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Nel luglio del 1955 usciva il primo numero della nuova moderna rivista di eni “Il Gatto Selvatico”. Pagine a colori, vignette, resoconti di vita aziendale, racconti di autori importanti e tante rubriche per la famiglia: medicina, arredamento, moda, cucina, persino una sezione dedicata ai neologismi. Attilio Bertolucci, scelto da Enrico Mattei come direttore della rivista, aveva saputo raccogliere attorno a sé un circolo di scrittori e intellettuali di altissimo valore: Carlo Emilio Gadda, Giuseppe Dessì, Natalia Ginzburg, Goffredo Parise, Leonardo Sciascia e molti altri. Poeta, critico e giornalista, Bertolucci, nei primi anni, era stato allievo di Roberto Longhi e professore di storia dell’arte a Parma. Per questo motivo fin dal 1956 sceglie di dedicare la controcopertina della rivista ad alcune brevi lezioni dedicate ai grandi capolavori della pittura. I testi, dal taglio fortemente divulgativo e accompagnati sempre dalla riproduzione dell’opera a colori, rappresentano una sintesi puntuale e appassionata dei principali protagonisti e movimenti dai maestri del passato (Giotto, Leonardo, Caravaggio) fino alle avanguardie del Novecento (“gli ismi dell’arte moderna”, secondo una definizione di Luigi Capuana). In occasione del Festivaletteratura 2011, eni ha scelto di pubblicare integralmente le lezioni di storia dell’arte di Bertolucci, che rappresentano la sintesi più efficace e articolata di un progetto editoriale fortemente innovativo, a metà strada tra approfondimento e divulgazione, cultura e mediazione sociale. L’introduzione è curata da Gabriella Palli Baroni, autorevole studiosa dell’opera poetica e saggistica di Attilio Bertolucci. “Insisteremo poi anche nella presentazione della pittura, della quale era giusto far conoscere gli antichi capolavori, ma è altrettanto giusto presentare i contemporanei, tanto più quanto meno essi sono conosciuti e apprezzati” dicembre 1956 “Vorremmo tracciare un panorama dell’arte, non soltanto italiana, del nostro tempo, così discussa e, ci pare, così mal conosciuta nelle sue origini, nelle sue tendenze, nelle sue personalità di maggior rilievo. Le riproduzioni a colori aiuteranno a comprenderla e giudicarla meglio di mille ragionamenti critici” febbraio 1957 “Vi abbiamo dato delle indicazioni per decifrare il quadro che vi sta davanti, ma può darsi che voi ne ricaviate tante altre immagini e suggestioni: non scoraggiatevi né, se possibile, indignatevi: questa pittura è molto vicina alla musica, e voi non chiedete mai alla musica di dirvi esattamente qualcosa” dicembre 1960 in copertina e nell’introduzione, foto di Attilio Bertolucci per gentile concessione degli eredi inedita energia Attilio Bertolucci lezioni di storia dell’arte per “Il Gatto Selvatico” 1955-1964 inedita energia Attilio Bertolucci lezioni di storia dell’arte per “Il Gatto Selvatico” 1955-1964

Lezioni d'Arte Bertolucci ENI

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Lezioni d'arte in italiano

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  • Nel luglio del 1955 usciva il primo numero della nuova moderna rivista di eni Il Gatto Selvatico. Pagine a colori, vignette, resoconti di vita aziendale, racconti di autori importanti e tante rubriche per la famiglia: medicina, arredamento, moda, cucina, persino una sezione dedicata ai neologismi. Attilio Bertolucci, scelto da Enrico Mattei come direttore della rivista, aveva saputo raccogliere attorno a s un circolo di scrittori e intellettuali di altissimo valore: Carlo Emilio Gadda, Giuseppe Dess, Natalia Ginzburg, Goffredo Parise, Leonardo Sciascia e molti altri.

    Poeta, critico e giornalista, Bertolucci, nei primi anni, era stato allievo di Roberto Longhi e professore di storia dellarte a Parma. Per questo motivo fin dal 1956 sceglie di dedicare la controcopertina della rivista ad alcune brevi lezioni dedicate ai grandi capolavori della pittura. I testi, dal taglio fortemente divulgativo e accompagnati sempre dalla riproduzione dellopera a colori, rappresentano una sintesi puntuale e appassionata dei principali protagonisti e movimenti dai maestri del passato (Giotto, Leonardo, Caravaggio) fino alle avanguardie del Novecento (gli ismi dellarte moderna, secondo una definizione di Luigi Capuana).

    In occasione del Festivaletteratura 2011, eni ha scelto di pubblicare integralmente le lezioni di storia dellarte di Bertolucci, che rappresentano la sintesi pi efficace e articolata di un progetto editoriale fortemente innovativo, a met strada tra approfondimento e divulgazione, cultura e mediazione sociale.

    Lintroduzione curata da Gabriella Palli Baroni, autorevole studiosa dellopera poetica e saggistica di Attilio Bertolucci.

    Insisteremo poi anche nella presentazione della pittura, della quale era giusto far conoscere gli antichi capolavori, ma altrettanto giusto presentare i contemporanei, tanto pi quanto meno essi sono conosciuti e apprezzati

    dicembre 1956

    Vorremmo tracciare un panorama dellarte, non soltanto italiana, del nostro tempo, cos discussa e, ci pare, cos mal conosciuta nelle sue origini, nelle sue tendenze, nelle sue personalit di maggior rilievo. Le riproduzioni a colori aiuteranno a comprenderla e giudicarla meglio di mille ragionamenti critici

    febbraio 1957

    Vi abbiamo dato delle indicazioni per decifrare il quadro che vi sta davanti, ma pu darsi che voi ne ricaviate tante altre immagini e suggestioni: non scoraggiatevi n, se possibile, indignatevi: questa pittura molto vicina alla musica, e voi non chiedete mai alla musica di dirvi esattamente qualcosa

    dicembre 1960

    in copertina e nellintroduzione, foto di Attilio Bertolucci

    per gentile concessione degli eredi

    inedita energia

    Att i l io Ber toluccilezioni di storia dellarte per Il Gatto Selvatico 1955-1964

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  • inedita energia

    Att i l io Ber toluccilezioni di storia dellarte per Il Gatto Selvatico 1955-1964

  • 3 3 introduzione

    29 i maestri della pittura

    99 i ritratti, i paesaggi e le nature morte

    181 gli ismi dellarte moderna

    Racconto di storia dellarte a puntate: Attilio Bertolucci e Il Gatto Selvatico di Gabriella Palli Baroni

    La vera vita era quella dellopera darte, insostituibile miracolo Anna Banti

    Educato nella piccola capitale di Parma; nutrito dalle opere di Antelami, del Correggio, del Parmigianino; allievo a Bologna di Roberto Longhi; sodale di Francesco Arcangeli, successore di Longhi alla cattedra bolo-gnese; amico del critico Roberto Tassi, Attilio Bertolucci ha una lunga frequen-tazione con larte. Esordisce con brevi cronache di eventi locali sui fogli della sua citt, Aurea Parma, La Fiamma, per avviarsi con respiro pi ampio sulla Gazzetta di Parma soprattutto a partire dal dopoguerra, affiancando gli interventi di critica darte alla cronaca cinematografica e ad articoli su argomenti letterari. Larte figu-rativa, che inizia ad insegnare prima della guerra e riprende dopo il 46 presso il Convitto Maria Luigia di Parma, occupa un posto importante tra gli interes-si del poeta giornalista, che, mentre tiene saltuariamente sulla Gazzetta una rubrica con lo pseudonimo di Cennino, firma alcuni reportage dalle Biennali di Venezia del 1948 e 1950; si sofferma a lungo sulle mostre veneziane dedicate nel 49 a Giovanni Bellini; continua linsegnamento, una volta trasferitosi a Roma nel 1951, presso il Liceo Virgilio; scrive di mostre darte contemporanea tra il 56 e il 57 per la Fiera Letteraria e condivide con Tassi e altri amici la direzione della

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    rivista Palatina, negli stessi anni in cui si avvia e si sviluppa la Storia dellar-te del Gatto Selvatico. La sua tastiera multiforme e il gior-nalismo il grande veicolo della sua cultura. Una cultura sempre pi vasta nel panorama internazionale, aperta ai campi pi diversi, accompagnata da viva sensibilit artistica, da grande intelligenza critica mai esibita, ma profonda, da linguaggio trasparente e affabile, da modernit di sguardo su persone ed eventi, su poeti, narratori, pittori, raccontati con indipendenza di giudizio, con verit umana.Non solo. Se aveva coltivato la propria pagina con molta attenzione a periodi-ci stranieri e nazionali, aveva anche pi volte partecipato a progetti di riviste letterarie, rivelando sin dal primo

    tentativo, la rivista La Certosa di Parma, ideata negli anni 1928-29 visione non provinciale, ricchezza di idee (parlare di cinema di pittura di tutto insomma) e sguardo curioso e aperto sul mondo. Laspetto che il poeta pare tenere sempre al centro del suo interesse sono la modernit degli argomenti e la risposta del pubblico lettori di articoli o spettatori di film o visitatori di mostre darte che Bertolucci considera interlocutore privilegiato e di cui si deve coltivare intelli-

    genza e buon gusto con prodotti di alta qualit, utili e dilettevoli, secondo lantico binomio illuministico. Per queste ragioni, per la grande curiosit per infinite cose, qualit che deve essere propria di un giornalista, a lui si era rivolto Enrico Mattei. E per Bertolucci fu linizio di unesperienza straordinaria:

    stato un senso come di avventura pionieristica per me molto vitalizzante, in un campo nuovo, moderno, che mi faceva sentire nel mio tempo, pienamente inse-rito; non come si dice dei poeti sempre chiuso nella torre davorio, ma, invece, immerso nella realt viva e contemporanea.

    Era il 1955 quando giunse ad Attilio Bertolucci, poeta e scrittore affermato, linvito a dirigere il giornale aziendale che Enrico Mattei voleva realizzare per la grande famiglia di Eni: un mensile dinformazione, di promozione aziendale, di divulgazione culturale, che testimoniasse il grande momento espansivo della compagnia petrolifera e costituisse il legame democratico tra uomini e donne operai, tecnici e dirigenti nella comune appartenenza e identit. Il giornale che faremo noi, precis Mattei, deve essere lo stesso, democraticamente pos-sibile, cio leggibile, dal Presidente della Repubblica al pi lontano dei nostri perforatori, anche fuori dItalia. E il consenso di Bertolucci fu pieno, tanto da avviare una delle pi importanti esperienze nel campo delle testate industriali italiane, che si affianc a Comunit , fondata da Adriano Olivetti nel 1946, a Pirelli, diretta da Leonardo Sinisgalli dal 1948 e a Civilt delle macchi-ne fondata dallo stesso Sinisgalli nel 1953, ma anche, per restare nel campo economico proprio di Eni, a Esso Rivista della Standard Oil, rivista patinata e destinata alle pubbliche relazioni, non certamente rivolta ai dipendenti, per i quali si stampava, con le parole di Bertolucci, un misero bollettino. E se la

    Attilio Bertolucci nel 1934, dopo la pubblicazione

    di Fuochi in Novembre

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    scelta grafica ed editoriale del rotocalco fu agile e moderna, il titolo estroso e apparentemente enigmatico, consigliato dal poeta, apparve assai allegro e di bel suono, allusivo comera sia ai pozzi petroliferi sia ai ricercatori di petro-lio, uomini avventurosi e avventurieri. Il Gatto Selvatico piacque molto a Mattei e ospit in ogni numero un disegno di Maccari, un vero e proprio editoriale ironico e graffiante su fatti di costume. Si realizzava cos pienamente lantico progetto bertolucciano di un giornale culturale: rubriche importanti e impegnate, non brodetti, ma succhi dinformazione; settori di cultura affidati a penne competenti e valide; documentazione sicura dei fatti del presente e della realt viva, industriale e non; attenzione ad un pubblico vero. Cos, se il rotocalco doveva avere un buon numero di pagine destinate alle attivit di Eni, agli sviluppi della ricerca e dellespansione in Africa e in Medio Oriente, agli accordi internazionali, alle prospettive in campo energetico e alle notizie aziendali, molto spazio fu via via riservato agli argomenti di attualit e dinforma-zione, alle aperture interessanti sulla vita e sul mondo. Particolare fu lattenzione pedagogica verso il lettore, che, non solo era invitato a partecipare negli spazi di svago o di scrittura creativa, di cucina o di moda o di sport, ma era guidato verso scelte letterarie di alta qualit, grazie alla penna di scrittori e poeti (da Gadda a Caproni, Comisso, Bassani, da Gatto a Cassola e La Capria, per fare qualche nome), a rubriche fisse dedicate a libri, al cinema, alla lingua italiana, e grazie a incursioni nel territorio della letteratura classica e moderna anche straniera (Proust nel maggio 1956 o Eliot nel dicembre 1957). allinterno di questa grande proposta culturale, piacevole e istruttiva, che nascono le controcopertine darte. Attilio Bertolucci le ricordava con malcelato orgoglio:

    Sempre la prima pagina era dedicata a qualche attivit aziendale: ad uninaugurazione, ad un evento del Gruppo. Nellultima e questa stata un po una mia trovata, visto che era disponibile il colore iniziata una interminabile storia dellar-te divisa per generi e scuole, che ha avuto molto successo. Tanto che lAssociazione per la libert della cultura fondata da Silone, mi aveva chiesto di poterne ricavare dei volumetti che avrebbe poi fatto diffondere. Potevano essere un avvio a una storia dellarte molto piacevole e non pedante. Il che dimostra come questo giornale entrasse anche in case come quella di un famoso scrittore e quanto potesse essere apprezzato.

    E finalmente, quello che stato a lungo e pi volte comunicato a chi scrive, il desiderio di veder pubblicate le pagine darte del Gatto Selvatico, trova ora vita rinnovata.

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    Attilio Bertolucci si sempre considerato, nelle conversazioni e negli scritti, allievo di un connaisseur e storico dellarte di eccezionale valore, Roberto Longhi. E certamente da lui apprese lo sguardo acuto del conoscitore, impar a penetrare i segreti del laboratorio dellartista, quasi per riprodurre con

    Attilio Bertolucci mentre prepara

    la lezione in classe al liceo Virgilio.

    Roma, 1951

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    le parole, come osservava Emilio Cecchi, le forme e i modi dellarte. Storici-smo, rapporti tra tradizione e innovazione, studio delle ragioni interne dellopera, dei valori espressivi, compositivi e coloristici, dello stile sono allorigine della sua interpretazione critica. Ma allorigine vi anche la sua inesausta e personale ricerca nel campo dellarte pi vera del vero; quel saper riconoscere la poesia che, coniugandosi con lartigianato della pittura o della scultura, potevano sollecitare il suo animo e portarlo alla presa di coscienza dellintima sostanza dellopera, della sua vita artistica assoluta.Se nei primi interventi la sua tastiera si articola tra arte e letteratura con pochi scritti su pittori locali come Carlo Mattioli (Mattioli a Bergamo) o su generi minori e popolari come le Maest contadine (Sculture sullAppennino), altre collaborazioni di maggior peso datano agli anni Cinquanta e testimoniano sia laffinarsi del suo sguardo critico sia la nascita, soprattutto a partire dal 1948, della sua grande prosa culturale. Sono dapprima itinerari critici darte contemporanea, passeggiate al modo di Virginia Woolf, ora una Rassegna significativa di arte contemporanea, ora reportage dalla Biennale di Venezia del 48 e del 50 sopra ricordati. Sono cronache che non nascondono lentusiasmo del corrispondente della Gazzetta di Parma davanti alla prima esposizione, la quale, dopo quello che egli chiam noioso oscuramento fascista, si apriva alla moderna arte europea, ai Turner, agli amati Impressionisti, a Manet, Renoir, Czanne, Degas, Picasso, Braque, Rouault, ai metafisici italiani e allincantevole Morandi. Nella seconda Biennale il rosso dei Fauves a entusiasmarlo, sono la felicit e il calore di Bonnard a commuoverlo, perch in essi trova gli stessi temi della vita quotidiana che erano suoi: le stesse ombre colorate, la stessa felicit non grossa, ma consapevole, seppur non sembri, della propria fugacit. Ma datano al 49 anche gli articoli su Giovanni Bellini, che si

    leggono ora in Aritmie e che mostrano sapienza nel rilevare i valori espressivi, spa-ziali e plastici di unopera, nel cogliere i rapporti tra visione naturale e invenzione pittorica. Se si esclude un Picasso scritto per Paragone, di cui redattore dal 51 e poco altro, ma si considera il quotidiano insegnamento, che interruppe nel 54, la Storia dellarte figurativa per il Gatto Selvatico, fu lesito naturale e quanto mai desiderato di un metodo storico-critico non astratto, ma registrato per molti anni in lezioni tenute a giovani liceali, che aveva coinvolto ed educato con la sua passione, con la duttilit dei suoi raccordi, con i rapidi e illuminanti richiami di letteratura, di cinema e di musica, che qui ritornano preziosi, con lindubbia capa-cit di trasformare in racconto una vicenda di vita e darte. Il progetto giornalistico apparve subito assai interessante e originale per la sede cui fu riservato, per il pubblico cui fu rivolto e per il risultato. Di Longhi Bertolucci realizzava pienamente il metodo critico appreso durante le lezioni bolognesi e la lunga frequentazione, ma lo raffinava e lo faceva pi suo grazie allesperienza della poesia (sono gli anni in cui, pubblicata nel 1951 La capanna indiana, si avvia il romanzo in versi La camera da letto). Il dettato di grande cordialit e naturalezza, sul registro di un linguaggio medio mai accademico n sontuoso, privo di artifici e del gusto arcaizzante ed espressionistico, filologico del maestro, pur essendo sapientemente scandito dai termini tecnici necessari alla conoscenza artistica; un dettato lucido e piano, inventivo, arricchito dal gusto della confidenza e della variazione, che gli sono riconosciute come virt supreme. Sono queste le caratteristiche salienti della sua prosa, dal colore vivo, addolcito dal calore del suo sentire, da una vibrazione segreta desistenza, fermato su quanto gli pi caro, su un passaggio di tempo, su un unintermittenza del cuore. Si rivolge spesso ai suoi lettori, con un voi assai familiare e amichevole, chiamandoli di frequente a osservare, a riflettere, a ritornare sul gi detto e a riprendere scuole e

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    linee artistiche, a condividere infine la sua lettura. Questa che vedete scrive ad esempio presentando la Madonna col Figlio della Sacra Rappresentazione di Bellini una delle tante che Giovanni Bellini ha dipinto. Eppure guardatela; o ancora (ma gli esempi possono essere molti), ricordando che spesso Leonardo e gli altri grandi pittori tra Quattrocento e Cinquecento sono entrati nella cultura comune, magari attraverso unoleografia appesa nella stanza da letto, aggiunge non senza un sorridente lampo dironia: giusto che sia cos, ma augurabile che ormai, con le tante forme di divulgazione che ci sono in giro, (mettiamoci pure mode-stamente anche le controcopertine del Gatto Selvatico) il gusto si vada allargando e approfondendo, cos che locchio possa ugualmente godere, lanimo parimente commuoversi, del morbidissimo, sapientissimo sfumato di Leonardo e del severo chiaroscuro di Giotto. Di pi, il non essere obbligato, proprio per la sede scelta, a considerazioni e riferimenti biografici minuziosi accresce la libert critica e stilistica dello scrittore e permette, proprio comegli aveva osservato in Cecchi, la giusta misura dellessay a lui congeniale. Di questa giusta misura, contenuta in modo perfetto sulla pagina, il poeta conservava un piacevole ricordo, vantando la perfetta rispondenza dellarticolo, dettato alla segretaria, alla pagina, sulla quale si ammira lopera o il particolare: Dettavo le controcopertine senza mai dover aggiungere o togliere una singola parola o frase.

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    La Storia dellarte, composta di 89 tavole, fu pubblicata sul mensile dal dicembre 1955 al dicembre 1964, portata a termine da Attilio Bertolucci mal-grado avesse lasciato la direzione del giornale dopo la tragica morte di Enrico

    Mattei. Una sola tavola, Cristo deriso di Rouault, collocata nelle pagine interne del numero di dicembre 57, dovendosi completare nellultima il disegno di Dino Vignali in copertina. Bertolucci aveva manifestato il suo disappunto in occasione della pubblicazione di una storia dellarte italiana, un Tutto Longhi, senza una sola illustrazione, chiosando: Che risulta peggio che dimezzato, tradito, ridotto a esempio di puro belletrismo, quasi esempio di sartoria, di pseudo eleganza per dirla [] con le parole sottili e inappellabili del mio antico maestro. Era infatti ben vivo in lui il ricordo durante le mattine nevose, nellaula delle proiezioni, del commento del Maestro alle immagini nuove ed emozionanti della lanterna magica, dei tagli inediti e fulminei, gi incontrati nella prima edizione del Piero come cosa nuovissima, delle giornate intere che il grande connaisseur passava a visitare con i suoi allievi palazzi e chiese mai prima visti da nessuno, a sfogliare libri e scorrere montagne di fotografie. Ecco pertanto decidere di costruire la propria pagina critica intorno a una ripro-duzione, che poteva conservare i colori e colpire immediatamente locchio del lettore. E la scelta non poteva essere che nella direzione dei capolavori, dal momento che egli credeva fermamente che soltanto la poesia fosse portatrice di verit assolute, superando il contingente e il divenire s che, libera dalle scorie e dai limiti del momento storico, potesse entrare, con le parole di Proust, nel tempo allo stato puro. Muovendosi tra storia, scienza dellarte, ricerca ed estro individuali nel segno delle ragioni delluomo e della poesia, tracciando cronologicamente allinterno di ogni sezione per i suoi lettori le linee portanti ed essenziali di epoche storiche ed esperienze artistiche, Bertolucci parla della nascita di un genere; mostra i nodi cruciali, le connessioni e le distanze; disegna una mappa, non dettagliata ma cer-tamente esauriente, dei tempi e delle correnti, per giungere ogni volta allartista

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    esemplarmente scelto e allopera singola che ne dimostri laltezza e loriginalit. Quando, per esigenze della sua storia a puntate, Bertolucci deve riprendere feno-meni artistici gi presentati non mai ripetitivo, ma sa variare sia i suoi incipit a carattere generale, in cui inserisce artisti importanti per lo sviluppo dellarte, sia gli elementi di raccordo tra unepoca e laltra, disegnando panorami con semplicit e fluidit, trasparenza e chiarezza. E se inevitabile richiamare nomi gi presenti in articoli precedenti, lo scrittore sa sempre ricreare lo spirito del tempo e il carat-tere saliente dellacquisizione o della rivoluzione del singolo artista per il divenire dellarte occidentale. Scorrono quindi dinanzi al suo lettore, chiamato ad osservare e a condividere i pregi e lessenza dellopera, i movimenti pi significativi della classicit e della modernit, il loro pieno affermarsi e il loro affievolirsi per opera degli epigoni e dei dilettanti, laffacciarsi del nuovo in polemica con lantico, il paese e la civilt che lha generato, fino a considerare nuovi metodi come la fotografia, che contamina positivamente con la sua obiettivit, i suoi tagli reali la pittura di un Courbet (Signore sulla Senna), i cui quadri da unobiettivit allapparenza fotografica, rag-giungono una severa monumentalit, un senso dassoluto e di necessario, mentre una certa animalit malinconica, un certo peso greve del corpo fa pensare a Bau-delaire. Non solo. Se consideriamo la sezione in cui Courbet inserito, Gli Ismi dellarte moderna, appare subito la dote somma dello scrittore di percorrere espe-rienze complesse con penna sicura, sapendo perfettamente districarsi nel territorio pi vivo e fertile dellarte otto-novecentesca. chiaro che su qualche movimento, come il Romanticismo, il Realismo o lImpressionismo, egli torna ad insistere, avendone gi parlato in altra sezione, ma quella anche loccasione per meglio definire e soprattutto per presentare un pittore tralasciato in altra sede (Ragazza che si pettina di Renoir avrebbe potuto essere collocata nella serie dedicata al ritrat-

    to), al quale non si voleva rinuncia-re, per la straordinaria rispondenza tra il soggetto umile, la domestica del pittore dorigine contadina nel prof ilo leggermente camuso, e la sublimazione della bellezza. Di altri movimenti mostra tutta la novit, facendo nomi di artisti coevi, rivelan-do debiti e distacchi, riferendo anche i principi teorici che li hanno sorretti, ma isolando il quadro che ha supe-rato le teorie col fuoco dellimma-ginazione e dellarte: il puntinismo di Seurat (Pomeriggio domenicale sulla Grande Jatte), che ricompone il quo-tidiano in unassorta sublime distan-za; il fauvismo di Derain (Vigneto in primavera), che ritrae la natura cari-cando i colori e tutto agitando in un impeto di ebbrezza; lespressioni-smo di Macke (Passeggiata sul ponte), che, risentendo della scomposizione cubista, non cela la malinconia della-nima germanica; il surrealismo di Dal (Giraffa che brucia), che insegue un suo incessante immaginare (sogno

    La famiglia Bertolucci al completo. Da sinistra in piedi

    Giuseppe, Bernardo, Attilio e la moglie Ninetta. Parma, 1958

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    o incubo?); lastrattismo di Kandinsky (Triangoli in curva), che mescola fantasia e geometria in una partitura che si avvicina alla musica. Quella musica che, come la letteratura, rintocca di frequente nei commenti di Bertolucci, indicando affinit e superamento dei confini tra le arti.Un discorso a parte merita larticolo sul Futurismo, perch ne riconosce la fun-zione di rottura nel panorama italiano e la risonanza internazionale, ma ne limita la portata teorica (le enunciazioni di principio, formulate pi che altro da Mari-netti, sono spesso confuse e qualche volta ingenue), salvando peraltro la tensione coloristica, la scomposizione delle forme plastiche, il dinamismo della luce e il fare della pittura uno strumento di conoscenza. Di questo lesempio pi alto il quadro Stati danimo I - Gli addii di Boccioni, opera che, superando divisionismo e cubismo, trasferisce in unit movimento, visualizzazione di sentimenti per onde cromatiche e realt.

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    Lhumus in cui lartista si formato, gli studi e gli incontri, le curiosit e le specializzazioni, sono la premessa storico-critica perch si entri nella lettura-traduzione verbale del testo figurativo. Traduzione verbale che si avvale s del linguaggio letterario, ma allo stesso tempo, con Longhi, di forme di linee e colori. Non mancano le indicazioni delle somiglianze tra pittori anche lontani del tempo, di fonti classiche nel moderno, di anticipazioni (Velzquez che guarda a Caravaggio; El Greco ai bizantineggianti e ai Veneziani, al Tintoretto in particolare; Goya che da radici accademiche giunge a unarte solo sua); di accostamenti che possono apparire sorprendenti (tra le ombre dirupate e ferme dellautoritratto di Czanne e il volto dellAdamo di Masaccio, ad esempio, o tra

    i ritmi degli oggetti nello spazio di Morandi e la monumentalit di Giotto e di Masaccio o, ancora, tra la poesia ampia e distesa degli operai di Lger e le serene decorazioni a fresco delle cattedrali antiche); di approdi di grande novit morale e stilistica preannunzio di modernit, come accade in Picasso che rende omaggio a Las Meninas o in Monet , che rimanda, con esito meno potente, al Tre maggio 1808 di Goya. Ma riconoscere una tradizione, uno stile, suggerisce Marisa Volpi, era proprio di Longhi come lo era leggere lopera nei mezzi despressione che fossero luce, colori, composizione. A Longhi e al suo storicismo stilistico risalgono certamente le due linee inter-pretative dellarte italiana: quella disegnativa, che si distende in linea plastica e in linearistica, al cui centro luomo (linea umanistica), come osserviamo nei primi testi su Cimabue, Giotto (con richiami a Masaccio), su Cosm Tura (con richiami alla scultura di Donatello, a Mantegna e ad altri ferraresi, Ercole Roberti e Francesco del Cossa) e, proseguendo nelle tavole, su Leonardo e Caravaggio per giungere a Giovanni Fattori e a Pietro Longhi; quella coloristica, che ha al suo centro la grande sintesi prospettica di forma e colore identificata da Longhi in Piero della Francesca, da cui nasce la rivoluzione di Giovanni Bellini e dei Veneziani e che prosegue, con variazioni dovute alle mutate condizioni storiche, sino a influenzare lImpressionismo. Anche il testo su Canestra di frutta di Cara-vaggio, introdotto dal soffio impetuoso che trasforma il classicismo idealizzante del Rinascimento in realismo di tale potenza da aprire la strada a tutta la pittura europea del Seicento, trova nelle lezioni longhiane, la sua prima fonte. Non solo quello che Longhi definisce specchiatura diretta della realt, qui diviene presa diretta sulle cose, sugli uomini, che popolano quadri sacri e profani con la stessa carica di vita e di sangue, ma la scelta della natura morta da presentare ai lettori del Gatto Selvatico, che definisce la prima nella storia dellarte non in fun-

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    zione di racconto, ma di soggetto del quadro, evoca la natura morta per s sola di cui parla Longhi, ripetendone anche linterpretazione l dove scrive che ci presenta un cestino vero, della frutta vera, anche bacata, delle foglie vere, anche appassite. Non diversamente leggiamo in Caravaggio del maestro bolognese: Il Caravaggio aveva invece dipinto la cestina comune dellaffittacamere colma di frutta a buon mercato; dove perci accanto alla mela sana, non mancava mai quella bacata; cos come nei pampini del Bacco, accanto alle foglie virenti, ci sono anche quelle vizze e scolorite, come Dio manda. Da queste linee portanti si diramano le sezioni dedicate alle diverse esperienze europee dei secoli che vanno dal Quattro-Cinquecento al Seicento e ai secoli seguenti, sempre con un occhio assai attento al rapporto tra civilt e suoi contrasti e cambiamenti, vita individuale e opere. Le influenze del classicismo fiorentino emergono subito nella pittura tedesca con Drer, che manifesta il bisogno di far propria larmonia italiana, coniugandola con la natura aspra e dolente della sua anima nordica; anima che prevale, senza compromessi con il bello, nel troppo umano e nel sentimento religioso e tragico di Grnewald, mentre Altdorfer sente la natura con un soffio cos grandioso da anticipare Hlderlin e Beethoven e ne fa lo sfondo di un evento sacro svariante di tinte di grande forza poetica. Trattando poi della pittura fiamminga naturale che sia sottolineata la natura pi empiri-ca dellarte di Fiandra rispetto alla pi ideologica arte italiana. Eppure quanti interscambi vengono alla luce dalla presentazione di Bertolucci s che limpronta fiamminga si coglie nei quattrocentisti ferraresi, in Antonello da Messina, mentre impronte francesi e della nostra arte si ravvisano in Van der Weiden e in Van Eych. Nella lettura dei dipinti offerti allo sguardo dei lettori emergono, accanto al vir-tuosismo tecnico, la resa lenticolare della realt del Ritratto dei coniugi Arnolfini di Jan Van Eych, divenuto pura contemplazione e astrazione; laderenza alla realt

    di un giorno qualsiasi nei Cacciatori nella neve di Bruegel il Vecchio; gli umori naturalistici e vitali e larmonia di contrastanti colori del Paesaggio con Filemone e Bauci di Rubens. Anche nella pittura spagnola acquisizione individuale e spirito dellet si connet-tono, s che El Greco accostato a Velzquez e a Goya, ma unico a rappresentare la grande arte di chi ha dipinto, con sintesi visionaria e deformazione irrealista, deformazione gi presente nellarte dai pittori senesi a Simone Martini a Modi-gliani, un ritratto (Frate Ortensio Paravicino) in cui si esprime il fuoco notturno di un volto, in gara con la drammaturgia del Don Carlo di Verdi. Allo stesso modo lillusionismo di Velzquez, che si rif a Caravaggio e pi indietro a Masaccio e a Giotto, ferma in Las Meninas con una straordinaria verit un gruppo di famiglia spassionato, privo di qualsiasi appiglio intellettuale, di qualsiasi intenzionalit, s che pare che non sia larte a riprodurre la vita, ma sia la vita stessa ad aprirsi su un giorno perduto. Goya infine rappresenta nel drammatico Tre maggio 1808 la realt della violenza e della miseria nel suo farsi, ma la sublima investendola del suo impegno morale e stilistico.Altra laria che si respira al leggere le tavole della pittura inglese, con risultati alti a partire dal Settecento e inoltrandosi nellOttocento da parte di artisti capaci di rappresentare la societ del loro tempo. Ricorrono qui i nomi di poeti assai fre-quentati da Bertolucci, Coleridge e Wordsworth accanto ai pittori Turner e Con-stable per il sentimento e lelegia della natura che essi esprimono in sommo grado.

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    Verit del reale e creazione artistica divengono lungo gli arti-coli un binomio indissolubile su cui insistono le predilezioni e le scelte di Ber-

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    tolucci; e certamente fu la frequentazione dellarte moderna e contemporanea a influire sulla sua pagina, che si fa pi complice e appassionata quando si sposta tra 800 e 900. Allora si colgono alcune istanze che lo rendono pi vicino a Fran-cesco Arcangeli nel lasciar affiorare, pur con tratti lievi e mai insistiti, referenti psicologici ed esistenziali. A differenza di Longhi che, crocianamente, riteneva che fosse il poeta a trasfigurare per via di linguaggio lessenza psicologica della realt, mentre il pittore ne trasferisce lessenza visiva, era stato infatti Arcangeli a spostare laccento sul valore esistenziale dellarte, sottolineando la condizione e lessenza ultima dellarte come peso e necessit di vita, come coscienza della condizione umana e del passare del Tempo. Aggiungeva inoltre che, se vi una specificit dellarte per cui arte arte e non altra cosa, essa anche legata con radice profonda a un certo esistere nella vita. Ed era stato Bertolucci a rammen-tare a Vittorio Sereni che Arcangeli in un bellissimo saggio sugli impressionisti aveva parlato anche per la loro poesia: una poesia del tempo fisico, con Sereni fedele al tempo vissuto e capace di rinnovare lo sguardo sulla natura e di mettere a fuoco, sui dati dellesperienza, lampi di verit.Il pensiero dellesistenza umana si accentua particolarmente quando affronta la pittura americana e la pittura dellet industriale. Un terreno che conosce assai bene, incontrato nei molti film da lui visti e nei molti romanzi letti, un mondo che lo appassiona al pari dei grandi poeti anglosassoni che hanno determinato la sua formazione. E se i cenni a Melville o a Stephen Crane sono rapidi, com giusto, essi servono a dare sostanza di luoghi e di cultura al mondo artistico. DallAme-rica emerge cos Homer, che, gi disegnatore dalla penna incisiva di istantanee di guerra, anticipa il taglio cinematografico nella composizione di un Gioco di ragazzi usando colori del tutto nuovi, caldi di terra e di legno: lora di un giorno qua-lunque rapita per sempre al flusso crudele del tempo, e divenuta, per lobiettivit

    estrema del pennello che lha colta, di un incanto remoto, straziante. Torna il grande cinema americano di Griffith e di Chaplin, capace di rendere lintreccio di durezza e di speranza (il Monello fu un film fondamentale della formazio-ne di Bertolucci) nella lettura del Ponte di Willis Avenue di Ben Shahn, non opera di denuncia ma verit della solitudine, senza sentimentalismi o ornamenti. Non poteva una rivista come Il Gatto Selvati-co, che aveva accompagnato come house organ gli sviluppi di una grande compagnia indu-striale, tralasciare larte dellet delle macchi-ne. E Bertolucci non si sottrae al compito, pur avendo, come si detto, lasciato la direzione dopo la morte di Mattei. Naturalmente regi-stra il rifiuto di quei pittori che, contro la mec-canizzazione, desiderano tornare alla natura; manifesta, scrivendo del Futurismo, riserve per gli esiti che portarono al Fascismo, ma presen-ta, per sottolineare il momento pi ottimistico della rivoluzione industriale, il quadro Esperi-mento con una pompa ad aria dellinglese Joseph Wright. un artista minore, ma Bertolucci sa che talvolta i minori possono illuminare unepoca, aggiungere, come in questo dipinto, umanit allesperi-mento scientifico nella desolazione dello sguardo di bambini. NellOttocento

    Attilio Bertolucci mostra un disegno di Zavattini

    esposto nella casa del regista in via Carini.

    Roma, anni 70

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    Turner a dipingere Pioggia, vapore e velocit con spirito naturalistico e romantico. Ma lopera che Attilio Bertolucci predilige tra i quadri che raffigurano temi e stazioni ancora un Monet, La stazione di Saint-Lazare, che non documenta ma interpreta cromaticamente il tema. Sembra che siano piuttosto gli innesti di poesia nella registrazione della vita con-temporanea a colpire il critico darte: laeroplano che sinnalza nella ferma, stupe-fatta atmosfera di un pomeriggio di domenica di Pescatori con la lenza di Rousseau; le macchine inutili, non prive di grazia di Parata amorosa di Francis Picabia; il mostro che avanza, incubo o proiezione dellinconscio, vaga immagine duomo, macchina inutile ornata da una assurda manica di pizzo dellElephant Celebes di Max Ernst; la resa inedita, senza realismo polemico n patetismo, del quotidiano degli operai nello studio per I costruttori di Lger; la sintesi di stile del Camion giallo di Mario Sironi, stile impastato e doloroso che affianca al mezzo meccanico le orbite vuote delle case delle periferie urbane, simbolo della triste condizio-ne operaia; il trofeo di cucina tra pittura e scultura infine della Stufa di Claes Oldenburg, la cui adesione alla Pop art significa documentare con ironia o forse con critica spietata oggetti della societ dei consumi, oggetti delluso comune che sopravvivono solo grazie al gesto dellartista. E si noti come anche dinanzi a molte di queste opere, fortemente allusive alla modernit, Bertolucci porti sempre il suo sguardo allindietro ora allarte classica ora alla moderna (le decorazioni a fresco delle cattedrali antiche per Lger o i maestri italiani classici e Czanne per Sironi). In questo modo la Storia dellarte di Attilio Bertolucci trova uno sviluppo coerente che abbraccia in una visione aperta e continuamente vitale le linee profonde, ma mai perse, di un processo che per lo scrittore nasceva dalla vita e dallumano e, con succhi ispiratori diversi e nuovi, alla vita tornava. Come Longhi gli aveva

    insegnato: cavare sempre qualcosa di vero, un segno di vita e dunque darte, il cui motivo unico, anche nellet di maggior formalismo [] la vita e non pu essere altro (Lora della lezione). Il ricorso ai principi della fedelt al vero e della libert creativa dellartista evidente gi nelle prime tavole di Storia della pittura: se sullastratto fondo oro del Profeta della Madonna in Maest di Cimabue la plasticit ridona forza morale alla figura umana e anticipa lumana sintesi di Giotto, nel bellissimo pezzo su Piero della Francesca chegli riconosce nel ritratto di Battista Sforza il vero trasposto sul piano dellarte con una fedelt assoluta. Ma si rammenti: per Bertolucci fedelt dellarte significa ricreazione e invenzione. la sua poetica ad essere tangente a questo principio, cui rester legato durante tutta la sua opera, trasfi-gurando la vita nella poesia della grandiosa Camera da letto. Nel racconto darte del Gatto Selvatico egli ritorna con insistenza alla fedelt al vero, accostan-do quei pittori che hanno saputo restituire visione e durata alla realt da essi percepita e contemplata. dapprima Morandi, a lui carissimo, che nella Natura morta senza scomporre il vero, come Picasso, deformarlo, come Modigliani, ha saputo ricrearlo per noi in maniera miracolosa. Ma, dopo di lui inserito a buon diritto nella Storia della pittura, vengono altri maestri, gli artisti vissuti tra 800 e 900 che aveva maggiormente ammirato nelle esposizioni veneziane, alle quali si accennato, artisti i cui nomi si riaffacciano nelle tavole della rivista di Eni, resi protagonisti di passi in cui pi vibrante e partecipe appare la sua esposizione.Certe intime risonanze, vere e proprie intermittenze del cuore, si manifestano con gli impressionisti e i paesaggisti, i pittori dinterni, i contemporanei. Anche risultati pi duri calligraficamente (vedi lespressionismo di Macke) che fanno pensare a fratture dellanimo, lasciano echi sulla pagina, mentre, daltro canto, egli si rifugia nella freschezza e nella felicit incantevole dei fauves dallallegra

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    fiammata, di tutti quei pittori supremi che hanno saputo dipingere un po di luce vera, come recita lepigrafe da lui apposta ai suoi versi giovanili. Quando apre la sezione Maestri della pittura moderna il suo consenso pieno per quella liberazione dellartista da temi e da regole dobbligo, gi avviato in Italia dai Macchiaioli e dal maggiore tra questi, Giovanni Fattori, ma portato avanti da personalit pi spiccate in Francia. Ed Monet, il pi puro e a lui affine, ad inaugurare la serie con Neve ad Argenteuil, in cui la resa precisa eppur poetica della natura, colta nel fluire del tempo, nel mutare delle ore, nel trascolorare dei colori sa dare eternit alla fugace ora del giorno con tanta verit e poesia, con tanta poesia appunto perch con tanta verit. Ma anche Czanne, che dallimpressioni-smo si allontana per superarne la visione sensuale e istantanea, ricostruisce il vero (I giocatori di carte) in una sintesi prima mentale, poi formale, poderosa, eterna. Non lontano dalla libert degli impressionisti, da lui accentuata, Van Gogh, che piegando la natura alle pi intense emozioni, cerca nello Scolaro uninteriore signi-ficazione, la verit psicologica di una solitudine che i colori rivestono; e ancora, in questa serie di pittori di grande rinnovamento pittorico, Gauguin, che, dipin-gendo le Femme de Tahiti ou sur la plage dona forme semplici e colori interi a paesi e volti primitivi; Matisse (Donna con la collana dambra) che fa squillare i colori in accostamenti inusitati, trasferiti la linea e i colori reali in direzione simbolica; Utrillo, i cui paesaggi e i cui angoli di Monmartre (Rue lAbreuvoir) sono inventa-ti, anche se con fedelt al vero, e quasi sognati [] visione che dellanima prima che dei sensi; Modigliani (Ragazza con trecce), che reinventa nella sua dolcissi-ma e pura linea allungata quello che nella sua vita di maudit vede ogni giorno; Chagall (Il gallo), che, partendo dal sogno arriva alla realt e la crea nel suo ritmo teneramente fantastico, nella sua invenzione freschissima, nel colorismo candido, barbarico e raffinato; il mistico Rouault (Cristo deriso), che ha rappresentato il

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    dramma della Passione spremendo dalla vita del suo tempo i motivi del dolore e dellamore, della speranza; Mondrian (Albero rosso) infine, artista che chiude lesperienza figurativa della natura per aprirsi allassoluto di forme astratte, accordi chiaroscurati a scacchiera di colori, reticoli spezzati. Il tema del vero, unito a quello della natura, percorre naturalmente, insito com nel cuore e nella mente di Bertolucci, anche le altre sezioni ed in particolare quelle dedicate al paesaggio: facendo scorrere davanti al suo lettore larte del paesaggio attraverso i secoli, da quinta teatrale sublimemente semplice nellarte trecentesca al lucido senso spaziale, narrativo e drammatico dellarte del Quattrocento, ai paesisti veneti agli Impressionisti, supremi poeti della natura, lascia affiorare il pensiero del rapporto con la propria terra, che il pittore, come il poeta, trasferisce idealizzata sul piano dellarte. E mentre, passando al secolo dei Lumi, mette in risalto lintelligenza razionale e lucida della natura e il rilievo dato alla precisione ottica e cristallina (il nitore favoloso di Canaletto, ma lopera riprodotta, Veduta della Gazzada, oggi attribuita al nipote Bernardo Bellotto), gi ci conduce, spo-standosi allOttocento, nuovamente nel terreno impressionista.

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    sulla luce che poggiano alcune tra le interpretazioni pi significative di Bertolucci, quella stessa luce che, nelle sue prime raccolte in versi, rivela le cose, le illumina, bagna lintonaco, tenendo lontana lombra dalla soglia della casa, il buio del dolore. Sono soprattutto le prove luministiche di Vermeer a rivelare lintreccio di verit e poesia, la resa artistica del sentimento del Tempo. Modello altissimo, del quale Bertolucci propone sia La donna che scrive una lettera alla presenza della domestica sia La merlettaia, Jan Vermeer rappresent la quiete

    dellanima seicentesca, offrendo una meditazione assorta, intensa, quasi metafi-sica, della vita domestica, nellimmobilit e nella relazione spaziale delle figure, nella magia sapiente della luce che ora bagna la porosit dorata della parete, lin-contrarsi di luce e ombra sul volto della ricamatrice, ora intride e modella col suo miele la stanza e la scrivente della Lettera, mentre il Tempo si percepisce nel suo lento scorrere. Ancora la luce e il Tempo sono il segreto sia della scena notturna della Lampada a petrolio di Bonnard, lampada che rode loscurit del crepuscolo tutto dorando e avvampando nel suo quieto, meraviglioso filare, sia del Duetto di Braque, le cui scomposizioni cubiste lasciano riconoscere la forma delle cose nel gioco di una luce capricciosa e insieme geometrica, nel passaggio prezioso di luce-ombra e addirittura in una sonorit un po stridula, agra ma fresca. Luce e ombra sono parte della tavolozza del poeta di Viaggio dinverno, la raccolta in cui pi insistente si fa il pensiero della fine e della corsa inarrestabile del tempo umano. Eppure allarte, ai suoi messaggi, che Bertolucci, il quale intitola un suo componimento La consolazione della pittura, chiede non solo la perfezione della forma, il sentimento delluomo e della natura, ma anche ristoro e conforto dalli-nesorabilit del transito perenne della vita. Anche nelle tavole del Gatto Selva-tico si odono sparsi echi di un mondo lacerato, amari pensieri che riguardano il presente, le sue contraddizioni, la precariet del divenire. Il passato ne investito, come nel testo su Giotto: a Giotto, come a Dante, che possiamo chiedere insieme la consolazione dellarte e il messaggio spirituale: perch la nostra epoca, non meno dura di quella in cui essi vissero, ne sente, malgrado le apparenze, profondamente lesigenza. O ancora in Tiziano, dove, dopo aver magistralmente letto la Flora, cui il pennello carico di succhi e intriso di luce d unit, renden-dola simbolo della bellezza e della giovent, annota: Al nostro occhio, e al nostro animo di moderni, avvezzi ad unarte duramente impegnata a rappresentare un

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    mondo lacerato e ferito, la colata aurea di luce e colore che la Flora tizianesca pu alle prime apparire lontanissima, irraggiungibile. Ma basta che ci lasciamo andare, perch ne restiamo dolcemente sommersi, e, alla fine, consolati e come guariti.Ma quando il poeta si avvicina al contemporaneo, pi frequente si fa il richiamo ai turbamenti della vita, alla durezza della civilt di massa e delle megalopoli (si leggano le parole dedicate ai relitti angosciosi del Ponte di Willis Avenue di Ben Shahn). Basti ricordare quanto scrive sulla pittura americana, sullAction painting e su Pollock in particolare, la cui pittura evocata, con Giovanni Raboni, dagli effetti di colata informe e di sgocciolamento e oltraggio della sintassi di alcune liriche di Viaggio dinverno. Egli sa bene che la magia o il mistero dellarte fanno scoprire atmosfere impensate, connessioni segrete tra ci che trascorso e limprovviso affiorare della memoria involontaria, delle evocazioni e delle epifanie che interrompono il viaggio senza ritorno. Sono larte e la poesia a salvarci, scrisse in una recensione ad una mostra del pittore Pompilio Mandelli alla Medusa del 1957, commosso da una giornata di una vita cos intensa da stordire, da una piena damore per la bella natura che in questo momento cos, e cos non sar pi e nemmeno noi, se non ci fosse la poesia, larte a salvarci. Sono quasi le stesse parole usate nellagosto 1961 per Las Meninas di Velzquez finestra aperta su un giorno del tempo perduto (ma fermato per sempre con una verit da stordire).Allarte dunque il compito di dare ai luoghi, alle cose e ai volti, alle ore del giorno e alle stagioni il colore e la forma dassoluto; il compito di arrestarli per sempre, di rivelare il loro mistero, latemporalit del loro essere cos e non pi altro, lessenza di Verit e Bellezza - Bellezza e Verit. il verso che chiude lOde su unurna greca di Keats, verso che Bertolucci fece suo perch questo il privilegio dellarte: dare eternit alle cose. Investite dal motivo del Tempo le opere darte, che la penna

    del poeta descrive dallinterno, facendole esistere con le sue parole, portano tutte, accanto alla perfezione tecnica e visiva di linee, volumi, spazi, forme e colori, il segno di un mondo perduto e di un tempo senza tempo, che impregnato, come scrive di Chardin, di una poesia tanto pi straordinaria quanto pi segreta e della luce vera e perenne di un momento di vita e di poesia.

  • i maestr i del la pit tura

    Cimabue

    Giotto

    Piero della Francesca

    Giovanni Bellini

    Cosm Tura

    Leonardo da Vinci

    Tiziano Vecellio

    Caravaggio

    Pietro Longhi

    Giovanni Fattori

    Claude Monet

    Paul Czanne

    Vincent Van Gogh

    Paul Gauguin

    Henry Matisse

    Maurice Utrillo

    Amedeo Modigliani

    Marc Chagall

    Georges Rouault

    Piet Mondrian

    Pieter Bruegel il Vecchio

    Hieronymus Bosch

    Rembrandt

    Jan Vermeer

    Diego Velzquez

    Francisco Goya

    Matthias Grnewald

    Albrecht Altdorfer

    William Turner

    John Constable

    Antonio Ligabue

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    dicembre 1955 Madonna in Maest Cimabue Galleria degli Uffizi - Firenze

    La pittura italiana comincia con Cimabue, che nato a Firenze nel 1240 e morto circa nel 1302, innesta sulla tradizione preziosa ma sterile del bizantinismo, dominante da secoli non soltanto in Oriente ma anche in Occidente, il vigoroso realismo della scultura romanica.Il frutto supremo di questa sintesi sar la pittura di Giotto, del tutto compiuta nel suo linguaggio formale, inconfondibilmente italiana come la poesia di Dante a essa contemporanea.In questo particolare della Madonna che sta agli Uffizi, la personalit di Cimabue si afferma in tutta la sua severa grandezza: dal fondo oro, ancora astratto, secondo la maniera simbolistica dei bizantini, ma gi reso concreto per il trono che vi si inserisce dando una illusione nuova di profondit, il Profeta si stacca con una forza indicibile.La plasticit con cui resa la sublime figura del vecchio non un puro risul-tato tecnico di superamento della piattezza cui era ridotta la pittura preceden-te, ma unaltissima affermazione di forza morale. Cimabue, ridando corpo alla figura umana, come avevano fatto qualche tempo avanti nella pietra e nel marmo Benedetto Antelami e Nicola Pisano, libera la pittura dal formalismo calligrafico dei bizantini.Per molti italiani Cimabue rimane il mitico maestro di Giotto, il pittore gi affermato e disinteressato che un giorno, per caso avendo scoperto un pastorello intento a disegnare sulla pietra, lo porta con s e ne fa il pi grande pittore del secolo. Non sappiamo quanto ci sia di vero nella leggenda, quel che certo che

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    Cimabue rappresenta un momento necessario nella storia dellarte, fra la splenden-te ma fredda tecnica bizantina e la pittura di Giotto, umanissima anche se tutta vibrante di sentimento religioso.Purtroppo, di Cimabue rimangono pochissime opere sicure: gli affreschi note-volmente guasti della Basilica superiore di San Francesco in Assisi, la Madonna in Maest da cui tratto il particolare che pubblichiamo, e qualche altro dipinto su tavola.

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    febbraio 1956 Madonna di Ognissanti Giotto Galleria degli Uffizi - Firenze

    Giotto nato a met del Duecento come Dante: la sua impor-tanza per la storia della pittura non inferiore a quella che ha lautore della Divina Commedia per la storia della letteratura. Entrambi avevano avuto, luno in Guinizelli laltro in Cimabue, lavvio giusto: ma quanta strada in avanti doveva-no poi percorrere. Tanta che noi oggi, guardando alle loro opere, sentiamo che i secoli e le personalit, anche grandissime, venute dopo di loro, non hanno aggiun-to nulla di essenziale alla loro compiuta perfezione.

    Gi del tutto libero dalle astrattezze bizantine, Giotto, rinarrando nei cicli di affreschi di Assisi e di Padova le storie di san Francesco e di Ges, rac-conta sublimemente la storia delluo-

    a Giotto, come a Dante, che possiamo chiedere insieme la consolazione dellarte e il messaggio spirituale: perch la nostra epoca ne sente profondamente lesigenza.

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    mo, le sue gioie, i suoi dolori, le sue angosce e la sua speranza. Infatti la divinit non per lui superbamente stilizzata, ma umilmente resa nel suo peso corporeo, veramente incarnata. Lo spazio, come si vede nel trono di questo particolare della Madonna che sta agli Uffizi, appena segnato illusionisticamente sul fondo ancora dorato; ma le figure, per effetto del chiaroscuro possente, risaltano con una plasti-cit mai prima raggiunta nella pittura. Severit e dolcezza si fondono in questi volti presi nellestasi della contemplazione, eppure consapevoli della condizione umana.Il colore, come sar in tutta la pittura fiorentina sino a Masaccio e a Michelangelo, non squilla n splende, ma si distende quietamente entro la struttura monumentale del volume, non gi a rivestirlo, ma a rivelarlo con maggior forza. Il pi antico dei grandi pittori italiani anche il pi moderno: mentre la fastosa ricchezza coloristica e il virtuosismo tecnico dei maestri del Rinascimento, pur suscitando in noi ammi-razione e stupore, raramente ci commuovono, le figure gravi, gli sfondi essenziali, i colori sobri di Giotto trovano la pi grande rispondenza nel nostro animo. a Giotto, come a Dante, che possiamo chiedere insieme la consolazione dellarte e il messaggio spirituale: perch la nostra epoca, non meno dura di quella in cui essi vissero, ne sente, malgrado le apparenze, profondamente lesigenza.

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    marzo 1956 Ritratto di Battista Sforza Piero della Francesca Galleria degli Uffizi - Firenze

    Con Piero della Francesca siamo gi nel Rinascimento: la pittura, che abbiamo visto in Cimabue liberarsi con difficolt dai legami della

    sublime ma sterile astrazione bizantina, e in Giotto farsi di una concretezza tanto pi assoluta quanto pi ferreamente armata di spirito religioso, ha gi avuto nei primi del Quattrocento, in Masaccio, chi le ha dato la forza di poggiare del tutto, intrepida, sulla terra.LUmanesimo, con la riscoperta e lo studio degli antichi, ha fornito agli artisti gli strumenti per misurare lo spazio, s da poter inserire luomo, per la prima volta sentito nel suo peso corporeo ma equilibrato di consapevolezza spirituale, entro la Natura. Che si apre, come vedete in questo paesaggio slontanante allinfinito dietro il profilo cristallino della duchessa Battista Sforza, non pi scenario inven-tato dal vero ma vero trasposto sul piano dellarte con una fedelt assoluta.Il volume del busto fermo e del volto impassibile, che fa pensare alla geome-trica esattezza della scultura egizia, viene ravvivato dal tocco della luce meri-diana che intride le perle della collana come, in una rispondenza perfetta, le merlature dei castelli: cui il grande pittore ha dato insieme funzione simbolica di emblema della signoria ducale e naturalistica di rappresentazione del paese umbro-tosco-marchigiano.Questo ritratto, che si trova agli Uffizi con quello, compagno, di Federico di Montefeltro duca dUrbino e marito di Battista Sforza, fu dipinto dal pittore della Francesca circa nel 1465. Piero della Francesca lespressione pi alta della matu-rit piena e dorata cui larte italiana giunta a met del Quattrocento: in questo quadro piccolo eppure senza limiti confluiscono la plasticit di Masaccio e la luce di Domenico Veneziano, la scienza prospettica di Paulo Uccello e persino il colo-rismo prezioso dei fiamminghi. Tutti questi precedenti, che rappresentano la varia essenza del primo Rinascimento figurativo, al fuoco intellettuale della mente di Piero, teorico oltre che creatore sommo, raggiungono una nuova, originalissima, inimitabile sintesi.

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    La lezione di armonia dellarte pierfranceschiana trover rispondenza soltanto in Raffaello, che senza indebolirne la struttura, laddolcir miracolosamente.

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    aprile 1956 Sacra conversazione Giovannelli Giovanni Bellini Gallerie dellAccademia - Venezia

    A met del Quattrocento, portata avanti dal supremo sforzo conoscitivo e creativo dei maestri toscani, la pittura italiana fiorisce con una ric-chezza mai prima raggiunta. E fiorisce un po dovunque, traendo dalla terra do-rigine i succhi vitali che la nutrono e la differenziano, pur nella generale, aurea misura del Rinascimento.Gi in questo secolo la grande alternativa alla tradizione plastica toscana vien data dai pittori di Venezia, compresi quelli che nellentroterra ricevono la mobile luce naturale della laguna e il sublime riflesso del colorismo bizantino, tenacissimo qui anche per il durare dei rapporti commerciali con lOriente.La Madonna che riproduciamo, e che si trova nella Galleria dellAccademia di Venezia, opera della prima maturit di Giovanni Bellini, figlio e fratello di pittori, quasi simbolicamente rappresentativo, nella sua carriera dartista, di tutto il cammino della pittura veneziana. Partito infatti dalla maniera ancora un po chiusa nel formalismo protorinascimentale del padre Jacopo, divenuto poi pi liberamente spaziale nella composizione e morbidamente naturale nella resa delle figure, finir per toccare la nuova sintesi espressiva di luce e colore dei suoi grandi scolari allalba del Cinquecento, da Giorgione al Tiziano.

    Quante Madonne sono state dipinte nellarte italiana, da Cimabue al Tiepolo. Eppure, se anche vi si sono cimentati uomini della forza di Giotto e dellAngelico, di Raffaello e del Correggio, bisogna dire che quelle di Giovanni Bellini hanno saputo pi di tutte le altre darci quel senso di divino e umano insieme, di umile e di regale che caratterizza per noi la figura della Madre di Dio. Questa che vedete una delle tante che Giovanni Bellini ha dipinto, non neppure la pi famosa. Eppure guardatela: spira dal suo volto di giovinetta-madre una tale dolcezza, dol-cezza che si rivela anche nel gesto delle mani aperte a raccogliere il Figlio, da lasciarci commossi sino al turbamento. E dietro di lei il paesaggio, sopito in una luce di tarda primavera, ha gi lautonoma poesia che trionfer nel Cinquecento veneziano e che trover i suoi ultimi, grandi poeti negli impressionisti.

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    maggio 1956 San Domenico Cosm Tura Galleria degli Uffizi - Firenze

    Il Quattrocento in Italia non vede soltanto fiorire in pittura la scuola severamente umanistica che da Masaccio porter poi sino a Michelangelo, e la scuola pi apertamente naturalistica dei veneti, che da Giovanni Bellini si esten-der sino al glorioso meriggio tizianesco. Altre scuole pittoriche, sotto limpulso del fecondo metodo di ricerca rinascimentale, si affacciano sulla scena artistica italiana: fra queste, prepotentissima, quella ferrarese.In essa si assommano e vengono mirabilmente potenziati quei caratteri di reali-smo espressivo che gi albeggiavano in tutta la pittura settentrionale del Trecen-

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    to, differenziandone lo stile, pur nella comune ispirazione mistica, dalla solenne maniera giottesca.Su questa base tradizionale nel Nord Italia, e pi generalmente nel Nord Europa, sinnesta nella prima met del secolo lalto insegnamento di Donatello, le cui opere padovane, dalla statua equestre del Gattamelata ai rilievi bronzei per lal-tare di SantAntonio, saranno guida a tutti gli artisti settentrionali, compreso il grande Mantegna. Ma i ferraresi, da Cosm Tura a Ercole Roberti a Francesco del Cossa, nomi di personalit fortissime ma purtroppo non ancora giunte alla cultura comune, possono conoscere e seguire altri pittori del tempo, come Piero della Francesca e il fiammingo Rogier van der Weyden. Dal primo impareranno a segnare gli spazi nella luce, dal secondo a inseguire la realt sin nelle sue minuzie.Questo San Domenico che vi balza agli occhi, forse per la prima volta, dalla mira-bile tavola degli Uffizi, una delle opere meritatamente pi famose di Cosm Tura, e rappresenta in modo perfetto le alte qualit della pittura ferrarese del Quattrocento. Pu darsi che la resa aspra del reale, in cui Tura maestro, possa alle prime dispiacere. Ma non bisogna fermarsi alle apparenze: emulo in questopera dei grandi scultori del suo tempo, il pittore ferrarese ha qui voluto e saputo model-lare con il colore la forma del corpo umano, con tale vigore, che la figura del santo sembra veramente uscir fuori dal fondo. Ma la durezza incisiva dei contorni, la quasi rupestre anfrattuosit dei panneggi, la dolorosa povert del colore non sono fine a se stesse. Non si tratta insomma duna fredda esercitazione di virtuosismo o di bravura. La figura del santo infatti portata nel suo insieme, malgrado lestrema finitura dei particolari realistici, su un piano di suprema spiritualit.Nel ricco e vario panorama della pittura italiana del Quattrocento oltre il paesaggio netto e puro dei toscani e il dolcissimo dei veneti, questa natura scoscesa e aspra dei ferraresi ha ben diritto di venire considerata e ammirata, senza riserva alcuna.

    giugno 1956 Annunciazione Leonardo da Vinci Galleria degli Uffizi - Firenze

    Nella seconda met del Quattrocento la pittura, dopo il vario e arduo sperimentare dei maestri che, sullesempio degli antichi, avevano ripreso possesso della natura dopo il lungo sogno mistico del Medioevo, si avvia a un approfondimento sempre maggiore delle conquiste di prima. Inizia cio quel glo-rioso momento di assoluta padronanza dei mezzi formali che permetter a uomini come Michelangelo e Leonardo, Raffaello e Tiziano e Correggio, di portare, in maniera diversa ma arcanamente concorde, larte italiana a un punto di sublime, unica pienezza e perfezione.Il primo, e il pi rappresentativo anche se per linquietudine che lo muoveva in tante direzioni di ricerca pot portare a compimento un minor numero di opere, fu Leonardo da Vinci. Educato alla severa disciplina formale del Pollaiolo e del Verrocchio, scultori oltre che pittori e scultori in un certo senso anche quando dipingevano, Leonardo proprio per il magistero plastico da essi appreso, si spinse infinitamente oltre, temperando la cruda luce del formalismo sino allora domi-nante, con la prima ombra di un poetico naturalismo. Il passaggio non brusco, eppure a ben guardare in pochissimi anni il mutamento sostanziale, prodigioso. Questo particolare dellAnnunciazione che sta agli Uffizi, e che si presume datare agli anni 1470-75, quando ancora Leonardo lavorava nella bottega del Verroc-chio, sembra nella figura dellangelo cos morbidamente, nuovamente sfumata, simbolicamente annunciare il nuovo corso dellarte italiana. I profili dellangelo e dei cipressi hanno ancora la purezza di linea della grande tradizione quattro-centesca fiorentina, ma sembra di vederli poco a poco intridersi di una lievissima

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    bruma che dalle misteriose lontananze del fondo giunge sino ai bei fioretti del prato. Questa bruma si addenser poi nelle opere pi mature di Leonardo, sino a vincere del tutto la cristallina linearit che ancora si riconosce nello stupendo angelo annunziante, la cui figura segna veramente il punto di passaggio da un secolo allaltro, con quellanticipo che sempre i geni riescono ad avere sul tempo del calendario.Leonardo e gli altri grandi pittori del favoloso periodo di fioritura artistica che va dalla seconda met del Quattrocento alla prima del Cinquecento, rientrano, se pure un po superficialmente, nella cultura figurativa comune, magari per merito di unoleografia appesa nella stanza da letto. giusto che sia cos, ma augurabile che ormai, con le tante forme di divulgazione che ci sono in giro, (mettiamo-ci pure modestamente anche le controcopertine del Gatto Selvatico) il gusto si vada allargando e approfondendo cos che locchio possa ugualmente godere, lanimo parimente commuoversi, del morbidissimo, sapientissimo sfumato di Leonardo e del severo chiaroscuro di Giotto.

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    settembre 1956 Flora Tiziano Vecellio Galleria degli Uffizi - Firenze

    Venezia, che gi nel Quattrocento, specie con Giovanni Bellini, dispiega in pittura unattitudine unica alla resa coloristica del mondo naturale e soprannaturale, nel Cinquecento porta, con Giorgione, Tiziano e Veronese, questa sua misteriosa magia cromatica alle pi alte, estreme risultanze. Abbiamo

    Leonardo si spinse infinitamente oltre, temperando la cruda luce del formalismo sino allora dominante, con la prima ombra di un poetico naturalismo.

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    ottobre 1956 Canestra di frutta Caravaggio Pinacoteca Ambrosiana - Milano

    Lo splendore meridiano del Rinascimento non poteva durare in eterno: nella seconda met del Cinquecento le condizioni storiche mutate, e soprattutto la nuova spiritualit, nata dallavvicendarsi drammatico di Riforma e Controriforma, favoriscono lavvento di una nuova arte che prender il nome di Barocco. Unarte che, discendendo da quella rinascimentale, linnova e trasfor-ma, muovendola tutta col suo soffio impetuoso. In questo momento di crisi, ma crisi estremamente creativa e salutare, il giovane Michelangelo Merisi (vissuto a Caravaggio presso Bergamo nel 1573, morto tragicamente, dopo una vita avven-turosissima, sul lido malarico di Porto Ercole nel 1610) sinserisce di prepotenza con la sua personalit di una forza senza pari. vero che quel realismo con il quale egli spazza via le ormai esaurite forme del classicismo idealizzante era una tendenza antica e incorreggibile dellarte italiana settentrionale, ma egli sa portarlo per la prima volta a risultati assoluti. Tanto che nel Seicento tutta la pittura europea, assetata di realt, proceder per la strada aperta da lui cos violentemente: non ricordiamo qui i notevoli, ma minori caravaggeschi italiani, ma Rembrandt e Vermeer, Velzquez e i Le Nain. Il Caravaggio, con la sua presa diretta sulle cose, sugli uomini, che popolano quadri sacri e profani con la stessa carica di vita e di sangue, d via libera a tutta la pittura moderna, fino agli impressionisti. E il taglio non prefabbricato, bens istantaneo delle scene, che luce e ombra contrastanti animano con straordinaria evidenza, non trova conferma nel miglior cinematografo, pur esso volto alla resa realistica, immediata del mondo?Nel loro curiosare instancabile per le strade dellItalia secentesca, gli occhi del

    detto mistero e magia non perch vogliamo tenere in scarsa considerazione il fattore tecnico, negli artisti veneziani anzi fondamentale; ma perch tradizio-ne bizantina, contatti con larte orientale, influssi del naturalismo fiammingo, non basteranno mai a svelare lenigma di una pittura che, per esempio nel tardo Tiziano, bruciati i vincoli del disegno rappresenta con interezza luniverso per pura virt di colore.Eppure, nato a Pieve di Cadore nel 1485, morto a Venezia nel 1576, Tiziano fu un uomo semplice, nulla pi, allapparenza, di un artigiano supremo, pronto ad accontentare tanto chi gli chiedeva soggetti sacri, quanto chi gliene sollecitava di profani, con una versatilit incredibile. Lunit alle opere, arcanamente, la dava col suo pennello carico di succhi e intriso di luce che in questa Flora degli Uffizi ha saputo, da una disciolta chioma bionda, da un indumento intimo rila-sciato, da una manciata di fiori freschi cavare una figura eterna, un simbolo quasi della bellezza e della giovent umane.Al nostro occhio, e al nostro animo di moderni, avvezzi ad unarte duramente impegnata a rappresentare un mondo lacerato e ferito, la colata aurea di luce e colore che la Flora tizianesca pu alle prime apparire lontanissima, irraggiun-gibile. Ma basta che ci lasciamo andare, perch ne restiamo dolcemente som-mersi, e, alla fine, consolati e come guariti.Si potrebbe, per Tiziano, riprendere il detto di Rossini su Mozart: non essere egli il musicista pi grande (che forse era Beethoven) bens la Musica. Cos se diremo che Giotto il pittore pi grande, lasciateci aggiungere che Tiziano la Pittura.

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    grande pittore lombardo, romano per necessit, non incontrarono soltanto vecchi cenciosi da mutare in profeti, ragazzotti protervi da atteggiare a Bacchi o a Narcisi, umanissime popolane da innalzare a Madonne. Cos un giorno si posarono su una cestina di frutta (simmagina, con quegli ultimi fichi e quella prima uva che se fosse di settembre, sarebbe del settembre 1595), e cos nacque la prima natura morta. A guardar bene, di nature morte se ne incontrano anche di pi antiche, nella storia dellarte, ma sempre in funzione di un racconto, che il vero soggetto del quadro; qui, nel quadro, che sta allAmbrosiana di Milano, il racconto nella natura morta medesima, che ci presenta un cestino vero, della frutta vera, anche bacata, come quella mela in primo piano, delle foglie vere, anche appassite, come quelle a destra. La natura morta che pi tardi, in mano a mestieranti, si far stuc-chevole esercizio di bravura, ritrover la sublime verit caravaggesca soltanto nel secondo Ottocento, con Czanne, le cui mele un po agrette e ammaccate e i cui umili piatti da cucina, stanno, come questa cestina dellAmbrosiana, allinizio di una grande rivoluzione artistica.

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    dicembre 1956 Lo studio del pittore Pietro Longhi Ca Rezzonico, Museo del Settecento veneziano - Venezia

    Col Settecento la pittura a soggetto sacro e storico va sempre pi svuotandosi di significato e di contenuto in una resa ufficiale di pure virt decorative e scenografiche. Bisogna riconoscere che anche per questa strada senza uscita la scuola veneziana riesce a dare, specialmente con il Tiepolo e il Piazzetta,

    Il taglio istantaneo delle scene, che luce e ombra contrastanti animano con straordinaria evidenza, non trova conferma nel miglior cinematografo?

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    delle opere duna grandiosit di impianto e duna ricchezza di colore non indegne del passato.Ma quella ormai era una direzione sterile: la miglior pittura europea del Sei-cento, dietro leroica spinta di Michelangelo da Caravaggio, sera volta verso la realt, magari umile, della vita quotidiana, ottenendo poi i pi splendidi risultati fuori dItalia nellOlanda di Rembrandt e di Vermeer. Da noi, nel Settecento, per ragioni sociali ed economiche Venezia che pu con maggior libert pro-fittare di questa apertura. Lo fa in tono minore, lasciando che il Tiepolo, con i suoi soffitti memori del Veronese ma tanto pi vacui, ne rappresenti la tradizione pi illustre.Intanto per gli artisti autenticamente nuovi, quelli pi carichi di avvenire, sac-contentano, come il Canaletto e il Guardi, di ritrarre la laguna o il Brenta, o di fermare sulla tela, come fa Pietro Longhi, gli interni della vivacissima borghesia e della piccola e media nobilt veneziana. Erano gli anni, non dimentichiamolo, di Carlo Goldoni e del suo teatro intriso di realt sino alla punta dei capelli, una realt colta nelle piazzette, nelle botteghe del caff, nei salotti e persino nelle cucine, nei guardaroba, nelle stirerie. Nessuna meraviglia che il grande com-mediografo, tanto pi grande quanto pi pago di descrivere, apparentemente, il piccolo, lodasse in modo esplicito il Longhi e il suo penel che cerca il vero.Un vero che si poteva trovare molto vicino, nella sala del Concertino, o dove il Maestro di ballo impartiva lezioni di minuetto, o il Sarto provava labito o, anche pi vicino, dove il Pittore stesso attendeva al ritratto della dama. Come nel quadro qui riprodotto che sta alla Galleria dellAccademia di Venezia.Il pittore in zimarra verdastra al cavalletto, attento a rendere con fedelt (e non senza una punta sorniona di ironia) la Dama una specie di pupattola in grande abito di seta gialla che sembra sentir frusciare anche al pi piccolo movimento e

    il Cavalier servente in elegante costume nero oro e verde, la maschera forse fasti-diosa tirata da parte con negligente eleganza.Una cosa, pare, da nulla, ma con essa il pittore ha reso insieme lultima essenza di una societ e il profumo di unepoca. Che chiedergli di pi? I migliori pittori del secolo successivo, gli impressionisti e i macchiaioli, non si proporranno, n otter-ranno, di pi e di meglio.

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    gennaio 1957 Riposo Giovanni Fattori Galleria dArte Moderna - Firenze

    Con Fattori siamo gi oltre la met dellOttocento: c stata la rivoluzione francese e, non meno importante, la rivoluzione industriale, che sono le due premesse fondamentali della democrazia moderna. Il pittore non dipinge pi, o solo raramente, per ledificazione del fedele o per il piacere del principe, ma per se stesso o per quel suo simile, che dovrebbe intenderlo appieno, che il borghese.Ma lartista va avanti pi velocemente del suo pubblico, che lo raggiunger soltanto quando lo sforzo per mantenersi integro e fedele ai propri ideali lo avranno portato alla povert e alla morte. Questo non accade sempre, ma frequente nel secolo scorso, cos creativo e ricco di novit non facili ad apprendersi subito nel campo dellarte. Che, affrancatasi dai soggetti obbligati, si va affrancando pure dagli schemi stilisti-ci e cerca nella realt della vita i suoi contenuti e insieme i suoi colori e le sue luci.Esce allaria aperta, il pittore dellOttocento, sia nato in Francia o in Italia, e coglie il mutevole volto delle cose con la freschezza di chi scopre il mondo per la prima

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    volta. I risultati pi grandiosi di detta liberazione dellarte si hanno in Francia con i pittori impressionisti, da Manet a Czanne. LItalia per non resta indie-tro. Mentre la cultura ufficiale premia i freddi narratori murali di lontani eventi storici, Fontanesi in Piemonte, Gola in Lombardia, ma specialmente Fattori e i suoi compagni macchiaioli in Toscana, affermano con sincerit e vigore le ragioni dellarte nuova. Non vengono subito apprezzati, ma lentamente la loro umile e pure profonda resa figurativa dalla realt contemporanea si afferma come lespressione pi autentica della pittura del tempo.Guardate questo Riposo di Giovanni Fattori. Il pittore uscito dallo studio nellora bruciata della siesta e non ha dovuto cercarsi tanto intorno per trovare una materia conveniente, gli bastato fissare intensamente un muro calcinato di sole alla cui scarsa ombra i barrocciai si sono fermati, stanchi con le loro stanche bestie. solo un momento della giornata, ma strappato al flusso del tempo, consegnato, per cos dire, alleterno. Lepisodico il pittore lo supera del tutto, anche se le luci e le ombre sono quelle precise dellora che lo ha visto uscire col cavalletto. La sua umanit infatti gli fa sentire la condizione dei propri simili, e ci mette anche le povere bestie da fatica, con una sorta di nuova religiosit che lo conduce a una sintesi non indegna dellantica pittura della sua terra.Superato il formalismo, ma pure ogni descrittivismo minuto, Fattori in questa e nelle altre opere sue migliori, raggiunge una essenzialit di composizione, una solidit di volumi e una forza di colore uniche. I suoi paesaggi non vuoti e disabi-tati ma dolorosamente, solennemente riempiti dalla presenza delluomo, sono fra le pi alte espressioni della pittura, non soltanto italiana, dellOttocento.

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    Superato il formalismo e il descrittivismo minuto, Fattori raggiunge una essenzialit di composizione, una solidit di volumi e una forza di colore uniche.

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    marzo 1957 Neve ad Argenteuil Claude Monet The National Museum of Western Art - Tokyo

    Nel principio era limpressionismo. Nel principio della pittura moderna, sintende, per quanto, a voler esser sottili, non si finirebbe mai di retro-cedere, nel cercare latto di nascita di questa benedetta pittura moderna, croce e delizia di quanti, sia pur superficialmente, sinteressano ai quadri.Limpressionismo infatti la scuola artistica che segna linizio della liberazione dellartista da temi e da regole dobbligo: non a caso esso nasce nella Parigi del secolo scorso, nellambiente cio pi adatto a superare i vincoli degli argomenti nobili, adatti cio alla pittura, e delle proporzioni, coloriture, ombreggiature, pure nobili, perch affermatesi nel corso dellarte classica. Qualcosa di simile, un moto parallelo di affrancamento dai soggetti storici e dai canoni del bello ideale, si ebbe in Italia coi macchiaioli. Ma la Francia nella seconda met dellOttocento era, come gi lItalia nel Cinquecento, destinata a portare avanti con maggior autorit, e per il suo peso storico e culturale e per la maggior ricchezza di persona-lit di primo piano, aspirazioni di rinnovamento comuni al secolo. Che, malgrado tutto questo, Parigi, la ville-lumire, la citt faro, non fosse ancora pronta nel 1874 a capire e gustare la nuova arte, lo dimostra il fatto che i maestri poi diventati famosi dovettero esporre le loro opere nello studio di un fotografo amico e coraggioso, Nadar, non in un Salone per esposizioni. E fu allora che gli intenditori, avendo il pittore Claude Monet intitolato un suo quadro Impressione al levar del sole defi-nirono tutti gli espositori, ironicamente, impressionisti. A eccezione di due o tre, tutti i critici incoraggiarono il pubblico allo scherno e al disprezzo verso quei pittori che avevano osato abbandonare gli eroi greci e romani per la gente di tutti

    i giorni, i paesaggi dArcadia per i giardini pubblici, e, orrore, gli studi per laria aperta. La battaglia per larte nuova, cominciata sotto auspici cos infausti, in pochi anni venne vinta in maniera clamorosa e totale: alla fine del secolo non cera pi pittore che non dipingeva allimpressionista.Il pittore del quale oggi presentiamo questo delizioso Effetto di neve ad Argenteuil proprio quel Claude Monet il cui quadro diede origine al nome della scuola. Altri artisti del suo gruppo, douard Manet, Edgar Degas, Auguste Renoir ebbero forse una maggiore capacit dinvenzione e un pi ampio respiro nella composi-zione, ma nessuno lo uguagli nella resa precisa eppure poetica della natura, colta nel fluire del tempo, nel mutare delle ore, nel trascolorare della luce. In questo senso egli il pi puro degli impressionisti, lunico forse cui lappellativo, non in senso negativo, ma positivo, possa applicarsi senza incertezze.Il quadro che presentiamo, e che del 1875, un anno dopo la famosa mostra da Nadar, rivela bene il carattere dellarte monettiana. Che per essere volta, sia pure con freschezza e immediatezza uniche, a rapire alla giornata appena un momento qualunque, umilissimo, non affatto superficiale ed esterna. In quellaria grigia di neve, vibrante di impercettibili riflessi che egli ha reso con incomparabile delicatez-za, gli uomini sono delle piccole sagome scure, appena distinguibili da case, piante, cespugli. Eppure come giusta la loro apparizione in questora del giorno, e la loro solitudine: tale da dare un senso deternit alla fugace ora del giorno in cui sono stati colti dal pittore con tanta verit e con tanta poesia. Con tanta poesia appunto perch con tanta verit. Questo il dono della pittura impressionista allarte, dono tanto pi grande nei suoi creatori. Col tempo anche il dipingere allaria aperta diventer unabitudine, una maniera. Ma larte allora sar andata avanti in nuove direzioni, per merito di altri artisti e proprio perch il senso pi vero della rivoluzione impressioni-sta, la libert dellartista, doveva rimanere, e rimane, valida per sempre.

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    aprile 1957 I giocatori di carte Paul Czanne Muse dOrsay - Parigi

    La seconda met del secolo scorso vede affermarsi le scuole arti-stiche, impressionismo in pittura, naturalismo e verismo in letteratura, che rom-pendo con le forme ormai fruste delle tradizioni classica e romantica, saccostano agli uomini e alle cose direttamente e direttamente li rappresentano sulla tela e sulla pagina. Da Manet a Monet a Renoir a Degas tutto un trionfo di colori, di luci e di ombre, per la prima volta colorate come nella realt, in lode della vita nei suoi aspetti pi incantevoli e fuggitivi.Fu una scoperta e un accrescimento di gran valore per larte, che per non poteva essere ridotta a una funzione puramente edonistica, di assaporamento cio della bellezza e della gioia, senza seri pericoli di scadimento verso la superficialit.Ma, come accade sempre nei momenti vivi e vitali, entro limpressionismo stesso cerano le premesse di una evoluzione e di un approfondimento. Doveva toccare al provenzale Paul Czanne di sentire drammaticamente questa esigenza e di por-tarla a risultati in s grandiosi e di incalcolabile peso per il futuro.Formatosi nellimpressionismo e impadronitosi appieno dei suoi mezzi, Czanne doveva ben presto isolarsi dalla vita parigina in cui gli altri pittori del suo tempo trovavano i succhi per la propria arte, e confinarsi nella sua terra solitaria con la mente e locchio volti ad andare oltre le apparenze, a estrarre lintimo significato della realt e a tradurlo in forme e colori di una potenza e di una gravit pari a quelle dei maestri antichi, da Giotto a Masaccio.Guardate questi Giocatori, che il grande artista ha dipinto circa nel 1892. chiaro che sono ispirati dal vero, ma altrettanto chiaro, specie se messi a raffronto dellu-

    manit colta istantaneamente dagli impressionisti contemporanei, che il pittore li ha ripensati e, per cos dire, ricostruiti in una sintesi prima mentale, poi formale, poderosa, eterna. Si detto, con frase felice ma un po sbrigativa, che Czanne fu il solidificatore dellimpressionismo. La possiamo anche accettare, pur che non la limitiamo al fatto che in lui la realt espressa in volumi solidi e fermi mentre in Monet, mettiamo, tutta tremula e vibrante.Il pulviscolo luminoso di Monet era lespressione di una visione sensuale della vita che Czanne non poteva accettare. La sua, come risulta dai Giocatori (pensate alla tentazione di fare laneddoto divertente con il tipo che bara, lingenuo che si lascia imbrogliare) una visione della vita profondamente religiosa e sofferta. Con lui, come in altro modo con Van Gogh, Gauguin e Seurat, dei quali parleremo, la felice et dellimpressionismo entra in crisi, vengono gettati i semi della tormen-tata arte del nostro secolo.

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    maggio 1957 Lo scolaro Vincent Van Gogh Museu de Arte - San Paolo

    Un recente film americano, Brama di vivere, ha popolarizzato Van Gogh come nessun altro dei maestri, dei pionieri, che hanno aperto la strada allarte nuova. La vita tormentata del pittore olandese, nato a Groot-Zundert nel 1853 e uccisosi in Francia con un colpo di rivoltella nel 1890, si prestava esem-plarmente a divulgare in maniera accessibile a tutti il dramma del creatore nel mondo moderno. Ma il racconto cinematografico ha esigenze di spettacolo cui

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    non ci si potuti, con tutta la buona volont, sottrarre: il fatto positivo di Brama di vivere resta, discutibili che siano situazioni e dialoghi, daver fatto fiorire, e sarebbe meglio dire esplodere, sullo schermo, nei loro colori e linee deliranti, tanti capo-lavori del grande Vincent.Il quale, in modo del tutto antitetico a Czanne, che abbiamo visto solidificare limpressionismo, cercando di risolverne la crisi in una severa sintesi di volume e di colori richiamante la pittura dei primitivi, va oltre limpressionismo in un certo senso accentuandone la libert e sfrenandosi in una soggettivit assoluta. Ma mentre gli impressionisti, con felice passivit, si accontentavano di ridare, esaltan-done le meravigliose apparenze, le luci e le ombre della natura, in cui luomo si perdeva quasi, Van Gogh doveva rovesciare i termini del rapporto. E in che modo? Proprio rendendo la natura partecipe intera del suo dramma interiore, piegandola quindi a esprimere, ora col giallo dei girasoli ora col verde cupo dei cipressi, le emozioni intensissime della sua anima.Non arriva alla deformazione, Van Gogh, n inventa o scompone e ricompo-ne come faranno pi tardi Matisse e Modigliani, Picasso e Braque, ma fruga

    nelluomo e nel paesaggio e ne estrae la significazione interiore, ora duna vitalit quasi ebbra, ora duno squal-lore tremendo. Gli basta un frutteto in fiore, un vecchio contadino con le mani rapprese, un caff di notte, una sedia impagliata per dirci sullesisten-

    za qualcosa di essenziale e di assolutamente nuovo, che ci arricchir per sempre. passato il tempo che i suoi segni vorticosi, le sue sagome tagliate con laccetta facevano scandalo; le quadricromie delle sue tele pi famose, attaccate al muro,

    Mentre gli impressionisti si accontentano di ridare le luci e le ombre della natura, Van Gogh rovescia i termini del rapporto rendendo la natura partecipe intera del suo dramma interiore.

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    magari con una puntina da disegno, sono un po nelle case di tutti, specie nelle stanze dei giovani. Cos questo bambino che anni fa avreste trovato forse brutto, o per lo meno per niente grazioso, non pu oggi non commuovervi profondamente nella sua verit psicologica, non incantarvi nella gamma squillante dei colori che ne rivestono con un contrasto tipicamente vangoghiano, limpaccio, la scontrosa solitudine.Si pu dire che lesempio di Van Gogh ha rappresentato un pericolo per tanti artisti venuti dopo, che si sono sentiti autorizzati da lui a certi eccessi di forma e di colore che potevano trovare una giustificazione soltanto nellautentico dramma interiore sfociato nel colpo di rivoltella del tragico 27 luglio del 1890. Ma sia lui sia Czanne hanno saputo aprire una via ai migliori, lasciando possibilit di espri-mersi e di procedere avanti in maniera del tutto originale.

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    giugno 1957 Femmes de Tahiti ou sur la plage Paul Gauguin Muse dOrsay - Parigi

    Compagno, per un certo periodo, di Vincent Van Gogh, e non soltanto nelle battaglie artistiche ma anche nella vita domestica, Paul Gauguin , come il suo difficile amico, fra i continuatori e rinnovatori dellimpressionismo, fra i fondatori della pittura moderna.Giunto allarte abbastanza tardi, dopo esser stato avviato per una strada non sua, egli doveva in un primo tempo seguire, nel dipingere, la naturalezza e la felicit degli impressionisti, specie di Pissarro. Ma non era uomo, e artista, da acconten-

    Guardate le due fanciulle tahitiane colte nella loro monumentale fissit, reali eppure simboliche, figure delleterna giovinezza umana non ancora guastata dalla civilt.

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    tarsi di rapire, per dirla con Dante, lora del tempo e la dolce stagione; lo tor-mentavano ed esaltavano problemi di natura religiosa e morale cui avrebbe voluto dare forma e colore con larte cui sera dedicato.Gli sembrava necessario superare i limiti duna pittura che non andava oltre i sensi: e in questo le sue esigenze coincidevano con quelle di Czanne e di Van Gogh. Ma mentre gli altri due, artisti certamente pi originali e grandi di lui, trovarono in se stessi, il primo in un approfondimento severo, il secondo in uno scatenamento selvaggio, la via duscita, egli la cerc fuori, e la trov, ma naturalmente pi super-ficiale e meno duratura.Preso infatti da unestrema scontentezza per il mondo civile in cui viveva, e che gli appariva falso e corruttore di quanto per natura pi bello nelluomo, part per Tahiti e vi si trapiant con decisione irrevocabile, sicuro di aver ritrovato il paradiso perduto. Qualcosa di simile aveva fatto, emigrando nelle stesse plaghe incantate del Pacifico meridionale, lo scrittore inglese Robert Louis Stevenson. Decisamente i mari del Sud, sul finire dell800, erano considerati un toccasana, dagli intellettuali europei.Paul Gauguin nelle isole inselvatich quel tanto che gli permise di vivere assieme alla bella gente indigena, a contatto della dolce natura del luogo, in una comunione di grande importanza per la sua arte. Che a Tahiti fior rigogliosa, riuscendo non sol-tanto a descrivere paesi e figure, ma a interpretarli in forme semplici, in colori interi, secondo la tradizione e il gusto primitivi di quei popoli cui egli sera mescolato.Guardate le due fanciulle tahitiane colte nella loro monumentale fissit, reali eppure simboliche, figure delleterna giovinezza umana non ancora guastata dalla civilt. La spiaggia solitaria nei suoi piani ampi e immobili come un fondo di bassorilievo contro cui i bronzei corpi delle donne severamente drappeggiate nelle vesti di un rosso e di un viola arcani risaltano con grande suggestione. Sono questi i

    risultati pi convincenti di Gauguin, che in altri suoi quadri corre pericoli opposti, delleccessivo decorativismo e del troppo marcato simbolismo.

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    luglio 1957 Donna con la collana dambra Henry Matisse Collezione privata Con Matisse siamo ormai nel Novecento, anche se il grande pittore francese, nato nel 1869, si form e diede le prime prove della sua schietta e felice natura di pittore nel secolo scorso. Pi che gli impressionisti, che pure sentiva vicini per lamore della vita, egli studi e segu i decadenti come Moreau e i postimpressionisti, specie Van Gogh, lontanissimi da lui come spirito. Ma erano moderni, nuovi, o tali a lui sembravano: il loro ripudio della linea e del colore reali per una linea e un colore simbolici, in un certo senso astratti, lo sollecitarono a tentare la nuova maniera che prese il nome di fauvisme. Come dire, traducendo alla lettera, belvismo.Il curioso appellativo venne trovato da un critico darte che, veduta alla prima mostra del gruppo capeggiato da Matisse (si era nel 1903) una scultura di tipo rinascimentale, scrisse che si trattava di un Donatello fra i fauves, o belve che noi dir si voglia. Ben altre belve si dovevan presentare di l a poco nel campo dellarte, ma le grandi pennellate di rosso e di nero, gli arabeschi di linea di Matisse e dei suoi compagni allora sembrarono, a dir poco, ruggiti.Oggi tutta lattivit pittorica e grafica di Henri Matisse, conclusasi soltanto qualche anno fa dopo un corso lunghissimo e ricchissimo, ci sembra esemplare

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    per chiarezza di forma e limpidezza di colore, in un certo senso classica. Tale da star vicina senza sfigurarci ai pi perfetti esempi darte decorativa del passato, dai vasi greci alle vetrate gotiche, agli smalti limosini.Non si vuole, parlando darte decorativa, limitare Matisse, ma fissarlo e intenderlo il pi precisamente possibile. Si guardi questa Collana dambra: la figura femminile non ha rilievo n lo sfondo profondit. Ma chi oserebbe rimproverarlo al pittore, chi oserebbe rimproverare ai maestri di Ravenna daverci dato delle figure e degli sfondi di unassoluta piattezza? Ma quali compensi nel colore, che squilli in questa Collana dambra con una schiettezza, sia in s sia nei rapporti e negli accostamenti, veramente e del tutto nuova. Il rosso, il bianco, il giallo e il nero sembrano trovati per la prima volta dal pittore, inventati da lui; e il verde e il blu saccordano mirabilmente, smentendo tutta una tradizione che li vuole nemici inconciliabili.Sino alla fine, quando vecchissimo si dovr accontentare di ritagliar carte colorate (ma con quale sapienza poi facendole figurare uccelli in volo, ballerine) Matisse sar il pittore della gioia di vivere. Che anche il titolo di un suo famoso pannello giovanile. Il pittore dei giardini assolati e delle stanze aperte sui giardini assolati e delle donne che entro quelle stanze e quei giardini vibrano e splendono, belle e indifferenti come palme rivierasche.Partito dal drammatico Van Gogh, compagno di battaglia artistica del violento Picasso, Matisse ha saputo dimostrare che anche nellet moderna possibile unarte non drammatica, non violenta, ma dolce e felice, consolante.

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    agosto 1957 Rue lAbreuvoir, Montmartre Maurice Utrillo Collezione privata

    Maurice Utrillo, nato nel 1883 a Montmartre, dallacrobata, modella e pittrice Suzanne Valadon e da padre ignoto, doveva morire nel 1955, dopo una vita disordinata e sciaguratissima ma riscattata da unattivit artistica miracolosamente pura e coerente. Il vizio del bere che laccompagn dalla prima giovinezza alla morte non gli offusc il cuore n locchio, che mantenne limpidi come quelli di un pittore primitivo.Si voluto insistere pi del solito sui dati biografici dellartista, perch essi fanno