82
LE IMMAGINI DELLA MUSICA N. 7 Collana diretta da Nicoletta Guidobaldi e Elio Matassi COMITATO SCIENTIFICO Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini (Università degli Studi di Salerno) Tilman Seebass (Innsbruck Universität) Tutti gli articoli del presente volume sono sottoposti a una procedura di peer review

LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

LE IMMAGINI DELLA MUSICA

N. 7

Collana diretta da Nicoletta Guidobaldi e Elio Matassi

Comitato sCientifiCo

Enrico Fubini (Università di Torino),F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna)Enrica Lisciani Petrini (Università degli Studi di Salerno)Tilman Seebass (Innsbruck Universität)

Tutti gli articoli del presente volume sono sottoposti a una procedura di peer review

Page 2: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini
Page 3: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

LA MUSICA COME BENE COMUNE

Ontologia ed etica

a cura di

Ludovica Malknecht

MIMESISLe immagini della musica

Page 4: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

© 2013 – MiMesis edizioni (Milano – Udine)Collana: Le immagini della musica n. 7Isbn: 9788857518473www.mimesisedizioni.it Via Risorgimento, 33 – 20099 Sesto San Giovanni (MI)Telefono +39 02 24861657 / 02 24416383Fax: +39 02 89403935E-mail: [email protected]

Volume pubblicato con il contributo del Prin 2008: Soglie dell'umano. Ontolo-gia ed etica. Università degli Studi di Roma Tre, del Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo.

Atti del Convegno internazionale Roma, 12-13 aprile 2012

Page 5: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

INDICE

Elio Matassi e Ludovica MalknechtPrefazione 7

Luca AversanoL’idea di “Musica cLassica” tra scuoLa e Mercato 11

Gisella BelgeriMusicisti e coLLettività 19

Giuseppe Grilli - Luisa A. Messina Fajardo La Musica cLassica neL Progetto abreu:tra forMazione ed esecuzione 25

Giuseppina La Face BianconiLa Musica d’arte: PatriMonio d’euroPa e struMento d’incLusione 31

Ludovica Malknecht“iL definitivo aPPagaMento deLL’essere”: Musica e istanza etica in HerMann brocH 37

Quirino PrincipeLa deLegittiMazione deLLa Musica coMe bene coMune. La resPonsabiLità deLLa cuLtura cattoLica 45

Elizabeth SombartPour que Les sons deviennent Musique 67

Page 6: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

Claudio Stirnatitre ModaLità di aPProccio aLLa Musica: Meditazione, rifLessione, deduzione 73

Page 7: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

7

eLio Matassi e Ludovica MaLknecHt

PREFAZIONE

Pensare la musica come un bene comune significa, in primo luogo, con-siderarla come un patrimonio condiviso e condivisibile da ognuno, un lin-guaggio universale capace di coinvolgere significativamente una comunità di ascoltatori, che non può essere pregiudizialmente de-limitata da apparte-nenze specifiche. Un linguaggio, dunque, sempre inclusivo, in grado di creare partecipazione, armonia, condivisione. È con questo spirito che si è svolta a Roma, il 12 e il 13 aprile 2012, la V edizione del Convegno inter-nazionale di studi Il fondamento filosofico del fare musica tutti nel sistema formativo, contrassegnata dal titolo Musica e bene comune, cui ha dato vita il Comitato Nazionale per l’apprendimento pratico della musica – un pro-getto che assume lo scopo di riabilitare lo studio e le pratiche musicali all’interno del sistema formativo. La musica vi è concepita quale elemento essenziale di una Bildung caratterizzata da una forte dimensione relaziona-le, intersoggettiva ed espressiva, che la musica è propriamente in grado di restituire.

Il Convegno ha visto la partecipazione di musicologi, filosofi, musicisti, artisti e studiosi che hanno contribuito a rafforzare il fondamento di tale progetto con apporti di diverso genere, da quelli filosofico-fondativi a quelli specificamente musicologici; particolarmente rilevante, per le finali-tà del Convegno, è stata anche la condivisione di esperienze, come quelle della Federazione Cemat, del Progetto Abreu, della Fondation Résonnance, diverse nelle loro finalità, ma nelle quali la musica come ‘bene comune’ trova compiuta espressione e realizzazione.

I paradigmi concettuali a sostegno della valorizzazione della musica sono certamente in controtendenza rispetto all’orientamento dominante in ambito economico e politico, in cui è possibile riscontrare una “implosio-ne sul presente” o “presentificazione della realtà” devastante rispetto alla spesa per il sostegno dei beni comuni, quali i beni culturali e quelli del si-stema scolastico e universitario, che non rispondono a obiettivi, per così

Page 8: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

8 La musica come bene comune

dire, a breve periodo, pur assolvendo una funzione determinante per lo svi-luppo attuale.

La ricerca di un fondamento filosofico volto al riconoscimento della mu-sica nel suo valore deve, inoltre, fare i conti con una tendenza diffusa pro-prio nella storia del pensiero, che tende a marginalizzare o a espungere in-tenzionalmente la dimensione musicale in nome di istanze considerate superiori, incompatibili o del tutto estranee alla musica stessa.

Si tratta di una tendenza che assume tratti distintivi già nella filosofia platonica. È nota la diffidenza di Platone nei confronti della musica e dei suoi incantamenti seduttivi: passioni e istinti sollecitati dalla musica posso-no essere dominati solo facendo ricorso alla razionalità del linguaggio ver-bale, alla luce apollinea del Logos che si afferma contro le sonorità caoti-che del dionisismo. La minaccia costituita dalla musica assume carattere politico nella Repubblica, dove Platone afferma il primato regolativo del Logos sul ritmo e sull’armonia.1 Il sogno di Socrate nel Fedone costituisce un momento paradigmatico di questa tendenza – la definizione della filo-sofia quale «musica altissima»2 e l’identificazione della pratica filosofica con quella musicale tradiscono l’impostazione logocentrica del discorso.

Anche all’interno di una prospettiva filosofica, come quella di Schopen-hauer, che ha assegnato alla musica una posizione del tutto privilegiata, sia rispetto alle altre arti, sia nel suo assetto teorico generale, l’identificazione della musica con il principio metafisico della volontà, nel Mondo come vo-lontà e rappresentazione, colloca la musica all’interno di uno schema di pensiero già costituitosi a prescindere dalla dall’esperienza musicale. Tut-tavia, è proprio nell’ambito del romanticismo tedesco che viene sancito il riconoscimento di un primato e di un valore della musica fondati sulla sua autonomia. Tale riconoscimento proviene da figure come quelle di E.Th.A. Hoffmann, Novalis, Tieck, Wackenroder, che esaltarono le proprietà meta-fisiche della musica “pura”, della musica non subordinata né al linguaggio verbale né ad altri elementi di natura “extramusicale”. La musica diventa, in tale contesto, il luogo privilegiato di esperienze metafisiche, mistiche, spirituali altrimenti inattingibili. In questo clima culturale vengono poste le premesse per ripensare anche il rapporto tra la musica e il pensiero filoso-fico, per concepire una filosofia in grado di aprirsi, di porsi veramente in ascolto della musica, riconoscendone il valore autonomo.

Accogliendo questa eredità e trasfondendo la propria esperienza di musi-cista nell’elaborazione di un pensiero filosofico che trae dalla musica linfa

1 Cfr. Platone, Repubblica, 398 d.2 Cfr. Platone, Fedone, 60-61 a.

Page 9: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

E. Matassi, L. Malknecht - Prefazione 9

vitale, Nietzsche, a partire dalla Nascita della tragedia e in tutto l’arco di svi-luppo del suo pensiero, instaura con la musica un confronto costante. La categoria del dionisiaco, la percezione della rinascita e della decadenza attra-verso il filtro dell’opera e della figura di Richard Wagner, il rapporto tra la parola come espressione della razionalità teoretica e la musica sono indicati-vi della portata assunta dall’esperienza musicale nella filosofia nietzschiana.

Nel Novecento, Th. W. Adorno costituisce il caso più emblematico dell’elaborazione di categorie specificamente filosofiche mutuate dalla musica e dall’esperienza compositiva. La nozione portante del pensiero di Adorno, la dialettica negativa3, trova il paradigma della sua realizzazione nella composizione musicale, nella concezione di una dialettica “contrap-puntistica” nella quale la tensione tra elementi giustapposti non è destinata a risolversi nell’identità.

La musica, dunque, come luogo privilegiato dell’interrogazione filoso-fica si impone nel pensiero del Novecento quale elemento di frattura sia ri-spetto a una concezione in un certo senso “autarchica” della filosofia, come la metafisica identitaria cui la dialettica negativa di Adorno si contrappone direttamente, sia rispetto a una sorta di rassegnazione all’immanenza che presuppone una realtà depauperata del suo carattere pluridimensionale.

In una direzione per molti aspetti analoga, l’afflato utopico-redentivo della filosofia di Ernst Bloch, assumendo la musica come dimensione del-la speranza, offre una «metafisica del presagio e dell’utopia»4 che è anche un pellegrinaggio nelle profondità del Sé e del Noi. È infatti nella dimen-sione dell’ascolto musicale come ascolto interiore che diventa possibile ri-scoprire se stessi nell’appartenenza a una comunità, poiché è nell’ascolto che si instaura una comunione, cui corrisponde la forma più alta di Ge-meinschaft.

In questa prospettiva, la musica come bene comune acquisisce un signi-ficato ulteriore: la musica è un bene non solo condivisibile e condiviso, ‘in comune’, ma il bene capace di porsi esso stesso come fondamento di un sentire comunitario inclusivo e universale.

3 Cfr. Th. W. Adorno, Dialettica negativa, tr. it. di P. Lauro, Einaudi, Torino 2004.4 E. Bloch, Spirito dell’utopia, tr. it. di V. Bertolino e F. Coppellotti, Rizzoli, Mila-

no 2009, p. 196.

Page 10: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

Il Convegno è stato trasmesso in live streaming su www.radiocemat.org

Page 11: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

11

Luca aversano

L’IDEA DI “MUSICA CLASSICA” TRA SCUOLA E MERCATO

L’espressione “musica classica” è oggi in disuso nel lessico tecnico di

musicologi, musicisti e conoscitori, che preferiscono dizioni alternative quali “musica d’arte” o “musica colta”. Nella lingua generica essa conser-va tuttavia ampia diffusione, motivo per cui scelgo di utilizzarla in epigra-fe, a richiamare la particolare prospettiva dei rapporti che la categoria, ap-punto, di musica classica intrattiene con il mondo del mercato e della scuola.

Ma cosa vuol dire esattamente “musica classica”? Per arrivare a una de-finizione convincente è necessario partire da un excursus storico-termino-logico.1 L’aggettivo “classico”, dal latino classicus, contrassegna origina-riamente “ciò che s’insegna nelle classi”. In letteratura il termine compare inizialmente cristallizzato nel sintagma “classici autori”, una forma che ri-troviamo nelle prime attestazioni di carattere specificamente musicale. Così, ad esempio, nel trattato Musico testore di Zaccaria Tevo, 1706: «Ve-dute le specie della Fuga sciolta con i loro essempii cavati da classici Aut-tori [sic], dateremo al nostro Musico Testore alcune regolette per la loro formatione».2 Il contesto fa riferimento alla discussione di regole, canoni, modelli per il giusto apprendimento della composizione musicale, sulla li-

1 Sulla storia di “classico” e “classicismo” nelle letterature occidentali cfr. R. Wel-lek, Das Wort und der Begriff «Klassizismus» in der Literaturgeschichte, «Schwei-zerische Monatshefte», 45, 1965-66, pp. 154-173 (versione tedesca di The Term and Concept of ‘Classicism’ in Literary History, in Aspects of the Eighteenth Cen-tury, The Johns Hopkins Press, Baltimore 1965, pp. 105-128) e P. Trovato, Per la storia di «classico», in L’ideale classico a Ferrara e in Italia, a c. di P. Castelli, Olschki, Firenze 1998, pp. 3-39. Per quanto riguarda, invece, l’impiego della ter-minologia in ambito musicale e musicologico, si vedano L. Finscher, Zum Begriff der Klassik in der Musik, «Deutsches Jahrbuch der Musikwissenschaft», XI, 1967, pp. 9-34 e L. Aversano, ‘Classico’ e ‘classicismo’ nella letteratura musica-le tra Sette e Ottocento, «Il Saggiatore musicale», IV, 1999, pp. 91-117, ai quali si rimanda per ulteriori approfondimenti.

2 Z. Tevo, Il musico testore, Bortoli, Venezia 1706, p. 315. I «classici auttori» cita-ti da Tevo sono l’Artusi dell’Arte del contraponto (G. Vincenti, Venezia 1598), il

Page 12: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

12 La musica come bene comune

nea della tradizione latino-umanistica, secondo cui l’attributo “classico” va attribuito ad autori che, per l’eccellenza delle loro opere, restano attuali e sono capaci di fare scuola, divenendo cioè esemplari. All’anno 1706 il clas-sico in musica è pertanto un concetto metastorico dalla forte impronta pe-dagogica: ciò che garantisce il perpetuarsi della corretta grammatica del contrappunto; che, per la sua validità nel tempo, prescinde dallo stile del momento e fornisce agli aspiranti musicisti la migliore palestra per l’eser-cizio compositivo.

Nel secondo Settecento le testimonianze ricorrono con maggiore fre-quenza, anzitutto in area tedesca,3 dove l’influsso del Neoumanesimo favo-risce la diffusione del termine negli scritti estetico-letterari e, di riflesso, anche in quelli a carattere musicale. Parallelamente l’attributo si emancipa dall’unico tipo di sostantivo col quale per regola faceva coppia (autore, musicista, compositore, ecc.). Ad esempio, nel 1779 Forkel stima «so gründliches und classisches Werk» la Kunst des reinen Satzes di Kirnber-ger.4 Il segno della classicità, prima riservato al solo creatore, si estende così anche alle creazioni. Le opere chiamate in causa sono tuttavia manua-listiche: non composizioni musicali, ma trattati e saggi a carattere didatti-co. Nell’ultimo quarto del Settecento la qualifica di “classico” viene dun-que riservata a testi teorici, e quindi pur sempre letterari. Bisogna attendere l’inizio del XIX secolo perché essa si estenda anche ai veri e propri pezzi di musica. Proprio al 1800 risale la prima occorrenza: in una copia mano-scritta alcune opere di Graun sono affiancate dall’annotazione «klassisch».5 Le successive testimonianze si trovano in due annunci editoriali di Breitkopf & Härtel sulla «Vossische Zeitung» (1801). Uno dei tre elemen-ti fondamentali della classicità, vale a dire la durevolezza nel tempo, co-mincia d’altronde solo ora, con l’affermazione dell’idea di repertorio, a es-sere garantito dall’opera musicale. Per questo motivo, fino all’inizio del XIX secolo, l’etichetta si dava unicamente a saggi teorici. Costituiti di pa-

Piovesana delle Misure harmoniche regolate (Gardano, Venezia 1627), il Bonon-cini del Musico Prattico (Monti, Bologna 1673).

3 Gli unici riscontri su testi italiani nel detto periodo provengono dal trattato di Ga-leazzi, dove il termine ricorre più di una volta: «Altro non minor vantaggio del Contrappuntista, si è quello di non uscir d’armonia nel diminuire, e rivestire spe-cialmente i Larghi, come pur troppo accade a molti anche classici Professori [di violino]» (F. Galeazzi, Elementi teorico-pratici di musica, I, Pilucchi Cracas, Roma 1791, p. 61).

4 J. n. Forkel, Musikalisch-kritische Bibliothek, III, Ettinger, Gotha 1779, p. 193.5 Berlin, Stiftung Preußischer Kulturbesitz, Sammlungen der ehemaligen Preußi-

schen Staatsbibliothek, Mus. ms. 30444 (cit. da L. Finscher, Zum Begriff der Klas-sik, cit., p. 32, nota 42).

Page 13: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

L. Aversano - L’idea di “musica classica” tra scuola e mercato 13

role scritte, essi potevano restare vivi nella memoria dei lettori, al contrario della musica, soggetta ad essere consumata e rapidamente dimenticata.

Sono dunque tre, finora, gli elementi fondamentali della classicità, e tra loro interconnessi: la qualità eccellente, l’esemplarità in fase didattica, la durevolezza nel tempo. La nascita dell’espressione “musica classica”, pur partendo dai citati, medesimi princìpi costitutivi, porta con sé alcune signi-ficative variazioni semantiche. Il primo esempio di quello che diverrà un celeberrimo sintagma non è però reperibile in area germanica. Piuttosto a Londra, dove due musicisti italiani, Cianchettini e Sperati, aprono nel 1805 un negozio di musica dal nome emblematico: «Classical Music-Warehou-se». Nel 1807 i due decidono di pubblicare le sinfonie di Haydn, quelle maggiormente amate di Mozart (insieme con le ouvertures più note) e le tre sinfonie di Beethoven fino ad allora conosciute. Ecco alcuni passaggi del testo stampato quale invito alla sottoscrizione:

Cianchettini and Sperati, Publishers and Importers of classical Music, have

the honour to acquaint the Nobility, Gentry, and Amateurs of Music, that they have undertaken to publish in Score all the universally admired Symphonies of Haydn, Mozart and Beethoven. The Names of those celebrated Composers they conceive is more than sufficient to give credit to this invaluable undertaking... The respect that every Amateur of Classical Music must entertain for the Sym-phonies of these wonderful Masters, persuades the Publishers, that a general anxiety to possess a Collection so precious to the Musical World, will afford ample encouragement to a Publication honoured with the immediate Patronage of His Royal Highness the Prince of Wales, who has most graciously conde-scended to sanction it, by accepting the Dedication.6

L’attestazione ha un’importanza notevole. Le sinfonie di Haydn, Mozart

e Beethoven sono riunite per la prima volta sotto l’etichetta di “musica classica”7 (che ciò avvenga in Inghilterra, e per opera di due imprenditori italiani, costituisce un dato singolare). L’accostamento prospetta una nuo-va accezione di “classico”, dovuta a un fatto di fondamentale importanza:

6 Cit. da G. Kinsky, Eine frühe Partitur-Ausgabe von Symphonien Haydns, Mozarts und Beethovens, «Acta Musicologica», XIII, 1941, p. 78-84: 80.

7 Di solo due anni precedente è la prima testimonianza conosciuta dell’accostamen-to delle sinfonie di Haydn, Mozart e Beethoven (C. F. Michaelis, Über das Erha-bene in der Musik, «Berlinische Musikalische Zeitung», 1, 1805, p. 180; cfr. A. Forchert, “Klassisch” und “romantisch” in der Musikliteratur des frühen 19. Jahrhunderts, «Die Musikforschung», XXXI, 1978, pp. 405-425: 411), in cui però la parola “classico” non viene adoperata e le opere dei tre musicisti non sono citate da sole, ma menzionate insieme con quelle di altri musicisti.

Page 14: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

14 La musica come bene comune

è cambiato il genere di testo in cui il termine viene adoperato. Ai primi dell’Ottocento la grande maggioranza delle attestazioni rinvenute proviene da annunci pubblicitari di editori musicali,8 il cui destinatario è un vasto pubblico di amatori e di dilettanti di musica che comprano spartiti e parti-ture non per apprendere le giuste regole del comporre, ma per praticare l’e-sercizio strumentale o per collezionismo. In tale contesto la valenza di esemplarità didattica propria della vecchia accezione finisce per atrofizzar-si. Il legame tra concetto di classico e idea di esemplarità s’era d’altra par-te già indebolito sotto i colpi dell’estetica romantica, tendente a sostituire la poetica dell’imitazione del modello autorizzato con quella dell’origina-lità del genio creatore. La cifra primaria della classicità non consiste più nell’esemplarità della composizione, quanto nella sua eccellenza qualitati-va, e nella conseguente, immutabile validità nel tempo, oltre l’effimero della moda. Sullo spostamento del baricentro semantico influisce in manie-ra determinante l’assunzione del termine nel mercato e nella lingua della pubblicità editoriale, dove si trovano le prime frequenze di un uso riferito a composizioni musicali. Gli editori tendono a sfruttare commercialmente l’uso della parola, alla stregua di uno slogan o di un certificato di qualità a garanzia del prodotto sul mercato. “Classico” viene così a qualificare un’o-pera degna, per la sua eccellenza e la sua dottrina, di essere sempre apprez-zata, ricordata, e dunque acquistata. In altre parole, l’idea di classico tra-smigra dall’ambito della composizione a quello della produzione/ricezione.

La variazione di senso subìta dalle antiche metafore s’intreccia in ma-niera complessa con la formazione dell’idea di repertorio e con la conse-guente politica delle case editrici: dunque anche con lo sviluppo del merca-to musicale. Tutto questo avviene primariamente in area tedesca. In Italia la diffusione della nuova accezione di “classico” segue il passo dei tentati-vi di organizzare la nostra attività concertistica secondo i modelli dei più avanzati paesi europei, dove la programmazione di musica da camera, sin-fonica e vocale dei migliori autori di un passato più o meno recente era or-mai, in pieno XIX secolo, un fatto acquisito. Il quotidiano delle realtà ita-liane consisteva invece in accademie vocali-strumentali strutturate secondo il principio del mosaico di brani differenti e contrastanti: fantasie, trascri-zioni, variazioni su arie di moda, pezzi brillanti e caratteristici dal baule del virtuoso di passaggio, e così via. Il tutto in ossequio al pubblico desidero-

8 Anche in ambito letterario, negli stessi anni, “classico“ compare spesso in forma sostantivata nel significato di ‘eccellente’ sui frontespizi di repertori prestigiosi o nei nomi di collane e società editoriali (cfr. P. Trovato, Per la storia di «classico», cit., p. 141).

Page 15: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

L. Aversano - L’idea di “musica classica” tra scuola e mercato 15

so di novità non troppo difficili per l’orecchio. Questa musica, oggi quasi completamente dimenticata, costituiva il vero contraltare della classicità. Quando prendono corpo i primi movimenti per una riforma della vita mu-sicale italiana, nella polemica tra araldi del nuovo e fautori dello status quo, legati alla tradizione teatrale, proprio la terminologia in questione di-viene strumento di dibattito. Vale la pena citare un passaggio tratto dalla critica di Francesco Maria Albini a un concerto bolognese del 1853:

Nella sera dell’8 corrente la nostra Accademia-Filarmonica inaugurava le ri-

staurate sale della sua residenza, ed in tale occasione offriva un Esercizio di musica classico-florida (così il programma), il quale infine non era che un bel-lo e buon Concerto, od Accademia, se meglio vi piace, la cui buona distribuzio-ne è riuscita tanto gradita allo scelto uditorio intervenutovi che crediamo prez-zo dell’opera il farne parola. Rossini, Beethoven, Mozart e Stradella facevano gli onori della serata agli egregi artisti signora Boccabadati e signor Crivelli per la parte vocale, il signor Masini e madamigella Mariani per la strumentale [...]. La nostra maggiore gratitudine è però dovuta ai compilatori di questo Eserci-zio, per averne procurata l’esecuzione di due pezzi, veramente modelli di mu-sica classica. Uno di questi, la celebrata preghiera di Alessandro Stradella (can-tore e compositore, che fioriva in Italia nel XVII secolo) veniva bravamente interpretata dal Crivelli [...]. L’altro era il magnifico settimino strumentale (opera 20) del grande compositore di Bonna [...]. Ci si dice non essere stato questo Esercizio che il preludio di vari altri, che dovrebbero a questo seguire

Ora più che mai l’arte n’ha d’uopo, dacché in Italia si è assolutamente pro-testato contro ogni altro genere di musica, che non sia teatrale. Addio musica da camera, o da accademia, addio musica sacra. Riduzioni teatrali di ogni spe-cie (non escluse le più grottesche e ridicole) tengono il luogo della prima: posti da parte gl’inimitabili trio, quartetti, quintetti degli Haydn, Beethoven e mille altri, e quasi perfin dimenticati i loro venerandi nomi. A proposito di riduzioni, non ha molto che m’è toccato vedere la Tempesta del Rigoletto ridotta per flau-to solo! Risum teneatis... Ecco una delle principali ragioni perché è fatta si bre-ve la durata anche delle migliori e più recenti produzioni teatrali, che pochi anni bastano a farle collocare fra le cose viete e fuor d’uso. Non volge ancora un anno dacché Verdi donava all’Italia il Trovatore, partizione tanto pregevole e di già tanto riprodotta ed applaudita: ebbene, in poco d’ora (come di pratica) ridotta e sbranata in tutte guise: fantasie, souvenirs, valzer, polke, quadriglie e simili impertinenze, le quali faranno che in breve anche il Trovatore sia riposto qual cosa già sentita [...]. Spetterebbe dunque a queste Accademie o società fi-larmoniche, provvedere ai bisogni dell’arte, per eccitarne lo studio ed i pro-gressi: spetterebbe loro, dico, mettersi a capo affin che venga propagandata e diffusa la buona e classica musica […].9

9 «L’Arpa», 14.12.1853 (cit. da t. Gotti, Beethoven a Bologna nell’Ottocento, II, «Nuova Rivista Musicale Italiana», VII, 1973, pp. 352-387: 353-354).

Page 16: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

16 La musica come bene comune

Nel resoconto di Albini l’antinomia musica classica-musica di veloce consumo emerge con grande chiarezza.10 Sulla base di tale contrasto si pos-sono azzardare le definizioni di “pezzo classico” e “musica classica”: ri-spettivamente ‘composizione universalmente riconosciuta quale capolavo-ro che, degna di memoria per il suo primato di bellezza e di dottrina, sopravvive al mutare della moda ed entra a far parte del repertorio’ e ‘cate-goria costituita dai pezzi classici’. La qualifica di classico è d’altra parte in-dipendente dalla struttura e dal genere della composizione. È necessario piuttosto che sia trascorso un periodo di tempo più o meno lungo, che ne decreti il valore e la capacità di restare in repertorio. L’essenza della clas-sicità non è dunque legata a precipui caratteri stilistici e formali, ma ad un pesato giudizio di valore.

Il classicismo musicale diviene ‘l’insieme degli autori e delle composi-zioni entrati in repertorio’. La definizione trae conforto da un passo del na-poletano Michele Ruta, in cui è anche evidente un recupero della dimensio-ne pedagogica del concetto di classicità, seppur rivolta non tanto ai compositori, quanto al pubblico e alle sue abitudini d’ascolto:

La musica classica Corale, Orchestrale, del Quartetto e di Concerto da noi

è poco conosciuta; o meglio la generalità ne ignora il bello. Dicendo la genera-lità non riguardo solo il pubblico più o meno eletto, ma gli stessi musicisti, i quali spesso ignorano quei lavori musicali, che sono glorioso monumento del-la potenza dell’arte, e del genio. E qui non intendo parlare di quei pochi che sono veri sacerdoti dell’arte, e che per essa professano quel culto che si adope-ra con indefessi studi: questi, tra cui è da annoverare alcuni valorosi dilettanti, sono strenui cultori del classicismo, e ne mantengono alta la bandiera; conser-vando sempre vivo il sacro fuoco musicale. Ma l’arte di un popolo deve giudi-carsi dal suo movimento generale, e non già da specchiate individualità [...]. Il campo adatto per seminare il culto del classicismo musicale è la sala di Concer-to nel Conservatorio: dallo studio, e dall’audizione che può farsi in essa, io mi aspetto il vero progresso: perché essendo gran parte de’ capolavori scritti nel genere di quartetto, sinfonico e di concerto, ne segue di necessità il bisogno di

10 Così anche in un articolo della «Nazione» di Firenze, n. 62 del 1862: «I concerti si dividono in due categorie ... quelli della prima sono i concerti classici, dove si eseguisce la musica dei grandi insieme per istudio e vero amore per l’arte; quelli della seconda sono le serate più o meno musicali che danno gli artisti più o meno virtuosi, che vengono a sfruttare la piazza e a darci prova della loro girovaga ce-lebrità» (cit. da P. Paolini, Beethoven a Firenze nell’Ottocento, II, «Nuova Rivista Musicale Italiana», V, 1971, pp. 973-1002: 973-974). Affondano qui le radici dell’odierna contrapposizione fra “musica classica” e “musica leggera”.

Page 17: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

L. Aversano - L’idea di “musica classica” tra scuola e mercato 17

un locale adatto per la coltura di tal sorta di musica [...]. I capolavori non sono per restare polverosi negli scaffali d’un archivio [...].11

Oggi, a ben vedere, si ripropone una situazione simile a quella ottocen-

tesca. La corrente percezione di musica classica, identificabile – prima che nella musica d’arte occidentale – in ciò che si contrappone alla “musica leggera”, proviene dal parlato musicale ottocentesco, che indugia spesso sul contrasto tra i pezzi di repertorio (detti appunto “classici”) e le musiche di facile consumo. Tutto ciò nel contesto di un mercato non più soltanto editoriale, ma anche discografico, che continua a costruire le sue fortune sul tradizionale doppio binario di vendita: da un lato i pezzi classici, che durano nel tempo; dall’altro quelli di moda, più effimeri, che potremmo de-finire “senti e getta”.

Come si diceva, per ragioni diverse il linguaggio degli specialisti prefe-risce oggi locuzioni quali “musica d’arte” e “musica colta”. Queste ultime soddisfano l’esigenza di una maggiore precisione semantica, ma lasciano aperto il problema del rapporto con sensibilità diverse, anche estranee alla tradizione della musica occidentale. Di fatto tutti e tre i modi di dire (mu-sica classica, musica colta, musica d’arte) contengono un implicito giudi-zio di valore che discerne i repertori in base a caratteristiche precise. Sul piano, per così dire, del politically correct, l’espressione musica classica è forse la meno problematica, giacché distingue solo in ragione della qualità, e non in ragione di altri fattori, quali stile, forma, genere, contenuti esteti-ci. Infatti, proprio in virtù di questa genetica flessibilità della categoria con-cettuale, il crisma della classicità può benedire qualsiasi tipo di musica: tanto che esistono i classici del jazz, del pop, del rock e così via. Se poi vo-lessimo usare una terminologia più circostanziata, e allo stesso tempo più “ecumenica”, l’odierna pluralità del fenomeno musica andrebbe connotata attraverso l’impiego dell’espressione “musiche classiche”, purché sia fatta salva l’eccellenza del “prodotto” sul mercato globale.

Resta aperta la questione, se sia possibile raggiungere l’eccellenza sen-za l’apporto di determinati elementi di natura estetica, stilistica e formale. A questo punto è doveroso aggiungere che, in una visione aperta al mondo della scuola, la divisa della correttezza politica non può rimuovere, tanto più nella sede di un convegno ministeriale, l’urgenza della seguente do-manda: è possibile trascurare il fattore “qualità del materiale prescelto”, al momento di seguire princìpi di buona pedagogia e didattica? Come abbia-

11 M. Ruta, Storia critica della musica in Italia, Detken e Rocholl, Napoli 1877, pp. 111-112.

Page 18: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

18 La musica come bene comune

mo visto nella storia della terminologia, è in base all’eccellenza che le mu-siche classiche sono considerate esemplari. Per la loro alta qualità esse sono degne di essere insegnate nelle scuole e di fungere da modello per le generazioni a venire: non solo per l’apprendimento tradizionale, ma anche per lo stesso sviluppo della creatività e dell’esercizio pratico.

Chiudo con una considerazione di ordine generale. Se agli inizi dell’Ot-tocento, come abbiamo visto, il concetto di classico migra semanticamen-te dall’ambito pedagogico della scuola a quello economico del mercato, oggi pare sia in corso il fenomeno contrario. Dal campo giuridico-econo-mico-finanziario mutuiamo cioè le parole per contrassegnare i concetti re-lativi all’àmbito della cultura e della scuola: bene, eredità, patrimonio, e così via. Si tratta, in fondo, di un processo semantico a ritroso, giacché in origine il termine latino classis stava a indicare ciascuna delle cinque cate-gorie basate sul patrimonio fondiario in cui la popolazione romana era sta-ta divisa dal re Servio Tullio. Ciò ad attestare il profondo, genetico legame tra il concetto di classico e il concetto di patrimonio.12 La circostanza indu-ce a riflettere sul rapporto tra ricchezza materiale e immateriale: in una so-cietà equilibrata, la misura del raggio delle possibilità economiche dovreb-be avvicinarsi più possibile a quella della ricchezza dello spirito. In tal senso, il contributo di una formazione musicale “classica”, nel suo senso più ampio e allo stesso tempo più profondo, appare del tutto irrinunciabile.

12 Si veda, sul concetto di patrimonio in musica, l’intervento di Guseppina La Face, pubblicato in questo stesso volume.

Page 19: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

19

giseLLa beLgeri

MUSICISTI E COLLETTIVITÀ La Federazione CEMAT è il soggetto che da anni si preoccupa della

promozione della musica contemporanea in Italia. Nessuna arte si accon-tenta di guardarsi alle spalle, pur se piena di ammirazione e di ricono-scenza. Abbiamo bisogno di tutto il supporto dei nostri musicisti, compo-sitori e interpreti. L’Italia deve coltivare lo sviluppo della creatività ed è necessario rendere disponibili gli strumenti necessari, perché è indispen-sabile trasferire ai giovani – e fin dalle scuole per i più piccoli – il know how necessario, perché è da lì che si deve cominciare. E la complicità de-gli artisti è necessaria.

Da anni si cerca in tutti i modi di facilitare un lavoro per far musica tut-

ti, – e lo sforzo in tal senso del Comitato Nazionale per l’apprendimento pratico della musica nelle scuole e di Luigi Berlinguer è a dir poco eroico – ma si viaggia sul minimale quasi scusandosi del fatto che si vuole dare musica. La musica oggi è un elemento indispensabile per la vita perché dà benessere, perché chi fa musica riesce ad esprimere una sua propria creati-vità ed esce da quel vuoto impotente nel realizzare se stessi, che si avverte così spesso nei nostri adolescenti. Aiutiamoli a crescere e a valorizzarsi fi-nalmente. È ora di dare alla musica uno spazio preciso, delle risorse preci-se, con i tempi che occorrono, con le competenze che occorrono perché è evidente che debbano esserci le persone giuste ai posti giusti; troppe volte abbiamo assistito a situazioni critiche, precipitate solo perché mancavano all’appello le persone preparate a risolvere i problemi in modo confacente, senza illudersi che un volontarismo seppur meritorio potesse sostituire le capacità professionali.

Affrontiamo la realtà. Il nostro paese deve ormai relazionarsi con una

apposita legge che preveda un patto consapevole tra politica, istruzione e artisti, capace di inserirsi in quel quadro di sviluppo fin qui evocato, co-

Page 20: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

20 La musica come bene comune

niugando il peso delle risorse necessarie con i risultati raggiungibili, in termini sociali, formativi e culturali, elemento certo di non secondaria importanza.

Parliamo un momento del Comitato. Lo stesso sforzo veramente imma-ne compiuto in questi anni da questo soggetto, preposto al rapporto tra mu-sica e formazione viene immiserito appena si alza la testa, con controbilan-ciamenti e decisioni esterne che spesso poco hanno a che fare con la giusta pretesa di ottenere risultati concreti. Non mi pare che la politica abbia di che vantarsene, non importa chi sia al governo. Si tratta di analizzare il co-sto/benefici di attività scolastiche capaci di dare ai giovani anche una capa-cità di realizzarsi, di confrontarsi, e di esser gratificati, in una parola anche di esprimersi anche tramite un linguaggio universalmente percepito. Possi-bile che non si arrivi a comprenderne l’utilità? I motivi ci saranno stati tut-ti ma adesso li sappiamo, la storia insegna, cambiamo pagina.

Un altro problema da considerare: lo spazio che la musica richiede

alle scuole è certo a volte difficile da digerire nella compagine scolasti-ca. Le regole per una buona formazione impongono silenzio, producono suono, movimentano la normale postazione dietro i banchi, richiedono strumenti adeguati e spazi compatibili. Richiedono spesso mobilità tra le classi e quindi una elasticità a volte difficile da attuare. Non si tratta di elementi di poco conto ma la scuola deve trovare il modo di favorire questa flessibilità.

Poi si arriva al tema portante: chi si pone di fronte alla musica e ai ra-

gazzi deve conoscere bene il suo mestiere. La musica certo non è un ele-mento “femmineo” come arrivava a sostenere appunto anche un grandis-simo intellettuale e politico come De Sanctis, cosa che oggi ci scandalizza, ma ancor meno è materia di facile trasmissione come know-how. Non bastano i pur meritevoli tentativi di far quadrare i cerchi. Se ci si aspetta, come è ovvio, che la musica serva al benessere interiore dei ra-gazzi deve essere posta loro sapientemente. Ho letto con attenzione le re-azioni di alcuni autorevoli esperti del Comitato stesso che lamentano da anni, e giustamente, queste incongruenze. Sono però dell’avviso che sono trasmesse all’indirizzo sbagliato. Il Comitato, per avere successo nelle sue rivendicazioni ha bisogno di spalle larghe e di sostegno per re-agire alle formule, diciamo di comodo o anche di annacquamento dei suoi obiettivi. I passi di lato, i distinguo sono proficui al momento del la-voro, non nelle esternazioni pubbliche che non tengono in giusto conto il peso delle ostilità al disegno complessivo, che anzi si avvantaggiano di

Page 21: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

G. Belgeri - Musicisti e collettività 21

ogni debolezza interna. Due sono i casi: o non si accetta il gioco, e ci si dimette tutti, o bisogna agire sulle convinzioni e sulle pressioni che pos-siamo fornire. È evidente che i compromessi vanno a pesare in misura di-versa se diversa è la pressione collettiva. Se ci si riduce a premere sui lati sbagliati, beh, diventa un castello di carta, chiaro.

Ora, c’è anche un aspetto pratico fondamentalmente, come fare a co-niugare la presenza della musica a scuola con gli orari da metterle a di-sposizione, nello spazio curriculare o in spazi temporali che siano con-cretamente sostenuti e gestiti? E, di conserva, procedere poi alla riapertura di bandi seri, molto seri e rigorosi, che introducano questa ma-teria a pieno titolo. Costerà, è vero, e oggi non ci sono le risorse. Ma vo-gliamo almeno provare a fare un ragionamento complessivo dei do ut des nel cresciItalia? Chi può credere che sia uno sforzo inutile? Quanti sono i vantaggi di un tipo di formazione che tiene i ragazzi lontano dal vuoto torricelliano in cui navigano? Ascoltiamo ad ogni convegno, incontro, ri-unioni scolastiche una miriade di esempi di come la musica ha cambiato radicalmente l’interesse dei ragazzi anche nelle altre materie, di come ac-quisiscano subito un modo diverso di comportarsi tramite le regole detta-te normalmente dalla musica che sono disciplina, rigore, ascolto dell’al-tro. Quante sono per esempio le forze esterne che sarebbero pronte a favorire un sistema musicale nelle scuole che spinga alla creatività i ra-gazzi? Esistono al Ministero gli Accordi di programma già in essere, emanare qualche decreto ad hoc non sarebbe impossibile, destinare an-che alcune risorse a fronte di un obiettivo ambizioso e durevole non do-vrebbe esser così peregrino. Pur in momento di crisi così feroce ne vedia-mo tanti di sprechi immotivati.

Last but not least, negli anni recenti ci accorgiamo che i musicisti, e spe-

cialmente i più giovani, che non vedono grandi aperture nel loro futuro, si guardano attorno per capire come, al di là delle situazioni di carriera cano-niche in orchestre, teatro, insegnamento strumentale, si intravedano degli spazi dove esercitare la loro musica a favore di altri contesti. E badate bene, non è solo una ricerca di lavoro perché spesso non lo è in termini compensativi, è una esigenza irrinunciabile di esprimersi e di relazionarsi. Attenzione, questo è un bene da coltivare con cura. La quantità di musica nel sociale si è decuplicata negli ultimi due o tre anni, e lo vediamo chiara-mente in molte nostre associazioni musicali, ad esempio nei soci dell’A-IAM o nelle attività collaterali dell’Orchestra Mozart. Voglio citare l’ini-ziativa Crescendo, che rappresenta uno sforzo certo fuori norma, realizzato da una grande Orchestra Sinfonica, che si traduce soddisfazione da anni in

Page 22: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

22 La musica come bene comune

centinaia di incontri, concerti e dibattiti con i bambini di Milano e provin-cia. Ma gli esempi sarebbero davvero tanti, articolati e che registrano risul-tati insospettati.

A livello internazionale ci sono tante iniziative cui riferirsi, spesso basa-

te anche su regole facili da seguire, semplici e fattive. Ne cito solo una. Ne-gli Stati Uniti l’iniziativa di un solo compositore, John Duffy, tramite Meet the Composer, dal 1974 ha permesso di contare 45.000.000 di presenze di artisti in tutti i 50 States, facendo ospitare in forma di residenze privilegia-te in numerosissime città ben 6500 compositori e musicisti di tutti i generi musicali. Tramite loro sono state istituite orchestre sinfoniche tra i giovani, hanno composto per e con loro migliaia di pezzi, intervenendo ovunque, e hanno infine esportato questa iniziativa in oltre 30 paesi. Questo sistema, che prevede un lavoro di parecchi mesi per i singoli artisti impegnati e che tocca una molteplicità di scuole e di altri ambiti veramente impressionanti (reparti ospedalieri, centri di disagio, centri di integrazione sociale, attività di culto, celebrazioni cittadine, formazione di artisti locali, decentramenti culturali, ecc...) costa solo 4 milioni di dollari di fondi che potremmo defi-nire risorse pubbliche, in termini nazionali e federali, per tutti gli States e le collettività coinvolte.

In sostanza e a conclusione dobbiamo operare per invertire la rotta po-litica sul discorso della musica nelle scuole, con argomentazioni compro-vate e forte compattezza tra mondo artistico, mondo scolastico e società civile, in particolare coinvolgendo i genitori e i nonni che sono i primi a capire quanto importante sia la frequentazione di questa arte nella vita dei loro giovani rampolli. E rappresentando con forza l’esigenza di non mollare sulla necessità di pretendere professionalità di ottimo livello, – che spesso già sono presenti nelle scuole ma in misura assolutamente non bastevole – perché questa è la chiave di volta del successo formativo tra-mite la musica.

Page 23: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

23

PaoLo daMiani

Page 24: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini
Page 25: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

25

giusePPe griLLi, Luisa a. Messina faJardo

LA MUSICA CLASSICA NEL PROGETTO ABREU: TRA FORMAZIONE ED ESECUZIONE*1

Innanzitutto, desideriamo manifestare il nostro ringraziamento per l’invi-to a partecipare a questa bellissima iniziativa, in cui la musica si presenta nel-la duplice veste di espressione estetica e di funzione pedagogica. Il nostro in-tervento in questo contesto si avvale di un riferimento assai nobile e riuscito in entrambi gli aspetti allusi, in quanto si riferisce all’esperienza pluriennale del Progetto Abreu. Dobbiamo perciò confessare che il nostro è un compito facile: basterà dare qualche indicazione di massima per rendere esplicito il proposito di appoggiare l’idea di fondo che è alla base del Convegno, cioè quella di valorizzare la musica, o per meglio dire, l’esecuzione musicale qua-le strumento pedagogico finalizzato non solo all’acquisizione di un linguag-gio specifico. Un linguaggio, quello musicale, dalla peculiarità di essere un linguaggio universale che supera le fratture dei linguaggi verbali e persino di altri linguaggi artistici, in quanto sostanzialmente sganciato da alfabeti, pre-viamente acquisiti dall’ascoltatore, che fissano e esplicitano delle frontiere. In un mondo globale, la musica è un supporto eccezionale che, basandosi sull’evidenza della forza dell’estetica, rende possibile immediatamente il de-siderio umano di dialogo, di comunicazione e di solidarietà che è alla base dell’ispirazione di ogni progresso vero.

Vorremmo iniziare col chiarire chi è Abreu. Il maestro José Antonio Abreu, è un grande musicista venezuelano che nel 1975 ha creato una rete d’istruzione musicale che coinvolge oggi oltre 250 mila ragazzi, la maggior parte proveniente da ambienti familiari popolari. È grazie a questo program-ma che, attualmente, la musica in Venezuela, e ormai non solo in Venezuela perché la rete si sta estendendo a livello mondiale, rappresenta una via di ri-scatto esistenziale per i ragazzi dei quartieri più degradati e poveri.

* Il contributo è stato pensato da entrambi gli autori; tuttavia, la prima parte è redat-ta da Luisa A. Messina Fajardo, la seconda da Giuseppe Grilli.

Page 26: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

26 La musica come bene comune

Il Maestro José Antonio Abreu è, infatti, colui che per primo ha ideato e realizzato una straordinaria utopia musicale di massa, operante soprattutto nelle realtà del disagio urbano e dei piccoli centri rurali. L’esperimento è consistito nella captazione, negli stessi ambienti familiari e di quartiere, di bambini e giovani di ogni condizione sociale per indirizzarli a una forma-zione musicale che si propone l’obiettivo del raggiungimento di una com-petenza strumentale e culturale completa ed adeguata anche a grandi im-prese concertistiche. Da questo tessuto scaturiscono le orchestre che, a diversi livelli, fino a quello massimo dell’Orchestra nazionale, si propon-gono l’esecuzione di un repertorio sinfonico di qualità. Ma in ogni stadio del progetto non si abbandona mai lo spirito Abreu: fare della musica il lin-guaggio universale, quindi anche del riscatto sociale e personale, il lin-guaggio della solidarietà e del dialogo.

Vogliamo celebrare qui il talento dell’orchestra sinfonica venezuelana, dei suoi valori e dei suoi principi ispiratori. L’Orchestra Sinfónica de la Ju-ventud Venezolana Simón Bolívar è significativamente intitolata al liberta-dor: fondatore della identità venezuelana e propugnatore della libertà ispa-noamericana, punto fermo di quanto ogni venezuelano sente, al di là delle diverse opinioni politiche contingenti.

La musica, dunque, si lega istituzionalmente in Venezuela all’idea di lotta di emancipazione per la libertà, per l’uguaglianza, per la cultura, ap-punto, nel nome evocato di Simón Bolívar. Egli, tra tutti i protagonisti della storia latinoamericana, si caratterizza, non a caso, come idealista, utopista, uomo d’azione proteso al riscatto in una lotta per conquistare nuovi spazi per l’uomo, per tutti gli uomini. In tal senso è straordinaria-mente veritiero, nella sostanza, il ritratto che ne tracciò Gabriel García Márquez nel romanzo significativamente intitolato El General en su La-birinto, che assume, come proprio arco temporale di sviluppo narrativo, la fase finale della vita del Libertador, in realtà ne riassume i caratteri es-senziali e permanenti.

La straordinaria esperienza proposta dal maestro Abreu con il movimen-to della educazione musicale di massa dei ragazzi e dei giovani venezuela-ni è anche per questi motivi e fondamenti storici un progetto di cultura, contemporaneamente è anche un progetto di lotta per il riscatto spirituale, per l’emancipazione sociale, per l’identità venezuelana. Tutto il program-ma complesso e articolato è sintetizzato nel binomio Tocar y luchar, bino-mio che coniuga la vocazione musicale (tocar) con quella sociale (luchar). Proprio questo riferimento alla duplice identità del programma Abreu ha dato il titolo a uno straordinario film-documentario su cui torneremo i det-taglio più avanti.

Page 27: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

G. Grilli, Luisa A. Messina Fajardo - La musica classica nel progetto Abreu: 27

Questo straordinario movimento collettivo, la rivoluzione spirituale e la armonia musicale che lo sorreggono, in un gigantesco sforzo di coesione sociale, ha una storia e un’origine. Tutto è incominciato non da un propo-sito collettivo o da un ordine calato dall’alto del potere politico, ma è stato originato da un’intuizione e una volontà individuali: è stato uno straordina-rio musicista, un innovatore e rivoluzionario della tecnica e della trasmis-sione delle tecniche musicali, dell’educazione musicale, a dar vita all’uto-pia. Una utopia di futuro, ma anche una utopia che si fa pratica del presente. Sono trascorsi ormai più di trent’anni da quando José Antonio Abreu ha dato vita al movimento delle orchestre infantili e giovanili. In questo movimento o “Sistema” (come viene chiamato) non c’è stata nessu-na improvvisazione, nessun cedimento al dilettantismo, al folclorismo. La diffusione delle scuole di musica o “nucleos” tra i bambini e i giovani oggi ha raggiunto ogni angolo della geografia del Venezuela, ogni strato socia-le, ogni segmento umano senza esclusioni di alcun genere, coinvolge per-sino i non vedenti o i non udenti nel “coro de las manos blancas”. Ma ciò che è ancora più importante è stata la formazione di nuove generazioni di maestri di musica, che ha permesso la moltiplicazione e proliferazione del-le orchestre e il raggiungimento del duplice obiettivo al quale ci siamo ri-feriti come simbolo e sintesi del progetto: tocar y luchar.

C’è una profonda differenza tra l’identità nazionale e popolare della mu-sica di Abreu, e delle migliaia dei suoi seguaci giovani, giovanissimi e meno giovani, e altri movimenti musicali di ripresa e di valorizzazione dell’identità musicale dei popoli. In tal senso è emblematico il confronto con il nazionalismo musicale che l’Europa ha conosciuto nel XIX secolo. In questo senso si può parlare dell’esperienza venezuelana come di un’a-vanguardia, anzi dell’avanguardia di oggi. Infatti non si tratta solo di inse-rire elementi della musicalità locale e popolare nel sistema armonico della strumentazione classica, come nella fioritura ottocentesca delle musicalità nazionali, ma di utilizzare la cultura classica, le tecniche, gli stessi stru-menti da musica per dare voce, dar vita all’identità. L’identità nazionale che viene esaltata allora non è l’espressione di famelici e violenti egoismi, ma l’integrazione personale degli individui in un corpo sociale solidale. La società si modella, si specchia (o almeno dovrebbe, potrebbe farlo) in una orchestra in cui suonano, fanno musica decine e decine, centinaia di stru-menti e di giovani, mentre chi ascolta e partecipa all’evento sente “invisi-bile”, come la definisce Abreu, la musica che stanno suonando i musicisti.

Che tutto questo di cui abbiamo parlato si sia svolto e si svolga negli anni convulsi della trasformazione del Venezuela degli ultimi decenni è il vero miracolo. È anche il grande paradosso; infatti, il movimento delle or-

Page 28: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

28 La musica come bene comune

chestre infantili e giovanili, la diffusione di massa della cultura musicale alta si sono sviluppati in un periodo storico in cui il paese è stato sconvol-to da trasformazioni economiche, sociali e politiche caratterizzate da pro-fondi rivolgimenti. Dalla crisi dei prezzi del petrolio (alla fine degli anni settanta), al collasso della moneta nazionale, il bolívar (per effetto del de-bito pubblico); dal crollo del sistema di partiti in alternanza: Acción demo-crática, partecipe dell’Internazionale socialista e socialdemocratica, e Co-pei, d’ispirazione democristiana (anche se con un orientamento di centrosinistra, come spesso è per quei movimenti in America Latina), fino all’avvento al potere di Hugo Chávez Frías, per arrivare poi alla formazio-ne della Repubblica Bolivariana del Venezuela (esperienza controversa, imputata di derive caudilliste, ma vitale anche nelle urne).

Il Paese, proprio negli anni dell’esperimento Abreu, non ha avuto un momento di tregua. Lo stress sociale ha coinvolto tutte le generazioni, tut-ti gli stati sociali. Il tema della “insicurezza” (inseguridad o carenza dell’or-dine pubblico) è diventato progressivamente non solo una minaccia, ma una ossessione nella vita quotidiana. In questo quadro, alla violenza della miseria, della mancanza di prospettive di crescita, alla piaga del narcotraf-fico che coinvolge drammaticamente la vita dei giovani, e persino dell’in-fanzia, una delle poche risposte efficaci e vere è stata quella offerta dal mo-vimento di espansione solidale della cultura musicale e della creazione di orchestre infantili e giovanili, a tappeto, in tutti gli stati della repubblica.

* * *

Tocar y luchar è il titolo del film-documentario di Alberto Arvelo girato

a Caracas. Il tema di cui ci parla è quel modo nuovo e originale di appros-simarsi alla musica e alla cultura, ma soprattutto è un modo nuovo di pro-muovere, organizzare e praticare il riscatto sociale insito nel progetto Abreu attraverso il linguaggio cinematografico. Un montaggio accattivan-te offre allo spettatore un’emozione immediata e forte. In quasi due ore di spettacolo assistiamo a un “gloria al bravo pueblo, que el yugo lanzó”. Pos-siamo allora pensare a un inno alla lotta per un riscatto, una vita nuova, un vivere in armonia in una società di tutti e per tutti. È un inno che in ogni nota racchiude integro lo stato d’animo di un popolo che mette insieme le speranze e le volontà di tutti quei bambini e adolescenti, che amano la mu-sica e che, solo grazie al sistema Abreu, hanno avuto la possibilità di “to-car”, di suonare uno strumento musicale, e al tempo stesso di “luchar”, di battersi per una vita migliore. Tocar y luchar film racchiude e racconta questa straordinaria esperienza musicale, cantando un “aleluya” (beethove-

Page 29: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

G. Grilli, Luisa A. Messina Fajardo - La musica classica nel progetto Abreu: 29

niano) alla vita, una vita senza frontiere, una vita che non ti priva dei tuoi sogni ancora prima di nascere. È una forma di liberazione, “la ley respetan-do, la virtud y honor”. È un “abajos cadenas”, che evoca lo straordinario quadro di Goya, reso attuale con un “giù le catene” della droga, della delin-quenza, della prostituzione, della dipendenza che grida un popolo, il popo-lo venezuelano.

Come hanno riconosciuto alcuni tra i più grandi musicisti e interpreti, che nel film Tocar y Luchar hanno un ruolo di testimoni emozionati e insieme ri-gorosi, tra cui il maestro Abbado, il tenore Placido Domingo, il direttore Vit-torio Sinopoli, e tanti altri, il primo risultato che presenta il sistema delle or-chestre giovanili del Venezuela è quello della qualità. Si tratta, infatti, di giovani musicisti che possono interpretare nei più grandi teatri, nei più gran-di saloni per concerto del mondo; sono dei giovani in grado di competere con le orchestre professionali più accreditate; ricordiamo qui Gustavo Dudamel e Diego Matheuz, entrambi ormai conosciuti in tutto il mondo e direttori alla Scala o al Teatro la Fenice di Venezia. Nelle loro esecuzioni, tuttavia, trovia-mo un valore aggiunto, oltre che musicale e sociale, vi leggiamo infatti an-che un riscatto spirituale, pertanto un riscatto integrale.

Nel film documentario c’è una frase di uno straordinario bambino musi-cista, un bambino miracolo di bravura tecnica, che però va ben al di là del virtuosismo con cui suona il violino, quando parla di sé e della musica come possibilità di rappresentazione. E allora vive l’idea di musica come l’idea di Dio, e viceversa. Il valore gnoseologico e quello etico possiamo leggerli perfettamente fusi nell’immagine fotografica dei suoi occhi neri e profondissimi: in essi si esprime quella spiritualità riscattata oltre ogni de-vastazione, il ritorno naturale al divino, al significato.

Ma il fascino di questo film va oltre il suo stesso valore di essere sintesi di un’esperienza d’eccezione. Crediamo, infatti, che si tratti di un vero e proprio atto di creazione. Un esempio di trasposizione del discorso e del sentimento in una forma originale.

In realtà il cinema non è nuovo alla realizzazione di forme di musicalità e narrazione unite in un unico testo, ciò accade quasi dai suoi primordi. Na-turalmente, distinguiamo quello che è la trasposizione o ripresa cinemato-grafica di un discorso musicale rispetto al film integrale in cui l’evento mu-sicale si fonde con il linguaggio cinematografico vero e proprio. Particolarmente insistente è stato il ricorso al film-opera, con esempi di-scontinui, ma in genere ben accolti dal pubblico e non disprezzati dalla cri-tica. Ricordiamo qui solo due esempi, per altro diversissimi: il Don Gio-vanni di Losey e la Carmen di Francesco Rosi. Sono film comunque significativi per la volontà di essere rispettosi di due esigenze che non sem-

Page 30: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

30 La musica come bene comune

pre possono essere perfettamente amalgamate. Ci riferiamo all’istanza nar-rativo/spettacolare e a quella dell’esecuzione musicale, senza incorrere in semplificazioni e banalizzazioni. Ma si sono dati esempi anche diversi di contaminazione tra una autentica struttura mista di racconto filmico e di antologia di brani musicali. Un esempio paradigmatico di questa seconda opzione è costituito dal Mozart di Milos Forman. Il racconto di una vita esemplare, e il parallelo organizzarsi del confronto tra due musicisti (Mo-zart stesso e l’amico-rivale Salieri) e due modi di intendere la musica, si in-treccia con le esecuzioni di opere ben note al pubblico e di esse si offre, di conseguenze, un’interpretazione sostanzialmente biografica, o contestuale.

Di primo acchito potremmo ascrivere Tocar y luchar alla seconda delle modalità indicate. L’alternanza di brani squisitamente narrativi e saggistici nella linea del film inchiesta si combina infatti con autentiche e suggestive esecuzioni in cui spesso interagiscono i giovani musicisti della scuola popo-lare creata da Abreu, spesso supportati dall’intervento commosso di famosis-simi direttori d’orchestra. Parimenti lo scenario di grandi teatri costituisce di per sé una tratto distintivo, musicalmente distintivo, dell’esecuzione, ben al di là della bellezza esibita della location. Tuttavia il criterio per cui il testo di Tocar y luchar possa essere ricondotto (e ridotto) a un’antologia o saggio di quanto funzioni, sul piano della formazione di qualità, il sistema Abreu, ci pare insufficiente. Crediamo, piuttosto, che il film proponga una più com-plessa struttura e costituisca un risultato maggiore. Se dovessimo con una comparazione definire un elemento di confronto e, in quanto tale, di erme-neutica, diremmo che ricorda la tipica mescolanza che si realizza nel teatro musicale dell’opera buffa e poi in certe sue evoluzioni nell’Opéra Comique. Il racconto, o recitativo, infatti, quasi privo di sottofondo musicale, è parte in-tegrante di un’unità successiva in cui la musica è non ornato, ma sostanza in-separabile di un tutt’uno omogeneo.

Se questa ipotesi ha una sua validità, potremmo concludere che Arevalo si è dimostrato con questo “documentario di creazione” un allievo che ha capito e introiettato in profondità il disegno di Abreu: fare della musica qualcosa di più che un piacevole intrattenimento, senza perdere nessuno dei suoi tratti distintivi. La musica come comunicazione del bello, ma an-che come messa in discussione di pregiudizi, frasi fatte, preconcetti esteti-ci ed etici. E con ciò troviamo anche la difesa dell’idea – tutt’altro che scontata – che l’esecuzione musicale è sempre una ricreazione e una tra-sformazione della partitura (sceneggiatura) da cui in origine si è partiti. È così che il documento si trasforma in creazione.

Page 31: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

31

giusePPina La face bianconi

LA MUSICA D’ARTE: PATRIMONIO D’EUROPA E STRUMENTO D’INCLUSIONE

Nel linguaggio comune parliamo correntemente di ‘musica’. In realtà,

non esiste la musica, esistono le musiche: tante musiche diverse per gene-re, tradizione, provenienza, funzione. Molte sono le musiche del mondo, e tutte, in quanto espressione di culture disparate, chiedono di essere com-prese, rispettate, amate.1 Se comprese, esse diventano patrimonio comune, bene comune.

L’Europa, e con essa l’Occidente, ha un patrimonio musicale particola-re: la ‘musica d’arte’. È una musica di tradizione scritta che, se non si esau-risce certo nella scrittura, non può tuttavia farne a meno. La scrittura delle note musicali è stata escogitata quando si trattò di trasmettere il canto co-siddetto gregoriano da un capo all’altro d’Europa: in altre parole, nasce in-sieme con la prima idea di Europa storicamente concretatasi, l’impero ca-rolingio. Da lì, attraverso i secoli, la scrittura musicale è evoluta ed è giunta fino a noi.2

Il patrimonio musicale d’Europa ha essenzialmente due componenti: un patrimonio materiale e un patrimonio immateriale. Il primo, il patrimonio materiale, è fatto di oggetti: strumenti, partiture, trattati, documenti, edifici adibiti alla musica. Il secondo, quello immateriale, si lascia a sua volta distin-guere in due categorie: (a) il patrimonio estetico, costituito da opere ed even-ti, ossia dai brani musicali composti, eseguiti e ascoltati; (b) il patrimonio in-tellettuale, che comprende i testi musicali in quanto testi, gli scritti sulla musica, i saperi sia teorici sia pratici, le tecniche esecutive. Un esempio con-creto: La traviata di Verdi è patrimonio materiale se alludiamo all’autografo di Verdi, o ai suoi abbozzi; è patrimonio intellettuale se ci si riferisce all’edi-

1 Cfr. L. Bianconi, La musica al plurale, in Musica, ricerca e didattica. Profili cul-turali e competenza musicale, a cura di A. Nuzzaci e G. Pagannone, Pensa Multi-media, Lecce 2008, pp. 23-32.

2 Cfr. M. H. Schmid, La scrittura musicale come prerogativa della composizione musicale in Occidente, in «Musica Docta», II, 2012 (<http://musicadocta.unibo.it/article/view/3325/2701>; accesso 30 novembre 2012).

Page 32: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

32 La musica come bene comune

zione critica curata da Fabrizio Della Seta, oppure al testo musicale in quan-to testo storicamente concepito e da studiare nelle sue componenti; è patri-monio estetico se si pensa alla Traviata eseguita con canto e suono alla Scala o in altro teatro, o registrata su un disco audio o video.3

Il patrimonio materiale, ossia quello costituito da supporti cartacei, stru-mentali, architettonici, andrà tutelato, conosciuto, conservato, valorizzato; il patrimonio immateriale va coltivato e trasmesso. In ogni caso occorre essere consapevoli che la musica occidentale non esiste soltanto immaterialmente – come musica da eseguire e da ascoltare – ma lascia importanti tracce mate-riali: le quali sono indispensabili alla sua conoscenza come fatto storico po-liedrico, e alla sua conservazione e trasmissione come fatto estetico.

Oggi mi soffermerò solo di sfuggita, e in chiusura di relazione, sul varie-gato mondo del patrimonio musicale materiale: se volessi parlarne a fondo dovrei aprire un lungo discorso sul concetto di ‘bene musicale’,4 e di con-seguenza sulle problematiche delle biblioteche, degli archivi, dei musei musicali, degli edifici destinati alla musica. Focalizzo invece l’intervento sul patrimonio immateriale, in particolare sulla musica suonata, cantata e ascoltata: in altre parole, sulle opere d’arte musicali.

Enuncio subito un concetto di base. Quasi tutta la musica occidentale, nel corso dei secoli, è stata concepita per gli ascoltatori (che sono poi an-che, nel contempo, degli spettatori): ciò vale per le Sinfonie di Beethoven, per Les Noces di Stravinskij, per Kontrapunkte di Stockhausen, per l’Orfeo di Monteverdi. C’è invero qualche eccezione: p.es. il madrigale del Cin-quecento, in cui il gioco sottilissimo che si instaura fra testo letterario, mu-sica e grafia è rivolto in primis agli esecutori stessi, che leggono e cantano dai loro libri-parte.5 Ciò non esclude peraltro il piacere dell’ascolto per gli eventuali uditori. Il patrimonio musicale d’Europa è dunque costituito pri-mariamente da musica che ‘si esegue perché qualcuno la ascolti’: se vo-gliamo che questo patrimonio venga conosciuto e trasmesso, dovremo for-

3 Cfr. L. Bianconi, Musica come bene culturale, in «Il Saggiatore musicale», IV, 1997, pp. 499-506: 502.

4 Cfr. la tavola rotonda I beni musicali: verso una definizione, in «Il Saggiatore mu-sicale», XI, 2004, pp. 157-180. E si tengano presenti anche le implicazioni esteto-logiche discusse in A. Serravezza, L’educazione estetica alla musica, in Educa-zione musicale e Formazione, a cura di G. La Face Bianconi e F. Frabboni, FrancoAngeli, Milano 2008, pp. 121-139.

5 Cfr. G. La Face Bianconi, Testo e musica: leggere, guardare, ascoltare, in «Peda-gogia più Didattica», IV, n. 1, gennaio 2011, pp. 111-131; anche in «Musica Doc-ta», II, 2012 (<http://musicadocta.unibo.it/article/view/3239/2622>; accesso 18 novembre 2012).

Page 33: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

G. La Face Bianconi - La Musica d’arte: patrimonio d’Europa 33

mare allora tanto gli esecutori quanto gli ascoltatori. Per quali vie possiamo raggiungere l’obiettivo?

Certo, non potrà essere la scuola di base a formare ‘esecutori’ agguerri-ti che affrontino opere d’arte proibitive come una Sinfonia di Beethoven o il Lohengrin di Wagner. A questo tipo di formazione provvedono i Conser-vatori e gli Istituti musicali, ossia istituti specifici, professionalizzanti. La scuola può nondimeno porsi l’obiettivo, realistico, di spingere gli studenti all’apprendimento dei congegni tecnici di base, essenziali per comprende-re il funzionamento del linguaggio musicale: per farlo, può promuovere or-chestre e cori e proporre brani importanti, di qualità, anche in trascrizione facilitata. Essa può poi incidere molto di più nel territorio dell’ascolto. In che modo? Ponendo lo studente a confronto diretto con l’opera d’arte mu-sicale e stimolandolo a un ‘ascolto riflessivo’: ossia a un tipo di ascolto che consenta di impadronirsi della struttura del pezzo, di focalizzarne i punti di aggancio e di snodo, di costruirsene una mappa mentale. Dal brano indivi-duato come punto di partenza, attraverso rimandi costanti alla contestualiz-zazione storica, il discente potrà essere indotto a ristrutturare incessante-mente i propri apprendimenti per giungere, alla fine del percorso, alla comprensione semantica dell’opera; e per approfondirla ogni qualvolta le si accosterà di nuovo.

Questo sapere, al quale si perviene per gradi e per scoperte successive, non ha nulla a che spartire con il raccontino nozionistico e banalizzante, con l’aneddoto, col riferimento semplicistico al dato biografico. Si basa in-vece sulla ‘lettura’ del testo musicale attraverso l’ascolto, su una decodifi-ca e ricodifica che coglie a livello cognitivo-emotivo suggestive e ramifi-cate implicazioni culturali: né più né meno di quanto avviene nelle altre discipline, ad esempio per un canto di Dante, un dialogo di Shakespeare, un’architettura del Borromini, un dipinto di Rembrandt. L’ascolto riflessi-vo implica nel discente un atteggiamento attivo: è anch’esso un ‘fare’, è una vera e propria ‘esperienza’ (nel senso di John Dewey) che al tempo stesso produce conoscenza e ne è il prodotto. Esso contribuisce altresì al processo generale della formazione, giacché sviluppa cognitività e metaco-gnitività, sollecita l’atteggiamento critico, raffina la sensibilità e il gusto, favorisce la partecipazione emotiva e nel contempo il controllo delle emo-zioni, rafforza il senso di appartenenza a una tradizione ma stimola anche il rispetto per le altre culture. Insomma, promuove democrazia.6

6 Cfr. G. La Face Bianconi, La musica e le insidie delle antinomie, in La musica tra conoscere e fare, a cura di G. La Face Bianconi e A. Scalfaro, FrancoAngeli, Mi-lano 2011, pp. 11-18.

Page 34: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

34 La musica come bene comune

La disciplina scolastica denominata ‘musica’ ha dunque bisogno tanto dell’‘ascoltare’ quanto del ‘fare’: la pratica dello strumento e del coro va perciò sempre congiunta all’ascolto di opere musicali di qualità e alla ri-flessione critico-storica, in un circuito continuo che dall’‘eseguire’ porti al-l’‘ascoltare’ e viceversa; entrambi conducono al ‘conoscere’. Così conce-pito, l’insegnamento di ‘musica’ esercita funzioni formative importanti (cognitivo-culturale; critico-estetica; linguistico-comunicativa; emotivo-affettiva; relazionale; identitaria e interculturale).7 La cultura musicale – intesa come ‘conoscenza’ – interagisce peraltro con quella linguistico-let-teraria, artistica, storico-filosofica, logico-matematica, divenendo strumento di connessione fra le varie aree del sapere.

La conoscenza del patrimonio musicale europeo (European Musical He-ritage), intesa come una chiave per connettere le varie aree del sapere, comporta un corollario decisivo: diventa anche un poderoso strumento d’inclusione. Per almeno tre motivi.

(a) Perché permette ai cittadini dell’Unione, che appartengono a tradi-zioni culturali molto diverse fra loro – Cipro non è la Svezia, la Polonia è diversa dal Portogallo – di riconoscersi in una tradizione musicale, e dun-que culturale, comune: appunto quella della musica d’arte. Se da un lato la chance dell’Unione Europea risiede, per definizione, nel binomio ‘unità nella diversità’, dall’altro è evidente che, per quante tradizioni musicali po-polino le culture dei 27 paesi dell’Unione – e a tutti i livelli, elitario e po-polare, urbano e rurale –, la musica d’arte offre una cornice ideale poten-zialmente unitaria, concordemente coltivata e praticata su tutta l’estensione territoriale del continente: il messaggio della musica d’arte – non facile né corrivo, e però seducente – ha un’ineguagliata capacità d’irradiazione. In tal senso esso può dare una forte spinta verso la costruzione di una vigoro-sa identità europea. Una buona educazione musicale contribuisce pertanto a creare una società più coesa e partecipativa.

(b) La conoscenza della musica d’arte può favorire una società più in-clusiva, giacché attraverso la musica – forse più immediatamente e inten-samente che attraverso altre espressioni culturali, dato l’alto potenziale emotivo sprigionato da quest’arte – i cittadini provenienti da Paesi lontani

7 Sulle funzioni formative della musica come le enunciano le Indicazioni per il cur-ricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo dell’istruzione emanate dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel 2007 (p. 64 sg.), cfr. l’ampia ricognizione concettuale e storica svolta in G. Pagannone, Le funzioni for-mative della musica, in Musica, ricerca e didattica, cit., pp. 113-156. Le Indica-zioni ministeriali sono state rivedute nel 2012, ma l’enunciazione delle funzioni formative è rimasta sostanzialmente intatta rispetto al testo precedente.

Page 35: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

G. La Face Bianconi - La Musica d’arte: patrimonio d’Europa 35

come la Cina, la Corea, la Malesia, che in Europa vengono a studiare, pos-sono meglio comprendere la cultura occidentale e abbracciarla nella sua ampiezza.

(c) La musica d’arte fornisce infine una chiave di comprensione anche ai gruppi extra-europei che in Europa si trasferiscono non per ragioni di studio bensì di sopravvivenza: una buona educazione musicale rivolta ai bambini immigrati dà loro strumenti di base per acclimatarsi e partecipare attivamente a una civiltà distante da quella d’origine, nella quale però de-vono imparare a vivere e agire.

Una buona educazione musicale corrobora dunque il senso di apparte-nenza a una determinata tradizione culturale nella sua multiforme varietà, e nel contempo dà strumenti per «il confronto, la conoscenza e il rispetto di altre tradizioni culturali».8 Rafforza il senso di ‘cittadinanza’ negli europei e dona a chi viene in Europa strumenti di comprensione della cultura occi-dentale. E ciò beninteso nel rispetto delle differenze e della specificità del-le tradizioni musicali che ciascun cittadino immigrato – alla stessa stregua di ciascun cittadino comunitario – porta con sé. Dico ‘rispetto’ ma in real-tà intendo qualcosa di più impegnativo: è importante che a loro volta i cit-tadini europei si sforzino di conoscere le culture musicali dei gruppi che migrano verso l’Europa. Ma attenzione: questa conoscenza, se vuol essere vera e reale, esige serietà e non improvvisazione, approfondimento e non superficialità. Non possiamo ridurre la mediazione interculturale a una fac-cenda di ‘buon cuore’, di spensierata ‘accoglienza del diverso’: occorre co-noscere per comprendere, cogliere le differenze per impostare una sintesi. All’Etnomusicologia – allo studio scientifico delle culture musicali di tra-dizione orale e della loro irriducibile varietà – spetta in tal senso un compi-to nevralgico nella relazione tra culture diverse.9

Se il patrimonio immateriale, ossia la musica suonata e ascoltata, è un mezzo potente per l’inclusione, la stessa funzione può svolgere anche il pa-trimonio materiale. Con minor forza di suggestione, ma forse con una mar-cia in più. Perché il patrimonio materiale – partiture, strumenti, teatri – ri-vela nel concreto il processo costruttivo, il ‘fare’, l’‘agire’, l’‘operare’ dell’uomo in campo musicale. Un flauto, un manoscritto, una stampa sve-lano tangibilmente come si produce il suono, come si organizza la scrittu-ra, come la si distribuisce sulla pagina. Un teatro mostra in maniera espli-cita il rapporto fra l’edificio e la sonorità, dunque fra architettura e acustica.

8 G. Pagannone, Le funzioni, cit., p. 132.9 Cfr. N. Staiti, «Tutto è zuppa»? Musica interculturalità, educazione: una prospet-

tiva etnomusicologica, in «Il Saggiatore musicale», X, 2003, pp. 135-149.

Page 36: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

36 La musica come bene comune

Così per uno studente, per un bambino, il fatto musicale diventa esplicito, si fa materia da osservare, da toccare, da padroneggiare con gli occhi, col tatto, oltre che con l’udito. In questo senso il museo della musica – che cer-to non attira le orde di visitatori che affollano le grandi pinacoteche – ha un compito fondamentale.10 Esso si pone come strumento didattico d’eccel-lenza, in quanto mostra e spiega processi artistici e culturali complessi, che hanno condotto la società occidentale, in secoli e secoli di civiltà, a svilup-pare tradizioni musicali specifiche. E i segni concreti che esse hanno la-sciato svelano il senso profondo della cultura che le ha prodotte, alla quale apparteniamo e alla quale tutti siamo chiamati a partecipare. Il museo mu-sicale diventa dunque lo spazio per un’esperienza formativa;11 fattasi og-getto, la musica corrobora il senso storico, fondamentale in ogni processo d’inclusione socio-politico che voglia essere efficace.

Sono convinta che nei prossimi anni l’attenzione alla musica d’arte d’Europa – intesa come patrimonio sia materiale sia immateriale – potrà sviluppare, assieme ad aspetti della cultura artistica e letteraria, il senso culturale e politico dell’Europa unita, il quale non può certo costituirsi sol-tanto attraverso una moneta unica, più o meno forte, e comunque preda di un mercato sempre più aggressivo e oscillante. È dunque importante che il Parlamento d’Europa e la Commissione europea colgano i processi cultu-rali in atto e diano spazio e impulso a forme di cultura capaci di costruire davvero un’Europa consapevole della propria tradizione e della propria forza intellettuale, e perciò premurosa di quel ‘bene comune’ che consiste nella musica d’arte.

10 Cfr. E. Pasquini, Quale didattica museale per i Beni musicali?, in La musica tra conoscere e fare, cit., pp. 81-88.

11 Così E. Nardi, citata in E. Pasquini, ivi, p. 85.

Page 37: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

37

Ludovica MaLknecHt

“IL DEFINITIVO APPAGAMENTO DELL’ESSERE”: MUSICA E ISTANZA ETICA IN HERMANN BROCH

L’esigenza – particolarmente avvertita nei periodi di crisi o di transizio-

ne – di affermare il primato di questioni di ordine etico-politico, volte alla ricostruzione del tessuto sociale o alla promozione del bene comune, può investire la funzione dell’arte in modo che le sue condizioni di possibilità vengano ripensate a partire dalla loro incidenza o meno all’interno di un più vasto sistema di valori e conoscenze, oppure, che alle produzioni arti-stiche e culturali vengano implicitamente rivolti interrogativi orientati a metterne in discussione o a rifondarne la legittimità. Si tratta di problemi che si sono imposti in modo urgente e drammatico alla cultura europea del Novecento, in particolare in ambito germanico, con l’esperienza delle due guerre, quando tali problemi si caricavano di ulteriore gravità a causa del-la percezione sempre più nitida del nesso tra simbolizzazione culturale e catastrofe storica, dando luogo a una profonda assunzione critica del patri-monio intellettuale.

In questo contesto si colloca la figura di Hermann Broch, il quale pre-senta il problema dell’arte e della sua legittimità morale come una questio-ne specificamente legata alla contemporaneità ed è per questo che le sue considerazioni in ambito estetico sono spesso declinate in rapporto a una specifica filosofia della storia o presentate nei termini di una diagnosi epo-cale, in cui la musica – come si potrà osservare – assume un ruolo tutt’al-tro che marginale.

Il contributo richiesto per l’almanacco in commemorazione di Arnold Schönberg, pubblicato da Simon Fischer nel 1934, diede occasione a Broch di dedicare alla musica una specifica riflessione teorica: le Riflessioni sul problema della conoscenza in musica.1 Ricondurre l’argomento musicale a problemi di natura gnoseologica significava già, per Broch, sottoporre il discorso sulla musica all’istanza etica che procede dal fatto estetico e col-locare quest’arte, come era stato fatto con la poesia, nella dimensione di

1 H. Broch, Riflessioni sul problema della conoscenza in musica, in Id., Azione e conoscenza, tr. it. di S. Vertone, Lerici, Milano 1966, pp. 101-112.

Page 38: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

38 La musica come bene comune

senso di quelli che sono stati definiti i «tre vertici»2 del pensiero e dell’e-sperienza brochiani: poesia, conoscenza e azione. Per Broch, infatti, le di-verse arti falliscono il proprio obiettivo nel momento in cui non esprimono conoscenza, diventano autoreferenziali e svincolate da una prassi connota-ta eticamente, prive di una finalità pratica. Questa finalità pratica, che Broch si assunse tanto nelle elaborazioni teoriche, nell’attività poetica, quanto nella propria esperienza umana, trova compiuta espressione nel tema dell’‘aiuto’, dell’effettivo bene, cui ogni uomo ha diritto e che ogni uomo ha il dovere di perseguire. Come sottolinea Hannah Arendt, nella Prefazione alla raccolta dei saggi brochiani,3 la questione basilare che orientava tanto l’indagine teorica quanto l’esigenza pratica di Broch, era la domanda sul ‘che fare’,4 una domanda che non poteva fare a meno di ci-mentarsi con il tratto specifico dell’epoca ma anche con il problema dell’uomo in generale, determinante per il senso della sua esistenza, del suo conoscere e del suo agire. È così che la domanda sul ‘che fare’ si radi-calizza di fronte al limite estremo dell’esistenza umana, assumendo come problema fondamentale il problema della morte:

La risposta a questa domanda [al ‘che cosa dobbiamo fare’] doveva quindi

riferirsi non soltanto alla nostra epoca ma al fenomeno della morte in se stesso. L’interrogativo poteva bensì scaturire dai problemi del nostro tempo, ma al di là di questi, almeno nell’interpretazione datane da Broch, esso era pur sempre una interrogazione sulla possibilità di superare la morte nel mondo. E la rispo-sta, per essere all’altezza del problema della morte, doveva perciò possedere lo stesso carattere di inevitabilità, la stessa inesorabile necessità della morte.5

Almeno in una fase più matura del suo pensiero, Broch nega alla poesia

(ovvero alla propria attività), e alla conoscenza che essa dischiude, questo «carattere assoluto e necessitante che – spiega Arendt, sintetizzando le ar-gomentazioni brochiane – in una salda immagine religiosa del mondo spet-ta al mito di cui [la poesia] è ancella».6 Questa insufficienza della poesia a

2 H. Arendt, Prefazione, in H. Broch, Poesia e conoscenza, tr. it. di S. Vertone, Le-rici, Milano 1965, pp. 9-49: 9.

3 H. Arendt, Prefazione, cit.4 Domanda cui Broch dà particolare rilievo nel saggio su Il male nel sistema dei va-

lori dell’arte, in Id., Poesia e conoscenza, cit., pp. 395-441: 397: «L’umanità si è venuta via via estraniando dalla propria coscienza e, ciò malgrado, ha cominciato a sentir ritornare nella propria anima, sempre più insistente e oppressiva la do-manda sul ‘che fare’».

5 H. Arendt, Prefazione, cit., p. 17.6 Ivi, p. 16.

Page 39: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

L. Malknecht - “Il definitivo appagamento dell’essere” 39

generare conoscenza presenta una precisa connotazione epocale: la poesia vede minacciata, quando non espressamente negata, la propria legittimità, perché non più capace di rappresentare in modo unitario la totalità dell’e-poca che ha perduto anch’essa la salda unità del fondamento dei valori e della conoscenza. Il fascino che la nozione di totalità esercita sul pensiero brochiano non può essere svincolato dall’esigenza di un’autentica com-prensione della realtà come condizione per la partecipazione alla vita (nel saggio sulla musica Broch parla espressamente di un «sapere attivo»7). Il riferimento costante alla totalità permette di elevare lo sguardo dell’uomo oltre l’apparenza degli elementi isolati per farlo penetrare nell’orizzonte (totale) del senso e di aderire effettivamente alle cose che, all’interno di questo orizzonte, possono essere colte nella loro verità. Il senso e il senti-mento della totalità si rivelano allora precondizione di ogni conoscenza, in cui ogni particolare viene sottratto alla contingenza e compreso secondo la «legge che lo lega a tutte le cose».8 Una simile comprensione del mondo è quella in grado di porsi come un orientamento alla prassi, proprio perché in grado di sostenere la relazione tra il “proprio essere” e la totalità.

Nel saggio del 1934, è la musica a presentare i requisiti di rigore e unità che, tra le diverse arti, l’arte musicale condivide in maniera specifica con l’architettura.9 L’architettura, infatti, è l’arte che reca in sé, nel modo più es-senziale e costitutivo, l’impronta dello stile, in cui l’unità dello Zeitgeist, lo ‘spirito dell’epoca’, viene portata a espressione. Nello stile architettonico emerge l’elemento unitario che rimanda all’orizzonte della totalità, l’oriz-zonte del Logos. «Lo ‘stile architettonico’ è logica»10 – afferma Broch –, la stessa logica che sostiene ogni singolo elemento del reale e che prende corpo nella spazialità dell’architettura. La sua specificità formale emerge alla luce del primato valoriale attribuito da Broch alla spazialità rispetto alla tempora-

7 H. Broch, Riflessioni sul problema della conoscenza in musica, cit., p. 106. La co-noscenza del Logos si configura come un «sapere attivo» che pervade l’uomo me-diante il sentimento (Gefühl) con cui egli percepisce se stesso e i singoli fenome-ni del reale all’interno della totalità, all’interno di quella «logica delle cose» (ivi, p. 103) presiedute e sostenute, appunto, dal Logos. Questo sentimento è, per l’uo-mo, «[…] il più prezioso della sua vita. E’ appunto questo sentimento [che] per-mette all’uomo sinceramente legato alla vita di comprenderne i fenomeni e di far-si afferrare dal mondo; è questo sentimento che lo spinge a tendere incessantemente l’arco che unisce il fenomeno singolo alla totalità del reale e quella del proprio essere». (Ivi, p. 106).

8 H. Broch, La Morte di Virgilio, tr. it. di A. Ciacchi, Feltrinelli, Milano 2010³, p. 374.9 Cfr. H. Broch, La disgregazione dei valori, in Id., Azione e conoscenza, cit., pp.

7-49, in particolare, pp. 7-17.10 Ivi, p. 12.

Page 40: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

40 La musica come bene comune

lità, a partire da una concezione dello ‘stile’ che diventa paradigmatica nello stile architettonico. Dietro il fenomeno dello stile Broch intravede

[…] il problema fondamentale di ogni filosofia, l’unico che sia in grado di

legittimare la filosofia stessa: l’angoscia davanti al nulla, l’angoscia per il tem-po che ci trascina verso la morte. E l’inquietudine che suscita in me la cattiva architettura […] forse non è altro che questa angoscia. Perché tutto quello che facciamo, lo facciamo per annullare, per superare il tempo; e questo supera-mento si chiama spazio. Persino la musica che pur si muove unicamente nel tempo e che lo realizza, trasforma il tempo in spazio.11

La musica, dunque, determinando più di ogni altra arte la spazializzazio-

ne del tempo realizza compiutamente il principio della forma architettoni-ca. In altre parole, se la connotazione essenziale del tempo è quella di esse-re proiettato e, dunque, di proiettare verso la morte, ogni attività umana che si opponga a questa tendenza dovrà intendersi come produzione di spazio, ossia – nella terminologia di Broch – creazione, produzione di valore. La musica si afferma allora come attività propriamente razionale, ‘logica’, as-sumendo un ruolo del tutto peculiare, che investe il fondamento della vita umana e della sua destinazione ultima.

Nelle Riflessioni sul problema della conoscenza in musica la prospetti-va brochiana assume un’ulteriore specificazione e sfumatura: il supera-mento del tempo «lanciato verso la morte» avviene solamente mediante la comprensione della morte all’interno della totalità, in modo tale che la co-gnizione della morte si rivela come il vero e proprio «fulcro gnoseologico» dell’assetto architettonico-musicale:

È questo il fulcro gnoseologico della musica. L’organizzazione architettoni-

ca del decorso temporale attuata dalla musica, questo immediato superamento del tempo lanciato verso la morte, è infatti anche immediato superamento del-la morte nella coscienza dell’umanità. Ogni vera conoscenza è volta verso la morte, serve a far sì che la cognizione di essa permei di sé la vita; né esiste una totalità del mondo che non racchiuda in sé la morte. Per questo la musica ha il compito di realizzare, in ogni conoscenza che esprime,un atto di liberazione, un atto irrazionale e mistico e pur tuttavia dotato di convincente rigore, un atto di conoscenza che in una sola opera faccia emergere la totalità del modo: specchio monadico di un processo infinito.12

11 Ivi, p. 13.12 H. Broch, Riflessioni sul problema della conoscenza in musica, cit., pp. 110-111.

Page 41: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

L. Malknecht - “Il definitivo appagamento dell’essere” 41

La musica ‘conosce’ la morte perché ‘conosce’ il tempo che essa pur re-alizza e trasforma in spazio. Ma conosce anche la vita perché solo la cono-scenza della morte svela la totalità, l’unità nella quale i singoli elementi del reale possono essere conosciuti nella loro verità, nella «perenne unità del significato», che la conoscenza della sola vita non può esaurire.13

Per considerare la portata che questa tematica assume nel panorama più vasto della produzione brochiana si tenga presente come nella Morte di Vir-gilio (1945) la conoscenza della morte sia il fine che il poema virgiliano avrebbe dovuto perseguire e il cui fallimento esige dal poeta l’estremo sa-crificio. Nel romanzo, l’assetto musicale-sinfonico e il continuo approssi-marsi della parola alla musica nello slancio mistico-lirico della narrazione corrispondono al sacrificio stesso della parola e, soprattutto, al sacrificio della parola poetica. Dove la parola fallisce il contenuto, dove l’arte è im-possibilitata a esprimere l’inesprimibile e a dire l’indicibile, la musica ri-empie delle proprie forme il vuoto del significato che la poesia non riesce più a mediare, mantenendo il rinvio alla totalità che, se non è la parola de-finitiva che svela il mistero,14 è pur sempre un indicare, un alludere alla vera meta, un lambire il segreto e un approssimarsi a esso. Se un simile su-peramento della parola corrisponde a in qualche modo al suo annullamen-to e all’annullamento stesso della realtà da cui la parola procede,15 la forma

13 Cfr. H. Broch, La morte di Virgilio, cit., p. 374: «[…] la conoscenza della vita, ter-renamente legata alla terra, non potrà mai innalzarsi al di là dell’oggetto conosciu-to e donargli l’unità, la perenne unità del significato, in forza del quale la vita esi-ste come creazione e nella sua eterna esistenza viene eternamente ricordata. Solo colui, che in virtù della sua conoscenza della morte è consapevole dell’infinito, è in grado di fermare la creazione, la singola cosa nella creazione, come l’intera cre-azione in ogni singola cosa. Perché il particolare non si lascia cogliere in sé; solo nel suo rapporto, solo nella legge che lo lega a tutte le cose, esso è durevole».

14 Si tratta della parola celebrata nella parte conclusiva della Morte di Virgilio, della parola «al di là dell’esprimibile e dell’inesprimibile», «al di là del linguaggio», corrispondente alla musica che «era più che canto, più che tocco, più che nota, più che voce perché era tutto questo ad un tempo e prorompeva dal nulla e dal tutto come intesa più alta di ogni intendimento, come significato, più alto di ogni com-prensione, come la pura parola che era, sublime, al di là di ogni comunicazione e di ogni significato» (ivi, p. 539). Cfr., inoltre, G. Schiavoni, Hermann Broch, La Nuova Italia, Firenze 1976, pp. 67-72.

15 Cfr. L. Mittner, Storia della letteratura tedesca. Dal realismo alla sperimentazio-ne, Einaudi, Torino 1977 (2002), p. 1477: «Si può ammirare l’ampio respiro delle parti innodiche del romanzo Der Tod des Vergil, in cui il periodare stesso sembra voler creare un senso d’infinito allargandosi all’infinito nella sequenza di anafore, parallelismo amplificazioni; ma tale estremo rafforzamento di certi aspetti esterio-ri dei salmi non crea affatto una nuova e grande poesia. Qui è il primo pericolo in-

Page 42: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

42 La musica come bene comune

musicale sembra colmare della propria spaziale temporalità lo spazio vuo-to e l’attesa generati da questo annullamento, effettiva cognizione e utopi-co superamento del vuoto e della morte.

Conoscere la morte, nella fase più matura della pensiero brochiano, si-gnifica negarla come assoluto, sia pur come assoluto disvalore, poiché la conoscenza della morte implica la proiezione della vita in quell’assoluto che è già sempre oltre morte, attestando la possibilità del suo superamento. Ecco allora che la conoscenza offerta dalla musica manifesta pienamente la propria valenza etica, indicando all’uomo la dimensione di senso nella pos-sibilità stessa di trascendere la morte. Il continuum delle sue forme consen-te alla musica di instaurare la stabile razionalità del Logos, secondo una di-namica che Broch spiega con queste parole:

La tendenza ad equilibrare una situazione o ad instaurare l’equilibrio della

“verità” copre sempre l’aspirazione a trasformare la corsa precipitosa della vita in una situazione statica, in uno stato di riposo che, come approssimazione al definitivo, sia in grado di fornire l’illusione del superamento del tempo e del superamento della morte. Se tutti i contenuti del mondo potessero essere porta-ti ad una condizione di equilibrio, se il mondo potesse essere concretamente formato e trasformato in un sistema della totalità, in un sistema in cui ogni par-te condiziona e sostiene l’altra, se questa situazione (che la scienza persegue nell’ambito strettamente razionale) potesse realmente instaurarsi, si instaure-rebbe allora anche il definitivo appagamento dell’essere, la liberazione del mondo cui tende qualsiasi aspirazione metafisica e religiosa dell’umanità.16

Il «definitivo appagamento dell’essere» e la «liberazione del mondo» dovrebbero passare per la sua perfetta trasformazione in un «sistema della totalità» di cui Broch percepisce il carattere, più che utopico, illusorio, sen-za però rinunciare all’anelito effettivamente utopico che procede dalla for-mulazione stessa di quest’ipotesi. La configurazione specifica della cono-scenza musicale può dunque offrire all’esigenza unitaria della teoria brochiana un paradigma significativo dello stato di equilibrio cui il mondo anelerebbe e che viene ammantato di proprietà mistico-redentive.

La coscienza della crisi, lo sguardo critico e tragico che Broch rivolge al proprio tempo si rendono percepibili nella vocazione unitaria della sua pro-spettiva e dietro il misticismo nostalgico delle sue aspirazioni cosciente-

sito nell’arte di Broch; pericolo permanente, ineliminabile, perché derivante dal più profondo impulso dello scrittore che, teso sempre verso l’estremo sacrificio, anela a distruggere la realtà concreta e, con essa, la parola umana, la parola della poesia».

16 H. Broch, Riflessioni sul problema della conoscenza in musica, cit., p. 109.

Page 43: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

L. Malknecht - “Il definitivo appagamento dell’essere” 43

mente inappagabili. La necessità di una trasformazione, che non concerna solamente l’assetto politico e sociale della realtà, ma che ne investa il più profondo ordine strutturale e lo statuto metafisico, si impone alla concezio-ne brochiana, in cui l’aspirazione alla totalità coincide con la ricerca o, me-glio, con la nostalgia del fondamento ultimo e universale. Solo tale fonda-mento potrebbe ricomporre la frantumazione che Broch riscontra in ogni ambito del reale, nella specializzazione dei saperi come dei valori, nell’«a-tomizzazione di ciò che una volta era stata la totalità».17 Di fronte alla di-sgregazione dei valori, all’atomizzazione del reale e alla caduta del senso, il potere creativo e costruttivo della musica si configura come il miracolo inatteso capace di spezzare il mutismo del mondo reificato:

Erompendo dalla forza indomabile che tende alla formazione dello spazio e

malgrado la terribile astrazione della vita della nostra epoca, malgrado la sua palese impotenza a creare valori, è infine giunta a noi come un dono di Dio (e proprio nel momento in cui la fede in Lui si stava spegnendo e il mondo dive-niva muto) la musica, una lingua astratta del silenzio che copre il rumore delle macchine ponendole al suo servizio. Il mondo fruisce oggi di una musica, anzi di una pratica musicale prima inaudita, nel senso letterale del termine; copren-do il silenzio questa lingua rimane, almeno come potenzialità strutturale, musi-ca, e cioè la più astratta forma di strutturazione dello spazio, ultima o forse pri-ma realizzazione di valore della nostra epoca.18

17 Cfr. H. Broch, La disgregazione dei valori, cit., p. 29.18 H. Broch, Logica di un mondo in declino, in Id., Azione e conoscenza, cit., pp. 51-

68: 67-68.

Page 44: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini
Page 45: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

45

quirino PrinciPe

LA DELEGITTIMAZIONE DELLA MUSICA COME BENE COMUNE. LA RESPONSABILITÀ

DELLA CULTURA CATTOLICA

in te, Lucifer, sPeravi

Portae inferi PraevaLebunt

Simulacra diaboli Christus perfregit..Iulius Firmicus Maternus, De errore profanarum religionum, 8

edidit Konrat Ziegler, Teubner, Leipzig 1907

…squalet lucifugis insula plena viris;ipsi monachos Graio cognomine dicunt…

Claudius Rutilius Namatianus, De reditu suo, I, 440-441

La qualità di “bene comune” che noi riconosciamo alla musica ha signifi-cato soltanto a una condizione irrinunciabile: che si distingua tra musica for-te e musica debole. I due termini di distinzione devono essere intesi non come contrari e incompatibili, tali che l’uno escluda l’altro, bensì come estre-mi di un’unica scala dinamica e perciò axiologica, ossia come due poli oppo-sti e sovente contrapposti di ciò che intendiamo come “energia musicale” graduata. Do per scontato che oramai si conosca ciò che intendo con gli ag-

Page 46: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

46 La musica come bene comune

gettivi “forte” e “debole” applicati alla nozione di “musica”, e che sia noto il mio richiamo alla possibilità della musica forte di degradare in musica debo-le, e della musica debole di rinvigorirsi in musica forte, e alla conseguente esistenza di infiniti gradi dinamici intermedii.

Tale “Wertungsforschung” finalizzata alla musica implica la scelta di una “Gestalt”, in armonia con un orientamento dello schema mentale im-mediato cui adattiamo la nostra immagine dell’universo. La suddetta scala dinamica e axiologica, che essendo graduata lungo infiniti gradi è propria-mente una “gamma”, non si adagia su un piano orizzontale, bensì ascende o discende in direzione verticale. Musica forte e musica debole non sono “di qua” o “di là”, a destra o a sinistra o in mezzo, bensì “su” e “giù”, in alto o in basso a media quota. La direzione verticale, che dev’essere guida immediata della “Anschauung” se vogliamo anche soltanto tentare un mal-certo avvicinamento all’essenza della musica, una volta messa a fuoco e considerata con attenzione si rivela come “symbolische Form”. Tale forma altamente, anticamente e nobilmente simbolica è la piramide, attraverso la quale traspare, luminosa, la tetraktýs pitagorica. In basso, gli infiniti punti che giacciono alla base della piramide sono lontani, indifferenti, ossessiva-mente monotoni, di una monotonia erroneamente chiamata “uguaglianza”, e raramente solidali, poiché data la loro condizione e collocazione la mor-te dell’uno non trae con sé di necessità la morte dell’altro. Se li consideria-mo una metafora della società, essi sono figura di una tendenziale disorga-nicità, di una debolezza sociale, di un disfacimento “ab aeterno” in cui la coesione è una parola d’ordine illusoria e ideologica. A mano a mano che si sale lungo un qualsiasi spigolo della piramide, la fatica dell’ascesa ci ri-compensa con l’avvicinarsi progressivo dei punti, sempre più legati orga-nicamente l’uno con l’altro, fino a raggiungere il vertice che tutto lega in prossimità dell’Uno. In prossimità, così come il ramo discendente dell’i-perbole si avvicina infinitesimamente all’asìntoto: l’Uno assoluto, “ineste-so” secondo la definizione euclidea, è invisibile, inconcepibile, irraggiun-gibile. La musica forte è tanto più forte quanto più è vicina al vertice della piramide: ed è appunto Nuper rosarun flores di Dufay o la Matthäuspas-sion di Bach o Tristan und Isolde di Wagner o la Rhapsody in blue di Ger-shwin o Lux aeterna di Ligeti. La musica debole è tanto più debole quanto più scende lungo uno spigolo, e diventa mero e monotono impulso ridotto al minimo quando si adagia alla base: ed è appunto l’adagiarsi di quel ripe-titivo e mai variato “Viagra acustico” che è il ritmico gracidìo imposto dai DJ nelle discoteche.

La visione verticale è dunque obbligatoria, se vogliamo orientarci fra i diversi aspetti (e “tra” i diversi aspetti) della fenomenologia musicale. È un

Page 47: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

Q. Principe - La delegittimazione della musica come bene comune 47

errore l’abitudine a considerare i diversi gradi di energia, di nobiltà, di ran-go e di potenza semantica e intellettiva, connotanti, in quanto gradazioni in più o in meno (più forte, meno forte, più ampio nel respiro, più soffocato, traumatizzante, sedativo, irritante, noioso, esaltante, monotono…), diverse qualità di musica, sì, è un errore volerli considerare come “generi”, ciascu-no con lo stesso grado di legittimità e di funzionalità intellettuale, formati-va, sociale: tutto sullo stesso piano orizzontale, tutto allo stesso livello in nome della “democrazia”, qua la “classica”, là dietro San Remo, un po’ di lato il rock, alla terza a sinistra c’è il “metal”, ancora cento metri ed ecco il New Age… No, ciò che definisco “musica debole” non è qualcosa di “di-verso”, non è, come si usava dire alla maniera sessantottina, “un altro tipo di discorso”, qualcosa che si collochi “da un’altra parte”. No, è semplice-mente una cosa fatta da qualcuno che ha pochi mezzi e poche idee, che è tecnicamente inferiore poiché è sprovveduto, poiché non ha studiato né im-parato abbastanza, poiché è un orecchiante. Non è qualcosa di peccamino-so né di sovversivo né di scandaloso né di “proibito” (magari lo fosse!): è una cosa fatta così così, o addirittura mal fatta, fatta rozzamente e dilettan-tescamente, con poveri mezzi, ai quali la petulante iterazione (obbligatoria, altrimenti quella tal cosa si arresterebbe dopo due battute, dopo una man-ciata di suoni… o di “sounds”…) non toglie la noiosità né la stucchevolez-za. Alle Olimpiadi, gli atleti si misurano in diversi sport, ciascuno articola-to in diverse specialità. Fra queste, per esempio, si corrono i 200 metri piani. Se un atleta in competizione è costretto a fermarsi a poco meno del-la metà del percorso di gara, se non ce la fa o inciampa e zoppica, ciò non significa che si debba legittimare e ufficializzare la “specialità olimpica” dei 97 metri e 03 centimetri piani con crampo e azzoppamento con obbligo di fiatone. È, semplicemente, una sconfitta, un flop. Se, in una gara per aspiranti cuochi con l’obiettivo di diventare chef all’Hotel Astoria di Nim-mermehr sul Niemand, un concorrente non sa preparare la maionese e il so-ufflé gli riesce simile a un blocco di gesso per stuccatori, non per questo le nuove edizioni dei trattati di Anthelme Brillat-Savarin o di Pellegrino Ar-tusi registreranno, fra le nuove specialità gastronomiche, la mayonnaise tournée à la Sainte-Lady-Gaga e il soufflé à la Sainte-Pierre. Oh, non che poi si debbano gettare subito nella spazzatura: andranno sempre bene per il fox terrier di casa.

No, ciò che abbiamo definito “musiche deboli”, senza alcuno sprezzo elitario, si badi, ma con una persistente fedeltà al criterio dell’«unicuique suum», non sono quartieri della stessa città, agevolmente comunicanti, bensì stazioni di un’ascesa in alta montagna. Si tratta di qualità, di altezza crescente, di aria sempre più sottile e ravvivante. Mercoledì 4 aprile 2012,

Page 48: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

48 La musica come bene comune

sul “primo e più importante quotidiano d’Italia” (quello in cui un cronista musicale da anni scrive “kappelmeister” con due “P”, una “L” e l’iniziale minuscola, in luogo del corretto “Kapellmeister” con una “P”, due “L” e l’iniziale doverosamente maiuscola trattandosi di parola tedesca), apparve un articolo in cui si esprimevano considerazioni sul prossimo spettacolo di tale Vasco Rossi al Teatro alla Scala, e si aggiungeva che era quello, “final-mente”, il tentativo di “abbattere le barriere tra il rock e la musica classi-ca”. Affermazione ridicola, ma anche il riso alla fine non diverte. A parte la stolida abitudine d’insistere in quella sciagurata terminologia, “musica classica”, che una buona volta DEVE essere sostituita irreversibilmente con “musica forte”, non merita commenti l’immagine della “barriera”, scelta ad evocare visivamente il presunto “contrasto”. Non c’è alcun “con-trasto”, né sussiste alcuna “barriera”. Contrasto e barriera presupporrebbe-ro una contiguità e una collocazione sullo stesso piano del terreno. C’è, in-vece, lontananza vertiginosa, né può aver luogo alcuno scontro: la tigre non può lottare contro una zanzara.

La nozione di bene comune è soltanto in apparenza appartenente alla sfera dell’avere, e soltanto in forza di linguaggio figurato sembra alludere a qualcosa di simile a un possesso. In realtà, essa attiene alla sfera dell’es-sere, e si riferisce piuttosto a una qualità cui si adatta una valutazione axio-logica. Soltanto ciò che ha una pienezza di significato è un “bene”, ed è si-gnificativo che esso sia di comune partecipazione. Ciò che ha un significato debole o non ne ha affatto non merita neppure d’essere conside-rato in termini di axiologia. Perciò, quando parliamo di musica come bene comune sottintendiamo sempre che si assuma come oggetto la musica for-te, non la musica debole: e do per scontato che oramai sia nota questa ter-minologia, che ho proposto alcuni anni fa in luogo dei termini impropri se non addirittura errati come “musica classica”, “musica leggera”, “musica colta”, “musica d’arte”, “musica di consumo”, eccetera, e delle quanto mai improprie se non errate contrapposizioni che ne derivano.

La nozione di musica come bene comune dev’essere libera da qualsiasi sottinteso ideologico, dal momento che ogni ideologia si ritaglia il suo spa-zio nella sfera dell’avere, ed è assolutamente estranea alla sfera dell’esse-re. Se le ideologie riconoscessero la propria collocazione nella sfera dell’a-vere, sarebbero tollerabili, così come lo sono sempre i nemici leali che si presentino con le proprie autentiche generalità. Le ideologie, invece, sono tali per definizione proprio poiché si presentano come verità pertinenti la sfera dell’essere. Le ideologie sono fondate, per definizione, sulla menzo-gna. Fra le ideologie, le più spudoratamente fondate sulla menzogna sono le religioni caratterizzate da un Libro e da una presunta “rivelazione” elar-

Page 49: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

Q. Principe - La delegittimazione della musica come bene comune 49

gita da un presunto “Dio”. Una religione “rivelata” è una menzogna perfet-ta. Infatti, essa diffonde con spirito di conquista (e di rapina) la “parola di Dio”, e per far ciò spinge l’atto del mentire a un grado supremo di virtuo-sismo, riconoscendo apertamente che lo spazio di diffusione della “parola di Dio” è la sfera dell’avere. Non altro se non la sfera dell’avere è il pro-messo Aldilà, il premio concesso da Dio alla fede e alle opere poste al ser-vizio di Dio (ossia, di una Chiesa e particolarmente di una gerarchia o con-sorteria ecclesiastica e sacerdotale costituita in gruppo di potere e di dominio sui deboli e sugli illusi). Ma, con somma astuzia, quella stessa re-ligione decreta che la sfera dell’avere così intesa è una sfera trascendente, ontologicamente superiore, e perciò coincide con la sfera dell’essere.

Uno degli argomenti con cui l’ipocrita arroganza di cui il cristianesimo da sempre si nutre pretende d’istituire un legame organico tra la propria esistenza storica e le ragioni della musica (in generale, delle arti), è il noto invito ad apprezzare l’immensa quantità e l’altissima qualità delle opere d’arte visiva, di poesia, di musica nate dal terreno della cultura cristiana. L’argomento vorrebbe essere schiacciante quando si esercita in ambito pro-priamente cattolico, dal momento che nei paesi cattolici d’Europa le arti vi-sive, nel vasto orizzonte storico, sembrano avere raggiunto il massimo gra-do di densità, di doviziosa inventiva e di qualità. Il primato, sempre nella considerazione d’insieme e in un vasto orizzonte, non può non essere rico-nosciuto alla Primavera di Botticelli che è opera laica su commissione lai-ca ma è consanguinea alla Scuola d’Atene di Raffaello, opera sublime in sede vaticana; alla cattedrale fiorentina di Santa Maria del Fiore, ideata da Brunelleschi più agnostico che religioso cui si associò, nel comporre un mottetto sacro di consacrazione qual è Nuper rosarum flores in cui le mi-sure proporzionali della cattedrale si riproducono in musica, il credente e devoto Dufay; alla Commedia dantesca, volta a rappresentare la sopranna-tura e l’aldilà; a Machault, Ockegem, Palestrina, Gesualdo, Monteverdi, Vivaldi (e allo stesso Johann Sebastian Bach, luterano certamente ma capa-ce di assorbire l’intera tradizione anche cattolica della musica sacra occi-dentale). Ma in realtà tutti quei capolavori devono assai poco ai dogmi cat-tolici e meno ancora alla cosiddetta “morale” cattolica: essi sono nati malgrado se non addirittura contro le condizioni materiali, economiche e politiche – dominate dalle gerarchie ecclesiastiche – in cui esse, in quanto opere d’arte in sé e non in quanto gesto polemico o criptico o allusivo e eventuale oggetto di “do ut des”, nacquero. In particolare, le gerarchie cat-toliche hanno esercitato un mecenatismo soltanto apparente, mentito: per esse, l’arte come oggetto di riflessione pseudo-teologica (nessuna delle tre religioni abramiche ha prodotto una riflessione teologica che si possa ra-

Page 50: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

50 La musica come bene comune

gionevolmente prendere sul serio…, come invece è accaduto in altri ambi-ti religiosi della civilizzazione umana, e basti l’esempio dell’induismo), gli artisti, le opere d’arte da essi create, sono “possessi”, fanno parte della sfe-ra dell’Avere, così come le biblioteche, gli strumenti musicali. In origine, il cristianesimo cominciò a costruire una dogmatica involontariamente co-mica rubando e scopiazzando concetti e idee (si pensi anche soltanto al λόγος, alla nascita di un Redentore, ai fedeli che “mangiamo” il corpo del loro dio…). Rapina di idee che è divenuta rapina di parole, rapina linguisti-ca; quest’ultima, a sua volta, è divenuta rapina di cose, di beni culturali, di attribuzioni e di meriti storici.

Il cristianesimo, e particolarmente il cristianesimo di confessione catto-lica, subordina a tale obiettivo trascendente (mascheramento di obiettivi tangibilmente terreni) qualsiasi linguaggio, con un occhio di riguardo per i linguaggi delle diverse arti: fra esse, la musica ha la posizione di rilievo che conosciamo. Nella tradizione cattolica, la musica, apparentemente fiorita con il conforto e la benedizione della Chiesa, in realtà è stata ripetutamen-te umiliata e ridotta a strumento della liturgia, del proselitismo e della lau-datio Dei. La concezione della musica come “instrumentum imperii” è di-venuta accentuatamente cinica e impudente negli ultimi cento anni, e più che mai negli ultimi decenni, da quando la Chiesa cattolica,1 desiderosa di

1 So perfettamente quale sia, da parte cattolica, l’immancabile bacchettatura “cor-rettiva” nei confronti di chi, come me, addita le responsabilità dell’apparato di po-tere definito, con legittima espressione linguistica, “Chiesa cattolica”. Con suppo-nenza, con derisione, con volgari insulti, ci si replica che la Chiesa cattolica è “l’insieme di tutti noi fedeli cattolici” intesi come ”popolo di Dio” (sinistra, ripu-gnante espressione!), come ”corpo e sangue nella comunione dei santi [!]” e come “Chiesa vivente”. Insomma, un Leviathan, un odioso monarca fatto di milioni di corpi miserandi, e per giunta lagnoso, baciapile, litaniante e salmodiante. È inuti-le ogni commento: questa ipocrita definizione di “Chiesa cattolica” non riesce a nascondere la vera natura di un potere oligarchico, feroce, fondato su una gigan-tesca bugia cui credono i gonzi, illiberale nel midollo, animato da spirito di rapi-na. Analogamente, la speculare e complementare menzogna da parte della gerar-chia di potere di un preteso Stato “laico” (?), secondo cui “lo Stato siamo tutti noi cittadini”, non riesce a nascondere la vera natura di ciò che lo Stato è de facto: una consorteria o corporazione di potenti corrotti e analfabeti, arroccati al vertice dei tre poteri idealizzati come “indipendenti” da Locke, da Montesquieu, da Tocque-ville, e in realtà sovente in contrasto tra essi stessi, ma solidali nel perseguitare i cittadini, nel trasformarli in sudditi, nel privarli gradualmente delle fondamentali libertà, nel saccheggiare e distruggere i loro beni mediante l’ignominia fiscale. Nella condotta criminale della Chiesa e dello Stato, quest’uso nominalistico e fal-sificante delle parole “Stato” e “Chiesa” e la corruzione del rapporto tra significa-to e significante sono forse i crimini più osceni.

Page 51: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

Q. Principe - La delegittimazione della musica come bene comune 51

vendicarsi di un Occidente secolarizzato e delle sue laiche e “pagane” con-cezioni estetiche, ha dato un calcio alla cultura occidentale, investendo i propri sforzi di proselitismo, o almeno di sopravvivenza là dove una con-quista (a causa dell’aggressiva invadenza dell’Islam) è impossibile, nelle culture asiatiche, africane, sudamericane. Così la Chiesa cattolica ha getta-to la maschera, e anche nei confronti della musica forte, verso la quale in-clinano paradossalmente, in grande numero, le migliori intelligenze musi-cali del mondo non occidentale, essa ha smesso di fingere simpatia e rispetto.

Non soltanto ha smesso di fingere. Mentre quella colossale pagliacciata che fu il Concilio Vaticano II, prova generale delle grottesche farse giovan-paoline, gonfiava le sue vele, la Chiesa cattolica già elaborava dichiarazio-ni sprezzanti e ostili nei confronti dei più “strategici” e connotativi fra i su-premi beni culturali d’Occidente. Ha immediata evidenza l’immane opera di distruzione perpetrata dal cristianesimo, con violenza e con frode, con assassinio, ricatto, intimidazione, terrore, plagio, corruzione, ipocriti ap-pelli alla “compassione” e alla “solidarietà”, sul corpo vivo di grandi e ci-vilissime culture: l’antica egizia trasfusa nell’ellenismo alessandrino (un crimine che superò la frontiera del descrivibile con l’uccisione e lo scem-pio di Ipazia il cui mandante o forse anche autore in prima persona fu “san” Cirillo patriarca di Alessandria), l’ispano-islamica felicemente eretica, i sassoni pagani sterminati da Carlo cosiddetto Magno, i catari albigesi di Provenza ridotti in cenere dalla crociata bandita da Innocenzo III, i fedeli a Wotan e Freia e agli altri culti odinici nell’area scandinava e baltica,2 le ci-viltà azteca e maya.

Ma è vicenda antica. I cosiddetti “apologeti” (bel coraggio, adottare questo termine per una banda di aggressori rotti a qualsiasi efferatezza!), i

2 Quale respiro di gioia improvvisa ci esce dal petto quando, ascoltando il wagne-riano Lohengrin, udiamo Ortrud esclamare (atto II, versi 532-537): «Entweihte Götter! Helft jetzt meiner Rache! […] Wodan! Dich Starken rufe ich! Freia! Erhab’ne, höre mich!» (“Dèi profanati! Ora, aiutate la mia vendetta! […] Wotan! Te, forte dio, invoco! Freia! Dea sublime, ascoltami!”; tr. it. di Q. Principe). Ma consumerei le mie mani nello sforzo di ricordare tutto l’orrore che il cristianesimo ha introdotto nella Storia. Testimonianza oggi di prima linea è il gigantesco lavo-ro storiografico di K. Deschner, Kriminalgeschichte des Christentums (10 volumi originariamente progettati), Rohwolt, Reinbek (Hamburg)-Berlin; tr. it. di C. Co-lotto, edizione italiana a c. di C. Pauer Modesti, Storia criminale del Cristianesi-mo, Edizioni Ariele, Milano 2000. In alternativa, si legga dello stesso Deschner un libro agile e denso, Opus Diaboli, Rowohlt, Reinbek (Hamburg) 1987; tr. it. di F. Pigliapoco, Opus Diaboli. Dieci implacabili saggi sul lavoro nella vigna del Si-gnore, introduzione di Q. Principe, Liberilibri, Macerata 1996.

Page 52: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

52 La musica come bene comune

piissimi Padri della Chiesa (se tali furono i genitori, come chiameremo la prole?), elaborarono un vastissimo progetto di demolizione e di distruzio-ne, sia delle strutture civili (i pubblici doveri, il servizio militare, la lealtà verso Roma, verso lo Stato che mai fu tanto degno di questo nome quanto lo fu al tempo dei “persecutori”, ossia di quei prìncipi che operarono per dare agli esseri umani a loro affidati dal destino la massima felicità (la mi-nima infelicità) possibile: Traiano, Adriano, Antonino Pio, Marco Aurelio, Alessandro Severo, Aureliano, Diocleziano, più tardi il sublime e anomalo costantinide Giuliano. (Aggiungerei al novero una figura che ho sempre molto amato, quella di Nerone, che molti segni, sopravvissuti ai tentativi di cancellazione, lasciano intuire “optimus princeps”, malgrado gli sforzi di una storiografia a lui ostile, pagana e insieme cristiana, questa volta). Men-tre i vescovi cristiani consigliavano di educare le bambine “al Bene” impe-dendo alla piccole sventurate di vedere un qualsiasi strumento musicale e anche soltanto di sapere che cosa fosse la musica, mentre “san” Girolamo, l’illirico traduttore della Bibbia in latino, impiegava energie per imporre il celibato ai sacerdoti cristiani ponendo così le basi della loro tormentosa in-felicità e dei loro vizi segreti, il siracusano Firmico Materno, nel suo De er-rore profanarum religionum (scritto tra il 346 e il 350 d. C.), si esaltava di-nanzi alla visione delle statue e dei templi pagani distrutti “da Cristo”: così egli scriveva trionfante. Il De errore profanarum religionum, quello scritto infame quanto il Mein Kampf hitleriano o i Protocolli dei savi anziani di Sion o la Circolare con cui Stalin ordinò l’operazione m. 00447 nel luglio 1937, fu un vero e proprio manifesto programmatico della persecuzione contro i pagani messa in atto dalle orde cristiane vogliose di sangue e fre-menti di orgasmo all’idea di veder crollare in polvere le opere d’arte, le mi-rabili architetture, le biblioteche, e di dare alle fiamme i libri della cultura pagana, della filosofia, della scienza, della poesia, comprese le opere di te-oria e filosofia della musica. Il De errore di Firmico fu uno scoperto e ostentato invito a spogliare i pagani di ogni loro bene e di ogni loro possi-bilità di vita, e, infine, a ucciderli, a sterminarli, a radere al suolo le loro case, i loro borghi e villaggi, i loro templi, le loro memorie familiari. Con spirito, almeno sotto l’aspetto della feroce violenza, degno della Torah e dei suoi capitoli e versetti più immondi, lo scritto di Firmico invita a incru-delire soprattutto contro donne, vecchi e bambini. Non a caso, il De errore fu dedicato a due assassini sanguinari e fratricidi nonché ipocriti bigotti e pavidi lacchè delle gerarchie ecclesiastiche cristiane: ai due imperatori co-stantinidi Costanzo II, “Augustus partis Orientis” (337-361), ariano, e Co-stante, “Augustus pars Occidentis” (337-350), niceno-costantinopolitano. Firmico Materno, nel suo “opus maius”, insinua nel suo odio mortale per la

Page 53: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

Q. Principe - La delegittimazione della musica come bene comune 53

musica una motivazione che a noi italiani dovrebbe suonare non ignota, anzi, familiare. Parlando dei sacerdoti pagani addetti a culti “femminili” come quelli di Cibele e di Iside, osserva che il loro canto rituale li rende si-mili a femmine, poiché la musica e il canto sono pratiche svirilizzanti, quindi oscene e corrotte da un elemento di sessualità, perciò empie. Il pas-so, nel capitolo IV, recita: «…cum sic se alienos a viris fecerint, adimpleti tibiarum cantu, vocant Deam suam. […] Quod hoc monstrum est, quodque prodigium? Negant se viros esse, et sunt…».3 Traduciamo questo coacervo di sessuofobia e omofobia e maschilismo idiota in termini secolarizzati, e otteniamo il movente dell’eliminazione della musica (“materia per educan-de, per signorine di buona famiglia”) dall’ordinamento didattico del siste-ma scolastico dell’Italia unita nel 1861, ad opera di Francesco De Sanctis4. Interessante, vero?

A parziale e mascherata difesa della funzione assunta dal cristianesimo sul terreno delle arti, si osserva spesso che il pensiero cristiano ha introdot-to il Brutto nell’arte, e soprattutto nell’arte da soggetto sacro, o religioso, o “spirituale”, o incline a tradurre in figura, in suono, o in immagini poetiche e drammatiche, le narrazioni dell’Antico e del Nuovo Testamento: mostri del Male e dell’abisso, suggestioni diaboliche, apparizioni infernali, démo-ni che «urla como luvi e baia como can» nel De Babilonia civitate inferna-li di Giacomino da Verona, il Diavolo in pieno assetto di guerra con muso di lupo, corpo scaglioso di coccodrillo, corna, coda di lucertolone, ali di pi-pistrello, zanne (e qui talvolta sfioriamo il comico, come nel celebre dipin-to di Michael Pacher in cui Satana è costretto a reggere il messale a Sankt Wolfgang), ferite, chiodi che perforano il corpo di Cristo, teste mozze con

3 Mi riferisco all’edizione di Kjøbenhavn (Kopenhagen) del 1826: Julii Firmici Materni, De errore profanarum religionum, edidit Christianus Karolus Henricus Fridericus Münter, episcopus Selandiae, Havniae anno Ecclesiae danicae millesi-mo, MDCCCXXVI, sumtibus C. A. Reitzel, typis excudebat Fabritius de Tengna-gel, p. 15.

4 Di questa stolida visione della musica come “attività femminile”, propria della classe dirigente dell’Italia unita in data 1861, ho già parlato con la debita derisio-ne nel mio saggio: Q. Principe, I nemici della musica, in AA.VV., Musica e Bildung, a cura di E. Matassi e C. Guetti, Mimesis, Milano-Udine 2010 (uscito come numero monografico di «Babelonline/print», n. 8, anno 2010), pp. 103-118, che è poi il testo del mio intervento di uguale titolo al convegno «Musica per tut-ti: il fondamento filosofico dell’apprendimento musicale nel sistema scolastico» (Roma, Teatro dell’Opera, 22-23 aprile 2008). Alle mie considerazioni sul tema sono parallele, nel medesimo convegno e nel medesimo volume (pp. 19-24), quel-le forti e penetranti di L. Aversano, L’esercizio della musica nelle scuole e nelle università italiane: presente, passato, futuro.

Page 54: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

54 La musica come bene comune

penduli segmenti di vasi sanguigni troncati, spade grondanti sangue, dan-nati che ci contorcono in fiamme, orrendi supplizi nella Commedia di Dan-te, urla laceranti al punto giusto e grida di terrore nelle varie versioni mu-sicali del Dies Irae. Tutto questo non infirma la bellezza dell’arte: anzi, la arricchisce, e lascia intendere che il Brutto o il Bello non hanno le loro ra-dici nella natura del soggetto rappresentato, bensì nell’evidenza, nella po-tenza semantica, nella forza., nell’energia, ossia nell’essenza del cosmo. Per questo, oggetti terrificanti e distruttivi come una stella (il Sole, per esempio), un oceano in tempesta, un pauroso strapiombo, sono spaventosa-mente belli, sia nella loro realtà naturale, sia nei seducenti tratti di un’in-quietante opera d’arte.

Ma si riconosca, dopo venti secoli di esistenza del cristianesimo e dopo millesettecento anni del suo funesto trionfo terreno (313-2013), che l’inva-sione del Brutto nelle arti, con esibizione delle “sacre orripilanze” divenute uno fra gli strumenti di spicco del “Kunstwollen”, ha finito per ritorcersi con-tro quell’ibrido imbastardito che voleva essere, in origine, la miserabile “estetica penitenziale” imposta dal pensatoio cristiano sin dai tempi della pura demenza tertullianea. L’irruzione del Brutto nelle arti ebbe in origine una finalità puerile e canagliesca: spaventare, incutere nelle plebi cristiane il terrore del castigo divino, grazie al quale le gerarchie ecclesiastiche poteva-no dominare meglio le coscienze e i”pastori” riuscivano ad assicurarsi l’ub-bidienza e la servitù del “gregge”, obbligando i “credenti” a riconoscere nei latrati rabbiosi di vescovi, parroci e arcidiaconi la presunta parola di Dio (la più odiosa e gigantesca menzogna su cui si fondano le religioni cosiddette “rivelate”). Una finalità intermedia e strumentale fu l’educazione antiedoni-stica: delegittimare, umiliare demonizzare il piacere, tutti i piaceri terreni, quelli dell’intelletto e della fantasia non meno che i piaceri corporei. Ma in Occidente, la metamorfosi del linguaggi artistici, degli stili e dei gusti, ha fat-to sì che i fruitori delle arti traggano piacere proprio dalla rappresentazione del Brutto, del Terribile, del Pauroso, del Mostruoso, nella pittura (Bosch, Arcimboldi, Füssli, Ensor…),5 nella poesia e nella narrativa (Dante, Villon, fino a Heine, Baudelaire, Lautréamont, Poe, Lovecraft, Montague Rhodes James…), nella musica (con esempi concentrati in determinate epoche, ten-

5 Si veda in merito l’immensa fenomenologia offerta, alla luce di un’inconfutabile filosofia delle arti, da un cattolico intransigente, libero e chiaroveggente quale fu l’austriaco Sedlmayr (H. Sedlmayr, Der Tod des Lichtes. Übergangene Per-spektiven zur modernen Kunst, Otto Müller Verlag, Salzburg 1964; tr. it. di M. Guarducci, La morte della luce. L’arte nell’epoca della secolarizzazione, introdu-zione di Q. Principe, Rusconi, Milano 1970.

Page 55: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

Q. Principe - La delegittimazione della musica come bene comune 55

denze di gusto, personalità d’autori, opere: la Sonata n. 2 di Chopin, alcune pagine di Musorgskij, Satie, Prokof’ev… sono tutte esperienze di visione, di lettura, di ascolto, in cui, con giusta nemesi, il brutto è bello, offre delizie e fremiti, suscita ammirazione. Quale meravigliosa vendetta a danno dell’an-tiedonismo cristiano!

Ma, appunto, l’irruzione del Brutto nell’arte e la sua riqualificazione nella categoria del Bello, sia pure originata a un movente losco ossia dall’intento di terrorizzare e di svalutare la natura corporea, è stata una con-quista: a beneficio dell’esperienza artistica, della ricchezza stilistica, del piacere intellettuale. L’infamia balza agli occhi se consideriamo l’azione censoria e persecutoria di chi ha voluto umiliare e demolire la bellezza de-legittimandola nella sfera dell’Essere,6 per poi impadronirsene nella sfera dell’Avere. Un esempio parallelo, o forse coincidente come caso particola-re, è quello della lingua latina, che la Chiesa cattolica, nella sua incommen-surabile imbecillità e nella sua ottusa criminalità culturale, abolì nell’uso liturgico a partire dal 1963, in armonia con il sullodato Concilio Vaticano II. Da quell’atto distruttivo (probabilmente, per la Chiesa cattolica, anche un atto suicida in lunga prospettiva… ce lo auguriamo!) derivò in Italia, in quello stesso 1963, l’abolizione del latino nella fascia superiore (scuola media) della scuola dell’obbligo. Tale scelta legislativa, voluta con isterica insistenza (chi scrive ne fu testimone diretto e polemicamente coinvolto in opposizione) dalle forze politiche di stretta osservanza cattolica allora do-minanti in Italia, ha avuto e ha tuttora esiti disastrosi (prevedibilissimi) nel-la qualità della preparazione scolastica dei cittadini italiani (di ciò, chi scri-ve è testimone oggi). Il pretesto, dichiarato con petulanza dai cattolici sia ecclesiastici che laici, era la natura poco “popolare” e troppo elitaria del la-tino studiato a scuola. Il vero movente era invece la piena consapevolezza dell’incalcolabile utilità del conoscere il latino e il greco e di quanto l’edu-cazione alla libertà e al senso critico sia implicita nelle lingua classiche, e la conseguente volontà di deprimere il più possibile il livello culturale de-gli italiani, al fine di renderli addomesticabili e docili alla volontà di domi-nio dei “pastori” e di quelle mosche cocchiere della gerarchia cattolica che si voleva fossero (e che in gran parte erano e sono) i pubblici poteri dello Stato. Ma, non appena gli adolescenti italiani tra gli 11 e i 14 anni furono defraudati e derubati della possibilità di conoscere uno strumento essenzia-le di memoria storica e di esercizio dell’intelligenza, la maggioranza delle

6 Esempio eminente di tale delegittimazione è l’esclusione del Bello dal novero dei trascendentali (l’Uno, il Vero, il Bene) da parte dei filosofi della Scolastica, o, al-meno, dalla maggioranza di essi.

Page 56: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

56 La musica come bene comune

scuole private cattoliche, fra le proprie offerte pubblicitarie, inserì la spu-dorata promessa: «Nella scuola media del nostro Istituto si studia il latino». Come dire: «Venite a studiare da noi: con una modica spesa in più, vi ele-verete dalla massa!».

Ed ecco subito l’analogia con l’uso e l’abuso della musica. Nelle chiese cattoliche, la messa, il battesimo, il matrimonio, le funzioni serali, hanno una colonna sonora banale, melensa, triviale, modellata sulle canzonette da festival di Sanremo o da canto pseudo-montanaro intonato stonatamente e sguaiatamente in rozzo unisono da reclute in uniforme vecchia maniera, oppure su ritmi da balera caribica o romagnola-balneare. L’inestimabile eredità di musica sacra, di cui la Chiesa cattolica è immeritevole detentri-ce, sembra essere stata vittima di una sistematica rottamazione. Oh, ma c’è sempre la chiesetta un po’ snob, c’è sempre la “messa degli artisti”, c’è sempre l’abbazia di Vattelapesca in Valle, dove le suore di clausura canta-no il gregoriano (eh, già, il “gregoriano”… Perché non Palestrina, o Mon-teverdi, o i mottetti del cattolicissimo Bruckner?). Anche qui, santa madre Chiesa offre sempre a chi lo desideri la possibilità di gustare una vera mu-sica “spirituale”.

Rimane così un’attenzione residuale, che si traduce in archiviazione, ostentatamente connotata da giudizi riduttivi, sprezzanti e meramente stru-mentali nei confronti della musica forte d’Occidente. La strumentalità si unisce a una dichiarata volontà di appropriazione: come a dire, “la musica serve soltanto alla fede, alla religione e alla liturgia, e perciò appartiene soltanto alla cultura cristiana, cattolica, confessionale”. L’appropriazione si traduce in un’arrogante delegittimazione della musica come bene comu-ne, e ciò è parallelo alla dichiarazione ideologica di un noto “movimento ecclesiale”, secondo cui anche la morale esiste soltanto se è “morale catto-lica”, sicché soltanto un cattolico credente può avere una propria vita mo-rale. In maniera analoga, soltanto chi sia cattolico credente può intendere l’essenza della musica, o tradurre, per esempio, i testi delle Cantate sacre di Johann Sebastian Bach. (Ma Bach non era luterano?...) Alla luce di que-ste considerazioni, potremmo esaminare una fenomenologia quanto mai varia.

Varia, ma anche deprimente, e alla fine abbastanza nota. Basta offrire a chi legge questa nota un filo conduttore.

Ho scelto un solo esempio, più che eloquente. Ne traggo citazioni te-stuali: esse sono oggetto, ciascuna, di un mio breve commento. «Un cata-logo egli è che ho fatt’io: osservate, leggete con me».

Questo aureo florilegio musical-teologico-pastorale lo raccolgo, per ora, da due libri. Il primo, sul quale mi soffermo rapidamente poiché si tratta di

Page 57: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

Q. Principe - La delegittimazione della musica come bene comune 57

enunciati d’obbligo in ambito cattolico, è di un autore oramai santificato, don Luigi Giussani, storico fondatore del movimento “ecclesiale” (?) defi-nito, con denominazione un po’ pesante e soprattutto lievemente strascica-ta, Comunione e Liberazione. Pochi conoscono, però, un dettaglio: eh, sì, poiché se è vero che il povero Claudio Chieffo e lo pseudo-frate Giuseppe Cionfoli detto “il cantautore di Dio” sono per eccellenza i compositori dell’oceanico esercito comandato (come?... ma sì, va bene: “presiedu-to”…) da Julián Carrón, è altrettanto inconfutabile che don Giussani (defi-nito dal parroco ciellino di Brugherio in provincia di Milano, durante un’o-melia pronunciata nel febbraio 2011, “il nostro Padre che è nei cieli”), oltre ad essere una specie di Messia, sia anche per eccellenza il musicologo e il filosofo della musica nell’ambito della “fraternità” ciellina: insomma, una mente universale.

«Niun mi tema!»: dal libro di Giussani voglio cogliere soltanto due o tre fiori. Prima, però, mi concedo una specie di nota in calce, solo che la col-loco qui, nel testo, poiché non è un’osservazione marginale. Un particola-re curioso: in quella “paella” ideologica che è il mondo cattolico, Comu-nione e Liberazione è una massa di manovra attivata da un fondamentalismo impudico. A una domanda da noi rivolta qualche mese fa a un esponente del Movimento, molto in “alto” nella gerarchia: «Ma che cos’è che soprat-tutto contraddistingue, oggi, la morale cattolica?», la risposta brusca e sco-stante fu: «Vede, Lei già pone la domanda in forma completamente errata. Non ha senso parlare di “morale cattolica”: è un pleonasmo. La morale non può essere altro se non cattolica. La morale, di conseguenza, o è cattolica, o non è». A difesa di questa “Weltanschauung”, molto rispettosa, come si vede, della libertà e della dignità altrui, è impegnata a fondo la pedagogia ciellina, a partire dalle scuole private che il Movimento controlla e ammi-nistra. Su tale pedagogia si modella, in misura maggioritaria e in stile bul-garo, l’atteggiamento comune agli aderenti, ed è atteggiamento omologato almeno ufficialmente, e se lo è ufficialmente è ciò che conta come imma-gine all’esterno. È un esempio forte, poiché una delle caratteristiche segre-te dell’uomo occidentale, dialettica rispetto all’individualismo faustiano, è la strana attitudine a subire il fascino di tutto ciò che nega la libertà. Ciò si aggrava, quando agisca sul cervello anche quella droga mortifera che è la religione. È nota la docilità con cui il militante di Comunione e Liberazio-ne, glorificando sé stesso, si vanti di far parte di un Movimento in cui tutti, a forza di stare sempre insieme sia negli incontri di natura religiosa, sia nel tempo libero, sia (ahinoi!) nel lavoro e negli affari, improvvisamente «si accorgono con gioia che la pensano allo stesso modo, e questa è una cosa bella!». Tanto è disciplinato l’esercito ciellino, da non poter neppure con-

Page 58: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

58 La musica come bene comune

cepire l’idea di dissentire, neppure su controversie minime, dalla gerarchia ecclesiastica. Com’è noto, c’è un’aspra contrapposizione tra il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, ed Enzo Bianchi, priore del mona-stero di Bose e oramai in odore di eresia. Bene: il militante di Comunione e Liberazione non ha dubbi: si colloca dalla parte di Scola, contro Bianchi, accusato ora di criptocomunismo (???), ora di snobismo laicizzante. Non molto diverso è lo spirito che regna nell’altro movimento cattolico fonda-mentalistico, l’Opus Dei, sicché può avvenire oggi (!!!) di veder pubblica-to nella rivista «Studi cattolici» un ampio articolo in lode di Luigi Gedda, implacabile persecutore di Giuseppe Dossetti, o una ricerca storiografica in omaggio ai gesuiti di «Civiltà cattolica», cacciatori di taglie che decretaro-no la morte civile del povero e grande Ernesto Buonaiuti. Nella cultura cat-tolica, e non soltanto in Italia (quella parte di Spagna che demonizzò Zapa-tero a causa della legislazione civilissima, laica e illuminata da lui promossa in favore dei diritti umani e della libertà di scelta sessuale, avreb-be qualcosa di detestabile da preannunciare agli altri europei), si sta affer-mando un pensiero unico, tutto appiattito sui “valori” della morale cosid-detta tradizionale. Odiosa parola, “tradizione”, così come odiosi sono gli aggettivi “popolare”, “pacifico”, “positivo”, “ottimistico”, o l’aggettivo “stragrande” applicato al sostantivo “maggioranza”! Il pensiero laico, am-messo che ancora esista, è ipnotizzato e pronto alla resa, come ai tempi del sadico assassino, il patriarca Cirillo d’Alessandria, detto anche, con maca-bro umorismo, “san” Cirillo.

Che cosa ci annuncia don Luigi Giussani? Qual è la sua buona novella? Quali orizzonti apre alla musica il fondatore del “Popolo di Dio” (sembra incredibile, ma i credenti e militanti nella Compagnia delle Opere chiama-no sovente così “Comunione e Liberazione”)? Avvertiamo che il titolo del libro ha un’origine altolocata: Spirto gentil, tolto di peso da Francesco Pe-trarca. Nella bimillenaria tradizione cristiana, lo scippo di parole e di con-cetti, di atti rituali e di festività, il rivestirsi delle spoglie di civiltà distrutte o di altre religioni tramontate, è un esercizio fra i prediletti. Peccato che la canzone di Petrarca, Spirto gentil che quelle membra reggi, sia un testo tal-volta inteso come appello a Cola di Rienzo, invocante la purificazione di Roma dal malgoverno ecclesiastico dei papi e dalla tracotanza dei nobili Orsini e Colonna, famiglie detentrici di autentici poteri di natura mafiosa, e folte, nei loro ranghi, di cardinali di Santa Romana Chiesa e di altri eccel-si prelati. Secondo altre interpretazioni (quella di Giosué Carducci, per esempio), il destinatario sarebbe Bosone de’ Raffaelli da Gubbio, ma gli ideali etici e politici di quest’ultimo furono simili a quelli di Rienzi, poiché entrambi lottarono come leoni contro ciò che Dante definì «una puttana

Page 59: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

Q. Principe - La delegittimazione della musica come bene comune 59

sciolta» (Purgatorio, XXXII, 149), e Petrarca chiamò «fontana di dolore, albergo d’ira» (Rime, ed. Carducci, 138, 1), «scola d’errori e templo d’ere-sia» (ivi, 2), «putta sfacciata» (ivi, 11), «nido di tradimenti, in cui si cova/ quanto mal per lo mondo oggi si spande» (136, 5-6), «di vin serva, di letti e di vivande/ in cui lussuria fa l’ultima prova» (ivi, 7-8): ossia, la curia pon-tificia, l’entourage di ciò che allora era il palazzo papale di Avignone e oggi è il Vaticano. Un curioso infortunio, quel titolo: la “gaffe” è di quelle gros-se, vistose. Fra l’altro, il santo predecessore di quel geniale protagonista della cultura che è Julián Carrón ha frainteso il significato che Petrarca die-de all’aggettivo e al sostantivo. Nella canzone petrarchesca, “spirto gentil” significa “intelletto nobile”; nel titolo giussaniano, è un colaticcio lezioso.

Le interpretazioni concettuali di varie musiche celeberrime, evidente-mente molto amate da Giussani (quell’amore sincero ci rende meno pessi-misti sul destino escatologico della sua anima), non si vale mai di osserva-zioni formali, che attingano alla “filosofia delle arti”: sono sempre epidermiche (il che non significa “non vere”…), iper-affettive, formulate a mani giunte, riscaldate dall’irradiazione di ciò che Adrian Leverkühn, pro-tagonista di Doktor Faustus di Thomas Mann,7 definiva, in passo del capi-tolo VIII, «Kuhwärme» (“calore di mucca”). “His fretus”, don Luigi Gius-sani dà per dimostrato che la sequenza del temporale prolungata fino all’episodio successivo della Sesta Sinfonia di Beethoven un avvicinamen-to a Gesù, che il II tempo della Terza Sinfonia “Eroica” è una palese medi-tazione sulla passione e morte di Cristo, che il Quartetto op. 132 del mede-simo autore è manifestazione di ascesi mistica (garantito!), che nel Quintetto per archi in Do maggiore D. 956 è evidente la colonna sonora che offre il clima giusto alla penetrazione del supremo Mistero teologico.8 Oh, intendiamoci! In quest’ultimo esempio interpretativo c’è un fondo di vero-simiglianza, ma comunque non si tratterebbe di teologia della musica, ben-sì del raggiungimento di una sapienza estetica ottenuta con la rinuncia go-ethiana che si dichiara in un terribile passo del Faust («Entbehren mußt du! Mußt entbehren!») e con la magia che Novalis conobbe.

7 Ne approfitto per invitare chi mi legge a percorrere con cura due libri molto diver-si tra loro ma dedicati a un tema ad essi comune, qui da me richiamato: quello di S. Zurletti (Le dodici note del Diavolo, ideologia, struttura e musica nel “Doktor Faustus” di Thomas Mann, Bibliopolis, Napoli 2011), e quello di L. Malknecht (Un’etica di suoni. Musica, morale e metafisica in Thomas Mann, Mimesis, Mi-lano-Udine 2010).

8 L. Giussani, Spirto gentil, antologia di scritti con commenti e postille, Rizzoli, Milano 2011. Le citazioni collocate nel testo di questa pagina si trovano, nell’or-dine, alle pp. 106, 126, 175, 231.

Page 60: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

60 La musica come bene comune

Ma sì: è innegabile che la musica innalzi lo spirito verso idee, pensieri, in-tuizioni intellettive, stati d’animo visionari, al livello del Sublime. Ma tutto ciò non può ridursi alla deprimente realtà disciplinare e penitenziale delle re-ligioni, soprattutto delle religioni “rivelate” e abramiche, nelle quali fatal-mente l’etica è più importante dell’estetica. Si possono affermare mezze ve-rità. La cui incompiutezza e parzialità si converte nell’affermazione del falso. Ci soccorre ancora Goethe: «Der eigentliche Obskurantismus ist nicht, daß man die Ausbreitung des Wahren, Klaren, Nützlichen hindert, daß man das Falsche in Kurs bringt», ossia: «Il vero oscurantismo consiste non già nell’o-stacolare la diffusione del vero, del chiaro e dell’utile, bensì nel mettere in circolazione il falso».9 Il pregiudizio religioso cattolico, secondo cui la musi-ca è usata nella maniera giusta (e quindi “posseduta” in modo strategico nel-la sfera dell’Avere) soltanto se è un inno in lode dell’Altissimo, è parallelo e simmetrico al pregiudizio dello Stato sedicente “laico” (?), e in realtà squal-lidamente moralistico, secondo cui la musica “serve” a formare il buon go-vernante e il buon cittadino. Lo stile e lo spirito con cui questa affermazione è presente in Platone (Politeia, III, 397 d – 404 b) o in Quintiliano (De insti-tutione oratoria, I, 9-33), sono radicalmente diversi: nella cultura antica pre-cristiana, la musica è arte degli déi, ed è il fine della παιδεία, mentre nella visione post-classica alla musica è riconosciuto un “alto valore formativo”, ma sempre in funzione di uno stato d’animo devoto e disposto alla preghiera (di una “educazione cristiana”), oppure, sul versante laico, in vista di un’edu-cazione all’ordine, all’armonia nei rapporti tra governanti e governati, ma sempre come mezzo, non come fine. Sfugge interamente e miserevolmente alla pedagogia post-classica (e ciò è dovuto essenzialmente all’inquinamen-to prodotto dall’infiltrazione del cristianesimo nella civiltà del λόγος) una verità profonda, più volte dichiarata a metà del secolo scorso, curiosa neme-si, dal quasi cattolico Thomas Stearns Eliot nei suoi scritti sull’educazione: per ottenere, con strumenti nobili e preziosi quali la poesia e la musica, un esito educativo che sia vivo e dia frutti, quell’esito non dev’essere dichiarato né perseguito come primario, pena il fallimento. Deve fiorire e crescere da sé, come acquisizione affidata al destino individuale di ciascuno (all’angelo-Fortuna di Dante, Inferno VII, 61-96), a fianco di un’azione che alla poesia e alla musica, e ad esse soltanto, deve mirare.10

9 J. W. von Goethe, Aus den Maximen und Reflexionen: ein Brevier, a c. e con tra-duzione italiana di G. Zamboni a fronte, Breviario di massime e riflessioni, Fussi, Firenze 1950, pp. 30-31.

10 Questa consapevolezza circola negli ultimi versi del poeta anglo-cattolico, in parti-colare nei Four Quartets: in Burnt Norton, V, 1-22; The Dry Salvages, III, 26-39;

Page 61: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

Q. Principe - La delegittimazione della musica come bene comune 61

Questa lenta e amara vicenda, che ha radici filosofiche e si è consumata sul terreno pratico e utilitaristico del dare e dell’avere (la musica come un “bene” da strappare ad altri e di cui impadronirsi) è all’origine di uno scempio culturale, di cui Stato e Chiesa sono corresponsabili. In particola-re, l’Italia offre di una condizione culturalmente depressa, grazie all’elimi-nazione della musica dall’insegnamento nei normali settori e gradi dell’i-struzione, perpetrata dalla classe cosiddetta dirigente che dal 1861 sovrintese ai destini dell’Italia unita.11 C’è una sinistra simmetria, un deso-lante parallelo: nella visione dello Stato, la musica (s’intende; la musica forte) può essere, nella più generosa delle valutazioni, un “modo per ele-varsi dalla massa” (sì, come la conoscenza del latino: una delle formule ideologiche più ottuse, più idiote, più mortifere per una società!), un intrat-tenimento, un hobby un po’ snobistico, ma non è lavoro, e per giunta le è stata strappata la qualità dell’essere cultura. Nella visione della Chiesa cat-tolica, la musica può essere preghiera, elevazione (ancora!!!) della spirito in vista di un ravvivamento della fede, ma le sue qualità estetiche non inte-ressano la “musicologia” ecclesiastica. Le è stata strappata la bellezza.

E proprio considerando l’immensità di questa devastazione concettuale e culturale vorrei concludere con due passi significativi tratti dall’altro li-bro cui alludevo, insieme con quello di Luigi Giussani. Qui l’idea guida, la marginalizzazione e infine la cancellazione del concetto di bellezza, velata e cautamente implicita nei passi giussaniani citati, è invece esplicita e spu-dorata. Si tratta degli Atti di un convegno: del “Primo Seminario Interna-zionale sulla Musica Liturgica”, che ha avuto luogo sabato 2 ottobre 2010 presso la Fiera di Cremona (Sala Stradivari) nell’ambito del “Salone Cre-

Little Gidding, I, 21-55. Ma la formulazione non metaforica è in tre fondamentali saggi: Tradition and the individual talent (1917), Modern education and the classics (1932), Religion and literature (1935), tutti e tre in: Th. S. Eliot, Selected Essays, Faber and Faber, London 19513. È evidente che non sia difficile al lettore italiano trovare questi saggi in edizione originale. Tuttavia, essi sono qualcosa di cui la me-dia cultura italiana è stata per così dire “derubata”. La casa editrice Rusconi, negli anni ’70, aveva più volte chiesto a Bompiani, che deteneva e tuttora detiene l’opzio-ne e i diritti per la traduzione e la pubblicazione di Eliot in Italia, di concedere la di-sponibilità dei tre saggi, per farne un piccolo libro intitolato: t. s. Eliot, Scritti sull’educazione e sulla scuola. La richiesta si fondava, oltre che sulla presunzione di buon vicinato e di buona educazione, sul fatto che Bompiani, dopo molti anni d’opzione attiva, mostrava un interesse assolutamente nullo per quei saggi, che era-no così “congelati”… e si poteva capire perché, dato il clima di quegli anni e la tem-peratura arroventata che accompagnava qualsiasi libro dedicato ai problemi dell’e-ducazione e dell’istruzione. Alla richiesta fu opposto un diniego.

11 Si veda ancora: Q. Principe, I nemici della musica, cit.

Page 62: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

62 La musica come bene comune

mona Mondomusica”. Il volume è aperto dall’intervento di monsignor Va-lentino Donella, nato a Verona nel 1937, direttore del «Bollettino Cecilia-no» (dal 1997) e della Cappella Musicale di Santa Maria Maggiore a Bergamo. L’uomo è certamente autorevole, nel mondo della liturgia e dei suoi princìpii ispiratori che provengono sempre “dall’alto”. La Cappella Musicale è a sua volta un luogo d’osservazione e di manifestazione di un pensiero cui va attribuita molta “auctoritas” storica e artistica. Attiva a Ber-gamo dal 1480, fondata, pare, dal presbitero Giovanni, ha avuto fra i suoi Maestri ecclesiastici e laici Franchino Gaffurio (1483), Guglielmo di Bur-gundia, Tarquinio Merula, Pietro Andrea Ziani, Johann Simon Mayr, Ales-sandro Nini, Amilcare Ponchielli, Guglielmo Mattioli (1900-1909) che at-tuò le riforme di Pio X.12 C’è da essere travolti da questa schiera di nomi illustri che attraversano secoli di storia. L’intervento di Valentino Donella è: Musica sacra del III millennio in Italia e nel mondo cattolico. Non vo-glio complicare né allungare il mio discorso con una riflessione sul termi-ne “musica sacra”. La musica sacra non è tale in forza di un testo”sacro” o di un referente religioso o “spirituale” (orrendo aggettivo!!!). È sacra se è bella, e se è mediocre è profana, e se è brutta è sconcezza. Sacro l’Ordo vir-tutum di Hildegard von Bingen, sacro è il mottetto Nuper rosarum flores di

12 Ah, le riforme di Pio X! Domenica 22 novembre, Giuseppe Sarto divulgò il breve Inter sollicitudines, in cui la musica era definita immancabilmente non già come un’arte configurante l’energia cosmica secondo archetipi e forme simboliche (una definizione che rivendico come mia), né come “durch Töne bewegte Form” (“for-ma mossa da suoni”, secondo Eduard Hanslick), bensì come “mezzo di elevazio-ne dello spirito a Dio” nonché come prezioso aiuto ai fedeli nella “partecipazione attiva ai sacrosanti misteri e alla preghiera pubblica e solenne della Chiesa” (que-sta, dunque la musica… meraviglioso!). La musica di chiesa doveva essere sot-tratta alle influenze del romanticismo e del teatro; questo significa, negli intenti di san Pio X, una sprezzante liquidazione di due capolavori, ossia dei due Requiem cattolici di Giuseppe Verdi e di Antonín Dvořák. Esattamente un secolo dopo, sa-bato 22 novembre 2003, papa Giovanni Paolo II richiamò all’attualità il breve di Pio X nella Lettera agli artisti. Ritornò sul tema poco dopo, nel chirografo di mer-coledì 3 dicembre 2003, ricordando un altro passo qualificante del breve di Pio X: «La speciale attenzione che è doveroso riservare alla musica sacra, ricorda il san-to Pontefice, deriva dal fatto che essa, “come parte integrante della solenne Litur-gia, ne partecipa il fine generale, che è la gloria di Dio e la santificazione ed edi-ficazione dei fedeli”. Interpretando ed esprimendo il senso profondo del sacro testo a cui è intimamente legata, essa è capace di “aggiungere maggiore efficacia al testo medesimo, affinché i fedeli [...] meglio si dispongano ad accogliere in sé i frutti della grazia, che sono propri della celebrazione dei sacrosanti misteri”. Que-sta impostazione è stata ripresa dal Concilio Ecumenico Vaticano II nel capitolo VI della Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla sacra Liturgia».

Page 63: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

Q. Principe - La delegittimazione della musica come bene comune 63

Guillaume Dufay, sacra è la Matthäus-Passion di Johann Sebastian Bach, sacro è il Requiem di Gabriel Fauré, ma sacro è anche il Requiem für Mi-gnon di Robert Schumann, sacra è La canzone dei ricordi di Giuseppe Martucci, sacra è la Nona Sinfonia di Gustav Mahler, sacra è la Rhapsody in blue di George Gershwin, sacra è Sophisticated lady di Edward Kenne-dy “Duke” Ellington. Per le stesse ragioni, il Requiem in Re minore in mor-te di Mozart composto nel 1791 da František Antonín Rössler, in forza del-la sua mediocrità confinante con la laidezza, è profano, e addirittura profanatore. La quasi totalità delle musichette bercianti e miagolanti ese-guite nelle chiese cattoliche d’Italia (soprattutto quelle in voga nei riti ciel-lini), sono definibili come “atti osceni in luogo liturgico”. E, visto che un equivoco frequente nel giudicare la musica “sacra” nasce proprio dal suo rapporto con un testo “sacro”, non sarebbe inutile estendere a quest’ultimo la nostra scepsi.

Ma, per intendere con quali veleni distillati e diffusi si svolga l’esercizio di demolizione e di cancellazione dell’idea di bellezza, leggiamo le preci-se parole di monsignor Donella.

La Chiesa, quando parla della sua musica, lo fa dall’interno della sua stessa

realtà, in una prospettiva che non è solamente estetica, ma primieramente teo-logica e pastorale, essendo convinta che una eventuale attività musicale (voca-le o strumentale) deve servire al bonum animarum, all’opus Dei [ahi, ahi, ahi! – N.d.R.], alla preghiera, al rito (del quale dovrà sempre restare a servizio, in posizione subordinata).

Sottolineo questo aspetto, che è fondamentale, perché alla musica di chiesa si può guardare – e si guarda effettivamente – anche dall’esterno, da parte di musicisti o uomini di cultura estranei al fatto liturgico, perfino non credenti, in-teressati solo all’aspetto estetico o sociologico. Per costoro la musica della Chiesa è bella o brutta, è eseguita bene o male, è interessante o scontata, mo-derna o antiquata: in altre parole è giudicata come cosa a sé stante (realtà assoluta),13 non come presenza funzionale; i critici esterni non si chiedono se tale musica corrisponda o no alle esigenze dell’assemblea che prega o se aiuti effettivamente la celebrazione del rito.

13 A dire il vero, il testo che appare nel volume dà «a se stante», senza accento acu-to, refuso? A meno che monsignor Donella non interpreti “sé stante” alla maniera di “sé stesso”, per la qual forma molto pretendono di imporre le norme della pro-clisi. Ma, come insegna l’eccellente pedagogia italianistica di Gianfranco Conti-ni, né in “sé stesso” né in “sé stante” il “sé” è proclitico. Non manca, nel testo do-nelliano, un “perché” il quale dovrebbe essere “poiché”, e un “chiedono” che dovrebbe essere “domandano”: Ma già, suvvia, badiamo alla sostanza, Che cos’è un errore ortografico o lessicale o sintattico di fronte alla salvezza dell’anima?

Page 64: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

64 La musica come bene comune

Noi, ovviamente, ragioniamo mettendoci all’interno non soltanto del fatto musicale liturgico, ma della stessa realtà grande e complessa della Chiesa (nel suo insieme, nel suo mistero), di cui quello del canto e della musica è un aspet-to tutto sommato marginale, non determinante nell’economia di salvezza (solo la grazia di Dio è determinante).

Detto questo, però, non è possibile trascurare il fatto che anche la musica di chiesa ha inevitabilmente una sua valenza, positiva o negativa, educatrice o di-seducante; anche la musica di chiesa presenta un risvolto sociologico e un a ri-levanza storica. Tutti aspetti che non si possono eludere. In particolare la cate-goria del bello non può essere trascurata, trattandosi di quella musica che è destinata a Colui che è Bello per eccellenza, oltre che Buono e Onnipotente e Misericordioso.

Un po’ di storia recente. Senza andare troppo indietro, partiamo da san Pio X; da quel papa che nel 1903 mise un po’ di ordine nella musica di chiesa, sot-traendola alle influenze del romanticismo e del teatro…14

A nessuno è sfuggito il diluvio di sostantivi, di pronomi e di aggettivi

che indicano presa di possesso, “cosa nostra”, esclusione degli “altri”: “dall’esterno”, “estranei”, “perfino non credenti” [perfino: il colmo dell’a-bominio – N.d.R.], “costoro” (pronome sprezzante per natura), “critici esterni”, musica come “aspetto tutto sommato marginale”, “non determi-nante”. Aggiungo un lessico indicante asservimento della musica, intesa come “ancilla” di qualche cosa: “a servizio, in posizione subordinata”, “corrisponda o no alle esigenze”, “funzionale”. Personalmente, sono com-mosso dalla bontà e dalla generosità di monsignor Donella, che spinge la propria liberalità e chiaroveggenza sino a non “trascurare la categoria del bello”; solo che, alla fine, l’argomentazione risulta ricca di umorismo invo-lontario, con l’attribuzione di tale categoria al Bello per eccellenza, quali-ficato, con indubbia competenza ed esperienza diretta, come Buono, Onni-potente e Misericordioso… ma non c’è forse un’intonazione lievemente islamica in questa terna di aggettivi? E se poi Dio è “Bello”, perché consi-derare la Bellezza un connotato marginale? In verità, mi attendevo lo snoc-ciolamento dei Trascendentali, dai quali la tradizione filosofica cristiana, quella prevalente, escluse il Bello, limitandosi all’Uno, al Bene e al Vero. Né Guillaume de Champeaux né Roscellino né Tommaso d’Aquino inclu-sero mai, fra i Trascendentali dell’Essere, l’Onnipotente e il Misericordio-so. Quanto alla benemerenza di Pio X, il sottrarre la musica “sacra” all’in-fluenza del romanticismo e del teatro, ecco serviti a dovere i Requiem di

14 V. Donella, Musica sacra del III millennio in Italia e nel mondo cattolico, in AA.VV., Primo Seminario Internazionale sulla Musica Liturgica, Atti del Conve-gno, a cura di M. Ruggeri, Edizione Cremona Fiere, Cremona 2011, pp. 7-8.

Page 65: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

Q. Principe - La delegittimazione della musica come bene comune 65

Giuseppe Verdi e di Antonín Dvořák, e non si salva neppure, a posteriori, il Requiem polacco del cattolicissimo Krzysztof Penderecki.

«Ma poiché piene son tutte le carte…», sarebbe l’ora di concludere. Ep-pure, non posso resistere alla tentazione di citare un passo dalle note al te-sto donelliano. Qui si valica ogni limite di buon gusto, di lealtà, di misura. Leggiamo.

È successo e succede. Tutti i personaggi in vista, di propria iniziativa o per-

ché interpellati, hanno detto la loro, e talvolta sentenziato con una certa sicu-mera. Si possono ricordare Piero Buscaroli, Salvatore Accardo, Lorenzo Arru-ga, Riccardo Muti, Giovanni Acciai… Tra [si dovrebbe dire “fra”, poiché qui il significato è di among, unter, parmi, non di between, zwischen, entre… – N.d.R.] le “interferenze” esterne va annoverata anche la lettera-manifesto in-viata a Paolo VI nel febbraio 1966 da un gruppo di intellettuali (praticanti e non) allo scopo di ottenere la salvaguardia del latino e del gregoriano nella li-turgia cattolica.15

Poche righe, e già si avverte il sentore del veleno, della bassezza, della

meschinità. Detestabile è l’abitudine di gettare un’ombra di dispregio su persone nominate a caso, senza documentare, con citazioni precise e veri-ficabili, il proprio atteggiamento. Quanto livore e quale complesso d’infe-riorità in quelle parole, «tutti i personaggi in vista…»! Si può essere perso-naggio in vista essendo un ladro di Stato, un consigliere delegato di qualche azienda pubblica, un “altissimo funzionario” di un’istituzione repressiva che abbia in pugno l’esistenza miseranda di migliaia di infelici sfortunati costretti in dodici in un spazio che può accoglierne al massimo due e osten-ti uno stipendio da sceicco del Brunei senza vergognarsene, o un furbastro e megalomane arruffapopoli, o un fotografo imbecille, analfabeta e putta-niere. In tal caso, il nostro disprezzo è più che legittimo, ma non c’è biso-gno di monsignor Donella o del papa o della Chiesa cattolica per coltivare tale sentimento. Si può essere in vista per imprese nobilissime nel campo delle arti e in genere della cultura, e allora si merita ammirazione. Ma,… in nome di Lucifero!, né agli uni né agli altri va negata la libertà di “dire la loro”. Sicumera? Questa parola è il miserabile squittìo del topo, il guaìto di chi non abbia altri argomenti in bocca. Nel corso del presente convegno, sì, questo convegno sul tema “Musica e bene comune” in cui sto pronuncian-do questo mio intervento, un imbecille ha definito “inutili disquisizioni” le mie analisi di natura filosofica sul linguaggio musicale, e la mia distinzio-ne in diversi livelli di linguaggio in alternativa alla sciocchezza secondo

15 V. Donella, Musica sacra del III millennio in Italia e nel mondo cattolico, cit., p. 14.

Page 66: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

66 La musica come bene comune

cui esisterebbero “le musiche” ossia vari “generi” musicali da porre sullo stesso piano. Siamo sulla stessa lunghezza d’onda della raffinata prosa do-nelliana. L’abbandono del gregoriano è stato, più che un crimine, un suici-dio culturale. L’abbandono del latino è stato la più sesquipedale imbecilli-tà compiuta della Chiesa cattolica. A quei “praticanti e non”, un papa intelligente avrebbe dovuto conferire un’onorificenza.

Ma ancora, quale miseria quel “dicono la loro”! Strano che questa me-schinità maniacale del “questo è mia competenza” riguardi soltanto la mu-sica; ed è un altro fra gli innumerevoli sintomi di una distruzione di civiltà in cui musica, almeno in Italia, è agonizzante. Chi ha scritto quelle poco fe-lici parole, probabilmente non oserebbe sostenere che i critici e gli storici dell’arte “laici” devano occuparsi soltanto di Van Gogh o di Hayez, o di Bernardo Bellotto o di Gustave Moreau o di Silvestro Lega o di James En-sor o di Balthus, e che, al contrario, soltanto uno storico o un critico d’arte in abito talare o membro dell’Opus Dei possa dare giudizi su Taddeo di Gaddo, Piero della Francesca, Raffaello, Michelangelo.

E, soprattutto, quale volgarità.

Page 67: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

67

eLizabetH soMbart

POUR QUE LES SONS DEVIENNENT MUSIQUE Que les sons puissent devenir musique: telle fut la découverte émer-

veillée de mon coeur d’enfant et qui n’a cessé d’illuminer mon parcours de musicienne... De cet émerveillement est née la Fondation Reson-nance1 et la Pédagogie Resonnance: phénomenologie du son et du geste2 enseignée par les différents professeurs de toutes les filiales Resonnance en Suisse, en Italie, en Espagne, en France, en Belgique, en Roumanie et au Liban. Fruit de plus de 30 années d’expériences, de recherches, de concerts, cette pédagogie a vu le jour grâce à la précieuse collaboration de Jordi Mora, chef d’orchestre et doyen de l’enseignement de la phéno-ménologie a la Fondation Resonnance et au soutien de tous les profes-seurs collaborateurs et amis.

C’est cette pédagogie de la musique dont témoigne chaque note que je joue et qui nourrit l’esprit dans lequel j’ai enregistré ces Nocturnes de Cho-pin.

La Pédagogie Résonnance est la synthèse intériorisée et vécue jour après jour de l’enseignement que j’ai reçu dans les années 80 de trois maîtres: Sergiù Celibidache, Hilde Langer-Rühl et Maurice Zundel. Tous trois parlaient le même langage, en utilisant des supports différents. Ils étaient à l’avant-garde de ce qui s’enseignait alors. Ces chercheurs de vé-rité ont ouvert la voie à un savoir qui se décline à l’infini, dont le but est de vivre l’unité par l’apprentissage que nous offre la musique afin de de-venir non plus seulement des interprètes, mais avant tout des serviteurs de cet art.

A l’école de ces maîtres j’ai appris que la musique «en soi» n’existe pas, au sens où il n’y a musique que lorsque notre conscience met les sons en

1 Résonnance: Fondation créé par Elizabeth Sombart dont la double mission est d’enseigner la phénoménologie du son et du geste et de porter la musique dans les lieux de souffrance (prisons, hôpitaux,…). http://www.resonnance.org.

2 La Pédagogie Resonnance a fait l’objet d’un exposé technique rigoureux en trois volumes, base de l’enseignement dispensé à la Fondation.

Page 68: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

68 La musica come bene comune

relation de telle sorte qu’ils communient entre eux, nous ouvrant à une ex-périence de l’unité. La phénoménologie du son et du geste est une science rigoureuse qui formule et enseigne les lois qui président à la musique ainsi comprise. Mais cette discipline est avant tout un long chemin de gammes intérieures et extérieures pour vivre l’unité.

La démarche musicale engage l’homme dans sa totalité, et cela parce qu’il existe des correspondances essentielles et objectives entre le monde sonore et l’intériorité humaine. La phénoménologie du son étudie la rela-tion directe entre notre conscience, notre monde intérieur, et l’ordre sen-sible des phénomènes sonores.

La musique nous enseigne que le son est un phénomène situé aux confins de deux mondes: le visible, de par sa manifestation auditive immédiate, et l’invisible, de par ses harmoniques.3 Le son est consubstantiel à la nature de l’être humain qui le porte en lui par ses cordes vocales et dont l’oreille reconnaît naturellement les intervalles. La fascination que l’être humain ressent pour le son tient au fait que ce dernier est stable;4 or cette stabilité coïncide avec la tendance naturelle de l’homme à rechercher la paix.

Notre musique occidentale est bâtie sur deux modes: le majeur, qui s’identifie à la nature même du son, et le mineur, qui est un majeur en souf-france. Cette musique repose sur la tension créée par l’opposition entre ces deux modes, laquelle correspond en l’homme à la tension entre l’extrover-sion et l’introversion. Or l’homme, au plus profond de lui-même, aspire à vivre l’unité de sa vraie nature qui est manifestée par le mode majeur: la stabilité et la paix. La relation de l’homme avec le son les lui apporte et lui donne de les vivre dans une complicité réelle, dès lors que la conscience réalise la résolution des tensions dans un geste musical qui réduit la multi-plicité des phénomènes sonores à l’unité.

De Hilde Langer-Rühl j’ai appris qu’un tel geste musical est la consé-quence d’une respiration intérieure mise au service du phrasé: on ne joue pas du piano seulement avec ses doigts mais avec cette force mystérieuse dont la respiration et sa maîtrise sont les clés pour unifier le geste au phra-sé. Toutefois, comme le disait Sergiù Celibidache, le geste musical inspiré

3 Lorsqu’on se penche sur la nature d’un son, on constate que ce son que l’on croyait unique se divise au moment même de sa manifestation selon une progres-sion numérique et lorsque nous croyons entendre une seule note, en vérité nous entendons simultanément toute une famille de notes. On appelle cela “les harmo-niques d’un son”. Bien qu’elles ne soient pas toutes identifiables à l’oreille, elles sont toujours présentes dans le son.

4 Nous parlons ici du son musical, c’est-à-dire à vibration égale. La stabilité du son vient du fait que sa vibration est unique: un Do est un Do.

Page 69: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

E. Sombart - Pour que les sons deviennent musique 69

par le souffle intérieur, et qui donne naissance au phrasé juste, n’est pas le résultat d’une loi phénoménologique même bien appliquée. Il doit se vivre à chaque fois et de manière unique dans la liberté de l’écoute. Bien sûr, la mise en relation des sons par l’interprète et la naissance du phrasé juste supposent une recherche active qui s’effectue au cours de ce que la phéno-ménologie du son appelle la phase noétique. Dans cette phase l’interprète écoute, équilibre, ajuste les paramètres musicaux qui entrent en jeu au mo-ment de la production des phénomènes sonores et les met en relation afin de les unifier dans un geste juste. Mais l’interprète est encore dans l’ana-lyse, le commentaire, la compréhension, la prise de conscience.

Or l’enjeu est de passer de la phase noétique à la phase noémique où le musicien deviant «un» avec les sons, dans la simultanéité des relations so-nores unifiées dans un présent qui contient le passé et le futur. Car l’expé-rience musicale relève d’une temporalité différente de la successivité du temps chronologique. Elle est celle du tempo giusto où seule l’unité de l’oeuvre peut être vécue. Cette «expérience de l’unité dans laquelle la mu-sique se révèle est une expérience qui se vit dans la transcendance du sa-voir» ne cessait de répéter Celibidache, ce qui signifie justement que l’ex-périence de l’unité vécue ne résulte pas des seules connaissances nécessaires acquises durant la phase noétique, au moyen de l’activité de la pensée ana-lytique. Il faut passer au-delà pour atteindre à la phase noémique où les sons communient.

Dans la phase noémique l’interprète et l’auditeur communient à la véri-té musicale dans une expérience que la phénoménologie du son nomme «l’intersubjectivité». L’intersubjectivité est la rencontre des consciences unifiées où la vérité musicale est vécue de manière univoque, non parce qu’elle serait imposée du dehors, mais parce qu’elle s’impose du dedans. Cette expérience de l’intersubjectivité vécue dans la phase noémique nous ouvre au «monde de l’âme de la musique», appelé «fondement commun» par Ernest Ansermet ou «monde de connaissance supérieure» par Beetho-ven.

C’est pourquoi, en pénétrant dans l’univers des sons, nous prenons conscience que le monde n’est pas un cercle fermé, dans la mesure où l’ex-périence musicale donne accès à une réalité qui transcende les subjectivi-tés particulières. Réalité à laquelle les consciences communient et qu’elles reconnaissent comme vraie.

La vérité musicale est elle-même en grande partie indicible, et c’est pourquoi, au plus intime, la musique touche au silence. Etre en mesure d’écouter le silence: voilà l’expérience suprême que nous prodigue la mu-sique. C’est précisément ce vers quoi la Pédagogie Résonnance nous mène:

Page 70: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

70 La musica come bene comune

apprendre à reconnaître et à écouter les silences avant les sons, dans les sons, après les sons, remettre chaque son dans son écrin de silence dans le geste juste, le geste qui unifie, un geste qui écoute. Entre chacune des notes, et dans chaque note, il y a le silence. Entre chacune des notes il y a la place pour l’intériorité, la contemplation. Aussi chaque interprète de-vrait-il, avant tout, avoir fait voeu de silence. L’artiste qui chemine avec cette conscience en vient à aimer ce silence intérieur où le mène ce que j’appelle «l’écoute écoutante». La conscience du silence s’accroissant tou-jours plus, nous pouvons alors vivre l’expérience de «goûter le silence». Au commencement ce sont des instants, puis des minutes, des quarts d’heure, et enfin tout un concert où dure ce silence, comme un office per-pétuel du silence dans notre âme qui se poursuit non seulement lorsqu’on joue, mais en tout temps.

C’est dans le silence où la respiration prend sa source que l’interprète trouve le chemin de son coeur, celui qui conduit à ce monde de «l’âme de la musique» où «les sons deviennent musique», où ils se vivent non plus dans la successivité mais dans la simultanéité du temps musical. De même que chaque phrase musicale naît du silence pour revenir au silence, de même chaque geste naît du silence et y retourne. C’est ainsi que le silence musical nous permet de renouer avec le silence primordial d’où nous venons et vers lequel nous retournons. Chaque fois qu’une note est ainsi écoutée, nous té-moignons de l’origine des temps qui prend sa source dans le silence primor-dial. Paradoxalement la musique rétablit ce silence grâce auquel nous sommes enfin rendus à la transparence originelle de notre être. Ce n’est que de cette recherche continuelle du silence que pourront naître le geste et le phrasé musical. Chaque geste que nous dessinons sur l’instrument devient alors une offrande où les sons communient à travers nous.

S’oublier soi-même pour servir la musique plutôt qu’utiliser la musique pour se servir: telle est la condition sine qua non pour que les sons qui com-muniquent deviennent des sons qui communient. La musique se dit alors d’elle-même, au bout des doigts, dans le geste épiphanique d’un présent où toutes les craintes secrètes sont dépassées, dans la reconnaissance de l’uni-té des choses, de notre rapport intime avec elles, de leur rapport les unes avec les autres, dans l’interaction profonde et subtile entre le silence et le son, le fini et l’infini.

Le geste musical ainsi vécu et offert reconduit chacun vers sa propre in-tériorité et révèle qu’il y a en nous plus que nous-mêmes. Il nous ouvre à cette dimension intérieure que Maurice Zundel nomme «la dimension ver-ticale, la dimension spirituelle, la troisième dimension». Mon expérience musicale m’a ouvert à cette dimension, à cet Autre qui nous dit: «toi, tu

Page 71: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

E. Sombart - Pour que les sons deviennent musique 71

joues. Moi, je touche les âmes». Nous pouvons alors découvrir, selon le mot de Rimbaud, que «JE est un autre», que «ce n’est pas moi seul qui ai joué» comme en a témoigné Edwin Fischer.

L’ancrage des sons dans l’expérience du silence est ce qui permet d’en-trer dans cette «écoute agenouillée» dont parle Maurice Zundel, où la soli-tude est habitée par une Présence qui joue avec nous, qui écoute avec nous et à qui nous remettons tout naturellement l’hommage reçu. Il «n’est pas nécessaire de nommer cette présence. Ceux qui l’ont éprouvée la recon-naissent, toujours identique et toujours nouvelle. Si nous en parlons comme d’une présence, ce n’est pas pour la définir, mais d’abord pour marquer que par elle le monde s’ouvre à la pensée et lui devient intérieur».

Page 72: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini
Page 73: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

73

cLaudio stirnati

TRE MODALITÀ DI APPROCCIO ALLA MUSICA: MEDITAZIONE, RIFLESSIONE, DEDUZIONE

Anche l’insegnamento della musica, come accade per la lingua, deve ba-

sarsi su un livello equivalente sia a quello grammaticale sia a quello lette-rario. Ma se il primo aspetto non può non essere praticato nella prima fase degli studi in ambito scolastico, quando si apprende l’alfabeto musicale e il suo funzionamento nella lettura e nell’esecuzione, il compito spettante al docente della fase più avanzata, e che può paragonarsi allo studio della par-te letteraria, è assai meno scontato, ben più complesso e la relativa didatti-ca deve quindi svilupparsi in maniera altrettanto ardua e articolata. Indub-biamente non è possibile paragonare direttamente il linguaggio musicale a quello verbale e già il termine di “linguaggio” si presta a equivoci, ma non c’è dubbio che la didattica ha la possibilità di affrontare la materia musica-le con strumenti analitici simili a quelli con cui si affronta la letteratura e se l’esegesi della musica non è corrispondente a quella che un tempo si chia-mava l’“analisi logica” riferita alla lingua, è comunque caratterizzata da un metodo molto importante e significativo. Naturalmente in nessuna epoca può funzionare efficacemente una didattica che non tenga conto della real-tà concreta della fruizione dei beni culturali ed oggi la fruizione della mu-sica è, in ogni caso, molto diversificata a seconda che avvenga a livelli ele-mentari o all’opposto a livelli di alta specializzazione. Cambiano completamente i modi di rapportarsi alla musica in dipendenza dalle diver-se e persino opposte mentalità che vi si accostano. Estasi e idolatrie carat-terizzano, ad esempio, tipiche forme di approccio del grande pubblico alla realtà musicale intorno a noi, mentre, nel contempo, gli esegeti più attenti stigmatizzano sovente l’utilizzo della musica superficiale e dilettantesco, spinto fino al passatempo e alla distrazione. Altri studiosi, per contro, sono connotati da un impegno cospicuo caratterizzato da coscienza critica pro-fonda e amore sviscerato per la serietà dei risultati conseguiti. Certo la di-dattica deve tenere conto, qualunque sia la tecnica artistica presa in esame, della prassi esecutiva inerente all’arte oggetto dello studio, e per la musica tale aspetto è determinante e continuamente sottoposto a verifiche. Ci sono, peraltro, in musica differenze sostanziali e grandissime rispetto alla

Page 74: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

74 La musica come bene comune

didattica della letteratura o delle arti figurative, per restare nel campo uma-nistico senza invadere in questa fase di discussione i domini dell’ambito scientifico come quello della matematica e della fisica. Nelle arti figurati-ve il docente ha di fronte a sé (per lo più in riproduzione, sia pure, ma ri-produzione di cose esistenti) la materialità dei beni oggetto della didattica e della ricerca. Un quadro proposto all’attenzione dei discenti può essere antico quanto si vuole, ma, se sopravvissuto, ha in sé quell’elemento di eterno presente (compatibilmente alle cose umane, beninteso) per cui nella sua materialità è soltanto invecchiato nel passaggio di generazione in gene-razione ma non è scomparso, anzi è fisicamente presente. Ha in sé una con-sistenza fisica costante che ne garantisce la storicità e la contemporaneità nel contempo, anche nel caso di danneggiamenti cui appropriati interventi di restauro possono porre almeno temporaneo rimedio. Lo stesso, relativa-mente al concetto della contemporaneità che si rinnova nel tempo, può dir-si di un testo letterario quando la lingua e la scrittura con le quali è stato ori-ginariamente pensato e vergato mantengano una corrispondenza con obbiettive nozioni oggi e sempre riscontrabili sul piano filologico. Anche quando tale riscontro oggettivo manca (si può prendere, in proposito, il caso famosissimo e sempre citato della Divina Commedia di Dante di cui non esiste alcun manoscritto originale) il principio non viene meno cono-scendosi una gamma di equivalenti (altri manoscritti poetici del tempo, ad esempio) che garantiscono le nostre conoscenze attuali.

Già rispetto alla prassi teatrale, però, questo principio viene in parte meno non essendo sempre sufficienti le testimonianze disponibili per affer-mare con certezza di poter avere una chiara idea di come fosse effettiva-mente messo in scena durante l’età classica un dramma di Eschilo, di So-focle o di Euripide. Questa carenza informativa riguarda la musica in maniera ancor più massiccia.

Nulla, o quasi, possiamo insegnare, per restare sul caso fondamentale appena proposto, sulla scrittura e la prassi musicale dell’antica Grecia, dato che le testimonianze pervenute sono labilissime e di difficilissima se non impossibile decifrazione e interpretazione. Ma anche per larga parte dell’e-tà medievale abbiamo enormi difficoltà a ricostruire la prassi di scrittura e le modalità di strumentazione e esecuzione. Tale problema permane in molti altri momenti storici, dall’Umanesimo all’improvvisazione barocca, alla musica aleatoria della seconda metà del Novecento, malgrado l’esi-stenza in quest’ultimo caso di registrazioni e persino testimonianze scritte e orali di chi partecipò realmente a quelle attività.

Ma chi veramente è in grado di spiegare come venisse eseguito effettiva-mente l’Orfeo di Monteverdi o come venisse realizzato un basso continuo di

Page 75: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

C. Stirnati - Tre modalità di approccio alla Musica 75

determinati strumentisti della seconda metà del Seicento tra Italia, Francia e Germania? Chi è veramente in grado di poter spiegare fino in fondo le inten-zioni compositive di gran parte delle opere prodotte nella prima scuola di Darmstadt tra le esperienze di Pousseur, Boulez, Stockhausen?

Certamente la parte più vicina a noi è facilmente affrontabile, ma resta l’enorme difficoltà di interpretazione di numerose scritture musicali del se-condo Novecento quando l’ambiguo rapporto (presente, a dire il vero, fin dalle origini della storia della musica orientale e occidentale) tra arte figu-rativa e grafia musicale vera e propria ha prodotto equivoci interpretativi che le pur numerose registrazioni coeve esistenti non sono a volte suffi-cienti a dirimere.

Ancora oggi, del resto, la didattica deve tenere comunque nel massimo conto, dal punto di vista della storia del linguaggio, lo snodo cruciale veri-ficatosi nella teoria e nella prassi musicale a partire dalla rivoluzione fran-cese del 1789. Senza voler attribuire a quella data la funzione di un discri-mine assoluto (cosa che non avrebbe senso, come non lo ha per molti altri confini cronologici ferrei), è significativo osservare come l’‘89 generasse, infatti, una serie di fenomeni rivoluzionari nella stessa produzione artistica e nella musica più che mai.

Che Beethoven sia in parte figlio ideale della rivoluzione francese, pro-prio per quel che riguarda la formazione del suo stesso linguaggio, non è teoria priva di senso e tutti concordano nell’individuare in Beethoven uno spartiacque assoluto nella storia della musica, nel senso per l’appunto “na-poleonico” secondo la lezione manzoniana quando celebra l’imperatore scomparso nella memorabile poesia del Cinque Maggio, con l’immagine dell’uomo seduto tra due secoli.

Questa posizione di “fondatore” è riconosciuta pienamente a Beetho-ven. In lui, alla fine, gli innegabili influssi subiti, da Mozart a Haydn, non significano nulla per la concretizzazione del suo linguaggio da cui, quindi, è ben possibile marcare un inizio. Che questo inizio sia identificabile con l’idea di Romanticismo musicale in sé è opinione diffusa ma sicuramente imprecisa se non erronea. Ma che da Beethoven nasca un’età nuova da cui nessuno può prescindere e che nessuno può di fatto imitare e riprodurre pe-dissequamente, sembrerebbe un dato acquisito.

A livello didattico un tale criterio assume valore determinante. Non è soltanto una questione inerente all’uso degli strumenti musicali, all’ingres-so definitivo del pianoforte nella musica “forte” (come la definisce effica-cemente Quirino Principe) fino ad arrivare al lavorio incessante e sublime sulla “forma sonata”. Si tratta, invece, in Beethoven di una sorta di “ripar-tenza” linguistica per cui i sommi capolavori di chi lo aveva immediata-

Page 76: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

76 La musica come bene comune

mente preceduto e anche affiancato, prodotti fino a poco prima che egli ini-ziasse la sua splendida e vincente parabola, entravano subito in una storicizzazione che ancora oggi mantengono. Certo Mozart con le ultime opere liriche italiane, con lo Zauberflöte, con le ultime Sinfonie e con gli ultimi Concerti, tra cui quello stupendo per clarinetto (almeno come tale è oggi catalogato a onta dei dubbi sull’ effettivo strumento cui l’ opera mira-bile fu destinata), aveva stabilito un livello creativo, che lo stesso Beetho-ven forse non poté attingere, di olimpica perfezione e di sublime rovello in-teriore coinvolgente valori politici, sociali, emotivi, estetici e, si direbbe oggi, psicanalitici. Beethoven è paradossalmente ben più monolitico ri-spetto alla complessità mozartiana, ma questo non toglie nulla alla rivolu-zione totale portata dal genio di Bonn, per cui è lecito parlare di una storia della musica prima e dopo Beethoven, un po’ come è accaduto per la figu-ra del Caravaggio nella pittura, anche egli seduto tra due secoli.

Sono questi elementi di analisi storiografica ma anche di caratura didat-tica, che è necessario assumere come fondamentali se non si vuole perdere il senso profondo di che cosa debba significare, in una rinnovata visione della nostra scuola, la didattica musicale.

Non si parla qui di contribuire alla creazione di feticci, come potrebbe essere proprio quello beethoveniano. La funzione della didattica è sempre e comunque rivolta nella direzione opposta. Si tratta però di concentrarne l’attenzione sul formidabile fenomeno della evoluzione del linguaggio mu-sicale secondo le esigenze espressive di intere civiltà che in quel linguag-gio hanno concentrato messaggi e concetti altrimenti inesprimibili.

Qui potrebbe risiedere la specificità di una didattica della musica che non può essere un fatto esclusivamente grammaticale ma che si concentra sul valore formativo dell’apprendimento di uno strumento, del solfeggio e del canto corale. Sono questi elementi essenziali di formazione sociale dell’individuo, a prescindere dagli specifici contenuti veicolati dalle com-posizioni musicali oggetto dello studio formativo.

L’ insegnamento di qualsivoglia tecnica artistica deve tendere al rag-giungimento di ciò che può e deve essere definito come “consapevolezza estetica”. Posto che tutte le arti sono veicolo di consapevolezza e di ricono-scimento reciproco tra le persone (con conseguente individuazione dei si-mili tra di loro e delle differenze ideali e ideologiche su cui si baserà poi tutta l’ attività sociale e lavorativa del giovane una volta uscito dalla scuo-la), il ruolo della musica potrebbe assumere rilevanza particolare.

Arte asemantica che non veicola di per sé significati particolarmente ri-conoscibili (ferma restando la rilevanza dell’opera lirica, della musica in-tonata su testi i più disparati, della musica a programma in qualunque epo-

Page 77: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

C. Stirnati - Tre modalità di approccio alla Musica 77

ca e tradizione elaborata), appunto per questo la musica si presta a essere “contenitore” eccelso di elaborazioni di idee e programmi altrimenti non esprimibili con la sola progressione del ragionamento logico e argomenta-tivo. C’è una razionalità profonda della musica, in qualunque forma elabo-rata, persino in quella “debole”, per seguire ancora una volta la dicitura sta-bilita da Quirino Principe.

Tale razionalità implica da parte del docente un impegno particolare in cui la componente tecnica e quella speculativa del “linguaggio” musicale debbono sempre essere tenute interconnesse, portando a diverse modalità di approccio al testo musicale. Senza dubbio, infatti, la asemanticità della musica implica da parte dell’ascoltatore la necessità di decifrare il testo musicale stesso a vari livelli, tutti legittimi. Tra questi vanno almeno evi-denziati gli aspetti meditativi impliciti nella struttura stessa della costruzio-ne del linguaggio musicale, quelli riflessivi implicanti cioè l’elaborazione di vere e proprie categorie peculiari di conoscenza delle cose da cui la mu-sica stessa è scaturita e infine quelli deduttivi tali da trasformare il piacere dell’ascolto in vere e proprie conclusioni logiche inerenti ai fini perseguiti dai compositori nel momento della formulazione dell’opera d’arte. Rifulge qui quell’aspetto meraviglioso di “bene comune” che la musica, tra tutte le tecniche artistiche conosciute, possiede in misura rilevante. Oggi, infatti, siamo abituati a definire “bene culturale” qualunque cosa o azione ineren-te all’arricchimento delle cognizioni e della dimensione morale dell’indivi-duo. Parliamo adesso di beni culturali sia rispetto alle arti tradizionalmen-te schedate come tali, dalla pittura, alla scultura, all’architettura, alle arti applicate, al cinema, al teatro, ma anche al patrimonio archivistico, a quel-lo archeologico, a quello bibliotecario (arricchito adesso dagli strumenti e dagli archivi elettronici) fino a arrivare ai patrimoni immateriali come le tradizioni popolari (quando siano tali) e ai risultati della ricerca demoetno-antropologica. La musica è un bene culturale peculiare, facile e difficile a un tempo, più separato rispetto agli altri dalla realtà e dall’obbligo di vero-simiglianza dato che la musica in quanto tale non esiste in natura se non come suono o produzione di note generate da fenomeni fisici come il ven-to o le onde, ma non coordinate in un discorso logico o, appunto, verosimi-le, ancorché i canti degli uccelli o i suoni emessi da numerosi animali sia-no certo da interpretare come linguaggi complessi e comunicazionali. Anche se sono poi evidenti gli stacchi tra le varie tradizioni (musica araba, musica cinese, musica giapponese, canti aborigeni, melopee religiose dall’Asia, dall’ Africa, dalle Americhe, dall’ Oceania) resta il fatto che la musica ha meno bisogno di traduzioni di qualunque altra tecnica artistica, a prescindere dalla funzionalità dell’Architettura che è un caso a sé. L’im-

Page 78: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

78 La musica come bene comune

menso successo di moderne tradizioni musicali specie anglosassoni nel campo della canzone in ogni parte del mondo ha dimostrato come tale suc-cesso potesse prescindere in larghissima parte dalla comprensione esatta delle parole pronunciate. È stato sufficiente che un certo clima culturale e una informazione di massima relativa ai contenuti arrivassero al pubblico entusiasta del pianeta intero per consacrare il successo dei Beatles, dei Rol-ling Stones, dei Pink Floyd (per limitarci ai grandiosi fenomeni che carat-terizzarono in tal senso gli anni sessanta del Novecento), persino quando il nome stesso della Band risultasse incomprensibile ai più. La musica, anche quella cantata, è sostanzialmente perspicua di per sé, anche se l’esatta co-gnizione dei testi può modificare radicalmente la corretta fruizione delle opere relative. Dunque parlare di “bene comune” per la musica è partico-larmente giusto e questo fattore deve essere determinante per l’impostazio-ne di una didattica coerente con la rilevanza e l’attualità dell’ argomento.

Non si può negare il fatto che la musica possa essere fruita da un mini-mo a un massimo di impegno speculativo e conoscitivo, anche se un simi-le principio vale in definitiva per ogni tecnica artistica. Non è mai da esclu-dere la fruizione della musica, almeno da parte di una fascia del potenziale pubblico, in quanto passatempo, ma è altrettanto determinante la analitica comprensione dei rapporti testuali, l’attivazione sentimentale conseguente, la salita verso la meditazione anche secondo i principi della “meditazione trascendentale” (numerose forme di jazz vi fanno sicuro riferimento), fino all’esercizio intellettuale della comprensione delle forme pure (il contrap-punto è lo strumento principe in tal senso) e del puro godimento estetico della struttura, nonché della contemplazione di verità e principi inerenti alla morale, alla religione, alla filosofia in sé, e persino al concetto di re-sponsabilità dell’individuo e della società tutta.

Ecco allora che il legame tra evoluzione (anche se tale termine è impro-prio ma didatticamente può rivestire una certa utilità) del linguaggio musi-cale e svolte rivoluzionarie del linguaggio stesso verso la scoperta di terri-tori fino a quel momento inesplorati (in riferimento alla citata esemplificazione della svolta beethoveniana connessa con la rivoluzione francese) può rivestire un valore didattico incomparabile e stimolante nel-la formazione dei giovani.

Un aspetto determinante dell’ insegnamento in sé, del resto, è la messa in luce delle connessioni tra esperienza sensoriale e esperienza intellettua-le. Leggere, scrivere, guardare, ascoltare, creare contatti tra gli individui, vivere consapevolmente le esperienze dello sport, del cibo e del sesso, sono altrettante funzioni determinate dall’esperienza sensoriale che hanno nel contempo una struttura di base istintiva e una necessità altrettanto assoluta

Page 79: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

C. Stirnati - Tre modalità di approccio alla Musica 79

di essere apprese. Questo equilibrio tra istintualità e ragione è il fondamen-to di qualunque insegnamento e guida l’ essere umano verso le vie delle scienze e dell’umanesimo, ma anche della politica e dell’economia, della morale e dell’aspirazione metafisica. La musica occupa un posto rilevante in questa esercitazione sensoriale e speculativa insieme, che è il fondamen-to stesso dell’apprendimento scolastico in tutti i suoi livelli, dal più ele-mentare al più eletto.

La scuola è il luogo deputato per spiegare come non vi sia opposizione ma continuità tra esperienza sensoriale e esperienza intellettuale. Un cor-retto “saper ascoltare” proposto ai nostri giovani è dunque lo strumento pri-vilegiato per onorare l’insegnamento della musica allo stesso livello delle altre discipline.

Il principio è sempre lo stesso: insegnare come ci si debba porsi di fronte all’opera d’arte e che cosa se ne possa e se ne debba trarre. Molto è stato fat-to in tal senso per l’ambito letterario e molto per quello figurativo. Meno per la musica ma questa è passibile esattamente delle stesse procedure didattiche rivolte in quelle direzioni. Insegnare a ascoltare è, peraltro, funzione mirabi-le dal punto di vista didattico perché è lecito pensare che chi ha imparato me-glio a ascoltare la musica sia predisposto al meglio per imparare a “ascolta-re” in senso lato, e non c’è cosa migliore per l’individuo e il cittadino di questo tipo di apprendimento. Saper ascoltare significa infatti formare la pro-pria personalità in senso opposto al gretto egoismo e al solipsismo che pro-ducono immancabilmente nella dinamica storica i comportamenti più tragici e negativi per la società nel suo complesso. L’ascolto della musica è, in effet-ti, attivo. Non può essere passivo perché chi ascolta conferisce contestual-mente significato a un insieme il cui senso non è preformato a priori essendo costituito non di parole ma di note, anche se intonate su testi.

Lo sforzo di conferire significato rende quindi l’ascolto attivo e consa-pevole, ponendo l’individuo nella migliore condizione per essere a sua vol-ta proponente di tematiche e idee nello scambio necessario con l’altro. Ecco perché Shakespeare fa dire a un suo personaggio nel Mercante di Ve-nezia che bisogna diffidare degli uomini che non ascoltano, non amano e quindi non capiscono la musica. C’è il rischio, dice il sommo poeta, che questi uomini siano falsi e ipocriti, non dialoganti, in altri termini, ma finti e subdoli. Naturalmente è un’espressione estrema che non deve assoluta-mente invadere il campo del gusto personale. Non è obbligatorio amare l’arte in sé, però è meglio se ciò accade.

La didattica può assumere la sentenza shakespeariana come motivo orientatore di un metodo di insegnamento teso prioritariamente a nobilita-re l’individuo attraverso la disciplina che si va a spiegare.

Page 80: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

80 La musica come bene comune

Sotto il profilo didattico è interessante ricordare come appartenga anche alla musica il dominio dell’“esattezza” che ben si può confrontare con le scienze matematiche, ma parimenti vi appartiene pure quello dell’“estro” che ben si può confrontare con la dimensione della Poesia.

Il bello è che i due termini, “estro” e “esattezza”, si possono però ribal-tare nel momento didattico attribuendo il primo alla matematica e il secon-do alla poesia, con altrettanta attendibilità. Le categorie infatti si intreccia-no e attraverso tale intreccio, riscontrabile facilmente nel concreto della prassi esecutiva musicale, si perviene direttamente a quel principio del suo-nare o cantare insieme che sviluppa di per sé, come si è osservato, la capa-cità di stare organicamente al mondo riconoscendosi reciprocamente. È questa una funzione dell’Arte, ma in musica tale categoria si articola nelle mirabili funzioni dell’eseguire il brano musicale personalmente, nel dirige-re l’orchestra o complessi strumentali e vocali, nell’interpretare il testo an-che senza eseguirlo materialmente, attraverso la scrittura o il discorso. La musica ha bisogno della figura del “mediatore” (oggi reperibile in tante strutture museali in giro per il mondo) forse più che in qualunque altra arte. Ha dunque particolarmente bisogno della figura dell’insegnante, senza il quale l’intera disciplina resterebbe lettera morta o vuoto orpello.

Page 81: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini

LE IMMAGINI DELLA MUSICA

Collana diretta da Nicoletta Guidobaldi e Elio Matassi

1. Nicoletta Guidobaldi, Prospettive di iconografia musicale2. Silvio Paolini Merlo, Estetica esistenziale. Ricerche sulla filosofia della

musica e delle arti sceniche3. Paolo Gozza, Imago vocis. Storia di Eco4. Ivano Cavallini (a cura di), Nation and/or homeland. Identity in 19th-

Century Music and Literature between Central and Mediterranean Europe5. Roberto Gigliucci, Tragicomico e melodramma. Studi secenteschi6. Francesca Bortoletti (a cura di), L’attore del Parnaso. Profili di attori-

musici e drammaturgie d’occasione

Page 82: LE IMMAGINI DELLA MUSICA - liceimusicalicoreutici.org · Enrico Fubini (Università di Torino), F. Alberto Gallo (Alma Mater Studiorum-Università di Bologna) Enrica Lisciani Petrini