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LELLO JAMAL L’ARRIVO. 22 Giugno 2013. Autostrada Roma-Napoli, ore 10.14 AM. Mentre stavo percorrendo gli ultimi 10 km prima del casello di Napoli, riflettevo sul motivo del mio assurdo viaggio. E ciò mi rendeva nervoso. Più ci pensavo, più mi rendevo conto di come questa trasferta poteva essere evitata. Ma, d’ altronde, questa era la giusta punizione per il mio carattere sfrontato e per la mia debolezza al gioco, alla scommessa, al pronostico. So quali sono i miei limiti, ma pur essendone cosciente, come al solito, non ho resistito alla tentazione di mettermi in gioco, non sono riuscito a sottrarmi alla sfida. E quella sfida equivaleva a buttarmi da un aereo senza il paracadute scommettendo che non mi sarei schiantato. Il mio nervosismo si contrapponeva all’ insofferenza. Ce l’ avevo con me stesso, con gli eventi, con la sorte. E non vedevo l’ ora di portare a termine la mia missione per potermene tornare a casa e dimenticare al più presto questa storia. Mi ripetevo in testa che non avrei mai più commesso una simile cavolata, che non avrei mai più sfidato uno più fortunato di me. Ero perdente in partenza e lo sapevo, ma sono testardo e orgoglioso. Basta una provocazione, una scaramuccia verbale, per cadere nella tentazione della scommessa. Quindi eccomi qui, in un soleggiato sabato pomeriggio di giugno, diretto nel capoluogo campano per consegnare la coppa di vincitore del nostro girone di fantacalcio al mio acerrimo nemico Lello Jamal. Questa era la scommessa. Se Lello avesse vinto il girone io avrei ritirato la coppa per lui al raduno di Alba Adriatica e gliela avrei consegnata a Napoli. Lello Jamal quindi non sarebbe venuto al raduno. Se il girone l’ avessi vinto io, avevamo scommesso che lui si sarebbe impegnato a scrivere sulla propria pagina di girone del forum “Misterparise è un grande fantallenatore ed io sono solo fortunato”. Questo per tutto l’ arco della prossima stagione, ogni lunedì della settimana. Con me avevo anche la coppa del vincente di girone che Lello Jamal conquistò nel 2010 e che Fabio Hiroshi ritirò per lui al raduno. Quella coppa non fu mai consegnata ed ora, ironia della sorte, toccava a me farlo. La mia amarezza era doppia. Anche quell’ anno Lello Jamal era mio avversario di girone. Ma la colpa di tutto questo era solo la mia. Ero stato uno stupido. E’ stata una scommessa folle, solo per il fatto in se stesso di aver sfidato uno dei fantallenatori più fortunati della lega. Il viaggio era iniziato male già prima di partire. La mia auto era inservibile per un guasto al motorino d’ avviamento. Per questo chiesi in prestito l’ auto a mia zia. Una fiat 500 S del 1992. Velocità massima in autostrada 110 km orari. Ed era priva d’ aria condizionata in un giugno particolarmente caldo per le temperature del periodo. La macchina era un forno. In pratica stavo facendo una sauna chiuso in un barattolo. Come sempre sudavo tanto sul viso. Gli occhiali da sole mi scivolavano continuamente verso la punta del naso. Per diversi motivi, durante le ore che mi apprestavo a trascorrere a Napoli, mi sarebbe capitato diverse volte di far scivolare gli occhiali da sole sulla punta del naso. Per evitare il caldo, e per arrivare puntuale all’ appuntamento con Lello Jamal, ero partito alle 7.30 del mattino. L’ appuntamento era per le 11. Una volta giunto al casello tirai fuori il portafoglio per pagare il pedaggio. Avevo una banconota da 50 euro ma la stessa mi scivolò dalle mani ficcandosi tra lo sportello ed il sedile. Non riuscivo a recuperarla dall’ interno dell’ auto. Quindi aprii lo sportello e scesi. Dietro di me cominciavano le prime strombazzate di clacson degli automobilisti in coda. Riuscii a recuperare abbastanza in fretta la banconota e la diedi al casellante. Nel darmi il resto mi scivolarono tre monete in terra. Scesi per recuperarle. Da dietro gli automobilisti cominciarono ad alternare gli schiamazzi ai clacson.

Lello Jamal

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Racconto (purtroppo totalmente immaginario) di Misterparise

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Page 1: Lello Jamal

LELLO JAMAL

L’ARRIVO.

22 Giugno 2013. Autostrada Roma-Napoli, ore 10.14 AM. Mentre  stavo  percorrendo  gli  ultimi  10  km  prima  del  casello  di  Napoli,  riflettevo  sul  motivo  del  mio  assurdo  viaggio.  E  ciò  mi  rendeva  nervoso.  Più  ci  pensavo,  più  mi  rendevo  conto  di  come  questa  trasferta  poteva  essere  evitata.  Ma,  d’  altronde,  questa  era  la  giusta  punizione  per  il  mio   carattere   sfrontato  e  per   la  mia  debolezza  al   gioco,   alla   scommessa,   al  pronostico.   So  quali   sono   i   miei   limiti,   ma   pur   essendone   cosciente,   come   al   solito,   non   ho   resistito   alla  tentazione   di   mettermi   in   gioco,   non   sono   riuscito   a   sottrarmi   alla   sfida.   E   quella   sfida  equivaleva   a   buttarmi   da   un   aereo   senza   il   paracadute   scommettendo   che   non   mi   sarei  schiantato.   Il  mio  nervosismo   si   contrapponeva   all’   insofferenza.   Ce   l’   avevo   con  me   stesso,  con   gli   eventi,   con   la   sorte.   E   non   vedevo   l’   ora   di   portare   a   termine   la   mia   missione   per  potermene  tornare  a  casa  e  dimenticare  al  più  presto  questa  storia.  Mi  ripetevo  in  testa  che  non   avrei   mai   più   commesso   una   simile   cavolata,   che   non   avrei   mai   più   sfidato   uno   più  fortunato  di  me.  Ero  perdente   in  partenza  e   lo  sapevo,  ma  sono  testardo  e  orgoglioso.  Basta  una   provocazione,   una   scaramuccia   verbale,   per   cadere   nella   tentazione   della   scommessa.  Quindi   eccomi   qui,   in   un   soleggiato   sabato   pomeriggio   di   giugno,   diretto   nel   capoluogo  campano  per  consegnare  la  coppa  di  vincitore  del  nostro  girone  di  fantacalcio  al  mio  acerrimo  nemico  Lello  Jamal.  Questa  era  la  scommessa.  Se  Lello  avesse  vinto  il  girone  io  avrei  ritirato  la  coppa  per  lui  al  raduno  di  Alba  Adriatica  e  gliela  avrei  consegnata  a  Napoli.  Lello  Jamal  quindi  non  sarebbe  venuto  al   raduno.  Se   il   girone   l’   avessi  vinto   io,   avevamo  scommesso  che   lui   si  sarebbe   impegnato   a   scrivere   sulla   propria   pagina   di   girone   del   forum   “Misterparise   è   un  grande   fantallenatore   ed   io   sono   solo   fortunato”.   Questo   per   tutto   l’   arco   della   prossima  stagione,  ogni  lunedì  della  settimana.  Con  me  avevo  anche  la  coppa  del  vincente  di  girone  che  Lello  Jamal  conquistò  nel  2010  e  che  Fabio  Hiroshi  ritirò  per  lui  al  raduno.  Quella  coppa  non  fu  mai  consegnata  ed  ora,  ironia  della  sorte,  toccava  a  me  farlo.  La  mia  amarezza  era  doppia.  Anche  quell’  anno  Lello  Jamal  era  mio  avversario  di  girone.      Ma  la  colpa  di  tutto  questo  era  solo  la  mia.  Ero  stato  uno  stupido.  E’  stata  una  scommessa  folle,  solo   per   il   fatto   in   se   stesso   di   aver   sfidato   uno   dei   fantallenatori   più   fortunati   della   lega.    Il  viaggio  era   iniziato  male  già  prima  di  partire.  La  mia  auto  era   inservibile  per  un  guasto  al  motorino  d’  avviamento.  Per  questo  chiesi  in  prestito  l’  auto  a  mia  zia.  Una  fiat  500  S  del  1992.  Velocità  massima  in  autostrada  110  km  orari.  Ed  era  priva  d’  aria  condizionata  in  un  giugno  particolarmente   caldo  per   le   temperature  del  periodo.  La  macchina  era  un   forno.   In  pratica  stavo   facendo   una   sauna   chiuso   in   un   barattolo.   Come   sempre   sudavo   tanto   sul   viso.   Gli  occhiali   da   sole  mi   scivolavano   continuamente   verso   la   punta   del   naso.   Per   diversi  motivi,  durante  le  ore  che  mi  apprestavo  a  trascorrere  a  Napoli,  mi  sarebbe  capitato  diverse  volte  di  far  scivolare  gli  occhiali  da  sole  sulla  punta  del  naso.    Per  evitare  il  caldo,  e  per  arrivare  puntuale  all’  appuntamento  con  Lello  Jamal,  ero  partito  alle  7.30  del  mattino.  L’  appuntamento  era  per  le  11.    Una   volta   giunto   al   casello   tirai   fuori   il   portafoglio   per   pagare   il   pedaggio.   Avevo   una  banconota  da  50  euro  ma  la  stessa  mi  scivolò  dalle  mani  ficcandosi  tra  lo  sportello  ed  il  sedile.  Non  riuscivo  a  recuperarla  dall’   interno  dell’  auto.  Quindi  aprii   lo  sportello  e  scesi.  Dietro  di  me   cominciavano   le   prime   strombazzate   di   clacson   degli   automobilisti   in   coda.   Riuscii   a  recuperare   abbastanza   in   fretta   la   banconota   e   la   diedi   al   casellante.   Nel   darmi   il   resto  mi  scivolarono   tre   monete   in   terra.   Scesi   per   recuperarle.   Da   dietro   gli   automobilisti  cominciarono  ad  alternare  gli  schiamazzi  ai  clacson.    

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 “Uaèè  guagliò,  a  mugliere  m’  aspitt  pe  cena,  faccimm  ambress”.    Mi  affrettai  a  recuperare  le  monete  e  salii   in  auto.  Mentre  ero  intento  ad  ingranare  la  prima,  davanti  a  me  si  parò  un  venditore  ambulante.    “Guagliò,  accattat  i  fazzulett”.    “No  grazie,  non  mi  servono”.  Iamm,  e  se  te  pigl  o’  raffreddor?    “Co  sto  cardo”  risposi  in  romano.  Uahè,  si  ruman?  Mi  stai  simpatico,  ti  do  chist  ca  nun  sò  usat”  Intanto  dietro  di  me  gli  automobilisti  passarono  ai  commenti  ironici  tipici  del  luogo.    “Livt  da  miezz  curnut,  ca’  a  tu  mugliere  m’  aspitt.”    Feci   finta   di   non   aver   capito.   Per   due   euro   comprai   i   fazzoletti   all’   ambulante   e   ingrani   la  prima,   mentre   con   la   mano   fuori   dal   finestrino   facevo   ampi   gesti   di   stare   calmo   all’  automobilista  dietro  di  me.  Mentre   ripartivo  guardai   il   gabbiotto  del   casellante  per  dargli   l’  arrivederci.   La   tendina   era   abbassata   e   un   cartellino   appariva   attaccato   al   vetro.  Alle   10.30  iniziava  lo  sciopero  dei  casellanti.  Ero  stato  l’  ultimo  a  pagare.  Mi  ero  beccato  un  mare  d’insulti  da  quegli  automobilisti  che,  grazie  al   tempo  che  persi,  non  pagarono  il  casello.  L’automobile  immediatamente  dietro  di  me  mi   superò   con  un’   accelerazione   impressionante.   La  mia  500  dondolò  per  lo  spostamento  d’aria.  Il  conducente  mi  salutò  con  fare  sbeffeggiante  dall’  interno  della   sua   stranissima   auto.   Era   un’auto   sportiva   ma   non   riconobbi   la   marca.   Era  evidentemente  modificata  nella   carrozzeria,   adattata  ai   gusti   eclettici  del   suo   conducente.  E  aveva  attaccati  numerosi  adesivi,  almeno  sul  lato  rivolto  verso  di  me.  Il  tempo  di  stupirmi  dell’  audace   creazione   che   l’   auto   era   già   sparita   dalla   mia   vista.   Dieci   minuti   dopo   squillò   il  cellulare.  Mi  accostai  sulla  superstrada  e  risposi.    “Mistèr,  sono  Lello  Jamal  addù  stà?”  “Ho  appena  superato  il  casello”  “Ah  Vabbuò,  pure  io  venivo  da  fuori.  Fazz  nu  poco  tardi,  agg  passà  da  una  parte.  Tu  aspiettam  alla  piazz  vabbuò?”    “Ok,  se  arrivo  prima  magari  mi  cuocio  due  uova  sul  cofano  della  macchina  visto  che  ci  sono  33  gradi  all’  ombra.”“Ah  ah  Ah  si  fuort  Mistèr!    A  dopo.”    “Se  ero  forte  vincevo  il  girone  Lello.  A  dopo.”    Entrai  a  Napoli.  Il  tom  tom  mi  indicava  la  strada  per  la  piazza  dove  mi  attendeva  Lello  Jamal.  Sbagliai  comunque  due  volte  e  persi  almeno  venti  minuti  per  riprendere  la  giusta  direzione.  Mentre   ero   nei   pressi   della   piazza   squillò   il   cellulare.   Mi   accostai   e   risposi.    “Mistèr,  addù  stà?!”  “Sono  arrivato  Lello,  sono  entrato  nella  piazza”.  “Che  auto  tieni?”  “Una  Fiat  500”.“Ah;  nun  teng  l’  apriscatole  però…  ahahaha.    T’  agg  vist,  arrivo”.  Click.  

   

LELLO  JAMAL  L’  ECCENTRICO.    Accostai  e  scesi  in  attesa.  Immediatamente  mi  venne  incontro,  parandosi  di  fronte  a  me,  una  macchina  sportiva  rossa  fiammante.  Abbassai  gli  occhiali  da  sole  fino  alla  punta  del  naso  per  vederci  meglio.  Sembrava  proprio  l’auto  sportiva  che  mi  fiancheggiò  sulla  superstrada.  Scostai  

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lo   sguardo  dal  bolide  mascherato  da   furgone  Volkswagen  sessantottino  ripromettendomi  di  soffermarmi  dopo  a  gustarne  gli  eccentrici  particolari.  Dall’auto  stava  scendendo  Lello  Jamal.  Non  feci  in  tempo  a  tirare  su  gli  occhiali  che  li  riportai  immediatamente  sulla  punta  del  naso.  Lello  Jamal  l’anticonformista.    Lo  fotografai  dal  basso  verso  l’alto.      Click.   Stivali   a   punta   stile   cowboy   con   i   jeans   che   li   ricoprivano   fino   alle   caviglie.    Click.    I  jeans  erano  stracciati  all’  altezza  delle  due  ginocchia.    Click.  I  jeans  erano  grigi  striati  di  bianco.  Click.  Cintura  di  pelle  ricamata  stile  Western.    Click.  Camicia  a  mezza  manica  infilata  nei  jeans,  avvitata  sui  fianchi,  con  colori  sgargianti  stile  Hawaii.   Due   bottoni   slacciati   lasciavano   intravedere   una   rigogliosa   peluria   sul   petto.   Sul  taschino   le   iniziali   L.J.   in   corsivo  maiuscolo   incise   in   nero,   l’   unico   colore   che  mancava   alla  casacca  di  Arlecchino.    Click.  Al  collo  una  catenina  mediamente  spessa  su  cui  era  allacciato  un  ciondolo  raffigurante  un  grande  ferro  di  cavallo  d’  oro.    Click.  Occhiali  da  sole  decisamente  anticonformisti  con  lenti  scure  e  montatura  molto  spessa  di  colore  bianco  a  strisce  rosse.    Click:  Capelli  portati  con  taglio  cortissimo  sui  lati  e  con  una  cresta  che  da  larga  alla  base  finiva  a  punta  ad  un’  altezza  di  sette-­‐otto  centimetri.  Colore  fucsia.    Click.   Alle   mani   aveva   almeno   tre   anelli   per   parte   e   di   dimensioni   variabili.   Due,   forse   tre  bracciali   ad   ambo   i   polsi.   Orecchini   ad   entrambi   i   lobi   dell’   orecchio,   ed   un   tatuaggio   che  occupava  tutto  l’  avambraccio  destro  e  che  rappresentava  la  Dea  bendata  con  la  cornucopia.    Click.  Un  borsello  di  Louis  Vuitton,  presumibilmente  originale,  gli  pendeva  dalla  spalla  destra.    Click.  Ne  bello  ne  brutto,  ne  alto  ne  basso,  ne  alto  e  ne  magro,   anche   se  aveva  una  discreta  rotondità   addominale   che   la   camicia   aderente   indecorosamente   metteva   in   risalto.    Fine  del  servizio  fotografico.    Lo  notai  subito.  Lello  Jamal  era  ricco  da  finanziare  una  guerra.  Appena  uscito  di  casa  portava  a  passeggio  almeno  ventimila  euro  tra  anelli,  vestiario,  cellulare,  tatuaggi.  Più  quello  che  poteva  avere   in  contanti  nel  portafoglio.   In  mano  a  dei  rapitori  non  sarebbe  servito   loro  chiedere   il  riscatto,  gli  sarebbe  bastato  denudarlo  per  poter  racimolare  un  bel  gruzzoletto  senza  stare  a  scomodare  organi  statali,  mass  media  e  quant’  altro.    Lello  Jamal  mi  si  fece  incontro  salutandomi  con  fare  allegro  e  conviviale.  “Uaè,  finalment  Mistèr!”  Mi  scossi  dal  mio  stupore  e  gli  strinsi  la  mano.  “Che  piacere  Lello,  finalmente  il  mio  acerrimo  nemico  ha  un  volto!”  “Eh  già  Mistèr.  Com’  è  iut  o’  viagg?”  “Diciamo  che  dopo  una  maratona  sarei  meno  sudato.”  “Mo  ci  rinfreschiamo  Mistèr.  Ah,  m’  agg  scurdàt,  te  salut  Cerci  Mistèr,  ah  aha  ah.”  “Cerci;  chi  lo  avrebbe  mai  detto,  ora  è  pure  un  Nazionale.  Che  stagione  eh?”  “Capita  Mistèr,  ogni  tanto  i  giocatori  forti  si  ricordano  di  saper  giocare  a  calcio.”    Avevo  la  risposta  pronta  ma  poi  Lello  cambiò  discorso  senza  che  potessi  replicare.  “Allora  Mistèr,  pure  o’  prossimo  anno  giochiamo  nello  stesso  girone  eh.  A  cussì  rivinco  facile  facile   ah   ah   ah”.   Cambiai   per   un’   attimo   espressione   ma   ripresi   immediatamente   un  atteggiamento   di   affabilità   e   con   un   sorriso   di   circostanza   cercai   di   mascherare   il   mio  disappunto.  E  già,  il  sorteggio  di  Alba  era  stato  impietoso.  Entrambi  promossi  in  A  ed  insieme  nello  stesso  girone.  Per  me  il  sorteggio  fu  un’  incubo  che,  nelle  notti  successive  al  raduno,  mi  fece  costantemente  visita  nel  sonno.    “Infatti  facevo  prima  a  venire  il  prossimo  anno”  risposi.  “Uahè  Mistèr,  mo  lo  sai,  con  me  il  piant  nun  frutta”.  

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 “eh  o’  saccio  o  saccio”  risposi  in  napoletano.  Lello  Jamal  sembrava  volermi  dire  tutto  in  un  minuto.  Cambiò  di  nuovo  discorso.  “Hai  visto  che  bolide  Mistèr.”    Lello  Jamal  spostò  la  mia  attenzione  sulla  sua  auto.  “B…bella,  ma  che  marca  d’  auto  è?”  “Chist  non  è  un’  auto,  chist  è  la  Lello  car.  Era  nu  Ferrari  che  io  ho  personalizzato  rendendola  U-­‐N-­‐I-­‐C-­‐A!”  Abbassai  di  nuovo  gli  occhiali  sulla  punta  del  naso.    Con  grande  fatica,  e  con  un  tempo  d’  attesa  infinito,  riconobbi  le  linee  di  una  Ferrari  come  si  riconosce  il  viso  di  una  persona  che  non  vedi  dall’  età  dell’  asilo.  La  rossa  più  amata  d’  Italia  aveva  cambiato   i  suoi  connotati,  ora  era   la  Lello  car,  un’   indefinibile  quattro  ruote  che  della  Ferrari  aveva  perso  tutto,  onore  e  orgoglio  compresi.  Lello  Jamal  l’  aveva  “arricchita”  con  un’  enorme  alettone  posteriore,  con  una  cresta  simile  a  quella  di  un  luccio  posta  sul  tettuccio,  con  mini  gonne  laterali  e  adesivi  sparsi  un  po’  ovunque.  Il  cavallino  rampante  era  stato  sostituito  da  un   ferro  di   cavallo.   Sul  posteriore,  dove  era  posto   il   nome  del  modello,   c’   era  un  grande  adesivo   della   Dea   bendata   che   faceva   il   gesto   dell’   ombrello   al   conducente   della   macchina  successiva.   Ma   il   vero   teatrino   della   Lello   car   era   nel   suo   interno.   Lello   Jamal   mi   invitò  caldamente  a  prendere  posto.  Tremante  aprii  la  portiera.  Avevo  il  timore  di  quello  che  potevo  vedere,   come   un   commissario   di   polizia   che   entra   nella   scena   di   un   truce   delitto   messo   a  compimento  da  un  serial  killer.    La   pazzia   di   Lello   Jamal   aveva   sfigurato   la   bellezza   unica   della   Ferrari.   L’   interno   dell’  abitacolo  era  un  costante  tintinnio  di  portachiavi  di  ogni  genere.  C’  erano  i  classici  cornetti  di  varie  dimensioni,   il   ferro  di  cavallo,   la  cornucopia,   la  coccinella,   il  gobbo.  Lello  Jamal  doveva  conoscere   molto   bene   la   città,   perché   sul   lunotto   anteriore   di   certo   non   c’   era   spazio   per  applicarvi  il  navigatore  satellitare.  Una  statuetta  di  Diego  Armando  Maradona  si  stagliava  sul  cruscotto  in  posizione  centrale.  All’  angolo  destro  c’  era  un  piccolo  quadruccio  che  era  appeso  ad  un  filo,  il  quale  partiva  dall’  alto  ed  era  collegato  alla  mini-­‐cassa  dello  stereo.  Il  quadruccio  ritraeva,   in   un   fotomontaggio,   Lello   Jamal   abbracciato   alla   dea   bendata.   Appena   sopra   il  cassettino   porta   oggetti   c’   era   applicata   una   foto,   incastonata   in   un’   altro   quadruccio,   che  ritraeva  probabilmente  la  famiglia  di  Lello  Jamal.  Nell’  angolo  sinistro  una  statua  di  Padre  Pio  sembrava  voler  benedire  quel  mix   incoerente  di   icone  e   simboli  della   fortuna.  Dietro  era   la  tana  dei  pupazzi.  La  Ferrari  è  un’  auto  a  due  posti,  ma  Lello  Jamal  aveva  trovato  comunque  il  modo   di   offrire   un   rifugio   a   una   decina   di   animali   di   peluche   di   varie   dimensioni.   Il  ciucciariarello  del  Napoli  era   il  più  grande.  Poi  c’  era  quella  che  Lello  chiamò  la  gallina  dalle  uova  d’  oro,  sempre  sotto  forma  di  peluche.  Poi  il  peluche  della  dea  bendata.  E  ancora,  Cavani  e  Hamsik  ritratti  su  un  palloncino  da  parco  giochi.  Il  pallone  del  Napoli.  Un  bruco  di  peluche  del  Napoli  con  al  collo  un  fazzoletto,  anch’  esso  del  Napoli.  Sul  vetro  destro  era  applicata  una  foto   di   Maradona   abbracciato   a   Ferlaino,   sul   vetro   sinistro   Maradona   con   la   maglia   della  nazionale  argentina  che  bacia  la  coppa  del  mondo.  “Che  ne  pensi  Mistèr.  E’  nu  capolavur  no?”  “Beh,   orginale;  molto   originale.   Forse   un   po’   rumorosa   per   via   dei   portachiavi.   Peccato   che  non  ci  sia   il  posto  per   la  coppa  del  girone,  ci  stava  proprio  a  pennello.  Ah,  a  proposito,   te   la  vado  a  prendere.”    Uscii  velocemente  dal  quadro  di  Picasso  e  andai  a  recuperare  la  coppa  nella  mia  banalissima  500.    “Tieni  Lello,  ecco  il  giusto  premio  dopo  una  stagione  tanto  faticosa.  Ho  anche  quella  del  2010”    Era  solo  per  galanteria  se  il  mio  tono  non  sembrò  ironico.  Mascherai  bene  il  mio  dissenso  per  quella   che   era   una   coppa   vinta   all’   80%   per   lo   smisurato   sedere   che   Lello   Jamal  meschinamente   portava   in   giro   come   una   semplice   parte   del   proprio   corpo.  

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Intanto  Lello  Jamal  aveva  recuperato  dal  bagagliaio  un  cartone  da  pasticceria  con  dentro  dei  dolci  tipici  napoletani.  “Grazie  Mistèr,  mi  duole  che  t’  agg  fatt  venire  fino  a  Napoli,  ma  na  scummess  è  na  scummess.”  “Giusto,  e  vanno  sempre  mantenute”.  “Per   ringraziarti   t’   agg  portato  nu  pensiero.   Chist   so   le   sfogliatelle  napoletane.  A’   riccia   e   a’  frolla.”    “Ah   si,   le   conosco,   sono   squisite.   Grazie   Lello,   ma   non   dovevi.   Qualcuna  me   la  mangerò   in  viaggio.   Infatti   ora   devo   andare,   si   è   fatto   tardi   Lello.   A   Roma   m’   aspettano   per   pranzo.”  “Addù  va  Mistèr!  Ma  vuò  pazzià!  Andiamo  a  prenderci  nu  caffè  iamm.  C’  è  nu  bar  d’  amici  qui  di  fronte.  Iamm,  so  simpatici,  te  li  presento.”  Provai  ad  oppormi  ma  ogni  resistenza  fu  vana.  Acconsentii  per  il  caffè.  Parcheggiai  meglio  la  500  e  m’  avviai  con  Lello.  L’  insegna  del  bar  era  eloquente.  “Bar  della  fortuna”.  Ovvio.        

LELLO  JAMAL  L’  AMULETO.    L’  entrata  di  Lello  Jamal  nel  bar  sembrò  quella  di  Bono  Vox  sul  palco  del  concerto  di  Dublino.  Mentre  varcavamo  la  soglia  Lello  Jamal  era  già  con  la  mano  alzata  che  salutava  tutti  i  presenti.  Mi  presentò  a  gran  voce  a  tutti  saltando  i  convenevoli  delle  strette  di  mano.  Ci  accomodammo  sugli  sgabelli  del  bancone.  Lello  Jamal  ordinò  due  aperitivi.  Mi  opposi,  invano,  per  il  fatto  che  erano   le  11  passate  da  poco   e   che  un’   aperitivo   a  quell’   ora  per  me  era   l’   equivalente  delle  salsicce   e   delle   uova   che   i   tedeschi  mangiano   a   colazione.   Lello   Jamal   scambiò   due   frasi   in  dialetto   col   barista.   Non   riuscii   neanche   a   capirne   il   senso.   Poi   Lello  me   lo   presentò   come  Gaetano.   Il   ragazzo,   che   poteva   avere   una   trentina   d’   anni,   quando   cominciò   a   parlare  chiaramente   si   sforzò   di   non   usare   il   napoletano   almeno   quanto   io   mi   sforzavo   di  abbandonare  per  un  giorno  il  mio  pesante  accento  romano.      “Ah,  cussì  tu  si  Mistèrparise,  quello  che  ha  scommesso  con  Lello  ahahah.”    “Eh  si,  sono  io  lo  scemo.”  “Ora  lo  sai,  mai  scommettere  con  Lello.  Tiene  o’  cul  ross  ross!”  Non   credevo   d’   aver   capito   ma   non   finsi   di   averlo   fatto.   Abbozzai   un’   affermazione   che  richiedeva  al  contempo  un  chiarimento.  “Rosso  rosso.”    “Ah  ahahah,  no  rosso  rosso,  grosso  grosso!”  “Ah,  ecco,  suonava  strano  infatti.”    “Pensa  Mistèr  che  ogni  settimana  Lello  vince  qualcosa.  Li  vedi  tutti  questi  biglietti  appesi?  A’  metà  l’  agg  vint  iss.  Questo  bar  è  diventato  famoso  perché  Lello,  due  anni  fa,  ha  comprato  qui  il  biglietto  che  ha  vinto  o’  primo  premio  della  lotteria  Italia!”  Rimasi  allibito.  Non  poteva  essere.  Non  ricordavo  a  quanto  ammontava  il  primo  premio  di  due  anni  fa,  ma  comunque  si  parlava  di  milioni  di  euro.  Era  evidente  che  mi  prendevano  in  giro.  Risposi  istintivamente  in  romano.  “Eh  vabbè,  me  state  a  cojonà.”    Allora   il   barista   mi   fece   notare   una   foto   appesa   all’   angolo   sopra   la   cassa.   Mi   alzai   e   mi  avvicinai   per   vedere   meglio.   Raffigurava   Lello   Jamal   abbracciato   ad   un’   uomo,   forse   il  proprietario,  con  in  mano  il  biglietto  della  lotteria  Italia.  Istintivamente  cercai  gli  occhiali  per  abbassarli   fino  alla  punta  del  naso,  ma   li   avevo   tolti   appena  entrato  nel  bar.  Rimasi  per  un’  attimo   a   bocca   aperta.   Non   poteva   aver   avuto   un   culo   così   nella   vita,   non   era   possibile.   L’  invidia  mi  assalì  con  prepotenza.  

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Ritornai  da  Lello  Jamal  che  intanto  stava  conversando  con  due  signori  di  mezz’  età.  Parlavano  di   giocate,   probabilmente   del   lotto,   dato   che   intuii   dei   numeri   nelle   loro   parole.   Non  interruppi  anche  perché  il  barista  mi  parlò  di  nuovo.    “Tutti  vogliono  giocare  con  Lello,  perché  porta  anche  fortuna  agli  altri.  Tiene  o  cul  ross  ross!”  “Agg  capito,  agg  capito.  Risposi  in  napoletano.”    I   due   si   allontanarono   da   Lello   Jamal   che   si   girò   a   stuzzicare   gli   arachidi   e   a   sorseggiare   il  prosecco  che  il  barista  ci  aveva  servito.    “Lello,  dacci  tre  numeri  a  Mistèr”  disse  Gaetano.  “No,  grazie  non  gioco  mai  al  lotto,  io  sono  tutto  il  contrario  di  Lello”  dissi.  “Per  questo  devi  provare.”    “No  guarda,  non  ho  mai  vinto  niente  in  vita  mia,  sono  un  caso  disperato.”  “Accattate  o’  gratta  e  vinci  allora”,  disse  il  barista.  “Mistèr,  la  fortuna  è  una  ruota  che  gira.”  Disse  Lello  Jamal.    “Si,  la  ruota  di  un’  autotreno  che  m’  ha  investito!”  Allora  Lello,  senza  dire  niente,  comprò  un  gratta  e  vinci  e  me  lo  porse.  Rifiutai  con  cortesia  ma  Lello  Jamal  non  voleva  arrendersi.  Un  istante  dopo  però  qualcosa  lo  fece  desistere.  Lello  Jamal  si  distrasse,  come  tutti  gli  altri  avventori  del  bar,  nel  posare  lo  sguardo  sull’  entrata.  Entrò  una  ragazza,  bellissima.  Tacchi  a  spillo  e  gonna  corta,  tanto,  troppo  corta.  Nel  bar  scese  il  silenzio.  Due  signori  anziani  che  stavano  giocando  a  carte  si  bloccarono  impietriti.  Uno  di  loro  esclamò  “Scopa!”.  Cercai  ancora  i  miei  occhiali  da  sole.  Alta  almeno  un  metro  e  ottanta,  mora,  con  i  capelli   lunghi  e  voluminosi.  Seni  prosperosi  con  una  scollatura  che  non  pretendeva   troppo  di   contenerli.  Fianchi  ampi  e  accoglienti.  Caviglie  fine  ma  con  polpacci  solidi.  Forse  era  una  sportiva.  La  ragazza  veniva  verso  di  noi,  verso  Lello  Jamal.   Con   voce   sensuale   salutò   Lello   e   gli   diede   un   delicatissimo   bacio   su   una   guancia.    “Ciao  Lello”.  “Ciao  Ramona”.  “Non  li  tieni  tre  numerini  per  me  oggi”.  Pensai  che  Lello  Jamal  sarebbe  stato  più  propenso  ai  numeri  da  circo  in  una  camera  da  letto.  “Teng  nu  solo  numero  pe  te,  o’  sessantanove,  sotto  e  ‘ncoppa  ah  ah  ah.”  Ramona  gli  diede  uno  schiaffetto  affettuoso  sulla  spalla.    Ti  potevi  accorgere  che  apparteneva  al  genere  umano  solo  quando  la  potevi  toccare,  fortuna  riservata  a  pochi  eletti  tra  i  quali  probabilmente  c’  era  Lello  Jamal.  Per  il  resto  sembrava  un’  entità  non  di  questo  mondo.  La  giovane  si  scostò  da  Lello  Jamal  per  salutare  il  barista.  Gaetano  faceva   splendere   un   bicchiere   che   non   guardava,   abbagliato   dalla   ragazza.  La  dea  prese  un  succo  A.C.E.  che  sorseggiò  con  incredibile  lentezza  guardando  intensamente  Lello  Jamal.  Me  la  presentò  ed  io  cercai  in  tutti  i  modi  di  non  iniziare  a  sudare  come  spesso  mi  succedeva  di  fronte  a  simili  capolavori  dell’  Altissimo.  Al  di  la  dei  convenevoli  non  mi  prestò  molta  attenzione.  I  suoi  sguardi  erano  tutti  per  Lello  Jamal.  Parlarono  fittamente  per  diversi  minuti.  Poi  Ramona  si  staccò  e  si  salutarono.  Con  passo  da  sfilata  si  diresse  verso  l’  uscita,  con  i  presenti  nelle  vesti  dei  fotografi.  “Bella  guagliona  eh?”  disse  Lello  Jamal.  “Direi  discreta,  pudica  e  per  niente  appariscente”  risposi  con  tono  scherzoso.  “Sarebbe  perfetta  con  te  nella  Lello  car”  “Co  o’  sedile  reclinato  però”  specificò  Gaetano.  “Oppure  comodamente  seduta  sulle  mie  gambe”  disse  Lello  Jamal.  Poi   i   due   continuarono   a   fantasticare   su   posizioni   alternative   decisamente   imbarazzanti   da  evitare  di  descrivere.  Io  seguivo  ridevo  alle  loro  battute  spinte.  

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“Mistèr,   e   tu   non   hai   visto   Carmen”.   Disse   Gaetano.   “Tra   poco   dovrebbe   arrivare”.  “Beh   allora   quando   arriva   avvertitemi   che   mi   metto   gli   occhiali   da   sole   stavolta”.  Poi  Gaetano  cambiò  discorso  e  attaccò  a  parlare  di  calcio.  Di  come  il  Napoli  abbia  buttato  via  la  stagione  finendo  secondo  ad  un  punto  dalla  Juventus.  Io  appoggiai  il  suo  discorso  affermando  che   il   campionato   lo   aveva  perso   a   febbraio,   come   sempre  accade  alle   squadre  di  Mazzarri.  Lello  affermava  che  il  Napoli  avrebbe  dovuto  vincere   lo  scontro  diretto  e  allora   la   Juve  se   la  sarebbe  fatta  sotto.  Dalla  zona  delle  macchine  succhia  soldi  fece  eco  la  voce  di  un  certo  Tony,  che  insisteva  sul  fatto  che  Mazzarri  ormai  se  ne  doveva  andare  perché  non  avendo  vinto  nulla  il   suo   tempo   a  Napoli   era   terminato.   Lello   Jamal   rispose   che   se   andava   via  Mazzarri   allora  potevano  dire  addio  anche  ai  campioni.  Il  discorso  si  stava  spostando  sulle  qualità  dei  singoli.  Dentro   quel   bar   erano   tutti,   ma   proprio   tutti,   tifosi   sfegatati   del   Napoli.    Poi   improvvisamente   Gaetano   toccandomi   la   spalla   mi   disse   “Miettet   ucchial   Mistèr”  indicando  con  la  testa  la  porta  d’  entrata.    Era  Carmen.  Per  la  seconda  volta  nel  bar  scese  il  silenzio.  E  per  la  seconda  volta  il  vecchietto  che  giocava  a  carte  fece  scopa.  Carmen  era  più  bassa  di  Ramona  ma  non  di  certo  meno  avvenente.  Rossa  di  capelli,  scarpe  col  tacco,  gonna  corta  ma  non  aderente  come  quella  di  Ramona,  ma  bensì  caratterizzata  da  uno  svolazzare  di  veli  di  quelli  che  facevano  sperare  ai  passanti  in  strada  in  un’  improvvisa  folata  di  vento.    “Questa   nun   po’   annà   in   giro   pe   strada   vestita   così,   è   da   tamponamento   a   catena”   dissi   io.  Gaetano  commentò  con  un  “alzo  l’  aria  condizionata  che  fà  callo”.    Non  so  perché  me  lo  aspettassi,  ma  anche  la  seconda  divinità  andò  diritta  da  Lello  Jamal.  La  scena  fu  molto  simile  alla  precedente  solo  che  Carmen,  dopo  aver  salutato  Lello  Jamal  con  un  bacio   sulla   guancia,   si   limitò   a   prendere   un   litro   di   latte,   pagò   e   se   ne   andò   lasciando   una  penetrante  scia  di  profumo.  “Ammazza  er  profumo  che  s’  è  messa”  esclamai.  “Eau  de  purchiacca,  come  dicono  i  napulitan  a  Parigi”  disse  Gaetano.  A  Lello  Jamal  non  chiesi  nulla.  Era  chiaro  che  piaceva  alle  donne.  Un’  altro  marchio  che  la  Dea  bendata  aveva  impresso  a  fuoco  sulle  sue  chiappe.  Ricco,  non  bello,  ma  piacente.  Ed  ero  certo  che  non  era  tutto.  Solo  che  io  non  avevo  il  tempo  di  addentrarmi  nella  sua  vita.  Mentre  Lello  Jamal   mi   faceva   l’   occhiolino   indicando   con   un   cenno   della   testa   Carmen   che   usciva  ancheggiando,   gli   risposi   a   mia   volta   con   un   cenno   d’   assenso   e   con   l’   espressione   più  maliziosa  che  potei  stamparmi  sul  viso.  L’   uomo   senza   pudore.   Niente   niente   vuoi   vedere   che   davvero…..e   risi   di   me   mentre   lo  pensavo.    Ed   immediatamente   dopo   gli   dissi   che   dovevo   andare.   Salutammo   tutti   i   presenti   con   la  ripromessa   che  non  avrei  più   scommesso  con  Lello   Jamal.  Ci   alzammo  dagli   sgabelli   e  Lello  Jamal  si  diresse  verso  al  cassa  per  pagare.  Provai  a  bloccarlo  ma  Lello  mi  scansò  con  un  gesto  repentino.    Un  istante  dopo  entrò  un  tizio.  Tutto  trafelato  e  con  fare  agitato  attraversò  velocemente  il  bar  sotto  gli  occhi  dei  presenti.    “Marciè,  che  è  stat?”  Disse  Gaetano  preoccupato.  “Lellooo,  Lellooo”,  c’  è  Lello,  gridò  Marcello.  Poi  una  volta  individuato  si  precipitò  verso  di  lui  agitando  un  foglietto  in  mano.  “Lellooo,  o’  terno  secco  su  Venezia  Lelloooo!”    Lello   Jamal   si   girò   senza   troppa   enfasi   ma   andò   comunque   ad   abbracciare   Marcello.  “Quant’è  Marciè?”.  “Diecimila  euro  Lello!”  Esclamò  Marcello  mentre  stringeva  la  faccia  di  Lello  Jamal  tra  le  mani  e  gli   baciava   le   guance.   Non   erano   i   baci   di   Carmen   e   Ramona,  ma   nel   viso   di   Lello   Jamal   si  leggeva   la   stessa   soddisfazione.   La   soddisfazione   del   vincente,   dell’   acclamato   idolo   del   bar  

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della  fortuna.  Lello  Jamal  era  stato  contagiato  dalla  buona  sorte  divenendone  portatore  sano.  “Uahè,  allora  simm  fortunati!”  Disse  Lello.  “Offro  da  bere  a  tutti  i  presenti!”  Disse  Marcello.  “Facciamo  un  brindisi  a  Lello,  che  tiene  o’  culo  ross  ross!”  Gridò  Gaetano  quando  ebbe  riempito  tutti  i  bicchieri.  La  mia  presenza  al  bar  della   fortuna  si  protrasse  per  un’  altra  mezz’  ora   tra  brindisi  e  canti  vari.  Mi  girava  la  testa.  Non  ero  abituato  a  bere  tanto  e  per  giunta  a  stomaco  vuoto.  Così,  finita  l’  allegra  festicciola  improvvisata  da  Marcello,  mentre  uscivamo  dal  bar,  Lello  Jamal  ipotizzò  l’  idea   che   rimanessi   a   pranzo.   Stavolta   ero   deciso   a   rifiutare.   Lo   ringraziai   di   cuore   per   l’  aperitivo   e   quant’   altro   e   gli   dissi   che   non   volevo   approfittare   troppo   della   sua   ospitalità.  Erano   le  parole  sbagliate.  Mai   limitare   i  napoletani   in   fatto  d’  ospitalità.  Lello   Jamal   la  prese  come  un  fatto  personale  e  insistette  tanto  che  dovetti  cedere  per  sfinimento.  D’  altronde  il  mio  cervelletto   non   era   nel   pieno   delle   facoltà   e   mi   sarei   comunque   dovuto   fermare   al   primo  autogrill  sull’  autostrada  per  far  scendere  lo  stato  di  ebbrezza  che  mi  rendeva  poco  lucido.  Alla  fine  accettai  l’  invito.            

LELLO  JAMAL  L’  INTOCCABILE.    

Erano   le   12   passate   e   Lello   Jamal  mi   propose   di   passare,   prima   del   pranzo,   ad   un   cantiere  edilizio  che  era  li  vicino.  Mi  disse  che  faceva  il  costruttore  e  che  aveva  vinto  la  gara  d’  appalto  per  costruire  un  alberghetto  li  in  periferia.  Mi  fece  lasciare  la  500  dicendo  che  tanto  avremmo  fatto  presto  e  che  per  andare  a  casa  sua  saremmo  ripassati  per   il  bar.  Mentre   la  Lello  car  si  districava  nel  traffico,  Lello  Jamal  aveva  acceso  lo  stereo  e  inserito  un  cd.  Un  brivido  freddo  mi  percorse   la   schiena.   In   genere   i   napoletani   vanno   pazzi   per   due   autori   che   le  mie   orecchie  tollerano  a  fatica.  I  miei  sospetti  furono  confermati.  Lello  Jamal  alzò  il  volume  al  massimo  su  “non  dirgli  mai”  di  Gigi  D’  Alessio.  Fortunatamente  il  tragitto  era  breve  e  la  mia  agonia  durò  appena  tre  canzoni  “dell’  artista”  partenopeo.  Procedemmo  nella  via  dell’  entrata  del  cantiere  insieme  ad  un’  altra  auto,  una  BMW,  che  parcheggiò  un  secondo  prima  di  noi,  proprio  davanti  all’   ingresso.   Lello   Jamal   cercava   un   posto   all’   ombra   che   non   c’   era.   La   zona   era   priva   di  palazzi   nelle   immediate   vicinanze   e   sui  marciapiedi   non   c’   erano   aiuole   con   alberi   piantati.  Lello  Jamal  parcheggiò  la  Lello  car  in  doppia  fila  nonostante  davanti  ci  fosse  posto.  Conosceva  il  conducente  della  BMW.  Lo  salutò,  me  lo  presentò,  e  tutti  e  tre  ci  dirigemmo  all’  interno  del  cantiere.   Sullo   stretto  marciapiede,   appena   prima   dell’   entrata,   c’   era   un   fascio   di   barre   di  ferro  alto  circa  un  metro  e  lungo  almeno  cinque.  Dovemmo  girare  intorno  al  fascio  e  passare  lateralmente,  non  senza  difficoltà,  per  entrare  dal  cancello  aperto.  Lello  Jamal  imprecò  per  la  noncuranza  da  parte  di  chi  aveva  scaricato  il  materiale.  Poi  Lello  Jamal  e  l’  uomo  della  BMW  salutarono   un   signore   sulla   cinquantina.   Forse   il   direttore   dei   lavori.   Parlottavano   tra   loro  mentre   io  davo  un’  occhiata   in  giro.  L’  alberghetto  che  stava  costruendo  Lello   Jamal  era  una  “baracca”   di   almeno   dodici   piani,   tanti   erano   i   solai   impilati.   E   chissà   quanti   ne   avrebbero  ancora  innalzati.  L’  area  di  cantiere  era  enorme.  Una  lavoro  da  milioni  di  euro.  Intanto  ai  tre  si  era  aggiunto  il  un’  altra  persona  con  l’  elmetto  in  testa,  forse  il  capocantiere.  Io  mi  ero  fissato  a  osservare   una   ruspa   che   stava   prelevando   ghiaia   da   un  mucchio   posto   a   una   quindicina   di  metri  da  noi.  La  ruspa,  con  la  sua  grande  benda,  trasportava  meccanicamente  la  ghiaia  verso  il  lato   lungo  dell’  albergo  per  poi  tornare   indietro  e  ricominciare.  Faceva  caldo,  e  nonostante   i  tanti   liquidi   ingurgitati   nel   bar,   avevo   una   sete   da   profugo   sahariano.   E  mi   girava   la   testa.  Continuavo  a  osservare  la  ruspa  nei  suoi  movimenti,  ma  desideravo  ombra  e  liquidi.  Poi  il  mio  

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stato  di  torpore  fu  improvvisamente  scosso.  L’  ennesimo  viaggio  della  ruspa  fu  diverso  dagli  altri.  Mentre  era  di   fronte  al  mucchio  di  ghiaia,   il  guidatore  non  abbassò   la  benda  ma  passò  lateralmente  al  cucuzzolo.  La  ruspa  si  sollevò  leggermente  su  un  fianco  mentre  passava  sopra  la  parte  più  bassa  della  collinetta  di  ghiaia.  Il  mezzo  proseguì  oltre,  come  se  il  guidatore  avesse  finito  e  volesse  parcheggiare,  oppure,  altra   ipotesi,  dovesse  caricare  altro.  Ma  davanti  non  c’  era  nulla  e  la  velocità  con  cui  procedeva  la  ruspa  era  un  po’  troppo  elevata.  Continuai  a  seguire  il  suo  tragitto.  La  ruspa  ormai  puntava  dritto  verso  il  cancello.  Qualcosa  non  andava.  Gridai  all’  autista   e   col   braccio   alzato   accennai   uno   scatto.   La   ruspa   era   lontana   e   non   accennava   a  diminuire   la   velocità.   Uscì   dal   cancello.   Le   ruote   anteriori   del   mezzo   si   arrampicarono   sul  fascio  di  ferro  che  stava  sul  marciapiede.  La  ruspa  s’  impennò  sulle  possenti  ruote  posteriori  e  procedette  in  avanti.  Una  volta  che  anche  le  ruote  posteriori  fecero  presa  sul  fascio,  la  ruspa  sobbalzò   in  avanti  ponendosi  a   cavalcioni   sul   fascio   stesso,  urtando  con   le   ruote  anteriori   l’  auto  di  fronte  mandandone  in  frantumi  i  vetri  laterali.  La  benda,  che  era  sospesa  a  mezz’  aria,  nella  ricaduta  della  ruspa  urtò  il  tettino  dell’  auto.  Accostata  c’  era  la  Lello  car.  Mi  bloccai  con  gli   occhiali   calati   sulla   punta   del   naso.   La   ruspa   continuava   ad   urlare   col   suo   motore  accelerato.  Tuttavia  non  riusciva  a  procedere  perché  incastrata  tra  il  fascio  di  ferro  e  l’  auto  in  sosta.   Le   sue   ruote   anteriori   incredibilmente  non   facevano  presa   sulla  BMW,  mentre  quelle  posteriori  non  toccavano   il   fascio.   In  pratica   il  mezzo  non  potè  procedere  nell’  arrampicarsi  sulla   malcapitata   BMW.   Corremmo   tutti   verso   la   ruspa.   L’   operaio   che   la   conduceva   era  bocconi   sulla   cloche   dei   comandi.   Salii   sul  mezzo   dal   lato   sinistro   e   girai   la   chiave   che   era  posta   proprio   sul  mio   lato   di   salita.   Gli   altri   balzarono   sulla   ruspa   apportando   i   soccorsi   al  guidatore.  Tutti  erano  allarmati.  L’  operaio  con  l’  elmetto  sentì  il  polso  del  collega  che  risultò  debole   ma   comunque   presente.   Così,   dopo   averlo   sollevato   dalle   braccia   e   dalle   gambe,   lo  portarono  a  terra  sdraiato  supino.  Immediatamente  l’  operaio  riprese  i  sensi.  Si  era  trattato  di  un   malore.   Un   semplice   mancamento   che   poteva   far   finire   il   tutto   in   tragedia,   se   le   cose  fossero  andate  diversamente  da   come  erano  andate.  Ora   il  proprietario  della  BMW,  visto   lo  scampato  pericolo  da  parte  dell’  operaio,  poteva  dare  in  escandescenza  per  i  danni  subiti  dalla  sua  auto.  Lello  Jamal,  ovviamente,  aveva  avuto  l’  ennesima  botta  di  culo.  Se  fossimo  arrivati  in  cantiere  un  minuto  prima,  sarebbe  stata  la  Lello  car  quella  schiacciata  dalla  ruspa.  E  riecco  l’  invidia,   dominante,   dirompente.   Non   c’   era   niente   da   fare,   Lello   Jamal   usciva   sempre   illeso  dalle   fatalità,   come   al   fantacalcio.   Mente   riflettevo   su   questo   mi   trovai   istintivamente   a  scuotere   la   testa.   Mentre   ripercorrevo   gli   eventi   di   quella  mezza   giornata,   sommandoli   tra  loro,  mi   stupii   dell’   effimero  pensiero   che   si   fece   largo  nella  mia  mente.   Forse   fu   l’   alcool   a  suggerirmelo.   Pensai   che   se   Walt   Disney   fosse   stato   ancora   in   vita,   avrebbe   cercato   di  conoscere  di  persona  Lello  Jamal  perché  l’  avrebbe  identificato  come  uno  dei  suoi  personaggi  in   carne   ed   ossa.  Ovvero  Gastone  Paperone.  Mi   ritrovai   a   scuotere   ancora   la   testa.   Stavolta  forse  avevo  anche  un  sorriso  storto  sull’  angolo  della  bocca.      Lello   Jamal   forse   la   prese   come   una   considerazione   sul  malore   occorso   all’   operaio   perchè  disse:   “Mo  me  dovess   giucà  o  muort   che  parla!”  Badando  bene  nel   farsi   sentire   anche  dallo  stesso  operaio  risorto.  Ci  facemmo  tutti  una  risata  distensiva.  La  ruspa   fu  rimossa  dalla  BMW  non  senza  che  su  quest’  ultima   fossero  riportati  altri  danni.    Ironicamente  bisbigliai  all’  orecchio  di  Lello  che  purtroppo  stavano   togliendo   l’  ombra  dalla  Lello  car.              

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 LELLO  JAMAL  HOUSE  

   Andammo  via  dal  cantiere  destinazione  Lello  Jamal  house.  Continuai  a  ripetergli  di  lasciarmi  alla  mia  500,  che  non  era  il  caso  che  rimanessi  a  pranzo,  che  era  meglio  che  si  riposasse,  che  magari  voleva  stare  con  moglie  e  piccolo.  Mi  rispose  che  è  la  domenica  che  è  fatta  per  riposare  e  che  comunque  a  casa  non  c’  era  nessuno  perché  il  resto  della  Lello’s  family  era  alla  casa  al  mare.   Così   ripresi   possesso   della   500   e   seguii   la   Lello   car   in   direzione   Lello   Jamal   house,  spostando  di  tanto  in  tanto  lo  sguardo  sull’  adesivo  della  Dea  bendata  che  mi  faceva  il  gesto  dell’  ombrello.      La  Lello  house  si  trovava  in  una  zona  molto  tranquilla.  La  sua  dimora  era  un  villino  a  due  piani  con   ampio   giardino  posto   auto   in   strada.   Entrammo  dal   cancello   e   subito   notai   la   statua   in  gesso   della   Dea   bendata.   Non   sapevo   cosa   aspettarmi   all’   interno.   Entrammo   in   casa   alle  13.15.  Lello  Jamal  mise  subito  sui  fornelli  la  pentola  con  l’  acqua.  E  mentre  aspettavamo  che  l’  acqua   bollisse   mi   portò   in   giro   ad   ammirare   la   casa.   Era   enorme.   Ma   stranamente   poco  arredata.   Visti   i   suppellettili   che   dominavano   la   Lello   car,   la   cosa  mi   stupì   non   poco.   Lello  Jamal,   casualmente,   diede   risposta   ai   miei   pensieri   dicendo   che   si   erano   trasferiti   da   una  quindicina  di   giorni   e  molte   cose   che   avevano  nella   vecchia   casa   le   avevano  buttate  perché  volevano  cambiare  stile  d’  arredamento.  La  casa  era  grande.  140  Mq  suddivisa  in  tre  camere,  due  bagni,  cucina,   il  salotto  enorme  e  due  ampi  balconi.  L’  avevano  scelta  soprattutto  per   la  zona   tranquilla.   Anche   quella   che   era   la   stanza   del   bimbo   non   era   completamente  ammobiliata,  ma  alle  pareti  avevano  già  trovato  posto  i  posters  di  Maradona,  Cavani,  Hamsik  e  una  gigantesca  bandiera  del  Napoli.  Nel  salotto  mancava  il  divano,  che  era  stato  ordinato  e  che  sarebbe  stato   consegnato   in   settimana.  Su  un  mobile   c’   erano   le   fotografie  di   famiglia.  Lello  Jamal  mi  presentò  virtualmente  i  suoi  familiari.      “Tuo  figlio  ti  somiglia  tanto  eh?”  dissi.  “E’  preciso  a  me  Mistèr.  Pienz  che  quando  siamo  usciti  dall’  ospedale,  dopo  o’  part,  c’  era  nu  vento   che   sembrava   Trieste   e   na   50   euro   s’   attaccò   al   bordo   della   culla   do’   bebbè.”  “Proprio  tale  padre  e  tale  figlio”  dissi  sorridendo.    Mangiammo  una  pasta  fatta  col  sugo  fresco  e  due  foglie  di  basilico.  Piatto  semplice  ma  sempre  vincente.   Ovviamente   abbondante.   Rifiutai   categoricamente   il   vino   e   alcolici   di   ogni   sorta.  Cominciava   appena   a   riaffiorare   in  me   un   briciolo   di   lucidità   e   non   volli   rischiare   di   dover  rimanere  anche  per  cena.  Finito  di  pranzare  cominciammo  a  parlare  del  più  e  del  meno.  Lello  Jamal   si   mostrò   subito   una   persona   gradevole   e   di   chiacchiera   facile.   Ciò   mi   convinse   a  introdurre  l’  argomento  lotteria  Italia.    “Insomma,   c’   hai   avuto   il   culo   sfacciato   di   vincere   alla   lotteria   Italia.”   Gli   dissi   sorridendo.    “Eh  già  Mistèr,  proprio  un  bel  culo.”  Poi   fu   più   forte   di  me,   vinse   la   forza   dell’   invidia   che   voleva   trovare   un   punto   debole   nell’  universo  perfetto  in  cui  ruotava  il  pianeta  Lello  Jamal.  “Scusa  la  domanda,  ma  in  genere  ste  cose  non  si  tengono  nascoste?  Cioè,  voglio  dire,  sono  una  barca  di  soldi,  fanno  gola,  non  so  se  mi  spiego.”  I  miei  dubbi,  legittimi,  posarono  le  basi  per  un  discorso  lungo  ma  esaustivo  da  parte  di  Lello  Jamal.  Dalle  parole   che  pronunciò  per   la   successiva  mezz’  ora   capii   chi   era  veramente  Lello  Jamal   e  mi   si   aprì   un  mondo   sulla   sua   persona.   Lello  mi   raccontò   di   lui.   Questa   era   la   sua  storia.      

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LELLO  JAMAL  STORY    La   vita   di   Lello   Jamal   cambiò   il   nove   gennaio   di   due   anni   fa.   Come   se   una   pagina   del   libro  bianco  della  vita  aspettasse  di  essere  scritta  da  un’  altra  penna,  nel  suo  caso,  quella  della  Dea  bendata.  Lello   Jamal  apprese  della  vincita  alla   lotteria   Italia   la  mattina  del  nove  gennaio  del  2011.   Quando   capì   che   i   numeri   vincenti   erano   i   suoi   e   non   sarebbero   cambiati   neanche  rileggendoli  mille  volte,  si  sentì  mancare  dall’  emozione  che  per  poco  non  svenne.  Era  euforico  ma  si  sforzò  di  rimanere  irrazionale.  Sapeva  che  ora  aveva  una  vita  completamente  diversa  da  gestire.  Reset.  Si  comincia  daccapo.  Si  rivaluta  tutto  e  tutti.  A  partire  dal  proprio  stato  mentale  che   andava   gestito.   Passarono   quattro   mesi   in   cui   Lello   Jamal   non   seppe   cosa   fare   della  propria  vita  e  della  propria   fortuna.  Cercò  consigli   tra   le  amicizie  pur  senza  sbilanciarsi  nel  dire  cosa  gli  era  capitato.  Non  era  semplice.  In  tanti  intuirono  che  qualcosa  era  cambiato  nella  sua  vita.  Per  quanto  si  sforzasse,  si  vedeva  che  era  una  persona  diversa.  Come  un  serpente  che  aveva  cambiato  muta,  Lello  Jamal,  a  partire  dal  10  gennaio,  era  un’  altro  Lello  Jamal.  Forse  era  nel   modo   di   fare   e   di   comportarsi.   Oppure   in   qualche   modo,   non   si   sa   come,   la   voce   del  sospetto  era  girata.  Per  ora  comunque  era  ancora  nell’  anonimato.  Il  bar  della  fortuna  era  in  festa  dal  sette  gennaio  perché  il  biglietto  era  stato  comprato  li.  Scovare  l’  identità  di  Gastone  Paperone   era   nelle   mani   degli   addetti   alla   vendita   dei   biglietti.   A   parte   mantenere   l’  anonimato  Lello  Jamal  si  chiedeva  cosa  dovesse  fare  una  volta  incassato  il  suo  destino  che  lo  vedeva  miliardario.  Forse  doveva  continuare  la  sua  vita  come  se  niente  fosse  accaduto.  Ma  era  difficile   rimanere   indifferenti   davanti   alle   prospettive   che   una   cassaforte   piena   ti   presenta.  Però  era  anche  difficile   starsene   li  passivo  aspettando  che   i   soldi   finissero.  Ma  poi   in   realtà  finiscono?  E  con  quale  velocità?  Come  spenderli?  Come  passare   inosservati  pur   riuscendo  a  concedersi   i  piccoli  e  grandi   lussi  che  ognuno  ha  sempre  sognato?  Andare  via  poteva  essere  una  soluzione.  Inventare  una  scusa  per  allontanarsi  da  tutto  e  da  tutti  e  cambiare  vita.  Ma  non  sarebbe  stato  facile  neanche  quello.  E  si  chiedeva  ancora,  con  chi  avrebbe  dovuto  condividere  il  segreto?  Di  chi  si  poteva  fidare?  Allora  forse  doveva  rimanere  ed  investire  il  proprio  denaro.  Ma   come?   Come   giustificare   la   somma   investita?   Avrebbe   dovuto   inventare   una   storia,  possibilmente  plausibile  e  che  non  desse  credito  a  dubbi  di  ogni  sorta.  Non  era  una  situazione  facile   da   gestire.   Doveva   studiarsela   molto   bene.   Poi   c’   era   la   paura.   Lello   Jamal   aveva,  giustamente,  altre  preoccupazioni  e  di  altra  natura.  Il  rischio  che  a  sapere  fossero  le  persone  sbagliate  era  quanto  mai  tangibile.  Non  bisognava  essere  dei  tipi  particolarmente  ansiosi  per  immaginare  situazioni  pericolose  per  se  stessi  e  per  chi  ti  ruota  attorno  nella  vita.  Pensare  di  non  poter  più  vivere  un’  esistenza  serena  era  ciò  che  l’  angosciava  veramente.  Che  qualcuno  a  lui  caro  potesse  correre  dei  pericoli  a  causa  sua  lo  faceva  impazzire.  Avrebbe  preferito  di  gran  lunga  rimanere  anonimo  e  far  finta  che  tutto  fosse  stato  un  sogno.  Non  voleva  che  il  destino  si  prendesse   beffe   di   lui   facendogli   credere   di   essere   un   eletto   della   Dea   bendata,   per   poi  portargli  un  conto  che  lui  avrebbe  dovuto  pagare  con  una  moneta  con  la  quale  al  cambio  ci  si  perde   tre   a   uno.   Allora   dove   sarebbe   stata   la   fortuna   in   quel   caso?   Lello   Jamal   rimase  schiacciato   per  mesi   sotto   il   peso   della   croce   del   suo   destino,   dove   la   corona   di   spine   era  composta  da  banconote  da  500  euro  che  gli  si  conficcavano  nelle  meningi.  Poi  la  Dea  bendata,  la   lucciola   che   per   lui   si   concedeva   gratis,   si   buttò   di   nuovo   tra   le   sue   braccia.      Era   una   domenica   di   fine   maggio.   Lello   Jamal   percorreva   una   strada   di   campagna   che   lo  doveva   portare   al   terreno   di   un   suo   amico   contadino,   Carmelo,   dal   quale   comprava   uova,  ortaggi  e  frutta.  Questa  volta  però  era  li  per  cogliere  le  ciliegie  dai  tre  alberi  che  crescevano  all’  interno  del  terreno.  Le  cerase  di  Carmelo  erano  speciali.  Erano  amici  da  tanti  anni  e  Carmelo,  per  sdebitarsi  di  un  favore  da  parte  di  Lello,  lo  aveva  invitato  più  volte  ad  arrampicarsi  sulla  

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pianta.  Gli   disse   che  poteva   andarci   quando  voleva,   anche   senza   avvisarlo.   Così   quel   giorno  Lello  Jamal,  senza  preavviso,  si  decise  ad  andare  al  terreno.  Carmelo  viveva  li,  da  solo,   in  un  casale  ristrutturato  datato  1920.   Il   fattore  però  non  era   in  casa  quel  giorno.  Ma  Carmelo  gli  aveva   lasciato   una   copia   delle   chiavi   del   cancello   dandogli   libero   accesso   ai   tre   alberi   che  crescevano  selvaggi  al  centro  degli  immensi  ettari  che  si  estendevano  davanti  al  casale.  Lello  Jamal   arrivò   con   il   suo  Majesty   250.   Parcheggiò   la  moto   direttamente   dentro   il   garage   del  casale.  La  serranda  era  sempre  aperta  e  Lello   lo  sapeva.  L’  amico  contadino   la   teneva  alzata  perché  tanto  non  aveva  nulla  di  valore  da  tenere  sotto  chiave.  Chi  gli  avrebbe  mai  rubato   la  vecchia  Fiat  Panda  900  del  95’?  Trattori  e  mezzi  agricoli  non  ce  n’  erano.  Carmelo  coltivava  solo   una  minima   parte   del   suo   immenso   terreno.   D’   altronde,   a   settantacinque   anni,   era   il  massimo  che  il  fisico  gli  potesse  concedere.  Un  orticello  che  gli  desse  occupazione  e  nulla  più.  Per  le  pretese  che  aveva,  Carmelo  se  la  cavava  benissimo  con  la  sua  vecchia  motozappa,  anch’  essa  a  prova  di  furto.  Per  il  resto,  sparsi  nel  terreno,  c’  erano  piante  d’  ulivo,  alberi  da  frutto  e  rovi  di  more.  Dopo  aver  issato  la  moto  sul  cavalletto,  Lello  Jamal  prese  una  scala  estendibile  appoggiata   ad   una   parete.   Era   leggerissima   con   la   scocca   in   alluminio.   Passò   di   fianco   al  pollaio,   sul   lato   sinistro   del   casale,   e   s’   avviò   verso   il   terreno.   Con   una  mano   sorreggeva   la  scala  mentre  l’  altra  mano  era  occupata  da  due  ceste.  Una  delle  due  l’  avrebbe  riempita  per  se,  l’  altra  per  l’  amico  Carmelo.  Mentre  procedeva  badò  a  tenersi  accostato  al  recinto  del  pollaio  altrimenti  Tyson,  il  mastodontico  meticcio  in  parte  Rottweiler  e  in  parte  pastore  Maremmano,  avrebbe  certamente  sfruttato  tutti  i  centimetri  della  catena  alla  quale  era  legato  per  garantirsi  un  pasto  supplementare  in  cui  il  pregiato  culo  di  Lello  Jamal  era  l’  equivalente  del  caviale  per  gli  esseri  umani.  Mentre  passava   il   cane  non  smetteva  di  abbaiare  nella  sua  direzione.  Lello  Jamal   lo   ignorò   inoltrandosi   nel   terreno.   Camminò  non  poco  per   raggiungere   i   tre   alberi   di  ciliegio   che   nascevano   pressappoco   al   centro   dell’   enorme   tenuta.   Scelse   di   salire   sul   più  lontano  rispetto  al  casale,  che  a  occhio  gli  sembrava  essere  il  più  carico  di  frutti.  Forse  era  per  un   fattore   d’   esposizione   al   sole.   Ora   se   ne   stava   appollaiato   su   un   ramo   molto   esterno,  ingolosito  da  un  gruppo  di  cerase  che  promettevano  di  essere  decisamente  succose.  Uno  dei  due  grandi  cestini  era  agganciato  ad  un  ramo  poco  più  in  alto  di  lui.  Faceva  caldo.  Un  leggero  venticello,  che  faceva  danzare  le  foglie  e  oscillare  pericolosamente  i  rami,  lo  rinfrescava  dalla  calura   che   lo   attanagliava   in   una   morsa   afosa.   Il   cielo   era   sgombro   di   nuvole.   E   proprio  osservando  il  cielo  che  Lello  Jamal  si  accorse  delle  splendenti  ciliegie  che  crescevano  sui  rami  più   alti.   Ma   si   sa,   la   cose   più   belle   spesso   sono   inaccessibili.   Resistette   alla   tentazione   di  arrampicarsi   sui   rami  più   fragili  e   continuò   la   raccolta  dove  poteva  arrivare  senza  rischiare  cadute.   Poi   però   un   pensiero   si   fece   largo   nella   sua   mente.   Per   arrivare   in   alto   poteva  utilizzare   la   leggerissima   scala   se   avesse   trovato   il   modo   di   poggiarla   sui   rami   su   cui   era  adesso.  Era  rischioso  ma  volle  provarci  lo  stesso.  Issò  la  scala  e  cercò  di  posizionare  i  piedi  tra  due  rami  che  partivano  insieme  dal  tronco  centrale.  I  due  rami  camminavano  orizzontalmente  allontanandosi  tra  loro  man  mano  che  si  allungavano  dal  tronco  centrale.  L’  ultimo  piolo  della  scala  doveva  essere  poggiato  su  una  ramificazione  che  partiva  in  verticale  da  uno  dei  due  rami  sulla  quale  era  poggiata   la  scala.  Accorciò   la  scala  estendibile  al  minimo  per  fare   in  modo  di  non  gravare  troppo  peso  su  quel  ramo  che  era  più  fino  man  mano  che  saliva.  Se  avesse  avuto  una  fune  di  qualche  tipo  avrebbe  cercato  di  bloccare  la  scala.  La  soluzione  non  lo  gratificava.  In  basso  i  piedi  gommati  della  scala  sembravano  far  presa  sui  grossi  rami.  Ma  la  superficie  d’  appoggio  dell’  ultimo  piolo  in  alto  sul  ramo  era  tondeggiante,  quindi  il  contatto  era  minimo  e  solamente   centrale   sul   piolo   stesso.   Lello   Jamal   avrebbe   dovuto   salire   perfettamente  bilanciato  al  centro  per  non  far  spostare  la  scala  di  lato.  Era  titubante,  ma  volle  tentare.  Saliva  con  le  gambe  che  gli  tremavano.  Ai  suoi  lati  aveva  due  rami  che  salivano  insieme  a  quello  d’  appoggio   e   che   partivano  da   altri   due   rami   principali.   L’   avvicinarsi   alle   ciliegie   lo   spinse   a  continuare   la   sua   ascesa   nonostante   l’   adrenalina   crescesse.   Arrivò   a   destinazione   con   i  muscoli   delle   cosce   che   gli   dolevano   per   lo   sforzo   nel   mantenere   l’   equilibrio.   Era   sul  

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terzultimo  piolo.  Si  fermò,  agganciò  il  cesto  e  cominciò  ad  allungarsi  verso  l’  alto.  Coglieva  con  la  mano  destra  mentre  con  la  sinistra  si  reggeva  al  ramo  vicino.  Il  ramo  d’  appoggio  dondolava  ad  ogni  soffio  di  vento.  Lello  Jamal  non  si  sentiva  per  nulla  a  suo  agio.  E  quando  spostò  il  suo  bilanciamento  lateralmente  a  destra  per  raggiungere  un  gruppo  di  ciliegie,  la  scala  perse  il  suo  appoggio  dal   basso.   La   stessa   si   bloccò   immediatamente   sull’   intersezione  dei   due   rami  ma  Lello  perse  comunque  l’  equilibrio.  Col  riflesso  di  un  leopardo  si  agganciò  con  le  mani  a  due  rami  che  aveva  immediatamente  a  disposizione.  Un  piede  era  sulla  scala,  l’  altro  appuntato  su  un  piccolo   ramoscello   che  partiva  dal   ramo  con   cui   si   reggeva   con   la  mano  destra.  Non  era  caduto  per  miracolo.  Per  ora.  Ma  era  in  una  posizione  scomodissima  e  innaturale.  Era  fermo  e  saldo   sulle  mani  ma   sui   piedi   era   in   una   situazione  molto   precaria.   Il   problema   adesso   era  scendere,  possibilmente  non  con  un  salto  di  sette  metri.  La  scala  era  sull’  albero  ma  non  era  praticabile  vista  la  posizione.  Lello  Jamal  si  mantenne  calmo.  Quindi  fece  tre  respiri  profondi  per  annullare  l’  effetto  dell’  adrenalina  e  cominciò  a  calarsi  facendo  forza  sulle  braccia  e  sulle  gambe.  Tolse  il  piede  sinistro  dalla  scala  e  cominciò  a  scendere  lentamente.  Strusciava  i  piedi  in   modo   da   rallentare   la   discesa   mentre   si   scorticava   i   palmi   delle   mani.   Man   mano   che  scendeva   i   rami   si   accostavano   tra   loro   e   la   sua   posizione   iniziale   a   gambe   divaricate  diventava  più  comoda.  Arrivò  sano  e  salvo  al  centro  del  tronco  principale.  L’  aveva  scampata.  La  sua  santa  protettrice  madre  Dea  bendata   lo  aveva  soccorso   tirandolo  giù  dal   ramo  come  mamma   gatto   farebbe   con   il   suo   cucciolo.   Non   ci   avrebbe   riprovato.   Aveva   avuto   la   sua  razione   di   fortuna   quotidiana.   Poteva   bastare.   Si   sarebbe   accontentato   delle   ciliegie   meno  belle  ma  anche  meno  insidiose.  Si  tranquillizzò  e  riprese  a  cogliere.  La  raccolta  lo  rilassava  ma  nel  contempo  era  concentrato  nel  non  far  cadere  le  ciliegie.      Improvvisamente  il  gesto  ripetitivo  di  staccarle  e  posarle  nel  cestino  fu  interrotto  dal  rumore  di  un’  auto  che  procedeva  nel   terreno.  Dal  rombo  sembrava  un’  auto  di  grossa  cilindrata.   In  effetti  si  trattava  di  un  grosso  SUV.  Lello  Jamal  rimase  interdetto  ad  osservare  l’  avvicinarsi  del  mezzo.  Poteva  essere  Carmelo  accompagnato  da  non  si  sa  chi.  Strano  che  l’  auto  non  venisse  dalla   parte   del   casale.   Evidentemente   c’   era   un’   altra   entrata   intorno   al   recinto   del   grande  terreno.  Però  Carmelo  non  sapeva  che  lui  sarebbe  andato  oggi  al  terreno  perché  Lello  Jamal  non  lo  aveva  avvisato.  Che  avesse  portato  qualcuno  a  cogliere   le  ciliegie?  Lo  avrebbe  saputo  subito.   Il   SUV,   che   Lello   Jamal   notò   avere   i   vetri   oscurati,   fece   manovra   e   si   fermò   col  posteriore  rivolto  all’  albero  su  cui  era  lui,  a  cinque-­‐sei  metri  dal  tronco.  Cambiò  posizione  sul  ramo,  rivolgendo  il  volto  verso  l’  auto  pronto  a  richiamare  l’  attenzione  di  Carmelo.  Dall’  auto  non   scese   Carmelo.   Dall’   interno   ne   uscirono   due   figure,   due   uomini.   Uno   sulla   trentina,  corporatura  massiccia,   pancia   prominente.   Il   secondo   sembrava  più   giovane,   più   snello,  ma  comunque  dal   fisico  atletico.  Entrambi   indossavano  una  giacca  di  pelle  nera  su  blue   jeans.   I  due,   del   tutto   sconosciuti,   con   occhiali   da   sole   scuri   e   barba   incolta,   andarono   verso   il  bagagliaio  del  SUV.  Ne  tirarono  fuori  due  picconi,  due  pale  e  due  vanghe.    Chi  erano?  Conoscenti  di  Carmelo?  Che  erano  venuti  a  fare?  I  due  cominciarono  a  scavare  una  buca.  Prima  usando  la  vanga,  poi  con  la  pala.  Agivano  in  fretta  e  con  energia,  come  se  avessero  fretta.   L’   occhio   di   Lello   Jamal   in   parte   seguiva   i   loro   movimenti,   in   parte   si   posava   sul  bagagliaio  aperto  del  SUV.  All’  interno  c’  erano  due  sacchi  di  iuta  pieni.  Qualcosa  si  muoveva  in  uno  dei  due  sacchi.  Nell’  altro  il  contenuto  era  immobile.  Lello  Jamal  non  capiva,  o  meglio,  non  voleva   intendere   il   peggio,   lasciando   le   ipotesi   peggiori   infondo   alle   possibilità   che   la  situazione   comprendeva.  Nel   sacco   che   si  muoveva   sperava   ci   fosse   un’   animale.  Nell’   altro  qualcosa   che   non   fosse   un   essere   vivente.   Doveva   essere   così   ma   l’   istinto   gli   suggerì   di  rimanere  fermo  e  di  non  rivolgere  la  parola  ai  due  individui.  Cominciò  a  sudare.  La  tensione  per  lo  sforzo  di  rimanere  in  una  posizione  scomoda  si  sommava  all’  agitazione  derivante  dalla  scena  a  cui  assisteva.  Dopo  dieci  interminabili  minuti  i  due  terminarono  la  buca.  O  la  fossa.  Era  delle  dimensioni  di  un’  essere  umano,  o  di  un  grande  cane  per  quanto  Lello  Jamal  s’  illudeva  

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che  fosse  quello  il  contenuto  del  sacco  animato.  I  due  riposero  gli  strumenti  nel  bagagliaio  e  si  accinsero   a   tirare   giù   il   sacco   vivente.   Lello   Jamal   era   teso   come   Jean   Cloude   Van   Damme  quando  veniva  tirato  dalle  funi  nel  film  “Kick  boxer,  il  nuovo  guerriero”.  Il  più  giovane  aprì  il  sacco.   Ne   uscì   fuori   quello   che   Lello   Jamal   temeva.   Un   uomo   reso   cieco   da   una   benda   e  ammutolito   da   un   nastro   adesivo.   Forse   sulla   sessantina,   calvo,   vestito   con   una   giacca,   una  camicia  e  pantaloni  di  cotone.  L’  altezza  non  era  facile  da  decifrare  per  Lello  Jamal  vista  la  sua  posizione.   La   fossa   però   era   sicuramente   ampia   per   accoglierlo.   Lo   sbendarono  ma   non   gli  tolsero  il  nastro.  Uno  dei  due  aveva  una  pistola  che  teneva  in  una  fondina  sul  lato  destro  del  corpo.  Ormai  era  evidente  ciò  che  stava  per  accadere.  Lello   Jamal  sentì  crescere   la   tensione.  Non   voleva   vedere   ma   al   contempo   non   poteva   girarsi   perché   doveva   restare   in   quella  posizione.   Non   doveva  muovere   assolutamente   un   solo   muscolo.   Nessuno   dei   tre   lo   aveva  visto.  Ringraziò  se  stesso  per  aver  deciso  d’  indossare  dei  pantaloni  mimetici.      Immediatamente   dopo   si   maledì   per   la   scelta   di   una   t-­‐shirt   bianca.   Ma   di   certo   i   tre   non  potevano   aspettarsi   che   tra   gli   alberi   ci   fosse   qualcuno   che   stesse   appollaiato   a   raccogliere  ciliegie.   Proprio   quel   giorno,   proprio   in   quel   momento   della   giornata.   D’   altronde   nessuno  sapeva  che  era  li.  La  moto  non  l’  avevano  vista  perché  non  erano  passati  per  il  casale.  Distolto  il  pensiero  sulla  sua  mimetizzazione,  Lello  Jamal  tornò  a  pensare  alla  situazione.  Quell’  uomo  stava  per  morire   e   lui   non  poteva   aiutarlo.  Qualsiasi   cosa   avrebbe   tentato  di   fare,   qualsiasi  decisione   avesse   attuato,   avrebbe   rischiato   di   morire   anche   lui.   In   mente   gli   si  sovrapponevano  le  più  disparate  ipotesi.  Le  possibili  mosse,  in  una  scala  del  tutto  personale  di  fattibilità,  partivano  dalla  stupidaggine  fino  ad  arrivare  all’  inutile,  passando  per  l’  impossibile  e  il  temerario.  Lello  Jamal  in  pratica  non  aveva  soluzioni  ottimali.  E  ciò  significava  che  dire  che  non  ne  aveva  nessuna.  Gli  venne  in  mente  di  tirare  il  cesto  pieno  di  ciliegie  in  testa  all’  uomo  che  teneva  la  pistola.  Se  la  mira  fosse  stata  buona  probabilmente  lo  avrebbe  steso.  Ma  con  l’  altro  come  si  sarebbe  messa?  Non  poteva  balzare  giù  dall’  albero,  in  un  salto  di  quasi  cinque  metri,  senza  considerare  l’  ipotesi  che  si  sarebbe  potuto  rompere  l’  osso  del  collo.  Lello  Jamal  non  era  Walker  Texas  Ranger  o  Steven  Segal  che  nei   telefilm  mettono  K.O.   i  cattivoni  con   le  loro  evoluzioni  marziali.  Lello   Jamal  non  era  un  supereroe.  Non  era  Superman,  Spiderman  o  Batman.   I   supereroi   avevano   i   superpoteri   e,   soprattutto,   avevano   coraggio.   Invece   lui   se   la  stava  facendo  sotto  dalla  paura.  Non  era  la  stessa  matrice  di  paura  che  aveva  provato  prima  sulla   scala.   Era   un’   altro   tipo   di   paura   che   non   aveva  mai   provato.   Sulla   scala   era   rimasto  lucido  e  consapevole  di  se  stesso.  Sapeva  cosa  doveva  fare  per  tirarsi  fuori  dal  guaio  e  attuò  la  soluzione  che  gli  sembrò  più  giusta.  Quest’  altro  tipo  di  paura  era  derivante  dall’  angoscia.  Dal  fatto  che  la  coscienza  lo   incitava  a  fare  qualcosa,  ma  la  paura  ne  bloccava  i  gesti   impedendo  una  valutazione  sensata  sul  da  farsi.   In  pratica,  Lello  Jamal  era  nel  panico.  La  sua  mente  era  inerme.  Come  se  gli  ingranaggi  che  muovevano  i  suoi  pensieri  fossero  incastrati  tra  di  loro  da  una  spessa  lamina  fatta  di  terrore  misto  al  fremito  dell’  attesa  che  tutto  finisse.  La  situazione  ricordava  a  Lello  Jamal  quelle  volte  che  giocava  a  Taboo.      Quando  era  lui  a  dover  far  indovinare  la  parola  al  compagno,  andava  nel  pallone  nel  vedere  il  tempo  che  scorreva  inesorabile.  La  sua  mente  si  contorceva  alla  ricerca  delle  parole  giuste,  ma  il   risultato   era   che   ne   veniva   fuori   un   groviglio   di   mezze   frasi   che   non   finalizzavano   un  concetto.  Allora  passava  alla  parola  successiva,  poi  all’  altra  e  all’  altra  ancora.  Alla  fine,  lui  e  il  compagno,   non   avevano   totalizzato   neanche   un   punto.   Ora   nella   clessidra   stavano  precipitando   gli   ultimi   granelli   e   Lello   Jamal,   come   a   taboo,   non   trovava   il  modo  di   uscirne  fuori.   Non   riusciva   a   prevedere   cosa   potesse   comportare   un   suo   qualsiasi   gesto.   Alla   fine  concluse   che   non   poteva   farci   nulla.   Giustificò   questa   sua   sentenza,   che   gli   sembrava  quantomeno  vigliacca,  con  l’  idea  che  non  doveva  chiedere  troppo  alla  sorte.  Nella  vita  aveva  provato  sulla  sua  pelle  che  non  si  poteva  perseverare  con  la  magnanimità  della  Dea  bendata.  

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Anche  se  lei  verso  di  lui  era  un’  amante  sempre  disponibile.  Aveva  già  avuto  le  sue  attenzioni  nell’   irriverente  azzardo  della  scala.  Non  era   il   caso  di   stuzzicare  di  nuovo   la  propria  buona  stella.   Il  proverbio   recita   che   la   fortuna  va  aiutata.  Lui   l’   avrebbe   indispettita.  Decise  di  non  fare  nulla.  Di  non  decidere.  Anche  questo  è  un  modo  per   richiamare   l’   attenzione  della  Dea  bendata.   Come   quando   non   mandi   la   formazione   al   fantacalcio   ma   vinci   lo   stesso.  Accorgendoti  poi  che  se  la  formazione  la  mandavi  avresti  perso.  Così  Lello  Jamal  restò  sospeso  su   quel   ramo   nella   totale   immobilità.   Era   invisibile   come   l’   insetto   stecco.   Lui   era   su   quell’  albero  ma  in  realtà  non  c’  era.    L’   attesa   gli   sembrò   interminabile.   E   fisicamente   insopportabile.   Aveva  poca   circolazione  di  sangue  al  piede  sinistro  tanto  che  sentiva  le  tipiche  formiche  punzecchiargli  la  pianta.  Sudava  come  Zinedine  Zidane  durante  la  finale  del  campionato  del  mondo  del  2006.  Come  il  francese,  che  lasciò  la  sindone  del  suo  volto  sulla  casacca  di  Materazzi,  Lello  Jamal  desiderava  lasciare  la  sua   su   un   fazzolettino   di   carta.   Una   goccia   di   sudore   gli   colò   nell’   occhio   destro   facendolo  bruciare.   Desiderava   solo   che   tutto   finisse.   Ovviamente   non   in   quel  modo,  ma   ormai   aveva  deciso  che  non  sarebbe  stato  lui  il  salvatore  della  malcapitata  vittima.  E  non  sapeva  neanche  quello  che  avrebbe  fatto  dopo  lo  sparo.  Ci  avrebbe  pensato  a  tempo  debito.      Il  momento  era  arrivato.  Uno  dei  due  fece  un  cenno  all’  altro.  L’  altro  tirò  fuori  la  pistola  dalla  fondina.   L’   alzò   con   movimento   lento,   tanto   lento.   Lello   Jamal   chiuse   gli   occhi   in   attesa.  Quattro  metri   più   in  basso   si   stava   consumando  una   tragedia   che  non  voleva   gli   rimanesse  impressa   nella   memoria.   Erano   esattamente   sotto   di   lui.   Se   Lello   Jamal   si   fosse   sporto   in  avanti   con   la   testa,   le   sue   gocce   di   sudore   sarebbero   cadute   sulle   loro   teste.   La   vittima  respirava   affannosamente.   L’   improvviso   silenzio   dell’   attesa   lo   aveva   convinto   che   l’  inevitabile   stava   per   accadere.   Gli   stavano   per   far   saltare   le   cervella.   Ora   era   immobile,  rassegnato.    Poi  il  silenzio  fu  improvvisamente  rotto  da  una  musica,  da  una  melodia.  Un  bolero  riecheggiò  nell’  aria.  Sembrava  la  colonna  sonora  di  un  thriller  nel  momento  topico  del  film,  in  cui  cresce  la   tensione  e   la  musica  di   sottofondo  contribuisce  ad  alimentarla.  Un   thriller  alla  Tarantino,  vista   la   scelta  della  musica  non   certo  usuale  per   la   situazione.   I   due   sicari   si   guardarono   in  faccia  confusi.    “E’  il  tuo?”  Chiese  uno.    “No”  rispose  l’  altro.    Guardarono  per  un’  attimo  la  vittima.    “No,  non  è  il  suo”  disse  uno.  “Sta  in  macchina  nel  cassettino  ed  è  spento.”    Il   cellulare   che   suonava   era   quello   di   Lello   Jamal.   Era   nei   guai.   Mentre   i   due   sicari   si  guardavano   intorno   per   capire   l’   origine   e   la   direzione   della   sinfonia,   Lello   Jamal   con  movimento  repentino  quanto  goffo  cercò  la  tasca  per  spengere  quel  maledetto  cellulare.  Fece  un  movimento  in  avanti  per  distendere  la  gamba  destra  in  modo  da  poter  infilare  la  mano  in  tasca.  Mentre  si  sporgeva  in  avanti,  spostando  il  peso  del  corpo  sul  braccio  sinistro,  si  sentì  il  netto  crack  del  ramo.  Successe  tutto  in  un’  attimo.  Appena  i  due  sicari  alzarono  la  testa,  Lello  Jamal   venne   giù   con   tutto   il   ramo.   Mentre   era   in   caduta   libera   istintivamente   protese   le  braccia   in   avanti.   L’   impatto   fu   come   se   l’   era   immaginato.   Doloroso   il   giusto.   Logico   e  coerente.   Dove   aveva   urtato   aveva   dolore.   Cadde   a   faccia   in   giù.   Aveva   visto   avvicinarsi  progressivamente   la  nuca  di  uno  dei  due  malviventi  e,  nonostante  con   le  braccia  protese   in  avanti  avesse  limitato  l’  entità  dell’  impatto,  con  la  fronte  aveva  urtato  con  forza  il  cranio  dell’  uomo.   Era   a   terra   immobile,   con   Ravel   che   continuava   a   suonare   il   bolero.   La   vista   gli   si  annebbiò   immediatamente.   Sapeva   che   stava   per   svenire.   Poi   improvvisamente   l’   effetto  nebbia  svanì.  L’  adrenalina  lo  scosse.  Le  sue  ghiandole  surrenali  quel  giorno  avevano  fatto  gli  straordinari.  Si  rotolò  su  un  fianco  mentre  si  teneva  la  testa.  Non  era  nelle  sue  piene  facoltà  mentali  ma  era  abbastanza  cosciente  per  capire  che  era  ancora  in  pericolo.  In  quel  momento  

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era   letteralmente   con   un   piede   nella   fossa   perché   una   gamba   gli   penzolava   dentro   la   buca.  Riprese  rapidamente  lucidità.  Prima  fece  un  veloce  check  up  sul  suo  corpo.  Il  colpo  in  testa  gli  causò  un  bernoccolo  sulla  fronte  grande  come  una  mezza  albicocca.  Gli  faceva  male  anche  un  ginocchio.   Poi   si   alzò   in  piedi   e   si   guardò   intorno  per   capire   in   che   situazione   si   trovasse   e  quali   fossero   i   nuovi   sviluppi.   Anche   questa   volta   ebbe   fortuna.   Era   andata  meglio   di   ogni  previsione   perché   i   due   malviventi   erano   entrambi   riversi   a   terra   privi   di   sensi.   Era  precipitato   su   uno   di   loro,   quello   più   panciuto,   che   involontariamente   aveva   steso   con   una  testata.  La  stazza  dell’  uomo  aveva  attutito  la  caduta  e  per  questo  non  ebbe  ripercussioni  ne  sulla   gabbia   toracica   ne   sulla   spina   dorsale.   Gli   era   andata   di   lusso.   Non   sapeva   dare  motivazione   al   dolore   al   ginocchio  ma   ipotizzò   che   nella   colluttazione   l’   arto   gli   fosse   stato  utile  per  mettere  K.O.  l’  altro  sicario.    Il   sequestrato   intanto   era   in   piedi   nella   fossa   che   mugolava.   Tremava   come   una   foglia   e  guardava   Lello   Jamal   con   espressione   terrorizzata.   Gli   occhi   imploranti   lo   fissavano.   Lello  Jamal   temeva   di   aver   accoppato   i   sicari,   quindi   si   preoccupò   immediatamente   di   sentire   il  polso  dei  due.  Era  presente.  Ora  doveva  prendere  delle  decisioni  e   in   fretta.  Alzò   lo  sguardo  verso   la   vittima   designata.   Gli   strappò   via   il   nastro   dalla   bocca.   L’   uomo   respirava  affannosamente.  Mentre  ansimava  la  vittima  gli  chiese  immediatamente  chi  era.  Forse,  dal  suo  punto  di  vista,  non  considerava  casuale   la  presenza  di  Lello   Jamal  su  quell’  albero.  Lello  era  ancora  percorso  dall’  adrenalina  e  le  parole  gli  uscirono  fuori  come  se  la  sua  fosse  la  bocca  di  un  balbuziente.   Con  atteggiamento   sulla  difensiva   si   presentò   come  uno  qualsiasi   che   stava  cogliendo  le  ciliegie  dall’  albero  del  un  suo  amico  contadino.    Si   guardarono   per   un   secondo.   L’   uomo   probabilmente   stava   valutando   se   credergli.  Quindi  disse:    “Beh,  lei  mi  ha  salvato  la  vita.”    Lello   Jamal   annuì   dicendo   che   era   stato  un   colpo  di   fortuna   che   entrambi   fossero   vivi.  Non  chiese  al  suo  interlocutore  ne  il  suo  nome,  ne  chi  fosse,  ne  del  perché  quei  due  lo  stavano  per  uccidere.  Non  aveva  il  coraggio  di  farlo.  Non  voleva  sapere.  Lello  Jamal  voleva  solo  sparire  e  possibilmente   dimenticare   di   essere   stato   presente   in   quel   posto.   La   domanda   gli   venne  spontanea.    “Ora  che  facciamo?”    E  mentre  attendeva   la   risposta   si   rese   conto   che  aveva  anticipato   l’   altro  di  una   frazione  di  secondo.   Lello   Jamal   non   voleva   toccare   i   due   sicari.   Non   voleva   lasciare   tracce   di   se.   Non  aspettò   la   risposta  dell’   altro   che   sembrava  essersi  preso  una  pausa  per   riflettere.  Prima  di  mettere  in  atto  qualsiasi  decisione  disse  all’  altro  che  voleva  solo  andarsene  e  dimenticare  il  tutto.   E   soprattutto   che   l’   episodio   non   portasse   conseguenze   negative   su   di   lui.    Lello  Jamal  gli  sciolse  braccia  e  gambe.  Quindi  si  mossero.  Decisero  di  imbavagliare  e  bendare  i  due.  Su  uno  dei  due  uomini  usarono  la  stessa  benda  e  lo  stesso  nastro  usati  per  la  vittima.  Per  l’  altro  utilizzarono  i  calzini  del  condannato  a  morte  che  fungevano  uno  da  benda  e  l’  altro  da  morso.   Legarono   braccia   e   caviglie   di   uno   dei   due   usando   le   piccole   funi   che   prima  immobilizzavano  il  politico.  L’  altro  lo  immobilizzarono  con  le  loro  cinture  dei  pantaloni.  Che  avrebbero  fatto  ora?    L’  uomo  intanto  decise  di  presentarsi.  Disse  che  era  un  politico,  influente.  Diede  più  peso  del  dovuto   all’   aggettivo   “influente”.   Probabilmente   per   porsi   in   una   posizione   di   vantaggio   su  Lello  Jamal.  O  anche  per  riguadagnare  l’  immagine  e  il  rispetto  che  la  situazione  gli  aveva  tolto.  E  per  questa  sua  posizione  era  costantemente  minacciato.  Dopo  un  paio  d’  avvertimenti  erano  passati  ai  fatti.  Doveva  sparire  e  disse  che  quella  buca  sarebbe  stato  il  suo  letto  per  l’  eternità  se  non   fosse   stato  per  Lello   Jamal.   Poi  prese   la   sua  decisione.  Disse   che   avrebbe   fatto  delle  telefonate  prima  di  decidere  cosa  farne  dei  due.  Disse  che  doveva  essere  consigliato  da  delle  persone   che   avrebbero   preso   la   decisione   migliore.   Lello   Jamal   gli   ribadì   che   non   voleva  essere   coinvolto.   L’   uomo   recuperò   il   suo   cellulare   dall’   interno   del   SUV   e   telefonò.   Aveva  

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preso  in  mano  la  situazione.  Con  incredibile  calma  stava  spiegando  a  qualcuno  l’  accaduto.  Poi  cominciò   ad   annuire   ad   intervalli   regolari.   Probabilmente   dall’   altro   capo   stava   ricevendo  istruzioni   sul   da   farsi.   Lello   Jamal   attendeva   impaziente.   I   due   criminali   continuavano   ad  essere  assenti.  Quando  l’  uomo  riagganciò  sembrò  avere  le  idee  chiare.  Senza  dare  spiegazioni  a  Lello  Jamal  gli  disse  di  aiutarlo  a  caricare  i  due  in  macchina.  Lello  Jamal  era  titubante.  Non  voleva   rendersi   complice   di   nulla,   buone   o   cattive   che   fossero   le   intenzioni   del   politico.  Intutita  la  sua  riluttanza  l’  uomo  provvide  a  rassicurarlo  dicendogli  che  di  Lello  Jamal  non  ci  sarebbero  state  tracce.  Che  nessuno  lo  avrebbe  riconosciuto  o  avrebbe  saputo  di  lui.  Aveva  la  sua   parola   d’   onore.   Lello   Jamal   era   tormentato   dai   dubbi.  Non   sapeva   se   fidarsi,  ma   prese  coscienza   che   realmente   non   aveva   altra   scelta.   Certo,   poteva   fuggire,  ma   poi   non   avrebbe  avuto   comunque   garanzie   su   come   il   politico   avrebbe   agito.   Una   sua   fuga   poteva  mettergli  dubbi   su   Lello   Jamal.   Se   lui   non   si   fidava   dell’   uomo,   di   certo   anche   anche   l’   altro   poteva  nutrire  dei  dubbi.  Di  certo  aveva  i  mezzi  per  rintracciarlo.  Rimanere  ad  aiutarlo  gli  sembrò  la  decisione   giusta.   Caricarono   i   due   nel   bagagliaio   del   SUV.   Lo   sguardo   gli   tornò   sull’   altro  involucro.   Cosa   c’   era   nel   suo   interno?   Il   politico,   forse   vedendo   il   suo   sguardo   posarsi   sul  sacco,  gli  lesse  nel  pensiero.  Disse  che  nell’  altro  sacco  c’  era  un  cane  morto.  I  sicari  avrebbero  certamente  collocato  il  sacco  con  la  povera  bestia   in  cima  alla  buca,  mentre  sotto  ci  sarebbe  stato  il  suo  sudario  di  iuta.  Magari  i  due  involucri  sarebbero  stati  distanziati  da  uno  strato  di  terra.   Se   qualcuno   avesse   notato   la   terra   rimossa,   e   gli   fosse   venuto   in   mente   di   scavare  intuendo  che  ci   fosse  seppellito  qualcosa,  avrebbe  constatato  solo   la  presenza  del  cane.  Una  precauzione   in  più  nel   caso  Carmelo  avesse  deciso  a  breve  d’   addentrarsi  nel   suo   terreno  e  avesse   notato   la   terra   rimossa.   Ricoprirono   la   buca,   caricarono   gli   strumenti   sul   SUV   e  cercarono  di  rendere  la  zona  quanto  più  simile  a  prima.  Lello  Jamal  cancellò  ogni  sua  traccia.  Sembravano  loro  i  criminali.  Le  sue  orme  e  quelle  del  politico  sulla  terra  rimossa  sparirono.  Salì   sull’   albero   e   recuperò   i   cestini.   L’   uomo   prese   in   mano   la   pistola   con   il   lembo   della  camicia  per  non  lasciare  impronte.  Poi  la  poggiò  in  macchina  spingendola  sotto  al  sedile  con  il  piede.  Finito  il  tutto  il  politico  guardò  Lello  Jamal  negli  occhi.    “Chiedimi  ciò  che  vuoi”  gli  disse,  “ti  devo  la  vita.”    Lello   Jamal   gli   disse   che   gli   bastava   non   essere   immischiato   nella   faccenda.   Il   politico   lo  rassicurò  di  nuovo.  Ma  gli  ripetè  che  voleva  fare  qualcosa  per  lui.  Gli  chiese  che  lavoro  faceva,  se  aveva  una  casa,  se  aveva  bisogno  di  qualcosa  insomma.  Lello  Jamal  gli  disse  che  non  voleva  approfittare   della   situazione.   Il   politico   insistette   dicendogli   che   un   regalo   glielo   doveva   e  comunque  glielo  avrebbe  fatto.  Quindi,  come  il  genio  della  lampada,  gli  conveniva  esprimere  un  desiderio  che  lui  avrebbe  esaudito.  Poi  disse:  “Noi  due  siamo  uguali.  Lo  so  riconoscere  un  mio  simile.”    Lello  Jamal  era  interdetto  e  lo  guardò  con  sguardo  confuso.    “Ti  ho  riconosciuto,  tu  come  me  sei  un  eletto  della  Dea  bendata.  Poi  fece  una  breve  pausa  per  dare  il  tempo  a  Lello  Jamal  d’  assimilare  quella  frase.  “Non  so  se  ti  rendi  conto  dell’  enorme  fortuna  che  abbiamo  avuto  entrambi.  O  forse  non  te  ne  rendi   conto  perché  per   te  è  del   tutto  normale   che   sia   finita   così.   Sei   abituato  al   fatto   che   le  situazioni  ambigue  finiscano  sempre  con  un  lieto  fine.”    Lello  Jamal  non  rispose.  Voleva  capire  dove  intendesse  arrivare  il  politico.  “Anche  a  me  nei  momenti  importanti  è  sempre  andata  bene  nella  vita.  Sono  certo  che  tu  ed  io  abbiamo  avuto   la  stessa  guida.  E’  soprattutto  per  questo  voglio  ricompensarti.  Perché  quelli  come  noi  escono  sempre  vincenti  dalle  situazioni  difficili.  Per  me  ricompensarti  è  come  dare  il  premio  nobel  per  la  pace  a  madre  Teresa  di  Calcutta.  Insomma  pensaci,  quante  possibilità  c’  erano  che  tu  fossi  su  quell’  albero  proprio  sotto  di  noi,  che  il  ramo  si  spezzasse  e  che  mettessi  K.O.  quei  due.  Sei  indubbiamente  un  regalo,  ed  io  so  chi  ti  ha  recapitato.  Ti  ripeto,  io  sono  stato  sempre  fortunato  nella  vita  e  ormai   i  segni  della  sorte   li  riconosco.  E  riconosco  i  miei  simili.  

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Sai,  non  ce  ne  sono  molti  in  giro  come  noi.  Tu  sei  come  me,  e  noi  siamo  dei  vincenti,  è  questo  che  devi  capire.  E  i  vincenti  non  rifiutano  i  regali”.    Ora  Lello  Jamal  guardava  il  politico  fisso  negli  occhi  annuendo.  Ora  aveva  capito.  Non  doveva  andare   contro   le   decisioni   della   sorte.   Le   parole   del   politico   lo   convinsero.    Attese  un  attimo  per  riflettere,  poi  ebbe  il  lampo.  Non  si  espresse  subito,  mostrando  titubanza,  perché   gli   sembrava   comunque   disonesto   approfittare   della   situazione.  Ma   poi   si   disse   che  questa  era   la  sua  occasione  e  non  doveva  sciuparla.   Il  politico  sembrava  sinceramente  grato  per   quello   che   aveva   fatto.   La   sua   era   quasi   ammirazione   per   un   suo   simile   e   voleva  ricompensarlo.   Che   c’   era   di  male?   Se   insisteva   tanto   evidentemente   aveva   le   possibilità   di  esaudire  un  suo  desiderio,  qualsiasi  esso  fosse.  Inoltre  non  aveva  la  sensazione  di  sentirsi  in  pericolo.  Il  politico  sembrava  sincero  quando  gli  aveva  garantito  l’  anonimato.  Se  lo  sentiva  e  sentiva   che   questo   era   un’   altro   regalo   della   Dea   bendata.   Il   politico   aveva   ragione.   Quelli  come  loro  ricevevano  periodicamente  dei  regali,  e  sarebbe  stato  offensivo  nei  confronti  della  loro  benefattrice  non  accettarli.  Allora  ruppe  ogni  indugio.    “Ho   dei   soldi   da   investire”   disse.   “Diciamo,   parecchi   soldi.   Vorrei   intraprendere   un’   attività  nell’  edilizia.  Vorrei  cominciare  a  costruire  ma  ho  paura  che  possa  perdere  molti  soldi.  Non  ho  esperienza  e  non  ho  conoscenti  o  amici  nel  settore  che  mi  possano  indirizzare  o  consigliare.  E  ho  paura  che  questi  miei  investimenti  siano,  diciamo,  notati  da  persone  con  l’  occhio  lungo  e  la  mira  buona.  Non  so  se  mi  spiego.”    “Non  devi  preoccuparti”,  rispose  il  politico,  “posso  aiutarti   io.  Così  avrò  modo  di  sdebitarmi.  Te  lo  devo.”    E   fece   segnare   a   Lello   Jamal   il   suo   numero   di   telefono   sul   suo   cellulare.    “Poi  mi  dirai  anche  il  tuo  nome  disse  il  politico.”  Lello  Jamal  si  avvicinò  e  gli  sussurrò  il  suo  nome  all’  orecchio  indicando  i  due  criminali.  Non  voleva  correre   il  rischio  che  magari  uno  dei  due  si   fosse  ripreso  proprio   in  quel  momento  e  avesse  potuto  sentire  il  suo  nome.  Il  politico  annuì.  “Ora  vai”  disse.   “Stanno  arrivando  delle  persone  che  mi   consiglieranno  cosa   fare   con  questi  due”.  Lello   Jamal   aveva   paura   di   chiedergli   cosa   ne   sarebbe   stato   di   loro   e   quindi   non   lo   fece.   L’  espressione   sul   suo   viso,   evidentemente,   fu   di   nuovo   di   facile   lettura.    “Non   li   uccideremo   se   è   quello   che   pensi”   disse   il   politico.   La   criminalità   non   si   sconfigge  usando  le  stesse  armi.  Ci  servono  un  po’  d’   informazioni  da  loro.  Ci  sono  d’  aiuto  più  da  vivi  che  da  morti”.  Lello   Jamal   annuì.   Poi   si   congedò   dal   politico   avviandosi   verso   il   casale.   Prima   raccolse   la  scala,  che  era  caduta  anch’  essa  dall’  albero  all’  incirca  due  metri  più  in  la.  Poi  prese  i  cesti  e  il  ramo  spezzato.  Di  lui  non  c’  era  più  traccia  e  non  ce  ne  sarebbe  stata  anche  in  futuro.  Ne  era  certo.  Mentre  s’  incamminava  verso  la  moto  prese  il  cellulare  dalla  tasca  per  vedere  chi  avesse  suonato  il  bolero.  Identità  nascosta.  Ovvio.  Lei  non  la  puoi  trovare  sull’  elenco  telefonico.  Non  ha  indirizzo,  ne  un  cellulare.  Non  la  devi  cercare,  è  lei  che  ti  trova.  E  che  ti  bacia  quando  meno  te  l’  aspetti.    Da  quel  giorno  la  sua  strada  divenne  in  discesa.  Così  Lello  Jamal  uscì  allo  scoperto  dichiarando  la   sua  vincita.   Sistemò  prima   i   familiari  più   stretti   e  poi  anche  quelli  meno  stretti   tanto  che  nella   sua   vecchia   casa   si   cominciava   stare   veramente   troppo   stretti.  Ma   era   giusto   così.   Poi  toccò  agli  amici.  Tolse  dai  guai  qualcuno  di  loro  che  se  la  passava  male  e  a  tutti  gli  altri  fece  un  regalo.    Poi,   finalmente,   Lello   Jamal   potè   intraprese   la   sua   attività   di   costruttore.   Mi   disse   che   il  politico   aveva   mantenuto   la   promessa   e   così   lui   potè   tuffarsi   nel   ramo   dell’   edilizia   senza  paura   che   questo   ramo   si   spezzasse.   Lui   non   chiedeva   nulla.   Non   voleva   favori   o  raccomandazioni.  Semplicemente  chiedeva  la  possibilità  di  mettere   in  gioco   le  sue  doti.  Solo  

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questo  voleva  e  solo  questo  ottenne  dal  politico.  E  di  doti  ne  aveva  molte.  Lello  Jamal  ci  sapeva  fare.   Era   abile   negli   affari   e   stava   attento   al   suo   capitale.   Sapeva   parlare   con   la   gente.   Era  affabile   con   tutti   ma   deciso   quando   occorreva.   Era   accorto   e   guardingo.   Sapeva   fiutare   le  fregature  mascherate   da   buone   opportunità.   Certamente   non   fu   tutto   semplice.   Non   aveva  esperienza  e  ciò,   inizialmente,   lo  portò  a  perdere  dei  soldi.  Per  i  primi  sei  mesi  fu  aiutato  ad  inserirsi  nell’  ambiente  da  persone  esperte  che  il  politico  gli  aveva  messo  a  disposizione.  Ma  quando  cominciò  ad  andare   con   le   sue  gambe   incappò   in  un  paio  d’   affari   che   si   rivelarono  fiaschi.  Ma  Lello  Jamal  imparava  in  fretta  ed  aveva  dalla  sua  parte  un’  affabilità  ed  un  modo  di  porsi   che   conquistava   tutti.   Capì   come   funzionavano   le   cose.   E   poi   c’   era   sempre   la   Dea  bendata.   Lei   non   l’   avrebbe  mai   tradito.   Lello   Jamal   spesso   aveva   vinto   gare   d’   appalto   per  poche   decine   di   euro.   La   Dea   bendata   accendeva   sempre   di   più   il   suo   intuito.   Sempre   più  spesso  sceglieva  gli  affari  migliori  mollando  al  contempo  quelli  meno  redditizi  o  addirittura  fallimentari.  Nel  2012  la  sua  società  prese  il  volo.  In  due  anni  Lello  Jamal  divenne  uno  dei  più  famosi  costruttori  di  Napoli  e  provincia.  Lello  Jamal  era  un  vincente.    Ascoltai   in   silenzio   quell’   incredibile   storia.   A   volte   annuendo,   a   volte   concedendomi  commenti  increduli.  Era  la  storia  di  Lello  Jamal.  Era  la  storia  di  una  stella  che  non  si  sarebbe  mai  spenta.  “Io   non   ho   mai   conosciuto   uno   con   una   fortuna   come   la   tua”   dissi   alla   fine   della   storia.    Lello  Jamal  sorrise.    “Vedi  Mistèr,  io  nun  lo  saccio  perché  è  toccato  a  me.  E’  nu  dono.  Come  l’  arte  o  come  chi  tiene  il  piede  sinistro  di  Maradona.”  Annuii.    “Però  Mistèr,  so  sincero,  io  non  avevo  bisogno  di  tutti  sti  sord.  Io  ero  felice  anche  prima.  Nun  tenevo  tutti  sti  sord,  ma  tenevo  tutto,  perché   la  mia  ricchezz  sta   tutta   lì  Mistèr”.  Lello   Jamal  indicò  il  mobile  con  sopra  le  foto  della  sua  famiglia.    Annuii.  Tutti  sta  gent  a  o’  bar,  so  tutti  amici  acquisiti.  Sò  solo  cumpars.  A  chill  interess  solo  i  numeri.  Però  per  me  nun   so  nient.  Me   fanno   scena.   Fanno  parte  della  mia   immagine   e  basta.   I  miei  amici  so  altr,  so  chill  ca  nun  me  chiedono  nient.  E’  accussì  pure  per  Carmen  e  Ramona.  Chille  vonn  i  sord  e  basta.  Ma  a  me  nu  me  ne  futt  nient.  L’  unica  vera  amante  che  tiengo  è  la  Dea  bendata.  L’  unica  che  na  muglier  potiss  tollerà.  I  sord  so  pe  la  famiglia  e  stop.  Chill  conta  e  basta.  O’  rest  è  tutta  immagin.”  In  pratica  Lello  Jamal  voleva  farmi  capire  che  tra  tanti  anelli  che  portava  c’  era  anche  una  fede  e  per   lui  quell’  anello  aveva  un  valore   inestimabile  non  paragonabile  a   tutto   l’  oro  del  quale  era  ricoperto.  Annuii  ancora.  Lello  Jamal  poteva  bluffare,  ma  non  so  perché  gli  volli  credere.  Infondo  era  un  ragazzo  come  tutti  gli  altri  a  cui  era  capitata  una  delle  cose  più  ambite  dagli  esseri  umani.  Ma  Lello   Jamal   sembrava   convivere   bene   con   i   suoi   super   poteri.   Lello   Jamal   probabilmente   si  riteneva   come  un   supereroe  ma   senza   il   costume,   e  quindi   senza   la   responsabilità  di   dover  intervenire   sempre   e   comunque   in   soccorso   di   tutti.   Per   Lello   il   compito   difficile   stava   nel  capire   chi   davvero   aveva   bisogno   di   lui   e   chi   invece   se   ne   voleva   approfittare.    Però  gli  dissi  scherzando  “se  Carmen  e  Ramona  un  giorno  diventeranno  ricche  grazie  ai  tuoi  numeri   e   avranno   bisogno   di   un’   uomo   immagine   ricordati   di   me   Lello”   Ah   ah   ah.    Abbandonammo   il   discorso   spostandoci   su   argomenti   più   leggeri.   Parlammo   veramente   di  tutto.  Se  Lello   Jamal   in  mezzo  agli  altri  era  un   trascinatore,  nell’  uno  contro  uno  era  a   tratti  ubriacante   tanto   che   avrei   preferito   altri   dieci   aperitivi   al   bar   della   fortuna   alle   ore   di  chiacchiere  che  facemmo  insieme.  Non  sputava  mai.  Lello  Jamal  l’  istrionico.  Rafforzava  il  suo  linguaggio  colorito  con  espressioni  del  viso  e  gesti  tesi  a  creare  affabilità  con  l’  interlocutore.  E  ancora,   gesticolava   e   ti   dava   pacche   sulle   spalle,   rideva   con   gusto   sulle   sue   stesse   battute.  

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Alternava   italiano  a  napoletano.  A  volte  dovevo   farmi  ripetere  delle   frasi  perché  non  capivo  alcune  parole.  Ma  era  comunque  una  compagnia  gradevole.  Via  via  che  parlavo  con  Lello  Jamal  mi  trovavo  sempre  più  a  mio  agio.  Indubbiamente  era  una  persona  che  sapeva  farti  sentire  a  casa.  Diventai  logorroico  anche  io.  Gli  parlai  del  raduno.  Di  quanto  ci  eravamo  diverti  e  delle  attività   che   si   svolgevano.  Dal  poker   al   subbuteo,   dal   beach  volley   al   torneo  di   calcetto.  Del  mare   e   della   spiaggia.   Gli   parlai   delle   immancabili   cene.  Delle   premiazioni.  Dei   sorteggi.   Gli  raccontai  aneddoti  e  situazioni  divertenti.  Di  come  sia  piacevole  sedersi  a  tavola  con  amici  con  i  quali  altrimenti  parleresti  solo  tramite  forum.  Insomma,  si  respirava  a  pieni  polmoni  calcio,  fantacalcio,  Lega  Forum.    Poi  ci  spostammo  su  altri  argomenti  tra   i  quali   il  calcio  e   il   fantacalcio  ovviamente.   Il   tempo  volò   tra   discorsi   di   vita   quotidiana   e   aneddoti   vari   della   nostra   esistenza.        

PARTENZA    Si  erano  fatte  le  17.  Stavolta  era  davvero  ora  di  andare.  Lello  Jamal  mi  accompagnò  alla  500.  Lo  salutai  con  la  promessa  che  la  prossima  volta  ci  saremmo  visti  ad  Alba  Adriatica  o  a  Roma  se   per   caso   fosse   passato   da   quelle   parti.   Lo   ringraziai   per   la   splendida   ospitalità   e   per   la  gradevole  compagnia.      “Ciao  Lello,  stamme  bbene.  Ahò,  ogni  volta  che  vedrò  una  foto  del  cratere  del  Vesuvio  mi  verrà  in  mente  la  tua  fortuna  ah  aha  ah”.  Quindi  misi  in  moto  e  m’  avviai  con  calma  verso  l’  autostrada.  Mi  attendevano  almeno  tre  ore  di  viaggio  alla  velocità  di  100  km  orari.  Fortunatamente  la  testa  non  mi  girava  più  e  comunque  era  troppo  concentrata  a  ripensare  alle  ore  di  quella  giornata  per  darmi  delle  noie.  Ero  sereno.  I  miei  occhiali  da  sole  ora  erano  ben  saldi  sul  naso.  Alla  fine  Lello  Jamal  mi  aveva  conquistato  e  mi   accorsi   che   non   provavo   più   invidia   per   lui.   Dopo   quello   a   cui   avevo   assistito   in   questa  incredibile   giornata,   la   mia   invidia   si   era   ormai   trasformata   in   pura   rassegnazione.   Come  essere  innamorati  della  donna  di  un’  altro  ma  non  avere  nessuna  speranza  perché  lei  ha  occhi  solo  per  l’  antagonista.  E  quando  si  prende  coscienza  di  come  i  due  stiano  bene  insieme,  che  sono   fatti   l’   uno   per   l’   altra,   che   nessuno   potrà   mai   separarli   perché   sono   fatti   per   stare  insieme,  allora  non  si  può  che  mettere  da  parte  la  propria  bramosia  ed  augurare  il  meglio  per  loro.  E  poi,  come  poteva  Lello  Jamal  essere  antipatico  dopo  quella  giornata?  Mentalmente  gli  augurai  ogni  bene  liberando  così  la  mia  anima  dall’  invidia.      Ero   all’   altezza   di   Frosinone   quando   la   vescica   cominciò   a   suggerirmi   una   sosta.   Erano  evidentemente   i   rimasugli   dei   tanti   liquidi   che   avevo   tracannato.  Mi   fermai   all’a   autogrill   e  corsi   al   bagno.   Espletai   le   mie   necessità   fisiologiche,   presi   un   caffè   e   tornai   verso   la   500.  Mentre  stavo  aprendo  la  portiera  con  la  chiave  notai  qualcosa  sul  sedile  posteriore.  Insieme  al  cartone  delle  sfogliatelle  c’  era  un  foglio.  Entrai  e  mi  affacciai  sul  sedile  posteriore.  No,  non  era  un  foglio.  Era  un  gratta  e  vinci  da  cinque  euro.  Quel  disgraziato  di  Lello   Jamal  me   lo  doveva  aver  ficcato  in  auto  mentre  ci  salutavamo.  Bene  pensai,  mettiamo  alla  prova  l’  amuleto  Lello  Jamal.  Vediamo  se  funziona  anche  con  uno  sfigato  come  me.      Mi  misi  a  sedere  su  sedile  di  guida,  presi  una  moneta  da  50  centesimi  dal  portamonete  sotto  il  cambio  e  con  scetticismo  cominciai  a  grattare.      Era   un   gratta   e   vinci   “il  miliardario”.   Prima   scoprii   tutti   i   numeri   in   basso.   Poi   cominciai   a  grattare   “i  miei   numeri”.   Se   uno   o   più   numeri   corrispondevano   a   quelli   in   basso   vincevo   il  

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premio  corrispondente.  Primo  numero  32.  Niente,  sotto  ci  sono  33  e  34,  classico.  25,  niente.  12,  niente,   sotto   ci   sono  11,13,14.  Mi  prende  per   il   culo,   come   sempre.  26,  niente.  Grattai   l’  ultimo   dei   miei   cinque   numeri.   Non   era   un   numero.   I   miei   occhiali   da   sole   scivolarono   di  nuovo  sulla  punta  del  naso.  Scoprii   il   lingotto  d’  oro!  Significava  che  vincevo  tutti   i  premi!   Il  mio   cuore   accelerò   improvvisamente   i   suoi   battiti.   Parlavo   da   solo.  “Mamma   mia!   Nun   me   di.   Nun   me   di   che   è   arivato   er   momento   mio”.  Cominciai   a   grattare   al   di   sotto   dei   numeri   dove   c’   erano   nascoste   le   cifre   corrispondenti.  Mentre  lo  facevo  pensavo  a  Lello  Jamal.  Mi  figurai  gli  stivali  a  punta  stile  cow  boy  e  la  camicia  hawaiana.  Pensai  a  quale  negozio  potevo  comprarli.      Otto   premi.   “Daje   Fabiè   prepara   i   bagagli   che   se   ne   annamo   alle   Bahamas!”   esclamai.    Grattai   il  primo  con   la  mano  che  mi   tremava.  Cinque  euro.  Vabbè,   andiamo  avanti.   Secondo  premio,   cinque   euro.   Terzo   premio,   cinque   euro.   Un   pensiero   si   fece   largo   nella  mia   testa.    Cominciai  a  grattare  in  modo  più  frenetico.  Cinque  euro.  Cinque  euro.  Cinque  euro.  Da  primo  all’   ottavo   cinque   euro.   No,   non   poteva   essere.   Non   ci   credevo.   Avevo   la   bocca   impastata.  Deglutii  a  fatica  con  la  saliva  che  scese  giù  come  un  tocco  di  cemento  secco.  Poi  feci  un  sorriso  storto   scuotendo   la   testa.   Potevo   sentire   l’   amaro   in   bocca   neanche   avessi   dimenticato   di  zuccherare   il   caffè   dell’   autogrill.   L’   illusione   era   svanita.   Come  un   71,833.   A   un   passo   dall’  essere  anche  io  un  eletto.  Sarebbe  stato   l’  altro  modo  di   lasciare  ogni  traccia  d’   invidia  dalla  mia   anima.   Diventare   uno   dei   pochi   amanti   della   Dea   bendata.   Ed   invece   niente,   ero   stato  beffato  e  deriso  ancora  una  volta.      Ma  vaffanc…  Lello  Jamal!