mi piace molto e dice: “L’intento comune di tutti i gruppi di auto-aiuto è quello di trasformare coloro che domandano aiuto in persone in grado di fornirlo”. E poi altri studi sostengono: “Nei gruppi di auto-aiuto le persone escono dal ruolo di consumatori, da una situazione di passività e diventano protagoniste, spesso dopo aver affrontato situazioni di grave disagio a cui i sistemi socio sanitari e politici non sono riusciti a dare una rispo-sta. Conoscere persone che hanno attraversato o stanno attraversando le stesse difficoltà fa sentire meno soli e aiuta a capire che sentimenti e reazioni che sembrano “cattive” o “folli “, non sono affatto tali. Inoltre incontrare persone che hanno superato gli stessi problemi, o hanno trovato modi ottimali per affrontarli e gestirli può re-galare speranza e ottimismo”. E ci sono tante altre pagine che descrivono l’efficacia di questa metodologia. Io stesso ci sono passato, ed è proprio grazie ai gruppi, alle persone dell’associazione che ho frequentato, “L’Alba” di Pisa, alla quale sono infinitamente grato, che sono riuscito ad affrontare, non più da solo, il disagio. Le cure sono spesso incomplete, se non c’è un miglioramento sociale, se non portano cambiamenti alla vita dei pazienti, se offrono soltanto farmaci. L’utente della salute mentale deve essere sostenuto e incoraggiato a rientrare nella comunità, non a trascurarla, perché solo con un impegno sociale si diventa responsabili del proprio ruolo in essa. Il reinserimento lavorativo spesso è un momento difficile se si vuole far passare dalla parte della società attiva e produttiva chi prima non poteva farlo. Così ogni persona deve essere valorizzata e le sue abilità devono essere comprese e trasformate in punti di forza. L’arte-terapia è uno dei tanti metodi che si possono utilizzare. Con la pittura, la musica, la scrittura, ogni utente viene spinto a trovare la propria abilità e confrontarsi con essa, per raggiungere la consapevolezza di essere pronto a misurarsi con gli altri, con il mondo, senza il timore dell’inade-guatezza, comune a molti pazienti. Spero che le mie intenzioni ed il mio impegno trovino risposta, che i gruppi abbiano tanti partecipanti. Con il coinvolgimento di molti avremo la possibilità di crescere ed ampliarci, per aiu-tare più persone, con progetti ed iniziative. Spero di essere arrivato a tutti. Grazie.

ASSOCIAZIONE ASCOLTARCI

di Angelo Russo

info: [email protected]

Angelo Russo è un amico ed è stato un valido collaboratore dell’Alba. Poi è tornato a Reggio Calabria, la sua città, e ha ritenuto di mettere a disposizione di chi soffre il disagio psichico la sua esperienza. Ha fondato una associazione di auto-aiuto che, come la nostra, fa riferimento al Comitato ARCI di quella città. Noi lo ringrazia-mo di essersi ricordato di noi come noi ci ricordiamo di lui e gli saremo sempre vicini per incoraggiarlo nella sua iniziativa. Quello che segue è l’intervento che ha fatto in occasione della presentazione dell’Associazione. (ndr)

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Direttore responsabileMaurizio Bandecchi

RedazioneCoordinatrice

Maria Velia Lorenzi Bellani

Hanno collaboratoMassimil iano Biagini

Catia BuffoniEva Campioni

Rosaria CalabrittoDaniela CellaiFabiana Pacini

Gabriel la PuglisiGiovanna Roventini

Silvia GodiniDavide Cecchi

Comitato di gestioneAssociazione L’ALBA

Diana GalloPresidente

Roberto PardiniSegretario

Ferdinando RomeoAmministratore

Comitato scientifico dott. Corrado Rossi

dott. Annibale Fanali dott. Alessandro Lenzi

Un ringraziamento per la preziosa collaborazione ad Aldo Bellani

Impaginazione e grafica di Ferdinando [email protected]

Stampa: Tipografia Bongi s.n.c. San Miniato (PI)

disegni a penna di

GIORGIO FORNACApresso THE VILLAGE PUB

via Mercanti n. 4a - Pisadalle 19.00 in poi

info: 3668049410

Questo numero de L’Immagi-nario è stato realizzato anche grazie al contributo offerto da Carla, Claudio ed Elisabet-ta Meacci e Stefano Meucci ri-spettivamente figli e nipote di Marino Meacci, uomo sensibile, spirito aperto e solidale, così lo ricordano i familiari devolven-do la raccolta fondi in suo ono-re al lavoro dell’ Associazione. Ringraziamo sentitamente per il gesto tutta la famiglia.

Mercoledì 30 marzo 2011 alle ore 17,30 presso ilCircolo L’ALBA si terrà la presentazione del libro di:

Antonia GuarnieriCinque anni con Mario Tobino

6 gennaio 1987 – 11 dicembre 1991Edizioni dell’Erba

Alla presenza dell’Autrice interverranno:Annibale Fanali, psichiatra; Piero Floriani, Università di Pisa; Giacomo Magrini, Università di Siena; Giovanni

Nardi, critico letterario.

Porterà un saluto Diana Gallo, Presidente Circolo L’ALBA

Coordina Aldo Bellani, redazione de Il Grandevetro