237
Indice Avvertenza dell'editore Prefazione del compilatore PARTE PRIMA Lettera I Lettera II Lettera III Lettera IV Lettera V Lettera VI Lettera VII Lettera VIII Lettera IX Lettera X Lettera XI Lettera XII Lettera XIII Lettera XIV Lettera XV Lettera XVI Lettera XVII Lettera XVIII Lettera XIX Lettera XX Lettera XXI Lettera XXII Lettera XXIII Lettera XXIV Lettera XXV Lettera XXVI Lettera XXVII Lettera XXVIII Lettera XXIX Lettera XXX Lettera XXXI Lettera XXXII Lettera XXXIII Lettera XXXIV Lettera XXXV Lettera XXXVI Lettera XXXVII Lettera XXXVIII Lettera XXXIX Lettera XL Lettera XLI Lettera XLII

Le Amicizie Pericolose.pdf

Embed Size (px)

DESCRIPTION

Romanzo epistolare

Citation preview

Page 1: Le Amicizie Pericolose.pdf

Indice Avvertenza dell'editore Prefazione del compilatore PARTE PRIMALettera ILettera IILettera IIILettera IVLettera VLettera VILettera VIILettera VIIILettera IXLettera XLettera XILettera XIILettera XIIILettera XIVLettera XVLettera XVILettera XVIILettera XVIIILettera XIXLettera XXLettera XXILettera XXIILettera XXIIILettera XXIVLettera XXVLettera XXVILettera XXVIILettera XXVIIILettera XXIXLettera XXXLettera XXXILettera XXXIILettera XXXIIILettera XXXIVLettera XXXVLettera XXXVILettera XXXVIILettera XXXVIIILettera XXXIXLettera XLLettera XLILettera XLII

Page 2: Le Amicizie Pericolose.pdf

continuazione della Lettera XLLettera XLIIILettera XLIVLettera XLVLettera XLVILettera XLVIILettera XLVIIILettera XLIXLettera L PARTE SECONDALettera LILettera LIILettera LIIILettera LIVLettera LVLettera LVILettera LVIILettera LVIIILettera LIXLettera LXLettera LXILettera LXIILettera LXIIILettera LXIVLettera LXVLettera LXVILettera LXVIILettera LXVIIILettera LXIXLettera LXXLettera LXXILettera LXXIILettera LXXIIILettera LXIVLettera LXVLettera LXVILettera LXVIILettera LXVIIILettera LXIXLettera LXXXLettera LXXXILettera LXXXIILettera LXXXIIILettera LXXXIVLettera LXXXVLettera LXXXVILettera LXXXVII PARTE TERZALettera LXXXVIIILettera LXXXIX

Page 3: Le Amicizie Pericolose.pdf

Lettera XCLettera XCILettera XCIILettera XCIIILettera XCIVLettera XCVLettera XCVILettera XCVIILettera XCVIIILettera XCIXLettera CLettera CILettera CIILettera CIIILettera CIVLettera CVLettera CVILettera CVIILettera CVIIILettera CIXLettera CXLettera CXILettera CXIILettera CXIIILettera CXIVLettera CXVLettera CXVILettera CXVIILettera CXVIIILettera CXIXLettera CXXLettera CXXILettera CXXIILettera CXXIIILettera CXXIVPARTE QUARTALettera CXXVLettera CXXVILettera CXXVIILettera CXXVIIILettera CXXIXLettera CXXXLettera CXXXILettera CXXXIILettera CXXXIIILettera CXXXIVLettera CXXXVLettera CXXXVILettera CXXXVIILettera CXXXVIIILettera CXXXIXLettera CXL

Page 4: Le Amicizie Pericolose.pdf

Lettera CXLILettera CXLIILettera CXLIIILettera CXLIVLettera CXLVLettera CXLVILettera CXLVIILettera CXLVIIILettera CXLIXLettera CLLettera CLILettera CLIILettera CLIIILettera CLIVLettera CLVLettera CLVILettera CLVIILettera CLVIIILettera CLIXLettera CLXLettera CLXILettera CLXIILettera CLXIIILettera CLXIVLettera CLXVLettera CLXVILettera CLXVIILettera CLXVIIILettera CLXIXLettera CLXXLettera CLXXILettera CLXXIILettera CLXXIIILettera CLXXIVLettera CLXXV

Page 5: Le Amicizie Pericolose.pdf

Choderlos de Laclos LE AMICIZIE PERICOLOSE MONDADORI Le amicizie pericolose oLettereraccolte in una societàe pubblicateper l’istruzione di qualche altradalSig. C... de L... Ho visto i costumi del mio tempo,e ho pubblicato queste lettere.J.-J. RousseauPrefazione de La Nouvelle Héloise Avvertenza dell’editore Crediamo nostro obbligo avvertire il benigno lettore, che, nonostante il titolo della presente edizione e quel che ne dice il compilatore nella prefazione di suo pugno, noi non ci rendiamo affatto garanti della sua autenticità, e anzi abbiamo più di un motivo per sospettare ch’essa sia niente altro che un romanzo. E ci pare che l’autore, quantunque abbia cercato di sembrare verisimile, ha distrutto poi da sé questa verisimiglianza, e anche, diciamolo, un po’ storditamente, collocando gli avvenimenti del suo racconto nell’epoca nostra. Come credere infatti che abbiano potuto vivere ai nostri giorni persone tanto pessime, quando è noto che questo nostro secolo è il secolo della filosofia e dei lumi, e la sapienza, avendo sparso per ogni dove i suoi benefici effetti, ha fatto, come ognuno sa, gli uomini tutti onesti e dabbene e le donne tutte costumate e modeste? Per la qual cosa osiamo affermare che, se le avventure raccontate nella presente operetta hanno pur un pizzico di verità, esse debbono essere per certo accadute in tutt’altro luogo e in tempi affatto diversi; e non potremo mai biasimare abbastanza l’autore d’essersi lasciato lusingare dalla speranza di piacere vieppiù ai lettori riaccostando al loro secolo e al loro paese avvenimenti e costumanze che non possono essere a noi se non estranei e lontani. E per preservare almeno, per quanto è in noi, il lettore poco avveduto da ogni illusione al riguardo, ci basterà di addurre a conforto di questa nostra opinione una sola ragione che a noi tuttavia pare inoppugnabile e vittoriosa; e cioè, che mentre le stesse cause producono sempre i medesimi effetti, noi non vediamo oggi nessuna donzella con sessantamila lire di rendita farsi monaca, e nessuna presidentessa giovane e bella morire di dolore. Prefazione del compilatore La presente opera, o per dir meglio raccolta, che il pubblico troverà magari sin troppo voluminosa, contiene tuttavia soltanto una esigua parte delle lettere che formavano il complesso della

Page 6: Le Amicizie Pericolose.pdf

corrispondenza da cui essa è tratta. Incaricato di darle assetto da coloro nelle cui mani era pervenuta e che avevano intenzione di pubblicarla, ho chiesto, per unico compenso delle mie fatiche, il permesso di stralciarne via le coserelle inutili; e infatti ho cercato di conservare quelle sole lettere che mi parevano necessarie a capire lo svolgersi degli avvenimenti o l’indole dei personaggi. Aggiungi, a questo mio poco lavoro, quello di rimettere in ordine le lettere rimaste, ordine per il quale ho quasi sempre seguito quello delle date, e qualche breve e rara noticina per indicare le fonti delle citazioni o per dare ragione dei tagli che mi sono permesso di fare: questa è tutta la parte che io ho avuto nell’opera, e non poteva del resto essere maggiore.1 In verità io avevo proposto un cangiamento assai più radicale, specie per quel che si riferisce alla purità della lingua e dello stile, che qui, come ognuno si avvedrà, difetta alquanto. Avrei anche voluto accorciare qualche lettera troppo lunga, delle quali alcune trattano, separatamente e senza alcun legame, di argomenti tra loro disparatissimi. Questa maggior fatica, che non mi si è voluta concedere, non sarebbe stata sufficiente, si sa, a migliorare l’opera, ma le avrebbe, cred’io, tolto almeno una parte dei suoi difetti. Mi è stato obiettato che si volevano far conoscere appunto le lettere quali sono, e non già un’opera manipolata con esse, e che si peccherebbe non solo contro la verità ma anche contro la verisimiglianza, qualora le otto o dieci persone che partecipano a questa corrispondenza scrivessero tutte a un modo e con la stessa eleganza di dettato. Avendo io allora osservato che qui non si trattava di eleganze, per il fatto che di tante persone non una ce n’è che abbia scritto senza gravi errori, e di ciò sarebbero state fatte dal pubblico alte lagnanze, mi hanno risposto che ogni assennato lettore poteva ben immaginarsi di trovare qualche sproposito in una raccolta di lettere private, dal momento che anche quelle pubblicate fin qui da autori di grido e magari anche da illustri accademici non vanno esenti da questa taccia. Tali ragioni non mi hanno persuaso, e m’è parso, come ancora oggi mi pare, che sia più facile darle che accettarle per buone; ma insomma io non ero padrone di fare a modo mio, epperò mi son dovuto sottomettere, riservandomi il diritto di protestare e di far sapere, come faccio, che io rimango di avviso contrario. In quanto ai pregi che l’opera può avere, non spetta a me dichiararveli, non essendo giusto che la mia opinione debba o possa indettare quella degli altri. Tuttavia coloro che prima di accingersi a una lettura vogliono press’a poco sapere che conto debbono farne, vadano pure innanzi a scorrere queste mie paginette; gli altri saltino subito al testo, poiché ne sanno ormai abbastanza. In primo luogo, quel che posso dire è che se io ho dato parere favorevole, e ne convengo, alla pubblicazione delle lettere, non me ne attendo però un grande esito. Né si dia a questa mia sincerità il valore di quegli atti di modestia che gli autori sogliono fingere; perché con la stessa franchezza dichiaro che, se questa raccolta non mi fosse sembrata degna del pubblico, non me ne sarei punto occupato. Vediamo come si può dunque conciliare questa apparente contraddizione. Il pregio di un’opera sta nel giovamento o nel diletto che se ne può trarre, e spesso anche in tutt’e due le cose insieme, quando ciò sia possibile; ma l’esito, che non è affatto riprova del pregio, dipende invece assai più spesso dalla scelta del soggetto che non dalla sua esecuzione, dal complesso degli argomenti di cui l’opera tratta che non dalla maniera nella quale essi sono trattati. Orbene, in questa raccolta, come quella la quale contiene, secondo che il titolo annuncia, lettere di tutta una congrega di persone, c’è tale una diversità d’interessi, da non poter fare a meno d’indebolire l’interessamento del lettore. Inoltre quasi tutti i sentimenti qui espressi o sono finti o dissimulati, sicché non possono stimolare se non un interesse di semplice curiosità, sempre minore di quello che suole sommuovere il sentimento vero e sincero, e ci rende poi meno indulgenti, e lascia vedere tanto più manifestamente i difetti nei particolari, quanto più questi escludono quella curiosità che sola si voleva soddisfare.

Page 7: Le Amicizie Pericolose.pdf

Tali difetti sono forse in parte compensati da una qualità che qui è insita nella natura stessa dell’opera, ed è la varietà degli stili: un pregio che è molto difficile acquistare per arte, ma in questo libro è venuto quasi da sé, e ci preserva almeno dalla noia della monotonia. Ci sarà anche, mettiamo, chi apprezzerà quel buon numero di osservazioni, o nuove di zecca o poco comuni, che si trova sparso qua e là nelle diverse lettere. Credo che tutto qui, e non altro, sia il ricreamento che si può sperare da quest’opera, anche a volerla giudicare con la massima benevolenza. Per quel che si riferisce alla sua utilità, la quale sarà ancor più contestata, penso invece che si possa più facilmente dimostrarla. E infatti come si potrebbe ragionevolmente negare che sia un render servigio notevolissimo ai buoni costumi il disvelare di quali mezzi i malvagi si avvalgano per corrompere l’innocenza? Orbene, queste lettere serviranno ottimamente allo scopo. E vi si troverà eziandio la prova e l’esempio di due importanti verità, che per essere così poco praticate si direbbero quasi misconosciute: la prima, cioè, che ogni donna la quale consenta ad ammettere nella sua compagnia un uomo immorale finisce presto o tardi per diventarne la vittima; e la seconda, che è, per dir poco, imprudente la mamma che confida ad altri che a se stessa la propria figliuola. I giovani dell’uno e dell’altro sesso potranno apprendervi altresì quale pericolosa trappola, tesa alla loro felicità non meno che alla loro virtù, sia la facile amicizia che le persone scostumate offrono loro con tanto slancio. Tuttavia, temendo gli abusi che tanto spesso tengon dietro alle buone intenzioni, nonché consigliare questa lettura ai giovani, vorrei che essi si astenessero da questa e da ogni altra del genere. L’età più propizia perché il presente libro sia letto senza danno, e anzi con qualche profitto, dalle giovinette, mi pare che sia stata indicata a meraviglia da una mamma d’ingegno, che ha inoltre anche molto buon senso: «Crederei» mi disse dopo aver letto il manoscritto «di fare un gran servigio a mia figlia, dandole a leggere questo libro il giorno delle sue nozze». E se tutte le madri di famiglia penseranno altrettanto, mi feliciterò ora e sempre d’averlo pubblicato. A ogni modo, anche ammettendo per vera questa favorevole supposizione, mi sembra però sempre che la raccolta debba piacere a pochi. Gli uomini e le femmine che sono impegolati nel vizio avranno tutto l’interesse di screditare un’opera che li danneggia, e, come quelli che non mancano di astuzie, vedrete che sapranno tanto fare da mettere dalla loro parte i rigoristi schifiltosi; i quali spiriteranno di vedersi posto innanzi un quadro di tanto pessimi costumi. Vi sarà tale, che, volendo esser tenuto in conto di miscredente e spregiudicato, non vorrà interessarsi ai casi d’una devota, la quale egli per ciò solo considererà qual femminetta di poca levatura; mentre il divoto avrà discaro di vedere soccombere la virtù, lamentando che la religione sia stata qui rappresentata come meno efficace. D’altronde le persone di gusti delicati avran fastidio dello stile troppo semplice e scorretto di parecchie di queste lettere; e i lettori comunali, ingannati dall’idea che tutto quel che è stampato è frutto d’assiduo lavoro, crederanno di vedere in altre lettere lo sforzo faticoso di un autore che vuol far capolino da dietro il personaggio che fa parlare. Infine si dirà forse dalla generalità dei lettori che ogni cosa sta bene al suo posto; e che di solito, se lo stile troppo castigato degli autori lo grazia e spontaneità alle lettere, queste di cui si tratta adesso sono tanto neglette che gli spropositi le rendono insopportabili, e tanto più dal momento che si ha il coraggio di darle alle stampe. Confesserò sinceramente che tutti questi rimproveri possono avere qualche fondamento di verità; ma credo anche che mi sarebbe facile ritorcerli punto per punto, senza oltrepassare i limiti d’una prefazione. Mi ammetterete però che, se io dovessi rispondere a tutto, sarebbe segno che il libro dal canto suo non dice niente di niente; e se così fosse, avrei fatto a meno di pubblicare e libro e prefazione.

Page 8: Le Amicizie Pericolose.pdf

PARTE PRIMA

Lettera I Cecilia Volanges a Sofia Carnay, pressole Orsoline di... Vedi bene, mia cara, che io mantengo le promesse, e che le cuffiette e i nastri non mi pigliano tutto il mio tempo. Non dubitare che me ne resterà sempre un poco per te. Eppure ho visto più guarnizioni e più abiti in questa sola giornata, che nei quattro anni che abbiamo passato insieme; e sono sicura che l’ambiziosissima Tarville2rimarrà male quando andrò a farle visita (e fo conto di andarci presto) assai più che non dovessimo rimaner noi, secondo lei, quando veniva a trovarci tutta in fiocchi. La mamma domanda il mio parere su tutto, e non mi tratta più da collegiale, come una volta. Figurati che ho una cameriera proprio mia, e una camera e uno studio a mia intera disposizione, e adesso ti sto scrivendo appunto sopra una graziosissima scrivania, di cui possiedo la chiave, e nella quale perciò posso chiudere tutto quel che mi garba. La mamma mi ha detto di farmi vedere da lei la mattina quando s’alza; e basta che io sia abbigliata per l’ora del pranzo, poiché a colazione saremo sempre sole, e allora mi dirà volta per volta l’ora in cui dovrò raggiungerla nel pomeriggio. Tutto il resto del tempo sono libera, e per passarlo il meglio che posso ho l’arpa, il disegno e molti libri come in convento, senonché qui non c’è suor Perpetua che mi sgridi, e, se volessi, potrei anche stare tutto il santo giorno senza far niente. Ma siccome non ho con me la cara Sofia per chiacchierare e ridere, preferisco far qualche cosa. Non sono ancora le cinque, e la mamma mi aspetta per le sette. Vedi che avrei ben due ore per scriverti, se avessi qualche bella cosa da dirti! Ma, che vuoi? Non m’hanno detto ancora niente di quella tal faccenda che tu sai, e se non fosse che vedo fare di gran preparativi, e vanno e vengono per casa ogni sorta di lavoranti, crederei che non si pensi affatto a maritarmi, e che la buona Giuseppina3m’abbia detto una frottola di più. Tuttavia la mamma mi ha ripetuto tante volte che una signorina deve restare in convento sino al giorno che si marita, che, se ora me ne ha fatto uscire, è segno che la Giuseppina deve aver ragione, non ti pare? Una carrozza s’è fermata adesso adesso dinanzi alla porta di casa nostra, e la mamma mi manda a dire di correre subito da lei. Che sia lui ? E pensare che sono così mal vestita! Oh, mi trema la mano e mi batte il cuore! Ho domandato alla cameriera se sa chi c’è dalla mamma. «Veramente» mi ha risposto «c’è il signor C...» E s’è messa a ridere. Vedrai che si tratta proprio di lui. Tornerò poi a raccontarti come è andata: intanto t’ho detto il suo nome. Non posso farlo aspettare, capirai! Addio, a tra poco. Oh, come vorrai ridere della tua povera Cecilia! Che vergogna! Eppure ci saresti cascata anche tu. Entrando dalla mamma, ho visto un signore vestito di nero, in piedi accanto a lei. Gli ho fatta una gran riverenza, il meglio che ho saputo, e sono restata lì, impalata, senza la forza di muovermi. Figurati come me lo divoravo con gli occhi. «Signora» egli ha detto alla mamma, mentre rispondeva al mio saluto «si tratta proprio d’una bellissima signorina, e sento più che mai il valore della vostra bontà a mio riguardo.»

Page 9: Le Amicizie Pericolose.pdf

A tali parole, così significative, m’ha preso un tremito convulso da non potermi più reggere in piedi, e, avendo trovato lì accanto una poltrona, ci sono caduta dentro, tutta rossa e confusa. M’ero appena seduta, che il signore s’è gettato ai miei piedi, e la tua povera Cecilia ha finito allora per perdere affatto la testa: ero, come mi ha detto poi la mamma, così spaventata, che mi sono alzata in piedi mandando uno strillo acutissimo... toh! come quel giorno, ti ricordi?, che c’era il temporale. La mamma allora è scoppiata a ridere, e m’ha detto: «Ebbene, che c’è? Siedi e da’ il tuo piede al signore». Perché, vedi, amica mia, quel signore non era se non il calzolaio. Non ti so descrivere la mia vergogna: fortuna che c’era presente solo la mamma! Scommetto che quando sarò maritata non mi servirò più da lui. In conclusione, del mio matrimonio ne sappiamo meno di prima. Pazienza! Ormai sono le sei, e la cameriera dice che sarà ora di vestirmi. Addio, cara la mia Sofia. Ti voglio bene come quando ero in convento. P.S. Non sapendo da chi mandarti questa lettera, aspetterò che venga a ritirarla la Giuseppina. Parigi, 3 agosto 17..

Lettera II La marchesa di Merteuil al visconte di Valmont,nel castello di... Caro visconte, tornate, tornate dunque tra noi. Che diamine ci state a fare da vostra zia, da una vecchia zia che vi ha lasciato già tutti i suoi beni per testamento? Anzi partite subito, perché ho bisogno urgente di voi: ho una magnifica idea e voglio affidarne a voi l’esecuzione. Queste parole dovrebbero bastarvi, e, ben onorato d’essere stato prescelto, dovreste correre in fretta e furia a ricevere in ginocchio i miei ordini. Ma voi, lo so, lo so, abusate dei miei favori (e specie adesso che non ne usate più). Ebbene, che farci? Nell’alternativa tra un odio eterno o un’eccessiva indulgenza, la vostra buona stella vuole che vinca in me l’indulgenza. Sentite dunque qual è questa mia idea; ma prima giurate che da buon cavaliere non correrete nessun’altra avventura prima d’aver condotta questa a buon fine. Oh! Sarà davvero un’avventura degna d’un eroe, dal momento che servirete insieme l’amore e la vendetta, senza contare che avrete una bricconata4di più da raccontare nelle vostre memorie: perché insomma queste vostre memorie bisognerà pur stamparle una volta o l’altra, e anzi ho intenzione di pigliarmi proprio io la briga di scriverle. Ma lasciamo questo discorso, e torniamo a quel che più preme. Dovete dunque sapere che la signora Volanges marita sua figlia: è ancora una cosa da tenersi segreta, ma essa me l’ha confidata ieri. E indovinate un po’ chi ha scelto per genero? Il conte di Gercourt. Chi mi avrebbe detto di dover diventare la cugina di Gercourt! Sono su tutte le furie. E così? Non avete capito ancora qual è la mia idea? Oh, non siete, no un’aquila! Gli avete già perdonato l’avventura dell’Intendentessa? E non ricordate neppure, mostro che siete, che io ho dei motivi più gravi dei vostri per lamentarmi di lui?5Ma ecco che ora io mi placo, e la speranza di vendicarmi rasserena già l’animo mio. Voi sapete meglio di me (perché chissà quante volte Gercourt ve ne ha parlato, come ne ha parlato a me sino alla noia), voi sapete, dicevo, meglio di me qual rara perla di donna pretenda egli per

Page 10: Le Amicizie Pericolose.pdf

moglie, e come creda, lo sciocco, di poter evitare in tal modo la sorte fatale e irrevocabile di tutti i mariti. Saprete anche le sue ridicolissime prevenzioni a favore delle ragazze educate in monastero, e delle bionde, che egli ritiene più riservate delle brune. E scommetto che, nonostante le sessantamila lire di rendita che gli porta la signorina Volanges, non si sarebbe mai risolto a sposarla, se per caso fosse stata bruna e non fosse uscita di convento. Tocca ora a noi di provargli che è un imbecille calzato e vestito. In quanto alle corna, le avrà, non dubitate, le avrà: su questo sono tranquilla; ma il bello sarebbe che cominciasse ad averle sin d’ora. Pensate che bel divertimento sarà il nostro, il giorno dopo, a sentir le sue spacconate; perché certo ne dirà! Non dubito punto che, se voi pigliate questo carico d’imbeccargli ben bene la ragazza, come sapete fare voi, bisognerebbe esser proprio disgraziati perché Gercourt non diventasse, come qualunque altro nei suoi panni, la favola di Parigi. Del resto l’eroina di questo nuovo romanzo merita le vostre premure, perché è veramente carina e ha appena quindici anni: è il bottoncino di rosa, un po’ bambocciona, se vogliamo, e sempliciotta al possibile, ma so che a voi uomini questo non dispiace; e finalmente ha un certo sguardo languidetto, che promette molto. A tanta grazia di Dio aggiungete che sono io a raccomandarvela, e non vi resta che ringraziare e obbedire. Riceverete questa lettera domattina. Esigo che domani stesso, alle sette di sera, siate a casa mia. Sino alle otto non riceverò nessuno, neanche il cavaliere attualmente regnante: il poverino non ha testa bastante per una faccenda di questa fatta... Vedete che l’amore non mi acceca! Alle otto, dunque, vi rimetterò in libertà, e tornerete poi alle dieci, per pranzare insieme all’amato bene: poiché madre e figlia saranno domani sera a pranzo da me. Addio, è mezzogiorno sonato, e tra poco debbo occuparmi d’altro. Parigi, 4 agosto 17..

Lettera III Cecilia Volanges a Sofia Carnay. Amica mia, non c’è ancora nulla di nuovo. Ieri la mamma ha avuto molte persone a pranzo; ma sebbene mi premesse assai di esaminare la gente che m’era d’attorno, e specialmente gli uomini, mi sono annoiata mortalmente. Uomini e donne non facevano che guardarmi, e poi si bisbigliavano qualcosa all’orecchio: si capiva che parlavano di me, e questo mi faceva arrossire, senza che io potessi difendermene; perché, se avessi potuto, ne avrei fatto a meno volentieri, avendo osservato che le altre donne, quando erano guardate, non arrossivano punto; o forse anche, non so, il belletto che si mettono in viso impedisce di vedere il loro rossore, poiché mi pare difficile non arrossire quando un uomo ti guarda con tanta insistenza! Quel che più mi crucciava, era di non sapere che cosa pensassero di me. Mi pare di aver inteso due o tre volte sussurrare la parola “carina”; ma ho anche sentito ben distintamente la parola “bambocciona”; e purtroppo deve esserci qualcosa di vero in questo giudizio, perché chi la diceva era una parente o amica di mia madre, che anzi mi ha presa subito a benvolere ed è stata l’unica persona che mi abbia rivolto la parola in tutta la serata. Domani andremo a pranzo da lei. Dopo pranzo ho anche sentito un uomo, che senza dubbio parlava di me, dire a un altro: «Bisogna aspettare che la nespola maturi. Ne riparleremo quest’inverno.» Forse questo è l’uomo che m’è destinato per sposo; se è così, le nozze sarebbero tra quattro mesi. Che darei, però, per saperne qualcosa di certo!

Page 11: Le Amicizie Pericolose.pdf

Arriva in questo momento la Giuseppina, e mi dice che ha una gran fretta di ritornarsene via. Voglio tuttavia raccontarti un’altra delle mie bambocciate: si vede proprio che quella signora che t’ho detto ha ragione. Dopo pranzo si sono messi a giocare, e io mi ero seduta accanto alla mamma, quando, che è, che non è, mi sono addormentata. Mi ha risvegliato un fragoroso scroscio di risa; e, sebbene non ne sia proprio sicura, ho avuto l’impressione che ridessero di me. La mamma allora mi ha permesso di ritirarmi, e mi ha fatto un gran favore, perché figurati che erano le undici passate! Addio, mia cara Sofia, e voglimi sempre bene. Da’ retta, Sofia: il gran mondo non è affatto quella cosa allegra che noi ci immaginavano in collegio. Parigi, 4 agosto 17..

Lettera IV Il signor di Valmont alla marchesa di Merteuil, a Parigi. Amica mia, i vostri ordini mi sono sempre carissimi, e anche più caro m’è il modo di darmeli: voi fareste adorare persino il despotismo. Sapete che non è la prima volta che rimpiango di non essere più vostro schiavo, e per quanto io sia un mostro, come voi dite, non posso pensare senza commozione al tempo beato nel quale mi onoravate di nomignoli assai più soavi di questo. Spesso anche mi vien voglia di rimeritarmeli un’altra volta, a dare così al mondo, finalmente, insieme a voi, un esempio memorabile di costanza. Ma più grandi destini ci chiamano: conquiste, conquiste, sempre nuove conquiste! Forse ci verrà fatto di riunirci alla fine della nostra carriera, chissà? Perché, sia detto con vostra sopportazione, bellissima marchesa, voi mi tenete ben la pariglia, e da quando ci siamo lasciati per fare la felicità del prossimo, predicando ciascuno per conto proprio la buona novella, mi pare che nel dolce apostolato d’amore voi avete fatto persino più proseliti di me. Conosco il vostro zelo, il vostro ardente fervore; e se il dio d’amore ci giudicherà secondo le nostre opere, voi sarete un giorno la patrona di qualche gran città, mentre il vostro povero amico dovrà accontentarsi d’essere tutt’al più un santo di villaggio. Questo mio frasario vi meraviglia, nevvero? Ma dovete pensare che da otto giorni a questa parte non ne sento e non ne parlo altro; e anzi appunto per impratichirmi meglio in esso sono costretto a disobbedirvi. Ascoltatemi senza irritarvi. E poiché siete già da gran tempo la depositaria di ogni segreto del mio cuore, voglio confidarvi la più grandiosa idea che sia mai uscita dal mio cervello. A che si riducono in fondo le vostre proposte? A sedurre una ragazzetta che non sa nulla, che non ha visto nulla, che perciò è inerme, e al più piccolo complimento perderà subito la testa e mi cadrà tra le braccia più per curiosità che per amore. Oh, mille altri uomini ci riuscirebbero al pari di me! Ben diversa è l’impresa che mi sta a cuore in questo momento, e se, come spero, riuscirà, mi darà insieme piacere e gloria. L’Amore, che sta preparando la mia corona, è perplesso anche lui, e non sa se farla di mirto o d’alloro; e vedrete che, per onorare degnamente il mio trionfo, dovrà intrecciare insieme tutt’e due le fronde. Voi stessa, amica bella, sarete presa da un santo entusiasmo e direte: “Ecco l’uomo secondo il cuor mio!”. Conoscete la presidentessa Tourvel, la sua devozione, il suo amore per il marito, i suoi austeri principi morali? Ebbene, è appunto contro di lei che sto battagliando. Questa sì, che è una nemica degna di me! Questa sì, che è una preda da far venire l’acquolina in bocca! Che se l’impresa sarà sfortunata,

Page 12: Le Amicizie Pericolose.pdf

la gloria avrò d’averla almen tentata. È lecito citare anche dei brutti versi, quando siano d’un gran poeta.6 Saprete che il presidente è attualmente in Borgogna per un grave e lungo processo; e per mio conto spero di fargliene perdere uno assai più importante; pertanto la sua inconsolabile mogliettina deve passare qui tutto il tempo della sua desolata vedovanza; né troppi sono i passatemi che possono distrarla: una messa, le preghiere della mattina e della sera, qualche visituccia ai poveri dei dintorni, qualche passeggiatina solitaria, qualche chiacchieratina con la zia, e una volta ogni tanto una malinconica partita di whist : tutto qui. Bisogna proprio che mi dia dattorno per preparagliene di più sollazzosi! Credo che sia stato davvero il suo buon angelo custode a portarmi qui per la felicità sua e mia. Stupido che io ero, a lamentarmi di dover sacrificare ventiquattro ore della mia vita per una visita di convenienza alla mia cara zietta! Ora mi si farebbe un gran dispetto, a volermi far tornare a Parigi! Per fortuna, poiché bisogna essere in quattro per fare una partita di whist , e qui di giocatori non c’è che il curato, la mia zia immortale m’ha pregato e scongiurato di sacrificarle qual che giorno; e io, sempre magnanimo, ho acconsentito. Da allora la zia mi fa mille moine, e soprattutto è edificata di vedere con che compunzione ascolto la santa messa e tutte le sue preghiere, non supponendo nemmeno quale sia la divinità che vi adoro. Ed eccomi dunque da quattro giorni tutto in balla della mia sconvolgente passione. Ben sapete che, se mi vien fatto di desiderare alcunché vivamente, io divoro gli ostacoli; ma quel che non potete sapere è quanto giovi la solitudine ad accrescer fuoco ai cocenti ardori del desiderio. Non ho più che un’idea sola: di giorno sto sempre lì col pensiero, di notte me la sogno. Oh, sì, bisogna proprio che conquisti questa donna, se non altro per schivare il pericolo ridicolissimo di potermene innamorare: perché non si sa mai dove può arrivare un desiderio contrastato. O deliziosa voluttà, t’invoco per il mio piacere, ma soprattutto per la pace dell’anima mia! Che fortuna però che le donne si sappiano difendere tanto male! Se non fosse così, noi saremmo tutti, di fronte a loro, nella condizione di umilissimi schiavi. A questo punto m’intenerisce l’anima un sentimento di viva gratitudine per tutte le donne facili; e questo sentimento mi spinge naturalmente a prostrarmi ai vostri piedi, a domandarvi perdono, a terminare pateticamente questa lettera che ormai è persino troppo lunga. Addio, bellissima amica mia; e senza rancore. Dal castello di ..., 5 agosto 17..

Lettera V La marchesa di Merteuil al visconte di Valmont. Vi siete accorto almeno, visconte, che la vostra lettera è zeppa d’impertinenza e che dovrei portarvi il broncio? Senonché essa anche mi comprova che avete perduto affatto la testa, e però vi fo grazia della mia indignazione; anzi, da quell’amica generosa e compassionevole che sono, dimentico le ingiurie che m’avete detto e mi preoccupo soltanto del pericolo che correte, e per quanto il ragionare sia una faccenda stucchevole alla fine, ebbene, sopporterò per voi anche il tedio che me ne viene, in considerazione della stretta necessità che ne avete. Ah, dunque volete conquistare la presidentessa Tourvel! O capriccio insensato, o testa strampalatissima che avete, la quale non sa desiderare se non quello appunto che reputa impossibile d’ottenere! E avete osservato almeno che donna è mai questa? Ha fattezze regolari, ve l’ammetto, ma senza

Page 13: Le Amicizie Pericolose.pdf

nessun’espressione. Ha un personale discreto, ma senza neppure l’ombra della grazia. E veste poi in modo da far ridere la gente, tutta infagottata nei suoi fisciù per volersi coprire il petto, e col busto che le sale fin sotto il mento! Ve lo dico da amica, datemi retta: un paio ancora di queste conquiste, e la vostra reputazione è bell’e spacciata. Ricordatevi un po’ del giorno in cui faceva la questua a San Rocco, e che voi mi ringraziaste dello spettacolo che vi avevo procurato: mi pare di vederla ancora girare con quello spilungone dai capelli lunghi che la guidava per mano; pareva che dovesse incespicare a ogni momento, e metteva il suo spropositato guardinfante sempre addosso alla gente, e a ogni riverenza non faceva che arrossire! Chi vi avrebbe detto allora che avreste finito per desiderare una donna simile? Suvvia, visconte, arrossitene anche voi, e rientrate in cervello: vi prometto che non ne dirò mai niente a nessuno. E poi pensate ai fastidi a cui andate incontro, e al rivale che dovete combattere. Un marito! Non vi sentite già umiliato, solo a pronunciare questo nome? Che vergogna, se faceste fiasco! E che poco onore, ancorché riusciate! Vi dico di più: non sperate di trarne piacere. E che! Si può mai avere un qualche godimento con codeste schifiltose? Parlo, s’intende, di quelle che sono schifiltose sul serio. Anche in mezzo alle voluttà, si serbano contegnose e arcigne; e il piacere che vi danno è un bel fiacco piacere, poiché ignorano le gioie dell’amore, l’intero abbandono del corpo, quel frenetico desiderio di sempre nuove ebbrezze che purifica il piacere con la sua stessa intensità. Ve lo dico fin d’ora: nella migliore delle ipotesi, la vostra presidentessa crederà d’aver fatto tutto per voi trattandovi come tratta il marito; e voi m’insegnate che nella intimità coniugale, anche più espansiva, si resta sempre un po’ lontani e divisi. In questo caso è anche peggio; perché la vostra schifiltosa è devota, di quella devozione da donnicciuola che condanna a un’eterna puerilità. Vi riuscirà forse magari di saltare quest’ostacolo, ma non sperate mai d’annientarlo: potrete vincere l’amor di Dio, ma non già la paura del Diavolo; e quando avrete la vostra amante tra le braccia e sentirete battere il suo cuore, sarà però di paura e non d’amore. Forse, a conoscere questa donna qualche anno fa, ne avreste potuto cavar fuori qualche cosa di buono, non dico di no. Ora è troppo tardi, poiché ha già ventidue anni ed è da più di due anni maritata. Credete a me, visconte, quando una donna si è fossilizzata a tal punto, bisogna abbandonarla alla sua sorte, e resterà sempre una donna da poco. E dunque per questo bel mobile voi rifiutate d’obbedirmi, e vi seppellite nella tomba di famiglia di vostra zia, rinunziando a una delle più deliziose avventure che par fatta apposta per coprirvi di gloria? Sembra una fatalità, ma Gercourt finisce sempre per avere qualche vantaggio su di voi. Ve l’ho da dire come la sento? E badate che in me non c’è il menomo rancore; ma a questo punto mi vien fatto di pensare che la vostra fama sia una fama scroccata, e che io farei bene a non confidarvi più niente, perché in verità mi sorride poco l’idea di raccontare i miei segreti all’amante della signora Tourvel! Vi avverto intanto che la piccola Volanges ha fatto già girar la testa a parecchia gente. C’è Danceny, per esempio, che ne va pazzo dal giorno che ha cantato con lei; e infatti ella canta meglio che non si potrebbe aspettare da una collegiale. Debbono studiare adesso dei duetti insieme, e credo che la signorina farà del suo meglio per mettersi all’unisono con lui. Peccato però che questo Danceny sia un ragazzaccio, e perderà il tempo a far l’amore senza concludere un bel niente, tanto più che la ragazza, da parte sua, è assai rustica e scontrosa. A ogni modo, anche se tra i due dovesse succedere qualche cosa, non sarà mai lo spasso che avreste potuto procurarci voi. Perciò sono di malumore, e litigherò certo col mio bel cavaliere appena, tra poco, arriverà; e speriamo che almeno sia docile lui, perché, in quanto a me, in questo momento mi sento disposta persino a una rottura. Ho la sicurezza matematica che, se avessi la presenza di spirito di lasciarlo adesso, il poveretto ne sarebbe disperato; e la disperazione d’un amante è sempre un bel divertimento e da non trascurarsi. Egli mi chiamerebbe perfida: una parola che m’è sempre piaciuta tanto; dopo quella di crudele, è la parola più grata all’orecchio d’una donna, e costa tanto meno fatica a guadagnarsela! Sì, bisogna proprio

Page 14: Le Amicizie Pericolose.pdf

che ci pensi sul serio, a questa rottura e la colpa sarà vostra, tutta vostra, sicché io la metto già a carico della vostra coscienza. Addio; mi raccomando alle preghiere della vostra presidentessa. Parigi, 7 agosto 17..

Lettera VI Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil. E dunque è proprio vero che non c’è donna al mondo la quale non abusi dell’ascendente saputo prendere su di noi, se voi stessa, che io chiamavo l’indulgenza in persona, ne avete fatto gettito, per investirmi così bruscamente nel punto debole dei miei affetti. Con che foschi colori mi dipingete la signora Tourvel! Se al posto vostro ci fosse un uomo, pagherebbe con la vita la sua insolenza; e qualunque altra donna, all’infuori di voi, ne avrebbe avuto alla men peggio una dura lezione. Fatemi la carità di non mettermi più a questi cimenti, perché non so davvero se potrei sopportarli. Per l’amicizia che ci lega, aspettate almeno che io abbia conquistato questa donna, prima di dirmene male. Non sapete che solo il possesso ha il diritto di far cadere le illusioni? Ma che vado dicendo? La signora Tourvel ha forse bisogno d’illusioni? Non le basta presentarsi così com’è, per essere una creatura adorabile? Le avete rimproverato il suo modo di vestirsi. Sfido io! Qualunque abbigliamento le nuoce, poiché non fa che nascondere le sue bellezze, le quali tutte si rivelano nel loro magnifico splendore soltanto nell’abbandono del négligé. Grazie al calore asfissiante di questi giorni, ho potuto ammirarla appunto in una sottile veste da camera che dà risalto a tutte le forme appetitose del suo bel corpo, sodo e pastoso; e poiché una semplice mussolina le copriva il petto, i miei sguardi furtivi han potuto penetrare oltre, e godere già la vista delle rotondità più deliziose. Il suo volto, secondo voi, non ha espressione. E che diamine volete che esprima, in un momento in cui niente le parla ancora al cuore? Certo ella non ha lo sguardo traditore delle civette, che magari a tutta prima piace, ma poi quasi sempre ci delude. Non sa coprire il vuoto d’una frase con sorrisetti studiati; e, benché abbia denti bellissimi, ride solo quand’è il caso di ridere. Ma bisogna poi vederla nei momenti d’allegria, come sa essere ingenua e schietta nella gioia; e come, nel soccorrere qualche disgraziato, il suo sguardo s’anima d’una luce di soave pietà e di pura letizia! Bisogna soprattutto vederla quando le si rivolge qualche lode o qualche complimento, e nel suo visetto celestiale si dipinge l’onesto rossore di una non finta modestia! È schifiltosa e devota; epperò la giudicate fredda e senz’anima. Io la penso diversamente, e mi pare che occorra una sensibilità portentosa per poterla espandere finanche sul proprio marito e amare una persona che è sempre lontana. Questa prova non vi pare sufficiente? E allora ve ne darò un’altra che sono riuscito a procurarmi. Durante una passeggiata, ho fatto in modo che s’avesse a passare un fosso. Ella è agile, ma timidissima; e voi capite che una donna schifiltosa ha sempre paura di saltare il fosso.7 Ci è voluto insomma il mio aiuto. E così ho potuto tenere tra le mie braccia questa perla di verecondia. I preparativi e poi il trasbordo della mia vecchia zia avevano fatto sbellicar dalle risa la vispa santarellina; ma quando, con studiato malgarbo, mi fui impadronito del suo corpo, le nostre braccia si sono allacciate scambievolmente, e, stringendo il suo petto sul mio, ho sentito, in quell’attimo, il suo cuore che batteva più forte; e il bel colore scarlatto che imporporò le sue gote e

Page 15: Le Amicizie Pericolose.pdf

tutto il turbamento della sua persona mi dissero chiaro che quel cuore aveva palpitato d’amore e non di paura. Mia zia però equivocò come voi, e disse: «La povera bimba ha avuto paura»; ma il soave candore della bimba non ha tollerato una menzogna e le ha fatto rispondere ingenuamente: «Oh, no! ma...». Questi pochi monosillabi sono bastati per rischiararmi affatto, e da quel momento la dolce speranza è sottentrata al posto della crudele incertezza. Ora so che conquisterò la bella, che la porterò via a un marito che la profana. E oserei rapirla finanche al Dio che ella adora. Che delizia essere di volta in volta la causa e il vincitore dei suoi rimorsi! Lungi da me la grettezza di voler distruggere i pregiudizi che ingombrano il suo spirito e che accresceranno anzi la mia voluttà e la mia gloria! Creda finché vuole alla virtù, purché me l’offra in olocausto. Senta tutto il terrore delle sue colpe, purché non riesca a sottrarvisi. Sia agitata da mille paure, purché non possa dimenticarle e vincerle se non nelle mie braccia. Se allora dira: “Io t’adoro”, lei sola, tra tutte le donne, sarà degna di pronunziare queste parole, perché io sarò allora veramente il Dio ch’ella avrà preferito. Siamo schietti: nelle nostre solite avventure, fredde quanto facili, noi chiamiamo pomposamente col nome di voluttà il piacere volgare d’un minuto. Ve l’ho da dire? Credevo che il mio cuore fosse inaridito e non trovandovi altro che un po’ di sensualità mi rammaricavo della mia vecchiezza precoce. Ebbene, la signora Tourvel mi ha ridato tutte le deliziose illusioni della giovinezza. Accanto a lei, non ho più bisogno di godere per essere felice. La sola cosa che mi spaventa è la gran perdita di tempo che mi costerà il portare a termine quest’avventura, perché non oso affidare niente al caso. Ho un bel ricordarmi degli ardimenti fortunati di un tempo: con lei non so risolvermi a metterli in pratica. Perché io possa essere compiutamente felice, occorre ch’ella mi si dia spontaneamente, ed è una faccenda tutt’altro che facile. Sono sicuro che ammirerete la mia prudenza: non ho ancora pronunziato con lei nemmeno una volta la parola amore , ma siamo già arrivati a quelle di confidenza e simpatia. Per ingannarla il meno possibile e soprattutto per prevenire le chiacchiere che potevano arrivare al suo orecchio sul conto mio, le ho raccontato io stesso, a mo’ di confessione e mostrandomene contrito, le mie gesta più scandalose. Come ridereste a sentire con che candore ella mi fa la predica! Perché s’è messa in capo a ogni modo di convertirmi, e non sa, la buona creatura, quanto le costerà caro solamente tentarlo! E nemmeno suppone che patrocinando – per servirmi delle sue parole – le tante disgraziate che io ho rovinate , peroraanticipatamente in causa propria. Quest’idea mi è venuta in mente ieri, nel bel mezzo d’uno dei suoi sermoncini, e non ho potuto resistere alla maligna tentazione d’interromperla, per rassicurarla ch’ella parlava infatti come un profeta. Addio, addio, mia bellissima amica, e vedrete che io poi non sono ancora perduto senza rimedio P. S. A proposito, e quel vostro povero cavaliere, s’è poi ammazzato davvero dalla disperazione? Ah, in verità, voi siete cento volte peggiore di me, e, se avessi un po’ d’amor proprio, dovrei arrossire della vostra amicizia! Dal castello di ..., 8 agosto 17..

Lettera VII Cecilia Volanges a Sofia Carnay. Se non t’ho dato ancora notizie delle mie nozze,8è che ne so meno di prima. Anzi mi abituo ormai a non pensarci più, e me ne trovo contenta, perché la vita che faccio adesso mi piace: studio molto il canto e l’arpa, e mi pare di studiarli con più gusto ora che non ho un maestro che mi sorvegli. O, per dir meglio, ho un maestro anche più bravo; ed è quel cavalier Danceny di cui t’ho parlato, e col

Page 16: Le Amicizie Pericolose.pdf

quale ho cantato un duetto in casa della marchesa di Merteuil, te ne ricordi? Questo signore è tanto buono da venir qui tutti i giorni a cantare insieme a me per ore intere: è una persona molto simpatica e compone delle ariette molto carine, su parole che sono anch’esse di sua invenzione. Peccato che sia cavaliere di Malta! Se si potesse sposare, sua moglie potrebbe dirsi davvero una donna felice. Vedessi che maniere affabili e delicate! E senza aver mai l’aria di farti dei complimenti, sa renderti gradita ogni cosa che dice. Anzi qualche volta trova persino da criticare la mia musica o qualche altra cosa mia, ma mette nelle sue parole tanta bonomia e tanta cordialità, che non sarebbe possibile aversene a male. Solo che ti guardi, pare già che ti voglia dire una parola gentile. Oltre a ciò è la cortesia in persona. Ieri, per esempio, lo avevano invitato a un gran concerto, eppure ha preferito restare tutta la serata con noi, con mio immenso piacere, perché, quando non c’è lui, nessuno mi rivolge la parola e m’annoio maledettamente, mentre, se c’è lui, cantiamo e chiacchieriamo insieme noi due. Egli ha sempre infatti qualcosa di bello da dirmi. Lui e la signora Merteuil sono le due sole persone che mi riescono simpatiche. Addio, mia cara, ho promesso per stasera di imparare un’arietta che ha un accompagnamento difficile, e non voglio mancare di parola. Corro perciò a ripassarla, sino al suo arrivo. Parigi, 7 agosto 17..

Lettera VIII La presidentessa Tourvel alla signora Volanges. Vi sono grata oltremodo, gentile signora, della confidenza che mi dimostrate; e credete pure che nessuno s’interessa più di me dell’accasamento di vostra figlia, a cui auguro di cuore la felicità che merita e che la vostra prudenza di mamma le ha certamente saputo preparare. Non ho il piacere di conoscere il conte di Gercourt, ma dal momento che l’avete onorato della vostra scelta debbo pensarne ogni bene. Auguro dunque a questo matrimonio la stessa felicità che io godo nel mio, che è anch’esso opera vostra e per il quale ogni giorno che passa sento crescere maggiormente la mia riconoscenza verso di voi. Possa la felicità di vostra figlia esser degna ricompensa della felicità che mi avete procurata; e la migliore delle amiche possa anche essere la più fortunata delle mamme! Sono spiacente di non potervi esprimere a voce questi miei auguri sinceri e di non poter far subito (come vorrei) la conoscenza della signorina vostra figlia; dalla quale, avendo già sperimentato la vostra bontà, veramente materna, ho la speranza d’aspettarmi un’affettuosa amicizia, come da sorella a sorella. Vi prego pertanto di domandarle da parte mia tale amicizia in attesa di un’occasione propizia per potermela meritare. Fo conto di rimanere in campagna finché duri l’assenza di mio marito, e approfitto di questo tempo per godermi la signora Rosemonde: che donna dabbene, che cara e preziosa compagna! L’età molto avanzata non le ha fatto perdere né la memoria né l’allegria, e sebbene il suo corpo abbia ormai ottantaquattro anni sonati, si direbbe che la sua anima ne abbia appena venti. La nostra solitudine è allietata alquanto dal nipote della signora, il visconte di Valmont, che ci ha usato la cortesia di restare qualche giorno con noi. Lo conoscevo solo di fama; e questa era tale da invogliarmi poco a conoscerlo più da vicino; ma mi pare ch’egli poi sia molto migliore di quel che si dice. Qui, lontano dalla corruzione della tempestosa vita mondana, si mostra abbastanza ragionevole e savio, e riconosce i suoi torti con raro candore. Mi tratta con molta familiarità, e io me ne valgo per fargli prediche severissime. Voi, che lo conoscete meglio di me, potete capire che bella cosa sarebbe poterlo convertire, benché io già m’immagini che, nonostante le sue promesse, otto giorni di Parigi basteranno a fargli dimenticare i miei predicozzi. Pazienza! Ogni giorno di più

Page 17: Le Amicizie Pericolose.pdf

che starà qui con noi, sarà un giorno di meno di stravizi e di dissipazioni. Dato il suo modo di vivere, il non far niente è il meglio che possa fare. Siccome sa che vi sto scrivendo, m’incarica di porgervi i suoi omaggi. Accogliete insieme anche i miei, con la solita benevolenza; e vogliate credere alla mia sincerità, quando ho l’onore di sottoscrivermi, ecc. Dal castello di ..., 9 agosto 17..

Lettera IX La signora Volanges alla presidentessa Tourvel. E chi potrebbe dubitare, mia giovane e bella amica, dei vostri sentimenti d’amicizia nei miei riguardi e del sincero interesse che prendete alle cose mie? Se oggi rispondo alla vostra risposta, non è dunque tanto per discutere con voi questo punto, che credo ormai pacifico tra noi, quanto piuttosto per dirvi due paroline a proposito del visconte di Valmont. Non mi sarei mai aspettata, ve lo dico francamente, di trovare il suo nome nelle vostre lettere; e infatti che ci può essere di comune tra voi e lui? Voi non conoscete bene quest’uomo: sfido io! E come potreste, voi, farvi un’idea dell’anima di un libertino? Mi parlate del “suo raro candore”: oh, sì, il candore di Valmont deve essere davvero rarissimo! Uomo falso e pericoloso, ancor più che non sia cortese e carezzevole, sin dalla sua prima giovinezza non ha detto mai una parola né fatto un gesto senza un segreto disegno; e all’atto pratico questo disegno s’è dimostrato poi sempre una cattiva azione, se non addirittura un delitto. Amica mia, voi mi conoscete bene, e sapete che, tra le virtù che cerco in tutti i modi di praticare, l’indulgenza è quella che preferisco. Se pertanto Valmont fosse trascinato al mal fare dalla foga delle passioni, se, come tanti altri, fosse traviato da errori giovanili, pur biasimando i suoi peccati, compiangerei il peccatore e saprei aspettare in silenzio il momento della resipiscenza che gli restituisse la stima dei galantuomini. Ma tale non è il caso di Valmont, poiché il suo tenore di vita è il risultato dei suoi principi. Egli sa giust’appunto fin dove è lecito spingere l’infamia senza compromettersi; e per essere crudele e malvagio senza pericoli, ha scelto infatti per vittime le donne. Anche a prescindere dalle infinite che ha solamente sedotte, sapeste quante mai ne ha rovinate per sempre! Nella vita onesta e ritirata che conducete non può esservi giunta l’eco delle sue avventure scandalose; ma, se ve ne raccontassi qualcuna, vi farei certo rabbrividire. A che pro? Offenderei inutilmente la purità immacolata della vostra anima bella, poiché voi non avete bisogno affatto di tali armi per difendervi. Una cosa sola vi dirò: che, delle tante donne che ha avvicinate, non una ce n’e che, pur non dandogli ascolto, non si sia pentita amaramente d’averlo conosciuto. Unica eccezione la marchesa di Merteuil, che sola ha saputo resistergli e metterlo a posto; e questa è anzi ai miei occhi l’azione della sua vita che più le fa onore e ricompra agli occhi di tutti qualche leggerezza che ha potuto commettere nei primi tempi della sua vedovanza.9 Comunque la mia età, la mia esperienza, l’amicizia soprattutto che nutro per voi, mi permettono di darvi un avvertimento per il vostro bene. Si comincia già a notare nel bel mondo parigino l’assenza di Valmont; e se per caso si verrà a sapere che ha passato qualche tempo con la zia e con voi, la vostra reputazione sarà nelle sue mani, e non c’è disgrazia peggiore che possa capitare a una donna. Vi consiglio pertanto d’esortare la zia a non trattenerlo più oltre con sé; e se egli s’ostinasse tuttavia a rimanere, cercate d’andarvene voi. Ma perché, del resto, dovrebbe rimanere? E che diamine può fare un uomo come lui in campagna? Scommetto che, se farete spiare i suoi passi, verrete a scoprire ch’egli non ha fatto che scegliere un asilo più comodo per qualche marachella che va meditando nei dintorni. Non potendo impedire il male, cerchiamo almeno di metterci in salvo noi

Page 18: Le Amicizie Pericolose.pdf

Addio, mia bella amica. Il matrimonio di mia figlia sarà ritardato di qualche mese. Il conte di Gercourt, che aspettavamo da un giorno all’altro, ci fa sapere che il suo reggimento va in Corsica, e poiché là dura ancora lo stato di guerra, gli sarà impossibile assentarsi prima dell’inverno. La cosa da una parte mi rincresce; ma dall’altra mi fa sperare d’avervi con noi alle nozze, perché mi dispiaceva molto che si facessero senza di voi. Addio; sono tutta vostra, senza tanti complimenti, ma anche senza riserve. P.S. Ricordatemi alla cara signora Rosemonde, a cui voglio il bene che merita. Parigi, 11 agosto 17..

Lettera X La marchesa di Merteuil al visconte di Valmont. Siete in collera con me? Siete morto? Oppure – che in fondo è quasi lo stesso – non vivete più altro che per la vostra presidentessa? Vedrete che questa donna, che vi ha ridato le illusioni della giovinezza , vi ridarà anche a poco a poco i pregiudizi puerili di quell’età. Eccovi già timido e schiavo: che vi manca per essere addirittura innamorato? Dite d’avere rinunziato ai vostri ardimenti fortunati : e ciò vuol dire che andate innanzi senza regola, affidandovi tutto al capriccio del caso. Non vi ricordate più che l’amore, come la medicina, è semplicemente l’arte d’aiutar la natura? Vedete che io vi sconfiggo con le vostre stesse armi. Oh, non me ne vanto, perché purtroppo è come ammazzare un uomo morto! Voi mi dite: “Bisogna ch’ella mi si dia spontaneamente”. Certo è un’ottima cosa; e, che diamine, finirà anch’essa per darsi un bel giorno come si danno tutte le altre; con questa sola differenza però, che vi si darà di mala grazia; ma dimenticate che, per ottenere che una donna vi si dia, il mezzo più spiccio è di cominciare intanto col prenderla? La distinzione ridicolissima che voi fate tra questi due verbi è una delle solite sciocchezze degli innamorati. Notate bene che io dico proprio innamorati , perché voi siete ormai nel numero di questi, e, se non ve lo dicessi schiettamente, vi tradirei, vi nasconderei senza pro il vostro male. Ditemi un po’, languidissimo spasimante, e tutte le donne che avete avuto fin qui, credete proprio d’averle violate? Dovete riflettere che una donna, per quanto possa avere una voglia matta di darsi, e mettiamo pure che questa voglia la triboli e l’angustii, bisogna che abbia qualche pretesto di farlo decentemente. E qual pretesto è migliore di fingere che si ceda alla forza? In quanto a me, ve lo confesso, il sistema che mi piace di più è d’essere presa d’assalto, con una azione a fondo, vivace e incalzante, fatta con ordine ma anche con rapidità, che ci eviti la situazione penosa e imbarazzante di dover protestare per un gesto di cui invece approfitteremmo tanto volentieri; che dia un sapore di cosa rubata anche alle carezze che liberamente vi concediamo; che lusinghi insomma con molta accortezza le nostre due passioni predominanti, la gloria d’esserci difese e il piacere della sconfitta. Vi dirò che questa abilità, più rara che non si pensi, mi è sempre piaciuta anche nei casi in cui non ne avevo nessun desiderio, sicché alle volte mi è capitato d’arrendermi soltanto come ricompensa Così negli antichi tornei la bellezza premiava il valore e l’abilità. Ma voi, che non siete più voi, vi comportate giust’appunto come se aveste paura di riuscire. E da quando in qua avete preso l’abitudine di viaggiare a piccole tappe e per la via più lunga? Buoni cavalli di posta e strade maestre ci vogliono, caro mio, per arrivare presto e bene alla mèta! Ma lasciamo questo argomento che m’indispone; tanto più che per causa sua debbo privarmi del piacere di vedervi. Scrivetemi almeno più spesso e tenetemi informata dei vostri progressi. Sapete che sono ormai quindici giorni che perdete in questa bell’avventura, trascurando tutto e tutti? A proposito di trascuratezza, voi rassomigliate a coloro che mandano puntualmente ogni giorno a prender notizie degli amici ammalati, ma poi non si curano né tanto né poco di sapere la risposta. La

Page 19: Le Amicizie Pericolose.pdf

vostra ultima lettera finiva col domandarmi se il mio cavaliere era morto: io non vi ho nemmeno risposto, e voi non ve ne date più nessun pensiero. Eppure il mio amante è vostro amico d’infanzia! Via, rassicuratevi, non è morto; e, se fosse morto, sarebbe stato per eccesso di gioia. Povero cavaliere! Come è affettuoso, come è tenero! Par fatto apposta per l’amore, e io ne vo’ pazza. A parte gli scherzi, è tanta la felicità che gode nell’essere amato da me, che io sento di volergli bene sul serio. Quel giorno stesso che vi scrivevo di volerla rompere assolutamente con lui, l’ho invece colmato di beatitudine! E sì che quando mi fu annunziata la sua visita ero pronta e disposta a tutto per fargli perdere la pazienza! Ma poi, sia per capriccio, sia per un senso di giustizia, non m’era mai piaciuto tanto come quella sera. Con tutto ciò, gli feci un’accoglienza sgarbatissima. Il poveretto sperava di passare con me un paio d’ore prima che arrivassero i soliti invitati, ma io gli dissi che stavo per uscire, e quando mi domandò dove andavo, mi rifiutai di dirglielo. Egli insistette umilmente; e io, dura e aspra: «Andrò dove non sarete voi». Fortuna che la mia risposta lo fece rimanere di stucco, perché, se avesse appena aperto bocca per proferire una parola, sarebbe scoppiata la terribile scenata che avevo predisposta per arrivare alla rottura. Meravigliata del suo silenzio, gli diedi un’occhiata di straforo, senz’altro scopo (vi giuro) che di guardare la faccia che faceva; ma vidi allora sul suo bel volto quell’accorata tristezza, profonda insieme e sentimentale, a cui non si può resistere, e anche voi me lo avete ammesso. Ora, siccome la stessa causa produce gli stessissimi effetti, ecco che io fui vinta una seconda volta, e da quel momento non pensai più che a essere inappuntabile nei suoi confronti. «Esco per un affare» gli dissi con un tono di voce molto raddolcito «e per un affare che vi riguarda; ma non me ne chiedete niente. A pranzo sarò sola; tornate e vi racconterò ogni cosa.» Egli ritrovò subito la parola; ma io non gli permisi d’usarla. «Ho fretta,» soggiunsi «una gran fretta; lasciatemi andare; ci rivedremo questa sera.» Mi baciò la mano e partì. Lì per lì, per ricompensarlo dei miei torti, e, via, lo dirò pure, per ricompensare anche me stessa, avevo stabilito di fargli conoscere il mio casinetto, di cui ignorava persino l’esistenza. Chiamo la mia fida Vittorina: «Ho l’emicrania» le dico «e bada che sono già a letto per tutti». Restata finalmente sola con lei, mi vesto da cameriera, mentre lei, la vera cameriera, si veste da lacchè. Poi usciamo dalla porticina di servizio, e, salite in una vettura da piazza, eccoci in cammino. Arrivate al Tempietto d’Amore, scelgo la vestaglia più provocante, una galanteria, un amore, una cosina leggera, spumeggiante, di mia invenzione, che, senza lasciar vedere niente, fa indovinare ogni cosa: ebbene, sì, ve ne darò il modello per la vostra presidentessa appena l’avrete resa degna d’indossarla. Dopo questi preparativi, mentre Vittorina si occupa d’altri particolari, io mi metto a leggere un capitolo del Sofà , una lettera d’Eloisa e due novelle di La Fontaine’s, per studiarvi i vari stili che volevo assumere. Intanto il mio bel cavaliere arriva al portone di casa mia con la furia abituale; ma qui si sente dire dal portiere che non si può entrare e che io sono malata. Primo contrattempo. Il portiere gli consegna poi un mio biglietto: mio, ma non di mia mano, secondo le regole di prudenza che mi sono imposte. Apre e trova queste parole, scritte di pugno di Vittorina: “Alle nove precise, sul bastione, davanti al caffè”. Corre al luogo dell’appuntamento e trova un ragazzo, un lacchè che non conosce o che almeno crede di non conoscere (perché si tratta proprio di Vittorina travestita), e costui lo invita a licenziare la carrozza e a seguirlo a piedi. Tutti questi preliminari romanzeschi finiscono per riscaldargli la testa, e la testa calda non guasta in certi momenti. Finalmente arriva dinanzi a me: la sorpresa e l’amore l’avevano come stregato. Per calmarlo un po’ facciamo una passeggiatina nel boschetto; poi lo riporto a casa, dove trova anzitutto una tavola apparecchiata per due e un letto pronto a riceverci. Di lì passiamo nel mio salottino, ch’è in tutto il suo splendore. Qui, un po’ per riflessione e un po’ per foga spontanea di affetti, gli getto le braccia al collo e mi lascio cadere ai suoi piedi. «Tesoro mio,» gli dico «per il desiderio di farti questa sorpresa che ora vedi, ho avuto il torto di

Page 20: Le Amicizie Pericolose.pdf

addolorarti fingendomi corrucciata con te. Non mi rimprovererò mai abbastanza, angelo mio, d’averti nascosto, sia pure per un istante, il vero sentimento del mio cuore. Ma tu perdonami, e io espierò la mia colpa a furia d’amore.» Potete figurarvi l’effetto di questo discorso sentimentale. Il cavaliere, raggiante di gioia, mi sollevò di peso, e il mio perdono fu suggellato su quella stessa ottomana, su cui voi suggellaste così allegramente, nello stesso modo, la nostra rottura per l’eternità. Siccome avevamo circa sei ore da passare insieme, e io volevo che tutte fossero parimenti deliziose, moderai i suoi ardori, e da tenera amante mi trasformai in una spiritosa e garbata civettuola. Non credo d’aver mai messo altre volte tant’ingegno nell’arte di piacere, e certo non sono mai stata tanto soddisfatta di me. Dopo il pranzo, fui ora sventata come una ragazzaccia, ora assennata come una donna seria, ora bislacca, ora delicata, e talora finanche licenziosa e libertina, compiacendomi di considerare il cavaliere come un sultano nel suo serraglio, di cui raffiguravo io sola, di volta in volta, le diverse favorite. E infatti i suoi reiterati omaggi, se furono ricevuti tutti da una stessa donna, erano indirizzati ad amanti sempre diverse. All’alba dovemmo infine separarci, e per quanto lui dicesse di no, e facesse di tutto per provarmelo, ne aveva proprio bisogno, tanto era stanco se non sazio. Nel momento d’uscire, io presi la chiave della beata dimora, e mettendogliela a mo’ di saluto tra mano, gli dissi: «Questa chiave ha servito solo per voi; è dunque giusto che sia vostra. Solo il sacrificatore è padrone del tempio.» Con tale furberia prevenni le riflessioni che potevano essergli suggerite dalla proprietà sempre sospetta d’un casinetto come quello. Io conosco troppo bene per essere certa ch’egli non ne userà che in mia compagnia; e se a me invece saltasse il ticchio d’andarci con altri, ho una chiave di riserva. Egli pretendeva di fissare a tutti i costi un giorno per ritornarci; ma io l’amo ancora troppo per volerlo consumare tutto d’un fiato. Certe esagerazioni vanno bene soltanto con le persone che siamo in procinto di lasciare. Lui non le sa, certe finezze ma per fortuna ci sono qui io ad avere giudizio e scaltrezza per due. M’avvedo solo ora che sono ormai le tre del mattino e che vi ho scritto un volume: e pensare che avevo intenzione di scrivervi appena due righe! Tanto è il piacere di sfogarsi con un amico come voi, che è pur sempre quello a cui voglio più bene di tutti, ancorché il cavaliere, per dirla schietta, mi piaccia di più. Parigi, 12 agosto 17..

Lettera XI La presidentessa Tourvel alla signora Volanges. La vostra lettera così severa m’avrebbe spaventata, se per fortuna non avessi trovato qui più ragioni di conforto di quel che non me ne davate voi di trepidazione. Si vede che questo tremendo signor Valmont, lo spavento delle donne, deve avere deposte le sue armi micidiali prima d’entrare nel castello. Anziché venir qui a ordire trame diaboliche, si direbbe che ha lasciato alla porta anche le più innocenti intenzioni. E anche la qualità che persino i suoi detrattori più accaniti gli riconoscono, d’essere una persona di spirito e affabilissima, ebbene, anche questa è scomparsa; ed egli qui non è

Page 21: Le Amicizie Pericolose.pdf

se non un buon ragazzone. Probabilmente, chissà, è stata l’aria della campagna a fare questo miracolo. Di una cosa intanto vi posso far fede: che sebbene stia sempre, mattina e sera, in mia compagnia, e ci stia piuttosto volentieri, non gli è sfuggita mai una parola che assomigli magari di lontano alla parola amore, non ha mai pronunciato una di quelle frasi che tutti gli uomini si permettono con le donne, ancorché non tutti abbiano a loro giustificazione i requisiti ch’egli possiede. Non s’è mai dato il caso che mi abbia costretta, con la menoma sconvenienza, a prendere le misure di rigore che tante volte purtroppo una donna onorata è costretta oggigiorno a prendere per mettere a posto gli uomini che le stanno attorno. Oh, no! Egli sa tenerci allegre, ma con tal garbo che la modestia in persona non potrebbe offendersene. Insomma, se ioavessi un fratello, vorrei che fosse quale è il signor Valmont qui con noi. So che parecchie donne, al posto mio, vorrebbero vedere in lui una più spiccata galanteria; ma io gli sono invece molto grata d’avermi giudicata così favorevolmente e di non avermi messa in mazzo con quelle. Il ritratto che io faccio, è, come vedete, assai differente dal vostro; e tuttavia potrebbe darsi che avessimo ragione tutt’e due, trattandosi di due tempi diversi. Lui stesso d’altronde ammette francamente d’aver avuto molti torti, e altri con molta probabilità gliene hanno affibbiati gratuitamente. Il fatto è che ho raramente incontrato uomini che parlassero delle donne oneste con maggior rispetto, e sto per dire con maggiore entusiasmo di lui. Voi stessa del resto mi fornite le prove che almeno su questo punto non cerca d’ingannarmi. Significativo al riguardo è infatti il suo modo di comportarsi verso la signora Merteuil, di cui ci parla spesso con tali elogi e con affetto tanto sincero, che a tutta prima, e finché non ho ricevuto la vostra lettera, ho creduto che la sua pretesa amicizia con lei non fosse nient’altro che amore bello e buono. Ho fatto un giudizio temerario, e me ne pento, tanto più che il poveretto ha cercato di tutto per scagionarsi d’ogni sospetto al riguardo. Ma sapete cos’è? Io avevo preso la sua onesta schiettezza per sottilissima astuzia. Orbene, non so, posso ingannarmi, ma a me pare che un uomo capace di un’amicizia così costante per una signora rispettabilissima non può essere un libertino senza via di scampo. Non so dirvi se sotto la sua nuova austerità non si nasconda per avventura un qualche ripesco ch’egli abbia nei dintorni, come supponete voi. Belle donne non ne mancano, da queste parti. Certo egli esce poco di casa, fuorché al mattino, che dice di andare a caccia. È vero che di selvaggina se ne vede poca; ma, a sentir lui, è un cacciatore da strapazzo. A ogni modo m’importa poco o niente di sapere che cosa vada facendo fuori del castello, e se anche cercassi di saperlo, sarebbe soltanto per vedere chi di noi due ha più ragione, io o voi. Per ciò che si riferisce alla vostra proposta di abbreviare il soggiorno di Valmont nel castello, capirete che la cosa è tutt’altro che facile. Come si fa a chiedere a sua zia di mandare via un nipote a cui la poveretta è affezionatissima? Vi prometto tuttavia, per una giusta deferenza ai vostri desideri, non già perché ce ne sia bisogno, di cogliere la prima occasione che si presenti per fare questa richiesta alla zia o direttamente a lui. In quanto a me, mio marito sa che mi tratterrò qui sino al suo ritorno, e si meraviglierebbe assai e non a torto della mia leggerezza, se tutt’a un tratto cambiassi parere. Le mie spiegazioni vi sembreranno troppo lunghe; ma sentivo l’obbligo morale di testimoniarvi la verità a favore di Valmont, che a quanto pare ne ha gran bisogno. Vi ringrazio a ogni modo dell’amicizia che vi ha indotta a consigliarmi per il mio bene; come anche vi ha ispirato le parole gentili che mi dite a proposito del ritardato matrimonio di vostra figlia. Certo mi riprometto un gran piacere nell’assistere accanto a voi a queste nozze, ma lo sacrificherei volentieri al desiderio vivissimo che ho di vedere la signorina Volanges felice più presto, se però potrà esser più felice lontana da una madre tanto degna di reverenza e di affetto. Divido anch’io con lei questi due sentimenti che tanto profondamente mi legano a voi, e vi prego di volerne accogliere con la solita benevolenza l’espressione più sincera. Ho l’onore di firmarmi vostra ecc. Dal castello di ..., 13 agosto 17..

Page 22: Le Amicizie Pericolose.pdf

Lettera XII Cecilia Volanges alla marchesa di Merteuil. La mamma è un pochino indisposta e non uscirà di casa; e perciò, dovendo farle compagnia, non potrò aver l’onore di venire stasera all’Opera con voi. V’assicuro che rimpiango la vostra compagnia e non già lo spettacolo; credetemelo, perché vi voglio tanto e tanto bene! Mi farete il favore d’avvertire il cavalier Danceny che non ho la raccolta di sonate di cui mi ha parlato e che pertanto mi farà cosa grata se domani me la porterà lui. Se verrà da me oggi, gli diranno che non siamo in casa, ma io non ho colpa: la mamma non vuole ricevere nessuno. Speriamo che si senta meglio domani. Ho l’onore di sottoscrivermi vostra ecc. Parigi, 13 agosto 17..

Lettera XIII La marchesa di Merteuil a Cecilia Volanges. Sono spiacentissima, mia cara, di non potervi avere con me a teatro e della causa della vostra assenza. Speriamo tuttavia che si ripresenterà presto l’occasione. Eseguirò puntualmente la vostra commissione per il cavalier Danceny, che sarà certo desolatissimo della malattia della vostra mamma. Se ella domani vorra ricevermi, verrò a tenerle compagnia; e sfideremo, io e lei, il cavalier Bellaroche10al picchetto; così, al piacere di vincergli molto denaro, uniremo quello assai maggiore di sentirvi cantare qualcosa insieme al vostro maestro, che io avvertirò perché sia anche lui della partita. Se la proposta non dispiace a voi e a vostra madre, garantisco da parte mia che i miei due cavalieri non mancheranno. Addio, mia cara, i miei omaggi alla buona signora Volanges, e a voi un affettuosissimo bacio. Parigi, 13 agosto 17..

Lettera XIV Cecilia Volanges a Sofia Carnay. Se ieri non t’ho scritto, mia cara Sofia, non potrai dire davvero ch’è stato per divertirmi. Figurati! La mamma è malata; e non mi sono mossa mai tutto il giorno dal suo capezzale. La sera, quando mi sono ritirata in camera mia, non avevo voglia di far niente, e mi sono coricata subito per finire più presto la giornata interminabile. Non credere da ciò che io non voglia bene alla mamma; ma non so neanch’io che cosa avessi dentro di me. Avrei dovuto andare all’Opera con la signora Merteuil, e avremmo trovato là anche il cavalier Danceny: sai già che sono le due sole persone che mi garbano. Ebbene, quando è venuta l’ora dello spettacolo, ho inteso una forte stretta al cuore, e niente più mi piaceva, e ho pianto, ho pianto tanto, senza potermi contenere. Fortuna che la mamma era coricata e non poteva vedermi! Penso che il cavaliere Danceny ne sarà stato seccato anche lui; ma, vedi, è tutt’altra cosa: egli poteva almeno distrarsi guardando il pubblico e lo spettacolo. Oggi, se Dio vuole, la mamma sta meglio, e la signora Merteuil verrà a trovarci insieme con Danceny e con un altro signore; ma quella benedetta donna arriva sempre in ritardo, e capirai che,

Page 23: Le Amicizie Pericolose.pdf

quando si è soli da tanto tempo, si muore di noia. Sono appena le undici! Vero è però che debbo ancora studiare l’arpa, e poi mi ci vorrà anche un bel po’ di tempo per rassettarmi, perché questa sera voglio essere pettinata proprio bene. Aveva ragione, sai, suor Perpetua, che frequentando il gran mondo si diventa civette; e infatti io non ho mai avuto tanta smania di comparire e di farmi bella come in questi giorni, e mi pare sempre di essere meno carina di quel che credevo. Che vuoi? A stare vicino a queste signore che usano il belletto si sfigura. La signora Merteuil, per esempio, piace agli uomini assai più di me: oh, me ne sono accorta, e ne sarei avvilita se non si trattasse di lei che mi vuol bene, e se proprio lei non m’avesse assicurata che al cavalier Danceny piaccio più io! Non ti pare che la signora sia stata assai generosa a dirmi questo? E anzi aveva persino l’aria d’esserne contenta. Francamente, io non sarei stata capace di tanto; ma è che la marchesa mi vuole tanto bene. E lui dunque mi trova carina! Non puoi immaginare quanto mi faccia contenta anche questo. Vedi, non so perché, ma mi fa l’effetto che, solamente a guardarlo, io debba diventar più bella; e perciò lo guarderei sempre, se non fosse per la paura d’incontrare i suoi occhi; perché, tutte le volte che questo mi succede, mi confondo e provo come una specie d’affanno: oh, non è niente di spiacevole, però! Addio, mia cara, vado a vestirmi. T’amo sempre come al solito. Parigi, 14 agosto 17..

Lettera XV Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil. È proprio una cara cortesia la vostra, di non abbandonarmi alla mia cattiva sorte. La vita che meno in questo castello è davvero fastidiosa, alla lunga, per il soverchio riposo e per la sua stupida monotonia. Leggendo la lettera che m’avete scritto e i particolari della vostra deliziosa giornata, sono stato lì lì cento volte per pigliare il pretesto di qualche affare, correre ai vostri piedi e pregarvi d’essere almeno una volta infedele con me al vostro cavaliere, che dopo tutto non merita la tanta felicità che gli date. Sapete che m’avete fatto diventare geloso di lui? E di che rottura eterna mi andate cianciando? Abiuro il giuramento pronunciato nel delirio: e guardate che non saremmo degni d’averlo fatto, se dovessimo poi mantenerlo sul serio. Ah, se potrò un giorno vendicarmi tra le vostre braccia dell’offesa involontaria che mi ha fatto il cavaliere col godere di tanta buona ventura! Sì, sono proprio indignato, lo giuro, quando penso che il fortunato mortale, senza tante sofisticherie, senza fare il minimo sforzo, seguendo appena animalescamente l’istinto del cuore, ha potuto trovare bell’e pronta quella grazia di Dio che io non riesco ad afferrare. Oh, io turberò questa sua felicità, promettetemi che la turberò! E voi stessa non vi sentite un po’ umiliata? Come! Fate di tutto per ingannarlo, ed egli sarà più felice di voi? Credete di tenerlo incatenato, e finite poi per essere incatenata voi da lui? Egli dorme tranquillo, e voi dovete vegliare per i suoi piaceri? E, se foste sua schiava, che fareste di più? Tant’è, amica mia. Finché voi vi dividete tra più amanti, non sento la menoma gelosia: in essi non vedo che i successori d’Alessandro, incapaci di conservare tutti uniti l’impero su cui io ho già regnato solo, da monarca assoluto. Ma che voi vi diate tutta a un unico amante, che ci sia un altro uomo che abbia la mia stessa fortuna, ah, no, questo è troppo e non sperate mai che io possa tollerarlo! O riprendete me, o almeno date un compagno al cavaliere: non vogliate tradire, incapricciandovi d’un solo uomo, l’inviolabile amicizia che ci siamo giurata! Non vi basta forse che io abbia tanti motivi di lamentarmi dell’amore? (Vedete che io accedo alla vostra opinione, e confesso i miei torti.) E infatti, se il non poter più vivere senza l’oggetto dei nostri desideri e il sacrificargli il tempo, i piaceri, la vita, tutto, vuol dire essere innamorato, ebbene

Page 24: Le Amicizie Pericolose.pdf

io sono certo innamorato cotto. Ma che mi vale, però, se non ho progredito d’un passo? Tanto che oggi non avrei niente da raccontarvi, se non fosse sopravvenuto un accidente che mi fa molto almanaccare, e tra il sì e il no non so risolvere ancora se ne debbo trarre motivo di timore o di speranza. Mi pare che conosciate il mio staffiere, un vero servitore da commedia, che per i raggiri e gli intrighi vale un Perù. Ora, tra gli ordini che aveva ricevuto da me, c’era, come potete ben immaginare, quello di fare il cascamorto alla cameriera della presidentessa e di piacere a tutti i costi alla servitù. Il briccone è stato più fortunato di me, ed è già padrone della piazzaforte. In tal modo è venuto a sapere che la signora Tourvel ha incaricato un suo uomo di fiducia di assumere informazioni su quel che io faccio e di pedinarmi, senza farsi scorgere, nelle mie gitarelle mattutine. Che diamine vorrà fare costei? Possibile che la modestissima delle donne prenda iniziative che nemmeno noi oseremmo permetterci? E io vi giuro... Ma, prima di pensare a vendicarmi di questa sua malizietta tutta femminile, cerchiamo di rivolgerla a nostro vantaggio. Finora queste mie passeggiate tanto sospette non avevano nessuno scopo: bisogna trovargliene uno. Il caso merita tutta la mia attenzione, e vi lascio dunque per riflettervi. Addio, mia bella amica. Sempre dal castello di ..., 15 agosto 17..

Lettera XVI Cecilia Volanges a Sofia Carnay. Quante novità, mia cara Sofia! Forse non dovrei dirtele, ma bisogna pure che mi sfoghi con qualcuno. Il cavalier Danceny... Sono tanto confusa e tremante, che non posso scrivere, e non so da che parte incominciare. Dopo averti raccontato la bella serata11passata con lui e con la signora Merteuil in casa nostra, non te l’ho più nominato perché non volevo parlarne più con nessuno, sebbene il mio pensiero fosse sempre lì. Nei giorni scorsi il poveretto s’era fatto triste triste; tanto triste ch’era una pena a vederlo! Se gliene domandavo la ragione, mi rispondeva che non era vero affatto. E invece era vero proprio: oh, lo vedevo io, ch’era vero! Ieri sera era anche più triste del solito; e tuttavia m’usò la cortesia di cantare lo stesso con me, come fa tutte le sere. Senonché nel cantare mi dava certi sguardi da stringere il cuore. Appena finimmo, andò lui a chiudere l’arpa nell’astuccio, e me ne portò la chiave, pregandomi di sonarla ancora, quella stessa sera, quando fossi rimasta sola. Io non sospettai di niente, tant’è vero che non volevo acconsentirgli, e gli dissi di sì soltanto in seguito delle sue vive insistenze. E ne aveva ben donde! Quando infatti fui sola nella mia stanzetta e la cameriera se ne fu andata, presi l’arpa, e tra le corde trovai un foglio piegato in due, ma senza suggello: una sua lettera. Ah, se sapessi tutto quel che mi dice! Dal momento che ho letto questa lettera, sento tanto piacere che non so pensare ad altro. L’ho letta e riletta quattro volte di seguito, e poi l’ho chiusa a chiave nel cassetto della mia scrivania: oramai la sapevo a memoria; e quando fui a letto, l’andavo ripetendo infatti tra me e me da non poter più dormire, e, se chiudevo gli occhi, mi vedevo dinanzi lui in persona a confermarmi a viva voce le frasi salienti dello scritto. Mi sono addormentata perciò molto tardi, e appena sveglia (era ancora prestissimo) sono corsa a prendere la lettera per rileggermela con più comodo; e una volta che l’ho avuta con me nel letto l’ho baciata e ribaciata tante volte, come se... Forse non sta bene baciare una lettera come questa, ma non ho potuto farne a meno. E ora, cara mia, sono contenta, sì, ma anche molto perplessa; perché a questa lettera non dovrei rispondere di certo: oh, questo lo so che non sta bene! Ma egli mi scongiura tanto che io gli risponda, che se non lo faccio diventerà magari più triste, e sarebbe una bella disgrazia per lui. Che mi consigli di fare? Ma già, tu ne sai quanto me. Bisognerà che ne parli con la signora Merteuil, che mi vuol bene. Vedi? Desidererei consolarlo, ma al tempo stesso non vorrei far nulla di male. Com’è

Page 25: Le Amicizie Pericolose.pdf

il mondo! Non fanno che raccomandarci il buon cuore, e poi vorrebbero (e non mi pare giusto) impedirci d’ascoltare le sue ispirazioni quando si tratta di un uomo, quasi che un uomo non facesse parte anche lui del prossimo nostro. Anzi a me pare che un uomo ne faccia parte anche meglio d’una donna; e infatti non abbiamo noi tra i parenti un padre e un fratello come abbiamo una madre e una sorella? E, vedi, tra i parenti maschi c’è in più anche il marito. Se però facessi qualcosa che non sta bene, mi pare che anche Danceny si farebbe un cattivo concetto di me, e allora preferisco le mille volte che sia triste. Dopo tutto non c’è poi questa gran fretta: se mi ha scritto ieri, non c’è mica obbligo di rispondergli subito oggi; e questa sera potrò vedere la signora Merteuil e raccontarle, se ne avrò il coraggio, ogni cosa per filo e per segno, sicura che se farò quel ch’ella mi dirà non avrò niente da rimproverarmi. E magari vedrai che mi consiglierà di rispondergli due righe, perché non sia così triste. Quanta agitazione, amica mia! Addio. Dimmi comunque quel che ne pensi. Parigi, 19 agosto 17..

Lettera XVII Il cavalier Danceny a Cecilia Volanges. Prima d’abbandonarmi, o gentil signorina, al piacere o piuttosto al bisogno di scrivervi, debbo pregarvi di sapermi compatire. Capisco anch’io che per osare di palesarvi i miei sentimenti mi occorre molta indulgenza; mentre non me ne occorrerebbe affatto se mi limitassi soltanto a giustificarli. Ma in fin dei conti io non fo che mostrarvi l’opera vostra; e non ho da dirvi se non quel che vi hanno detto mille volte prima di me i miei sguardi, i miei atti, la mia confusione e persino il mio silenzio. E perché dovreste avervi a male d’un sentimento che avete fatto nascere voi? Provenendo da voi, è degno sicuramente d’esservi offerto: se è ardente come l’anima mia, è però anche puro come la vostra. Sarebbe mai una colpa aver saputo apprezzare il vostro bel viso, le vostre grazie seducenti, e quel vostro meraviglioso candore che aggiunge un valore inestimabile alle altre qualità già tanto preziose? Certo che no. Ma, anche senza essere colpevoli, si può essere disgraziati, come avverrà di me se non vorrete gradire il mio omaggio. Questa è la prima volta che offro il mio cuore a una donna. Senza di voi, sarei ancora tranquillo, se non felice. Ma io vi ho veduta, e la mia pace subito se n’è fuggita via, e la felicità pende ancora incerta. E voi vi meravigliate che io sia triste? E me ne chiedete la ragione? Mi è anche sembrato qualche volta, non so, di vedervi addolorata per questa mia tristezza: ebbene, dite una parola sola, e mi farete felice. Ma, prima di pronunziarla, badate che questa parola potrebbe rendermi anche il più infelice degli uomini. Siete dunque arbitra del mio destino: voi potete farmi felice o infelice per l’eternità. A quali mani più care potrei affidare un compito così grave? Finirò come ho cominciato, implorando la vostra indulgenza. Vi ho già chiesto di compatirmi. Ora oso chiedervi di più, e cioè di volermi rispondere. Se mi rifiutaste questa grazia, vorrebbe dire che vi siete offesa, mentre chiamo garante il mio cuore che in me il rispetto uguaglia l’amore. P. S. Potrete servirvi, per rispondermi, dello stesso mezzo che uso io per farvi avere questa mia: mi pare un mezzo comodo e sicuro. Parigi, 18 agosto 17..

Lettera XVIII

Page 26: Le Amicizie Pericolose.pdf

Cecilia Volanges a Sofia Carnay. Come! E tu dunque, o Sofia, biasimi quel che sto per fare? Avevo già tante preoccupazioni, e tu adesso me le accresci ancora? È chiaro, dici tu, che non si deve rispondere. Oh, si fa presto a dire, quando non si sa neppure come stanno le cose, e non si è qui a vedere coi propri occhi! Sta’ pur certa, che se tu fossi nei miei panni faresti né più né meno di quel che faccio io. In generale, sì, lo so, non si dovrebbe rispondere; e nella lettera mia di ieri hai potuto vedere del resto che anch’io la pensavo così. Ma, vedi, è che nessun’altra donna s’è trovata mai nel caso mio. E per di più mi tocca prendere questa benedetta risoluzione da sola, perché la signora Merteuil, che speravo di vedere iersera, non s’è fatta viva: vedi se tutto congiura contro di me? E pensare che è stata lei che me l’ha fatto conoscere, e quasi ogni volta che l’ho visto e gli ho parlato ero con lei! Non già che gliene serbi rancore; ma, santo Dio, doveva piantarmi qui sola, proprio quando sono negli impicci? Oh, come sono da compiangere! Figurati che ieri sera è venuto come al solito. Io ero tanto turbata che non ho osato neppure guardarlo; ed egli non mi poteva parlare perché era presente la mamma. Immaginavo già il suo dispiacere quando si sarebbe accorto che non gli avevo risposto, e non sapevo perciò che contegno tenere. Subito appena entrato, mi ha chiesto se volevo che andasse a prendermi l’arpa. Il cuore mi batteva forte forte, e dovetti fare già un grande sforzo per accennargli col capo di sì. Quando tornò fu peggio ancora. Lo guardai un attimo, di sfuggita: oh, lui non mi guardava neanche, e aveva tutto l’aspetto d’uno che fosse malato! Quanta compassione mi ha fatto! Si e messo ad accordare l’arpa, e poi nel porgermela mi ha bisbigliato: «Ah, signorina!...». Non ha detto altro; ma l’accento con cui l’ha detto mi ha sconcertata tutta; e mi sono messa a toccare le corde senza saper quel che facevo, tanto che la mamma ci ha domandato perché invece non cantassimo. Lui se l’è cavata protestando che non si sentiva troppo bene; ma io, che non avevo nessuna scusa da addurre, ho dovuto proprio cantare. Chissà che cosa avrei pagato in quel momento, per non avere la voce che ho! Ho scelto a bella posta una romanza che non sapevo: tanto non avrei potuto cantare né quella né un’altra; e pensavo che la mamma si sarebbe accorta certamente che ci doveva essere qualcosa in aria. Fortuna ha voluto che a quel punto venisse una visita, e appena ho sentito il fragore della carrozza ho smesso in fretta e furia di cantare, pregando lui di riportare via l’arpa. Avevo una gran paura che cogliesse l’occasione per andarsene via anche lui. Invece è tornato. Mentre la mamma e la signora giunta allora chiacchieravano insieme, ho voluto guardarlo ancora un momento; ma, avendo incontrato i suoi occhi, non ho potuto staccarne più i miei. Ho veduto che gli scendevano giù per le guance grossi lacrimoni, e ch’egli si voltava dall’altra parte per non farsi scorgere. Allora non ho saputo più trattenermi, e stavo per sbottare a piangere anch’io: sono uscita bruscamente dal salotto, e ho scritto col lapis su un pezzo di carta: “Non siate più tanto triste, ve ne prego; vi prometto di rispondervi”. Sono più che certa che non avrai niente da ridire su questo; ma a ogni modo ti giuro che non avrei avuto la forza di fare altrimenti. Ho messo il foglio tra le corde dell’arpa, come aveva fatto lui con la sua lettera, e sono tornata in salotto. Adesso ero più tranquilla, e non vedevo l’ora che la signora se ne andasse: come infatti è avvenuto poco dopo, perché per fortuna doveva fare altre visite. Appena ella se ne fu andata, io ho detto che volevo sonare ancora l’arpa e l’ho pregato di andarmela a riprendere. Mi sono avveduta dal suo aspetto ch’egli era lontano mille miglia dal supporre quel che avrebbe trovato. Ma al suo ritorno, com’era contento! Nel mettermi l’arpa davanti, s’è piegato in modo che la mamma non potesse vederlo, e presa la mia mano, l’ha stretta, l’ha stretta così forte! Non è stato che un attimo, ma non saprei mai descriverti il piacere che m’ha dato. Tuttavia io gliel’ho tolta subito, e così non ho nulla da rimproverarmi. Ora, amica mia, capisci anche tu che non posso fare a meno di scrivergli, poiché gliel’ho promesso. E poi, via, vorresti che io lo facessi soffrire novamente? Oh, no, perché ti giuro che io ne soffro più di lui! Se si trattasse di fare qualcosa di male, certo non lo farei: ma che male ci può essere a

Page 27: Le Amicizie Pericolose.pdf

scrivere una lettera, e specie quando si fa per impedire a un altro d’essere infelice? Una cosa sola mi dà pensiero, ed è che non saprò scriverla bene; ma spero ch’egli capirà che non è colpa mia, e sono sicura d’altronde che comunque gli farà piacere per il solo fatto che proviene da me. Addio, mia cara. Se ti pare che io abbia torto, dimmelo francamente. Ma io spero di no. Più s’avvicina il momento di scrivergli, e più il mio cuore batte forte da non averne un’idea. Eppure bisogna farlo, dal momento che gliel’ho promesso. Addio. Parigi, 20 agosto 17..

Lettera XIX Cecilia Volanges al cavalier Danceny. Eravate così triste iersera, e mi facevate tanta pena, o signore, che mi sono lasciata sfuggire la promessa di rispondere alla vostra lettera. So benissimo che non dovrei farlo; ma siccome la promessa c’è, non voglio mancare di parola, e mi pare che questa sia una prova dell’amicizia che nutro per voi. Ora che lo sapete, spero che non mi domanderete più di scrivervi, e che non direte a nessuno di questa mia lettera, perché certamente sarei biasimata e ne avrei un gran dispiacere. Ma mi dispiacerebbe anche di più se da questo voi vi faceste un cattivo concetto di me, poiché posso assicurarvi che con nessun altro avrei avuto questa debolezza. Adesso vorrei che non foste più tanto triste come eravate nei giorni scorsi, perché quella vostra malinconia mi amareggia il piacere di stare con voi. Vedete, signore, che vi parlo con schiettezza. Desidero con tutto il cuore che la nostra amicizia duri eterna; ma non mi scrivete più, per carità. Ho l’onore di sottoscrivermi vostra ecc. Parigi, 20 agosto 17..

Lettera XX La marchesa di Merteuil al visconte di Valmont. Ah, bricconcello, bricconcello, quante moine mi fate, per paura che io rida alle vostre spalle! Via, oggi sono in vena di generosità; e poi mi scrivete tante belle sciocchezze, che bisogna proprio che vi perdoni la mutria che avete per merito della vostra presidentessa. Ho tuttavia motivo di credere che il mio cavaliere non sarebbe altrettanto indulgente nei vostri riguardi, e sarebbe magari tipo da non approvare affatto il rinnovo del nostro contratto e da trovare poco spiritosa la vostra proposta mattaccina. E pensare che io invece ne ho riso tanto, deplorando soltanto di doverne ridere da sola! Ah, se foste stato qui voi, chissà mai, a furia di ridere, dove saremmo andati a finire! Per fortuna, adesso ho avuto tutto il tempo di rifletterci, e mi sono armata di molta severità: non già, badate, che io rifiuti per sempre; rimando soltanto la cosa a più tardi, e con ragione. Perché io ci metterei forse una punta d’amor proprio, e sapete che, una volta in ballo, bisogna ballare. Mi sentirei magari capace d’incatenarvi di nuovo e di farvi dimenticare la vostra presidentessa; sicché vedete che scandalo ne succederebbe, se io, indegna, riuscissi a disamorarvi della virtù! Per evitare questo pericolo, ecco le mie ultime condizioni: appena avrete conquistato la vostra bella devota e potrete fornirmene le prove, venite pure, che sarò vostra. Vi avverto però che negli affari d’una certa importanza non bastano più le parole, e ci vogliono le prove scritte. A questo modo anzitutto io sarò una ricompensa invece che una consolazione, e ciò mi garba di più; inoltre la vostra vittoria sarà più saporosa, divenendo essa stessa ragione d’infedeltà. Venite

Page 28: Le Amicizie Pericolose.pdf

dunque, venite al più presto a portarmi le prove del vostro trionfo, simile a quei prodi cavalieri antichi che deponevano ai piedi delle loro belle le spoglie preziose dei vinti. A parte gli scherzi, sono curiosa davvero di sapere che diamine una donna tanto schifiltosa può scrivere dopo che le è stata fatta la festa, e con che veli sa coprire le sue frasi dopo aver scoperto tanto abbondantemente il suo corpo. Vi pare forse che io mi venda a un prezzo troppo caro? Vi prevengo però che non concedo ribassi. Fino al momento che ho detto, spero di restare fedele al mio cavaliere e di divertirmi a farlo felice, ancorché ciò vi dia un certo tal qual fastidiuccio. In questo momento tuttavia, se io fossi meno virtuosa, egli avrebbe un rivale pericoloso nella signorina Volanges, di cui vado pazza. Oh, sì, è una vera febbre di passione, la mia! O mi sbaglio, o la piccina diventerà una delle nostre donne più in voga. Io vedo il suo cuoricino fare progressi strepitosi ogni giorno; ed è uno spettacolo stupendo. L’innocentina si strugge già tutta d’amore per il suo Danceny; ma non sa ancora di che si tratta; e il cavaliere sebbene innamoratissimo anche lui, non ha il coraggio di farglielo sapere, possedendo la timidezza propria della sua età. Tutt’e due cadono in ginocchio davanti a me; e la piccina soprattutto si strugge dalla voglia di confidarmi il suo segreto, che da qualche giorno a questa parte le pesa da non poterne più. Chissà che gran favore le farei ad aiutarla un po’; ma si tratta d’una bambina e non voglio compromettermi. Danceny mi ha parlato un po’ più chiaramente, ma nei suoi confronti io ho già stabilito di non volerlo ascoltare. Tornando alla piccina, mi viene a volte la tentazione fortissima di farne una mia allieva: vorrei fare questo servizio a Gercourt, tanto più che me ne lascia tutto il tempo, poiché egli rimarrà in Corsica sino al mese d’ottobre. Vi garantisco che non perderei affatto il mio tempo, e gli saprei dare al suo ritorno una mogliettina coi fiocchi, invece dell’educanda innocente a cui tiene tanto. Se lo meriterebbe, se non altro per l’insolenza di dormir tranquillo mentre la donna a cui ha fatto torto non s’è ancora vendicata. Toh, se la piccina fosse qui adesso, chissà che cosa le insegnerei! Addio, visconte. Buona sera e buona fortuna; ma, fate qualche passo anche voi. Pensate che, se non conquisterete questa donna, le altre dovranno arrossire d’essersi date a uno come voi. Parigi, 20 agosto 17..

Lettera XXI Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil. Finalmente, mia carissima amica, ho fatto un passo avanti, un gran passo che, se non mi ha condotto alla mèta, mi ha fatto capire per lo meno che sono sulla buona strada, levandomi dal cuore la spina che mi fossi disviato. Le ho fatto finalmente la mia brava dichiarazione d’amore, e benché ella si sia chiusa nel più cupo silenzio, m’ha dato però, senza volerlo, la risposta più chiara e lusinghiera... Ma non anticipiamo gli avvenimenti, e cominciamo da più lontano. Vi ricorderete ch’ella mi faceva spiare nelle mie gitarelle ebbene, ho voluto che questo espediente scandaloso si convertisse in pubblica edificazione. Ed ecco come. Ho incaricato il mio staffiere di trovarmi nelle vicinanze qualche disgraziato da soccorrere, e l’incombenza non era davvero difficile. Ieri infatti, nel pomeriggio, egli mi ha riferito che nella mattinata di oggi doveva essere sequestrata la mobilia d’una povera famigliuola che non poteva pagare le tasse. Ho avuto cura d’informarmi che in questa famiglia non ci fosse nessuna ragazza o donna maritata che per l’età o la bellezza potesse rendere sospetto il mio interessamento; e, quando fui rassicurato su questo punto, ho fatto

Page 29: Le Amicizie Pericolose.pdf

sapere, durante il pranzo, che stamattina sarei andato a caccia. Debbo render giustizia alla mia presidentessa: ella sentiva forse un po’ di rimorso del suo farmi pedinare, ma, non avendo la forza di vincere la curiosità, ha tentato almeno di opporsi al mio desiderio. Ha detto che faceva troppo caldo, che io risicavo d’ammalarmi, che non avrei ucciso nemmeno un animale e mi sarei stancato per niente; e, mentre parlava così, i suoi occhi, che si spiegavano meglio assai ch’ella non volesse, mi dicevano chiaramente che la loro padrona voleva che io accettassi per buone queste magrissime scuse. Ma io, duro, come potete ben immaginare, non mi lasciai smuovere neanche da un lungo sfogo appassionato contro la caccia e i cacciatori, neanche da una nuvoletta di broncio che oscurò per tutta la sera il suo visetto celestiale Ci fu un momento ch’ebbi paura ch’ella avesse revocato i suoi ordini e che la sua delicatezza mi potesse nuocere; ma avevo fatto i conti senza la curiosità femminile e perciò m’ingannavo. Il mio staffiere me ne ha data assicurazione la sera stessa, e così ho potuto addormentarmi soddisfatto. Sono partito sul far dell’alba; e non avevo fatto ancora cinquanta passi dal castello quando mi sono accorto che lo spione mi seguiva. Mi sono messo allora a cacciare, pigliando attraverso i campi le scorciatoie che conducevano al villaggio in cui volevo recarmi, col gusto matto di far correre il mariuolo che mi pedinava; il quale, non osando abbandonare i sentieri battuti, doveva spesso far di corsa un cammino tre volte più lungo del mio. A furia di farlo correre, ho finito per sudare anch’io come un bufalo, e mi sono sdraiato perciò sotto un albero. Ebbene, egli ha avuto la faccia tosta di sgusciar da dietro un cespuglio ch’era appena a venti passi da me, e di sdraiarsi anche lui lì accanto. Mi pizzicavano le mani di mandargli una buona fucilata, che, se anche era caricata soltanto a pallini, gli avrebbe data però una magnifica lezione sui pericoli a cui si espone la curiosità eccessiva: buon per lui che mi sono ricordato a tempo che la sua presenza era utile e anzi indispensabile ai miei fini. Questa riflessione lo ha salvato. Arrivo intanto al villaggio, vedo un parapiglia di gente intorno a una casa, m’inoltro, domando, mi viene raccontata ogni cosa. Faccio chiamare allora l’usciere, e, cedendo agli slanci della mia generosità, gli pago magnanimamente le cinquantasei lire in grazia delle quali si mettevano cinque persone sul lastrico. La mia azione così semplice ha sollevato in quanti m’attorniavano un coro di benedizioni in mio onore; e avreste dovuto vedere che lacrime di riconoscenza cadevano giù dagli occhi del vecchio padre di famiglia, ridando garbo e dignità di aspetto patriarcale al suo viso che proprio pochi minuti prima i segni della disperazione facevano comparire bruttissimo! Stavo osservando questo spettacolo, quando un altro contadino più giovane, conducendo per mano la moglie e due fanciulletti, mi si è avvicinato a passi concitati, e rivolto ai suoi marmocchi ha detto: «Buttiamoci tutti in ginocchio davanti a questa immagine di Dio!». E subito mi sono trovato infatti tutti costoro prostrati ai miei piedi. Vi confesserò una mia debolezza: mi sono sentito gli occhi bagnati di lacrime, e dentro di me ho avvertito un moto involontario ma deliziosissimo di affetti. Mi sono meravigliato del tanto piacere che si prova a far del bene, e sto per credere che le cosiddette persone virtuose non hanno poi quel gran merito che vogliono darci a intendere. Comunque mi è sembrato giusto pagare a quei poveretti la gioia che m’avevano procurato, e ho dato loro i dieci luigi d’oro che avevo indosso. Ricominciarono allora i ringraziamenti; ma questa volta erano meno commossi: l’aver dato prima il necessario aveva prodotto un grande effetto sincero; adesso erano soli la riconoscenza e lo stupore per un dono superfluo. In mezzo alle garrule benedizioni di questa famigliuola, rassomigliavo a pennello all’eroe d’un dramma nella scena dello scioglimento finale. Non dovete dimenticare che tra gli spettatori c’era il mio fedele spione, e che perciò il mio scopo era raggiunto. Mi sono svincolato pertanto da quella folla d’ammiratori e sono tornato al castello. Tirate le somme, la mia trovata non mi dispiace affatto: questa donna merita in fondo le brighe che mi piglio per lei e che un giorno o l’altro costituiranno i miei titoli di possesso: avendola pagata anticipatamente, avrò il diritto di disporne come vorrò e senza tanti scrupoli.

Page 30: Le Amicizie Pericolose.pdf

Dimenticavo di dirvi che, per trarre profitto da ogni circostanza, ho raccomandato a quella povera gente di pregare Dio secondo le mie intenzioni. E ora giudicherete da voi se queste preghiere non siano già state in parte esaudite... Mi vengono a questo punto ad avvertire che il pranzo è in tavola, e farei troppo tardi a impostare questa lettera, se aspettassi a finirla al mio ritorno. Rimando pertanto il resto al prossimo corriere; e francamente me ne dispiace, perché il meglio veniva adesso. Addio, amica mia. Voi mi rubate anche per un minuto il piacere di vederla. Dal castello di ..., 20 agosto 17..

Lettera XXII La presidentessa Tourvel alla signora Volanges. Credo di farvi piacere raccontandovi un atto di Valmont che contrasta alquanto, secondo me, con l’opinione che ve ne siete fatta voi. Rincresce tanto dover pensare male di chicchessia, è tanto doloroso dover trovare soltanto dei vizi in chi avrebbe invece tutti i numeri per far amare la virtù, e io vi so inoltre tanto indulgente di natura che mi sarete certo grata di darvi occasione di correggere un giudizio troppo severo. Mi pare che Valmont possa esser degno di questo favore, e sto per dire di questo atto di giustizia; ed ecco la ragione che me lo fa pensare. Questa mattina egli ha fatto una di quelle tali gite che potevano far pensare a qualche sua avventura nei dintorni; e confesso a mia vergogna che, forse con soverchia leggerezza, l’ho creduto anch’io. Fortunatamente per lui, e soprattutto per noi che abbiamo corso il rischio d’essere ingiuste, uno dei miei domestici doveva fare la stessa strada,12e così la mia curiosità biasimevole, ma questa volta bene avventurata, ha potuto esser soddisfatta. Il domestico dunque ci ha riferito che Valmont, avendo trovato nel villaggio di X... una povera famigliuola a cui l’usciere sequestrava i mobili per non aver pagato le tasse, non solo s’è affrettato a pagare il debito di quei disgraziati, ma ha dato loro anche una bella sommetta di denaro. Il domestico è stato testimonio di questa santa azione, e mi ha riferito inoltre che i contadini, parlando tra loro e con lui, gli avevano detto che un servo (dai cui connotati il mio domestico crede di poter riconoscere lo staffiere di Valmont) s’era ieri informato se in quel villaggio c’erano dei bisognosi da soccorrere. Se la cosa sta a questo modo, non si tratterebbe di una compassione occasionale, nata da un caso fortuito, ma di un fermo proposito di far del bene, di uno zelo premuroso di filantropia, e insomma d’una delle più belle virtù delle anime belle. Ma comunque, o caso o intenzione che sia, è sempre un atto virtuoso e lodevole, e solo a sentirlo raccontare mi sono sentita commossa sino alle lacrime. Aggiungerò anche, sempre per spirito di giustizia, che quando gli ho parlato di quest’azione, di cui egli non fiatava neppure, ha tentato dapprima di negarla, e, quando finalmente ha dovuto ammetterla, ha cercato di tutto per farla comparire una cosa da niente, sicché la sua modestia ne raddoppia il valore. E ora ditemi francamente, mia rispettabile amica, se Valmont vi pare ancora un libertino incorreggibile. Perché, se così fosse, nonostante queste sue opere, che potrebbero fare di più le persone per bene? Come! Sarebbe mai possibile che i malvagi debbano godere, come i buoni, il santo piacere della beneficenza? E Dio potrebbe permettere che una famiglia onesta possa ricevere dalla mano d’uno scellerato gli aiuti di cui essa dovrà ringraziare la Provvidenza? E come potrebbe compiacersi di sentire spargere da labbra pure le benedizioni a favore del reprobo? Preferisco credere che le sue colpe, se anche durano da lungo tempo, non siano però eterne; e non posso pensare che chi fa il bene possa esser nemico della virtù. Valmont è forse un esempio di più dei pericoli di certe relazioni: questa opinione mi pare la più verisimile, ed è anche quella che mi soddisfa di più, perché, se da una parte può servire a giustificarlo ai vostri occhi, dall’altra mi rende

Page 31: Le Amicizie Pericolose.pdf

sempre più cara l’affettuosa e santa amicizia che mi unisce a voi per la vita. Ho l’onore di dirmi ecc. P. S. La signora Rosemonde e io andiamo in questo momento a far visita all’onesta e disgraziata famigliuola, per aggiungere i nostri soccorsi, benché tardivi, a quelli già tempestivamente elargiti da Valmont. Lo condurremo con noi, per dare così a questa brava gente il piacere di rivedere il loro benefattore: è tutto quel ch’egli ci ha lasciato fare. Dal castello di ..., 20 agosto 17..

Lettera XXIII Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil. Eravamo dunque rimasti al mio ritorno in castello. Riprendiamo adesso il racconto. Ho avuto appena il tempo di fare una sommaria toletta, e sono subito sceso in salotto, dove la mia bella era intenta a ricamare, mentre il curato del paese stava leggendo la Gazzetta alla zia. Sono andato a sedermi accanto al suo telaio; e i suoi sguardi, più dolci del consueto e quasi carezzevoli, mi hanno fatto intendere che il servo aveva fatto già l’ambasciata. Infatti la mia simpatica curiosetta non ha saputo mantenere a lungo il segreto che m’aveva carpito, e senza un riguardo al mondo per il signor curato che stava leggendo con un tono di voce come se stesse predicando dal pulpito: «Ho anch’io» ha detto «una bella notizia da darvi.» E si è messa a narrare per filo e per segno la mia avventura, con un’esattezza di particolari che faceva molto onore all’intelligenza del suo storico. Non occorre dire che ho adoperato tutta la mia modestia; ma chi potrebbe trattenere una donna quando, senza accorgersene, sta facendo l’elogio dell’uomo amato? Ho lasciato dunque che parlasse a suo senno. Oh, a sentirla, avreste detto che faceva il panegirico di qualche santo! E mentre parlava, io andavo contemplando estatico, e non senza speranze, tutto quello che prometteva all’amore il suo sguardo animato, il suo gesto che si faceva a mano a mano più libero, e soprattutto l’accento, già sensibilmente alterato, della voce che tradiva la sua interna commozione. Aveva appena finito di raccontare, che la signora Rosemonde ha esclamato: «Vieni, nipote mio, vieni ad abbracciare tua zia!» Ho capito subito che la mia bella predicatrice non avrebbe potuto esimersi dall’abbracciarmi anche lei; e sebbene tentasse di sfuggirmi, io prontamente l’ho afferrata e stretta tra le braccia, che non aveva più lena, non dico di resistermi, ma neanche di tenersi in piedi. Oh, si: più la guardo e più mi piace! Tornata in fretta al telaio, fingeva d’essere tutta assorta nel suo ricamo, ma mi sono accorto che la mano le tremava e non era più buona di lavorare. Dopo pranzo, le signore sono volute andare a far visita ai disgraziati che io avevo così generosamente soccorso; e io le ho accompagnate. Vi risparmio la noia di questa seconda scena di gratitudine e di elogi. Il mio cuore, sospinto dalla foga di raccontare le tante cose deliziose che sono avvenute dopo, è già sulla via del ritorno. Strada facendo, la mia bella presidentessa, più pensosa del solito, non diceva verbo; e io dal canto mio tacevo come lei, tutto intento a studiare il modo di mettere meglio a profitto l’avvenimento di quella giornata. La signora Rosemonde chiacchierava in compenso per quattro, ma, non ottenendo da noi se non rare e mozze risposte, alla fine si è seccata e ha taciuto. Io, che ci contavo, ne sono stato lieto; poiché infatti, appena scesi di carrozza, ella si è rintanata nel suo appartamento, e ci ha lasciati soli, io e la mia bella, nel salotto mal rischiarato, in

Page 32: Le Amicizie Pericolose.pdf

una penombra fatta apposta per incoraggiare l’amore timido. Non ho dovuto neanche addossarmi la fatica d’indirizzare la conversazione dove volevo io: il fervore della simpatica predicatrice ha fatto meglio di quanto non avrebbe saputo fare la mia astuzia. «Quando si è capaci di fare il bene» mi ha detto, lasciando cadere su di me uno sguardo dolcissimo «come si può passare la vita a mal fare?» «Non merito» ho risposto «né quell’elogio, né questo rimprovero; e non so capire come mai, con l’intelligenza viva che avete, non mi abbiate ancora compreso. Vi farò una confidenza, e quand’anche la sincerità avesse a nuocermi, non potrei però farne a meno con voi, tanto ne siete degna. La chiave della mia condotta sta nel carattere eccessivamente facile, purtroppo, che la natura mi ha dato. Circondato da gente frivola e scostumata, ho imitato i loro vizi, anzi mi sono fatto un punto d’onore di sorpassarli. Nello stesso modo mi sono lasciato vincere qui dall’esempio della virtù, e senza sperare di potervi raggiungere mai ho cercato tuttavia almeno di seguirvi. E magari, chissà, l’azione di cui tanto m’avete lodato oggi perderebbe ai vostri occhi ogni merito, se sapeste il motivo che me l’ha fatta fare.» Vedete, amica mia, quanto ero vicino alla verità. «Se quei disgraziati» ho continuato «hanno avuto una carità, non ne debbono a me la riconoscenza. Quella che a voi pare un’azione lodevole, per me non era se non un mezzo di piacervi; e, bisogna dirlo, in questa faccenda non sono stato se non l’indegno intermediario della divinità che adoro.» A questo punto ella voleva interrompermi; ma non gliene ho lasciato il tempo. «E anche adesso» ho soggiunto «vedete? mi lascio sfuggire il mio segreto per la solita debolezza. Avevo giurato di tacere; ero così felice d’adorare puramente in segreto le vostre virtù e la vostra beltà; ma, incapace d’ingannare quando ho sotto gli occhi un esempio così mirabile di candore, avrò almeno il conforto di non dovermi rimproverare una colpevole dissimulazione. Non crediate che io voglia farvi l’oltraggio di sperare qualcosa da voi. Sarò infelice, lo so, ma le mie stesse sofferenze saranno un conforto, poiché mi proveranno tutta la profondità del mio amore. Le mie pene le deporrò ai vostri piedi, nel vostro seno. Da voi trarrò la forza di soffrire ancora. In voi troverò la bontà compassionevole, e mi crederò consolato solo perché m’avrete compianto. Oh, come v’adoro! Ascoltatemi, compatitemi, aiutatemi.» Intanto m’ero buttato in ginocchio e stringevo convulso le sue mani nelle mie. Ma ella s’era svincolata bruscamente, e, coprendosi gli occhi con le mani, in un atteggiamento disperato, ha esclamato: «Oh, me sventurata!» Ed è sbottata a piangere. Per fortuna mi ero talmente investito della parte, che piangevo anch’io; e riafferrando le sue mani le ho bagnate di lacrime: questa precauzione era necessaria, perché ella, tutta chiusa nel suo dolore, non si sarebbe accorta del mio, se non avessi trovato questo espediente per farglielo sapere; e per giunta ci guadagnavo di poter contemplare a mio agio la sua gentil figurina che il fascino delle lacrime rendeva ancor più bella. La mia testa s’andava intanto riscaldando; ed ero ormai così poco padrone di me, che mi venne persino la tentazione d’approfittare di quel momento. Quanto grande è dunque la nostra debolezza, e come siamo sempre in balìa delle circostanze, se io

Page 33: Le Amicizie Pericolose.pdf

stesso, dimentico affatto dei miei propositi, ho potuto arrischiare, per la gloria di un trionfo prematuro, il piacere di una lunga battaglia e i particolari di una disastrosa sconfitta; se, trascinato da una foga degna tutt’al più di un ragazzaccio, ho potuto esporre il vincitore della signora Tourvel a raccogliere, come frutto delle sue sapienti fatiche, l’insipido onore d’aver posseduto una donna di più! Ah, voglio sì che si arrenda ma che prima combatta voglio che, senza aver la forza di vincere, abbia però quella di resistermi, che assapori lentamente il sentimento della propria debolezza, e sia costretta a confessarsi vinta! Lasciamo a un oscuro bracconiere la magra consolazione di aver ucciso in un agguato il cervo che ha avuto la sventura d’incapparvi il vero cacciatore deve prenderlo con la forza. Il mio piano è sublime, nevvero? Ma sono stato a un pelo, ripeto, dal dover rimpiangere qui, adesso, di non averlo seguito, se il caso non fosse venuto in aiuto della mia poca prudenza. Abbiamo sentito infatti un rumore di passi: qualcuno veniva nel salotto. La signora Tourvel, tutta spaurita, s’è alzata in fretta, ha preso una candela ed è uscita. M’è toccato lasciarla fare; ma, appena mi sono accorto che colui che entrava non era altri che un domestico, l’ho seguita. Avevo fatto appena pochi passi, quando lei, o perché mi aveva riconosciuto o perché un oscuro istinto ve la spingeva, ha affrettato l’andatura e s’è gettata – più che non sia entrata – dentro la sua stanza, chiudendo subito la porta. Mi sono slanciato per aprirla, ma era serrata già con la chiave di dentro; e mi sono guardato bene dal picchiare, perché sarebbe stato un volerle dare l’occasione di una troppo facile resistenza. Mi sono limitato a guardare attraverso il buco della serratura, e l’ho vista, inginocchiata e tutta bagnata di lacrime, pregare con fervore. Qual era il Dio che osava invocare? E ce n’è forse alcuno che possa qualcosa contro l’amore? Oh, invano va cercando, povera creatura, un aiuto straniero: io, io solo deciderò la sua sorte! Poiché mi è sembrato d’aver fatto anche troppo per quel giorno, mi sono ritirato nel mio appartamento e mi sono messo a scrivere. Speravo di rivederla la sera a pranzo; ma ella ci ha mandato a dire che, sentendosi un poco indisposta, s’era messa a letto. La signora Rosemonde voleva andarla a trovare nella sua camera, ma la maliziosetta ha allegato allora una terribile emicrania da non poter vedere nessuno. Capirete che dopo pranzo la nostra conversazione non poteva essere lunga, ed è venuto anche a me il mal di testa Ritiratomi in camera le ho scritto una lunga lettera per lamentarmi della sua eccessiva severità, e sono andato a letto con l’idea di consegnargliela stamattina. Ma nella notte ho dormito poco e male, come potete accorgervi dalla data della presente; sicché, non potendo prendere sonno, mi sono rialzato e, rileggendo la lettera, ho visto che non m’ero saputo padroneggiare abbastanza e che vi dimostravo più calore di desiderio che vero amore, più malumore che tristezza; e bisognerà dunque rimetterci le mani con più calma. Il cielo comincia adesso a schiarire, e spero che l’arietta fresca dell’alba mi concilii un po’ di sonno. Corro dunque a letto, e, per grande che sia il potere di questa femmina su di me, vi prometto di non occuparmi poi tanto di lei da non trovare il tempo di pensare anche a voi. Addio, amichetta bella. Dal castello di ..., 21 agosto 17.., alle 4 del mattino.

Lettera XXIV Il visconte di Valmont alla presidentessa Tourvel. Pietà, pietà, signora! Vogliate dare un po’ di pace all’animo mio; vogliate farmi sapere se debbo temere o sperare. Posto come io sono tra il colmo della gioia e il colmo del dolore, l’incertezza m’è un tormento insoffribile. Perché vi ho dunque parlato? Perché non ho saputo resistere alla tentazione prepotente di dirvi tutto il mio pensiero? Prima ero pago d’adorarvi in silenzio, e mi

Page 34: Le Amicizie Pericolose.pdf

godevo almeno il mio amore. Questo purissimo sentimento, non turbato dall’immagine del vostro dolore, bastava alla mia felicità. Ora questa fonte di gaudio s’è mutata per me in disperazione, dal momento che vi ho vista piangere e ho inteso il vostro grido straziante: “Oh, me sventurata!”. Signora mia, queste parole mi risoneranno a lungo nel cuore. Ma che triste fatalità è la mia, che il più dolce dei sentimenti vi debba ispirare tanto spavento? E di che mai avete paura? Oh, non certo di dividere i miei sentimenti, poiché il vostro cuore, che avevo fin qui mal conosciuto, non è fatto purtroppo per l’amore! Non c’è che il mio cuore, che avete calunniato tanto, che ne sia capace! Il vostro non conosce nemmeno la pietà Se così non fosse, non avreste negato almeno al misero una parola di conforto quando vi raccontava le sue pene; non vi sareste involata al suo sguardo, sapendo ch’egli non ha altro piacere che di vedervi; non vi sareste pigliato giuoco dell’agitazione in cui era, facendovi passare per malata, senza neanche dargli modo di potersi informare della vostra salute; avreste capito che questa notte, che per voi era un riposo di dodici ore, sarebbe stato per lui un secolo di dolore! Che cosa ho fatto per meritare tale desolante severità? Accetto voi stessa per giudice. Ditemi, ditemi dunque che cosa ho fatto di male cedendo a un sentimento involontario, ispirato dalla beltà e giustificato dalla virtù, sempre a ogni modo contenuto nei limiti del rispetto, e che mi sono ingenuamente lasciato sfuggire, non che io nutrissi speranze ma per il bisogno che avevo di confidarmi con voi. E vorreste voi adesso tradire questa confidenza, proprio voi che me l’avete permessa, cosicché io mi vi ero abbandonato senza riserve? Oh, non posso crederlo! Sarebbe un grave torto, e il mio cuore si rifiuta di credervene capace. Cancello i miei rimproveri: ho potuto scriverli, ma non li ho mai pensati. Ah, lasciate che io vi creda perfetta: non mi resta altro piacere che questo! E datemene la prova, mostrandovi generosa con me. Nessuno dei tanti poveri che avete beneficato, nessuno, credetemi, aveva bisogno del vostro aiuto quanto ne ho bisogno io. Non mi abbandonate al delirio in cui m’avete sprofondato. Illuminatemi con la vostra mente, poiché m’avete tolto l’uso della mia. Dopo avermi convertito, compite l’opera vostra. Non voglio ingannarvi: voi non riuscirete mai a vincere il mio amore. Potrete però insegnarmi a contenerlo; e, guidandomi nelle mie azioni, dettandomi i miei discorsi, mi salverete almeno dalla terribile sventura di spiacervi. Dissipate soprattutto questo mio disperato timore di spiacervi: ditemi che mi perdonate, che mi compiangete; fatemi sicuro della vostra indulgenza. Purtroppo non potrete averne mai quanta io ne desidero: datemene almeno il poco che m’è indispensabile. Avrete il coraggio di negarmela? Addio, signora. Accogliete benignamente l’omaggio dei miei sentimenti, che non nuocciono affatto al gran rispetto che nutro per voi. Dal castello di ..., 20 agosto 17..

Lettera XXV Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil. Eccovi il gazzettino di ieri. Alle undici sono stato a trovare la signora Rosemonde, e sotto i suoi auspici ho potuto introdurmi nella camera della finta malata ch’era ancora a letto e con gli occhi pesti, la qual cosa mi fa sperare che anch’essa deve aver dormito poco e male, come me. Ho colto un momento in cui la signora Rosemonde s’è scostata per darle la mia lettera, e, siccome non voleva prenderla, gliel’ho lasciata sul letto e poi ho accostato al suo capezzale, come l’educazione voleva, la poltrona della vecchia zia che voleva star vicina alla sua cara figliuola : capirete che, per evitare uno scandalo, ella ha dovuto

Page 35: Le Amicizie Pericolose.pdf

nascondere la lettera. La malata, con poca accortezza, ci ha detto che credeva d’aver la febbre: la signora Rosemonde mi ha invitato allora a tastarle il polso, facendo i più sperticati elogi della mia scienza medica. La mia bella ha avuto così il doppio dispiacere di dovermi tendere il braccio e di capire che la sua bugiola stava per essere scoperta. Ho stretto infatti il suo polso con una mano, mentre con l’altra andavo palpeggiando il suo braccio sodo e grassottello; ma la mariola non se ne dava per intesa, onde io, per castigarla, ho detto: «Non si nota la menoma alterazione del polso»; e, avendo intuito che avrebbe voluto fulminarmi coi suoi sguardi severi, me ne sono vendicato col non guardarla affatto. Poco dopo ci ha detto che voleva alzarsi, e noi l’abbiamo lasciata sola. È comparsa infatti durante la colazione, che è stata però assai malinconica; e ci ha fatto sapere che non sarebbe uscita per la passeggiata, come a dirmi che non avrei avuto così occasione di parlarle. Ho capito che a questo punto avrei dovuto esalare un profondo sospiro e mandarle una languida occhiata; e certo ella ci contava, perché è stata questa l’unica volta in tutta la giornata che sono riuscito a incontrare il suo sguardo. Nonostante la sua onestà, ha anch’essa le sue maliziette come qualunque altra. Ho trovato il momento opportuno per domandarle se avrebbe avuto la cortesia di farmi sapere la mia sorte , e con un po’ di meraviglia mi sono sentito rispondere: «Sissignore, vi ho scritto». Avevo una gran curiosità di avere presto la lettera; ma, sia ancora per astuzia, sia invece per inettitudine o per timidità, il fatto è che me l’ha data soltanto la sera, al momento di ritirarsi in camera. Ve la mando, come vi ho mandato la brutta copia della mia: leggetela e giudicate voi stessa. Ma osservate, vi prego, con che insigne ipocrisia mi vorrebbe far credere di non amarmi affatto, quando io sono sicuro del contrario. E poi avrà magari il coraggio di lamentarsi, quando io, dopo , l’ingannerò, come se ella non m’avesse ingannato già prima ! Così è, amica mia: l’uomo più astuto non può reggere il paragone nemmeno con la più sincera delle donne. Eppure bisognerà far finta di credere a tutto questo suo affannamento di parole e strangosciarmi di disperazione, solo perché la signora vuole recitare la parte della donna austera! Come si potrebbe non vendicarsi di simili azionacce? Pazienza! E intanto addio, perché ho ancora molte altre lettere da scrivere. A proposito, mi rimanderete poi la lettera della mia bella crudele: potrebbe darsi che ella volesse dare importanza a certe inezie e bisogna essere in regola. Della piccola Volanges non vi dico niente perché ne riparleremo alla prima occasione. Dal castello di ...,22 agosto 17..

Lettera XXVI La presidentessa Tourvel al visconte di Valmont. Non avrei certo risposto, se la mia stupida condotta di ieri sera non mi desse l’obbligo di darvi una spiegazione. Sì, ho pianto, lo confesso; forse anche mi sono lasciata scappare di bocca l’esclamazione che vi siete presa la premura di ripetermi. Oh, non v’è sfuggito proprio niente, né le lacrime, né l’esclamazione! E bisogna dunque che ve le spieghi. Abituata a ispirare sentimenti onesti, a udire discorsi che si possono ascoltare senza arrossire, a godere pertanto d’una serenità che credo di meritare, non so né combattere le mie impressioni né dissimularle. Lo stupore e la confusione in cui mi ha gettata ieri il vostro modo d’agire; non so che timore per la situazione delicata in cui vengo a trovarmi e che certo non era fatta per me; il pensiero insopportabile di vedermi confusa con le donne che disprezzate, di vedermi trattata con la stessa leggerezza; tutte queste cose messe insieme hanno provocato le mie lacrime e hanno potuto farmi

Page 36: Le Amicizie Pericolose.pdf

dire, credo a ragione, d’essere una disgraziata. Queste parole, che a voi sono parse tanto espressive, sarebbero invece anche troppo sbiadite, se i miei pianti e la mia esclamazione avessero avuto un altro motivo, se insomma, invece di disapprovare quei sentimenti che non potevano non offendermi, avessi avuto paura di condividerli. Oh, no, signore, io non ho davvero questa paura! Se l’avessi, fuggirei cento leghe lontana da voi e andrei a piangere in un deserto la disgrazia di avervi conosciuto. Fors’anche, nonostante la certezza in cui sono di non amarvi, di non potervi amare né ora né mai, avrei fatto bene a dar retta ai consigli delle mie amiche e a non lasciarmi avvicinare da voi. Ho creduto, e questo solo è il mio torto, che avreste rispettato una donna onesta, la quale sarebbe stata tanto contenta di trovare onesto voi pure e di potervi render giustizia, e aveva preso anzi già le vostre difese, mentre voi l’andavate oltraggiando coi vostri desideri colpevoli. Voi non mi conoscete affatto, signore, non mi avete affatto compresa; altrimenti non vi sareste creduto in diritto di trattarmi come m’avete trattata; e, solo perché m’avete detto cose che non avrei dovuto ascoltare, non vi sareste creduto autorizzato a scrivermi una lettera che non avrei dovuto leggere. E voi osate chiedermi di guidarvi nelle vostre azioni , di dettarvi i vostri discorsi ? Ebbene, signore, il silenzio e l’oblio: ecco i consigli che debbo darvi e che voi dovete seguire. Solo così potrete sperare nel mio perdono. E avreste anche il modo, se veramente lo voleste, di ottenere la mia riconoscenza... Ma non posso chiedere niente a colui che non mi ha rispettata; non posso dare una prova di confidenza a chi ha tradito la fiducia che avevo riposta in lui. Voi mi costringete a temervi, forse anche a odiarvi. Dio sa se era questo che io volevo, io che avrei desiderato di non vedere in voi se non il nipote della mia rispettabile amica, e opponevo la voce dell’amicizia alla voce pubblica che vi accusava! Voi avete adesso distrutto ogni cosa, e già prevedo che non vorrete riparare al malfatto. Mi basta dunque dichiararvi, o signore, che i vostri sentimenti mi offendono, che la loro confessione mi oltraggia, che soprattutto, anziché poterli un giorno condividere, mi costringerete a non rivedervi più, se non saprete imporvi su questo argomento un silenzio che mi pare d’avere il diritto d’impetrare, anzi d’esigere da voi. Vi restituisco qui unita la lettera che m’avete scritto, e spero che voi, da parte vostra vorrete restituirmi la presente: sarei davvero mortificata se restasse qualche traccia d’un fatto che non avrebbe dovuto mai accadere. Ho l’onore d’essere ecc. Dal castello di ..., 21 agosto 17..

Lettera XXVII Cecilia Volanges alla marchesa di Merteuil. Quanto siete buona con me, signora mia! E come avete capito bene che per me sarebbe stato più facile scrivervi che parlarvi! Poiché infatti ho da dirvi una cosa oltremodo difficile; senonché mi fo coraggio, pensando che voi mi volete bene, nevvero? Oh, sì, lasciatemelo dire, siete proprio un’ottima amica! E cercherò dunque di non vergognarmi, poiché ho tanto bisogno dei vostri consigli. Sono ben disgraziata, però; e mi pare che tutti possano indovinare i miei pensieri, specialmente quando lui è presente, poiché divento tutta rossa in viso se qualcuno mi guarda. Ieri, quando m’avete vista piangere, volevo parlarvi, e non potevo; e appena mi avete chiesto che cosa avessi, le lacrime mi sono scese giù senza che io potessi trattenerle, né avrei saputo proferire una parola. Se non mi foste venuta in soccorso, la mamma se ne sarebbe accorta; e allora chissà mai che cosa sarebbe avvenuto di me! Tale è ormai la mia vita, da quindici giorni a questa parte. Da quindici giorni infatti – e adesso ve lo voglio proprio dire – il cavaliere Danceny mi ha scritto. Vi giuro che, quando ho trovato la sua lettera, non ho capito affatto di che si trattava; ma leggendola

Page 37: Le Amicizie Pericolose.pdf

– perché dovrei dirvi una bugia? – ne ho provato tanto e tanto piacere. Preferirei soffrire tutta la vita, piuttosto che non aver ricevuto quella lettera. A lui, naturalmente, non gliel’ho detto, perché so che non sta bene; anzi gli ho detto che n’ero dispiaciuta. Egli mi ha risposto che non poteva far diversamente, e io gli credo, perché anch’io ero risolutissima di non rispondergli, eppure gli ho risposto. Oh, una volta sola, badate, e più che altro per dirgli che non mi scrivesse più! Ma non mi ha dato retta, e continua a scrivermi sempre; e siccome non gli rispondo è diventato triste triste, e questo mi addolora assai, sicché non so più che cosa fare, né che cosa sarà di me, poveretta! Vedete se sono da compiangere! Ora, signora mia, ditemi voi: sarebbe proprio un gran male se gli rispondessi di tanto in tanto, almeno finché egli non riuscirà a metter giudizio e a non scrivermi più, e noi torneremo come eravamo prima? Perché vi dico che, se la cosa dovesse continuare, non so che succederebbe di me. Lo credereste, che a leggere la sua ultima lettera ho pianto, ho pianto da non finir più? E così sono sicura che se non gli rispondo saremo infelici tutt’e due. Qui unita troverete la sua lettera, o meglio una copia di essa: giudicate voi se è proprio vero che non c’è nulla di male in quel che mi chiede. Se voi mi direte che non sta bene, vi prometto di darvi ascolto; io però sono sicura che penserete anche voi, come me, che non c’è niente di male. E giacché siamo su questo argomento, permettetemi di rivolgervi ancora una domanda: mi hanno detto sempre che a voler bene a un uomo si fa peccato: ma è proprio vero? Ve lo domando perché il cavalier Danceny mi dice che non è vero e che tutte le donne vogliono bene a qualcuno. Se fosse davvero così, perché dovrei essere io sola a farmene scrupolo? O forse non sta bene soltanto alle signorine? Perché ho inteso dire dalla mamma che la signora D. vuol bene al signor M., e non m’è parso che ne parlasse come di cosa mal fatta, sebbene sono sicura che, se appena appena sospettasse della mia amicizia per Danceny, ne sarebbe invece molto stizzita con me. Mi tratta sempre come una bambina, quella benedetta mamma, e non mi dice mai niente di niente! Quando mi ha fatta uscire di collegio, credevo che volesse maritarmi, ma adesso mi pare che non ne abbia nessuna intenzione. Non già che io me ne curi, intendiamoci bene; ma poiché vi so tanto amica della mamma penso che ne dobbiate saper qualche cosa, e in questo caso spero che me lo direte. Ecco una lettera fin troppo lunga, signora mia; ma, dal momento che m’avete permesso di scrivervi, ne ho approfittato per dirvi tutto ciò che avevo nel cuore, e conto sulla vostra benevolenza. Ho l’onore di sottoscrivermi vostra ecc. Parigi, 23 agosto 17..

Lettera XXVIII Il cavalier Danceny a Cecilia Volanges. Dunque voi, signorina, non volete assolutamente rispondermi: niente può commuovervi, e le mie speranze cadono tutte a una a una! In che consiste allora quell’amicizia che dite di sentire per me, se non giova nemmeno a farvi avere compassione delle mie pene; se vi lascia fredda e serena mentre io brucio in mezzo a un fuoco che non posso spegnere; se, ben lungi dall’ispirarvi un po’ di confidenza, non vi muovo neppure a pietà? Come! Il vostro amico soffre, e voi non fate niente per soccorrerlo? Egli non vi domanda che una parola sola, e voi avete il coraggio di rifiutargliela? E pretendete poi che egli sia pago d’un sentimento così fioco e che avete persino paura di confermargli?

Page 38: Le Amicizie Pericolose.pdf

Ieri mi dicevate che non volete essere ingrata. Ma ripagare l’amore con la semplice amicizia è già un’ingratitudine bell’e buona. Dunque voi non avete paura d’essere ingrata, ma soltanto d’averne l’apparenza. Non voglio tuttavia trattenervi ancora su un sentimento che può solo annoiarvi, dal momento che non v’interessa. Cercherò dunque di chiuderlo in me, in attesa del momento che avrò imparato a vincerlo. So che la cosa sarà difficile, e non mi dissimulo che avrò bisogno di tutte le mie forze; ma insomma tenterò ogni mezzo di riuscirvi, compreso quello che più mi addolora e cioè di ripetermi spesso che il vostro cuore è insensibile. Cercherò anche di vedervi meno, e sto anzi già pensando a una scusa plausibile per farlo decentemente. Oimè, e dovrò dunque rinunciare alla dolce abitudine di vedervi tutti i giorni? Ah, che io ne avrò un rimpianto eterno, come eterno sarà purtroppo il dolore con cui si vuol da voi ricompensare l’amore mio tenerissimo! Sì, sì, siete proprio voi che lo volete! Quel dolore sarà tutta opera vostra! Sento benissimo che non ritroverò mai il bene che oggi ho perduto, perché voi sola eravate fatta per il mio cuore, e farei tanto volentieri il giuramento di vivere solo per voi. Ma voi non sapete che farvene; e il vostro silenzio mi dice anche troppo chiaramente che il cuor vostro non sente niente per me: questo silenzio è una prova sicura della vostra indifferenza e al tempo stesso è la maniera più crudele di farmelo sapere. Addio, dunque, signorina. Non oso sperare in una risposta: l’amore ve l’avrebbe fatta scrivere con zelo premuroso, l’amicizia con piacere, la pietà con una certa tal quale tenerezza. Ma la pietà, l’amicizia, l’amore sono sentimenti affatto sconosciuti al vostro cuore. Parigi, 23 agosto 17..

Lettera XXIX Cecilia Volanges a Sofia Carnay. Te l’avevo detto io, mia cara Sofia, che ci sono casi in cui si può scrivere? Oh, come mi pento di aver seguito il tuo consiglio, che ci ha fatto soffrire tanto tutt’e due, me e il cavalier Danceny! E la prova che io dicevo giusto è che la signora Merteuil, che sa il fatto suo, ha finito per darmi ragione. Le ho confessato tutto, e anch’essa da principio mi diceva come te; ma poi, quando le ho spiegato come stavano le cose, ha dovuto ammettere che il mio era un caso speciale, e mi ha messo questa sola condizione, che io le faccia leggere tutte le lettere mie e del cavalier Danceny, per accertarsi che non scriverò se non quanto è giusto e convenevole. E ora eccomi più tranquilla. Oh, come le voglio bene, a questa cara e simpatica signora Merteuil! E una dama rispettabilissima, e perciò sui suoi consigli non c’è niente da dire. E ora scriverò dunque subito al buon Danceny, e chissà come ne sarà contento! Sarà più contento di quanto egli stesso osi immaginare, perché fin qui gli ho parlato sempre d’amicizia, sebbene egli volesse che io dicessi amore. In fondo credo che sia la stessa cosa; ma, che vuoi? Non osavo pronunciare quella parola, a cui egli invece teneva moltissimo. La signora Merteuil, a cui ne ho fatto cenno, m’ha detto che avevo ragione io, e che non bisogna mai far capire che si è innamorati, se non quando non se ne può più. Orbene, adesso che non ne posso più – e questo è certo – la dirò pure, questa benedetta parola! In fondo, se è la stessa cosa, e se a lui piace tanto!...

Page 39: Le Amicizie Pericolose.pdf

La signora Merteuil mi ha anche promesso di prestarmi dei libri che trattano di queste cose, perch’io impari come regolarmi e come scrivere, perché purtroppo dice che io non scrivo affatto bene. Vedi? La brava signora mi dice tutti i miei difetti, e questa è la prova migliore che mi vuol bene. Mi ha raccomandato soltanto che non parli alla mamma dei libri che mi darà, perché essa potrebbe aversene a male, quasi che avesse trascurato la mia educazione. Oh, non dubiti, che io non fiaterò! Non è una cosa che capiti tutti i giorni di trovare una donna che m’è appena parente e pur si prende di me più cura che non ne prenda mia madre. Sono stata fortunata davvero a incontrarla! Ella ha pregato la mamma di mandarmi posdomani con lei all’Opera nel suo palchetto; e mi ha detto che saremo tutt’e due sole e potremo chiacchierare insieme tutta la sera senza paura che qualcuno ci senta: questo mi piace anche più che ascoltare l’opera. Parleremo così anche del mio matrimonio, perché mi ha detto che è proprio vero che devo maritarmi; ma non abbiamo potuto parlarne più a lungo. Dimmi un po’, non ti pare strano che la mamma non me ne parli nemmeno? Addio, Sofia, corro a scrivere al cavalier Danceny. Oh, come sono contenta! Parigi, 23 agosto 17..

Lettera XXX Cecilia Volanges al cavalier Danceny. Ed ecco, signore, che acconsento finalmente a scrivervi, per rassicurarvi della mia amicizia e del mio amore , poiché altrimenti non potete vivere felice. Voi dite che non ho cuore, ebbene, v’assicuro che vi sbagliate, e spero che anche voi adesso ne sarete persuaso. Se eravate disperato perché non vi scrivevo, credete forse che non ne fossi altrettanto addolorata io ? Ma non volevo assolutamente far cosa che non stesse bene; e non avrei accondisceso adesso a parlarvi del mio amore, se avessi potuto farne a meno; ma la vostra tristezza mi faceva soffrire tanto! Spero che ormai non ne avrete più, e che saremo finalmente felici. Spero di vedervi questa sera e che verrete di buon’ora: non sarà mai tanto presto quanto desidero. Credo che la mamma v’inviterà a restare a pranzo con noi, e spero che non avrete altri impegni com’è successo ier l’altro. Doveva essere un pranzo che vi stava molto a cuore, quello a cui andavate quella sera; perché ci siete fuggito via tanto presto! Pazienza! Non ne parliamo più. Adesso che sapete che v’amo ho fiducia che starete con me quanto più è possibile, perché io sono contenta soltanto quando siete con me, e mi piacerebbe che fosse altrettanto di voi. Mi dispiace pensare che in questo momento siete ancora triste, ma io non ho colpa: domanderò di sonare l’arpa appena sarete arrivato, perché possiate avere subito questa mia lettera. Di più non posso fare. Addio, signore, vi amo molto e con tutto il cuore; e più ve lo dico, più sono contenta. Spero che ne sarete contento anche voi. Parigi, 24 agosto 17..

Lettera XXXI

Page 40: Le Amicizie Pericolose.pdf

Il cavalier Danceny a Cecilia Volanges. Oh, sì, davvero che saremo tanto felici! La mia felicità è certa, poiché sono amato da voi; e la vostra non finirà mai, se durerà quanto dura l’amore che avete saputo ispirarmi. Come, dunque, voi m’amate, voi non avete più paura di confessarmi il vostro amore , anzi più me lo dite e più ne siete contenta! Dopo aver letto il vostro deliziosissimo “v’amo” scritto di vostro pugno, me lo sono sentito ripetere, la sera, dalla vostra bella bocca, ho veduto fermarsi su di me i vostri occhi incantevoli che la tenerezza rendeva anche più belli, ho avuto infine da voi il giuramento di vivere sempre per me! Ah, ricevete dunque adesso il mio, di consacrare tutta la mia vita alla vostra felicità, e siate sicura che non lo tradirò mai! Che magnifica serata abbiamo passato ieri sera! E che bella cosa sarebbe se la signora Merteuil avesse tutti i giorni qualche segreto da raccontare alla vostra mamma, sicché il delizioso ricordo di ieri non fosse turbato adesso dal pensiero delle poche comodità che avremo di parlarci a quel modo, di tenere ancora tra le mie mani la graziosa manina che mi ha scritto quella parola “v’amo”, di coprirla di baci e vendicarmi così del rifiuto che m’avete opposto di concedermi un favore più grande! Ditemi, Cecilia mia, quando la vostra mamma è rientrata nel salotto, e noi siamo stati costretti a guardarci con indifferenza; quando non avete potuto più consolarmi con le vostre soavi parolette d’amore del vostro rifiuto di darmene prove più convincenti, ditemi, non ne avete sentito rimorso? Non avete detto a voi stessa: “Un bacio l’avrebbe fatto tanto felice, e io ho avuto cuore di negargli questa gran felicità?”. Ebbene, promettetemi, amore mio, che alla prima occasione sarete più umana; e mercé questa promessa troverò il coraggio di sopportare le tante contrarietà che ci si preparano; e nelle crudeli privazioni avrò almeno il conforto di sapere che voi pure ne soffrite con me. Addio, mia bella Cecilia, s’avvicina l’ora beata in cui posso venire a trovarvi; e se non fosse per rivedervi, certo non saprei adesso staccarmi da questa lettera. Addio, o amata, addio, o sempre più adorata. Parigi, 25 agosto 17..

Lettera XXXII La signora Volanges alla presidentessa Tourvel. Ma dunque, signora mia, volete proprio che io creda alla bontà di Valmont? Vi confesso che non riesco a convincermene, e che stento a crederlo virtuoso dal solo episodio che m’avete raccontato di lui, come stenterei a credere vizioso un galantuomo provato e riconosciuto solo perché sapessi ch’è caduto una volta in fallo. L’umanità non è perfetta in niuna cosa, né in male, né in bene; e anche lo scellerato può avere le sue resipiscenze, come l’uomo dabbene ha i suoi difetti. Questa verità s’impone, tanto più che da essa deriva la necessità dell’indulgenza per i cattivi e per i buoni; e, come preserva questi dall’orgoglio, così impedisce a quelli lo scoramento. A voi certo parrà che io pratichi molto poco quest’indulgenza che predico; ma sono ormai arrivata al punto di considerare l’indulgenza una debolezza pericolosa quando ci induce a trattare alla stessa guisa il vizioso e l’onesto. Non voglio indagare i motivi della buona azione di Valmont, e anzi sono disposta a crederli lodevolissimi. Ma è vero o non è vero che con tutto ciò ha passato finora la sua vita a mettere lo

Page 41: Le Amicizie Pericolose.pdf

scandalo, la zizzania e il disonore nelle famiglie? Ascoltate pure la voce dei disgraziati ch’egli ha soccorso; ma la loro voce non può soffocare le grida delle cento vittime che ha sacrificate. E quand’anche egli non fosse – come dite voi se non un esempio dei pericoli di certe relazioni, non sarebbe però anche lui una relazione da evitare? Voi lo credete suscettibile d’una conversione. E sia pure. Ammettiamo anzi che questo miracolo sia già avvenuto. Resterebbe però sempre che l’opinione pubblica gli è contraria; e ciò dovrebbe bastare a regolare la vostra condotta nei suoi riguardi. Dio solo può assolvere per un atto di contrizione, perché lui solo sa leggere nei cuori. Gli uomini non possono giudicare i pensieri se non attraverso le opere, e nessuno, dopo essersi messo nella condizione di perdere la stima del prossimo, ha diritto di lamentarsi della naturale diffidenza che ispira e delle difficoltà che gli si oppongono per riconquistare la reputazione perduta. Pensate, o mia giovane amica, che talvolta, per perdere questa stima, basta soltanto il fatto di darle poca importanza; e tale severità non vi sembri ingiusta, perché, a parte che non è supponibile che uno rinunzi volentieri a un bene tanto prezioso quando ha diritto di pretenderlo, è certo che chi non è trattenuto da questo freno potente è più vicino al mal fare. E tale apparirebbe appunto agli occhi di tutti la vostra amicizia con Valmont, per quanto innocente. Mi ha sbigottita non poco il calore che mettete nel difenderlo; sicché m’affretto a prevenire le obiezioni che potrete farmi. Voi mi citerete il caso della signora Merteuil, alla quale quest’amicizia è pur stata perdonata; mi domanderete come mai io lo ricevo a casa mia; mi direte inoltre che Valmont, nonché essere ripudiato dalla gente per bene, è ricevuto e persino ricercato nella buona società. Credo di potervi rispondere punto per punto. Anzitutto la signora Merteuil, signora rispettabilissima, non c’è che dire, ha però un difetto, di fidare troppo nelle sue forze: è come uno che sapendo guidare bene si diverta a portare una carrozza tra rupi e precipizi, e finché le cose vanno lisce nessuno può dir niente di lui. Lodiamo dunque pure la signora Merteuil, è giusto; ma, a volerla imitare, sarebbe una bella imprudenza. Ella stessa del resto l’ammette, e riconosce d’aver torto; e a mano a mano che va acquistando una maggiore esperienza del mondo si fa sempre più rigida e severa. Scommetto che adesso la pensa anche lei come me. Per quel che mi riguarda non tenterò neppure di giustificarmi. Né me, né gli altri. È vero purtroppo che io ricevo in casa mia il signor Valmont e che gli altri fanno altrettanto a casa loro. È una delle tante incoerenze che governano i nostri rapporti sociali; e voi sapete meglio di me che si passa la vita a notarle, a condannarle e a commetterle tuttavia come prima. Valmont, che ha un bel nome, grandi ricchezze e molte qualità simpatiche, ha capito di buon’ora che per far fortuna nel mondo gli bastava adoperare con pari abilità le due arti dell’adulazione e del sarcasmo. Egli è diventato maestro consumato in entrambe; e se con l’una sa insinuarsi negli animi, con l’altra sa farsi temere. Nessuno lo stima, eppure tutti l’accarezzano. Questa è la sua speciale posizione nel bel mondo, il quale, per essere più prudente che coraggioso, preferisce trattarlo con riguardo anziché combatterlo a viso aperto. Ma nessuna donna, e neppure la signora Merteuil, oserebbe chiudersi in campagna a quattr’occhi con lui. Doveva toccare proprio a voi, che di tutte siete la più seria e la più modesta, dare l’esempio d’una così insigne sciocchezza: perdonatemi la parola troppo cruda, perché è l’amicizia che me l’ha fatta scappare! Mia cara amica, lasciatemelo dire, la vostra onestà vi tradisce, con la sicurezza che v’ispira. Pensate però che voi avrete per giudici della vostra condotta da un lato le persone frivole che non vorranno credere a una virtù di cui esse non si sentono capaci, e dall’altro lato le persone cattive, che, per punirvi appunto della vostra onestà, fingeranno di non credervi. Pensate che voi state facendo in questo momento quel che neppure certi uomini oserebbero fare; poiché io so di mia scienza che tra gli stessi giovanotti da cui Valmont è considerato come una specie d’oracolo, i più assennati hanno paura di farsi vedere troppo intrinseci con lui; e voi invece non ve ne preoccupate affatto.

Page 42: Le Amicizie Pericolose.pdf

Datemi retta, vi scongiuro, tornate, tornate a Parigi. Se le mie ragioni non vi persuadessero, fatelo almeno per la mia amicizia che sola mi spinge a insistere nelle mie preghiere e sola può giustificarle. Vi sembrerà forse che la mia amicizia sia eccessivamente severa; ebbene, io spero che questa mia severità sia anche inutile, ma preferisco che voi possiate lamentarvi del mio soverchio zelo piuttosto che della mia negligenza. Parigi, 24 agosto 17..

Lettera XXXIII La marchesa di Merteuil al visconte di Valmont. Caro visconte, dal momento che voi avete paura di riuscire, dal momento che il vostro piano consiste nel fornire le armi contro di voi, e desiderate non di vincere ma solamente di combattere, io non ho più niente da dire: la vostra condotta è un capolavoro di prudenza; ma, nella supposizione contraria, sarebbe piuttosto un capolavoro di dabbenaggine, e, se vi ho da dire come la penso, temo che vi facciate soverchie illusioni. Non vi rimprovero di non aver saputo approfittare del momento propizio, anzitutto perché non ho affatto l’impressione che questo momento fosse giunto, e poi anche perché so benissimo che un’occasione perduta, contrariamente al detto comune, si ritrova sempre, mentre non si rimedia mai al danno d’un’azione precipitata. Ma il vero errore imperdonabile è stato di scrivere; e nessuno ormai può prevedere dove andrete a finire. Sperate forse di poter dimostrare a quella donna che deve cedere? Questa, se mai, è una verità che si può far sentire ma non si dimostra; e perciò per farla accettare bisogna commuovere e non ragionare. E che vi servirebbe di commuoverla per lettera, quando poi non siete là a coglierne il frutto? Quand’anche le vostre belle frasi tornite le dessero l’ebbrezza dell’amore, potete voi illudervi che questa ebbrezza duri tanto a lungo che la riflessione non abbia tempo d’impedirgliene la confessione? Pensate quanto tempo ci vuole a scrivere una lettera, quant’altro se ne perde per farla recapitare, e ditemi se è possibile che una donna, specialmente una smorfiosa come lei, possa durare tutto questo tempo a desiderare una cosa a cui non vorrebbe anzi adattarsi mai. Questi sistemi sono buoni tutt’al più con qualche ragazzina di primo pelo, che quando scrive “t’amo” non sa che è come dire “m’arrendo”; ma la virtù raziocinante della signora Tourvel conosce molto bene il valore delle parole. Ed ecco perché, se avevate preso un vantaggio su lei nella conversazione, ella in compenso vi ha sconfitto per lettera. E poi, sapete com’è? Appunto perché si discute, si è mal disposti a cedere; e a furia d’andar cercando delle buone ragioni, si finisce per trovarne qualcuna, e si dice, e poi perché s’è detta si vuol sostenerla, non tanto perché buona, ma per non doversi smentire. Di più ho notato, e mi meraviglio che non lo abbiate notato anche voi, che in amore niente è più difficile dello scrivere ciò che non si sente. Anche a voler essere verisimili, e adoperando le stesse, stessissime parole che adoprerebbe un innamorato vero, si viene a dare a queste parole un ordine affatto diverso o, per dir meglio, si viene a dar loro un ordine troppo perfetto, che basta a rovinare ogni cosa. Rileggete la vostra lettera: c’è un ordine tale da rivelare a ogni frase la vostra freddezza. Spero che la vostra presidentessa non sia tanto fine da accorgersene; ma che importa? L’effetto è guastato lo stesso. E il difetto dei romanzi: l’autore si fa in quattro per riscaldarsi, ma il lettore resta non per tanto freddissimo. Soltanto l’Eloisa fa eccezione alla regola; e appunto perciò ho sempre pensato, pur facendo omaggio all’abilità dell’autore, che nel fondo di questa storia ci debba essere qualcosa di vero. Il parlare è tutt’altra faccenda: l’esercizio continuo della parola finisce per darle

Page 43: Le Amicizie Pericolose.pdf

una certa tal quale sensibilità; la facilità delle lacrime ne accresce l’effetto; l’espressione del desiderio negli occhi può essere scambiata per espressione di tenerezza; lo scompiglio stesso del discorso giova a dare l’apparenza di quel turbamento e di quel disordine che sono la vera eloquenza dell’amore; e finalmente la presenza della persona amata c’impedisce ogni riflessione e ci fa desiderare d’essere convinte. Datemi retta, visconte, non scrivete più, riparate per tempo il vostro errore, aspettate l’occasione di parlare. Sapete che codesta donna è più forte di quel che m’ero immaginata? Si difende bene, e, se la sua lettera non fosse troppo lunga e non vi offrisse il pretesto di rispondere con quella incauta frase sulla riconoscenza, ella non vi si sarebbe affatto tradita. Ma quel che dovrebbe rassicurarvi di più sulla buona riuscita è il suo impiegare e sperperare troppe forze; e io prevedo che le consumerà tutte per difendere la parola, sicché non gliene resteranno poi altre per difendere la sostanza. Vi rimando le vostre due lettere, che, se avrete giudizio, dovranno essere le ultime, sino al felice momento della vostra vittoria. Se non avessi fatto troppo tardi, vi parlerei della piccola Volanges che fa progressi rapidissimi, cosicché sono molto soddisfatta di lei. Spero di compire l’opera prima di voi: ma che vergogna per voi! Per oggi, addio. Parigi, 24 agosto 17..

Lettera XXXIV Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil. Non c’è che dire: parlate come un libro stampato! Ma perché sudare tante camicie per dimostrare quel che tutti sanno a menadito? In amore, per andar diritti alla mèta, non bisogna scrivere, bisogna parlare: tale press’a poco il succo della vostra lettera. Ma questi, amica mia, che diamine, sono i primi elementi dell’arte di sedurre! Vi farò solo osservare che voi ammettete una sola eccezione alla regola, mentre ce ne sono due. Ai ragazzi, che seguono questo sistema per timidità o per ignoranza, bisogna aggiungere le signore che credono d’aver molto ingegno e vi si lasciano trascinare dall’amor proprio, cadendo così vittime della loro vanità. Sono certo, per esempio, che la contessa B., quando rispose senza il minimo scrupolo alla mia prima lettera, non m’amava affatto, come io del resto non amavo lei; e tuttavia non volle perdere l’occasione di trattare per iscritto un argomento che poteva farle onore. A ogni modo un avvocato vi direbbe che qui la legge non s’attaglia alla fattispecie. Voi infatti supponete che io abbia libera scelta tra lo scrivere e il parlare; e ciò non è esatto. Dopo la scena del 19, la mia crudele sta sulla difensiva e ha sempre evitato d’incontrarsi con me, con un’abilità che ha sconcertato la mia, al punto che, se dovesse continuare così, dovrei pensare sul serio al modo di riguadagnare il vantaggio perduto, perché non voglio assolutamente essere sconfitto da questa donna in nessun modo. Le stesse lettere mie danno motivo a continue guerricciuole, poiché ella, non contenta di lasciarle senza risposta, non vorrebbe nemmeno riceverle; e per ognuna di esse mi tocca inventare un qualche nuovo stratagemma, che del resto non sempre riesce. Vi ricordate con quanta semplicità ho potuto darle la prima; e anche la seconda non mi costò nessuna fatica: ella m’aveva domandato addietro la sua lettera, e io le ho dato invece la mia, senza che s’accorgesse dell’inganno. Ma, o per dispetto di essere stata trappolata, o per capriccio, o magari davvero, chissà, per un sentimento d’onestà (perché finirà per farmi credere anche questo), il fatto è che si rifiutò ostinatamente di prendere la terza lettera. Vero è che questo rifiuto le è costato

Page 44: Le Amicizie Pericolose.pdf

poi così caro, da farmi sperare che in avvenire non ci si proverà più. Quando io le ho offerto questa terza lettera nella maniera più semplice possibile, sapevo già che non l’avrebbe accettata: accettarla sarebbe stato una mezza resa, e io m’aspettavo da lei una difesa ben più accanita. Dopo questo tentativo, col quale ho voluto solamente saggiare la sua resistenza, ho chiuso la lettera in una busta; e scegliendo il momento della toletta, quando erano presenti la signora Rosemonde e la cameriera, gliel’ho mandata dal mio staffiere con l’ordine di dirle che quella era appunto la carta ch’ella mi aveva richiesta. Come avevo previsto, ella ha avuto paura d’uno scandalo se l’avesse rifiutata, e il mio ambasciatore che aveva avuto l’ordine di scrutare attentamente il suo volto, e di solito ci vede assai bene, non vi ha notato se non un tenue rossore di vergogna più che di stizza. Mi congratulavo dunque già con me stesso di questa bella gherminella che avevo trovato, sicuro che avrebbe tenuto la lettera, o che, alla peggio, volendomela restituire, avrebbe dovuto trovarsi da solo a sola con me dandomi così l’occasione di parlarle, quand’ecco, un’ora dopo, uno dei suoi servi entrare in camera mia e rimettermi da parte della padrona una busta affatto diversa di formato dalla mia di poc’anzi e sulla quale ho riconosciuto la scrittura tanto desiderata. Apro in fretta e furia, e trovo (lo credereste?) la mia lettera non ancora aperta e ripiegata in due. Forse ha ricorso a quest’astuzia diabolica pensando che anch’io avrei desiderato evitare uno scandalo. Voi mi conoscete troppo bene perché abbia bisogno di descrivervi il mio furore; e tuttavia ho dovuto riprendere il mio sangue freddo e cercare altri mezzi. Ed ecco che cosa ho trovato. Vanno di qui tutte le mattine a prendere le lettere alla posta, che dista circa tre quarti di lega, con una specie di cassetta chiusa, che ha una fessura in cima e rassomiglia press’a poco a una cassetta delle elemosine. Di questa ci sono due chiavi: l’una è in mano dell’ufficiale postale, l’altra della signora Rosemonde. Durante la giornata ognuno v’imbuca, quando ne ha bisogno, le sue lettere; e la mattina dopo portano la cassetta alla posta per consegnare quelle in partenza e ricevere quelle in arrivo. Tutti i domestici, compresi quelli dei forestieri, fanno questo servizio a turno; ma questa volta il mio staffiere, sebbene non gli toccasse, s’è offerto d’andarci lui, col pretesto che doveva recarsi da quelle parti per certe sue faccende. Frattanto avevo scritto la lettera, cercando d’alterare sulla busta la mia calligrafia, e riuscendo anche abbastanza bene a contraffare il timbro postale di Digione. Ho scelto Digione piuttosto che un’altra città, perché mi pareva più divertente, dal momento che io le chiedevo le stesse prerogative del marito, di fingere di scriverle dal luogo dove egli si trova; e anche perché la mia bella non aveva fatto altro tutto il santo giorno che parlarci della sua ansia per non avere lettere da Digione, sicché mi parve giusto accontentarla. Prese queste precauzioni, era facile mettere la mia lettera insieme con le altre. Con questo espediente ho avuto anche il vantaggio di poter assistere al recapito della lettera: perché qui c’è l’uso di riunirci per colazione e d’aspettare l’arrivo della posta prima di separarci. Ed ecco che finalmente la posta è arrivata. La signora Rosemonde ha aperto la cassetta. «Viene da Digione» disse, tendendo la lettera alla signora Tourvel. «Ma questa non è la scrittura di mio marito, però!» ha esclamato la poveretta con un certo turbamento nella voce, mentre apriva in fretta in fretta la busta. Avendo capito alla prima occhiata di che si trattava, s’è scombuiata tutta in viso, tanto che la signora Rosemonde se n’è accorta e le ha domandato che cosa mai le accadesse. Mi sono avvicinato subito anch’io e le ho sussurrato: «Si tratta dunque d’una lettera tanto terribile?»

Page 45: Le Amicizie Pericolose.pdf

La timidetta non osava alzare gli occhi, e non ha proferito una sillaba, fingendo, per nascondere la sua confusione, di scorrere la lettera che non era certo in grado di leggere. Io godevo del suo turbamento, e, non dispiacendomi affatto di stuzzicarla un po’, le ho detto: «La vostra fisionomia, che s’e fatta adesso più tranquilla, mi fa sperare che questa lettera vi abbia dato più meraviglia che dolore.» Lo sdegno l’ha ispirata meglio che non avrebbe saputo fare la prudenza: «Vi sono in questa lettera» ha risposto «cose che m’offendono profondamente, e resto stupita che si possa avere il coraggio di scrivermela.» «Chi è stato?» ha domandato la signora Rosemonde. «Non c’è firma» ha risposto la bella imbronciata «ma la lettera e il suo autore non meritano altro che il mio disprezzo. Di grazia, non parliamone più.» E dicendo queste parole ha lacerato il foglio, mettendosene in tasca i pezzi, e se ne è andata. Orbene, collera o non collera, quella lettera ha dovuto prenderla, e in quanto a leggerla da capo a fondo posso contare sulla sua curiosità. I particolari di quanto è accaduto poi durante la giornata mi obbligherebbero ad andar troppo per le lunghe. Vi accludo la brutta copia delle mie due lettere, così ne saprete quanto me. Se vorrete sapere ogni cosa di questa corrispondenza, bisognerà che vi adattiate a decifrare le mie brutte copie, perché non mi sottoporrei mai e poi mai, per nessuna ragione, alla noia di ricopiarle. Addio, o mia bellissima amica. Dal castello di .., 25 agosto 17..

Lettera XXXV Il visconte di Valmont alla presidentessa Tourvel. Voglio obbedirvi, signora, voglio provarvi che, in mezzo ai tanti difetti che vi compiacete di trovare in me, mi resta almeno tanta delicatezza da non permettermi il benché minimo rimprovero e tanto coraggio da impormi i più dolorosi sacrifici. Voi m’ordinate il silenzio e l’oblio. Ebbene, io costringerò il mio amore a tacere, e dimenticherò, se m’è possibile, il modo crudele con cui lo avete accolto. Riconosco che il desiderio di piacervi non mi dava alcun diritto, e che il bisogno che avevo della vostra indulgenza non era un titolo sufficiente per ottenerla. Ma voi giudicate il mio amore un oltraggio. Ma voi dimenticate che, se l’amore è una colpa, la causa e la scusa di questa colpa siete proprio voi; che, abituato come ero ad aprirvi tutto l’animo mio, ancor quando la mia espansione potesse nuocermi, non avrei potuto in nessun modo nascondervi i sentimenti da cui sono tutto compenetrato. Ma voi scambiate per audacia ciò che in me era soltanto effetto di buona fede; e in compenso di un amore tenero, sincero, rispettoso, non sapete che scacciarmi lontano da voi. E arrivate sino a parlarmi d’odio... Chi non si lamenterebbe d’essere trattato così? Io solo mi sottometto; io solo soffro ogni cosa senza mormorare; e, benché mi colpiate così duramente, ebbene, io vi adoro. Il potere inconcepibile che avete su di me vi fa padrona assoluta dei miei sentimenti. Soltanto l’amore si ribella, e neanche voi potete distruggerlo, perché non è opera mia, ma opera vostra.

Page 46: Le Amicizie Pericolose.pdf

Non chiedo, no, l’amore da voi: non ho avuto mai tali illusioni. Non chiedo neanche la pietà, che pure, per l’interessamento che qualche volta mi avete dimostrato, m’era lecito sperare. Ma credo almeno, ve lo confesso, di poter pretendere giustizia. Mi fate sapere, o signora, che hanno cercato di metter male sul conto mio. Se aveste dato retta ai consigli di persone amiche, non mi avreste nemmeno permesso d’avvicinarmi a voi: sono le vostre testuali parole. Chi sono mai codeste amiche tanto caritatevoli e premurose? Persone tanto virtuose e austere consentiranno certo d’esser nominate; non vorranno mica nascondersi, spero, tra le tenebre dell’anonimo, confondendosi coi vili calunniatori. Saprò dunque i loro nomi e le accuse che mi fanno. Pensate, signora, che ho il diritto di saperlo, dal momento che voi mi giudicate da quel che esse hanno detto contro di me. Non si è mai condannato nessuno senza dirgli qual era il suo delitto, senza fargli i nomi dei suoi accusatori. Non chiedo altra grazia che questa, e vi prometto sin d’ora che saprò giustificarmi e costringerli a una completa ritrattazione. Posso aver disdegnato i vani clamori d’un pubblico di cui faccio pochissimo conto; ma alla vostra stima, signora, tengo troppo, e avendo consacrato la mia vita a meritarmela, non me la lascerò strappar via impunemente. La vostra stima mi è oggi tanto più cara e preziosa, poiché a essa dovrò certamente quella domanda che voi non osate farmi e che mi darà, come voi dite, diritto alla vostra riconoscenza. Io, pretendere la vostra riconoscenza! Sarò io invece a essere eternamente riconoscente, se mi darete l’occasione di farvi cosa che vi aggradi. Via, cominciate a essere più buona con me, e ditemi ciò che io posso fare per voi: se potessi indovinarlo, vi eviterei il fastidio di dirmelo; aggiungete al piacere già grande di vedervi quello più grande d’esservi utile in qualche cosa, e io sarò finalmente lieto della vostra indulgenza. E che mai può trattenervi dal dirmelo? Spero che non sarà il timore di un rifiuto: non potrei perdonarvelo! Perché non vorrete mica prendere per un rifiuto il fatto che non vi ho ancora restituito la vostra lettera. Oh, io desidero più di voi di restituirvela, il giorno che non mi sarà più necessaria! Ma abituato come sono a credervi un’anima mite, soltanto quella lettera può darmi di voi l’immagine che voi volete che io abbia. Quando mi punge il desiderio di muovervi a compassione di me, in quella lettera leggo che piuttosto che acconsentirmi fuggireste cento leghe lontano da me; quando tutto in voi cospira ad accrescere e a giustificare il mio amore, essa mi ripete che il mio amore è per voi un oltraggio; e quando, vedendovi, questo mio amore mi pare il bene supremo a cui io possa aspirare, ho bisogno di rileggerla per sentire che invece non è se non un tremendo tormento. Ora potete capire che gran felicità sarebbe per me di potervi restituire la lettera fatale: perché, se voi me la ridomandaste ancora, sarebbe come dirmi che non debbo credere a quel che c’è scritto; e figuratevi dunque con che slancio ve la restituirei! Dal castello di ..., 25 agosto 17..

Lettera XXXVI Il visconte di Valmont alla presidentessa Tourvel. (Col timbro postale di Digione) La vostra severità, o signora, va crescendo di giorno in giorno, e si direbbe (scusate la franchezza) che abbiate più paura d’essere indulgente che d’essere ingiusta. Dopo avermi condannato senza lasciarmi parlare, avreste dovuto capire almeno che è più facile non leggere le mie discolpe che rispondervi qualche cosa di concreto. Invece rifiutate ostinatamente le mie lettere, anzi me le rimandate indietro con sommo disprezzo, e mi costringete a ricorrere a ogni sorta di sotterfugi, proprio quando vorrei convincervi della mia buona fede. Fortuna che mi sarà scusa sufficiente la necessità, in cui m’avete messo voi, di dovermi difendere! I miei sentimenti del resto sono tanto

Page 47: Le Amicizie Pericolose.pdf

sinceri, che per giustificarli ai vostri occhi non altro occorre se non farveli conoscere; e però mi sono permesso questo piccolo sotterfugio che voi, spero, mi perdonerete; anche perché in fondo non vi deve meravigliare troppo che l’amante sia più ingegnoso dell’indifferenza. Permettetemi dunque, o signora, che il mio cuore si sveli tutto a voi: esso vi appartiene, ed è giusto pertanto che lo conosciate. Quando giunsi al castello della signora Rosemonde, ero lontano mille miglia dall’immaginare la sorte che mi sarebbe toccata. Non sapevo che ci foste; ma, se anche l’avessi saputo, vi dirò con la mia solita franchezza che la mia impassibilità non ne sarebbe stata punto scalfita. Non che io non rendessi alla vostra bellezza la giustizia che nessuno potrebbe onestamente negarle; ma poiché ero abituato a non sentir altro che gli stimoli dei sensi e ad abbandonarmi a quei soli capricci che una qualche speranza incoraggiasse, non conoscevo affatto i tormenti dell’amore. Avete assistito voi stessa alle vive premure che mi fece la signora Rosemonde perché io rimanessi. Ebbene, vedete? Benché avessi passato un’intera giornata con voi, tuttavia, quando cedetti, fu, o almeno credetti che fosse, soltanto per il piacere tanto naturale e legittimo d’usare un riguardo a una parente così degna di rispetto. La vita che si conduceva qui era molto diversa da quella a cui ero abituato; eppure mi ci adattai subito senza sforzo. Non cercai nemmeno di sapere la ragione del cambiamento che s’andava operando in me, persuaso che si dovesse attribuire a quella malleabilità del mio carattere di cui vi ho già parlato. Disgraziatamente (ma perché poi dovrebbe essere una disgrazia?), conoscendovi meglio, riconobbi ben presto che la grazia stupenda del volto, di cui solo finora m’ero compiaciuto, era il minore dei tantissimi pregi vostri. La vostra anima celestiale mi stupì, m’ammaliò. Ammirai la bellezza e adorai la virtù. Senza aver la pretesa di potervi conquistare, mi adoperai tuttavia a meritarvi. Implorando la vostra indulgenza per il passato, ambivo la vostra approvazione per l’avvenire, e l’andavo affannosamente cercando nei vostri discorsi, la spiavo nei vostri sguardi, in quegli sguardi da cui emanava un sottile veleno, tanto più potente ed esiziale quanto più era espresso senza malizia e assorbito senza diffidenza. Conobbi allora l’amore. Oh, non me ne dolevo! Fermo in cuor mio di seppellirlo in un silenzio eterno, m’abbandonavo senza paura e senza ritegno a un sentimento che faceva la mia delizia. Senonché esso cresceva ogni giorno di più d’intensità e di forza; e il piacere di vedervi divenne subito un bisogno impellente: purché vi assentaste un minuto, il cuore mi si stringeva, e palpitava invece di gioia al rumore dei vostri passi non appena ritornavate. Non vivevo ormai se non di voi e per voi. Ebbene, dite pure (io mi metto nelle vostre mani), dite se è mai accaduto, anche in mezzo all’espansione rumorosa dei divertimenti più vivaci o nella foga d’una conversazione interessante, che mi sia sfuggita una parola sola da cui potesse trapelare il mio segreto. Oimè, doveva poi arrivare per me il giorno della sventura, la quale, per incredibile fatalità, ebbe origine e principio appunto da una buona azione. Proprio così, signora mia; perché, mentre io ero in mezzo ai poveretti che avevo beneficato, voi, per impulso di quella vostra magnanima compassione che fa più bella la stessa bellezza e aggiunge pregio alla virtù, avete finito per sconcertare affatto un cuore che era già anche troppo ebbro di amore. Vi ricordate forse ancora qual profondo turbamento mi prese al ritorno. Tentavo, oimè, di combattere una passione che sentivo farsi più forte di me!

Page 48: Le Amicizie Pericolose.pdf

Fu appunto allora, che, sfibrato da tale battaglia ineguale, mi trovai, per un imprevedibile capriccio del caso, solo con voi. Ne uscii vinto, lo confesso: il mio cuore troppo gonfio non seppe trattenere né le parole né le lacrime. Ma è dunque un delitto che ho commesso? E se anche fosse, non sarebbe stato sufficientemente punito dalle atroci sofferenze da cui sono tuttora tormentato? Mi divora un amore senza speranza. Imploro la vostra pietà, e non ne ricevo che odio. Non avendo altro bene che il vedervi, i miei occhi vi cercano, mio malgrado, eppure tremo d’incontrare il vostro sguardo. Nello stato crudele in cui m’avete ridotto, passo i giorni a dissimulare le mie pene e le notti a esacerbarle; mentre voi, serena e pacifica, di tutti questi tormenti di cui siete causa non sentite altro che la gioia dell’orgoglio soddisfatto. E con tutto ciò siete voi che vi lamentate; sono io che debbo domandarvi scusa. Questo, signora mia, è il racconto fedele dei miei torti, come voi li chiamate, ma sarebbe più giusto chiamarli disgrazie. Un amore puro e sincero, un rispetto che non s’è mai smentito, una assoluta arrendevolezza: ecco i sentimenti che mi avete ispirato. So che potrei offrirne, senza tema, l’omaggio a Dio medesimo: imitate dunque la sua divina indulgenza, voi che siete l’opera sua più perfetta! Pensate a quel che soffro. Pensate in special modo che, essendo io posto così in bilico tra la disperazione e la suprema felicità, dalla prima parola che voi pronuncerete dipenderà per sempre la mia sorte. Dal castello di ..., 23 agosto 17..

Lettera XXXVII La presidentessa Tourvel alla signora Volanges. Mi sottometto ossequiente, o signora, ai vostri amichevoli consigli. Abituata come sono a consentire a tutte le vostre idee, credo che esse siano sempre giuste e ragionevoli. V’ammetto dunque che il signor Valmont debba essere veramente molto pericoloso, se può fingere d’essere quello che sembra qui a noi e al tempo stesso restare quale voi me l’avete dipinto. Comunque sia, poiché voi lo volete, l’allontanerò da me, o almeno farò il possibile per allontanarlo; poiché spesso le cose che sembrano semplici diventano invece difficili, quando si debbano mettere in pratica salvando le forme. Chiedere una cosa simile alla zia mi pare che non si possa: sarebbe una bella sconvenienza tanto nei riguardi di lei quanto in quelli di lui. Non mi garberebbe nemmeno d’andarmene via io, perché, oltre alla ragione che vi ho già detta relativa al signor Tourvel mio marito, capirete che, se la mia partenza dovesse piacer poco a Valmont, come è probabile, chi gli impedirebbe di seguirmi a Parigi? E il suo ritorno in città, di cui io sarei o sembrerei la causa, non sarebbe considerato assai peggio d’un fortuito incontro in campagna, presso una persona che tutti sanno sua parente e mia amica? Mi resta dunque quest’unico partito: di ottenere direttamente da lui che se ne vada via. Una proposta, certo, difficile a farsi; ma poiché gli sta molto a cuore di mostrarsi più delicato e dabbene della sua fama, non dispero di riuscirvi. Sarò anzi contenta di metterlo alla prova, e di vedere se è vero, come egli dice, che le donne oneste non hanno e non avranno mai a dolersi di lui. Se partirà, come spero, lo farà solo per riguardo a me, perché il suo proposito era certo di rimanere qui quasi tutto l’autunno. Vuol dire che, se invece risponderà di no alla mia domanda e s’ostinerà a rimanere, avrò sempre tempo d’andarmene io, e vi prometto che lo farò.

Page 49: Le Amicizie Pericolose.pdf

Questo è appunto ciò che voi, signora, desideravate da me; e vedete che io faccio di tutto per accontentarvi e per provarvi che, nonostante il calore che ho potuto mettere nella difesa di Valmont, sono pur sempre disposta non solo ad ascoltare ma anche a seguire i consigli delle amiche. Ho l’onore ecc. Dal castello di ..., 25 agosto 17..

Lettera XXXVIII La marchesa di Merteuil al visconte di Valmont. Ricevo proprio in questo momento il vostro letterone maiuscolo, che veramente, se la data è esatta, avrei dovuto ricevere ventiquattro ore fa. Comunque, se mi mettessi a leggerlo, non troverei poi il tempo di scrivervi, e però preferisco darvene ricevuta e parlare di tutt’altro. Il che, badate bene, non vuol dire che io abbia da raccontarvi cose strabilianti delle mie faccende. Che volete? D’autunno, a Parigi, non c’è purtroppo nessun uomo che abbia faccia di cristiano, e mi tocca essere d’una morigeratezza da schiattar di noia; e certo chiunque altro che non fosse il mio cavaliere sarebbe a quest’ora stufo e arcistufo della mia esasperante costanza. Non avendo dunque niente altro da fare, mi distraggo un po’ con la piccola Volanges, e perciò vi parlerò adesso di lei. Ma sapete che, a non averne voluto sapere di questa cara ragazza, avete perduto assai più di quel che credete? Oh, la creatura deliziosa che è mai! Sprovvista affatto di carattere e di princìpi, par fatta apposta per essere un’amichetta dolce e facile, che non arderà mai (oh, questo no!) di una grande passione, ma preannuncia già una sensibilità oltremodo pronta e vivace. Manca, è vero, di spirito di malizia; ma possiede invece una certa doppiezza naturale, se si può dir così, che le farà fare molta strada, tanto più che il suo visetto è tutto candore e ingenuità. E inoltre carezzevole di natura, e io anzi mi piglio giuoco qualche volta delle sue garbate smorfiette. Vedeste come la sua testolina piglia fuoco facilmente! E allora diventa proprio carina carina, perché desidererebbe sapere e le prendono al riguardo impazienze buffissime: ride, s’indispettisce, piange, pesta i piedi e mi prega d’istruirla un po’, ma con tale grazia, con tale commovente innocenza, da sentirmi gelosa del fortunato mortale a cui toccherà la gioia d’iniziarla. Non so se vi ho già detto che da quattro o cinque giorni ho l’onore d’essere la sua confidente. Dapprincipio, come potete figurarvi, ho fatto l’austera; poi, quando mi sono accorta che essa credeva d’avermi persuasa con le sue ridicole ragioni, ho finto di prenderle davvero per buone, lasciandole l’illusione che io mi sia ammansita per merito della sua eloquenza. Ho dovuto usare questa precauzione necessaria, per non compromettermi. Insomma il fatto è che le ho permesso di scrivere al suo amato bene e di dirgli “t’amo”; anzi ho fatto di più, poiché il giorno stesso le ho preparato a sua insaputa un abboccamento col suo Danceny, il quale però è così sciocco che (figuratevi!) non ha saputo ancora ottenere nemmeno un bacio. E pensare che sa scrivere versi tanto bellini, quel benedetto ragazzo! Ma come sono stupidi questi intellettuali! E lui più degli altri, al punto di mettermi nell’imbarazzo: perché insomma non posso mica far da guida anche a lui! Ed ecco che adesso voi mi potreste essere veramente utile. Amico come siete di Danceny, se egli vi confidasse il suo segreto (e perché non dovrebbe confidarvelo?) si potrebbe andar di galoppo. Spicciatevi dunque con la vostra presidentessa, perché non voglio in nessun modo che Gercourt si salvi. Del resto ho parlato ieri di lui con la sua piccola fidanzata e gliel’ho dipinto così bene, che quand’anche fosse sua moglie da dieci anni non potrebbe odiarlo di più. Ho tuttavia predicato assai sul dovere della fedeltà coniugale: oh, su certi argomenti io sono d’una severità a prova di bomba, e

Page 50: Le Amicizie Pericolose.pdf

ciò mi giova da un lato per rassodare nei suoi confronti la mia reputazione di donna onesta, che una soverchia arrendevolezza potrebbe rovinare, e dall’altro lato per accrescere in lei l’odio che potrà nutrire per il marito! Facendole credere che le è permesso di fare all’amore soltanto per il breve tempo che le resta prima di maritarsi, spero anche che si darà maggior premura di non perderne un attimo. Addio, visconte; vado a fare un po’ di toletta e leggerò là il vostro letterone. Parigi, 27 agosto 17..

Lettera XXXIX Cecilia Volanges a Sofia Carnay. Mia cara Sofia, sono preoccupata e malinconica; e ho pianto quasi tutta la notte. Non che per ora ci sia qualcosa di grave, ma ho una gran paura che l’attuale felicità non possa durare. Sono stata ieri sera all’Opera con la signora Merteuil e abbiamo parlato a lungo del mio matrimonio; ma quel che ne ho saputo non è niente di buono. Pare che io debba dunque sposare il signor Gercourt nel prossimo ottobre: si tratta di un uomo ricco, di nobilissima famiglia, colonnello nel reggimento X. E fin qui tutto bene. Ma anzitutto è troppo vecchio: figurati che ha trentasei anni! E poi la signora Merteuil mi dice che è un uomo posato e severo, e lei teme che non possa farmi felice. Mi sono accorta anzi che di questo è sicura; ma non ha voluto dirmelo per non darmi un dispiacere. Per tutta la serata non ha fatto altro che parlarmi dei doveri che le mogli hanno verso i mariti, e, sebbene ammetta che Gercourt non è affatto simpatico, dice che io dovrò sforzarmi di amarlo. Ha aggiunto persino che, una volta maritata, non potrò più voler bene al cavalier Danceny, come se una cosa simile fosse possibile! Oh, no, t’assicuro che gli vorrò bene sempre! Piuttosto non mi sposo, e quel caro signor Gercourt s’impicchi dove vuole! Sono stata io forse a cercarlo? Ora è in Corsica, e per conto mio vorrei che ci restasse almeno dieci anni. Vedi, se non fosse la paura di tornare in collegio, direi ben chiaro alla mamma che di quel genere di mariti non so che farmene. Ma forse farei peggio, e insomma sono in un bell’impiccio. Mi pare di non aver mai voluto bene a Danceny come adesso; ma, quando penso che mi rimane appena un mese di questa bella vita spensierata, le lacrime mi salgono agli occhi. Non mi resta altra consolazione che l’amicizia della signora Merteuil: un vero cuore d’oro, che soffre dei miei dispiaceri come se fossero suoi, ed è tanto buona e amabile che quando sono con lei mi vien quasi fatto di dimenticarli. Senza contare che mi è anche utilissima, perché quel poco che so l’ho saputo da lei; ed è poi così alla mano, che posso dirle tutto quel che penso senza vergognarmi affatto. Se qualche cosa che io dico non le va, magari mi sgrida, ma lo fa con tale grazia e dolcezza, che io le butto le braccia al collo e la stringo e la bacio finché non la vedo rasserenata. Oh, a quella almeno potrò voler bene sempre, senza che ci sia nulla di male, e questo pensiero mi dà molto conforto! Con tutto ciò ci siamo messe d’accordo che in pubblico non mi farò capire di volerle tanto bene, specie davanti alla mamma, perché non abbia a sospettare qualcosa a proposito di Danceny. Ah, cara mia, se potessi vivere sempre come adesso, quanto sarei felice! Ci mancava proprio quel brutto, stupido, noioso signor Gercourt... Basta, lasciamolo lì, perché a nominarlo mi torna addosso la malinconia! Mi metterò a scrivere invece al mio Danceny, e gli parlerò solo del mio amore, senza accennargli affatto ai miei dispiaceri per non affliggere anche lui. Addio, amica mia; e vedi che hai torto di lamentarti di me, perché, per quanto occupata , come dici tu, mi resta sempre un po’ di tempo per scriverti e per volerti bene.13 Parigi, 27 agosto 17..

Page 51: Le Amicizie Pericolose.pdf

Lettera XL Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil. Sapete che alla mia barbara presidentessa è parso poco di non rispondere alle mie lettere e di rifiutarle, e vuole adesso privarmi anche della sua vista, pretendendo che io me ne vada via? Ma il più bello è che io mi sottometto umilmente a tanto rigore. Voi mi direte che faccio male. Eppure non voglio lasciarmi sfuggire l’occasione di farmi dare un ordine, persuaso come sono che chi comanda si impegna, e che l’autorità illusoria che noi uomini fingiamo di lasciar prendere alle donne è la trappola in cui esse cadono più facilmente. S’aggiunga che l’abilità con cui ha saputo evitare di trovarsi sola con me mi poneva in una condizione oltremodo pericolosa, da cui era bene per me uscire a ogni costo, perché, a furia di stare con lei senza poterla tenere occupata con l’amore, c’era rischio che si abituasse a vedermi senza turbamento, e non sarebbe stato più possibile poi distrarla da tale disposizione d’animo. Del resto, come potete ben immaginare, non mi sono mica arreso a discrezione; anzi tra i patti ho avuto l’avvedutezza di inserirne uno inammissibile, sia perché così resterò sempre padrone di mantenere o di non mantenere la mia parola, sia anche per iniziare una discussione orale o scritta in un momento in cui la mia bella è più soddisfatta di me e ha bisogno che io pure sia soddisfatto di lei. Sarei un bell’imbecille, se non trovassi modo d’ottenere poi qualche compenso per desistere dalla mia pretesa, per quanto insostenibile! Dopo avervi esposto le mie ragioni in questo lungo preambolo, vi farò adesso la cronistoria degli ultimi due giorni, unendo come documenti giustificativi la lettera della mia bella e la mia risposta. Mi ammetterete che pochi storici sono esatti quanto me. Vi ricordate il grande effetto che ha fatto l’altr’ieri mattina la mia lettera da Digione? Il resto della giornata fu burrascosissimo. La mia bella ritrosetta si fece vedere soltanto al momento della colazione, e accusò una forte emicrania per scusare l’umoraccio nero nero che le sconvolgeva tutti i lineamenti del volto. Quell’espressione di dolcezza che voi le conoscete s’era mutata in un cipiglio che le dava una bellezza affatto nuova. Mi riprometto in avvenire di fare buon uso di tale scoperta, quando vorrò sostituire all’amante tenera un’amante accigliata. Avendo previsto che il pomeriggio sarebbe stato noiosissimo, mi sono ritirato in camera mia col pretesto di scrivere delle lettere e sono tornato nel salotto soltanto verso le sei. La signora Rosemonde ha fatto la proposta d’una passeggiata, che è stata accettata; ma, al momento di salire in carrozza, la sedicente ammalata, con malizia infernale, forse per vendicarsi della mia assenza nel pomeriggio, ha protestato che il dolor di testa le era cresciuto e mi ha piantato lì, senza pietà, a tu per tu con la vecchia zia. Non so se siano state esaudite tutte le imprecazioni che ho mandato in cuor mio a quel demonio di donna; ma il fatto è che al mio ritorno l’abbiamo trovata a letto. Il giorno dopo, a colazione, era già un’altra: le era tornata la dolcezza naturale, e ho potuto pensare che m’avesse ormai perdonato. Appena finita la colazione, s’è alzata da tavola con fare indolente ed è scesa in giardino. Mi sono affrettato a seguirla. «Come mai questa improvvisa voglia di passeggiare?» le ho domandato per attaccare discorso. «Ho scritto molto stamane,» mi ha risposto lei «e ho la testa un po’ stanca.» «Ecco una stanchezza che io non potrò mai aver l’onore e il piacere di rimproverarmi.»

Page 52: Le Amicizie Pericolose.pdf

«E invece ho scritto proprio a voi» ha detto «ma non so bene se darvi o no questa lettera. Con essa vi chiedo un favore, che, da quel che ho potuto capire da voi, quasi certamente mi negherete.» «Vi giuro che, se mi sarà appena possibile...» «Niente anzi è più facile» ha interrotto «e, sebbene potrei pretenderlo come atto di giustizia, accetto tuttavia di ottenerlo come favore.» Così dicendo mi ha porto la lettera; e io, nel prenderla, le ho preso insieme la mano, che ella ha ritirata, è vero, ma senza stizza, con più imbarazzo che impeto. «Fa più caldo che non credessi,» ha detto poi «sarà meglio rientrare.» E s’è avviata verso il castello, nonostante i miei sforzi per persuaderla a continuare la passeggiata. Avrei potuto impiegare forse qualcosa di meglio della semplice eloquenza, ma mi sono ricordato a tempo che potevamo esser veduti. Al ritorno non ha proferito più parola, tanto che io ho potuto capire chiaramente che la finta passeggiata non aveva altro scopo se non di darmi la lettera. Appena rincasata, s’è chiusa nella sua camera, e io nella mia, per leggere la lettera, che anche voi farete bene a leggere a questo punto, prima di andare avanti...

Lettera XLI La presidentessa Tourvel al visconte di Valmont. Signore, a giudicare dal vostro modo di procedere, si direbbe che cerchiate di tutto per accrescere ogni giorno di più i motivi di lagnanza che avevo contro di voi. La vostra ostinazione di volermi parlare d’un sentimento a cui non voglio né debbo dare ascolto; l’abuso che avete osato della mia buona fede e della mia timidezza per darmi le vostre lettere; e il mezzo soprattutto, che oserei chiamare indelicato, di cui vi siete servito per farmi avere l’ultima, senza neanche pensare che le conseguenze imprevedibili della sorpresa avrebbero potuto compromettermi, tutto mi darebbe il diritto di rimproverarvi assai vivacemente come meritate. Ma, invece di tornare su questi vostri torti, mi limito a chiedervi una cosa semplice e giusta, e, se me l’accorderete, tutto sarà dimenticato. Voi stesso m’avete detto che io non debbo temere da voi un rifiuto, e benché, per un’incoerenza tutta vostra particolare, abbiate poi fatto seguire questa frase dal solo rifiuto che potevate darmi allora,14voglio credere che ora almeno manterrete la promessa formale che m’avete fatta pochi giorni or sono. Desidero dunque che mi usiate la finezza di allontanarvi da me, di lasciare questo castello dove una vostra più lunga permanenza non potrebbe che espormi sempre più alle chiacchiere della gente sempre disposta a pensar male del prossimo, tanto più che voi l’avete abituata a guardare con malizia le donne che vi ammettono alla loro confidenza. Sebbene alcune persone amiche m’avessero avvertita da qualche tempo del pericolo che correvo, io non di meno non ho voluto dar retta ai loro consigli. Ho fatto di più: ho combattuto le loro diffidenze finché il vostro contegno a mio riguardo aveva potuto farmi credere che non mi confondeste con le tante e tante donne che avevano avuto occasione di lamentarsi di voi. Oggi, che mi mettete alla pari di quelle (né io potrei fingere d’ignorarlo), è mio dovere verso il pubblico, verso i miei amici, verso me stessa, prendere questa necessaria risoluzione. Potrei aggiungere che, a dirmi di no, non avete niente da guadagnare, perché, qualora voi vi ostinaste a restare, sono decisissima ad

Page 53: Le Amicizie Pericolose.pdf

andarmene io; ma non intendo diminuire la vostra riconoscenza che vi dovrò per questa vostra cortesia, e voglio anche che sappiate che la mia partenza di qui disturberebbe assai i miei affari. Datemi dunque la prova che, come mi avete detto cento volte, le donne oneste non hanno nulla a temere da voi, o almeno che, quando avete dei torti verso di loro, sapete ripararli a tempo. Se avessi bisogno di giustificare la mia richiesta nei vostri confronti basterebbe che vi dicessi che tutta la vostra vita la rende necessaria, e tuttavia io non l’avrei mai fatto, se non mi ci aveste obbligata. Ma non ritorniamo su avvenimenti che è meglio non ricordare e che mi costringerebbero a giudicarvi molto male, proprio ora che vi offro l’occasione di meritarvi la mia riconoscenza. Addio, signore. Il vostro modo di comportarvi mi dirà con quali sentimenti debbo dirmi per tutta la vita la vostra umilissima ecc. Dal castello di ..., 25 agosto 17..

Lettera XLII Il visconte di Valmont alla presidentessa Tourvel. Signora, per dure che siano le condizioni che mi imponete, non rifiuto però di adempierle. Sento che non saprei resistere a nessuno dei vostri desideri. E ora che ci siamo messi d’accordo su questo punto, oso sperare che mi permetterete a mia volta di farvi anch’io qualche richiesta, oh, molto più facile a concedersi delle vostre e che nonpertanto voglio ottenere solo in premio della mia cieca obbedienza ai vostri ordini! La prima di tali richieste (e qui certo il vostro sentimento di giustizia intercederà per me) è di volermi fare il nome dei miei detrattori: il male che mi fanno mi dà il diritto di conoscerli. La seconda (e questa l’aspetto soltanto dalla vostra indulgenza) è di permettermi di presentarvi di quando in quando gli omaggi d’un amore che ogni giorno di più merita la vostra pietà. Tenete conto, signora, che io m’affretto a obbedire a scapito della mia felicità e nonostante la perfetta convinzione che voi volete il mio allontanamento per risparmiarvi lo spettacolo sempre sgradevole della vittima d’una vostra ingiustizia. Oh, sì, confessatelo, signora, è purtroppo così! Non tanto vi spaventa il pensiero del pubblico, troppo abituato a rispettarvi per osare un giudizio temerario su di voi, quanto invece v’infastidisce la presenza d’un uomo che è più facile punire che biasimare. Voi m’allontanate per la stessa ragione che ci fa torcer lo sguardo da un infelice quando non vogliamo soccorrerlo. Ma a chi altri dunque, se non a voi, potrei confidare le mie pene, proprio nel momento che per la vostra lontananza diventeranno più cocenti? Da chi altri potrei sperare quelle consolazioni che mi saranno adesso purtroppo tanto necessarie? E come potreste rifiutarmele voi, che siete l’unica causa dei miei tormenti? E certo non vi meraviglierete neppure se vi dirò che, prima di partire, intendo giustificare a viva voce con voi i sentimenti che m’avete ispirati; e che, per avere il coraggio di partire, desidero riceverne l’ordine dalla vostra bocca. Per queste due ragioni vi chiedo un ultimo colloquio. Non è nemmeno da pensare che le lettere possano farne le veci: si scrivono volumi e volumi senza riuscire a chiarire quello che una sola mezz’ora di conversazione basta a far intendere benissimo. Per accordarmi questo colloquio non vi mancherà certo un’occasione, poiché, per quanto io abbia fretta d’obbedirvi, ben sapete che alla

Page 54: Le Amicizie Pericolose.pdf

signora Rosemonde ho promesso di passare con lei una buona parte dell’autunno e bisognerà che mi arrivi almeno una lettera per cogliere il pretesto d’un affare che mi richiami a Parigi. Addio, dunque, signora mia. Oh, come mi cuoce adesso questa parola, che mi ricorda la nostra separazione! Se poteste immaginare la mia sofferenza nello scriverla, oso supporre che mi sareste grata della mia docilità. Ricevete almeno con più indulgenza l’omaggio d’un amore sempre più tenero e rispettoso. Dal castello di ..., 26 agosto 17..

Continuazione della lettera XL Dal visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil. E adesso, mia bella amica, ragioniamo tra noi. Sarete persuasa come me che l’onesta e scrupolosa signora Tourvel non può accondiscendere alla mia prima richiesta e tradire la confidenza dei suoi amici facendomi il nome dei miei detrattori. Perciò, siccome la mia promessa è sottoposta a questa condizione, in realtà è come se non l’avessi mai fatta. Ma voi capite che il suo rifiuto mi darà diritto d’ottenere tutto il resto; e quindi dalla mia partenza ci guadagno di poter intavolare con lei, col suo consenso, una regolare corrispondenza. Vedete che non conto per niente l’appuntamento, che le ho chiesto più che altro per abituarla a non rifiutarmene altri in seguito, quando mi saranno davvero necessari. L’unica cosa che mi resta da fare prima di partire è di sapere chi sono le persone tanto zelanti che l’infocano contro di me. Penso che possa essere quel pedante di suo marito; e, se fosse lui, ne sarei contento, perché una proibizione maritale è come un pungolo che aizza i desideri, senza contare che, appena la mia bella abbia acconsentito a scrivermi, non avrò più nulla da temere dal marito, dal momento ch’ella sarà già obbligata a mentirgli. Se trovassi invece contro di me qualche sua amica intima, di cui ella avesse piena fiducia, dovrei cercare con tutti i mezzi di abbaruffarle, e so già come riuscirci; ma prima bisogna che io sappia come stanno le cose. Ho creduto per un momento di potermene chiarire subito, ieri stesso; ma questa benedetta donna non fa niente come le altre. Eravamo dunque ieri nel suo appartamento, quando vennero ad avvertirci che il pranzo era in tavola. Ella stava appunto terminando la sua toletta, e m’accorsi che, per sbrigarsi e non farsi aspettare, nella fretta aveva lasciato la chiave nel cassetto della sua scrivania. Sapevo già la sua abitudine di lasciare sempre nella toppa quella del suo appartamento. Orbene, durante il pranzo ho meditato il mio piano, e appena ho sentito scendere la sua cameriera, mi sono alzato da tavola e sono uscito facendo finta che mi colasse sangue dal naso. D’un salto fui alla scrivania, e mi misi a frugare ansiosamente nei cassetti che ho trovato tutti aperti... Oimè, non c’era nemmeno un foglio scritto! Eppure, ora che siamo in piena estate, non ha modo neppure di bruciarli nella stufa: dove andranno dunque a finire le lettere che riceve, e non sono poche? Ho rovistato ogni luogo, ho messo sottosopra ogni cosa; ma tutto quel che ne ho potuto cavare è stato la certezza quasi assoluta che il prezioso tesoro dev’essere custodito nelle sue tasche. E allora come si può fare per tirarlo fuori di là? E da ieri che mi stillo inutilmente il cervello; e tuttavia bisogna pure che mi levi questo capriccio. Oh, che darei per aver la destrezza dei tagliaborse! E mi pare infatti che anche questa importante materia dovrebbe far parte dell’educazione di un giovane, per poco che abbia vocazione per gli intrighi. Come sarebbe grazioso poter rubare la lettera o il ritratto d’un rivale, o levar dalla tasca d’una casta Susanna un documento che valga a smascherarla! Ma che volete? I nostri genitori non si preoccupano affatto della nostra istruzione, e, in quanto a me, ho un

Page 55: Le Amicizie Pericolose.pdf

bel preoccuparmene ormai: più che riconoscermi inetto non posso, e non so come rimediarvi. Comunque, sono tornato a tavola molto scontento, senonché la mia bella mi ha racconsolato alquanto, mostrando un caldo interessamento per la mia finta indisposizione, e io non ho mancato di assicurarle che da qualche tempo a questa parte soffro infatti per certe violente commozioni che rovinano la mia salute. Essendo persuasa d’essere lei la causa di questa mia agitazione, come potrebbe in coscienza non adoperarsi a calmarla? Ma quella donna, per quanto devota, è pochissimo caritatevole e mi rifiuta ogni elemosina d’amore. Ora mi pare, se non m’inganno, che questo suo rifiuto sia più che sufficiente per scusare da parte mia un piccolo furterello. Per ora addio, perché, anche trattenendomi con voi, non faccio che pensare a quelle maledette lettere. Dal castello di ..., 27 agosto 17..

Lettera XLIII La presidentessa Tourvel al visconte di Valmont. Perché cercare, o signore, di diminuire la mia riconoscenza? Perché obbedirmi solo a metà, mercanteggiando su una risoluzione che è doverosa e onesta? Non vi basta dunque che io comprenda il sacrificio che mi fate? Ma voi non solo mi chiedete troppo, chiedete persino cose impossibili. Se i miei amici mi hanno parlato di voi, l’hanno fatto per mio bene, e quand’anche avessero sbagliato, l’intenzione tuttavia li scuserebbe. E voi pretendereste invece che io rispondessi a questa prova d’affetto svelandovi il loro segreto? Ho già fatto assai male a parlarvene; e solo adesso me ne accorgo, mercé vostra. Con qualunque altro infatti la mia sarebbe stata un’ingenuità, ma con voi diventa un atto di vera storditaggine; e diventerebbe un mero tradimento, se acconsentissi alla vostra richiesta. Me ne appello a voi stesso, al vostro sentimento d’onore. Ma come avete potuto credermi capace di un’azione simile? Non avreste dovuto nemmeno propormela, mi pare; e sono certa che, riflettendoci su, non insisterete nemmeno voi su questa domanda. Anche la seconda richiesta, di scrivermi, è inammissibile, e, se volete essere giusto, dovete riconoscere che la colpa non è mia. Non voglio offendervi, ma con la reputazione che vi siete fatta e che del resto, come voi stesso ammettete, avete meritato almeno in parte, come potrebbe mai una donna perbene confessare d’essere in corrispondenza con voi? E come potrebbe, se onesta, farlo nascostamente, senza confessarlo? E pazienza ancora se le vostre lettere fossero almeno tali da non dovermene mai lamentare, da poter sempre giustificare ai miei occhi di averle ricevute. Forse allora il desiderio di provarvi che non l’odio ma la ragione mi spinge, mi farebbe passare sopra a considerazioni d’altronde gravissime, e potrei permettervi, ciò che a ogni modo non dovrei mai fare, di scrivermi qualche volta. Se voi ne aveste davvero la gran bramosia che dite, accettereste volentieri questa condizione, la sola che potrebbe ancora farmi acconsentire, e, tutto riconoscente per quel che faccio per voi in questo momento, partireste immediatamente. A questo proposito, permettete che vi faccia un’osservazione, e cioè che proprio stamane avete ricevuto una lettera e tuttavia non ne avete affatto approfittato per annunziare alla signora Rosemonde la vostra partenza, come mi avevate promesso. Voglio sperare che d’ora innanzi nulla più vi tratterrà dal mantenere la vostra parola, e che non vorrete aspettare, per farlo, quel colloquio che mi domandate ma che io non ho nessuna intenzione di concedervi. Vorreste che io vi dessi a voce un ordine di partire: a me basta che vi accontentiate della mia preghiera, che qui vi rinnovo.

Page 56: Le Amicizie Pericolose.pdf

Addio, signore. Dal castello di ..., 27 agosto 17..

Lettera XLIV Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil. Congratulatevi con me, mia bella amica: io sono amato, io ho finalmente trionfato di quel cuore ribelle. Invano ella cerca di nascondermelo ancora: la mia astuzia ha scoperto il suo segreto, e, grazie ai miei ingegnosi maneggi, so ormai il fatto mio. Da ieri notte (notte fortunata!) mi ritrovo nel mio elemento, ho ripreso a vivere, ho svelato un doppio mistero d’amore e d’umana nequizia; e adesso godrò di quello, e mi vendicherò di questa, volando così di gioia in gioia. Solo a pensarci mi esalto, e debbo fare uno sforzo a restare calmo per raccontarvi con un certo ordine come sono andate le cose. Vediamo un po’ se mi riesce. Ieri stesso, dopo avervi impostata la mia lettera, ne ho ricevuta una della mia celestiale santarellina. Ve la mando perché vediate che, per darmi il permesso di scriverle, non se l’è cavata poi tanto male. Nella stessa lettera mi spinge però anche ad affrettare la mia partenza, e io ho capito infatti che non potevo differirla a lungo senza danno; ma, avendo l’animo ancora sconvolto dalla febbre di sapere chi potesse averle scritto contro di me, ero perplesso sul da fare. Ho cercato di corrompere la cameriera perché mettesse a mia disposizione le tasche della padrona, ch’ella poteva vuotare comodamente la sera, rimettendo poi la mattina presto ogni cosa a posto senza far sospettare di niente. Per un servizio così da poco, le ho offerto ben dieci luigi; ma ho trovato una schizzinosa non so se scrupolosa o timida, che non s’è lasciata smuovere né dal denaro né dall’eloquenza. Stavo ancora a catechizzarla, quando hanno sonato per chiamarci a tavola. M’è toccato lasciarla, senza aver potuto ottenere da lei niente altro che una mezza promessa di mantenermi almeno il segreto, e si capisce che su questa promessa non c’era da fare nessun conto. Per tutta la sera sono stato di pessimo umore come non ero stato mai, sentendo che m’ero compromesso inutilmente con un passo falso e imprudente. Appena tornato in camera mia con quel po’ po’ di preoccupazione che avevo addosso, sono ricorso all’aiuto del mio staffiere, che nella sua qualità d’amante corrisposto doveva avere qualche autorità sulla cameriera. Volevo che ottenesse da costei ciò che le avevo domandato, o che alla peggio si assicurasse della sua discrezione; ma lui, che di solito è sempre sicuro di sé, mi è parso dubbioso sull’esito di quelle trattative, e mi ha fatto in proposito un’osservazione che mi ha meravigliato per la sua finezza. «Il signore sa meglio di me» mi ha detto «che andare a letto con una ragazza vuol dire soltanto essere riuscito a farle fare quello che piace anche a lei; ma, da questo a farle fare quel che piace a noi, ci corre assai.» Il buon senso della marmaglia qualche volta mi spaventa. «E tanto meno potrei poi rispondere di costei» mi ha soggiunto «dal momento che ho motivo di supporre che ella abbia già un amante, e che io rappresenti per lei soltanto un ripiego per gli ozi della villeggiatura. Debbo anzi dire a questo proposito che, se non fosse stato il mio zelo per il servizio del signore, a quest’ora l’avrei già piantata.» Questo giovanotto è proprio un tesoro! «Quanto al segreto,» ha detto ancora «che cosa ci servirebbe farglielo promettere, poiché non

Page 57: Le Amicizie Pericolose.pdf

rischierebbe niente a mancarci di parola? Parlargliene ancora sarebbe anzi come metterla in guardia che si tratta d’una cosa proprio importantissima per noi, e accrescerle così la voglia di raccontarlo alla sua signora per ingraziarsela.» Più le osservazioni erano giuste, e più il mio malumore cresceva. Per fortuna, il mariuolo era in vena di chiacchierare, e io, avendo bisogno di lui, lo lasciavo dire. Raccontandomi per filo e per segno come andavano le sue faccende con la cameriera, mi ha fatto sapere che, siccome la camera della ragazza era separata da quella della padrona soltanto da un assito, sicché si sarebbe potuto sentire ogni rumore sospetto, lei andava ogni notte a trovarlo nella camera di lui. A sentir ciò, mi è venuta subito una magnifica idea che gli ho comunicato e che infatti abbiamo eseguito con l’esito che ora dirò. Ho aspettato dunque che fossero le due dopo mezzanotte, e allora, come d’accordo, mi sono recato nella camera degli appuntamenti portando con me un lume, col pretesto d’avere già sonato più volte inutilmente. Lo staffiere, che sa investirsi della parte da vero commediante, ha recitato una scena di sorpresa, di disperazione, di scuse, che io ho troncato di netto mandandolo a scaldarmi un po’ d’acqua di cui finsi d’avere un bisogno urgentissimo; mentre la schifiltosa camerierina se ne stava lì tutta vergognosa, tanto più che il furfantello, che aveva voluto rincarare la dose facendo una giunta al mio progetto, l’aveva indotta a mettersi in una toletta (chiamiamola pure così) che la stagione calda magari comportava, senza però poterla scusare. Non ci voleva molto a capire che più la ragazza fosse stata umiliata e più l’avrei avuta docile a mia disposizione; pertanto non le ho permesso di cambiare né di posizione né di abbigliamento, e, dopo aver ordinato al mio staffiere di aspettarmi in camera mia, mi sono seduto accanto a lei, sulla sponda del letto (che era, si sa, molto in disordine) e ho cominciato la conversazione. Occorrendomi assolutamente di mantenere il vantaggio che le circostanze mi avevano dato su di lei, ho saputo conservare nei suoi confronti un sangue freddo che avrebbe fatto onore alla continenza di Scipione, e senza prendermi con lei la benché minima licenza (sebbene la sua fresca bellezza e l’occasione me ne avrebbero dato quasi il diritto) le ho parlato dei nostri affari con la stessa tranquillità con cui avrei parlato a un legale. Le mie condizioni sono state queste: che io non avrei fiatato con anima viva, a patto che la sera dopo, alla stessa ora, potessi avere tutto quanto era contenuto nelle tasche della sua padrona. «Per questo servizio» ho aggiunto a vi avevo promesso già dieci luigi; ebbene, ve li prometto ancora, poiché non intendo menomamente abusare della vostra condizione. Naturalmente, ha accondisceso a tutto, e allora, non avendo altro da fare, mi sono ritirato, lasciando comodità alla coppia felice di riguadagnare il tempo perduto. Io ho impiegato il mio a dormire; e, appena risvegliato, tanto per avere un pretesto di non rispondere alla lettera della mia bella prima d’aver esaminato la sua corrispondenza (il che mi sarebbe stato possibile solo la notte dopo), me ne sono andato a caccia e vi sono restato tutto il giorno. Al ritorno, sono stato accolto da lei con molta freddezza, e ho avuto modo d’accorgermi ch’era alquanto impermalita per la mia scarsa premura d’approfittare del poco tempo che ancora mi rimaneva da passare con lei, specie dopo la lettera più dolce che mi aveva scritto. E infatti, quando la signora Rosemonde si è lamentata della mia lunga assenza, la mia bella ha soggiunto con una punta d’asprigno: «Oh, via, perché rimproverare al signor Valmont l’unico divertimento che c’è qui per lui?» Ho preso la palla al balzo per lamentarmi di tale ingiustizia e per assicurare che anzi la compagnia delle signore m’era molto gradita e che a essa sacrificavo volentieri una lettera importantissima che avrei dovuto scrivere; ma, non avendo potuto chiuder occhio da parecchie notti, avevo voluto

Page 58: Le Amicizie Pericolose.pdf

provare se la stanchezza fisica mi avrebbe giovato: i miei sguardi spiegavano intanto chiaramente all’interessata di che lettera si trattava e qual era la causa della mia insonnia. Per tutta la sera ho cercato di darmi un’aria soavemente malinconica, che m’è riuscita a pennello, dissimulando in tal modo l’impazienza di quell’ora sospirata in cui avrei finalmente saputo il segreto che con tanta ostinazione mi si celava. È venuta l’ora di separarci; e poco dopo la fedele cameriera mi ha portato il premio che s’era pattuito per la mia discrezione. Appena avuto in mano il prezioso tesoro, ho proceduto al suo inventario con la flemma e la prudenza che mi conoscete, perché poi bisognava rimettere tutto a posto. Anzitutto mi sono cadute sott’occhio due lettere del marito, un miscuglio indigesto di particolari del processo e di sproloqui d’amore coniugale che ho avuto la pazienza di leggermi per intero, nelle quali tuttavia non ho trovato nemmeno una parola che si riferisse a me. Le ho messe dunque da parte con una certa stizza, che m’è passata un po’ ritrovando i pezzi della mia famosa lettera di Digione rimessi insieme con molta diligenza. M’è venuta voglia di rileggerla, e pensate alla mia gioia nel trovare su quel foglio le tracce evidenti delle lacrime della mia bella devota: ho avuto uno slancio collegiale, ve lo confesso candidamente, e ho baciato la lettera con un’effusione di cui non mi credevo più capace. Poi sono continuate le felici scoperte, e ho ritrovato le mie lettere, tutte le mie lettere, diligentemente disposte per ordine di data; ma la più bella sorpresa è stata vedere la mia prima lettera, quella che mi era stata restituita (da un’ingrata, pensavo io), ricopiata fedelmente di suo pugno, con una scrittura tanto alterata e tremante che essa sola bastava a provare la dolce agitazione del suo cuore nel trascriverla. Finora ero stato dunque tutto in preda all’amore; ma ecco che a un tratto è subentrato in me il tristo furore. Chi credete voi che sia l’anima dannata che ha giurato di perdermi nell’animo della donna adorata? Qual furia supponete voi tanto maligna da poter ordire una simile cabala diabolica? La conoscete. È vostra amica. È vostra parente. È la signora Volanges. E non potete mai immaginare qual tessuto d’infamie la megera d’inferno ha scritto sul conto mio! È stata lei, lei sola, a turbare l’ingenua fiducia di questa donna angelica; è stata lei, coi suoi subdoli consigli, coi suoi perversi suggerimenti, a indurla ad allontanarmi da lei a forza. È a lei, insomma, sono stato sacrificato. Ah, bisogna proprio che io le faccia sedurre davvero la figlia! Ma siccome anche questo non basta e bisogna rovinarla, e d’altra parte per la sua età questa maledetta donna è ormai al sicuro dai miei artigli, bisognerà che io la colpisca rovinando la persona che ella ama di più. Vuole dunque che io ritorni a Parigi? Mi ci tira proprio per i capelli? Ebbene, ci tornerò; ma il mio ritorno la farà piangere. Mi dispiace una cosa sola, che l’eroe di quest’avventura è Danceny, un buon figliolone, nel cui animo c’è un fondo di rettitudine che intralcerà assai i nostri piani; ma egli è innamorato, e poi io gli starò sempre alle costole, e qualche cosa di buono se ne potrà forse cavare. Ma io mi lascio trasportare dalla collera e non penso che vi debba ancora raccontare ciò che è successo oggi. Torniamo a noi. Stamattina ho riveduto dunque la mia tenera scrupolosina, e non mi è parsa mai tanto bella. Ed è giusto che sia così: il momento più favorevole alla bellezza d’una donna, il solo in cui ella possa dare quell’ebbrezza dell’anima di cui si parla tanto ma che si prova ben raramente, è quello in cui, rassicurati ormai del suo amore, non siamo certi ancora dei suoi favori, com’è appunto il caso mio. Forse anche il pensiero che io stavo per perdere il piacere di vederla contribuiva non poco a farmela vedere più bella. Il corriere mi ha portato la vostra lettera del 27, e mentre la leggevo, esitavo ancora se dovessi o non dovessi mantenere la parola; ma, avendo incontrato il suo sguardo, mi è diventato impossibile rifiutarle qualche cosa. Subito dopo la signora Rosemonde se n’è andata, lasciandoci soli; ma io non avevo fatto ancora quattro passi verso la donna intrattabile, che questa si è alzata in piedi tutta sgomenta, esclamando: «Lasciatemi, lasciatemi, signore, in nome del cielo, lasciatemi!»

Page 59: Le Amicizie Pericolose.pdf

Questa fervida preghiera, che tradiva il suo intimo turbamento, mi ha dato più coraggio che mai; d’un balzo le sono stato accanto, le ho afferrate le mani che ella aveva giunte in sì dolce atto da trapassare i cuori più duri, e cominciavo a sussurrarle già i più teneri lamenti, quando un demonio invidioso ci ha ricondotto tra i piedi la signora Rosemonde. Allora la timida colombella, che ha infatti qualche motivo d’avere paura di me, ne ha approfittato per ritirarsi. Io non per tanto le ho offerto la mano, ed ella l’ha accettata; e, bene augurando da tale sua benignità che da un pezzo non m’usava, pur ricominciando i miei lamenti, ho provato a stringere la sua mano. Da principio ha cercato di ritrarla; ma poi, alle mie vive insistenze, ha finito per cedere, con molta buona grazia del resto, benché non mi abbia mai fatto l’onore di rispondere né alle mie strette né ai miei discorsi. Arrivati alla porta della sua camera, ho voluto baciare la cara mano, prima di lasciarla. Anche qui sulle prime la resistenza è stata franca ed efficace; avendo io però pronunciata con voce sufficientemente commossa la frase: «Pensate dunque che io parto», ella è stata lì tutta smarrita e confusa. Quella mano ha ritrovato poi la forza di sfuggirmi, appena il bacio è stato dato; e la bella è entrata allora nella sua camera dove l’aspettava la fida cameriera. E qui la mia storia è finita. Poiché immagino che voi domani sarete in casa della marescialla Y. dove certo non verrò a trovarvi, mentre prevedo che al nostro primo incontro avremo molte cose da dirci, e prima di ogni altra avremo da sbrigare la faccenda della piccola Volanges, che ormai non perderò più di vista, ho stabilito di farmi precedere da questa lettera, e, per lunga che sia, la chiuderò solo al momento di mandarla a imbucare, perché, al punto in cui mi trovo, tutto può dipendere da un’occasione propizia, e anzi vi lascio per andare a spiare se si presenta. P. S. (ore otto di sera). Niente di nuovo. Neppure un attimo di libertà; anzi ella ha fatto di tutto per evitarlo. Tuttavia è molto malinconica, almeno quanto la decenza lo permette. Un altro avvenimento che può avere la sua importanza: sono stato incaricato dalla signora Rosemonde d’invitare la signora Volanges a passare qualche tempo con lei in campagna. Addio, mia bellissima amica, e arrivederci domani o domani l’altro al più tardi. Dal castello di ..., 28 agosto 17..

Lettera XLV La presidentessa Tourvel alla signora Volanges. Signora, Valmont è partito stamattina. Vi stava tanto a cuore questa partenza, che ho creduto di dovervene informare subito. La signora Rosemonde rimpiange molto il nipote, e bisogna ammettere infatti che la sua compagnia era delle più piacevoli. Non ha fatto che parlarmi di lui tutta la mattina con assai tenerezza, e non si stancava mai di lodarlo. Per cortesia ho dovuto ascoltarla senza contraddire, tanto più che su molte cose non aveva poi tutti i torti, e d’altra parte mi sentivo in colpa verso di lei, per essere stata io la causa di tale separazione, senza neppure la speranza di potere almeno in parte ricompensarla del piacere che le ho tolto: voi già sapete che sono di natura tutt’altro che gioviale, e la vita che dovremo condurre adesso qui non è fatta certo per rendermi più gaia. Se non avessi seguito ciecamente i vostri consigli, direi persino d’avere peccato di troppa leggerezza, perché il profondo dolore della mia rispettabile amica mi ha fatto proprio pena, e ho dovuto farmi forza per non unire le mie lacrime alle sue. Adesso non abbiamo che una speranza che ci conforti, e cioè che accetterete l’invito che Valmont è incaricato di portarvi a nome della signora Rosemonde, e cioè di venire qui a passare qualche giorno con noi. Il gran piacere che avrò di rivedervi è del resto un giusto risarcimento che mi spetta: non vi pare? E sarò lietissima di cogliere tale occasione per fare una più sollecita conoscenza della signorina Volanges e per convincervi sempre più, a viva voce, del mio rispettoso affetto per voi.

Page 60: Le Amicizie Pericolose.pdf

Dal castello di ..., 29 agosto 17..

Lettera XLVI Il cavalier Danceny a Cecilia Volanges. Mia adorata Cecilia, che cosa vi è dunque accaduto? Che cosa ha potuto provocare in voi un mutamento tanto rapido e crudele? E che avete fatto dei vostri giuramenti di non cambiar mai nei miei riguardi? Ieri, non più tardi di ieri, me li ripetevate con tanto slancio; e oggi li avete potuti già dimenticare? Per quanto faccia e rifaccia uno scrupoloso esame di coscienza, non riesco a trovare in me il più piccolo torto. Dovrò forse cercarlo in voi? Non oso pensarci! Ah, certo voi non siete una donna leggera e traditrice; e, anche in questo momento di cupa disperazione, l’anima mia non sarà macchiata di un oltraggioso sospetto! Ma allora per quale fatalità non siete più la stessa con me? Perché purtroppo, o crudele, non siete più la stessa: la tenera Cecilia, la Cecilia che adoro e da cui ho ricevuto i più sacri giuramenti, non avrebbe, no, evitato i miei sguardi; avrebbe anzi approfittato del caso favorevole che ci aveva messi vicini; o, se qualche ragione che io ignoro l’avesse costretta a trattarmi con tanto rigore, si sarebbe almeno degnata di spiegarmela. Voi non sapete e non saprete mai, mia Cecilia, ciò che m’avete fatto soffrire oggi, ciò che soffro ancora mentre vi scrivo. Vi par possibile che io possa vivere senza il vostro amore? Eppure, quando vi ho chiesto una parola, una sola parola che dissipasse i miei dubbi, invece di rispondermi avete fatto finta di temere che ci potessero ascoltare, e quest’ostacolo che allora non c’era, l’avete creato voi subito dopo, scegliendo nel circolo della conversazione il posto meno adatto. E quando, sul punto di lasciarvi, vi ho domandato a che ora avrei potuto rivedervi, mi avete fatto credere di non potermelo dire, e perché lo sapessi c’è voluto l’intervento di vostra madre. Sicché quel momento desiato in cui potrò trovarmi domani con voi non mi darà che una viva preoccupazione, e invece del piacere di vedervi, che finora era stato sempre tanto caro al mio cuore, avrò il timore d’esservi importuno. E questo timore (lo sento) mi toglie già ogni effusione, sicché non oserò quasi parlarvi del mio amore. La parola “amore” che mi piaceva tanto di ripetere, quando potevo poi ascoltarla in risposta da voi, questa parola dolcissima che bastava a farmi felice non mi offre già più, da che voi siete cambiata, se non l’immagine d’una eterna disperazione. Non posso credere tuttavia che il talismano dell’amore abbia perduto per voi tutto il suo fascino, e voglio ancora sperimentarlo.15Sì, mia Cecilia, vi amo. Ripetete con me questa frase che mi fa tanto felice. Pensate che m’avete abituato a sentirla dalla vostra bocca, e che il privarmene sarebbe come un condannarmi a un tormento che, come il mio amore, non finirà se non con la vita Parigi, 29 agosto 17..

Lettera XLVII Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil. Amica mia carissima, non potrò avere neanche oggi il bene di rivedervi; ed eccovene le ragioni, che vi prego d’accogliere con qualche indulgenza.

Page 61: Le Amicizie Pericolose.pdf

Ieri, invece di venirmene direttamente a Parigi, mi sono fermato a far colazione nel castello della contessa N. ch’era quasi sulla mia strada. Sono giunto perciò a Parigi alle sette di sera, e mi sono recato subito all’Opera con la speranza di vedervi. Finito lo spettacolo, sono stato a cercare i miei amici al ridotto, e vi ho trovato l’Emilia, che come sapete è stata una mia antica fiamma, circondata da un numeroso stuolo d’ammiratori maschi e femmine, per i quali ella dava quella sera stessa un banchetto a P. Appena mi hanno visto, sono stato invitato per acclamazione a far parte della comitiva, e lo stesso invito m’è stato poi ciangottato in francese d’Olanda da una mezza porzione d’uomo, basso e grasso, che da quanto ho arguito doveva essere il vero eroe della festa. Ho accettato. Ho saputo dopo, cammin facendo, che la casa dove andavamo rappresentava appunto il prezzo convenuto dei favori che l’Emilia avrebbe concesso a quel ridicolo tombolotto, e che il banchetto doveva dunque essere considerato come un vero e proprio banchetto di nozze. L’omiciattolo non entrava più nella pelle per la gran gioia che si riprometteva dal tranquillo possesso di quel bel tocco di femmina; e pareva tanto soddisfatto che subito m’è venuto l’uzzolo di guastargli quella sua tanta felicità, come infatti m’è riuscito. L’unica difficoltà che ho dovuto vincere è stata di persuadere l’Emilia, che la sperticata ricchezza del borgomastro rendeva alquanto scrupolosa; ma alla fine, dopo un po’ di smorfiette, ha accondisceso di buon animo a favorire il mio piano, che consisteva nel riempire di vino quella botticella da birra e nel metterlo così fuori affatto di combattimento per tutta la notte. Il concetto sublime che ci eravamo fatti di un bevitore olandese ci ha fatto impiegare tutti i mezzi a nostra disposizione; e la cosa infatti è andata a gonfie vele, perché alla frutta il poveraccio non aveva più neanche la lena di reggere il bicchiere, sicché la premurosa Emilietta e io abbiamo dovuto buttargli il vino per il gorgozzule per finire di riempirlo fino all’orlo. Finalmente è caduto sotto la tavola, in preda a una sbornia così solenne da durare non meno d’una settimana. Allora s’è stabilito di rispedirlo a Parigi, e, poiché la sua carrozza era già ripartita, l’abbiamo caricato sulla mia; e io sono rimasto al suo posto, riscotendo le unanimi approvazioni e congratulazioni di tutta la comitiva, la quale poco dopo se n’è andata, lasciandomi padrone assoluto del campo di battaglia. Questo scherzo, o forse magari la mia lunga astinenza, mi ha fatto trovare gustosissima l’Emilia, al punto che le ho promesso di restare con lei finché l’Olandese non sarà risuscitato. Questa mia accondiscendenza è del resto il dovuto corrispettivo della cortesia che ella mi ha usato, facendomi da scrittoio per una lettera che ho scritto alla mia bella devota; perché m’è parso un pensierino gentile di scriverle, dal letto e tra le braccia d’una ragazza di mondo, una lettera che è stata persino interrotta da un’infedeltà in piena regola, e nella quale con parole ambigue e a doppio senso le racconto ogni cosa come è accaduta veramente. L’Emilia, che l’ha letta, si teneva i fianchi dal ridere, e credo che farete altrettanto anche voi. Poiché sulla mia lettera ci vuole il timbro di Parigi, ve la mando aperta, perché voi la leggiate, la chiudiate e la facciate imbucare. Mi raccomando di non servirvi del vostro sigillo per chiuderla, e neppure di altri sigilli che abbiano impronte erotiche: basterà una semplice testa. Addio, o mia bellissima amica. P. S. Riapro questa lettera, per dirvi che ho persuaso l’Emilia a recarsi al Teatro degli Italiani , e così approfitterò della sua assenza per venirvi a trovare. Sarò da voi alle sei al più tardi, e, se non avete nulla in contrario, verso le sette andremo insieme dalla signora Volanges, perché non mi sarebbe decente procrastinare ancora l’invito che debbo farle da parte della signora Rosemonde; senza contare che ho fretta di conoscere la signorina. Addio ancora, mia bella, e tra poco vi riabbraccerò con tale entusiasmo da far ingelosire il vostro cavaliere.

Page 62: Le Amicizie Pericolose.pdf

Da P., 30 agosto 17..

Lettera XLVIII Il visconte di Valmont alla presidentessa Tourvel. (Col timbro di Parigi) Signora, dopo una notte tempestosa, durante la quale non ho chiuso occhio e non ho fatto altro che passare per una continua alternativa d’ardore divorante e d’annullamento di tutte le mie energie, ricorro a voi per cercare quella calma di cui avrei tanto bisogno e che tuttavia non spero di poter godere a lungo. Infatti la situazione in cui mi trovo, scrivendovi, pare fatta apposta per rivelarmi più che mai la potenza irresistibile dell’amore, e debbo far molta fatica per contenermi e conservare tanta padronanza da poter dare un certo ordine alle mie idee; e già prevedo che prima di finire questa lettera dovrò per forza interromperla. Possibile che io non debba dunque sperare di farvi provare un giornc, insieme a me, questo stesso turbamento che provo io adesso? Eppure sono certo che, se sapeste di che si tratta, non potreste rimanere affatto impassibile. Credetemi, signora, la fredda tranquillità, il sonno dell’anima, immagine della morte, non possono darci la felicità riservata soltanto alle passioni attive; e – vedete? – nonostante i tormenti che mi fate soffrire, posso affermarvi, senza tema di smentite, che in questo momento sono assai più felice di voi. Invano cercate d’esacerbarmi coi vostri accascianti rigori, i quali non mi possono tuttavia impedire d’abbandonarmi tutto all’amore e di dimenticare, nel delirio ch’esso mi dà, la disperazione per il vostro contegno. Questa vendetta io faccio dell’esilio inumano a cui m’avete dannato. E giammai, come ora, ho provato tanto piacere nello scrivervi; giammai ho sentito in questa occupazione un turbamento più soave e più vivo. Tutto, intorno a me, contribuisce ad accrescere vieppiù il mio godimento: l’aria che respiro è carica di voluttà; la scrivania stessa da cui vi scrivo (che è adibita per la prima volta a quest’uso) si trasforma per me in un altare sacro all’amore: oh, come mi sembrerà più bella adesso, poiché qui ho vergato, proprio qui, il giuramento d’amarvi per sempre! Vogliate perdonarmi, vi prego, il disordine dei sensi; e forse non dovrei lasciarmi trasportare così da sentimenti e da ardori a cui non volete in nessun modo partecipare. Or dunque bisogna che io vi lasci un momento per sfogare l’ebbrezza che di minuto in minuto va sempre crescendo e diventa più forte di me. Torno a voi, signora; e sebbene vi torni sempre con la stessa premura, tuttavia il sentimento di benessere che dianzi provavo è fuggito ormai lungi da me, lasciando il posto a quello delle più crudeli privazioni. Ma che mi giova parlarvi dei miei sentimenti, da poiché cerco invano il mezzo di convincervi? Dopo tanti sforzi reiterati, oimè, la fiducia e le forze mi vengono meno; e se vado ancora immaginando i piaceri dell’amore, non riesco che a sentir più forte il rammarico di non poterne godere più. Non ho altro scampo ormai che nella vostra indulgenza, e in quest’istante mi è troppo preziosa, perché io possa sperare d’ottenerla. Tuttavia il mio amore non è stato mai altrettanto rispettoso e quasi incapace d’offendervi: anzi oso dirvi che è tale, che la più severa virtù non potrebbe averne paura; senonché m’avvedo che io stesso ho paura di parlarvi ancora dell’immensa pena che provo. Sicuro come sono che voi, che pur ne siete cagione, non la volete condividere, non mi è lecito abusare più oltre della vostra bontà, come ne abuserei se impiegassi altro tempo a dipingervene dal vivo il doloroso spettacolo. Vi scongiuro dunque solo di rispondermi e di non dubitare mai della sincerità dei miei sentimenti. Parigi, 30 agosto 17..

Page 63: Le Amicizie Pericolose.pdf

Lettera XLIX Cecilia Volanges al cavalier Danceny. Signore, senza essere né leggera né traditrice, m’è bastato di veder chiaro nella mia condotta per sentire l’obbligo in cui ero di cambiarla. E ho infatti promesso a Dio questo sacrificio, in attesa di potergli sacrificare anche i sentimenti che nutro per voi, tanto più riprovevoli e delittuosi, se si pensa allo stato religioso in cui voi vi trovate. So già che questo sacrificio mi costerà caro, e non vi nascondo che dall’altro giorno non ho fatto che piangere ogni volta che ho pensato a voi. Ma spero che Dio mi farà la grazia di darmi la forza necessaria per dimenticarvi, come io gli chiedo fervidamente nelle mie preghiere, mattina e sera. Oso sperare dalla vostra amicizia e dalla vostra onestà che non tenterete neppure di scuotere questa mia savia risoluzione, che m’è stata provvidamente ispirata al momento opportuno, e nella quale sarò incrollabile. E perciò vi prego di non scrivermi più, anche perché vi prevengo che non risponderò mai più alle vostre lettere; insistendo mi costringereste a far sapere alla mamma quanto è accaduto tra noi; il che mi priverebbe per l’avvenire del piacere di vedervi. Con tutto ciò conserverò sempre per voi tutto l’affetto che si può onestamente nutrire, e vi auguro con tutta l’anima ogni bene. Capisco che voi invece non potrete volermene più, e forse anche amerete un’altra meglio di me: e questa sarà per me una grave espiazione della colpa commessa col darvi il mio cuore, che dovevo dare solo a Dio e a mio marito, quando me ne sarà dato uno. Spero che la misericordia divina avrà pietà della mia debolezza e non mi vorrà dare dolori che io non possa sopportare. Addio, signore, vi assicuro che se mi fosse permesso d’amare qualcuno, non vorrei amare altri che voi. Ecco tutto quel che posso dirvi, e forse è anche più di quel che dovrei. Parigi, 31 agosto 17..

Lettera L La presidentessa Tourvel al visconte di Valmont. E dunque, o signore, mantenete così i patti con cui ho acconsentito a ricevere qualche lettera vostra di quando in quando? E come potrei non lamentarmene , poiché non fate altro che parlarmi d’un sentimento, al quale non vorrei abbandonarmi neanche se potessi farlo senza offesa dei miei doveri più sacri? Se del resto ci fosse bisogno di nuovi argomenti per rafforzare la mia salutare ripugnanza, la vostra stessa lettera me ne darebbe Quando credete infatti di fare l’apologia dell’amore, che altro fate in verità se non mostrarmene le spaventose tempeste? Chi potrebbe desiderare una felicità conseguita a scapito della ragione, e le cui gioie effimere sono seguite poi dai rimorsi, o per lo meno, nella migliore ipotesi, dai rimpianti? E voi stesso che, per essere avvezzo a tali pericolosi deliri, dovreste sentirne meno gli effetti, non siete costretto in sostanza a confessare che l’amore assai spesso è più forte di voi e che vi dà un turbamento involontario di cui giustamente vi dolete? Che strazio, che terribile rovina non farebbe dunque in un cuore inesperto e sensibile, in cui impererebbe anche più dispoticamente imponendo sacrifici gravissimi? Voi credete, o signore, o almeno fingete di credere, che l’amore possa dare la felicità; e io sono

Page 64: Le Amicizie Pericolose.pdf

invece talmente persuasa che mi renderebbe infelice da non volere sentire neppure il suo nome. Mi pare che, soltanto a parlarne, la mia tranquillità sia compromessa; e perciò, tanto per avversione istintiva, quanto per sentimento del dovere, vi prego di non discorrermene più. Dopo tutto, non dovrebbe esservi difficile accontentarmi su questo punto. A Parigi non vi mancheranno certo occasioni di dimenticare un capriccio che è nato forse in voi soltanto per l’abitudine che avete d’occuparvi di queste cose, e ha acquistato poi forza e vigore nell’ozio della campagna. Ma ora siete nella città dove m’avete vista già tante volte senza provare per me altro che indifferenza; dove a ogni passo potete incontrare esempi della vostra facilità a cambiare, dove infine siete circondato da donne che, essendo molto più amabili di me, hanno cento volte più diritto ai vostri omaggi. Oh, io non ho davvero né la vanità che si rimprovera tanto al mio sesso, né quella falsa modestia la quale altro non è se non un orgoglio più raffinato! E sono dunque da credere quando vi dico, con la più grande sincerità, che so di non avere nessuna attrattiva; ma, se anche le avessi tutte, non le crederei tuttavia sufficienti ad assicurarmi la vostra costanza. Chiedendovi pertanto di non pensare più a me, non fo che pregarvi di fare oggi ciò che avevate fatto sempre prima d’adesso e che farete certamente tra poco, quand’anche io vi chiedessi il contrario. Questa verità, che non perdo di vista, sarebbe dunque da sola una ragione più che sufficiente a non darvi retta. Ve ne sarebbero mille altre, ma perché ingolfarmi in una discussione che riuscirebbe assai lunga e tediosa? Meglio è che mi limiti a pregarvi, come ho già fatto, di non parlarmi più d’un sentimento a cui non posso e non debbo, non dico corrispondere, ma neanche dare ascolto. Dal castello di ..., 1° settembre 17..

PARTE SECONDA

Lettera LI La marchesa di Merteuil al visconte di Valmont. Ah, caro visconte, siete proprio insopportabile, e mi trattate con tale leggerezza, che quasi quasi si direbbe che sono la vostra amante! Sapete che finirete per farmi arrabbiare sul serio, e fin d’ora m’avete messo addosso un umore d’inferno? Come! Dovete avere un colloquio con Danceny domani mattina, sapete quanto è importante che prima ci parliamo tra noi, e invece, senza darvi un pensiero al mondo, non vi fate vivo per tutta la giornata, e chissà dove vi cacciate! Per colpa vostra sono arrivata a casa della signora Volanges con un ritardo indecente e ho dovuto beccarmi su i rimbrotti di tutte le vecchie signore, perdendo un tempo prezioso per placarle a furia di moine; perché non bisogna disgustar mai le vecchie signore, come quelle che fanno la reputazione di noi giovani. Adesso è l’una dopo mezzanotte, e invece di andarmene a letto, come ne avrei voglia, dovrò scrivervi una lunga lettera che con la sua noia mi raddoppierà il sonno. Siete fortunato anche in questo, che per non sprecare tempo rinunzio a sgridarvi come meritereste: non ne deducete però che vi abbia perdonato; oh, no, no, è soltanto perché ho fretta! Ascoltatemi dunque, che mi sbrigo in due parole. Se sarete appena appena un po’ abile, domattina avrete le confidenze di Danceny, perché egli si trova appunto in un momento di dolore favorevolissimo alle confidenze. La ragazza è stata a confessarsi, e, da quella sempliciotta che è, è andata a spiattellare ogni cosa al confessore, sicché

Page 65: Le Amicizie Pericolose.pdf

adesso è tormentata dalla paura del diavolo al punto di voler rompere tutto con Danceny. Mi ha raccontato i suoi scrupoli con tale vivacità da farmi capire che le debbono aver montata assai la testa, e mi ha anche fatto leggere la lettera di rottura, che è una vera predica da padre cappuccino. Figuratevi che ha chiacchierato più di un’ora con me, senza dirmi una sola parola che avesse un po’ di senso comune. Con tutto ciò è riuscita a mettermi lo stesso in un bell’impiccio, perché capirete che non potevo mica parlar chiaro a una testolina sventata come la sua! Da tutta questa cicalata ho potuto arguire però ch’ella ama il suo Danceny meglio di prima, e anzi ho osservato che l’amore le ha suggerito uno dei suoi immancabili espedienti, e la ragazza c’è cascata che è un piacere. Tribolata com’era dal desiderio di pensare sempre al suo innamorato e temendo d’altra parte di dannarsi l’anima a pensarci, ho inventato di pregare Dio perché glielo faccia dimenticare, e siccome ripete questa preghiera in ogni minuto della giornata, così ho trovato il modo di pensare a lui continuamente. Con un altro che fosse più navigato di Danceny, questo piccolo inconveniente sarebbe forse più favorevole che contrario; ma il giovinetto è un Celidone in carne e ossa, e, se non ci mettiamo in mezzo noi, gli ci vorrà tanto tempo per vincere gli ostacoli più leggeri, che non ce ne resterà poi a noi per mandare a effetto i nostri piani. Avete ragione: è un vero peccato che sia proprio lui l’eroe di quest’avventura, e io ne sono più seccata di voi; ma che volete? Quel che è fatto è fatto, e la colpa se mai è tutta vostra. Gli ho chiesto che mi facesse vedere la risposta alla lettera di Cecilia:16una cosa da far pietà! Immaginate che le fa uno sproloquio di ragionamenti su ragionamenti, da levare il respiro, per dimostrarle che un sentimento involontario non può essere un peccato, come se non cessasse d’essere involontario nel momento che non lo si contrasta più. E questa obiezione è così elementare, che persino la ragazza c’è arrivata subito da sé. Il poveraccio si lamenta poi della sua disgrazia con un accoramento che commuove davvero, ma il suo dolore è tanto dolce e sincero, che mi pare impossibile che una donna, trovando un’occasione così a buon mercato per far disperare un uomo, non sia tentata di levarsene la voglia. La lettera finisce con la spiegazione che egli non è affatto un frate com’ella credeva, e questa è l’unica cosa buona che c’è nella lettera; perché, se una donna volesse proprio mettersi a far l’amore coi frati, i signori cavalieri di Malta non meriterebbero certo la preferenza! Comunque, invece di perder tempo con la ragazza in ragionamenti che mi avrebbero compromessa senza magari riuscire a convincerla, le ho detto che approvavo la rottura, ma che in questi casi è meglio dire a voce le proprie ragioni piuttosto che scriverle e che è consuetudine di restituire le lettere, i regali e tutto quello insomma che si è ricevuto. In tal modo, fingendo d’essere pienamente d’accordo con lei, l’ho persuasa a concedere un appuntamento a Danceny, e ne abbiamo stabilito lì per lì il come e il quando. Io mi sono presa l’incombenza di far uscire la mamma senza la figlia, e il colloquio decisivo avverrà dunque domani nel pomeriggio. Danceny è già avvisato; ma, per Dio, mi raccomando a voi di persuadermi quel bel pastorello a far meno lo svenevole e d’insegnargli, dal momento che bisogna imbeccarlo di tutto punto, che la vera maniera di vincere gli scrupoli è quella di non lasciar più niente da perdere alla bella scrupolosa. Del resto, perché questa scena ridicola non abbia più a ripetersi, non ho mancato di sollevare nell’animo della ragazza qualche dubbio sulla discrezione dei confessori; e adesso v’assicuro che paga assai cara la paura che mi ha messa, con quella che ha indosso lei che il confessore vada a spifferare tutto a sua madre. Per poco che riesca ancora a parlarle a modo mio altre due o tre volte, vedrete che non andrà più a raccontare ogni minima sciocchezza al primo venuto.17 Addio, visconte; impadronitevi di Danceny e istradatelo bene. Sarebbe una vergogna per noi che non sapessimo fare quel che ci pare e piace di due ragazzacci come questi. Se troveremo maggiori difficoltà del previsto, per aizzare il nostro zelo pensiamo, voi che si tratta della figlia della signora

Page 66: Le Amicizie Pericolose.pdf

Volanges, e io che deve diventare la moglie di Gercourt. Addio. Parigi, 2 settembre 17..

Lettera LII Il visconte di Valmont alla presidentessa Tourvel. Mi proibite, o signora, di parlarvi d’amore. Ma come troverò il coraggio d’obbedirvi? E così, dominato come sono da un unico pensiero che mi dovrebbe essere dolcissimo e per colpa vostra è invece tanto amaro, avvilito dall’esilio a cui mi avete dannato, non vivendo ormai più che di privazioni e di rimpianti, e in preda a tormenti tanto più dolorosi quanto più mi richiamano alla mente di continuo la vostra indifferenza, dovrei perdere anche l’ultima consolazione che mi rimane? E qual altra infatti potrei averne all’infuori di questa, d’aprirvi qualche volta l’animo mio che voi mi riempite di ambascia e di turbamenti? Osereste dunque torcere lo sguardo, per non guardare le lacrime che fate spargere, e rifiutare persino l’offerta dei sacrifici che esigete? Non sarebbe infinitamente più bello e più degno, per un’anima buona e pietosa quale voi siete, compiangere un poveretto, disgraziato appunto per causa vostra, piuttosto che infierire contro di lui e aggravare le sue pene con una proibizione ingiustamente rigorosa? Fingerete d’avere paura dell’amore. Ma non capite d’essere voi sola, proprio voi sola, la ragione di tutti i mali di cui l’accusate? Certo anche l’amore è un tormento, quando la persona che l’ispira si rifiuta poi di condividerlo; ma se un amore reciproco non facesse felici, dove mai gli uomini potrebbero sperare di trovare la felicità? Una tenera amicizia, una soave confidenza (l’unica che non abbia riserve) e le pene addolcite, i piaceri accresciuti, le speranze più lusinghiere, i ricordi più cari, dove cercarli, se non nell’amore? E dovete essere proprio voi a calunniarlo, l’amore, voi che, per godere tutti i beni che elargisce, non avete da fare altra fatica che accettarlo, quando io, per difenderlo, dimentico tutti i miei tormenti? Ma voi mi costringete anche a difendere me stesso: perché, mentre io consacro la vita ad adorarvi, voi passate la vostra a cercarmi dei difetti. Ed ecco che mi accusate già d’essere leggero e infedele, e abusando a mio danno di qualche mio traviamento (di cui del resto sono stato io stesso a farvi un’aperta e leale confessione) vi prendete il gusto di confondere quel ch’ero allora con quello che sono adesso. Non contenta d’avermi condannato a vivere lontano da voi, aggiungete la crudeltà del sarcasmo a proposito di piaceri, ai quali voi sapete meglio di me quanto mi avete reso insensibile. Non credete né a promesse né a giuramenti; ma mi resta ancora, per fortuna, un mallevadore da offrirvi, che spero sarà insospettabile, dal momento che questo mallevadore siete voi stessa. Interrogate in buona fede la vostra coscienza; e se davvero non credete al mio amore, se dubitate sia pure per un attimo solo d’essere l’unica regina del mio cuore, se non potete stare sicura d’aver fatto vostro per sempre un cuore che finora era, ammettiamolo pure, volubile, ebbene, acconsentirò a espiare il mio fallo, piangerò della vostra sentenza ma l’accetterò senza esitare. Che se invece, rendendo giustizia a entrambi, dovrete convenire con voi stessa che non avete e non avrete mai nessuna rivale, dispensatemi, ve ne supplico, dal combattere delle chimere, lasciatemi almeno il conforto di non vedervi più dubitare d’un sentimento che (vi giuro) non finirà, non potrà finire altro che con la vita. Permettetemi, signora, che io insista nel pretendere una risposta precisa su questo argomento. A ogni modo, se rinuncio a difendere il mio passato, che tanto mi nuoce presso di voi, non è già perché mi manchino le ragioni. In fondo io ho fatto di tutto per non lasciarmi travolgere dal vortice in cui ero stato gettato. Entrato nel mondo giovane e senza esperienza, passato, per così dire, di

Page 67: Le Amicizie Pericolose.pdf

mano in mano a una torma di donne che tutte s’affrettavano a prevenire con la loro facilità una più matura considerazione, che esse presentivano necessariamente sfavorevole, toccava forse a me dare l’esempio d’una resistenza che nessuna di esse mi opponeva? O dovevo forse punire in me un momento d’oblio, quasi sempre provocato ad arte, con una costanza certamente inutile, che per di più sarebbe sembrata ridicola? E quale rimedio è migliore d’una sollecita rottura, per riparare al danno d’una scelta vergognosa? Ma di questo posso vantarmi, che l’ebbrezza dei sensi, o forse piuttosto il delirio della vanità, non ha mai corrotto il mio cuore. Questo mio cuore, nato per l’amore, l’intrigo ha potuto distrarlo dalla mèta, ma non certo appagarlo. Donne belle e affascinanti ma abiette mi circondavano: ebbene, nessuna ha saputo penetrare mai nell’intimo dell’animo mio. Esse potevano darmi soltanto delle voluttà, mentre io andavo perdutamente cercando le virtù. E così ho potuto io stesso credermi incostante, mentre non ero che insoddisfatto per la mia troppa delicatezza e per la mia troppa sensibilità. Quando vi ho incontrata, ho finalmente visto chiaro ogni cosa: ho capito che l’incanto dell’amore dipende esclusivamente dalle qualità dell’anima, e che esse sole possono spingerlo a quel culmine che pienamente lo appaga e lo giustifica. Ho capito anche che mi sarebbe stato impossibile non amarvi o amare un’altra donna che non foste voi. Tale è il cuore a cui voi avete paura d’affidarvi e sulla cui sorte dovete ora deliberare. Ma, qualunque sia il destino che gli riserbate, non potrete cambiar mai i sentimenti ch’esso nutre per voi, inalterabili come le virtù che li hanno generati. Parigi, 3 settembre 17..

Lettera LIII Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil. Ho visto Danceny, ma non sono riuscito a cavargli di bocca se non una mezza confidenza. Si è ostinato soprattutto a non volermi fare il nome della piccola Volanges, limitandosi a dire che si trattava d’una signorina molto per bene e fin troppo religiosa. All’infuori di questa riserva, mi ha raccontato abbastanza sinceramente la sua avventura e specialmente gli ultimi avvenimenti. Ho cercato di scaldarlo più che ho potuto, scherzando molto sul suo eccesso di delicatezza e di scrupoli; ma pare che ai suoi scrupoli ci tenga molto, e perciò non posso rispondere di lui. Spero del resto di potervene dire qualcosa di più dopodomani, perché domani lo porto con me a Versailles e per strada non farò che sondarlo. L’appuntamento che ha avuto luogo oggi mi dà qualche speranza: chissà che le cose non siano andate come noi ci auguriamo e che ormai non ci resti altro da fare se non strapparne la confessione e raccoglierne le prove? Questo compito riuscirà a ogni modo più facile a voi, perché la ragazza è più espansiva o più pettegola (che poi in fondo è la stessa cosa) del suo misterioso innamorato. Tuttavia farò anch’io da parte mia tutto ciò che mi e possibile. Addio, amica mia. Ho molta fretta. Siccome non mi sarà dato di vedervi né questa sera né domani, appena saprete qualche cosa scrivetemi due righe, che troverò al mio ritorno, perché quasi certamente tornerò a dormire a Parigi. Parigi, 3 settembre 17..

Page 68: Le Amicizie Pericolose.pdf

Lettera LIV La marchesa di Merteuil al visconte di Valmont. Oh, sì, sì; andate là, che questo Danceny deve avere avuto proprio delle belle cose da raccontarvi! E, se ve le ha raccontate, sono tutte fandonie e millanterie. Non ho visto mai un allocco simile nelle cose d’amore, e mi pento sempre più della benevolenza che abbiamo avuto per lui. E sappiate che sono stata lì lì per rimanere compromessa per causa sua. Bel costrutto davvero che ne ho cavato! Ma mi vendicherò, vi prometto che mi vendicherò. Quando ieri sono andata a prendere la signora Volanges, questa non voleva più uscire perché si sentiva stanca e un po’ indisposta; e c’è voluta tutta la mia parlantina per smuoverla dal suo proposito. C’è stato un momento che mi sono vista perduta, pensando che Danceny potesse capitare prima della nostra uscita: il che sarebbe stato un guaio serio, tanto più che la signora Volanges il giorno prima gli aveva detto che non sarebbe stata in casa. La figlia e io eravamo proprio sulle spine. Ma finalmente, quando Dio ha voluto, siamo uscite; e la ragazza, nel dirmi addio, mi ha stretto la mano con tanta effusione, che nonostante la sua ostinazione di volere la rottura a ogni costo, ne ho tratto i migliori auspici per la serata. Ma le disgrazie non erano ancora terminate. Eravamo appena da mezz’ora in casa della signora M., quando la signora Volanges s’è sentita male sul serio, ma male, molto male, e naturalmente voleva tornare a casa sua. Figuratevi il mio animo, perché se avessimo sorpreso (ed era più che probabile) i due ragazzi ancora a colloquio, nessuno avrebbe levato dalla testa della madre che io avessi tenuto mano alla figlia, specie dopo tutte le mie insistenze per farla uscire. Mi sono appigliata allora all’unica salvezza che mi rimaneva, di spaventarla sulle condizioni della sua salute, cosa che per fortuna non è molto difficile con lei; e così sono riuscita a trattenerla ancora per un’ora e mezzo, rifiutandomi di condurla a casa per paura (le dicevo) che il movimento della carrozza aggravasse il suo male. In tal modo siamo rincasate all’ora prestabilita, e, a vedere la faccia della ragazza tutta rossa di vergogna, ho sperato che le mie fatiche non fossero almeno andate sprecate. Per la smania di sapere subito qualche cosa, sono restata a far compagnia alla signora Volanges, che s’era messa a letto; e dopo aver pranzato accanto al suo letto, l’abbiamo lasciata sola, col pretesto che aveva un gran bisogno di riposo, e siamo passate nell’appartamento della ragazza. Costei, da parte sua, ha fatto quel che me ne ripromettevo: sfumati gli scrupoli, rinnovati i giuramenti d’amore eterno, ecc. ecc. Insomma la poveretta s’è prestata il meglio che ha potuto; ma quell’imbecille di Danceny non è stato capace di fare un passo! Oh, con lui ci si può bisticciare quanto si vuole, che poi, a far la pace, non si corre nessun rischio! La ragazza veramente mi ha detto che egli cercava di ottenere qualche piccolo vantaggio, ma lei ha saputo difendersi. Sarà, ma non ci credo: forse la poveretta deve aver detto così per scusarlo. Ne ho quasi le prove. Mi è venuto infatti il capriccio di vedere che razza di difesa è capace di fare questa bambocciona; e, di discorso in discorso, ho saputo (e non sono che una donna, io!) montarle siffattamente la testa che... Basta, potete credermi: non c’è nessun’altra donna più suscettibile di lei alle sorprese dei sensi. Ah, sì, è proprio carina, questa ragazza, e meritava un altro amante! In compenso avrà almeno una buona amica, perché sento di affezionarmi sempre più a lei: ho promesso di insegnarle a vivere e spero di mantenere la mia promessa. Ho sentito più volte la mancanza di un’amica da ammettere nella mia intimità: ebbene, meglio lei che un’altra. Peccato che non potrò farne niente di buono, finché non sarà... come deve essere. Ed è una ragione in più di rancore contro quello sciocco di Danceny che mi fa attendere. Addio, visconte. Non venite a trovarmi domani, a meno che non sia di mattina, perché ho ceduto

Page 69: Le Amicizie Pericolose.pdf

alle vive insistenze del mio cavaliere e passeremo la serata nella nostra casetta. Parigi, 4 settembre 17..

Lettera LV Cecilia Volanges a Sofia Carnay. Avevi ragione tu, mia cara Sofia, e le tue profezie riescono meglio dei tuoi consigli. Danceny, come tu avevi previsto, è stato più forte del confessore, di te, di me, e siamo tornati alle precise condizioni di prima. Non me ne pento; e se tu avrai il coraggio di rimproverarmelo, è perché non sai che piacere si prova ad amare Danceny. Oh, a te costa poco suggerirmi quel che bisogna fare! Ma vorrei che tu provassi che cosa si soffre a vedere addolorata una persona cara, e come invece la sua gioia diventa subito una gioia anche per noi; vorrei che tu sapessi quanto è difficile dire di no quando si vuole dire di sì; e allora, vedi, non ti meraviglieresti più di niente! Sebbene poi io stessa che l’ho provato non so capire ancora com’è andata. Ti pare possibile, per esempio, che io debba vedere piangere Danceny senza mettermi subito a piangere anch’io? No, no ti giuro che è impossibile. E quando invece egli è contento, ebbene, io sono più contenta di lui. Tu hai un bel dire: le parole non cambiano i fatti, e io sono sicura che andava fatto proprio così! Ti vorrei vedere al posto mio... Veramente, non vorrei vederti affatto, perché il mio posto non lo cedo a nessuno; ma vorrei che anche tu amassi qualcuno, e non soltanto perché tu potessi capirmi meglio e sgridarmi un po’ meno, ma anche perché saresti più felice, o, per dir meglio, cominceresti allora a essere felice. I nostri divertimenti, i nostri giuochi, le nostre risate non sono che fanciullaggini, e appena sono passati non ne resta più niente; ma l’amore... oh, l’amore!... Una parola, uno sguardo, il solo sapere che il tuo innamorato è là... Dio mio, come ci fa felici! Quando vedo Danceny, non desidero altro; quando non lo vedo, non faccio che desiderarlo. Non so spiegare come questo succeda; ma direi che tutto quanto mi piace gli rassomiglia. Quando non è con me, mi sfogo a pensarlo; e, se posso pensarlo a modo io, con tutta l’intensità dell’animo, senza distrazioni, come per esempio quando sono sola, mi pare d’essere anche allora felice: chiudo gli occhi, e subito me lo vedo dinanzi, subito mi ricordo le sue parole, tanto che mi pare quasi di sentirgliele ripetere, e allora sospiro, e mi sento dentro un fuoco, un’agitazione, che non posso star ferma. È come un tormento. Ma questo tormento mi dà invece una voluttà indicibile. Credo che, quando si ama, l’amore si comunichi anche all’amicizia. L’amicizia che ho per te, no, quella non è cambiata, ed è rimasta qual era in convento; ma l’amicizia che provo per la signora Merteuil è diversa, e mi sembra di volerle un bene che s’avvicina più a quello che voglio a Danceny che a quello che voglio a te; e qualche volta, vedi, vorrei quasi che lei fosse lui. Può darsi che questo avvenga perché l’amicizia per la signora Merteuil non è un’amicizia d’infanzia come la nostra; o forse magari, chissà, a furia di vederli tanto spesso insieme, finisco per scambiarli l’uno con l’altra. Quel che è certo è che tutt’e due mi rendono felice, e in fin dei conti non mi pare di commettere un gran male in ciò che faccio. Vorrei perciò restare come sono, e l’unico cruccio che ho è il pensiero del matrimonio, perché se Gercourt è come me l’hanno dipinto (e purtroppo dev’essere così) non so che cosa succederà di me! Addio, mia Sofia, ti voglio sempre tanto bene.

Page 70: Le Amicizie Pericolose.pdf

Parigi, 4 settembre 17..

Lettera LVI La presidentessa Tourvel al visconte di Valmont. A che può giovarvi, o signore, la risposta che desiderate da me? Che io creda alla sincerità dei vostri sentimenti non è infatti una ragione di più per sfuggirvi? E, senza bisogno di mettere in dubbio di difendere codesti sentimenti, non mi basta forse (e non dovrebbe bastare anche a voi) sapere che non potrò, che non dovrò mai condividerli? Ammettiamo pure che voi mi amiate svisceratamente: e faccio quest’ipotesi per non dover tornare più su questo argomento. Ebbene? Gli ostacoli che ci dividono rimangono tuttavia ugualmente insormontabili, e a me non resta che augurarvi di poter dimenticare quest’amore, aiutandovi del mio meglio col togliervi senza indugio ogni speranza. Non dite voi stesso che questo sentimento è doloroso quando la persona che lo ispira non lo condivide? E non sapete già che mi è impossibile condividerlo? Dirò di più: anche se mi capitasse questa disgrazia, ne soffrirei a morte, ma voi non potreste essere neanche allora felice. Spero che mi stimiate abbastanza per non avere su ciò il menomo dubbio. Lasciate dunque, lasciate in pace, vi scongiuro, un cuore che ha bisogno di calma; non mi costringete a rimpiangere il momento che vi ho conosciuto. Sono amata e rispettata da un marito che a mia volta amo e rispetto. Doveri e gioie sono dunque un’unica cosa per me. Sono felice. E come potrei non esserlo? Se esistono piaceri più vivi, non li desidero, non li voglio neppure conoscere. E qual piacere potrebbe essere più dolce dell’essere in pace con la propria coscienza, di vivere i propri giorni sereni, d’addormentarsi la sera senza preoccupazioni e di svegliarsi al mattino senza rimorsi? La vostra pretesa felicità invece non è altro che un tumulto di sensi e tempesta di passioni: uno spettacolo che spaventa già solo a guardarlo dalla riva, rimanendo al sicuro; perché dovrei affrontare questa burrasca e imbarcarmi in un mare tutto coperto dai miseri avanzi di mine e mille naufragi? E con chi, poi? Ah, no, signore! Io, per me, resto a terra. Troppo cari sono i nodi che mi ci trattengono; e quando anche potessi scioglierli, non vorrei; e se non li volessi, mi affetterei ad assicurarmeli. Ma perché dunque vi siete attaccato ai miei panni, e vi ostinate a non lasciarmi in pace? Le vostre lettere dovevano essere rare, e invece si susseguono frequentissime; dovevano essere assennate, e non fanno che parlare del vostro folle amore. Ora che non potete più starmi attorno di persona, mi assediate con le vostre idee fisse. Vi caccio da una parte, e mi rispuntate fuori dall’altra. Vi prego di non parlarmi più di certe cose, e voi me le ripetete sotto altra forma. Sfuggite alla logica dei miei ragionamenti, e vi divertite a mettermi in imbarazzo coi vostri sofismi. No, no, bisogna proprio che non vi risponda più. Non vi risponderò più. E come parlate poi delle povere donne che avete sedotto! Con quanto disprezzo le trattate! Poniamo pure che qualcuna lo meriti. Ma le altre? Possibile che siano tutte così spregevoli? Certo avete ragione di crederle indegne, avendo esse tradito i loro doveri per abbandonarsi a un amore colpevole: da quel momento hanno perduto ogni cosa e persino la stima di colui al quale hanno sacrificato tutto: giusta punizione, non c’è che dire; ma, solo a pensarci, mi sento i brividi addosso. Senonché, in fin dei conti, che me ne importa? Perché dovrei interessarmi di esse e di voi? E con che diritto venite voi a turbare la mia quiete? Lasciatemi, non vi fate più vedere da me, non mi scrivete più, ve ne scongiuro, lo esigo. Questa è l’ultima lettera che riceverete da me.

Page 71: Le Amicizie Pericolose.pdf

Dal castello di ..., 5 settembre 17..

Lettera LVII Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil. Ho avuto la vostra lettera ieri sera appena tornato, e non potete immaginare quanto ho riso a vedervi tanto irritata. Vi arrovellate come se Danceny avesse fatto un torto a voi. E scommetto che è proprio per spirito di vendetta che gli state adesso corrompendo l’amante, avvezzandola a fargli qualche piccola infedeltà con voi. Ah, siete davvero un cattivo soggetto! Ma siete anche una creatura incantevole, e non mi meraviglio affatto che chi ha potuto resistere a Danceny non sappia invece resistere a voi. Danceny, oh, posso vantarmi adesso di conoscerlo a menadito, questo bell’eroe da romanzo! Non ha più segreti per me. A furia di ripetergli che l’amore onesto e puro è il più gran bene che ci sia al mondo, che un amore sentimentale vale più di dieci amorazzi, che anch’io in questo momento mi sentivo innamorato e timido, lo sciocchino ha finito per trovare tale segreta affinità di sentimenti tra me e lui, che, tutto entusiasmato dal mio candore, mi ha raccontato ogni cosa per filo e per segno. giurandomi un’amicizia intrinseca e sviscerata. Disgraziatamente tutto ciò giova poco finora alla nostra impresa. Anzitutto m’è sembrato di capire che, secondo il suo modo di vedere, una signorina merita assai più riguardi d’una signora come quella che ha da perdere di più. Ai suoi occhi niente può giustificare un uomo che metta una ragazza nella necessità di sposarlo o di essere disonorata per sempre, specialmente se la ragazza è più ricca di lui, come è il caso suo. La fiducia della madre, l’ingenuità della figlia lo intimidiscono, lo trattengono. Ora il difficile non è combattere questi suoi ragionamenti, sebbene esatti e giustissimi, perché con un po’ d’abilità, aiutando la sua passione, mi sentirei capace di confutarli vittoriosamente, tanto più che prestano il fianco al ridicolo e che avrei a ogni modo in mio favore l’autorità dell’uso mondano; ma come far presa sull’animo suo, dal momento che egli è contento così com’è? In verità, se il primo amore è sempre, in genere, più casto e più puro, e in ogni caso procede più lentamente, e non è già, come si crede, per delicatezza o timidità, ma perché il cuore, stupito da quel sentimento nuovo e sconosciuto, si ferma e s’indugia a ogni passo per meglio gustarne le dolcissime voluttà, le quali hanno tanto maggior fascino su un cuore inesperto, da fargli dimenticare ogni altro piacere. Tant’è vero che persino un libertino, se s’innamora (ammesso che un libertino possa innamorarsi), da quel momento sente, anche lui, meno fretta di godere; e insomma tra il modo di comportarsi di Danceny verso la signorina Volanges e il mio, verso la signora Tourvel, la differenza è solo di quantità, cioè dal più al meno. Per riscaldare un po’ il nostro giovanotto ci sarebbero voluti più ostacoli di quelli che in realtà ci sono stati, e soprattutto più mistero, perché il mistero ci fa audaci. Forse voi, assecondandolo così bene, avete nociuto più che giovato alla nostra causa. Il vostro metodo sarebbe ottimo per un uomo sperimentato che si fosse voluto soltanto levare un capriccio; ma avreste dovuto prevedere che, per un giovane innamorato e onesto, i favori d’una donna contano appena come prove d’amore, e che perciò, quanto più egli avrà la sicurezza d’essere amato, tanto meno sarà intraprendente. E adesso che fare? Non lo so; ma, se ve l’ho da dire, io non spero più che la ragazza possa essere manomessa prima del matrimonio, e noi ci rimetteremo i nostri sforzi. Mi dispiace, ma non ci vedo rimedio.

Page 72: Le Amicizie Pericolose.pdf

Senonché, mentre io sto qui perdendo il tempo con queste bazzecole, voi ve la spassate col vostro cavaliere. Ciò mi fa ricordare che mi avevate promesso di essergli una volta infedele con me; me ne avete rilasciato promessa scritta, una specie di cambiale, e non vorrei che diventasse un pezzo di cartastraccia. È vero che ancora non è arrivata la data della scadenza, ma, volendo esser generosa, dovreste pagarmela prima del termine, e io vi prometto, da parte mia, che vi computerò gli interessi. Che ne dite, amica mia? Non siete ancora stanca della vostra costanza? O il cavaliere è dunque proprio un prodigio? Oh, lasciate fare a me, e mi dovrete confessare che, se avete trovato in lui qualche cosa di buono, è perché mi avete dimenticato. Addio, mia bella amica, vi bacio con tutto l’ardore del mio desiderio, e sfido il cavaliere ad averne di più. Parigi, 5 settembre 17..

Lettera LVIII Il visconte di Valmont alla presidentessa Tourvel. Ma che vi ho fatto dunque di male, o signora, da rimproverarmi tanto, da montare così su tutte le furie contro di me? Un affetto vivissimo eppure rispettoso, una cieca obbedienza a tutti i vostri voleri: ecco in poche parole la storia dei miei sentimenti e del mio contegno verso di voi. Accasciato dagli strazi d’un amore infelice, non avevo altra consolazione che vedervi; ma, quando avete voluto che mi privassi anche di questo, ebbene, ho obbedito senza un lamento. Quale magro compenso del mio grave sacrificio mi avete permesso di scrivervi, ed ecco che oggi volete levarmi anche quest’ultimo conforto. Potrei lasciarmelo carpire, senza almeno difenderlo? No, certo, poiché è carissimo al mio cuore, è il solo che mi resti e l’ho avuto da voi. Mi dite che le mie lettere sono troppo frequenti. Ma pensate che in dieci giorni di duro esilio non c’è stato un minuto che non abbia pensato a voi, eppure da me avete ricevuto due lettere appena. Ma in esse non faccio che scrivervi del mio amore. E come potrei non scrivere quello che penso? Il massimo sforzo che ho potuto fare è stato di smorzare il tono parlandovene, sicché voi, della mia passione, avete visto appena quel tanto che non mi è stato possibile nascondervi. Infine mi minacciate persino di non rispondermi più; e così, non contenta di trattare con feroce rigore l’uomo che vi preferisce a tutte le altre e vi rispetta anche più che non vi ami, volete schiacciarlo col disprezzo. Ma perché poi tanto spreco di minacce e di furore? Che bisogno ne avete? Non sapete già, con certezza assoluta, che io vi obbedisco anche quando i vostri ordini sono ingiusti? Non vi ho già dato le prove che non so oppormi a nessuno dei vostri desideri? E volete dunque abusare proprio a questo modo del potere che esercitate sull’animo mio? Dopo avermi fatto infelice, dopo essere stata ingiusta con me, potete godere davvero di quella tranquillità che, come mi dite, vi è tanto necessaria? Non c’è pericolo che qualche volta possiate pensare: “Egli mi aveva lasciata padrona assoluta del suo destino, e io l’ho voluto rovinare; implorare il mio aiuto, e io l’ho guardato senza pietà”? E sapete almeno fin dove può arrivare la mia disperazione? Oh, no, non lo sapete! Perché, per avere un’esatta nozione dei miei mali, bisognerebbe sapere quanto vi amo, e voi non conoscete abbastanza il mio cuore. Vediamo: a che cosa mi sacrificate? A paure immaginarie. E chi mai v’ispira codeste paure? Un uomo, nientemeno, sul quale avete e avrete sempre un potere assoluto. E come dunque potete temere un sentimento che voi potrete sempre dirigere dispoticamente secondo la vostra volontà?

Page 73: Le Amicizie Pericolose.pdf

Credete a me: la vostra fantasia crea dei mostri, e voi poi attribuite all’amore lo spavento che ne provate. Abbiate un po’ più di fiducia, e i fantasmi spariranno. Un uomo dotto ha scritto che per dissipare la paura basta quasi sempre approfondirne le cause; questa massima è vera soprattutto in amore. Amate, e le vostre paure svaniranno; e al posto delle ombre che v’incutono tanto spavento, troverete un sentimento delizioso, un amante tenerissimo e sempre ligio ai vostri cenni, che vi farà trascorrere giorni felici e vi farà rimpiangere di averne perduti tanti nell’indifferenza. Io stesso, da quando, ravvedutomi dei miei errori, vivo soltanto per l’amore, rimpiango il tempo che credevo d’aver passato in mezzo ai piaceri, e sento che voi sola potete ormai rendermi veramente felice. Vi prego perciò di non turbarmi più d’ora innanzi il piacere che provo nello scrivervi col timore di dispiacervi. Non voglio disobbedirvi, ma mi butto ai vostri piedi per implorare da voi quella felicità che volete rapirmi, l’unica che mi avete lasciata. Non vi commovete? Vi domando pietà: ascoltate le mie preghiere, guardate le mie lacrime. E potrete, signora mia, dirmi ancora di no? Parigi, 7 settembre 17..

Lettera LIX Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil. Sapete dirmi che cosa significano i vaneggiamenti di Danceny nella lettera qui acclusa? Che gli è successo? Che cos’è che ha perduto? La sua bella s’è forse seccata del suo eterno rispetto? Non avrebbe torto, e alle volte ci secchiamo per molto meno. Ma che dovrò dirgli stasera, nel colloquio che mi ha chiesto e che io a ogni buon conto gli ho già concesso? Badate che, se il colloquio non serve ai nostri fini, non intendo menomamente perdere il tempo coi suoi piagnistei. Le lamentele amorose si ascoltano volentieri soltanto quando sono cantate in musica, nei recitativi obbligati o nelle ariette. Informatemi dunque di che si tratta e ditemi quel che debbo fare, o se no cercherò di svignarmela per sottrarmi alla noia che già prevedo. Potrò vedervi stanotte? Se siete impegnata , scrivetemi almeno due righe e suggeritemi le battute della mia parte. Dove siete stata ieri, che non sono riuscito a trovarvi? Non metteva conto davvero, per così poco, di farmi rimanere a Parigi nel mese di settembre. A ogni modo sbrigatevi a prendere una risoluzione, perché ho ricevuto un invito molto insistente dalla contessa B. che vorrebbe che andassi a trovarla in campagna, dove suo marito “ha un boschetto” come mi scrive lei argutamente “che è il più bel boschetto del mondo e che il marito tiene a disposizione degli amici”. Voi sapete che su quel boschetto ho anch’io qualche diritto e perciò andrò a farvi una ricognizione, se qui non posso essere utile in niente. Addio, pensate che Danceny sarà da me verso le quattro. Parigi, 8 settembre 17..

Lettera LX Il cavalier Danceny al visconte di Valmont. (Inclusa nella precedente)

Page 74: Le Amicizie Pericolose.pdf

Signore, sono in preda alla più viva disperazione. Ho perduto ogni cosa. Non oso affidare alla carta il segreto del mio dolore; ma ho bisogno di sfogarmi con un amico fedele e sicuro. Anche ora potrei vedervi, per aver da voi consolazione e consigli? Pensate che ero tanto felice il giorno che vi ho aperto l’animo mio! E adesso invece... qual differenza! Tutto è finito per me. Eppure quel che soffro io è appena la menoma parte del mio strazio: l’ansia sulla sorte d’una persona molto cara, ecco ciò che non posso assolutamente sopportare. Voi, più fortunato di me, potreste, volendo, vederla, e la vostra amicizia non vorrà certo rifiutarmi questo favore, per il quale però ho bisogno di parlarvi per mettervi al corrente d’ogni cosa. Avete voi compassione di me? Mi darete il vostro aiuto? Io non ho più speranza se non in voi, che avete delicato sentire e conoscete per esperienza l’amore. Voi siete il solo a cui possa confidarmi: non mi rifiutate il vostro soccorso. Addio. L’unico conforto che provo tra tanti dolori è di sapere che mi rimane almeno un amico come voi. Fatemi sapere, per carità, a che ora potrò vedervi; e, se non potete in mattinata, desidererei che fosse però nelle prime ore del pomeriggio. Parigi, 8 settembre 17..

Lettera LXI Cecilia Volanges a Sofia Carnay. Mia cara Sofia, compiangi la tua Cecilia, la tua povera Cecilia, che è ben sfortunata! La mamma sa tutto. Non riesco a capire ancora come abbia potuto saperlo, ma purtroppo questo è certo, che ha scoperto ogni cosa. M’era parso infatti che iersera la mamma avesse un po’ di malumore; ma ci avevo appena fatto caso, e anzi, mentre ella se ne stava giocando la sua solita partita a carte, io m’ero divertita tanto a chiacchierare con la signora Merteuil che era stata a pranzo da noi, e avevamo parlato a lungo di Danceny. Non credo ch’ella abbia potuto sentirci. Dopo, la signora Merteuil se n’è andata via, e io mi sono ritirata in camera. Stavo appunto spogliandomi, quando la mamma è entrata e, dopo aver ordinato alla cameriera di lasciarci sole, mi ha chiesto la chiave della mia scrivania, con un tono tale di voce che io mi sono messa a tremare forte, da non potermi quasi più reggere in piedi. Ho fatto per un po’ le viste di non riuscire a trovarla, ma alla fine ho dovuto obbedire. E allora ella ha aperto direttamente, per primo, senza sbagliare, proprio il cassetto dove erano nascoste le lettere di Danceny. Ero così confusa, che, quando mi ha domandato che roba era quella, ho saputo rispondere soltanto: «Non è niente»; ma, nel vedere poi che si metteva a leggerle, mi sono sentita tanto e tanto male da far appena in tempo a gettarmi sulla poltrona, e subito sono svenuta. Quando ho ripreso conoscenza, la mamma, che aveva intanto chiamato la cameriera, è uscita, dicendomi d’andare pure a letto. Aveva portato con sé tutte le lettere di Danceny. Come puoi immaginare, non ho fatto che piangere tutta la notte, e ora tremo al pensiero che dovrò ricomparire dinanzi a lei. Ti scrivo che è appena l’alba, con la speranza che possa arrivare la Giuseppina; e, se mi riesce di parlarle a quattr’occhi, vorrei pregarla di recapitare alla signora Merteuil un biglietto che le scriverò adesso; altrimenti lo metterò dentro la tua lettera, e tu mi farai il favore di mandarglielo come se fosse tuo. Solo lei mi può dare qualche conforto, e almeno mi sfogherò a parlare di lui che non spero di rivedere mai più. Ah, come sono disgraziata! Forse anche, chissà, la mia buona amica vorrà farmi il favore di portare una mia lettera a Danceny, che non oserei mai affidare alla Giuseppina, e tanto

Page 75: Le Amicizie Pericolose.pdf

meno alla mia cameriera, la quale magari sarà stata lei a dire alla mamma che custodivo le lettere nella scrivania. Non ti scriverò più a lungo, per aver il tempo di scrivere alla signora Merteuil e anche al povero Danceny, per avere così pronta la lettera nel caso ch’ella voglia pigliarsi l’incarico di recapitarla. E poi mi coricherò di nuovo, perché la cameriera abbia a trovarmi a letto quando entrerà nella mia camera. In tal modo dirò che mi sento male ed eviterò di presentarmi alla mamma. Dopo tutto, non dirò neanche una bugia, perché soffro più che se avessi la febbre. A forza di piangere, mi bruciano gli occhi e ho un gran peso sullo stomaco che m’impedisce di respirare. Ma se penso che non rivedrò più Danceny, vorrei piuttosto essere morta. Addio, cara Sofia; non posso dirti di più, perché le lacrime mi soffocano.18 Parigi, 7 settembre 17..

Lettera LXII La signora Volanges al cavalier Danceny. Signore, dopo aver abusato della fiducia d’una madre e dell’innocenza d’una ragazza, non sarete certo meravigliato di non essere più ricevuto in una casa dove avete corrisposto così malamente alle prove della più sincera amicizia. Preferisco pregarvi di non mettere più piede a casa mia, piuttosto che dare in portineria ordini che ci comprometterebbero entrambi per gli immancabili pettegolezzi della servitù. Ho il diritto di credere che non mi costringerete a ricorrere a tale estremo espediente. Vi avverto che, se in seguito farete il minimo passo per sconvolgere e turbare ancora l’animo di mia figlia, come avete fatto finora, un ritiro austero ed eterno la sottrarrà alle vostre persecuzioni. Tocca a voi di vedere se avrete il coraggio di renderla infelice per sempre, come avete avuto quello di disonorarla. In quanto a me sono ormai incrollabile in questa risoluzione, e mia figlia è stata messa sull’avviso. Vi unisco il pacco delle lettere, e attendo da voi in cambio tutte quelle lettere che avete ricevuto da mia figlia, sicura che non vorrete lasciare alcuna traccia di un’azione il cui ricordo sarà sempre occasione d’indignazione per me, di vergogna per lei, e di rimorsi per voi. Ho l’onore d’essere ecc. Parigi, 7 settembre 17..

Lettera LXIII La marchesa di Merteuil al visconte di Valmont. Sicuro, che vi darò la spiegazione della disperata lettera di Danceny! L’avvenimento che gliel’ha fatta scrivere è opera mia, anzi il mio capolavoro. Appena ricevuta la vostra ultima lettera, non ho perduto tempo, e, come quell’architetto ateniese, ho esclamato anch’io: «Io farò ciò che altri ha detto!». Ah, dunque, per questo bell’eroe di romanzo ci vogliono degli ostacoli, perché non abbia ad

Page 76: Le Amicizie Pericolose.pdf

addormentarsi negli ozi della felicità? Lascia fare a me, che gli darò io del filo da torcere! O mi sbaglio di grosso, o il poveretto non potrà d’ora innanzi dormire più tra due guanciali. Bisogna dunque fargli capire il valore del tempo? Vedrete che adesso rimpiangerà, oh, se rimpiangerà tutto quello perduto! Gli occorreva, dicevate voi, un po’ più di mistero? Vedrete che ormai non potrà più lamentarsi che gli manchi anche quello. Io ho questo di buono, che, appena mi si fa intendere così a mezz’aria d’aver commesso uno sbaglio, non ho pace finché non vi ho messo riparo. Ma sentite dunque come sono andate le cose. Appena rientrata a casa, ieri l’altro mattina, ho letto la vostra lettera e m’è sembrata davvero luminosa. Persuasa che avevate messo proprio il dito sulla piaga, mi sono fatta subito in quattro per escogitare un rimedio. Tuttavia, per prima cosa, mi sono coricata, perché l’instancabile cavaliere non mi aveva lasciata dormire un minuto in tutta la notte, e cascavo dal sonno. Niente affatto: il pensiero così fisso in Danceny e il desiderio cocente di cavarlo fuori dalla sua indolenza, o se no di punirlo, non mi hanno fatto chiudere occhio, finché non ho combinato un bel piano. Solo allora, finalmente, ho potuto riposare un paio d’ore. Sono andata la sera stessa a trovare la signora Volanges, e, mettendo in esecuzione subito il mio progetto, le ho confidato che, secondo me, ci doveva essere una relazione amorosa tra Danceny e sua figlia. Ebbene, lo credereste? Questa donna, così chiaroveggente quando si tratta di voi, era cieca affatto sulla figlia e ha cominciato col dirmi che la cosa non poteva essere, che io m’ingannavo, che sua figlia era ancora bambina, ecc. ecc. Non potevo dirle, naturalmente, tutto ciò che sapevo, ma le ho citato certi sguardi e certi discorsi, per i quali la mia virtù e la mia amicizia non erano punto tranquille. Insomma le ho parlato come una beghina; e alla fine, per darle il colpo di grazia, le ho detto che m’era parso d’aver visto dare e ricevere una lettera. «Anzi ciò» ho soggiunto «mi ricorda che un giorno Cecilia ha aperto, in mia presenza, un cassetto della sua scrivania; nel quale ho intravisto molte carte ben custodite. Sapete se per caso abbia qualche amica che le scrive spesso?» A questo punto la signora Volanges ha cambiato colore, e sugli occhi le sono spuntate le lacrime. «Vi ringrazio, amica mia» mi ha detto, stringendomi forte la mano «cercherò di mettere in chiaro ogni cosa.» Dopo questa conversazione, che è stata brevissima e non poteva perciò destare nessun sospetto, mi sono avvicinata alla ragazza, che ho lasciata però subito dopo, per raccomandare alla madre di non compromettermi con la figlia, la qual cosa mi ha promesso più che volentieri, anche perché le ho fatto osservare che sarebbe stato molto utile che la ragazza avesse in me piena confidenza e mi aprisse tutto il cuore per darmi agio d’offrirle i miei savi consigli. Ma ciò che più di ogni altra cosa mi fa star tranquilla sulla promessa è che essa non vorrà certamente lasciarsi sfuggire l’occasione di farsi bella con la figlia della sua sagacia. E così sono stata autorizzata a trattare la ragazza col tono amichevole di prima, senza sembrar ipocrita agli occhi della signora Volanges, cosa che volevo a tutti i costi evitare. Ci ho guadagnato anche questo, di potermi in seguito trattenere segretamente e a lungo quanto vorrò con la figlia, senza che la madre abbia ad adombrarsene. Di questo vantaggio anzi ho voluto approfittare subito la sera stessa, e infatti, appena terminata la partita a carte, ho tirato la figlia in disparte, intavolando con lei un discorso su Danceny, che è come grattare il corpo alla cicala. Oh, quanto mi sono divertita a scaldarle la testa, raffigurandole la gioia che avrebbe avuto il giorno dopo a rivederlo! E quante mai sciocchezze le ho cavato di bocca! Che volete? Non vi pare che io fossi obbligata a restituirle in speranze tutto ciò che le avevo tolto, poverina, nella realtà? E poi tali rosee illusioni le avranno reso più terribile il colpo, ed è appunto quello che io volevo: perché più soffrirà e più sarà smaniosa di rifarsi alla prima occasione.

Page 77: Le Amicizie Pericolose.pdf

Del resto non è giusto, dopo tutto, che chi è destinato alle grandi avventure cominci ad abituarsi di buon’ora alle grandi scosse? Non è giusto che paghi con qualche lacrima il piacere di godersi il suo Danceny? Oh, ne va proprio pazza, la povera figliuola! Ebbene, l’avrà, le prometto che l’avrà, e più presto che non l’avrebbe avuto senza questa burrasca. Si tratta d’un brutto sogno, a cui seguirà un dolcissimo risveglio. E, tutto considerato, mi pare che dovrebbe essermene grata. Ma mettiamo pure che io l’abbia fatto con un pizzico di malignità. E che, perciò? Bisogna anche spassarsela qualche volta in questo basso mondo, e gli sciocchi sono stati creati apposta per il nostro spasso.19 Insomma, sono uscita di lì molto soddisfatta dell’opera mia. O Danceny mi dicevo - aizzato dagli ostacoli raddoppierà di zelo, e allora lo servirò di tutto punto; o è davvero un imbecille calzato e vestito, come a volte sono tentata di credere, e allora, avvilito e abbattuto, si darà per perso. Ma, in quest’ultimo caso, mi sarò almeno vendicata di lui per quanto sta in me, e nel tempo stesso avrò guadagnato una maggiore stima della madre, una più intima amicizia con la figlia e una maggiore confidenza di tutt’e due. Quanto a Gercourt, che è in cima di tutti i miei pensieri, dovrei essere proprio ben disgraziata o maldestra se, padrona come sono e sarò sempre dell’animo di sua moglie, non riuscissi a trovare mille maniere di farne quel che voglio. Addormentandomi con questi soavi pensieri, ho dormito tutto d’un fiato, e mi sono risvegliata assai tardi. Al risveglio ho trovato due lettere, una della madre e una della figlia, e non ho potuto trattenermi dal ridere leggendo in tutt’e due la stessa stessissima frase: “Solo voi potete darmi qualche conforto”. E non è infatti ridicolo dover consolare a dritta e a manca, essere il factotum di due parti tra loro in contrasto? Eccomi dunque simile a Dio che riceve le suppliche contraddittorie dei ciechi mortali, e non cambia tuttavia per questo i suoi decreti immutabili. Eppure ho lasciato questa parte, tanto solenne e augusta, per assumermi quella d’angelo consolatore; e sono andata, secondo il precetto evangelico, a visitare i miei amici nella loro afflizione. Ho cominciato dalla madre, la quale era così accasciata che voi potete considerarvi quasi vendicato ormai delle resistenze che vi ha fatto sopportare da parte della vostra bella schifiltosa. Tutto è andato a gonfie vele. C’era una cosa sola che temevo, cioè che la signora Volanges sapesse approfittare di questo momento d’ambascia per cattivarsi la confidenza della figlia, come sarebbe stato facile sol che avesse impiegato con lei le maniere dolci e amichevoli, dando ai consigli della ragione l’aria e il tono della benevolenza indulgente. Per fortuna ella s’è invece ammantata di severità e ha condotto ogni cosa così maledettamente male che io non ho potuto che compiacermene. Veramente era stata lì lì per sconcertare tutti i nostri piani con l’idea che le era venuta di chiudere un’altra volta la figlia in convento; ma io ho saputo parare il colpo e ottenere da lei di limitarsi per ora a minacciare il provvedimento soltanto nel caso che Danceny continuasse a molestare a ragazza; e questo l’ho fatto per costringere tutt’e due gli innamorati a una maggiore circospezione, che anch’io credo utilissima ai nostri fini. Dopodiché, sono passata a visitare la figlia. Non potete immaginare quanto il dolore conferisca alla sua bellezza. Oh, state pur certo che, appena si sarà fatta un po’ più civettina, piangerà spesso, la ragazza! Per questa volta intanto piangeva senza malizia. E tanto mi piaceva in quel grazioso atteggiamento che non le avevo mai veduto finora e volevo perciò rimirare a mio agio, da farmele dare da principio soltanto qualche magrissima consolazione, di quelle che invece d’addolcire le pene le inaspriscono, portandola così a un tale parossismo di dolore da farla restare addirittura senza fiato. Non piangeva più, ora, la poverina, e per un momento ho avuto paura che le venissero le convulsioni. Le ho consigliato di mettersi a letto, ed essa infatti mi ha obbedito: io stessa le ho fatto da cameriera, e siccome non s’era ancora neppure pettinata, e i suoi capelli, appena tocchi, le si sono sciolti tutti giù per le spalle e sul seno che era nudo, non ho potuto più trattenermi e l’ho abbracciata. Ella allora mi si è abbandonata tutta tra le braccia, e subito le lacrime hanno

Page 78: Le Amicizie Pericolose.pdf

ricominciato a sgorgarle senza sforzo. Dio mio, quant’era mai bella! Ah, se Maddalena era fatta così, doveva essere molto più pericolosa da penitente che da peccatrice! Quando ho veduto coricata la mia bella afflitta, mi sono messa finalmente a consolarla sul serio. L’ho rassicurata anzitutto sulla paura del convento, le ho fatto balenare la speranza di poter rivedere Danceny di nascosto, e, sedendomi sulla sponda del letto, ho esclamato: «Ah, se fosse qui, adesso!»; poi, ricamando su questo tema, l’ho portata, di distrazione in distrazione, a non ricordarsi più d’essere afflitta. E ci saremmo separate contentissime l’una dall’altra, se non avesse voluto incaricarmi di portare una lettera a Danceny, cosa che mi sono ostinatamente rifiutata di fare per le ragioni seguenti, che saranno indubbiamente approvate da voi. In primo luogo perché mi sarei compromessa irremissibilmente agli occhi di Danceny, e questa anzi è stata l’unica ragione che ho potuto addurre alla ragazza. Ma ve ne sono tante e tante altre, che posso confessare solo a voi. Offrire così subito ai nostri due innamorati un mezzo tanto facile di mitigare le loro pene, non era infatti un voler mettere a repentaglio l’opera mia? E poi non mi dispiacerebbe affatto di vederli ricorrere in questa faccenda ai servigi di qualche domestico, perché insomma, se la cosa andrà bene, come spero, bisognerà trovare anche il modo di farla sapere, appena avvenuto il matrimonio, e per divulgare una cosa simile non c’è mezzo più sicuro dei servi; e se anche costoro, per uno strano miracolo, non volessero parlare, parleremmo noi e ci sarebbe comodo far ricadere su di loro la colpa dell’indiscrezione. Sarà bene dunque che voi suggeriate oggi quest’idea a Danceny; e poiché non ho troppa fiducia nella cameriera della ragazza, e anche lei del resto ne diffida, indicategli la mia fedele Vittorina. Sarà mia cura di far sì che l’approccio abbia buon esito Questa soluzione mi garba più d’ogni altra, anche perché, come sentirete (oh, non ho finito ancora di vuotare il sacco!) gioverà più a noi che a loro. Mentre dunque mi destreggiavo per ricusare di portare la lettera della ragazza, avevo un gran batticuore che mi venisse fuori da un momento all’altro con la proposta (che non avrei potuto rifiutare) d’imbucarle la lettera alla posta. Per fortuna, o che non lo sapesse, o che fosse troppo turbata per ricordarsene, o magari anche perché più che alla missiva teneva alla risposta di lui che in questo modo non avrebbe potuto avere, fatto sta che non me ne ha parlato. Io allora, per evitare che tale idea potesse venirle in seguito, o almeno per fare in modo che non se ne potesse servire, ho preso la mia brava risoluzione, e, tornando dalla madre, l’ho persuasa ad allontanare per qualche tempo la figlia mandandola in campagna. E indovinate un po’ dove? Come? Il cuore non vi batte di gioia? Sì, proprio da vostra zia, dalla signora Rosemonde, che oggi stesso sarà avvertita dell’arrivo. Così voi potrete tornare a fare compagnia alla vostra bella divota, a cui non varrà più come scusa lo scandalo del trovarsi da sola a solo con voi; e così la signora Volanges, grazie alle mie arti, riparerà da sé il torto che vi ha fatto. Però, datemi retta, non vi buttate a corpo morto nel vostro affare, trascurando questo che mi sta tanto a cuore. Pensate che io voglio far di voi il consigliere e l’ambasciatore dei due innamorati. Avvertite intanto Danceny di questo viaggio e offritegli i vostri servigi. L’unica difficoltà potrebbe essere quella di far pervenire tra le mani della ragazza una lettera che vi accrediti: le vostre credenziali insomma; ma la supererete facilmente suggerendogli di servirsi della mia cameriera. Egli accetterà certo il vostro suggerimento, e voi, in premio delle vostre fatiche, avrete la piena confidenza d’un cuore vergine e puro, che è una cosa da non prendersi a gabbo. Povera piccola, come arrossirà nell’affidarvi la sua prima lettera! Questa parte del confidente, contro cui ci sono tante e tante prevenzioni, mi pare invece un magnifico passatempo per riposarsi delle altre faccende: e voi vi troverete appunto in questo caso. Dal vostro zelo dipenderà insomma lo scioglimento di questo intrigo. Tocca a voi giudicare quando sarà il momento opportuno di riunire tutti gli attori. La campagna offre mille occasioni, e Danceny sarà certamente pronto a correre a un vostro cenno. Una notte... Un travestimento... Una finestra...

Page 79: Le Amicizie Pericolose.pdf

Che so io? Ma, se la ragazza dovesse tornare dalla campagna tal quale è partita, la colpa sarebbe tutta vostra. Se vi sembrerà ch’ella abbia bisogno di qualche spinta da parte mia, fatemelo sapere. Le ho dato una tale lezione ormai, alla scioccona, sui pericoli di conservare le lettere, che posso permettermi anche di scriverle, adesso; e ho sempre in animo di farne la mia amica e scolara. Ho dimenticato di dirvi che i sospetti della ragazza circa la scoperta della sua corrispondenza in un primo momento s’erano posati sulla cameriera, ma io li ho stornati sul confessore. E un prendere due piccioni con una sola fava. Addio, visconte; sono ore e ore che vi sto scrivendo, con enorme ritardo della mia colazione; ma questa lettera me l’hanno dettata l’amor proprio e l’amicizia, e tanto l’uno che l’altra sono due sentimenti un po’ chiacchierini. Del resto essa vi arriverà alle tre, ed è quanto basta. E adesso lamentatevi di me, se ne avete il coraggio, e andate pure a rivedere, se ve ne rimane la voglia, l’ameno boschetto del conte B. Voi dite che lo tiene a disposizione degli amici: si vede allora che il signor conte è amico di tutti. Orsù, addio sul serio, questa volta, perché ho tanta fame. Parigi, 9 settembre 17..

Lettera LXIV Il cavalier Danceny alla signora Volanges. (Brutta copia allegata alla lettera LXVI del visconte alla marchesa) Signora, non cerco di giustificare la mia condotta, né mi lamento della vostra; ma non posso fare a meno di dolermi d’un avvenimento che rende infelici tre persone, degne tutt’e tre di sorte migliore. E più mi dolgo d’esserne stato io la causa che d’esserne vittima; tanto che, avendo tentato più volte, da ieri, di rispondervi, non ne ho trovata la forza. Eppure ho tante cose da dire che bisogna pure che faccia uno sforzo su me stesso; e, se ne verrà fuori una lettera scompigliata e confusa, voi pensando quanto debba essere dolorosa la mia situazione, mi vorrete accordare qualche indulgenza. Consentitemi anzitutto di protestare contro la prima frase della vostra lettera. Io non ho mai abusato, posso dirlo a fronte alta, né della vostra fiducia né dell’innocenza della signorina Volanges; anzi ho rispettato sempre e l’una e l’altra in ogni mia azione. Perché solo le mie azioni dipendevano da me. Che se voi voleste rendermi responsabile d’un sentimento involontario, non avrei nessun timore di dirvi che quello ispiratomi dalla signorina vostra figlia potrà forse dispiacervi, ma non certo offendervi. Su questo punto, a cui tengo molto più di quel che posso esprimere, mi rimetto interamente al vostro giudizio e alla testimonianza delle mie lettere. Voi mi proibite d’ora innanzi di mettere piede a casa vostra, e io non posso che sottomettermi senza fiatare a tutto ciò che vi piacerà comandarmi a tal proposito; ma vi faccio notare che la mia assenza improvvisa e totale non potrà non provocare quei pettegolezzi che volete evitare, peggio ancora degli ordini che per la stessa ragione non avete creduto di dover dare in portineria. Mi permetto d’insistere su tale argomento, poiché riguarda non tanto me, quanto la signorina Volanges; e vi supplico perciò di ponderare bene ogni cosa e d’impedire che la severità faccia torto alla vostra prudenza. Nella persuasione che soltanto l’interesse della signorina vostra figlia vi guiderà nella vostra risoluzione, aspetterò dunque da voi nuovi ordini. Qualora mi permetteste di venire di quando in quando a presentarvi i miei omaggi, m’impegno, o signora, e voi potete contare sulla mia parola, di non abusare affatto di tali occasioni né per cercar di

Page 80: Le Amicizie Pericolose.pdf

parlare segretamente con la signorina, né per darle nessuna lettera. Il timore di compromettere la sua riputazione, e non altro, mi spinge a far questo sacrificio, che mi sarà assai compensato dalla felicità di poterla vedere qualche volta. Questa mia promessa è anche la sola risposta che io possa dare alla vostra lettera per quanto riguarda la sorte che voi destinate alla signorina e che, secondo voi, dipenderà dal mio contegno futuro. A promettervi di più, v’ingannerei. Un vile seduttore può adattare le sue intenzioni alle circostanze e fare assegnamento sugli eventi; ma l’amore che mi anima non mi consente se non due sentimenti: il coraggio e la costanza. Come potrei accondiscendere a esser dimenticato dalla signorina, e a dimenticarla io stesso? Oh, no, no, giammai! Io sarò sempre fedele al giuramento che le ho fatto e che oggi rinnovo. Perdonatemi, signora: ho perduto la testa, e bisogna invece essere calmi. Mi rimane da trattare con voi un’altra questione, quella delle lettere che volete ch’io restituisca. Sono addoloratissimo di dover aggiungere un rifiuto ai tanti torti che già mi attribuite; ma vi prego di voler ascoltare le mie ragioni e di ricordarvi, per sentirne il giusto valore, che la sola consolazione alla sventura d’aver perduta la vostra amicizia è la speranza di conservare almeno la vostra stima. Le lettere della signorina, se prima m’erano care, ora mi diventano addirittura preziose, perché sono l’unico bene che mi resti, i soli documenti d’un amore che è tutta la gioia della mia vita. Con tutto ciò (e potete ben credermi), per dimostrarvi la mia rispettosa deferenza, non esiterei un istante a sacrificarvele, soffocando dentro di me il rimpianto di levarmele dal cuore, se non me ne trattenessero gravi ragioni, che voi stessa non potete certo biasimare. Voi conoscete ora, è vero, il segreto della signorina; tuttavia (permettete che io ve lo dica francamente) ho motivo di credere che questo segreto non v’è stato confidato, ma l’avete carpito di sorpresa. Non intendo con ciò disapprovare il vostro operato, che forse è pienamente giustificato dall’affetto materno Rispetto i vostri diritti, ma non sino al punto di mancare ai miei doveri. E il più sacro di tutti è certo quello di non tradire mai, per nessuna ragione, la fiducia che ci è stata concessa; come invece la tradirei, se rivelassi a una terza persona le segrete espansioni d’un cuore che ha voluto aprirsi solo a me. Se la signorina vostra figlia acconsente a confidarvi il suo segreto, non ha che da parlarvi, e in questo caso le lettere sarebbero per lo meno superflue; se invece ella vuole chiudere questo segreto dentro di sé, oh, non vi aspettate che sia io a svelarvelo! In quanto al mistero di cui volete circondare l’accaduto, state tranquilla, o signora, che nello zelo per la reputazione della signorina io posso sfidare anche il cuore d’una madre. Per togliervi da ogni preoccupazione al riguardo e per assicurarvi che ho già previsto ogni caso, vi dirò che il prezioso deposito delle lettere, che portava fin qui la soprascritta: carte da bruciare , porta adesso quest’altra: carte appartenenti alla signora Volanges. E questo valga a dimostrarvi che il mio rifiuto non dipende affatto dal timore che voi possiate trovare nelle lettere un solo sentimento di cui abbiate personalmente a dolervi. Che lunga lettera vi ho scritta, o signora! Eppure non sarebbe abbastanza lunga, se vi lasciasse il menomo dubbio sull’onestà dei miei sentimenti, sul mio dolore sincero d’avervi dato un dispiacere e sul profondo rispetto con cui ho l’onore di sottoscrivermi, ecc. Parigi, 9 settembre 17..

Lettera LXV Il cavalier Danceny a Cecilia Volanges.

Page 81: Le Amicizie Pericolose.pdf

(Mandata aperta alla marchesa di Merteuil nella lettera LXVI del visconte) O mia Cecilia, e che succederà di noi? Quale Dio ci salverà dalla sventura che ci sovrasta? Oh, che il nostro amore ci dia almeno il coraggio di sopportarla! Come dipingervi il mio sbigottimento e la mia disperazione, quando mi sono visto restituire le mie lettere, quando ho letto la lettera della signora Volanges? Chi sarà stato a tradirci? Su quali persone cadono i nostri sospetti? Avreste per caso commessa voi qualche imprudenza? E che fate adesso? Che cosa vi ha detto la mamma? Vorrei saper tutto, e non so niente. E forse voi ne sapete quanto me. Vi mando la lettera di vostra madre e una copia della mia risposta. Spero che l’approverete. Vorrei che approvaste anche i passi che ho fatto dopo il fatale avvenimento, tutti diretti ad avere vostre notizie e a darvi le mie, e anche (perché no?) a rivedervi e magari con più libertà di prima. Figuratevi, Cecilia mia, che gioia sarà la nostra di poterci ritrovare insieme, di poterci giurare ancora una volta un amore eterno, di leggere nei nostri occhi e di sentire nelle nostre anime che nessuno di noi sarà mai spergiuro! Un momento così dolce, come non dovrebbe far dimenticare tutte le sofferenze passate? Ebbene, io spero che questo bel momento verrà, e lo dovremo appunto ai passi che ho fatto e che vi prego di approvare. Ma che dico? Lo dovremo alle premure d’un amico affettuosissimo che mi ha saputo consolare e che vi prego (è l’unica cosa che vi chiedo) di voler accettare anche voi come amico vostro. Ho fatto male forse a confidare il nostro segreto a qualcuno, senza il vostro permesso? Ma sono scusato in ogni caso dal dolore e dalla necessità. Mi sono lasciato guidare dall’amore, e l’amore implora adesso da voi l’indulgenza, vi supplica di perdonare una confidenza necessaria, senza la quale saremmo restati probabilmente divisi per sempre.20Voi conoscete del resto l’amico di cui vi parlo: è l’amico della signora che voi amate più d’ogni altra: è il visconte di Valmont. Rivolgendomi al visconte, la mia prima intenzione era di pregarlo perché volesse indurre la signora Merteuil a portarvi una mia lettera. Egli ha ritenuto di non potervi riuscire, ma mi ha assicurato che, in mancanza della signora, potevamo servirci della cameriera, la quale ha molti obblighi verso di lui. Sarà dunque la cameriera a consegnarvi questa lettera, e voi potrete affidarle la risposta. Purtroppo tale espediente non ci sarà di grande aiuto, se è vero, come crede Valmont, che voi partirete subito per la campagna. In questo caso però ci vuole aiutare egli stesso. La signora che vi ospiterà è sua parente, ed egli ne approfitterà per recarsi da lei nello stesso periodo di tempo, sicché la nostra corrispondenza passerà per le sue mani. Mi assicura inoltre che, se voi vi lascerete guidare da lui, troverà anche il modo di farci ritrovare insieme senza nessuna vostra compromissione. Or dunque, Cecilia mia, se mi amate, se avete qualche compassione di me, se, come spero, soffrite anche voi quanto soffro io, non rifiutate la vostra fiducia a un uomo che sarà il nostro angelo tutelare. Se non fosse lui, io sarei ora ridotto alla disperazione di non poter lenire nemmeno con una parola i patimenti che sopportate per causa mia. Finiranno, lo spero; ma promettetemi intanto, amore mio, di non perdervi d’animo, di non lasciarvi abbattere dal dolore. Il pensiero del vostro dolore e un tormento insopportabile per me, che darei volentieri la vita (e voi lo sapete) per farvi felice! La sicurezza d’essere adorata possa dare almeno qualche consolazione all’anima vostra! La mia ha bisogno di sapere che voi perdonate al mio amore i mali che vi fa soffrire. Addio, Cecilia mia, mio amore!

Page 82: Le Amicizie Pericolose.pdf

Parigi, 9 settembre 17..

Lettera LXVI Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil. Vedrete da voi, amica mia, leggendo le due lettere qui accluse, se ho adempiuto bene al mio compito. Sebbene portino entrambe la data di oggi, sono state però scritte ieri, a casa mia e sotto i miei occhi, e quella scritta alla ragazza dice appunto tutto ciò che noi volevamo che dicesse. A giudicare dagli effetti, non si può che restare umiliati dinanzi alla profondità del vostro acume. Danceny è tutto in fiamme, e scommetto che appena gli verrà la palla al balzo non avrete da rimproverargli più niente; e se la bella ingenua, da parte sua, vorrà esser compiacente, poco dopo il suo arrivo in campagna sarà fatto il becco all’oca. Ho già pronti per questo cento espedienti. Grazie a voi, eccomi dunque l’amico di Danceny; e non gli manca più altro ormai che d’essere principe.21 Ma sapete che questo Danceny è ancora davvero proprio un ragazzaccio, e non c’è stato verso di smuoverlo perché promettesse alla madre di rinunziare al suo amore, quasi che promettere quando si ha in animo di non mantenere fosse una gran brutta azione? «Sarebbe un inganno bell’e buono» mi ripeteva tutte le volte. Edificante, non è vero, questo scrupolo verso la madre, quando si vuol sedurre la figlia? Ma gli uomini sono fatti cosi: tutti scellerati a un modo nei propositi, chiamano poi probità la loro debolezza nell’esecuzione. Tocca adesso a voi fare in modo che la signora Volanges non si spaventi delle scappatelle che il nostro giovanottino s’è permesso nella sua lettera. Salvateci dal convento, e cercate soprattutto di farle abbandonare la pretesa di riavere le lettere scritte dalla piccina, perché Danceny non le cederà a nessun costo, e non posso dargli torto: questa volta la ragione e l’amore vanno pienamente d’accordo. Queste famose lettere, io, sfidando la noia, le ho lette, e mi è parso che potranno diventare utili un giorno. Mi spiego. Nonostante le nostre precauzioni, potrebbe scoppiare lo stesso uno scandalo che manderebbe a monte il matrimonio e con esso tutti i nostri progetti su Gercourt. In questo caso, siccome per conto mio debbo vendicarmi anche della madre, mi riserverei la possibilità di disonorare la figlia. Scegliendo bene tra questa corrispondenza, e pubblicandone soltanto dei brani, si potrebbe facilmente far credere che sia stata la signorina a fare i primi approcci, e anzi addirittura a gettarglisi addosso. Qualche lettera potrebbe anche compromettere la madre, per lo meno macchiandola d’una negligenza imperdonabile. Capisco che lo scrupoloso Danceny si ribellerebbe subito, ma, siccome sarebbe anche lui nelle peste finiremmo per avere causa vinta. C’è da scommettere mille contro uno che non succederà niente di tutto ciò; ma bisogna prevedere ogni evento. Addio, mia bella amica. Mi fareste una gran gentilezza se veniste domani a pranzo dalla marescialla Y., alla quale non ho potuto dire di no. Non occorre che vi raccomandi di non dir nulla alla signora Volanges della mia villeggiatura, perché, sapendolo prima, le potrebbe venir voglia di restare a Parigi; mentre, una volta in campagna, non vorrà mica ripartire il giorno dopo! E se ci dà otto giorni di tempo rispondo io di tutto. Parigi, 9 settembre 17..

Lettera LXVII

Page 83: Le Amicizie Pericolose.pdf

La presidentessa Tourvel al visconte di Valmont. Signore, non volevo rispondervi, e forse il disagio che sento in questo momento mi prova che avrei fatto bene. Non voglio tuttavia che vi resti il menomo pretesto di lamentarvi di me, e vorrei convincervi che ho fatto per voi tutto quel che potevo. Mi dite che vi ho permesso di scrivermi. È vero. Ma, nel ricordarmi questa concessione, credete sul serio che io dimentichi a quali condizioni ve l’ho accordata? Se io fossi restata inflessibile ai patti che voi avete rispettato pochissimo, non avreste dovuto ricevere mai nessuna risposta da me, ed ecco invece la terza lettera che vi scrivo; e mentre voi fate di tutto per costringermi a rompere questa corrispondenza, sono proprio io, vedete, che m’adopero a cercare il modo di farla continuare. Ce n’è uno infatti, ma uno solo; e se voi rifiutate di accettarlo, vorrà dire, checché possiate cavillare in contrario, che alle mie lettere non tenete affatto. Dovete dunque lasciare da parte un linguaggio che non posso né voglio ascoltare, rinunziare a un sentimento che m’offende e mi spaventa, e a cui dovreste esser meno disposto, pensando che è questo appunto l’ostacolo che ci separa. Possibile che non conosciate altro sentimento? Che l’amore debba avere ai miei occhi, tra i tanti altri torti, anche questo di escludere l’amicizia? E che voi mi vogliate fare l’offesa di respingere per amica colei da cui desiderate sentimenti più teneri? Non lo credo, non voglio crederlo: quest’idea umiliante mi ripugnerebbe, mi farebbe allontanare per sempre da voi. Offrendovi la mia amicizia, vi offro tutto quello che è mio e di cui posso disporre. Che cosa potreste pretendere di più? Per abbandonarmi a questo dolce sentimento, non aspetto se non il vostro consenso e la promessa, che esigo da voi, che la mia amicizia basterà a farvi contento. Dimenticherò allora ciò che mi è stato detto di voi, sicura che vorrete fare del vostro meglio per giustificare la mia scelta. La franchezza con cui vi parlo è prova della mia fiducia. Dipenderà soltanto da voi ch’essa s’accresca anche di più, ma fin da ora vi avverto che la prima parola d’amore la distruggerà per sempre, farà rinascere tutti i miei dubbi e soprattutto segnerà per me il principio d’un eterno silenzio nei vostri confronti. Se e vero, come dite, che siete ravveduto dei vostri errori, non dovreste preferire di essere amico d’una donna onesta, piuttosto che diventare il rimorso d’una donna colpevole? Vi saluto, signore; voi capite che, dopo avervi parlato a questo modo, non mi resta altro da dirvi finché non mi avrete risposto. Dal castello di ..., 9 settembre 17..

Lettera LXVIII Il visconte di Valmont alla presidentessa Tourvel. Come rispondere, o signora, alla vostra ultima lettera? Come dirvi il vero, quando la mia sincerità può rovinarmi nell’animo vostro? Non importa, bisogna essere sinceri, e ne avrò il coraggio. Io mi vado dicendo e ripetendo continuamente che val meglio meritarvi che possedervi; e quand’anche voi doveste rifiutarmi per sempre quella felicità che desidererò sino alla morte, occorre che vi provi

Page 84: Le Amicizie Pericolose.pdf

almeno che il mio cuore ne è degno. Che peccato che io mi sia ravveduto dei miei errori , come voi mi ricordate! Con che gioia avrei letto, in altri tempi questa lettera vostra a cui oggi invece tremo di rispondere! Voi mi parlate con franchezza , voi mi date prova della vostra fiducia , voimi offrite infine la vostra amicizia. Quanti tesori signora mia, e che rammarico di non poterne approfittare Perché, oh, perché non sono più quello di una volta? Se infatti io fossi come allora, se avessi per voi un semplice capriccio, quella leggera simpatia che nasce dalla seduzione e dal piacere dei sensi (e oggi non di meno lo chiamano amore) mi affretterei a trarre vantaggio da ogni cosa che avessi ottenuta. Senza scrupoli sui mezzi, purché mi facessero raggiungere il fine, incoraggerei la vostra franchezza per scoprire i vostri punti deboli, vorrei la vostra fiducia col proposito deliberato di tradirla, accetterei la vostra amicizia con la speranza di traviarla. Che! Tutto ciò vi spaventa? Eppure è proprio ciò che succederebbe, se vi dicessi che acconsento a essere soltanto vostro amico. Guai che io acconsenta a dividere con altri un sentimento che emana da voi! Se per avventura ve lo dicessi, per carità non credetemi: vorrebbe dire che da quel momento io cerco d’ingannarvi, e che, se vi desidero ancora, tuttavia non vi amo più. Non gia che l’amabile franchezza, la soave confidenza, l’affettuosa amicizia non abbiano pregio per me, Dio guardi! Ma l’amore, il vero amore, quale voi l’ispirate, riunendo in sé tutti questi sentimenti e ringagliardendoli anzi, non saprebbe adattarsi, come essi, a quella tranquillità, a quella freddezza d’animo che permette una comparazione e tollera magari una preferenza. Oh, no, signora mia, io non sarò mai amico vostro, ma vi amerò sempre teneramente, ardentemente, benché col massimo rispetto! Voi potete far disperare il mio amore, ma non potete estirparlo. E con qual diritto pretendereste dunque di poter disporre d’un cuore, da cui rifiutate ogni omaggio? Per qual raffinamento di crudeltà mi vorreste invidiare persino la felicità di amarvi? Questa felicità è mia, non dipende affatto da voi, e io saprò difenderla a ogni costo. Essa è l’origine di tutti i miei mali, ma ne è anche l’unico rimedio. No, cento volte no. Persistete pure nel vostro spietato diniego, ma lasciatemi il mio amore. Voi vi compiacete tanto da rendermi infelice? Fate pure. Cercate pure di stancare il mio coraggio. Ma almeno saprò costringervi a risolvere nettamente quale debba essere la mia sorte. E forse un giorno, chissà, mi renderete giustizia. Non spero, questo no, di rendervi più umana; ma, anche senza essere persuasa, sarete certo convinta, e nel vostro intimo direte: “L’avevo giudicato male”. Diciamo meglio: voi siete ingiusta specialmente con voi stessa. Vedervi e amarvi, amarvi e non esservi fedele, sono cose parimenti impossibili; e, nonostante la modestia che v’adorna, mi pare che debba esservi assai più facile dolervi che stupirvi dei sentimenti che suscitate. In quanto a me, non ho che un merito solo, di avervi saputo apprezzare, e non voglio perderlo, e, anziché acconsentire alle vostre offerte insidiose, preferisco rinnovare qui, ai vostri piedi, il giuramento di amarvi in eterno. Parigi, 10 settembre 17..

Lettera LXIX Cecilia Volanges al cavalier Danceny.

Page 85: Le Amicizie Pericolose.pdf

Mi chiedete che cosa faccio? Vi amo e piango. La mamma non mi parla più, e mi ha levato carta, penna e calamaio; sicché mi servo d’un lapis che per fortuna mi è restato, scrivendovi su un lembo della vostra stessa lettera. Si capisce che approvo tutto ciò che avete fatto! Vi amo troppo per non approfittare di ogni mezzo d’aver notizie e di darvi le mie. Il signor Valmont non mi era affatto simpatico, e non sapevo che fosse tanto amico vostro: adesso cercherò di abituarmi a lui e di volergli bene per amor vostro. Non so chi abbia potuto tradirci: forse la mia cameriera, forse il confessore, chi sa? Sono molto disgraziata. Partiamo domani per la campagna, né so ancora per quanto tempo. Dio mio! E non vi vedrò dunque più? Non ho più spazio per scrivervi. Addio. Cercate di leggere questa mia lettera: le parole tracciate col lapis si cancelleranno forse, ma non si cancelleranno mai i sentimenti scolpiti nel mio cuore. Parigi, 10 settembre 17..

Lettera LXX Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil. Amica mia carissima, debbo darvi un avvertimento della massima importanza. Ieri, come sapete, ero a pranzo dalla marescialla Y., e a un certo momento il discorso è caduto su di voi. Io, come potete immaginare, ne ho detto tutto il bene possibile: non già, intendiamoci, quello che veramente penso di voi, ma quello piuttosto che non penso affatto. Tutti gli invitati parevano d’accordo con me, e la conversazione stava ormai già per languire (come succede sempre quando si dice bene del prossimo) quando s’è fatto avanti un contraddittore: Prévan. «Dio mi guardi,» ha detto costui, alzandosi in piedi «Dio mi guardi dal mettere in dubbio l’illibata onestà della signora Merteuil; ma oserei dire che, in questa onestà, ci ha più merito la sua naturale leggerezza che i princìpi morali. Credo insomma che sia più difficile tener dietro alla signora, che piacerle; e poiché, nel correre dietro a una donna, capita sempre di trovarne altre lungo la strada, e queste valgono quanto lei e magari di più, alcuni inseguitori sono sviati dal nuovo capriccio, altri si stancano e non procedono oltre. Scommetto che in tutta Parigi è la sola donna (o poco manca) che non si sia trovata mai nella necessità di opporre una valida resistenza. In quanto a me» soggiunse, incoraggiato dai sorrisetti di alcune signore «crederò all’onestà della signora Merteuil quando avrò fatto crepare sei cavalli nell’inseguirla.» Questa facezia di pessimo gusto ha esilarato non di meno i presenti, come tutte le facezie che contengono un pizzico di maldicenza; e Prévan s’è rimesso a sedere in mezzo alle risate generali. Poi s’è cambiato argomento di conversazione. Ma le due contesse P., che erano vicine di posto al nostro incredulo, hanno continuato a parlarne con lui, e io per fortuna ho potuto sentire i loro discorsi. E stata dunque accettata la sfida di far breccia nell’animo vostro, ed è stata data promessa di riferire poi alle due contesse tutto ciò che accadrà; e questa promessa sarà l’unica cosa in tutta questa faccenda che sarà mantenuta scrupolosamente. Ma ormai eccovi avvisata... e il resto del proverbio lo sapete. Mi resta da dirvi che questo Prévan, che voi non conoscete, è un uomo molto simpatico e scaltrissimo; e, se qualche volta vi ho detto il contrario, è stato soltanto perché non mi va a genio e cerco in ogni occasione di ostacolare le sue imprese, sapendo che la mia opinione fa testo per una trentina almeno di persone alla moda. Con questo mezzo infatti ero riuscito a impedirgli per lungo tempo di fare progressi in quello che noi chiamiamo il gran teatro del bel mondo ; e, per quanto facesse miracoli, non gli era riuscito mai di spuntarla. Senonché lo scandalo d’una sua triplice

Page 86: Le Amicizie Pericolose.pdf

avventura, facendo convergere tutti gli occhi su di lui, gli ha procurato quel credito che finora gli era sempre mancato e l’ha reso in tal modo veramente formidabile. Egli è insomma oggi il solo uomo che io non vorrei incontrare sulla mia strada; e, a parte il vostro interesse, mi farete un gran favore di dargli, cammin facendo, una buona lezione che lo renda ridicolo. So di metterlo in buone mani, e perciò dormo tranquillo che al mio ritorno sarà un uomo spacciato. In compenso vi prometto di condurre a buon fine l’avventura della vostra pupilla, che mi starà a cuore né più né meno della mia bella schifiltosina. A proposito di quest’ultima vi dirò che mi ha mandato una proposta di capitolazione. Tutta la sua lettera infatti manifesta un gran desiderio d’essere ingannata, e me ne offre il mezzo: un mezzo comodissimo e abusatissimo. Vorrebbe nientemeno che io diventassi suo amico. Ma io, che preferisco i metodi nuovi e difficili, non intendo affatto che se la cavi così a buon mercato. Vi pare possibile che io abbia sudato attorno a lei sette camicie, per terminare la faccenda con una seduzione delle più comuni? La mia intenzione invece è di farle sentire, e sentir bene, l’estensione e il valore dei sacrifici che farà, di portarla alla perdizione adagio adagio perché i rimorsi possano seguirla, di lasciar morire la sua virtù in una lenta agonia, di non farle perdere mai d’occhio questo desolante spettacolo, di non accordarle il favore d’avermi tra le braccia se non quando l’avrò costretta a non dissimulare oltre che ne ha una gran voglia anche lei. Dovrei essere infatti proprio un uomo da dozzina, per non meritare neppure l’incomodo d’essere desiderato. Tale del resto è la minor vendetta che io possa fare a una donna altezzosa, la quale par quasi che debba arrossire ad ammettere d’amarmi. Ho dunque rifiutato nettamente la preziosa amicizia, accontentandomi del titolo d’amante. E siccome non vi nascondo che ottenere questo titolo (per quanto a prima vista possa sembrare una vana disputa di parole) è tuttavia assai importante, le ho scritto con la maggior ponderazione, cercando di spargere nella lettera quel disordine che solo può simulare la passione. Insomma ho sragionato a più non posso, poiché non c’è tenerezza senza delirio: ed è questa forse la ragione per cui le donne ci superano di molto nelle lettere d’amore. Io ho terminato la mia con un madrigaletto, e anche questo è stato un suggerimento delle mie profonde elucubrazioni; perché il cuore d’una donna, quando è stato per lungo tempo in esercizio, ha bisogno di un po’ di riposo, e ho notato che un madrigaletto, un’adulazioncella, è per tutte le donne il guanciale più soffice che si possa offrire. Addio, amica mia. Io parto domani. Se avete ordini da darmi per la contessa B. ricordatevi che mi fermerò da lei per lo meno una volta a pranzo. Mi dispiace di dover partire senza rivedervi. A ogni modo fatemi avere le vostre sublimi istruzioni, e aiutatemi coi vostri savi consigli in un momento come questo, che per me è decisivo. Ma, sopra ogni altra cosa, guardatevi da Prévan, e possa io un giorno compensarvi del sacrificio che farete per me. Addio. Parigi, 11 settembre 17..

Lettera LXXI Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil. Quello stordito del mio lacchè ha dimenticato a Parigi il mio portafoglio con la lettera della mia bella, quella di Danceny per la signorina Volanges e tante altre cose che mi occorrono. Lo rimando subito indietro per rimediare a tale malefatta, e, mentre sta mettendo la sella al cavallo, vi racconterò ciò che m’è capitato stanotte, per farvi vedere che non perdo tempo.

Page 87: Le Amicizie Pericolose.pdf

L’avventura, per se stessa, vale poco: si tratta appena di una ricaduta con la viscontessa M.; ma i particolari sono molto piccanti, e del resto voglio farvi toccare con mano che, se so rovinare le donne, all’occasione so anche salvarle. Se c’è un affare intricato e divertente, state pure certa che non me io lascio sfuggire, e non ho rimorso neppure di commettere una buona azione purché mi serva a tenermi allenato o a farmi stare allegro. Dicevo dunque che ho trovato qui la viscontessa, ed essendosi unita anche lei alle premure degli altri perché rimanessi a dormire nel castello: «Ebbene» le ho detto «rimango, ma a un patto, di passare la notte con voi». «Impossibile,» mi ha risposto «oh, questo è impossibile; non sapete che c’è qui anche Vressac?» La mia proposta era stata un semplice complimento, nient’altro; ma a quella parola “impossibile” ho cominciato a inalberarmi, e, sentendomi umiliato dalla preferenza che si accordava a Vressac e non potendo sopportarne l’onta, mi sono incaponito di riuscire a ogni costo. Le circostanze erano tutt’altro che a mio favore. Figuratevi che questo Vressac è stato così malaccorto da dare ombra al visconte, e la viscontessa non può riceverlo in casa; sicché la gita al castello era stata combinata tra loro apposta per vedere di farci scappare fuori qualche nottata. Anzi il visconte, lì per lì, era restato assai seccato d’incontrarsi con Vressac, ma, siccome la passione per la caccia è in lui più forte della gelosia, ha finito di rimanere; e la contessa, da quella brava signora di mondo che è, ha dato alla moglie una camera nel corridoio principale, e nelle due camere attigue ha messo da una parte il marito e dall’altra l’amante, lasciando poi che se la spicciassero a modo loro. Il malvagio destino d’entrambi ha voluto che la mia camera fosse invece proprio dirimpetto a quella di lei. Quel giorno stesso, cioè ieri, Vressac, che, come potete immaginare, fa di tutto per ingraziarsi il visconte, è andato a caccia con lui, benché di contraggenio, perché la caccia non è affatto di suo gusto; ma sperava, il poveraccio, di rifarsi la notte tra le braccia della moglie della noia che il giorno gli faceva sopportare il marito. Io, invece, ritenendo che dopo tanta fatica un po’ di riposo gli giovasse mi sono adoprato del mio meglio per persuadere la sua amante a lasciargli tutto il tempo di dormire. Ci sono riuscito, e ho ottenuto da lei la promessa che gli avrebbe fatto una scenata proprio a proposito di quella partita di caccia nella quale egli s’era sacrificato evidentemente per amor suo. Non si poteva davvero scegliere un pretesto meno plausibile di questo, ma non c’è donna che possa stare a pari con la viscontessa nell’abilità, comune del resto a tutte le donne, di far prevalere il capriccio sulla ragione, e di non esser mai così poco disposta a placarsi come quando ha torto marcio. Quella sera, a ogni modo, il momento era poco propizio a una spiegazione, e siccome a me bastava che mi concedesse una notte, non avevo niente in contrario che il giorno dopo si rappacificassero. Vressac dunque è stato trattato male al ritorno, e, avendo chiesto il perché di quel trattamento, se n’è sentite dire di cotte e di crude. Ha cercato di giustificarsi; ma, essendo sopravvenuto il marito, la viscontessa ha avuto una buona occasione per troncare la discussione. Approfittando più tardi di un momento che il marito li aveva lasciati soli, Vressac voleva ottenere che la spiegazione fosse rinviata alla notte, ma allora la viscontessa è diventata sublime: s’è indignata dell’incredibile audacia degli uomini, che, solo perché una donna è stata troppo buona con loro, credono d’avere il diritto di abusare della sua bontà anche quando la donna, poveretta, ha mille motivi di dolersi di loro; e qui, avendo con questa sua malizietta trovato il destro di cambiare argomento, s’è messa a parlare tanto eloquentemente di delicatezza e di amore, che Vressac è restato muto e sopraffatto, e

Page 88: Le Amicizie Pericolose.pdf

io stesso sono stato quasi sul punto di credere che avesse proprio ragione lei: perché io, come amico di tutt’e due, ero naturalmente terzo nella loro disputa. Quel demonietto ha finito col dichiarare che non le reggeva l’animo di aggiungere gli strapazzi dell’amore a quelli della caccia, e che avrebbe avuto un rimorso eterno di turbare in qualche modo al suo amante il divertimento della giornata. In quel mentre è tornato il marito, e il desolato Vressac, che non aveva più libertà di rispondere, si è rivolto a me, e dopo avermi rifatto di sana pianta la storia delle sue ragioni, che io sapevo meglio di lui, mi ha pregato di parlare alla viscontessa, la qual cosa io gli ho promesso di cuore. E le ho parlato infatti, per ringraziarla e per concertare con lei l’ora e i mezzi di ritrovarci insieme. La viscontessa mi ha spiegato che, stando di camera tra il marito e l’amante, aveva trovato più prudente andare lei da Vressac piuttosto di riceverlo in camera sua, e che per gli stessi motivi, essendo io alloggiato di faccia a lei, credeva più sicuro venire lei in camera mia, dove mi avrebbe raggiunto non appena la cameriera se ne fosse andata: io non dovevo far altro che lasciare l’uscio socchiuso e aspettarla. Tutto è avvenuto come avevamo previsto, e all’una dopo la mezzanotte me la sono veduta comparire in camera ... in veste disadornaDi bella donna allora appena desta.22 Siccome non sono un vanitoso, non m’indugio sui particolari di questa notte: ma voi mi avete avuto in prova, e mi limiterò a dirvi che sono abbastanza soddisfatto di me. Sul far dell’alba ci siamo dovuti separare. Ora state bene attenta, che qui comincia il bello. La viscontessa, da quella sbadata che è, aveva creduto di ribattere appena la porta, e invece, senza accorgersene, l’aveva chiusa, e la chiave era restata dentro. Indescrivibile è l’accento di disperazione con cui la poveretta s’è precipitata allora nella mia camera per dirmi: «Oimè, sono perduta!». Certo sarebbe stato uno spasso da farne le matte risate, e lasciarla lì nell’imbroglio; ma potevo io permettere che una donna fosse rovinata per causa mia senza che io l’avessi voluto? Vi pare che io sia uomo da lasciarmi guidare dal caso? Bisognava trovare dunque un modo per uscirne con onore. Che cosa avreste fatto voi nei miei panni? Io ho fatto quel che ora dirò, e l’esito mi ha dato ragione. Mi sono accorto subito ch’era facile sfondare la porta, ma c’era paura di fare un gran fracasso. Allora, a furia di dire, sono riuscito a persuadere la viscontessa a mettersi a gridare a più non posso e come spaventata: «Al ladro, al ladro!»; e mentre io al primo grido avrei sfondata la porta, ella sarebbe corsa a buttarsi sul letto. Non potete immaginare però quanto c’è voluto per farla risolvere anche dopo che l’avevo convinta: ma alla fine ha dovuto fare come io dicevo, e alla prima pedata la porta s’è aperta. La viscontessa ha fatto bene a non perdere tempo, perché il visconte e Vressac sono comparsi subito dopo nel corridoio, e anche la cameriera è accorsa dalla padrona. Io ero il solo che avesse ancora un po’ di sangue freddo, e ne ho approfittato per andare a spegnere e a rovesciare a terra il lumino da notte che ardeva ancora, perché sarebbe stato ridicolo fingere un panico con la luce accesa. Poi ho dato un rabbuffo all’amante e al marito per il loro sonno letargico, affermando che le grida della signora e i miei sforzi per sfondare la porta erano durati più di cinque minuti. La viscontessa, che, appena a letto, aveva ritrovato il coraggio, ha recitato assai bene la commedia e ha giurato su tutti i sacramenti che c’era un ladro in camera, protestando che in vita sua (e questo era vero) non aveva avuto mai una paura simile. Abbiamo cercato coscienziosamente dappertutto senza trovare niente di niente, finché io ho fatto osservare che il lumino da notte era rovesciato e che certamente quel piccolo maldestro e tutto quel gran scompiglio era stato provocato da un topo. La mia opinione è stata subito accettata all’unanimità, e, dopo aver scambiato qualche

Page 89: Le Amicizie Pericolose.pdf

spiritosaggine sui topi, il visconte se n’è andato via per primo, raccomandando alla moglie d’avere a che fare d’ora innanzi con topi più tranquilli. Vressac, restato solo con noi, s’è avvicinato alla sua amante per dirle affettuosamente che certo quel topo voleva fare le sue vendette d’amore; a cui la viscontessa ha risposto, guardandomi di sottecchi: «In questo caso doveva essere molto irritato, perché s’è vendicato assai; ma adesso mi sento sfinita e ho bisogno di dormire». Ero in vena di bontà, in quel momento, perciò prima di separarci ho voluto perorare la causa di Vressac, e sono riuscito a riconciliarli. I due amanti si sono scambiati un bacio, e poi tutt’e due hanno voluto baciare anche me. Del bacio della viscontessa ormai non sapevo più che farmene, ma quello di Vressac, lo confesso, mi ha commosso. Siamo usciti insieme, e, dopo aver ricevuto nuovi ringraziamenti, ci siamo finalmente separati. Badate che, se questa storiella vi sembrasse divertente abbastanza, non ve ne chiedo affatto il segreto. Adesso che me la sono goduta io, è giusto che anche il pubblico goda la sua parte: intendo dire solo della storiella, per ora, ma forse un’altra volta lo dirò anche della sua eroina. Ma è quasi un’ora che il mio lacchè mi sta aspettando, e dunque addio: gli rubo ancora un minuto per darvi un bacio e per raccomandarvi un’altra volta di star bene attenta a Prévan. Dal castello di ..., 13 settembre 17..

Lettera LXXII Il cavaliere Danceny a Cecilia Volanges. (Recapitata soltanto il 14) O mia adorata Cecilia, oh, come invidio la fortuna di Valmont che domani potrà rivedervi! Sarà lui anzi che vi darà questa lettera, mentre io languirò lontano da voi, trascinando una vita tutta dolori e rimpianti. Mia cara, mia affettuosa Cecilia, compiangetemi per i miei mali, ma compiangetemi soprattutto per i vostri, perché quando penso a essi ogni coraggio mi vien meno. Che disperazione è per me d’essere io la causa della vostra sciagura! Se non ci fossi stato io, sareste ancora felice e contenta. Potete perdonarmelo? Ah, ditemi, ditemi che mi perdonate, ditemi che mi amate e mi amerete sempre, per tutta la vita! Sento proprio bisogno che me lo ripetiate, non già perché io ne dubiti, ma perché mi pare che queste cose, più si sanno, e più è dolce sentirsele dire. Mi amate, nevvero? Sì, mi amate con tutta l’anima. Non dimentico che questa è stata appunto l’ultima parola che ho inteso proferire da voi; e io l’ho accolta e profondamente scolpita nel cuore, che subito ha risposto al vostro con tanto entusiasmo. Oimè! E chi poteva immaginare, in quell’istante di felicità l’atroce destino che ci attendeva? Cerchiamo almeno di renderlo un po’ meno spietato. A sentire il mio amico, per ottenere questo, basterà che riponiate in lui la confidenza che merita. Mi è dispiaciuto, lo confesso, il cattivo concetto che avete di lui; sul quale certo hanno influito le prevenzioni di vostra madre. Era appunto per farle piacere che anch’io avevo trascurato per tanto tempo quest’amico impareggiabile che oggi si adopera tanto per me e fa di tutto per poterci riunire, mentre vostra madre ci ha così barbaramente divisi. Vi scongiuro, tesoro mio, guardatelo con occhio più benevolo; pensate che è amico mio e vuole essere amico vostro; pensate che solo lui può ridarmi la gioia di rivedervi. E se questo non bastasse ancora, Cecilia mia, vorrebbe proprio dire che non mi amate quanto vi amo io, che non mi

Page 90: Le Amicizie Pericolose.pdf

amate più quanto mi amavate. Dio mio! E se davvero un giorno mi amaste meno?... Oh, no, no, il cuore della Cecilia è mio, è mio per la vita; e se dovrò soffrire le pene di un amore infelice, la sua fedeltà almeno mi preserverà dai tormenti di un amore tradito! Addio, mia cara, mia bella Cecilia, non dimenticate che io soffro e che solo voi mi potete fare felice. Ascoltate i voti del mio cuore, ricevete i più teneri baci d’amore. Parigi, 11 settembre 17..

Lettera LXXIII Il visconte di Valmont a Cecilia Volanges. (Consegnata insieme con la precedente) L’amico che è ai vostri ordini ha saputo che non avete l’occorrente per scrivere e vi ha provveduto: nell’anticamera dell’appartamento in cui state, sotto l’armadio grande a sinistra, troverete una provvista di carta, penne e inchiostro, che sarà rinnovata a vostra richiesta, e che, secondo lui, potete lasciare benissimo nello stesso ripostiglio, a meno che non ne troviate uno più sicuro. Vi prega inoltre di non offendervi, se egli si darà l’aria di non badare affatto a voi in pubblico e di considerarvi come una bambina. Tale contegno gli sembra necessario per ispirare quella sicurezza di cui ha bisogno per poter quindi più efficacemente cooperare alla felicità vostra e del suo amico. Quando avrà qualche cosa da dirvi o da consegnarvi, cercherà di far nascere l’occasione di trovarsi solo con voi, e spera di riuscirci per poco che voi lo assecondiate. Vi consiglia di restituirgli di volta in volta le lettere che vi consegnerà, per evitare ogni pericolo di compromissione. E finalmente vi assicura che, se vorrete concedergli la vostra fiducia, farà quanto può per addolcire le persecuzioni d’una madre troppo crudele verso due creature, di cui l’una è il suo amico migliore e l’altra gli sembra meritare il più affettuoso interessamento. Dal castello di ..., 14 settembre 17..

Lettera LXXIV La marchesa di Merteuil al visconte di Valmont. Amico mio, e da quando in qua avete preso l’abitudine di spaventarvi per così poco? O questo Prévan è proprio tanto formidabile? Guardate invece come sono semplice e modesta io, che avevo incontrato tante volte questo tremendo conquistatore, e m’ero appena appena accorta di lui! C’è voluta la vostra lettera, perch’io gli ponessi gli occhi addosso Ieri dunque ho riparato ai miei torti, e poiché all’Opera mi stava proprio di faccia, ho potuto occuparmi seriamente di lui. È bello, è proprio un bellissimo uomo, e i suoi lineamenti sono fini e delicati. Credo che a guardarlo da vicino ci debba anche guadagnare. Voi dite che mi vuol conquistare. Benissimo. Mi farà certo onore e piacere. Francamente, mi sono incapricciata di lui, e vi confesso che ho già fatto i primi passi; se poi questi riusciranno, ancora non so. La cosa è andata così. All’uscita del teatro era a due passi da me, e io ho dato a voce alta appuntamento alla marchesa R. per andare insieme venerdì al pranzo della marescialla. Mi pare che quella sia l’unica casa dove posso incontrarlo di sicuro. Egli, senza alcun dubbio, mi ha udita. Ma se poi l’ingrato non venisse?

Page 91: Le Amicizie Pericolose.pdf

Voi che ne dite? Verrà? Perché se, per combinazione, non dovesse venire, resterei male tutta la serata. Insomma, vedrete ch’egli non troverà troppe difficoltà a seguirmi ; ma quel che vi farà strabiliare anche di più è che non ne troverà affatto a piacermi. Egli ha detto che vuol far crepare sei cavalli a farmi la corte: come potrei trovare la pazienza d’aspettare tanto tempo? Voi sapete già che, una volta presa una risoluzione, non mi piace far languire la gente. Ebbene, per lui la risoluzione è presa, presa fermamente . Bella soddisfazione che avete avuto a parlarmi seriamente. Ah, il vostro “importante avvertimento” ha avuto proprio un gran bel successo! Che volete farci, amico mio? È tanto tempo che vegeto! Sono almeno sei settimane che non mi concedo più un po’ di scialo; mi si presenta adesso un’occasione favorevole, e vorreste che me la lasciassi sfuggire? Marameo! Ma voi dite che costui non è persona che meriti. E dove trovarne invece uno che faccia meglio al caso mio, da qualunque parte vogliate considerare la cosa? Voi stesso in conclusione siete costretto a rendergli giustizia, perché – altro che lodarlo! – ne siete addirittura geloso. Ebbene, voglio erigermi a giudice di voi due, e comincio intanto col primo atto necessario a ben giudicare, che è quello di prendere cognizione diretta dell’affare. Sarò giudice imparziale, non dubitate, e vi peserò tutt’e due sulla stessa bilancia. In quanto a voi, ho già le vostre comparse conclusionali, e il vostro processo è stato istruito di tutto punto. Non è giusto che mi occupi adesso del vostro avversario? Suvvia, prestatevi dunque di buon animo, e tanto per cominciare raccontatemi questa famosa triplice avventura di cui è stato l’eroe. Me ne avete scritto come se si trattasse d’una cosa risaputa da tutti a menadito, e invece io non ne so niente di niente. Si vede che deve essere capitata durante il mio ultimo viaggio a Ginevra, e voi, per gelosia, non me ne avete scritto niente. Rimediate subito al fallo, e pensate che niente mi è indifferente di ciò che lo riguarda. Adesso che ci rifletto, mi par di ricordare che se ne parlava ancora al mio ritorno; ma allora ero distratta da altre faccende, e poi, in questo genere di cose, non mi perdo ad ascoltare se non lo scandalo del giorno, o tutt’al più del giorno prima. Quand’anche vi dispiacesse un po’ quel che vi chiedo, l’accontentarmi è il meno che possiate fare in compenso di tante premure che vi ho usato io. Non dovete a me se vi ho ravvicinato alla vostra presidentessa, quando le vostre sciocchezze ve ne avevano allontanato? Non sono stata io che vi ho dato in mano tanto da vendicarvi dello zelo spietato della signora Volanges? Vi siete lamentato tante volte del gran tempo perduto per andare in cerca di avventure. Ebbene, ecco che adesso le avete tutte a vostra disposizione: l’amore e l’odio, non avete che da scegliere, stanno tutt’e due sotto il vostro tetto; e, vivendo una duplice vita, voi potete con una mano accarezzare e con l’altra colpire. Anche l’avventura con la viscontessa la dovete a me. Ne sono molto contenta; ma, come dite voi, e dite bene, bisogna diffonderla, perché, se le circostanze hanno potuto spingervi (e lo capisco) a preferire per il momento il mistero allo scandalo, è vero però che questa donna non meritava affatto un tanto onesto procedere. Inoltre io ho una certa ruggine con lei, perché il cavaliere Bellaroche la trova più graziosa che io non vorrei; e insomma per molte ragioni sarei lietissima d’avere un pretesto per bisticciarmi con lei, e il miglior pretesto di tutti è sempre quello di dire: “Quella donna lì, non è bene riceverla in casa”. Addio, visconte. Pensate che, al posto vostro, il tempo è prezioso: io intanto impiegherò il mio a far felice Prévan. Parigi, 15 settembre 17..

Page 92: Le Amicizie Pericolose.pdf

Lettera LXXV Cecilia Volanges a Sofia Carnay. (In questa lettera Cecilia Volanges racconta con gran dovizia di particolari gli avvenimenti che la riguardano e di cui i lettori sono già informati dalle lettere LIX e seguenti. Abbiamo pertanto soppresso l’ inutile ripetizione. Ma, verso la fine della lunga lettera, Cecilia viene a parlare del visconte di Valmont, e si esprime nel modo seguente:) È un uomo, t’assicuro, veramente straordinario. Mia madre ne dice un sacco di male, ma il cavalier Danceny ne dice, in compenso, un sacco di bene, e io credo che abbia ragione lui. Non ho visto mai un uomo tanto abile. Figurati che mi ha consegnata la lettera di Danceny in presenza di tutti e che nessuno se n’è accorto. È vero che mi ha messo una paura maledetta, perché non ero stata preavvisata, ma, adesso che lo so, sono preparata a tutto. Ho già capito, per esempio, come vuole che io faccia per dargli la risposta; e non è difficile capirlo, perché ha uno sguardo che dice tutto quello che vuole. Non so proprio come faccia. Nel biglietto di cui t’ho parlato mi diceva che, quando fosse presente la mamma, avrebbe fatto finta di non curarsi di me, e a vederlo infatti si direbbe che per lui non esisto nemmeno; eppure, quando cerco i suoi occhi, sono sicura di incontrarli subito. Qui c’è una buona signora, amica della mamma, che io non conoscevo, e mi pare che anch’essa non guardi di buon occhio il signor Valmont, sebbene egli sia gentilissimo con lei. Ho una gran paura che la vita che conduciamo qui gli debba garbare poco e che una volta o l’altra se ne torni a Parigi, il che sarebbe un guaio serio. Deve avere proprio un cuore d’oro per esser venuto qui apposta per fare un piacere a me e al suo amico; e io vorrei dimostrargli in qualche modo la mia gratitudine, ma come fare a parlargli? E, quand’anche riuscissi a trovarne l’occasione, sono tanto timida che non troverei le parole adatte. Non c’è che la signora Merteuil, a cui io possa parlare liberamente del mio amore. Forse, se dovessi dirtelo a voce, mi troverei imbarazzata anche con te, a cui tuttavia dico tutto. E persino con Danceny, vedi, ho sentito più d’una volta una certa soggezione che mi impedisce, mio malgrado, di dirgli tutto ciò che penso, e anzi adesso me ne rimorde la coscienza, e darei chissà che cosa per potergli dire, non fosse che una volta sola, quanto gli voglio bene. Il signor Valmont mi ha promesso che se gli do ascolto mi procurerà lui il modo di rivederlo. Oh, per me farò tutto quel che vorrà! Ma, che vuoi, mi pare che la cosa non debba essere possibile! Addio, mia buona amica, non ho più carta da scriverti.23 Dal castello di ... ,14 settembre 17..

Lettera LXXVI Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil. O la vostra lettera è tutta ironia, che io però non capisco, o nello scriverla eravate in preda a un pericoloso delirio. Se non vi conoscessi bene sarei davvero spaventato per voi, sebbene io non sia un uomo, checché voi ne diciate, da spaventarmi per poco. Ho un bel leggere e rileggere la vostra lettera: ogni volta ne capisco meno di prima, perché a voler prendere le vostre parole nel senso letterale, è fatica sprecata. E allora che diamine avete voluto dire? Volete forse intendere che era inutile che io vi mettessi in guardia contro un avversario poco

Page 93: Le Amicizie Pericolose.pdf

temibile? In questo caso avreste torto marcio, poiché Prévan è persona proprio simpatica, e magari più di quel che supponete, ed è bravissimo soprattutto nell’arte preziosa di far parlare molto la gente dei suoi amori con quella sua malizietta di parlarne lui stesso in faccia a tutti, approfittando d’ogni discorso che trova. E la trappola è tesa così bene, che poche donne resistono alla tentazione di rispondergli, e nessuna, per voler comparire spiritosa, si lascia sfuggire l’occasione di far mostra della sua arguzia. Ora voi sapete meglio di me che, quando una donna consente a parlare d’amore, finisce sempre per innamorarsi o almeno per comportarsi come se fosse innamorata. Prévan inoltre, con tal metodo di sua invenzione, ci guadagna anche questo, di chiamare spesso le stesse vittime a testimoniare la loro sconfitta. Vi dico ciò perché l’ho potuto accertare una volta io stesso, coi miei occhi e coi miei orecchi. Sapevo d’un certo suo intrigo segreto, ma lo sapevo di seconda mano, poiché con Prévan non ho avuto mai molta dimestichezza. Quella volta dunque eravamo in sei, e la contessa P. credendo di fare la furba (e infatti recitava assai bene la parte, tanto che chi non sapeva come stavano le faccende poteva credere magari che parlasse così sulle generali) ci spifferò senza volerlo dall’a alla zeta come fu che si diede a Prévan e ogni cosa che era passata tra loro. Ed era tanto sicura di non essersi scoperta, che non rimase scossa nemmeno quando tutt’e sei sbottammo a riderle in faccia contemporaneamente: e mi ricorderò sempre che avendo uno di noi, per rimediare a quella risata, fatto finta di non credere a quanto diceva, o piuttosto a quanto pareva che dicesse, ella rispose quasi offesa che nessuno poteva sapere meglio di lei come erano andate le cose, ed ebbe persino il coraggio di rivolgersi a Prévan per domandargli se non avesse detto giusto. Un uomo simile m’era dunque sembrato pericoloso per qualunque donna; e del resto, parliamoci chiaro, cara marchesa, non è già un bel pericolo per voi che l’abbiate trovato “bello, bellissimo”, per citare le vostre stesse parole? E se poi volesse farvi uno di quegli assalti, che vi piace ricompensare (ci intendiamo, ehm!) soltanto perché vi sembrano ben fatti , o ai quali vi fa piacere d’arrendervi per qualche altra ragione che io non so?... Oh, come dovrei fare a indovinare i mille e mille capricci che possono passare per la testa d’una donna: l’unica debolezza rimasta in voi del vostro sesso? Ora che siete avvertita del pericolo, non dubito che sappiate schivarlo; ma insomma bisognava avvertirvi, non vi pare? E allora, per tornare alla vostra lettera, che cosa avete voluto dire? Se volevate far dell’ironia su Prévan, a parte che sarebbe troppo prolungata, non era il caso di sprecarla con me: sarebbe stato assai meglio metterlo in ridicolo nei salotti, e anzi di ciò torno a pregarvi caldamente. Ah, che forse adesso ho trovato la soluzione giusta dell’enigma! La vostra lettera vuol essere una profezia, non di ciò che farete voi, ma di ciò ch’egli crederà che voi siate disposta a fare al momento dello scacco che voi gli state preparando. Il vostro progetto mi piace, ma badate che bisogna agite con la massima circospezione, perché per il pubblico avere un amante o accettare la corte d’un uomo è tutt’uno, a meno che non si tratti d’un imbecille che si mena per il naso. Siccome però non c’e nessuno che possa pensare una cosa simile di Prévan, a lui basterà una semplice parvenza per dare a intendere ciò che vorrà, e voi sarete spacciata: gli sciocchi gli crederanno, i maligni faranno finta di credergli, e a voi non resterà via di scampo. Tant’è: ho paura per voi. Non metto in dubbio la vostra abilità, ma sapete com’è, di solito affogano sempre quelli che sanno nuotare meglio degli altri. Non mi pare d’essere un grullo, e quando s’è trattato di disonorare una donna ho saputo trovar sempre mille espedienti per arrivarci; eppure, ogni volta che ho voluto invece salvarne una, non mi è mai riuscito. Voi stessa, amica mia, che avete una tattica meravigliosa, in certi casi almeno, mi siete sembrata più fortunata che abile. Ma forse io vado cercando di capire ciò che non avete mai avuto intenzione di dire; e mi stupisco io stesso della pazienza con cui da più di un’ora mi lambicco il cervello per trattare seriamente una lettera che (ci scommetto) non è se non uno scherzo da parte vostra. Voi volete burlarvi di me: ecco tutto. Ebbene, fate pure, ma spicciatevi, e parliamo intanto di qualche altra cosa. Di qualche altra cosa? Nient’affatto: è sempre la stessa solfa, sono sempre donne

Page 94: Le Amicizie Pericolose.pdf

da conquistare o donne da rovinare, e qualche volta magari l’una e l’altra cosa insieme. Come avete detto assai bene, io ho qui da esercitarmi in tutt’e due i generi, ma non già con la stessa facilità, e prevedo che la vendetta correrà più dell’amore. La signorina Volanges s’è arresa, ve lo garantisco io: ora non manca più altro che l’occasione propizia, e questa sta a me farla nascere. Ma per la signora Tourvel le cose vanno altrimenti: è una donna desolante, che non riesco a capire. Ho cento prove del suo amore, ma ne ho anche altrettante della sua resistenza, e sto proprio in pensiero che mi possa sfuggire per il rotto della cuffia. Il primo effetto che le ha fatto il mio ritorno mi faceva sperar bene. Come potete immaginare, volevo giudicarne coi miei occhi, e, per essere più sicuro di vedere appunto le sue prime impressioni, non ho voluto farmi precedere da nessuna notizia e ho viaggiato in modo da poter arrivare durante l’ora del pranzo. E infatti sono caduto dalle nuvole, come una divinità cala sul teatro al punto giusto per lo scioglimento dell’azione. Avendo fatto un gran fracasso nell’entrare, per richiamare su di me l’attenzione, ho potuto con un’occhiata sola vedere la gioia di mia zia, il dispetto della signora Volanges e la soddisfazione mal dissimulata della figlia. In quanto alla mia bella, dal posto in cui era, volgeva le spalle alla porta, ed essendo occupata a trinciare qualche cosa non ha voltato neanche la testa, ma alle prime parole che ho proferito (perché subito mi sono messo a parlare alla signora Rosemonde) ha riconosciuto la mia voce e ha gettato uno strillo in cui era (o mi parve) più amore che sorpresa o spavento. Mi ero intanto avanzato abbastanza per vederla in viso: il tumulto della sua anima, il conflitto delle sue idee e dei sentimenti vi si dipingevano in almeno venti modi diversi. Mi sono seduto a tavola al suo fianco, e la sensibilissima schifiltosa non sapeva più né quel che diceva né quel che faceva. Ha cercato di riprendere a mangiare, ma non c’è stato verso, e finalmente dopo pochi minuti il suo imbarazzo e la sua gioia erano tanto più forti di lei che non ha saputo trovare niente di meglio che domandare il permesso d’alzarsi da tavola e correre nel parco con la scusa che aveva bisogno di un po’ d’aria. La signora Volanges voleva accompagnarla, ma la tenerissima scrupolosina non gliel’ha concesso, troppo beata certo d’aver trovato un pretesto di star sola e d’abbandonarsi senza infingimenti alle dolci espansioni del cuore. Ho mangiato in un lampo; ed erano state appena servite le frutta, quando l’infernale signora Volanges, che aveva una gran furia di nuocermi, s’è alzata dal suo posto per raggiungere la bella ammalata; ma io, che avevo previsto il suo piano e volevo mandarlo in aria, ho finto di scambiare quel suo movimento particolare per il movimento generale, e sono scattato subito in piedi. La signorina Volanges e il curato, trascinati dal nostro esempio, hanno fatto altrettanto, di modo che la signora Rosemonde è rimasta sola a tavola col vecchio commendator T., e anche loro due alla fine hanno dovuto imitarci. Siamo andati dunque tutti insieme in cerca della mia bella e l’abbiamo trovata nel boschetto presso al castello; e, poiché la poveretta aveva bisogno di solitudine e non già di passeggiare, ha preferito tornare indietro con noi, piuttosto che farci restare con lei. Una volta sicuro che la signora Volanges non avrebbe potuto parlarle da sola, ho subito pensato a eseguire i vostri ordini e mi sono occupato dell’affare della vostra pupilla. Ho preso il caffè e poi sono salito in camera mia, non senza prima però aver fatto una visitina in quelle degli altri: una vera e propria ricognizione di terreno; e ho disposto le cose perché la signorina potesse avere a portata di mano l’occorrente per scrivere. Dopo questo primo beneficio, ho scritto due righe alla ragazza per avvertirla, e perché mi accordasse piena fiducia ho unito il mio biglietto alla lettera di Danceny, poi sono tornato nel salotto, dove ho trovato la mia bella, sdraiata in una poltrona in un delizioso abbandono. Tale spettacolo, risvegliando i miei desideri, ha acceso il mio sguardo, e, sembrandomi che esso fosse tenero e suggestivo abbastanza, mi sono posto in maniera da poterne fare un uso efficace.

Page 95: Le Amicizie Pericolose.pdf

Come primo risultato ho ottenuto di far abbassare i grandi occhi modesti della mia celestiale presidentessa, e allora mi sono messo a considerare attentamente il suo volto angelico, e, da questo poi passando al corpo, mi sono divertito a indovinarne i contorni e le forme sotto il vestito, leggero sì, ma sempre importuno. Dopo essere disceso così dalla testa ai piedi, sono risalito dai piedi alla testa. Amica mia, i suoi occhi dolcissimi erano proprio fissi su di me; ma, avendoli poi essa riabbassati, ho voluto favorirne il ritorno, sviando i miei Allora s’è concluso tra noi questo tacito accordo (il primo d’un timido amore): che per soddisfare il mutuo bisogno di guardarci, gli sguardi dovessero succedersi, in attesa di poter un bel giorno confonderli insieme. Questo nuovo piacere occupava tutta l’attenzione della mia bella, e perciò è toccato a me di provvedere alla sicurezza comune; ma quando mi sono accertato che la conversazione generale era abbastanza vivace perché si potesse badare a noi, ho cercato d’ottenere dai suoi occhi che mi parlassero francamente nel loro linguaggio. Per far ciò, ho cominciato col sorprendere qualcuno dei suoi sguardi, ma l’ho fatto con tale riserbo che neanche la modestia in persona avrebbe potuto adontarsene; e, perché la timidetta si sentisse meglio a suo agio, ho finto d’essere anch’io imbarazzato come lei. A poco a poco i nostri occhi, abituati ormai a incontrarsi, si sono fissati più a lungo, e finalmente non si sono lasciati più, e io sono riuscito a vedere nei suoi quel soave languore che è segno inequivocabile d’amore e di desiderio; ma non è stato che un attimo: tornata subito in sé, ha cambiato, non senza un po’ di vergogna, la sua positura e la direzione dei suoi sguardi. Non volendo assolutamente lasciarle credere che io non potessi aver notato questi suoi movimenti, mi sono alzato in piedi con una certa premura e le sono corso vicino per domandarle, tutto spaventato, se per caso si sentisse male. Subito tutti le si sono messi d’attorno, e io allora li ho lasciati passare avanti, e, poiché la signorina Volanges se ne stava a ricamare vicino alla finestra e aveva perciò perduto un po’ di tempo per sbarazzarsi del telaio, ho approfittato di quell’attimo per accostarmi a lei e consegnarle la lettera di Danceny. Essendo ella discosta da me qualche passo, le ho gettato la lettera in grembo, e la povera creatura è restata tanto confusa che non sapeva più dove metterla. Chissà come avreste riso voi, a vederla così sbigottita e sconvolta! Ma non ridevo già io, che da queste goffaggini potevo restare compromesso: con un’occhiata e con un gesto molto esplicito sono riuscito finalmente a farle capire che doveva mettere il plico in tasca. Niente d’interessante per il resto della giornata. Da quel che è accaduto dopo nasceranno certo avvenimenti di cui vi troverete soddisfatta, almeno per quanto riguarda la vostra pupilla; ma è meglio impiegare il tempo nei fatti che nelle chiacchiere, e con questa del resto sono già otto pagine che vi scrivo e sono stanco. Addio, dunque. Capite benissimo, senza bisogno che ve lo dica, che la ragazza ha già risposto a Danceny.24Ho anche da comunicarvi la risposta della mia bella alla lettera che le avevo scritto il giorno dopo il mio arrivo. Ebbene, ve le mando qui accluse tutt’e due. Non so però se le leggerete, perché quest’eterna tiritera, che comincia a seccare anche me, deve essere addirittura insopportabile per chi non vi ha nessuno speciale interesse. Addio, di nuovo. Vi voglio sempre bene, ma, se mi parlate ancora di Prévan, fatelo in modo che io vi possa capire. Dal castello di ..., 17 settembre 17..

Lettera LXXVII Il visconte di Valmont alla presidentessa Tourvel. Perché dunque mi sfuggite con tanto accanimento? Possibile che ogni mia premura affettuosa non debba ottenere altro risultato che provocare da parte vostra degli sgarbi quali si potrebbero usare

Page 96: Le Amicizie Pericolose.pdf

soltanto al peggiore nemico? Come! L’amore mi riconduce ai vostri piedi; e quando per una fortunata combinazione càpito di posto proprio accanto a voi, voi piuttosto che starmi vicina preferite fingere un’indisposizione e spaventare tutti i vostri amici? E quante volte poi ieri avete distolto gli occhi da me, perché io non potessi gioire di un vostro sguardo? Una volta sola m’è stato dato di scorgere nei vostri occhi un po’ di benevolenza per me; ma è stato un attimo, un lampo, e si direbbe che l’avete fatto non tanto perché io ne godessi, quanto invece per farmi sentire meglio l’immensità della mia perdita a esserne privo. Questo, permettete che io lo dica, non è un trattamento quale può meritare l’amore, e nemmeno, vedete, quale potrebbe permettersi l’amicizia; eppure di questi due sentimenti sapete bene quanto il primo mi faccia soffrire, e dalle vostre stesse parole ritenevo che non voleste negarmi almeno il secondo. Che cosa dunque ho fatto per perdere questa preziosa amicizia, di cui tuttavia mi avevate ritenuto degno, dal momento che siete stata proprio voi a offrirmela? È stata forse la mia fiducia in voi che mi ha nociuto, e volete punire la mia schiettezza? E non vi viene nemmeno il dubbio d’abusare dell’una e dell’altra? Non avevo io infatti confidato il segreto del mio cuore soltanto all’amica? E non è stato soltanto per uno scrupolo di lealtà verso di voi che ho creduto di dover rifiutare condizioni che ogni altro nei miei panni avrebbe accettato con entusiasmo per avere poi l’opportunità di non mantenerle, e magari anche di abusarne a suo vantaggio? Con questo vostro rigore che io non merito, volete insomma farmi credere a tutti i costi che per ottenere da voi una maggior indulgenza avrei fatto bene a ingannarvi? Non mi pento, intendiamoci, d’una condotta che era semplicemente doverosa con voi; ma quale strana fatalità è la mia, che a ogni buona azione che compio debba capitarmi tra capo e collo una nuova disgrazia? La prima disgrazia, quella cioè di darvi un dispiacere, m’è accaduta infatti subito dopo che m’ero guadagnato l’unico elogio che vi siate degnata finora di farmi. E dopo avervi dato prova della mia sottomissione assoluta privandomi del bene di vedervi, al solo scopo di rassicurare la vostra delicatezza, voi avete voluto interrompere con me ogni corrispondenza, togliermi questa tenue ricompensa al duro sacrificio che avevate preteso da me, e rapirmi finanche quell’amore che solo ve ne avrebbe potuto dare il diritto. E finalmente, dopo avervi parlato con sincerità, trascurando persino gli interessi del mio amore, voi oggi mi sfuggite come si sfuggirebbe un seduttore pericoloso di cui aveste sperimentato la perfidia. E quando vi stancherete dunque d’essere ingiusta? Fatemi almeno la gentilezza d’indicarmi quali torti io abbia commessi che possano legittimare tanta severità, e di dirmi che cosa dunque volete che faccia. E se mi obbligo fin d’ora a eseguire alla cieca e scrupolosamente i vostri ordini, vi parrà forse una gran pretesa la mia, di conoscerli? Dal castello di ...,15 settembre 17..

Lettera LXXVIII La presidentessa Tourvel al visconte di Valmont. Signore, eccovi dunque molto stupito del mio modo d’agire, e quasi quasi state per chiedermene conto, come se aveste il diritto di biasimarmi. Mi pare, caso mai, che avrei dovuto stupirmi io, e magari anche lamentarmi; ma, dopo il rifiuto che m’avete dato nella vostra ultima lettera, ho stabilito di chiudermi in un’indifferenza che non dia più luogo né a osservazioni né a rimproveri. Tuttavia, poiché mi chiedete delle spiegazioni, e grazie a Dio non c’è niente nella mia coscienza che m’impedisca di darvele, voglio ancora una volta lasciarmi andare a discutere con voi. Chi leggesse le vostre lettere mi crederebbe ingiusta o bizzarra, e io invece credo fermamente che nessuno possa avere di me quest’idea, e voi meno d’ogni altro. Certo voi avete pensato che, provocando da me una spiegazione, io sarei obbligata a riepilogare tutto quanto è passato tra noi, e

Page 97: Le Amicizie Pericolose.pdf

vi è sembrato che in quest’esame voi aveste tutto da guadagnare. Benissimo; ma siccome anch’io, per quel che mi riguarda, ritengo di non aver niente da perderci (almeno ai vostri occhi) mi accingo all’opera senza paura. E in fondo questo è forse il modo migliore di sapere chi di noi due ha diritto di lamentarsi dell’altro. Mi ammetterete, spero, che quando siete arrivato in questo castello, la vostra reputazione giustificava una certa riservatezza da parte mia nei vostri riguardi, e io avrei potuto, senza esser tacciata di soverchi scrupoli, limitarmi alle espressioni di una fredda cortesia. Voi stesso non ve la sareste presa a male e avreste trovato naturale che una donna così poco esperta del mondo non avesse la capacità necessaria di apprezzarvi. Questo era quanto voleva la prudenza; e poco mi sarebbe costato obbedirle, perché, a dirvela schietta, quando la signora Rosemonde venne a parteciparmi il vostro arrivo, ho dovuto far appello al mio affetto per lei e al suo affetto per voi per non lasciarle trapelare il mio rincrescimento. Confesserò volentieri che da principio voi vi siete mostrato sotto un aspetto più favorevole di quel che avessi immaginato; ma voi a vostra volta converrete che tutto ciò è durato poco e che vi siete stancato presto d’una costrizione per la quale evidentemente non vi ritenevate risarcito abbastanza dalla buona opinione che m’aveva fatto avere di voi. Fu allora che, abusando della mia buona fede e della mia sicurezza, avete osato parlarmi d’un sentimento di cui sapevate bene che non avrei potuto far a meno di offendermi. E mentre voi non facevate che aggravare i vostri torti moltiplicandoli, io invece cercavo ogni pretesto per dimenticarli, offrendovi l’opportunità di ripararli almeno in parte. La mia richiesta era così giusta che voi stesso non avete potuto onestamente rifiutarmela; ma, facendovi un diritto della mia indulgenza, ne approfittaste per domandarmi un permesso che non avrei dovuto in niun modo accordarvi e che tuttavia voi mi avete carpito. Delle tante condizioni a cui l’avevo subordinato, voi però non ne avete rispettata nessuna, e la vostra corrispondenza è stata tale, che ogni lettera vostra m’imponeva il preciso dovere di non rispondere. Invece, proprio nel momento che la vostra ostinazione avrebbe dovuto indurmi ad allontanarvi, per un’ultima condiscendenza forse riprovevole, ho escogitato il solo modo ancora lecito di ravvicinarmi a voi. Ma che cosa mai vale ai vostri occhi un sentimento onesto? Voi disprezzate l’amicizia, e nella vostra folle ebbrezza, non tenendo in nessun conto l’infelicità e la vergogna altrui, agognate solo vittime e piaceri. E, mostrandovi altrettanto leggero nelle azioni quanto siete illogico nei rimproveri, dimenticate le promesse fatte o piuttosto prendete gusto a violarle, e dopo avere acconsentito ad allontanarvi da me ritornate qui senza essere richiamato, senza nessun riguardo alle mie preghiere e alle mie tante ragioni, senza usarmi neppure la finezza di preavvertirmene, esponendomi così a una sorpresa, i cui effetti, ancorché naturalissimi, avrebbero potuto essere interpretati a mio sfavore dai presenti. Ma voi, invece di divagare l’attenzione degli altri dall’imbarazzo che avevate suscitato col vostro arrivo, invece di dissiparlo, avete fatto di tutto per accrescerlo sempre più: a tavola avete scelto proprio il posto accanto a me; poi, quando una leggera indisposizione mi ha obbligata a uscire prima degli altri, non solo non avete rispettato la mia solitudine, ma avete portato tutti quanti con voi per venirmela a turbare; e quando finalmente sono tornata nel salotto, a ogni passo che facevo mi siete venuto dietro, a ogni parola che proferivo siete stato sempre voi a rispondermi, e la frase più innocente vi serviva d’appiglio a discorsi che non voglio assolutamente sentire e che possono anche compromettermi, perché insomma, signor mio, per quanta astuzia ci mettiate, è molto probabile che, come riesco a capirle io, così anche gli altri possono capire le vostre allusioni. Mi avete costretta in tale modo al silenzio e all’immobilità, e con tutto ciò non l’avete smessa ancora. Non ero padrona di alzare gli occhi senza incontrare i vostri, e non sapevo più dove rivolgere gli sguardi. Non basta. Con inverosimile sventataggine, richiamaste su di me gli sguardi di tutta la comitiva, proprio quando avrei voluto nascondermi persino ai miei. E poi avete il coraggio di rimproverarmi il mio contegno e di meravigliarvi dello zelo che metto a sfuggirvi! Ah, rimproveratemi piuttosto la mia troppa indulgenza e meravigliatevi che io non sia

Page 98: Le Amicizie Pericolose.pdf

partita subito dopo il vostro arrivo! Così avrei dovuto fare. E vedete che, alla fine, dovrò pure venire a questa risoluzione, violenta ma necessaria, se non la smetterete con le vostre oltraggiose insistenze. Oh, non dimentico, no, né dimenticherò mai il mio dovere; non dimenticherò mai soprattutto quei vincoli che io ho voluti e che rispetto, perché, tra l’altro, mi sono oltremodo cari! E se un giorno disgraziatamente fossi ridotta a dover scegliere tra il sacrificio di essi o di me stessa, state pur certo che non esiterei un solo istante. Addio, signore. Dal castello di ..., 16 settembre 17..

Lettera LXXIX Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil. Stamattina volevo andare a caccia, ma fa un tempo da lupi. Da leggere, non ho altro che un romanzo nuovo che farebbe sbadigliare un’educanda. E poiché ci vorranno ancora due buone ore prima di poter fare colazione, eccomi ancora, nonostante la mia lunga lettera, a chiacchierare con voi, sicuro di non annoiarvi, perché vi parlerò del “bellissimo Prévan”. Come può essere che non abbiate saputo la sua famosa avventura, quella che ha separato le inseparabili ? Vedrete che, al primo accenno, ve ne rammenterete subito. A ogni modo, poiché desiderate che ve la racconti, eccovela qui. Vi ricorderete che tutta Parigi era stupefatta di vedere come tre donne, tutt’e tre bellissime, tutt’e tre con gli stessi pregi e perciò in diritto di accampare le stesse pretese, restassero così intimamente legate tra loro dal primo giorno del loro ingresso nel bel mondo. Dapprincipio si pensò che questo potesse derivare dalla loro estrema timidezza; ma presto ci accorgemmo d’essere fuori strada, perché, sebbene circondate da una corte numerosissima di ammiratori dei quali si dividevano in giusta proporzione gli omaggi, e sebbene chiarite sul valore delle premure e delle gentilezze di cui erano oggetto, la loro amicizia non faceva che stringersi sempre più, e si sarebbe detto che il trionfo di una fosse anche di riverbero il trionfo delle altre due. Si sperava almeno che qualche rivalità nascesse dall’amore, e tutti i nostri zerbinotti si disputavano l’onore di diventare il pomo della discordia. Mi sarei messo anch’io nella gara, se proprio in quel mentre non fosse venuta in voga la contessa R., e capirete che non potevo esserle infedele prima ancora d’aver ottenuto da lei quel bene a cui tanto agognavo. Intanto le nostre tre bellezze fecero in quello stesso carnevale la loro scelta, come se si fossero messe prima d’accordo, e questo, invece di far scoppiare l’uragano che ci eravamo ripromesso, non fece che cementare di più la loro amicizia con la dolcezza e il prestigio delle reciproche confidenze. Tutti i pretendenti restati a bocca asciutta s’unirono allora alla folla delle donne gelose, e quella scandalosa costanza fu sottoposta alla pubblica censura. Pretendevano gli uni che in questa associazione delle inseparabili (le chiamavano appunto così) fosse legge fondamentale la comunione dei beni, e che neppure l’amore sfuggisse a questa regola; altri assicuravano invece che i tre amanti, se non avevano rivali mascolini, non potevano vantarsi d’essere senza rivali femmine, e si arrivò persino a dire che essi erano stati ammessi soltanto per coprir la decenza e che in fondo non possedevano altro che un titolo senza funzione. Queste chiacchiere, vere o false che fossero, non ebbero l’esito che se ne sperava. Anzi le tre coppie, intuendo che separarsi in quel momento era come un voler perdere la partita stabilirono d’affrontare la tempesta più salde che mai. Il pubblico, che alla fine si stucca di ogni cosa, si stancò ben presto anche della sua satira infruttuosa, e mosso dalla sua naturale leggerezza corse a occuparsi di altre faccende; e quando pure tornò a questa, per effetto della sua solita incoerenza, mutò il biasimo in elogio e, siccome nel nostro mondo è la moda che conta, l’entusiasmo divampò, e stava

Page 99: Le Amicizie Pericolose.pdf

per diventare addirittura delirio, quando Prévan s’accinse ad accertare di persona questi prodigi, per rivolgere su di essi l’attenzione sua e del pubblico. Si mise dunque alla caccia di questi modelli di perfezione, ed essendo stato accolto con una certa facilità nella loro compagnia, ne trasse subito un favorevole auspicio, sapendo che le persone felici sono difficilmente accessibili. S’accorse infatti di lì a poco che la tanto vantata felicità, come quella dei re, era più invidiata che veramente desiderabile; e che i cosiddetti inseparabili cominciavano già a cercare dei divertimenti esterni e persino delle distrazioni; onde concluse che i legami dell’amore e dell’amicizia dovessero essere già allentati, se non rotti addirittura, e che solo i legami dell’amor proprio e dell’abitudine resistevano tuttavia, sebbene indeboliti anche questi. Le donne, tenute unite dalla necessità, conservavano tuttora l’apparenza della cordialità di una volta; ma gli uomini, più liberi di andare dove volevano, avevano ritrovato i loro doveri da compiere, le loro faccende da sbrigare, e, se ancora qualche volta se ne lamentavano, non ne potevano però fare a meno, tanto che nelle serate raramente c’erano tutti. Tale circostanza fu utilissima a Prévan, che invece non mancava mai: egli, com’è naturale, si metteva ogni sera accanto alla donna che era stata lasciata sola dall’amante, e in tal modo poteva fare la corte a turno e secondo le circostanze a tutt’e tre le amiche. Aveva capito che, a sceglierne una, era un voler rovinare ogni cosa, perché la falsa vergogna d’essere la prima a tradire avrebbe sgomentato la preferita, e le altre due, ferite nella loro vanità femminile, sarebbero diventate nemiche implacabili del nuovo amante e non avrebbero mancato di farsi belle della loro severità, coonestandola coi grandi princìpi della morale. Senza contare che la gelosia avrebbe fatto certamente ritornare assiduo un rivale che era ancora temibile. Ogni cosa insomma sarebbe diventata un ostacolo. E invece tutto era facile, se si dava l’assalto contemporaneamente a tutt’e tre: ogni donna allora sarebbe stata indulgente perché vi aveva interesse, e ogni uomo altrettanto, perché non si sarebbe nemmeno accorto della propria indulgenza. Prévan non aveva allora che una donna sola da sacrificare. Ebbene (guardate se non è nato proprio con la camicia costui!), questa donna appunto allora divenne improvvisamente celebre. La sua qualità di straniera e il fatto che con molta accortezza aveva rifiutato gli omaggi di un principe richiamarono su di lei l’attenzione della Corte e della città. Il suo amante, come giusto, godette la sua parte di celebrità, e subito s’affrettò a metterla a profitto con le sue nuove fiamme. La sola difficoltà consisteva nel sapersi barcamenare perché i tre intrighi procedessero di conserva, con lo stesso passo; e questo doveva essere regolato per forza sulla più tardiva. So infatti da un suo amico, a cui egli l’aveva confidato, che la sua fatica più grande fu di trattenere una delle tre, la quale era già matura a darsi quindici giorni prima delle altre. Finalmente giunse il giorno tanto sospirato, e Prévan, che aveva avuto le tre dichiarazioni ed era perciò padrone ormai di regolare la faccenda a modo suo, fece quello che adesso vi dirò. Dei tre mariti, uno era in viaggio, l’altro doveva partire il giorno dopo, il terzo era a pranzo fuori di casa. Le amiche inseparabili dovevano pranzare a casa della futura vedovella, ma il novello signore non aveva permesso che vi fossero invitati i tre antichi servitori. La mattina di questo stesso giorno egli prese le lettere della sua bella e le divise in tre pacchetti uguali; mise nel primo il ritratto di lei, nel secondo un ricamo con le sue iniziali intrecciate, nel terzo una ciocca dei suoi capelli, e così ognuna delle tre inseparabili ricevette la terza parte di quell’olocausto come se fosse stato intero, acconsentendo in compenso di mandare all’amante caduto in disgrazia una lettera clamorosa di rottura. Era già qualche cosa; ma non era tutto. Quella che aveva il marito fuori di casa poteva disporre soltanto della giornata, e fu perciò stabilito che una finta indisposizione la dispenserebbe dall’andare a pranzo dall’amica e che la serata sarebbe stata tutta consacrata a Prévan; quella che aveva il marito in viaggio gli avrebbe dedicato la notte, e la terza, il cui marito partiva all’alba, lo

Page 100: Le Amicizie Pericolose.pdf

avrebbe accolto tra le sue braccia appena il marito se ne fosse andato. Prévan, che non trascura niente, corse allora dalla sua bella straniera con una mutria e un umore di quelli che occorrevano al caso suo, e tanto fa e dice che riesce a levar su una burrasca d’inferno, tale da assicurargli ventiquattro ore di libertà. Prese così le sue precauzioni, se ne torna pacificamente a casa, pensando di potersi prendere un po’ di riposo; ma qui altre faccende lo aspettano. Le lettere di rottura erano state un lampo di luce per gli amanti in disgrazia, e ognuno dei tre capì d’essere stato sacrificato a Prévan. Il dispetto d’essere stato beffato, unito al fastidio che dà sempre l’umiliazioncella d’essere piantati dall’amorosa, spinse i tre amici, senza che l’uno sapesse dell’altro, ma con un’uniformità di risoluzioni come se si fossero accordati insieme, a chiedere soddisfazione dell’oltraggio patito al rivale fortunato. Costui trovò dunque a casa i tre cartelli di sfida, e tutti e tre lealmente accettò; ma, non volendo perdere né i piaceri né lo scandalo di questa avventura, rimandò il duello al giorno dopo, fissando a ognuno d’essi l’appuntamento alla stessa ora e nello stesso luogo, e cioè a uno dei cancelli del Bosco di Boulogne. Venuta la sera, ecco il nostro conquistatore correre la triplice posta con egual fortuna. Se è vero infatti ciò ch’egli è andato spacciando, ognuna delle tre novelle amanti avrebbe avuto per ben tre volte il pegno del suo amore. Ma qui, come potete immaginare, difettano le prove alla storia, e tutto quel che uno storico imparziale può fare è d’avvertire il lettore incredulo che la vanità e la fantasia esaltata possono far miracoli, senza contare che, per ciò che doveva succedere il giorno dopo, era inutile economizzare per l’avvenire. Comunque, gli avvenimenti ulteriori hanno una maggiore certezza. Prévan fu puntuale all’appuntamento che aveva dato, e vi trovò i suoi tre rivali, un po’ meravigliati di quella strana coincidenza, ma forse anche già in parte consolati dall’avere almeno dei compagni di sventura. Egli si fece loro incontro con maniere affabili e perfettamente cavalleresche, tenendo il seguente discorsetto, che m’è stato fedelmente riferito: «Signori, trovandovi qui uniti insieme, avrete senza dubbio già indovinato che avete tutt’e tre lo stesso motivo di lamentarvi di me; e io sono pronto a darvi piena soddisfazione. Decida la sorte chi di voi tre dovrà essere il primo a tentare quella vendetta a cui avete tutti un uguale diritto. Io non ho portato con me né padrini né testimoni: come non ce ne sono stati per l’offesa, così non ne voglio per la riparazione.» Ma poi dando libero sfogo al suo umor gioviale aggiunse: «So che non è facile vincere un terno secco; ma, qualunque sia la sorte che m’attende, si è sempre vissuto abbastanza quando c’è stato tempo di conquistare l’amore delle donne e la stima degli uomini.» Mentre gli avversari si guardavano in faccia meravigliati, nel più rigoroso silenzio, e forse per delicatezza andavano rimuginando ciascuno dentro di sé che dopo tutto in questo triplice duello la partita non era uguale, Prévan riprese a parlare. «Non vi nascondo che la notte scorsa mi sono un po’ stancato, e sarebbe generoso da parte vostra se mi permetteste di rifocillarmi alquanto. Ho disposto che mi si tenesse qui pronta una colazione, e sarei davvero molto onorato se voleste farmi compagnia. E che sia soprattutto una colazione allegra. Battersi per delle sciocchezze va bene; ma non c’è bisogno, mi pare, di guastarcisi anche il sangue.» La colazione fu accettata, e dicono che Prévan fu simpatico come non era stato mai. Ebbe l’accortezza di non umiliare i suoi rivali, di persuaderli anzi che anch’essi sarebbero riusciti

Page 101: Le Amicizie Pericolose.pdf

facilmente in quello in cui era riuscito lui, e soprattutto di far ammettere che anch’essi, nei suoi panni, non si sarebbero lasciati sfuggire l’occasione. Una volta fatte queste ammissioni, ogni cosa si accomodò per il meglio; e non avevano ancora finito di mangiare, che tutti avevano proclamato almeno dieci volte di non metter conto di battersi tra gentiluomini per donne di quella fatta. Quest’idea mise tutti in vena di cordialità, e il vino fece il resto, sicché pochi momenti dopo non solo non c’era più nemmeno l’ombra del rancore, ma gli antichi rivali erano ormai amici per la pelle. Prévan, per il quale dopotutto questa soluzione o l’altra faceva lo stesso, non voleva tuttavia perdere nulla della sua celebrità, e pertanto, adattando i suoi piani alle circostanze, disse ai tre offesi: «Pare anche a me che voi fareste meglio a vendicarvi delle vostre amanti infedeli. E ve ne voglio offrire io stesso l’occasione, poiché mi sento già tócco da un oltraggio che tra poco, non c’è dubbio, dovrò sopportare anch’io: perché se nessuno di voi è riuscito a farne essere fedele una sola, come potrò io sperare di farmele fedeli tutt’e tre? Così la vostra questione diventa una questione anche mia. Accettate questa sera di pranzare nel mio casinetto, e vedrete che la vostra vendetta non tarderà.» Volevano che si spiegasse meglio; ma egli, col tono di superiorità che le circostanze gli permettevano, si limitò a rispondere: «Signori, credo di avervi provato d’aver tatto abbastanza in queste faccende. Rimettetevi a me.» Tutti acconsentirono e, dopo aver abbracciato il nuovo amico, si separarono per rivedersi la sera all’ora di mantenere le promesse. Prévan, senza perdere tempo, torna a Parigi, e va, secondo l’usanza, a far visita alle sue amichette, ottenendo da tutt’e tre l’assicurazione che sarebbero venute quella sera a un pranzetto intimo nel suo casinetto. Veramente due di esse si fecero un po’ pregare, ma che cosa si può rifiutare a un uomo, dopo che gli si è data la cosa più importante? Egli però diede tre appuntamenti a un’ora di distanza l’uno dall’altro, che era il tempo necessario per quel che intendeva fare. Dopo questi preparativi, fece avvertire gli altri tre congiurati; e tutt’e quattro se ne andarono allegramente ad aspettare le vittime. Ecco che arriva la prima. Prévan si presenta solo, la riceve con ogni premura, la porta nel santuario di cui ella dovrebbe essere la divinità, poi, allontanandosi con un pretesto, si fa sostituire dall’amante oltraggiato. Capite bene che la confusione d’una donna, non abituata ancora a questo genere d’avventure, rendeva molto facile in questo momento il trionfo del suo avversario: ogni rimprovero che le fu risparmiato fu ritenuto da lei come una grazia speciale, e la schiava fuggiasca, ricaduta nelle mani dell’antico padrone, si credette ben fortunata di poter sperare un generoso perdono tornando nelle catene di prima. Il trattato di pace fu ratificato in una cameretta più appartata; e la scena, rimasta vuota, fu successivamente riempita dagli altri attori, i quali vi ripeterono press’a poco lo stesso dramma, che ebbe sempre, a ogni modo, lo stesso scioglimento. Finora ogni donna aveva creduto d’essere sola. Lo sbigottimento e la vergogna crebbero quando venuta l’ora del pranzo, le tre coppie si trovarono insieme. Ma la confusione giunse al sommo quando Prevan, comparendo in mezzo a tutti, ebbe la crudeltà di fare alle sue tre belle infedeli le sue scuse, spiattellando così in pubblico ogni loro segreto e facendo capire chiaramente sino a quale punto esse erano state beffate.

Page 102: Le Amicizie Pericolose.pdf

Con tutto ciò si misero a tavola, e a poco a poco tornò il buon umore: gli uomini abbandonandosi all’allegria con vivo entusiasmo, le donne adattandovisi con rassegnazione. Avevano tutti l’odio nel cuore, ma le parole erano non di meno gentili e cordiali. Poi la gioia ridestò i desideri, e questi, a loro volta, diedero una grazia nuova alla gioia. Quest’orgia stupefacente durò sino al mattino, e, quando si separarono le donne dovettero immaginarsi d’essere state perdonate; ma gli uomini, che avevano conservato il loro risentimento, fecero sin dal giorno dopo una rottura in piena regola e, non contenti di piantare le loro leggerissime amanti, compirono la vendetta propalando quanto era accaduto. Ora, di queste tre donne, una è chiusa in un convento, e le altre due languiscono in un duro esilio nelle loro terre. Questa è la storia di Prévan. E ora tocca a voi decidere se volete accrescere la sua gloria facendovi incatenare anche voi al suo carro trionfale. La vostra lettera mi fa temere che sì, e aspetto con impazienza una risposta più tranquillante e più esplicita alla mia ultima lettera. Addio, amica mia, e diffidate delle idee argute e bizzarre che vi affascinano sempre con troppa facilità. Pensate che, nella carriera che avete intrapresa, non c’è furberia che basti, e spesso una sola imprudenza può rovinare ogni cosa senza riparo. Permettete perciò che l’esperienza d’un amico guidi talvolta i vostri passi. Io a ogni modo vi voglio bene, come se foste una donna ragionevole. Dal castello di ..., 18 settembre 17..

Lettera LXXX Il cavalier Danceny a Cecilia Volanges. Cecilia, mia cara Cecilia, quando verrà dunque il momento di rivederci? E chi m’insegnerà a vivere lontano da voi? Chi me ne darà la forza e il coraggio? Oh, che io non potrò mai, oimè, sopportare questa vostra lontananza fatale! Il mio dolore anzi cresce ogni giorno di più, e purtroppo non se ne vede ancora la fine. Valmont, che aveva promesso di aiutarmi e consolarmi, non si fa più vivo e forse s’è dimenticato di me: trovandosi vicino a colei che ama, non sa più ciò che si soffre a starne lontani! E infatti, mandandomi la vostra ultima lettera, non ci ha messo neanche un rigo di suo: eppure dovrebbe farmi sapere quando e in che modo potrò rivedervi! Possibile che non abbia ancora niente da dirmi? E anche voi non me ne parlate affatto. Dio mio! Che sia perché non ne avete nessun desiderio? Cecilia, Cecilia mia, quanto sono disgraziato! Vi amo più di prima; ma quest’amore, che era la gioia della mia vita, adesso è diventato un tormento. No, così non posso più vivere. Bisogna che vi veda, magari per un attimo solo. Quando mi alzo al mattino, penso: “Neanche oggi la vedrò!”, e la sera, quando vado a letto: “E neanche oggi l’ho veduta!”. Le giornate lunghe, interminabili, non hanno per me nemmeno un minuto di sollievo. Non c’è che privazione, rimpianto e una cupa disperazione nella vita mia; e tutte queste pene mi vengono proprio da colei che doveva darmi la felicità. Aggiungete a questi tormenti mortali la mia preoccupazione vivissima per quelli che dovete patire voi, e potrete farvi una pallida idea del mio stato. Vi penso sempre, e non posso farlo senza sentirmi tutto sconvolto: se v’immagino afflitta e disgraziata, soffro con voi; se v’immagino invece tranquilla e consolata, il mio orgasmo si accresce. Sicché vedete che in ogni cosa trovo una nuova ragione di pena.

Page 103: Le Amicizie Pericolose.pdf

Oh, non era mica così, quando voi eravate qui con me! Allora tutto per me era fonte di gaudio, e la certezza di vedervi abbelliva persino i momenti che mi stavate lontana: il tempo della lontananza, a mano a mano che passava, mi avvicinava sempre più all’istante beato di rivedervi! Del resto questo tempo io l’impiegavo sempre in qualche cosa che si riferisse a voi. Se compivo dei doveri, era per rendermi più degno del vostro amore; se coltivavo la mia mente, era per piacervi di più. Persino quando ero ingolfato nei divertimenti mondani, non si poteva dire, neanche allora, che voi foste assente del tutto: perché a teatro cercavo d’indovinare se lo spettacolo vi sarebbe piaciuto; ai concerti pensavo alla musica che eseguite voi e ai nostri duetti, che erano pure il dolce passatempo per noi; e finalmente nelle conversazioni e nelle passeggiate mi sfogavo a cercare nei visi delle altre donne le più leggere somiglianze col vostro. Sì, vi paragonavo a tutte, e il paragone era sempre a vostro vantaggio. Insomma, ogni ora, ogni minuto della mia giornata era consacrato a qualche nuovo omaggio alla vostra persona, che la sera poi portavo a voi come mio tributo del giorno trascorso. E adesso invece che mi resta? Rimpianti dolorosi, privazioni eterne, e una leggera speranza, che però il silenzio di Valmont va tutti i giorni scalzando e il vostro silenzio cambia addirittura in preoccupazione. In fondo sono non più di dieci leghe che ci separano; ma questo poco spazio, che si potrebbe superare facilmente, diventa solo per me un ostacolo insormontabile; e quando mi rivolgo al mio amico e al mio amore perché mi aiutino a sormontarlo, mi diventano tutt’e due freddi e indifferenti, e, invece di soccorrermi, non mi rispondono neanche. Dov’è andata a finire l’amicizia così pronta di Valmont? Dove sono andati a finire soprattutto i vostri sentimenti affettuosi, che vi rendevano tanto ingegnosa nell’inventare espedienti per vederci tutti i giorni? Mi ricordo che qualche volta, nonostante che ne avessi immenso desiderio, avrei dovuto sacrificarvi a ragioni di prudenza o a sacri doveri: ebbene, che dicevate voi allora? Quanti cavilli non escogitavate per combattere i miei ragionamenti? Ed erano sempre i miei ragionamenti (ve ne ricordate, Cecilia?) che cedevano ai vostri cavilli: oh, non me ne faccio mica un merito, sapete, perché io bruciavo d’impazienza d’accordarvi ciò che voi volevate ottenere, e non c’era insomma nemmeno l’ombra del sacrificio da parte mia! Ora è venuta la mia volta di chiedervi qualche cosa. E che cosa vi chiedo, dopo tutto? Appena appena di vedervi un momento, per rinnovarvi il mio giuramento d’un amore eterno, e riceverlo da voi. Ma questo dunque non è più un piacere anche per voi, come è per me? Lungi da me il sospetto che non sia: mi farebbe impazzire di dolore! Oh, no, voi mi amate e mi amerete sempre! Lo credo, ne sono certo, non voglio dubitarne mai. Ma la mia vita è spaventosa, e non può durare a lungo. Addio, Cecilia mia, Cecilietta mia! Parigi, 18 settembre 17..

Lettera LXXXI La marchesa di Merteuil al visconte di Valmont. Quanta pietà mi fanno le vostre apprensioni, che provano luminosamente la mia grande superiorità su di voi! E pensare che voi pretendereste insegnare qualche cosa a me, e farmi da guida! Oh, povero Valmont, quale abisso ci separa! E, per colmarlo, non può davvero bastare il vostro orgoglio maschile. Sapete perché i miei piani vi sembrano assurdi? Perché non vi sentite la forza di eseguirli. E, debole e orgoglioso come siete, vorreste non di meno giudicare, proprio voi, il metodo che ho scelto, le qualità che posseggo! I vostri consigli, mio caro visconte, mi hanno indisposta, non ve lo nascondo. Che voi, per mascherare la vostra incredibile melensaggine nei riguardi della presidentessa, vogliate gabellarmi per un gran trionfo l’aver potuto sconcertare per un momento una donnicciuola

Page 104: Le Amicizie Pericolose.pdf

timida e innamorata, beh, vada pure; e posso magari arrivare ad ammettervi, non senza tuttavia un sorrisetto di commiserazione, che sia una gran cosa quello sguardo, quell’unico sguardo che ne avete saputo ottenere! Che, sentendo a vostro marcio dispetto lo scarso valore della vostra collaborazione, speriate d’ingannarmi, con l’esagerare i vostri sforzi sublimi per ravvicinare due ragazzi che ne muoiono già di voglia e che (sia detto di sfuggita) debbono solo a me questo grande ardore che hanno di rivedersi, beh, vada anche questo! Che finalmente, imbaldanzito da codeste belle prodezze, pigliate con me la mutria dottorale per dirmi che è meglio impiegare il tempo nei fatti che nelle chiacchiere , beh, si tratta dopo tutto d’una piccola vanità che non mi fa né caldo né freddo, e posso passarci sopra! Ma che voi possiate credere che io abbia bisogno della vostra prudenza e che io possa rovinarmi a non dar retta ai vostri savi consigli; che per darvela vinta io debba rinunciare a cavarmi una voglia, a scapricciarmi come e quando mi piace, oh, via, caro visconte, questa è troppo grossa davvero: è un volersi gonfiare fuor di proposito per quel po’ di stima che mi sono degnata di avere per voi! E che diamine poi credete d’aver fatto? Io ne ho fatte mille volte più di voi. Avete sedotto e magari rovinato molte donne: non dico di no. Ma che difficoltà avete dovuto vincere, che ostacoli avete dovuto sormontare? Che meriti, veramente vostri, avete avuto in tutto ciò? Avete un bel viso, ma è mero effetto del caso; avete delle maniere simpatiche, ma la lunga consuetudine le conferisce a tutti; avete dello spirito, ma, se anche non l’aveste, un po’ di chiacchiera basterebbe ugualmente allo scopo; avete una faccia tosta encomiabile, ma vi è venuta in seguito ai primi buoni successi. Questi, se non sbaglio, sono tutti i vostri pregi. Perché in quanto alla celebrità di cui godete, spero che non pretenderete che io faccia un gran caso dell’arte così elementare di fare scoppiare uno scandalo o di approfittare d’uno scandalo già scoppiato. La prudenza, l’astuzia... oh, via! non voglio parlare di me ma qual donna non ne ha più di voi? Persino la vostra presidentessa vi mena per il naso come un ragazzino! Credetemi, visconte, è raro che si acquistino le qualità di cui non si ha uno stretto bisogno. Combattendo senza pericoli, voi uomini non avete nessun bisogno di precauzioni: per voi una sconfitta non è altro che una fortuna di meno. Nella nostra partita ineguale, la fortuna per noi donne è di non perdere, la vostra sfortuna di non guadagnare. E, quand’anche io vi accordassi tutti i meriti che abbiamo noi donne, noi li avremmo però sempre in un grado superiore al vostro, per il grande uso che ne dobbiamo fare di continuo. Poniamo per un momento che voi abbiate ad adoperare tanta abilità nel vincerci, quanta ne dobbiamo adoperare noi nel difenderci o nel cadere: a ogni modo, di tale abilità, voi dopo la vittoria, non sapreste più che farvene. Tutto preso dal vostro nuovo capriccio, voi potete abbandonarvici senza paura e senza riserve; né voi siete certo uno che si preoccupi di farlo durare! E infatti questi legami reciprocamente imposti e ricevuti (per dirla col gergo amoroso) voi solo potete, a vostra scelta, stringerli o romperli. Le donne sono già troppo fortunate se voi, con la vostra leggerezza, preferite il mistero allo scandalo e vi accontentate d’un abbandono umiliante senza avere anche la velleità che l’idolo di ieri diventi una vittima. Se invece una povera donna sente per prima il peso della sua catena, quanti rischi deve correre per tentare di liberarsene... Che dico? Per osare soltanto d’alleggerirla? Cerca, tutta tremante, d’allontanare da sé l’uomo che non può più soffrire; ma egli si ostina a non volersene andare, ed ecco ch’ella deve concedere ancora per paura ciò che prima concedeva per amore: “ s’apron le braccia, ma serrato è il cuore”; e la disgraziata può appena permettersi di sciogliere, con estrema prudenza e con cauta abilità, quei nodi che voi uomini avreste senz’altro reciso. Tutta alla mercé del suo nemico, non c’è scampo per lei se costui non ha un po’ di generosità; ma perché poi dovrebbe averne, se, avendola, qualche rara volta ne è lodato, e, non avendola, non ne è biasimato mai?

Page 105: Le Amicizie Pericolose.pdf

Non credo che vogliate negarmi verità che per la loro evidenza sono diventate luoghi comuni. Ebbene, se, ciò nonostante, voi m’avete vista, padrona degli avvenimenti e delle opinioni, fare di codesti terribili uomini un balocco per i miei capricci, e togliere a questo la volontà, a quello il potere di farmi del male; se ho potuto di volta in volta, secondo i miei gusti volubilissimi, avvincere a me oppure allontanare codesti “or schiavi, già tiranni spodesta ti”;25se in mezzo a queste frequenti rivoluzioni ho potuto conservare una reputazione illibata, come non pensare che io sono nata per vendicare appunto il mio sesso, facendo man bassa del vostro e inventando metodi che prima di me erano affatto sconosciuti? Oh, conservate i vostri consigli e le vostre apprensioni per quelle donne deliranti, che chiamano se stesse donne di sentimento , che hanno la fantasia tanto esaltata da far credere che la natura abbia messo ogni loro senso nel cervello, e, non avendo mai riflettuto sui loro casi, confondono l’amore con l’amante, al punto che, prese da questa folle illusione, credono che solo l’uomo dal quale hanno avuto una volta un po’ di piacere ne sia l’unico depositario, e, da vere beghine dell’amore, hanno per il sacerdote quell’adorazione e quella fede che sono dovute soltanto alla divinità! Temete per le donne che, più vanitose che prudenti, non sanno al bisogno acconsentire a essere abbandonate. Tremate soprattutto per quelle che voi chiamate sensibili e che, attive anche nell’ozio, si fanno spadroneggiare così facilmente e così intensamente dall’amore, da sentire il bisogno di pensarci anche nei momenti in cui non ne godono, e, abbandonandosi interamente al fermento della loro fantasia, Si mettono a scombiccherare quelle loro letterine dolciastre e pericolosissime, senza paura di confidare poi queste prove della loro debolezza alla persona che l’ha cagionata, trattando imprudentemente l’amante di oggi come se non dovesse diventare il nemico di domani. Ma che cosa posso avere io di comune con codeste scervellate? Quando mai mi avete vista scostarmi dalle norme che mi sono imposta o venir meno ai miei princìpi? Ho detto princìpi , e l’ho detto apposta: perché non sono, come quelli delle altre donne, dati giù a vanvera, ricevuti a occhi chiusi e seguiti per sola abitudine; sono invece il frutto d’una profonda meditazione; e, poiché li ho creati io, posso ben dire che mi sono fatta da me. Sono entrata nel bel mondo ch’ero appena una ragazza, e poiché per la mia troppo tenera età ero condannata al silenzio e all’inazione ne ho approfittato per osservare e riflettere. Gli altri mi credevano stordita e distratta, perché io infatti ascoltavo poco i discorsi che mi facevano con tanta premura, tutta assorta com’ero a carpire i discorsi che cercavano di nascondermi. Questa utile curiosità, mentre serviva a istruirmi, m’insegnò anche a dissimulare. Costretta com’ero a non far capire a coloro che m’erano attorno che stavo origliando, imparai di buon’ora a manovrare i miei occhi come volevo e a fingere così quello sguardo distratto che voi tante volte mi avete lodato. Incoraggiata da questo primo risultato. cercai di padroneggiare nello stesso modo i vari movimenti del viso, studiandomi, quando avevo qualche dispiacere, di mostrarmi serena e magari ilare. Giunsi anzi a tanto zelo, da patire delle sofferenze volontarie per esercitarmi ad assumere in quei momenti l’espressione della gioia. Con la stessa cura e con sforzi anche maggiori ho cercato di reprimere i sintomi d’una gioia improvvisa. A questo modo ho potuto farmi quella padronanza della mia fisionomia, di cui vi siete mille volte stupito. Ero allora giovanissima e quindi disinteressata; ma sentivo già che il pensiero era l’unico bene che possedevo, e m’indignava pertanto l’idea che altri potesse carpirmelo o sorprenderlo contro la mia volontà. Appena ebbi a mia disposizione queste mie prime armi, cercai di farne uso; e, non contenta d’essere diventata ormai impenetrabile, mi divertii a mostrarmi sotto i più svariati aspetti. E quando fui sicura dei miei gesti mi misi a osservare i miei discorsi, regolando gli uni e gli altri secondo le

Page 106: Le Amicizie Pericolose.pdf

circostanze o magari secondo i miei capricci. Da questo istante il mio modo di pensare fu una cosa veramente mia, e, del mio pensiero, manifestavo soltanto quel che m’era utile lasciar trapelare. Questo lavorìo che avevo compiuto dentro di me m’aveva offerto l’occasione d’esaminare le espressioni dei visi e la natura delle varie fisionomie negli altri: ne guadagnai un occhio sicuro e penetrante che poche volte mi ha ingannato di poi, sebbene l’esperienza mi abbia insegnato a non fidarmene alla cieca. Avevo appena quindici anni e possedevo già tutte le arti dei più famosi uomini politici; eppure ero ancora all’abbiccì della scienza che volevo apprendere. Come tutte le ragazze, cercavo anch’io d’indovinare che cosa fossero l’amore e i suoi piaceri; ma, poiché non ero stata mai nei monasteri, e non avevo nessuna amica intima, ed ero sorvegliata da una madre austera e vigilante, ne avevo soltanto idee vaghe che non riuscivo in nessun modo a precisare. La stessa natura, di cui più tardi ho avuto sempre da lodarmi, non me ne dava allora il menomo indizio, come se stesse lavorando in sordina per perfezionare l’opera sua. La mia testa invece era tutta in subbuglio: non m’importava di godere, mi bastava sapere. E il desiderio d’imparare era tanto che mi suggerì un espediente. Capii che il solo uomo, col quale avrei potuto parlare di queste cose senza compromettermi, era il confessore. Detto fatto: vincendo quel po’ di vergogna che potevo sentire, mi feci bella d’un peccato che non avevo commesso e mi accusai d’aver fatto quel che fanno tutte le donne. Tali le mie testuali parole; ma che cosa intendessi poi dire non lo sapevo davvero. La mia speranza non fu soddisfatta del tutto, ma neppure delusa: la paura di tradirmi m’impedì di chiedere maggiori chiarimenti; ma siccome il buon prete si dava un gran da fare per persuadermi che si trattava d’un peccato gravissimo, ne arguii che il piacere doveva essere immenso, e così la curiosità si cambiò in bramosia di goderlo. Con un desiderio simile, chissà dove diamine sarei potuta arrivare, e forse, inesperta com’ero, mi potevo affogare alla prima occasione; senonché, per fortuna, mia madre pochi giorni dopo venne ad annunziarmi che mi dava marito: la certezza che ormai avrei saputo tutto calmò le mie impazienze, e pertanto arrivai vergine tra le braccia del signor di Merteuil. Anzi ero tanto tranquilla, nel momento di sapere ciò che doveva accadere, che mi ci volle una buona dose di riflessione per fingere l’imbarazzo e la paura. La famosa prima notte, di cui le donne si fanno di solito un’idea troppo dolce o troppo crudele, per me non fu altro che un’occasione d’esperienza, e osservai ogni cosa, dolore e piacere, freddamente, con precisione, come se si trattasse di fatti da raccogliere e da meditare. Questo genere di studi cominciò presto a piacermi; ma, fedele ai miei princìpi e sentendo forse per istinto che non dovevo mai essere sincera con nessuno e specialmente con mio marito, mi feci vedere con lui addirittura impassibile, e ciò solo perché ero invece molto portata per quelle faccende. La mia apparente freddezza fu il fondamento incrollabile della sua cieca fiducia; e avendo io preso, a seguito d’una più profonda riflessione, l’aria d’una ragazza sventata, che si addiceva bene alla mia età, egli mi giudicò poi sempre ingenua come una bambina, soprattutto quando gliene facevo di tutti i colori. Ciò nonostante, lo confesso, mi lasciai trascinare dapprima dal turbine della vita mondana, dedicandomi tutta ai suoi futili divertimenti; ma dopo qualche mese, avendomi Merteuil portata nella sua malinconica campagna, la paura della noia fece rinascere in me la passione d’osservare; e, siccome ero attorniata da persone che per l’umiltà dei natali mi tenevano al coperto da ogni sospetto, potei allargare il campo delle mie esperienze, riuscendo così ad assodare che l’amore, che è tanto decantato come la causa dei nostri piaceri, ne è tutt’al più un pretesto.

Page 107: Le Amicizie Pericolose.pdf

La malattia di Merteuil venne a interrompere queste mie care occupazioni, e bisognò tornare in città per farlo curare. Morì, come sapete, poco tempo dopo; e, sebbene in fondo non avessi a lamentarmi di lui, sentii tuttavia vivamente il valore della libertà che la mia vedovanza stava per darmi, e mi ripromisi d’approfittarne. Mia madre immaginava che io entrassi in convento o che andassi a convivere con lei; ma io non feci né l’una cosa né l’altra, e tutto quel che potei concedere alle convenienze fu di tornare in campagna, dove mi restava ancora da fare qualche altra osservazione. Qui rafforzai il mio spirito investigativo con la lettura; ma non dovete credere però che i libri fossero tutti del genere che supponete voi. Studiavo gli usi del mondo nei romanzi, le opinioni nelle opere dei filosofi, e leggevo persino i più austeri moralisti per sapere che diamine pretendessero da noi. Seppi così tutto ciò che si poteva fare, tutto ciò che si doveva pensare e come bisognava fare le viste di essere. Una volta stabiliti questi tre punti, m’accorsi che solo l’ultimo presentava qualche difficoltà nell’esecuzione; e, sperando di vincerla, mi misi a meditare come dovevo fare per riuscirci. Cominciavo intanto ad annoiarmi di quella mia vita rusticana, troppo monotona per una testa vulcanica come la mia, e sentivo un bisogno di civetteria che mi riconciliava con l’amore; non già che io lo volessi provare, intendiamoci bene: volevo semplicemente ispirarlo agli altri e fingerlo da parte mia... Mi avevano detto e avevo letto che l’amore non si può fingere. Storie! Per riuscirvi, basta avere la fantasia di uno scrittore e l’abilità di un commediante. Io esercitavo appunto tutt’e due queste facoltà con maestria, ma non cercavo gli applausi delle platee: mentre altri le sacrifica alla vanità, io volevo invece servirmene per essere felice. In queste varie occupazioni passò un anno, e pertanto, trascorso il periodo del lutto, potei tornare in città portando con me i miei vasti piani, senza immaginare menomamente che avrei trovato subito un primo ostacolo. La lunga solitudine e l’austero ritiro mi avevano fatto affibbiare una fama di santocchieria che spaventava i nostri graziosi vagheggini; e questi dunque si tenevano alla larga, abbandonandomi a un branco di gente noiosa che aspirava alla mia mano. Rifiutarli sarebbe stata una cosa da poco; ma questi rifiuti dispiacevano alla mia famiglia, e io perdevo intanto in guerriglie intestine un tempo che avrei voluto impiegare più piacevolmente. Per attirare a me i corteggiatori e allontanare gli altri, dovetti ricorrere perciò a qualche scappatella, mettendomi in tal modo di proposito a rovinare la buona reputazione che avrei voluto invece conservare. Ci riuscii facilmente, si sa; e poiché nessuna passione mi accecava potei compromettermi solo quel tanto che bastava e non più, misurando con estrema prudenza le dosi della mia scapataggine. Appena ebbi toccato la mèta che volevo raggiungere, tornai sui miei passi e confessai onorevolmente i miei torti a quelle signore che, non potendo accampare pretese in fatto di grazie e di galanteria, si sono buttate alla virtù. Questo bel gesto mi giovò più che non avessi sperato. Le matrone, riconoscenti, si diedero a tessere la mia apologia a tutto spiano, e il loro cieco zelo per ciò che chiamavano l’opera loro giunse al punto che guai al malcapitato che si fosse permesso la più piccola maldicenza contro di me: subito tutta la bigotteria si levava su in coro a gridare allo scandalo e alla calunnia. Ma il mio atto mi accaparrò anche la simpatia delle signore di mondo, perché, persuase che io avessi rinunziato a correre la loro stessa carriera, scelsero me per prodigarmi i loro elogi quando volevano dimostrare che non era poi vero che sparlassero di tutte. Intanto le mie scappatelle precedenti mi avevano fruttato degli amanti, e per barcamenarmi tra questi e le mie fedeli protettrici mi diedi l’aria d’una donna di profondo sentire ma un po’ sofistica, a cui un’estrema delicatezza era di scudo contro l’amore. Cominciai allora a sfoggiare nel bel mondo le doti di cui m’ero provvista. Mia prima cura fu di farmi una fama d’invincibile, e, per arrivarci, finsi d’accettare gli omaggi di coloro che non mi piacevano, servendomene per

Page 108: Le Amicizie Pericolose.pdf

procurarmi gli onori d’una salda resistenza, mentre in segreto mi davo senza paura all’amante preferito. Col pretesto d’una finta timidezza non permisi mai ai miei amanti di seguirmi in società, e perciò gli sguardi di tutti furono sempre e unicamente rivolti al corteggiatore sfortunato. Voi sapete per esperienza che io, in genere, mi do subito, perché ho notato che sono quasi sempre gli indugi e i preparativi misteriosi a far scoprire i segreti delle donne. Per quanto si faccia, c’è sempre una certa differenza di tono tra il contegno di prima e quello di dopo, che a un osservatore attento non sfugge. Perciò mi è sembrato sempre meno pericolosa una scelta affrettata e magari addirittura sbagliata, che il permettere alla gente di ficcare il naso nei fatti miei. Anzi, con un tale sistema, ci guadagno anche questo: di togliere alla mia avventura ogni carattere di verisimiglianza, mentre è proprio sulla verisimiglianza che di solito si giudicano le nostre azioni. Queste precauzioni, e quella soprattutto di non scrivere mai, di non lasciare dietro di me nessuna prova della mia disfatta, precauzioni che ad altri potrebbero sembrare persino esagerate, a me non sono sembrate invece mai bastanti. Avendo scrutato attentamente il mio cuore, sono riuscita a capire quello degli altri, e ho visto che nessuno ce n’è in cui non sia gelosamente conservato un segreto che non si vorrebbe far conoscere agli altri: gli antichi hanno conosciuto questa verità meglio di noi, e la storia di Sansone ne è forse il simbolo più ingegnoso. Dàlila novella, io mi sono sempre arrabattata come lei a scoprire questo segreto, e sapeste quante capigliature di moderni Sansoni sono alla mercé di una mia sforbiciata! Questi almeno non li temo più; ed ecco perché mi sono presa qualche volta il gusto di umiliarli. Con gli altri, sono sempre stata più compiacente: per non parere leggera io ai loro occhi ho cercato con arte sottile di farmeli diventare infedeli, e ho ottenuto la loro discrezione con una finta amicizia, con un’apparente fiducia, con qualche gesto generoso, con la lusinghiera illusione che ha ciascuno d’essere stato l’unico mio amante. E quando anche questi espedienti mi sono venuti a mancare, prevedendo la rottura, ho saputo stroncare anticipatamente col ridicolo o con la calunnia il credito che questi uomini pericolosi avrebbero potuto ottenere. Questo che dico, voi me l’avete visto mettere in pratica almeno mille volte; e con tutto ciò dubitate ancora della mia prudenza? Ebbene, ricordatevi di quando cominciaste a farmi la corte voi: non c’è stato forse omaggio che io gradissi di più, poiché vi desideravo già prima di conoscervi. Allettata dalla vostra fama, mi pareva che senza di voi la mia gloria non potesse essere compiuta, e ardevo dall’impazienza di misurarmi con voi a corpo a corpo. Di tutti i miei capricci, voi siete stato il solo che mi abbia fatto perder le staffe. E tuttavia, se voi aveste voluto rovinarmi, quali prove avreste potuto addurre contro di me? Qualche vana parola, che non lascia traccia e che la vostra stessa reputazione avrebbe del resto resa incredibile, e una serie di fatti poco verisimili che, a raccontarli come sono accaduti, hanno tutta la parvenza d’un romanzo male imbastito. In seguito, è vero, vi ho confidato tutti i miei segreti; ma voi sapete quali e quanti interessi ci uniscono, e che, di noi due, non sono certo io la più imprudente.26 Dal momento che mi sono messa a rendervi conto dei fatti miei, voglio esser precisa. Mi pare già di sentirvi dire che io sono però almeno almeno nelle mani della mia cameriera, che, se non sa il segreto dei miei sentimenti, conosce tuttavia quello delle mie azioni. Quando me ne avete parlato un’altra volta, vi ho risposto che ero sicura di lei, e la risposta vi ha tranquillizzato, tanto che voi stesso le avete confidato poi, per conto vostro, segreti gravissimi. Ma, adesso che Prévan vi dà ombra e vi fa perdere la testa, mi viene il dubbio che non mi vogliate più credere sulla parola, e voglio edificarvi un po’. Vi dirò dunque che, anzitutto, questa ragazza è mia sorella di latte, un legame che a noi sembra una cosa da niente, ma per gente della sua fatta è invece una parentela molto stretta. Non basta: io so tutti i suoi segreti, e qualche cosa magari più d’un segreto perché la poveretta, caduta in preda a un amore furente, sarebbe finita assai male se io non l’avessi salvata: figuratevi che i suoi genitori,

Page 109: Le Amicizie Pericolose.pdf

intrattabili sul punto d’onore, volevano farla rinchiudere, e s’erano rivolti a me perché li aiutassi! Io, che vidi subito quanto la loro collera mi poteva giovare, finsi di assecondarli e sollecitai l’ordine di clausura, che infatti ottenni. Allora, passando di punto in bianco alla clemenza, persuasi anche i genitori a essere indulgenti, e, avvalendomi del mio ascendente presso il vecchio ministro, li feci tutti acconsentire a depositare nelle mie mani l’ordine e a lasciarmi arbitra di farlo o non farlo eseguire secondo che avessi giudicato opportuno dalla futura condotta della ragazza. Ella sa dunque che io ho in mano la sua sorte; e, quand’anche questo (ma non è possibile) non bastasse ancora a trattenerla, è evidente che le sue parole non sarebbero credute, una volta che si sapesse chi è e che cosa ha fatto e la giusta punizione che verrebbe ad avere per tale sua colpa. A tali precauzioni, che io giudico fondamentali, ne vanno aggiunte altre mille, locali e occasionali, che la riflessione e l’abitudine mi suggeriscono ogni volta che se ne presenta il bisogno: sarebbe troppo lungo scendere qui a particolari, ma voglio che sappiate che metterle in pratica è per me cosa di somma importanza, e, se volete sapere quali siano, dovete studiare davvicino tutto il complesso dei miei atti e del mio contegno. Ma pretendere che io mi sia data tanto da fare per non saperne cavare poi nessun costrutto; che, dopo essermi sollevata a furia di penose fatiche al disopra della mediocrità, io voglia adattarmi a strisciare terra terra come le altre donne, traccheggiando tra l’imprudenza e la timidezza; che soprattutto io possa temere tanto un uomo da vedere la mia salvezza solo nella fuga, ah, caro visconte, no, questo non può essere né sarà mai! O vincere o morire. Quanto a Prévan, io voglio averlo, e l’avrò; egli vorrebbe andarlo a raccontare, e non lo racconterà: ecco, in due parole, tutto il mio nuovo romanzo. Addio. Parigi, 20 settembre 17..

Lettera LXXXII Cecilia Volanges al cavalier Danceny. Dio mio, quanto dolore mi ha dato la vostra lettera! E pensare che io l’attendevo con tanta impazienza, sperando di poterci trovare qualche consolazione! Invece adesso sono più afflitta di prima, e, nel leggerla, non ho fatto che piangere; ma non ve ne rimprovero, perché tante altre volte ho pianto per causa vostra. Senonché allora, vedete, non provavo tutto questo dolore. Questa volta è stata una cosa affatto diversa. Che cosa volete intendere dicendo che l’amore è diventato un tormento per voi, che non potete vivere più così, che la vostra situazione è insostenibile? Vorreste forse non amarmi più, poiché l’amore non vi dà la gioia di un tempo? Mi pare che io non sia mica più fortunata di voi: eppure vi voglio più bene di prima. Se Valmont non vi ha scritto, che colpa ne ho io? Io non l’ho potuto sollecitare, per la buona ragione che non sono riuscita a star sola con lui nemmeno un minuto, e siamo rimasti d’accordo di non parlarci mai in presenza degli altri. E anche questo, dopo tutto, è stato fatto proprio per voi, perch’egli possa far più presto ciò che ci sta tanto a cuore. Sta a cuore anche a me, e non c’è bisogno che lo dica perché voi lo sapete meglio di me; ma insomma come volete che io faccia? Se vi pare tanto facile, suggeritemelo voi, e io non domando di meglio. Credete che sia molto piacevole per me essere sgridata tutti i giorni dalla mamma, che prima non mi diceva mai niente? Tutt’altro, e vi giuro che stavo meglio quando ero in convento. Ciò nonostante, me ne consolavo pensando che sono sgridata per voi; e in certi momenti ne ero anzi quasi orgogliosa; ma a vedervi così corrucciato, senza che io ne abbia colpa per nulla, mi sento

Page 110: Le Amicizie Pericolose.pdf

avvilita molto più che per tutto quello che mi è capitato finora. Sapeste in che impicci mi metto, soltanto per ricevere le vostre lettere! E, se Valmont non fosse tanto bravo e compiacente, non saprei davvero come fare. Per scrivervi poi, la cosa è anche più difficile. Di mattina non oso farlo, perché la mamma mi sta vicina di camera e ogni tanto entra anche in camera mia. Posso farlo qualche volta nel pomeriggio con la scusa di cantare e sonar l’arpa; ma mi tocca interrompermi a ogni riga per far sentire che studio. Per fortuna la mia cameriera s’addormenta qualche volta di sera, e io le dico che mi spoglio da sola per far che se ne vada e mi lasci la candela. Allora mi tocca racchiudermi dentro le cortine del letto perché non si veda la luce, e stare con le orecchie tese al menomo rumore per poter nascondere tutto nel letto nel caso che venga qualcuno a trovarmi. Oh, vorrei che foste qui per vedere, e allora sì, vi persuadereste che per fare questo bisogna proprio volere molto, ma molto bene! Insomma faccio tutto quello che posso, e magari potessi fare di più! Vi pare possibile che io voglia rifiutare di dirvi che vi amo e vi amerò sempre? Anzi non ve l’ho detto mai con tanto entusiasmo. E voi mi ci fate pure il broncio, adesso! E sì che quando io non ve l’avevo detto ancora, mi giuravate che sarebbe bastato a farvi felice! Non potete negarlo: è scritto nelle vostre lettere; perché, sebbene io non le abbia più con me, me ne ricordo però come quando le leggevo tutti i giorni. E adesso, solo perché siamo lontani, non pensate più come prima. Ah, questa lontananza non vorrà mica durare eterna! Oh, Dio, quanto sono infelice, e tutto per causa vostra! A proposito delle vostre lettere, spero che avrete conservato quelle che mi ha prese la mamma e che vi ha restituite. Che diamine! Dovrà pur venire un tempo che non vivrò sempre sorvegliata così, e allora me le restituirete tutte. Come sarò felice, quando potrò tenerle sempre con me, senza che nessuno abbia a ridirci nulla! Quelle che mi scrivete adesso le consegno a Valmont, perché sarebbe pericoloso fare altrimenti, ma sapeste con che cuore me ne separo! Addio, mio bene. Vi amo con tutto il cuore, e vi amerò tutta la vita. Spero che non sarete più afflitto; e, se ne fossi sicura, non lo sarei più neanche io. Scrivetemi appena potete, perché sarò sempre triste sino allora. Dal castello di ..., 21 settembre 17..

Lettera LXXXIII Il visconte di Valmont alla presidentessa Tourvel. Signora, continuiamo, di grazia, il nostro colloquio così malauguratamente interrotto, perché io possa finire di provarvi quanto sono diverso dall’odioso ritratto che vi avevano fatto di me; perché io possa soprattutto godere ancora di quella cara fiducia che cominciavate già a manifestarmi. Quanta grazia voi sapete conferire alla virtù! Come sapete far belli e amabili tutti i sentimenti onesti! Questo è appunto il vostro fascino, il maggiore di tutti i vostri fascini, il solo che riesca insieme efficace e rispettabile. Basta certo vedervi per desiderare di piacervi; e, a sentirvi parlare poi in una conversazione, il desiderio non può che accrescersi. Ma chi ha la fortuna di conoscervi più da vicino, di poter leggere talvolta nell’anima vostra, oh, quello non può fare a meno di sentire un più nobile entusiasmo, fatto di venerazione e d’amore, e di adorare in voi l’immagine di tutte le virtù! Io ero fatto forse per amarle e seguirle meglio di ogni altro; e se, traviato da mille errori, ho potuto scostarmene, ecco che ora voi me ne ravvicinate e me ne fate sentire ancora tutta la bellezza. Come potete farmi una colpa di questo mio nuovo zelo? Come potete biasimare l’opera vostra? Come potete rimproverare a voi

Page 111: Le Amicizie Pericolose.pdf

stessa l’interessamento che ci mettete? Che male ci può essere in un sentimento tanto puro, da cui non può venire altro che dolcezza? Il mio amore vi spaventa perché troppo violento e sfrenato? Ebbene, smorzatene l’impeto con un amore più mite; ma non rifiutate, per carità, il dominio che vi offro sul mio cuore e a cui giuro di non sottrarmi mai più, perché non può venirmene che bene. Quale sacrificio infatti potrebbe parermi duro, quando fossi certo che voi, nel vostro intimo, ne apprezzate tutto il valore? E ci può essere un uomo tanto disgraziato da non saper godere delle privazioni che s’impone, da non preferire una parola buona, il regalo di uno sguardo liberamente accordato, a tutti i piaceri che potrebbe carpire con la forza o con l’astuzia? E voi avete potuto credere che io fossi così meschino, e ne avete avuto paura? Oh, perché la vostra felicità non dipende da me? Allora sì che vedreste come saprei vendicarmi di voi, facendovi felice! Ma un ascendente così dolce sulle anime non può darlo la sterile amicizia: può darlo solo l’amore. Questa parola vi mette paura. Perché? Un affetto più tenero, una più stretta comunione di anime, e l’avere un solo pensiero, una sola felicità, un solo tormento, come può tutto ciò essere estraneo all’anima vostra? Eppure questo e non altro è l’amore: o almeno questo è l’amore che voi ispirate e che io sento per voi. Un tale amore, facendo giudicare ogni cosa disinteressatamente, ci fa apprezzare le virtù secondo il loro merito, e non secondo la loro utilità; è il tesoro inesauribile delle anime delicate; e tutto ciò che è fatto in suo nome e per causa sua diventa prezioso al cuor nostro. Che ci può essere dunque di terribile in queste verità, così facili a comprendere, così dolci a praticare? E che paura può farvi un uomo di profondo sentire, a cui l’amore non consente più altra felicità se non la vostra? Questa è oggi infatti l’unica mèta a cui agogno, e saprò sacrificar tutto per raggiungerla, fuor del sentimento che l’ispira. E questo stesso sentimento, del resto, purché vogliate esserne partecipe, potrete regolarlo a vostro arbitrio. Ma, per carità, non tolleriamo più oltre che esso ci divida, mentre dovrebbe riunirci. Se l’amicizia che m’avete offerta non è una vana parola, se (come mi dicevate voi ieri) è il sentimento più dolce che conoscete, ebbene, faccia essa da intermediaria tra noi due: non sarò certo io a rifiutarla, purché, erigendosi a giudice dell’amore, acconsenta ad ascoltare le sue ragioni. Rifiutare di ascoltarlo sarebbe una vera ingiustizia, e l’amicizia non può essere ingiusta. Un secondo colloquio non può aver nessun inconveniente, come non ne ha avuto il primo; e il caso potrebbe fornircene un’altra volta l’occasione. Potete voi stessa indicarne il momento opportuno. Voglio ammettervi che io abbia avuto tutti i torti; ebbene, per voi non è forse preferibile farmi ravvedere piuttosto che osteggiarmi? Dubitereste per avventura della mia docilità? Se un importuno non fosse venuto a interromperci sul più bello, forse a quest’ora mi avreste già convertito. Chi può sapere dove arriva il vostro fascino? Ve lo debbo dire? Questo potere invincibile, a cui io do tutto me stesso in balìa, senza osare di misurarne la forza, questo fascino irresistibile che vi fa sovrana assoluta di tutti i miei pensieri e di tutte le mie azioni, a volte mi fa quasi paura. Forse dovrei essere io a temere il colloquio che vi domando; forse, dopo di esso, sarò vincolato dalle promesse che mi avrete strappato e ridotto ad ardere d’un amore che non si potrà spegnere mai, senza neanche il conforto di poter implorare ancora il vostro aiuto. Ah, signora, di grazia, non abusate del vostro potere! Che dico? Se ciò dovesse contribuire a rendervi più felice, se io dovessi uscirne più degno di voi, anche le sofferenze sarebbero mitigate da questo pensiero consolante! Sì, lo sento: parlare un’altra volta con voi equivale a darvi armi più formidabili contro di me, a sottomettermi interamente ai vostri voleri. È più facile difendersi contro le vostre lettere: le parole sono le stesse, ma non ci siete voi a dar loro la forza della vostra presenza. Ciò nonostante, la gioia di sentirvi parlare mi fa sfidare il pericolo; e

Page 112: Le Amicizie Pericolose.pdf

dopo tutto avrò almeno la soddisfazione d’aver fatto sino all’ultimo il mio dovere con voi, anche se l’ho fatto a mio danno. I miei sacrifici diventeranno allora un omaggio, e io sarò ben fortunato se vi avrò potuto provare in mille maniere, come in mille maniere io lo sento, che voi siete e sarete sempre, senza nessuna eccezione, la cosa più diletta al mio cuore. Dal castello di ..., 23 settembre 17..

Lettera LXXXIV Il visconte di Valmont a Cecilia Volanges. Avete veduto ieri sera come siamo stati disturbati? In tutta la giornata non c’è stato verso di potervi consegnare la lettera che avevo per voi, e non so se oggi me la caverò meglio. Ho paura di compromettervi, perché non basta lo zelo: ci vuole anche destrezza; e non mi perdonerei mai e poi mai un’imprudenza che vi riuscisse fatale e facesse la disperazione del mio amico, rendendovi tutt’e due infelici per tutta la vita. Conosco tuttavia per dura esperienza le impazienze dell’amore, e sento quanto debba essere penoso, nella vostra condizione, un ritardo a ricevere l’unica consolazione che possiate avere in questo momento. A furia di pensare come dirimere tante difficoltà, ho trovato un rimedio che è di facile esecuzione, purché voi ci mettiate un po’ d’impegno. Mi pare d’aver notato che la chiave della vostra porta sul corridoio è sempre sul caminetto nella camera di vostra madre. Con questa chiave, già si sa, tutto diventerebbe più facile; ma, non potendo avere proprio quella, potrei procurarvene un’altra simile che farà benissimo le sue veci. Mi basterebbe aver la chiave vera per un’ora o due a mia disposizione, e a voi non deve essere difficile procurarmela, intanto, perché nessuno si accorga della sua scomparsa, ve ne unisco qui una mia che, così a occhio e croce, rassomiglia alla vostra tanto da non far notare la differenza, a meno che non si volesse provarla, ma di ciò non vi è pericolo. Occorrerà soltanto che ci mettiate un nastrino azzurro un po’ sbiadito come quello che è nella vostra. Bisognerebbe cercare di farmi avere la chiave domani o posdomani, all’ora di colazione, perché vi sarà più agevole darmela allora e potrà essere rimessa al posto per la sera, quando è più probabile che la vostra mamma ci faccia caso. Io potrei restituirvela all’ora del pranzo, se c’intenderemo bene sul da fare. Avrete osservato che, quando si passa dal salotto alla sala da pranzo, la signora Rosemonde è sempre l’ultima a uscire; io le darò il braccio, e voi non avrete che da alzarvi su dal vostro telaio adagio adagio o da far cadere qualche cosa per terra, in modo da restare voi l’ultima quella sera, sicché potrete prendere comodamente la chiave che io terrò con una mano dietro il dorso. Guardate di non scordarvi, appena l’avrete presa, di raggiungere la vecchia zia e di farle qualche complimento. Se per caso la chiave vi cadesse per terra, non ve ne pigliate; farò finta d’esser stato io, e insomma risponderò io di ogni cosa. La scarsa fiducia che ha di voi vostra madre e il suo contegno estremamente severo nei vostri riguardi ci scusano di dover ricorrere a questa piccola gherminella. A ogni modo, è l’unico espediente che ci rimane per poter continuare a ricevere lettere di Danceny e fargli avere le vostre risposte: tutti gli altri sono veramente troppo pericolosi e potrebbero comprometterci tutt’e due irrimediabilmente, sicché la mia prudente amicizia si farebbe un rimorso di servirsene ancora. Una volta che la chiave sia in mano mia, occorrerà prendere qualche precauzione perché la porta e la serratura non facciano rumore, ma si tratta di roba da nulla. Sotto quel medesimo armadio dove vi ho messo la carta, troverete un po’ d’olio e una piuma. Ho visto che siete solita a ritirarvi qualche

Page 113: Le Amicizie Pericolose.pdf

volta in camera vostra e a rimanervi sola: ebbene, ne approfitterete per ungere la serratura e i cardini. State bene attenta di non macchiarvi d’olio, perché questo deporrebbe contro di voi. E meglio di tutto sarebbe aspettare la notte, perché, facendo le cose bene, come sapete farle voi con la vostra intelligenza, il giorno dopo non ne resterebbe traccia. Se con tutto ciò se ne dovessero accorgere, non esitate un attimo a dire che è stato il servo che fa la pulizia nel castello; e in questo caso sarà bene specificare il tempo e i discorsi che avrà fatto con voi: come, per esempio, che lui prende questa precauzione contro la ruggine per tutte le serrature che s’adoperano poco. Perché non sarebbe verisimile che voi aveste assistito a una faccenda come questa senza domandare qualche spiegazione. Lo scendere a tali minuti particolari è proprio quello che ci vuole per dare colore di verità alle bugie e per impedire che si scoprano, togliendo il desiderio di verificarle. Dopo che avrete letto questa mia lettera, vi prego di leggerla una seconda volta prima di fare quello che vi è scritto: anzitutto perché bisogna saper bene ciò che si vuole fare, e poi per assicurarvi che non ho dimenticato nulla. Sono poco abituato ai sotterfugi per conto mio, e mi manca perciò la esperienza. E se non fosse per l’amicizia vivissima che mi lega a Danceny e per la simpatia che voi m’ispirate, non mi sarei mai adattato a servirmi di questi sistemi, per quanto innocentissimi. Non posso soffrire tutto quel che sa di tranello. Che volete? Sono fatto così! Ma le vostre disgrazie mi hanno commosso, e tenterò ogni cosa per alleviarle. Si sa che una volta stabilito tra noi questo modo sicuro di comunicare, mi sarà più facile procurarvi quel colloquio con Danceny che egli desidera tanto. A ogni modo, per ora non gli dite niente di tutto ciò, perché non fareste che accrescere la sua impazienza, mentre non è giunto ancora il momento di soddisfarla; e voi dovete, mi pare, calmarla anziché inasprirla. Ma su questo mi rimetto alla vostra delicatezza. Addio, o mia bella pupilla: perché voi siete proprio la mia pupilla. Vogliate un po’ di bene al vostro tutore, e soprattutto siate docile con lui e ve ne troverete contenta, perché io mi occupo del vostro bene, e state sicura che facendo il vostro bene faro anche il mio. Dal castello di ..., 24 settembre 17..

Lettera LXXXV La marchesa di Merteuil al visconte di Valmont. Ora sarete finalmente tranquillo e soprattutto mi renderete giustizia: statemi a sentire, e badate di non confondermi più con le altre donne. Ho portato a fine l’avventura con Prévan. Ho detto “a fine”, intendetemi bene. E adesso giudicate voi, tra me e lui, chi potrà vantarsene meglio. Il racconto non sarà divertente quanta è stata l’azione; d’altronde non sarebbe giusto che voi, il quale non avete fatto se non ragionare (o piuttosto sragionare) su questa faccenda, ne doveste avere lo stesso piacere che ne ho avuto io, che, poveretta, vi ho dedicato tempo e fatica. E adesso, se avete qualche bel tiro da compiere, qualche grandiosa impresa da tentare, in cui il terribile rivale vi metteva soggezione, fatevi pure avanti: egli vi lascia campo libero, almeno per un po’ di tempo. E potrebbe anche darsi che egli non si risollevasse più dal tracollo che gli ho dato io. Che fortuna la vostra, però, di avermi per amica! Oh, io sono davvero per voi la fata benefica! Languivate lontano dalla bella per cui sospirate tanto, e, a una mia parola, ecco che vi ritrovate accanto a lei. Volete vendicarvi di una donna che vi ha fatto del male, e io vi ho indicato il punto più

Page 114: Le Amicizie Pericolose.pdf

sensibile dove dovete colpirla e ve la do a discrezione. Infine ricorrete nuovamente a me per fare ritirare dalla lizza un avversario che vi faceva ombra, ed ecco che io sono pronta a esaudirvi. Sentite, se non passerete tutta la vita a ringraziarmi, vorrà dire proprio che siete un ingrato. Ma torniamo alla mia avventura, cominciando dal principio. L’appuntamento che avevo dato ad alta voce all’uscire dall’Opera27era stato udito, come io avevo sperato. Prévan è stato puntuale e, quando la marescialla gli ha detto cortesemente che era molto lieta di vederlo due volte di seguito nel suo salotto, egli ha risposto che sin da martedì sera aveva rimandato alcuni impegni per poter disporre liberamente di questa serata. A buon intenditor poche parole. Ma siccome volevo accertarmi meglio d’essere proprio io lo scopo di tante premure così lusinghiere, ho costretto il mio novello spasimante a scegliere tra me e la sua antica passione. Ho fatto dunque sapere che quella sera non avrei giocato; ed ecco ch’egli infatti ha trovato mille pretesti per non giocare nemmeno lui: e ho cominciato così a trionfare sulla zecchinetta. Mi sono messa allora a conversare col vescovo di A.; e l’ho scelto apposta, sia perché molto amico del nostro eroe, a cui volevo spianare la via d’avvicinarmi, sia anche per avere un testimonio rispettabile che, al bisogno, potesse deporre sul mio contegno e sui miei discorsi. E anche questo mi è riuscito come volevo. Dopo le solite frasi generiche e di prammatica, Prévan, resosi padrone della conversazione, prese di volta in volta toni diversi per saggiare qual era quello che mi piaceva di più. Io rifiutai il tono sentimentale, facendogli capire che non ci credevo; troncai con severità il tono allegro, che mi pareva troppo frivolo per un inizio; ed essendosi egli buttato allora sul tono di un’amicizia delicata, cominciammo sotto questa bandiera assai comune le nostre reciproche schermaglie. Al momento d’andare a pranzo, il vescovo non si moveva, e fu perciò Prévan a darmi il braccio e a mettermi poi a tavola vicino a lui. Bisogna essere giusti: egli seppe sostenere con molta abilità la nostra conversazione particolare, mentre fingeva d’interessarsi soltanto a quella generale e anzi d’esserne addirittura il protagonista. Alle frutta si venne a parlare d’una commedia nuova che si doveva dare il lunedì seguente al Teatro dei Francesi; e avendo io fatto vedere che mi dispiaceva di non aver fissato a tempo un palchetto, mi offrì premurosamente il suo. Io da principio rifiutai, come si suol fare; e allora egli mi rispose scherzosamente che c’era stato un equivoco da parte mia, perché egli non si sarebbe mai sognato di sacrificare il suo palco per una signora che non conosceva, ma che aveva voluto dirmi soltanto che il palchetto sarebbe stato a disposizione della signora marescialla. La marescialla si prestò allo scherzo, e allora accettai. Tornati che fummo in salotto, Prévan, come potete immaginare, mi chiese un posto nel palchetto, e, siccome la marescialla ha molta benevolenza per lui, glielo promise se fosse stato buono. Egli prese da ciò lo spunto per uno di quei discorsi a doppio senso, nei quali voi m’avete vantato tanto la sua bravura. E, inginocchiatosi infatti ai suoi piedi, come un ragazzo obbediente (sono le sue parole) col pretesto di chiederle consiglio e d’implorare la sua giustizia, disse molte cose tenere e lusinghiere che io potevo facilmente capire come rivolte a me. Poiché adesso erano parecchi gli invitati che non s’erano voluti rimettere a giocare, la conversazione divenne più generale e pertanto meno interessante; ma i nostri occhi si dissero molte cose. Ho detto “i nostri occhi” e avrei dovuto dire i suoi, perché i miei non espressero altro che la meraviglia. Dovette credere che io fossi così meravigliata, per l’effetto prodigioso che mi aveva fatto, e insomma lo lasciai assai contento: ma io ero anche più contenta di lui Il lunedì seguente fui ai Francesi, come avevamo stabilito. Nonostante le vostre curiosità letterarie, non posso dirvi niente della commedia, senonché Prévan ha una bravura straordinaria nell’arte di corteggiare le donne e che la commedia è stata fischiata: ecco tutto quello che so. Mi sentivo dentro una certa amarezza nel vedere avvicinarsi la fine di una serata che era stata veramente magnifica; e,

Page 115: Le Amicizie Pericolose.pdf

per prolungarne il godimento, proposi alla marescialla di venire a cena a casa mia, e così ebbi la scusa d’invitare anche il simpatico corteggiatore, che non si fece pregare due volte e mi chiese solo il permesso di far due salti sino a casa della contessa P. per liberarsi da un impegno precedente. Il nome della contessa mi fece saltar la mosca al naso, perché capii chiaramente che egli vi andava per cominciare con lei le famose confidenze. Mi rammentai allora i vostri preziosi consigli, e giurai a me stessa... di continuare l’avventura, sicura com’ero di guarirlo da questa sua pericolosa indiscrezione. Essendo egli un estraneo tra i frequentatori del mio salotto (che quella sera erano pochini) toccavano a lui gli onori d’uso; e così, nell’andare a cena, mi offrì la mano. Io, accettandola, ebbi la malizia di mettere nella mia un fremito leggero e di tenere durante il cammino gli occhi bassi, respirando affannosamente. Mi davo insomma l’aria di chi ha il presentimento della propria disfatta e ha paura del vincitore. L’infame lo capì benissimo, e cambiò li per lì il tono e il contegno: da galante che era, si fece sentimentale. I discorsi erano press’a poco gli stessi, perché imposti dalla circostanza; ma il suo sguardo era adesso meno vivace e invece più carezzevole, la sua voce aveva accenti più soavi, il suo sorriso, perduta ogni traccia di malizia, aveva un’espressione d’intimo soddisfacimento, e finalmente il brio, smorzando adagio adagio il fuoco dell’arguzia, lasciò il posto alla delicatezza. Mi domandavo che diamine avreste potuto far voi di meglio, al suo posto! Da parte mia diventai tanto pensierosa che alla fine dovette accorgersene anche lui, e me ne mosse rimprovero; ma io ebbi la furberia di discolparmene adducendo scuse magrissime e gettando intanto su Prévan un’occhiata rapida, ma timida e confusa, proprio quel che ci voleva per fargli credere che io avessi paura di lasciargli indovinare la causa del mio turbamento. Dopo cena, ho approfittato del tempo in cui la nostra brava marescialla raccontava una delle sue solite storie, per sdraiarmi sull’ottomana in un atteggiamento di molle abbandono, come quando si è ingolfati in un soave fantasticare. Non mi dispiaceva affatto che Prévan mi vedesse così, ed egli mi onorò infatti d’una speciale attenzione. Non osavano i miei timidi sguardi, si sa, cercare direttamente gli occhi del conquistatore, ma, rivolti più umilmente verso di lui, subito mi avvertirono che io avevo raggiunto il risultato voluto. Bisognava adesso persuaderlo che anch’io condividevo i suoi sentimenti, e perciò, quando la marescialla osservò che per lei era ora d’andarsene, esclamai con una vocina velata e languente: «Oh, Dio! E pensare che stavo tanto bene così!» Mi alzai in piedi, ma, prima di dividermi da lei, le domandai che cosa avrebbe fatto nei giorni seguenti, per avere il pretesto di dire ciò che avrei fatto io e di fare sapere in tale modo che di lì a due giorni sarei rimasta in casa. Dopodiché la gaia comitiva si separò. Allora mi misi a riflettere ai casi miei. Nessun dubbio che Prévan avrebbe approfittato di quella specie d’appuntamento che gli avevo dato. Sarebbe anzi venuto presto, per trovarmi sola, e avrebbe fatto un assalto a fondo. D’altra parte, per la reputazione di cui godo, ero altrettanto sicura che non avrebbe osato trattarmi con la leggerezza che chi per poco abbia pratica del mondo usa appena con le avventuriere o con le donne assolutamente ignare di tutto; e pertanto, purché venisse a parlarmi d’amore, e tanto meglio poi se manifestasse la pretesa di ottenerlo da me, avrei avuto causa vinta. È una bella fortuna però avere a che fare con voi libertini, che in queste faccende seguite sempre un metodo costante! Uno spasimante novellino può sconcertarci con la sua timidezza o invece metterci in serio imbarazzo con la sua foga troppo irruente: anche l’amore è una febbre, e come l’altra ha i suoi brividi di freddo e i suoi bollori, variando di volta in volta i suoi sintomi. Ma la vostra tattica invece, sempre uguale, s’indovina così facilmente! Che cosa avrebbe fatto al suo arrivo, i discorsi, le maniere, il tono, io sapevo già tutto sin dal giorno prima. Non vi starò dunque a ripetere la nostra

Page 116: Le Amicizie Pericolose.pdf

conversazione, che potete immaginare da voi. Voglio solo che sappiate che, facendo finta di difendermi, cercavo di aiutarlo del mio meglio, ora mostrandomi confusa per dargli il tempo di parlare, ora adducendo ragioni frivole e futili perché potesse combatterle agevolmente, ora facendomi vedere incredula e diffidente perché tornasse alla carica con le sue pretese amorose. Aggiungete il suo ritornello continuo: « Ma io non vi chiedo che una parola sola», a cui io rispondevo con quel silenzio che pare fatto apposta per acuire, nell’attesa, il desiderio, e, in mezzo a tutto ciò, la mia mano presa e ripresa cento volte, e ogni volta ritirata senza che però fosse rifiutata mai: e avrete un’idea precisa della scena. Ci sarebbe da passare così una mezza giornata, ma noi ci abbiamo passato appena un’ora, ed era anche troppo; saremmo forse ancora lì, se non avessimo sentito il rumore di una carrozza che entrava nel cortile. Questo fortunato contrattempo, com’era naturale, gli ha dato più aìre; e io allora, vedendo giunto il momento di potermi sbilanciare senza gravi inconvenienti, gli ho detta finalmente la parola tanto preziosa. Vennero ad annunziarmi una visita, e poco dopo arrivarono anche altri invitati. Prévan mi chiese il favore di tornare la mattina dopo, e io glielo concessi; ma, per salvaguardarmi da ogni pericolo, ordinai alla cameriera di restare, finché durasse la visita, nella mia camera da letto, da cui si può vedere, come sapete, tutto ciò che avviene nel gabinetto da toletta: perché lo ricevetti appunto lì. Liberi di dirci tutto quel che ci pareva, e avendo tutt’e due uno stesso desiderio, fummo subito d’accordo su ogni cosa... ma bisognava disfarsi di quel testimonio importuno; e qui lo volevo! Gli feci infatti un quadro a modo mio della mia vita intima, persuadendolo facilmente che non m’era possibile aver mai un momento di libertà, e che bisognava considerare un vero miracolo quella di cui avevamo goduto il giorno prima; senza contare che, anche quella, non era senza pericolo, perché da un momento all’altro avrebbe potuto entrare qualcuno nel salotto. Non mancai di fare notare che queste mie abitudini s’erano formate per il fatto che, sino allora, non mi avevano dato alcun fastidio; e insistetti sull’impossibilità di cambiarle senza compromettermi agli occhi della servitù. Prévan tentò d’aversela a male, di fare l’imbronciato, di rinfacciarmi che io avevo poco amore per lui; e potete credere quanto tutto ciò mi commovesse, ma, volendo tirargli il colpo finale, ricorsi alle lacrime. Fu proprio il caso del famoso: “Zaira, voi piangete!”; e la speranza di poter ormai disporre di me, di potermi rovinare a suo capriccio sostituiva in lui tutto l’amore d’Orosmane. Finita questa scena melodrammatica, scendemmo a patti. Poiché non si poteva disporre del giorno, prendemmo in esame la possibilità di vederci la notte; ma il mio portiere costituiva un ostacolo insormontabile, e io non volli che nemmeno si tentasse di corromperlo. Mi mise davanti allora la porta di servizio del giardino; ma io, che l’avevo preveduto, inventai un cane che di giorno era la più buona pasta del mondo, ma di notte diventava un diavolo scatenato. La disinvoltura con cui entravo in tanti particolari era proprio quella che a voleva per farlo diventare sempre più audace, e così arrivò a propormi l’espediente più ridicolo, che mi sono affrettata ad accettare. Osservò anzitutto che poteva contare sul suo domestico come su se stesso; e in questo diceva il vero, perché l’uno vale l’altro. Io avrei potuto dare un gran pranzo a casa mia, ed egli, che sarebbe stato uno degli invitati, avrebbe fatto in modo da uscir da solo; allora quel furbacchione del servo avrebbe chiamato la carrozza e avrebbe aperto la portiera; ma Prévan, invece di salire, se la sarebbe svignata destramente. Il cocchiere non poteva accorgersi di niente. E così egli, che tutti avrebbero creduto partito, sarebbe restato invece in casa mia. Ora non restava altro che il modo di farlo venire nel mio appartamento. Vi confesso che a questo punto mi trovai un po’ imbarazzata, perché contro queste sue proposte non riuscivo a trovare lì per lì obiezioni tanto sballate da dargli l’illusione di ribatterle. Egli mi rispose adducendomi il suo esempio: a sentire lui, questo era il modo più semplice che si potesse trovare, e se n’era servito almeno cento volte, anzi era appunto il metodo di cui si serviva di più, come meno pericoloso. Soggiogata da questi argomenti irrecusabili, ammisi candidamente che infatti c’era una scala segreta da cui si saliva al mio spogliatoio, che avrei potuto

Page 117: Le Amicizie Pericolose.pdf

lasciarvi su la chiave, e che egli vi si sarebbe potuto rinchiudere e aspettare senza rischio che le mie cameriere si fossero ritirate. Ma poi, per dare maggior colore alla verisimiglianza del mio consenso, finsi di pentirmene, mi disdissi, e tornai a dir di sì soltanto quando mi ebbe promesso d’obbedirmi ciecamente e di fare il savio. Che savio! Io volevo insomma provargli l’amor mio, ma senza soddisfare il suo amore. Mi dimenticavo di dirvi che per l’uscita s’era combinato di servirci della porticina di servizio del giardino: bastava aspettare che schiarisse l’alba, e a quell’ora il cane terribile non avrebbe abbaiato più, per istrada non sarebbe passata più anima viva, e tutti avrebbero dormito della grossa. Se questo mucchio di corbellerie vi meraviglia, è perché dimenticate la nostra situazione reciproca. Che bisogno c’era di trovare dei motivi più plausibili? Egli non cercava se non che la cosa si risapesse, e io da parte mia ero sicura che non si sarebbe mai risaputa. Fissammo la data a due giorni dopo. Badate che la faccenda era già stata combinata, eppure nessuno ancora poteva dire che Prévan fosse un frequentatore di casa mia. L’avevo infatti incontrato a pranzo da un’amica; egli le aveva offerto un palchetto per una commedia nuova, e nel palchetto io avevo accettato un posto; avevo invitato l’amica a cena durante lo spettacolo in presenza di Prévan, e quindi non potevo esimermi dall’invitare anche lui; egli aveva accettato e mi aveva fatto due giorni dopo la visita d’uso. È vero che m’era poi venuto a trovare di mattina, ma, a parte che le visite mattutine non hanno più nessuna importanza speciale, toccherebbe, se mai, solo a me di giudicarla troppo precipitata e perciò sconveniente, e infatti ho subito provveduto a farlo tornare al suo posto, nella categoria delle persone meno intime, mandandogli un invito scritto per un pranzo di gala. Posso dunque dire anch’io come Annetta: “Sta tutto qui, e non c’è altro”. Giunto alla fine il giorno fatale, in cui avrei dovuto perdere la virtù e la reputazione, diedi alla mia fedele Vittoria le istruzioni necessarie; e sentirete ora come essa le ha messe bene in pratica. Venne dunque la sera, e la mia casa era già piena d’invitati quando entrò Prévan. L’accolsi con esagerata cortesia, per far capire che la nostra conoscenza era superficiale; e a tavola lo misi accanto alla marescialla, perché era stata lei a farmelo conoscere. La serata passò senza nessun fatto importante, all’infuori d’un bigliettino che il discreto innamorato trovò modo di mettermi tra le mani e che io bruciai subito dopo, come sono solita a fare. In esso mi diceva che potevo contare su di lui; e questa frase, l’unica essenziale, era contornata dalle solite giaculatorie sull’amore, sulla felicità, ecc. che non mancano mai in questi casi. A mezzanotte, finita la cena, proposi di giocare una breve macedonia,28con la duplice intenzione di favorire in questo modo l’uscita di Prévan, ma anche di farla notare di più, perché non era supponibile che avvenisse altrimenti, data la sua fama di giocatore accanito. Avevo anche contato su ciò: che i presenti potessero ricordarsi, in caso di bisogno, che io non avevo avuta nessuna premura di restare sola. Il giuoco durò più che non avessi previsto. Il diavolo mi tentò, e io soccombetti alla tentazione di andare a consolare il mio prigioniero impaziente; ma, mentre mi avviavo alla mia rovina, mi venne pensato che, se mi arrendevo adesso, non avrei avuto più su di lui tanta autorità da farlo restare vestito, con la decenza necessaria ai miei disegni. Ebbi perciò la forza di resistere; e, tornata sui miei passi, ripresi, non senza un po’ di malumore, il mio posto in quel giuoco che non finiva più. Anche questo tuttavia ebbe termine, e ognuno se ne andò per i fatti suoi. Io chiamai allora le mie due cameriere, e mi spogliai in fretta lasciandole subito libere. Caro visconte, non vi pare dunque di vedermi, in camicia da notte, avanzare con passo timido e circospetto, e con mano tremante aprire la porta al mio conquistatore? Egli mi vide, e il lampo non è

Page 118: Le Amicizie Pericolose.pdf

certo più rapido. Che vi debbo dire? Fui vinta, compiutamente vinta, prima d’aver potuto proferire una sola parola per trattenerlo e difendermi. Dopo, egli voleva mettersi in maggiore libertà, come le circostanze richiedevano; e malediceva il vestito, che (a sentir lui) lo distaccava da me, con cui voleva combattere ad armi uguali. Ma subito vi si oppose il mio esagerato pudore; e le mie tenere carezze del resto non gliene lasciarono il tempo, perché egli ebbe ben presto a occuparsi di qualche cosa di meglio. Ma, appena i suoi diritti si furono raddoppiati, si riaffacciarono le pretese. «Statemi bene a sentire» gli dissi io a questo punto «ecco che voi avete adesso una bellissima avventura da raccontare alle due contesse P. e a mille altre vostre amichette; ma io sono curiosa di sapere come farete a raccontare la fine.» E così dicendo, m’attaccai al cordone del campanello con tutte le forze. Era venuta finalmente la mia volta, e il mio atto fu più rapido delle sue parole: infatti non era ancora riuscito a balbettare se non poche sillabe, quando accorse Vittorina, e si mise a chiamare a squarciagola i servi, che, secondo i miei ordini, essa aveva trattenuti in camera sua. Allora, prendendo il tono d’una regina offesa e alzando la voce, gridai: «Uscite di qui, signore, e non abbiate più l’ardire di comparirmi dinanzi.» In questo mentre i miei domestici entrarono in frotta. Il povero Prévan perdette la testa e, credendo un agguato ciò che era appena uno scherzo, mise mano alla spada. Non l’avesse mai fatto! Perché il mio cameriere, che è un uomo forte e coraggioso, lo afferrò per la vita e lo buttò a terra. Vi giuro che ho avuto una paura terribile, e ho gridato che stessero fermi e che lo lasciassero andar via. I servi mi obbedirono, ma, indignati che si fosse osato mancare di rispetto alla loro virtuosa padrona, facevano una casa del diavolo e con urla e con scandalo (ed era proprio ciò che volevo) misero alla porta il malcapitato cavaliere. La sola Vittorina restò con me, e ci mettemmo a riparare il grande disordine che c’era sul letto. Intanto i servi tornarono, sempre tumultuando; e io, tuttora sconvolta, domandai loro per qual fortunata combinazione erano ancora tutti in piedi. Vittorina mi raccontò allora che aveva invitato a cena due sue amiche e che perciò s’era fatto un po’ di veglia in camera sua: tutto quel che, insomma, avevamo concordato tra noi. Ringraziai quella brava gente e li congedai, ordinando però a una di loro di correre subito a chiamare il medico. Mi pare che c’erano motivi più che sufficienti per temere le conseguenze del mio spavento mortale ;ed era dopotutto anche questo un modo efficacissimo per dare corso e celebrità alla faccenda. Il medico venne infatti, mi compianse molto, ma non mi prescrisse niente altro che un po’ di riposo. Io, per giunta ordinai a Vittorina di andare la mattina dopo di buon’ora a spettegolare per il vicinato. Tutto è andato benissimo, tanto che, prima di mezzogiorno e appena furono spalancate le finestre della mia camera, una mia vicina, che è molto bigotta, era già al mio capezzale per sapere la verità e i più minuti particolari della terribile avventura capitatami; e ho dovuto desolarmi per un’ora intera insieme con lei a proposito della incredibile corruzione dei tempi. Un momento dopo mi fu recapitato un biglietto della marescialla, che unisco a questa lettera. E finalmente, prima delle cinque, mi sono vista arrivare, con mia gran meraviglia, il signor colonnello29che veniva a far le sue scuse per il fatto che un ufficiale del suo reggimento avesse potuto farmi una simile azione. Aveva saputo ogni cosa dalla marescialla solo all’ora di colazione, e subito aveva mandato ordine a Prévan di passare agli arresti. Io generosamente ho chiesto la grazia, ma lui me l’ha rifiutata. Allora ho pensato che, come complice, dovevo darmi anch’io spontaneamente una punizione e considerarmi come condannata agli arresti di rigore: ho fatto dunque dire che non ricevevo nessuno, con la scusa di sentirmi un po’ indisposta.

Page 119: Le Amicizie Pericolose.pdf

Dovete appunto alla mia solitudine il piacere di questa lunga lettera; e ne scriverò adesso una anche alla signora Volanges, che certo ne farà pubblica lettura al castello, sì che da essa voi saprete questa storia come va raccontata. Dimenticavo di dirvi che Bellaroche ha perso il lume degli occhi e vuol battersi a tutti i costi con Prévan. Povero ragazzo! Per fortuna avrò tutto il tempo di calmarlo. Intanto vado a riposarmi un’oretta, perché sono stanca di scrivere. Addio, caro visconte. Parigi, 25 settembre 17.. (verso sera).

Lettera LXXXVI La marescialla Y. alla marchesa di Merteuil. (Acclusa alla precedente) O Dio, che notizia mi hanno data, mia cara signora! E dunque possibile che quell’omiciattolo di Prévan sia stato capace di azioni così abominevoli! E con voi, poi? Che cosa può capitarci nella vita! Non si può star tranquilli nemmeno a casa propria. Davvero, signora, davvero che questi fatti mi consolano d’essere vecchia. Non potrò invece consolarmi mai della mia parte di colpa, per avervi fatto ricevere in casa vostra un mostro simile. Ma vi giuro che, se è vero ciò che mi hanno riferito, il furfante non rimetterà mai più piede in casa mia, e tutti gli onesti dovranno fare altrettanto, se faranno il loro dovere. Mi hanno detto che vi siete sentita male, e sono molto in pena per la vostra salute. Vi prego pertanto di darmi vostre care notizie o magari di farmele avere da una delle vostre cameriere: una sola parola basterà per tranquillizzarmi. Sarei corsa a trovarvi sin da stamattina, se non fosse stato per via dei bagni che il dottore non vuole che io interrompa per nessuna ragione, e poi dovrò andare a Versailles sempre per l’affare di mio nipote. Arrivederci, cara signora, e contate sempre sulla mia sincera amicizia. Parigi, 25 settembre 17..

Lettera LXXXVII La marchesa di Merteuil alla signora Volanges. Mia buona amica, vi scrivo dal letto, perché un incidente spiacevolissimo e imprevedibile mi ha fatto ammalare di paura e di dolore. Non già che io abbia qualcosa da rimproverarmi, ma è sempre un gran dolore, per una donna onesta e che ha fatto di tutto per conservare in ogni occasione la modestia confacente al suo sesso, richiamare su di sé l’attenzione del pubblico. Avrei dato chissà che per evitare questa disgrazia che mi è capitata tra capo e collo; e non so ancora se, per farla dimenticare, non sia meglio che me ne vada in campagna per un po’ di tempo. Eccovi in poche parole di che si tratta.

Page 120: Le Amicizie Pericolose.pdf

Ho incontrato dalla marescialla Y. un certo Prévan, che voi certo conoscerete di nome, come solo di nome lo conoscevo anch’io. Ma, trovandolo in una casa come quella, avevo tutto il diritto, credo, di ritenerlo una persona dabbene. È un bell’uomo, e a quanto mi parve non deve essere sprovvisto d’intelligenza. Il caso e il fatto che mi ero annoiata di giocare hanno voluto che io mi trovassi, unica donna, a conversare con lui e col vescovo di A..., mentre tutti gli altri erano ingolfati nella zecchinetta. Chiacchierammo piacevolmente tutt’e tre sino all’ora del pranzo; e a tavola, essendo il discorso caduto su una commedia nuova, egli ha offerto il suo palchetto alla marescialla, che l’accettò volentieri, ma volle che anch’io le facessi compagnia. La recita ebbe luogo lunedì ultimo scorso, al Teatro dei Francesi; e siccome la marescialla veniva a cena a casa mia dopo lo spettacolo, invitai il signor Prévan a venire anche lui, come infatti è venuto. Di lì a due giorni mi fece una visita e si parlò di cose indifferenti, senza che accadesse niente di straordinario. Ma il giorno dopo venne a trovarmi di mattina, e questo in verità mi seccò un poco, perché mi pareva che il signore corresse un po’ troppo. Ho creduto però di far bene, invece di farglielo capire dal modo di riceverlo, ad avvertirlo con un atto gentile che non eravamo ancora tanto intimi quanto pensava; e perciò gli mandai il giorno stesso un invito secco secco e molto cerimonioso per un pranzo che ho dato ieri l’altro. In tutta la sera gli avrò rivolto la parola, sì e no, due o tre volte, e lui, da parte sua, appena ebbe finita una partita, se ne andò. Fin qui dunque niente di grave. Dopo ci mettemmo a giocare una macedonia, che si protrasse sin verso le due di notte, e finalmente potei mettermi a letto. Era passata appena una mezz’ora da che si erano ritirate le mie cameriere, quando sentii uno scalpiccìo nella stanza attigua, e, avendo aperto le cortine del letto un po’ spaventata, vidi un uomo entrare per la porticina che dà nel mio spogliatoio. Gettai un grido acutissimo, e al fioco chiarore del lumino da notte riconobbi Prévan che, con inconcepibile sfrontatezza, mi raccomandava di non aver paura, perché mi avrebbe subito spiegato il mistero della sua presenza, e mi pregava intanto di non fare rumore. Così dicendo, aveva acceso una candela; ma io ero talmente spaventata da non aver fiato di proferire una parola. La sua disinvoltura mi pietrificava, credo, ancor maggiormente. Ma non ebbe detto due parole del famoso mistero, che io compresi subito ciò che voleva, e per tutta risposta, come potete ben immaginare, mi sono attaccata al cordone del campanello. Per fortuna, i miei domestici erano a veglia da una delle mie donne e perciò non erano ancora a letto. La mia cameriera, accorrendo al suono del campanello, mi sentì parlare concitatamente, ed essendosene spaventata a sua volta chiamò aiuto. Figuratevi che scenata! I miei domestici erano furiosi, e ci fu un momento che il mio valletto stava per ammazzare Prévan. Lì per lì ebbi piacere che fosse venuta tanta gente in mio soccorso; ma adesso, riflettendoci, preferirei che fosse venuta soltanto la mia cameriera, che anche da sola sarebbe bastata, e avrei così evitato il dispiacere di uno scandalo. Invece il tumulto ha risvegliato tutto il vicinato, i servi hanno chiacchierato, e da ieri la notizia gira per tutta Parigi. Prévan è agli arresti per ordine del comandante del suo reggimento, che ha avuto la cortesia di venirmi a portare le sue scuse: questi arresti aumenteranno lo scandalo, ma non ho potuto ottenere che fosse perdonato. Un’infinità di gente è venuta a firmare alla mia porta, senonché io non ho voluto ricevere nessuno, e le poche persone che ho veduto mi hanno detto che si parlava dappertutto a mio favore, e che l’indignazione pubblica contro Prévan è al colmo: se l’è meritata, non dico di no, ma ciò non toglie che l’avventura sia ugualmente seccante. Senza contare che quest’uomo avrà pure i suoi amici, e, se sono come lui, debbono certo essere perfidi la loro parte: che cosa inventeranno mai costoro per nuocermi? O Dio, che disgrazia essere una donna giovane! Non basta che la poveretta si metta in salvo dalla maldicenza, bisogna anche che faccia tacere la calunnia! Ditemi, vi prego, che cosa avreste fatto e che cosa fareste voi nei panni miei, e insomma che cosa ne pensate. Voi mi avete dato sempre le più dolci consolazioni e i più savi consigli: perciò da voi, più d’ogni altro, desidero riceverne adesso.

Page 121: Le Amicizie Pericolose.pdf

Arrivederci, mia buona amica. Voi sapete quali sentimenti mi leghino a voi per sempre. Un bacione alla vostra buona figliuola. Parigi, 26 settembre 17..

PARTE TERZA

Lettera LXXXVIII Cecilia Volanges al visconte di Valmont. Signore, quantunque sia immenso il piacere che provo nel ricevere le lettere di Danceny e non desideri altro che poterlo rivedere senza impedimenti di sorta, non ho osato fare tuttavia quello che voi mi avete proposto. Anzitutto è troppo pericoloso. La chiave che dovrei mettere al posto dell’altra le rassomiglia molto davvero, ma c’è però qualche differenza, e la mamma bada a tutto, si accorge di tutto. Inoltre, benché non se ne sia servito nessuno da quando siamo qui, potrebbe sempre capitare qualche guaio, e, se qualcuno se ne accorge, sarei rovinata per sempre. Poi, se ve l’ho a dire, mi pare che fabbricare una chiave falsa sia una brutta azione. È vero che sareste voi a farla, ma insomma, se la cosa si risapesse, il biasimo e la colpa ricadrebbero su di me, poiché voi l’avreste fatto per me. E infine ho voluto tentare due volte di prenderla, e sebbene la cosa sia facilissima mi ha preso tutt’e due le volte, non so perché, un tremito tale in tutta la persona che non ne sono stata capace. Credo dunque che sia meglio restare come siamo. Se vorrete essere sempre gentile e compiacente come siete stato sin qui, saprete trovare lo stesso il modo di farmi avere le lettere. Anche l’ultima volta, se non fosse stato l’inconveniente che voi vi siete voltato a un certo momento all’improvviso, tutto sarebbe andato liscio come al solito. Capisco benissimo che voi non potete, come me, pensare solo a queste cose; ma preferisco essere più paziente piuttosto che mettermi in un rischio gravissimo. Sono sicura che Danceny la penserebbe come me, perché, ogni volta che voleva far qualche cosa che mi dava dispiacere, ha finito sempre per rinunciarci. Insieme con questa mia vi darò anche la lettera vostra, quella di Danceny e la vostra chiave. Vi sono a ogni modo riconoscentissima del bene che mi fate e vi supplico di continuare a farmene. È vero che sono disgraziata e che senza di voi lo sarei anche di più; ma, dopotutto, si tratta di mia madre, e ci vuole pazienza. E, purché Danceny mi voglia sempre bene e che voi non mi abbandoniate, dovrà pur venire, che diamine, un tempo migliore! Ho l’onore d’essere, con ogni riconoscenza, la vostra umilissima e obbedientissima serva. Dal castello di ..., 26 settembre 17..

Lettera LXXXIX Il visconte di Valmont al cavalier Danceny.

Page 122: Le Amicizie Pericolose.pdf

Amico mio, se la vostra faccenda non procede con la fretta che vorreste voi, non ve la prendete con me. Molti ostacoli si frappongono, e la severa sorveglianza della signora Volanges è appena uno dei tanti. Adesso, figuratevi, ci si mette anche la vostra amichetta. Non so se per freddezza o per timidità, ma il fatto è che non vuol fare ciò che io le consiglio: eppure credo di saper meglio di lei quel che bisogna fare! Per consegnarle le vostre lettere, avevo escogitato un modo semplice, comodo, sicuro, che tra l’altro avrebbe anche facilitato in seguito i colloqui che voi desiderate. Ma non sono riuscito a farglielo accettare. La cosa mi dispiace soprattutto perché non trovo altro mezzo per farvi stare insieme; e del resto, anche per le lettere, vedrete che una volta o l’altra finiremo per comprometterci tutt’e tre. Ora capite benissimo che un rischio simile non voglio correrlo né farlo correre a voi due. Vi assicuro però che mi dispiacerebbe moltissimo di non potervi essere utile per colpa della vostra amica che non si fida affatto di me. Forse fareste bene a scrivergliene. Non so. Tocca a voi risolvere ciò che intendete di fare: perché non basta servire gli amici, bisogna anche servirli come vogliono loro Questa del resto potrebbe essere una buona occasione per sincerarvi dei suoi sentimenti per voi: una donna che vuol fare prevalere la sua volontà ama molto meno di quel che dice. Non voglio accusare la vostra innamorata di volubilità, Dio me ne guardi; ma certo è molto giovane, ha troppa paura di sua madre (che, come sapete, non cerca se non di farvi del male) e forse è pericoloso lasciarla molto tempo disoccupata di voi. Non vorrei, intendiamoci, che vi preoccupaste più del bisogno di quanto ora vi ho detto: in fondo non ho nessun motivo di diffidenza, all’infuori dell’amicizia che mi lega a voi. Non vi scrivo più a lungo, perché ho alcune faccende da sbrigare. Oh! Io, poveretto, non ho fatto tanti progressi come voi, sebbene innamorato al pari di voi! Pur anche questa è una consolazione! E se anche non riuscissi a concludere niente di buono per me, essendo utile a voi, ebbene, mi parrebbe d’avere impiegato ottimamente il mio tempo. Addio, caro amico. Dal castello di ..., 26 settembre 17..

Lettera XC La presidentessa Tourvel al visconte di Valmont. Signore, vorrei che questa lettera non vi desse il più piccolo dolore, o almeno, se deve pure darvene a ogni modo, che potesse raddolcirvelo il pensiero di ciò che soffro io scrivendovi Ormai mi conoscete abbastanza per poter essere sicuro che non ho nessun desiderio di affliggervi; ma anche voi, via, non vorrete mica farmi disperare eternamente! Vi scongiuro, dunque, a nome di quella tenera amicizia che vi ho promesso, e magari anche a nome di quei sentimenti, forse più vivi ma certamente non più sinceri, che voi nutrite per me, vi scongiuro di partire, e finché non sarete partito d’evitare quegli incontri da solo a sola che sono tanto pericolosi, nei quali, per non so che strana forza che mi soggioga, non riesco mai a dirvi ciò che vorrei e sto lì invece ad ascoltare ciò che non dovrei mai ascoltare. Anche ieri, vedete, quando mi avete raggiunta nel parco, avevo in mente un’unica cosa, di dirvi cioè quello che oggi vi scrivo; e con tutto ciò non ho fatto che occuparmi del vostro amore... Del vostro amore, a cui non debbo corrispondere mai! Per carità, per carità, allontanatevi da me! Non abbiate paura che la vostra assenza possa cambiare i miei sentimenti per voi. Come potrei vincerli, dal momento che non ho più nemmeno il coraggio di combatterli? Lo vedete, vi dico ogni cosa e non ho più paura di confessarvi la mia debolezza, pur di non soccombere. Perché, se non

Page 123: Le Amicizie Pericolose.pdf

posso più dominare i miei sentimenti, conservo invece tutto il dominio sulle mie azioni, e lo conserverò sempre, a ogni costo, a costo anche della vita. Oimè, e c’è stato un tempo, non molto lontano, in cui mi credevo sicura di non dover mai sostenere lotte simili a questa! Me ne congratulavo con me, e forse me ne vantavo troppo! Il cielo ha punito crudelmente il mio orgoglio; ma, pieno di misericordia, nel momento stesso che mi colpisce e prima che io cada, mi manda i suoi avvertimenti, sicché io sarei doppiamente colpevole se continuassi a mancare di prudenza quando so che mi mancano le forze. Mi avete detto cento volte che non vorreste una felicità a prezzo delle mie lacrime. Non parliamo più di felicità, che non è il caso; ma lasciatemi riprendere almeno un po’ di tranquillità. Se mi farete questa grazia, oh, quali nuovi diritti acquisterete sul mio cuore! E, trattandosi questa volta di diritti fondati sulla virtù, non dovrei star lì a difendermene, anzi potrei compiacermi della mia gratitudine. A questo modo voi mi darete la dolcezza di poter gustare senza rimorsi un sentimento tanto soave. E adesso invece, spaventata come sono dei miei sentimenti, mi tocca pensare a voi soltanto con raccapriccio, e la vostra immagine mi sbigottisce, sicché, quando non posso fuggirla, tuttavia la combatto, e, se non riesco ad allontanarla, tuttavia la respingo. Non sarebbe meglio per tutt’e due far cessare questo stato d’ansietà e di turbamento? La vostra anima delicata, anche in mezzo agli errori, è restata pur sempre amica della virtù: e dunque abbiate riguardo alla mia dolorosa situazione, non respingete le mie preghiere. Un interessamento più calmo, ma non meno affettuoso, succederà a questa turbolenta agitazione; e allora, potendo finalmente respirare per merito vostro, godrò una vita serena e potrò dire con la gioia nel cuore: “Questa pace la debbo tutta al mio amico”. Vi pare di pagare forse troppo cara la fine dei miei tormenti sottomettendovi ad alcune leggere privazioncelle, che io, intendiamoci bene, non vi impongo, ma solamente vi chiedo? Se per farvi felice bastasse acconsentire a essere una disgraziata ebbene, potete credermi, non esiterei un istante, ma colpevole, no, amico mio, mille volte meglio morire! Accasciata già dalla vergogna, alla vigilia ormai dei rimorsi fuggo gli altri e me stessa, arrossisco in compagnia della gente, e quando sono sola fremo. La mia vita è tutta un dolore, e non potrò essere più tranquilla se non col vostro consenso. Tutti i miei proponimenti più lodevoli non bastano a rassicurarmi: quello, per esempio, che avevo preso ieri sera non mi ha impedito di passare tutta la notte a piangere Ed ecco allora la vostra amica, quella che voi amate tanto confusa e tremante ai vostri piedi, per impetrare da voi il riposo e l’innocenza. Oh, Dio! Chi, se non voi, l’ha ridotta a tanto avvilimento? Non vi rimprovero, badate: so, so per esperienza quanto sia difficile resistere a un pensiero dominante, e un lamento non è un rimprovero. Fate, deh, fate per generosità ciò che io faccio per dovere, e a tutti i sentimenti che mi avete ispirato aggiungerò anche questo, di una eterna riconoscenza! Addio, signore, addio. Dal castello di .., 27 settembre 17..

Lettera XCI Il visconte di Valmont alla presidentessa Tourvel.

Page 124: Le Amicizie Pericolose.pdf

Signora, la vostra lettera mi ha costernato al punto che non so tuttora cosa rispondervi. Certo, se bisogna scegliere tra la mia infelicità e la vostra, tocca a me sacrificarmi, e non esito un attimo. Ma, trattandosi di cose di tale momento, mi pare che sia bene discuterle prima in lungo e in largo, e studiare insieme la maniera di non parlarci più e di non vederci, se proprio dobbiamo giungere a tanto. Come! E mentre dunque tanti sentimenti soavissimi ci uniscono, basterà un vano terrore a separarci, forse senza rimedio? La tenera amicizia, l’ardente amore reclameranno invano i loro diritti? E perché mai la loro voce non sarà ascoltata? Quale pericolo ci sovrasta? Ah, credetemi, credetemi, queste paure concepite così alla leggera sono esse stesse, a mio avviso, arma validissima di tranquillità! Lasciatemelo dire: anche in queste vostre ubbie, io vedo i vestigi delle cattive informazioni che vi hanno dato sul conto mio. Non si trema dell’uomo che si rispetta; e soprattutto non si allontana colui che è stato trovato degno della nostra amicizia. Soltanto l’uomo pericoloso è temuto e sfuggito. Ebbene, chi è stato più rispettoso e più sottomesso di me? Lo vedete: misuro persino le parole, e non mi permetto più di chiamarvi con quei dolci nomi, sì cari al mio cuore, che tuttavia nel segreto del cuore continuo a rivolgervi. Non sono già più l’amante fedele e sfortunato che riceve i consigli e le consolazioni di un’amica tenera e affettuosa, ma piuttosto l’accusato davanti al suo giudice, lo schiavo dinanzi alla sua padrona. Questi nuovi titoli m’impongono nuovi doveri, e io li adempio tutti. Ascoltatemi dunque, e, se mi condannerete, ebbene, accetterò la condanna e partirò. Vi prometto anche di più: preferite il dispotismo che giudica senza voler ascoltare? Vi sentite il coraggio d’essere ingiusta? Ordinate e vi obbedirò. Ma, questo giudizio o questo ordine, fate che io possa almeno sentirlo proferire dalle vostre labbra. E, se me ne domandate il perché, sarà segno che conoscete assai poco l’amore e il mio cuore: non contate dunque nulla la grazia di vedervi ancora una volta? E, mentre pur colmerete il mio animo di disperazione, forse un vostro sguardo consolatore m’impedirà di soccombere. E poi, se mi tocca rinunziare al vostro amore, alla vostra amicizia, unico bene della mia povera vita, vedrete almeno coi vostri occhi i risultati dell’opera vostra e non mi negherete la vostra pietà: è un favore ben piccolo, e, quand’anche non lo meritassi, mi sottopongo però a pagarlo abbastanza caro, mi pare, per sperare di ottenerlo. Come! State per allontanarmi da voi, ammettete... Che dico? Desiderate che noi diventiamo estranei l’uno all’altra, e mentre mi assicurate che la mia assenza non modificherà in nulla i vostri sentimenti, affrettate invece la mia partenza per poterli più facilmente distruggere? E già, ecco, parlate di sostituirli con la riconoscenza: un sentimento che qualunque sconosciuto potrebbe ottenere da voi per la più lieve cortesia e magari anche un nemico, quando tralasciasse di nuocervi Come volete che il mio cuore se ne accontenti? Interrogate un po’ il vostro cuore: se un vostro amante, un vostro amico, vi venisse a parlare di riconoscenza, non gli rispondereste voi con indignazione: “Andatevene, siete un ingrato”?. Faccio punto e reclamo la vostra indulgenza. Perdonatemi l’espressione d’un dolore che avete causato voi e che non toglierà niente alla mia assoluta sommissione. Ma a mia volta vi scongiuro, in nome di quei dolci sentimenti ai quali voi stessa vi appellate, di non rifiutare d’ascoltarmi; e per compassione se non altro, del turbamento mortale in cui mi avete prostrato, non vogliate procrastinare il momento. A rivederci, o signora. Dal castello di ..., la sera del 27 settembre 17..

Page 125: Le Amicizie Pericolose.pdf

Lettera XCII Il cavaliere Danceny al visconte di Valmont. Amico mio carissimo, la vostra lettera mi ha fatto raccapricciare di spavento. Cecilia... È dunque possibile, Dio mio! Cecilia non mi ama più. Io vedo la crudele verità anche sotto il velo in cui cerca di nascondermela la vostra amicizia. Voi avete voluto prepararmi a ricevere il colpo mortale; vi ringrazio della premura, ma all’amore non si può darla a intendere; l’amore precorre gli avvenimenti, e, prima che venga a sapere il suo destino, l’ha già indovinato. Sul mio destino non ho più nessun dubbio. Parlatemene pure senza perifrasi, chiaramente: ormai potete farlo, e anzi ve ne scongiuro. Ditemi tutto: che cosa ha fatto nascere i vostri sospetti, che cosa ve li ha confermati? Ogni particolare mi è prezioso. Cercate soprattutto di ricordarvi esattamente le sue parole: una parola invece di un’altra può cambiare tutto il senso di una frase, e una stessa parola ha qualche volta significati diversi. Potreste magari esservi sbagliato. Oimè, che io cerco ancora d’illudermi! Ma che vi ha detto? Di che mi rimprovera? Come cerca di difendere i suoi torti? Avrei dovuto prevedere un tale cambiamento dalle difficoltà che da qualche tempo trova in ogni menoma cosa: l’amore non conosce ostacoli. Che debbo fare? Che mi consigliate voi? Se cercassi di vederla? È proprio impossibile vederla? La lontananza è così atroce, così funesta!... E lei ha potuto rifiutare il mezzo di vedermi? Voi non mi dite di che mezzo si tratta. Perché, vedete, se si tratta di un mezzo davvero troppo rischioso, ella sapeva che io non voglio esporla assolutamente a nessun rischio... Oimè, che conosco bene la vostra prudenza, e non posso illudermi neanche di questo!... E adesso che farò? Che cosa le scriverò? Se le faccio capire i miei sospetti, la farò soffrire, e se i sospetti poi fossero ingiusti, come potrei perdonarmi d’averla fatta soffrire? Se le nascondo ogni cosa, io la inganno. E poi io, vedete, non so fingere affatto con lei! Oh, se potesse sapere il mio tormento, certo ne avrebbe pietà! So che è molto sensibile, che ha un cuore d’oro, e ho mille prove del suo amore. Forse è troppo timida, troppo imbarazzata: è tanto ragazza, e sua madre la tratta con tanta severità! Le scriverò dunque, cercando di contenermi. Le dirò soltanto di fidarsi ciecamente di voi; e, quand’anche rifiutasse di nuovo, non potrebbe però dolersi della mia preghiera; ma forse finirà per acconsentire. In quanto a voi, caro amico, vi faccio mille scuse per conto mio e per conto suo. Vi assicuro che ella sente tutto il valore delle vostre premure e ve ne sarà obbligatissima. Non è diffidenza la sua: è timidità. Siate indulgente, che è la più bella virtù dell’amicizia. La vostra, sapete già quanto mi è preziosa; e io non so, non so davvero come contraccambiarvi di quanto fate per me. Addio, scriverò subito. Sento tornare tutti i miei dubbi. Chi mi avrebbe detto che un giorno mi sarebbe stato penoso scriverle, mentre sino a ieri, oimè, era la mia gioia più cara! Addio, amico mio, continuate ad aiutarmi e compiangetemi tanto tanto. Parigi, 27 settembre 17..

Lettera XCIII

Page 126: Le Amicizie Pericolose.pdf

Il cavalier Danceny a Cecilia Volanges. (Acclusa alla precedente) Non so dissimularvi il mio vivo dispiacere nel sentire da Valmont quanta poca fiducia continuate a riporre in lui. Eppure sapete che è mio amico ed è l’unica persona che possa contribuire a ravvicinarci: e questi credevo che fossero titoli bastanti per voi, ma mi accorgo con dolore che mi sono sbagliato. Posso almeno sperare che me ne diciate la ragione? O troverete qualche altra difficoltà che vi impedisca anche questo? Capirete che, senza i vostri lumi, io non potrò mai penetrare il mistero del vostro strano atteggiamento. Non oso mettere in dubbio il vostro amore, come voi forse non oserete tradire il mio. Ah, Cecilia, Cecilia! Ma è dunque vero, proprio vero che avete rifiutato un mezzo che vi si offriva per vedermi? Un mezzo semplice, comodo, sicuro? Ed è questo l’amore che mi portate? Pochi giorni di lontananza hanno potuto mutare così i vostri sentimenti? Ma perché ingannarmi? Perché dirmi che mi amate sempre lo stesso, e anzi che mi amate di più? La vostra mamma, distruggendo il vostro amore, ha distrutto anche il vostro candore, la vostra lealtà? Ma, se vi ha lasciato almeno qualche senso di compassione, non potete sapere senza rammarico quali atroci tormenti mi procurate. Vi giuro che soffrirei meno, se dovessi morire. Sarebbe meglio allora dirmi che il vostro cuore mi è chiuso ormai senza riparo e che mi avete dimenticato affatto. Ed ecco che, a cagione di questo vostro rifiuto, io non so più quando riceverete queste mie lagnanze, né quando potrò rispondervi. L’amicizia di Valmont aveva saputo trovare una maniera di rendere sicura la nostra corrispondenza, ma voi non l’avete voluta. Forse vi infastidiva la sua frequenza e avete preferito diradarla. Oh, davvero, davvero che io non crederò più all’amore, alla lealtà! E come ci crederei infatti, se anche la mia Cecilia mi ha ingannato? Rispondetemi semplicemente se è proprio vero che non mi volete più bene. Oh, no, no, che non è possibile! Voi vedete falso, voi calunniate il vostro cuore! È stata una paura passeggera, è stato un momento di scoramento che l’amore poi avrà fatto subito sparire. Non è così, Cecilia mia? Certo che è così, e io vi ho accusata a torto. Come sarei felice di avere torto, come mi piacerebbe porgervi le mie scuse più affettuose e riparare l’ingiustizia di un attimo con un’eternità di amore! Cecilia, Cecilia, abbiate pietà di me. Consentite a vedermi, accettate ogni mezzo che vi si offre! I bei risultati della lontananza, li vedete: paure, dubbi, sospetti, forse anche un po’ di freddezza! Uno sguardo solo, una parola sola, e saremo felici. Ma come? Posso io parlare ancora di felicità? La felicita non è ormai perduta per me, e perduta per sempre? Tormentato dai dubbi, costretto a scegliere tra gli ingiusti sospetti e le verità più amare, non so più in qual pensiero soffermarmi; e serbo appena tanto di vita, quanto basta a soffrire e ad amarvi. Ah, Cecilia, voi sola avete il diritto di rendermi ancora cara la vita; e io attendo dalla prima parola che pronunzierete il ritorno della felicità o la certezza di un’eterna disperazione! Parigi, 27 settembre 17..

Lettera XCIV Cecilia Volanges al cavalier Danceny. Non riesco a capire la vostra lettera. So questo solo, che mi dà un gran dolore. Che cosa vi ha scritto dunque il signor Valmont? E che cosa vi ha fatto credere, che io non vi ami più? Sarebbe

Page 127: Le Amicizie Pericolose.pdf

forse meglio per me che non vi amassi, perché avrei almeno un po’ di pace. Che pena, sapeste, che pena, quando si ama come vi amo io, vedervi sempre pronto a credermi in torto, e ricevere proprio da voi, che dovreste consolarmi, le maggiori tribolazioni! Credere che io vi inganni e che vi dica quel che non è: oh, avete proprio una bella opinione di me, me ne rallegro tanto! Ma che interesse avrei a dirvi una bugia, come voi mi rimproverate? Se non vi amassi più, ve lo direi e farei tutti felici; ma purtroppo l’amore è più forte di me, e disgrazia vuole che l’abbia appunto per una persona che non me ne è grata affatto. In fin dei conti che cosa ho fatto da dispiacervi tanto? Non ho avuto il coraggio di prendere una chiave, per paura che la mamma se ne accorgesse e potesse darci ancora dei dispiaceri, a me e a voi, ma specialmente a voi, per colpa mia. E poi, a dirvela schietta, mi pareva che la cosa non stesse bene. Chi me l’aveva proposta era il signor Valmont. Che cosa potevo sapere io come l’intendevate voi, dal momento che non ne sapevate nulla? Ora che so che anche voi ne siete contento, forse che io rifiuto ancora di prenderla, questa benedetta chiave? La prenderò domani, e spero che così non avrete più niente da dire. Il signor Valmont può essere amico vostro finché vuole, ma credo di volervi bene per lo meno quanto lui, e tuttavia lui ha sempre ragione e io sempre torto. Capirete che, alla fine, ho diritto di avermene a male. Capisco che ciò a voi importa poco, perché, tanto, sapete che poi a me passa presto. Ma adesso che avrò la chiave e potrò vedervi quando voglio, vi prometto che non lo vorrò mai, finché mi tratterete così. Preferisco avere un dispiacere che mi viene da me, piuttosto che averne uno da voi. Sta a voi stabilire che cosa intendete fare. E pensare che ci potremmo voler tanto bene, e non averne da patire se non le sofferenze che ci cagionano gli altri! Da parte mia vi giuro che, se fossi padrona io, non avreste mai da lamentarvi di me; ma, se non avrete mai fede in me, saremo sempre disgraziati, e non certo per colpa mia. Spero di potervi rivedere presto, e allora forse spariranno le ragioni di bisticciarci come facciamo adesso. Se avessi potuto prevedere tutto quanto è successo, avrei preso subito la chiave; ma credevo proprio di far bene. Vi prego di perdonarmelo e di non star più di malumore. Vogliatemi tutto il bene che vi voglio io, e sarò più che contenta. Addio, amico mio. Dal castello di ..., 28 settembre 17..

Lettera XCV Cecilia Volanges al visconte di Valmont. Signore, vogliate essere così gentile da farmi avere la chiave che mi avevate già data, per poterla mettere al posto dell’altra. Dal momento che tutti lo vogliono, bisogna bene che accondiscenda anch’io. Non capisco perché abbiate scritto a Danceny che non gli volevo più bene: non credo di avervi mai dato motivo di pensare una cosa simile. Avete dato un gran dispiacere a lui e a me. Capisco che gli siete amico, ma non mi pare una buona ragione per torturarci tutt’e due. Mi farete un gradito favore a rassicurarlo del contrario la prima volta che gli scriverete, e gli direte che ne siete certo, perché si fida di voi più che di me, e quando io gli dico una cosa e lui non ci crede, non so più a che santo votarmi.

Page 128: Le Amicizie Pericolose.pdf

Per quel che riguarda la chiave, state tranquillo che io mi ricordo perfettamente tutto ciò che mi avevate raccomandato nella vostra lettera; a ogni modo, se quella lettera la conservate ancora e volete darmela insieme con la chiave, vi prometto di rileggerla con attenzione. Se la cosa si potesse fare domani nell’andare a pranzo, vi darò l’altra chiave posdomani a colazione, e voi me la farete riavere nello stesso modo della prima. Non vorrei che le cose andassero per le lunghe, perché, quanto più presto si fa, e tanto meno si rischia che la mamma possa accorgersene. Quando avrete la famosa chiave, abbiate la bontà di servirvene anche per prendere le mie lettere, così Danceny avrà più spesso mie notizie. È verissimo che a questo modo la cosa sarà più comoda e spiccia di adesso; ma a tutta prima la vostra proposta mi aveva spaventata; vi prego di scusarmene, e voglio sperare che continuerete a favorirci come nel passato. Io ve ne sarò sempre riconoscente. Ho l’onore, o signore, d’essere la vostra umilissima e obbedientissima serva. Dal castello di ..., 28 settembre 17..

Lettera XCVI Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil. Scommetto che dopo la vostra avventura vi aspettavate ogni giorno le mie congratulazioni e le mie lodi; e sarete magari un po’ imbronciata con me per il mio lungo silenzio. Ma che volete? Ho sempre pensato che, quando a una donna c’è da fare soltanto le lodi, si può stare tranquilli che ci pensa da sé, e io posso intanto occuparmi d’altro. A ogni modo, vi ringrazio per conto mio, e vi faccio i miei rallegramenti per conto vostro. E, per rendervi compiutamente felice, vi ammetterò anche che questa volta avete sorpassato la mia aspettazione. E adesso vediamo se io, da parte mia, ho soddisfatta la vostra. No, non vi parlo della signora Tourvel, i cui lenti approcci vi annoiano: a voi piacciono solo le cose sbrigative, lo so, e quelle che vanno per le lunghe le avete in uggia. Io invece non mi sono mai divertito tanto come in queste pretese lungaggini. Sapeste come me la godo a vedere questa prudentissima donna già tutta ingolfata, senza essersene accorta, in una via senza uscita, il cui ripido e pericoloso declivo la trascina giù suo malgrado e la costringe a seguirmi! Spaventata del precipizio, vorrebbe fermarsi e non può. A furia di precauzioni e di accortezze, potrà magari procedere a passi più corti, ma non può fare che questi non si susseguano. Qualche volta, mancandole il coraggio di guardare in faccia il pericolo, chiuderà gli occhi, e, lasciandosi andare, si abbandonerà a me perché la sorregga. Più spesso una nuova paura, sopravvenendo improvvisa, rianimerà i suoi sforzi, e nel terrore mortale della caduta ella tenterà ancora di tornare indietro, esaurendo ogni superstite energia nella fatica di arrampicarsi per un breve tratto; ma ecco che un potere magico la risospinge sull’orlo dell’abisso che voleva evitare. Allora, non avendo altra guida, altro appoggio, ella si rivolge a me, e, senza più pensare a rimproverarmi una caduta inevitabile, si raccomanda perché io la ritardi; e io ricevo da lei fervide preghiere, umili scongiuri, tutte le preci che i mortali, quando hanno paura, offrono alla divinità. E voi vorreste che io, sordo alla sua voce, distruggendo io stesso il culto ch’ella mi rende, adoperassi, per farla precipitare, quella potenza ch’ella invoca a sostegno? Oh, lasciatemi almeno il tempo di contemplare a mio agio il commovente spettacolo dell’amore che lotta con la virtù! Come? Questo stesso spettacolo che vi fa correre con tanta sollecitudine a teatro, che suscita in voi l’entusiasmo dell’applauso, vi pare poi che debba essere insignificante nella realtà? Non ascoltate forse fremendo le frasi di un’anima pura e sentimentale che teme la felicità pur tanto agognata e si divincola e si difende anche quando non ha più forza di resistere ? E vi pare dunque possibile ch’esse perdano ogni valore per colui che le

Page 129: Le Amicizie Pericolose.pdf

provoca? Queste, sono queste le gioie deliziose che la celestiale creatura mi prodiga ogni giorno; e voi avete il coraggio di rimproverarmi, se ne assaporo lentamente la dolcezza? Purtroppo, oimè, purtroppo verrà presto il momento che, degradata dalla caduta, ella non sarà per me se non una donna come le altre! Ma, parlandovi di lei, dimentico che non volevo parlarvene. Non so qual arcana malìa mi avvince a lei, mi riconduce sempre a lei, anche quando le fo oltraggio. Via, via dunque da me quella sua immagine che mi turba! Bisogna che io ora ritorni quale sono, per discorrere con voi d’un argomento più gaio. Si tratta, nientemeno, della vostra pupilla, che adesso è anche la mia, e spero che, da quel che ve ne dirò, voi pure dovrete riconoscerlo. Da qualche giorno, essendo trattato un po’ meglio dalla mia graziosa ritrosetta, e perciò meno preso da lei, mi ero accorto che la piccola Volanges è infatti molto carina, e che se è stupido esserne innamorato cotto, come Danceny, era forse altrettanto stupido non approfittarne per quelle distrazioni che la mia solitudine mi rende necessarie. Mi pareva anche giusto cavarne fuori qualche profitto, in compenso delle tante premure che mi costa; e mi sono ricordato a proposito che dopotutto voi me l’avevate già offerta prima che Danceny potesse accampare le sue pretese. Ritenevo insomma di poter reclamare anch’io qualche diritto su un bene che egli possiede soltanto per il mio rifiuto e perché io gliel’ho abbandonato. Il grazioso visetto della ragazza, quella sua boccuccia così fresca, quel suo aspetto infantile e persino la sua ingenuità da bambocciona corroboravano in me questi onesti propositi. Stabilii dunque di regolarmi di conseguenza, e l’esito ha coronato l’impresa. Scommetto che la vostra mente già va almanaccando come io abbia potuto così presto soppiantare l’amante del cuore, e quale tipo di seduzione fosse meglio adatto a quella tenera età e a quella fredda inesperienza. Risparmiatevi la fatica: io non ne ho adoperata nessuna. Mentre voi, maneggiando con bravura le armi del vostro sesso, trionfavate con l’astuzia, io, restituendo al maschio le sue imprescrittibili prerogative, soggiogavo la vostra pupilla con l’autorità. Sicuro di afferrare la preda, solo che potessi accostarla, l’astuzia mi occorreva soltanto per avvicinarmela; e forse quella di cui mi sono servito non merita neppure un tal nome. Ho approfittato della prima lettera mandatami da Danceny per la sua bella; e, dopo averle fatto il segnale convenuto, invece di adoperarmi per recapitargliela, ho fatto di tutto per non trovare il modo di fargliela avere, e fingevo intanto di condividere con lei l’impazienza che io stesso provocavo. Ma poi, fatto il male, le ho suggerito il rimedio. La ragazza dorme in una camera che ha una porta sul corridoio, ma la chiave naturalmente l’aveva la mamma e bisognava impadronirsene. Niente di più facile: bastava che potessi averla a mia disposizione per un paio d’ore, per farmene fare una eguale. In questo modo, corrispondenza, colloqui, visite notturne, tutto diventava agevole e sicuro. E tuttavia, lo credereste?, la ragazza, timida com’è, se n’era spaventata e non voleva accondiscendere. Un altro, al posto mio, si sarebbe perduto d’animo; io invece ho colto questa occasione per darmi un piacere più raffinato. Ho scritto a Danceny per lamentarmi di questo rifiuto, e ho saputo far così bene che questo sciocco non ha avuto pace finche non ha potuto ottenere, anzi esigere, dalla sua trepida tortorella che compiacesse alla mia richiesta e si rimettesse tutta alla mia discrezione. Capirete che è stata per me una bella soddisfazione poter scambiare così le parti, e far fare per me al mio amico quella parte di mezzano ch’egli credeva che io stessi facendo per lui. Questo pensiero aggiungeva del pepe all’avventura, e perciò, appena in possesso della chiave, mi sono affrettato ad approfittarne. Il fattaccio è successo precisamente la notte scorsa. Dopo avere accertato che tutto era quieto nel castello, impugnata la mia lanterna cieca, vestito

Page 130: Le Amicizie Pericolose.pdf

succintamente come l’ora e le circostanze comportavano, ho fatto la mia prima visita alla vostra pupilla. Avendo fatto predisporre da lei stessa ogni cosa perché il mio ingresso avvenisse senza il minimo rumore, l’ho trovata nel primo sonno; ma così profondo (come è sempre il sonno a quell’età) da poter arrivare sino al suo letto senza ch’ella si risvegliasse. Lì per lì ho anzi avuto la tentazione di spicciar subito la faccenda e di passare ai suoi occhi assonnati per un bel sogno; ma ho avuto paura degli effetti della sorpresa e del rumore che ne poteva conseguire, e ho preferito perciò svegliare adagio adagio, con ogni precauzione, la mia bella addormentata, riuscendo infatti in tal modo a reprimere a tempo il grido che avevo previsto e temuto. Appena l’ho rimessa dal primo smarrimento, siccome non ero andato là per chiacchierare, ho tentato di prendermi qualche libertà. Certo in convento non le debbono aver insegnato bene a quanti e quali svariati pericoli va esposta la timida innocenza, e quali sono i punti da vigilare per non essere colti di sorpresa: perché, concentrando tutte le forze e tutta l’attenzione a schermirsi da un bacio, che era semplicemente una finta, ella ha lasciato tutto il resto indifeso. Come si poteva non approfittarne? Ho dunque cambiato subito obiettivo, e vi ho preso salda posizione. A questo punto tutt’e due abbiamo creduto per un momento d’essere perduti: perché la ragazza, tutta sconvolta, voleva gridare per davvero, senonché, per fortuna, la sua voce è restata soffocata dalle lacrime Voleva anche aggrapparsi al cordone del campanello, ma io, che stavo all’erta, sono riuscito a trattenerle il braccio a tempo. «Che vorreste fare?» le ho detto «vorreste rovinarvi per sempre? Se venisse qualcuno, come potreste mai persuaderlo che io sono qui senza il vostro consenso? Chi, se non voi, potrebbe avermi dato il modo d’entrare? E la chiave dunque, la chiave che mi avete data voi e che nessun altro avrebbe potuto darmi all’infuori di voi, la chiave, dite, come potreste spiegare l’uso a cui doveva servire?» La breve arringa non è bastata a calmare né l’ira né il dolore, ma ha persuaso però la ragazza alla sommissione. Non so se in quel momento avessi il tono che occorre per essere eloquenti, certo me ne mancò il gesto, perché una mano era occupata a tenerla ferma e l’altra a fare all’amore. Come potrebbe un oratore pretendere alla grazia oratoria, in una posizione simile? Se riuscite a raffigurarvi bene la scena, capirete tuttavia che l’occasione era favorevolissima all’assalto. Io però sono un allocco, e, come dite voi, la donna più stupida, una qualunque educanda può menarmi per il naso come un bambino! La nostra educanda intanto, pur desolandosi, capiva che bisognava venire a una conclusione e scendere a patti. Ma, poiché le preghiere mi trovarono inesorabile, è dovuta passare alle offerte. Voi immaginerete che io abbia venduto a caro prezzo una posizione tanto importante. Nient’affatto. L’ho ceduta appena per un bacio. Vero è che, quando ho preso il bacio, non ho mantenuto la promessa; ma avevo le mie brave ragioni. Non s’era forse convenuto che il bacio sarebbe stato dato e non preso? A furia di mercanteggiare, ci siamo accordati per un secondo bacio, e questo, per patto esplicito, doveva essere dato. Allora ho guidato io stesso le sue braccia inesperte intorno alla mia vita, l’ho stretta col mio braccio amorosamente a me, e il dolce bacio questa volta fu dato, ma dato davvero, ma dato così bene che l’amore stesso non avrebbe saputo fare meglio. Tanta buona fede meritava una ricompensa; e infatti io ho subito accondisceso al suo desiderio, ritirando la mano temeraria. Senonché, per non so che fatale combinazione, mi sono trovato io stesso al posto che essa occupava. Qui penserete che io, impaziente, mi sia messo subito all’opera. Nemmeno per sogno. Ormai, ve l’ho detto, ho preso gusto agli indugi. Quando si è sicuri d’arrivare, a che pro precipitare tanto il viaggio? Vi parlo sul serio: ero così soddisfatto di poter osservare a mio agio la forza delle circostanze! E questa volta esse si presentavano senza verun soccorso straniero, e dovevano tuttavia combattere l’amore, spalleggiato dal pudore e dalla vergogna, e rafforzato dalla rabbia che io avevo fatta nascere e che aveva trovato presa. L’occasione era unica, ma in compenso essa era lì, pronta,

Page 131: Le Amicizie Pericolose.pdf

attuale, presente, e l’amore invece era lontano. Per dar agio alle mie osservazioni, avevo la malizia di adoperare quel poco di violenza e non più, a cui ella potesse tener testa. Ma, appena la mia bella nemica, abusando della mia arrendevolezza, tentava di sfuggirmi, ecco che subito io l’attanagliavo con quella minaccia che aveva già dato così buona prova. Ebbene, senza altre pressioni, la tenera innamorata, dimentica dei suoi giuramenti, ha cominciato a cedere terreno e ha finito per accondiscendere. Dopo, sì, sono riapparsi i pianti e i rimproveri, e non so bene se fossero veri o simulati, ma, come sempre avviene, anche questi sono cessati di botto proprio quando io ho ripreso a far di tutto per giustificarli un’altra volta. E così, da accondiscendenza a rimprovero, e da rimprovero ad accondiscendenza, non ci siamo separati se non quando, soddisfatti l’uno dell’altra, siamo stati pienamente d’accordo per l’appuntamento di questa notte. Sono rientrato in camera mia allo spuntare dell’alba, rotto dalla fatica e dal sonno: e tuttavia ho sacrificato ogni cosa al desiderio di trovarmi stamattina a colazione, perché mi piace assai in questi casi vedere la faccia che si ha il giorno dopo. Oh, non potete mai figurarvi quella di lei: il suo imbarazzo nel portamento, la difficoltà nel camminare, gli occhi bassi, gonfi, pesti, e il visetto tondo che s’era come allungato! Vi assicuro ch’era proprio una cosa da ridere. E aveste visto la madre, che, preoccupata di questo cambiamento improvviso, le era attorno per la prima volta con tenerissimo affetto! Persino la presidentessa si faceva in quattro per lei! Oh, in quanto a questa, le sue sollecitudini saranno soltanto date in prestito, e non è lontano il giorno che la ragazza potrà restituirgliele. Mia bella amica, addio. Dal castello di ..., 1° ottobre 17..

Lettera XCVII Cecilia Volanges alla marchesa di Merteuil. O Dio, signora mia, quanta amarezza! E come sono disgraziata! Chi mi consolerà nelle mie pene, chi mi consiglierà nell’imbroglio in cui mi trovo? Quel signor Valmont... e Danceny? Ah, che il pensiero di Danceny mi riduce alla disperazione! Come raccontarvi ciò che mi è accaduto? Dove trovare le parole? Non so, non so proprio da che parte cominciare. Eppure ho il cuore così gonfio, che bisogna che mi sfoghi con qualcuno: ma con chi, se non con voi, la sola persona in cui possa confidarmi? Voi siete tanto buona con me! Senonché in questo momento non merito la vostra bontà, non ne sono degna, e (ve l’ho a dire?) non la desidero neppure. Tutti qui hanno dimostrato oggi tanto affetto per me, ma le loro premure non hanno fatto che inasprire di più il mio rimorso: sentivo tanto bene di non meritarle! Sgridatemi invece, sgridatemi forte, perché sono veramente colpevole. Ma, dopo avermi sgridata, salvatemi. Se mi negherete il vostro consiglio, morrò certo di crepacuore. Sappiate dunque... ma vedete come trema la mia mano? Non posso scrivere e mi sento salire le fiamme alla faccia. Ah, sì, è proprio il rossore della vergogna! Ebbene, ne sopporterò il peso, e sarà questo il primo castigo della mia colpa. Vi dirò ogni cosa. Il signor Valmont, che finora mi faceva avere le lettere di Danceny, si è messo in testa tutt’a un tratto che la cosa era difficile e ha voluto la chiave della mia camera. Vi giuro che non volevo dargliela; ma egli l’ha scritto a Danceny, e Danceny ha voluto a tutti i costi che gliela dessi. A me fa tanto male, quando debbo rifiutare qualche cosa al mio Danceny, specialmente ora che lo so afflitto per la mia lontananza! Insomma ho finito per cedere. Ma chi poteva immaginare quello che è

Page 132: Le Amicizie Pericolose.pdf

accaduto! Ebbene, ieri notte il signor Valmont si è servito di questa chiave per entrare in camera mia mentre io dormivo. La visita era così inaspettata, che mi sono spaurita molto quando mi ha risvegliata; ma, siccome si è messo subito a parlarmi, ho riconosciuto la sua voce e non ho gridato, tanto più che lì per lì m’era balenato il pensiero che potesse avere una lettera di Danceny da consegnarmi. Oh, si trattava di ben altro! Infatti, di punto in bianco, si è messo a baciarmi, e mentre io mi difendevo, com’è naturale, gli è riuscito di fare una cosa che io non avrei voluto per tutto l’oro del mondo... Ma egli voleva prima che io gli dessi un bacio. Ho dovuto accontentarlo. E come fare altrimenti? Avevo cercato di chiamare aiuto, ma, a parte che non ho potuto, egli mi ha fatto intendere che, se veniva gente, avrebbe gettata tutta la colpa su di me, e l’accusa era purtroppo credibile per via di quella maledetta chiave. Ma neanche il bacio è giovato a farlo recedere. Ho dovuto dargliene un altro; e questo, non so come sia stato, mi ha tutta sconvolta. Dopo è stato peggio di prima... Oh, no, non doveva fare così! E finalmente... Per carità, signora, dispensatemi dal raccontarvi il resto: vi basti sapere che io sono la più disgraziata delle donne! Quel che mi rammarica di più (ma bisogna pure che lo dica!) è il timore di non essermi difesa abbastanza. Certo io non amo affatto il signor Valmont; eppure (non capisco proprio come poteva succedere una cosa simile) c’erano dei momenti che mi sentivo addosso, non so, come se l’amassi. Ciò naturalmente non mi impediva di dirgli di no, sempre di no, che non stava bene, che non volevo; ma tuttavia mi accorgevo che i fatti non corrispondevano alle parole, e ciò avveniva senza che io ci potessi far niente, contro la mia volontà. E poi, che volete, ero tanto e tanto turbata! Se è sempre così difficile difendersi, capisco che bisogna esserci abituate! È vero però che il signor Valmont ha un certo modo di dire le cose, che non si sa che cosa rispondergli; e quando finalmente se ne è andato (lo credereste?) n’ero quasi dispiaciuta, e ho avuto persino la debolezza di acconsentire che tornasse questa notte. Oh, questo mi angustia più di tutto il resto! Tuttavia state certa che gli impedirò assolutamente di tornare. Appena se ne è andato, ho subito capito il male che avevo fatto a prometterglielo, e non ho fatto che piangere. Mi disperavo soprattutto per quel povero Danceny, e ogni volta che il mio pensiero correva a lui il pianto raddoppiava da soffocarmi, e non sapevo staccarmi più dal pensarci... E anche ora, vedete, questo foglio di carta è tutto intriso di lacrime! No, non potrò consolarmene mai, se non altro per lui... Insomma non ne posso più, e non ho chiuso occhio un minuto. Stamattina, alzandomi, quando mi sono guardata allo specchio, facevo paura, tanto ero cambiata! La mamma se ne è accorta subito, appena mi ha vista, e mi ha domandato che cosa avevo. Io per tutta risposta sono sbottata a piangere. Credevo che mi sgridasse, e forse un suo rimprovero mi avrebbe fatto bene. Invece si è messa a parlarmi con tanta dolcezza, che non meritavo proprio. Mi ha detto di non affliggermi così; ma la poveretta non sapeva il perché della mia afflizione. Mi ha detto che a questo modo mi ammalerò; e ci sono infatti dei momenti che vorrei essere morta! Non ho potuto frenarmi e, buttandomi tra le sue braccia, le ho detto tra i singhiozzi: «Mamma, mamma mia, la vostra figlia è pure disgraziata!». Anche la mamma non ha saputo trattenere le lacrime, e ciò ha accresciuto il mio dolore. Per fortuna non mi ha domandato perché mi sentissi tanto disgraziata, se no non avrei saputo che cosa risponderle. Signora mia, vi scongiuro, scrivetemi appena potrete, e ditemi che cosa debbo fare, perché io non oso pensare a niente e non faccio che straziarmi. Fatemi avere la risposta a mezzo del signor Valmont; ma, se per caso scriveste anche a lui, non gli parlate di ciò che vi ho detto. Mi onoro di dirmi, con molto e molto affetto, vostra umilissima e obbedientissima serva... Non ho il coraggio di firmare questa lettera.

Page 133: Le Amicizie Pericolose.pdf

Dal castello di ..., 1° ottobre 17..

Lettera XCVIII La signora Volanges alla marchesa di Merteuil. Pochi giorni fa, amica mia, eravate voi a chiedermi conforto e consiglio. Ora è la volta mia; e debbo farvi appunto per me la stessa domanda che allora mi avete fatta voi. Sono molto afflitta davvero, e temo di non aver saputo trovare la via per evitare i tanti dispiaceri che mi tocca sopportare. Sono dunque molto preoccupata per via di mia figlia. Dal giorno che siamo partite l’avevo vista sempre triste e angustiata; ma, siccome me l’aspettavo, m’ero fatta forte, corazzando il mio cuore di tutta la severità che ritenevo necessaria. Speravo che la lontananza e le distrazioni avrebbero presto avuto ragione di un amore che consideravo più una ragazzata che una passione seria. E ora mi accorgo che, da quando siamo qui, invece d’esserci un miglioramento, la ragazza mi si immalinconisce sempre di più, sicché vivo in grande apprensione per la sua salute. Da qualche giorno poi si è cambiata a vista d’occhio, e ieri soprattutto il suo cambiamento mi ha colpita, e con me ha impressionato qui tutti quanti. La prova per me più convincente del suo profondo soffrire è che la vedo disposta a vincere persino la timidezza che ha sempre avuta con me. Figuratevi che ieri mattina, soltanto per averle domandato se si sentiva male, si è precipitata tra le mie braccia, e piangendo e singhiozzando mi ha risposto che era tanto e tanto disgraziata. Non posso descrivervi la gran pena che ho sentito: gli occhi mi si sono riempiti di lacrime; e ho fatto appena a tempo a voltare la faccia per non lasciarlo capire. Per fortuna ho avuto la prudenza di non chiederle niente, e lei non ha osato dirmi altro; ma è troppo chiaro che la poverina deperisce e si logora per la sua malaugurata passione. Ora ditemi voi: se la cosa dovesse durare, come dovrò comportarmi? Posso io fare l’infelicità di mia figlia? Posso volgere a suo danno le doti più preziose dell’anima, che sono il calore degli affetti e la costanza? E sarà proprio una madre a fare questo? E quand’anche io riuscissi a soffocare in me il sentimento così naturale che ci fa desiderare il bene dei figli, quand’anche arrivassi a considerare come una debolezza quello che io credo invece il primo e il più sacro dei nostri doveri, col violentare la sua libertà di scelta non avrò poi la responsabilità delle conseguenze funeste che potessero derivarne? Che triste uso farei io della mia autorità materna, col mettere mia figlia allo sbaraglio tra il delitto e la sventura! No, amica mia, io non imiterò mai quelle madri che ho tante volte biasimate! Ho potuto tentare, questo sì, di fare io la scelta per conto di mia figlia, perché in fondo intendevo aiutarla con la mia esperienza; e questo non era già un diritto che volessi esercitare, ma piuttosto un dovere che ero obbligata a compiere; ma tradirei appunto i miei doveri se volessi disporre di lei, calpestando un sentimento che non ho saputo soffocare sul nascere e di cui né io né lei possiamo conoscere la profondità e la durata. Né io sono donna da adattarmi all’idea ch’ella sposi un uomo per amarne un altro: preferisco compromettere la mia autorità piuttosto che la sua virtù. Credo pertanto che finirò per prendere la risoluzione più onesta, che è di ritirare la parola data a Gercourt. Le ragioni che vi ho addotto mi pare che debbano prevalere sulle mie promesse. Dico di più: al punto in cui stanno le cose, mantenere la promessa data sarebbe in realtà un tradirla. Perché, insomma, se ho il dovere verso mia figlia di non rivelare il suo segreto a Gercourt, dovrò tuttavia non abusare dell’ignoranza in cui lo lascio, e fare per lui quello ch’egli stesso farebbe qualora lo sapesse. Come potrei infatti, proprio mentre egli si rimette alla mia fiducia e mi onora scegliendomi

Page 134: Le Amicizie Pericolose.pdf

come sua seconda mamma, tradirlo indegnamente su un cosa così delicata come è la scelta di una sposa, di una madre per i suoi figli? Queste considerazioni, così vere e a cui non posso sottrarmi, mi angustiano assai più che non riesca a dirvi. Di fronte ai tanti pericoli che queste considerazioni mi fanno balenare dinanzi, io vedo, dall’altro lato, mia figlia felice con lo sposo che il cuore le ha scelto, lieta dei suoi doveri perché ne conosce soltanto la dolcezza che si prova nell’adempierli; e con lei felice anche mio genero, ogni giorno più soddisfatto della sua sposa; e tutt’e due insomma felici, ciascuno della felicità dell’altro, in modo da accrescere delle loro felicità riunite la mia contentezza. Ebbene, la speranza di un sì lieto avvenire dovrà essere sacrificata a vane considerazioni? E che considerazioni sono poi quelle che mi trattengono? Nient’altro che meschine considerazioni d’interesse. E che vantaggio avrebbe dunque mia figlia dall’essere nata ricca, se poi dovrà anche lei essere schiava del denaro? Non nego che Gercourt sia un ottimo partito, migliore forse di quelli che avrei potuto sperare per mia figlia; e vi confesso che la scelta che egli ha fatto di mia figlia mi ha molto lusingata. Ma in fin dei conti anche Danceny viene da una buona famiglia, e per le doti personali non è certo da meno di Gercourt. Anzi su di lui ha il vantaggio di amare e d’essere amato. Non è ricco, è vero; ma mia figlia ha abbastanza per tutt’e due; e perché dovrei toglierle la gioia sì dolce di fare ricco l’uomo ch’ella ama? I matrimoni combinati dalla riflessione invece che messi insieme dalla volontà delle parti – e si chiamano di convenienza, forse perché vi si conviene d’ogni cosa fuorché dei sentimenti reciproci e dei caratteri degli sposi – non sono essi forse la fonte perenne degli scandali che ogni giorno più si fanno frequenti? Sarà meglio dunque soprassedere. Almeno avrò il tempo di studiare meglio mia figlia, che in verità conosco molto poco. Certo non mi manca il coraggio di farle soffrire un dolore passeggero per garantirle un bene più duraturo; ma per tutto l’oro del mondo non vorrei mica condannarla a una disperazione eterna. Ecco, amica mia, quali sono le idee che mi crucciano e sulle quali desidero il vostro consiglio. Questi gravi argomenti contrastano non poco con la vostra simpatica spensieratezza e sembrano poco adatti alla vostra età, ma il vostro senno ha sorpassato di molto l’età, e l’amicizia del resto darà una mano alla vostra prudenza. Non dubito punto che né l’una né l’altra vorranno restare sorde alle preghiere di una madre che le implora. Addio, o mia gentile amica, e contate pure sulla sincerità dei miei sentimenti per voi. Dal castello di ..., 2 ottobre 17..

Lettera XCIX Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil. Ho da darvi qualche altra notiziola, o mia bella amica, ma si tratta purtroppo sempre del prologo e non ancora del dramma. Armatevi perciò di pazienza, anzi di molta pazienza; perché, mentre la mia presidentessa avanza lentamente, la vostra pupilla retrocede addirittura, che è anche peggio. Ebbene, guardate se piglio le cose con spirito: queste miseriole mi divertono! Mi vado, sul serio, abituando assai bene a questo soggiorno, e posso dire che in questo malinconico castello della mia vecchia zia non ho provato mai nemmeno un attimo di noia. Non vi ho trovato infatti gioie, privazioni, speranze, incertezze? E che altro si può trovare di meglio in un teatro più vasto? Gli

Page 135: Le Amicizie Pericolose.pdf

spettatori? Ebbene, lasciate fare a me, e anche gli spettatori non mancheranno! Se non assistono alla mia spera, poco male, mostrerò loro il lavoro compiuto, e non potranno esimersi dall’ammirare e dall’applaudire. Sì, mi applaudiranno. Perché finalmente posso predire il momento preciso in cui la mia austera devota cadrà. Ho assistito stasera all’agonia della virtù, in vece della quale regnerà d’ora innanzi il dolce abbandono. Ebbene, alla più lunga sarà la prima volta che potrò trovarmi a solo a solo con lei. Vi sento già accusarmi d’orgoglio e di millanteria, perché preannunzio una vittoria, e me ne vanto prima d’averla in mano. Su, su, calmatevi! E per darvi una prova della mia modestia, comincerò intanto a raccontarvi la storia della mia disfatta. Un bel tipo davvero, quella vostra pupilla! E proprio una bambinaccia, e meriterebbe d’essere trattata a sculaccioni. Credereste che, dopo quello che l’altra notte c’è stato tra me e lei, e dopo esserci lasciati ieri mattina da buoni amici, quando stanotte ho cercato d’entrare in camera sua, come eravamo d’accordo, ho trovato la porta sprangata di dentro? Eh, che ve ne pare? Che si facciano di queste bambocciate il giorno prima, pazienza; ma il giorno dopo, via, è per lo meno molto ridicolo! Io però, lì per lì, non ci ho riso affatto, anzi mi sono sentito rimescolare tutto dentro. È vero che all’appuntamento ero andato di mala voglia, per solo obbligo di cortesia: che volete? Il mio letto, di cui avevo gran bisogno, mi era in quel momento assai più caro di quello di chicchessia, e l’avevo lasciato proprio a malincuore. Ma, appena ho trovato un ostacolo, subito mi ha preso il furore di superarlo; e soprattutto mi coceva d’essere stato beffato da una ragazzina mocciosa. Mi sono dunque ritirato di pessimo umore e col fermo proposito di non impicciarmi più di questa stupidina e delle sue ridicolissime faccende, e le ho scritto anche una letteraccia che avevo in animo di consegnarle oggi, nella quale le dicevo chiaro e tondo il fatto suo. Ma poi, come si dice, la notte porta consiglio; e stamattina ho pensato che, non essendoci qui troppe distrazioni da scegliere, meglio era tenersi questa, e perciò ho strappato la lettera. Infatti, riflettendoci bene, non so ancora capacitarmi come mai mi fosse venuta in mente la strana idea di finire un’avventura senza avere prima tanto in mano da rovinarne l’eroina. Guardate che cosa può capitare alle volte a lasciarsi guidare dal primo impulso! Beato chi ha, come voi, l’abitudine a dominarsi! Insomma ho differito la mia vendetta, sacrificandola alle vostre mire su Gercourt. Adesso che non sono più in collera, il contegno della vostra pupilla mi fa soltanto ridere. Mi piacerebbe sapere che giovamento spera da questo procedere. Io non mi ci raccapezzo. Se lo fa per difesa, mi pare un po’ tardi, no? Bisognerà che una volta o l’altra mi faccia spiegare da lei questo enigma, perché ho una voglia matta di capirci qualche cosa. O forse l’ha fatto solamente perché si sentiva stanca e indolenzita? Può darsi anche questo, dal momento che la povera ragazza non sa certo ancora che le frecce d’amore, come la lancia d’Achille, sono il miglior rimedio alle ferite che esse stesse hanno prodotto. Eppure no. A giudicare dalle smorfie arcigne che ha fatto tutta la giornata, si direbbe che c’entra piuttosto uno zinzino di pentimento... Che so io, qualcosa che rassomiglia insomma alla virtù. La virtù! Oh, se crede di potervi pretendere lei, alla virtù, sta fresca, poverina! La lasci, la virtù, all’unica donna nata veramente per essere virtuosa, all’unica che sappia renderla bella e farla amare. Scusatemi, mia graziosissima amica, questo sfogo; ma la scena tra la signora Tourvel e me, che voglio raccontarvi, è accaduta proprio stasera, e ne vibro tutto ancora d’emozione. Debbo farmi violenza per distrarmi dalla grande impressione che mi ha fatto, e anzi appunto per questo mi sono messo a scrivervi, come correttivo. Bisogna dunque essere indulgenti con me, in questi primi momenti. Già da qualche giorno io e la signora Tourvel siamo perfettamente d’accordo sui nostri sentimenti reciproci, e ormai si discute solo sulle parole. A dire il vero, al mio amore lei corrisponde ancora e sempre con la sua amicizia ; ma questo linguaggio convenzionale non muta la sostanza delle cose.

Page 136: Le Amicizie Pericolose.pdf

Ha anche rinunziato alla sua velleità di vedermi partire; e in quanto agli abboccamenti, che sono diventati quotidiani, se io metto ogni cura nel provocarne le occasioni, lei da parte sua non se le lascia certo sfuggire. Questi nostri abboccamenti avvengono di solito durante il passeggio; ma, poiché oggi faceva un tempo pessimo, non speravo niente di buono e n’ero contrariato. Chi poteva mai prevedere che questo contrattempo mi avrebbe invece giovato? Non potendo dunque andare a passeggio, dopo colazione si sono messi a giocare; e siccome io giuoco malvolentieri e non sono più necessario come compagno, ne ho approfittato per salire in camera mia, senz’altra intenzione che d’aspettare lassù la fine della partita. Me ne tornavo appunto per raggiungere la compagnia, quando per il corridoio mi sono incontrato nella mia bella che si dirigeva in camera sua. È stata imprudenza o debolezza, la sua, di parlarmi? «Dove andate?» mi ha domandato con la sua vocina soave. «Nel salotto non c’è più nessuno.» Capirete che ce n’era abbastanza perché tentassi d’entrare con lei in camera sua, e facendolo ho trovato minore resistenza di quella che mi aspettavo. È vero che avevo preso la precauzione di intavolare la conversazione sulla soglia dell’uscio con discorsi affatto indifferenti; ma, appena entrati, ho attaccato subito l’argomento che mi sta a cuore, e mi sono messo a parlare d’amore alla mia amica. La sua prima risposta, per quanto semplice, mi è parsa assai significativa. «Per carità,» mi ha detto «non parliamo di queste cose qui dentro.» E tremava tutta, povera donna: si sentiva morire! Aveva torto però di tremare. Da qualche tempo, essendo più che sicuro ormai di vincere un giorno o l’altro, e vedendola sciupare le sue forze in combattimenti inutili, ho preso la ferma risoluzione di risparmiare le mie forze e di aspettare, senza fare il minimo sforzo, che si arrenda per esaurimento. Capirete che qui ci vuole ormai un trionfo plenario, e non posso accettare l’intervento del caso. Per conformarmi appunto a tale risoluzione, e per poterla meglio provocare senza impegnarmi a fondo, ho adoperato la parola amore , da lei così ostinatamente rifiutata; senonché, sapendo ch’ella non poteva mettere più in dubbio il mio ardore, ho voluto questa volta provare un tono più affettuoso, come se il suo rifiuto non mi offendesse più, ma mi desolasse molto, sì che la mia tenerissima amica si sentisse in dovere di darmi qualche consolazione. E mentre ella dunque mi andava così consolando, una sua mano era restata tra le mie mani, e il suo bel corpo si appoggiava tutto sul mio braccio; e noi eravamo insomma vicini vicini. Avrete notato che, in questa posizione, a mano a mano che la resistenza s’illanguidisce, le domande e i dinieghi si fanno più serrati, la testa si scosta, gli sguardi si abbassano, e i discorsi, radi e spezzati da lunghe pause, sono pronunziati con voce sempre più fievole e quasi a fior di labbra. Questi sintomi preziosi annunziano, in modo inequivocabile, il consenso dell’anima; ma raramente il consenso passa anche ai sensi, e credo che, in tali circostanze, un gesto d’audacia sia oltremodo pericoloso, perché questo genere d’abbandono dà un piacere dolcissimo da cui ci si distoglie mal volentieri, e verso colui che ci ha costretti a farlo resta tuttavia un rancore che è a tutto profitto della resistenza. Inoltre, nel caso attuale, la prudenza mi era tanto più necessaria, quanto più avevo da temere che questo oblìo di sé avrebbe spaventato maledettamente la mia tenera sognatrice, qualora ne fosse richiamata, con un brusco risveglio. Il consenso pertanto che io chiedevo, non desideravo affatto che fosse anche pronunziato: uno sguardo, un semplice sguardo poteva bastare a farmi pago. Ed ecco infatti, amica mia, che i begli occhi si sono fissati su di me; ecco che la bocca divina ha

Page 137: Le Amicizie Pericolose.pdf

detto persino: «Ebbene, sì, io...». Ma a un tratto lo sguardo si è spento, la voce le e mancata, e la donna adorata è caduta tra le mie braccia. Ve l’avevo appena accolta tutta, che, svincolandosi con forza convulsa, con gli occhi smarriti, con le mani levate al cielo, si è messa a gridare: «Dio, Dio mio, salvatemi voi!»; e, subito, più rapida di un baleno, si è gettata in ginocchio a dieci passi da me. Sentendo che stava per soffocare, mi sono slanciato a soccorrerla; ma ella mi ha allora afferrato le mani, le ha bagnate di lacrime, e abbracciandomi più volte i ginocchi, ha esclamato: «Sarete voi, dovete essere voi a salvarmi. Voi non volete certo la mia morte. Lasciatemi, salvatemi, in nome di Dio!». Queste frasi sconnesse uscivano a stento tra i singhiozzi sempre più spasmodici e disperati, mentre si era avvinghiata a me tanto tenacemente che io non potevo muovermi. Io allora, raccogliendo tutte le mie forze, l’ho sollevata tra le braccia, e subito ogni pianto è cessato, ogni parola è morta sulle sue labbra, le sue membra si sono irrigidite, e violente convulsioni l’hanno scossa tutta, come conclusione a tanta tempesta. Vi confesso che ero vivamente commosso e che, se pur le circostanze non mi ci avessero costretto, avrei spontaneamente accondisceso alle sue domande. Il fatto è che, dopo averle prestato qualche soccorso, l’ho lasciata sola, secondo il suo desiderio, e sono contento d’aver agito così, perché ne ho già quasi ricevuto il premio. Mi aspettavo infatti che anche questa volta, come il giorno della mia prima dichiarazione, non si sarebbe fatta vedere per tutta la sera. Invece, verso le otto, è scesa in salotto, limitandosi a dire alla compagnia d’essersi sentita molto male. Aveva il viso sconvolto, la voce arrochita, il contegno molto compunto; ma il suo sguardo era dolce, e l’ha posato più volte su di me. Avendo rifiutato di giocare, ho dovuto prendere io il suo posto; ed ella mi si è seduta accanto. Durante la cena è rimasta sola in salotto; e, quando noi vi siamo tornati, m’è sembrato che avesse pianto. Per accertarmene, le ho domandato se per avventura il suo male l’avesse ripresa, ed ella mi ha cortesemente risposto: «È un male che non se ne va tanto presto, come è venuto!». Finalmente, quando è giunto il momento di ritirarci, le ho offerto la mano, e nell’atto di separarci dinanzi all’uscio della sua camera me l’ha stretta con forza. A dirla schietta, in questa stretta ci doveva essere però qualcosa di involontario. Tanto meglio: è una prova di più del mio ascendente su di lei. Insomma, amica mia bella, sarò presto da voi per farmi mantenere la parola che mi avete data. Spero che non avrete mica dimenticato d’avermi promesso, come premio della mia vittoria, quella tale piccola infedeltà al vostro cavaliere. Ebbene, siete pronta? Io, per me, vi desidero come se non ci fossimo mai conosciuti. Che dico mai? Conoscervi è una ragione di più per desiderarvi. “Dico da senno, e non già per complimento”.30Voi sarete così la prima infedeltà che io farò alla mia solenne conquista, e vi giuro che approfitterò del primo pretesto per allontanarmi ventiquattro ore da lei: sarà la giusta punizione per avermi tenuto tanto tempo lontano da voi. Sapete che sono già più di due mesi che quest’avventura mi tiene occupato? Sono anzi, a voler essere esatti, due mesi e tre giorni: mettendo però nel conto anche la giornata di domani, poiché la faccenda sarà veramente consumata soltanto allora. Questo mi fa ricordare che la signora B. ha resistito tre mesi interi: donde si può dedurre che la civetteria più spregiudicata sa difendersi meglio della più austera onestà. Addio, amica mia, mi tocca lasciarvi, perché è molto tardi e, per scrivervi questa lettera, mi ci è voluto più tempo che non supponessi. Ma siccome il corriere per Parigi parte domattina, ho voluto parteciparvi un giorno prima la gioia del vostro amico. Dal castello di ..., 2 ottobre 17..

Lettera C Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil.

Page 138: Le Amicizie Pericolose.pdf

Amica mia, sono stato tradito, beffato, rovinato. Sono al colmo della disperazione. La signora Tourvel è partita. È partita, e io non l’ho saputo, e io non ho potuto far niente per impedire la sua partenza, per rinfacciarle il suo indegno tradimento. Non crediate, oh, no, che io l’avrei lasciata partire! Sarebbe dovuta rimanere a tutti i costi, avessi anche dovuto impiegare la forza! E io invece, nella mia credula sicurezza, dormivo i miei sonni tranquilli. Dormivo, e la folgore mi cadeva addosso. Non capisco niente di questa partenza, ed è proprio vero che bisogna rinunziare a capire le donne. Se ripenso alla giornata di ieri, che dico? Alla stessa serata di ieri, a quel suo sguardo dolcissimo, alla sua voce affettuosa, alla sua stretta di mano... ebbene, ella in quel mentre meditava la fuga! Donne, donne, e avete poi il coraggio di lamentarvi che noi vi inganniamo! Davvero, sì, poverine, ogni perfidia che adoperiamo noi è rubata a voi! Che gusto avrei a vendicarmi! Perché io la ritroverò, la perfida, e riprenderò il mio ascendente su di lei. Se l’amore è bastato a farmene trovare i mezzi, figuratevi che cosa potrà fare quando sarà aiutato dalla vendetta! La rivedrò ancora ai miei piedi, tutta tremante e bagnata di lacrime, implorare mercé, con la sua voce insinuante e falsamente soave; ma allora io sarò senza pietà. Che cosa farà adesso l’ingrata? Che cosa penserà? Forse si andrà tra sé rallegrando d’avermi ingannato, e, fedele agli istinti del suo sesso, questo piacere le sembrerà il più dolce di tutti. Quel che non ha potuto la tanto decantata virtù, l’ha fatto senza il menomo sforzo l’inclinazione innata al raggiro. E lo, povero sciocco, avevo paura della sua onestà, mentre avrei dovuto piuttosto guardarmi dalla sua malafede! Che tormento, però, essere costretti a ingoiare la propria rabbia; non poter mostrare altro che un affettuoso rammarico mentre il cuore è gonfio di bile; vedersi ridotti a supplicare ancora una donna ribelle, che ha osato sottrarsi al nostro potere! Meritavo dunque d’essere umiliato così? E da chi, poi? Da una donnicciuola timida e inesperta di ogni combattimento. Che mi giova essermi impossessato del suo cuore, averlo incendiato con tutte le fiamme dell’amore, averle portato sino al delirio il turbamento dei sensi, se oggi, tranquilla nel suo rifugio, può inorgoglirsi della sua fuga più che io non potrei fare della mia vittoria? E lo sopporterò io? Oh, no! Voi non potete supporlo, non potete avere di me una così bassa opinione! Ma quale destino mi unisce a quella donna? Non ve ne sono almeno cento che desiderano la mia corte, che si affretterebbero a corrispondermi? E quand’anche valessero tutt’e cento meno di lei, l’attrattiva della varietà, l’allettamento di sempre nuove conquiste, lo scandalo stesso del numero, non mi darebbero un più raffinato piacere? E allora, perché correre dietro a chi mi sfugge, per trascurare chi mi si offre? Perché mai questo? Non riesco a capire; eppure mi succede proprio così. Non ci può essere più godimento per me, non ci può essere più pace, se non possiedo questa donna che odio e amo con egual furore. Il mio destino mi sarà insopportabile, finché non potrò disporre del suo. Allora solo, tranquillo e soddisfatto, la vedrò a sua volta in balìa delle tempeste che soffro io in questo momento; anzi gliene susciterò mille altre anche più strazianti di questa. Speranza e timore, diffidenza e fiducia, tutti i mali inventati dall’odio, tutti i beni concessi dall’amore, tutti voglio scatenare nel suo cuore, tutti voglio che colmino il suo animo e vi si succedano a mio capriccio. Oh, ha da venire quel tempo! Ma quanto dovrò arrabattarmi ancora, per arrivarci? E pensare che ieri ne ero tanto vicino, e oggi me ne trovo lontano, lontano! Che debbo fare per riavvicinarmene? Non ardisco fare un passo, perché sento che, per prendere una risoluzione, dovrei essere più calmo, e il sangue invece mi bolle nelle vene! Ciò che raddoppia la mia rabbia è il sangue freddo col quale qui rispondono alle mie domande sull’improvviso avvenimento, sulle sue cause, sulla sua stravaganza. Nessuno ne sa niente, nessuno

Page 139: Le Amicizie Pericolose.pdf

desidera saperlo; forse non ne parlerebbero più nemmeno, se io li lasciassi parlare d’altro. La signora Rosemonde, da cui sono corso stamattina appena saputa la notizia, mi ha risposto con la flemma propria della sua età che questa era la conseguenza naturale dell’indisposizione avuta ieri dalla signora Tourvel; e che, avendo ella avuto paura d’ammalarsi seriamente, avrà preferito tornare a casa sua. Questo le sembra molto semplice, e mi ha aggiunto che anche lei, nei suoi panni, avrebbe fatto altrettanto: come se ci potesse essere qualcosa di comune tra loro due, tra una donna cioè che non ha da aspettare altro che la morte, e l’altra, croce e delizia della mia vita! La signora Volanges, che in un primo momento avevo sospettato potesse esserle complice, si preoccupa solo di non essere stata interpellata su questa mossa. Meno male, fra tante disgrazie, ella non avrà il piacere d’avermela fatta! E ciò mi prova anche un’altra cosa: che questa donna maligna non gode la fiducia della signora Tourvel, ed è sempre una nemica di meno. Figuratevi come gongolerebbe, se sapesse che è fuggita per me, come si gonfierebbe d’orgoglio se la fuga fosse stata consigliata da lei! Si darebbe molta più importanza di quella che già si dà. Dio mio, come la odio! Oh, ma io riprenderò la relazione con sua figlia, e vedrete, questa volta, come me la lavorerò a modo mio! Vedrete. Perciò penso di restare qui qualche altro giorno: almeno questa è la conclusione a cui sono, giunto, dopo il poco che ho potuto riflettere sinora sui casi miei. Non vi pare infatti che, dopo un passo così grave, la mia ingrata debba aspettarsi che io la segua? E, se le è venuta quest’idea, avrà disposto magari di chiudermi la porta di casa sua. Ora io non voglio che si abitui a simili espedienti, e tanto meno voglio tollerarne l’umiliazione. Preferisco farle sapere invece che io resto qui; anzi la pregherò di tornare, e, quando sarà ben persuasa della mia assenza, le piomberò in casa e vedremo come prenderà la mia visita. Ma, perché quest’idea abbia il suo effetto, bisogna procrastinarla, e io non so ancora se avrò la pazienza di attendere: oggi ho già aperto una ventina di volte la bocca per ordinare che mi preparassero i cavalli. Cercherò tuttavia di padroneggiarmi, e m’impongo d’aspettare qui la vostra risposta. Solo vi scongiuro, mia bella amica, di non farmi star troppo sulle spine Il maggior dispetto per me sarebbe di non sapere che cosa succede; ma il mio staffiere, che è a Parigi, ha qualche diritto di accedere presso la cameriera e potrà essermi di grande aiuto. Gli mando pertanto istruzioni e denaro. Vogliatemi permettere di unire alla presente l’una cosa e l’altra, che voi gli manderete da uno dei vostri domestici, con l’ordine di consegnarle a lui personalmente. Prendo questa precauzione, perché il briccone ha preso l’abitudine di fingere che non gli arrivino mai le mie lettere quando gli ordini che contengono non gli vanno a genio, e proprio in questo momento non mi pare tanto entusiasta della sua cameriera come vorrei. Addio, amica mia. Se vi viene in mente qualche bella idea, qualche strada più sbrigativa da prendere, comunicatemela pure. Ho sperimentato più d’una volta quanto la vostra amicizia mi è utile, e anche adesso ne ho profittato, perché infatti, dopo avervi scritto, mi sento più calmo. So almeno di parlare con una che mi capisce, e non con quegli stupidi automi tra cui mi trovo a vegetare qui da stamattina. Davvero che, quanto più vado innanzi con gli anni, tanto più mi persuado che ci siamo soltanto voi e io a valere qualcosa a questo mondo. Dal castello di ..., 3 ottobre 17..

Lettera CI Il visconte di Valmont ad Azolan, suo staffiere.

Page 140: Le Amicizie Pericolose.pdf

(Acclusa alla precedente) Bell’imbecille che siete, a essere partito di qui stamattina, senza sapere che la signora Tourvel partiva anche lei; e, se l’avete saputo e non me n’avete avvertito subito, siete anche peggio d’un imbecille! Che costrutto ne cavo io, di tutto il denaro che vi do da buttar via per ubriacarvi coi lacchè, e di tutto il tempo che dovreste impiegare al mio servizio e che sperperate invece a fare il bello con le cameriere, se poi non riesco mai a essere informato di quel che succede? Ecco una delle vostre solite imperdonabili negligenze. Vi avverto però che guai a voi se vi capitasse di commetterne un’altra in questa faccenda: sarebbe l’ultima che fareste al mio servizio! Bisogna che m’informiate di tutto quanto succede in casa della signora Tourvel: se sta bene in salute, se dorme, se è allegra o malinconica, se esce spesso e da chi va, se riceve visite e da chi, come passa il tempo, se fa la scontrosa con le cameriere e specialmente con quella che aveva qui, che cosa fa quando è sola, se, quando legge, legge di seguito o si interrompe per fantasticare, e così pure quando scrive. Cercate anche di farvi amico di chi porta le sue lettere alla posta: offritegli di fare voi questa commissione in vece sua, e, qualora accettasse, impostate soltanto le lettere che vi sembreranno indifferenti e mandate a me le altre, soprattutto quelle indirizzate alla signora Volanges, se ce ne saranno. Fate in modo d’essere ancora per qualche tempo l’amante riamato della vostra Giulia; e, se avesse un altro amante come voi sospettavate, persuadetela a dividersi fra tutt’e due, e badate di non fare lo schizzinoso, che sarebbe una ridicolaggine bella e buona. Pensate che nel caso vostro si trovano tanti che valgono più di voi. Se però il vostro aiutante diventasse importuno, se vi accorgeste per esempio che tiene troppo occupata la Giulia durante la giornata, in modo che ella dovesse star poco tempo con la padrona, trovate la maniera di allontanarlo, litigate magari con lui e non abbiate paura delle conseguenze, perché ci sarò io a difendervi. Ma soprattutto mi raccomando di non abbandonare mai quella casa. Soltanto con l’essere assiduo potrete vedere tutto e bene. Se si desse il caso che fosse licenziato qualche servo, presentatevi per sostituirlo, come se non foste più al mio servizio, e dite pure che mi avete lasciato voi per cercare una casa più tranquilla e ordinata. Cercate insomma di farvi accettare, e durante questo tempo io vi pagherò sempre come se foste ancora con me. Faremo come quella volta che siete stato in casa della duchessa R. e vedrete che in seguito anche la signora Tourvel ve ne ricompenserà, come vi ha compensato la duchessa. Se aveste un po’ di zelo e d’intelligenza, queste mie istruzioni dovrebbero bastarvi; ma, per rimediare al difetto dell’uno e dell’altra, vi mando del denaro. Il biglietto qui unito vi autorizza, come vedrete, a riscuotere venticinque luigi dal mio amministratore, perché voi certo sarete senza il becco d’un quattrino. Impiegherete una parte della somma per convincere Giulia a mettersi direttamente in corrispondenza con me, e col resto pagherete da bere alla servitù; ma badate, se possibile, che la bicchierata avvenga in portineria, perché così il portiere vedrà di buon occhio che frequentate la casa. Non dimenticate però che non intendo di pagare così i vostri divertimenti, ma i vostri servizi. Abituate Giulia a osservare ogni cosa e a riferirvela, anche ciò che a lei potesse sembrare un particolare da niente. È meglio che essa scriva dieci frasi inutili, piuttosto che tralasciarne una interessante; e spesso ciò che pare indifferente è invece importantissimo. Siccome occorre che io sia informato subito, se capita qualche cosa che meriti, secondo voi, di farmi sapere, appena riceverete la presente mandate Filippo col cavallo a Y. ,31con l’ordine di restarci sino a nuovo avviso: sarà un posto di ricambio, in caso di bisogno. Per la corrispondenza ordinaria basterà la posta. Badate di non perdere questa lettera, e rileggetela ogni giorno per essere sicuro che l’avete ancora e che non avete dimenticato nulla. Fate insomma tutto ciò che bisogna fare quando si ha l’onore di essere il mio uomo di fiducia. Sapete già che, se io sarò contento di voi, voi lo sarete di me.

Page 141: Le Amicizie Pericolose.pdf

Dal castello di ..., 3 ottobre 17..

Lettera CII La presidentessa Tourvel alla signora Rosemonde. Immagino già la vostra sorpresa quando apprenderete che vi lascio con tanta precipitazione, e giudicherete certo strano il mio modo di procedere. Ma il vostro stupore crescerà molto di più, appena ne saprete le ragioni. Forse anche vi sembrerà che, a confidarvele, io dimostri poco riguardo alla tranquillità che i vostri anni richiedono, e che io venga meno a quei sentimenti di venerazione che per tanti vostri meriti vi sono dovuti. Ah, signora, perdonatemi! Ma il mio cuore angustiato ha bisogno d’espandere il suo dolore nel seno di una amica cara e prudente; e chi altri potrei scegliere, se non voi? Consideratemi come una figlia, abbiate per me l’indulgenza di una madre, ve ne imploro; e forse me ne danno diritto i sentimenti che nutro per voi. Dov’è più ormai il tempo beato in cui, votata tutta a sì lodevoli sentimenti, non conoscevo ancora quelli che, mettendomi nell’anima un turbamento mortale, mi tolgono la forza di combatterli, proprio quando il dovere me l’impone? Oimè, che questo mio fatale viaggio mi ha perduta! Come dirvela? Amo, sì, amo disperatamente. Povera me! Questa parola che scrivo per la prima volta, che tante volte mi è stata chiesta e che io non ho mai voluto concedere, pagherei con la mia vita la dolcezza di poterla fare udire a colui che me la ispira; e invece bisogna che gliela taccia per sempre. Egli certo dubiterà ancora dei miei sentimenti e crederà d’aver ragione di lamentarsi: come sono disgraziata! Perché non può egli leggere facilmente nel mio cuore, come gli è stato facile regnarvi? Soffrirei meno, se egli sapesse ciò che soffro; ma neanche voi, a cui pure mi confesso, neanche voi potete averne la più pallida idea. Tra pochi istanti io fuggirò da lui e gli darò un gran dolore. Mentre crederà ancora d’essermi accanto, io sarò lontana; e, all’ora in cui tutti i giorni mi ero abituata a vederlo, sarò in luoghi dove lui non è stato mai, dove non potrò permettergli mai di venire. Ho fatto tutti i preparativi: le mie valigie sono qui sotto i miei occhi, e, dovunque poso questi miei occhi tutto mi parla della straziante partenza. Ogni cosa è pronta, all’infuori di me; ma più il cuore recalcitra, e più mi prova la necessità di sottomettermi alla mia sorte. Certo mi ci sottometterò, perché è meglio morire che vivere nella colpa. E nella colpa, purtroppo, sento d’essere ormai sprofondata senza rimedio! Ho salvato l’onore, ma la virtù è finita. Bisogna che ve lo confessi: quel poco che ancora me ne resta, lo debbo solo alla sua generosità. Inebbriata del piacere di vederlo, di ascoltarlo, di sentirlo vicino a me, pazza dalla felicità grandissima di poterlo fare felice, non avevo più il dominio di me, non avevo più forza: appena tanta me ne restava da combattere, non da resistere. Fremevo del pericolo, ma non potevo più scansarlo. Ebbene, egli ha veduto la mia angoscia e ne ha avuto pietà. Come potrei non amarlo, se gli devo più della vita? Ah, se a rimanergli vicina non avessi che a tremare per la vita, credetemi che non consentirei mai ad allontanarmi! Che vale per me la vita senza di lui? Perderla sarebbe una gran fortuna. Condannata a fare in eterno la sua infelicità e la mia, a non osare né di lamentarmi né di consolarlo, a difendermi ogni giorno contro di lui e contro di me, a mettere ogni cura ad amareggiarlo mentre vorrei consacrarmi tutta a renderlo contento: vivere così non è cento volte peggio di morire? Eppure questo è il mio destino. Ebbene, lo sopporterò, avrò il coraggio di sopportarlo: ne fo giuramento a voi, che io scelgo come mia seconda madre.

Page 142: Le Amicizie Pericolose.pdf

E vi fo anche quello di non nascondervi mai nessuna delle mie azioni. Accettatelo, ve ne scongiuro: ve lo chiedo come un aiuto di cui ho bisogno. Impegnandomi a dirvi ogni cosa, mi sembrerà d’essere sempre alla vostra presenza, e la vostra virtù sosterrà la mia. Non acconsentirò mai certo di dover arrossire davanti ai vostri occhi; e, trattenuta da tale efficacissima remora, mentre amerò in voi l’amica indulgente che sa le mie debolezze, onorerò anche l’angelo tutelare che mi preserva dalla vergogna. C’è però già da vergognarsi assai, d’essere ridotti a fare una simile richiesta! Fatale conseguenza di una presuntuosa fiducia nelle sole proprie forze! Ma perché non mi sono spaventata prima della simpatia che sentivo nascere in me? Perché mi sono lusingata di poterla padroneggiare e di vincere come volevo io? Stolta che sono stata! Come conoscevo poco l’amore! Oh, se l’avessi combattuto con più diligenza, forse non mi avrebbe padroneggiata tanto, e non sarebbe stato necessario partire; o almeno, anche prendendo questa dolorosa determinazione, avrei potuto fare a meno di rompere recisamente i miei rapporti con lui, che sarebbe bastato rendere meno frequenti. Ma perdere così tutto in una volta, e per sempre!... O amica mia!... Vedete? Persino mentre vi scrivo, mi perdo ancora in desideri criminosi! Partiamo, partiamo, e che almeno questi involontari errori siano espiati dal mio sacrificio! Addio, veneranda amica; amatemi, adottatemi come figlia vostra, e siate sicura che, nonostante la mia debolezza, preferirò morire piuttosto che rendermi indegna del vostro affetto. Dal castello di ..., 3 ottobre 17.. all’una di notte.

Lettera CIII La signora Rosemonde alla presidentessa Tourvel. La vostra partenza mi ha addolorata assai più che non mi abbia sorpresa la ragione che voi me ne date. Una lunga esperienza e l’interesse che m’ispirate mi avevano fatto leggere già abbastanza chiaramente nel vostro cuore; e, per essere schietta, la vostra lettera non mi ha detto nulla o quasi nulla di nuovo. Se avessi dovuto aspettare qualche lume da quella non saprei ancora chi è l’uomo che amate, perché, pur parlandomi continuamente di lui , non l’avete nominato mai, nemmeno per sbaglio. Non ce n’era affatto bisogno, perché so benissimo chi è; e ve lo faccio notare soltanto perché mi ricordo che questo appunto è lo stile dell’amore, e mi accorgo che è restato ancora quello di una volta. Non avrei mai creduto di dovere rievocare ricordi tanto lontani negli anni e ora così estranei alla mia età; eppure da ieri non faccio che rimuginarli, per il desiderio vivissimo di trovarci qualche cosa che possa esservi utile. Ma che posso fare io, se non ammirarvi e compiangervi? Lodo la prudente determinazione che avete presa, ma me ne sgomento, pensando che dunque l’avete ritenuta indispensabile; e, quando si è giunti a tal punto, è difficile tenersi lontani da colui a cui il cuore continuamente ci riavvicina. Non vi disanimate però. Niente dev’essere impossibile a un’anima bella come la vostra; e quand’anche un giorno dovreste disgraziatamente soccombere, che Dio non voglia, credetemi, mia cara, sarà tuttavia una gran consolazione per voi aver lottato con tutte le forze. E poi, ciò che non può l’avvedutezza umana può farlo, quando gli piaccia, la grazia divina. Forse il suo aiuto è vicino, e la vostra virtù, così duramente provata da tante battaglie, ne uscirà più pura e più luminosa di prima. La forza che oggi vi manca potrete magari riceverla domani. Non già che dobbiate farvi assegnamento per starvene con le mani in mano; ma anzi questa speranza deve incoraggiarvi ad adoperare tutte le vostre forze.

Page 143: Le Amicizie Pericolose.pdf

Pur lasciando alla Provvidenza il compito di soccorrervi in un pericolo contro il quale io non posso nulla, farò del mio meglio per sostenervi e per consolarvi. Non allevierò purtroppo le vostre pene, ma le dividerò con voi, e mi sarà caro pertanto di accogliere le vostre confidenze. Capisco che il vostro cuore ha bisogno di espandersi: ebbene, ecco, io vi apro il mio. L’età non l’ha ancora tanto raffreddato da renderlo insensibile all’amicizia, e lo troverete dunque sempre pronto a ricevervi. Sarà un gramo sollievo alla vostra afflizione, ma almeno non piangerete da sola, e quando questo disgraziatissimo amore, prendendo il sopravvento su di voi, vi costringerà a parlarne, meglio sarà che ne parliate con me che con lui. Ecco che anche io faccio come voi, e credo che nessuna di noi due riuscirà mai a nominarlo: tuttavia c’intendiamo lo stesso. Non so se faccio bene a dirvi che mi è sembrato molto addolorato della vostra partenza: forse sarebbe più prudente non parlarvene affatto; ma a me non piace la prudenza che può dispiacere agli amici. Non posso però parlarvene più a lungo, come vorrei, perché la vista debole e la mano tremante non mi permettono di scrivere lungamente, quando debbo scrivere di mio pugno. Addio, mia cara amica, addio, mia bella figliuola: sì, io vi adotto volentieri per figlia, e voi avete davvero tutte le doti per far felice e orgogliosa una madre. Dal castello di ..., 3 ottobre 17..

Lettera CIV La marchesa di Merteuil alla signora Volanges. Davvero, mia cara e buona amica, davvero che a leggere la vostra lettera gentile ho dovuto fare fatica a reprimere un moto di orgoglio! Che! Voi, non contenta di onorarmi della vostra intera fiducia, arrivate nientemeno sino a chiedermi consiglio? Ah, che io sarei ben fortunata, se meritassi una tale prova di stima da parte vostra; ma so che purtroppo l’amicizia vi fa velo! A ogni modo, quale che sia il motivo che me la fa godere, è sempre un dono assai prezioso, e l’averla ottenuta è per me un incentivo maggiore per rimettermi di impegno a meritarla. Vi dirò dunque schiettamente il mio pensiero; ma, ben inteso, senza la minima pretesa di darvi un parere. Temo anzi che la mia opinione non valga un granché, poiché è diversa dalla vostra; ma io ve ne esporrò le ragioni, e voi giudicherete. E, se mi darete torto, ebbene, io sottoscriverò anticipatamente la vostra sentenza, dimostrando così d’avere almeno tanto buon senso da non credermi più giudiziosa di voi. Se però, per questa volta sola, il mio parere fosse migliore del vostro, bisognerebbe cercarne la causa nell’illusione materna, che, essendo un sentimento lodevolissimo, non potrebbe esservi estraneo. E come infatti lo riconosco bene, questo nobile sentimento, nella risoluzione che volevate prendere! Così, se pure vi capita qualche rara volta di sbagliare, è soltanto per l’imbarazzo in cui venite a trovarvi di scegliere tra varie virtù. Mi pare tuttavia che la virtù da preferire debba essere la prudenza, quando si tratta del bene altrui, e specialmente quando il fatto che deve determinarlo è un legame sacro e indissolubile qual è appunto il matrimonio. In questo caso una madre, che sia insieme affettuosa e assennata, deve, come voi dite bene, aiutare la figlia con la propria esperienza. E che cosa dovrà fare (lo domando a voi) per aiutarla veramente, se non distinguere per conto suo tra ciò che piace e ciò che conviene? Non sarebbe un avvilire l’autorità materna, non sarebbe un annientarla, subordinandola a una frivola passioncella, il cui prestigio affatto illusorio si fa sentire soltanto su coloro che lo temono, ma subito sparisce non appena lo si disprezzi? Per me, lo confesso, non ho creduto mai a queste

Page 144: Le Amicizie Pericolose.pdf

passioni travolgenti e irresistibili con cui si pretende, tutti d’accordo, di scusare ogni nostra sregolatezza; e non riesco a capire come mai un capriccio, che nasce in un momento e un momento dopo è bell’e finito, possa avere più forza di certi princìpi inalterabili, come il pudore, l’onestà, la modestia; e tanto meno poi posso capire come una donna che li tradisca possa essere giustificata dalla sua cosiddetta passione, mentre un ladro non è scusato dalla passione del denaro o un assassino da quella della vendetta. Chi può dire, oimè, di non aver mai dovuto lottare con le tentazioni? Ma io ho sempre cercato di persuadermi che, per resistere, bastava volerlo; e la mia esperienza personale ha confermato, almeno sinora, questa mia opinione. Che sarebbe la virtù, se non imponesse doveri? Il suo culto è nel nostro sacrificio, la sua ricompensa nei nostri cuori. Sono verità che può negare soltanto chi ha interesse a disconoscerle, chi nella sua depravazione spera di cambiar le carte in tavola, tentando di giustificare i suoi traviamenti con speciose ragioni. Ma come si potrebbe temere una cosa simile in una ragazza timida e semplice, che è nata da voi, e la cui educazione pura e vereconda non ha potuto che rafforzare le buone inclinazioni native? E tuttavia a questo timore, che oso chiamare umiliante per la vostra figliuola, voi vorreste ora sacrificare il matrimonio vantaggioso che la vostra prudenza aveva saputo combinare per lei. Danceny mi è molto simpatico, e da lungo tempo, come sapete, non ho più in pratica il signor Gercourt; ma la mia amicizia per l’uno e la mia indifferenza per l’altro non m’impediscono di distinguere l’enorme disparità che è tra i due partiti. Uguale è la nobiltà dei loro natali, ne convengo; ma, mentre l’uno non ha beni di fortuna, l’altro ne ha tanti, che, anche senza la nobiltà, sarebbero bastati per fargli fare molto cammino. È vero che il denaro non fa felici; ma dovete ammettere che per lo meno rende più facile la vita. La signorina Volanges, dite, è ricca per due: pure le sessantamila lire di rendita che le spettano non sono poi tante, quando si porta il nome di Danceny e si deve metter su e mantenere una casa che sia alla sua altezza. Non siamo più ai tempi della signora Sévignés: oggi il lusso è tutto; si disapprova, ma non ne sappiamo fare a meno, e il superfluo finisce per farci mancare il necessario. In quanto alle qualità personali, di cui fate molto conto, e avete tutte le ragioni, il signor Gercourt è perfettamente a posto, e ormai ne ha dato le prove. Voglio credere, e certamente è così, che anche Danceny non sia da meno di lui; ma possiamo noi esserne altrettanto sicure? Finora, verissimo, ci è sembrato esente dai difetti della sua età, e nonostante il triste andazzo dei tempi ha sempre dimostrato di prediligere le buone compagnie, lasciando sperare bene di sé. Chi ci dice tuttavia che questa parvenza di serietà non sia dovuta alla sua mediocre agiatezza? Anche a non avere scrupoli in fatto di crapula e di bricconate, occorre però parecchio denaro per essere giocatori e libertini; e si può benissimo avere inclinazioni al vizio, anche se se ne temono gli eccessi. Non sarebbe certo il primo che è costretto a rigare dritto per non poter fare altrimenti. Non voglio dire, Dio guardi, che io penso questo di lui; ma sarebbe sempre un rischio. E, se l’esito non fosse poi quale sperate, che disperazione sarebbe la vostra! Che potreste rispondere a vostra figlia, quando vi dicesse: “Mamma mia, io ero giovane e senza esperienza, e un errore perdonabile alla mia età mi aveva traviata; ma il cielo, che aveva preveduto alla mia debolezza, mi aveva concesso, per rimediarvi, la garanzia di una madre savia e prudente. Perché dunque, dimenticando la tua prudenza, hai acconsentito alla mia rovina? Toccava forse a me di scegliermi uno sposo, quando non sapevo ancora nulla dello stato coniugale? E quand’anche io avessi voluto a tutti i costi la mia rovina, non toccava a te di opporti? Ma poi io non ho avuto mai un sì pazzesco proposito; anzi, ben disposta a obbedirti, ho aspettato la tua scelta con rispettosa rassegnazione, e, senza essermi mai scostata dalla debita sottomissione, debbo oggi sopportare la pena che meritano solo le figlie ribelli? Ahi, che la tua debolezza mi ha rovinata!”.

Page 145: Le Amicizie Pericolose.pdf

Forse il suo rispetto soffocherebbe questi rimpianti, ma l’amore materno li sentirebbe ugualmente; e le lacrime di vostra figlia, ancorché nascoste, cadrebbero lo stesso nel vostro cuore. Dove cerchereste allora una consolazione? Forse in quel folle amore, contro cui avreste dovuto difenderla e dal quale invece vi sarete lasciata stregare? Sarà forse, chissà, amica mia, che io ho una prevenzione magari troppo smodata contro questa maledetta passione; ma è un fatto che la credo pericolosa persino nel matrimonio. Non dico che un sentimento onesto e delicato non possa abbellire il legame coniugale e addolcirne in certa guisa i doveri; ma non è certo questo sentimento che possa formare il legame; non deve l’illusione di un attimo pregiudicare una scelta che dura tutta la vita. Per scegliere, infatti, bisogna saper comparare; e come potrà farlo chi è dominato da un solo oggetto, chi non è in grado di conoscere questo stesso oggetto, per essere il suo giudizio offuscato dall’ebbrezza e dall’accecamento? Mi sono incontrata nella vita, come potete figurarvi, in molte donne colpite da questo terribile male, e di qualcuna ho avuto anche le confidenze. A sentire loro, nessuna ce n’è il cui amante sia men che perfetto; ma queste chimeriche perfezioni stavano poi soltanto nei loro cervelli malati. Le loro testoline esaltate non vedono che pregi e virtù, e ne rivestono a loro arbitrio l’uomo che amano: è l’abito gemmato di un dio, e l’indossa assai spesso un abbietto vermiciattolo; ma, chiunque esso sia, appena gliel’hanno messo addosso, le poverette, illuse dalla loro stessa opera, gli si prostrano davanti per adorarlo appunto come un dio. O vostra figlia non ama Danceny, o è vittima di questa stessa illusione; e, se il loro amore è reciproco, ne sono vittime entrambi. Per tal modo la sola ragione che voi potreste addurre per unirli tutta la vita si riduce alla certezza che essi né si conoscono né si potranno conoscere mai. Mi obietterete che neppure Gercourt e vostra figlia si conoscono. È vero, ma almeno non si fanno illusioni. Non si conoscono, e basta. Che cosa accade in questi casi tra due sposi che debbo ritenere onesti? Che l’uno studia l’altro; che ognuno, esaminando se stesso in confronto dell’altro, cerca e riconosce quali dei suoi gusti e delle sue tendenze personali deve correggere per la felicità comune. Sono lievi sacrifici che non costano molto, perché sono reciproci e si possono prevedere: da essi nasce poi una mutua benevolenza, e l’abitudine, che rafforza le tendenze superstiti, genera a poco a poco una soave amicizia, una confidenza affettuosa, le quali, unite alla stima, formano la vera, solida felicità dei matrimoni. Le illusioni dell’amore saranno magari più dolci, ma chi non sa che durano poco e che il loro crollo è oltremodo pericoloso? I menomi difetti sembrano allora gravi e insopportabili, perché contrastano con l’ideale perfezione che ci aveva ammaliati; e ciascuno dei due sposi, immaginando che solo l’altro abbia cambiato, si ritiene ancora perfetto come in un momento di folle ebbrezza l’altro aveva creduto e detto. Il fascino che egli non prova più, si stupisce di non saperlo più suscitare nel compagno, e ne resta umiliato. La vanità ferita inasprisce gli animi, accresce i malintesi, crea il disaccordo, genera l’odio; e così un frivolo piacere è pagato caramente a prezzo d’una lunga interminabile serie di disinganni e di malumori Ecco, mia cara amica, la mia opinione sulla questione che vi interessa. Io non la difendo, mi limito semplicemente a esporla. Tocca a voi risolvere. Ma, se persistete nel vostro parere, vi prego di farmi sapere le ragioni che avranno vinto sulle mie: sarò ben lieta d’essere illuminata da voi e soprattutto d’esser rassicurata sulla sorte della vostra gentile figlioletta, di cui fervidamente desidero la felicità, per l’amicizia che mi lega a lei e per quella che mi unisce a voi per tutta la vita. Parigi, 4 ottobre 17..

Lettera CV

Page 146: Le Amicizie Pericolose.pdf

La marchesa di Merteuil a Cecilia Volanges. Piccina mia, eccovi dunque tutta sconsolata e vergognosa! E quel Valmont, eh, che canaglia! Osa trattarvi nientemeno come se foste la preferita fra tutte le donne! Osa insegnarvi quel che morivate dalla voglia di sapere! Ah, sono azioni veramente imperdonabili! E voi, dal canto vostro, volete serbare intatta la vostra virtù per il vostro spasimante, che, poveretto, non ne abusa davvero, quasi che dell’amore vi piacessero soltanto le pene e non anche i piaceri! Parola d’onore, che voi fareste una figurona coi fiocchi in un romanzo. La passione, la sventura, e infine, a coronare l’opera, persino la virtù: non manca proprio niente! Peccato che, con tanta bella roba dentro, il romanzo farebbe poi sbadigliare a più non posso! Ma insomma, tant’è, sono cose che fanno sempre la loro brava impressione! Guardate dunque se non è da compiangere sul serio questa povera bimba! Aveva finanche gli occhi pesti, il giorno dopo! E che direte quando li avrà così anche il vostro innamorato? Consolatevi, consolatevi, mio bell’angioletto, che purtroppo non li avrete sempre così! Per disgrazia, non tutti gli uomini sono come Valmont! E poi, non avete osato più alzarli, codesti vostri occhi. Oh, in quanto a questo, via, non so darvi tutti i torti, perché la gente vi avrebbe letto benissimo la vostra avventura. Però, datemi retta, se tutte facessero come voi, le nostre signore e le nostre signorine dovrebbero tutte portare gli occhi bassi. Nonostante gli elogi che, come vedete, sono qui a elargirvi, bisogna ammettere tuttavia che avete fallito il vostro capolavoro, che sarebbe stato di spiattellare ogni cosa a vostra madre. Avevate cominciato così bene! Vi eravate gettata già singhiozzante tra le sue braccia, e persino la mamma piangeva. Chissà che scena patetica! Perché non l’avete portata a compimento? La vostra tenerissima madre, tutta estasiata dalla gioia, per soccorrere la vostra virtù vi avrebbe chiusa certamente in monastero per tutta la vita, e lì finalmente avreste potuto amare Danceny in santa pace senza rivali e senza peccato, e avreste potuto desolarvi a vostro agio senza che Valmont venisse mai a turbare il vostro dolore coi suoi importuni piaceri. Ma, via, parliamo sul serio. Come può essere permesso, a quindici anni compiuti, d’essere bambocce sino a questo punto? Avete ragione davvero di dire che non meritate la mia benevolenza! Sì, io volevo diventare la vostra amica, e ne avete proprio bisogno, con la madre che avete e col marito che vorrebbe affibbiarvi; ma, se non vi sveltite un po’, che volete che si possa fare di voi? Che cosa si può sperare di buono da voi, se ciò che dà la presenza di spirito alle altre ragazze, a voi la toglie? Se poteste fare lo sforzo di ragionare un momento, capireste subito che, invece di lamentarvi, dovreste gongolare di gioia. Ma avete vergogna, e questo vi mette in imbarazzo! Rassicuratevi pure: la vergogna che proviene dall’amore è come il dolore fisico che esso produce, e si prova una volta sola. Le altre volte si può fingerla, ma non si sente più. E resta invece il piacere, che non è poi cosa da buttare via! Credo anzi d’aver capito, in mezzo alle vostre belle chiacchierine, che voi sapete farne buon pro. Via, siamo sincere! Quel turbamento, per colpa del quale i fatti non corrispondevano alle parole , che vi rendeva così difficile il difendervi e vi faceva essere quasi dispiaciuta che Valmont se ne fosse andato via, ve lo faceva provare la vergogna o il piacere? E quel certo modo che ha Valmont di dire le cose, che non si sa poi come rispondergli non sarebbe forse invece il suo modo di fare ? Ah, ragazza mia, voi mentite, e per giunta mentite alla vostra amica! Questo in verità non sta bene. Ma lasciamola lì Ciò che per chiunque altro sarebbe un piacere, nulla più, per voi, nella vostra situazione, è una vera fortuna. E infatti, divisa come siete tra una madre al cui affetto tenete tanto e un innamorato da cui desiderate essere amata per sempre, come non vi accorgete che l’unico modo di conciliare questi

Page 147: Le Amicizie Pericolose.pdf

due interessi contrastanti è occuparvi di un terzo? Distratta da questa nuova avventura, mentre nei confronti di vostra madre avrete l’aria di sacrificare alla sommissione dovutale un amore che le dispiace, acquisterete agli occhi del vostro innamorato l’onore d’una bella difesa. Perché assicurandolo sempre del vostro amore, non gliene accorderete mai le prove supreme; e questo rifiuto, che nel caso vostro vi costerà poco, sarà considerato da lui un chiaro attestato della vostra virtù. Magari se ne dorrà, ma vi vorrà più bene che mai; e così dall’amore caverete questo doppio merito: agli occhi di vostra madre, di sacrificarlo; e, agli occhi dell’innamorato, di sapergli resistere; e tutto ciò, senz’altra fatica che quella dolcissima di goderne intanto i piaceri. Quante donne hanno compromessa la loro riputazione, che avrebbero invece potuto mantenere comodamente, se si fossero trovate in una così fortunata combinazione! La soluzione che vi propongo non è forse la più ragionevole di tutte, com’è la più dolce? Sapete che cosa avete guadagnato coi vostri bei sistemi? Che vostra madre, attribuendo l’accresciuta tristezza a un aumento d’amore, è andata su tutte le furie e aspetta solo d’esserne sicura per castigarvi. Me ne ha scritto poco fa, e dice che tenterà di tutto per strapparvene la confessione, fino a proporvi di sposare Danceny per spingervi a parlare. E, se voi vi lascerete ingannare dalla sua falsa tenerezza rispondendo secondo ciò che il cuore vi detta, sarete rinchiusa in convento per lungo tempo, forse per sempre, e lì non vi rimarrà se non piangere sulla vostra stupidaggine Questa gherminella ch’ella vuole impiegare contro di voi va combattuta con un’altra. Cominciate a mostrarvi meno triste e a farle credere che non pensate più a Danceny: ella ci cascherà facilmente perché di solito la lontananza fa appunto questo effetto, e ve ne sarà assai grata in quanto avrà modo di compiacersi della sua prudenza che le ha suggerito questo espediente. Ma se, restandole ancora qualche dubbio, persistesse nel volervi mettere alla prova e venisse a parlarvi di matrimonio, mostratevi docile come si conviene a una figlia ben educata, e sottomettetevi ai suoi voleri. Che ci rischiate, in fin dei conti? Per quel che se ne fa d’un marito, l’uno vale l’altro, e il più noioso dà sempre meno fastidio di una madre. Appena vostra madre sarà soddisfatta di voi, vedrete che vi mariterà; e allora, diventata più libera, potrete come meglio vi piace lasciare Valmont per prendere Danceny, o magari tenerli tutt’e due. Perché, badate bene, il vostro Danceny è un bel figliuolo, ma è uno di quegli uomini che si possono avere quando si vogliono e finché si vogliono, e dunque con lui non occorrono tanti riguardi; mentre con Valmont non è la stessa cosa; è difficile conservarlo, e lasciarlo può essere pericoloso. Ci vuole con lui molto tatto, o almeno, in mancanza di questo, molta docilità. D’altra parte, se riusciste a farvene un amico, sarebbe una gran fortuna, perché vi metterebbe di colpo in prima fila tra le donne in voga. Così, carina mia, si conquista una solida reputazione nel bel mondo, e non già arrossendo e piangendo come quando le monache vi facevano pranzare in ginocchio. Cercherete dunque, se avete giudizio, di rappaciarvi con Valmont, che deve essere molto arrabbiato con voi; e, siccome bisogna saper riparare alle proprie schiocchezze, non abbiate riguardo di essere voi la prima a farvi avanti. Imparerete del resto assai presto che, se gli uomini fanno sempre i primi passi con noi, tocca poi a noi donne fare i successivi. Voi inoltre ne avete il pretesto bell’e pronto, perché non è prudente che questa mia lettera resti nelle vostre mani e esigo che la restituiate a Valmont appena letta. Ma non dimenticate, prima, di rimettervi il suggello: anzitutto perché è bene lasciare a voi il merito dei passi che farete per tornare in buona con lui; senza lasciare supporre che vi sono stati consigliati da me; e poi perché al mondo non ci siete che voi di cui mi senta tanto amica da parlarvi come vi parlo. Addio, bell’angiolo. Date retta ai miei consigli e mi saprete dire poi, a suo tempo, se ve ne siete trovata contenta. P. S. A proposito, dimenticavo di dirvi ancora una parolina. Guardate di curare un po’ più il vostro

Page 148: Le Amicizie Pericolose.pdf

stile: voi scrivete come una bambina. So bene da che cosa dipende: voi dite tutto ciò che pensate e niente di quello che non pensate. Finché si tratta di lettere tra me e voi, beh, poco male, dal momento che noi non dobbiamo aver nulla di nascosto l’una per l’altra; ma con gli altri, e specialmente col vostro innamorato, farete la figura di una scioccherella. Capirete che, scrivendo a qualcuno, scrivete per lui e non per voi, e dunque dovete cercare di dirgli non già ciò che pensate ma ciò che può piacergli di più. Addio, cuore mio, e invece di sgridarvi vi mando un bacio, sperando che vorrete essere più ragionevole. Parigi, 4 ottobre 17..

Lettera CVI La marchesa di Merteuil al visconte di Valmont. Bravo visconte! Questa volta mi piacete davvero, mi piacete pazzamente. Del resto dopo la prima lettera c’era d’aspettarsi la seconda, e perciò non mi ha stupita affatto; e mentre voi, tronfio dei vostri trionfi, me ne chiedevate il premio, domandandomi se ero pronta, io capivo benissimo che non c’era fretta. Parola d’onore, che a leggere il vostro magnifico racconto sulla patetica scena che vi aveva tanto vivamente commosso , e a vedere la vostra discrezione, degna in tutto dei bei tempi della cavalleria, mi sono detta le cento volte: “Ecco un affare andato a rotoli!”. Ma non poteva andare altrimenti. Che volete che faccia una povera donna che si arrende, e l’altro non la piglia? Diamine, in questo caso bisognerà salvare almeno le apparenze; ed è ciò che appunto ha fatto la vostra presidentessa. Anch’io, avendo capito che, in fin dei conti, nel sistema usato da lei per cedere le armi c’è del buono, mi propongo di usarlo alla prima occasione un po’ seria che mi si presenterà; ma vi prometto fin d’ora che, se colui per il quale mi piglierò questa briga non sa approfittarne meglio di voi, può far conto di non vedere più la mia faccia. Eccovi dunque ridotto proprio in mezzo a una strada. E sì che avevate due donne a vostra disposizione, delle quali all’una avevate già fatto la festa e all’altra potevate farla quando volevate! Ebbene, voi mi accuserete di millanteria e direte che è facile fare il profeta a cose avvenute, ma posso giurarvi che mi aspettavo che tutto finisse così. Perché, vedete, vi manca la genialità del vostro mestiere: fate benissimo ciò che vi hanno insegnato, ma siete sprovvisto affatto d’inventiva; e perciò, quando le circostanze non si attagliano più al vostro imparaticcio e bisogna uscire dalla solita praticaccia di tutti i giorni, restate lì impappinato come uno scolaretto. E bastata una ragazzata, da una parte, e dall’altra un ritorno di scrupoli, due cose che non succedono proprio tutti i giorni, per farvi perdere le staffe; ed ecco che voi non sapete né prevenirle né rimediarvi. Ah, visconte, visconte, voi mi fate proprio riflettere che non bisogna mai giudicare gli uomini dalle buone fortune che hanno avuto; e presto verrà il momento che si dovrà dire di voi: “Eppure un tempo pareva persino audace!”. E quando poi, a furia di sciocchezze, avete fatto la frittata, allora ricorrete a me, come se io non avessi altro da fare che raddrizzar le gambe ai cani: e sì che, solo a rimediare i vostri spropositi, ci sarebbe un gran daffare! Comunque sia, una di queste vostre faccende è stata iniziata contro la mia volontà, e non me ne voglio assolutamente impicciare. In quanto all’altra, siccome siete nei pasticci anche per fare un favore a me, vi aiuterò come se si trattasse di cosa mia. La lettera qui unita, a cui darete una scorsa prima di passarla alla piccola Volanges, è più che sufficiente per ridarvela nelle mani. Ma vi raccomando di prendere più a cuore la sorte di questa ragazza e di coadiuvarmi per farne, come d’accordo, la disperazione di sua madre e di Gercourt. E non abbiate paura di caricare

Page 149: Le Amicizie Pericolose.pdf

troppo le dosi; perché mi pare di capire che la ragazza ci sta volentieri e non ne sarà affatto sbigottita. Poi, una volta raggiunto il nostro scopo, vada a finire come vuole! Insomma, di lei non m’importa né punto né poco. Avevo avuto, è vero, una mezza idea di farne un’intrigante di sottordine, di prenderla con me per farle recitare le particelle secondarie; ma mi accorgo che non c’è stoffa. E di un’ingenuità così stupida, che a guarirla non è bastato nemmeno lo specifico che avete adoperato voi: e sì che di solito fa miracoli! Si vede proprio che ho ragione di credere che l’ingenuità è il peggior male che possa capitare a una donna, come quella che denota una debolezza di carattere quasi sempre incurabile e contro cui nulla giova. Di modo che, mentre noi ci affanniamo tanto per educarla agli intrighi galanti, non ne faremo mai altro che una donnina facile e leggera; e io non conosco niente di più volgare di questa facilità che deriva dalla stupidaggine, per cui una donna si concede senza sapere né perché né come, solo perché c’è uno che le dà l’assalto e lei non sa difendersi. Questa razza di donne non sono se non macchine per dar piacere! Voi mi direte che per le nostre mire è questo appunto che ci vuole. Non dico di no; ma non dimentichiamo che, di queste macchine, chiunque arriva subito a conoscerne i congegni; sicché, per servirsene senza compromettersi, bisogna spicciarsi, sapersi fermare al momento buono e poi distruggere il meccanismo. Veramente per disfarci di questa non ci mancheranno i mezzi, e Gercourt penserà lui a farla rinchiudere in qualche luogo sicuro appena vorremo. Perché infatti, quand’egli non avrà più dubbi sul proprio infortunio, e questo sarà diventato pubblico e notorio, che c’importa a noi se si vendica su di lei, purché non se ne possa mai consolare? E ciò che io dico del marito voi intenderete della madre. Così appunto sarà fatto. Questa soluzione, che credo la migliore di tutte e che pertanto adotto, mi ha fatto affrettare i tempi con la ragazza, come vedrete dalla lettera. Ma essa rende altresì necessario che nelle sue mani non resti niente di compromettente, e perciò mi raccomando a voi di stare bene attento. Una volta prese le precauzioni opportune, del morale mi incarico io, e il resto è di vostra pertinenza. Se poi, in seguito, vedremo che l’ingenuità si corregge, faremo presto a mutar registro. Tanto, una volta o l’altra, dovevamo pure arrivare a questo che stiamo facendo ora alla ragazza, e vedrete che in ogni caso le nostre fatiche non andranno perdute. Sapete però che c’è mancato poco che le mie andassero tutte in malora, e che la buona stella di Gercourt è stata lì lì per avere il sopravvento sulle mie arti? La signora Volanges ha infatti avuto un momento di debolezza materna e voleva dare la figlia a Danceny. Tale era appunto il significato di quella sua maggior tenerezza che avevate notato anche voi il giorno dopo ; sicché in fin dei conti sareste stato voi l’autore di questo bel capolavoro! Per fortuna, la tenera madre ha scritto a me, e spero che la mia risposta gliene toglierà la voglia. Non fo che parlarle di virtù, e la liscio tanto e tanto per ogni verso, che non potrà fare a meno di darmi ragione. Peccato che non ho avuto il tempo di ricopiarvela, questa mia risposta, per edificarvi con l’austerità della mia morale! Avreste visto tutto il mio disprezzo per le donne depravate che hanno un amante. È tanto comodo essere rigoristi a parole: non fa danno che agli altri, e a noi non dà nessun disturbo! E poi io so che la brava signora ha avuto, ai suoi bei dì, qualche capriccetto anche lei e non mi dispiaceva affatto d’umiliarla almeno di fronte alla sua coscienza, consolandomi così un po’ delle lodi che dovevo farle di contraggenio. Per la stessa ragione, in quella medesima lettera, l’idea di fare del male a Gercourt mi ha dato coraggio di parlarne bene: figuratevi un po’! Addio, visconte. Approvo pienamente il vostro progetto di rimanere ancora qualche giorno dove siete. Non so suggerirvi nessuna via più sbrigativa per le vostre faccende; ma vi consiglio di distrarvene con la nostra comune pupilla. Per quel che mi riguarda, nonostante la vostra cortese

Page 150: Le Amicizie Pericolose.pdf

citazione a comparire, vedete che non c’è fretta, e non è colpa mia. Parigi, 4 ottobre 17..

Lettera CVII Azolan al visconte di Valmont. Signore, in conformità alle sue prescrizioni, mi sono presentato, non appena ricevuta la sua lettera, al signor Bertrand, che mi ha consegnato infatti i venticinque luigi che ella gli aveva ordinato di darmi. Gliene avevo chiesti due di più per Filippo, a cui avevo già detto di partire a tamburo battente, come il signore mi aveva comandato, e che non aveva denari; ma il signor amministratore non ha voluto darmeli, col pretesto che non aveva disposizioni al riguardo. Sono stato dunque costretto a darglieli io dei miei, e il signore nella sua bontà vorrà certo tenerne conto. Filippo è partito ieri sera, e gli ho raccomandato vivamente che non si allontani mai dall’osteria, perché vi si possa trovare quando occorre. Sono andato subito dopo a casa della signora presidentessa per cercarvi la Giulia, ma siccome era uscita ho potuto parlare soltanto con La Fleur, dal quale non ho cavato niente di buono, in quanto dal suo ritorno in poi è stato in casa appena alle ore dei pasti. Tutto il servizio è stato disimpegnato dal secondo lacchè, che io non conosco, come il signore già sa. Ma stamattina mi sono rimesso subito all’opera. Sono tornato dunque dalla Giulia, che mi è sembrata assai contenta di rivedermi. Avendola interrogata sul motivo del ritorno improvviso della padrona, mi ha risposto di non saperne nulla, e credo che dica il vero. L’ho rimproverata molto di non avermi avvertito della sua partenza; ma lei mi ha giurato d’averlo saputo solo la sera, al momento di mettere a letto la signora, sicché la povera figliuola ha dovuto passare la notte a far le valigie senza poter mai chiudere occhio. Quando l’ha lasciata, era già il tocco dopo la mezzanotte, e la signora s’era messa a scrivere. La mattina, la signora Tourvel, nel partire, ha consegnato una lettera al portiere del castello, ma la Giulia non sa a chi era diretta: ella crede che fosse per il signore, ma il signore non me ne parla affatto. Durante il viaggio, la signora si è calata il cappuccio sul viso, in modo che Giulia non ha potuto vederla: crede tuttavia che abbia pianto molto. Per tutta la strada non ha proferito parola e non si è voluta fermare a Y.32come aveva fatto nel viaggio di andata, e la Giulia anzi n’era assai seccata, non avendo fatto ancora colazione. Ma insomma, come ho detto io alla ragazza, i padroni sono i padroni. Appena arrivata, la signora s’è messa a letto e c’è restata appena un paio d’ore; poi s’è alzata, ha chiamato il portiere e gli ha dato ordine di non lasciar passare nessuno. Poi si è messa a tavola, senza neanche far toletta; ma non ha preso che un brodo, e s’è alzata subito dopo, tanto che il caffè le è stato portato in camera, e la Giulia, entrando quasi contemporaneamente, l’ha trovata che stava chiudendo alcuni fogli di carta nel cassetto della sua scrivania, e si è accorta che erano lettere. Scommetterei che sono quelle del signore; e, delle tre che le sono arrivate nel pomeriggio, una stava ancora rileggendola la sera: ne arguisco che anche questa fosse una lettera del signore. Ma allora perché è fuggita via così precipitosamente? Proprio non mi ci raccapezzo; ma certo il signore ne saprà la ragione, e sono faccende che non mi riguardano. La signora presidentessa ha passato il pomeriggio in biblioteca, portandone via poi con sé due volumi nel suo salottino ma la Giulia assicura che avrà letto tutt’al più un quarto d’ora in tutta la giornata, e tutto il resto del tempo non ha fatto che rileggere la famosa lettera e fantasticare con la testa fra le mani. Siccome ho pensato che forse il signore sarebbe contento di sapere di che libri si

Page 151: Le Amicizie Pericolose.pdf

tratta, e la Giulia non sapeva dirmelo, mi sono fatto portare da lei in biblioteca col pretesto di vederla, e ho accertato che mancano due soli volumi, e cioè il secondo tomo dei Pensieri cristiani e il primo tomo d’un libro intitolato Clarissa . Io ne scrivo qui esattamente i titoli; forse il signore saprà di che libri si tratta. Ieri sera la signora non ha pranzato e si è limitata a prendere un tè. Stamattina ha sonato per tempo, ha ordinato che si attaccassero subito i cavalli e si è fatta portare prima delle nove al convento dei Cappuccini. Voleva confessarsi, ma il suo confessore non era in convento e non tornerà che tra otto o dieci giorni: credo di far bene di avvertirne il signore. Poi è tornata a casa, ha fatto colazione, e si è messa a scrivere quasi per un’ora di seguito. Ho allora cercato subito di far ciò che al signore stava più a cuore, e infatti ha portato io le lettere alla posta: non ce n’era nessuna per la signora Volanges, ma gliene unisco qui una diretta al signor presidente, che mi pare la più importante di tutte. Ce n’era una anche per la signora Rosemonde, ma questa ho pensato che il signore potrà vederla quando vuole, e l’ho lasciata partire. Del resto il signore sarà informato subito di ogni cosa, perché la signora presidentessa ha scritto una lettera anche per lei. In seguito avrò tutte le lettere che il signore vorrà, perché è sempre la Giulia che le consegna alla servitù per impostarle, e la ragazza mi ha giurato che, per il bene che mi vuole e per quello che vuole anche al signore, farà volentieri tutto ciò che ella vorrà. Non ha voluto accettare a nessun costo il ducato che le ho offerto, ma forse il signore farà bene a mandarle un regaletto, e, se questo è anche il pensiero del signore e vuole che me ne incarichi io, saprò facilmente che cosa le sarebbe più gradito. Spero che il signore non penserà più che io sia stato negligente nel servirlo; ma, se così fosse, tengo molto a scagionarmi dei rimproveri che mi fa. Se non ho saputo della partenza della signora presidentessa, è stato invece proprio per il troppo zelo che metto nel servire il signore; e, siccome il signore mi aveva ordinato di partire alle tre del mattino, non ho potuto rivedere la Giulia la sera prima, come eravamo soliti fare ogni sera, essendo io andato a dormire a Tournebride, per non risvegliare a un’ora tanto importuna la gente che riposava nel castello. Quanto al rimprovero che il signore mi fa di essere sempre a corto di quattrini, la cosa è vera purtroppo, anzitutto perché mi piace di vestir bene, come il signore certo si sarà avveduto, e poi per sostenere l’onore della livrea. È vero bensì che dovrei mettere qualcosa da parte per l’avvenire, ma per questo mi affido interamente alla generosità del signore, che è un padrone proprio d’oro. Per quel che riguarda l’entrare al servizio della signora Tourvel, pur restando agli ordini del signore, spero che il signore non vorrà insistervi. Con la signora duchessa era un altro paio di maniche: certo non potrei mai abbassarmi a portar altra livrea, e specie quella della nobiltà togata, dopo aver avuto l’onore d’essere staffiere del signore. Nel rimanente, il signore può disporre come meglio crede di chi ha l’onore di sottoscriversi, con rispetto uguale alla devozione, suo umilissimo servo Rosso Azolan, staffiere. Parigi, 5 ottobre 17.., alle undici di sera.

Lettera CVIII La presidentessa Tourvel alla signora Rosemonde. O mia mammina indulgente, quanta riconoscenza vi debbo, e che bisogno avevo della vostra lettera! L’ho letta e riletta, senza potermene staccare; e a essa debbo i momenti meno dolorosi che ho passato dopo la mia partenza. Quanto siete buona! Dunque la virtù e il senno sanno compatire la

Page 152: Le Amicizie Pericolose.pdf

umana fralezza! Dunque voi avete pietà dei miei mali! Oh, se sapeste quanto sono orribili, questi miei mali! Credevo d’aver provato ormai tutte le tribolazioni dell’amore; ma la più invincibile di tutte, quella di cui non si può avere la menoma idea finché non s’è provata, è separarsi dall’essere amato e separarsene per sempre. Oimè, sì, il tormento che oggi mi angoscia tornerà domani, posdomani, tutta la vita! Dio, Dio mio, quanto sono giovane ancora, e quanto dunque mi resta ancora da soffrire! Essere noi stessi gli artefici della nostra sciagura, sbranarci il cuore con le nostre proprie mani, e mentre soffriamo spasimi atroci sentire a ogni momento che potremmo farli finire con una parola sola, se questa parola non fosse un delitto... Ah, amica mia, che disperazione! Quando ho preso la dolorosa risoluzione di allontanarmi da lui, speravo che la lontananza avrebbe accresciuto il mio coraggio e le mie forze. Quanto mi sono sbagliata! Mi sembra invece che io abbia finito di distruggere l’uno e le altre. Prima avevo più da lottare, verissimo; ma, pur resistendo, la privazione non era almeno intera, totale: lo vedevo almeno qualche volta, e anche se non osavo posare i miei sguardi su di lui, sentivo però i suoi fissi su di me... Sì, amica mia, li sentivo proprio, e mi pareva che m’infiammassero l’anima e che anche senza passare per i miei occhi mi giungessero non di meno al cuore. Ora, nella mia desolata solitudine, distaccata come sono da ogni cosa cara, a faccia a faccia con la mia sventura, ogni momento della mia triste vita è segnato dalle lacrime, e niente ne raddolcisce l’amarezza, nessun conforto allevia i miei sacrifici, e quelli che io ho fatto fin qui non sono serviti ad altro che a rendermi più penosi quelli chi mi restano da fare. Ne ho avuto la sensazione precisa ieri, al più tardi. Insieme con le lettere che mi hanno portato, ce n’era una di lui. L’ho subito riconosciuta, a due passi di distanza; e, senza volerlo, mi sono alzata in piedi tremante, incapace di nascondere la mia commozione. Ma, rimasta sola, subito dopo, ogni illusoria dolcezza è sparita, e non mi è restato che un altro sacrificio da compiere. Avrei potuto infatti aprire questa lettera, che tuttavia ardevo di leggere? Per un crudele destino che mi perseguita, ogni consolazione che mi si presenta non fa che impormi nuove privazioni, le quali si fanno anche più atroci al pensiero che le soffre anche Valmont Eccolo finalmente, questo nome a cui penso sempre e che ho pure stentato tanto a scrivere! Il rimprovero velato che me ne fate mi ha profondamente colpita. Ma non crediate, per carità, che una falsa vergogna mi abbia fatto perdere la confidenza che ho in voi. È perché mai dovrei aver paura di nominarlo? Arrossisco dei miei sentimenti, ma non di colui che li ha ispirati. Chi altri infatti potrebbe esserne più degno di lui? E con tutto ciò, non so perché, questo nome non mi viene spontaneamente sotto la penna, e anche questa volta ho dovuto farmi forza per mettercelo. Ma torniamo a lui. Mi dite che vi è sembrato molto addolorato della mia partenza. Che cosa dunque ha fatto? Che cosa ha detto? Ha forse parlato di tornare a Parigi? Vi prego di sconsigliarglielo più che potete. Se mi ha giudicata bene, non deve serbarmi rancore mio passo e deve capire che è una risoluzione irremovile. Uno dei maggiori tormenti per me è di non sapere che cosa pensa. C’è qui, è vero, la sua lettera; ma voi sarete del mio stesso parere: che non posso, che non debbo aprirla. Intanto, per merito vostro, mia indulgente amica, posso non sentirmi distaccata affatto da lui. Non voglio abusare della vostra gentilezza, e capisco benissimo che le vostre lettere non possono essere lunghe; ma indubbiamente non potete rifiutare due righe alla vostra figliuola: una per sostenere il suo coraggio, l’altra per consolarla. Addio, mia rispettabile amica.

Page 153: Le Amicizie Pericolose.pdf

Parigi, 5 ottobre 17..

Lettera CIX Cecilia Volanges alla marchesa di Merteuil. Soltanto oggi, o signora, ho consegnato al signor Valmont la lettera che mi avete fatto il piacere di scrivermi. L’ho tenuta quattro giorni con me, nonostante la paura che potessero trovarmela; ma era, non dubitate, gelosamente nascosta, e, quando mi tornava addosso la malinconia, mi chiudevo in camera a rileggerla. Adesso ho capito benissimo che ciò che mi è capitato non è poi quel grosso guaio che credevo, e bisogna proprio confessare che di piacere ne dà tanto e tanto, sicché non me ne dolgo quasi più. Solo il pensiero di Danceny mi angustia ancora un po’; sebbene ci siano già dei momenti che non ci penso affatto; che volete, questo signor Valmont è tanto mai simpatico! Ho rifatto pace con lui da due giorni, e mi è stato facile; perché, appena ho aperto bocca, lui mi ha detto che, se avevo da parlargli, sarebbe venuto la notte in camera mia, e io non ho fatto altra fatica se non quella di rispondergli che anch’io ne ero contentissima. E, quando poi c’è venuto, non pareva più in collera, come se non gli avessi mai fatto niente. Dopo, sì, mi ha sgridata; ma con tanta dolcezza, con tanto garbo... Proprio come voi, insomma; e questo vuol dire che in fin dei conti anche lui mi è amico sul serio. Non vi dico quante curiose e buffe storielle mi ha raccontate che io, per me, non avrei mai credute, specialmente a proposito della mamma. Fatemi il piacere di dirmi voi se sono vere. Quel che è certo è che non potevo trattenermi dal ridere, tanto che una volta sono scoppiata a ridere forte e questo ci ha spaventati, perché la mamma avrebbe potuto sentirmi, e se fosse venuta a vedere, che cosa sarebbe accaduto. di me? Era la volta buona che mi ricacciava in convento! Siccome bisogna che siamo prudenti, e il signor Valmont mi ha detto lui stesso che non vorrebbe in nessun modo correre il rischio di compromettermi, ci siamo messi d’accordo che d’ora innanzi verrà da me soltanto per aprire l’uscio della mia camera, ma sarò poi io che andrò in camera sua. E là non c’è pericolo di niente: ci sono stata già ieri sera e adesso, mentre scrivo, aspetto che venga a prendermi. Ora voglio sperare, signora mia, che non avrete più da lagnarvi di me. C’è però una cosa che mi ha meravigliata molto nella vostra lettera, e cioè quello che mi scrivete nei riguardi di Danceny e del signor Valmont per quando sarò maritata. Mi pare di ricordare che una sera all’Opera mi avevate detto invece che, una volta sposata, non potrei voler bene ad altri che a mio marito e che dovrei persino dimenticare Danceny. Ma forse avrò capito male; comunque è meglio che sia altrimenti, perché così non avrò più ragione di preoccuparmi tanto per l’avvicinarsi delle mie nozze. Anzi adesso vorrei che fossero presto, per essere più libera, e spero che allora potrò accomodare le mie cose in modo da pensare soltanto a Danceny. Solo con lui, infatti, lo sento bene, potrò essere pienamente felice; poiché adesso il pensiero di lui mi cruccia sempre, e solo quando riesco a distrarmene (ma è tanto difficile) posso avere qualche momento di gioia; e appena poi torno a pensarci, subito ridivento malinconica. Mi consola un po’ la vostra asserzione che anzi Danceny mi vorrà anche più bene di prima; ma sarà poi vero? Certo deve essere vero, perché voi non potete ingannarmi. È curioso però che sia Danceny quello che amo, mentre il signor Valmont... ma forse, come dite voi, è una fortuna che sia così! Basta, vedremo.

Page 154: Le Amicizie Pericolose.pdf

Ho capito poco le vostre critiche sul mio modo di scrivere. A Danceny, a quel che pare, le mie lettere piacciono così come sono. Certo, io pure capisco che non bisogna dirgli quel che avviene tra me e il signor Valmont: di questo potete stare tranquillissima. La mamma non mi ha parlato ancora del mio matrimonio, ma lasciate fare a me quando me ne parlerà, e vedrete che non mi lascerò mettere in trappola e saprò mentire come si deve. Addio, mia buona amica, vi ringrazio molto, e vi prometto che non dimenticherò mai tutte le vostre premure per me. Debbo chiudere la lettera, perché è quasi l’una, e il signor Valmont non può tardare. Dal castello di ..., 10 ottobre 17..

Lettera CX Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil. Potenze del cielo, avevo un’anima per il dolore, datemene una per la felicità!33Credo che queste parole siano proferite dal sentimentale Saint-Preux. Ebbene, meglio dotato di lui, io posseggo insieme le due anime, e sono nello stesso tempo il più felice e il più disgraziato dei mortali. E poiché voi, amica mia, avete la mia confidenza tutt’intera, vi debbo raccontare le pene e i piaceri. Sappiate dunque che la mia ingrata devota mi tratta ancora con rigore. Sono già alla quarta lettera che mi respinge; ma forse ho torto di dire la quarta, perché, essendomi accorto sin dal primo rinvio che per un pezzo si sarebbe continuato così, per non perder tempo ho adottato il sistema di scrivere le mie lamentele in termini generici e di sopprimere la data, di modo che dal secondo corriere in poi è sempre la stessa lettera che va e viene, e io non ci metto che il fastidio di cambiare la busta. Se la mia bella finirà, come finiscono sempre le belle, con l’intenerirsi, non foss’altro per stanchezza, si risolverà finalmente ad aprire la busta, e allora io pure mi rimetterò in carreggiata. Si capisce però che, finché dura questo genere di corrispondenza, non posso essere molto bene informato. Ho scoperto intanto che la fraschetta ha cambiato confidente; o almeno mi sono accertato che dalla sua partenza in poi nessuna lettera è giunta da parte sua alla signora Volanges, mentre ne sono giunte due per la signora Rosemonde; e poiché quest’ultima non ce ne ha mai detto niente, e anzi non apre più bocca a proposito della sua cara bella ,di cui prima parlava in lungo e in largo, ne ho dedotto che la confidente deve essere proprio lei. Suppongo che da un lato il bisogno di parlare di me e dall’altro la piccola vergognuccia di dover confessare alla signora Volanges un sentimento per tanto tempo sconfessato abbiano prodotto questa gran rivoluzione. Ho paura però di averci rimesso nel cambio, perché le donne più invecchiano e più si fanno arcigne e austere. Quell’altra le avrebbe forse detto peggio di me, ma questa gliene dirà più dell’amore; e la mia schifiltosina ha più paura del sentimento che della mia persona. Il metodo migliore per chiarire le cose è, come vedete, d’intercettare la corrispondenza clandestina. Ne ho già dato ordine al mio staffiere, e ne aspetto di giorno in giorno l’esecuzione. Intanto non posso che agire a casaccio, e perciò da otto giorni non fo che ruminare tutti i soliti mezzucci suggeritimi dai romanzi e dalle mie memorie segrete, ma non riesco a trovarne uno che si attagli alle circostanze dell’avventura e al carattere dell’eroina. Non mi sarebbe difficile introdurmi in casa sua, magari nottetempo, e magari addormentata per farne una seconda Clarissa, ma dopo più di due mesi di cure e di fatiche come potrei ricorrere a simili espedienti, estranei affatto al mio genio, e trascinarmi servilmente sulle orme altrui per trionfare senza gloria? Oh, no, non voglio davvero che ella abbia i piaceri del vizio e gli onori della virtù!34 A me non basta possederla, voglio anche che

Page 155: Le Amicizie Pericolose.pdf

mi si dia. E perciò bisogna non soltanto arrivare a lei, ma arrivarci col suo consenso, trovarla sola e disposta ad ascoltarmi, e soprattutto chiuderle gli occhi perché non veda il pericolo, perché, se lo vedrà, saprà superarlo o morire. Ma più so quel che bisogna fare e più mi accorgo che l’esecuzione è difficile; e, a costo di farmi beffare da voi, vi confesso che quanto più ci penso e tanto più il mio imbarazzo cresce. Credo che, a furia di pensarci, mi darebbe di volta il cervello, se per fortuna non ci fossero le distrazioni che mi prodiga la nostra comune pupilla. E tutto suo è il merito, se posso scrivervi qualcosa di meglio che un’eterna elegia. Figuratevi un po’: la cara creatura era tanto spaventata, che ci sono voluti tre giorni interi interi prima che la vostra lettera producesse il suo effetto! Guardate come alle volte una sola idea sbagliata può guastare i caratteri meglio disposti! Insomma, soltanto sabato ha cominciato a ronzarmi attorno e a balbettarmi qualche parolina; ma così a bassa voce e mezza soffocata dalla vergogna, che facevo fatica a intenderla; e se ho potuto indovinarne il significato, è stato solo per il rossore che gliene veniva alla faccia. Io, che fin qui ero restato inesorabile, mi sono lasciato ammansire da una così curiosa contrizione, e mi sono benignato di prometterle che sarei andato a trovare la sera stessa la bella penitente. Naturalmente il mio perdono fu accolto con tutta la riconoscenza dovuta a tanta magnanimità. Siccome non perdo di vista né i vostri disegni né i miei, ho voluto approfittare dell’occasione per misurare il vero valore della ragazza e per accelerare un po’ la sua educazione. Ma, per procedere nella mia opera con maggior libertà, avevo bisogno di cambiare anzitutto il luogo dei nostri convegni, perché lo stanzino che divide la camera della vostra pupilla da quella della madre non poteva darle tale sicurezza da lasciarla sfogare a suo agio. M’ero dunque ripromesso di fare innocentemente qualche rumore per spaventarla e renderla più propensa ad accettare un asilo più sicuro. Ebbene, la cara figliuola mi ha risparmiato anche questa fatica. Avevo notato che la birichina ride volentieri, e per favorire dunque la sua naturale giovialità mi è venuto in mente di raccontarle, durante gli intermezzi, le storielle più scabrose che mi frullavano per il capo, e, per renderle più saporite e per imprimergliele meglio nella memoria, le ho affibbiate tutte a sua madre, compiacendomi così di farne un campione di vizi e di ridicolaggini. A scegliere proprio la madre, avevo, si sa, le mie brave ragioni: anzitutto l’esempio materno par fatto apposta per incoraggiare meglio d’ogni altro la mia timida scolaretta, e poi le insinuavo così, senza parere, il più profondo disprezzo per la madre. Ho sempre notato che, se questo sistema non è sempre necessario per sedurre una ragazza, è però sempre indispensabile ed efficacissimo per depravarla, poiché una figlia che perde il rispetto per la madre finisce per non rispettare nemmeno se stessa, e questa verità morale la credo sì utile, che sono davvero contento di poter fornire un esempio a riprova del precetto. Frattanto la nostra pupilla, che non pensava affatto alla morale, tratteneva a mala pena le risa, che una volta però furono lì lì per scoppiare. Poco mi ci è voluto per farle credere che avesse fatto un rumore grandissimo e per farle condividere la gran paura che io fingevo di averne. Perché se ne ricordasse meglio, le ho fatto credere che m’era passata ogni voglia di farla divertire e l’ho lasciata tre ore prima del solito. Perciò nel separarci ci siamo messi d’accordo che la sera dopo ci saremmo ritrovati in camera mia. E ce l’ho portata infatti due volte. Ebbene, in questo breve lasso di tempo, la scolara è diventata brava quasi quanto il maestro. Proprio così: le ho insegnato ogni cosa, non escluse le raffinatezze, ho tralasciato solo il capitolo delle precauzioni. Essendo occupato in tal modo tutta la notte, ho il vantaggio di passare gran parte del giorno

Page 156: Le Amicizie Pericolose.pdf

dormendo, e, poiché la compagnia attuale del castello non ha più nessuna attrattiva per me, è molto se faccio un’apparizione di un’oretta durante tutta la giornata. Anzi da oggi voglio cominciare a farmi portare da mangiare in camera, e conto di uscirne appena per qualche passeggiatina. Queste mie stranezze sono attribuite alla mia cattiva salute, e infatti ho detto d’essere spossato dai vapori e d’avere anche un po’ di febbre. L’unico inconveniente che me ne deriva è di dover parlare sempre con voce lenta e fioca. Per quel che riguarda la brutta cera e il viso smunto, ci pensa abbastanza la vostra pupilla: l’amore vi provvederà !35 Impiego i miei ozi a studiare con quali espedienti riprenderò sulla mia ingrata il vantaggio perduto, e anche a comporre una specie di catechismo della perfetta dissolutezza a uso della mia scolara, divertendomi a chiamare in esso ogni cosa col suo nome tecnico, e rido in anticipo a pensare che bella conversazione ne verrà fuori tra lei e Gercourt la prima notte di matrimonio. Sentiste con che buffa ingenuità la piccina si serve già di quel poco che conosce di questo dizionario! E non immagina neanche che si possa parlare altrimenti. E proprio una seducente bambocciona, e il contrasto tra il suo candore innocente e il suo linguaggio sfrontato fa davvero la più strana impressione. E a me ormai, non so perché, soltanto le stranezze mi piacciono! Forse però, a queste, mi lascio andare un po’ troppo, visto che ci perdo tempo e salute; ma spero che la mia finta malattia, oltre a salvaguardarmi dalla noia del salotto, potrà essermi di qualche giovamento presso la mia austera devota, la cui tigresca virtù non esclude però una soave compassione! Sono certo che ella a quest’ora sarà stata già informata a dovere di questo grande avvenimento, e ho una voglia matta di sapere che cosa ne pensa, tanto più che sono pronto a scommettere che se ne attribuirà tutto l’onore. Ebbene, regolerò l’andamento della mia salute sull’impressione che ne avrà lei. Ecco dunque, o mia bella amica, che adesso sapete ogni mia faccenda meglio di me. Spero di avere presto notizie più interessanti da comunicarvi, e vi prego di credere che, nel piacere che me ne riprometto, entra molto anche la ricompensa che ne aspetto da voi. Dal castello di ..., 11 ottobre 17..

Lettera CXI Il conte di Gercourt alla signora Volanges. Signora mia, sembra che qua ogni cosa si sia messa tranquilla, e perciò attendiamo di giorno in giorno il permesso di tornare in Francia. Della mia ansia di tornare e di stringere quei nodi che debbono unirmi per sempre a voi e alla signorina Volanges, spero che non vorrete nemmeno dubitare. Tuttavia il duca di Y., mio cugino, verso il quale, come sapete, ho tante obbligazioni, mi partecipa d’essere stato richiamato da Napoli. Ora, siccome vorrebbe approfittare del suo ritorno per passare da Roma e vedere, strada facendo, quella parte d’Italia che ancora non conosce, terrebbe molto che io lo accompagnassi in questo viaggio, il quale durerà circa sei settimane o al massimo due mesi. Non vi nascondo che mi sarebbe molto caro di cogliere quest’occasione; perché, una volta ammogliato, non vorrei più muovermi di casa, se non per ragioni di servizio. E forse anche non è male aspettare per il matrimonio l’inverno, perché soltanto allora tutti i miei parenti saranno a Parigi, e specialmente il marchese X., al quale debbo in gran parte l’onore d’imparentarmi con voi. Nonostante queste considerazioni, i miei desideri in proposito saranno sempre subordinati ai vostri, e rinuncerò volentieri al viaggio, se voi preferite restare ferma ai nostri primi accordi. Solo vi prego di farmi sapere al più presto possibile le vostre intenzioni. Aspetterò qui la vostra risposta e mi regolerò secondo ciò che mi risponderete.

Page 157: Le Amicizie Pericolose.pdf

Credetemi, signora, col massimo rispetto e con tutti i sentimenti doverosi di un figlio, vostro umilissimo ecc. Bastia, 10 ottobre 17..

Lettera CXII La signora Rosemonde alla presidentessa Tourvel. (Scritta sotto dettatura) Solo adesso, mia cara, ricevo la vostra lettera del giorno 11 coi dolci rimproveri che contiene.36Confessate però che avevate una voglia matta di farmene assai di più, e che, se non vi foste ricordata d’essere mia figlia, mi avreste addirittura sgridata. Eppure sareste stata ingiusta! Perché solo il desiderio e la speranza di potervi rispondere di mano mia mi hanno fatto differire di giorno in giorno lo scrivervi; e, come vedete, anche oggi sono obbligata a ricorrere alla mano della mia cameriera. I miei maledetti reumatismi mi hanno ripresa, e questa volta mi hanno immobilizzato proprio il braccio destro, sì che sono diventata mancina. Ecco che cosa capita a una donna giovane e fresca come voi, a volere come amica una vecchia barbogia! Bisogna sopportare i suoi acciacchi. Non appena i miei dolori mi daranno un po’ di respiro, mi riprometto di fare una lunga chiacchierata con voi; intanto, nell’attesa, sappiate che ho ricevuto le vostre due lettere, le quali avrebbero, se fosse possibile, raddoppiato la mia tenerezza per voi; e che non cesserò mai di partecipare vivamente a tutto ciò che vi riguarda. Anche mio nipote è un po’ indisposto, ma non c’è nessun pericolo e dunque nessuna ragione seria di preoccuparsene: è una leggera indisposizione che, a quanto sembra, influisce sul suo umore più che sulla sua salute. Noi non riusciamo quasi più a vederlo. Il suo ritiro e la vostra partenza non giovano certo a far più gaia la nostra compagnia. La piccola Volanges specialmente s’è fatta scontrosa che è una pena; e non fa altro che sbadigliare da mattina a sera, da rompersi le mascelle. Da qualche giorno poi ci fa l’onore di addormentarsi subito dopo colazione. Addio, mia bella, sono per sempre la vostra buona amica, la vostra mammina, e vorrei essere anche la vostra sorella, se la mia tarda età mi permettesse questo titolo; insomma sono legata a voi da tutti i sentimenti più affettuosi. Firmata: Adelaide, per la signora Rosemonde. Dal castello di ..., 14 ottobre 17..

Lettera CXIII La marchesa di Merteuil al visconte di Valmont. Credo mio dovere avvertirvi, caro visconte, che a Parigi si comincia a parlare di voi: è stata notata la vostra assenza, e se ne intuiscono già le ragioni. Ieri mi sono trovata a un pranzo pieno zeppo di gente, e vi si diceva con aria di perfetta convinzione che siate trattenuto in un villaggio da un amore romanzesco e infelice; e subito la gioia è dipinta sui volti di tutti gli uomini invidiosi dei vostri

Page 158: Le Amicizie Pericolose.pdf

trionfi e di tutte le donne che avete trascurato. Se date retta a me, non dovete assolutamente permettere che piglino piede queste calunniose dicerie, e dovete correre subito a smentirle con la vostra presenza. Pensate che, se lascerete infirmare magari una volta sola la convinzione che voi siete irresistibile, vi si resisterà d’ora innanzi con la massima facilità, e che i vostri rivali, mancandovi di rispetto, oseranno lottare a tu per tu con voi: perché, infatti, quale di essi non si crederà più forte della virtù? Pensate soprattutto che, delle donne di cui vi siete interessato, quelle che non avete avuto tenteranno di disingannare il pubblico, mentre le altre si sforzeranno d’ingannarlo. Insomma bisognerà che vi aspettiate da oggi in poi d’essere apprezzato al disotto del vostro valore, come finora siete stato invece sopravvalutato. Tornate dunque, visconte, e non sacrificate la vostra reputazione a un capriccio puerile. Con la piccola Volanges ormai il vostro compito è finito; e, in quanto alla presidentessa, non sarà certo restandole dieci leghe lontano che potrete levarvene la voglia! E che credete, che verrà lei a cercarvi? Forse non pensa già più a voi, e se ci pensa sarà per congratularsi con se stessa di avervi umiliato. Almeno qui potrete trovare qualche occasione di rifarvi con qualche scandalo, e, credetemi, ne avete proprio bisogno. Ma, quand’anche voleste ostinarvi nella vostra ridicolissima avventura, ebbene non mi pare che il vostro ritorno possa nuocervi... Tutt’altro! Perché infatti, se la vostra presidentessa vi adora , come mi avete detto tante volte senza provarmelo mai, la sua unica consolazione, il suo solo piacere dovrebbe essere adesso di parlare di voi e di sapere quel che fate, quel che dite, quel che pensate e ogni minuzia insomma che vi riguardi. Codeste sciocchezzuole pigliano valore daí sacrifici che si fanno. Sono come le briciole di pane che cadono dalla mensa del ricco: questi le disdegna, ma il povero le raccoglie avidamente e se ne nutre. Orbene, la vostra povera presidentessa si nutre adesso di codeste vostre briciole, e più ne avrà e meno sarà spinta ad appetire il resto. Inoltre, dal momento che conoscete la sua confidente, dovete essere persuaso che ogni lettera sua contiene per lo meno un sermoncino in piena regola, con quel che lei crede adatto a corroborare la sua saggezza e a fortificare la sua virtù.37 E perché dunque vorrete lasciare all’una il modo di difendersi e all’altra quella d’offendervi? Non già però che io sia del vostro parere sulla perdita che credete d’aver fatto nel cambio della confidente. Anzitutto la signora Volanges vi odia, e l’odio è sempre più chiaroveggente e ingegnoso dell’amicizia. Tutta la virtù della vostra vecchia zia non la spingerà mai a dire male del suo caro nipote, perché anche la virtù ha i suoi punti deboli. E poi i vostri timori partono da una premessa assolutamente sbagliata: non è vero affatto che le donne quanto più invecchiano tanto più si fanno arcigne e austere. Tra i quaranta e i cinquanta anni, sì: la disperazione di vedere il loro volto appassire e la rabbia di sentirsi costrette ad abbandonare pretese e piaceri, a cui tengono ancora, le rendono aspre e malevole. Occorre quel lungo intervallo di dieci anni, perché il gran sacrificio sia compiuto; ma, quando questo è fatto, le donne si dividono in due categorie. La più numerosa è quella delle donne che non hanno avuto altro di buono che un po’ di bellezza e di gioventù, e cadono adesso nella più stupida apatia, da cui si scuotono solo per il giuoco o per qualche pratica di divozione; e queste sono sempre noiose, spesso brontolone, qualche volta magari puntigliose, ma solo di rado maligne. Non si può nemmeno dire se queste donne siano o non siano severe: senza idee proprie e senza vita, ripetono indifferentemente, senza capirle, le cose che sentono dire dagli altri, e in quanto a loro sono meno di zero. L’altra categoria, assai più ristretta ma davvero preziosa, è quella delle donne che, avendo avuto una spiccata personalità e non avendo trascurato mai di coltivare l’intelligenza, sanno crearsi una

Page 159: Le Amicizie Pericolose.pdf

vita nuova quando viene meno quella naturale, e abbellano allora l’ingegno come prima abbellivano il volto, e queste hanno di solito un sano giudizio e un carattere solido, gaio, pieno di grazia. Sostituiscono il fascino dei vezzi del corpo con una bontà che attrae, e vi aggiungono inoltre la giovialità, che tanto più piace quanto più avanzano gli anni, riuscendo in tal modo a riavvicinarsi alla gioventù e a farsene amare. Ma allora, anziché essere, come voi dite, arcigne e severe, l’abitudine all’indulgenza, le lunghe riflessioni sulla debolezza umana e soprattutto i ricordi della loro gioventù, che soli ormai le tengono legate alla vita, le fanno essere piuttosto di manica larga, e magari troppo. E vi dirò infine che, avendo praticato molto le vecchie, perché mi sono accorta di buon’ora dell’utilità di averle favorevoli, ne ho trovate parecchie con le quali stavo volentieri, non più soltanto per calcolo, ma anche per simpatia. E qui faccio punto; altrimenti voi, che siete in vena di pigliar fuoco tanto alla svelta e con sì vivo senso di moralità, c’è pericolo che v’innamoriate tutt’a un tratto della vostra vecchia zia e finiate per seppellirvi con lei nella tomba in cui vivete ormai da tanto tempo. Torniamo dunque a voi. Nonostante quella mezza specie d’incantesimo in cui mi parete cascato a proposito della vostra scolaretta, non posso credere che questa entri per qualche cosa nei vostri piani. L’avete trovata sotto mano, e l’avete presa: buon pro vi faccia; ma evidentemente non può trattarsi nemmeno d’un capriccio! A dir la verità, ci dovete provare anche poco gusto, dal momento che di lei possedete appena appena il corpo. Non dico il cuore, di cui certo non v’importa un corno; ma voi non possedete nemmeno il suo cervello. Non so se ve ne siete accorto. Io, per me, ne ho la prova provata nell’ultima lettera che mi ha scritta e che vi mando, perché possiate giudicarne da voi. Badate che ogni volta che vi nomina siete per lei semplicemente il signor Valmont; e tutti i suoi pensieri e persino quelli che le fate venire voi finiscono sempre per ricadere sul suo Danceny; e questo non lo chiama mica signore, ma solo e sempre Danceny! In tal modo ella lo distingue da tutti gli altri, e anche abbandonandosi a voi non prende dimestichezza se non con lui. Se un tale genere di conquista vi soddisfa, se il piacere che vi dà vi basta, bisogna proprio dire che siete diventato molto modesto e niente affatto difficile! Che vi piaccia conservarla, va bene, non vi dico di no, anzi rientra appunto nei miei piani; ma mi sembra che dopotutto non metta conto di perderci neppure mezz’ora, e che bisognerebbe saper guidare la faccenda a modo nostro, col non permetterle, per esempio, di rivedere Danceny se non dopo averglielo fatto dimenticare un po’ di più. Prima di smettere di parlare di voi, per venire finalmente a parlare di me, voglio dirvi ancora che l’espediente della malattia che mi dite di voler adottare è notissimo e abusato. Si vede proprio, caro visconte, che non avete punto inventiva! Anch’io, qualche volta, mi ripeto, come vedrete; ma cerco almeno di rinnovare i particolari, e a ogni modo sono giustificata dall’esito. Sto ora appunto per correre una nuova avventura, e sebbene non avrà il merito, ve lo ammetto, della difficoltà, sarà tuttavia una distrazione, perché infatti mi annoio mortalmente. Non so perché, dopo l’avventura di Prévan, il mio Bellaroche è diventato insopportabile. Ha talmente raddoppiato le gentilezze, le tenerezze, la venerazione , che non ne posso proprio più. Lo scatto di collera che aveva avuto nel primo momento mi era piaciuto molto; tuttavia ho dovuto calmarlo, perché, se lo lasciavo sfogare, mi sarei compromessa, e non c’era verso di fargli intendere ragione. Ho dovuto dimostrargli perciò un maggior amore per venirne meglio a capo; senonché egli l’ha preso sul serio, e da allora in poi, auf, che nausea mi fa quella sua estasi perpetua! Mi secca specialmente l’ingiuriosa fiducia che adesso ha di me, la sicurezza con cui mi considera sua per sempre. Ne sono veramente stomacata! Come deve stimarmi poco, se si crede capace di tenermi avvinta a sé tutta la vita! Non ha avuto persino la spudoratezza, l’ultima volta, di dirmi che non avrei potuto amare altri che lui? Ah, vi dico io, c’è voluta tutta la mia prudenza per non levargli in quattr’e quattr’otto certe fisime dal capo, spiattellandogli come stavano veramente le cose! Bel tipino davvero, da poter accampare un diritto esclusivo! Non voglio negargli che sia ben fatto e

Page 160: Le Amicizie Pericolose.pdf

abbia un viso da cristiano; ma in fin dei conti, all’atto pratico, non è che un manovale dell’amore. Insomma, è venuto per me il momento di disfarmene. Non cerco altro da quindici giorni, e ho impiegato di volta in volta la freddezza, i capricci, il broncio, i litigi. Ma, il testardo, non è tipo da lasciare facilmente la presa; dunque mi tocca ricorrere a un mezzo più violento, e me lo porto con me in campagna. Partiamo posdomani. Con noi ci saranno soltanto poche persone disinteressate e poco sagaci, sicché godremo di tutta la libertà, come se fossimo soli. Là lo sazierò tanto d’amore e di carezze, e vivremo siffattamente appiccicati insieme, che il disgraziato desidererà, scommetto, anche più di me la fine di questo viaggetto, da cui adesso si ripromette tanta felicità; e, se non tornerà via annoiato di me più di quel che io non sia annoiata di lui, vi autorizzo a dirmi che di queste cose me ne intendo meno di voi. Il pretesto per questa specie di clausura sarà che io debbo occuparmi seriamente del mio processone, che infatti si discuterà finalmente al principio dell’inverno; e di questo sono proprio contenta, perché insomma è una bella seccatura l’aver tutto il patrimonio come campato in aria. Non già che io sia preoccupata dell’esito, questo no! Anzitutto perché ho ragione, come mi assicurano i miei avvocati; e poi perché, quand’anche non l’avessi, dovrei essere una stupida calzata e vestita per non saper vincere una causa, in cui gli avversari sono due minorenni mocciosi e un vecchio bacucco di tutore! Siccome però non bisogna trascurare niente in un affare di tale importanza, avrò con me, per assistermi, due avvocati. Il viaggio non vi sembra troppo allegro, dite la verità; e tuttavia, se servirà a farmi vincere la causa e a farmi perdere Bellaroche, non rimpiangerò certo il mio tempo. E adesso, visconte, indovinate voi chi sarà il successore. Ve lo do a indovinare in cento. Toh, come se non sapessi già che voi non indovinate mai niente! Ebbene, ebbene, ve lo dirò io: il successore... Sarà Danceny. Siete stupefatto, vero? Perché insomma non sono ancora al punto di dovermi ridurre a educare i ragazzini. Ma questo ragazzo merita un’eccezione, poiché ha tutte le grazie dell’adolescenza, senza averne la leggerezza. La sua gran riservatezza, quando è in compagnia, è adattissima ad allontanare ogni sospetto, e giova poi a fare anche più saporoso l’abbandono nell’intimità. Intendiamoci, io non l’ho ancora provato per conto mio: per ora non sono altro che la sua confidente, ma sotto il velo dell’amicizia mi pare di vedere in lui una viva simpatia per me, e sento che anch’io ne ho moltissima per lui. Sarebbe un vero peccato che, con tanto ingegno e con tanta squisitezza di sentimenti, dovesse sacrificarsi e abbrutirsi con quell’ochina della Volanges! Spero anzi che si sbagli credendo di amarla: è così lontana, lei, dal meritarselo! Non pensate che io sia gelosa di lei. Oibò! Ma sarebbe proprio un delitto, e voglio salvare il povero Danceny. Vi prego pertanto, caro visconte, di fare in modo che egli non possa trovarsi con la sua Cecilia , come ha ancora la pessima abitudine di chiamarla. Un primo amore è sempre più forte di quanto non si creda, e non sarei più sicura di niente, se egli rivedesse adesso la piccina, specie mentre io sono lontana. Al mio ritorno m’incaricherò io di tutto, e me ne assumo la piena responsabilità. Avevo pensato di portare con me il giovanotto; ma ne ho fatto sacrificio alla mia solita prudenza, e poi ho avuto paura che potesse accorgersi di qualche cosa tra Bellaroche e me, e povera me se avesse la minima idea di quel che bolle in pentola! Voglio offrirmi, almeno alla sua immaginazione, pura e senza macchia, come dovrei essere veramente per essere degna di lui. Parigi, 15 ottobre 17..

Lettera CXIV La presidentessa Tourvel alla signora Rosemonde.

Page 161: Le Amicizie Pericolose.pdf

Mia cara amica, non resisto più alla mia ansia vivissima, e, pur non sapendo se sarete in condizioni di rispondermi, non posso fare a meno di domandarvi notizie della salute di Valmont, la quale, sebbene mi diciate che non corre pericolo, non mi dà tuttavia quella gran tranquillità che ne avete voi. Non è raro il caso che la malinconia e il disgusto della gente siano i sintomi premonitori d’una malattia seria. Anche le sofferenze fisiche, come quelle morali, fanno desiderare la solitudine, e spesso si accusa di malumore chi invece si dovrebbe compiangere per il suo male. Mi pare che si dovrebbe almeno consultare un medico. Come mai, essendo malata anche voi, non avete un medico per casa? Il mio, che ho visto stamattina e che (non ve lo nascondo) ho consultato indirettamente, crede che nelle persone molto attive per natura questa specie d’improvvisa apatia non è da trascurare, e ha aggiunto che le malattie diventano incurabili quando non si curano per tempo. Perché dunque far correre un tale rischio a una persona che vi è tanto cara? Mi preoccupa anche di più il fatto che da quattro giorni non ricevo più sue lettere. Dio mio, mi tenete voi forse nascosto il vero stato della sua salute? Perché, se no, avrebbe smesso tutt’a un tratto di scrivermi? Se fosse solo per la mia ostinazione di respingergli sempre le sue lettere senza aprirle, l’avrebbe fatto già prima. E poi, non voglio credere ai presentimenti, ma il fatto è che da qualche giorno ho addosso una malinconia che mi spaventa. Oimè, che sta forse per piombarmi sul capo qualche gran disgrazia! Non potete figurarvi, mi vergogno a dirlo, quanto sono addolorata di non ricevere più quelle lettere che purtuttavia mi rifiuterei ancora di leggere. Almeno ero sicura che pensava a me, e vedevo qualcosa che proveniva da lui. Non le aprivo, quelle lettere, è vero; ma piangevo a vederle, e solo le lacrime tanto facili e dolci potevano alleviare in parte l’angustia che mi opprime dopo il mio ritorno. Vi scongiuro, mia indulgentissima amica, di scrivermi di vostro pugno appena potrete, e intanto di farmi dare ogni giorno notizie vostre e sue. Mi accorgo che ho parlato assai poco di voi; ma voi sapete i miei sentimenti, il mio affetto senza riserve, la mia tenera riconoscenza per la vostra cara amicizia, e mi perdonerete pensando al turbamento in cui mi trovo, alle mie pene mortali, al tormento indicibile di dover temere un malanno di cui sono forse la causa. Gran Dio! Questo pensiero accasciante mi ossessiona, mi strazia il cuore. Ci mancava anche questa, adesso, perché potessi dire d’averne sofferte di tutti i colori. Addio, amica mia cara, vogliatemi bene e compiangetemi. Riceverò una vostra lettera, oggi? Parigi, 16 ottobre 17..

Lettera CXV Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil. Sembra persino inconcepibile, mia bella amica, come, appena ci si allontana un po’, si finisce per non intenderci più. Finché vi sono stato vicino, avevamo lo stesso modo di sentire e di giudicare; e, perché adesso sono tre mesi che non ci vediamo, ecco che non siamo più d’accordo su niente. Chi avrà torto, di noi due? Voi certo non esiterete nemmeno un attimo a rispondere; io invece, più assennato e cortese, resto perplesso e mi limito a rispondere alla vostra lettera e a continuare il racconto di ciò che ho fatto io. Vi ringrazio anzitutto d’avermi avvertito delle voci che corrono sul mio conto; ma io non me ne preoccupo affatto per ora, sicuro come sono di possedere tra poco di che farle tacere. State pure tranquilla, che tornerò nel bel mondo più celebre di prima e sempre più degno di voi.

Page 162: Le Amicizie Pericolose.pdf

Spero che allora mi si vorrà riconoscere per un merito anche l’avventura della piccola Volanges, di cui mi pare che voi facciate troppo poco conto, come se fosse meno di niente il rapire in una sera sola una ragazza al suo innamorato riamato, il farne tutto l’uso che si vuole come se si trattasse di cosa propria e senza la menoma resistenza, l’ottenere infine da lei ciò che non si osa pretendere nemmeno da una sgualdrina di mestiere, e tutto ciò senza distoglierla affatto dal suo tenero amore, senza renderla incostante, senza renderla nemmeno infedele, dal momento che io non possiedo di lei, non è vero?, nemmeno il cervello; sicché, appena me ne sarà passato l’estro, la restituirò alle braccia del suo innamorato senza ch’ella, per così dire, si sia accorta di niente. E questo vi pare proprio un fatto di tutti i giorni? E poi, credete a me, una volta uscita dalle mie mani, i princìpi che le inculco continueranno a svilupparsi per conto proprio, e vi preannunzio sin d’ora che la timida scolaretta prenderà presto uno slancio da fare onore al maestro. Che se invece i miei denigratori preferissero il genere eroico, additerò loro la presidentessa, il modello per antonomasia d’ogni virtù, rispettata persino dai nostri più sfacciati libertini, tale insomma che s’era perduta finanche la speranza di poterne tentare l’assalto. Ebbene, io mostrerò costei che, dimentica dei suoi doveri e della sua tanta virtù, avrà fatto gettito della sua reputazione e di due anni di scrupolosa onestà, per correr dietro alla brama di piacermi, per inebbriarsi della felicità di amarmi, ritenendosi abbastanza compensata di tanto sacrificio da una mia parola, da un mio sguardo, che nemmeno potrà godere sempre. Anzi farò di più: l’abbandonerò, e, a meno che non mi sia sbagliato affatto nel giudicare questa donna, posso assicurare che non avrò alcun successore. Ella resisterà al bisogno di consolazione, alla consuetudine del piacere e persino al desiderio della vendetta. Insomma, avrà vissuto soltanto per me; e, breve o lunga che sia la sua carriera, io sarò colui che solo le avrà dato inizio e solo la chiuderà. Una volta che io sarò giunto a tale trionfo, potrò dire ai miei rivali: “Eccovi l’opera mia; cercatemene adesso voi in tutto il secolo un altro esempio!”. Voi mi chiederete donde mi venga la mia soverchia baldanza. Ebbene, vi dirò che da otto giorni so tutti i segreti della mia bella: non è lei che me li confida, sono io che li intercetto. Due lettere sue alla signora Rosemonde me ne hanno detto abbastanza, e leggerò le successive solamente per curiosità. Ormai, per riuscire nei miei intenti, non mi manca altro che riaccostarmi a lei, e ne ho trovato finalmente la maniera che metterò subito in pratica. Dite la verità: morite dal desiderio di saperla; ma io, per punirvi della poca fede che avete nelle mie invenzioni, non ve ne dirò nulla. Meritereste davvero che io vi togliessi la mia confidenza, almeno almeno per ciò che riguarda quest’avventura. E infatti, se non fosse per il dolce premio che avete promesso al mio trionfo, non ve ne parlerei più affatto. Come vedete, sono molto ma molto arrabbiato. Tuttavia, nella dolce speranza che vogliate redimervi, mi limito a questo piccolo castigo; e torno subito a mostrarmi indulgente, dimenticando per un momento i miei grandiosi progetti per trattenermi con voi dei vostri. Eccovi dunque in campagna, noiosa come l’amore sentimentale, malinconica come la fedeltà. E quel povero Bellaroche! Non contenta di fargli bere l’acqua dell’oblio, volete anche sottoporlo alla tortura. Ebbene, come la sopporta? Come tollera le nausee dell’amore? Sarebbe bello però che invece vi si affezionasse di più; e in questo caso sarei proprio curioso di sapere che rimedio più efficace riuscirete a escogitare! Francamente, vi compiango d’essere stata costretta a ricorrere a questo metodo dell’amore premeditato! Io l’ho sperimentato una volta sola nella vita, e non senza grave ragione, perché si trattava, nientemeno, della contessa X. Ebbene, mentre ero nelle sue braccia, sono stato cento volte sul punto di sbottare: “Signora, rinunzio volentieri al posto che occupo, permettetemi di lasciarlo”. E perciò, di tutte le donne che ho avute, è l’unica di cui dica male con vero piacere.

Page 163: Le Amicizie Pericolose.pdf

Ma lo scopo per cui lo fate voi mi pare, a dir il vero, oltremodo ridicolo; e avete ragione di pensare che non avrei indovinato mai il successore. Come! E tutta questa gran faticaccia, la fate dunque soltanto per il bel muso di Danceny? Eh, amica mia, lasciategli adorare la sua virtuosa Cecilia , e non vi compromettete in queste ragazzate! Lasciate che i fanciulletti vadano a scuola dalle bambinaie o combinino con le collegiali qualche scherzetto innocente! Come vi viene in mente d’addossarvi il carico di un novizio, che non saprà né prendervi né lasciarvi, e vi toccherà fare tutto da voi? Ve lo dico sul serio, la vostra scelta non mi garba affatto, e quand’anche restasse segreta a tutti vi umilierebbe nondimeno ai miei occhi e nell’intimo della vostra coscienza. Voi dite di sentire una viva simpatia per lui. Via, via, vi sbagliate, e credo anche d’aver capito la causa del vostro errore! Il disgusto di Bellaroche vi è capitato in un momento di carestia, e, siccome Parigi non vi offre molto da scegliere, la vostra fantasia sempre troppo impulsiva si è rivolta al primo uomo che v’è capitato dinanzi. Ma pensate che, al vostro ritorno, potrete scegliere tra mille, e se poi avete proprio paura di restare a bocca asciutta rinviando la scelta, eccomi qua io, pronto a divertire i vostri ozi. Da oggi al vostro ritorno i grossi affari che ho per le mani, in un modo o nell’altro, saranno sbrigati; e certo né la piccola Volanges né la presidentessa in persona mi terranno allora tanto occupato che non possa dedicarmi a voi quanto vorrete. E chissà che allora io non abbia già rimesso la ragazza nelle mani del suo discreto amatore! Senza concedere, checché voi ne diciate, che non sia un bocconcino da tenere ben stretto, siccome voglio farle conservare per tutta la vita l’opinione che io sono superiore di molto agli altri uomini, mi sono messo con lei su un tono che non potrei sostenere a lungo senza rovinarmi la salute; e sin da questo momento non mi sento più legato a lei se non dalle premure che sono doverose nel trattare gli affari di famiglia... Come? Non capite?... Ebbene, vi dirò più chiaramente che sto aspettando un’altra scadenza, per vedere confermate le mie speranze e assicurarmi che sono riuscito pienamente al mio scopo. Proprio così, amica mia! Ho già il primo indizio che il marito della mia scolaretta non correrà il rischio di morire senza eredi, e che il capo della famiglia Gercourt non sarà in avvenire altro che un cadetto della famiglia Valmont. Ma lasciatemi dunque finire a modo mio quest’avventura che ho cominciato solo per farvi piacere. Pensate che, a rendere Danceny incostante, voi togliete a questa faccenda il suo sapore più gustoso, e che, offrendomi, come mi offro, per rappresentarlo presso di voi, ho diritto a qualche preferenza. Ci faccio tanto assegnamento, che non ho avuto nessun timore di contrariare le vostre vedute, cercando io stesso d’accrescere la tenera passione del discreto amatore per il primo e degno oggetto del suo amore. Avendo infatti trovato ieri sera la vostra pupilla intenta a scrivergli, dopo averla distolta da questa dolce occupazione per un’altra più dolce ancora, le ho domandato il permesso di leggere la lettera, e, siccome essa mi è parsa piuttosto fredda e compassata, le ho fatto capire che non così si consolano gli innamorati, e l’ho spinta a scrivergliene un’altra sotto mia dettatura, dove, imitando il meglio che ho potuto le sue pappolate, ho cercato di alimentare la fiamma del giovanotto con qualche speranza più concreta e tangibile. La ragazza era tutta estasiata, come mi ha detto lei, di poter scrivere così bene, e d’ora innanzi sarò io che le farò la corrispondenza amorosa. E così, che cosa non ho mai fatto per questo benedetto Danceny? Sono stato il suo amico, il suo confidente, il suo rivale, e adesso sono persino la sua amante! Anche in questo momento non gli rendo forse il servigio di salvarlo dai vostri legami pericolosi? Sì, proprio pericolosi; perché possedervi per poi perdervi è come comprare un attimo di felicità a prezzo d’una eternità di rimpianti. Addio, mia bella amica, abbiate il coraggio di liquidare Bellaroche al più presto possibile, lasciate stare Danceny e preparatevi a ritrovare per me i deliziosi piaceri della nostra prima relazione. P.S. Mi congratulo con voi per la prossima discussione della vostra causa. Ma sarei molto soddisfatto se questo felice evento accadesse durante il mio regno.

Page 164: Le Amicizie Pericolose.pdf

Dal castello di ..., 19 ottobre 17..

Lettera CXVI Il cavalier Danceny a Cecilia Volanges. La signora Merteuil è partita stamattina per la campagna; ed ecco, mia graziosa Cecilia, che mi viene a mancare in tal modo il solo piacere che mi restava durante la vostra lontananza, di parlare cioè di voi con l’amica vostra e mia. Da qualche tempo ella mi ha permesso di darle questo titolo, e io ne ho approfittato con tanto maggiore slancio, quanto più mi pareva di riavvicinarmi così a voi. Dio mio, quanto mi è simpatica questa donna, e quanta grazia sa dare all’amicizia! Si direbbe ch’ella abbellisca e rafforzi questo soave sentimento con tutti i vezzi che rifiuta all’amore. Se sapeste tutto il bene che vi vuole e come le piace sentirmi parlare di voi! E questo certo me la fa parere anche più cara. Che felicità sarebbe di poter vivere esclusivamente per voi due, di passare continuamente dalle delizie dell’amore alle dolcezze dell’amicizia, di consacrarvi, all’una e all’altra, tutta la vita, d’essere in qualche modo il punto in cui confluiscono i vostri reciproci affetti, e di sentire a ogni momento che occupandomi della felicità dell’una mi adopero anche per quella dell’altra! Vogliate, vogliate molto bene, o mia cara, a questa donna adorabile! Date più valore al sentimento che nutro per lei, partecipandovi anche voi! Da quando ho gustato le dolcezze dell’amicizia, desidero che voi pure le proviate: perché quei piaceri che non sono divisi con voi mi sembra di goderli la metà meno. Sì, Cecilia mia, io vorrei circondare il vostro amore di tutti i sentimenti più dolci e delicati, e vorrei che ogni suo moto vi provasse una gioia senza fine: e, anche così, crederei di non potervi rendere nemmeno in parte la tanta felicità che mi date! Ma dunque questi bei propositi non debbono essere che dei castelli in aria, e invece la realtà non mi offre se non una serie di dolorose privazioni senza fine? Mi accorgo che ormai dovrò, oimè, rinunziare alla speranza, che mi avevate fatta balenare, di vedervi in campagna; e solo conforto è il persuadermi che la cosa vi sia veramente impossibile. Ma perché non vi curate di dirmelo e di rammaricarvene con me? E già due volte che le mie lamentele in proposito sono restate senza risposta. Ah, Cecilia, Cecilia, io credo, sì, credo che mi amiate con tutte le forze dell’anima, ma la vostra anima non brucia come la mia! Perché non dipende da me abbattere tutti gli ostacoli? Perché sono condannato a usare prudenza per il vostro bene, anziché per il mio? Vi farei vedere allora che niente è impossibile all’amore. Non mi fate neanche sapere quando finirà la vostra assenza crudele: se foste qui, potrei almeno vedervi qualche volta, e i vostri sguardi affettuosi ravviverebbero la mia anima accasciata, il loro muto linguaggio rassicurerebbe il mio cuore che qualche volta ne ha proprio bisogno. Perdono, mia Cecilia adorata: il mio timore non è affatto un sospetto! Credo, credo al vostro amore, alla vostra costanza, perché sarei troppo disgraziato se ne dubitassi. Ma quanti ostacoli! Sempre nuovi ostacoli! Tesoro mio, sono triste, tanto triste. Par quasi che la partenza della signora Merteuil abbia rinnovato in me il senso di tutte le mie pene. Addio, cara Cecilia, addio, o amatissima. Pensate che il vostro amante soffre, e che voi sola potete ridargli la felicità. Parigi, 17 ottobre 17..

Lettera CXVII

Page 165: Le Amicizie Pericolose.pdf

Cecilia Volanges al cavalier Danceny. (Dettata da Valmont) Credete dunque, amico mio, che io abbia proprio bisogno d’essere sgridata per essere triste, quando so che voi siete afflitto? E dubitate forse che io non soffra come voi di tutte le vostre pene? Divido anche quelle che vi cagiono involontariamente, e in più ho anche la pena di vedere che non mi rendete giustizia. Oh, questa è davvero una bella ingratitudine! So che cosa è che vi dispiace tanto, e cioè che, avendomi voi domandato due volte di venire qui, io non vi ho risposto. Ma credete che sia tanto facile rispondere? Credete che io non sappia che ciò che volete voi da me è cosa che non istà bene; e se faccio già tanta fatica a rifiutarvela di lontano, chissà che cosa succederebbe, se foste qui? E poi? Per avervi voluto consolare un attimo, resterei infelice tutta la vita. Ebbene, io non ho niente da nascondervi. Eccovi le mie ragioni: giudicatele voi. Avrei forse già fatto ciò che volete, se non fosse sopravvenuto quel che vi ho scritto, e cioè che quel maledetto Gercourt, la causa di tutti i nostri mali, non verrà più per adesso; e siccome da qualche tempo la mamma mi dimostra maggiore affetto e io da parte mia l’accarezzo più che posso, chissà che non possa ottenere da lei ciò che desidero? E non sarebbe meglio, se non potessimo essere felici senza che io avessi niente da rimproverarmi? Se debbo credere a ciò che mi hanno detto mille volte, anche gli uomini non amano più le loro mogli, quando le hanno amate troppo prima delle nozze. Ebbene, più di ogni altra cosa mi trattiene questo timore. Amico mio, non siete dunque sicuro del mio amore? E dunque, per il resto, ci sarà sempre tempo. State a sentire: vi prometto che, se non posso evitare la disgrazia di sposare Gercourt, che odio già tanto prima di conoscere, niente mi tratterrà più dall’essere vostra ogni volta che potrò e prima di ogni altro. Siccome a me importa d’essere amata solo da voi, e voi potrete persuadervi che se anche faccio del male non è colpa mia, del rimanente non mi curo, purché voi mi promettiate di amarmi sempre. Ma sino a quel giorno, amico mio, lasciatemi fare come faccio, e non mi domandate più una cosa che ho le mie buone ragioni di non fare, benché mi dolga di dovervi dire di no. Vorrei anche che il signor Valmont non insistesse più tanto a nostro favore, col solo risultato di angustiarmi di più. Oh, state pur sicuro che in lui avete un amico anche troppo zelante, che fa tutto quel che fareste voi! Ora addio, amico mio, ho cominciato tardi a scrivervi e vi ho impiegato buona parte della notte. Vado a coricarmi per recuperare il tempo perduto. Vi mando un bacio, ma per carità non mi sgridate più. Dal castello di ..., 18 ottobre 17..

Lettera CXVIII Il cavalier Danceny alla marchesa di Merteuil. Secondo il calendario, amica mia, sono soltanto due giorni che siete partita, ma il cuore mi dice che sono due secoli. Ora, siccome (siete stata voi a dirmelo) bisogna sempre credere al cuore, è tempo ormai che torniate, tanto più che i vostri affari debbono essere finiti da un pezzo. Come volete che io possa interessarmi al vostro processo, se poi, o vincete o perdete, sono sempre a ogni modo io che ne pago le spese col tormento di avervi lontana? Oh, che voglia avrei anch’io di litigare con qualcuno! E come è triste, con un motivo tanto giusto di malumore, non avere nessun diritto di farlo capire!

Page 166: Le Amicizie Pericolose.pdf

Ma non è dunque una vera infedeltà, un vero tradimento, lasciare così un amico lontano da voi, dopo averlo abituato a non poterne fare a meno? Avete un bel consultare i vostri avvocati, essi non potranno mai trovare una giustificazione al vostro indegno procedere; e poi questa razza di gente non sa trovare altro che ragioni, e le ragioni non bastano per rispondere ai sentimenti. In quanto a me, mi avete detto tante volte che questo viaggio vi è stato suggerito dalla ragione, che mi avete messo in rotta aperta con questa signora, e non voglio più darle ascolto, nemmeno quando mi dice di dimenticarvi. E tuttavia questa ragione mi sarebbe molto ragionevole, e all’atto pratico non sarebbe neppure tanto difficile quanto potreste credere: basterebbe soltanto perdere l’abitudine di star lì a pensarvi notte e giorno, e niente più qui vi richiamerebbe alla mia mente. Le nostre donne più graziose, quelle che hanno fama di essere più simpatiche, sono tanto diverse da voi, tanto a voi inferiori, che non potrebbero darmene la più pallida idea. Credo anche che, a guardarle con occhio esperto, quelle stesse che sembrano a tutta prima più simili a voi sono invece diversissime: hanno un bel fare, un bel mettersi addosso tutto quello che vogliono, ma poi non sanno essere voi, e il fascino è tutto qui. Disgraziatamente, quando le giornate sono lunghe e non si ha niente da fare, si sogna, si fanno tanti bei castelli in aria, si creano tanti bei paradisi artificiali, e a poco a poco la fantasia si esalta, e il sognatore, per abbellire la propria opera, raccoglie in questi paradisi tutto ciò che può piacergli, arrivando insomma alla perfezione; e il ritratto che, arrivati a questo punto, ne viene fuori, rassomiglia troppo al modello, ed egli resta stupefatto di vedere che non ha fatto altro se non pensare a voi. Anche in questo momento sono vittima di un miraggio su per giù simile a questo. Voi credete che io mi sia messo a scrivervi per pensare a voi. Nient’affatto. Mi ci sono messo anzi per distrarmene. Avevo cento cose da dirvi, di cui nemmeno una si riferiva a voi e che tutte mi interessavano moltissimo, come sapete. Ebbene, io sono stato invece distratto da queste! Da quando in qua le dolcezze dell’amicizia possono distrarre da quelle dell’amore? Ah, che se io volessi fare un piccolo esame di coscienza, avrei forse molte cosette da rimproverarmi! Ma, zitti, zitti! Dimentichiamo il mio peccatuccio veniale per paura di ricascarci; e che la mia cara amica l’ignori anche lei! Ma perché dunque non siete qui per rispondermi, per ricondurmi sulla buona via se mi smarrisco, per parlarmi della mia Cecilia e accrescere così, se possibile, la felicità che provo ad amarla, col pensiero tanto caro che io in fin dei conti amo una vostra amica? Ve lo confesso: l’amore che ella mi ispira si è fatto per me anche più prezioso, da quando avete voluto riceverne la confidenza. Mi piace tanto aprirvi il mio cuore! Mi piace tanto colmare il vostro cuore dei miei affetti, e lasciarveli dentro in pieno abbandono; e, a mano a mano che voi vi degnate di accoglierveli, mi pare di apprezzarli di più. Poi vi guardo e mi dico: “In lei è accolta tutta la mia felicità!”. Non ho niente di nuovo da dirvi dei fatti miei. L’ultima lettera che ho ricevuta da lei accresce le mie speranze, ma le procrastina ancora. Pure le ragioni che adduce sono tanto affettuose e oneste che non posso biasimarla né lamentarmene. Forse non riuscirete a capire bene ciò che intendo dire. Ma perché non siete qui con me? All’amica si può dire tutto, ma non si osa scriverglielo. I segreti, e specie quelli d’amore, sono così delicati, che non si possono lasciar andare liberamente; e, se anche qualche volta si permette loro d’uscire, non bisogna perderli mai d’occhio, finché non li vediamo entrare nel loro nuovo asilo. Tornate, tornate dunque, mia adorabile amica; vedete bene che il vostro ritorno mi è indispensabile. Dimenticate una buona volta le mille ragioni che vi trattengono dove siete, o insegnatemi a vivere senza di voi. Parigi, 19 ottobre 17..

Lettera CXIX

Page 167: Le Amicizie Pericolose.pdf

La signora Rosemonde alla presidentessa Tourvel. Benché io sia ancora molto sofferente, mia cara bella, provo a scrivervi di mio pugno per potervi parlare di ciò che vi interessa. Mio nipote è sempre più misantropo: manda tutti i giorni a prendere notizie della mia salute, ma non è venuto mai una volta a chiederle di persona, ancorché io lo abbia pregato, di modo che io non lo vedo affatto, come se fosse addirittura a Parigi. L’ho però incontrato stamattina dove meno mi sarei aspettata di vederlo, e cioè nella mia cappelletta, nella quale scendevo oggi per la prima volta dopo la mia dolorosa infermità. Ho saputo poi che da quattro giorni vi si reca regolarmente ogni mattina a sentire la messa. Dio faccia che duri! Appena sono entrata, mi è venuto incontro e si è congratulato assai affettuosamente per lo stato migliore della mia salute; ma, siccome incominciava la messa, ho tagliato corto alla conversazione, persuasa di riprenderla dopo. Invece è scappato via prima che potessi raggiungerlo. Non vi nascondo che l’ho trovato un po’ cambiato; ma, mia cara bella, non mi fate pentire, con preoccupazioni esagerate, della fiducia che ho nella vostra ragionevolezza; e soprattutto siate persuasa che preferirei darvi un dispiacere piuttosto d’ingannarvi. Se mio nipote continuerà a starmi alla larga, appena mi sentirò un po’ meglio andrò a trovarlo io in camera sua e cercherò di scoprire la causa di questa sua curiosa manìa, della quale, secondo me, dovete essere un pochino la causa anche voi. E vi saprò dire poi che cosa ho scoperto. Ora vi lascio perché non posso più muovere le dita, e se Adelaide sapesse che ho scritto mi brontolerebbe tutta la sera. Addio, mia cara bella. Dal castello di ..., 20 ottobre 17..

Lettera CXX Il visconte di Valmont a padre Anselmo, nel convento di via Sant’Onorato. Reverendo padre, sebbene non abbia l’onore di conoscervi so che voi godete l’intera fiducia della presidentessa Tourvel, e che questa fiducia d’altronde è ben riposta. Penso pertanto di potermi, senza commettere indiscrezione, rivolgere a voi per ottenerne un segnalato favore, degno veramente del vostro santo ministero, e in cui l’interesse della signora Tourvel è legato al mio. Sono in mano mia alcune carte importanti che riguardano la signora, tali da non poter essere affidate a nessuno, e perciò io debbo e voglio consegnarle a lei personalmente. Non ho modo di farla avvertita, perché, per ragioni che forse avrete saputo da lei ma che io non mi credo tuttavia autorizzato a dirvi, ella non vuole più ricevere lettere mie; e di questo io riconosco oggi volentieri che non posso in niun modo biasimarla, poiché ella non poteva prevedere certi avvenimenti che io stesso del resto ero ben lontano dall’immaginare, e nei quali bisogna riconoscere il dito di Qualcuno più potente d’ogni forza umana. Vi prego dunque, reverendo padre, di volerla fare avvertita di questa mia risoluzione, domandandole per conto mio un abboccamento, perché io possa riparare almeno in parte i miei torti, col presentarle le mie scuse e distruggere sotto i suoi occhi, come ultimo sacrificio, le uniche tracce che rimangono di un errore o meglio di una colpa che mi aveva reso indegno di lei. Soltanto dopo questa espiazione preliminare oserò deporre ai vostri piedi l’umiliante confessione

Page 168: Le Amicizie Pericolose.pdf

dei miei lunghi traviamenti e implorare il vostro intervento per una riconciliazione assai più importante e malauguratamente più difficile. Posso sperare, reverendo padre, che non vorrete rifiutarmi un aiuto tanto necessario e prezioso, e che vi degnerete di sostenere la mia debolezza e guidare i miei passi per la via nuova che desidero ardentemente intraprendere, ma che purtroppo, lo confesso arrossendo, non conosco ancora? Attendo la vostra risposta con tutta l’impazienza del pentimento che agogna solo di riparare i suoi torti; e vi prego di credermi con riconoscenza e con venerazione vostro umilissimo ecc. P. S. Vi autorizzo, reverendo, nel caso che lo giudichiate opportuno, a mostrare questa mia lettera alla signora Tourvel, che mi farò un dovere di rispettare per tutta la vita, e nella quale non cesserò mai di onorare colei di cui il Cielo si è servito per ricondurre l’anima mia alla virtù, con l’edificante spettacolo della sua. Dal castello di ..., 22 ottobre 17..

Lettera CXXI La marchesa di Merteuil al cavalier Danceny. Ho ricevuto la vostra lettera, o mio troppo giovane amico; e prima di ringraziarvene bisogna che vi dia una buona tirata d’orecchi e vi avverta che, se non mutate registro, non riceverete più risposta da me. Lasciate dunque, se mi volete dar retta, quello stile lezioso che, quando non è l’espressione dell’amore, non è più se non un gergo. Vi pare che sia questo il tono da adoperarsi tra amici? No, no, amico mio, cento volte no. Ogni sentimento ha il suo linguaggio speciale, e servirsi di un altro è un mascherare il proprio pensiero. So bene che le nostre donnicciole non capiscono quel che non è tradotto nel gergo di moda; ma, francamente, credevo di poter meritare di non essere confusa con queste. Sono davvero molto ma molto rammaricata, e forse magari più di quanto dovrei, per essere stata giudicata così male da voi. In compenso, voi nella mia lettera troverete solo ciò che manca nella vostra, e cioè la schiettezza e la semplicità. Vi dirò, per esempio, che avrei un gran piacere di rivedervi e che molto m’incresce di avere d’attorno gente noiosa invece delle persone che mi piacciono. Ma voi questa mia frase la tradurreste così: “Insegnatemi a vivere senza di voi”; di modo che, quando voi sarete, poniamo il caso, con la vostra amante, non saprete viverci se non ci sarò io, come terzo incomodo. Quale sciocchezza! E, ditemi un po’, tra quelle donne che non hanno nessun fascino per voi, perché non sanno essere come me, ci mettete, di grazia, anche la vostra Cecilia? Vedete a che punto di ridicolaggine ci può condurre un linguaggio che, per l’abuso che purtroppo se ne fa oggigiorno, è diventato anche peggio del gergo dei complimenti, ed è ridotto a una specie di formulario a cui non si dà maggior fede che non si dia all’umilissimo servitore o simili. Amico mio, quando mi scrivete, sia soltanto per esprimermi il vostro modo di pensare e di sentire, e non per mandarmi delle frasi che, senza di voi, posso trovare più o meno ben tornite nel primo romanzo in voga. Spero che non vi offenderete di ciò che vi dico, anche se vi pare di scorgervi un po’ di malumore. Perché non nego infatti di averne; ma, per evitare anche il sospetto di rassomigliarvi nel difetto che vi rimprovero, non vi dirò che forse questo malumore deriva in gran parte dall’essere lontana da voi. No, ma vi dirò che alla peggio alla peggio voi valete sempre più di un processo e di due avvocati, e magari anche più del troppo cortese e vigilante Bellaroche. Vedete bene che, invece d’essere tanto desolato per la mia lontananza, dovreste felicitarvene, perché finora non vi avevo fatto mai un così bel complimento. Forse sono stata contagiata dal

Page 169: Le Amicizie Pericolose.pdf

vostro cattivo esempio, e m’è venuto, anche a me, l’uzzolo delle smancerie. Meglio assai restare fedele alla mia abituale franchezza, che del resto basterà da sola a rassicurarvi sulla mia affettuosa amicizia e sull’interessamento che ho per le cose vostre. È molto bello avere un amico giovane, il cui cuore è impegnato altrove. Non tutte le donne la pensano a questo modo; ma io sì, perché mi pare che ci si possa abbandonare con più piacere a un sentimento da cui non c’è niente da temere. Perciò appunto sono stata contenta di assumere, sebbene io sia ancora forse troppo giovane per questo, la parte di confidente. Ma voi scegliete le vostre amanti tanto bambine, che mi avete fatto accorgere per la prima volta che incomincio a invecchiare! Fate assai bene del resto a prepararvi così a un amore lungamente costante; e vi auguro di tutto cuore che questa costanza sia reciproca. Trovo molto giusto che vi arrendiate alle affettuose e oneste ragioni che, a quanto mi dite, procrastinano la vostra felicità. La lunga resistenza è il solo merito delle donne che non sanno resistere sempre; e troverei anzi imperdonabile a ogni altra donna che non fosse una bimba, quale la piccola Volanges, non saper fuggire un pericolo di cui è stata sufficientemente avvertita dalla stessa confessione fattavi del suo amore. Voialtri uomini non avete la più pallida idea della virtù, e quanto costi il sacrificarla! Ma una donna, per poco che ragioni, deve sapere che, indipendentemente dal fallo che commette, una debolezza è per lei la maggiore disgrazia che le possa capitare, e non arrivo a comprendere come mai ci possa cascare, quando vi abbia appena riflettuto un momento. E non cercate, veh, di contrastare questa mia idea, che è proprio quella che mi lega di più a voi! Voi mi salverete dai pericoli dell’amore, e ancorché sin qui mi sia saputa difendere benissimo da me, anche senza di voi, pure mi piace d’esservene riconoscente, e vi vorrò più bene che mai. E con questo, mio caro cavaliere, prego Dio che vi prenda sotto la sua santa protezione. Dal castello di ..., 22 ottobre 17..

Lettera CXXII La signora Rosemonde alla presidentessa Tourvel. Speravo, mia cara figliuola, di poter finalmente acquietare le vostre ansie, e dovrò invece, con mio gran rammarico, accrescerle ancora. Calmatevi, però: mio nipote non corre alcun serio pericolo, anzi, a rigor di termini, non si può dire nemmeno malato. Ma certo succede in lui qualcosa di straordinario. Io non ci capisco niente, e sono uscita dalla sua camera in preda a una gran malinconia e forse anche a un po’ di spavento, che mi dispiace di farvi condividere ma che tuttavia non posso tacervi. Eccovi il racconto di ciò che è accaduto, e potete stare sicura che è un racconto fedele, perché, se vivessi altri ottant’anni, non potrei dimenticare mai l’impressione vivissima che ho riportata dal triste spettacolo. Stamattina sono andata dunque da mio nipote, e l’ho trovato che stava scrivendo in mezzo a un mucchio di carte, le quali, a quanto sembrava, formavano l’oggetto del suo lavoro. Ne era tanto assorto, che io sono arrivata in mezzo alla camera senza che egli avesse sollevato neanche il capo per vedere chi entrava. Appena mi ha visto, ho notato benissimo che, nell’atto d’alzarsi, ha fatto uno sforzo per ricomporre il volto, e forse anzi è stato proprio questo a farmelo osservare con più attenzione. Vero è che non aveva fatto ancora toletta e non si era ancora dato la cipria; ma mi è sembrato pallido e disfatto, e coi lineamenti del viso tutti sconvolti. Il suo sguardo, che noi eravamo abituate a vedere sempre vivo e gaio, era invece triste e abbattuto. Insomma, sia detto tra noi, non

Page 170: Le Amicizie Pericolose.pdf

avrei voluto che voi lo vedeste ridotto così, perché aveva un aspetto da destare compassione, adattissimo pertanto a ispirare, secondo me, quell’affettuosa pietà che è uno dei più pericolosi tranelli tesi dall’amore. Sebbene sbigottita per quel che avevo notato, ho tuttavia cominciato la conversazione come se nulla fosse. Gli ho parlato anzitutto della sua salute; e, se non mi ha potuto dire che è buona, non mi ha detto però nemmeno che sia cattiva. Mi sono allora lamentata del suo isolamento, che ha tutta l’aria d’una mezza manìa, cercando però di mettere nel mio benevolo predicozzo qualche frase scherzosa. Ma lui, serio e compunto, mi ha risposto secco secco: «È un torto di più, lo confesso; ma sarà riparato anche questo, insieme con gli altri.» L’accento, più ancora delle parole, ha scombussolato tutto il mio tono scherzoso, e mi sono affrettata a fargli notare che dava troppo peso a un rimprovero dettato dall’amicizia. Ci siamo allora rimessi a chiacchierare serenamente; ma subito dopo egli mi ha detto che forse un affare urgente, l’affare più grande della sua vita , lorichiamerebbe presto a Parigi; ma, siccome avevo paura d’indovinare di che si trattava e non volevo a nessun costo che si spiegasse meglio, mi sono guardata bene dal fargli qualche domanda in proposito, limitandomi a rispondergli che forse un po’ di distrazione avrebbe giovato alla sua salute; aggiungendo poi che questa volta non cercavo affatto di trattenerlo, perché io voglio sempre il vero bene dei miei amici. Ebbene, a questa mia frase così semplice, egli si è commosso, mi ha stretto la mano, e, parlando con un impeto che non so rendervi, mi ha detto: «Sì, zia, vogliate bene, molto bene al vostro povero nipote, che vi rispetta e vi vuol bene; ma vogliate veramente, come avete detto, il mio bene. Non vi affliggete di ciò che farà la mia felicità, e non turbate con inutili rimpianti la tranquillità eterna che spero di poter godere tra poco. Ditemi ancora che mi volete bene, che mi perdonate. Sì, voi mi perdonerete, lo so, perché conosco la vostra tanta bontà; ma come sperare la stessa indulgenza da coloro che ho offeso tanto?» A questo punto ha chinato il viso, forse per nascondermi i segni d’una commozione, che l’accento della voce nondimeno tradiva suo malgrado. Turbata assai più che non sappia descrivervi, mi sono alzata precipitosamente; e senza dubbio egli si è accorto della mia aria spaventata, perché, ricomponendosi lì per lì, ha ripreso con voce più calma: «Perdono, perdono, signora, zia mia, capisco che ho perduto la testa, ma è stato contro la mia volontà. Dimenticate, per carità, i miei discorsi e ricordatevi soltanto del mio profondo rispetto. Non mancherò di rinnovarvi i miei ossequi, prima di partire.» Mi è parso di capire che quest’ultima frase m’invitasse a prendere commiato, e infatti me ne sono andata. Ma, più ci rifletto, e meno comprendo ciò che ha voluto dire. Che cosa sarà questo affare, l’affare più grande della sua vita? Di che mi domanda perdono? Da che deriva la sua involontaria commozione mentre mi parlava? Mi sono fatta mille volte queste domande, senza poter trovare una risposta. Non credo che tutto questo possa riferirsi a voi nemmeno da lontano; tuttavia, siccome gli occhi dell’amore vedono meglio di quelli dell’amicizia, non ho voluto tacervi nulla di ciò che è avvenuto tra mio nipote e me. Ho dovuto interrompermi quattro volte nello scrivere questa lunghissima lettera; e la farei anche

Page 171: Le Amicizie Pericolose.pdf

più lunga, se non fosse la stanchezza che me ne viene. Addio, mia cara bella. Dal castello di ..., 25 ottobre 17..

Lettera CXXIII Padre Anselmo al visconte di Valmont. Signor visconte, ho ricevuto la lettera di cui mi avete onorato, e ieri stesso mi sono recato, secondo i vostri desideri, dalla persona di cui si tratta, esponendole l’oggetto e le ragioni del passo che volete fare presso di lei. Ancorché l’abbia trovata ben ferma nel savio proposito che aveva già preso, avendole io dimostrato che col suo rifiuto rischiava di ostacolare il vostro ben avventurato ravvedimento, opponendosi così in qualche modo alle vie misericordiose della Provvidenza, ha acconsentito a ricevere la vostra visita, a condizione però che sia l’ultima, e mi ha incaricato di annunziarvi che sarà in casa giovedì prossimo, il 28 corrente. Se questo giorno non vi riuscisse comodo, potete informarla, e indicarne un altro voi: in questo caso la vostra lettera sarà accettata. Tuttavia, signor visconte, permettetemi di consigliarvi di non differire questa visita se non per gravi ragioni, per potervi poi consacrare interamente alle lodevoli intenzioni che mi avete manifestato. Pensate che chi indugia a trarre profitto della grazia nel momento che questa gli si offre, si espone al pericolo di vedersela sfuggire; e che, se la bontà divina è infinita, l’uso però ne è regolato dalla giustizia, e può venire il tempo in cui il Dio di misericordia si muti in Dio di vendetta. Se continuerete a onorarmi della vostra confidenza, posso sin d’ora assicurarvi che le mie cure saranno sempre a vostra disposizione, non appena ne sentirete bisogno; perché, per grandi che siano le mie occupazioni, la più importante di tutte sarà sempre l’adempiere ai doveri del santo ministero al quale mi sento particolarmente votato, e il giorno più bello della mia vita sarà quello in cui vedrò i miei sforzi prosperare per la benedizione dell’Onnipotente. Da quei fragili peccatori che siamo, nulla possiamo ottenere da soli; ma il Dio che vi chiama a sé può tutto, e dovremo alla sua bontà, voi il desiderio costante di ricongiungervi a lui, io i mezzi per condurvici. Col suo divino aiuto spero di convincervi presto che solo la nostra Santa Religione può dare, anche in questo mondo, quella felicità salda e duratura che si cerca invano nell’accecamento delle umane passioni. Ho l’onore di sottoscrivermi coi più rispettosi omaggi, ecc. Parigi, 23 ottobre 17..

Lettera CXXIV La presidentessa Tourvel alla signora Rosemonde. Anche in mezzo allo sbalordimento in cui mi ha gettato la notizia saputa ieri, non dimentico la soddisfazione che ne proverete voi, mia buona amica, e mi affretto a comunicarvela. Il signor Valmont non pensa più né a me né all’amore, e non ha altra brama che riparare con una vita edificante le sue colpe, o piuttosto i suoi trascorsi di gioventù. Di questo grande avvenimento mi ha informato padre Anselmo, al quale egli si è rivolto, per farne il suo direttore spirituale e anche perché combinasse un abboccamento con me, il cui scopo principale, secondo quello che mi pare di capire, deve essere la restituzione delle mie lettere, che finora aveva voluto tenere presso di sé nonostante ogni mia richiesta.

Page 172: Le Amicizie Pericolose.pdf

Non posso certo che rallegrarmi di questo fausto cambiamento e felicitarmene con me stessa, se è vero, come dice lui, che io ho potuto in qualche modo concorrervi. Ma c’era proprio bisogno che ne fossi io lo strumento, a prezzo della mia pace, che sarà compromessa per tutta la vita? Il bene del signor Valmont non si poteva dunque ottenere senza la mia infelicità? O mia indulgentissima amica, perdonatemi questo sfogo! So bene che non tocca a me sondare i decreti imperscrutabili di Dio; ma, mentre io gemo notte e giorno domandandogli sempre invano la forza di vincere il mio disgraziato amore, perché Egli invece la prodiga a chi non gliela domanda, e mi lascia, me poveretta, senza aiuto, in balìa della mia debolezza? Ma soffochiamo queste mie eretiche mormorazioni. Non so lo forse che il Figliuol Prodigo, al suo ritorno, ottenne dal suo padre più feste del figlio che non si era allontanato mai? Come posso attentarmi a chiedere ragione a Colui che nulla ci deve? E quand’anche potessimo vantare qualche diritto su di Lui, che diritti potrei accampare io? Mi glorierò forse di un’onestà che debbo solo a Valmont? Egli, egli mi ha salvata; e oserei io lamentarmi di dover soffrire per la sua salvezza? Oh no, no! Le mie sofferenze mi saranno care, se ne deriverà un bene per lui ! Certo era giusto che egli tornasse al Padre comune: il Dio che l’ha creato non poteva non amare l’opera sua, non poteva aver formato questa creatura sì bella per farne un reprobo! E io, io debbo sopportare la pena che merita la mia folle imprudenza di non aver capito che, essendomi vietato d’amarlo, non dovevo mai neanche vederlo. La mia colpa o la mia disgrazia consiste appunto nel non essermi arresa subito a una verità così evidente. Voi mi siete testimone, mia cara e degna amica, che io mi sono sottoposta a questo sacrificio non appena ne ho riconosciuto la necessità; ma, perché il sacrificio fosse intero, bisognava che Valmont non ne soffrisse. Ebbene, vi confesserò che è proprio questo che adesso mi tormenta di più. Insopportabile orgoglio, che addolcisce i nostri mali con quelli che noi facciamo soffrire agli altri! Ma io vincerò il mio cuore ribelle e lo abituerò alle umiliazioni. E appunto per abituarvelo ho acconsentito a ricevere giovedì prossimo la visita penosissima del signor Valmont, e udrò così dalla sua bocca che io non sono più niente per lui, che l’impressione leggera ed effimera che io gli avevo fatta è interamente cancellata. Vedrò i suoi sguardi posarsi ormai su di me senza nessuna passione, mentre la paura di rivelargli la mia mi farà abbassare gli occhi. Le lettere che tante volte mi ha rifiutate, quando io gliele domandavo, le riceverò adesso dalla sua indifferenza: me le restituirà come roba inutile, che non lo interessa più, e le mie mani tremanti, nel ricevere il vergognoso deposito, sentiranno che le sue, nel darlo, sono fredde e ferme. Poi lo vedrò allontanarsi... Allontanarsi per sempre, e i miei sguardi lo seguiranno e non vedranno più i suoi volgersi indietro, verso di me! A che umiliazione dovevo mai essere destinata! Ah, che almeno potesse servirmi a comprendere quale e quanta è la mia debolezza! Sì, io conserverò gelosamente queste lettere che egli non si cura più di tenere per sé, m’imporrò l’umiliazione di rileggerle tutti i giorni finché le lacrime non ne avranno cancellato ogni scritto, e brucerò invece le sue come infette del veleno maligno che ha corrotto l’anima mia! Ma che cosa è dunque questo amore, che ci fa rimpiangere persino i pericoli ai quali ci espone, che ci fa soffrire anche quando colui che ce l’ha ispirato non vuole più saperne di noi? Fuggiamo, fuggiamo questa funesta passione, che non ci lascia scelta tra l’infelicità e il disonore, e ce li infligge anzi tutt’e due! Se non ne è capace la virtù, ce ne liberi almeno la prudenza! Quanto è lontano ancora questo benedetto giovedì! Perché non posso dunque consumar subito il mio doloroso sacrificio, e dimenticarne insieme la causa e l’oggetto? Questa visita mi dà tanta tribolazione, e mi pento di averla accordata. Che bisogno ha lui di rivedermi? Che cosa siamo ormai l’uno per l’altra? Se mi ha offesa, lo perdono; mi congratulo anzi con lui di voler riparare ai suoi

Page 173: Le Amicizie Pericolose.pdf

torti e gliene faccio lode. Farò di più: lo imiterò; ed essendo colpevole dei suoi stessi errori, il suo esempio mi ricondurrà sulla retta via. Ma, se ha in animo di fuggirmi, perché comincia col cercarmi? La cosa più urgente, per tutt’e due, non è di dimenticarci a vicenda? Certo, questo sarà d’ora innanzi il mio solo pensiero. E, se voi me lo permettete, mia cara amica, verrò ad adempiere questo difficile compito nel vostro castello. Se avrò bisogno di aiuto e forse anche di conforto, voglio riceverli soltanto da voi, perché voi sola sapete comprendermi e parlare al mio cuore. La vostra preziosa amicizia colmerà la mia vita, e niente mi sembrerà difficile per assecondare le premure che voi avrete per me. Vi sarò debitrice della mia serenità, della mia pace, della mia onestà; ma il migliore frutto della vostra tanta benevolenza nei miei riguardi sarà pur sempre di avermi resa finalmente degna di voi. Temo d’essermi lasciata trasportare troppo, in questa lettera, e lo desumo dal turbamento che non mi ha mai abbandonata mentre la scrivevo. Se ci trovaste qualche sentimento di cui io debba arrossire, copritelo con la vostra indulgente amicizia, a cui tutta mi raccomando. Non nasconderò certo a voi nessun moto del mio cuore! Addio, mia rispettabile amica, spero tra qualche giorno di potervi annunziare il mio arrivo. Parigi, 25 ottobre 17..

PARTE QUARTA

Lettera CXXV Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil. Eccola domata, finalmente, questa donna orgogliosa, che si riteneva capace, nientemeno, di resistermi! Ora, cara amica, è mia, tutta mia, e da ieri non ha più nulla da concedermi. Sono ancora troppo saturo di felicità, per poterla apprezzare al suo giusto valore; ma certo è che sono qui come sbigottito dell’incanto affatto nuovo che ne ho provato. Sarebbe dunque vero che l’onestà accresce il valore d’una donna, nel momento stesso che ella cede? Oh, no, lo so, questo è un concetto puerile, da relegare tra le favole delle donnicciole! Non incontriamo noi forse, quasi sempre, una resistenza più o meno ben simulata nell’atto del nostro trionfo? E quando mai ho provato altre volte l’incanto di cui parlo? E nemmeno è da dire che sia l’incanto dell’amore: perché, insomma, se qualche volta, accanto a questa donna prodigiosa, ho avuto dei momenti di debolezza che potevano rassomigliare a questa passione pusillanime, ho però sempre saputo vincermi e tornare ai miei princìpi. E quand’anche la scena di ieri mi avesse, come credo, infatuato più di quanto potessi immaginare, se pur avessi per un attimo condiviso il turbamento e l’ebbrezza che suscitavo, questa effimera illusione avrebbe dovuto ormai essere dissipata. Invece l’incanto è rimasto tale e quale. E vi confesso che mi piacerebbe moltissimo di abbandonarmici, se non mi desse qualche preoccupazione. Sarei dunque, alla mia età, dominato come uno scolaretto da un sentimento involontario e sconosciuto? No, no; bisogna prima di tutto combatterlo e approfondirlo. Ma forse io ne ho già intravisto la causa; o per lo meno mi piace crederlo, e vorrei che fosse proprio così. Tra la moltitudine delle donne, con le quali ho esercitato finora la funzione di amante, non ne

Page 174: Le Amicizie Pericolose.pdf

avevo incontrata mai una che non avesse altrettanta voglia di arrendersi quanta ne avevo io di conquistarla; e mi ero persino abituato a chiamare schifiltose quelle che si limitavano a fare appena la metà della strada, in paragone delle tante altre la cui resistenza era una provocazione bell’e buona e mascherava piuttosto maluccio la sfacciataggine dell’aver fatto esse medesime i primi passi. Qui invece ho trovato una prima prevenzione sfavorevole, consolidata poi dai consigli e dalle chiacchiere di una donna odiosa che sapeva tuttavia il fatto suo; inoltre ho trovato una timidità naturale ed esagerata che rafforzava un oculato pudore, un fermo proposito di onestà che la religione guidava e che contava già due anni di trionfo, e infine alcune mosse strategiche molto visibili, ispirate da questi vari motivi e tutte dirette allo scopo di sfuggire al mio inseguimento. Non si tratta dunque, come nelle altre mie avventure, d’una semplice capitolazione più o meno vantaggiosa, e di cui è più facile approfittare che inorgoglirsi. Questa è una vittoria compiuta, guadagnata con una campagna irta di difficoltà, e decisa da abili manovre. E quindi non è strano che una vittoria, dovuta a me solo, mi sembri più preziosa. Insomma il maggior piacere provato nell’ora del trionfo, e che dura tuttora, non sarebbe altro che la dolce impressione che dà il sentimento della gloria. Questo modo di considerare le cose mi soddisfa assai, perché mi salva dall’umiliazione di pensare che io possa dipendere in qualche modo dalla schiava che mi sono asservita, che io non abbia in me solo il pieno possesso della mia gioia, e che la facoltà di poterne godere in tutta la sua intensità sia riservata a questa o a quella donna, con esclusione di ogni altra. Tali sono le assennate riflessioni che regoleranno il mio contegno in questa grave circostanza; e potete star sicura che non mi lascerò mai incatenare al punto di non poter spezzare in ogni momento, a piacer mio, questo nuovo legame. Ma ecco che io vi parlo già della mia rottura, quando voi non sapete ancora in che modo ne ho acquistato il diritto. Leggete dunque, e vedete a che cosa ci espone la saggezza quando vuol correre in soccorso della follia. Ho studiato con tanta attenzione i miei discorsi e le risposte di lei, che spero di riferirvi gli uni e le altre con una esattezza da fare strabiliare. Dalle due lettere che qui vi unisco in copia,38potrete vedere che sorta di mediatore mi ero scelto per riaccostarmi alla mia bella, e con che zelo il santo personaggio si è fatto subito in quattro per riunirci. Aggiungo che, da una lettera intercettata come al solito, avevo saputo che la paura e la piccola umiliazioncella d’essere piantata avevano scombussolato alquanto la prudenza dell’austera devota e avevano riempito il suo cuore e la sua testa di sentimenti e di pensieri che, pur essendo senza capo né coda, non mancavano però d’un certo interesse per me. Ed è stato dopo questi preliminari necessari a sapersi, che ieri, giovedì 28 giorno prefisso e stabilito dalla mia bella ingrata, mi sono presentato in casa sua come uno schiavo timido e pentito, per uscirne vincitore incoronato. Erano le sei di sera quando sono giunto dalla bella reclusa: perché dal giorno del suo ritorno la porta di casa sua è restata ermeticamente chiusa per tutti. Quando le sono stato annunziato, ella ha cercato di alzarsi; ma le sue ginocchia tremavano in modo tale da non permetterle di restare in piedi, onde si è rimessa immediatamente a sedere. Siccome il domestico che mi aveva introdotto aveva da sbrigare qualche faccenduola nella stanza, ella mi è parsa spazientita. Comunque, abbiamo impiegato questo poco intervallo nei complimenti d’uso. Ma per non perdere nulla di un tempo, di cui ogni attimo poteva essere prezioso, io andavo intanto esaminando minuziosamente la stanza, e subito ho avvistato quello che sarebbe stato il teatro della mia vittoria. Avrei potuto sceglierne uno più comodo, perché nella stessa stanza c’era anche un’ottomana; ma, avendo notato che di faccia c’era il ritratto del marito, ho avuto paura, lo confesso, che con una donna tanto strana un solo sguardo caduto per avventura da quella parte potesse distruggere in un momento l’opera mia così accuratamente preparata. Finalmente siamo restati soli, e io sono entrato subito in argomento. Dopo aver esposto in poche parole che padre Anselmo aveva dovuto informarla dei motivi della

Page 175: Le Amicizie Pericolose.pdf

mia visita, mi sono lagnato della severità con cui ero stato trattato, insistendo in modo particolare sul disprezzo di cui ero stato fatto segno. Ella ha protestato che non era vero, come già mi aspettavo; e, come anche voi vi aspetterete, io a mia volta gliene ho contestato le prove, e cioè la diffidenza e la paura che le avevo ispirato, la fuga scandalosa che n’era seguita, il rifiuto di rispondere alle mie lettere e persino di riceverle, ecc. Poiché ella aveva cominciato una giustificazione che sarebbe stata troppo facile, io l’ho subito interrotta, e per farmene perdonare il modo brusco ho indorato la mia interruzione di qualche soave parolina. «Come le vostre grazie» ho detto «hanno fatto sul mio cuore una profonda impressione, così anche le vostre virtù hanno fatto breccia nell’anima mia. Lusingato dal desiderio d’imitarvi, ho osato credere d’esserne degno. Non vi rimprovero d’aver giudicato altrimenti, ma mi punisco del mio errore.» E siccome ella, imbarazzata, taceva, ho soggiunto: «Ho voluto, o signora, giustificarmi ai vostri occhi, o almeno ottenere da voi il perdono dei torti che mi attribuite, per poter terminare in pace una vita travagliatissima, alla quale non do più nessun valore, dal momento che voi avete negato di abbellirla.» A questo punto ella ha cercato di rispondermi. «Il mio dovere non me lo permetteva...» Ma, non avendo il coraggio di finire la bugia, ha lasciato a mezzo la frase; e io allora, con accento più affettuoso, ho ripreso: «È dunque vero che avete voluto fuggire proprio me?» «Questa partenza era necessaria.» «E che adesso mi allontanate?» «È indispensabile.» «Per sempre?» «Non posso fare altrimenti.» Non occorre dirvi che durante questo breve dialogo la voce della tenerissima smorfiosetta s’era fatta fioca, quasi soffocata, e che i suoi occhi non osavano elevarsi sino a me. Mi è sembrato bene dunque rianimare un po’ questa scena patetica, e pertanto, alzandomi in piedi, come indispettito, le ho detto: «La vostra fermezza ridesta la mia. Ebbene, sia pure. Noi saremo divisi, o signora, e anche più di quel che immaginate. Così potrete rallegrarvi pienamente dell’opera vostra.» Stupita alquanto da questo tono di rimprovero, ella voleva interloquire. «La risoluzione che avete presa...» diceva.

Page 176: Le Amicizie Pericolose.pdf

«Non è che l’effetto della disperazione» ho esclamato io, con impeto. «Avete voluto che fossi disgraziato; ebbene, vi proverò che siete riuscita al di là dei vostri desideri.» «Ma io non desidero che il vostro bene» mi ha risposto. E il suo accento cominciava già a tradire un’intensa commozione; sicché io, precipitandomi ai suoi piedi col tono drammatico che voi mi conoscete, mi sono messo a gridare: «Ah, crudele, crudele, e può esserci per me un bene che non condividiate anche voi? E dove trovare il bene, lontano da voi? Giammai, giammai!» Confesso che, lasciandomi trasportare così, avevo fatto assegnamento sul soccorso delle lacrime; ma, sia per cattiva disposizione, sia invece soltanto per l’effetto della vigilanza continua e logorante che mi toccava adoperare, il fatto è che non riuscii a metter fuori nemmeno una lacrima. Per fortuna, mi sono ricordato a tempo che per soggiogare una donna tutti i mezzi sono buoni ugualmente, e che bastava sbigottirla con qualche gran gesto per ottenerne un’impressione profonda e favorevole. Ho supplito dunque col terrore il sentimentalismo deficiente, e perciò, pur rimanendo nello stesso atteggiamento e cambiando solo l’inflessione di voce, ho soggiunto: «Sì, si, ne faccio solenne giuramento ai vostri piedi, o possedervi o morire!» Pronunziando queste ultime parole, i nostri sguardi si sono incontrati. Non so che cosa la trepida donna abbia veduto o creduto di vedere nei miei; ma so che si è alzata tutta spaventata, sfuggendomi via dalle braccia che la tenevano stretta attorno alla vita. Vero è però che io non ho fatto nulla per trattenerla, avendo più volte osservato che le scene di disperazione molto accentuate cadono nel ridicolo, quando si prolungano troppo, oppure ci portano a conseguenze tragiche, che erano ben lontane dalla mia intenzione. Purtuttavia, mentre ella cercava di sfuggirmi, io andavo mormorando con voce bassa e sinistra, in modo però che ella potesse intendermi: «Ebbene, venga pure la morte!» Allora mi sono rialzato; e tacendo ho gettato su lei, come a caso, occhiatacce truci, le quali, pur avendo un’aria smarrita, erano invece molto attente e perspicaci. Il suo aspetto sconcertato, il respiro affannoso, la contrazione di tutti i suoi muscoli, le braccia tremanti e sospese a mezz’aria, tutto mi dimostrava che io avevo raggiunto l’effetto che mi ero proposto; ma siccome in amore per ottenere qualcosa bisogna anzitutto essere vicini, e noi eravamo invece assai discosti l’uno dall’altra, era urgente riavvicinarmi a lei; e per riuscirvi ho dovuto passare rapidamente a un’apparente tranquillità, che servisse a calmare gli effetti di quello stato violento, senza tuttavia affievolirne l’impressione. La mia transizione è stata questa: «Oh, disgraziato che io sono! Volevo vivere per la vostra felicità, e l’ho turbata. Mi sacrifico per la vostra pace, e turbo anche questa.» Poi con aria più composta, ma ancora impacciata, ho continuato: «Perdono, signora. Poco abituato alle tempeste delle passioni, non sono capace di reprimerne gli scatti. Se ho sbagliato, pensate che sarà l’ultima volta. Calmatevi, calmatevi, ve ne scongiuro». E durante questo lungo discorso mi andavo sempre più avvicinando a lei, ma quasi insensibilmente. «Se volete che io mi calmi,» mi ha risposto la bella spaventata «siate calmo anche voi.»

Page 177: Le Amicizie Pericolose.pdf

«Ebbene, ve lo prometto» le ho sussurrato, e poi, con voce anche più fioca, «se lo sforzo sarà grande, sarà almeno di breve durata.» E subito dopo, con aspetto smarrito, ho soggiunto: «Ma io ero venuto per restituirvi le vostre lettere, non è vero? Di grazia, degnatevi di riprenderle. Mi resta ancora questo doloroso sacrificio da fare: non mi lasciate niente che possa indebolire il mio coraggio.» Poi, cavando di tasca il prezioso pacchetto: «Ecco il deposito fallace che mi aveva fatto sperare nella vostra amicizia: esso mi legava ancora alla vita. Riprendetelo. Date voi stessa in tal modo il segnale che deve separarmi da voi in eterno.» A questo punto la timorosa innamorata ha ceduto affatto alla sua tenera trepidazione. «Ma insomma, signor Valmont, che avete? Che intendete dire? Questo passo che fate oggi, non lo fate spontaneamente? Non è la conseguenza delle vostre riflessioni? Non sono state le vostre riflessioni a suggerirvi la risoluzione che avete preso e che io ho favorita per dovere?» «Ebbene,» ho ripreso «questa risoluzione mi ha costretto a prenderne un’altra.» «Quale?» «La sola che possa, separandomi da voi, mettere fine ai miei tormenti.» «Ma quale, dite, quale?» Frattanto io l’andavo stringendo tra le braccia, senza che lei se ne schermisse altrimenti; e, giudicando da questo oblio delle convenienze quanto dovesse essere forte e possente la sua agitazione: «Donna adorabile,» ho esclamato tentando la via dell’entusiasmo «voi non avete la più pallida idea dell’amore che mi avete ispirato. Non saprete mai sino a qual punto vi ho adorata, e quanto un tal sentimento mi fosse caro, più della vita! Possano i vostri giorni essere tutti felici e sereni; possano abbellirsi di tutta la gioia che mi avete negata. Ricambiate almeno questo mio augurio sincero con un rimpianto, con una lacrima, e renderete così meno doloroso l’ultimo mio sacrificio. Addio!» Mentre parlavo, sentivo palpitare il suo cuore con più violenza, vedevo impallidire il suo viso e soprattutto mi accorgevo che le lacrime stavano per soffocarla, e tuttavia venivano giù rare e stentate. Solo allora mi è sembrato giunto il momento di fingere d’allontanarmi; ma lei, trattenendomi a viva orza: «No, no, ascoltatemi» mi diceva. «Lasciatemi, lasciatemi» ho risposto. «Ascoltatemi, lo voglio!» «Bisogna che io vi fugga, bisogna!» «No, no!»

Page 178: Le Amicizie Pericolose.pdf

E proferita quest’ultima esclamazione, si è precipitata, o piuttosto mi è caduta svenuta tra le braccia. Dubbioso ancora di un esito così felice, ho finto un grande spavento; ma, pur spaventato, l’andavo non di meno conducendo o piuttosto portando verso il luogo che avevo precedentemente scelto come il campo della mia vittoria; e infatti ella è tornata in sé soltanto quand’era ormai sottomessa e già diventava preda del suo fortunato vincitore. Fin qui, mia bella amica, mi riconoscerete, spero, una purezza di metodo che vi farà piacere, e vedrete che non mi sono scostato in niente dai veri principi di questa guerra, la quale, come abbiamo più volte notato insieme, rassomiglia molto all’altra. Giudicatemi dunque, come giudichereste un Turenne o un Federico il Grande. Ho costretto a combattere un nemico che voleva soltanto temporeggiare; mi sono arrogato con abili manovre la scelta del terreno e delle posizioni; ho saputo ispirare sicurezza al nemico, per colpirlo più facilmente durante la sua ritirata; ho saputo far nascere in lui lo spavento, prima d’attaccar battaglia; non ho arrischiato il menomo gesto, se non in considerazione di un gran vantaggio in caso di vittoria, e nella certezza assoluta di parecchie vie di scampo in caso di sconfitta; e finalmente ho ingaggiato l’azione soltanto quando mi ero assicurato una ritirata, con cui potessi coprire e conservare tutto quanto avevo conquistato in precedenza. Non si poteva, secondo me, fare niente di meglio. Ma temo, oimè, d’essermi adesso infiacchito come Annibale negli ozi di Capua. E ora riprendiamo il racconto, nel punto in cui l’abbiamo lasciato. Mi aspettavo già che un così grande avvenimento non sarebbe accaduto senza le lacrime e la disperazione d’uso; e se ho notato da principio una maggior confusione e una specie di raccoglimento, li ho attribuiti alla sua qualità di santarellina; e pertanto, senza preoccuparmi troppo di queste tenui differenze che credevo puramente locali, mi sono subito avviato per la strada maestra delle consolazioni, ben persuaso che, come capita di solito, i sensi aiuterebbero il sentimento, e che un solo atto farebbe più di cento discorsi, quantunque peraltro non trascurassi nemmeno questi. Ma ho trovato una resistenza davvero impressionante, non tanto forse per violenza quanto invece per la forma sotto cui si manifestava. Figuratevi una donna seduta, rigida, immobile come una statua, con una faccia senza espressione, che non dà il minimo sentore né di pensare né di ascoltare, e i cui occhi sbarrati lasciano cadere giù le lacrime senza tregua e senza sforzo. Tale era la signora Tourvel mentre io parlavo; ma se cercavo di attrarre a me la sua attenzione con una carezza o col gesto più innocente, a questa apparente apatia succedevano subito il terrore, il soffocamento, le convulsioni, i singhiozzi e, a intervalli, qualche grido, senza mai però una sola parola articolata. Queste crisi s’erano ripetute più volte e si facevano sempre più intense; l’ultima anzi era stata così violenta che io n’ero rimasto addirittura scorato, e ho avuto paura per un momento d’aver conseguito una vittoria inutile. Sono ricorso allora ai soliti luoghi comuni, e tra gli altri mi è capitato di dire anche questo: «E dunque vi disperate tanto per aver fatto la mia felicità?» A queste parole, la donna adorabile si è voltata verso di me, e il suo viso, sebbene un po’ stravolto, aveva ripreso la sua espressione celestiale. «La vostra felicità!» ha esclamato. Potete figurarvi la mia risposta. «Ah, siete dunque felice?»

Page 179: Le Amicizie Pericolose.pdf

E io a farmi in quattro per assicurarla che sì. «Felice per causa mia?» E io a rincarare la dose con lodi e con paroline affettuose. Ed ecco, mentre parlavo, che le sue membra si andavano a poco a poco rilassando, finché, lasciandosi ricadere mollemente sulla poltrona e abbandonandomi una mano che io avevo osato prenderle, mi ha detto: «Questo pensiero mi fa bene e mi conforta.» Come potete immaginare, una volta rimesso sulla buona strada, non l’ho lasciata più; ed era davvero la buona, e forse l’unica buona. Per tal modo, quando ho voluto tentare una seconda battaglia, ho trovato sulle prime qualche resistenza (e quel che era avvenuto poc’anzi mi rendeva circospetto), ma, avendo chiamato in soccorso l’immagine della mia felicità, ne ho risentito subito i benefici effetti. «Avete ragione» mi ha detto la bella sentimentale «non posso più ormai sopportare la vita se non in quanto servirà a farvi felice. Mi consacro tutta a questo scopo: da questo momento mi do a voi, e non avrete più da parte mia né rifiuti né rimpianti.» Con tale candore, ingenuo o sublime, ella mi ha abbandonato il suo corpo e le sue tante bellezze, accrescendo il mio godimento col suo. L’ebbrezza fu piena e reciproca, e per la prima volta la mia è durata anche dopo, quando il piacere era finito. Nell’uscire dalle sue braccia, mi sono gettato ai suoi piedi per giurarle un amore eterno, e bisogna confessare che in quel momento pensavo proprio ciò che dicevo. Infine, anche dopo esserci separati, il pensiero di lei non mi lasciava più, e ho dovuto fare una gran fatica per distaccarmene. Ah, perché non siete voi qui, per bilanciare almeno le dolcezze della mia vittoria con quelle del premio che mi compete ormai da voi? Ma certo non perderò niente nell’attesa, e spero di poter considerare come un contratto già stipulato la simpatica proposta che vi ho fatto nell’ultima lettera. Da parte mia, come vedete, sono già sulla via dell’esecuzione, e i miei affari, giust’appunto come vi avevo promesso, sono abbastanza avanzati da poter dedicare a voi una parte del mio tempo. Spicciatevi dunque a liquidare il vostro noioso Bellaroche, e lasciate andare il dolciastro Danceny, per consacrarvi solo a me. Ma che diamine fate in campagna che non rispondete neppure alle mie lettere? Sapete che avrei voglia di sgridarvi sul serio? Ma la felicità porta con sé l’indulgenza; e poi non posso dimenticarmi che, rimettendomi nel novero dei vostri spasimanti, debbo sottostare un’altra volta ai vostri capriccetti. Ricordatevi da parte vostra che il nuovo amante non vuole perdere nessuno degli antichi privilegi dell’amico. Addio, addio, come nel passato, sì, addio, angelo mio, ti mando i baci infocati dell’amore. P. S. Avete saputo che Prévan, appena finito il suo bravo mese di arresti, ha dovuto rassegnare le dimissioni dal reggimento? E ora è la favola di tutta Parigi. Eccolo punito ben crudelmente di una colpa che non ha commesso, e il vostro trionfo è compiuto. Parigi, 29 ottobre 17..

Lettera CXXVI

Page 180: Le Amicizie Pericolose.pdf

La signora Rosemonde alla presidentessa Tourvel. Vi avrei risposto prima, mia cara figliuola, se la stanchezza della mia ultima lettera non mi avesse fatto ritornare il dolore, privandomi per tutti questi giorni dell’uso del braccio. Avevo tanta premura di ringraziarvi delle buone notizie che mi avete dato di mio nipote, e di felicitarmi con voi per quel che ve ne viene di merito! Indubbiamente, in quel che è avvenuto, bisogna riconoscere il dito della Provvidenza, che convertendo l’uno ha voluto salvare l’altra. Si vede, mia cara bella, che Dio voleva soltanto provarvi, e vi ha aiutata perciò nel momento che le vostre forze stavano per soccombere esauste; e, nonostante la vostra leggera mormorazione, dovete proprio ringraziarlo di cuore. Capisco che avreste preferito che la risoluzione fosse partita prima da voi, e che quella di Valmont non fosse stata se non la conseguenza della vostra: certo, umanamente parlando, ne sarebbero usciti meglio salvaguardati i diritti del nostro sesso, che noi non desideriamo perdere nemmeno in parte. Ma che cosa sono mai queste futili considerazioncelle, in confronto a un avvenimento tanto importante? Quando mai si è visto un naufrago, scampato alla burrasca, lamentarsi di non aver avuto la scelta dei mezzi della propria salvazione? Proverete tra poco, mia cara figlia, che le ambasce, di cui temete tanto, si faranno da sé sempre più lievi, e quand’anche dovessero durare sempre e in tutta la loro forza, sentirete tuttavia che esse sono assai più facili a sopportare che i rimorsi della colpa e il disprezzo di se stessi. Invano vi avrei parlato prima con tale apparente severità: l’amore è un sentimento indipendente, che la prudenza può fare evitare ma non vincere, e che, una volta nato, non può morire se non di morte naturale o per assoluta mancanza di speranze. Ma ora, trovandovi voi in quest’ultimo caso, mi sento finalmente il coraggio e il diritto di dirvi liberamente la mia opinione. Sarebbe una crudeltà inutile spaventare un malato ormai spedito dai medici, che non è più suscettibile se non di consolazioni e di palliativi; ma è debito di onestà illuminare un convalescente sui pericoli corsi, per ispirargli la prudenza di cui ha bisogno e la obbedienza ai consigli che possono ancora essergli necessari. Poiché voi mi avete scelta per vostro medico, io vi parlo appunto come tale, e vi dico che i piccoli acciacchi, di cui vi lamentate adesso e che forse esigeranno qualche rimedio, sono niente in paragone della malattia mortale che avete ormai superata. Oltre a ciò, come vostra amica, come amica cioè di una donna ragionevole e virtuosa, mi permetterò di aggiungere che la passione che avete domata, già tanto pericolosa per se stessa, lo diventava anche di più per la persona che n’era l’oggetto. Se debbo credere a quanto mi hanno riferito, mio nipote, per il quale, lo confesso, ho un debole, e che infatti unisce parecchie qualità lodevoli a un aspetto veramente attraente, è però assai pericoloso per le donne e ha molti torti verso di esse, come quello che si compiace di sedurle per poi rovinarle. Voglio sperare che voi l’abbiate convertito sul serio, e nessuna ne era più degna di voi; ma tante altre donne hanno avuto la stessa illusione e poi l’hanno veduta miseramente cadere, che preferisco vedervi sottratta a quest’esperimento. Considerate adesso, mia cara bella, che, invece dei tanti pericoli a cui sareste andata incontro, avrete, oltre la quiete della vostra coscienza e la vostra bella serenità, anche la soddisfazione d’essere stata la causa principale del fausto ravvedimento di Valmont. Io per me non ho nessun dubbio che esso sia in massima parte l’effetto della vostra coraggiosa resistenza, e che un attimo di debolezza da parte vostra avrebbe lasciato mio nipote in un perpetuo traviamento. Mi piace pensare così, e vorrei che anche voi lo pensaste: voi trovereste in questo pensiero le prime consolazioni che vi occorrono, io nuove ragioni di volervi un bene anche maggiore. Vi aspetto dunque qui tra pochi giorni, mia cara figlia, come voi mi lasciate sperare. Venite, sì, venite a ritrovare la calma e la gioia negli stessi luoghi dove l’avevate perduta; venite soprattutto a rallegrarvi con la vostra tenera mammina di avere così felicemente mantenuto la parola che le avevate dato, di non fare niente che non fosse degno di lei e di voi.

Page 181: Le Amicizie Pericolose.pdf

Dal castello di ..., 30 ottobre 17..

Lettera CXXVII La marchesa di Merteuil al visconte di Valmont. Se non ho ancora risposto, caro visconte, alla vostra lettera del 19, non è per mancanza di tempo, ma soltanto perché essa mi ha dato ai nervi, avendola trovata sprovvista affatto di senso comune. Avevo dunque pensato che era meglio dimenticarla; ma poiché voi vi tornate sopra e fate capire di tenere tanto alle idee che vi avevate espresso, e quasi quasi prendete il mio silenzio per un consenso, bisogna che vi dica subito chiaro e netto come la penso. Posso avere avuto qualche volta la pretesa di sostituire da sola un intero serraglio, ma non mi è mai piaciuto di farne parte. Credevo che lo sapeste. Adesso almeno, che non potete più ignorarlo, giudicherete facilmente da voi quanto la vostra proposta mi sia sembrata ridicola. Come! Io dovrei sacrificare un mio capriccio, e per di più un capriccio appena nato, per i vostri begli occhi? E come poi? Aspettando il mio turno, come una umilissima schiava, per aver i sublimi favori di Vostra Altezza? Quando, per esempio, vorrete distrarvi un po’ da quell’ incanto affatto nuovoche solo l’ adorabilee celestiale signora Tourvel vi ha fatto provare, o quando avrete paura di compromettere di fronte alla vezzosa Cecilia quell’idea superiore che volete farle conservare di voi, allora, discendendo sino a me, verrete (bontà vostra!) a cercarvi piaceri, in verità meno intensi ma anche meno pericolosi, e le vostre preziose premure, anche se un po’ rade, dovranno essere più che sufficienti alla mia felicità? Avete certo una bella dose d’orgoglio! Ma si vede che io non ne ho altrettanta di modestia, perché ho un bel guardarmi e riguardarmi allo specchio, ma non mi pare d’essere scaduta sino a questo punto. Sarà forse un torto mio, ma vi prevengo che ne ho anche degli altri. Ho soprattutto quello di credere che lo scolaretto, il dolciastro Danceny , occupandosi soltanto di me, sacrificandomi senza farsene un merito il suo primo amore anche prima che sia soddisfatto, e amandomi infine come si ama alla sua età, potrebbe, nonostante i suoi vent’anni, lavorare più efficacemente di voi alla mia felicità e al mio piacere. Mi permetterò anche di aggiungere che, se mi saltasse il ticchio di dargli un aiuto, questo non sareste certo voi, almeno per adesso. “E perché?” mi domanderete. Anzitutto potrebbe darsi benissimo che non ci fosse alcun perché, dal momento che il capriccio che potrebbe farmi scegliere voi potrebbe ugualmente anche farvi escludere. E tuttavia, per semplice cortesia, voglio motivarvi la mia sentenza. Mi sembra che voi avreste troppi sacrifici da farmi, e io, invece di averne la riconoscenza che vi aspettereste come immancabile, sarei capace di credere che dovreste averne voi per me! Vedete bene che, così lontani come siamo l’uno dall’altra nel modo di pensare, non c’è verso di poterci riavvicinare e temo che debba passare molto tempo prima che io abbia a cambiare idea. Quando mi sarò ravveduta, vi prometto di avvertirvene; ma sino allora, datemi retta, provvedete altrimenti e tenetevi i vostri baci, che potete del resto spendere meglio. Addio come nel passato, dite voi. Ma nel passato, se non mi sbaglio, mi stimavate di più, e non mi avreste relegata in terza categoria. Comunque, avreste aspettato per lo meno che vi dicessi di sì, prima d’essere sicuro del mio consenso. Contentatevi dunque che, invece di dirvi addio come nel passato, ve lo dica come nel presente. Serva vostra, signor visconte.

Page 182: Le Amicizie Pericolose.pdf

Dal castello di ..., 31 ottobre 17..

Lettera CXXVIII La presidentessa Tourvel alla signora Rosemonde. Soltanto ieri, signora, ho ricevuto la vostra risposta, giunta ormai troppo tardi; e mi avrebbe uccisa di schianto, se avessi avuto ancora una vita da perdere. Ma un altro è in possesso della mia, e quest’altro è Valmont. Vedete bene che non vi nascondo niente, e se anche doveste ritenermi non più degna della vostra amicizia, preferisco perderla anziché ingannarla. Vi posso dire solo questo: che, messa da Valmont tra la sua morte o la sua felicità, ho scelto quest’ultima. Non me ne vanto e non me ne incolpo: dico semplicemente ciò che è. Dopo questo, capirete agevolmente quale profonda impressione abbiano dovuto farmi la vostra lettera e le austere verità che contiene. Non crediate però ch’essa abbia potuto destare in me qualche rimorso, o che possa farmi cambiare di sentimenti o di condotta. Passo certo dei momenti terribili ma, quando il mio cuore è più straziato e ho paura di non potere più resistere ai miei tormenti, mi dico: “Valmont è felice”, e dinanzi a questo pensiero ogni sofferenza sparisce, o meglio si cambia in piacere. Mi sono dunque consacrata tutta a vostro nipote, e mi sono perduta per lui. Lui solo è il centro di tutti i miei pensieri di tutti i miei sentimenti, di tutte le mie azioni, e, finché la mia vita sarà necessaria alla sua felicità, mi sarà preziosa, e io sarò assai fortunata. Se verrà poi un giorno che egli penserà altrimenti... Ebbene, non udrà mai da me né un lagno né un rimprovero. Ho già osato fissare lo sguardo su quel momento fatale, e la mia risoluzione è presa. Ora potete comprendere quanto poco mi tocchi la vostra paura che un giorno Valmont possa rovinarmi; perché, prima di rovinarmi, avrà dunque cessato di amarmi, e che cosa possono farmi allora le vane ciance della gente che io non sentirò più? Lui solo sarà il mio giudice. E, poiché non avrò vissuto che per lui, a lui solo sarà affidata la mia memoria; e, purché egli sia costretto a riconoscere che io l’ho amato, sarò più che giustificata. Voi avete letto così, o signora, nel mio cuore. Preferisco la disgrazia di perdere la vostra stima per essere troppo franca piuttosto che rendermene indegna con l’avvilimento della menzogna. Questa piena confidenza io dovevo alle vostre antiche premure per me: aggiungere una parola di più potrebbe lasciarvi supporre che presumo di goderne altre ancora, mentre mi rendo giustizia col non pretenderne più. Sono, o signora, col massimo rispetto, la vostra umilissima e obbedientissima serva. Parigi, 1° novembre 17..

Lettera CXXIX Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil.

Page 183: Le Amicizie Pericolose.pdf

Ditemi un po’, mia bella amica, perché nella vostra ultima lettera avete adoperato quel tono acre e ironico? Che delitto ho commesso, certo a mia insaputa, da urtarvi tanto i nervi? Mi rimproverate di aver fatto assegnamento sul vostro consenso prima d’averlo ottenuto. Ma questa, che sarebbe una presunzione bell’e buona per qualunque altro, credevo che tra noi non potesse essere se non una prova di confidenza. E da quando in qua la confidenza nuoce all’amicizia o all’amore? Dando come cosa fatta ciò che era appena una speranza e un desiderio, non ho fatto che cedere all’impulso naturale che ci spinge ad accostarci quanto più è possibile alla felicità bramata; e voi avete scambiato per effetto d’orgoglio ciò che era soltanto l’effetto della mia premura. So benissimo che negli usi del mondo s’impone in questi casi un dubbio rispettoso; ma voi da parte vostra non potete ignorare che si tratta di una pura formalità, di una menzogna convenzionale, e io ero autorizzato a credere, mi pare, che tra noi non occorressero tante cerimonie. Direi anzi che questo mio procedere franco e spedito, trattandosi di riallacciare un’antica relazione, è assai preferibile alle insipide leziosità dell’amore che fanno nauseare. Forse, chissà, questo mio procedere mi pare anche più simpatico, perché mi è tanto cara e preziosa la felicità che mi fa ricordare; ma appunto per questo mi dispiacerebbe assai che voi mi giudicaste altrimenti. Tale è il solo torto che mi riconosco; perché non potete aver pensato sul serio (almeno lo spero) che ci sia per me qualche donna nel mondo, o magari una sola, preferibile a voi; e tanto meno poi che io possa fare di voi quel poco conto che voi mostrate di credere. Mi dite che vi siete guardata allo specchio sotto questo punto di vista, e che non vi pare d’essere scaduta tanto. Sfido io! E questa, se mai, è una riprova che il vostro specchio è fedele. Ma non avreste potuto più facilmente e con maggiore senso di giustizia dedurne quest’altra conclusione: che dunque neppure io potevo aver giudicato tanto male di voi? Cerco invano il perché di questa vostra strana fissazione, e mi viene in mente che abbia potuto avere un’origine più o meno prossima negli elogi che mi sono permesso di farvi di altre donne. Almeno lo deduco dal vostro insistere nel rilevare gli aggettivi adorabile , celestiale , simpatica , di cui mi sono servito a proposito della signora Tourvel o della piccola Volanges. Ma non sapete che queste parole, prese le più volte a caso più che per riflessione, esprimono non tanto il valore che si attribuisce a una persona, quanto la speciale situazione in cui ci troviamo noi nel momento di parlarne? E se, con tutto ciò, nel momento appunto in cui ero più acceso dell’una o dell’altra, avevo tuttavia tanto vivo desiderio di voi, se vi davo una spiccata preferenza su tutt’e due le altre (perché, insomma, non potrei riannodare la nostra prima relazione se non a scapito delle altre due), vi pare dunque che io meritassi proprio i vostri rimproveri? Altrettanto facile mi sarà giustificarmi su quell’ incanto affatto nuovo, che pure vi dà tanto ai nervi. Perché anzitutto dal fatto che sia nuovo, non se ne desume menomamente che debba anche essere il più forte. Qual piacere potrebbe reggere al confronto dei tanti deliziosissimi, che voi sola sapete rendere sempre nuovi e piùintensi? Ho dunque inteso di dire solamente che quello apparteneva a un genere non provato mai, senza pretendere affatto di attribuirgli un dato valore, e avevo aggiunto, e lo ripeto, che comunque saprò combatterlo e vincerlo. E vi metterò anche più zelo adesso, che posso considerare questa lieve fatica come un omaggio da offrirvi. In quanto alla piccola Cecilia, credo inutile parlarvene. Non avrete certo dimenticato che me ne sono interessato unicamente per obbedire a un vostro ordine, e non aspetto che un contrordine per disfarmene. Ho potuto prendere un po’ di gusto alla sua ingenuità e alla sua freschezza, e crederla magari per un momento graziosa e simpatica, perché, bene o male, si finisce sempre per compiacersi della propria opera; ma certamente ella non ha nulla di sostanzioso, in nessun campo, da poter legare a sé un uomo come me. E ora, mia bella amica, fo appello alla vostra giustizia, alle tante prove che mi avete dato sin dai

Page 184: Le Amicizie Pericolose.pdf

primi tempi della vostra benevolenza, alla lunga e intrinseca amicizia e alla piena confidenza che hanno fatto poi anche più stretti e tenaci i nostri legami: vi pare che io abbia proprio meritato il tono rigoroso che avete assunto con me? Ma quanto vi sarà facile, d’altronde, risarcirmene, appena vorrete! Dite una parola sola, e vedrete se tutti gli incanti e i piaceri potranno trattenermi lontano da voi, non dico un giorno, ma un minuto solo. Volerò ai vostri piedi, tra le vostre braccia, e vi proverò mille volte, in mille maniere, che voi siete e sarete sempre la vera, unica sovrana del mio cuore. Addio, mia bella amica, aspetto la vostra risposta con ansia vivissima. Parigi, 3 novembre 17..

Lettera CXXX La signora Rosemonde alla presidentessa Tourvel. E perché mai, mia cara bella, non vorreste essere più la mia figliuola? Perché vorreste troncare ogni corrispondenza tra noi? Forse per punirmi di non aver preveduto l’imprevedibile? O sospettate che io abbia voluto darvi un dispiacere di proposito? Conosco troppo bene il vostro cuore per credere che possa pensare questo del mio! Perciò il dolore che mi ha dato la vostra lettera riguarda più voi che me. O mia giovane amica, ve lo dico a malincuore, voi siete troppo degna d’essere amata perché l’amore possa farvi felice. Qual donna mai, veramente delicata e gentile, non ha trovato l’infelicità in quello stesso sentimento che le prometteva tanta gioia? Gli uomini, oimè, non sanno apprezzare mai adeguatamente la donna che posseggono! Non voglio dire con ciò che non ci siano anche uomini onesti nei propositi e costanti negli affetti; ma tra questi stessi, quanto pochi sanno mettersi all’unisono col nostro cuore! Non crediate, figliuola mia, che il loro amore sia uguale al nostro: provano, sì, la stessa nostra ebbrezza e magari ci mettono qualche volta anche più infatuazione di noi, ma non hanno la più pallida idea dell’ansia inquieta, della squisita premura che ci suggerisce tanti assidui riguardi a favore della persona che amiamo. L’uomo gode della voluttà che prova, e la donna di quella che dà: questa differenza, tanto essenziale eppure poco notata, influisce sensibilmente sulla condotta reciproca di due amanti. La voluttà dell’uno consiste nel soddisfare i propri desideri, quella dell’altra nel farli nascere. Piacere, per l’uomo, è semplicemente un mezzo di trionfare; mentre per la donna è lo stesso trionfo. La civetteria, tanto rimproverata alle donne, non è se non l’abuso di questa maniera d’intendere l’amore, ed è una riprova della sua reale esistenza. E finalmente la passione esclusiva, che è così caratteristica dell’amore, nell’uomo è appena una preferenza, che serve tutt’al più ad accrescere una voluttà, la quale con altre donne sarebbe magari minore, ma che a ogni modo sussiste con tutte, mentre nella donna è un sentimento profondo, che non solo annulla ogni desiderio per gli estranei, ma inoltre, come più forte della natura e affatto indipendente da essa, non le lascia provare se non ripugnanza e disgusto di quelle medesime cose che sembrerebbero fatte apposta per dar la voluttà. Né state a dare troppo peso alle poche eccezioni che si possono citare contro queste sacrosante verità! Esse non hanno altra garanzia che la voce pubblica, la quale ha creato, a uso e consumo esclusivo dei signori uomini, la comoda distinzione tra l’infedeltà e l’incostanza, di cui essi si prevalgono, quando dovrebbero piuttosto sentirsene umiliati; mentre, per il nostro sesso, questa stessa distinzione non è stata mai fatta valere se non dalle donne depravate che lo disonorano, e alle quali ogni mezzo sembra lecito per salvarsi dal sentimento penoso della propria bassezza morale.

Page 185: Le Amicizie Pericolose.pdf

Mi è parso utile, mia cara bella, contrapporre queste mie riflessioni ai tanti sogni chimerici di una felicità perfetta, con cui l’amore non manca mai d’illudere la nostra immaginazione: speranza fallace, a cui l’anima si aggrappa anche quando dovrebbe staccarsene; e che, appena alla fine vien meno, irrita e moltiplica le angosce, purtroppo reali, che sono inseparabili da una viva passione. Questo compito di addolcire le nostre pene e di diminuirne il numero è il solo che io voglio e posso adempiere in questo momento. Quando un male è senza rimedio, i consigli non possono riguardare se non il modo di trattarlo. Da voi chiedo questo solo, di ricordarvi che compiangere un malato non è affatto un biasimarlo. Eh, via, che siamo noi da poterci biasimare reciprocamente? Lasciamo, lasciamo il diritto di giudicarci a Colui che solo sa leggere nei cuori; e io oso persino sperare che ai suoi occhi paterni molte virtù possano riscattare qualche debolezza. Ma soprattutto vi scongiuro, mia cara amica, d’evitare quelle risoluzioni che non sono già una prova di forza, ma piuttosto d’un profondo scoramento; e non dimenticate che anche rendendo un altro possessore e padrone della vostra vita (per servirmi delle vostre stesse parole) non potete però togliere ai vostri amici quel tanto che ne possedevano già prima, e a cui essi non rinunzieranno mai. Addio, o mia cara figliuola, pensate qualche volta alla vostra affezionatissima mammina e state sicura che voi sarete sempre e soprattutto il suo più caro, pensiero. Dal castello di ..., 4 novembre 17..

Lettera CXXXI La marchesa di Merteuil al visconte di Valmont. Meno male, visconte! Questa volta mi piacete più dell’altra. Ma adesso mettiamoci a ragionare qui tra noi, come due buoni amici, e vedrete che riuscirò a convincervi che gran pazzia sarebbe per voi e per me la proposta che vi sta tanto a cuore. Avete o non avete notato che la voluttà, che in fin dei conti è davvero l’unico incentivo all’unione dei sessi, non basta però da sola a formare un legame tra essi, e che, se è preceduta dal desiderio che li avvicina, è poi seguita dal disgusto che li allontana? È una legge di natura, che solo l’amore può cambiare. Ma l’amore, si può forse averlo ogni qual volta lo vogliamo? Eppure non se ne può fare a meno. Questo sarebbe stato un bell’imbroglio, se per fortuna non ci fossimo accorti che l’amore può bastare anche se è da una parte sola. In tal modo l’imbarazzo è stato ridotto a metà, e non si è nemmeno perduto molto, perché infatti, dei due, l’uno gode la felicità d’amare, l’altro quella di piacere; la quale a dire il vero è meno intensa, senonché, se ci si aggiunge la gioia d’ingannare, l’equilibrio si ristabilisce e tutto s’accomoda. Ma ditemi un po’, visconte, chi di noi due si assumerà la parte d’ingannare l’altro? Sapete certo la storia di quei due bari che, giocando, si riconobbero: «Qui» si dissero «non c’è nulla da fare; dividiamo a metà la spesa delle carte e tronchiamo la partita.» Datemi retta, facciamo anche noi come i due bari, e non perdiamo un tempo prezioso che possiamo impiegare meglio altrove. Per darvi una prova che parlo nel vostro interesse oltre che nel mio e che non si tratta d’un dispetto o d’un capriccio, sono dispostissima a non rifiutarvi il premio che si è convenuto tra noi, e so già

Page 186: Le Amicizie Pericolose.pdf

che per una sera sola ce la caveremo benissimo e anzi sapremo farla sì bella che ci piangerà l’anima a vederla finire. Ma non dimentichiamo che questo rimpianto è necessario alla nostra felicità, e che, per dolce che sia la nostra illusione, non possiamo crederla eterna. Vedete bene che io intendo mantenere la mia promessa, benché voi non vi siate messo ancora in regola con me: perché insomma io avrei dovuto avere la prima lettera della vostra celestiale santarellina; ma, sia che vi dispiaccia levarvela dal cuore, sia che abbiate dimenticato le condizioni del nostro contratto (il quale forse v’interessa assai meno di quel che date a intendere) il fatto è che finora non ho ricevuto nulla, assolutamente nulla. Eppure, se non m’inganno, la tenera colombella deve scrivervi molto, perché che altro farebbe, se no, quando è sola? Certo non è tanto intelligente da sapersi pigliare qualche distrazioncella. Avrei dunque, se volessi, parecchi rimproveri da farvi, ma ci passo sopra volentieri per risarcirvi dell’acrimonia che forse ho messo nella mia ultima lettera. E adesso, visconte, non mi resta che una sola domanda da farvi, e anche questa nell’interesse comune, vostro e mio; ed è di differire il nostro incontro (che io desidero forse quanto voi) al mio ritorno in città. Qui, anzitutto, non avremmo la libertà necessaria, e poi potrei correre qualche rischio, perché basterebbe un po’ di gelosia per farmi riappiccicare addosso quel povero Bellaroche, il quale ormai è legato a me appena da un filo sottilissimo ed è ridotto già quasi al lumicino a furia d’amarmi, tanto che adesso nelle carezze con cui lo spremo c’è più malizia che prudenza da parte mia. E insomma, come potete facilmente arguire, non vi sacrificherei niente di buono. Mi pare che un’infedeltà reciproca renderà il nostro abboccamento assai più appetitoso. Sapete che alle volte mi viene quasi da piangere a vederci ridotti a simili espedienti? Al tempo che ci amavamo, perché sempre più mi vado persuadendo che era proprio amore il nostro, io ero felice con tanto poco! E voi, visconte, lo eravate? Ma perché poi andar ruminando una felicità che non può più tornare? Poiché è impossibile, infatti, checché voi ne diciate, ch’essa ritorni. Prima di tutto, io esigerei da voi sacrifici che non potreste né vorreste farmi; e poi, come avervi tutto per me? Ma no, non voglio neppure soffermarmi a una simile idea. E nonostante il piacere che provo adesso a scrivervene, preferisco lasciarvi bruscamente. Addio, visconte. Dal castello di ..., 6 novembre 17..

Lettera CXXXII La presidentessa Tourvel alla signora Rosemonde. Commossa, o signora, da tanta vostra benevolenza, mi ci abbandonerei tutta con piena fiducia, se non mi trattenesse il timore di profanarla, accettandola. Perché deve succedermi questo, che, mentre capisco quanto mai essa mi sarebbe preziosa, non posso sentirmene degna? Ah! Oserò tuttavia mostrarvene almeno la mia gratitudine, e ammirerò sempre quella vostra soave indulgenza generata dalla virtù, che non conosce le nostre debolezze ma le sa compatire, e il cui incanto mantiene sui cuori un potere sì dolce e sì forte persino di fronte all’incanto dell’amore. Ma posso io meritare ancora un’amicizia che non basta più da sola alla mia gioia? La stessa cosa dico dei vostri consigli: ne sento tutto il valore, e tuttavia non posso seguirli. E come potrei infatti non credere alla felicità perfetta, proprio nel momento che la godo? Certo, se gli uomini sono quali voi me li avete descritti, bisogna fuggirli come esseri odiosi; ma Valmont è diverso dagli altri. Se egli ha comune con loro quella violenza della passione che voi chiamate, chissà perché, infatuazione, questa è però in lui sorpassata di molto da un eccesso di delicatezza. Amica mia, voi

Page 187: Le Amicizie Pericolose.pdf

mi dite di voler condividere le mie pene; ma godete dunque invece della mia gioia, che debbo esclusivamente all’amore e che non può che crescere sempre più, se penso all’essere perfetto che me lo ispira. Voi mi dite che amate vostro nipote, che avete un debole per lui. Ma se lo conosceste come me, quanto l’amereste di più! Io l’amo con idolatria, eppure sento che questo amore è ancora poco in confronto di quello che merita. Sarà stato magari trascinato dalle circostanze a commettere qualche errore, non dico di no, e lui stesso del resto lo ammette; ma chi mai conosce meglio di lui il vero amore? Che potrei dirvi di più? Egli sente l’amore, proprio quale l’ispira. Direte che questo è uno dei tanti sogni chimerici con cui l’amore non manca mai d’illudere la nostra immaginazione ;ma in tal caso perché sarebbe diventato più affettuoso, più premuroso, dopo che ha ottenuto ogni cosa? Lo dirò pure: prima notavo in lui una certa aria pensosa e circospetta che non lo abbandonava mai e che, mio malgrado, mi faceva ricordare le false e ingenerose informazioni che mi avevano date di lui; ma, da quando può espandere liberamente i moti del cuore, sembra quasi che abbia il dono d’indovinare ogni mio più riposto desiderio. E si direbbe che noi eravamo stati fatti l’uno per l’altra, e che proprio a me era riservata la fortuna d’essere necessaria al suo bene. Se questa è una semplice illusione, ah, che io possa morire prima che l’illusione finisca! Ma no, io voglio anzi vivere, per amarlo, per adorarlo. E perché dovrebbe stancarsi di amarmi? Qual altra donna potrebbe egli rendere più felice di me? E la felicità che si dà, lo sento così bene in me stessa, è il vincolo più forte, anzi il solo vincolo che unisca veramente due cuori. Questo delizioso sentimento nobilita l’amore, lo purifica, per così dire, e lo rende davvero degno di un’anima bella e generosa come quella di Valmont. Addio, mia cara, mia rispettabile, mia indulgente amica. Vorrei scrivervi più a lungo; ma è già l’ora che egli mi ha promesso di venire, e non posso pensare ad altro. Perdonatemi; ma se voi volete la mia felicità, questa che io provo adesso è così grande che basto appena a contenerla. Parigi, 7 novembre 17..

Lettera CXXXIII Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil. Quali sarebbero dunque, o mia bella amica, i sacrifici che, secondo voi, io non farei, anche sapendo che vi sono graditi? Fatemeli conoscere, e, se esito un attimo solo a offrirveli, vi permetto di rifiutarne l’omaggio. Ma che razza d’opinione vi siete fatta di me da qualche tempo a questa parte, se, persino quando volete essere indulgente, osate dubitare dei miei sentimenti o della mia energia? Sacrifici che io non vorrei né potrei farvi? Credete dunque sul serio che io sia innamorato e schiavo, e che l’entusiasmo che mi proviene dalla mia vittoria mi sia dato invece dalla donna che ho vinta? Grazie al cielo non sono ridotto a tanto, e mi impegno di provarvelo. Sì, ve lo proverò, quand’anche dovessi passare sul corpo della signora Tourvel! Spero che, dopo questo, non vi rimarrà più alcun dubbio. Ho potuto (e che male c’è?) dedicare un po’ del mio tempo, senza però compromettermi, a una donna che, se non altro, ha il merito d’appartenere a un genere raro. Forse magari la stagione morta in cui l’avventura mi è capitata mi ci ha fatto mettere a corpo morto, più di quanto desiderassi; e anche adesso, che la vita mondana è appena appena ricominciata, non è meraviglia ch’essa mi prenda quasi tutto il mio tempo. Ma dovete anche pensare che sono soltanto otto giorni che godo il frutto di tre mesi di fatiche, e che cento altre volte mi sono fermato di più in avventure che valevano anche meno, e se non altro non mi erano costate tanto; eppure voi non ci avete trovato niente a ridire.

Page 188: Le Amicizie Pericolose.pdf

E poi, volete proprio sapere qual è la vera ragione che mi ci fa mettere con tanto calore? Eccovela qui. Questa donna è timida di natura: nei primi tempi dubitava sempre della sua felicità, e questo dubbio bastava a turbarla, di modo che soltanto adesso comincio a capire sino a che punto posso dominare donne di questa fatta. Era una cosa che tuttavia avevo curiosità di sapere, e certo non se ne trova l’occasione ogni giorno. Anzitutto per molte donne il piacere è sempre il piacere e non altro: con queste, e ci chiamino come vogliono, noi non siamo altro che degli agenti, cioè dei semplici commissionari, il cui merito sta tutto nell’operare, sicché chi più fa, meglio fa. Passando ora a un’altra categoria oggi forse più numerosa delle altre, ci sono donne che non pensano se non alla celebrità dell’amante, al piacere d’averlo rubato a una rivale, alla paura di vederselo rubare a loro volta; e noi entriamo, sì, in parte, in quella specie di felicità che esse godono, ma questa insomma dipende più dalle circostanze che dalle persone, È una felicità che viene per il nostro tramite, ma non proprio da noi. Mi occorreva dunque, per i miei esperimenti, una donna delicata e sentimentale, che si consacrasse tutta all’amore come unico scopo, che nello stesso amore non vedesse se non la persona dell’amante, e il cui turbamento, anziché seguire la via solita, partisse sempre dal cuore per arrivare ai sensi. E questa donna infatti io ho vista (e non parlo della prima volta) uscir dalla voluttà tutta piangente, per rituffarvisi un momento dopo, a causa d’una parola che toccasse la sua anima. Inoltre bisognava che una donna simile avesse in sé ancora quel candore naturale che l’abitudine di abbandonarvisi ha reso insormontabile, e che non le permette di dissimulare nessun moto del cuore. Mi ammetterete senz’altro che le donne come queste che io dico sono assai rare, e forse, se non mi fossi imbattuto in questa, non ne avrei trovate mai. Non sarebbe pertanto da stupire se costei mi trattenesse più a lungo delle altre. E se l’esperienza che voglio fare su di lei esige che io la faccia felice, perfettamente felice, perché mi dovrei rifiutare, specialmente quando ciò asseconda il mio giuoco anziché contrariarlo? Ma, se la mia mente è occupata, ne consegue forse che anche il cuor sia schiavo? Certamente no. L’interessamento che non nego d’avere per quest’avventura non m’impedisce in nessun modo di cercarne delle altre e neppure di sacrificarla a qualche cosa che mi soddisfi di più. La mia libertà è tanta, che non ho trascurato nel frattempo neppure la piccola Volanges, sebbene non ci tenga ormai più. Fra tre giorni sua madre la riporta in città, e io sin da ieri ho già fatto i miei passi per poter comunicare con lei: una mancia al portiere, qualche parolina dolce alla portiera, ed ecco fatto il becco all’oca. Come ha potuto Danceny, poverino, non pensare a un sistema tanto semplice? E poi vengano a dirmi che l’amore aguzza il cervello! Direi piuttosto che l’amore inebetisce affatto i disgraziati che incappano nelle sue reti. E secondo voi, dovrei essere tanto allocco da cascarci dentro anch’io! Rassicuratevi pure. Intanto tra pochi giorni indebolirò, spartendola tra due donne, l’impressione forse troppo viva che ho provata per una di esse; e se vedrò che anche a dimezzarla non basta, ebbene, metteremo la giunta alla derrata! Sarò sempre pronto non di meno a riconsegnare la giovane educanda al suo discreto amatore, non appena vi sembrerà giunta l’ora. Non vedo perché dovreste ancora impedire un tale ravvicinamento. In quanto a me, sono contentissimo di fare questo segnalato favore al povero Danceny: è il meno che io possa fare per lui, dopo tutto quello che lui ha fatto per me! La sua più grande preoccupazione adesso è di sapere se sarà o non sarà ricevuto dalla signora Volanges; e io cerco di calmarlo più che posso, assicurandolo che, in un modo o nell’altro, lo farò felice sin dal primo giorno del ritorno. Intanto continuo a incaricarmi della corrispondenza, che vuol riprendere subito appena la sua Cecilietta sarà tornata. Mi ha consegnato già sei lettere, e me ne consegnerà certo un altro paio prima di quel beatissimo giorno. Si vede proprio che quel benedetto ragazzo non ha altro

Page 189: Le Amicizie Pericolose.pdf

da fare! Ma lasciamo da parte questa coppia infantile e torniamo a noi, perché io possa ingolfarmi soltanto nella dolce speranza che mi ha dato la vostra lettera. Certo, certo che mi avrete tutto per voi: non vi permetto di dubitarne. E quando mai del resto vi sono stato incostante? I nostri legami sono stati sciolti, ma non spezzati: la nostra pretesa rottura è stata un errore della nostra mente esaltata, e tuttavia i nostri sentimenti, i nostri interessi sono rimasti saldamente uniti lo stesso. Come il viaggiatore che torna deluso, riconoscerò anch’io di aver lasciato la felicità per correre dietro a false parvenze di gioia, e dirò col D’Harcourt: “Più paesi stranieri vedevo, e più amavo la patria”.39Dunque non ostacolate più, per carità, l’idea o piuttosto il sentimento che vi riconduce a me, e, dopo aver assaggiato ogni sorta di piaceri nelle vostre varie scappatelle, godiamo, oh, godiamo finalmente la gioia di riconoscere che nessuno dei tanti era comparabile a quello che abbiamo provato insieme e che, a ritrovarlo, ci parrà anche più saporito! Addio, amica mia dolcissima, e aspettiamo pure il vostro ritorno, ma affrettatene il giorno e non dimenticatevi mai quanto io lo desideri. Parigi, 8 novembre 17..

Lettera CXXXIV La marchesa di Merteuil al visconte di Valmont. Visconte mio caro, voi siete proprio come i ragazzi, ai quali non bisogna mai promettere nulla né mostrare cosa alcuna, perché vogliono averla subito. Ed ecco che, per una idea che m’è venuta in testa (eppure vi avevo avvertito che non volevo nemmeno soffermarmici), per il solo fatto che ve ne ho parlato, mi fate una casa del diavolo per richiamarvi la mia attenzione, per ossessionarmene proprio mentre io invece cerco di distrarmene, per farmi insomma condividere in qualche modo i vostri scervellatissimi desideri. Bella cortesia da parte vostra, voler che io mi sobbarchi da sola il peso d’esser prudente per due! Ve lo ridico (e a me poi lo vado ripetendo anche di più) che ciò che mi proponete è assolutamente impossibile. Quand’anche ci metteste tutta la generosità che dimostrate in questo momento, credete che non abbia anch’io la mia brava delicatezza, e vi pare possibile che io accetti da voi sacrifici contrari al vostro bene? Ma dunque è proprio vero che v’illudete ancora sul sentimento che vi lega alla signora Tourvel? È amore, amore di quello schietto. Potete negarlo con cento argomenti, ma al tempo stesso me lo provate in mille modi. Che sotterfugio, per esempio, siete andato a pescar fuori, per darla a bere a voi stesso (perché voglio credervi sincero con me), attribuendo alla voglia di non so che esperimenti il desiderio, che non potete nascondere ne dominare, di tenervi ben stretto codesta donna? Si direbbe quasi quasi che finora non ne avete fatta mai felice, pienamente felice, nessuna! Se vi vengono di questi dubbi, si vede che non avete più memoria. No, no, che non è così! E invece che il vostro cuore si piglia giuoco della vostra mente, appagandola di sofismi. Ma io, che ho tutto l’interesse a non ingannarmi, non sono di così facile contentatura. Perciò, pur avendo gradita la vostra gentilezza di sopprimere nella vostra lettera tutte le parole che, secondo voi, potevano dispiacermi, mi sono accorta tuttavia che, forse a vostra insaputa, le idee sono rimaste sempre quelle. La signora Tourvel infatti non è più l’adorabile, la celestiale signora Tourvel, ma è sempre una donna meravigliosa , delicata e sentimentale , con esclusione assoluta di tutte le altre, è una donna rara che non si troverebbe ogni giorno. E la stessa cosa succede di quell’incanto sconosciuto , che magari, va bene, non sarà il più forte , ma, siccome non l’avevate provato mai finora ed è molto probabile che non lo proverete più in avvenire, costituirebbe per voi, qualora me lo sacrificaste, una perdita irreparabile. Se questi, caro visconte, non sono i sintomi sicuri dell’amore,

Page 190: Le Amicizie Pericolose.pdf

bisogna rinunziare per sempre a trovarli. Vi assicuro che questa volta vi parlo senza il menomo malumore, e anzi mi sono ripromessa di non averne mai più, perché ho capito che poteva diventare per me una trappola pericolosa. Datemi retta, restiamo buoni amici e niente più; ma siatemi almeno un po’ grato del coraggio che ho avuto a resistervi, perché alle volte ci vuole proprio del coraggio a rifiutare di prendere una risoluzione pur evidentemente dannosa. E dunque, soltanto per ridurvi al mio parere con la persuasione, risponderò alla vostra domanda sui sacrifici che io esigerei da voi e che voi non potreste farmi. Ho adoperato apposta la parola esigere , perché sono sicura che tra poco mi troverete davvero troppo esigente... Ma meglio così: non solo non vi porterò rancore del vostro rifiuto, ma anzi ve ne ringrazierò. E poi, via, perché dovrei tacerlo proprio a voi?... Forse forse ho bisogno del vostro rifiuto. Esigerei dunque – guardate crudeltà! – che questa rara e meravigliosa signora Tourvel diventasse ai vostri occhi una donna qualunque, quale è realmente; perché non bisogna ingannarsi, e l’incanto che noi crediamo di trovare negli altri è solo in noi, e soltanto l’amore fa parere tanto bello l’essere amato. Questo che io vi chiedo, per impossibile che sia, potete forse fare lo sforzo sovrumano di promettermelo e magari di giurarmelo; ma, ve lo dico chiaro e tondo, delle chiacchiere non mi fido, e solo i fatti potrebbero persuadermi. Non basta ancora: perché io sarò molto capricciosa. Del sacrificio della piccola Cecilia, che mi offrite con tanta prontezza, non m’importerebbe affatto, anzi vorrei che continuaste questo faticoso servizio sino a nuovo ordine, o che io volessi abusare così del mio potere, o piuttosto che, più giusta e indulgente, mi bastasse di poter disporre dei vostri sentimenti senza contrariare in nulla i vostri piaceri. Ma comunque vorrei essere obbedita, e i miei ordini sarebbero rigorosissimi. È vero che a questo punto mi sentirei obbligata a ringraziarvi, e chissà mai, magari a ricompensarvi. Quasi certamente, per esempio, abbrevierei un’assenza che mi diverrebbe insopportabile, e finalmente vi rivedrei, o visconte. Vi rivedrei... Come? Ma voi vi ricordate che questo non è se non un castello in aria, una vana cicalata, un progetto inattuabile; e non voglio essere proprio io a dimenticarlo. Sapete che il mio processo comincia a darmi qualche preoccupazione? Ho voluto vedere coi miei occhi quali argomenti avevo a mio favore... Ebbene, i miei avvocati mi citano qualche articolo di legge e specialmente molti autorevoli pareri , come dicono essi; ma non vedo d’aver per me altrettanta ragione e giustizia. Quasi quasi mi pento di non aver accettato un accomodamento. Cerco però di rassicurarmi pensando che il procuratore è furbo, l’avvocato eloquente e la litigante bellina. Se queste tre cose non dovessero avere più valore, bisognerebbe riformare di sana pianta la procedura, e allora che diverrebbe mai il rispetto per le antiche consuetudini? Il processo è l’unica faccenda che mi trattenga qui. Quella di Bellaroche è già bell’e spacciata, senza tanti tribunali e con le spese compensate. Il poveraccio è ridotto a sospirare il ballo di questa sera, da quel disoccupato che è. Gli ridarò intera libertà al mio ritorno: gli faccio questo doloroso sacrificio, e me ne consolo pensando che, dopo tutto, lui mi troverà persino generosa. Addio, visconte, scrivetemi spesso: i particolari dei vostri divertimenti mi compenseranno in parte della tanta noia che provo qui. Dal castello di ..., 11 novembre 17..

Lettera CXXXV

Page 191: Le Amicizie Pericolose.pdf

La presidentessa Tourvel alla signora Rosemonde. Provo a scrivervi, ma non sono ancora sicura di poterlo fare. Dio mio! E pensare che, l’ultima volta che vi ho scritto, era semmai per la troppa gioia che non riuscivo ad arrivare in fondo! Oggi invece sono schiacciata sotto il peso immane d’una cupa disperazione, che non mi lascia forze se non per sentirne maggiormente le trafitte, e mi toglie quelle per potermi sfogare! Valmont... Valmont non mi ama più. Anzi non mi ha mai amata, perché l’amore non potrebbe finire così! Egli m’inganna, mi tradisce, mi oltraggia. Tutte le disgrazie, tutte le umiliazioni che possono far soffrire una donna, io le provo tutte; ed è lui, lui, che me le fa soffrire! Non crediate che si tratti d’un semplice sospetto. Oh, ero così lontana, io, dal sospettare! Purtroppo non ho neppure il vantaggio di poter dubitare: l’ho visto, proprio visto, coi miei occhi; e non so che cosa potrebbe inventare per discolparsi. Ma poi, che gli importa di discolparsi, a lui? Non lo tenterà nemmeno. Povera disgraziata, va’ là, che egli non si cura né dei tuoi rimproveri né delle tue lacrime! Non ci pensa neanche a te! Ma dunque è proprio vero che mi ha sacrificata, che mi ha data nelle mani... E di chi poi?... Di una vile creatura. Che dico? Ho persino perduto il diritto di disprezzare quella donna, perché ella ha certo tradito meno doveri che non ne abbia traditi io, perché ella è meno colpevole di me. Quanto è duro il dolore, quando è ravvivato dal rimorso che ne raddoppia i tormenti! Addio, mia cara amica: per indegna che io sia della vostra pietà, voi sarete pietosa tuttavia di me, povera infelice, se riuscirete a capire quello che soffro. Rileggendo adesso la mia lettera, mi avvedo però che non ci si può capire niente. Cercherò dunque d’aver tanto coraggio da raccontarvi ciò che di terribile mi è successo. È stato ieri. Dovevo, per la prima volta dopo il mio ritorno, pranzare fuori di casa. Valmont è venuto a trovarmi alla cinque, e mi era parso più affettuoso del solito. Avendomi fatto capire che la mia uscita gli dispiaceva, figuratevi se non mi sono subito affrettata a rinunziarvi! Tuttavia, un paio d’ore dopo, tutto a un tratto, ha cambiato umore. Non so se, per caso, mi sia sfuggita qualche parola che potesse offenderlo: il fatto è che, poco dopo, con la scusa di un affare urgente che gli era tornato in mente, se n’è andato; ma non senza avermi prima espresso un vivo rammarico, che mi è parso affettuoso e che allora ho creduto sincero. Restata sola, ho pensato che non c’era più ragione ch’io rinunziassi ai miei precedenti impegni, essendo ormai libera di mantenerli. Ho finito perciò di abbigliarmi e sono salita in carrozza. Per disgrazia il mio cocchiere mi ha fatto passare dinanzi all’Opera, ed essendo capitati proprio al momento dell’uscita, siamo stati presi in mezzo dalla calca. Quand’ecco, a quattro passi da me, nella fila di carrozze che ci stava accanto, ho riconosciuto la carrozza di Valmont. Subito il cuore mi si è messo a battere rapidamente, non però di paura: il solo pensiero che mi occupava allora era il desiderio che la mia carrozza potesse avanzare di qualche passo. Fu invece la sua a indietreggiare, venendosi a mettere così proprio al lato alla mia. Mi sono affacciata in fretta al finestrino... Ma quale non fu la mia delusione nel veder nella carrozza, seduta al suo fianco, una nota sgualdrina! Come potete ben immaginare mi sono subito tirata indietro: ciò che avevo visto era più che sufficiente per straziarmi. Ma non era tutto. La ragazza (stenterete a crederlo), evidentemente informata di tutto con un’odiosa confidenza, non si è mossa più dal finestrino e non ha smesso un momento di guardarmi, con frequenti scoppi di risa, tanto da provocare scandalo. Sebbene avvilita e annientata, mi sono lasciata tuttavia trascinare alla casa in cui dovevo andare a pranzo; ma mi è stato impossibile rimanervi, perché a ogni istante mi pareva di svenire, e soprattutto non ero capace di trattenere le lacrime. Tornata a casa, ho scritto a Valmont e gli ho mandato subito la lettera, ma egli non era ancora rincasato. Volendo uscire a ogni costo da questo

Page 192: Le Amicizie Pericolose.pdf

mio stato mortale, o confermarlo per sempre, ho rimandato un’altra volta il servo, con l’ordine di aspettarlo; ma poco prima di mezzanotte il servo è ritornato e mi ha detto che il cocchiere di Valmont, rincasato allora allora, gli aveva assicurato che il padrone sarebbe restato fuori tutta la notte. Stamattina ho pensato che non mi restava altro da fare che richiedergli le mie lettere e pregarlo di non mettere più piede in casa mia. Ho dato infatti gli ordini relativi, ma quasi certamente non ce n’era bisogno. È quasi mezzogiorno, ed egli non si è fatto ancora vedere, né mi ha scritto neppure una riga. E adesso, cara amica, non ho proprio altro da aggiungere: vi ho detto tutto, e conoscete abbastanza il mio cuore. L’unica speranza che mi resta è di poter presto risparmiare alla vostra amicizia tante afflizioni. Parigi, 15 novembre 17..

Lettera CXXXVI La presidentessa Tourvel al visconte di Valmont. Certo, o signore, dopo quel che è accaduto ieri non vi aspetterete d’essere ricevuto più a casa mia, e forse nemmeno lo desiderate. Questa lettera ha dunque per scopo, non tanto di pregarvi di non mettervi più piede, quanto di richiedervi le mie lettere, che non avrei mai dovuto scrivere e che, se una volta vi hanno potuto interessare come prove d’una cieca passione ispiratami da voi, non possono esservi se non indifferenti adesso che la passione è svanita ed esse non esprimono più se non un sentimento che voi stesso avete distrutto. Riconosco e confesso d’avere avuto torto a prendere con voi una confidenza di cui tante altre prima di me erano restate vittime. Di ciò, badate, accuso me sola. Ma credevo almeno di non aver meritato in nessun modo d’essere esposta, proprio da voi, al disprezzo e all’oltraggio di certa gente. Credevo che, con l’avervi sacrificato tutto, con l’aver perduto solo per voi il diritto alla stima degli altri e alla mia, potessi sperare di non essere giudicata da voi più severamente del pubblico, il quale sa ancora separare tuttavia con un grande intervallo una donna debole da una donna depravata. Questi di cui vi parlo sono i soli torti che sarebbero comuni a qualunque altro; di quelli fatti all’amore preferisco tacere, perché tanto non mi capireste. Addio, signore. Parigi, 15 novembre 17..

Lettera CXXXVII Il visconte di Valmont alla presidentessa Tourvel. Soltanto in questo momento, o signora, ho ricevuto la vostra lettera: ho fremuto leggendola, e ho appena la forza di rispondervi. Che idea orribile vi siete dunque fatta di me? Certo, certo io ho tanti torti: tali che non potrò perdonarmeli mai per tutta la vita, quand’anche me li perdonaste voi con la vostra indulgenza. Ma quanto sono lontani dal mio animo quelli che mi rimproverate voi! Come? Io umiliarvi, io avvilirvi, io che ho per voi un rispetto pari all’amore, io che conosco l’orgoglio soltanto dal momento in cui voi mi avete giudicato degno del vostro amore? Le apparenze vi hanno ingannato, e certamente erano tutte contro di me. Ma voi, dite, nel vostro cuore non avevate di che

Page 193: Le Amicizie Pericolose.pdf

combatterle? E non si è ribellato, codesto vostro cuore, al solo pensiero che potesse lamentarsi di me con qualche ragione? No, voi l’avete creduto; e in tal modo mi avete giudicato capace di sì atroce delirio, e avete persino supposto di esservici esposta con le tante vostre bontà verso di me! Ah, se pensate che il mio amore vi abbia degradata a tal punto, si vede che ai vostri occhi io debbo parere molto vile! Questo pensiero mi deprime tanto dolorosamente, che io perdo, a respingerlo, il tempo che dovrei impiegare a distruggerlo. Vi confesserò tutto. Ma mi trattiene un’altra considerazione. Dovrò dunque proprio ricordare fatti che vorrei cancellare, dovrò proprio fermare la vostra attenzione e la mia su un attimo di traviamento che vorrei riscattare con la vita, di cui non posso ancora capacitarmi, e il cui ricordo mi umilierà, mi farà disperare per sempre? Se, accusandomi, dovessi eccitare la vostra collera, oh, non avreste, no, da cercare lontano la vostra vendetta: basterà che mi abbandoniate ai miei rimorsi. E tuttavia, chi lo crederebbe? La colpa di ogni cosa è stato appunto quel fascino potente che sento quando vi sto vicino e che mi ha fatto dimenticare a lungo un affare importante da non potersi rimandare. Quando vi ho lasciata, era troppo tardi, e non ho trovato più la persona che cercavo. Speravo di raggiungerla all’Opera, ma non c’era nemmeno là. C’era invece l’Emilia, che avevo conosciuta un tempo in cui ero ben lontano dal conoscere voi e l’amore; e costei, non avendo la sua carrozza, mi ha domandato se per cortesia volessi portarla con la mia a casa sua, che è lì a due passi. Non c’era niente di male, e ho detto di sì. È stato appunto in quel momento che vi ho incontrata, e subito ho capito che vi sareste fatta un cattivo concetto di me. La paura di dispiacervi, di affliggervi, era così viva in me che non poteva sfuggire, e infatti è stata notata. Confesso anzi che questa paura mi ha fatto commettere la sciocchezza di pregare la ragazza di non farsi vedere; e questa precauzione, suggeritami da un sentimento di delicatezza, si è risolta contro l’amore. Emilia, abituata, come tutte le sue pari, a non essere mai sicura di un ascendente sempre usurpato se non per l’abuso che si permettono di farne, si è guardata bene dal lasciarsi scappare un’occasione tanto favorevole. Più vedeva crescere il mio disagio, e più ostentava di mettersi in mostra; e la sua chiassosa allegria, di cui arrossivo pensando che voi poteste, e sia pur un momento, credervene vittima, si riferiva appunto all’angoscia che io provavo nel vedere così compromesso il mio rispetto e il mio amore per voi. Fin qui certamente sono più disgraziato che colpevole; dunque quei torti, che sarebbero, secondo voi, comuni a qualunque altro e di cui solo mi parlate, non possono essermi rimproverati, perché non ci sono mai stati. Ma invano tacete su quelli dell’amore, che io invece non intendo passare affatto sotto silenzio, perché un grande interesse mi spinge a parlarvene. Certo, nella confusione in cui mi ha messo il mio inconcepibile traviamento, non posso richiamarne il ricordo senza fremere di dolore; e, compenetrato come sono dei miei torti, preferirei sopportare la punizione senza fiatare, attendendo il perdono dal tempo, dal mio eterno amore, dal mio pentimento. Ma come tacere, quando per ciò che mi resta da dire è in giuoco la vostra delicatezza? Non crediate che io cerchi un pretesto per scusare o diminuire la mia colpa. Mi confesso colpevole. Ma non confesso e non confesserò mai che il mio errore umiliante possa essere un torto all’amore. Via! Che ci può essere di comune tra una sorpresa dei sensi, tra un istante di oblio a cui seguono tosto la vergogna e il rimpianto, e un sentimento puro che nasce soltanto nelle anime delicate, si sostenta di stima e dà come frutto la felicità? Oh, no, no, non profanate così l’amore, non profanate soprattutto voi stessa, mettendo in fascio cose disparate che non si possono confondere tra loro! Lasciate alle donne vili e degradate la paura di una rivalità che esse sentono per istinto e loro malgrado, lasciate che esse provino i tormenti di una gelosia che è al tempo stesso crudele e

Page 194: Le Amicizie Pericolose.pdf

umiliante; ma voi, oh, voi stornate gli occhi da rivali che insozzerebbero i vostri sguardi, e, pura come la Divinità, punite, come essa, l’offesa, ma senza sentirvene tocca. Ma quale punizione m’imporrete voi, che mi possa essere più dolorosa di quella che soffro, che possa esser comparata al tormento di avervi dispiaciuto, alla disperazione di avervi afflitta, all’idea insopportabile d’essere meno degno di voi? Voi pensate a castigarmi; e io vi domando invece un po’ di consolazione: non già che io la meriti, no, ma perché mi è necessaria e non può venirmi se non da voi. Se, dimenticando tutt’a un tratto il mio amore e il vostro, e non curandovi più affatto della mia felicità, volete darmi in preda a un dolore eterno, ebbene, colpite pure, ne avete il diritto; ma se, più indulgente o più pietosa, ricordate ancora i sentimenti tenerissimi che univano i nostri due cuori, le voluttà dell’anima sempre rinnovate e sempre più vivamente sentite, i giorni dolcissimi e beati di cui ciascuno di noi è debitore all’altro, e insomma tutti tutti i beni dell’amore e che solo l’amore può dare, allora forse, anziché distruggerli, preferirete farli rinascere. Che posso dirvi di più? Ho perduto tutto, e l’ho perduto per colpa mia. Ma posso recuperare ogni cosa per la vostra magnanimità. Ora tocca a voi decidere. Io non aggiungo parola. Proprio ieri mi avete giurato che la mia felicità era al sicuro, finché dipendeva da voi. E vi reggerà oggi il cuore d’abbandonarmi a un’eterna disperazione? Parigi, 15 novembre 17..

Lettera CXXXVIII Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil. Insisto, mia bella amica: non sono affatto innamorato, e non è colpa mia se le circostanze mi costringono a recitare questa parte. Ditemi di sì, e tornate: vedrete coi vostri occhi se sono sincero. Ho voluto farne la prova ieri sera, e l’esito non può essere certo annullato da ciò che è avvenuto oggi. Mi trovavo dunque in casa della mia casta Susanna e non avevo proprio altro da fare, perché la piccola Volanges, nonostante il suo stato, doveva passare la notte al ballo precoce della signora contessa B. Da principio l’ozio mi aveva fatto desiderare di prolungare la serata e avevo chiesto anzi a questo scopo un piccolo sacrificio; ma, appena mi fu accordato, il piacere che me ne ripromettevo mi fu turbato dal pensiero di quest’amore che voi vi ostinate ad attribuirmi o almeno a rimproverarmi, di modo che non ho avuto più altro desiderio che quello di rassicurarmi e di provarvi nello stesso tempo che si tratta da parte vostra di una vera calunnia. Ho preso dunque una risoluzione violenta e, con un pretesto assai futile, ho piantato in asso la mia bella, che ne è restata tutta sorpresa e forse anche desolata. Ma io sono andato pacificamente a prendere l’Emilia all’Opera, e costei potrebbe riferirvi che sino a stamattina, quando ci siamo lasciati, nessun rimpianto ha guastato i nostri piaceri. Eppure, via, se non fosse stata la mia perfetta indifferenza, avrei avuto qualche buona ragione di stare preoccupato. Perché dovete sapere che, mentre io ero ancora in vicinanza del teatro e avevo in carrozza con me l’Emilia, la carrozza della mia austera bigotta è venuta a mettersi proprio accanto alla mia, e un ingombro stradale ci ha tenuti lì fermi quasi un quarto d’ora, l’uno accosto all’altra. Ci si vedeva come di pieno giorno, e non c’era nessun modo di svignarsela. Non basta. Mi è saltato in testa di confidare all’Emilia che quella era appunto la donna della lettera:

Page 195: Le Amicizie Pericolose.pdf

non so se vi ricordate ancora di questo mio capriccio, quando l’Emilia mi ha fatto da scrittoio col suo corpo. Lei, che non se n’era dimenticata ed è, di natura sua, piuttosto portata al ridere, non ha avuto più pace finché non ha potuto contemplarsi a suo agio quel bel pezzo di virtù , come diceva lei, con grande accompagnamento di sghignazzate, ma proprio da far scandalo, da urtare i nervi anche a me. C’è di più. La gelosa, oh, non mi ha mandato la sera stessa un suo servo, a cercarmi a casa mia? Io naturalmente non c’ero. Ma, nella sua ostinazione, ne ha mandato un altro, con l’ordine d’aspettarmi. Avendo io stabilito di passare la notte con l’Emilia, avevo rimandato intanto a casa la carrozza, dicendo al cocchiere che mi venisse a riprendere stamattina; ebbene, arrivando a casa, il cocchiere ha trovato il messaggero d’amore e gli ha spifferato nudo e crudo che sarei stato fuori tutta la notte. Figuratevi l’effetto di questa bella notizia! Al ritorno ho trovato il mio congedo, scritto con tutta la dignità ch’era imposta dalle circostanze. E così quest’avventura, che secondo voi era interminabile, avrebbe potuto finire benissimo stamattina. E, se non è finita, non è già perché m’importi un granché di continuarla, come voi forse immaginerete, ma perché da un lato non mi piace di lasciarmi piantare, e dall’altro ho voluto riservare a voi l’onore di questo sacrificio. Perciò ho risposto al severo bigliettino con un letterone sentimentale, dilungandomi sulle ragioni, e affidandomi poi all’amore per fargliele parer buone. E ci sono riuscito. Ho ricevuto infatti un secondo biglietto, sempre molto rigoroso, come doveva essere, e che conferma pienamente la rottura eterna, ma il cui tono è già molto cambiato. Vi si dice specialmente che non mi si vuole più vedere; e questa risoluzione è ripetuta per ben quattro volte nella maniera più perentoria; il che vuol dire che non ho un minuto da perdere per recarmi subito da lei. Vi ho mandato già il mio staffiere, per pigliar possesso del portinaio; e fra poco andrò io stesso a farmi firmare il mio perdono: perché, nelle colpe di questa specie, c’è una sola formula di assoluzione generale, e questa non può essere deliberata che in presenza delle parti. Addio, mia cara amica, corro a provocare questo grande provvedimento. Parigi, 15 novembre 17..

Lettera CXXXIX La presidentessa Tourvel alla signora Rosemonde. Quanto ho fatto male, o mia buona amica, ad angustiarvi col racconto troppo precipitato dei miei momentanei dispiaceri. Ora eccovi in pena per causa mia, mentre io sono pienamente felice! Sì; tutto è dimenticato e perdonato; o per dir meglio tutto è rimediato, e all’angoscia e al dolore sono succedute la serenità e la gioia. O gioia del mio cuore, come posso esprimerti? Valmont è innocente: non si poteva essere colpevoli amando come ama lui! I torti gravi e oltraggianti che io gli rimproveravo con tanta amarezza non li ha mai commessi; e, se sopra un punto solo ho dovuto chiudere un occhio, non avevo forse anch’io le mie ingiustizie da riparare? Non scenderò con voi a particolari sui fatti e sui motivi che scagionano Valmont; forse magari la fredda ragione non se ne appagherebbe; ma è col cuore, solamente col cuore, che bisogna giudicarne. Se però voi doveste supporre che io sia stata troppo debole, mi appellerei alle vostre stesse parole. Non siete stata appunto voi a dirmi che per gli uomini un’infedeltà non significa incostanza?

Page 196: Le Amicizie Pericolose.pdf

Sento benissimo che una tale distinzione, invano consentita dall’opinione pubblica, ferisce a fondo la nostra delicatezza; ma di che si dorrebbe la mia, quando quella di Valmont ne soffre tanto di più? Non crediate infatti che il torto che io voglio dimenticare lui se lo perdoni o se ne consoli! Mai più! Ma in fin dei conti si tratta di un peccatuccio veniale, più che espiato dal suo amore esuberante e dalla mia tanta felicità. O la mia felicità si è fatta più grande, o io ne sento meglio il valore per la paura che ho avuto di perderla; ma il fatto è che, se mi sentissi la forza di sopportare ancora le pene crudeli di questi giorni, mi parrebbe di non pagare troppo caro, risoffrendole, il soprappiù di felicità che me ne è venuto. O mia cara mammina, sgridate pure la vostra figliuola, tanto poco avveduta da avervi afflitta con la sua fretta, sgridatela di aver giudicato temerariamente, di aver calunniato colui che non avrebbe dovuto finire mai d’adorare; ma, pur riconoscendola avventata, guardate quanto mai grande è la sua felicità e accrescetela ancora dividendola con lei. Parigi, 16 novembre 17..

Lettera CXL Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil. Come va, mia cara amica, che non ricevo nemmeno una riga da voi? Eppure mi pareva che la mia ultima lettera meritasse una risposta. Avrei dovuto riceverla da tre giorni, e l’aspetto ancora. Sono molto arrabbiato; e in punizione non vi parlerò affatto delle mie faccende capitali. Non vi dirò niente della rappacificazione avvenuta, niente delle nuove espansioni succedute ai rimproveri e alla diffidenza, niente infine delle scuse e delle riparazioni che sono adesso io a ricevere per essere stato sospettato nel mio candore, e, se non fosse l’avvenimento imprevisto della notte scorsa, non vi scriverei nemmeno. Ma siccome questo riguarda la vostra pupilla, e la poveretta non sarà in condizioni d’informarvene personalmente, almeno per qualche tempo, mi assumerò io questo incarico. Per motivi che forse indovinerete o non indovinerete, la signora Tourvel mi aveva dato vacanza per qualche giorno, e, poiché questi stessi motivi non potevano sussistere per la piccola Volanges, mi ero fatto più assiduo con lei. Grazie alle cortesie del suo portinaio, non avevo alcun ostacolo da superare; sicché io e la vostra pupilla menavamo una vita comoda e regolata. Senonché l’abitudine porta con sé la negligenza: i primi giorni non c’era mai precauzione bastante per la nostra sicurezza, e tremavamo persino dietro le porte chiuse a chiave. Ieri, un’incredibile distrazione ci ha procacciato l’incidente di cui voglio parlarvi; e, se io me la sono cavata con un po’ di paura, la piccina la pagherà un po’ più salata. Non dormivamo, no; ma eravamo in quello stato di riposo e di abbandono che segue la voluttà, quando abbiamo sentito la porta della camera spalancarsi di colpo. Subito do di piglio alla spada, per difendere me e la nostra comune pupilla, poi mi faccio avanti... e non vedo nessuno. Eppure la porta era aperta. Preso un lume, sono uscito a esplorare il terreno, ma non ho incontrato anima viva. Allora, solo allora, mi sono ricordato di non aver preso le solite precauzioni; e certamente la porta, appena accostata o chiusa male, s’era aperta da sé. Nel tornare indietro per rassicurare la mia timida compagna, non l’ho trovata più nel letto: era caduta nella stretta fra il letto e il muro, o forse, non so bene, vi si era voluta soltanto nascondere. Certo era lì, stesa, svenuta, in preda a violente convulsioni. Figuratevi il mio imbarazzo! Sono riuscito tuttavia a rimetterla a letto, senonché nel cadere la poveretta s’era ferita, e ne ha risentito

Page 197: Le Amicizie Pericolose.pdf

subito gli effetti: il male alle reni, le coliche fortissime e altri sintomi anche meno equivoci mi hanno fatto capire lì per lì di che si trattava; ma per spiegarlo alla ragazza ho dovuto dirle anzitutto in che stato si trovava prima, perché la sciocchina non ne aveva il menomo sospetto. Non s’è vista mai forse, prima di lei, tanta innocenza in una ragazza che tuttavia ha fatto così bene tutto quanto occorreva per disfarsene. Oh, quella lì non perde davvero il suo tempo a riflettere! Ne perdeva assai invece a smaniare e a desolarsi; e io sentivo che bisognava agire molto alla svelta. Siamo dunque rimasti d’accordo che io sarei volato dal medico e dal chirurgo di casa, per avvertirli che sarebbero venuti a chiamarli e per confidare loro ogni cosa sotto il sigillo del segreto professionale; che ella intanto avrebbe chiamato la cameriera, e poteva farle o non farle la confidenza, come meglio credeva, ma l’avrebbe a ogni modo mandata a cercare soccorso, con la proibizione assoluta di svegliare la signora Volanges, come era del resto più che naturale per una figliuola delicata che non vuole mettere in orgasmo la madre. Ho sbrigato le mie due corse e le mie confessioni in un batter d’occhio; poi sono tornato a casa mia e non mi sono mosso più. Ma il chirurgo, che era una mia vecchia conoscenza, è venuto a trovarmi a mezzogiorno per darmi notizie della malata. Non m’ero sbagliato; ma il dottore spera, se non sorgono complicazioni, che nessuno si accorgerà di niente, in casa. La cameriera è a parte di tutto; il medico ha dato un nome qualunque alla malattia, e anche questa faccenda si accomoderà come tante altre, a meno che in seguito non ci convenga meglio propalarla. Ma c’è ancora forse qualche interesse comune tra voi e me? Il vostro silenzio me ne farebbe dubitare e anzi mi farebbe addirittura credere di no, se il gran desiderio che ne ho io non mi facesse cercare tutti i pretesti per conservare ancora un filo di speranza. Addio, amica mia bella, vi mando un bel bacione pur tenendovi il broncio. Parigi, 21 novembre 17..

Lettera CXLI La marchesa di Merteuil al visconte di Valmont. Dio mio, visconte, come mi diventate noioso con codesta vostra ostinazione! Che v’importa del mio silenzio? Non crederete mica che, se io taccio, è perché mi manchino argomenti da far valere? Dio volesse! Invece è semplicemente perché mi dispiace di doverveli dire. Siate sincero: volete solo creare un’illusione a voi stesso, o cercate d’ingannare anche me? La differenza tra le vostre parole e i vostri fatti non mi lascia altra alternativa. Orbene, quale di queste due proposizioni è la vera? Che cosa volete che io vi scriva, se non so neppure io che cosa pensare di voi? Mi pare che vogliate farvi un gran merito della scenata che avete avuta con la vostra presidentessa; ma essa non significa niente, né a favore della vostra tesi né contro la mia. Io non vi ho mai sostenuto che voi siate innamorato al punto di non ingannare questa donna, di non cogliere tutte le occasioni che vi sembrano facili e piacevoli per farlo; e non ho mai messo in dubbio che per voi sia press’a poco lo stesso soddisfare con qualunque altra donna, magari con la prima venuta, i desideri che lei sola però vi fa nascere. Sicché non mi meraviglio affatto che, in grazia di quel libertinaggio cerebrale che nessuno potrebbe disconoscervi, abbiate fatto una volta, pensatamente, ciò che avete fatto per caso cento altre volte. Dio mio, e chi non sa che tale è l’usanza del mondo, la consuetudine di tutti voi, dal più scellerato alla specie ? Chi oggi se ne astiene passa per romanzesco; e io non vi rimprovero certo questo difetto! Ma ciò che ho detto, ho pensato e penso ancora di voi, è che,

Page 198: Le Amicizie Pericolose.pdf

nonostante tutto, siete innamorato cotto della vostra presidentessa; non già, si capisce, d’un amore puro e liliale, ma di quell’amore di cui siete capace voi, di quello per esempio che vi fa attribuire a una donna pregi e meriti che non ha, che ve la fa catalogare in una categoria a parte mettendole tutte le altre donne in subordine, che vi tiene avvinto a lei anche quando la oltraggiate; un amore, insomma, quale io penso che un sultano debba sentire per la sua favorita, anche se gli capiti poi, di quando in quando, di preferire una semplice odalisca. E il paragone è tanto più esatto in quanto voi non siete mai l’amante o l’amico di una donna, ma piuttosto il suo tiranno o il suo schiavo. Perciò sono sicura che vi sarete chissà quanto umiliato, chissà quanto avvilito per rientrare nelle grazie del vostro amato bene; e, felicissimo d’esserci riuscito, appena vi pare che sia giunto il momento propizio d’ottenere il perdono, mi piantate in asso, a mezza lettera, per correre a provocare questo gran provvedimento. Persino nella vostra ultima lettera, se non mi parlate unicamente di questa donna, è perché non volete parlarmi affatto delle vostre faccende capitali , che vi sembrano così importanti da farvi considerare una gran punizione per me il tacerne. E dopo queste prove continue della vostra spiccata preferenza per un’altra, avete la faccia tosta di domandarmi calmo calmo se c’è ancora qualche interesse comune tra noi due. Badate bene, visconte, che, se viene la volta di rispondervi, la mia risposta sarà irrevocabile; e avvisarvi che mi dispiace di darvela adesso è forse già dire più del necessario. Meglio dunque non parlarne più. Vi racconterò invece una storiella. E, se non avete il tempo di leggerla o di mettervi abbastanza attenzione per capirla bene, fate il comodo vostro. Alla peggio alla peggio, sarà una storiella sprecata. Un tale di mia conoscenza s’era innamorato una volta, come voi, di una donna che gli faceva poco onore. Aveva sì, di quando in quando, qualche lucido intervallo, da capire che presto o tardi quest’avventura gli avrebbe fatto torto; ma, per quanto ne arrossisse, non aveva il coraggio di romperla, e il suo imbarazzo era maggiore perché s’era vantato con gli amici d’essere pienamente libero, e sapeva che il ridicolo cresce quanto più ci si fa in quattro per sfuggirlo. Passava pertanto la vita a commettere sciocchezze su sciocchezze, salvo poi di scusarsene col dire: “Non è colpa mia”. Per fortuna, quest’uomo aveva un’amica, la quale veramente a un certo momento aveva avuto una gran tentazione di darlo in pasto al pubblico in quel suo stato d’ubriachezza, per rendere in tal modo incancellabile la sua ridicolaggine; ma poi, perché più generosa che maligna, o forse anche per qualche altra ragione, volle fare con lui un’ultima prova, per potere in ogni caso essere in grado di dire, come diceva l’amico: “Non è colpa mia”. Gli mandò dunque, senza una parola di commento, la lettera che segue, come l’unico rimedio che poteva essere utile al suo male: “Tutto finisce per venire a noia, angiolo mio; è una legge di natura, non è colpa mia. “Se perciò mi sono seccato adesso di un’avventura che mi ha tenuto impegnato per quattro lunghissimi mesi, non è colpa mia. “Se, per esempio, il mio amore è stato uguale, a dir molto, alla tua virtù, non c’è da meravigliarsi che l’uno sia finito quando è finita l’altra, e non è colpa mia. “Ne consegue che già da qualche tempo io ti ho ingannata; ma bisogna anche dire che la tua spietata tenerezza mi ci ha in certo modo costretto; e però non è colpa mia. “Oggi una donna che amo disperatamente vuole che io ti sacrifichi a lei: non è colpa mia. “Capisco di offrirti una bella occasione per gridare al tradimento; ma, se la natura ha voluto

Page 199: Le Amicizie Pericolose.pdf

accordare agli uomini la sola costanza, mentre dava alle donne l’ostinazione, non è colpa mia. “Dammi retta, cara, scegliti un altro cavaliere, come io mi sono fatto un’altra amante: il consiglio è buono, anzi eccellente, e, se non vorrai seguirlo, non è colpa mia. “Addio, angiolo mio, ti ho presa con piacere, ti lascio senza rimpianto, e forse un giorno ci ritroveremo: così va il mondo, e non è colpa mia.” Non è adesso il momento, visconte, di raccontarvi il risultato di questo ultimo tentativo e ciò che ne seguì; ma vi prometto di dirvelo nella prossima lettera, nella quale troverete anche il mio ultimatum sul rinnovamento del trattato che mi proponete. Per ora vi dico semplicemente addio. A proposito, vi ringrazio delle notizie che mi date della piccola Volanges: bisogna tenerle in serbo, per darle al gazzettino della maldicenza il giorno dopo le nozze. Frattanto vi faccio le più vive condoglianze per l’immatura perdita dei vostri discendenti. Buona sera, visconte. Dal castello di ..., 24 novembre 17..

Lettera CXLII Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil. Mia cara, non so proprio, parola d’onore, se ho letto male o se ho mal compreso la vostra lettera con la storiella che mi raccontate e con l’annesso modello epistolare. Tutto ciò che posso dirvi è che quest’ultimo mi è parso un piccolo capolavoro del genere, abbastanza originale e adattissimo a far colpo; e perciò l’ho ricopiato alla lettera e l’ho mandato tale e quale alla celestiale presidentessa. Non ho perduto un momento, e infatti l’affettuosa letterina è stata spedita ieri sera. Ho preferito fare così, anzitutto perché le avevo promesso di scriverle ieri, e poi anche perché ho pensato che bisogna darle una notte intera per raccogliersi e meditare su questo grave provvedimento : e voi siete magari capace di rinfacciarmi un’altra volta la frase! Speravo di potervi mandare stamattina la risposta della mia bella, ma è quasi mezzogiorno e non ho ancora ricevuto niente. Aspetterò sino alle cinque, e allora, se non avrò avuto notizie, andrò a prenderle personalmente, perché in questi casi solo il primo passo è difficile. E adesso, come potete figurarvi, sono molto ansioso di sapere come è andata a finire la storiella di quel vostro conoscente così accanitamente accusato di non sapere, al bisogno, sacrificare una donna. Si sarà corretto? E la sua generosissima amica gli avrà fatto grazia? Sono altrettanto impaziente di ricevere il vostro ultimatum , come voi lo chiamate in linguaggio diplomatico; e ho soprattutto la curiosità di sapere se anche nel mio ultimo passo trovate che ci sia l’amore. E ce n’è infatti, e anche molto, ma sapete per chi? A ogni modo non voglio farmi bello di niente, e aspetto ogni cosa dalla vostra benevolenza. Addio, mia graziosa amica. Chiuderò questa lettera alle due, nella speranza di potervi accludere la risposta tanto desiderata. Alle due dopo mezzogiorno. Ancora niente. L’ora incalza e non ho tempo d’aggiungere una parola, ma rifiuterete anche questa volta il più ardente bacio d’amore?

Page 200: Le Amicizie Pericolose.pdf

Parigi, 27 novembre 17..

Lettera CXLIII La presidentessa Tourvel alla signora Rosemonde. Il velo, su cui era dipinta l’illusione della mia felicità, è ormai strappato, signora. La funesta verità mi illumina ogni cosa, e non vedo altro che una morte certa e vicina, a cui arriverò per una strada tracciata tra la vergogna e il rimorso. Ebbene, io mi avvierò per essa, e anche i tormenti mi saranno cari, se mi abbrevieranno la vita. Vi mando la lettera che ho ricevuta ieri, e non vi aggiungo alcun commento: sarebbe inutile. Non è più l’ora di lamentarmi, è l’ora di soffrire; e non ho più bisogno di pietà, ma solo di coraggio. Accogliete, o signora, il solo addio che farò, ed esaudite la mia ultima preghiera di abbandonarmi alla mia sorte, di dimenticarmi, di non considerarmi più come una creatura vivente. C’è nelle disgrazie un limite, oltre il quale anche l’amicizia, nonché guarire le nostre sofferenze, può soltanto accrescerle. Quando le ferite sono mortali, curarle diventa una crudeltà. Fuori della disperazione, ogni altro sentimento mi è ora estraneo: nulla più mi giova, se non la notte profonda in cui seppellirò il mio disonore. Vi piangerò le mie colpe, se però potrò piangere ancora, perché da ieri non ho versato una lacrima. Il mio cuore avvizzito non me ne dà più nemmeno una stilla. Addio, signora. Non mi rispondete. Ho giurato su questa lettera infame di non riceverne più nessuna. Parigi, 27 novembre 17..

Lettera CXLIV Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil. Mia bella amica, ieri, alle tre del pomeriggio, spazientito di non aver avuto ancora notizie, mi sono presentato in casa della mia bella abbandonata, e mi hanno detto che la signora era uscita. Ho preso questa frase come un semplice rifiuto di ricevermi, che in verità non mi ha né stupito né offeso, e me ne sono andato via, con la speranza che il mio passo avrebbe almeno impegnato una persona tanto cortese a scrivermi due righe di risposta. Era tanto il desiderio di riceverle che sono passato apposta da casa mia, verso le nove; ma non c’era niente. Meravigliato di tanto silenzio che non mi aspettavo, ho mandato il mio staffiere ad assumere informazioni, per sapere se la tenerissima donna era morta o moribonda. Ed egli al mio ritorno mi ha fatto sapere che la signora Tourvel era uscita davvero alle undici del mattino insieme con la cameriera, facendosi portare al convento di... e che alle sette di sera aveva rimandato indietro la carrozza e i servitori, avvertendo che a casa non l’aspettassero pure. Diavolo! Che voglia farsi monaca? Certo il convento è l’unico asilo adatto per le vedovelle; e se la brava signora persiste nella sua edificante risoluzione, a tutti gli altri obblighi che ho verso di lei dovrò aggiungere anche questo, della fama che mi darà la sua avventura. Non ve l’avevo detto io, qualche tempo fa, che, nonostante le vostre preoccupazioni, sarei ricomparso sulla scena mondana in tutto lo splendore della gloria? Si facciano avanti adesso quei criticonzoli severi che mi accusavano d’un amore romanzesco e sfortunato. Vediamo se si sentono capaci di una rottura più rapida e più spiritosa, o meglio ancora di far presso l’abbandonata la parte di consolatori. Via, si facciano coraggio: ormai la strada è fatta! Provino a percorrerla come l’ho

Page 201: Le Amicizie Pericolose.pdf

percorsa tutta io, da un capo all’altro. E se qualcuno d’essi otterrà il più piccolo successo, ebbene, gli cedo l’onore di credersi da più di me! Ma piuttosto si accorgerebbero che, quando mi ci metto io, la traccia che io lascio non si cancella più. Questa per esempio è proprio incancellabile, e sono pronto a contare meno di zero tutti i miei trionfi passati, se avrò, quando che sia, un rivale che possa vantare qualche speranza su questa donna. La risoluzione che ha preso di farsi monaca lusinga molto il mio amor proprio, è vero; ma mi dispiace ch’ella abbia trovato in sé la forza di staccarsi tanto da me. Vi sarà dunque ormai tra noi due un ostacolo che non sono stato io a mettere; sicché, se volessi riaccostarmi a lei, ella potrebbe anche non volerlo. Che dico? Potrebbe persino non desiderarlo, non considerarlo come la suprema felicità che possa toccarle! È questo dunque l’amore? E vi pare, amica mia, che io possa sopportarlo? Non potrei, per esempio, cercare d’indurre questa donna a credere possibile una riconciliazione, che si desidera sempre finché si può sperarla? Potrei tentare questa prova senza darle molto peso, e perciò senza che voi possiate pigliarne ombra. Anzi questo esperimento potremmo farlo d’accordo noi due; e, quando riuscisse, mi darebbe il modo di rinnovare a vostro capriccio un sacrificio che la prima volta avete gradito tanto. Adesso, mia bella amica, non mi resta che riceverne il premio; e mi par mill’anni che ritorniate. Venite dunque subito a ritrovare il vostro amante, i vostri piaceri, gli amici e le avventure in corso. Quella della piccola Volanges è finita benissimo. Ieri, che la mia ansia non mi permetteva di star fermo un momento tra le molte cose che ho fatto sono capitato anche in casa della signora Volanges, e ho trovato la vostra pupilla ch’era già scesa in salotto, in veste ancora di malata, ma entrata già in piena convalescenza, e mi è sembrata anche più fresca e piacente del solito. Voialtre donne, in un caso simile, sareste restate un mese intero in poltrona. Viva la faccia delle signorine! Questa, per esempio, mi ha fatto venire una voglia matta di accertare di persona se la guarigione era davvero perfetta. Debbo anche dire che per quest’accidente della ragazza poco è mancato che il vostro sentimentale Danceny non impazzisse, prima di dolore, poi di gioia. La sua Cecilia malata! Capirete se non era il caso di perdere il cervello! Mandava tre volte al giorno a prendere notizie, e una volta almeno ci andava lui; e finalmente ha scritto una bella letterina alla mamma, domandandole il permesso di andarle a far visita, per congratularsi con lei della convalescenza d’una persona tanto cara e preziosa. Il bello è che la signora Volanges gli ha detto di sì, di modo che ho trovato il giovanotto riammesso in famiglia come prima, sebbene non osasse prendersi ancora la confidenza d’una volta. È stato proprio lui a darmi questi particolari, perché siamo usciti insieme, e io l’ho fatto chiacchierare. Non avete la menoma idea dell’effetto che gli ha fatto questa visita: una gioia, un tumulto di desideri e di entusiasmi da non potersi descrivere! E io, che vado matto per le grandi passioni, ho finito per fargli perdere addirittura la testa, assicurandogli che tra pochi giorni gli avrei procurato il modo di vedere la sua bella anche più da vicino. Ho stabilito infatti di fargliene regolare consegna, appena avrò compiuto l’ispezione corporale che ho detto sopra. Perché ormai voglio consacrarmi tutto a voi. E poi, che gusto ci sarebbe ad aver tirata su, a furia di stenti, una scolara che all’atto pratico non sapesse tradire altro che un marito? Il capolavoro è che tradisca anche il suo amante e soprattutto il primo amante; perché, in quanto a me, non ho sulla coscienza di aver proferito mai con lei la parola amore. Addio, mia bella amica, tornate dunque presto a godere il vostro impero su di me, ricevendone l’omaggio e dandomene il premio. Parigi, 28 novembre 17..

Page 202: Le Amicizie Pericolose.pdf

Lettera CXLV La marchesa di Merteuil al visconte di Valmont. Ma dunque è vero, proprio vero che avete piantato la presidentessa, inviandole la lettera che vi avevo scritta io apposta per lei? Bravo, siete stato bravo davvero, avete superato ogni mia aspettazione! Vi confesso candidamente che questo trionfo mi è più caro di tutti gli altri che ho ottenuto fin qui. Mi direte che ora stravaluto una donna che prima stimavo meno di zero. Niente affatto! Non è su lei che canto vittoria, è su voi: questo mi piace, questo mi dà una gran soddisfazione! Sì, sì, visconte, è inutile negarlo, voi eravate innamorato morto della signora Tourvel; e anzi ne siete innamorato ancora, l’amate pazzamente. Ma, siccome mi sono levata il gusto di prendere in giro codesta vostra passioncella, voi me l’avete bellamente sacrificata. Ne avreste sacrificate mille, piuttosto che sopportare uno scherno. Guardate a che cosa può condurci la vanità! Ha proprio ragione il savio che la dice nemica del bene! Ma come vi ritrovereste adesso, se vi avessi voluto giocare soltanto un tiro birbone? Oibò! Sono incapace, lo sapete, di trappolare un amico; e, dovessi magari ridurmi anch’io, mercé vostra, alla disperazione e alla vita claustrale, ebbene, voglio correrne il rischio e arrendermi al mio vincitore! Per la verità debbo dirvi però che la resa è, da parte mia, un mero effetto di debolezza; perché, se volessi lottare ancora, quanti mai cavilli potrei tirare fuori! E forse vi meritereste che vi trattassi così. Mi fa specie, per esempio, di vedere con quanta disinvoltura o piuttosto con quanta goffaggine mi fate scivolare giù adagio adagio la proposta di permettervi di aggiustare ogni cosa con la presidentessa. Vi piacerebbe, eh, di pigliarvi il merito della rottura, senza rimetterci gli spassi che godevate prima? E siccome allora il vostro preteso sacrificio non vi costerebbe un bel niente, mi offrite generosamente di rinnovarlo a piacer mio. Con questo accorgimento, la celestiale scrupolosetta continuerebbe a credersi l’unica eletta del vostro cuore, mentre io dovrei essere la sua rivale preferita, e saremmo così imbrogliate bene tutt’e due. Ma voi sareste contento, e il resto che importa? È trovata bene, non c’è che dire. Peccato che, con tanta abilità strategica nel preparare i piani di battaglia, ve ne avanzi poi poca per l’esecuzione, e che abbiate messo voi stesso, con un passo sbagliato, un insormontabile ostacolo al compimento dei vostri simpaticissimi desideri. Se infatti avevate l’idea di tornare pane e cacio col vostro tesoro, come avete potuto ricopiare la mia lettera? Mi avevate presa dunque per una scimunita? Date retta, visconte, quando una donna mira al cuore di un’altra donna, sa colpire sempre il punto giusto, e la sua ferita è insanabile. Mentre io colpivo la presidentessa, o per dir meglio mentre dirigevo i vostri colpi, non ho dimenticato che era la mia rivale e che voi l’avevate per un momento preferita a me, mettendomi al disotto di lei. Ebbene, se mi sono sbagliata nella mia vendetta, sono pronta a pagarne la pena. Tentate, tentate pure tutti i mezzi; non solo ve lo permetto, ma sono anzi io che vi invito a farlo, e vi prometto di non adontarmi affatto se riuscirete. Sono tanto sicura che non riuscirete, che non voglio nemmeno soffermarmici più. Parliamo dunque d’altro. Per esempio, della salute della piccola Volanges. Me ne darete notizie più sicure al mio ritorno, non è vero? E sarò molto contenta di averne. Dopo quanto è successo, giudicate voi se sia meglio riconsegnare la ragazza al suo spasimante o tentare invece una seconda volta di diventare il capostipite di un nuovo ramo dei Valmont sotto il nome di Gercourt. L’idea mi era sembrata molto graziosa. A ogni modo, pur lasciando la scelta a voi, vi prego di non prendere una risoluzione definitiva prima d’averne parlato con me. E non dovrete aspettare molto, perché sarò a Parigi

Page 203: Le Amicizie Pericolose.pdf

prestissimo. Non posso ancora precisarvi il giorno, ma non dubitate che, appena arrivata, sarete voi il primo a saperlo. Addio, visconte. Nonostante le lamentele, i rimproveri e tutte le mie maliziette, vi voglio sempre un gran bene, e mi sto preparando a darvene la prova. A rivederci, amico mio. Dal castello di..., 29 novembre 17..

Lettera CXLVI La marchesa di Merteuil al cavalier Danceny. Amico mio, finalmente parto e domani sera sarò di ritorno a Parigi. Siccome avrò la casa sottosopra per l’inevitabile confusione del trasferimento, non riceverò nessuno. Tuttavia, se avete qualche cosa urgente da comunicarmi, farò molto volentieri un’eccezione per voi; e perciò vi chiedo di tener segreto il mio arrivo con tutti, anche con Valmont, che non deve saperne niente. Chi mi avrebbe detto qualche tempo fa che avreste avuto così presto la mia assoluta confidenza? Ma la vostra ha trascinato dietro la mia. Quasi quasi sarei tentata di credere che l’abbiate fatto maliziosamente, e sto per dire con l’intenzione di sedurmi! E sarebbe stata un’azionaccia, amico mio! A ogni modo, la cosa non sarebbe affatto pericolosa adesso, perché avete ben altro da fare: quando l’eroina è in scena, la confidente passa in seconda linea! Per questo, eh, non avete avuto neanche il tempo d’informarmi dei vostri progressi! Quando la vostra Cecilietta era lontana, i giorni non erano lunghi abbastanza per sfogare i vostri dolci lamenti: li avreste detti, scommetto, all’eco, se non ci fossi stata io a sentirli! Quando, più tardi, si è ammalata, mi avete creduta degna ancora di ascoltare il racconto delle vostre pene, perché avevate bisogno di raccontarle a qualcuno. Ma adesso che la vostra bella è a Parigi, e sta bene, e potete vederla quando volete, oh, adesso basta lei a farvi felice, e degli amici non sapete più che farvene! Non me la piglio con voi, badate, la colpa è tutta dei vostri vent’anni. Da Alcibiade a voi, i giovani conoscono l’amicizia soltanto nelle disgrazie. La felicità può renderli qualche volta indiscreti, ma espansivi giammai; e perciò anch’io vorrei dire con Socrate: “Mi piace che gli amici vengano a trovarmi quando sono disgraziati”;40ma lui, che era un gran filosofo, poteva fare a meno di loro quando non venivano, mentre io in questo non sono affatto saggia come lui e ho sofferto del vostro silenzio con tutta la debolezza d’una donna. Non state a credermi troppo esigente. E che diritto ne avrei? La stessa delicatezza di sentimenti che mi fa sentire questa privazione me la fa sopportare coraggiosamente, quando la privazione è la prova, o la causa, della felicità dei miei amici. Perciò non aspetto la vostra visita di domani sera, se non in quanto l’amore vi lascerà libero e disoccupato, e vi proibisco di farmi il più piccolo sacrificio. Addio, cavaliere. Rivedervi è per me proprio una festa, ma verrete? Dal castello di ..., 29 novembre 17..

Lettera CXLVII

Page 204: Le Amicizie Pericolose.pdf

La signora Volanges alla signora Rosemonde. Chissà che pena farà anche a voi, come l’ha fatta a me, sapere in che disperate condizioni di salute si trova la signora Tourvel! Povera amica nostra! Da ieri è caduta ammalata, e la sua malattia si è subito sviluppata con inaudita violenza e con sintomi tanto gravi da tenerci tutti assai preoccupati. Una febbre ardente, un delirio quasi continuo, una sete che non si può estinguere: ecco di che si tratta. I medici dicono di non poter arrischiare ancora nessuna prognosi, e la cura sarà delle più difficili perché la malata si ostina a non voler prendere medicine, tanto che si è dovuto tenerla in quattro per cavarle un po’ di sangue, e altrettanto abbiamo dovuto fare per rimetterle a posto due volte la fasciatura, che nel delirio si strappava via. Voi che l’avete conosciuta, come tutti del resto, timida, debole, mite, non potreste mai figurarvi che quattro persone riescano ora appena a trattenerla, e che, per poco che le si voglia far prendere qualche cosa, si mette a smaniare con furore indescrivibile. Oimè, temo purtroppo che non si tratti di solo delirio, ma di una vera e propria alienazione mentale Almeno, ciò che è accaduto ieri l’altro lo farebbe credere Ieri l’altro, dunque, arrivò verso le undici del mattino, accompagnata dalla sua cameriera, nel convento di...; e, siccome ella vi era stata educata e andava anche adesso ogni tanto a fare qualche visituccia alle suore, vi fu accolta, come al solito, festosamente, e a tutte le monache e alle converse parve tranquilla e di ottima cera. Senonché, due ore dopo, domandò se la cameretta che occupava da educanda era libera, e, quando seppe di sì, chiese di poterla vedere. Ma, una volta entratavi, disse che intendeva rimanervi, osservando anzi che non avrebbe mai dovuto lasciarla, e aggiunse che ormai non ne sarebbe uscita se non morta : furono le sue parole testuali. Lì per lì non seppero che cosa risponderle, ma, passato il primo stupore, le fecero osservare che, essendo lei una donna maritata, non potevano riceverla senza un permesso speciale. Ma questa e altre mille ragioni che addussero non valsero a smuoverla dal suo proposito, e anzi da quel momento non volle più uscire non solo dal monastero ma neanche dalla sua cameretta. Alla fine, alle sette di sera, non sapendo più a che santo votarsi, la superiora le consentì di passarvi la notte, e rimandate a casa la carrozza e le sue persone di servizio, rinviarono ogni determinazione al giorno dopo. Dicono che tutta la sera il suo aspetto e i suoi modi non ebbero niente di esaltato e furono anzi oltremodo composti e assennati. Cadde soltanto, quattro o cinque volte, in una specie di profondo abbattimento, da cui non c’era verso di cavarla fuori, per quanto cercassero di rivolgerle la parola; e tutte le volte che ne usciva, prima di tornare in sé si portava le mani alla testa, stringendosela forte come se volesse stritolarla, tanto che una delle monache presenti le domandò se per caso le dolesse la testa; ma ella, dopo averla fissata a lungo senza parlare, le rispose: «Oh, no, il male non è lì!» E subito dopo pregò d’essere lasciata sola e che non le rivolgessero da allora in poi altre domande. Allora tutte le monache si ritirarono, e restò soltanto Giulia, la cameriera, che, in mancanza di altre camere, doveva fortunatamente dormire con lei. Secondo ciò che ha riferito poi questa ragazza, la signora è restata abbastanza calma sino alle undici di sera, quando ha manifestato il desiderio di coricarsi; ma, prima d’aver finito di spogliarsi, cominciò a passeggiare in lungo e in largo per la stanza con passo agitato, gesticolando. Giulia, che aveva assistito a tutto quello che era accaduto nella giornata, non osò aprir bocca e aspettò pazientemente in silenzio per più di un’ora. A un tratto, la povera signora la chiamò due volte di seguito, e la cameriera ebbe appena il tempo di accorrere che se la sentì cadere tra le braccia, gridando:

Page 205: Le Amicizie Pericolose.pdf

«Non ne posso più, proprio più.» Si lasciò portare allora a letto senza far resistenza; ma non ci fu verso di farle prendere niente, e non volle che si chiamasse gente in aiuto. Desiderò solo un bicchier d’acqua sul comodino e ordinò a Giulia di mettersi a letto. Costei assicura d’essere restata sveglia sino alle due e di non aver sentito durante questo tempo né un lagno né un movimento qualsiasi da parte della signora. Ma alle cinque è stata svegliata di soprassalto dal gran parlare ad alta voce che faceva la padrona, e, avendole domandato se aveva bisogno di qualche cosa e non ricevendone risposta, ha acceso il lume e si è avvicinata al letto. La signora Tourvel non l’ha riconosciuta e, interrompendo i discorsi sconclusionati che aveva tenuti fin allora, esclamò: «Lasciatemi sola, lasciatemi nelle tenebre. Solo le tenebre fanno per me!» E io stessa ho notato che questa frase ricorre spesso nei suoi sproloqui. Giulia, approfittando di questa specie di comando, è uscita allora dalla camera ed è corsa a svegliare le suore, ma la signora Tourvel ha respinto ogni persona e ogni soccorso, con quei modi furiosi e convulsi che da quel momento sono durati quasi ininterrottamente. Alle sette del mattino, la superiora, trovandosi molto imbarazzata da tutto quello scompiglio, mi ha mandata a chiamare, e, sebbene facesse ancora buio, io sono corsa difilata al capezzale dell’amica. Appena le hanno fatto il mio nome, è sembrato che la signora Tourvel riprendesse conoscenza e ha risposto: «Entri, entri subito.» Poi, quando sono arrivata al suo letto, mi ha guardata fissamente, mi ha preso la mano stringendomela forte, e a voce alta e cupa mi ha detto: «Muoio per non avervi dato ascolto»; poscia, coprendosi gli occhi, è tornata alla sua frase preferita: «Mi si lasci sola nelle tenebre», e ha riperduto ancora conoscenza. Le poche parole che mi ha rivolto e alcune altre che le sono sfuggite di bocca nel delirio mi fanno ritenere che questa terribile malattia abbia una causa anche più terribile. Ma rispettiamo i segreti della nostra amica e limitiamoci a compiangere la sua sventura. Tutta la giornata di ieri è stata parimenti burrascosa, divisa tra accessi di delirio spasmodico e momenti di accasciamento letargico, i soli del resto in cui la poveretta prenda e conceda un po’ di riposo. Io non ho abbandonato il suo capezzale sino alle nove di sera, e stamattina vi tornerò per passarvi tutta la giornata. Non abbandonerò certo la mia amica; ma la cosa che più mi angoscia è la sua ostinazione a rifiutare ogni cura e ogni medicina. Vi mando qui unito il bollettino medico della notte, che ho ricevuto or ora e che, come vedrete, è poco confortante. Sarà mia premura farveli avere tutti puntualmente. Addio, mia cara amica, corro dalla mia malata. Mia figlia, che per fortuna è quasi ristabilita, vi presenta i suoi rispettosi omaggi. Parigi, 29 novembre 17..

Lettera CXLVIII

Page 206: Le Amicizie Pericolose.pdf

Il cavalier Danceny alla marchesa di Merteuil. O voi che amo, o tu che adoro, o voi che avete iniziata la mia felicità, o tu che l’hai compiuta, o amica mia affettuosa, o tenerissima amante, perché mai il ricordo del tuo dolore viene a turbare l’estasi che provo in questo momento? Ah, signora mia, calmatevi: ve ne implora l’amicizia! Ah, signora mia, sii felice: te ne prega l’amore! E che avete mai da rimproverarvi! Credetemi, la vostra soverchia delicatezza vi fa travedere. I rimorsi che essa vi fa sentire, i torti di cui vi accusa, sono parimenti illusori; e tra noi due, lo sento nel cuore, l’unico, il vero seduttore è stato l’amore. Non temere dunque più, angelo mio, d’abbandonarti alla dolce passione che ispiri, di lasciarti avvampare dallo stesso incendio che tu hai acceso. E che! Per essere stati illuminati in ritardo, i nostri cuori sarebbero forse meno puri? Certo no. Soltanto un seduttore che agisce a mente fredda potrebbe, disponendo i suoi passi e i suoi piani, antivedere da lungi gli avvenimenti. Ma l’amore, il vero amore, non consente, no, di meditare, di riflettere. Ci distrae anzi col sentimento dal pensare; e la sua forza è tanto più potente quanto più sconosciuta, e approfitta dell’ombra e del silenzio per allacciare i suoi nodi che è impossibile spezzare. E così, ieri stesso, nonostante la viva commozione che mi dava il pensiero del vostro ritorno, nonostante il gran piacere che ho provato a rivedervi, io credevo tuttavia di non essere chiamato e guidato se non dalla più serena amicizia; o, per dir meglio, abbandonandomi ai dolci affetti del mio cuore, non mi curavo affatto di conoscerne l’origine e la causa. E tu pure, o mio tesoro, subivi senza saperlo il fascino prepotente che cullava le nostre anime nelle più soavi dolcezze dell’amore; e tutt’e due abbiamo riconosciuto il terribile Dio soltanto quando siamo usciti dall’ebbrezza in cui egli ci aveva sprofondati e sommersi. Ma tutto ciò, anziché condannarci, ci giustifica. Oh, no, né tu hai tradito l’amicizia, né io ho abusato della tua confidenza! È vero invece che noi ignoravamo i nostri sentimenti, e che abbiamo subìto l’illusione senza far niente per farla nascere. Che vale dunque lamentarsene? Pensiamo invece alla tanta felicità che ci ha dato, e, senza turbarla con immeritati rimproveri, cerchiamo di accrescerla ancora con le gioie della confidenza e della sicurezza. O mio amore, come questa speranza è cara al mio cuore! Libera ormai da ogni timore e tutta data all’amore, tu condividerai i miei desideri, le mie estasi, il delirio dei sensi, l’ebbrezza dell’anima mia; e ogni momento dei nostri giorni beati sarà segnato da una nuova voluttà. Addio, o adorata. Ti rivedrò questa sera, ma ti troverò sola? Non oso sperarlo. Ah, tu non lo desideri certo quanto lo desidero io! Parigi, 1° dicembre 17..

Lettera CXLIX La signora Volanges alla signora Rosemonde. Per quasi tutta la giornata di ieri, o mia degna amica, ho sperato di potervi dare stamane migliori notizie della nostra cara malata; ma da ieri sera questa speranza è fallita, e non me ne resta che il nuovo rammarico d’averla perduta. Un fatto, apparentemente di nessuna importanza, ma assai funesto per le conseguenze che ha avuto, è venuto a ridare alla malattia lo stesso carattere preoccupante di prima, se pur non l’ha peggiorata. E io forse non avrei capito nulla di questo improvviso cambiamento, se ieri appunto la mia disgraziata amica non mi avesse fatto una piena

Page 207: Le Amicizie Pericolose.pdf

confessione di tutte le sue pene. E siccome mi ha detto che anche voi ne siete consapevole, così potrò parlarvi ormai di ogni cosa a cuore aperto. Ieri mattina, dunque, arrivando al monastero, mi dissero che la malata dormiva da circa tre ore, e il suo sonno infatti era tanto profondo e tranquillo che per un momento ho avuto persino paura che si trattasse di un sonno letargico. Poco dopo si è svegliata, e, aperte lei stessa le cortine del letto, ci ha guardate tutte con aria trasognata; poi, quando mi sono alzata per accostarmi a lei, mi ha riconosciuta, mi ha chiamata per nome, mi ha pregato di avvicinarmi ancor più, e, senza lasciarmi tempo di aprir bocca, mi ha chiesto dove si trovava, che cosa facevamo lì, se era stata malata e perché non si trovava a casa sua. A tutta prima ho creduto che delirasse ancora, sebbene d’un delirio più calmo del precedente, ma mi sono accorta subito con gran sollievo che capiva assai bene le mie risposte. Aveva insomma recuperato la conoscenza, ma non la memoria. Ha voluto sapere allora in tutti i più minuti particolari quanto le era accaduto dopo il suo arrivo al monastero, dove non ricordava più d’essere venuta, e io l’ho infatti informata con esattezza d’ogni cosa, tralasciando naturalmente le circostanze che avrebbero potuto inpressionarla, e, quando a mia volta le ho chiesto come si sentiva, mi ha risposto che in quel momento non soffriva più, ma che aveva sofferto molto nel sonno e si sentiva sfinita. Le ho raccomandato di stare tranquilla e di parlare poco; poi, avendo socchiuso novamente le cortine, mi sono seduta accanto al suo letto. Nel medesimo tempo le è stato portato un brodo, che ella ha preso di gusto. È rimasta così circa una mezz’ora, durante la quale ha aperto bocca soltanto per ringraziarmi delle premure che le usavo, mettendo nei suoi ringraziamenti quella grazia e quella gentilezza che ben conoscete. Per un pezzo ha mantenuto il più assoluto silenzio, finché l’ha interrotto per dirmi: «Ora sì che mi ricordo d’essere venuta qui.» E subito dopo ha esclamato con angoscia mortale: «Amica mia, amica mia, abbiate misericordia di me! Ritrovo ora tutte le mie sciagure.» Mi sono accostata allora a lei; ed ella mi ha preso una mano, vi ha appoggiata la testa e ha esclamato: «Gran Dio, fatemi morire!». L’accento più delle parole mi ha commossa sino alle lacrime. Ella se ne è accorta e ha soggiunto: «Piangete per me? Ah, se sapeste...! Fate che ci lascino sole, e vi dirò ogni cosa.» Come credo di avervi già detto, supponevo press’a poco quale dovesse essere l’argomento di questa sua confessione, e per paura che il discorso, certamente lungo e doloroso, potesse pregiudicare la sua salute, ho tentato di evitarlo, col pretesto ch’ella aveva bisogno di riposo; ma la poveretta ha insistito tanto, che ho dovuto cedere alle sue preghiere. Non appena siamo restate sole, la nostra amica mi ha raccontato quel che sapete e che perciò non starò qui a ripetervi. E quando alla fine mi ha detto il modo infame col quale è stata sacrificata, ha soggiunto: «Ero certa di morirne, e me ne sentivo il coraggio; ma come potrò sopravvivere alla sciagura e alla vergogna?» Ho cercato di combattere questo scoramento, o piuttosto questa disperazione, con le armi della religione, sino adesso tanto efficaci con lei; ma avendo compreso subito che mi mancavano le forze sufficienti per una missione sì augusta, le ho proposto di chiamare padre Anselmo che, per quanto so, gode tutta la sua fiducia. Mi ha detto infatti di sì, e anzi mi ha dimostrato una grande impazienza di vederlo. Il buon frate, mandato a chiamare in fretta, è venuto immediatamente, e dopo esser restato chiuso a lungo con la malata, ha detto nell’uscire che, se i medici erano del suo stesso parere, credeva che si potesse senza danno differire la cerimonia dei sacramenti e che egli a ogni

Page 208: Le Amicizie Pericolose.pdf

modo tornerebbe il giorno dopo. Erano le tre del pomeriggio. E fino alle cinque la nostra amica è stata abbastanza tranquilla, sicché tutti avevamo ripreso a sperare. Disgrazia ha voluto che alle cinque appunto arrivasse una lettera per lei. A coloro che volevano consegnargliela, ella ha detto chiaramente che non riceveva lettere di sorta, e nessuno ha insistito; ma da quel momento ha cominciato a mostrarsi più irrequieta, e poco dopo ha domandato: «Donde viene?» La lettera non era timbrata. «Chi l’ha portata?» Nessuno lo sapeva. «Da parte di chi è stata consegnata?» Nulla era stato detto alla suora addetta alla ruota. Allora ha taciuto per qualche tempo, e poi ha ricominciato a parlare, ma i suoi discorsi senza capo né coda ci hanno fatto capire, oimè, che era tornato il delirio. C’è stato tuttavia un intervallo abbastanza tranquillo, nel quale ella ha domandato che le si consegnasse la lettera; ma, appena vi ha gettato gli occhi sopra, ha esclamato: «Lui, lui! Gran Dio!» e poi, a voce alta ed affannata «portatela via, portatela via subito!» E, fatte chiudere lì per lì le cortine del letto, ci ha proibito di avvicinarci a lei. Senonché presto siamo state costrette ad accorrere, perché il delirio l’aveva ripresa più violento che mai, e al delirio ora si erano aggiunte anche convulsioni veramente spaventose, che non sono cessate più per tutta la sera. Il bollettino di questa mattina mi fa sapere che la notte è stata ugualmente tempestosa. Insomma il suo stato è tale da meravigliarmi che ella possa ancora resistere, e non vi nascondo che non mi resta più nessuna speranza. Suppongo che quella disgraziata lettera fosse del signor Valmont; ma che cosa mai può avere ancora il coraggio di dirle? Scusatemi, amica mia. Mi astengo da ogni commento, ma è pur uno strazio veder morire così disperata una donna che finora era stata meritatamente felice. Parigi, 2 dicembre 17..

Lettera CL Il cavaliere Danceny alla marchesa di Merteuil. In attesa della immensa felicità di vederti, mi abbandono intanto, idolo mio, alla gioia di scriverti. Solo in questo modo, occupandomi di te, posso ingannare l’ansia di starti lontano. Oh, sì, descriverti i miei sentimenti e ricordarmi dei tuoi è un gran godimento per il mio cuore; e debbo appunto a questo godimento se anche il tempo delle privazioni serba tuttavia qualche grazia per il mio amore! Eppure, se dovessi credere alle tue parole, questa lettera mia resterebbe senza risposta; anzi questa mia lettera dovrebbe essere l’ultima che io ti scrivo, e noi d’ora innanzi dovremmo privarci d’una corrispondenza che, secondo te, è pericolosa e niente affatto necessaria. Certo, se tu v’insisti, finirò

Page 209: Le Amicizie Pericolose.pdf

per accontentarti, perché qual cosa mai puoi tu volere che io pure non voglia? Ma, prima di prendere questa tremenda risoluzione, permettimi che ne ragioni un pochino con te. In quanto al pericolo, tu sola devi giudicarne. Io non sono in condizione di poter considerare le cose freddamente, e mi limito a raccomandarti di badar bene, per carità, alla tua sicurezza, poiché non potrei stare un minuto tranquillo, se tu fossi in ansia. Su questo argomento dunque non è più vero che noi due formiamo un essere solo, ma è vero bensì che tu sola vali per noi due messi insieme. Ma, in quanto alla necessità, è tutt’altra cosa. Qui tutt’e due non possiamo avere che un unico pensiero, e se non ci trovassimo d’accordo, la colpa sarebbe soltanto di non esserci spiegati o intesi bene. Eccoti dunque come io la penso. Una lettera senza dubbio può parere poco necessaria, quando ci si può vedere liberamente ogni volta che vogliamo. Che cosa può mai dire una lettera, che non dica cento volte meglio una parola, uno sguardo, magari il silenzio? Questa verità è così patente, che, quando tu mi hai detto di non scriverti più, la tua proposta mi ha persuaso facilmente: mi è un po’ dispiaciuta, forse, ma l’ho trovata giusta. Così, press’a poco, se voglio darti un bacio sul cuore e m’imbatto in un nastro o in un velo, lo metto semplicemente da parte, senza avere affatto l’impressione di un ostacolo. Ma poi ci siamo lasciati, e, appena tu non sei stata più vicina a me, il pensiero delle lettere è tornato a tormentarmi. A che, mi sono detto, imporci quest’altra privazione? Come! E perché siamo lontani, non avremo dunque più niente da dirci? Mettiamo pure che, per un cumulo di circostanze favorevoli, possiamo passare insieme magari un’intera giornata; ma, per parlarci, dovremo rubare il tempo di goderci? Dico proprio di goderci, perché quando ti sono vicino anche i momenti di riposo mi danno un godimento ineffabile. Ma poi, per lungo che sia il tempo di stare insieme, viene il momento di lasciarci, e dopo si resta tanto soli! Ebbene, allora una lettera è un prezioso conforto, e anche se non la si legge si può per lo meno guardarla... Certo si può godere una lettera anche senza leggerla, come mi pare che anche di notte proverei qualche piacere a toccare il tuo ritratto. Ho detto il tuo ritratto; ma una lettera è il ritratto dell’anima. Essa non ha come una fredda immagine, quel non so che di stagnante che è lontano dall’amore, anzi si presta a tutti i moti del cuore, e ora si anima, ora gioisce, ora riposa... Oh, i tuoi sentimenti mi sono tutti tanto preziosi! Come puoi pensare a privarmi di un mezzo per coglierli? E sei proprio sicura che la necessità di scrivermi non ti tormenterà mai? Se, nella solitudine, il tuo cuore si dilata o si comprime, se un brivido di gioia ti passa per l’anima, se un’involontaria malinconia ti turba un istante, come farai a non sfogare nel seno del tuo amico la tua felicità o le tue pene? Come potrai tu avere un sentimento, a cui io non partecipi? E vorrai lasciarmi dunque solo, pensoso, smarrito, lontano da te? Ah, mio tesoro, vita mia! Comunque, lascio decidere a te. Io ho voluto soltanto discuterne e non già subornarti. Ho voluto esporre a te le mie ragioni, sebbene forse sarebbero state più efficaci le preghiere. Se tu insisti nella tua proposta, cercherò dunque di non affliggermene; mi sforzerò a pensare le cose che tu potresti rispondermi, ma, vedi, tu me le dirai poi meglio assai che io non le abbia pensate, e soprattutto io avrò molto più gusto a sentirmele dire da te a viva voce. Addio, mia diletta, si avvicina finalmente l’ora di rivederti, e ti lascio in fretta per ritrovarti più presto. Parigi, 3 dicembre 17..

Page 210: Le Amicizie Pericolose.pdf

Lettera CLI Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil. Cara marchesa, non mi crederete, spero, così ingrullito da pensare che io abbia potuto prendere abbaglio sulla natura dell’intimo colloquio in cui vi ho trovato stasera e sulla strana combinazione che aveva portato Danceny a casa vostra. Non già che la vostra fisionomia, avvezza a questo e peggio, non abbia saputo assumere lì per lì l’espressione perfetta della serenità e dell’indifferenza; né che vi siate tradita con qualcuna di quelle frasi che a volte possono sfuggire nei momenti di turbamento. Oibò! I vostri sguardi, dolcissimi, vi hanno servito magnificamente; e se avessero saputo darla a intendere con la stessa facilità con cui facevano capire ciò che voi volevate che dicessero, anziché pigliar ombra o nutrire il menomo sospetto, non avrei esitato un attimo solo a credere alla gran seccatura che vi dava quel terzo incomodo. Senonché, per non sperperare tanti tesori di scaltrezza, per ottenerne l’effetto che ve ne ripromettevate, per raggiungere insomma l’illusione che volevate far nascere, bisognava prima insegnare meglio la lezioncina al vostro amante novizio. Poiché adesso mettete su scuola ai giovincelli, fareste bene a insegnare ai vostri allievi a non arrossire e a non sconcertarsi a ogni scherzo più innocente, e a non negare con tanta vivacità, a pro di una donna sola, quelle medesime cose, di cui, quando si tratta di tutte le altre, si difendono pur debolmente. Imparino anche, per carità, ad ascoltare l’elogio della loro amante, senza credersi perciò obbligati a farne essi stessi gli onori. E se permettete che vi guardino quando siete in compagnia di altra gente, pretendete però prima che sappiano nascondere quello sguardo di possesso che si riconosce tanto facilmente, e che essi goffamente confondono con lo sguardo d’amore. Allora voi potrete finalmente presentarli ai pubblici esami senza che il loro contegno faccia torto all’istitutrice; e io, felicissimo di poter contribuire alla vostra celebrità, vi prometto da parte mia di stendere e di diffondere i programmi del vostro educandato di nuovo genere. Ma, finché questo non sarà stato fatto, lasciate che io mi stupisca (ve lo confesso lealmente) di vedervi invece trattar me, proprio me, come uno scolaretto. Come mi sarebbe facile vendicarmi, se si trattasse di qualunque altra donna! E che piacere ne avrei! Un piacere, vi assicuro, che sorpasserebbe di molto quello che ella avrebbe supposto di farmi perdere. Oh, davvero, non ci siete che voi che possiate farmi preferire la riparazione alla vendetta! E non crediate, veh, che mi trattenga il minimo dubbio, la più piccola incertezza! Oh, no, no, so tutto! Voi siete a Parigi da quattro giorni, e ogni giorno avete veduto Danceny e nessun altro all’infuori di lui. Anche stasera la vostra porta era chiusa per tutti e, per impedirmi di arrivare sino a voi, al vostro portiere è mancata soltanto la faccia tosta che avete voi. Tuttavia, secondo quel che mi avevate scritto, io avrei dovuto essere il primo a sapere del vostro arrivo, di quell’arrivo di cui non potevate ancora dirmi il giorno nemmeno alla vigilia della vostra partenza. Volete negare forse questi fatti o cercare di scusarvene? Disgraziatamente, non è possibile né l’una cosa né l’altra. Eppure, lo vedete, io non faccio scene, e riconoscerete almeno in questo il gran predominio che voi avete su di me; ma, datemi retta, accontentatevi d’averlo sperimentato e non ne abusate. Ci conosciamo, eh, troppo bene, noi due, cara marchesa... questo dovrebbe bastarvi! Mi avete detto che domani sarete fuori tutto il giorno. Se questo è vero (e voi sapete che io lo risaprò) non ci trovo niente a ridire. Ma la sera, poi, che diamine!, dovrete pur rincasare, e per la nostra riconciliazione, che è un po’ complicatella, ci vorrà, si capisce, tutta la notte. Fatemi sapere dunque se è a casa vostra o laggiù che dovremo fare i nostri numerosi reciproci sacrifici espiatori. E soprattutto, eh, niente Danceny tra i piedi! In codesta vostra testolina bislacca s’era ficcato il chiodo

Page 211: Le Amicizie Pericolose.pdf

di quel ragazzo, e l’avete voluta spuntare a ogni costo. Sia pure. Io posso non essere geloso di un delirio della vostra fantasia; ma pensate che da questo momento ciò che era appena un capriccio diventerebbe una spiccata preferenza a mio danno, e io non mi credo tagliato per ricevere un simile affronto, specie da voi. Voglio sperare anche che questo piccolo sacrificio che v’impongo non vi sembri nemmeno un sacrificio; ma, quand’anche dovesse costarvi qualche cosa, mi pare di avervi dato io stesso da parte mia un magnifico esempio d’abnegazione. Una donna bella e sentimentale, che viveva soltanto per me e forse in questo stesso momento muore d’amore e di rimpianti, eh, via, non varrà certo meno d’uno sbarbatello che magari, se volete, non sarà privo di grazia e d’ingegno, ma non ha ancora né pratica né consistenza. Addio, marchesa. Dei miei sentimenti per voi non vi dico niente, perché quel che di meglio possa fare in questo momento è di non scrutare il mio cuore. Aspetto una vostra risposta, e nello stenderla pensate che, se vi è molto facile farmi dimenticare l’offesa che mi avete fatta, un rifiuto, che dico?, un semplice rinvio la scolpirebbe nel mio cuore a caratteri indelebili. Parigi, 3 dicembre 17..

Lettera CLII La marchesa di Merteuil al visconte di Valmont. Caro visconte, badate bene a quel che fate, e abbiate, ve ne prego, qualche riguardo alla mia eccessiva timidezza! Come volete che io possa sopportare questo terribile assillo del vostro corruccio? E come farei soprattutto a non soccombere alla paura della vostra vendetta? Tanto più che, se voi mi faceste un’azionaccia, mi sarebbe poi impossibile, come ben sapete, rendervi la pariglia. Avrei un bel parlare e raccontare i fatti vostri, che tanto la vostra vita continuerebbe a essere pacifica e brillante come adesso. Che cosa, infatti, avreste da temere? D’essere costretto a fuggire, se però ve ne lasciano il tempo. E che perciò? Non si vive forse bene anche all’estero come a casa propria? E dopo tutto, purché la Corte di Francia vi lasci tranquillo dove andrete a finire, per voi si tratterà appena appena di cambiare il teatro dei vostri trionfi. E ora, dopo aver cercato di farvi riacquistare il vostro sangue freddo con queste considerazioni di carattere morale, torniamo alle nostre faccende. Sapete, visconte, perché non mi sono mai rimaritata? Non è stato certo per mancanza di buoni partiti, ma perché nessuno avesse il diritto di trovar da ridire sulle mie azioni. Non già, intendiamoci, che io avessi paura di non poter fare i miei comodi: avrei trovato sempre la maniera di far prevalere la mia volontà; ma mi dava fastidio il solo pensiero che qualcuno avesse diritto di lamentarsene. In altre parole, io volevo traslire per mio gusto, non per necessità. Ed ecco che voi mi scrivete la lettera più maritale che abbia mai scritto un marito autentico, e non fate che parlare di torti che sono naturalmente tutti dalla mia parte, e di grazie che sono tutte dalla parte vostra. Ma mi volete spiegare come si fa a essere colpevole verso una persona con cui non si ha nessun obbligo? Io, per me, non lo riesco a capire. Vediamo un po’ insomma di che si tratta. Avete trovato Danceny a casa mia, e questo vi ha seccato. Benissimo. Ma che cosa potete concludere? Una delle due: o che era davvero l’effetto del caso, come vi ho detto io, o che era invece l’effetto della mia volontà, come non vi ho detto. Nel primo caso la vostra lettera è ingiusta, nel secondo è ridicola. Avete fatto proprio una bella figura a scriverla! Ma voi siete geloso, e la gelosia non ragiona. Ebbene, cercherò di ragionare io al vostro

Page 212: Le Amicizie Pericolose.pdf

posto. O voi avete un rivale, o non l’avete. Se l’avete, bisogna che facciate di tutto per piacermi, perché io vi preferisca; e, se non l’avete, dovete piacermi lo stesso, per evitare di averne in seguito. Dunque, in tutti i casi, c’è per voi una sola tattica da seguire. E allora perché vi tormentate e soprattutto perché tormentate anche me? Non sapete essere il più amabile di tutti? Non siete più sicuro dei vostri successi? Via, visconte, voi vi calunniate! Ma non si tratta di questo; si tratta che ai vostri occhi non mettete conto di disturbarvi tanto per piacermi; e, più che desiderare le mie grazie, voi volete abusare del vostro ascendente. Andate là, che siete un bell’ingrato! Come vedete, siamo in pieno idillio sentimentale; e, se continuassi su questo tono, la mia lettera potrebbe finire col diventare tutto zucchero e tenerezza. Senonché voi non ve la meritate. Non meritate nemmeno che io mi giustifichi. Per punirvi dei vostri sospetti, teneteveli pure. Perciò non vi dirò nulla né della data del mio ritorno né delle visite di Danceny. Vi siete dato molto da fare, eh, per informarvene! Ebbene, che ci avete guadagnato? Vi auguro che ci abbiate preso molto gusto; in quanto a me, non mi avete fatto né caldo né freddo. Alla vostra lettera minacciosa rispondo solo questo: che non ha avuto né la fortuna di piacermi né il potere d’intimidirmi, e che per ora non sono affatto disposta a soddisfare le vostre richieste. Vi dico di più: accettarvi quale vi mostrate oggi sarebbe davvero farvi un’infedeltà, perché non sarebbe come riallacciare una relazione col mio antico amante, ma sarebbe come prenderne uno nuovo che per giunta vale molto ma molto meno dell’altro. Ricordo ancora troppo bene il primo, per essere sicura che non mi sbaglio. Il Valmont che ho amato io era garbato e simpatico, e debbo dire anzi che non ho trovato finora nessuno più amabile di lui. Mi raccomando, visconte, se per caso lo ritrovate, conducetemelo subito, che sarà sempre il benvenuto. Avvertitelo però che, in tutti i casi, non potrà essere né oggi né domani. Il suo sosia gli ha fatto troppo gran torto, e, se mi volesse con troppa fretta, avrei paura di scambiarlo con l’altro. O magari è perché io ho preso appuntamento con Danceny per questi due giorni? Può darsi. E in questo caso, la vostra lettera mi ha insegnato che, a mancar di parola, con voi uomini, non si scherza! Vedete dunque che bisogna a ogni modo aspettare. Ma che v’importa? Potrete sempre rendere pan per focaccia al vostro rivale, e lui non potrà mai fare alla vostra amante niente di peggio di quello che voi avete fatto alla sua. E dopo tutto una donna ne vale un’altra, secondo i vostri princìpi, non è più vero? Anche la donna bella e sentimentale che vivesse soltanto per voi e morisse d’amore e di rimpianto sarebbe, anche lei, sacrificata al primo capriccio o al timor di essere messo in ridicolo. E voi pretendereste poi che gli altri se ne accorassero tanto? Non sarebbe giusto. Addio, visconte, tornate a essere amabile; io non domando di meglio che di trovarvi piacente; e appena ne sarò sicura mi impegno a farvelo toccare con mano; sicché vedete che alla fine io sono persino troppo buona. Parigi, 4 dicembre 17..

Lettera CLIII Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil. Rispondo immediatamente alla vostra lettera e cercherò d’essere esplicito, cosa tutt’altro che facile con voi, quando vi siete intestata a non voler capire.

Page 213: Le Amicizie Pericolose.pdf

Non ci volevano troppo lunghi discorsi per stabilire che, avendo in mano ognuno di noi quanto è sufficiente per rovinare l’altro, abbiamo tutt’e due un uguale interesse a trattarci reciprocamente coi dovuti riguardi: su questo non c’è discussione. Ma tra la brutale soluzione di rovinarci a vicenda e quella, che sarebbe certamente la migliore, di restar uniti come siamo sempre stati, e anzi, se possibile, di diventarlo anche di più riallacciando la nostra antica relazione, mi pare che ci sarebbero mille altri espedienti da adottare. Non c’era dunque niente di ridicolo nel dirvi, e non ce n’è dunque affatto nel ripeterlo adesso, che da oggi in poi sarò per voi un amante o un nemico. Capisco benissimo che questo dilemma vi mette in imbarazzo, e che preferireste tergiversare. Essere posta così risolutamente a dover scegliere tra un sì o un no, non è cosa che vi garbi, lo so per esperienza. Ma dovreste anche riflettere che io non posso lasciarvi sfuggire da questa stretta, senza rischio d’essere beffato; e questo capite già che non potrei tollerarlo. Adesso sta a voi decidere: posso rimetterne a voi la scelta, ma non posso restare più nell’incertezza. Vi avverto solamente che non mi lascerò abbindolare dai vostri ragionamenti, sodi o magri che siano; che non mi lascerò nemmeno adescare da quelle quattro moine, con cui eventualmente cercaste d’addolcirmi la pillola amara del vostro rifiuto; e che insomma è giunto il momento d’essere schietti. Non domando di meglio che di darvene io stesso l’esempio, e perciò vi dico chiaro e tondo che preferisco la pace e l’unione, ma, se si deve romperla tra noi, credo di averne il diritto e i mezzi. Aggiungo che il menomo ostacolo che voi opporrete sarà considerato da me come una vera e propria dichiarazione di guerra. Vedete dunque che la risposta che io esigo non richiede un frasario né lungo né scelto: due sole parole basteranno. Parigi, 4 dicembre 17.. Risposta della marchesa di Merteuil, scritta in calce alla lettera precedente. Ebbene, guerra sia.

Lettera CLIV La signora Volanges alla signora Rosemonde. Amica mia, i bollettini del medico vi diranno, meglio che non possa fare io, in quali disperate condizioni versi la nostra malata. Tutta presa dalle cure che il suo stato richiede, non me ne distolgo per scrivervi se non quando interviene qualche fatto nuovo estraneo alla malattia. Eccone uno, per esempio, che non mi aspettavo. Ho ricevuto oggi, nientemeno, una lettera del signor Valmont, che si è compiaciuto di scegliermi quale sua confidente e persino quale sua mediatrice presso la signora Tourvel; perché infatti ha accluso alla mia una lettera diretta alla signora, che io, rispondendogli, gli ho restituita. Vi unisco qui quella diretta a me, e sono certa che anche voi giudicherete, come ho fatto io, che non potevo né dovevo far niente di quanto egli mi chiede. E, se anche avessi voluto farlo, la nostra sventuratissima amica non era in condizioni di capirmi, essendo in continuo delirio. Ma che cosa pensate voi della disperazione di Valmont? E prima di tutto si deve credergli? O piuttosto non cerca egli soltanto di darla a intendere sino alla fine?41Se questa volta fosse sincero, potrebbe ben dire d’essere stato lui stesso la causa del suo male! Ritengo che sarà poco soddisfatto della mia risposta; ma confesso

Page 214: Le Amicizie Pericolose.pdf

lealmente che, più ripenso a questa sciagurata avventura, e più mi sento irritata contro il suo autore. Cara amica, addio. Torno al mio compito increscioso, tanto più increscioso quanto più svanisce a ogni momento la speranza di riuscire in qualcosa di buono. Vi sono noti i miei sentimenti per voi. Parigi, 5 dicembre 17..

Lettera CLV Il visconte di Valmont al cavalier Danceny. Mio caro cavaliere, sono passato due volte da casa vostra, ma, da quando avete abbandonato la parte di patito per quella più brillante di uomo fortunato con le donne, siete naturalmente diventato irreperibile. Il vostro cameriere mi ha assicurato tuttavia che questa sera tornerete a casa e che egli aveva ordine di aspettarvi. Ma io, che so qualcosa del vostro programma, ho capito che rincaserete solo per pochi minuti, giusto il tempo d’indossare l’abito di circostanza, per poi correre premurosamente di vittoria in vittoria. Buon pro vi faccia, cavaliere! Io non posso che dirvi un bravo di cuore. Ma forse vedrete che per questa sera vi verrà l’estro di cambiare strada. Voi sapete appena la metà delle vostre faccende. Bisognerà dunque che io vi racconti l’altra metà, e starà poi a voi decidere. Trovate il tempo pertanto di leggere sino in fondo questa mia lettera, che non si propone menomamente di distrarvi dai vostri piaceri, ma solamente di mettervi in grado di scegliere tra questi. Se avessi avuto intera la vostra confidenza, se avessi sentito dalla vostra bocca quell’altra metà dei vostri segreti che mi avete lasciato indovinare, avrei saputo ogni cosa a tempo, e il mio zelo giungerebbe oggi meno inopportuno, e non vi taglierebbe la strada. Ma partiamo dal punto in cui siamo: ogni decisione che vorrete prendere, per mal che vada, farà sempre felice qualcuno. Questa notte voi avete un appuntamento con una donna graziosissima, che adorate. Perché, alla vostra età, qual donna mai non si adora, almeno per i primi otto giorni? Lo scenario aggiungerà un incentivo di più al vostro piacere: una deliziosa casetta, che è stata presa apposta per voi , come potrebbe non rendere più dolci le voluttuose carezze col fascino del mistero e della maggior libertà? Tutto e pronto, siete aspettato, e voi giustamente ardete dal desiderio di correre all’appuntamento. Ecco ciò che sappiamo tutt’e due, sebbene voi non me ne abbiate mai detto sillaba. Ed ecco adesso invece ciò che non sapete e che io debbo dirvi. Da quando sono tornato a Parigi mi sono dato molto da fare per riavvicinarvi alla signorina Volanges, come vi avevo promesso; e, anche l’ultima volta che ve ne ho parlato, ho avuto modo di giudicare dalle vostre risposte e sto per dire dal vostro entusiasmo che, facendo questo, mi adoperavo per la vostra felicità. Da solo non avrei potuto certo riuscire nella difficile impresa; ma, dopo averne preparato i mezzi, ho affidato il resto allo zelo della vostra giovane innamorata, e questa ha trovato nel suo amore ispirazioni che io, con tutta la mia esperienza, non avrei saputo immaginare. Insomma, per vostra disgrazia, ella è riuscita nell’intento; e sin da due giorni, come mi ha detto stasera, ogni ostacolo è stato sormontato, e la vostra felicità dipende ormai solamente da voi. Da due giorni appunto la poveretta sperava di comunicarvi a voce la grande notizia, e nonostante l’assenza della madre vi avrebbe ricevuto, senonché vi siete guardato bene dal farvi vivo. A dirvela

Page 215: Le Amicizie Pericolose.pdf

schietta, mi è parso di notare che la ragazza, a torto o a ragione, si sia un po’ impermalita di questa mancanza di premura da parte vostra. Finalmente ha trovato il modo di vedermi e mi ha fatto promettere di recapitarvi al più presto possibile la lettera che qui vi accludo; dalla fretta che mi ha fatto credo di poter arguire che l’appuntamento è per questa sera. Comunque, io ho promesso sul mio onore e sulla mia amicizia di consegnarvi il dolce messaggio in giornata, e non voglio mancare alla parola data. E ora, giovanotto mio, che cosa farete? Messo così tra la galanteria e l’amore, tra il piacere e la felicità, che cosa sceglierete voi? Se parlassi al Danceny di tre mesi o anche di una settimana fa, sicuro com’ero del suo cuore, sarei altrettanto sicuro della sua scelta. Ma il Danceny di adesso, disputato com’è dalle donne, immerso nelle avventure fin sopra i capelli e naturalmente diventato, come è l’uso, un pochino scellerato, preferirà ancora una giovinetta timida, che a suo favore non ha se non la bellezza, l’innocenza e l’amore, alle seduzioni d’una donna sotto ogni aspetto navigatissima ? Per conto mio, caro amico, mi pare che anche coi vostri nuovi princìpi (che, sia detto tra noi, sono un po’ anche i miei) le circostanze m’indurrebbero a scegliere l’amante più giovane. Anzitutto è una di più; poi è nuova; poi avrei paura di perdere il frutto della lunga corte che le avete fatta, trascurando di coglierla adesso che è matura. Perché infatti da questo lato sarebbe proprio un’occasione perduta, e voi sapete che l’occasione non sempre si ripresenta, specie quando si tratta della prima volta e il consenso ci è stato concesso in un momento di debolezza: in questi casi, basta un niente, un po’ di malumore, un sospetto di gelosia, forse anche meno, per rovinare il più bel trionfo. Quando la castità sta per affogare, s’aggrappa a ogni filo d’erba, e, se riesce a scamparla, sta all’erta e non si lascia più acchiappare alla sprovvista. Che cosa arrischiate, invece, dall’altra parte? Nemmeno una vera e propria rottura. Tutt’al più un piccolo bisticcio, nel quale, con un po’ di abilità, c’è sempre modo di pescare un piacere di più, quello di far la pace. A una donna che si è già arresa non resta altra scelta che l’indulgenza. Che cosa infatti le frutterebbe la severità? Niente altro che la perdita dei suoi piaceri, senza nessun profitto per la sua gloria. Se, come suppongo, scegliete la via dell’amore, che questa volta è anche quella della ragione, credo sia prudente però non mandare nessuna giustificazione per l’appuntamento mancato. Lasciate pure che ella vi aspetti. Se vi arrischiate ad addurre un pretesto, c’è pericolo che lei voglia accertare se è vero (le donne sono tanto curiose e testarde), e allora tutto si viene a sapere, come io stesso, col mio esempio, vi ho recentemente dimostrato. Ma se lasciate la speranza, questa, aiutata dalla vanità, durerà fin quando sarà passata da un gran pezzo l’ora delle informazioni. E allora voi avrete tutto l’agio di pensare domani qual è stato l’ostacolo insormontabile che vi ha trattenuto: sarete stato malato, morto magari, o qualunque altra cosa insomma di cui sarete disperato, e tutto si riaccomoderà. Del resto, qual si sia la risoluzione che state per prendere, vi prego solo di farmela sapere, e, siccome a me dopo tutto non fa né caldo né freddo, dirò in ogni caso che avete scelto la via migliore. Addio, amico mio. Voglio aggiungervi solo questo: che sono in gran pena per la povera signora Tourvel, e mi dispero d’essere diviso da lei. Ah, come volentieri darei la metà della mia vita per la gran felicità di consacrarle l’altra metà! Datemi retta, soltanto l’amore può farci felici. Parigi, 5 dicembre 17..

Page 216: Le Amicizie Pericolose.pdf

Lettera CLVI Cecilia Volanges al cavalier Danceny. (Acclusa alla precedente) Come mai, mio caro, non vi si vede più, proprio quando io ne ho una gran voglia? Non ne avete più il tanto desiderio che ne ho io? Ora sì che sono triste, tanto triste, più triste di quando eravamo lontani! Il dolore che prima mi davano gli altri, adesso siete voi che me lo date, e questo mi fa più male. Da qualche giorno la mamma non è mai in casa, e voi lo sapete. Speravo che cercaste di approfittare di questo periodo di libertà; ma voi non pensate più a me, e io sono ben disgraziata! E pensare che voi dicevate sempre che ero io che amavo meno! Sapevo bene che era tutto il rovescio, ed ora eccovene la prova lampante. Se foste venuto a trovarmi, mi avreste potuta vedere, perché io non sono come voi e penso solamente al modo di poter stare insieme. Meritereste che non vi dicessi nulla di ciò che ho fatto per ottenere questo scopo, e m’è costato tanta fatica! Ma vi voglio troppo bene e ho un gran desiderio di vedervi, sicché non posso trattenermi dal dirvelo. E così potrò vedere finalmente se mi volete bene sul serio. Tanto ho fatto, che il portiere è adesso dalla mia, e mi ha promesso che, quando vorrete venire, vi lascerà passare come se non vi vedesse. Possiamo fidarci di lui, perché è un galantuomo. Ora si tratta solo d’impedire che qualcuno possa vedervi in casa mia, e questo non è difficile, se verrete soltanto di sera, quando non ci sarà paura di niente. La mamma, per esempio, da quando è fuori tutto il giorno, va a letto la sera alle undici: dunque avremo tutto il tempo a nostra disposizione. Il portiere mi ha detto che, quando vorrete venire di sera, invece di bussare alla porta, basterà che bussiate alla sua finestra, e aprirà subito. Troverete facilmente la scala di servizio, e, siccome non avrete nessun lume con voi, lascerò socchiusa la porta della mia camera, perché uno spiraglio di luce vi possa guidare. State attento, mi raccomando, a non far rumore passando davanti all’uscio della mamma. Inutile fare altrettanto davanti all’uscio della cameriera, perché mi ha promesso di non svegliarsi, e anche lei è una brava ragazza. Nell’andarvene, userete le stesse precauzioni. E adesso vedremo se verrete. Dio mio, perché il cuore mi batte così forte, mentre vi scrivo? Deve forse succedermi qualche disgrazia, o è la speranza di vedervi che mi turba così? So solo che non vi ho mai amato tanto e non ho mai desiderato tanto di dirvelo. Venite, dunque, mio caro, mio bene, vita mia. Che io possa ripetervi cento volte che vi amo, che vi adoro, che non amerò mai altri che voi! Ho trovato il modo di far dire al signor Valmont che avevo qualche cosa da dirgli, e, siccome sulla sua amicizia posso contare, egli verrà certo domani, e lo pregherò di consegnarvi subito la presente. Vi aspetterò dunque domani sera, e voi verrete, se non volete fare infelice la vostra Cecilia. Addio, tesoro mio, vi bacio di tutto cuore. Parigi, la sera del 4 dicembre 17..

Lettera CLVII

Page 217: Le Amicizie Pericolose.pdf

Il cavalier Danceny al visconte di Valmont. Mio caro visconte, non dubitate né del mio cuore né della mia scelta. Come potrei essere sordo a un richiamo della mia Cecilia? Lei, lei sola io amo e amerò sempre. La sua ingenuità, il suo candore, il suo tenero affetto hanno un tale fascino su me, che, se posso essermene lasciato distogliere in un momento di debolezza, non potrà tuttavia esser mai cancellato dal mio animo. Ingolfato in un’altra avventura quasi senza essermene accorto, il ricordo della mia Cecilia è venuto a turbarmi anche in mezzo alle più dolci voluttà, e forse il mio cuore non le ha mai reso un omaggio più fervido come nei momenti in cui le ero infedele. Bisogna però, amico mio, aver riguardo alla delicatezza del suo animo e nasconderle i miei torti, non già per ingannarla, ma per non farla soffrire. La felicità di Cecilia è il mio voto più ardente, e non mi perdonerei mai e poi mai una colpa che dovesse costarle una lacrima. So d’aver meritato il vostro scherno a proposito dei “miei nuovi princìpi”, come voi li chiamate; ma in questo momento, potete credermi, non sono questi a guidare la mia condotta, e sono risoluto a provarvelo sin da domani. Domani infatti andrò ad accusarmi in faccia a colei che ha cagionato e condiviso il mio traviamento, e le dirò: “Leggetemi, o signora, nel cuore e vi troverete l’amicizia più fervida per voi. L’amicizia unita al desiderio rassomiglia tanto all’amore, che non è difficile sbagliarsi. Ci siamo sbagliati entrambi. Ma, se vado soggetto a sbagliare, non sono però capace di tradire”. Conosco troppo bene la mia amica, onesta quanto indulgente, e so che non solo mi approverà, ma mi concederà anche il suo perdono. Quante volte non si è rimproverata lei stessa di tradir l’amicizia? Quante volte la sua scrupolosa coscienza non ha spaventato il suo amore? Più savia di me, sarà lei anzi a rafforzare in me gli scrupoli salutari, che io temerariamente cercavo di soffocare in lei. E dovrò a lei di ritrovarmi più buono, come debbo a voi d’essere felice. O amici miei, dividetevi pure tra voi la mia gratitudine! Il pensiero di dovere a voi la felicità, ne aumenta il valore ai miei occhi. Addio, caro visconte. La mia gioia, che è al colmo, non m’impedisce tuttavia di pensare alle vostre pene e di dividerne il peso. Perché non posso esservi utile in qualche cosa? La signora Tourvel resta dunque sempre inesorabile? Dicono che stia molto male. Oh, come vi compiango! Possa la poveretta ricuperare la salute e mostrarsi poi più indulgente, per farvi felice interamente e per sempre! Questo è l’augurio dell’amicizia, e oso sperare che l’amore possa esaudirlo. Vorrei trattenermi più a lungo con voi, ma il tempo stringe e la mia Cecilia mi attende. Parigi, 5 dicembre 17..

Lettera CLVIII Il visconte di Valmont alla marchesa di Merteuil. (Da consegnarsi al suo risveglio) Ebbene, cara marchesa, come vi hanno lasciata le delizie della notte scorsa? Vi sentirete, credo, un po’ sfinita! Eh, quel Danceny è proprio un bravo ragazzo e fa davvero prodigi! Questa, per esempio, non ve la sareste mai aspettata da lui! Suvvia, voglio essere giusto: un simile rivale meritava davvero che io gli fossi sacrificato. Parlo sul serio, è proprio un ragazzo pieno di meriti. Quanto amore, soprattutto, quanta costanza, quanta delicatezza nel suo animo! Se un giorno sarete amata da

Page 218: Le Amicizie Pericolose.pdf

lui quanto la sua Cecilietta, oh, non avrete rivali da temere! E ve l’ha provato stanotte. Potrebbe darsi magari che, a furia di moine, un’altra donna ve lo rubasse un momento: diamine, un giovanotto non sa sempre dire di no a chi lo provoca con offerte galanti! Ma basterà una parola del suo amato bene (l’avete visto, eh!) per dissipare ogni illusione. Sicché per essere appieno felice con lui non vi manca che una cosa sola, una piccolezza: di diventare appunto il suo amato bene! Certo non c’è pericolo che prendiate abbaglio: siete troppo scaltra e acuta perché io debba esserne preoccupato; ma a ogni buon conto voglio dirvi chiaramente che è stata soltanto l’amicizia che nutro per voi, altrettanto sincera da parte mia quanto ben corrisposta dalla vostra, a farmi desiderare per voi la prova di questa notte. È stata tutta opera del mio zelo, e mi è riuscita bene. Ma non mi ringraziate, per carità, non ne vale la spesa: si trattava di cosa tanto facile! Che cosa mi è costato infatti? Un leggero sacrificio e un po’ di abilità: ecco tutto. Ho dovuto acconsentire a dividere con Danceny per una notte i favori della sua amante; ma dopo tutto egli ne aveva diritto quanto me, e a me non importava un fico secco. La lettera che la ragazza gli ha scritto sono stato io a dettargliela, verissimo; ma gliel’ho dettata soltanto per fare più presto, perché avevamo qualcosa di meglio da fare per ingannare il tempo; e quella che vi ho aggiunto io era niente, meno di niente: qualche riflessione appena, da amico ad amico, per consigliarlo nella scelta della nuova amante; senonché anche questi consigli, parola d’onore, erano pressoché inutili. Bisogna dire la verità: Danceny non ha esitato un momento. Ma poi saprete tutto da lui; perché quest’anima candida verrà oggi da voi per raccontarvi tutto, e sarà indubbiamente un racconto che vi farà un gran piacere. Vi dirà (me lo scrive lui stesso): “Leggete nel mio cuore”; e queste, caspita, sono letture che mettono a posto ogni cosa. Spero che, leggendo nel suo cuore tutto quello che lui vorrà, ci leggerete anche che gli amanti troppo giovincelli hanno pur i loro bravi inconvenienti, e che è meglio avermi amico che nemico. A rivederci, cara marchesa, alla prima occasione. Parigi, 6 dicembre 17..

Lettera CLIX La marchesa di Merteuil al visconte di Valmont. Il sarcasmo aggiunto alle canagliate non è affatto di mio gusto: non ne faccio e non ne tollero. Quando ho qualcosa contro qualcuno, non lo schernisco. Faccio di meglio: mi vendico. Anche nella magra soddisfazione di questo momento, ricordatevi che non è la prima volta che cantate vittoria troppo presto e da solo, nella speranza di un trionfo che poi vi sfugge di mano nell’attimo stesso in cui ve ne rallegrate. Addio. Parigi, 6 dicembre 17..

Lettera CLX La signora Volanges alla signora Rosemonde. Vi scrivo dalla camera della nostra povera amica che sta sempre, su per giù, nelle stesse condizioni.

Page 219: Le Amicizie Pericolose.pdf

Oggi nel pomeriggio si terrà un consulto di quattro medici, e questo purtroppo, come sapete, è più una prova della gravità del pericolo che un mezzo di scongiurarlo. Sembra che la notte scorsa l’inferma abbia recuperato alquanto la ragione. Infatti la cameriera stamattina mi ha riferito che verso la mezzanotte la signora l’ha chiamata, ha voluto restar sola con lei e le ha dettato una lunga lettera. Giulia ha aggiunto però che, mentre stava cercando una busta per chiuderla, la signora Tourvel è stata ripresa dal delirio, sicché lei non ha saputo a chi la lettera dovesse essere indirizzata. Siccome mi meravigliavo che il suo contenuto non bastasse per farglielo capire, la ragazza mi ha risposto che aveva paura di sbagliare, e che tuttavia la padrona le aveva raccomandato di spedirla subito. Perciò ho preso su di me la responsabilità di aprirla, e ho trovato lo scritto che vi mando, il quale infatti, come quello che si rivolge a troppa gente, non saprei appunto a chi propriamente è diretto. Crederei tuttavia che la nostra povera amica volesse da principio scrivere a Valmont, e poi senza accorgersene si è lasciata traviare dal disordine delle proprie idee. Comunque ritengo che sia bene non recapitare la lettera a nessuno, e ve la mando perché possiate vedervi, meglio di quanto possa dirvi io, che specie di pensieri ingombrano la testa della nostra inferma. E, finché sarà così agitata, non spero niente di buono. Come volete che il corpo si ristabilisca in salute, quando lo spirito è turbato a questo punto? Addio, mia cara e degna amica. Come v’invidio di star lontana dal triste spettacolo che io invece ho continuamente sott’occhio! Parigi. 6 dicembre 17..

Lettera CLXI La presidentessa Tourvel a... (Scritta sotto sua dettatura dalla cameriera) O essere crudele e malefico, quando ti sazierai di perseguitarmi? Non ti basta di avermi tormentata, degradata, avvilita, e vuoi togliermi anche la pace della tomba? Come! Persino in questo luogo di tenebre, dove l’ignominia mi ha costretta a seppellirmi, le pene non hanno tregua, ed è sconosciuta la speranza? Non imploro una grazia che non merito; per soffrire senza un lamento basterà che le sofferenze non superino le mie forze. Ma non rendere insopportabili i miei tormenti; e, pur lasciandomi al mio dolore, levami almeno il tremendo ricordo dei beni perduti! Poiché sei stato tu a farmeli perdere, non farmene travedere più l’immagine desolante. Ero innocente e serena; e per averti veduto ho perduto il riposo, per averti dato ascolto sono diventata colpevole. Che diritto hai tu, che sei stato la causa delle mie colpe, che diritto hai tu di punirle? Dove sono gli amici che mi volevano tanto bene? Dove sono? La mia sciagura li ha spaventati, e nessuno osa avvicinarmisi. Mi si spezza il cuore, e nessuno mi aiuta. Muoio, e nessuno piange per me. Ogni consolazione mi è negata, e anche la pietà si ferma sull’orlo del precipizio dove il colpevole è sprofondato. I rimorsi lo lacerano, ma nessuno ode le sue grida. E tu, sposo oltraggiato, tu che tanto mi stimavi (e la tua stima aggiunge strazi al mio supplizio), tu che solo avresti il diritto di vendicarti, che fai lontano da me? Vieni a punire una moglie infedele, e io potrò finalmente soffrire un tormento che ho meritato. Mi sarei già offerta alla tua vendetta, se non mi fosse mancato il coraggio di palesarti la tua vergogna. Non la volontà d’ingannarti, ma il rispetto me ne ha distolta. Questa mia lettera ti dica almeno il mio pentimento. Il cielo ha assunto le tue difese, pensa lui a vendicarti di un’ingiuria che tu ignori: è stato il cielo a legarmi la lingua, a togliermi di bocca le parole, per paura che tu, nella tua bontà, mi perdonassi una colpa che egli

Page 220: Le Amicizie Pericolose.pdf

voleva punire. Mi ha sottratto alla tua indulgenza, che avrebbe offeso la giustizia. Implacabile nel suo castigo, il cielo mi ha messa in mano a colui stesso che mi ha perduta, e così io soffro per lui e per opera di lui. Invano cerco di sfuggirgli: egli mi segue, è qui accanto a me, non mi lascia un attimo solo. Ma quanto diverso da quello che era! I suoi occhi non esprimono altro che odio e disprezzo; la sua bocca non proferisce altro che ingiurie e rimproveri; e le sue braccia mi stringono per stritolarmi. Chi, chi mi salverà dal suo furore? Che vedo? Lui. Questo volta è proprio lui, non m’inganno, è proprio lui che rivedo. O caro, o tesoro, pigliami tra le tue braccia, nascondimi sul tuo seno! Sei tu, sei tu. Per quale funesta illusione non ti avevo riconosciuto prima? Oh, quanto ho sofferto per la tua assenza! Non separiamoci più. Lasciami respirare. Senti come palpita il mio cuore? Ma non palpita più per paura: palpita solo d’amore! Perché rifiuti le mie carezze affettuose? Oh, volgi, volgi verso di me i tuoi soavissimi sguardi! Che cosa sono quei lacci che cerchi di spezzare? Perché stai preparando quello strumento di morte? Chi può alterare così i tuoi lineamenti? Che fai? Lasciami, lasciami. Io fremo. Oh, Dio, riappare ancora quel mostro! Amiche mie, non mi abbandonate. Tu che mi consigliasti di fuggirlo, aiutami adesso a combatterlo; e tu, che più indulgente mi promettevi di lenire le mie lacrime, vieni accanto a me. Dove siete tutt’e due? Se non mi è dato rivedervi, rispondete almeno a questa mia lettera, perché io possa sapere se mi volete sempre bene. Lasciami dunque, o crudele. Qual nuovo furore ti piglia? Hai forse paura che un po’ di bene venga a consolare l’anima mia, e per questo raddoppi i tormenti e mi costringi a odiarti? Oh, come l’odio è doloroso, come corrode il cuore che lo distilla! Perché mi perseguitate? Che cosa potete avere ancora da dirmi? Non mi avete messa nell’impossibilità di ascoltarvi e di rispondervi? Non aspettatevi più nulla da me. Addio, o signore. Parigi, 5 dicembre 17..

Lettera CLXII Il cavalier Danceny al visconte di Valmont. Signore, sono informato delle belle prodezze commesse contro di me, e so anche che, non contento d’avermi indegnamente beffato, avete l’improntitudine di rallegrarvene e di menarne vanto. Ho visto coi miei occhi la prova del tradimento scritta di vostro pugno; e confesso che ne sono stato vivamente colpito nel cuore e ho sentito vergogna di avervi aiutato io stesso ad abusare, come avete odiosamente abusato, della mia cieca fiducia. Ma non vi invidio affatto questa vostra vergognosa superiorità e sono solamente curioso di sapere se la manterrete sempre e in ogni circostanza in mio confronto. Lo saprò domattina, se, come spero, vorrete trovarvi tra le otto e le nove al cancello del parco di Vincennes, dalla parte del villaggio di Saint Mandé. Avrò cura di farci trovare tutto ciò che sarà necessario per gli schiarimenti che mi restano da chiedervi. Il cavalier Danceny. Parigi, la sera del 6 dicembre 17..

Lettera CLXIII L’amministratore Bertrand alla signora Rosemonde.

Page 221: Le Amicizie Pericolose.pdf

Signora, con vivo rammarico compio il triste dovere di parteciparle una notizia che le darà un grave dolore. Mi permetta pertanto di consigliarle anzitutto quella cristiana rassegnazione che tutti, in tante altre occasioni, hanno già ammirata in lei e che sola può farci sopportare i mali di cui è colma la nostra miserevole vita. Il suo signor nipote... Dio mio, e perché mai debbo esser costretto proprio io ad affliggere una signora tanto rispettabile? Il suo signor nipote ha avuto la disgrazia di soccombere in un duello avvenuto stamane tra lui e il cavalier Danceny. Non so nulla dei motivi della vertenza, ma, da un biglietto che ho trovato in tasca al signor visconte e che ho l’onore di rimetterle qui compiegato, sembrerebbe che non fosse stato lui l’aggressore. E doveva il cielo permettere che fosse lui invece a soccombere? Ero in casa ad aspettare tranquillamente il ritorno del signor visconte, quando me lo hanno ricondotto: immagini lei il mio spavento, vedendo suo nipote portato a braccia da due suoi servitori, tutto intriso di sangue! Aveva due ferite di spada nel petto ed era già stremato di forze. Anche il signor Danceny era presente e piangeva: ne aveva ben donde, ma che valgono le lacrime quando si è commesso un male irreparabile? In quanto a me, avevo perduto il lume degli occhi, e nonostante il poco che io sono, gli ho tuttavia detto chiaro e tondo come la pensavo. Ma allora il signor visconte si è mostrato veramente generoso: mi ha ordinato di tacere, e prendendo la mano del suo assassino, l’ha chiamato amico l’ha abbracciato davanti a tutti e ci ha detto «Voglio che abbiate per il signor Danceny tutti i riguardi che si debbono a un uomo coraggioso e dabbene.» Gli ha anche fatto consegnare, in mia presenza, un pacco piuttosto voluminoso di carte, di cui ignoro il contenuto; ma so che il signor visconte ne faceva gran conto. Poi ha voluto che li lasciassimo soli un momento. Frattanto io ho mandato in cerca di ogni soccorso spirituale e temporale, ma il male, oimè, era purtroppo senza rimedio. Meno di una mezz’ora dopo, il signor visconte aveva già perduto conoscenza: ha potuto ricevere così soltanto l’estrema unzione e, appena terminata la cerimonia, ha reso l’ultimo respiro. Dio mio! Quando io alla sua nascita ricevetti tra le braccia questo prezioso rampollo di una sì illustre prosapia, avrei mai potuto immaginare che tra le mie braccia sarebbe anche spirato, e che avrei dovuto piangere io la sua morte e una morte tanto precoce e immeritata? Ah, che a pensarci non posso trattenere le lacrime! Le chiedo scusa, o signora, se oso unire il mio dolore al suo, ma in ogni condizione sociale si può aver cuore e squisitezza di sentire. E io sarei un bell’ingrato, se non piangessi per tutta la vita un signore che è stato tanto buono con me e mi onorava della sua confidenza. Domani, dopo il funerale, farò mettere i suggelli dappertutto, ed ella potrà fidarsi interamente di me. Lei sa, o signora, che questo disgraziato accidente mette fine alla sostituzione e rende liberi tutti i beni, di cui ella potrà d’ora innanzi disporre come meglio crede. Se posso esserle utile in qualche cosa, la prego di mandarmi i suoi ordini, e io metterò ogni zelo nell’eseguirli esattamente. Col più profondo rispetto, signora, mi sottoscrivo di lei umilissimo servo Bertrand. Parigi, 7 dicembre 17..

Page 222: Le Amicizie Pericolose.pdf

Lettera CLXIV La signora Rosemonde a Bertrand. Mio caro Bertrand, ricevo in quest’istante la vostra lettera e da essa apprendo il ferale accidente di cui è restato vittima il mio sventurato nipote. Ho certo parecchi ordini da darvi, e solo questi possono distogliermi per un momento dal mio dolore mortale. Il biglietto del signor Danceny che mi avete mandato è una prova evidente che il duello è stato provocato da lui, e io intendo che voi presentiate immediatamente querela contro di lui, a nome mio. Mio nipote ha potuto perdonare al suo nemico, al suo assassino, per impulso della sua naturale generosità; ma io debbo vendicare la sua morte e far rispettare le leggi dell’umanità e della religione. Non si ecciterà mai abbastanza la severità della legge contro questo avanzo di barbarie che contamina ancora i nostri costumi; e non può essere questo certo il caso in cui ci è fatto obbligo di perdonare le offese. Desidero dunque che vi occupiate di quest’affare con tutto lo zelo e l’attività di cui vi so capace e che del resto dovete alla memoria di mio nipote. Vi farete premura anzitutto di recarvi dal signor presidente Y. da parte mia e di consigliarvi con lui. Non gli scrivo, per potermi consacrare tutta al mio dolore, e voi gliene farete le mie scuse, facendogli leggere questa lettera. Addio, caro Bertrand. Vi faccio le mie lodi e vi ringrazio dei vostri buoni sentimenti, e sono sempre la vostra affezionatissima ecc. Dal castello di..., 8 dicembre 17..

Lettera CLXV La signora Volanges alla signora Rosemonde. Mia cara e degna amica, so che siete già a conoscenza della grave perdita che avete avuto; e sapendo il vostro tanto affetto per Valmont, partecipo sinceramente al gran dolore che certo essa vi ha procurato, ben spiacente di dover aggiungere ora una nuova afflizione a quella che già soffrite. Ma, oimè, purtroppo non ci rimangono che lacrime da tributare alla nostra povera amica! L’abbiamo perduta ieri sera, alle undici. E, per la fatalità che l’ha perseguitata e sembra prendersi giuoco di ogni umana prudenza, il poco intervallo di tempo intercorso dalla fine di Valmont alla sua è bastato per farle sapere la morte di lui e farla soccombere così, come ha detto lei stessa, solo quando la misura era colma. Sapete infatti che da due giorni la nostra disgraziata amica aveva perduto conoscenza, e anche ieri mattina, quando venne il medico e ci avvicinammo al suo capezzale, ella non ci ha riconosciuti, e non ne potemmo cavare né una parola né un cenno. Ebbene, appena siamo tornati verso il caminetto, e il medico mi stava raccontando la notizia dolorosa della morte di Valmont, la malata è tornata improvvisamente in sé, o che la natura abbia prodotto da sé questo rivolgimento, o che esso sia stato cagionato appunto dalle parole più volte ripetute “Valmont” e “morte”, le uniche da cui la poveretta aveva da un pezzo in qua occupata la mente. Comunque, ella aprì precipitosamente le cortine del letto, esclamando:

Page 223: Le Amicizie Pericolose.pdf

«Che cosa dite? Valmont è morto?» Speravo di farle credere che si era ingannata, e le ho detto che aveva capito male; ma anziché lasciarsi persuadere, ha voluto che il medico le ripetesse lo straziante racconto, e, avendo io tentato di dissuaderla, mi ha chiamato e mi ha detto sottovoce: «Perché ingannarmi? Non era egli dunque già morto per me?» Bisognò fare, insomma, a modo suo. La nostra sventurata amica da principio ha ascoltato senza batter ciglio, ma dopo poco ha interrotto il racconto dicendo: «Basta, ne so abbastanza.» E ha chiesto che le si richiudessero subito le cortine, e, per quanto il medico abbia fatto per prestarle le cure che il suo stato richiedeva, non ha voluto assolutamente che le si avvicinasse. Appena uscito il medico, ha licenziato anche l’infermiera e la cameriera, poi, restata sola con me, mi ha pregato di aiutarla a mettersi in ginocchio sul letto, e di sostenervela. Così è rimasta per qualche tempo in silenzio, senza dare altro segno di vita fuor delle lacrime abbondanti che versava, e finalmente, giungendo le mani e alzandole al cielo: «Dio onnipotente» ha detto con voce fioca, ma calda «ecco che io mi sottometto alla tua giustizia, ma tu perdona Valmont, fa’ che le mie disgrazie, le quali riconosco di aver meritate, non gli siano imputate, e io benedirò in eterno la tua misericordia.» Mi sono permessa, o mia cara e degna amica, questi particolari sopra un argomento che certo rinnoverà e aggraverà il vostro dolore, unicamente perché non dubito che la preghiera della signora Tourvel darà un po’ di consolazione alla vostra anima. Dopo che ebbe pronunciate queste poche parole, la nostra amica si lasciò cadere tra le mie braccia, e, appena l’ebbi rimessa a letto, fu presa da un forte svenimento, che le durò a lungo e che tuttavia riuscimmo finalmente a vincere con le solite medicine. Tornata in sé, volle che le chiamassi padre Anselmo dicendo: «È il solo medico di cui adesso io abbia bisogno, e sento che i miei mali stanno per finire.» Si lamentava di un grande affanno e parlava stentatamente. Poco dopo mi fece consegnare dalla sua cameriera lo scrignetto che vi mando, dicendomi che conteneva carte importanti e che dovevo farvelo avere subito dopo la sua morte.42 E a questo punto parlò, come il suo stato permetteva, di voi e della vostra amicizia con molto affetto. Padre Anselmo giunse verso le quattro e restò per quasi un’ora solo con lei. Quando fummo riammesse, il volto della malata si era fatto calmo e sereno, ma era facile vedere che padre Anselmo aveva pianto assai. Il buon frate rimase per compiere le ultime cerimonie religiose; e questo spettacolo fu anche più solenne e doloroso del solito, per il contrasto tra la tranquilla rassegnazione della malata e il profondo cordoglio del suo confessore che si struggeva in lacrime accanto a lei. La commozione si impadronì di tutti noi, e la sola che non pianse fu colei per cui tutti piangevamo.

Page 224: Le Amicizie Pericolose.pdf

Il rimanente della giornata passò nelle solite preghiere, interrotte solo dai frequenti deliqui della malata. Verso le undici di sera, sembrandomi che le sue sofferenze e il suo affanno crescessero, allungai una mano per tastarle il polso, ed ella ebbe ancora tanta forza da prendere la mia mano e posarsela sul cuore; ma io non riuscii a sentirne più il battito, perché in quello stesso istante la nostra sventurata amica era spirata. Vi ricordate, mia buona signora, l’ultima volta che foste qui a Parigi (e non è nemmeno un anno) che, discorrendo insieme di alcune persone la cui fortuna ci pareva ormai più o meno assicurata, indugiammo con compiacenza a parlare della felicità di questa stessa cara amica di cui oggi piangiamo le disgrazie e la fine immatura? Tante virtù, tanti pregi, tante grazie, un carattere limpido e mitissimo, un marito che amava e da cui era adorata, un giro di conoscenze di suo gusto che se la disputavano, la bellezza, la gioventù, la ricchezza, tutti questi bei requisiti per essere felice sono stati compromessi da una sola imprudenza! O Provvidenza, noi dobbiamo certo inchinarci adorando i tuoi decreti, ma quanto essi sono incomprensibili! Qui faccio punto, per non aumentare la vostra tristezza con la mia. Vi lascio per correre da mia figlia, che è un po’ indisposta. Avendo saputo da me stamattina la fine così improvvisa di due persone di sua conoscenza, si è sentita male e l’ho fatta mettere a letto. Spero tuttavia che si tratti di cosa leggera: alla sua età non si è abituati ancora ai dispiaceri e se ne risente pertanto un’impressione più viva e più intensa! Questa sensibilità così pronta è certo una gran bella qualità, ma, dopo quello che siamo costretti a vedere ogni giorno, non si può fare a meno d’averne paura. Addio, mia cara e degna amica. Parigi, 9 dicembre 17..

Lettera CLXVI Bertrand alla signora Rosemonde. Secondo gli ordini da lei impartitimi, mi sono presentato al signor presidente Y. e gli ho comunicato la sua lettera, avvertendolo che, giusta i suoi desideri, non avrei mosso un passo senza il di lui consiglio. Il rispettabile magistrato mi ha incaricato di farle osservare che la querela che lei vorrebbe sporgere contro il cavalier Danceny comprometterebbe anche la memoria di suo nipote e che il suo onore si troverebbe necessariamente intaccato dalla sentenza della Corte, il che sarebbe certamente un gran male. Egli crede di conseguenza che bisogna guardarsi bene dal muovere querela, e che anzi, se c’è qualcosa da fare, è proprio in senso contrario, di cercare cioè che il Pubblico Ministero non venga a sapere nulla di questo disgraziato accidente, che purtroppo ha fatto già molto chiasso. Questa considerazione dell’illustre vegliardo mi è sembrata molto sensata, e ho risolto pertanto di attendere nuovi ordini da parte di lei. Nel trasmettermeli, mi permetta, signora, che lo la preghi di voler aggiungere qualche parola sulla sua preziosa salute, per la quale sono molto in pensiero dopo i tanti dolori che sono venuti ad affliggerla. Spero ch’ella mi vorrà perdonare la libertà che mi prendo, in grazia del mio zelo e della mia devozione per lei. Mi creda col massimo rispetto ecc. Parigi, 10 dicembre 17..

Page 225: Le Amicizie Pericolose.pdf

Lettera CLXVII Un anonimo al signor cavalier Danceny. Signore, ho l’onore di avvertirvi che stamane, nelle aule della Corte, si è parlato molto tra i signori magistrati della vertenza che avete avuto i giorni scorsi col visconte di Valmont; e c’è motivo di temere che il Pubblico Ministero inizi un processo a vostro carico. Penso che questo mio avvertimento possa esservi utile, per farvi risparmiare, a mezzo dei vostri protettori, ogni fastidio al riguardo, oppure, nel caso che ciò non venisse più a tempo, per farvi prendere i provvedimenti necessari alla vostra sicurezza personale. Anzi, se permettete che io vi dia un consiglio, crederei che fareste bene per qualche tempo a lasciarvi vedere in pubblico un po’ meno di quel che avete fatto fin qui. Perché, sebbene di solito si sia molto indulgenti per questo genere di reati, bisogna però salvare sempre un certo riguardo alla legge. E questa precauzione è tanto più necessaria in quanto, stando a ciò che mi è stato riferito, la signora Rosemonde, che sarebbe la zia di Valmont, vorrebbe sporgere querela contro di voi, e, se questo avvenisse, la pubblica accusa non potrebbe rifiutarsi di agire. Forse non sarebbe male che voi faceste parlare qualcuno con la signora. Speciali ragioni m’impediscono di firmare questa lettera; ma voglio sperare che, anche non conoscendo chi ve la invia, vorrete apprezzare i sentimenti che me l’hanno ispirata. Ho l’onore di salutarvi. Parigi, 10 dicembre 17..

Lettera CLXVIII La signora Volanges alla signora Rosemonde. Mia cara e degna amica, si vanno qui spargendo sul conto della signora Merteuil voci assai strane e incresciose. Non già che io le creda, e anzi sono pronta a scommettere che si tratta solo di calunnie; ma so purtroppo quanto prontamente attecchiscano le malignità della gente, anche le meno verisimili, e quanto difficile poi sia cancellarne le tracce, per non essere vivamente preoccupata di queste, per quanto, secondo me, facili a sventare. Vorrei soprattutto poterle soffocare sul nascere e prima che si diffondano di più; senonché soltanto ieri sera sul tardi ho avuto notizia di tali infamie, che cominciano a essere messe in giro appena adesso, e, quando stamattina ho mandato a cercare al signora Merteuil, ella era partita allora allora per la campagna, dove si tratterrà un paio di giorni, e non mi hanno saputo dire da chi è andata. La sua seconda cameriera, che ho fatto venire a casa mia per parlarle, mi ha detto che la sua padrona le ha ordinato di aspettarla per giovedì prossimo, e nessuno della servitù rimasta a Parigi ne sa di più. Non riesco proprio a capire dove diamine sia andata a cacciarsi, e non mi sovviene di nessuna sua conoscenza che sia tuttora in campagna. Spero a ogni modo che voi possiate procurarmi, prima del suo ritorno, gli schiarimenti necessari; poiché queste odiose dicerie si riallacciano a certe circostanze della morte di Valmont che, se sono vere, voi senza dubbio conoscerete, o di cui altrimenti vi sarà facile informarvi, come vi prego caldamente di fare. Eccovi intanto ciò che si dice, o meglio ciò che finora si va appena sussurrando, ma che non tarderà a fare un gran chiasso.

Page 226: Le Amicizie Pericolose.pdf

Si dice dunque che il litigio tra Valmont e il cavalier Danceny sia scoppiato per colpa della signora Merteuil, la quale li tradiva entrambi; che, come succede sempre in questi casi, i due rivali prima si sono battuti e solo dopo sono venuti a una spiegazione; che questa è stata tale da dare luogo a una sincera riconciliazione; e che Valmont, per far capire a Danceny che razza di donna è la signora Merteuil, ha documentato le sue parole con moltissime lettere, facenti parte di una regolare corrispondenza intercorsa tra loro, nelle quali la signora Merteuil, in uno stile più che libero, racconterebbe aneddoti scandalosi della propria vita. Aggiungono che Danceny, nel primo impeto dell’indignazione, ha dato in pasto queste lettere a chiunque ha voluto vederle, e che ormai tutta Parigi ne è piena. Se ne citano particolarmente due43in una delle quali ella farebbe la storia della sua vita e dei suoi princìpi, che, a quanto dicono, è un vero tessuto di obbrobri; e l’altra conterrebbe la piena giustificazione di Prévan, la cui avventura certo ricorderete, con la prova provata ch’egli non ha fatto altro che credere alle vive insistenze della signora Merteuil e che il convegno era stato fissato d’accordo con lei. Per fortuna ho forti ragioni per credere che queste accuse siano tutte fandonie, false quanto odiose. Anzitutto noi due sappiamo benissimo che Valmont non si occupava affatto della signora Merteuil, e io poi ho motivi particolari per pensare che Danceny se ne occupasse anche meno. E così mi pare dimostrato che la causa e l’oggetto del loro litigio non può essere stata lei. Non riesco poi a capire che interesse poteva avere la signora Merteuil, se, come dicono, era d’accordo con Prévan, a fargli una scenataccia che non poteva non essere antipatica per lo scandalo che indubbiamente avrebbe suscitato, e poteva anche diventare pericolosa per lei, facendosi in tal modo un nemico irriconciliabile d’un uomo padrone ormai del suo segreto e allora molto in auge. E con tutto ciò, badate bene, dopo questa avventura non si è alzata una voce a favore di Prévan, e lui stesso non ha mosso la menoma protesta. Queste riflessioni mi porterebbero a sospettare che sia appunto Prévan l’autore delle odierne dicerie, e che dunque tutte queste perfidie sarebbero dovute all’odio e alla vendetta di un uomo, il quale, vedendosi perduto, spera con questo mezzo di spargere almeno dei dubbi, provocando un’utile diversione a proprio vantaggio. Ma, da chiunque provengano tali malignità, urge sventarle. Cadrebbero da sé, se si potesse provare che Valmont e Danceny, come è molto probabile, non si sono parlati affatto dopo il duello e che non c’è stata nessuna consegna di lettere da parte di Valmont. Impaziente come sono di accertare questi fatti, ho mandato stamattina a cercare Danceny; ma anche lui non è più a Parigi, e i suoi domestici hanno detto al mio cameriere che è partito stanotte in seguito a una lettera ricevuta ieri; e non si sa dove si sia rifugiato. Probabilmente teme le conseguenze del duello. Voi sola dunque, voi sola, mia cara e degna amica, potete darmi i ragguagli che mi occorrono e che possono diventare molto preziosi alla signora Merteuil. Perciò vi rinnovo la preghiera di farmeli avere al più presto possibile. P.S. L’indisposizione di mia figlia è finita senza complicazioni. Ella vi manda i suoi ossequi. Parigi, 11 dicembre 17..

Lettera CLXIX Il cavalier Danceny alla signora Rosemonde.

Page 227: Le Amicizie Pericolose.pdf

Signora, vi parrà forse strano il passo che compio oggi presso di voi; ma prima di giudicarmi, per carità, ascoltatemi, e non vogliate prendere per audacia e temerarietà ciò che non è se non rispetto e fiducia. Non mi dissimulo affatto i tanti torti che ho ai vostri occhi, e non me li perdonerei finché vivo, se pensassi che era in mio potere scongiurarli. Vorrei anzi persuadervi che, se non ho nulla da rimproverarmi, non sono tuttavia senza rammarichi; e posso aggiungere sinceramente che quelli da me cagionati a voi entrano per qualche cosa in quelli che sento io. Per credere a tali sentimenti, di cui oso darvi piena assicurazione, basterà che vi rendiate giustizia e sappiate che, se non ho l’onore d’essere conosciuto da voi, ho però quello di conoscervi bene. Tuttavia, quando mi lagno del destino che ha colpito nello stesso tempo inesorabilmente voi e me, vogliono farmi credere che voi, tutta consacrata alla vendetta, cerchiate tutti i mezzi per soddisfarla, non esclusa la severità della legge. Permettetemi anzitutto che a tal proposito vi faccia osservare quanto il vostro dolore vi accechi, poiché in questo il mio interesse è strettamente collegato a quello di Valmont, e la sua memoria si troverebbe fatalmente coinvolta nella condanna che aveste ottenuto contro di me. Mi parrebbe dunque onesto poter contare sul vostro appoggio, anziché sulla vostra ostilità, nei tentativi che potrò essere costretto a fare perché il disgraziato accidente resti sepolto nel silenzio. Ma questo espediente di una complicità, che giova ugualmente al colpevole e all’innocente, non può bastare alla mia delicatezza; e, se non desidero avervi per avversaria, voglio invece che siate il mio giudice. La stima delle persone che si rispettano è troppo preziosa perché io possa lasciarmi portar via la vostra, senza far nulla per impedirlo. E io credo appunto di poterlo impedire. Infatti, se voi mi ammettete che la vendetta è permessa e anzi doverosa quando si è traditi nell’amore, nell’amicizia e specialmente nella fiducia, se voi me lo ammettete, la mia causa è vinta. Non voglio che prestiate fede alle mie parole! Leggete, se ne avete il coraggio, le lettere che deposito nelle vostre mani.44Per la maggior parte, esse sono qui in originale e serviranno ad autenticare le poche di cui c’è soltanto la copia. Del resto tutte queste carte, tali e quali ve le spedisco, le ho ricevute da Valmont in persona; io non ci ho aggiunto niente, e ne ho tolto appena due lettere che mi sono permesso di rendere di pubblica ragione. La pubblicazione di queste era necessaria alla comune vendetta, mia e di Valmont, alla quale tutt’e due avevamo diritto, e di cui Valmont mi aveva espressamente incaricato. Mi è parso inoltre di rendere un gran servigio alla società, smascherando una donna pericolosa come la signora Merteuil, l’unica causa, come vedrete, di ciò che è successo tra me e Valmont. Un sentimento di giustizia mi ha spinto poi a pubblicare la seconda, per riabilitare Prévan che io conosco appena, ma che non aveva assolutamente meritato il rigoroso trattamento inflittogli, né la severità dell’opinione pubblica, forse più terribile ancora, sotto il peso della quale egli geme da allora senza aver nulla in mano da potersi scolpare. Di queste due lettere voi troverete dunque solo la copia, dovendo restare gli originali in mano mia. Per il resto credo di non poter diffidare a mani più sicure un deposito che non vorrei vedere disperso, ma di cui non mi servirei più senza rossore. Nel confidarvi queste carte, credo di rendere un favore anche a tutte le persone che vi sono comunque implicate, meglio assai che se le consegnassi a loro stesse, perché le salvo così dall’imbarazzo di riceverle da me e di sapermi consapevole di fatti che, senza dubbio, esse desiderano ignorati da tutti. Debbo avvertirvi a questo proposito che queste lettere non sono se non una parte d’una più voluminosa raccolta da cui Valmont le ha tratte fuori in mia presenza, e che voi troverete quando saranno tolti i suggelli sotto il titolo che io ho letto: Conto corrente tra la marchesa di Merteuil e il

Page 228: Le Amicizie Pericolose.pdf

visconte di Valmont. Di tale raccolta voi farete l’uso che la vostra prudenza vi suggerirà. Mi dico col più gran rispetto vostro devotissimo ecc. P.S. Una lettera che ho ricevuta e i consigli dei miei amici mi hanno spinto ad allontanarmi da Parigi per qualche tempo; ma il mio rifugio, che è un segreto per tutti, non sarà tale per voi. Se mi onorerete di una risposta, vi prego di mandarla alla Commedia di... a P. in una busta con l’indirizzo del commendator R. Io vi scrivo appunto da casa sua. Parigi, 12 dicembre 17..

Lettera CLXX La signora Volanges alla signora Rosemonde. Amica mia cara, io cado di sorpresa in sorpresa, di dispiacere in dispiacere. Bisogna essere madre, per aver un’idea di ciò che ho sofferto tutta la mattinata di ieri; e, se le ansie più atroci sono state poi calmate, perdura tuttavia una viva afflizione di cui non vedo la fine. Ieri mattina, verso le dieci, stupita di non aver veduto ancora mia figlia, ho mandato la cameriera a informarsi sulla causa del ritardo, e un minuto dopo essa è tornata tutta spaventata (e figuratevi come mi sono spaventata io, a mia volta!) per dirmi che mia figlia non era nel suo appartamento e che la sua cameriera non la vedeva dal mattino. Pensate come sono rimasta! Ho radunato tutta la servitù, e specialmente il portiere; ma tutti mi hanno giurato di non saperne niente e di non potermi dire niente di lei. Sono corsa allora in camera di mia figlia, e il disordine che vi ho trovato mi ha fatto subito capire che infatti non poteva essere uscita che stamattina, ma non vi ho trovato nessuna spiegazione dell’assenza. Ho frugato gli armadi, lo scrittoio, ogni cantuccio. Era tutto a posto, e dei vestiti mancava solo quello con cui era dovuta uscire. Non aveva preso con sé nemmeno quel po’ di denaro che aveva da parte . Siccome ella aveva saputo soltanto ieri le chiacchiere che si vanno spacciando sul conto della signora Merteuil, alla quale è molto affezionata, tanto che per tutta la serata non ha fatto che piangere, e siccome d’altro canto non sapeva che la signora Merteuil è andata in campagna, la mia prima idea è stata che avesse voluto andare a trovare la sua amica, e per storditaggine avesse voluto andarci da sola. Ma, poiché il tempo passava e Cecilia non si vedeva, la mia apprensione si faceva d’ora in ora più viva; e, pur bruciando dal desiderio di aver notizie, non osavo chiederne, per paura di far nascere uno scandalo su un fatto che magari in seguito poteva essere meglio tener nascosto. Vi giuro che in vita mia non ho mai sofferto tanto. Finalmente, dopo le due, ho ricevuto una lettera di mia figlia, insieme con una della superiora del monastero di... La lettera di mia figlia diceva semplicemente che, per paura che io potessi contrastare la sua vocazione di farsi monaca, non aveva osato parlarmene, e nel resto non faceva che chiedermi scusa per aver preso senza il mio permesso una risoluzione che certo io non avrei disapprovato se ne avessi saputo i motivi, sui quali tuttavia mi pregava di non domandarle mai nulla. La superiora a sua volta mi avvertiva che, avendo visto arrivare una ragazza sola, aveva rifiutato di accoglierla, ma avendo saputo poi chi era, aveva creduto di farmi cosa grata a dare intanto un asilo alla mia figliuola, per non esporla a riprendere la strada e bussare ad altri monasteri, come ella aveva minacciato di fare. Dichiarandosi poi pronta, come giusto, a restituirmi la figlia qualora io la richiedessi, mi consigliava però di non contrastare una vocazione che, secondo lei, era fortemente

Page 229: Le Amicizie Pericolose.pdf

radicata; e si scusava di non avermi potuto informare prima dell’accaduto per l’ostinazione di mia figlia, che non voleva scrivermi per non palesare a nessuno il luogo del suo ritiro. Quando questi benedetti ragazzi si mettono a sragionare, sono proprio spietati! Sono corsa subito al monastero e, dopo aver parlato con la superiora, ho chiesto di vedere mia figlia; ma c’è voluto del bello e del buono per farla scendere in parlatorio, e, quando alla fine è venuta, tremava tutta. Le ho parlato in presenza delle monache e poi anche da sola a sola, ma tutto ciò che ho potuto cavarne, in mezzo a un diluvio di lacrime, è che la disgraziata non può godere un po’ di pace se non in convento. Ho dovuto insomma permetterle di restare, col patto però che non sia considerata ancora come novizia, quale ella voleva essere a tutti i costi. Ho una gran paura che la morte della signora Tourvel e quella di Valmont abbiano sconvolto la sua testolina sventata. Nonostante il mio molto rispetto per le vocazioni religiose, sarebbe però per me un grande schianto e una grande preoccupazione vedere mia figlia prendere il velo. Mi pare che i doveri che abbiamo da adempiere siano già tanti, da non esserci bisogno di cercarne dei nuovi; e che a ogni modo alla sua età non si può capire ancora qual è la via buona da prendere. Il prossimo ritorno di Gercourt accresce vieppiù il mio imbarazzo. Si dovrà proprio rompere un matrimonio così vantaggioso? Ah, quanto è difficile fare la felicità dei propri figliuoli! Non basta volerlo, non basta fare tutto il possibile! Mi dareste un gran prova d’amicizia a dirmi che cosa fareste voi nei panni miei; io non so proprio a che santo rivolgermi. Terribile cosa prendere una risoluzione che decide dell’avvenire degli altri! E io mi dibatto tra queste due paure: di mettere in questa risoluzione la severità di un giudice o la debolezza di una madre. Ho un continuo rimorso di accrescere le vostre afflizioni parlandovi delle mie; ma conosco bene il cuor vostro e so che la consolazione che potete dare agli altri diventa per voi la maggiore che voi stessa possiate ricevere. Addio, mia cara e degna amica, aspetto le vostre due risposte con molta e molta ansia. Parigi, 13 dicembre 17..

Lettera CLXXI La signora Rosemonde al cavalier Danceny. Signore, dopo ciò che mi avete rivelato, non rimane altro che piangere e tacere. C’è da deplorare d’essere ancora in vita, quando si vengono a conoscere simili infamie. C’è da vergognarsi d’essere donne, quando si vede di che cosa è stata capace una di esse! Mi presterò ben volentieri, per quanto in me, a lasciare nel silenzio e nell’oblio tutto ciò che si riferisce o potrà riferirsi in seguito a questi tristi avvenimenti. E mi auguro anzi che non ve ne derivi altri dispiaceri oltre a quelli inseparabili dall’infausta vittoria riportata su mio nipote. Nonostante i suoi torti, che per forza debbo pur riconoscere, sento che non mi consolerò mai della sua perdita; ma questo mio eterno dolore sarà l’unica vendetta che ne prenderò, e sta a voi e al vostro cuore valutarne l’estensione. Se permettete alla mia età un’osservazione che non si può fare alla vostra, dirò che, se ciascuno potesse sapere in che consiste la propria felicità, non l’andrebbe mai a cercare fuori dei limiti prescritti dalle leggi e dalla religione.

Page 230: Le Amicizie Pericolose.pdf

State tranquillo che io custodirò fedelmente e volentieri il deposito che mi avete affidato. Vi prego però di permettermi di non darlo a nessuno per nessuna ragione, e nemmeno a voi, salvo il caso che divenga necessario alla vostra difesa. Oso sperare che acconsentirete alla mia richiesta e che sarete in grado di sentire quanto gran pentimento generi sempre la vendetta ancorché giusta. Né mi fermo qui nelle mie richieste, persuasa come sono della vostra generosità e della vostra delicatezza. Sarebbe infatti cosa degna dell’una e dell’altra affidare alle mie mani anche le lettere della signorina Volanges che voi certo conservate e che oggi non vi interessano più. So che questa ragazza ha colpe enormi verso di voi, ma non credo che vogliate punirla. No, no, non avvilirete, non foss’altro per rispetto di voi stesso, una persona che avete amato tanto! Non ho dunque bisogno di aggiungere che i riguardi non meritati dalla figlia sono dovuti almeno alla madre, a quella donna rispettabile verso la quale voi avete qualche torto da riparare; perché insomma per quanto possiate cercare d’illudervi con una pretesa purità d’intenzione, è certo che chi primo tenta di sedurre un cuore ancora semplice e onesto si rende con ciò appunto il primo fautore della sua corruzione e deve rispondere degli eccessi e dei traviamenti che ne derivano. Non vi meravigliate, o signore, di questa mia tanta severità, che è la maggior prova che io possa darvi della mia stima profonda. Alla quale acquisterete nuovi diritti, prestandovi, come desidero, a mantenere un segreto, la cui divulgazione farebbe torto a voi e darebbe la morte a un cuore materno che avete già offeso. E poi insomma, signore, io voglio fare questo favore alla mia amica, e se potessi temere che voi mi rifiutaste questa consolazione, vi chiederei di riflettere che è la sola la quale mi avete lasciata. Ho l’onore d’essere ecc. Dal castello di..., 15 dicembre 17..

Lettera CLXXII La signora Rosemonde alla signora Volanges. Cara amica, se avessi dovuto far venire e aspettare da Parigi le informazioni che mi avete chieste sul conto della signora Merteuil, non potrei darvele ancora, o, nella migliore delle ipotesi, sarebbero vaghe e incerte. Ma me ne sono giunte purtroppo di quelle che non aspettavo, che non potevo assolutamente aspettare, e queste sono più che sicure. Amica mia, come vi ha ingannata quella donna! Mi ripugna scendere a particolari su tanta congerie di obbrobri; ma, qualunque cosa ne vada vociferando la gente, credetemi, è sempre molto al di sotto della realtà. Spero, amica mia, che mi conosciate abbastanza da credermi sulla parola, senza esigere da me nessuna prova. Vi basti sapere che di prove ce n’è un subisso e che anche in questo momento esse si trovano nelle mie mani. Non senza grave rincrescimento vi faccio la stessa preghiera di non obbligarmi a motivare il consiglio che mi avete chiesto riguardo alla signorina Volanges; che è questo: di non opporvi in nessun modo alla sua vocazione. Certo non vi è ragione che possa costringere a prendere il velo chi non vi si sente chiamata; ma talvolta queste vocazioni sono una gran fortuna, e voi vedete che la vostra stessa figliuola vi dice che non la disapprovereste se conosceste le ragioni della sua. Colui che ci ispira i nostri sentimenti sa meglio assai della nostra vana saggezza ciò che conviene a ciascuno di noi, e spesso quello che ci pareva un atto della sua severità non è se non un atto di

Page 231: Le Amicizie Pericolose.pdf

clemenza. Insomma il mio consiglio (e so bene che vi affliggerà, ma da ciò appunto dovete arguire che io non ve lo darei, se non fosse il frutto di una lunga e matura riflessione) è che lasciate la signorina Volanges in monastero, dal momento che ella vuole così; che incoraggiate il suo proponimento, anziché contrastarlo; e che, in attesa che sia un fatto compiuto, non esitiate a rompere il matrimonio che avevate combinato. Avendo così adempiuto ai doveri dell’amicizia, e nell’impossibilità in cui mi trovo di aggiungervi qualche consolazione, mi resta da chiedervi un favore, e cioè di non interrogarmi mai su quanto ha attinenza a questi tristi fatti. Lasciamoli nell’oblio che meritano, e, invece di cercare inutili e incresciose spiegazioni, rassegniamoci ai decreti della Provvidenza e abbiamo fede nell’eterna saggezza dei suoi disegni, anche quando non ci permette di comprenderli. Addio, amica mia. Dal castello di..., 15 dicembre 17..

Lettera CLXXIII La signora Volanges alla signora Rosemonde. Amica mia, con che terribile velo coprite mai il destino di mia figlia! E par quasi che abbiate paura che io tenti di sollevarlo! Che cosa dunque nasconde di così atroce, da poter affliggere il cuore di una madre ancor più dei tremendi sospetti a cui mi abbandonate? E questi tormenti crescono ancora più, pensando alla vostra cara amicizia e alla vostra solita indulgenza. Cento volte ieri ho sentito il bisogno di uscire da questa crudele incertezza, pregandovi di dirmi tutto senza riguardo e senza ambagi; e ogni volta ho rabbrividito di paura, ripensando alla vostra raccomandazione di non chiedervi nulla. Ho finalmente adottata una soluzione intermedia, che mi lascia ancora qualche speranza, e attendo dalla vostra amicizia che non mi rifiutiate almeno il poco che desidero da voi, e cioè che, se press’a poco io ho indovinato quel che avreste da dirmi, mi rispondiate rivelandomi senza esitare ciò che l’indulgenza materna può perdonare e a cui si può in qualche modo mettere riparo. Se invece la mia disgrazia dovesse sorpassare anche questo limite, ebbene, acconsento a non avere da voi altra risposta fuor del silenzio. Ed ecco dunque ciò che io so e fin dove arrivano le mie paure. Mia figlia ha dimostrato qualche simpatia per il cavalier Danceny, e so che si è spinta sino al punto di riceverne delle lettere e purtroppo anche di rispondergli; ma io credevo d’essere riuscita a impedire che questa ragazzata avesse conseguenze pericolose. Oggi, che temo il peggio, penso che invece la mia sorveglianza sia stata elusa e che mia figlia si sia lasciata sedurre e abbia toccato il fondo della sua ignominia. Mi ricorrono infatti alla mente alcune circostanze che potrebbero corroborare questa mia supposizione. Vi ho scritto già che mia figlia si era sentita male nell’apprendere la notizia capitata al signor Valmont. Penso adesso che questo suo malore possa essere stato cagionato dall’idea del rischio che aveva corso Danceny nel duello. E quando poi ha pianto tanto, a sentire ciò che si andava vociferando della signora Merteuil, forse lo sfogo, che io avevo attribuito al dolore per l’amica, era invece effetto di gelosia o della delusione per l’infedeltà di un uomo che amava tanto. E questo stesso motivo potrebbe spiegare anche il suo ultimo passo. Avviene spesso infatti che ci si creda chiamati da Dio solamente perché si è nauseati degli uomini. Infine, supponendo che questi fatti siano veri e che voi ne siate venuta a conoscenza, è naturale che a voi siano sembrati sufficienti per spingervi a darmi il consiglio severo che mi date. Tuttavia, se così fosse, pur biasimando mia figlia, crederei di doverle risparmiare i tormenti e i

Page 232: Le Amicizie Pericolose.pdf

pericoli di una vocazione sbagliata ed effimera. Danceny, se non ha perduto ogni sentimento d’onore, non potrà rifiutarsi di riparare un torto che a lui solo è imputabile; e mi pare che il matrimonio con mia figlia sia abbastanza vantaggioso da poterne essere soddisfatto tanto lui quanto la sua famiglia. Ecco, mia cara e degna amica, la sola speranza che mi resta. Se vi è possibile di confermarla, fatelo subito. Potete figurarvi con che ansia aspetto una risposta, e che colpo terribile sarebbe per me il vostro silenzio!45 Stavo per chiudere questa lettera, quando una persona di mia conoscenza è venuta a trovarmi e mi ha raccontato la penosissima scena che ha dovuto sopportare l’altra sera la signora Merteuil. Non avendo veduto nessuno in questi giorni, io non ne sapevo niente. Eccovene il racconto, quale mi è stato narrato da questo testimonio oculare. L’altra sera, giovedì, la signora Merteuil, di ritorno dalla campagna, si è fatta portare alla Commedia Italiana, dove ha un palchetto. Era sola, eppure, cosa strana, per tutta la durata dello spettacolo nessuno è andato a farle visita. Al momento dell’uscita, ella è entrata, come al solito, nel ridotto, che era già pieno di gente. Subito al suo apparire si levò tra i presenti un mormorio, ch’ella però non dovette attribuire alla sua presenza, perché, avendo veduto un posto vuoto in un divano, si sedette come se nulla fosse. Senonché le signore che vi stavano già sedute scattarono immediatamente in piedi, come se fossero state tutte d’accordo, e la lasciarono sola; e questo gesto, che attestava così spiccatamente il disprezzo generale, fu applaudito da tutti gli uomini che erano nella sala e fece raddoppiare il mormorio, che giunse sin quasi al clamore. E, perché non mancasse nulla alla sua umiliazione, disgrazia volle che Prévan, il quale non si era mai più presentato in pubblico dopo la sua avventura, entrasse in quel medesimo istante nel ridotto. Non appena fu scorto, subito tutti gli astanti, uomini e donne, gli si fecero intorno per festeggiarlo, sicché, portato dalla ressa che gli si stringeva addosso, egli venne a trovarsi in faccia alla marchesa. Mi dicono ch’ella abbia finto di non vedere nulla, di non sentire nulla, e che non abbia neppure cambiato colore, cosa che però io stento a credere. Comunque, questa situazione oltremodo ignominiosa per lei è durata finché non annunziarono la sua carrozza; e, quando ella uscì, il clamore scandaloso crebbe ancora. Brutta cosa davvero essere parente d’una donna simile! Prévan invece, quella sera stessa, è stato abbracciato con molto affetto da tutti gli ufficiali del suo reggimento che si trovavano a teatro, e dicono che gli renderanno il suo posto e il suo grado. La stessa persona che mi ha raccontato questi particolari mi ha anche detto che la notte seguente la signora Merteuil è stata presa da un forte febbrone. In principio si era creduto a una conseguenza della lezione brutale che le avevano inflitta, ma ieri sera si è saputo che si tratta invece di vaiolo, e anche del peggiore e del più violento. A dire il vero, credo che sarebbe una fortuna per lei se ne morisse. E si dice tra l’altro che quest’avventura potrà nuocerle nella causa che è già pronta per la discussione, ed è tale che, per vincerla, avrebbe avuto bisogno anche prima di qualche buona spinta. Addio, mia cara e degna amica. In tutto ciò, vedo, sì, la punizione dei malvagi, ma non riesco a trovarci nessuna consolazione per le povere vittime. Parigi, 15 dicembre 17..

Lettera CLXXIV Il cavalier Danceny alla signora Rosemonde. Avete ragione, o signora, e certamente non vi rifiuterò nulla di ciò che dipende da me e a cui tanto

Page 233: Le Amicizie Pericolose.pdf

tenete. Il pacchetto che ho l’onore di spedirvi contiene tutte le lettere della signorina Volanges. Se le leggerete, rimarrete stupefatta di veder mescolate insieme tanta ingenuità e tanta perfidia. Questa almeno è l’impressione che ne ho avuta io, leggendole oggi per l’ultima volta. Ma soprattutto come si potrebbe non sentire la più viva indignazione per la signora Merteuil, osservando con che gusto infame si è messa di proposito a corrompere tanto candore d’innocenza? No, non sento più nessun amore per la signorina Volanges, nulla è rimasto in me d’un sentimento indegnamente tradito; e non è certo dunque per amore che io sono spinto a scusarla. Ma come non pensare che questo cuore semplice, questo carattere dolce e docile avrebbe potuto essere rivolto al bene anche più agevolmente di quanto si è lasciato trascinare al male? Qual altra giovinetta, appena uscita dal monastero senza esperienza e quasi senza idee, ed entrata nel mondo, come succede quasi sempre in questi casi, con una ignoranza totale del male e del bene, qual altra giovinetta, dico, avrebbe potuto resistere meglio a un tal ordito di perfide insidie? Dio mio, per essere indulgenti, basta riflettere a quante contingenze indipendenti da noi va soggetta la terribile alternativa della generosità o della depravazione dei nostri sentimenti! E mi avete dunque giudicato secondo giustizia, pensando di me che non mi sarei vendicato della signorina Volanges, sebbene abbia sofferto a vivo per i suoi tradimenti. Ho già fatto molto sforzo rinunziando ad amarla; come potrei odiarla? Non ho avuto bisogno di riflettere troppo per desiderare che tutto ciò che la riguarda e potrebbe nuocerle resti ignorato per sempre da tutti. Se ho tardato a esaudire i vostri desideri, è stato per un motivo che non c’è ragione di tacervi. Ho voluto prima essere sicuro che non sarei stato molestato per le conseguenze del mio disgraziato duello. In un momento in cui chiedevo la vostra indulgenza, in cui osavo credere persino di avervi qualche diritto, mi sarebbe sembrato poco delicato da parte mia aver l’aria di volerla guadagnare con questo mio atto di condiscendenza; e, sebbene sicuro della purezza delle mie intenzioni, ho avuto, lo confesso, l’orgoglio di volere che nemmeno voi ne poteste dubitare. Spero che mi vorrete perdonare questa mia suscettibilità, forse eccessiva, a causa della venerazione che mi ispirate, e del gran conto che faccio della vostra stima. Questo stesso sentimento mi induce a chiedervi un ultimo favore, di dirmi cioè se io ho adempiuto onestamente a tutti i doveri impostimi dalle dolorose contingenze in cui mi sono trovato. Quando sarò tranquillo su questo punto, metterò subito in esecuzione il mio proposito di partire per Malta dove pronunzierò con piacere e manterrò poi scrupolosamente i voti che mi separeranno per sempre da un mondo, di cui, sebbene giovanissimo, mi sento già nauseato, e dove finalmente cercherò di dimenticare, sotto un cielo straniero, le tante infamie il cui ricordo non potrebbe che rattristare e inaridire il mio cuore. Sono con rispetto, o signora, il vostro umilissimo ecc. Parigi, 26 dicembre 17..

Lettera CLXXV La signora Volanges alla signora Rosemonde. Il destino della signora Merteuil sembra ormai compiuto, o mia cara e degna amica, ed è tale che i suoi stessi più implacabili nemici sono perplessi tra l’indignazione ch’ella merita e la pietà che ispira. Avevo ragione di dire che sarebbe stata una gran fortuna per lei se fosse morta di vaiolo! Invece ne è guarita, ma il suo volto ne è rimasto orrendamente devastato, e tra l’altro vi ha perduto anche un occhio. Io, come potete immaginare, non l’ho veduta, ma mi hanno detto che fa ribrezzo. La marchesa S., che non si lascia sfuggire occasione per dire qualche malignità, parlando di lei ha

Page 234: Le Amicizie Pericolose.pdf

detto ieri sera che la malattia l’ha rovesciata, sì che adesso ella ha l’anima al posto del viso. E purtroppo tutti hanno trovato esatta questa espressione. Un’altra disgrazia si è aggiunta alle molte altre sue. La causa si è chiusa due giorni fa con una sentenza che le dà torto in pieno: spese, danni, interessi, restituzione degli utili, ogni cosa è stata giudicata a favore dei minori, di modo che il poco patrimonio che le avanzava oltre i beni in causa è tutto assorbito dalle spese. Appena saputa questa notizia ella, benché ancora non guarita, ha fatto in fretta i bagagli ed è partita nottetempo sola sola in diligenza: si crede che sia andata in Olanda. La sua partenza ha fatto anche più scandalo di tutto il resto, perché la sciagurata ha portato con sé i diamanti di valore considerevole che appartengono all’eredità di suo marito, e inoltre le argenterie, i gioielli e insomma tutto ciò che ha potuto raggranellare, lasciando circa cinquantamila lire di debito. Una vera bancarotta. Domani si radunerà il consiglio di famiglia, per prendere accordi coi creditori; e benché la mia parentela sia molto lontana, ho offerto di concorrervi anch’io secondo le mie forze; ma non potrò prender parte all’adunanza, dovendo assistere a una cerimonia anche più triste. Mia figlia infatti vestirà domani l’abito di novizia. Spero che non dimenticherete, mia cara amica, che l’unica ragione che mi fa credere d’essere costretta a fare questo immenso sacrificio è il silenzio che avete serbato con me. Danceny ha lasciato Parigi da qualche giorno, e si dice che sia diretto a Malta per rimanervi. Si farebbe ancora a tempo a richiamarlo? Amica mia!... Dunque mia figlia è tanto, proprio tanto colpevole?... Vorrete perdonare a una madre di non sapersi rassegnare ancora a tale tremenda certezza. Quale fatalità si è dunque scatenata contro di me, da colpirmi in sì poco tempo nelle persone più care: la figlia e l’amica? E come non fremere, pensando alle tante disgrazie che possono derivare da una sola amicizia pericolosa? Oh, quanti dolori si risparmierebbero, se si riflettesse a tempo su questa verità! Una donna fuggirebbe allora alle prime parole di un seduttore. Una madre tremerebbe, quando un estraneo parlasse con sua figlia. Ma purtroppo simili riflessioni vengono sempre troppo tardi, quando il male è già irreparabile; e così una delle più grandi verità, come del resto tante altre che tuttavia sono ritenute giuste da tutti, resta perduta e soffocata nel vortice dei nostri incoerenti costumi mondani. Addio, mia cara e degna amica, in questo momento io sono la prova vivente che la nostra ragione, insufficiente a prevenire le disgrazie, è anche incapace di consolarcene.46 Parigi, 15 gennaio 17.. Choderlos de LaclosLe amicizie pericoloseTitolo dell'opera originale: Les Liaisons dangereusesTraduzione di Fernando Palazzi In copertina: Heinrich Füssli, Cortigiana con acconciatura di velo e piume (1880-1810)Zurigo, Kunsthaus ISBN 88-520-0012-7© 1989 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., MilanoI edizione e-book Reader ottobre 2000http://www.mondadori.com/libri

Page 235: Le Amicizie Pericolose.pdf

1Debbo anche avvertire che ho soppresso o cambiato tutti i nomi delle persone di cui si parla in queste lettere, e che perciò, se tra quelli che ho sostituito ce ne fosse qualcuno che esistesse davvero, si tratterebbe soltanto di un errore da parte mia, da cui non bisognerebbe trarre alcuna conseguenza. ( N.d.A.) 2Un'educanda dello stesso convento. ( N.d.A.) 3La portinaia del monastero. ( N.d.A.) 4Queste parole, “briccone” e “bricconata”, di cui finalmente si comincia a fare minor uso oggi nel bel mondo, erano assai di moda quando furono scritte queste lettere. ( N.d.A.) 5Per capire questo passo, bisogna sapere che il conte di Gercourt aveva abbandonato la marchesa di Merteuil per la signora Intendentessa: la quale a sua volta aveva sacrificato per lui il visconte di Valmont. Fu allora anzi che la marchesa e Valmont divennero amanti. Ma siccome quest’avventura è di molti anni anteriore agli avvenimenti narrati in queste lettere, abbiamo soppresso dalla corrispondenza la parte che vi si riferiva. ( N.d.A.) 6La Fontaine. ( N.d.A.) 7Questa è una delle tante freddure di pessimo gusto, che cominciavano a prender voga sin da allora; è poi diventata una vera mania. ( N.d.A.) 8Per non abusare della pazienza dei lettori, abbiamo soppresso molte lettere di questo carteggio quotidiano, limitandoci a pubblicare solo quelle che ci sono sembrate necessarie a capire gli avvenimenti. Per lo stesso motivo sono state soppresse tutte le lettere di Sofia Carnay, e molte altre dei protagonisti di queste avventure. ( N.d.A.) 9L’errore in cui cade la signora Volanges ci fa capire che Valmont, come del resto tutti gli altri scellerati suoi pari, non scopriva le sue cornplici. ( N.d.A.) 10È il famoso cavaliere di cui tante volte ha parlato nelle sue lettere la signors Merteuil. ( N.d.A.) 11La lettera in cui si parlava di questa serata è andata smarrita, forse si tratta di quella stessa serata che la signora Merteuil aveva proposto a Cecilia di passare insieme. ( N.d.A.) 12La signora Tourvel non osa dire che il domestico la seguiva per suo ordine espresso. ( N.d.A.) 13Abbiamo soppresso altre lettere di Cecilia Volanges e del cavaliere Danceny, come poco interessanti, poiché non danno notizie di nessun nuovo avvenimento. ( N.d.A.) 14Vedi la lettera XXXV. ( N.d.A.) 15Chi non ha mai avuto occasione di sentire qualche volta il valore di una parola, di una qualunque delle tante espressioni consacrate dall’amore, non troverà nessun significato in questa frase. ( N.d.A.) 16Questa lettera non è stata ritrovata. ( N.d.A.)

Page 236: Le Amicizie Pericolose.pdf

17Il lettore si sarà già accorto dal tenore di vita della signora Merteuil che ella non ha nessun rispetto della religione. Avremmo omesso volentieri questo periodo, ma abbiamo creduto che, mostrando gli effetti, non si doveva tralasciare di farne conoscere le cause. ( N.d.A.) 18È stata soppressa la lettera di Cecilia Volanges alla marchesa, come quella che conteneva le stesse cose della lettera presente, con meno particolari. Quella per il cavalier Danceny non è stata trovata e ne saprete la ragione leggendo la lettera LXIII della signora Merteuil al visconte di Valmont. ( N.d.A.) 19 Gresset Le Mécharlt , commedia. ( N.d.A.) 20Danceny non dice qui il vero, perché prima di quanto è ora accaduto si era già confidato al visconte di Valmont. Vedi la lettera LVII. ( N.d.A.) 21 Espressione relativa a un passo di un poema di Voltaire. ( N.d.A.) 22Racine, Britannicus , tragedia. ( N.d.A.) 23La signorina Volanges dopo questa lettera ha cambiato confidente, come il lettore vedrà nelle lettere che seguono; e perciò abbiamo creduto inutile inserire in questa nostra raccolta le altre lettere dirette dalla signorina alla sua amica di collegio, nelle quali non si parla più di quanto ci interessa. ( N.d.A.) 24La lettera cui qui si allude non si è potuta ritrovare. ( N.d.A.) 25Non si sa se questo verso e quello riferito più su sono citazioni da opere poco note o se fanno parte della prosa della signora Merteuil. Ciò che farebbe propendere per questa seconda spiegazione è la moltitudine di errori di questo genere che si trovano in tutte le lettere di questa raccolta. Solo quelle del cavaliere Danceny ne sono esenti, forse perché, occupandosi qualche volta di poesia, egli possedeva un orecchio più esercitato che gli consentiva di evitare più facilmente questo difetto. ( N.d.A.) 26Il lettore della lettera CLII verrà a sapere, se non proprio qual è il segreto di Valmont, almeno il genere cui questo segreto apparteneva, e capirà perché qui non se ne poteva dire di più. ( N.d.A.) 27Vedi la lettera LXXIV. ( N.d.A.) 28Non tutti sanno che la macedonia è una combinazione di parecchi giochi d’azzardo, in modo che chi ha la mano possa scegliere tra tanti quello che più gli garba: è una delle invenzioni del secolo. ( N.d.A.) 29Il comandante del corpo in cui serviva Prévan. ( N.d.A.) 30Voltaire, Nanine , commedia. ( N.d.A.) 31 Y.è un villaggio a mezza strada tra Parigi e il castello della signora R 32È il solito villaggio a mezza strada da Parigi. ( N.d.A.) 33Rousseau, La Nouvelle Héloise. ( N.d.A.) 34 Rousseau, La Nouvelle Héloise.( N.d.A.)

Page 237: Le Amicizie Pericolose.pdf

35Regnard, Folies amoureuses . ( N.d.A.) 36Questa lettera non è stata ritrovata. ( N.d.A.) 37La commedia On ne s’avise jamais de tout ! ( N.d.A.) 38Vedi le lettere CXX e CXXIII. ( N.d.A.) 39Du Belloi, La Siège de Calais , tragedia. ( N.d.A.) 40Marmontel, Conte moral d’Alcibiade. ( N.d.A.) 41Non avendo trovato nulla, nel seguito di queste lettere, che possa risolvere un tal dubbio, abbiamo creduto meglio sopprimere addirittura le lettere di Valmont. ( N.d.A.) 42Lo scrignetto conteneva le lettere di Valmont. ( N.d.A.) 43Vedi le lettere LXXXI e LXXXV. ( N.d.A.) 44Sono appunto queste lettere che, unite a quelle consegnate alla signora Rosemonde dopo la morte della signora Tourvel e a quelle affidatcle dalla signora Volanges, hanno fornito la presente raccolta, i cui originali sono tuttora tra le mani degli eredi della signora Rosemonde. ( N.d.A.) 45La lettera è rimasta senza risposta. ( N.d.A.) 46Ragioni speciali, considerazioni che ci faremo sempre un dovere di rispettare, ci obbligano a interromperci a questo punto. Non possiamo dare pertanto al nostro lettore, almeno per ora, la continuazione delle vicende della signorina Volanges, e nemmeno possiamo fargli sapere i sinistri avvenimenti che hanno colmato la sventura e portato a compimento la punizione della signora Merteuil. Forse un giorno, chissà?, ci sarà dato di finire questa storia; ma non possiamo assumerne impegno, e quand’anche potessimo farlo, crederemmo però sempre di dover prima consultare il gusto del pubblico, il quale non ha le nostre stesse ragioni per interessarsi a questa lettura. Nota dell’Editore. ( N.d.A.)