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Le restrizioni alla libertà di corrispondenza, di

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Fascicolo n. 1/ 2017 ~ Commenti – Parte III ISSN: 2036-6744

LE RESTRIZIONI ALLA LIBERTÀ

DI CORRISPONDENZA, DI INFORMAZIONE E DI STUDIO DEI DETENUTI IN REGIME DI C.D. CARCERE DURO: LA CORTE COSTITUZIONALE, IN ACCORDO CON LA

CASSAZIONE, SALVA L’ART. 41-bis ORD. PEN. E LA

DISCREZIONALITÀ DELL’AMMINISTRAZIONE

PENITENZIARIA IN MATERIA

di Federica Mannella Ricercatore confermato a tempo indeterminato

Università degli Studi di Perugia

ABSTRACT

ITA

Il contributo ha come oggetto l'analisi di una recente sentenza della Corte costituzionale (n. 122 del 2017), con la quale la Corte, in accordo con la giurisprudenza della Cassazione, ha rigettato la questione di legittimità costituzionale di alcune norme dell'art. 41 bis ord. pen., in materia di restrizioni alle libertà di informazione, di studio e di corrispondenza dei detenuti, rilevando, in particola-re, che le stesse non introducono alcuna riduzione all'estensione e alla portata dei diritti fondamentali dei detenuti, ma incidono so-lamente sulle mere modalità applicative, rimesse alla discreziona-lità dell'amministrazione penitenziaria.

Benché la sentenza si presenti come un rigetto “secco”, essa svela, tuttavia, una forte propensione interpretativa, suscitando una serie di riflessioni a proposito di riserva di legge e di giurisdi-zione, di potere regolamentare e di discrezionalità amministrativa, in riferimento al delicato ambito delle restrizioni alle libertà fon-damentali dei detenuti.

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EN

This essay analyses a recent judgment of the Italian Constitu-tional Court (no. 122/2017) by which - in accordance with the judgments of the Court of Cassation - the question of constitu-tional legitimacy of some provisions contained in article 41bis of the Italian Criminal Law has been rejected. Article 41bis concerns restrictions on some fundamental rights of prisoners such as the freedom of information, the freedom to study and the freedom of correspondence.

In particular, the recent judgment of the Constitutional Court holds that such provisions do not effectively reduce the extent and the scope of prisoners’ fundamental rights, but only may af-fect the relevant implementing modalities and procedures which are at the discretion of the Prison Administration.

Although the judgment provides for a “firm” rejection, it re-veals a strong interpretative inclination and raises a number of unavoidable reflections on the rule of law (“riserva di legge”), as well as on the jurisdictional competence, the regulatory power and the administrative discretion, with respect to the sensitive area regarding restrictions on prisoners’ fundamental rights.

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LE RESTRIZIONI ALLA LIBERTÀ DI CORRISPONDENZA, DI INFORMAZIONE E DI

STUDIO DEI DETENUTI IN REGIME DI C.D. CARCERE DURO: LA CORTE COSTITUZIONALE, IN ACCORDO CON LA CASSAZIONE,

SALVA L’ART. 41-bis ORD. PEN. E LA DISCREZIONALITÀ

DELL’AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA IN MATERIA

di Federica Mannella

SOMMARIO: 1. Premessa; 2. I termini della questione; 3. La

giurisprudenza di legittimità in materia; 4. Sul diritto di infor-

mazione e di studio; 5. Sulla libertà di corrispondenza; 6. Sul

richiamo agli artt. 3 e 8 Cedu; 7. Riserva di legge e di giurisdi-

zione, potere regolamentare e discrezionalità dell’amministra-

zione; 8. Considerazioni conclusive.

1. Premessa

L’art. 41 bis della legge sull’ordinamento penitenziario in materia

di esecuzione delle misure privative e limitative della libertà persona-le1 torna ancora una volta sotto la lente del vaglio giudiziale, come oggetto del sindacato di legittimità della Corte costituzionale, chiama-ta a verificare la presunta incostituzionalità delle norme che consento-no restrizioni nelle modalità di acquisizione e di invio di libri e di altre forme di stampa per i detenuti sottoposti al regime del c.d. carcere du-ro.

Con una recente sentenza2, la Corte rigetta la questione, dichiaran-dola infondata e conferma il “diritto vivente” consolidatosi in mate-ria3, così come elaborato dalla Corte di Cassazione. Ma, nei passaggi

1 Legge n. 354 del 1975, d’ora in avanti ord. pen. 2 Corte cost., sent. n. 122 dell’8 febbraio 2017, depositata il successivo 26 maggio. 3 Tra le prime note alla sentenza in commento cfr. A. DELLA BELLA, Per la Consulta è

legittimo il divieto imposto ai detenuti in 41 bis di scambiare libri e riviste con i familiari, in Diritto penale contemporaneo, 16 giugno 2017; S. AMATO, Un messaggio nella bottiglia (e un’occasione perduta), Giurisprudenza penale web, 2017.

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della motivazione, emergono rilevanti spunti di riflessione sui quali, sotto diversi punti di vista, vale la pena soffermarsi.

Non si possono nascondere, infatti, alcuni aspetti di complessità, che emergono dall’analisi della sentenza, laddove la Corte, benché ab-bia concluso con una declaratoria di rigetto “secco”, ha utilizzato, co-me si vedrà, ampie ed articolate argomentazioni per salvare nella loro pienezza le disposizioni legislative impugnate e la riconosciuta discre-zionalità dell’amministrazione penitenziaria nella scelta delle modalità di applicazione delle stesse, ricorrendo ad una interpretazione sistema-tica delle norme sul regime carcerario in genere, in relazione alle re-strizioni dei diritti fondamentali che lo stesso comporta a salvaguardia dell’ordine pubblico e della sicurezza, con la finalità specifica di con-trastare forme di criminalità organizzata.

L’impressione che si ricava dall’analisi dei complessi passaggi ar-gomentativi della sentenza, come si cercherà di evidenziare nel pro-sieguo, è dunque quella che si sia voluto evitare, nella migliore delle ipotesi, il ricorso ad una sentenza interpretativa di rigetto, nella quale si sarebbe potuto ricorrere anche ad un monito nei confronti del legi-slatore, auspicando più precise e puntuali indicazioni da parte dello stesso, considerata la peculiarità e la delicatezza della materia trattata.

2. I termini della questione Ma, tornando, per ora, alla specificità del caso, il Magistrato di sor-

veglianza del carcere di Spoleto, chiamato a pronunciarsi sul reclamo presentato da un detenuto nell’istituto di pena di Terni, sottoposto al regime detentivo speciale di cui all’art. 41 bis, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 41 bis, comma 2-quater, lettere a) e c), ord. pen.4, nella parte in cui, secondo il “diritto vivente”, permet-terebbe «all’amministrazione penitenziaria di adottare, tra le misure di elevata sicurezza interna ed esterna volte a prevenire contatti del dete-

4 Più in particolare, sono oggetto di censura da parte del giudice a quo: - l’art. 41 bis, comma 2-quater, lett. a), ord. pen., nella parte in cui prevede «l’adozione

di misure di elevata sicurezza interna ed esterna» per prevenire qualsiasi tipo di contatto con l’organizzazione criminale di appartenenza o di riferimento, con organizzazioni con-trapposte e con altri detenuti della stessa organizzazione o appartenenti a gruppi alleati;

- l’art. 41 bis, comma 2-quater, lett. c), ord. pen., nella parte in cui prevede limitazioni alla possibilità di ricevere somme, beni e oggetti dall’esterno.

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nuto in regime differenziato con l’organizzazione criminale di appar-tenenza o di attuale riferimento, il divieto di ricevere dall’esterno e di spedire all’esterno libri e riviste a stampa» 5.

I parametri costituzionali invocati a sostegno di tali doglianze sono: - l’art. 15 Cost. che stabilisce una riserva di legge, di tipo assoluto,

e di giurisdizione in materia di limitazioni della libertà e della segre-tezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, con particolare riferimento al caso in cui la ricezione o l’invio a mezzo posta di testi a stampa, quali libri e riviste – benché il loro contenuto sia destinato ad un pubblico indifferenziato e non integrerebbe di per sé il più ristretto concetto contemplato dall’art. 15 Cost.6 – possano considerarsi, invece, strumento di comunicazione con i familiari, co-municazione che potrebbe, tuttavia, rivelarsi illecita, celando in sé scambi di messaggi tra detenuti e organizzazione criminale di appar-tenenza;

- gli artt. 21, 33 e 34 Cost., nella parte in cui la difficoltà di acqui-sizione di pubblicazioni dall’esterno, considerato il divieto che por-rebbe la norma censurata, come interpretata dal diritto vivente, com-primerebbe i diritti del detenuto all’informazione e allo studio;

- l’art. 117, comma 1, Cost., richiamato con riferimento agli artt. 3 e 8 Cedu, che vietano, rispettivamente, trattamenti inumani e degra-danti e garantiscono il rispetto della vita privata e familiare e, dunque, anche del diritto alla corrispondenza e alla comunicazione con i fami-liari, quale strumento di mantenimento delle relazioni sociali e della

5 Ord. Magistrato di sorveglianza di Spoleto, n. 835, del 26 aprile 2016, depositata il 29

aprile 2016, ord. di rimessione r.o. n. 108 del 2016. Cfr. il commento a prima lettura di R. MURA, Galeotto fu (proprio) il libro?, Considerazioni a margine dell’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale in materia di libri e 41 bis, in Questione Giustizia, del 13 settembre 2016.

6 La dottrina ha, da tempo, tentato di porre una distinzione tra il contenuto e l’oggetto di tutela degli artt. 15 e 21 Cost.: è certamente da considerarsi un dato pacifico la differen-za con riguardo al rapporto tra autore e destinatario della comunicazione. Se la tutela del-la libertà di manifestazione del pensiero, come prevista dall’art. 21 Cost., non implica an-che la tutela della segretezza, poiché non è rivolta a destinatari specifici, ma comporta l’uso di mezzi di comunicazione di massa verso destinatari indeterminati, l’oggetto della tutela di cui all’art. 15 Cost. riguarda la segretezza delle relazioni interpersonali, a tutela del rapporto comunicativo che si instaura tra due o più soggetti determinati. Per una rico-struzione delle differenti forme di tutela previste dai due articoli e per una ricognizione del-le diverse voci dottrinarie sul punto, si vedano A. PACE, M. MANETTI, Rapporti civili, Art. 21, La libertà di manifestazione del proprio pensiero, in Commentario della Costituzione, fon-dato da G. Branca e continuato di A. Pizzorusso, Bologna 2006, 11 ss.

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vita affettiva, già di per sé gravoso nel suo esercizio a causa del regi-me particolarmente restrittivo previsto dall’art. 41 bis.

In apertura, la Corte tiene a precisare a chiare lettere, anticipando i

termini entro i quali andrà a svolgere il proprio ragionamento, che le questioni in esame attengono esclusivamente «alle modalità con le

quali possono essere stabilite limitazioni in tema di acquisizione e cir-

colazione di libri, riviste e stampa in genere nei confronti dei detenuti soggetti allo speciale regime di sospensione delle regole del trattamen-to, come disposto dal Ministero della giustizia ai sensi dell’art. 41 bis, comma 2, ord. pen. »7, e non, dunque alla legittimità di eventuali limi-tazioni che possono essere poste, per esigenze di ordine e di sicurezza, al diritto di acquisirli.

3. La giurisprudenza di legittimità in materia Ed è proprio dalla ripetuta disapplicazione di una circolare del Di-

partimento dell’Amministrazione penitenziaria del Ministero di Giu-stizia8, nella quale si prevede uno specifico divieto di ricezione e di invio di pubblicazioni (libri e riviste) all’esterno per i detenuti in re-gime di 41 bis

9, che la vicenda prende inizio e che si forma il “diritto vivente”, poi oggetto di censura da parte del giudice a quo.

7 Cfr. punto 2 del Considerato in diritto, corsivo aggiunto. 8 Circolare del Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’amministrazione peniten-

ziaria, n. 8845 del 19 novembre 2011, nella quale, tra l’altro, si prevede che «sarà altresì vietato l’ingresso di libri o riviste ricevuti dall’esterno dai familiari anche tramite pacco colloquio o postale» (sic). «È inoltre fatto assoluto divieto di consegnare tale materiale all’esterno».

9 L’esigenza di predisporre la circolare richiamata è nata dall’accertamento di un pecu-liare episodio relativo ad un detenuto che, eludendo il visto di censura sulla corrispondenza – richiesto dall’art. 41 bis, comma 2-quater, lett. e) – era riuscito a scambiare con i familiari libri, riviste e corposi atti giudiziari (questi ultimi non specificati all’interno della circolare che si riferisce solamente a libri e riviste) contenenti messaggi criptati, di natura illecita, destinati presumibilmente all’organizzazione criminale di appartenenza. Alla luce di simili accadimenti, difficilmente individuabili da parte del personale di controllo, considerata anche la mole delle verifiche da compiere, la circolare sopra richiamata, destinata alle dire-zioni di tutti gli istituti penitenziari, ha stabilito che qualsiasi tipo di stampa autorizzata potesse essere acquisita dai detenuti in regime speciale solamente nell’ambito e per mezzo dell’istituto di pena, vietando al contempo la ricezione di tale materiale dall’esterno, in particolare dai familiari, sia a mezzo posta, sia in occasione dei colloqui, come anche l’invio all’esterno dello stesso materiale da parte del detenuto.

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La Corte costituzionale, pertanto, spende buona parte del “conside-rato in diritto” nel richiamare i diversi passaggi della giurisprudenza di legittimità in materia, passaggi che vale la pena ripercorrere, seppur brevemente, al fine di comprendere appieno le motivazioni dei giudici costituzionali, sostanzialmente allineate con quelle della Cassazione, che ne costituiscono certamente la necessaria premessa, anche se, co-me si vedrà, potrebbero celare qualcosa di più.

Tale circolare veniva disapplicata da alcuni magistrati di sorve-glianza, investiti dal reclamo di taluni detenuti ex art. 35 bis ord. pen.10, che rilevavano la lesione dei diritti di informazione e di studio, stante, per un verso, la difficoltà posta dalla disposizione di acquisire i testi necessari all’esercizio di tali diritti e, per altro verso, la limitazio-ne della libertà di corrispondenza, ammissibile solamente a seguito di specifico provvedimento dell’autorità giudiziaria, come dispone la ri-serva di giurisdizione posta a garanzia dall’art. 15 Cost., alla quale ha dato attuazione, in generale, nell’ambito penitenziario, l’art. 18 ter ord. pen. Tale norma prevede infatti che l’autorità giudiziaria, per esi-genze di tipo investigativo o di prevenzione dei reati, ovvero per ra-gione di ordine e di sicurezza interna dell’istituto, possa disporre con decreto motivato, su richiesta del pubblico ministero e del direttore dell’istituto, nei confronti di singoli detenuti e per periodi di tempo limitati, restrizioni nella corrispondenza epistolare e telegrafica e nella ricezione della stampa. Provvedimenti giudiziari che, nei casi oggetto di reclamo, non erano stati predisposti, poiché appunto la circolare ministeriale non li richiedeva, provvedendo direttamente e in modo generalizzato in tal senso.

In questo contesto si inseriscono le numerose pronunce della Corte di Cassazione che sistematicamente hanno annullato i provvedimenti di disapplicazione della citata circolare ministeriale, permettendo il consolidarsi di un “diritto vivente” in materia, come rilevato dal giu-dice a quo.

La Corte costituzionale, nel richiamare tale giurisprudenza di legit-timità nei passaggi salienti, evidenzia le motivazioni della suprema Corte che hanno portato a ritenere la circolare ministeriale meramente

10 Cfr., tra le altre, ord. Mag. Sorv. Spoleto del 29 ottobre 2012 e ord. Mag. Sorv. Roma

del 18 febbraio 2013 in Rass. penit. e crim., 2014, 173 ss., che giustificavano la disapplica-zione della circolare in questione in quanto contraria all’art. 18 ter ord. pen., che subordi-na ad un provvedimento dell’autorità giudiziaria le limitazioni della corrispondenza epi-stolare e della ricezione della stampa.

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attuativa delle particolari restrizioni già previste dalla legge sull’ordi-namento penitenziario e dal provvedimento ministeriale che dispone il regime speciale11.

Secondo la Corte costituzionale, la Cassazione avrebbe riconosciu-to in capo all’amministrazione penitenziaria un vero e proprio “potere regolamentare” per la concreta applicazione delle restrizioni già posi-tivamente previste, coerente con le finalità del regime carcerario spe-ciale12.

La giurisprudenza di legittimità richiamata non ha rintracciato, nel-le disposizioni previste dalla circolare, alcun pregiudizio significativo né per quanto attiene il diritto di studiare e di informarsi del detenuto, che resta comunque garantito dalla possibilità di ricezione dei testi tramite i canali sicuri dell’istituto penitenziario (a prescindere dunque dalla corrispondenza con i familiari o con altri soggetti esterni al car-cere)13, né per quanto concerne la libertà di corrispondenza14.

11 Cfr. punto 2.4. del Considerato in diritto, nel quale la Corte richiama, nello specifico,

Cass. pen., Sez. I, 16 ottobre-1 dicembre 2014, n. 50158, nella quale si specifica, tra l’altro, che: «quanto alla violazione dell’art. 18 ter ord. pen. deve rilevarsi come la disposizione applicata dall’amministrazione penitenziaria dell’istituto in esecuzione della circolare del D.A.P. richiamata non costituisca il trattenimento della corrispondenza in senso proprio, imponendo soltanto una modalità attraverso la quale i detenuti, sottoposti allo speciale regime di cui all’art. 41 bis ord. pen., possono ricevere libri e stampa periodica». V. anche Cass. pen. sez. I, 17 dicembre 2014 – 8 gennaio 2015, n. 314.

12 Cfr. Cass. pen., Sez. I, 22 settembre – 7 ottobre 2014, n. 41760; Cass. pen., Sez. I, 23 settembre – 22 novembre 2013, n. 46783, la cui massima ufficiale stabilisce che «è legitti-mo il provvedimento con cui la direzione dell’istituto di pena, in applicazione di una circo-lare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (circolare n. 043 4055 del 16 no-vembre 2011), attuativa dei principi fissati dall’art. 41 bis ord. pen., impone al detenuto l’acquisto di libri o periodici tramite specifici canali e stabilisce limiti all’accumulo dei testi in cella, trattandosi di disposizioni finalizzate ad evitare ogni possibilità di contatto con l’organizzazione criminale di appartenenza, senza incidere sui diritti del detenuto allo stu-dio e all’informazione».

13 Resterebbe ferma in capo ai detenuti, secondo la Corte, la libertà di scelta di libri e di riviste, che debbono essere acquisiti, tuttavia, solamente tramite i canali sicuri del car-cere, al fine di evitare, in particolare, scambi di messaggi criptici, difficilmente individua-bili dal personale addetto al controllo, anche in considerazione della mole di materiale da verificare e della varietà delle tecniche utilizzate in tal senso: in tal senso Cass. pen., Sez. I, 7 aprile – 23 luglio 2015, n. 32469; e Cass. pen., Sez. I, 16 ottobre – 1 dicembre 2014, n. 50156.

14 Rispetto alla libertà di corrispondenza la Suprema Corte opera la seguente distinzio-ne: se si parla di limitazioni alla libertà di corrispondenza per i detenuti sottoposti al regi-me speciale di cui all’art. 41 bis, è indispensabile, oltre il visto di censura, il provvedimento dell’autorità giudiziaria, come previsto dalla riserva di giurisdizione ex art. 15 Cost., alla quale ha dato attuazione, in via generale, l’art. 18 ter ord. pen. Se invece si fa riferimento

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In particolare, la ricezione della stampa, secondo la Suprema Corte, esula dall’ambito delle garanzie previste dall’art. 15 Cost., ma confi-gura, tutt’al più, un diverso diritto del detenuto, quello di informarsi e di istruirsi ex artt. 21 e 33, 34 Cost.15. Ma anche in relazione a questi ultimi parametri, la Cassazione non ravvede alcuna violazione: non varrebbe infatti l’assunto secondo cui anche per eventuali limitazioni nella ricezione della stampa sarebbe necessario l’intervento dell’auto-rità giudiziaria, richiesto dall’art. 18 ter, comma 1, lett. a), ord. pen. L’art. 41 bis assumerebbe, infatti, in questo ambito, “la valenza di

norma speciale derogatoria”, giustificata dal più elevato livello di pe-ricolosità del detenuto, che legittima restrizioni speciali idonee a pre-venire contatti con l’organizzazione criminale di appartenenza, come, nello specifico, le limitazioni nella ricezione di “oggetti” dall’esterno; ed è proprio in quest’ultima categoria che, secondo la Cassazione, debbono inserirsi le questioni connesse alla ricezione di libri, riviste e quotidiani, che ben si prestano ad essere ricompresi, appunto, nella più vasta nozione di “oggetti”16.

alla ricezione o allo scambio di pubblicazioni che riportano il pensiero di terzi, o di stampa in genere, non è possibile parlare di corrispondenza in senso stretto, considerato che quest’ultima, secondo lo stesso legislatore, ma anche secondo l’orientamento consolidatosi in ambito sovranazionale, va intesa, nella sua portata intangibile, come forma di comuni-cazione verso persone determinate, tramite scritti che traducono il proprio pensiero, sosti-tutiva della comunicazione verbale e strumentale al mantenimento delle relazioni interper-sonali e affettive. In fondo si vuole che la libertà di informazione non si risolva in libertà di corrispondenza. Cfr. Cass pen., Sez. I, 29 settembre 2014 – 15 gennaio 2015, n. 1774.

15 Cfr. ancora Cass. pen., Sez. I., n. 1774 del 2015 cit., in cui la Suprema Corte stabilisce l’illegittimità dell’ordinanza con cui il magistrato di sorveglianza disapplica la circolare ministeriale del Dap del 16.11.2011, che prevede limitazioni all’invio e alla ricezione di pubblicazioni da parte dei detenuti in regime di 41 bis, trattandosi di forme peculiari di comunicazione che esulano dai controlli sulla corrispondenza di cui all’art. 18 ter; né i giu-dici di legittimità ravvedono nelle disposizioni della normativa secondaria in questione, un’eccessiva ed ingiustificata compressione del diritto di informazione e di studio.

16 Ulteriore tassello a sostegno di tale ragionamento, è aggiunto dalla Suprema Corte in relazione alla distinzione tra trattenimento della stampa, autorizzato comunque dall’autorità giudiziaria, e respingimento: la mancata consegna ha il solo effetto di non con-sentire l’ingresso degli stampati nell’istituto, ma non li sottrae alla disponibilità quanto-meno del mittente, che può sempre pretenderne la restituzione, come già accade nei casi in cui pacchi postali destinati ai detenuti contengano oggetti non conformi a quanto previsto dalle norme di ordinamento penitenziario o dal regolamento interno di istituto e, pertanto, l’amministrazione penitenziaria che effettua il controllo può decidere legittimamente di respingerli, restituendoli dunque al mandante. Sul concetto di respingimento v. Cass. pen., Sez. I, 3 ottobre 2013. 27 febbraio 2014, n. 9674.

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Alla luce di tutte le precedenti considerazioni, la Cassazione ha stabilito che le limitazioni poste dalla circolare ministeriale del 2011 risponderebbero ai poteri normativi conferiti dalla legge all’amminis-

trazione penitenziaria, esercitati secondo “una logica di sistema e di

opportunità” che non può essere sindacata dal giudice ordinario, se

non invadendo la sfera di discrezionalità della Pubblica Amministra-

zione17, 18.

E proprio questo principio – riguardante l’ampiezza della discre-zionalità in materia conferita all’amministrazione penitenziaria attra-verso l’attribuzione di poteri normativi – ripreso e rielaborato dalle motivazioni della Corte costituzionale in relazione ai diversi parametri invocati, rappresenta il profilo più rilevante della questione trattata, come si cercherà di far emergere nei paragrafi successivi.

4. Sul diritto di informazione e di studio

Passando al merito delle motivazioni poste a sostegno del rigetto secco delle questioni prospettate 19, secondo la Corte, anche da quanto

17 Cfr. Cass. pen., Sez. I, 27 settembre – 18 ottobre 2013, n. 42902. 18 La vicenda si è conclusa con l’adozione di una seconda circolare ministeriale, adotta-

ta nel febbraio 2014, a mezzo della quale, in forza del suddetto consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, sono state ripristinate le disposizioni della precedente circolare, già oggetto di disapplicazione, e che ha originato il reclamo di cui il giudice a quo è stato investito e che lo ha portato ha sollevare questione di legittimità innanzi alla Corte: Cfr. Circolare del Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione peniten-ziaria, n. 3701 del 10 febbraio 2014.

19 Si deve tralasciare, non potendo trovare in questa sede il dovuto approfondimento, il rigetto preliminare dell’eccezione d’inammissibilità prospettata dall’Avvocatura dello Sta-to, secondo cui la questione sollevata dal giudice a quo avrebbe lo scopo di aggirare il dirit-to vivente contrario alla disapplicazione della circolare: la Corte ha avuto modo di precisa-re, in plurime occasioni, che in presenza di un orientamento giurisprudenziale consolidato, il giudice a quo resta libero di non uniformarsi e di proporre una diversa interpretazione, poiché la “vivenza” di una norma resta vicenda aperta, soprattutto nei casi in cui si tratta di adeguarne il significato ai precetti costituzionali. Ne consegue che il giudice ha la facoltà di assumere la disposizione censurata in termini di diritto vivente e su tale presupposto richiederne il controllo di legittimità costituzionale (cfr. ex plurimis Corte cost. sentt. nn. 200 del 2016; 126 del 2015; 242 del 2014). Nel caso di specie la Corte riconosce, come evi-denziato dal rimettente, l’avvenuto consolidarsi di un diritto vivente nella corposa giuri-sprudenza di legittimità in materia, in base al quale l’art. 41 bis, comma 2 – quater, lett. a) e c) legittima l’amministrazione penitenziaria a vietare la ricezione e l’invio all’esterno di testi e periodici. Secondo la Corte, dunque, non potrebbe rimproverarsi al giudice a quo di non aver percorso una diversa interpretazione, conforme ai parametri evocati (tentativo,

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emerge dal “tenore complessivo” dell’ordinanza di remissione, non possono esserci dubbi circa la possibilità di introdurre limitazioni in materia di acquisizione e scambio di testi da parte dei detenuti in re-gime di 41 bis. Salvo che, secondo le doglianze prospettate dal remit-tente, tali limitazioni dovrebbero essere disposte dal giudice con prov-

vedimento motivato caso per caso, per esigenze di ordine e di sicurez-za, come stabilisce l’art. 18 ter ord. pen., e non, in via generalizzata, con circolare dell’amministrazione penitenziaria: ciò in forza della ri-serva di giurisdizione prevista dalla suddetta disposizione.

La Corte sgombra immediatamente il campo, con veloci argomen-tazioni, dai dubbi relativi alle presunte violazioni della libertà di mani-festazione del pensiero, nell’accezione passiva del diritto ad essere in-formati (art. 21 Cost.), e del diritto allo studio (artt. 33 e 34 Cost.).

In merito alla prima questione, i giudici costituzionali riconoscono che le riserve di legge e di giurisdizione, prefigurate a garanzia del di-ritto di cui all’art. 21 Cost., hanno trovato la loro necessaria attuazione nell’art. 18 ter

20, comma 1, lett. a), ord. pen.21. Tuttavia, in forza di ta-

del resto, già esperito, in precedenza, tramite un provvedimento di disapplicazione della circolare in questione, poi annullato dalla stessa Cassazione), sussistendo tale onere sola-mente in assenza di un contrario diritto vivente: in tal senso cfr. Corte cost. sent. n. 113 del 2015, in cui, richiamando la precedente giurisprudenza, si ribadisce che «Pur essendo in-dubbio che nel vigente sistema non sussiste un obbligo […] di conformarsi agli orienta-menti della Corte di cassazione (salvo che nel giudizio di rinvio), è altrettanto vero che quando questi orientamenti sono stabilmente consolidati nella giurisprudenza – al punto da acquisire i connotati del “diritto vivente” – è ben possibile che la norma, come interpre-tata dalla Corte di legittimità e dai giudici di merito, venga sottoposta a scrutinio di costi-tuzionalità, poiché la norma vive ormai nell’ordinamento in modo così radicato che è diffi-cilmente ipotizzabile una modifica del sistema senza l’intervento del legislatore o di questa Corte. In altre parole, in presenza di un diritto vivente non condiviso dal giudice a quo per-ché ritenuto costituzionalmente illegittimo, questi ha la facoltà di optare tra l’adozione, sempre consentita, di una diversa interpretazione, oppure – adeguandosi al diritto vivente – la proposizione della questione davanti a questa Corte; mentre è in assenza di un contra-rio diritto vivente che il giudice rimettente ha il dovere di seguire l’interpretazione ritenu-ta più adeguata ai principi costituzionali».

20 Art. 18 ter (Limitazioni e controlli della corrispondenza), l. n. 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), in vigore dal 15 aprile 2004. Bisogna ricordare che già l’art. 18, sesto comma, della medesima legge, in ossequio alle libertà costituzionali riconosciute a tutti gli indivi-dui, ed in coerenza con l’art. 27 Cost. ed in particolare con il principio della funzione riedu-cativa della pena, autorizza i detenuti a tenere presso di sé quotidiani, periodici e libri in libera vendita all’esterno.

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le previsione, resterebbe precluso all’autorità amministrativa solamen-te l’esercizio di forme di censura sulle pubblicazioni da porre nella di-sponibilità del detenuto in ragione del loro contenuto, ma non la scelta

dei mezzi mediante i quali garantire il diritto di entrare in possesso dei testi desiderati, che restano, dunque, per quanto attiene alle loro even-tuali limitazioni, nella piena discrezionalità dell’amministrazione pe-

nitenziaria, che può dunque liberamente definirne il quomodo. Analogamente, le medesime ragioni giustificative vengono utilizza-

te in relazione al diritto allo studio. Anche in tale ambito, secondo la Corte, la possibilità dell’amministrazione di incidere sulle modalità di acquisizione delle pubblicazioni non limiterebbe, in alcun modo, il di-ritto dei detenuti in regime speciale di studiare, ricorrendo all’uso dei testi di propria scelta. L’accesso ai testi preferiti dai detenuti deve av-venire solamente per il tramite dell’istituto penitenziario, al fine di e-vitare, come è emerso in diverse occasioni, che i testi entrati nella di-sponibilità del detenuto sfuggano sovente al controllo interno e diven-tino strumento di comunicazioni occulte e illecite con l’esterno.

Secondo la Corte, dunque, l’amministrazione ha l’obbligo di impe-gnarsi a fornire in tale senso “un servizio efficiente”, in grado di esau-dire, in concreto, le legittime aspettative del detenuto, evitando lun-gaggini e barriere di fatto nell’acquisizione dei testi prescelti che do-vranno pervenire nella disponibilità dello stesso in un tempo ragione-vole.

Conclude la Corte al riguardo, a sostegno della secca declaratoria di infondatezza, con una importante precisazione sul piano applicati-vo: la norma impugnata non presenta, di per sé, alcun vulnus al diritto all’informazione e allo studio del detenuto; un’eventuale lesione po-trebbe, però, ravvisarsi nel comportamento “scorretto” dell’amminis-trazione penitenziaria chiamata ad applicarla, doglianza che, però, esu-lerebbe dalla prospettiva del sindacato costituzionale.

21 Secondo cui «1. Per esigenze attinenti le indagini o investigative o di prevenzione dei reati, ovvero per ragioni di sicurezza o di ordine dell’istituto, possono essere disposti, nei confronti dei singoli detenuti o internati, per un periodo non superiore a sei mesi, proroga-bile per periodi non superiori a tre mesi: a) limitazioni nella corrispondenza epistolare e telegrafica e nella ricezione della stampa». L’articolo prosegue, nei commi successivi, stabi-lendo che tali provvedimenti restrittivi, debbano essere adottati dall’autorità giudiziaria, con decreto motivato, su richiesta del pubblico ministero o su proposta del direttore dell’istituto.

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In altre parole, secondo il ragionamento della Corte, l’amminist-razione disporrebbe, comunque sia, di un ampio margine di discrezio-nalità nella scelta delle modalità di applicazione della norma, così co-me riconosciuto anche dall’interpretazione datane dalla giurisprudenza di legittimità, ma ciò non potrebbe escludere la possibilità di incorrere in comportamenti carenti, o meglio, inefficienti della stessa ammini-strazione, controllabili dal magistrato di sorveglianza e contestabili al cospetto di altra giurisdizione, ma sui quali la Corte non ha modo di pronunciarsi.

5. Sulla libertà di corrispondenza

Il passaggio più significativo delle argomentazioni della Corte si concentra, invece, sulla denunciata violazione dell’art. 15 Cost., in re-lazione dunque alla libertà di corrispondenza e “di ogni altra forma di comunicazione”, parametro ritenuto dalla Corte, rispetto agli altri in-vocati, maggiormente attinente alla questione trattata. Anche sotto tale profilo, la dichiarazione di infondatezza risulta la scelta preferibile per i giudici costituzionali, supportata, tuttavia da ampie e articolate ar-gomentazioni che, per certi versi, non appaiono del tutto convincenti.

Le doglianze del giudice a quo, come già anticipato, sono partite dal presupposto secondo cui la tutela apprestata dall’art. 15 Cost., rife-rendosi appunto non solamente alla libertà di corrispondenza, ma an-che ad “ogni altra forma di comunicazione” tra due o più soggetti de-terminati, andrebbe a ricoprire, contrariamente a quanto affermato dal-la Cassazione, anche l’ipotesi di spedizione (o consegna) di testi e pubblicazioni, «quale veicolo di comunicazione di un pensiero proprio del mittente, indirizzato in modo specifico ed esclusivo al destinata-rio», per esprimere «sentimenti di vicinanza, di affetto o di sostegno nei confronti del detenuto»22: dal testo inviato potrebbero infatti de-sumersi messaggi, palesi o occulti, di natura lecita o illecita23. Del re-

22 Così punto 6) del Considerato in diritto. 23 Sul punto, cfr. G. M. SALERNO, La protezione della riservatezza e l’inviolabilità della

corrispondenza, in I diritti costituzionali, Vol. I, a cura di R. NANIA e P. RIDOLA, Torino 2001, 460, il quale ha evidenziato come la dottrina si sia espressa in senso diverso, con spe-cifico riferimento al rapporto tra la libertà e la segretezza delle comunicazioni: parte della dottrina ha ritenuto di mantenere distinte le due qualificazioni giuridiche, rilevandone il rapporto di complementarità e di possibile interferenza: così V. ITALIA, Libertà e segretezza

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sto, la stessa circolare ministeriale che pone il divieto ha proprio lo scopo di impedire che la ricezione o l’invio di pubblicazioni possano costituire mezzi di comunicazione illecita tra il detenuto e l’esterno del carcere. Se non che, secondo il remittente, anche in tal caso la pre-senza di una riserva di giurisdizione imporrebbe il ricorso ad un prov-vedimento dell’autorità giudiziaria per stabilire eventuali limitazioni o divieti in ordine a tali pratiche.

La Corte evidenzia l’impossibilità di aderire all’interpretazione fornita dal magistrato di sorveglianza del carcere di Spoleto, in ragio-ne delle osservazioni che seguono. Ammettere, alla luce delle garanzie apprestate dall’art. 15 Cost., lo scambio con l’esterno di pubblicazioni, senza alcuna restrizione, se non è intervenuto un preventivo provve-dimento giudiziario restrittivo in tal senso, varrebbe a dire estendere tale facoltà del detenuto anche allo scambio di “qualsiasi tipo di og-

getto” che potrebbe rappresentare anch’esso, allo stesso modo, veico-lo di comunicazione di sentimenti, affetto, vicinanza e così via, sia per la valenza simbolica che un determinato bene può ricoprire di per sé, sia perché potrebbe essere utilizzato come contenitore per celare al suo interno messaggi occulti e illeciti. Ma, pur volendo ritenere che l’ampia formula prevista dall’art. 15 Cost. possa ricomprendere e tute-lare anche forme di comunicazione effettuate in forma reale, tramite appunto lo scambio di “oggetti significanti”, la Corte considera neces-sario, a sostegno della declaratoria di infondatezza, soffermarsi a lun-go sulle peculiarità conseguenti al regime di detenzione, in ordine, per

della corrispondenza, Milano 1963, e M. MAZZIOTTI DI CELSO, Lezioni di diritto costituziona-le, Parte II, Milano 1993. Diversa posizione hanno invece assunto coloro che sostengono come la tutela di cui all’art. 15 Cost. riguardi, invece, un’unica situazione giuridica sogget-tiva, ossia la libertà delle comunicazioni concretamente assoggettabili o già di per sé as-soggettate al vincolo di segretezza: si veda al riguardo A. PACE, Commento all’art. 15 Cost., in Commentario della Costituzione, Rapporti civili, a cura di G. Branca, Bologna-Roma, 1977, 81 ss., il quale limita la tutela costituzionale di cui all’art. 15 Cost. alle sole comuni-cazioni di pensieri escludendo, in particolare, la c.d. corrispondenza non epistolare, come, per l’appunto, l’invio di pacchi; cfr. anche P. BARILE, Diritti dell’uomo. Le libertà fonda-mentali, Bologna 1984, 165, che considera costituzionalmente protetta anche la corrispon-denza non epistolare, purché manifesti un pensiero ben determinato (senza distinguere, dunque, i casi in cui il pensiero, o meglio l’oggetto inviato, presenti natura illecita): «non si vede infatti perché un pacco (che può essere un regalo accompagnato da un augurio, così come può contenere un esplosivo che manifesterà un ben determinato pensiero, accompa-gnato dall’azione!) o un plico contenente documenti debbano essere considerati sottratti alla garanzia costituzionale».

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un verso, alle restrizioni della libertà personale che esso necessaria-mente comporta e, per altro verso, alla tutela costituzionale dei diritti

fondamentali che non può risultare mai totalmente compressa. Proprio in relazione a quest’ultimo aspetto, la Corte, richiamando

la propria giurisprudenza, incorre in una sorta di incongruenza rispetto a quanto già affermato nei precedenti passaggi della sentenza, in meri-to al riconosciuto margine di discrezionalità dell’amministrazione pe-

nitenziaria di stabilire eventuali preclusioni nelle modalità di ricezio-ne ed invio di pubblicazioni per i detenuti in regime speciale. Le sen-tenze richiamate per rafforzare l’assunto secondo cui «la legittima re-strizione della libertà personale cui è sottoposta la persona detenuta non annulla affatto la tutela costituzionale dei diritti fondamentali», evidenziano il principio in base al quale «chi si trova in stato di deten-zione, pur privato della maggior parte della sua libertà, ne conserva sempre un residuo, che è tanto più prezioso in quanto costituisce l’ultimo ambito nel quale può espandersi la sua libertà individuale (…)24, e il suo esercizio, proprio per questo, non può essere rimesso alla discrezionalità dell’autorità amministrativa preposta all’esecuzio-ne della pena detentiva»25. Allora, delle due l’una: o l’amministrazio-ne gode di un ampio margine di discrezionalità nella scelta delle mo-dalità di applicazione delle norme in materia, potendo legittimamente porre specifiche ulteriori limitazioni non espressamente previste dal legislatore, oppure la garanzia dei diritti inviolabili comunque neces-saria e imprescindibile, anche per il soggetto che si trova in stato de-tentivo, ancorché speciale, non potrebbe lasciare all’amministrazione stessa tale margine di scelta.

Per tentare di superare tale incongruenza, la Corte specifica che, comunque sia, la tutela dei diritti costituzionali dei detenuti incontra, ovviamente, le limitazioni conseguenti allo stato di detenzione26, che trova il suo necessario fondamento nel provvedimento giurisdizionale restrittivo della libertà personale e che conseguentemente si riverbera «sulle modalità di esercizio delle altre libertà costituzionalmente alla

prima collegate»27. È dunque evidente il riferimento implicito alla ri-

24 Cfr. Corte cost. sentt. nn. 20 del 2017 e 349 del 1993. 25 Cfr. punto 6) del Considerato in diritto, in cui si richiamano sentt. n. 26 del 1999 e n.

212 del 1997. 26 Cfr. Corte cost. sent. n. 349 del 1993. 27 Cfr. punto 6) del Considerato in diritto, in cui, al riguardo, la Corte si riferisce, speci-

ficamente, alla libertà di comunicazione e alla libertà di domicilio, quali integrazioni e spe-

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serva di legge, ma soprattutto di giurisdizione, previste dalla Costitu-zione a garanzia dei diritti fondamentali, per porre, legittimamente, eventuali limitazioni nel godimento di tali diritti.

Ma, la Corte supera la rilevata contraddizione in merito al margine di discrezionalità dell’amministrazione, riconoscendo a quest’ultima, anche in tale ambito, la possibilità di incidere solamente sulle modali-

tà di esercizio delle altre libertà (costituzionalmente collegate alla li-bertà personale ex art. 13 Cost., limitata dallo stato di detenzione, sulla base di un preventivo provvedimento giurisdizionale), disponendo, nello specifico, peculiari limitazioni e contingentamenti per ragioni di

ordine e di sicurezza, ma anche e soprattutto per esigenze organizzati-

ve e logistiche. E ciò è quanto avviene, secondo la Corte, proprio in relazione alla possibilità di ricevere e scambiare qualsiasi oggetto a mezzo posta o in occasione dei colloqui (categoria nella quale ha inse-rito anche le pubblicazioni): in tale ipotesi la legge sull’ordinamento penitenziario, il relativo regolamento di esecuzione ed i regolamenti interni dei singoli istituti (che dovrebbero individuare in modo detta-gliato quali sono gli oggetti da limitare) dettano rigorosi limiti quanti-tativi e qualitativi.

Secondo la Corte, dunque, la libertà di corrispondenza dei detenuti non risulta in alcun modo compromessa dalle norme dell’ordinamento penitenziario, nel rispetto dei limiti connessi alla necessità di affidarsi all’amministrazione penitenziaria per quanto concerne lo smistamento della posta, il visto di controllo, la fornitura degli strumenti di cancel-leria e di affrancatura necessari.

Dopo essersi così dilungata sul necessario riconoscimento di un po-tere discrezionale all’amministrazione penitenziaria nella scelta delle modalità di esercizio delle libertà costituzionali connesse alla libertà personale (con particolare riferimento all’art. 15 Cost.), ritenendo co-perta la riserva di giurisdizione in tali ambiti dal provvedimento giudi-ziale che dispone il regime detentivo, la Corte conclude, tuttavia, af-fermando che resta estraneo al contesto di cui all’art. 15 Cost. il diritto dei detenuti di ricevere (ed inviare), anche a mezzo posta, la stampa all’esterno ex artt. 18 e 18 ter ord. pen. Non si tratterebbe in alcun modo di corrispondenza, ma di strumenti per l’esercizio di diversi di-

cificazioni del principio di inviolabilità della persona ex art. 13 Cost., espressioni cioè della socialità dell’essere umano.

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ritti dei detenuti: la Corte, insomma, tornando al principio del proprio percorso argomentativo, rimette in gioco i diritti di informazione e di studio, ma precisa, ancora una volta, che gli stessi non risultano co-munque “compromessi in modo costituzionalmente significativo” per i detenuti in regime speciale dalla previsione di regole limitative in ordine alle modalità di acquisizione, come stabilite, nel caso di specie, dalle circolari dell’amministrazione penitenziaria.

6. Sul richiamo agli artt. 3 e 8 Cedu

Anche con riguardo all’ultimo parametro invocato, l’art. 117 Cost, primo comma, richiamato in relazione agli artt. 3 e 8 Cedu, la Corte stabilisce la non fondatezza della questione. In continuità rispetto a quanto già affermato in precedenza, esclude qualsiasi possibile viola-zione dell’art. 3 Cedu in ordine al divieto di trattamenti inumani e de-gradanti, considerato che la libertà di corrispondenza epistolare resta immutata, poiché estranea alla questione trattata, come anche il diritto allo studio e all’informazione: le limitazioni previste in ordine al ne-cessario ricorso alla sola amministrazione penitenziaria per l’acquisizione delle pubblicazioni e l’impossibilità di trasmetterle all’esterno non potrebbero configurare, secondo la Corte, livelli di sof-ferenza e di disumanità tali da integrare quella casistica coperta dall’art. 3 Cedu e ledere dunque la dignità del detenuto.

Desta qualche perplessità un breve inciso, posto a premessa delle motivazioni di rigetto relative all’art. 3 Cedu, secondo cui il divieto di trattamenti inumani e degradanti presenta “carattere assoluto”, «sicché – se si versasse in tale ipotesi – neppure l’auspicato intervento del

giudice varrebbe a rendere convenzionalmente legittime le misure» 28. Sembrerebbe, dunque, che la Corte nasconda, dietro tali parole, qual-che incertezza in ordine alla necessità di un provvedimento giurisdi-zionale per le limitazioni alla libertà dei detenuti previste dalla circola-re ministeriale. Anche se, immediatamente dopo, corregge il tiro, ri-badendo nuovamente a chiare lettere che il fatto che il detenuto debba servirsi dell’istituto penitenziario per l’acquisizione dei testi prescelti e non possa trasmetterli all’esterno, lascerebbe immutata la libertà di corrispondenza epistolare, nonché il diritto all’informazione e allo

28 Cfr. punto 7) del Considerato in diritto.

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studio, senza determinare alcuno svilimento della persona né compor-tare livelli particolari di sofferenza, come tutelati dalla suddetta norma convenzionale.

Con riferimento alla seconda norma convenzionale richiamata, l’art. 8 Cedu, che, come è noto, riconosce il diritto al rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza, la Corte pre-cisa, richiamando la costante giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che, in questo caso invece, non si tratta di un diritto assoluto, stante la previsione del secondo paragrafo che stabilisce una riserva di legge29 per consentire eventuali ingerenze della pubblica autorità, qualora sia-no ritenute necessarie per motivi di sicurezza, ordine pubblico, benes-sere economico, prevenzione dei reati, protezione della salute e della morale, protezione dei diritti o delle libertà altrui30.

Se dunque, sembrerebbe configurarsi, secondo l’interpretazione ri-chiamata, un quadro favorevole all’interpretazione propugnata dal giudice a quo, la Corte fa nuovamente un passo indietro, tornando a ribadire l’assoluta estraneità delle questioni prospettate all’ambito di tutela relativo alla segretezza di corrispondenza del detenuto e, dun-que, anche alle problematiche riguardanti la necessità del visto di con-trollo31. Insomma, il divieto di ricevere e trasmettere stampa non com-prime in alcun modo la libertà di corrispondenza epistolare, tramite la quale il detenuto può pienamente continuare a mantenere le relazioni affettive con i propri familiari. Tornando poi al profilo strettamente

29 Che va intesa, secondo la giurisprudenza di Strasburgo, in senso ampio, distinguendo il piano delle fonti dal piano della qualità della legge: sotto il primo profilo, comprende non solo il diritto scritto, ma anche l’interpretazione e l’applicazione delle disposizioni da parte della giurisprudenza; sotto il secondo profilo, l’eventuale interferenza prevista dalla norma deve presentare un sufficiente grado di precisione, tale da fornire un’adeguata protezione contro l’arbitrio.

30 Secondo la norma richiamata, l’ingerenza deve essere necessaria in una società de-mocratica per il raggiungimento dei suddetti scopi: pertanto, specifica la Corte, tale requi-sito postula la proporzionalità del sacrificio del diritto rispetto ad una delle finalità perse-guite: in tal senso, cfr. Cedu, sent. 24 marzo 1988, Olsson c. Svezia; cfr. anche Cedu, sent. 25 marzo 1983, Silver e altri c. Regno Unito; sent. 25 marzo 1992, Campbell c. Regno Unito, sent. 15 novembre 1996, Calogero Diana c. Italia; sent. 15 novembre 1996, Domenichini c. Italia; sent. 23 settembre 1998, Petra c. Romania; sent. 6 aprile 2000, Labita c. Italia.

31 La Corte ricorda che la disciplina interna in tema di sottoposizione della corrispon-denza del detenuto a visto di controllo, prima delle modifiche introdotte in materia dalla l. n. 95 del 2004, è stata più volte censurata dalla giurisprudenza di Strasburgo: cfr. in tal senso Corte europea dei diritti dell’uomo, sent. 9 gennaio 2001, Natoli c. Italia; sent. 15 novembre 1996, Domenichini c. Italia; sent. 1° settembre 2015, Paolello c. Italia; Grande Camera, sent. 17 settembre 2009, Enea c. Italia; sent. 7 luglio 2009, Annunziata c. Italia.

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connesso alla eventuale ingerenza delle suddette limitazioni nel diritto alla vita privata e familiare, la Corte esclude che queste ultime possa-no ritenersi fondate sulla previsione dell’art. 18 ord. pen., anche dopo la modifica legislativa del 2004 che ha introdotto l’art. 18 ter, al fine di adeguare l’ordinamento interno alla citata giurisprudenza della Cor-te europea in materia di visto di controllo32.

Sgombrato dunque il campo da ogni possibile riferimento all’art. 18 ter ord. pen., la Corte conclude affermando che il potere dell’amministrazione penitenziaria di disporre le misure restrittive in questione trova la propria legittimazione nel combinato disposto delle lettere a) e c) dell’art. 41 bis, comma 2 quater, ord. pen., che appunto ammette limitazioni al godimento di determinati diritti dei detenuti in regime speciale, al fine «di prevenire contatti di detenuti di particolare pericolosità con le organizzazioni criminali di appartenenza o di attua-le riferimento, contrasti con elementi di organizzazioni contrapposte, interazioni con altri detenuti appartenenti alla stessa organizzazione o ad organizzazioni a questa alleate»33 . La ratio che ispira la suddetta norma per contrastare, nello specifico, forme di criminalità organizza-ta di tipo mafioso giustificherebbe, dunque, anche secondo la Corte, la

discrezionalità dell’amministrazione penitenziaria di porre restrizioni

nel godimento di taluni diritti dei detenuti, nell’ottica di tutelare

l’interesse pubblico, ritenuto preminente, all’ordine e alla sicurezza.

32 La giurisprudenza della Corte europea, appena richiamata nella nota precedente, ha

riconosciuto che, prima dell’entrata in vigore della l. n. 95 del 2004, che ha introdotto l’art. 18 ter, l’unico fondamento normativo della sottoposizione a visto di controllo della corri-spondenza del detenuto, anche in regime speciale, doveva essere identificato, anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 349 del 1993, nell’allora vigente art. 18 ord. pen.: tale norma che, pur rimettendo all’autorità giudiziaria l’adozione della misura, non prevedeva né la durata, né i motivi giustificativi, né l’ampiezza e le modalità di eserci-zio del potere discrezionale delle autorità competenti in tale ambito. La Corte europea rile-vava, di conseguenza, che la misura limitativa in questione non potesse ritenersi “prevista dalla legge”, come richiesto dall’art. 8, paragrafo 2, Cedu, ai fini della possibile interferen-za di una autorità pubblica nell’esercizio del diritto alla corrispondenza.

33 Cfr. punto 7) del Considerato in diritto, settimo capoverso, in finale.

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7. Riserva di legge e di giurisdizione, potere regolamentare e di-

screzionalità dell’amministrazione

Sulla base della complessiva lettura operata dalla Corte, in relazio-ne all’analisi di tutti i parametri costituzionali invocati, se ne desume che le disposizioni dell’art. 41 bis in questione vanno dunque lette come norme speciali e pertanto derogatorie rispetto alle previsioni ge-nerali disposte dall’art. 18 ter, che hanno una portata più ampia e ge-nerica.

Tuttavia, nonostante la natura speciale delle norme in questione, la Corte ritiene di non poter rimproverare al legislatore di non aver adot-tato una norma maggiormente dettagliata per quanto riguarda la tipo-logia di beni e oggetti di cui può essere vietata la ricezione dall’esterno ai detenuti in regime speciale, lasciando dunque aperto un ampio margine di discrezionalità in ordine alla loro individuazione.

Qualsiasi scelta del legislatore, secondo la Corte, si sarebbe potuta rivelare irragionevole, scontando il rischio, assai probabile, di dar vita ad una disciplina lacunosa.

Proprio quest’ultimo passaggio merita qualche specifica riflessione. Innanzi tutto, una prima considerazione riguarda le garanzie costi-

tuzionali poste a tutela dei diritti fondamentali attinenti alla sfera per-sonale dell’individuo: è noto infatti che eventuali restrizioni o limita-zioni degli stessi devono essere adottate secondo i criteri della riserva di legge assoluta e della riserva di giurisdizione. Alla luce di ciò, la compressione di tali diritti è giustificabile solamente “nei casi e nei modi previsti dalla legge” (intesa come fonte primaria) e con provve-dimento motivato dell’autorità giudiziaria. È dunque ammissibile che, nel caso di specie, il quomodo sia previsto da circolari dell’amminis-trazione penitenziaria? Ed è altresì sufficiente il solo provvedimento giudiziario limitativo della libertà personale, che stabilisce appunto il regime speciale di carcere duro, a soddisfare la riserva di giurisdizione relativa alla compressione di ulteriori diritti (benché strettamente con-nessi e conseguenti alla previsione dell’art 13 Cost.)?

In relazione ad entrambi gli interrogativi, la risposta della Corte è affermativa.

In particolare, in relazione al primo profilo, la Corte, in accordo con la consolidata giurisprudenza di legittimità richiamata, sembre-rebbe avallare il riconoscimento di una sorta di potere regolamentare in capo all’amministrazione penitenziaria per la definizione del quo-

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modo delle limitazioni in questione, anche se, significativamente, di suo, la Corte preferisce parlare, più genericamente, di discrezionalità amministrativa e non esplicitamente di potere regolamentare.

Anche perché tale potere dovrebbe tradursi nella possibilità di adot-tare “regolamenti di stretta esecuzione”, gli unici ammissibili, come è noto, in presenza di una riserva di legge assoluta34. Ma davvero defini-re specifiche restrizioni in ordine ad alcuni determinati oggetti che non possono entrare nella disponibilità del detenuto dall’esterno (e tra l’altro necessari per il godimento di altrettanti rilevanti diritti del dete-nuto, quali il diritto di studio e di informazione, strettamente connessi, di per sé, con la preminente funzione rieducativa della pena35) può ri-tenersi un provvedimento di stretta esecuzione, rimesso alla discrezio-nalità dell’amministrazione?

I dubbi permangono soprattutto se ci si sofferma sulle ultime con-siderazioni della Corte: da una parte si evidenzia che appare irragio-nevole pensare che il legislatore possa prevedere a priori, in modo minuzioso e dettagliato, tutti i beni e gli oggetti la cui fruizione debba essere limitata, poiché incorrerebbe nel rischio di una lacuna; dall’altra però rileva che la ratio giustificativa di tali limitazioni (come del resto del carcere duro in genere) sta nel necessario bilanciamento tra il principio di tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza e i diritti inviolabili della sfera personale. Ma tale bilanciamento, considerata la compressione di alcuni dei diritti in gioco, non dovrebbe essere opera-to dal legislatore o, tutt’al più, da un provvedimento specifico del giu-dice, in sede interpretativa-applicativa della norma in questione, anche per quanto concerne la durata delle stesse limitazioni che le circolari in questione pongono sine die

36? Di fronte ad una eventuale risposta positiva a tale quesito, non convince l’avallo di rimettere all’amministrazione, tramite l’adozione di circolari, la scelta di opera-

34 Cfr. in tal senso F. MODUGNO, Appunti dalle lezioni sulle fonti del diritto, Torino 2005,

107, e ancor prima V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, II, 1, VI ed. aggiornata da F. Crisafulli, Padova, 1993, 62.

35 Sul diritto alla rieducazione del detenuto, come considerato dalla giurisprudenza co-stituzionale, cfr. G. M. FLICK, I diritti dei detenuti nella giurisprudenza costituzionale, in Di-ritto e società, 2012, 190 e ss.; V. anche M. RUOTOLO, Tra integrazione e maieutica: Corte co-stituzionale e diritti dei detenuti, in Rivista AIC, n. 3 del 6 agosto 2016.

36 In relazione a quest’ultimo aspetto cfr. S. AMATO, Un messaggio nella bottiglia cit., 15.

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re tali specifiche limitazioni che risulterebbe difficile definire attività di stretta esecuzione37.

A meno che non si voglia considerare preminente, prima ancora del principio di ordine pubblico e di sicurezza, generalmente inteso, la più specifica garanzia di ordine interno e di sicurezza dell’istituto per esi-genze organizzative e logistiche: in tal caso chi meglio dell’amministrazione penitenziaria potrebbe valutare la necessità di porre specifiche restrizioni nello scambio di determinati oggetti con l’esterno, stante anche la difficoltà degli operatori dei singoli istituti di pena di vagliare appieno, tramite un controllo capillare, i contenuti dei plichi che entrano ed escono dal carcere.

Tale assunto sembrerebbe rafforzato, nel ragionamento della Corte, dal riconoscimento di una eventuale responsabilità in capo all’amministrazione, qualora non assicuri ai detenuti il diritto di otte-nere i testi di propria scelta tramite i canali sicuri del carcere: sola-mente in tal caso sarebbe configurabile una lesione del diritto all’informazione e allo studio, lesione che però non è compito del giu-dice costituzionale vagliare.

Anche tale considerazione non può essere, tuttavia, esente da criti-che: sembrerebbe configurarsi, in tal modo, una eccessiva dilatazione dell’area degli aspetti organizzativi dell’amministrazione: ne consegue che risulterebbe sufficiente che l’azione amministrativa trovi il proprio fondamento nella legge, secondo il principio di legalità puramente formale, senza la necessità né di una puntuale previsione dei casi e dei modi di intervento della stessa (come richiesto dalla riserva di legge,

37 Sul punto si è già espressa attenta dottrina: cfr. M. RUOTOLO, I diritti alla corrispon-

denza, all’informazione e allo studio dei detenuti in regime di 41-bis. A proposito delle limita-zioni nelle modalità di ricezione ed inoltro di libri, giornali e riviste, in Cassazione penale, n. 2, febbraio 2015, 849 ss., il quale rileva che «le limitazioni nell’esercizio di un diritto devono giustificarsi in ragione della protezione di un altro interesse di pari rango (qui riconducibile all’esigenza di contrastare la criminalità organizzata) e comunque essere contenute in ter-mini di stretta necessità (di congruità rispetto allo scopo). La ricerca del punto di equili-brio – di una soluzione congrua al contemperamento degli interessi in gioco – compete al legislatore (e non all’amministrazione), non potendosi peraltro prescindere, in presenza di riserva di giurisdizione, dall’intervento del giudice per operare la concreta limitazione» (p. 849, corsivi aggiunti). Tali osservazioni muovono dal principio, elaborato dalla stessa Cor-te costituzionale in precedenti occasioni, secondo cui «non può esservi un decremento di tutela di un diritto fondamentale se ad esso non fa riscontro un corrispondente incremento di tutela di altro interesse di pari rango» (cfr. Corte cost., sent. n. 135 del 7 giugno 2013).

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posta a tutela degli interventi che incidono sul godimento dei diritti), né del previo provvedimento dell’autorità giudiziaria38.

Le precedenti osservazioni critiche possono tuttavia essere superate se si ragiona in altro modo, disgiungendo il potere regolamentare, in-teso in senso normativo, generale e astratto, dal potere provvedimenta-le, riferito alle modalità di attuazione in concreto della discrezionalità amministrativa. Tale tesi, che trova il proprio fondamento in una risa-lente dottrina, è orientata nel senso che «i poteri dell’amministrazione di adottare provvedimenti concreti, da un lato, e regolamenti generali e astratti, dall’altro, rappresentino entità giuridiche disomogenee, che lo stesso diritto positivo frequentemente disgiunge, conferendo a de-terminate autorità e in determinate materie ora solo l’uno, ora solo l’altro»39. Se dunque ci si orienta in tal senso, si potrebbero superare le eventuali problematiche connesse alla compatibilità degli atti ammini-strativi in questione con la presenza di riserve di legge e di giurisdi-zione in materia.

Proprio in tal senso, a ben vedere, la Corte, in effetti, fa riferimento ad un eventuale potere regolamentare dell’amministrazione solamente come richiamo specifico a quanto già affermato dalla Cassazione, ma mai si esprime in tal senso, parlando, invece, esclusivamente di di-screzionalità amministrativa nella scelta del quomodo delle limitazioni in questione.

La Corte insomma riconosce che le restrizioni in questione sono già stabilite dalla legge (in particolare dal 41 bis) e che la discrezionalità amministrativa agisce esclusivamente nella scelta in concreto, secondo le esigenze emerse nell’applicazione quotidiana della norma (quali l’utilizzo di messaggi criptati all’interno dei testi ricevuti ed inviati, la conseguente impossibilità di controllo capillare e così via), per ragioni di ordine e di sicurezza, nell’interesse pubblico.

In tal senso, dunque, la riserva di legge non sarebbe scalfita ed an-che la riserva di giurisdizione resterebbe comunque soddisfatta dal provvedimento giudiziario che dispone il regime speciale del 41 bis.

38 Cfr. ancora M. RUOTOLO, I diritti alla corrispondenza cit., 850; v. anche, più in gene-

rale, ID., Dignità e carcere, Napoli 2014. 39 Cfr. M. MASSA, Regolamenti amministrativi e processo, Napoli 2011, con riferimento

alla tesi di G. ZANOBINI, Sul fondamento giuridico della potestà regolamentare, in Arch. giur., 1922, 17 ss.

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8. Considerazioni conclusive

In conclusione, dunque, la Corte ha salvato le norme del 41 bis im-pugnate – in accordo con quanto aveva già sentenziato la Suprema Corte – con una sentenza di rigetto che presenta, comunque sia, una forte propensione interpretativa, stabilendo in conclusione che la cir-colare del Dap, dalla cui applicazione nascono i dubbi di legittimità costituzionale oggetto del giudizio, non introduce alcuna riduzione dell’estensione e della portata dei diritti fondamentali dei detenuti 40, incidendo solamente sulle mere modalità applicative della norma.

Riassumendo in finale la decisione della Corte emerge che: - lo scambio di pubblicazioni a mezzo posta non può essere inserito

nel concetto di corrispondenza, come intesa e tutelata dall’art. 15 Cost., ma rientrerebbe nel più ampio concetto di ricezione di beni e oggetti, la cui fruizione può essere legittimamente limitata per il dete-nuto in regime di carcere duro, come positivamente previsto;

- i diritti all’informazione e allo studio non risultano lesi in alcun modo dalle restrizioni previste dalla circolare ministeriale, restando compito esclusivo dei canali interni all’istituto carcerario quello di procurare i testi richiesti dai detenuti41; la stessa amministrazione pe-nitenziaria sarà responsabile e risponderà in altra sede in caso di inef-ficienza rispetto al suddetto obbligo;

- il divieto di scambio di pubblicazioni con l’esterno non può rite-nersi trattamento inumano e degradante, poiché gli unici diritti coin-volti e che potrebbero risultare lesi, quello di studio e di informazione, restano garantiti dal comportamento efficiente dell’istituto di pena;

- non può rilevarsi alcuna lesione al diritto alla vita privata e fami-liare, poiché lo scambio di testi con i familiari non può rientrare nel concetto di corrispondenza, intesa come strumento per mantenere le relazioni affettive con i propri cari, che in tal senso deve essere riferito alla sola corrispondenza epistolare, diritto quest’ultimo che non viene intaccato e resta pienamente garantito.

Resta il dubbio se la Corte avrebbe potuto, forse, dire qualcosa di

più, rivolgendo magari anche un monito al legislatore ad intervenire in

40 Ritiene condivisibile l’orientamento della Suprema Corte, avallato dalla sentenza in commento della Consulta, F. PICOZZI, Il controllo sulla circolazione e detenzione di pubblica-zioni nelle sezioni 41-bis, in Cassazione penale, n. 4, aprile 2015, 1555.

41 Cfr. in tal senso F. FALZONE, F. PICOZZI, La ricezione di pubblicazioni da parte delle persone sottoposte al regime detentivo speciale 41-bis, in Rass. Penit. Crim., n. 2, 2012, 125 ss.

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maniera più precisa, pur non toccando le norme oggetto del sindacato costituzionale42. Se infatti è vero che il potere dell’amministrazione penitenziaria di disporre le misure restrittive in questione trova la sua base legale nel combinato disposto delle lettere a) e c) dell’art. 41 bis, comma 2 quater – norma maggiormente restrittiva e rigorosa di quan-to non lo sia l’art. 18 ter, poiché giustificata dalla necessità di preveni-re contatti di detenuti di particolare pericolosità con le organizzazioni criminali di appartenenza o di attuale riferimento, contrasti con ele-menti di organizzazioni contrapposte, interazioni con altri detenuti ap-partenenti alla stessa organizzazione o ad organizzazioni a questa alle-ate – non sarebbe stato più opportuno invitare il legislatore ad interve-nire indicando in modo più chiaro gli oggetti da escludere dalla dispo-nibilità del detenuto in regime speciale? Certamente il paventato ri-schio di incorrere in una lacuna (sulla quale, del resto, potrebbe sem-pre intervenire la stessa Corte) non risulta sufficiente di per sé ad e-scludere che sia il legislatore a compiere i necessari bilanciamenti, so-prattutto in una materia così peculiare, la cui natura speciale e deroga-toria, rispetto alla disciplina generale, richiede una particolare e più precisa ponderazione da parte dello stesso legislatore.

Ma non è stata questa la scelta della Corte. Resta tuttavia Il celato intento interpretativo che la sentenza indub-

biamente sembra presentare, la quale, proprio per l’ampiezza delle ar-gomentazioni spese – pur non avendo efficacia erga omnes – lascia difficilmente immaginare eventuali cambiamenti di rotta, in relazione a questioni simili che eventualmente potrebbero essere sollevate in fu-turo.

Sembrerebbe insomma che la Corte, pur evidenziando nei passaggi della sentenza il principio secondo cui lo stato di reclusione non può

42 Tra i moniti inseriti in decisioni di rigetto nel merito, per quanto attiene alla temati-

ca della libertà personale, si può ricordare, a titolo esemplificativo, Corte cost., sent. n. 526 del 2000, nella quale la Corte ha affermato che il potere, di cui sono titolari gli agenti di polizia penitenziaria, di perquisire i detenuti, non può essere esercitato arbitrariamente, ma solo nei casi previsti dalle norme che definiscono il regime carcerario, con provvedi-mento motivato e suscettibile di reclamo. La Corte ha poi rivolto un monito sia al legisla-tore, sia ai giudici: al primo affinché prevedesse espressamente le forme e le modalità di impugnazione degli atti dell’amministrazione penitenziaria; ai secondi perché si facessero carico, in assenza di un intervento legislativo in tal senso, di garantire comunque, in via interpretativa, la giustiziabilità di tali atti.

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annullare la tutela costituzionale dei diritti fondamentali43– ricordan-dolo forse, prima che a se stessa, soprattutto al legislatore con una sor-ta di monito implicito – abbia preferito preservare nella sua interezza, la disciplina legislativa sul regime di carcere duro per i reati associati-vi più gravi, rimettendosi a quanto già affermato dalla Suprema Corte e tentando di darne una lettura costituzionalmente orientata.

43 Richiama tale principio, espresso nella sentenza in commento, evidenziandone il ri-

lievo, A. PUGIOTTO, I nodi da sciogliere del 41 bis, in Il Sole 24 ore, 16 giugno 2017, in rela-zione alla recente decisione della Cassazione penale sullo stato detentivo di Totò Riina.

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