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L’AFFIDO FAMILIARE - Provincia di Potenza · L’idea di una tesi sull’affido familiare, con un’attenzione particolare all’impegno e all’operato del Centro Affidi della

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L’AFFIDO FAMILIARE

uno sguardo applicativo

al Centro Affidi

della Provincia di Potenza

Tesi di laurea di Maria Antonietta Marrese

Provincia di PotenzaAssessorato alle Politiche Sociali

Centro Affidi della Provincia di Potenza

Politiche Sociali

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Composizione grafica a cura dell’Autore Stampato nel mese di Maggio 2009 dall’Azienda Poligrafica TecnoStampa Villa d’Agri (Pz) Tel. 0975.354066

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Presentazione

L’idea di una tesi sull’affido familiare, con un’attenzione particolare

all’impegno e all’operato del Centro Affidi della Provincia di Potenza, è matura-ta durante l’esperienza di tirocinio universitario svolto, presso il settore Politi-che Sociali della Provincia di Potenza, da Maria Antonietta Marrese, laureanda della facoltà di Filosofia, corso di laurea in Pedagogia e Scienze dell’Educazione e della Formazione, dell’Università La Sapienza di Roma.

Un’esperienza significativa che ha consentito alla tirocinante di toccare con mano la delicata attività del Centro Affidi e, allo stesso tempo, al settore Politi-che Sociali di portare all’esterno l’esperienza maturata negli anni in materia di minori, nell’ambito di un ampio ed esaustivo contributo scientifico sull’affido familiare. Partendo dal presupposto che ogni bambino ha il diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia (art. 1 legge 149/2001) e che si può procedere all’intervento dell’affido qualora la famiglia non risulti capace di svolgere le sue funzioni genitoriali, il presente lavoro, in maniera puntuale, si propone di analizzare e comprendere più a fondo gli aspetti e le caratteristiche di un siffatto intervento. Prendendo avvio dalla normativa in materia di affido familiare, trattata nel primo capitolo, la tirocinante ha esaminato il ruolo degli operatori e le relative problematiche psico-sociali approfondite nel secondo capitolo. Successivamente, attraverso una ricostruzione giuridica, ha evidenziato come la tutela e il diritto del minore a crescere ed essere educato in un ambiente sano, acquistano la loro importanza, in Italia, con la Legge 4 maggio 1983, n. 184 e la Legge 28 marzo 2001, n. 149. Al lavoro e all’impegno del Centro Affidi della Provincia di Po-tenza è stato dedicato l’intero capitolo quarto e gli approfondimenti riportati in appendice (i questionari integrali, somministrati alle famiglie disponibili all’affido del territorio provinciale e alcuni progetti, in materia di affido, realiz-zati nei Comuni lucani, per portare esempi concreti in riferimento a tematiche concernenti l’affido). Di particolare interesse anche il capitolo conclusivo sull’attività del Coordinamento Nazionale Servizi Affido (Cnsa), che annovera fra i componenti del comitato direttivo il Centro Affidi di Potenza.

Il Centro Affidi ha iniziato la sua attività nel 2003 a seguito della previsione di dismissione degli istituti per minori, di cui alla Legge 149 del 2001, fra i qua-li la comunità provinciale Centro Natascia, una casa per i meno fortunati dove

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IV

l’Ente ha accolto per anni, attraverso la presa in carico, centinaia di ragazze madri e minori in difficoltà.

Istituito in collaborazione con il Tribunale per i Minorenni di Potenza e l’Associazione il “Ponte-famiglie affidatarie”, il centro rappresenta un esempio concreto di cooperazione fra le istituzioni e gli enti preposti alla tutela dei mino-ri. Una rete interistituzionale sancita attraverso un protocollo di intesa sotto-scritto fra il Tribunale, la Provincia e i Comuni capofila d’ambito del territorio provinciale, finalizzata ad ottimizzare e a coordinare gli interventi di compe-tenza dei servizi territoriali, troppo spesso gestiti singolarmente e privi di una cornice istituzionale capace di fare da “collante” fra i diversi operatori del setto-re.

Una sinergia che negli ultimi anni ha avuto un notevole sviluppo a livello locale anche grazie all’emanazione da parte della Regione Basilicata delle “Linee di indirizzo regionale per l'affidamento familiare”, sancite nella delibera di Giunta n. 517 del 23/4/2008, che oltre a definire le tipologie di affido, prevedono la creazione dell'anagrafe regionale delle famiglie affidatarie, regolano la loro individuazione e il percorso formativo, e nel precisare i principali attori della re-te di servizi, confermano il ruolo di coordinamento dell’ente Provincia. Di qui l’importanza di pubblicare questa tesi di laurea, quale lavoro di parti-colare pregio, sia per diffondere la promozione dell’istituto giuridico dell’affido familiare, in alcuni casi ancora confuso con l’adozione, sia per trasferire le buo-ne prassi adottate in un ambito sociale particolarmente delicato qual è appunto la difesa dei diritti dell’infanzia.

Marcella Avena

Responsabile Servizio Innovazione Territoriale e Politiche Sociali

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Introduzione

L’idea di un lavoro sull’Affidamento Familiare, con uno sguardo al “Centro Affidi” della Provincia di Potenza, è maturata durante il tiroci-nio universitario presso i Servizi Socio – Assistenziali della Provincia di Potenza. Periodo in cui, dal momento che tale Ente ha istituito, in colla-borazione con il Tribunale per i Minorenni di Potenza e l’Associazione il Ponte gruppo Famiglie Affidatarie, un “Centro Affidi”, ho avuto modo e occasione di confrontarmi con una realtà complessa come l’affido e, so-prattutto con l’importanza che un tale intervento riveste sia per un equi-librato sviluppo del minore che si ritrova a vivere, per varie ragioni, in un contesto familiare temporaneamente in difficoltà e, sia per le famiglie naturali con situazioni problematiche che impediscono loro di occuparsi in modo idoneo del figlio/a.

Materia, dunque, che ha attratto la mia attenzione, da una parte per-ché non prevede, a differenza dell’adozione, una rottura del legame giu-ridico tra il minore e i suoi genitori ma, anzi, promuove e cerca di far sì che non vi sia alcuna separazione, salvaguardando quindi il rapporto genitore – figlio, dall’altra, perché avendo come obbiettivo prioritario quello di garantire al minore il diritto di crescere in una famiglia, non accompagna solo il bambino ma mette in atto interventi di aiuto e soste-gno anche per il nucleo di origine, affinché possa superare le sue tempo-ranee difficoltà, seguendo e sostenendo allo stesso tempo gli affidatari. Ciò alla luce anche del fatto che sono molte le famiglie oggi con situa-zioni problematiche, le quali possono fare riferimento a difficoltà eco-nomiche, sociali, educative, affettive, relazionali, alla detenzione, alla tossicodipendenza e a malattie gravi di uno dei genitori, a condizioni di maltrattamento e di abuso.

Bisogna inoltre aggiungere che questo interesse è nato anche relati-vamente alla figura degli affidatari, poiché credo che procedere ad un affido sia una scelta non facile, si pensi infatti che bisogna accogliere il bambino in casa come un figlio ma con la consapevolezza che non lo di-venterà mai poiché il loro è un ruolo temporaneo, bisogna accettare e non giudicare la famiglia naturale, sapere che essa è sempre presente in qualsiasi intervento, accettare quindi il bambino con tutta la sua storia, il suo passato e i suoi problemi, ricostruire il proprio equilibrio familiare. Scelta che necessita quindi di una particolare maturità e una spiccata so-lidarietà che non tutti possiedono o che non tutti sono “capaci” di mette-

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Introduzione VI

re in atto, ed è questa considerazione che rappresenta un po’ il motore di tutta la tesi e mi ha spinto a conoscere di più l’intervento dell’affido.

Questo elaborato, per i vari aspetti che tocca, nascendo per risponde-re ad un interesse ed una curiosità personale, nel suo sviluppo ha acqui-sito anche una valenza culturale e formativa, portandomi a comprendere come la figura dell’educatore sia fondamentale nel procedimento di af-fido e quindi a considerare un futuro lavorativo in materia di affido fa-miliare.

Partendo quindi dal presupposto che “tutti i bambini hanno diritto ad una famiglia”, che “Il diritto del minore a vivere, crescere ed essere educato nell’ambito di una famiglia è assicurato senza distinzione di sesso, di etnia, di età, di lingua, di religione e nel rispetto della identità culturale del minore e co-munque non in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento (L. 149/2001, art. 1, comma 5)” e, che l’affido familiare risulta essere, ove non sia stata pronunciata la decadenza della potestà genitoriale, un in-tervento temporaneo che consente al minore di continuare “la strada del suo sviluppo”, con l’aiuto e il sostegno di affidatari, e ai genitori naturali di superare la situazione di difficoltà che ha portato all’allontanamento del figlio/a per riacquisire le loro funzioni e capacità genitoriali, ho volu-to approfondirne gli aspetti strutturando il mio elaborato in cinque capi-tolo e tre appendici.

Con i primi tre capitoli si fa un excursus delle caratteristiche, delle problematiche psico-sociali e degli aspetti giuridici dell’affidamento fa-miliare.

Nel primo capitolo, “Aspetti dell’affidamento familiare”, partendo dalla definizione di affidamento e dall’obiettivo che si propone, ho posto in primis l’accento su due distinzioni: la prima riguardante l’affidamento e l’adozione, la quale consente di definire in modo chiaro che il minore, con l’intervento di affido, non acquisisce lo status di figlio e di conse-guenza non vi è alcuna rottura del legame giuridico tra il minore e la sua famiglia naturale, ciò al fine di salvaguardare il rapporto genitore-figlio e di consentire al minore di crescere nel suo nucleo di origine; la seconda tra affido giudiziale e affido consensuale. In seguito, alla luce del fatto che in Italia sono in continuo aumento gli affidi sine – die, cioè quegli af-fidi che non presentano, per varie ragioni, una durata precisata e che quindi non terminano entro i ventiquattro mesi stabiliti dalla legge, ho ritenuto interessante riportare i vantaggi e i rischi che un tale intervento può avere per il bambino, per la famiglia naturale e per gli affidatari. In relazione, al fatto che ogni minore presenta una storia familiare differen-te che necessita di interventi mitrati ed individualizzati, i quali tengano

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Introduzione VII

conto delle eventuali carenze o maltrattamenti presenti nell’ambiente familiare, ho posto in rilievo alcune tipologie di affido, che vanno dall’affido a tempo pieno, a quello diurno o part-time, a quello week-end e vacanze, a quello di pronto intervento. Considerato, poi, che l’affidamento familiare riguarda minori di età compresa tra 0 e 18 anni senza distinzione di etnia, mi è sembrato interessante sottolineare gli in-terventi di affidamento di bambini piccolissimi, di adolescenti e di mino-ri stranieri. Per quel che riguarda gli affidi rivolti ai neonati sono stata mossa dalla considerazione che nei primissimi mesi ed anni di vita è importante crescere in un ambiente sano e positivo che offra cure e at-tenzioni tali da evitare che il bambino cresca con vuoti affettivi e rela-zionali; per quel che concerne gli affidi di adolescenti, invece, dalla con-statazione che questi si presentano molto più complessi e difficili, poiché il minore non presenta solo i disagi e i problemi relativi ad un nucleo familiare negativo ma anche tutte le problematiche riguardanti l’adolescenza, fase caratterizzata da grandi mutamenti e dalla “costru-zione” della sua identità, aspetti questi di non facile “gestione”; infine, la scelta di considerare gli affidi di minori stranieri, nasce dalla considera-zione che il numero dei minori stranieri presenti in Italia, non accompa-gnati o con la famiglia, è in continuo aumento e che, rispecchiando una nuova realtà per i Servizi e gli operatori impegnati nell’affido, richiede interventi individualizzati e specifici. Ciò in ragione del fatto che se da una parte, per la normativa italiana vi è la possibilità di realizzare inter-venti di aiuto e sostegno per tutti i bambini senza distinzione di sesso, di etnia, di età, di lingua, di religione e nel rispetto della identità culturale del mi-nore, dall’altra, sul piano educativo, psicologico e sociale, sussistono, ol-tre alle esigenze e alle problematiche che riguardano i minori in crescita, anche difficoltà che scaturiscono dal vivere in un Paese culturalmente e religiosamente differente, che richiede la realizzazione di progetti di af-fido molto specifici legati alle differenze etniche e collaborazioni con al-tre figure professionali della stessa cultura (assistente sociale, educatore, mediatore culturale, ecc…).

Con il secondo capitolo, “L’affido: protagonisti e problematiche”, ho vo-luto dare maggiore attenzione ai protagonisti principali dell’affido, il minore, la famiglia naturale e gli affidatari, al ruolo degli operatori, im-pegnati in materia di affido, relativamente agli attori principali, appena citati, e alle problematiche psico-sociali. Evidenziando che ogni interven-to di affido deve ruotare intorno all’attore principale, cioè il minore, tu-telandolo e facendo in modo che venga rispettato il suo diritto a vivere e crescere in una famiglia che salvaguardi il suo sviluppo, offrendogli un

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Introduzione VIII

contesto sociale, relazionale, educativo ed affettivo capace di prendersi cura di lui, in questo contesto si pone in evidenza la figura della famiglia di origine con le possibili cause che hanno portato all’allontanamento del figlio/a, le sue problematiche e gli interventi di aiuto e sostegno che gli operatori possono mettere in atto per aiutarla a superare le difficoltà e riacquisire le capacità genitoriali. Rispetto alla situazione del minore e del suo nucleo naturale ho messo in rilievo anche il ruolo non facile de-gli affidatari, impegnati nell’accompagnare un bambino che ha perso temporaneamente i suoi punti di riferimento, ai quali, dato il loro com-pito, è utile che gli operatori forniscano una corretta informazio-ne/formazione su quelli che sono i punti fondamentali dell’affido, e so-prattutto che prevedano interventi di aiuto e sostegno per tutto il per-corso di affido, in modo da garantire loro, in ogni situazione che potreb-be venire a crearsi, un appoggio costante.

Nella stesura del terzo capitolo, “Aspetti giuridici dell’affidamento fami-liare”, viene fatta una ricostruzione giuridica della figura del bambino dal diritto romano sino alla legge 28 Marzo 2001, n. 149 “Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante «Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori», nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile”, al fine di far emergere come l’interesse nei confronti dei minori, con i suoi relativi diritti, sia una “conquista” successiva alla fine dell’Ottocento, quando nel 1899 a Chicago fu istituito il primo Tribunale per i minorenni. Comunque, l’istituto dell’affidamento acquista la sua importanza in Italia con la legge n. 184 del 1983, infatti con essa il legi-slatore introduce in modo organico e sistematico l’istituto dell’affido fa-miliare, la cui pratica, al fine di deistituzionalizzare bambini di più di ot-to anni esclusi dal beneficio dell’adozione speciale, si era già diffusa dal 1967. La successiva legge n. 149/2001 di modifica alla n. 184/1983 presen-ta e mantiene lo stesso schema. Leggi queste che pongono al centro l’interesse, il benessere e la tutela del bambino. Infatti con tali leggi, e soprattutto con la 149/2001, si cerca, ponendo al centro di tutti gli inter-venti l’interesse del minore, con l’intervento dell’affidamento familiare, di dare al minore che si ritrova in una famiglia temporaneamente in cri-si, la possibilità di superare questo periodo senza interrompere il suo normale sviluppo, e si cerca nello stesso tempo, con interventi di soste-gno, di aiutare la famiglia naturale a riacquisire le sue competenze geni-toriali per consentire al minore di rientrare nel suo nucleo di origine, fi-ne ultimo della stessa legge 4 Maggio 1983 n. 184 come modificata dalla legge 28 marzo 2001 n. 149.

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Introduzione IX

Ho ritenuto, inoltre, interessante considerare anche la Legge 28 Ago-sto 1997, n. 285, la Legge 8 Novembre 2000, n. 328 e il Decreto Legislati-vo 26 Marzo 2001, n. 151 dal momento che fanno riferimento ai diritti del minore di vivere e crescere in una famiglia idonea e assicurano a lui, alla sua famiglia e agli affidatari tutti gli interventi necessari e le agevo-lazioni previste.

Il quarto capitolo, “Uno sguardo al “Centro Affidi” della Provincia di Po-tenza”, rappresenta la parte centrale del mio elaborato e l’input che ha portato alla sua realizzazione.

Partendo dalle motivazioni che hanno portato all’istituzione del “Centro Affidi” ho voluto sottolineare i compiti e gli obiettivi che si pre-figge sul territorio provinciale e, le attività svolte, dall’anno della sua co-stituzione, evidenziando il suo lavoro sia da un punto di vista qualitati-vo che quantitativo. Attenzione particolare, a mio avviso, meritano due iniziative dello stesso Centro provinciale, il corso di formazione che pro-pone per le famiglie affidatarie della provincia di Potenza e, la collabo-razione che ha rafforzato, anche attraverso un Protocollo d’Intesa, con il Tribunale per i Minorenni e i Comuni del territorio provinciale (100).

Data l’importanza che il “Centro Affidi” dà alla formazione delle fa-miglie affidatarie, ho pensato di realizzare un questionario da sommini-strare alle famiglie disponibili all’affido della Provincia di Potenza per valutare soprattutto il loro giudizio sul corso di formazione organizzato dallo stesso “Centro Affidi”. Il questionario ha avuto l’obiettivo: di rac-cogliere dati generali della coppia; di fare un’indagine psico-sociale sulla coppia aspirante all’affidamento, considerando la storia individuale di entrambi; di ricavare informazioni relative all’atteggiamento della cop-pia e dei suoi familiari nei confronti dell’affido; di evidenziare come gli stessi affidatari intendono rapportarsi alla famiglia d’origine del minore e alla sua storia di vita; e infine di rilevare la valutazione e le considera-zioni degli affidatari per ciò che concerne la formazione.

Ritenendo importante la realizzazione di interventi di affido comuni su tutto il territorio nazionale, nell’ultimo capitolo, “Coordinamento Na-zionale Servizi Affidi (C.N.S.A.) e Indagini nazionali”, viene presentato il Coordinamento Nazionale Servizi Affido con il lavoro degli operatori, enti e associazioni impegnati costantemente in materia di affido familia-re. Rappresentando sede di confronto e di crescita qualitativa dell’affido, il C.N.S.A. dal 1998 sino ad oggi ha realizzato, sulla base di un continuo scambio, tra le figure professionali dei Servizi Affido aderenti, di espe-rienze e di riflessioni, derivate da differenti realtà, di informazioni sull’affido e sulle problematiche che ne conseguono per il miniore e le

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Introduzione X

famiglie, 10 documenti su temi specifici in modo da creare un “linguag-gio comune” su tutto il territorio nazionale.

In questo contesto ho voluto inoltre, proporre i dati relativi all’affido in Italia per Regioni, Province autonome e Tribunali per i Minorenni, tratti dal “Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, I numeri italiani, Firenze, Istituto degli Innocenti, 2007(Questioni e Documenti, n. 43)”, rispettivamente:“Istituti per mino-ri e minori ospiti secondo le rilevazioni ISTAT del 1999, 2000 e Centro nazionale del 2003. Italia”, “Provvedimenti emessi dai tribunali per i minorenni in materia di affidamento. Italia - Anni 1993-2003”, “Prov-vedimenti emessi dai tribunali per i minorenni in materia di affida-mento - Anni 2001-2003”, “Provvedimenti emessi dai tribunali per i minorenni in materia di affidamento per area territoriale - Anni 2001-2003”, “Minori in affidamento familiare e minori accolti nei servizi re-sidenziali per regione e provincia autonoma al 31 dicembre 2005”, “Minori in affidamento familiare e minori accolti nei servizi residen-ziali per regione e provincia autonoma al 31 dicembre 2005. Tassi per 1.000 abitanti della stessa età”. Ciò al fine di sottolineare la crescita ne-gli anni degli affidamenti familiari rispetto agli affidamenti a comunità alloggio o istituti.

In Appendice A, “QUESTIONARIO FAMIGLIE AFFIDATARIE del Centro Affidi della Provincia di Potenza”, vengono riportati i questionari integrali, somministrati alle famiglie disponibili all’affido del “Centro Affidi”, con le risposte che esse hanno offerto per ogni punto; idea ma-turata per due ragioni: la prima perché ho ritenuto piacevole e fonda-mentale porre in risalto la collaborazione delle famiglie e, la seconda perché, dal momento che nel capitolo quarto le risposte vengono consi-derate nell’insieme e in rapporto alle altre, mi è sembrato necessario e interessante trascrivere per intero il pensiero, le considerazioni e le valu-tazioni cha hanno addotto come risposte.

Con l’Appendice B, “Buone prassi”, si presentano alcuni progetti, in materia di affido, realizzati da vari Comuni, scelti per portare esempi concreti in riferimento a tematiche, concernenti l’affido, presentate nella tesi che ritengo degne di attenzione. Per ciò che concerne l’affido a bam-bini piccoli, intervento essenziale, si riporta “L’affido di neonati (Near)”, del Comune di Genova, e il “Progetto neonati” del Comune di Torino. Al fine di evidenziare l’importanza di promuove sui territori la cultura dell’affido e sensibilizzare quindi i cittadini ho preso in considerazione il progetto “Famiglie e accoglienza” del Comune di Parma. In considerazio-ne del fatto che a volte, per i casi di nuclei madre – bambino, si riscon-

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Introduzione XI

trano situazioni in cui il genitore ha necessità di essere sostenuto ed aiu-tato nel raggiungimento della sua piena autonomia come genitore, a-vendo dunque competenze genitoriali tali da non richiedere l’allontanamento dal minore, ho sottolineato i progetti: “Progetto familiare mamma e bambino” del Comune di Milano e, “Oltre l’affido” “Intervento in favore di nuclei madre-figlio per il sostegno ai processi di acquisizione della autonomia” del Comune di Roma. Infine, si pone in risalto il progetto “Nuovi modelli di accoglienza. L’Affido professionale” della Provincia di Mi-lano.

In Appendice C, “Protocollo d’intesa tra Centro Affidi – Tribunale per i Minori – Comuni del territorio provinciale”, ho voluto riportare integral-mente il Protocollo che sancisce l’importanza che il “Centro Affidi” della provincia di Potenza dà alla collaborazione tra varie figure professionali al fine di portare l’intervento di affido nella Provincia di Potenza ad una crescita qualitativa.

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Capitolo primo Aspetti dell’affidamento familiare

1.1. Cos’è l’affido familiare

L’affido familiare, regolamentato dalla Legge n. 184 del 4 mag-gio1983, successivamente modificata dalla Legge n. 149 del 28 marzo 2001, è un provvedimento temporaneo adottato dal Tribunale per i mi-norenni nel momento in cui la famiglia di origine del minore si ritrova in una fase di difficoltà, per motivi che possono essere generalmente legati a conflitti fra i coniugi, a una malattia, alla detenzione dei genitori, a problemi di ordine educativo, ed altro, e, per tali ragioni, non riesce ad occuparsi del figlio. In tali situazioni il bambino viene accolto presso una famiglia sostitutiva, una persona singola o una comunità con la finalità di consentire la corretta e armonica maturazione del bambino. Quindi, con l’affidamento si cerca di far sì che a qualsiasi bambino sia garantito il diritto a crescere in un famiglia anche nelle circostanze in cui la sua pre-senta delle problematicità che non le consentono di provvedere alla sua crescita, educazione e mantenimento; infatti Garelli1 specifica che l’affidamento ha come scopo quello di assicurare una famiglia al minore che per diversi motivi non può continuare a vivere con i propri genitori o parenti, e la cui situazione non può essere risolta con aiuti economici e sociali alla famiglia d’origine, e non vi sono i presupposti per procedere con l’adozione.

L’affidamento viene a configurarsi come un’azione di solidarietà nei confronti di un bambino o di un ragazzo temporaneamente in difficoltà con la sua famiglia, difficoltà tali da non consentirgli di rimanere con i genitori per un periodo di tempo più o meno lungo, il cui progetto, allo-ra, deve portare il minore ad avere al suo fianco adulti significativi, con i quali instaurare rapporti importanti, che possano aiutare lui nella cresci-ta e la famiglia d’origine a superare il suo periodo di difficoltà, ed essere finalizzato a «creare attorno al bambino una rete di rapporti affettivi si-gnificativi con adulti validi che siano di aiuto in una situazione critica del bambino e della sua famiglia»2, tutto ciò preservando i legami affet-

1 Garelli F. , L’affidamento: l’esperienza delle famiglie e i servizi, Roma, Carocci, 2000. 2 Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, I

bambini e gli adolescenti in affidamento familiare. Rassegna tematica e riscontri empirici,

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Capitolo primo 4

tivi tra il minore e il suo nucleo familiare, in attesa che questa superi le difficoltà e sia di nuovo in grado di accoglierlo. Di conseguenza, finalità dell’affidamento è quella di «far accogliere temporaneamente il minore ad un’altra famiglia, per reinserirlo nella famiglia originaria quando questa giunga a superare le proprie difficoltà: si intende fornire al minore in difficoltà il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui ha bisogno, in attesa di un migliora-mento della situazione di difficoltà della sua famiglia d’origine»3.

Questo grande impegno personale può essere affrontato da: coppie con figli, coppie senza figli e persone singole.

Obiettivo primario e finalità, dunque, dell’affido è il superamento della situazione di crisi nella famiglia del bambino, affinché questo pos-sa farvi rientro, infatti il rientro del minore è lo scopo dell’affido familia-re, per tale ragione l’affidamento si basa ed è caratterizzato da una dura-ta temporanea, la quale è dovuta, come evidenzia Manera4, proprio al fatto che: l’affido è stato disciplinato quale assistenza temporanea a fa-miglie in difficoltà transitorie, diretta a superare tali difficoltà per attua-re quanto prima il rientro del minore nella sua famiglia.

L’affido familiare viene predisposto dai Servizi Sociali dei Comuni: • Con il consenso della famiglia d’origine, e se di durata supe-

riore ai sei mesi con la convalida del Giudice Tutelare; • Con Decreto del Tribunale dei Minori, laddove manchi il con-

senso dei genitori d’origine. Come scrive Livia Turco nella Prefazione del testo di Costi, P. O.5

«La ragione dell’impegno delle istituzioni nella promozione dell’affidamento familiare si fonda sull’immenso valore che questa esperienza produce nella so-cietà intera oltre che ai bambini, alle famiglie di origine e a quelle che lo realiz-zano. Infatti l’affidamento familiare è il modo più diretto e coinvolgente con cui Firenze, Istituto degli Innocenti, Agosto 2002 (Questioni e Documenti, n. 24, pp. 75-93).

3 Allegato. Documento conclusivo dell’indagine conoscitiva su adozioni e affi-damento approvato dalla Commissione della Camera dei Deputati, Seduta del 27/10/2004.

4 Manera Giovanni, L’adozione e l’affidamento familiare nella dottrina e nella giuri-sprudenza, Milano, F. Angeli, 2004.

5 Costi P. O. et al, Un bambino per mano: l’affido familiare, una realtà complessa, Mi-lano, F. Angeli, 1997.

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Aspetti dell’affidamento familiare 5

famiglie e persone singole possono dare accoglienza ad un bambino che ha pro-blemi temporanei nella sua famiglia. Un modo per aiutare il bambino e dare so-lidarietà ai suoi genitori … Con l’affidamento familiare si riescono a scongiura-re molte istituzionalizzazioni contribuendo così a rendere la vita e la crescita dei bambini più armonica ed equilibrata consentendo loro di poter vivere “una vita normale”».

1.1.1. Distinzione affidamento e adozione

L’affido, presupponendo il legame con la famiglia naturale e il man-tenimento di rapporti, non va confuso con l’adozione, la quale è un provvedimento del Tribunale per i Minori che comporta la cessazione di ogni legame giuridico tra il bambino e la famiglia naturale. Ne consegue che «l’affidamento è un istituto giuridico non definitivo, mentre l’adozione è caratterizzata dal fatto di determinare effetti definitivi e ir-reversibili»6. Tale distinzione è meglio spiegata nel Dizionario di Diritto – Le Garzantine7 alle voci “Affidamento dei minori” e “Adozione dei minori”; infatti si legge:

«Affidamento dei minori espressione che designa il complesso degli inter-venti disposti dalla legge per assicurare il mantenimento, l’educazione e l’istruzione dei minori che siano temporaneamente privi di ambiente familiare a ciò idoneo, e in temporanea sostituzione della famiglia naturale nel cui ambito i minori hanno diritto di essere cresciuti»;

poco dopo prosegue affermando:

«Presupposto per l’affidamento è che si sia verificata una temporanea diffi-coltà della famiglia di origine del minore a consentirgli di vivere circondato dal-le cure che normalmente si prestano in ambito familiare. Suo scopo è il supera-mento di tali difficoltà, col conseguente rientro del minore nella sua famiglia na-turale, o, quando la situazione di crisi divenga definitiva o di durata impreve-dibile, con la dichiarazione di adottabilità»;

per quanto concerne l’adozione dei minori essa è un

6 Ichino Francesca, Zevola Mario, Affido familiare e adozione: minori in difficoltà, fa-

miglia di sostegno e famiglia sostitutiva, 2. ed. , Milano, U. Hoepli, 2002. 7 Dizionario del Diritto, Garzanti, 2001.

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Capitolo primo 6

«istituto che consente ai minori dichiarati in stato di adottabilità di acquistare la qualità di figli legittimi di chi li adotta, assumendone il cognome, mentre cessa-no i loro rapporti giuridici con la famiglia di origine».

Quindi l’affido si differenzia dall’adozione in quanto ha come caratte-ristiche la temporaneità, poiché si parla di mancanza temporanea della famiglia, evidenziando così il fatto che non è un provvedimento defini-tivo e il minore, a differenza di quanto avviene per l'adozione, non ha lo status di figlio.

Fondamentale è anche il fatto che nell’affidamento, a differenza dell’adozione dove la famiglia adottiva fa questa scelta per poter avere un figlio che sia loro e quindi senza alcun legame con la famiglia natura-le, gli affidatari offrono al bambino la possibilità di avere una famiglia che sostituisca la sua, solo per il periodo in cui è in crisi, favorendo il ri-entro del bambino nel suo nucleo; gli affidatari non hanno quindi aspet-tative genitoriali e adottive.

1.1.2. L’affidamento: consensuale e giudiziale

L’affidamento può assumere due forma, quella consensuale e quella giudiziale. La prima si ha nel momento in cui i genitori, o il tutore, dan-no il loro consenso all’affido accettando il fatto che il figlio venga, tem-poraneamente, affidato ad un’altra famiglia. Tale forma di affido è di-sposta dal servizio locale con il consenso dei genitori. Per quel che con-cerne invece gli affidamenti nella seconda forma, questi sono disposti «per motivi di protezione e di difesa del minore che si trova in una situazione di pericolo a causa della condotta pregiudizievole di uno o di entrambi i genitori. Se la situazione di pericolo è grave, il giudice può pronunziare la decadenza dalla potestà sui figli del genitore che viola o trascura i suoi doveri o che abusa dei suoi poteri (art. 330 cc). Se la condotta del genitore non è tale da dar luogo alla pronuncia di decadenza, “ma appare comunque pregiudizievole al figlio”, il giudice minorile può “disporre l’allontanamento di questi dalla residenza fami-liare” (art. 333 cc) e può quindi affidare il minore all’ente locale (Comune o ASL) della sua residenza per un’opportuna collocazione eterofamiliare»8.

8 Ichino Francesca, Zevola Mario, Affido familiare e adozione: minori in difficoltà, fa-

miglia di sostegno e famiglia sostitutiva, 2 ed. , Milano, U. Hoepli, 2002.

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Aspetti dell’affidamento familiare 7

1.1.3. Affidamento sine-die

La legge n. 149 del 2001 stabilisce come durata massima dell’affidamento familiare ventiquattro mesi, data prorogabile dal Tri-bunale per i Minorenni nel caso in cui viene valutata pregiudizievole per il minore la conclusione dell’affido e il suo rientro nella famiglia natura-le. Infatti all’art. 4 comma 4 afferma che “Nel provvedimento di cui al comma 3, deve inoltre essere indicato il periodo di presu-mibile durata dell’affidamento che deve essere rapportabile al complesso di interventi volti al recupero della famiglia d’origine. Tale periodo non può superare la durata di ventiquattro mesi ed è prorogabile, dal tribunale per i minorenni, qualora la sospensione dell’affidamento rechi pregiudizio al minore”, in tali situazioni ci si trova dinanzi ad affidamenti a lungo termine, cioè si hanno affidi sine – die. Questi affidi non presentano una durata precisa-ta, e rappresentano quelle situazioni in cui non è pensabile il rientro del minore nel suo nucleo naturale poiché, pur non essendoci i presupposti per l’adozione e valutata l’importanza dei rapporti tra il minore e i sui genitori, si ritiene che la famiglia naturale non abbia ancora superato del tutto i problemi che hanno portato all’allontanamento del figlio, e che quindi non abbia ancora recuperato le sue capacità genitoriali. Ci si ri-trova quindi dinanzi a famiglie che presentano grandi difficoltà, le cui «condizioni pesantemente deteriorate o carenti, non solo non permettono che venga svolta una corretta funzione genitoriale-educativa, ma neppure consen-tono di prevedere modificazioni significative di questa capacità in tempo utile all’educazione e alla crescita dei figli»9, ritenendo quindi utile prolungare il tempo di affido al fine di salvaguar-dare il minore, la sua crescita e il suo sviluppo.

È interessante notare, nel prospetto che segue, i vantaggi e i rischi che possono scaturire dall’affido sine – die in relazione al bambino, alla fa-miglia affidataria e alla famiglia naturale:

9 Gallina Margherita (a cura di), Affido familiare: linee guida, Quaderno n. 6 , Pro-

vincia di Milano. Progetto Affido. L. 285/97, Novembre 2004.

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Capitolo primo 8

Fonte: Coordinamento Nazionale Servizi Affidi, Documento “Affido sine – die” elaborato nel 2002 dal CNSA.10

10 Provincia di Potenza Assessorato alle Politiche Sociali, Pace, Immigrazione e

Volontariato, (a cura di), 1° Rapporto di Attività del Coordinamento Nazionale Servizio Affidi, Centro Affidi Provincia di Potenza, Dicembre 2007.

Vantaggi/ rischi per il bambino I vantaggi sono attinenti a tematiche profonde della psiche del

bambino, quali il bisogno d’appartenenza, di sicurezza, il senso di re-altà nei confronti della sua famiglia.

Promuovere un affido a tempo indeterminato consente di: • non perde le tracce della sua famiglia • conoscere pregi e difetti della sua famiglia, accettandola e

utilizzandola al meglio per quello che può dare • mantenere un rapporto accettabile almeno con uno dei due

genitori e/o altri componenti della famiglia • avere un’alternativa alle istituzionalizzazioni sine die (an-

che per gli adolescenti) I rischi per il bambino riguardano la mancata elaborazione ed ac-

cettazione della propria storia personale in relazione alla sua fami-glia, con conseguente costituzione di un falso sé e di un sentimento di non appartenenza a nessuna famiglia.

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Aspetti dell’affidamento familiare 9

1.1.4. Tipologie di affido

Ogni minore ha una storia diversa ed ha bisogno di interventi e di aiuti realizzati individualmente in base alle sue esigenze, poiché può a-vere alle spalle una famiglia con disagio economico – sociale, con caren-ze educative, affettive e relazionali, genitori con problemi di tossicodi-pendenza o affetti da malattie, oppure genitori maltrattanti, dove

Vantaggi/rischi per la famiglia affidataria Vantaggi: Consente alla famiglia affidataria di prefigurarsi in fase di dispo-

nibilità all’affido un percorso che viene esplicitato: si tratta essen-zialmente della possibilità di “futurizzarsi” a prescindere da fantasie e aspettative adottive.

Rischi: Il rischio per la famiglia affidataria è “l’inglobamento”, ovvero il

perdere memoria della storia del bambino, non consentendo neanche a lui di rielaborarla.

Vantaggi/ rischi per la famiglia d’origine Vantaggi: • tranquillizza la famiglia d’origine che mal tollererebbe

l’adozione • salvaguarda il rapporto dei genitori/e con il figlio • consente il mantenimento di rapporti con i Servizi, funzio-

nale al sostegno della propria genitorialità Rischi: Delega completa nei confronti della famiglia affidataria e /o dei

Servizi

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Capitolo primo 10

«Per maltrattamenti si intendono sia comportamenti “attivi”, da parte di fi-gure adulte e in particolare dei genitori nei confronti dei figli, come la violenza fisica, emozionale o l’abuso sessuale, lo sfruttamento (accattonaggio, spaccio, prostituzione), sia “passivi”, come la mancanza di cure necessarie per risponde-re ai bisogni primari ed evolutivi tipica della trascuratezza. Tali comportamenti possono presentarsi come isolati o associarsi in diverso modo tra loro, determi-nando manifestazioni diverse e variabili nel tempo.»11; sono dunque necessari interventi individualizzati e differenti. Ne conse-gue quindi che, alla luce delle differenti problematiche familiari e delle conseguenze che tali situazioni hanno sul minore, ogni situazione ri-chiede un diverso tipo di affido che possa rispondere all’interesse del minore e considerare le problematiche, i disagi e le necessità della fami-glia naturale. Qui di seguito riporterò alcune tipologie di affido rispon-denti alle esigenze suddette:

• Affidamento a tempo pieno: il minore è inserito nella famiglia affidataria per un breve periodo o

per tempi più lunghi e gli affidatari devono provvedere, accogliendolo nella propria famiglia, alla sua crescita ed alla sua educazione, tenendo conto, nei casi in cui non è stata attuata la sospensione della potestà ge-nitoriale, delle indicazioni dei genitori. Il bambino vive quindi con la famiglia affidataria, i rientri periodici nella sua famiglia e la durata sono disposti e stabiliti nel progetto di affido.

Per il buon esito del progetto è opportuno che gli operatori e i Servizi preparino e seguano per tutta la durata dell’affidamento il bambino, la famiglia naturale e quella affidataria.

La necessità di tale affido si presenta nei casi in cui il minore vive in un contesto con carenze affettive, emotive, relazionali ed educative che lo pongono in una situazione di rischio evolutivo, si pone dunque l’attenzione sul sostegno e sulla necessità di promuovere per il bambino relazioni affettive, emotive e genitoriali, e soprattutto offrendo l’opportunità di sviluppare in modo equilibrato la personalità secondo le sue esigenze.

Fondamentale è la strutturazione di un progetto che comprenda gli “attori” coinvolti, gli obiettivi, le modalità, la durata dell’affido, i “com-piti” richiesti agli affidatari e il percorso che deve svolgere la famiglia naturale per riacquisire le sue capacità genitoriali.

11 Roberto Maurizio, Dare una famiglia a una famiglia. Verso una nuova forma di Affi-

do, Fondazione Paideia, Comune di Torino, EGA.

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Aspetti dell’affidamento familiare 11

• Affidamento diurno o part time: è un affidamento limitato ad orari diurni dove il minore, a differenza

dell’affido a tempo pieno, ha bisogno del sostegno di un’altra famiglia solo per alcune ora, quindi non si trasferisce a vivere presso gli affidatari ma trascorre insieme ad essi parte della giornata o parte della settimana. Questa tipologia di affido può essere utile nei casi in cui la famiglia pre-senta una scarsa capacità organizzativa che le impedisce di prendersi cura con regolarità del figlio in alcune ore della giornata (ad esempio per lavoro), favorendo così un rapporto di collaborazione fra i genitori e gli affidatari. Il compito allora che si richiede alla famiglia affidataria è quel-lo di offrire un appoggio ed un sostegno organizzativo, relazionale, af-fettivo e sociale che possa guidare il minore nella sua vita quotidiana, consentendogli di avere, senza procedere all’allontanamento dal suo nu-cleo, una relazione socializzante ed affettiva che possa aiutarlo e soste-nerlo nel suo sviluppo e nella sua crescita.

• Affidamento week-end e vacanze: tale forma di affido si rende necessaria per offrire al minore occasioni

che possano aiutarlo ad instaurare relazioni e interazioni col mondo e-sterno, e fare esperienze socializzanti poiché, per attuare questo affida-mento, si parte dal presupposto che la famiglia di origine non ha le ri-sorse e le capacità per favorire l’integrazione sociale del bambino. L’affido week-end e vacanze prevede che il minore trascorra presso la famiglia affidataria periodi brevi ma ripetuti nel tempo. Per questo affi-do, come per le altre tipologie di affidamento, gli operatori delineano un progetto che, anche se temporaneamente breve e definito, pone l’accento sull’importanza di un rapporto continuativo con gli affidatari, la cui pre-senza deve essere vissuta dai genitori naturali, quando i Servizi riescono a collaborare con questi ultimi, come aiuto e risorsa e non quindi come figura negativa e antagonista; inoltre una collaborazione tra le due fami-glie può consentire al bambino di non vivere l’affido in modo conflittua-le, i genitori devono essere aiutati a riconoscere in modo positivo il con-fronto con gli affidatari e a capire che questi ultimi hanno un ruolo di supporto e di aiuto temporaneo.

• Affidamento di pronto intervento: questo affido si verifica nel caso in cui si presentano situazioni di

gravità, di rischio o di abbandono che richiedono un tempestivo inseri-mento del minore in un altro contesto familiare con una durata limitata, cioè fino al momento in cui si risolve l’emergenza e quindi il bambino può rientrare in famiglia o fino al momento in cui viene inserito in un contesto adatto alla sua situazione. Queste famiglie accoglienti devono

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Capitolo primo 12

ovviamente aver ricevuto una preparazione e una formazione specifica per poter affrontare una situazione molto delicata che richiede anche una riorganizzazione del contesto familiare (condizione questa che do-vrebbe comunque verificarsi in tutte le forme di affidamento).

1.2. Affidamento di bambini piccoli

Il bambino, sin dalla sua nascita, ha come esigenza e bisogno quello di vivere in un ambiente positivo e valido, dove le cure continue e la ca-pacità di prodigare affetto e calore da parte dei genitori possa, come so-stiene Cappellaro12, germinare e produrre attaccamento come base sicu-ra del rapporto triadico madre, padre, bambino; di conseguenza si rende necessario e fondamentale l’affidamento familiare per i neonati, dal momento che tale intervento si fonda sull’importanza del vivere, per il bambino, in una famiglia “ponte” che per un breve periodo, fino al rien-tro nel nucleo di origine o all’inserimento in una famiglia adottiva, svol-ga il “ruolo” di figure di riferimento e soprattutto sia in grado di dare affetto e cure, fondamentali nei primi mesi e anni di vita, per un sano sviluppo, e che quindi non lasci dentro di lui dei vuoti affettivi e rela-zionali.

L’affido per bambini piccoli deve essere previsto, come si evince dal documento del CNSA, “Riflessioni sull’affidamento familiare di bambini pic-colissimi”13, per quelle situazioni che vedono: bambini nati da genitori che necessitano di una valutazione diagnostica e prognostica delle loro capacità gravemente compromesse (genitori tossicodipendenti, portatori di malattie menali o di patologie invalidanti, ecc.) in cui occorre monito-rare la relazione genitori/figlio, garantendo gli incontri necessari tra gli stessi, eventualmente mediati dalla presenza di personale specializzato; genitori per i quali si riscontra l’impossibilità o l’inadeguatezza nel se-guire e accudire i figli nati con gravi problemi sanitari; genitori inserirti in struttura protetta (es. comunità terapeutica, comunità ma-dre/bambino) per i quali è stato interrotto il progetto di inserimento con

12 Cappellaro Gabriella, Il diritto alla famiglia dei bambini piccolissimi, in «Prospetti-

ve assistenziali», n. 145, gennaio-marzo 2004, pp. 3-6. 13 Documento CNSA“Riflessioni sull’affidamento familiare di bambini piccolissimi”

Parma, 12 Giugno 2003, tratto da Provincia di Potenza Assessorato alle Politiche So-ciali, Pace, Immigrazione e Volontariato, (a cura di), 1° Rapporto di Attività del Coor-dinamento Nazionale Servizio Affidi, Centro Affidi Provincia di Potenza, Dicembre 2007.

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Aspetti dell’affidamento familiare 13

loro del figlio; bambini che non sono stati riconosciuti alla nascita e per i quali l’Autorità Giudiziaria non ha disposto in tempi rapidi (15 giorni) l’abbinamento con una coppia adottiva; bambini in stato di abbandono o sottratti d’urgenza ai familiari a fronte di maltrattamenti o abusi (ex art. 403 del c.c.).

Si deduce quindi come alle famiglie affidatarie, che intraprendono la strada dell’affido a neonati, viene richiesto un compito molto difficile e delicato: offrire al bambino un ambiente affettivo, sereno ed equilibrato tale da consentirgli di non subire la separazione come un momento di rottura e distacco ma, come una continuazione della sua crescita avvalo-rata e favorita dall’aver vissuto in un contesto ottimale, consapevoli e preparati al fatto che il minore sarà separato da loro, per ritornare nella sua famiglia o per essere inserito in un nuovo contesto familiare, e che dovranno essi stessi agevolare tale separazione; di conseguenza, le fami-glie che meglio possono rispondere alle esigenze di un affido di bambini piccoli risultano essere quelle, come sottolineano Cappellaro e Crollo14, «che hanno figli propri, che non hanno aspirazioni adottive, che hanno una ca-pacità affettiva matura, che hanno disponibilità di tempo»; ovviamente sono af-fidi che, data la loro delicatezza dovuta al ruolo transitorio degli affidatari, ne-cessitano di interventi mirati ad aiutare le famiglie affidatarie, come sostengono ancora le due autrici: «a vigilare sul proprio coinvolgimento affettivo con il mi-nore, che deve esserci (senza una intensa relazione affettiva il bambino non "cresce"), ma non deve diventare un attaccamento che ostacoli un sereno pas-saggio del minore alla nuova sistemazione (sia essa il rientro in famiglia o l'a-dozione).».

Per meglio comprendere l’importanza, per i bambini, di tale progetto vorrei riportare alcune affermazioni delle famiglie affidatarie del Proget-to Neonati del Comune di Torino durante il Convegno Nazionale «Affi-do: Legàmi per crescere.»15, dall’esperienza raccontata dal gruppo di fa-miglie affidatarie, si evidenzia, a mio avviso, la delicatezza di un tale in-tervento:

14 Cappellaro Gabriella, Crollo Liliana, L’affidamento familiare di bambini piccoli, in

«Prospettive assistenziali», n. 114, aprile-giugno 1996. 15 Intervento a cura del gruppo delle famiglie del Progetto Neonati, Convegno

Nazionale «Affido: Legàmi per crescere.», organizzato dal Comune di Torino il 21-22 Febbraio.

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Capitolo primo 14

«[…] Questa esperienza, l’accoglienza dei bimbi è anche un pezzo della nostra vita, è il nostro essere totalmente genitori per un arco di tempo bre-ve/brevissimo e ciò che ci muove in questa direzione e che emerge quando (so-prattutto nel gruppo di sostegno) ci raccontiamo è la consapevolezza di quanto, nella costruzione della storia dei piccoli, sia fondamentale creare per loro delle relazioni affettive significative così importanti nei primissimi mesi di vita e per quello che sarà poi la loro vita futura»; si evince la complessità e l’ importanza, per il bambino, del legame che viene ad instaurarsi:

«Siamo consapevoli di quanto il legame che si crea con il piccolo sia coinvol-

gente ed anche di quanto questo coinvolgimento sia fonte di preoccupazione per gli operatori e i giudici, ma vogliamo rassicurarvi/tranquillizzarvi, perché oggi ci sentiamo di dire che quello che fa funzionare questo Progetto è proprio quel legame, è proprio la possibilità che i bimbi hanno di sperimentare questa intensità di relazione, di amore e di attaccamento»;

si sottolinea la necessità di un lavoro di rete, che vede il coinvolgimento di più figure:

«Vogliamo sottolineare quanto sia importante lavorare tutti insieme, servizi

e famiglie (ognuno sicuramente per la parte che gli compete), per costruire in-sieme la storia del bambino, sapendoci ascoltare e dandoci reciprocamente fi-ducia. Instaurando un dialogo costruttivo costante, come deve avvenire in par-ticolare nel luogo neutro, in modo che la famiglia possa riferire anche i proble-mi che il bambino evidenzia prima e dopo le visite. Questo confronto consente di integrare gli elementi di professionalità con la quotidianità che la famiglia affidataria raccoglie stando a stretto contatto con il bambino.

[…] Ci muove la consapevolezza che “guardiamo tutti nella stessa direzione” e

che siamo tutti parte di una rete intorno al bambino: la funzione della rete è di protezione, di sostegno, è una rete tessuta che non deve avere buchi e ogni pun-to deve essere collegato agli altri»; queste “famiglie ponte” sono consapevoli dell’importanza del loro ruolo nell’accoglierli e soprattutto nel lasciare che su-bentrino altri genitori nella vita del bambino e, come essi stessi dicono «come avviene nel parto, c’è la gioia di “vederlo alla luce” della sua vita che continua».

In estrema sintesi, si può affermare quindi che è di vitale importanza

per qualsiasi bambino essere accudito in un luogo sano ed equilibrato, di

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Aspetti dell’affidamento familiare 15

essere soddisfatto nei suoi bisogni e nelle sue esigenze poiché avverte e sente l’attenzione, l’amore e le cure che l’adulto gli dà necessarie per la sua crescita psico-fisica.

1.3. Affidamento di adolescenti

Gli affidi di adolescenti risultano molto più complessi e difficili di quelli dei bambini perché oltre alle difficoltà e ai disagi che possono sca-turire da una situazione familiare negativa si riscontrano anche tutte le problematiche adolescenziali, è risaputo infatti che l’adolescenza rap-presenta la fase più delicata perché accompagnata da grandi mutamenti, che vedono il ragazzo/a “impegnato” nella costruzione della sua identità e del suo futuro, di conseguenza, per affrontare le crisi adolescenziali e i cambiamenti repentini ha bisogno, per la sua crescita, di relazioni e le-gami con figure importanti, con persone adulte, che possano seguirlo positivamente in questo percorso arduo e difficile, quindi la famiglia de-ve essere pronta a sostenerlo, a comprendere le sue esigenze e ad aiutar-lo nella ricerca della sua identità, non è necessario «essere genitori perfetti che non commettono errori, ma adulti che desiderano costruire un legame, che siano una proposta per l’adolescente e che accettino il rischio che la sua libertà non ci stia: genitori per cui il criterio per affrontare la vita non sia la paura.»16.

Le caratteristiche che rendono possibile l’attuazione dell’affido per gli adolescenti vengono sottolineate nel Documento del CNSA “Affido di a-dolescenti”17, si tratta di «caratteristiche di base, che riguardano sia i vissuti del minore sia la sua perso-nalità:

- avere introiettato un’immagine dei propri genitori o in generale della fi-gura genitoriale non totalmente o troppo compressa. In caso contrario,

16 Piu Giuseppina, L’adolescenza e l’esperienza dell’affido, Tratto da News 2006, Spe-

ciale 11 Febbraio, Affido familiare. Colora la tua vita, Comune di Genova, Progetto Affido, Famigliare Minori.

17 Documento CNSA“Affido adolescenti” Parma, 2 Dicembre 2004, tratto da Pro-vincia di Potenza Assessorato alle Politiche Sociali, Pace, Immigrazione e Volonta-riato, (a cura di), 1° Rapporto di Attività del Coordinamento Nazionale Servizio Affidi, Centro Affidi Provincia di Potenza, Dicembre 2007.

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Capitolo primo 16

l’adolescente potrebbe assumere un atteggiamento di totale rifiuto/difesa dall’adulto;

- aver iniziato un percorso di elaborazione delle problematiche della fa-miglia d’origine;

- avere manifestato il desiderio di esperire ancora nella relazione con un adulto (affidatario) le caratteristiche e gli aspetti della funzione genito-riali;

- aver maturato uno spazio nel quale poter costruire un’immagine ed una proiezione di Sé come adulto.

L’affido deve essere occasione perché l’adolescente possa rielaborare il pas-sato, acquisire consapevolezza della situazione della famiglia d’origine e “prendere” le distanze/la misura da tale situazione, per la costruzione della propria identità e del proprio futuro.».

Diventa dunque fondamentale, in una situazione di affidamento, per offrire al ragazzo/a la possibilità di creare dei legami e delle relazioni con persone adulte, elaborare un progetto di affido che tenga conto delle particolare situazione che l’adolescente sta vivendo mettendo al centro i suoi bisogni, le sue necessità individuali, le sue problematiche, le sue ca-ratteristiche, la sua storia, le sue difficoltà e le sue risorse, non sottovalu-tando il fatto che durante l’adolescenza il minore è “portatore” di rapidi cambiamenti, continui scontri con gli adulti e opposizioni alle regole; condizioni, come sostiene Mazzuchelli18, che richiedono all’operatore di cogliere i bisogni che emergono nelle diverse tappe del cammino dell’adolescente e a offrirgli risposte differenziate e attente.

Risulta auspicabile, per un buon progetto di affido, che l’adolescente ne sia coinvolto e che l’affido non venga visto come «l’unica risposta ai bisogni di crescita del ragazzo, come può essere nell’infanzia, per garantire una “normalità” di vita affettiva e sociale ma il ricor-so alla famiglia affidataria rappresenta la base perché l’adolescente possa fare esperienze, realizzare progetti scolastici e lavorativi, misurarsi con il mondo e-sterno giovandosi della protezione e della guida della famiglia sostitutiva.

Il progetto di affido familiare per un adolescente è un progetto complesso e la ricerca della famiglia affidataria da parte degli operatori significa in realtà la

18 Mazzucchelli F. , L’affido familiare degli adolescenti, in «Prospettive Sociali e Sani-

tarie», n° 16, 1989, pp. 1-3.

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Aspetti dell’affidamento familiare 17

ricerca di un più vasto ambiente di vita, rispondente ai bisogni di promozione, di stimolo, ma anche di contenimento dell’adolescente in difficoltà.»19.

La famiglia affidataria, che sceglie di percorre con il ragazzo un “trat-to di strada insieme” e di supportarlo in una fase della vita molto delica-ta, deve riuscire quindi a seguirlo nei suoi progetti e cambiamenti, sup-portarlo e accompagnarlo nel superamento delle sue problematiche e nella costruzione della sua identità. Ad essi è inoltre richiesto il compito molto difficile di seguire il ragazzo/a che ha vissuto nella sua infanzia situazioni di deprivazione economica, culturale, educativa, affettiva e relazionale oppure maltrattamenti e trascuratezza, a causa dei quali, trovandosi a “fare i conti” con il suo passato, manifesterà sentimenti ne-gativi, di sfiducia nei confronti di se stesso, degli adulti e del futuro, do-vranno quindi essere capaci di seguirlo in questa fase complicata e aiu-tarlo a superare il passato e costruire un presente ed un futuro positivi, infatti come ben sottolineano Gregori e Zolden20, proprio alla luce del fatto che il ragazzo/ a dovrà affrontare e superare il suo passato, «la fun-zione della famiglia affidataria sarà quella di accompagnare e sostenere il ragazzo accogliendolo anche nei suoi momenti di difficoltà, di frustra-zione e talora di regressione.».

Concludendo è essenziale considerare che l’adolescente, in relazione a quella che è stata la sua infanzia e a quelle che sono state le problema-tiche del suo nucleo di origine, vive l’affidamento in modo differente, infatti Mazzucchelli21 pone in risalto alcune situazioni: quelle relative ai minori che per anni hanno vissuto in un nucleo che li ha lasciati insoddi-sfatti e che quindi vedono la famiglia affidataria «come un “rifugio” do-po anni di traversie e di anonimato ed essa può quindi diventare il luogo fisico e affettivo che permette loro regressioni a relazioni interpersonali anche molto primitive, ma che rispondono all’attesa di risarcimento e-motivo e di restauro dell’identità di cui il minore ha bisogno dopo che le fasi precoci della vita sono state così penose e carenti»; quelle, invece, in cui gli adolescenti hanno vissuto in un contesto familiare emarginato e deviante e che vedono l’affido come la possibilità di vivere in modo re-

19 Mazzucchelli F. , L’affido familiare degli adolescenti, in «Prospettive Sociali e Sani-

tarie», n° 10, 1998, pp. 17-19. 20 Gregori D. , Zolden R. , L’affidamento familiare dell’adolescente, in «Prospettive

Sociali e Sanitarie», n° 10, 1/6/2001, pp. 19-20. 21 Mazzucchelli F. , L’affido familiare degli adolescenti, in «Prospettive Sociali e Sani-

tarie», n° 16, 1989, pp. 1-3.

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Capitolo primo 18

golare, poiché «giunti all’adolescenza, hanno bisogno precisamente di imparare che il futuro si prepara con azioni concrete e sensate, con un impegno personale e costante, finalizzato a obiettivi realistici e chiari.».

Da quanto detto credo emerga che l’affidamento di adolescenti sia ot-timale per questi ultimi affinché possano riscattarsi da un’infanzia pro-blematica e difficile, rielaborando e affrontando, con l’aiuto di adulti si-gnificativi, il passato e costruendo la propria identità e il proprio futuro grazie a basi certe.

1.4. Affidamento di minori stranieri

Il diritto per il minore di crescere ed essere educato nell’ambito della pro-pria famiglia, come sancito dalla all’art. 1 comma 1 della Legge 149/2001, vale sia per i minori italiani che per i minori stranieri, infatti la stessa legge sottolinea che il diritto di vivere, crescere ed essere educato in una famiglia deve essere assicurato senza distinzione di sesso, di etnia, di età, di lingua, di religione e nel rispetto della identità culturale del minore, di conse-guenza tutti gli interventi di sostegno e di aiuto alle famiglie per preve-nire l’allontanamento del minore dal nucleo vengono attuati sia per quelle italiane che per quelle straniere, e solo nei casi in cui, come avvie-ne per gli affidi di minori italiani, nonostante gli aiuti rivolti alla fami-glia questa non risulti ancora in grado di provvedere alla crescita e all’educazione del minore,si procede all’allontanamento e all’affidamento; ne risulta quindi che viene affidato, senza alcuna distinzione, il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo.

Emerge che lo Stato Italiano assicura il diritto a tutti i minori, indi-pendentemente dalla nazionalità, dal sesso e dalla religione, di crescere in modo sano e in un contesto idoneo al suo sviluppo psico-fisico; nel si-stema italiano, viene quindi offerta ai minori stranieri protezione e tute-la, riconoscendo di conseguenza anche ad essi il diritto a crescere in una famiglia “capace” di provvedere al mantenimento, all’educazione, all’istruzione e alle relazioni affettive di cui hanno bisogno, aspetto questo che si può evincere dalle tabelle qui di seguito riportate.

Fonte: Provincia di Parma, Coordinamento Provinciale Affido Fami-

liare Parma, Affido di minori stranieri, dicembre 2005.

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Aspetti dell’affidamento familiare 19

DIRITTI TIPOLOGIA RIFERIMENTI Identità

1)Riconoscimento

dell’unicità del minore come essere umano

2)Diritto a preservare la propria identità, ivi compresa la sua nazionalità

3)Diritto a conservare il nome

4)Diritto a conservare le sue relazioni familiari

Crescita

1)Diritto alla vita 2)Diritto ad esprimere libe-

ramente la sua opinione 3)Diritto di essere ascoltato 4)Diritto alla libertà di e-

spressione, pensiero, coscienza e religione

5) Diritto ad una famiglia

Salute

1)Diritto all’assistenza sa-

nitaria 2)Diritto al benessere psico

– fisico 3)Diritto al benessere socia-

le

A. Costituzione

B. Dichiarazione Onu recepita con L. 27 maggio 1991, n°176

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Capitolo primo 20

Educazione

1) Diritto ad accedere ad

un’informazione e a materiali informativi adeguati e volti a promuovere il suo benessere (mass – media)

2) L’educazione del fanciul-lo deve essere volta allo svi-luppo della sua personalità, allo sviluppo del senso di cit-tadinanza, allo sviluppo del rispetto per la sua famiglia e le sue origini, a preparare il fan-ciullo per la vita futura

Protezione

e tutela

1) Diritto di usufruire della

sicurezza sociale 2) Diritto al risposo ed al

tempo libero 3) Diritto ad essere protetto

contro lo sfruttamento 4) Diritto a non essere co-

stretto a nessun lavoro che possa mettere a repentaglio la sua educazione o che nuocia alla sua salute.

5) Diritto ad essere protetto contro lo sfruttamento e la vio-lenza sessuale

6) Diritto ad essere protetto contro ogni altra forma di sfruttamento pregiudizievole al benessere del bambino in ogni aspetto

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Aspetti dell’affidamento familiare 21

ASPETTI TIPOLOGIE RIFERIMENTI

Protezione e assistenza

1) Ai minori stranieri si applicano le norme previste in generale dalla legge italiana

in materia di assistenza e pro-tezione dei minori

2)Diritto al collocamento in luogo sicuro del minore che si trovi in stato di abbandono

3)Diritto all’affidamento del minore temporaneamente privo di un ambiente familia-

re idoneo

Permanenza in Italia

1) Inespellibilità

2)Tutti i minori stranieri hanno:

A. Diritto al rimpatrio as-sistito

B. Diritto di presentare domanda di asilo

C. Diritto di ottenere un permesso di soggiorno per

minore età

a. D.P.C.M. n°535/99

b. L. 30 LUGLIO 2002, n°189

c. L. 184/83 co-me modificata dalla L. 149/2001

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Capitolo primo 22

Assistenza sanitaria

1) I minori stranieri tito-

lari di un permesso di sog-giorno sono iscritti obbligato-riamente al SSN e hanno pie-namente diritto di accedere

alle prestazioni fornite 2) I minori stranieri privi

di permesso di soggiorno non possono iscriversi al SSN, ma hanno diritto alle cure ambu-latoriali ed ospedaliere urgen-ti o comunque essenziali, an-corché continuative, per ma-lattia ed infortunio e ai pro-grammi di medicina preven-

tiva

Istruzione

1)Tutti i minori stranieri,

anche se privi di permesso di soggiorno, sono soggetti

all’obbligo scolastico ed hanno diritto di essere iscritti a

scuola

Se la normativa italiana in materia di affidamento familiare può vale-

re, ed essere uguale, sia per minori italiani che stranieri, è opportuno pe-rò porre attenzione al fatto che, oltre a quelle che possono essere le esi-genze e le problematiche di un minore in crescita, nella situazione dei minori stranieri si riscontrano delle difficoltà, che richiedono interventi individualizzati con la collaborazione di un équipe multiprofessionale (assistente sociale, educatore, mediatore culturale, ecc…), dovute ad una condizione molto delicata che li vede “inseriti” in un Paese straniero con un’identità culturale, usi e abitudini diverse, infatti il C.N.S.A., nel do-cumento relativo all’ “Affido di minori stranieri”22, pone in rilievo che si

22 Documento CNSA“Affido di minori stranieri” Parma, 10 Giugno 2004.

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Aspetti dell’affidamento familiare 23

rende opportuno e necessario che i progetti di affido per minori stranieri non possono prescindere, dalla conoscenza delle differenze culturali e religiose e dalla collaborazione che si potrebbe attivare con le varie etnie utilizzando più figure professionali.

Per il minore, allora, sarà molto più difficile costruire la sua identità, poiché non si ritroverà solo tra due famiglie, quella originaria e quella affidataria, ma anche tra due culture ed etnie diverse, dovrà quindi ela-borare l’appartenenza non solo alla sua cultura ma anche a quella che lo accoglie facendole confluire in modo costruttivo per la sua crescita; inol-tre, in un processo così complesso, è essenziale non ignorare quelle che sono le sue origini poiché «La salvaguardia della salute psico –fisica del soggetto in formazione, non può prescindere dalla tutela delle sue radici culturali/identitarie e il minore dovreb-be essere aiutato, anche attraverso l’opera di mediazione dell’adulto, ad acqui-sire gli strumenti culturali per ricomporre il divario tra i diversi modelli di rife-rimento, al fine di ridefinire in maniera armonica ed equilibrata un nuovo pro-getto esistenziale che tenga conto delle esperienze di vita passate, presenti e dell’immaginario futuro.»23.

1.4.1. Minore straniero non accompagnato e minore straniero con la famiglia

Ovviamente le difficoltà che può incontrare il minore straniero e gli interventi di aiuto e sostegno cambiano anche in base alla sua condizio-ne, poiché bisogna considerare che sono presenti in Italia minori stranie-ri non accompagnati e minori stranieri con la famiglia.

Il minore straniero non accompagnato, come definito nell’art. 1 com-ma 2 del D.P.C.M. n. 535/99, è il minorenne non avente cittadinanza ita-liana o di altri Stati dell'Unione europea che, non avendo presentato domanda di asilo, si trova per qualsiasi causa nel territorio dello Stato privo di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adul-ti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell'ordina-mento italiano. In tale situazione risulta necessario per il bene del mino-re, come evidenzia il C.N.S.A.24

23 Provincia di Parma, Coordinamento Provinciale Affido Familiare Parma, Affido

di minori stranieri, dicembre 2005. 24 Documento CNSA“Affido di minori stranieri” Parma, 10 Giugno 2004.

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Capitolo primo 24

«trovare un “inserimento assistito” nella nostra realtà rispetto all’età e alle mo-tivazioni che li hanno indotti alla “fuga” in Italia e si può quindi ipotizzare un “affido educativo” a famiglie o a single, sia italiani sia stranieri. Per affido edu-cativo s’intende, in questo contesto, un’accoglienza in cui sia meno approfondi-to il versante del “pensato” sulla storia del minore, sulla sua famiglia d’origine ed invece maggiormente ampliato l’aspetto dell’accompagnamento concreto, che comprende un’azione di “tutoraggio” unita ad un’esperienza di “familiari-tà”; si può immaginare un’esperienza più intensa di ospitalità familiare, ma non un affido “canonico”.».

I minori stranieri presenti in Italia con la famiglia rappresentano «l’altra realtà dell’emigrazione minorile: la gran quantità di bambini che vivo-no in Italia con un solo genitore, spesso impegnato in attività lavorative che lo tengono assente da casa per molte ore al giorno. Per loro potrà essere sufficiente un affidamento non residenziale ma sarebbe comunque nell’interesse del nu-cleo che l’intervento di sostegno provenisse da famiglie vicine per cultura, tra-dizioni, religioni. Un eccessivo e precoce sradicamento del bambino dal suo mondo, rischia di innescare una conflittualità fra genitore e figlio che ne di-strugge l’unitarietà. L’integrazione del bambino straniero deve essere graduale; non deve mai essere assimilazione.»25.

1.4.2. Affido omoculturale ed eteroculturale

L’affidamento familiare di minori stranieri può essere attuato in base a due tipologie: affido omoculturale ed affido eteroculturale.

Nelle situazioni di affido eteroculturale di minori stranieri, al fine di aiutare la famiglia di origine a superare le sue difficoltà e il minore a cre-scere in modo equilibrato e sano, alla famiglia affidataria è richiesto il compito di riuscire sia a tenere ben saldi i propri modelli educativi di ri-ferimento e, sia ad essere aperta alla diversità accogliendola e accettan-dola costruttivamente, in modo da consentire al minore di non vivere una rottura con quelle che è la sua cultura, la sua religione e i suoi valo-ri; di conseguenza, come sottolinea il CN.S.A.26

25 De Marco Giulia, La Famiglia che accoglie, Tratto dalla Conferenza Nazionale

della Famiglia Firenze 24-26 Maggio 2007. 26 Documento CNSA“Affido di minori stranieri” Parma, 10 Giugno 2004.

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Aspetti dell’affidamento familiare 25

«Le famiglie italiane disponibili all’affido di minori stranieri debbono avere par-ticolari caratteristiche e competenze, oltre a quelle richieste per l’affido di ra-gazzi italiani:

- essere salde sui propri modelli di riferimento ma capaci di accettare e riconoscere la diversità (non andare in crisi perché vengono messi in discus-sione o contrastati i propri modelli culturali…….)

- essere disponibili ed interessate a conoscere e confrontarsi con mo-delli culturali diversi dai propri, che costituiscono comunque una “ricchezza”, mediandoli all’interno della quotidianità.».

Per quanto riguarda l’affido omoculturale tale intervento si rivela più ottimale per l’accoglienza di minori stranieri non accompagnati, dal momento che essi non possono far riferimento al proprio contesto fami-liare, hanno vissuto traumaticamente la migrazione e la separazione, manca loro una situazione affettiva e devono costantemente affrontare da soli sia le problematiche che scaturiscono da una diversità linguistica e culturale e sia la rielaborazione della loro appartenenza, del loro passa-to e della loro storia. Con un affido omoculturale, possono così avere un appoggio ed un sostegno vivendo in un contesto che li aiuti a vivere in una realtà culturale, valoriale e linguistica differente dalla loro, e ad ela-borare e accettare il proprio passato e le proprie origini, integrandole con la cultura che li accoglie.

Risulta quindi indispensabile, come scrive Gonzo27: «acquisire una profonda considerazione delle risorse (che qui sta per presuppo-sti culturali) altrui e proprie, come base per costruire nuovi significati che na-scono dall’interazione. A queste condizioni anche l’affido può diventare una re-altà creativa e produttiva per tutte le parti in gioco, che possono apprendere da questa esperienza: famiglie, servizi, Tribunale e, non ultimi, i bambini».

Concludendo, e in estrema sintesi, si evince che i progetti di affida-mento familiare devono necessariamente essere realizzati anche in base a quelle che sono le differenze etniche, poiché oggi l’utenza non rispec-chia più solo la realtà italiana ma ingloba realtà molto diverse fra loro, che vedono molte persone abbandonare il loro Paese e scegliere l’Italia come meta di “speranze o come fuga da una situazione critica”, si tratta quindi di un’utenza diversificata, situazione che per essere affrontata ri-

27 Gonzo. M. , L’affido di bambini extracomunitari a famiglie italiane, in «Prospettive

Sociali e Sanitarie», n. 18, 1995, pp. 16-19.

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Capitolo primo 26

chiede inevitabilmente una preparazione da parte degli attori coinvolti sulle diversità etniche, culturali, valoriali e linguistiche.

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Capitolo secondo L’affido: protagonisti e problematiche

2.1. I protagonisti dell’affidamento

2.1.1. Il minore

Come indicato dalla legge 149/2001 “Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia” (art. 1 comma 1), e al fine di consentire ciò “a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto”, nel caso in cui questi non siano sufficienti allora si può intra-prendere la strada dell’affido familiare, infatti “Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto disposti ai sensi dell’articolo 1, è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il manteni-mento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno” (art. 2 comma 2).

È obiettivo della legge, quindi, quello di tutelare il minore facendo in modo che venga rispettato il suo diritto a vivere e crescere in un ambien-te sano ed equilibrato che salvaguardi il suo sviluppo psico-fisico. Si cer-ca quindi, con l’intervento dell’affido, di offrire al minore un contesto sociale, relazionale, affettivo che provveda alle sue cure, alle sue esigen-ze e alla costruzione della sua personalità ed identità, infatti a tal propo-sito Sanciola28 specifica che l’affido si propone di tutelare «il fondamen-tale diritto del bambino a un processo affettivo ed educativo che sia ri-spettoso della sua identità e delle sue aspirazioni».

Il minore che può essere soggetto al procedimento di affido, come abbiamo visto nel capitolo precedente, può avere un’età compresa tra 0 e 18 e può appartenere a qualsiasi etnia.

Per favorire lo sviluppo e la crescita del minore è opportuno ed es-senziale metterlo, dal momento che è il protagonista principale dell’intervento, al centro dell’intero progetto di affido con le sue esigen-ze, i suoi bisogni, i suoi problemi, ascoltarlo e coinvolgerlo nelle varie fasi, ovviamente in relazione alla propria età anagrafica ed alle proprie specifiche caratteristiche e capacità, e soprattutto ricercare il contesto

28 Sanciola Lia, Il dono della famiglia: l’affido oltre l’educazione assistita, Milano, Pao-

line, 2002.

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Capitolo secondo 28

familiare sostitutivo in base a quelle che sono le sue esigenze e le sue dif-ficoltà. Ciò in ragione del fatto che, avendo vissuto in un nucleo caratte-rizzato da situazioni di deprivazioni e carenze di vario genere, se inseri-to in una realtà familiare equilibrata e disponibile, in un ambiente sano che possa stimolarlo, creando le caratteristiche per una presenza educa-tiva ed affettuosa, potrebbe riuscire a ritrovare la serenità e la capacità di dialogo necessarie per crescere. Fondamentale è soprattutto cercare di mantenere i legami con la famiglia naturale, affinché il minore non si senta allontanato del tutto da quelle che sono le sue origini e i suoi affet-ti.

2.1.2. La famiglia di origine

La famiglia d’origine, nel procedimento di affido,

«viene definita in genere multiproblematica, in quanto famiglia “fragile”, spesso gravata da problemi personali e relazionali dei loro componenti: è una famiglia che non è in grado di rispondere ai bisogni dei figli in modo adeguato»29,

ciò perché i genitori presentano situazioni problematiche che non con-sentono loro di provvedere alla crescita del minore in modo idoneo; si-tuazioni e cause che possono riguardare: condizioni di deprivazione so-ciale, economica, affettiva, educativa, problemi personali, malattia, tossi-codipendenza, poca cura e attenzione ai bisogni e alle esigenze del bam-bino, maltrattamento, violenza, ecc.

Di conseguenza per tali situazioni con l’affido familiare, che persegue come obiettivo primario il rientro del minore nella sua famiglia, si cerca di mettere in atto tutti gli interventi di aiuto e sostegno a favore della famiglia naturale che, durante la separazione dal bambino, possano aiu-tarla, con il supporto dei servizi sociali, ad eliminare le cause, a superare i problemi e le difficoltà che hanno fatto sì che il minore venisse allonta-nato, e sostenerla e seguirla nel percorso di recupero di quelle che sono le funzioni, le capacità, le caratteristiche primarie e le condizioni idonee per svolgere il ruolo genitoriale, per far sì quindi che possa tornare ad

29 Miodini Stefania, Borelli Sara, Il sostegno alla famiglia d’origine prima, durante e

dopo l’affidamento familiare: gli interventi necessari e le possibili integrazioni fra servizi, in «Prospettive assistenziali», luglio - settembre 2005, n. 151.

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L’affido: protagonisti e problematiche 29

occuparsi del figlio e di reintegrare qust’ultimo nel suo contesto familia-re di origine. Per far ciò, come sottolinea Fiocchi D.30,

«Bisogna, quindi che, nel loro progetto, gli operatori prevedano, contempo-raneamente alla partenza dell’affido, uno spazio e un intervento qualificato per i genitori del bambino perché possano venire raccolti il dolore per l’allontanamento e le loro difficoltà riguardo all’affido, ma anche più in genera-le i problemi concreti o il senso di abbandono e solitudine che queste persone spesso portano dentro di sé fin dalla prima infanzia».

Alla luce di quanto detto è essenziale inoltre che durante il periodo di affido la famiglia biologica non avverta negativamente il confronto con la famiglia accogliente e non si deresponsabilizzi maggiormente rispetto ai suoi compiti, gli operatori devono fare in modo che si senta valorizza-ta e riconosciuta come risorsa fondamentale per il proprio figlio e che quindi non viva l’affido come una perdita definitiva del loro ruolo e del-lo stesso figlio, come sottolinea Sanciola Lia31, devono inoltre essere «aiutati a riconoscere che si tratta di un aiuto per loro, di una tappa del percorso di recupero per il suo successivo rientro, perciò vanno forte-mente rassicurati sulla temporaneità dell’esperienza».

La famiglia in questo percorso ha quindi bisogno, con adeguate risor-se ed attenzione, di essere guidata verso cambiamenti positivi e, di man-tenere rapporti costanti e significativi con il proprio figlio, ovviamente salvo diversa indicazione o prescrizione da parte dell’Autorità Giudizia-ria competente.

2.1.3. La famiglia affidataria

Naturalmente durante questo percorso un sostegno deve essere offer-to anche alle famiglie affidatarie, le quali provvedendo, come detto pre-cedentemente, al mantenimento del bambino, alla sua educazione, alla sua istruzione e alle relazioni affettive di cui necessita si ritrovano ad af-frontare una “sfida” molto importante, che li vede “accompagnare” un bambino che ha perso temporaneamente i suoi punti di riferimento.

30 Fiocchi D. , La famiglia d’origine durante l’affidamento familiare: il ruolo dei servizi,

in «Prospettive assistenziali», 1998, n. 122. 31 Sanciola Lia, Il dono della famiglia: l’affido oltre l’educazione assistita, Milano, Pao-

line, 2002.

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Capitolo secondo 30

Oltre all’amore che li spinge ad occuparsi di un minore in difficoltà e al desiderio di donare, hanno bisogno di una preparazione ad affrontare tale situazione, a collaborare con l’altra famiglia, ad interpretare le pro-blematiche del minore affidato e a lavorare in modo stimolante per lui, cioè di una formazione su quelli che sono i punti fondamentali di un percorso complesso come l’affido.

Gli affidatari devono essere capaci di accettare non solo il bambino ma anche il suo mondo, le sue origini, la sua storia, i suoi legami affetti-vi, la sua situazione sociale, dal momento che tutto deve ruotare intorno alle sue esigenze e ai suoi bisogni affinché possa trovare, in un ambiente che non è suo, tutto ciò di cui necessita. Risulta quindi necessario che la famiglia affidataria impari a conoscere e comprendere il suo ambiente familiare affinché si possa mantenere vivo il rapporto con la famiglia di origine, essendo il fine dell’affidamento, qualora vengano superate le difficoltà che hanno portato all’allontanamento del minore dalla propria famiglia, quello del rientro di quest’ultimo nel suo nucleo familiare. Si fa avanti allora l’importanza di un rapporto di collaborazione tra le due famiglie affinché possano, gli affidatari, esercitare per un periodo limita-to i compiti che spettano ai genitori, seguendo naturalmente quelle che sono le indicazioni educative di questi ultimi.

«Il bambino in affidamento non deve percepire che i suoi genitori e/o parenti

sono “svalutati” dalle persone con cui vive: si sentirebbe scarsamente conside-rato anche lui, costretto a scegliere tra due famiglie egualmente importanti per la sua crescita»32.

2.2. Il ruolo degli operatori

«L’operatore è il soggetto che propone l’affidamento familiare e, su mandato

del Servizio sociale locale, è chiamato a disporlo, prendendo delle iniziative professionali e attuando le procedure necessarie, in base a quanto stabilito dalla legge.

Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, I

bambini e gli adolescenti in affidamento familiare. Rassegna tematica e riscontri empirici, Firenze, Istituto degli Innocenti, Agosto 2002 (Questioni e Documenti, n. 24, pp. 75-93).

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L’affido: protagonisti e problematiche 31

Generalmente si tratta di un assistente sociale e/o di uno psicologo che agi-scono all’interno di un Comune o, in caso di delega, di una azienda sanitaria lo-cale, nell’ambito del Servizio organizzato per l’affidamento familiare»33.

Dal momento che, come stabilito nell’articolo 1 della legge 149/2001:

Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria fami-glia (comma 1); Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia; A tal fine a favore della famiglia sono disposti in-terventi di sostegno e di aiuto (comma 2), l’operatore, prima di giungere al-la decisione dell’allontanamento del minore dal proprio nucleo familia-re, deve intervenire affinché vengano offerte alle famiglie a rischio inter-venti di sostegno e aiuto, e solo quando si è valutato, nonostante gli in-terventi, che le famiglie non sono in grado di provvedere alla crescita e all’educazione del minore, può essere presa in considerazione la scelta dell’affidamento.

L’intervento dell’affido coinvolge più soggetti e gli operatori non possono «accostare questo intervento a logiche di causalità lineare o ad approcci semplificatori, poiché molti insuccessi e frustrazioni derivano da un tal modo di procedere»34. Proprio per tale ragione nella realizza-zione di un progetto di affido l’operatore non deve rivolgere lo “sguar-do” esclusivamente al minore ma anche alla famiglia di origine e agli af-fidatari, con una preparazione idonea. È necessaria la conoscenza e la valutazione da parte dell’operatore dei bisogni, dei desideri, delle emo-zioni, del vissuto, delle aspettative del bambino, dei disagi della famiglia e delle sue dinamiche interne e delle capacità di cambiamento della stes-sa famiglia; per far ciò l’operatore necessita di competenze teoriche, tec-niche, culturali ed emotive.

È importante quindi che, essendo obiettivo primario dell’operatore quello di far sì che con adeguate risorse, possano essere risolti i problemi della famiglia di origine al fine di reinserire quest’ultimo nel suo nucleo, prima di dare avvio al programma di affido, venga svolto un attento e-same critico sulla validità della inidoneità della famiglia, infatti per po-ter organizzare e orientare un intervento di affido è fondamentale che l’operatore analizzi e valuti la situazione per meglio comprenderne le

33 Sanciola Lia, Il dono della famiglia: l’affido oltre l’educazione assistita, Paoline, Mi-

lano, 2002. 34 Sanciola Lia, Il dono della famiglia: l’affido oltre l’educazione assistita, Paoline, Mi-

lano, 2002.

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Capitolo secondo 32

motivazioni e le cause che hanno portato all’allontanamento del bambi-no, e quindi alla crisi del nucleo familiare, le difficoltà che possono sca-turire per il minore da una condizione problematica e, la volontà dei ge-nitori a risolvere i suoi problemi.

Ne consegue dunque che l’operatore dovrà porre attenzione alle pro-blematiche del minore e della famiglia naturale, in modo da poterle af-frontare e risolvere, tutelando il loro interesse, e identificare una fami-glia affidataria adeguata per il minore, da accompagnare durante tutto l’iter del progetto offrendole aiuto e sostegno.

Sanciola L.35 evidenzia in modo chiaro che l’operatore nelle fasi di re-alizzazione dell’affido:«

• È l’esperto dell’ambito territoriale in cui lavora, cioè ha maggior-mente presente il quadro della realtà in cui si muove e si trova ad agire.

• È il punto di riferimento competente a ricercare un equilibrio tra le sfide presenti (bisogni dei bambini in situazione di difficoltà, esi-genze e problematiche familiari) e le risorse, intese come espressione della solidarietà sia comunitaria sia istituzionale.

• Facilita sia la ricerca e la promozione degli interventi più adeguati per i bambini e per le famiglie, sia la concretizzazione e la gestione dei medesimi.

• È collaboratore di altre figure professionali nella messa a punto e nell’implementazione del progetto.

• Tiene i rapporti con l’autorità giudiziaria, alla quale risponde per quanto previsto dalla legge.

• Collabora con le associazioni familiari. • Cura la documentazione».

Per meglio gestire il progetto di affido, intervento molto complesso,

l’operatore, lavorando con persone che appartengono a situazioni cultu-rali e sociali differenti, deve saper confrontarsi e rispettare le diverse po-sizioni culturali accettandone la diversità e costruendo un intervento che tenga conto di tali differenze e faccia sì che possano essere ben integrate tra loro.

In base a ciò, risulta dunque opportuno che nel suo programma riesca a “dar vita” ad un rapporto di parità e di collaborazione tra le due fami-

35 Sanciola Lia, Il dono della famiglia: l’affido oltre l’educazione assistita, Paoline, Mi-

lano, 2002.

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L’affido: protagonisti e problematiche 33

glie, cioè quella naturale e quella affidataria, le quali devono aver modo di conoscersi, accettarsi, ed essere spronate a collaborare e ad avvicinare le loro realtà per aiutare il minore.

L’operatore per aiutare il minore ad affrontare il provvedimento di affido dovrebbe offrirgli aiuto e sostegno psicologico in base a quelle che sono le sue caratteristiche, la sua esperienza e le sue personali relazioni, soprattutto perché «il minore, che già vive in una famiglia problematica con un sistema relazionale spesso deficitario o esasperato, affronta una serie di prove che generano in lui sentimenti di abbandono, di colpevolezza, di incertezza, di paura, di ambiva-lenza con riflessi importanti sulla maturazione psichica»36; è allora importante che lo aiuti a non colpevolizzarsi e sentirsi responsa-bile per l’allontanamento e, ad affrontare il procedimento di affido in modo sereno, senza ansie e paure.

Fondamentale è anche la capacità dell’operatore di instaurare un buon rapporto comunicativo con gli attori coinvolti, poiché la persona in difficoltà sentendosi ascoltata, presa in considerazione, e quindi parte centrale di un progetto fatto su misura per lei, riesce con più facilità ad attivarsi in un percorso “mettendosi a nudo”.

Essendo il fine dell’affidamento, come detto precedentemente, quello del ricongiungimento del minore nel suo nucleo familiare è quindi au-spicabile, come spiegato sopra, riuscire a costruire un intervento che possa mantenere vivo il rapporto con la famiglia di origine e favorire una relazione di collaborazione tra le due famiglie affinché gli affidatari possano, seguendo quelle che sono le indicazioni educative dei genitori, esercitare per un periodo limitato i compiti che spettano a questi ultimi. Naturalmente «Il primo atto di questa collaborazione è sempre, tutte le volte che è possibile, una conoscenza fra le due coppie; questo attenua molte paure reciproche e permette ad entrambi, al di là delle parole, di capire»37.

36 I percorsi dell’affidamento familiare in Toscana: dal sostegno della genitorialità alla tu-

tela di bambini e ragazzi. Documenti, strumenti ed esperienze, Istituto degli Innocenti, Regione Toscana.

37 Fiocchi D. , La famiglia d’origine durante l’affidamento familiare: il ruolo dei servizi, in «Prospettive assistenziali», 1998, n. 122.

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Capitolo secondo 34

Una collaborazione tra le due famiglie è opportuna anche perché il minore, oltre ad essere preparato al percorso di affido dagli operatori, spiegandogli le motivazioni che hanno portato dell’allontanamento dalla sua famiglia, gli obiettivi del progetto e le modalità di relazione con la sua famiglia, deve essere accompagnato e sostenuto anche dai suoi geni-tori; è dunque importante che il suo nucleo si dimostri collaborativo per far sì che il bambino non viva la separazione come una rottura e una mi-naccia per la sua famiglia.

Inoltre, al termine del percorso di affido se il minore, data la situazio-ne, può rientrare nella sua famiglia l’operatore ha ancora il compito di esercitare un’attenta vigilanza sulla situazione oggettiva e relazionale nella quale egli verrà a trovarsi, e sostenerlo nella fase di distacco dagli affidatari.

Da quanto detto scaturisce che gli operatori devono vigilare costan-temente sul progetto di affido per verificare se procede in modo positivo per gli attori e, per valutare se si rendono necessari ulteriori interventi per il benessere e il sostegno del minore o della famiglia.

Altro lavoro, opportuno e necessario, che i Servizi Sociali e quindi gli operatori devono svolgere è quello relativo alla sensibilizzazione sul te-ma dell’affido, al fine di promuovere tale esperienza, attraverso campa-gne permanenti e momenti d'incontro tra le famiglie affidatarie e i citta-dini affinché possa verificarsi un’informazione e un consistente interes-samento da parte dell’opinione pubblica su quelle situazioni problema-tiche di deprivazione, devianza ed emarginazione che molti minori, a causa delle difficoltà e delle carenze delle loro famiglie, si trovano a vi-vere, sull’importanza di offrire ad ogni bambino l’opportunità di cresce-re in un contesto sano ed affettivo, sulla possibilità di aiutare e accom-pagnare lui e la sua famiglia nel superamento del disagio.

Gli operatori hanno il compito di programmare la verifica in itinere del progetto di affidamento, al fine di valutare l’andamento e l’efficacia dell’intervento, gli eventuali cambiamenti, quindi una verifica che deve produrre “una relazione semestrale sull’andamento del programma di assi-stenza, sulla sua presumibile ulteriore durata e sull’evoluzione delle condizioni di difficoltà del nucleo familiare di provenienza”, (art. 4 comma 3 L. 149/2001), da inviare al giudice tutelare o al Tribunale per i minorenni a seconda che si tratti di affido amministrativo o giudiziario.

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L’affido: protagonisti e problematiche 35

2.2.1. Il ruolo dell’operatore con la famiglia naturale

Gli operatori, con adeguate metodologie, devono riuscire, per quel che riguarda il nucleo naturale, ad individuare quelle che sono le cause della loro crisi, per aiutarli a superarla, e ad instaurare un rapporto di collaborazione; infatti risulta importante, per evitare che il progetto di affido possa rivelarsi un insuccesso, la relazione che gli operatori, nella fase iniziale, instaurano con la famiglia aiutandola a capire dov’è e qual è il problema, come risolverlo e ricostruire insieme un nucleo familiare idoneo per il minore, quindi il rapporto che bisogna costruire con il nu-cleo biologico

«deve avvenire all’insegna della massima trasparenza, della assoluta sincerità relativamente alla situazione nella quale si trova il bambino o alle sue possibili cause.

I genitori hanno il diritto di sapere quali sono gli elementi che gli operatori hanno rilevato su cui si chiede alla famiglia un cambiamento. Se i genitori non ne sono informati è illusorio pensare che possano cambiare»38.

È quindi essenziale che i Servizi, instaurando un rapporto di fiducia e

collaborazione con i genitori, ovviamente dove possibile, gli accompa-gnino nella comprensione e accettazione delle difficoltà e nella loro riso-luzione, affinché non subiscano passivamente l’intervento; ciò in virtù del fatto che con il procedimento di affido non è solo il minore ad aver bisogno di aiuto e sostegno ma anche la famiglia, la quale necessaria-mente necessita di essere sostenuta nel percorso di cambiamento e supe-ramento delle problematiche.

Di conseguenza obiettivo fondamentale, nel momento in cui gli ope-ratori intervengono in supporto alla famiglia multiproblematica, è cerca-re, nei casi in cui è possibile, di aiutare i genitori naturali a riacquisire le capacità genitoriali al fine di poter svolgere positivamente il loro ruolo, recuperando anche quello che è il rapporto con il figlio/i, infatti è neces-sario, considerando le risorse che la famiglia possiede, mettere in atto una serie di interventi che possano produrre un cambiamento positivo.

In tal modo le famiglie avvertono che gli operatori e le istituzioni non sono dei “nemici” ma un sostegno a loro e ai loro bambini, non si sento-no escluse e “additate come negative” ma considerate come capaci di ri-

38 Fiocchi D. , La famiglia d’origine durante l’affidamento familiare: il ruolo dei servizi,

in «Prospettive assistenziali», 1998, n. 122.

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Capitolo secondo 36

solvere i problemi che hanno portato all’allontanamento e spronate al cambiamento; è quindi auspicabile un rapporto chiaro e corretto tra le due parti e la condivisone del progetto di affidamento con i genitori, es-sendo queste condizioni favorevoli per una migliore accettazione del percorso anche da parte del bambino, dato che

«quando la famiglia d’origine del bambino condivide la scelta dell’affidamento familiare, si realizzano le condizioni ideali perché il passaggio da una famiglia all’altra avvenga in un clima rassicurante che non minaccia l’equilibrio del bambino»39.

Dove possibile è utile anche farle conoscere la famiglia affidataria e,

metterla nella condizione di capire che essa non potrà mai prendere de-finitivamente il suo posto nella vita del bambino ma che può aiutarlo a crescere in modo equilibrato per il tempo necessario alla risoluzione dei suoi disagi.

Gli operatori sostenendo e aiutando le famiglie possono realizzare un intervento

«che deve tendere non solo a erogare prestazioni assistenziali, ma a modificare le fragilità relazionali che hanno influenzato negativamente il rapporto dei geni-tori con il figlio (o con i figli). Pertanto nel concordare il progetto di affidamento con i diversi attori si avrà cura di precisare dettagliatamente anche gli obiettivi, gli interventi di aiuto psicologico, sociale, materiale, le fasi di verifica che ri-guardano la famiglia naturale»40.

Quest’ultima quindi dovrà essere, con adeguate risorse ed attenzione,

accompagnata dagli operatori sociali verso cambiamenti significativi e verso il recupero delle caratteristiche e delle condizioni idonee per lo svolgimento del suo ruolo e l’eliminazione delle cause del suo disagio e dei suoi problemi per far sì che possa tornare ad occuparsi del figlio/i. Per tali ragioni sarà ancora compito degli operatori aiutare i genitori a capire che l’intervento di affido è un aiuto anche per loro, finalizzato a

39 Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, I bambini e gli adolescenti in affidamento familiare. Rassegna tematica e riscontri empirici, Firenze, Istituto degli Innocenti, Agosto 2002 (Questioni e Documenti, n. 24, pp. 75-93).

40 I percorsi dell’affidamento familiare in Toscana: dal sostegno della genitorialità alla tu-tela di bambini e ragazzi. Documenti, strumenti ed esperienze, Istituto degli Innocenti, Regione Toscana.

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superare le loro difficoltà, i loro problemi e a ricostruire il loro nucleo familiare per il rientro del minore.

Gli operatori dovranno quindi valutare e regolare i rapporti dei geni-tori con il minore e gli affidatari e programmare modi e tempi per il ri-entro del minore in famiglia.

In conclusione si può dunque dire che la presa in carico della famiglia da parte dei Servizi Sociali territoriali, e quindi degli operatori, si pone come condizione indispensabile ed imprescindibile per la buona riuscita dell’affido stesso.

2.2.2. Il ruolo dell’operatore con gli affidatari

“Il servizio sociale, nell’ambito delle proprie competenze, su disposizione del giudice

ovvero secondo le necessità del caso, svolge opera di sostegno educativo e psicologico, agevola i rapporti con la famiglia di provenienza ed il rientro nella stessa del minore se-condo le modalità più idonee, avvalendosi anche delle competenze professionali delle al-tre strutture del territorio e dell’opera delle associazioni familiari eventualmente indica-te dagli affidatari”, (articolo 5 comma 2 L. 149/2001).

Nel percorso di affido gli operatori hanno il compito, per quel che

concerne gli affidatari che si candidano all’affido di un minore, di valu-tare e verificare se possono essere un aiuto positivo per “quel” minore e “quella” famiglia, analizzando quelle che possono essere le loro risorse, i loro limiti, le loro caratteristiche e la disponibilità ad intraprendere un cammino così delicato da parte di tutti i componenti della famiglia, in relazione alle esigenze e alle problematiche del minore.

Gli affidatari devono essere preparati su quella che è la storia, le pro-blematiche e le relazioni familiari del bambino, poiché è necessario che essi lo accettino con la sua famiglia, le sue problematiche e le sue origi-ne, infatti Tonizzo Frida41 evidenzia che essi devono accettarlo non solo «di testa» ma «col cuore», cioè capire che quel bambino proviene da un ambiente, da una famiglia che bisogna conoscere e comprendere, e per far ciò devono essere aperti ai problemi degli altri; a tal proposito l’operatore cercherà di comprendere se tale famiglia sia capace di non rifiutare la famiglia naturale con tutte le sue problematiche e le sue diffe-renze.

41 Tonizzo Frida, Perché l’affidamento familiare: risposta ad alcune obiezioni, «Prospet-tive assistenziali» , n. 79, luglio – settembre 1987.

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Ne consegue che bisognerà orientare la famiglia affidataria nella co-noscenza del minore e della sua famiglia, nei casi in cui è coinvolta nel progetto, per sostenerla ad assumere un atteggiamento di comprensio-ne/collaborazione verso la famiglia naturale, dovrà essere aiutata dall’operatore a svolgere quello che è il suo ruolo, cioè accogliere il mi-nore, offrirgli cure, attenzioni e affetto per il tempo necessario affinché i suoi genitori superino le loro difficoltà, considerando che non diventerà suo figlio e che anzi dovrà incoraggiare e sostenere la riunificazione del nucleo di origine; dovrà inoltre essere spronata a capire e comprendere che non è opportuno, per il benessere del bambino, puntare il dito con-tro la famiglia, ciò in ragione del fatto che «la «condanna» dei loro geni-tori significherebbe anche la loro condanna («se loro - i genitori - sono cattivi, allora sono cattivo anch'io»)»42.

Alla luce di quanto detto sin ora e dato che la famiglia affidataria si troverà a svolgere un compito molto difficile è necessario che l’operatore le fornisca una corretta informazione/formazione sull’affido, un’adegua-ta prepara zione per affrontare tale situazione, per collaborare con l’altra famiglia, per interpretare le problematiche del minore affidato e per la-vorare in modo stimolante per lui, cioè di una formazione su quelli che sono i punti fondamentali dell’affido, soprattutto si renderà necessario farle comprendere che andrà a svolgere un ruolo solo temporaneo che la vedrà coinvolta in un sostegno non solo al minore ma anche alla sua fa-miglia. Per tali ragioni è inoltre utile, nell’ambito del progetto di affido, che gli operatori tengano in considerazione le possibili criticità che la famiglia affidataria, che accoglie minori particolarmente problematici e gravemente compromessi, potrebbe trovarsi ad affrontare, prevedendo opportuni e mirati strumenti di supporto e di integrazione alle risorse delle famiglie affidatarie stesse.

Emerge quindi, a mio avviso, che i Servizi sociali, e quindi gli opera-tori, dovranno accompagnare e sostenere gli affidatari per tutto il per-corso dell’affido, offrendo loro aiuto materiale, dove necessario, clinico e sociale, poiché si ritrovano ad affrontare un impegno molto complesso che richiede loro di mettere in gioco se stessi e il proprio equilibrio fami-liare, di aprirsi ed accettare una realtà differente, con innumerevoli diffi-coltà che vanno comprese e capite e, soprattutto di favorire qualsiasi possibilità di ricongiungimento del minore nel suo nucleo di origine; ne scaturisce allora che

42 Tonizzo Frida, Perché l’affidamento familiare: risposta ad alcune obiezioni, «Prospet-

tive assistenziali» , n. 79, luglio – settembre 1987.

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«l'affidamento è una scelta di impegno sociale che la famiglia non può realizza-re da sola. L'affidamento é destinato a fallire se non è adeguatamente sostenuto da parte degli amministratori, degli operatori, dei magistrati e della stessa co-munità»43.

2.2.3. Lavoro di rete

Data la complessità, la molteplicità dei problemi e le difficoltà che in-globa l’affido, l’operatore non può lavorare da solo ma necessita di un lavoro di équipe che contemporaneamente possa mettere in atto un in-tervento sociale, psicologico, educativo e sanitario, essendo in tal modo aiutato e sostenuto da altre figure professionali. Ciò alla luce del fatto che per comprendere le dinamiche familiari che hanno portato alla crisi e sulle quali costruire un progetto di aiuto, sia per il minore che per i ge-nitori, bisogna lavorare su più aspetti e, per far questo è utile l’intervento di diversi Servizi in un lavoro integrato, infatti l’affido rap-presenta

«un intervento che implica un coinvolgimento di più Servizi in un lavoro obbli-gatoriamente integrato, una responsabilità che va assunta da più soggetti com-petenti. Una diagnosi corretta è la base per una buona prognosi, fondamento di un intervento programmato a misura dei bisogni e delle potenzialità reali della famiglia. Si può coinvolgere solo chi si conosce bene e solo facendo leva sulle parti buone e sane che ciascuno possiede. Ma le parti buone e sane, spesso, sono le più nascoste. La conoscenza passa necessariamente attraverso l’ascolto di tut-ti i membri della famiglia e del minore in particolare. Nessun progetto che inte-ressi un minore, secondo le attuali leggi, potrebbe essere avviato senza che il minore venga interpellato e coinvolto. L’obbligo sussiste anche per il giudice che dovrà valutare se il progetto proposto dai Servizi corrisponde all’interesse del bambino e quindi verificare se è congruo rispetto alle sue problematiche, se è adeguato ai suoi bisogni, se è conforme alle sue potenzialità, se è rispettoso dei suoi tempi.»44.

43 Tonizzo Frida, Perché l’affidamento familiare: risposta ad alcune obiezioni, «Prospet-

tive assistenziali» , n. 79, luglio – settembre 1987. 44 De Marco Giulia, La Famiglia che accoglie, Tratto dalla Conferenza Nazionale

della Famiglia Firenze 24-26 Maggio 2007.

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Capitolo secondo 40

Un lavoro di rete così impostato risulta quindi positivo ed importante poiché promuove interventi mirati volgendo lo sguardo alle diverse sfaccettature della situazione, in modo da consentire ai soggetti coinvolti di usufruire di un aiuto e di una valutazione che considera tutti gli a-spetti, le cause e gli effetti delle loro difficoltà.

Nello stesso tempo un supporto fondamentale al lavoro dell’operatore viene offerto anche dall’autorità giudiziaria per quel che concerne la tutela del minore, la valutazione in itinere, la verifica e la conclusione dell’affido.

Ovviamente, un progetto che vede la collaborazione di varie profes-sionalità deve basarsi necessariamente su un confronto e una comunica-zione costante dal momento che, come afferma il Presidente del Tribuna-le per i Minorenni di Potenza Pasquale Andria45,

«Tutto il percorso che porta ad una decisione deve essere connotato da

un’attitudine costante alla comunicazione tra tutti i soggetti e gli attori della scena. Questa comunicazione non può essere soltanto burocraticamente affidata alla relazione scritta; ha bisogno di concretizzazioni anche in una comunicazio-ne verbale diretta. Questo deve essere poi contemperata con le esigenze dei vari soggetti coinvolti nella vicenda.

Credo ci debba essere una capacità di interagire dentro un progetto». La realizzazione di un lavoro multidisciplinare, quindi, può meglio

aiutare il bambino con la sua famiglia e sostenere in modo adeguato le famiglie affidatarie, infatti la progettazione concernente l’affidamento risulta ottimale e positiva se realizzata con la collaborazione, del minore, dei suoi genitori, degli affidatari, dei Servizi sociali e delle diverse figure professionali.

È ancora necessaria una collaborazione degli operatori dei servizi con tutti i soggetti coinvolti anche nel momento della conclusione del per-corso di affido, poiché in tale fase si pone la necessità di compiere una valutazione dei risultati, in relazione agli obiettivi stabiliti al momento della definizione del progetto, valutazione che per essere realizzata ri-chiede il coinvolgimento di tutti gli attori coinvolti.

45 Tratto da un intervento del Presidente del Tribunale per i Minorenni di Poten-

za Pasquale Andria.

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2.3. Problematiche psico-sociali

Il bambino per crescere e formarsi ha bisogno di legami stabili, forti e significativi «[…] La crescita e lo sviluppo si svolgono in una continua dialettica tra appar-tenenza e separazione, tra spinta all’esplorazione e mantenimento del contatto con la figura di attaccamento. In particolare questa esplorazione è possibile, o quantomeno facilitata, solo quando può partire da una base sicura. In questo senso l’attaccamento è il più importante aspetto di una relazione, anche se non l’unico, e fa riferimento alla possibilità di costruire un rapporto di protezione con una figura forte e rassicurante. Per attivarsi, il sistema dell’attaccamento deve essere supportato adeguatamente da un ambiente sociale stimolante e da esperienze positive: il bambino fin dai primissimi mesi viene a costruirsi, nell’interazione con la figura che si prende cura di lui, un modello mentale di sé e dell’altro, ed è su questo modello che verranno a strutturarsi tutte le sue rela-zioni future significative.»46.

Si evidenzia l’importanza, quindi, per il suo sviluppo, di relazioni con figure significative che possano aiutarlo a crescere in modo equilibrato, dato che solo nel momento in cui il bambino vive in un ambiente favo-revole alla sua crescita psico-fisica, ambiente che consente l’interazione tra i soggetti e lo fa sentire accettato in una relazione con persone impor-tanti, può scoprire il suo sé e costruire la sua identità.

Da tale necessità si può comprendere dunque che nell’affidamento ol-tre a migliorare quelle che possono essere le condizioni familiari, eco-nomiche e sociali del minore è condizione essenziale secondo Petillo R. , Salvucci A. , Cifarelli D.47, anche salvaguardare la stabilità emotiva del minore che qualsiasi tipo di cambiamento può compromettere, poiché, quest’ultimo, trovandosi a fronteggiare, nell’affido, continue separazioni dalle sue figure di riferimento, con la conseguente perdita di punti di ri-ferimento fondamentali per uno sviluppo armonico, può sentirsi in col-pa, ritenendosi la causa della separazione dalla famiglia, o tradito, e av-vertire sofferenza, senso di angoscia, ansia e senso di perdita, accompa-

46 Cambiaso G. , L’affido come base sicura: la famiglia affidataria, il minore e la teoria

dell’attaccamento, Milano, F. Angeli, 1998. 47 Petillo R. , Salvucci A. , Cifarelli D. , L’affidamento del minore. Aspetti psicologici,

sociali, giuridici, (Intervento di D. Cafarelli: Il “minore” come persona autonoma ) Lati-na, Penne & Papiri, 1993.

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gnati dal “timore di un continuo abbandono” che possono portarlo ver-so una chiusura e una difficoltà a stabilire rapporti affettivamente im-portanti, “facendo emergere, in lui, difficoltà emotivo-relazionali”.

Da non sottovalutare è anche il fatto che il minore, soggetto ad un provvedimento di affido, si ritrova a vivere più distacchi e separazioni avvertendo continuamente il senso di abbandono, poiché infatti non vi sarà solo la separazione con la famiglia naturale ma ««il minore vivrà questo momento di distacco e quindi di abbandono anche quando dovrà separarsi dalla famiglia affidataria: sottoporremo così il minore ad una durissima prova per ben due volte.

Egli perderà per la seconda volta le sue figure di attaccamento con l’aggravante che, avendo più volte esperito una tale situazione traumatica, que-sta si insinui così tanto nella sua psiche da temere per tutta la vita di dover esse-re forzosamente separato dalle persone care.»48.

Queste continue separazioni che il bambino deve affrontare implica-no l’elaborazione di una perdita definita come lutto e, poiché è necessa-rio per il suo sviluppo crescere in una relazione e, nel momento in cui la famiglia naturale non può far fronte a questa necessità, per qualsiasi ra-gione, diventa necessario «trovare nella nuova famiglia che lo accoglie una relazione che possa evocare e nello stesso tempo rendere possibile quella mancata per «elaborare il lutto», per riuscire a capire cosa è successo e per capire che non è stato abbandonato, nel senso tragico del termine, che cioè non è morto psicologicamente, ma che c’è la possibilità che il suo io continui ad esistere.»49.

Nell’affidamento familiare, inoltre, il minore si ritrova tra due rela-zioni, la famiglia naturale e quella affidataria avvertendo un senso di appartenenza ad entrambe le famiglie, ciò inevitabilmente gli richiede un compito non semplice che è quello di porsi in una situazione di equi-librio, situazione che potrebbe fargli vivere un conflitto di lealtà nei con-

48 Petillo R. , Salvucci A. , Cifarelli D. , L’affidamento del minore. Aspetti psicologici,

sociali, giuridici, (Intervento di D. Cafarelli: Il “minore” come persona autonoma ) Lati-na, Penne & Papiri, 1993.

49 Famiglie per l’accoglienza, Affido: una esperienza educativa. Atti del convegno della associazione, (La duplice appartenenza: l’identità del bambino, di Giulietta Loreti, psico-loga), Milano, EDIT, 1987.

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fronti dei sui genitori. Diventa allora essenziale, instaurando una colla-borazione positiva tra famiglia affidataria, famiglia naturale e operatori, aiutare il minore a non avvertire in modo conflittuale l’appartenere a due famiglie ma, anzi, a trarre vantaggio per la sua crescita e per la co-struzione della sua personalità.

Da quanto detto sin ora si comprende l’importanza, per il benessere e lo sviluppo del bambino, di operare nel suo interesse, riuscendo a co-gliere tutte le sue necessità e i suoi bisogni in considerazione della sua continua evoluzione.

In estrema sintesi, la famiglia, crescere all’interno di una famiglia, è quindi condizione essenziale per la crescita del bambino, perché

«Questo bisogno di famiglia da parte del bambino, sempre e comunque, in qualsiasi momento della sua storia, che sia neonato o infante di pochi mesi o bambino di qualche anno più grandicello o adolescente ancora alla ricerca della sua identità, diviene il suo diritto primario, un diritto che per farlo valere deve essere assunto dalla comunità in cui il minore cresce.

II diritto del bambino nasce dalla riflessione sui suoi bisogni. Perché il bam-bino, fin dalla nascita, è un insieme di bisogni-potenzialità, di capacità che deb-bono trovare l'ambiente adatto per essere soddisfatte ed esprimersi (il bisogno di esistere nel cuore dell'adulto, diviene, se sperimentato, la capacità di pensare agli altri con fiducia ed oblatività, il bisogno di essere amato di un bambino di-viene via via, se soddisfatto in modo positivo, la sua propria capacità di rela-zionare correttamente con gli altri).»50.

2.3.1. Le problematiche della famiglia affidataria nel procedimento di affido

Alla famiglia affidataria, durante il progetto di affido, è richiesto un compito molto difficile che è quello di essere in grado di attuare un cambiamento al suo interno, di comprendere, senza giudicare, le diffi-coltà e le problematiche dei genitori naturali, poiché il bambino perce-pendo l’atteggiamento non colpevolizzante degli affidatari nei confronti dei suoi genitori riesce ad accettare più facilmente “l’appartenere” a due famiglie, avendo così la possibilità di vivere la sua doppia collocazione senza conflittualità. Inoltre, la si vede impegnata in un “lavoro”, nel qua-

50 Cappellaro Gabriella, Crollo Liliana, L’affidamento familiare di bambini piccoli, in «Prospettive assistenziali», n. 114, aprile-giugno 1996.

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le “è tenuta” a mettersi in gioco, che deve portare il minore al raggiun-gimento di un equilibrio favorevole alla sua crescita, quindi per poter fa-re ciò dovrà possedere una buona maturità che possa consentirle di in-staurare un rapporto con un minore problematico sostenendolo e accet-tandone le sue difficoltà personali, affettive e relazionali. È utile quindi valutare la maturità degli affidatari, comprendendone le motivazioni che hanno portato ad una scelta che li vede impegnati solo temporane-amente come figure genitoriali, valutare allora, come spiegano Petillo R., Salvucci A., Cifarelli D.51: «se è cioè realmente pronto ad assumere una funzione che è “largamente genitoriale”, ma che non può esserlo in to-to.»; ciò in ragione del fatto che, non potendo decidere da soli su quelli che sono gli aspetti educativi e di crescita del minore, devono necessa-riamente avere una maturazione che possa portarli a condividere con al-tri genitori, quelli naturali, e con gli operatori gli interventi utili per la crescita del bambino.

Ne consegue che gli affidatari, consapevoli della temporaneità del lo-ro “ruolo” e del fatto che percorreranno con il bambino solo “un tratto di strada insieme”, devono accettare, e questo deve essere fatto anche dalla famiglia naturale, la presenza nella sua vita anche di un’altra famiglia perché in tal modo il minore avrà il vantaggio di vivere con più facilità la separazione dai genitori e l’opportunità, senza limiti e sensi di colpa, di poter far tesoro, per la sua crescita, dell’aiuto e del sostegno della fa-miglia affidataria,

«[…] Il punto è che la nuova famiglia non lo accolga come un possesso, un pro-prio, come qualche cosa che dice: «sei mio, dimentica quello che è successo pri-ma! Che cattivi i tuoi genitori!», (come quando uno comincia ad avere i propri figli adolescenti si rende conto che non sono più «propri»)»52.

Risulta ancora importante, per il compito che si ritrovano a svolgere

gli affidatari, un’osservazione costante del minore per poterne com-prendere le difficoltà, i bisogni, i desideri e i comportamenti, la conqui-sta della sua fiducia un po’ per volta senza forzature, offrendo lui tutto il

51 Petillo R. , Salvucci A. , Cifarelli D. , L’affidamento del minore. Aspetti psicologici,

sociali, giuridici, (Intervento di D. Cafarelli: Il “minore” come persona autonoma ) Lati-na, Penne & Papiri, 1993.

52 Famiglie per l’accoglienza, Affido: una esperienza educativa. Atti del convegno della associazione, (La duplice appartenenza: l’identità del bambino, di Giulietta Loreti, psico-loga), Milano, EDIT, 1987.

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tempo necessario per inserirsi ed orientarsi nella loro famiglia e per ac-cettare il cambiamento, il quale comporta un diverso ambiente, diversi stili comportamentali e di vita, cosa sicuramente non veloce e facile da fare.

Inoltre, nel momento in cui il minore avverte che la famiglia affidata-ria oltre a lui accoglie il suo passato e tutto ciò che appartiene anche ai suoi genitori biologici sarà più aperto verso gli affidatari e si sentirà me-no in colpa per l’allontanamento dalla sua famiglia; è fondamentale dunque, come evidenzia Guido Cattabeni53 che essa accetti la storia del minore, il suo passato e il suo presente, considerando che non è solo ma che vicino a lui ci sono altre figure importanti.

Si evidenzia dunque la necessità e la complessità, da parte della fami-glia affidataria, di riuscire ad accogliere e comprendere il bambino con i suoi legami e la sua storia cercando di entrare in relazione con lui, ri-spettando i suoi tempi di apertura nei loro confronti senza forzalo in al-cun modo, ciò perché come spiega ancora Cattabeni54

«La nuova situazione in realtà è inevitabilmente ansiogena e se i tentativi per

rassicurarlo sono gesti che cercano di accelerare un incontro affettivo più inti-mo, si avranno delle reazioni emotive di segno contrario.

Gli affidatari devono comprendere il bisogno del bambino di decodificare il loro linguaggio non verbale, devono permettergli di mantenere le distanze di sicurezza sul piano della relazione affettiva, devono lasciarsi conoscere, osser-vare per tutto il tempo necessario, lasciandosi avvicinare gradualmente e ri-spondendo positivamente alle richieste, ma in misura del bisogno del bambino e non del loro bisogno.».

È opportuno che la famiglia affidataria, soprattutto nel caso in cui ab-

bia dei figli, renda tutti i membri partecipi della scelta di intraprendere un progetto di affido poiché è importante, per l’equilibrio della stessa famiglia, che tutti siano d’accordo, soprattutto è utile confrontarsi ed e-sporre quelle che possono essere le preoccupazioni di ognuno, i ruoli e

53 Cattabeni Guido, Il minore in affido: problemi affettivi, psicologici e sociali, (Rela-zione tenuta il 4 marzo 1983 al seminario di studio «L'affidamento familiare», orga-nizzato dall'USSL n. 2 di Piacenza), in «Prospettive assistenziali», n. 66, aprile - giu-gno 1984.

54 Cattabeni Guido, Il minore in affido: problemi affettivi, psicologici e sociali, (Rela-zione tenuta il 4 marzo 1983 al seminario di studio «L'affidamento familiare», orga-nizzato dall'USSL n. 2 di Piacenza) in «Prospettive assistenziali», n. 66, aprile - giu-gno 1984.

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le relazioni che verranno a costruirsi, l’importanza di “riorganizzare” i tempi e gli spazi in funzione di questa scelta, così impegnativa, per poter meglio integrare le abitudini della loro famiglia con quelle del minore.

Concludendo, si può quindi ritenere essenziale che la famiglia affida-taria, per accogliere al suo interno un bambino proveniente da una si-tuazione familiare critica che presenta al suo interno situazioni che pos-sono essere connotate da carenze sociali, culturali, economiche, da man-canza di significative relazioni educative ed affettive, da condizioni di trascuratezza e maltrattamento,

«deve avere una motivazione corretta, non deve essere possessiva, non deve es-sere giudicante nei confronti del bambino e della famiglia di origine, non deve tendere ad assimilare il bambino ma rispettarne la storia e l’appartenenza ad un’altra famiglia, deve essere pronta a condividere la responsabilità dell’educazione con i suoi genitori, deve essere capace di aiutare il bambino ad assumere la sua doppia collocazione come un arricchimento e non come una perdita, deve essere capace di separarsi comunicando al bambino non la pro-pria inevitabile sofferenza ma la gioia per la realizzata ricongiunzione ai suoi. La scelta di accogliere un soggetto estraneo come temporaneo figlio o fratello deve essere condivisa da tutti i membri della famiglia, dai figli in particolare; il legame familiare deve essere molto forte e strutturante perché i bambini spesso vengono da situazioni di grave deprivazioni e possono essere destabilizzanti per l’equilibrio familiare.»55.

2.3.2. Le problematiche della famiglia naturale nel procedimento di affido

Le problematiche delle famiglie naturali che portano all’allontanamento del minore possono essere molteplici e riguardare si-tuazioni: di grave disagio economico, che impediscono ai genitori di provvedere al mantenimento e all’educazione dei figli; di tossicodipen-denza; di maltrattamenti, per i quali

«si intendono sia comportamenti “attivi”, da parte di figure adulte e in partico-lare dei genitori nei confronti dei figli, come la violenza fisica, emozionale o l’abuso sessuale, lo sfruttamento (accattonaggio, spaccio, prostituzione), sia

55 De Marco Giulia, La Famiglia che accoglie, Tratto dalla Conferenza Nazionale

della Famiglia Firenze 24-26 Maggio 2007.

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L’affido: protagonisti e problematiche 47

“passivi”, come la mancanza di cure necessarie per rispondere ai bisogni prima-ri ed evolutivi tipica della trascuratezza. Tali comportamenti possono presen-tarsi come isolati o associarsi in diverso modo tra loro, determinando manife-stazioni diverse e variabili nel tempo.»56;

di insufficienza culturale ed educativa, affettiva e relazionale; ecc.. Dal momento che queste problematiche incidono e sono pregiudizievoli per un sano sviluppo del minore richiedono un intervento idoneo di aiuto e supporto ai genitori a capire e ad affrontare quelle che sono le loro diffi-coltà e i loro disagi, “lavoro” sicuramente non facile.

Nel caso in cui, invece, è la stessa famiglia a chiedere e ad appoggiare l’intervento di affido l’individuazione della crisi che sta attraversando diventa un “lavoro” più facile, poiché i Servizi potranno individuare le problematiche attraverso la valutazione delle motivazioni che hanno portato i genitori a ritenere la loro situazione familiare critica e, a vedere la scelta di allontanare il figlio/i dalla propria famiglia come migliore so-luzione per loro e per esso; diventa esenziale ricercare l’origine dei pro-blemi e delle difficoltà dei genitori, poiché in tal modo si può, entrando nella parte più nascosta del loro vissuto,

«entrare nel mondo interiore delle figure genitoriali, nel loro modo di agire e

rapportarsi al figlio, le loro modalità di proiettare esperienze precedenti, magari vissute con le proprie figure genitoriali, mai risolte ed ora riversate sul figlio che in qualche modo sembra ricordarglieli. Ogni bambino può assumere significati molto diversi per i genitori in quanto su di essi il genitore stesso al di fuori dello stato cosciente, può proiettare le proprie paure, le parti di sé inaccettate, perce-pite come negative e per questo angosciose.»57.

Collaborando può essere lei stessa, la famiglia naturale, ad aiutare il

minore a capire ciò che sta accadendo, spiegandogli le motivazioni che hanno portato a questo allontanamento temporaneo, il ruolo che dovrà svolgere la famiglia affidataria e soprattutto l’importanza che questo in-tervento ha per il suo interesse. Per quei casi dove non si riscontra, inve-

56 Roberto Maurizio, Dare una famiglia a una famiglia. Verso una nuova forma di Affi-

do, Fondazione Paideia, Comune di Torino, EGA. 57 Petillo R. , Salvucci A. , Cifarelli D. , L’affidamento del minore. Aspetti psicologici,

sociali, giuridici, (Intervento di D. Cafarelli: Il “minore” come persona autonoma ) Lati-na, Penne & Papiri, 1993.

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Capitolo secondo 48

ce, una collaborazione da parte della famiglia sarà l’operatore ad infor-mare e tranquillizzare il minore.

Ne consegue quindi che con la collaborazione dei genitori naturali viene a crearsi anche una situazione meno conflittuale per lo stesso bambino, il quale potrà vivere con più “tranquillità” la relazione che verrà ad istaurarsi con gli affidatari, infatti

«Quando la famiglia in cui il bambino ha vissuto fino a quel momento con-

divide o addirittura sceglie di sua iniziativa l'affido familiare come soluzione positiva alle sue necessità, troviamo le condizioni ideali perché il passaggio da una famiglia all'altra avvenga in un clima affettivo rassicurante tale da non mi-nacciare l'equilibrio della vita emotiva del bambino.

La famiglia affidataria può essere così vissuta dal bambino come un'esten-sione della famiglia cui appartiene, anziché una perdita di tutto ciò che lo fa es-sere quello che è.

L'attitudine collaborante degli affidanti facilita enormemente la preparazio-ne del bambino alla separazione dalla sua famiglia e, decolpevolizzando gli af-fidatari a livello emotivo profondo, semplifica loro il problema del rapporto da instaurare con il bambino.»58.

Bisognerà allora porre molta attenzione ai problemi delle famiglie na-

turali, alle loro risorse e potenzialità al fine di aiutarle a riacquisire, dove possibile, le loro capacità genitoriali.

58 Cattabeni Guido, Il minore in affido: problemi affettivi, psicologici e sociali, Prospet-

tive assistenziali, n. 66, aprile - giugno 1984.

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Capitolo terzo Aspetti giuridici dell’affidamento familiare

3.1. Le origini: dal diritto romano al 1977

Sia in Grecia che a Roma la vita e la libertà dei minori non avevano alcuna considerazione, infatti, soprattutto a Sparta, la legge prevedeva l’uccisione di bambini nati deformi e infermi, e a Roma era il pater fami-lias ad avere il diritto di vita o di morte sui figli.

Con il passare del tempo, anche con l’opera del Cristianesimo, la si-tuazione andò migliorando. Comunque il padre di famiglia continuava ad avere potere sui figli, ed era lui a decidere tutte le scelte di essi.

Fino alla fine dell’Ottocento il minore abbandonato non aveva alcun diritto ed era escluso dalla società civile; è solo nel 1899, quando a Chi-cago fu istituito il primo Tribunale per i minorenni, che si iniziò a dare attenzione al minore, istituzione che invece in Italia avvenne trentacin-que anni dopo, nel 1934 con un Regio Decreto. Solo dopo dieci anni dal-la nascita del primo Tribunale per i minorenni a Chicago in Italia si ha un primo progetto di legge minorile. Man mano si iniziano a prendere in considerazione quelli che sono i diritti dei minori e, nel 1924, a Ginevra, viene promulgata una prima Dichiarazione dei diritti del fanciullo.

Con l’istituzione, nel 1926, dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia viene prevista anche la misura del baliatico, infatti prima del 1983 in Ita-lia erano diffuse forme di affidamento denominate baliatico e collocamento e, come ci viene spiegato nel libro di Garelli F.59 «il baliatico può essere definito come quella pratica tramite la quale un ente, o persona privata, collocava l’infante, per motivi di «nutrizione», presso una bali-a, senza che tale atto fosse guidato da considerazioni d’ordine psicologico o so-ciale a protezione del bambino […] A proposito delle caratteristiche richieste alle balie il R.D. 27 luglio 1934 n. 1265 (T.U. delle leggi sanitarie) prevedeva: «L’esercizio del baliatico è subordinato ad autorizzazione del sindaco, che viene rilasciata dopo visita medica, la quale abbia accertato che la balia non è affetta da sifilide, blenorragia, tubercolosi o altra malattia diffusiva»

59 Garelli F. , L’affidamento: l’esperienza delle famiglie e i servizi, Roma, Carocci, 2000.

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Capitolo terzo 50

Il collocamento può essere definito come «il baliatico per un bambino non da allattare»». L’art. 176 del Regio Decreto 15 aprile 1926 n. 718 chiarisce:

«I fanciulli minori di dodici anni compiuti devono essere, di regola, collocati

presso famiglie, possibilmente abitanti in campagna, che offrano serie garanzie di onestà, laboriosità, attitudini educative e amorevolezza verso i bambini e di-spongano inoltre di un’abitazione conveniente e di mezzi economici sufficienti per provvedere al mantenimento dei fanciulli, ricevuti in consegna. I fratelli e le sorelle debbono essere possibilmente collocati presso la stessa famiglia, o alme-no nello stesso comune».

Nel baliatico la preoccupazione del legislatore era esclusivamente di tipo sanitario.

Nel 1942 il codice civile, che dedicava un apposito titolo del libro primo ai minori affidati alla pubblica assistenza, istituiva il giudice tutela-re, introduceva la tematica delle limitazioni della patria potestà e stabili-va nell’art. 404 che l’istituto di pubblica assistenza aveva il potere di af-fidare i minori «a persone di fiducia». La famiglia affidataria doveva, quindi, prendersi cura del minore affidato «come proprio figlio», occu-pandosi quindi della sua educazione, della sua istruzione e del suo man-tenimento. Era previsto, su richiesta, un assegno mensile in loro favore. Comunque, in tali disposizioni pur dando un’importanza prioritaria alla scelta dell’affidamento e solo secondaria a quella dell’istituziona-lizzazione, il numero dei minori in istituto non era diminuito.

Dopo la seconda guerra mondiale, l’art. 30 della Costituzione prevede uguali diritti tra figli nati dentro e fuori dal matrimonio nei confronti dei loro genitori, e stabilisce il principio per cui “nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti educativi da altri”.

L’espressione “figlio di NN”, cioè di nessuno, presente nei documenti ufficiali viene abolita con la L. n. 1064 del 1955, vengono eliminate l’indicazione della paternità e maternità perché non più utile per identi-ficare le persone.

L’ONU, nel 1959, presenta una nuova Carta dei diritti del fanciullo. Con la L. n. 1085 del 1962, in Italia, viene introdotta ufficialmente la

figura dell’operatore sociale. Nel 1967 vi fu la legge n. 431 sull’adozione speciale, che prevede nel

nostro ordinamento l’adozione legittimante dei minori in stato di ab-bandono, anche se solo una parte dei minori presenti negli istituti pote-va essere considerato in stato di abbandono e, inoltre, l’adozione può es-

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Aspetti giuridici dell’affidamento familiare 51

serci solo per i bambini di età inferiore agli otto anni. Nello stesso anno a Strasburgo venne pubblicata la Convenzione sull’adozione dei minori. Con tale legge, viene data importanza all’interesse del minore rispetto a quello dei genitori naturali. Questa legge pone il bambino nella condi-zione di entrare nella famiglia adottiva come figlio legittimo con gli stes-si diritti e doveri dei figli naturali mettendo fine ai rapporti fra la fami-glia di origine e i bambini al di sotto degli otto anni in stato di abbando-no ed eliminando il cognome delle famiglie naturali accanto a quello delle adottive.

Bisogna pur dire che con l’introduzione di tale legge, la 431/1967 sull’adozione speciale, inizia a farsi strada l’importanza di valutare le capacità educative delle future famiglie affidatarie.

Nel 1974 si ha lo scioglimento dell’OMNI e le funzioni amministrati-ve svolte da quest’ultimo ente vengono trasferite alle Regioni, le quali hanno l’obbligo di disciplinare le funzioni relative alla protezione e all’assistenza all’infanzia.

Con la L. n. 39 del 1975 la maggiore età passa dai 21 ai 18 anni, dando ai diciottenni il diritto di elettorato attivo. In questo stesso anno viene varata la L. n. 151 sulla riforma del diritto di famiglia.

Le funzioni amministrative relative all’organizzazione e alla messa in atto dei servizi di assistenza e di beneficenza, con il D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, vengono attribuite ai Comuni, secondo ambiti territoriali adegua-ti alla gestione dei servizi sociali e sanitari da determinarsi con leggi re-gionali.

Comunque bisogna notare che prima della legge 184/1983 l’istituto non ha avuto «una vasta applicazione in Italia, mentre è stato largamente applicato in Fran-cia, con ottimi risultati, da parte di donne (nubili o vedove) disposte ad occu-parsi generosamente di bambini temporaneamente privi di una famiglia»60.

3.2. L’affidamento familiare nella legge 4 Maggio 1983, n. 184

Nel 1983 entra in vigore la Legge n. 184 che, al Titolo I “Principi gene-rali” (art. 1), al Titolo I-Bis “Dell’affidamento del minore”,(artt. da 2 a 5) e al Titolo VI, “Norme finali, penali e transitorie” (artt. 71 e 80), introduce in

60 Manera Giovanni, L’adozione e l’affidamento familiare nella dottrina e nella giuri-sprudenza, Milano, F. Angeli, 2004.

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modo organico e sistematico l’istituto dell’affido familiare, la cui pratica, come abbiamo detto poco sopra, al fine di deistituzionalizzare bambini di più di otto anni esclusi dal beneficio dell’adozione speciale, si era già diffusa dal 1967.

Nella suddetta legge il legislatore traccia le linee guida per un inter-vento di tipo assistenziale, e ritiene utile disciplinare l’intervento del giudice tutelare, con il compito di rendere esecutivo l’affido disposto dai Servizi Sociali, e del Tribunale per i Minorenni, competente nei casi in cui rendendosi opportuno allontanare il minore dal suo nucleo non vi è l’assenso dei genitori.

Con l’art. 1 il legislatore sottolinea che: “Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia (comma 1)”; è necessario disporre interventi di aiuto e sostegno per le famiglie in difficoltà, poi-ché “Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia (comma 2)”; “Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie competenze, sostengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l'abbandono e di consentire al minore di essere e-ducato nell'ambito della propria famiglia. Essi promuovono altresì iniziative di formazione dell'opinione pubblica sull'affidamento e l'adozione e di sostegno all'attività delle comunità di tipo familiare, organizzano corsi di preparazione ed aggiornamento professionale degli operatori sociali nonché incontri di forma-zione e preparazione per le famiglie e le persone che intendono avere in affida-mento o in adozione minori. I medesimi enti possono stipulare convenzioni con enti o associazioni senza fini di lucro che operano nel campo della tutela dei mi-nori e delle famiglie per la realizzazione delle attività di cui al presente comma (comma 3)”; solo nei casi in cui la famiglia, dopo attenta valutazione e interventi di aiuto, risulta non essere in “grado di provvedere alla crescita e all'educazione del minore, si applicano gli istituti di cui alla presente legge (comma 4)”; qualsiasi minore, senza distinzione di sesso , di etnia, di età, di lingua, di religione e nel rispetto della identità culturale del minore ha diritto “a vivere, crescere ed essere educato nell'ambito di una famiglia”.

Da tale articolo si evince che prima di procedere all’allontanamento del minore dal suo nucleo è necessario disporre interventi di aiuto e so-stegno, al fine di consentire al bambino di vivere e crescere con i suoi genitori naturali.

L’allontanamento è previsto qualora gli interventi disposti per aiutare la famiglia di origine non siano sufficienti e il contesto familiare continui ad essere pregiudizievole per la crescita del minore, infatti la suddetta

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legge all’art. 2 comma 1 prevede che “Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto di-sposti ai sensi dell’articolo 1, è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno”. Per i casi in cui non è possibile l’affidamento familiare nella 184/1983 non viene eliminato il ricovero in un istituto assistenziale, infatti l’art. 2 comma 2 recita “Ove non sia possibile l’affidamento di cui al comma 1, è con-sentito l’inserimento del minore in una comunità di tipo familiare o, in man-canza, in un istituto di assistenza pubblico o privato, che abbia sede preferibil-mente nel luogo più vicino a quello in cui stabilmente risiede il nucleo familiare di provenienza. Per i minori di età inferiore a sei anni l’inserimento può avveni-re solo presso una comunità di tipo familiare”, però al comma 4 si sottolinea che “Il ricovero in istituto deve essere superato entro il 31 dicembre 2006 me-diante affidamento ad una famiglia e, ove ciò non sia possibile, mediante inseri-mento in comunità di tipo familiare caratterizzate da organizzazione e da rap-porti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia”, e al comma 5 “Le re-gioni, nell'ambito delle proprie competenze e sulla base di criteri stabiliti dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province auto-nome di Trento e di Bolzano, definiscono gli standard minimi dei servizi e dell'assistenza che devono essere forniti dalle comunità di tipo familiare e dagli istituti e verificano periodicamente il rispetto dei medesimi”.

Con l’art. 3 al comma 1 viene previsto che siano, prima della nomina di un tutore per il minore, le comunità e gli istituti di assistenza ad eser-citare i poteri tutelari: “I legali rappresentanti delle comunità di tipo familiare e degli istituti di assistenza pubblici o privati esercitano i poteri tutelari sul mi-nore affidato, secondo le norme del capo I del titolo X del libro primo del codice civile, fino a quando non si provveda alla nomina di un tutore in tutti i casi nei quali l'esercizio della potestà dei genitori o della tutela sia impedito”, al comma 2 si sostiene: “Nei casi previsti dal comma 1, entro trenta giorni dall'acco-glienza del minore, i legali rappresentanti devono proporre istanza per la nomi-na del tutore. Gli stessi e coloro che prestano anche gratuitamente la propria at-tività a favore delle comunità di tipo familiare e degli istituti di assistenza pub-blici o privati non possono essere chiamati a tale incarico” e, al comma 3: “Nel caso in cui i genitori riprendano l'esercizio della potestà, le comunità di tipo fa-miliare e gli istituti di assistenza pubblici o privati chiedono al giudice tutelare di fissare eventuali limiti o condizioni a tale esercizio”.

Si sottolinea inoltre, all’art. 4 comma 1, che è il servizio sociale a di-sporre l’affidamento, previo consenso dei genitori, e si legge “L’affidamento familiare è disposto dal servizio sociale locale, previo consenso

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Capitolo terzo 54

manifestato dai genitori o dal genitore esercente la potestà, ovvero dal tutore, sentito il minore che ha compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferio-re, in considerazione della sua capacità di discernimento. Il giudice tutelare del luogo ove si trova il minore rende esecutivo il provvedimento con decreto”, tale decreto deve indicare i motivi, i tempi e i modi dell’affidamento e sua presumibile durata, aspetto questo evidenziato al comma 3, nel quale viene indicato che “Nel provvedimento di affidamento familiare debbono esse-re indicate specificatamente le motivazioni di esso, nonché i tempi e i modi dell’esercizio dei poteri riconosciuti all’affidatario.”, bisogna inoltre indicare, come specificato al comma 4, “il periodo di presumibile durata dell’affidamento ed il servizio locale cui è attribuita la vigilanza durante l’affidamento con l’obbligo di tenere costantemente informati il giudice tutelare od il Tribunale per i Minorenni, a seconda che si tratti di provvedimento emesso ai sensi del primo o del secondo comma.”. Come spiegato al comma 2, nel caso in cui i genitori o il tutore non danno il loro consenso all’affidamento vi provvede il Tribunale per i Minorenni e “Si applicano gli articoli 330 e seguenti del codice civile”61.

Il termine dell’affidamento familiare, “valutato l’interesse del minore, quando sia venuta meno la situazione di difficoltà temporanea della famiglia d’origine che lo ha determinato, ovvero nel caso in cui la prosecuzione di esso rechi pregiudizio al minore (comma 5)”, si ha con un provvedimento dell’autorità che lo ha disposto, in virtù di ciò, il giudice tutelare “sentiti il servizio sociale locale interessato ed il minore che ha compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discer-

61 Art. 330 del Codice Civile: “Decadenza della potestà sui figli. Il giudice può

pronunziare la decadenza della potestà quando il genitore viola o trascura i doveri (147; Cod. Pen. 570) ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudi-zio del figlio. In tal caso, per gravi motivi, il giudice può ordinare l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare.”.

Art. 332 del Codice Civile: “Reintegrazione nella potestà. Il giudice può reinte-grare nella potestà il genitore che ne è decaduto, quando, cessate le ragioni per le quali la decadenza è stata pronunciata, e escluso ogni pericolo di pregiudizio per il figlio.”.

Art. 333 del Codice Civile: “Condotta del genitore pregiudizievole ai figli. Quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall'art. 330, ma appare comunque pregiudizievole al figlio, il giudice, secondo le circostanze può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l'allontanamento di lui dalla residenza familiare.

Tali provvedimenti sono revocabili in qualsiasi momento.”

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Aspetti giuridici dell’affidamento familiare 55

nimento, richiede, se necessario, al competente tribunale per i minorenni l'ado-zione di ulteriori provvedimenti nell'interesse del minore (comma 6)”.

Alle famiglie affidatarie viene richiesto di favorire il reinserimento del minore nella famiglia naturale e tenere in considerazione le condi-zioni di quest’ultima per quanto riguarda l’educazione e l’istruzione del minore, tranne in caso di decadenza o sospensione della potestà, aspetto questo che viene messo in rilievo all’art. 5 comma 1, il quale afferma che “L’affidatario deve accogliere presso di sé il minore e provvedere al suo mante-nimento e alla sua educazione e istruzione, tenendo conto delle indicazioni dei genitori per i quali non vi sia stata pronuncia ai sensi degli articoli 330 e 333 del codice civile, o del tutore, ed osservando le prescrizioni stabilite dall’autorità affidante. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 316 del codice civile. In ogni caso l’affidatario esercita i poteri connessi con la pote-stà parentale in relazione agli ordinari rapporti con la istituzione scolastica e con le autorità sanitarie. L’affidatario deve essere sentito nei procedimenti civili in materia di potestà, di affidamento e di adottabilità relativi al minore affidato”; nell’anzidetto articolo al comma 2 viene considerato anche il compito del servizio sociale in materia di affidamento, evidenziando che “nell’ambito delle proprie competenze, su disposizione del giudice ovvero secondo la necessità del caso, svolge opera di sostegno educativo e psicologico, agevola i rapporti con la famiglia di provenienza ed il rientro nella stessa del minore secondo le moda-lità più idonee, avvalendosi anche delle competenze professionali delle altre strutture del territorio e dell’opera delle associazioni familiari eventualmente indicate dagli affidatari”; al comma 4 si evidenzia che “Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie competenze e nei limiti delle disponibili-tà finanziarie dei rispettivi bilanci, intervengono con misure di sostegno e di a-iuto economico in favore della famiglia affidataria”.

Nell’art. 71 si sostiene che “Chiunque, in violazione delle norme di legge in materia di adozione, affida a terzi con carattere definitivo un minore, ovvero lo avvia all’estero perché sia definitivamente affidato, è punito con la reclusione da uno a tre anni.

Se il fatto è commesso…….. dalla persona cui il minore è affidato consegue la inidoneità ad ottenere affidamenti familiari o adottivi e l’incapacità all’ufficio tutelare. …… La pena stabilita nel primo comma del presente articolo si applica anche a coloro che, consegnando o promettendo denaro od altra utilità a terzi, accolgono minori in illecito affidamento con carattere di definitività. La con-danna comporta la inidoneità ad ottenere affidamenti familiari o adottivi e l’incapacità all’ufficio tutelare”.

In tale legge, alla persona affidataria vengono estese le disposizioni previste per i genitori naturali, ciò si può ben constatare all’art. 80 che al

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comma 1 afferma “Il giudice, se del caso ed anche in relazione alla durata dell’affidamento, può disporre che gli assegni familiari e le prestazioni previden-ziali relative al minore siano erogati temporaneamente in favore dell’affidatario”, e al comma 3 recita “Alle persone affidatarie si estendono tutti i benefici in tema di astensione obbligatoria e facoltativa dal lavoro, di permessi per malattia, di riposi giornalieri, previsti per i genitori biologici”, al comma 4 si segnalano i compiti delle regioni le quali “determinano le con-dizioni e modalità di sostegno alle famiglie, persone e comunità di tipo familiare che hanno minori in affidamento, affinché tale affidamento si possa fondare sulla disponibilità e l’idoneità all’accoglienza indipendentemente dalle condizioni e-conomiche”.

3.3. L’affidamento familiare nella legge 28 Marzo 2001, n. 149

Il legislatore ha modificato la legge 184/1983 con la legge 28 marzo 2001 n. 149, intitolata “Modifiche alla legge 4 maggio 1983 n. 184 recante «Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori», nonché al tito-lo VIII del libro primo del codice civile”. L’art. 1, con la nuova legge, è stato ampliato diventando oggetto di un apposito titolo denominato Di-ritto del minore ad una famiglia, sostituendo il titolo Principi generali e, il titolo I-bis della legge 184/1983, denominato Dell’affidamento familiare, nella legge 149/2001 è il titolo II con il nome Affidamento del minore.

Lo schema dell’affidamento presentato nella legge 184/1983 con i con-tenuti di temporaneità, consensualità, competenza dei servizi locali, con-trollo del giudice tutelare, viene mantenuto anche dall’attuale legge.

Per quel che riguarda l’art. 1 al comma 1 viene affermato che “Il mino-re ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia” e, continuando con il comma 2 “Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto”, per condizioni di in-digenza vengono prese in considerazione tutte le situazioni che possono causare pregiudizio al bambino e che di conseguenza necessitano di in-terventi di sostegno e di aiuto al nucleo familiare. Al comma 3 vengono stabiliti i compiti degli enti locali rispettivamente alle famiglie a rischio, “ Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie competenze, so-stengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, i nuclei familiari a rischio, la fine di preve-nire l’abbandono e di consentire al minore di essere educato nell’ambito della propria famiglia.”, alla formazione dell’opinione pubblica, alla prepara-

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zione e all’aggiornamento degli operatori e delle persone disponibili all’affido, “Essi promuovono altresì iniziative di formazione dell’opinione pub-blica sull’affidamento e sull’adozione e di sostegno all’attività delle comunità di tipo familiare, organizzano corsi di preparazione ed aggiornamento professiona-le degli operatori sociali nonché incontri di formazione e preparazione per le fa-miglie e le persone che intendono avere in affidamento o in adozione minori.”, per realizzare tali attività “I medesimi enti possono stipulare convenzioni con enti o associazioni senza fini di lucro che operano nel campo della tutela dei mi-nori e delle famiglie per la realizzazione delle attività di cui al presente comma”. Come specificato nel comma 4, l’allontanamento può esserci solo “quan-do la famiglia non è in grado di provvedere alla crescita e all’educazione del mi-nore”, si pone dunque l’accento sull’importanza di valutare i casi evitan-do allontanamenti non indispensabili.

Anche la Convenzione delle Nazioni unite sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata dall’Italia con la legge 27 maggio 1991 n. 176, si esprime in tal senso nell’art. 9 stabilendo:

«Gli Stati parti vigilano affinché il fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà, a meno che le autorità competenti non decidano, sotto riserva di revisione giudiziaria e in conformità delle norme procedurali appli-cabili che questa separazione è necessaria nell’interesse preminente del minore, […] ad esempio quando i genitori maltrattano o trascurano il fanciullo».

All’ultimo comma di tale articolo il legislatore stabilisce che tutti mi-nori hanno diritto ad una famiglia “senza distinzione di sesso, di etnia, di età, di lingua, di religione e nel rispetto della identità culturale del minore e co-munque non in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento.”.

Gli articoli della legge 184/1983 dedicati all’affidamento familiare so-no rimasti gli stessi, infatti gli artt. 2-3-4-5 della L. 184/1983 sono validi anche per la L. 149/2001, modifiche ci sono state per quel che concerne l’art. 80 della legge 184/1983 che è stato sostituito dall’art. 38 della legge 149/2001.

All’art. 2, come per la legge 184/1983, si sottolinea che l’affidamento è possibile quando gli interventi di sostegno e aiuto al nucleo familiare, come disposto dall’ art. 1, non abbiano dato i risultati sperati, e conti-nuano a presentarsi le possibilità dell’affidamento in primis ad una fa-miglia, o ad una persona singola e solo in assenza di tali possibilità vi può essere l’inserimento del minore presso una comunità di tipo familia-re, dal momento che “il ricovero deve essere superato entro il 31 dicembre 2006 mediante affidamento ad una famiglia e, ove ciò non sia possibile, median-

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te inserimento in comunità di tipo familiare caratterizzate da organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia.”.

La suddetta legge, infatti come spiegano Finocchiaro A. e Finocchiaro M.62 , «espressamente prevede, da un lato, che – in linea di principio – il minore tem-poraneamente privo di un ambiente familiare idoneo sia affidato ad una fami-glia, preferibilmente con figli minori, o a una persona singola e che solo ove non sia possibile l’affidamento ad uno dei detti soggetti (famiglia o persona singola), presso una «comunità di tipo familiare». Solo in «mancanza» - qualora, cioè, non sia possibile neppure l’affidamento ad una comunità di tipo familiare – si prevede, quale ultima ratio, il ricovero del minore presso un «istituto di assisten-za pubblico o privato». È rimasta – pertanto – ferma la regola della «gerarchia» tra le varie soluzioni».

Si evince quindi che anche l’affidamento familiare, come intervento che comporta un allontanamento, deve essere utilizzato solo quando ne ricorrono i presupposti e non va considerato come intervento buono per tutti i casi.

3.4. Conclusioni

Da quanto detto sin ora emerge che la legge n. 431/1967, sull’adozione speciale, la legge n. 184/1983 e la legge 149/2001 «costituiscono nel loro insieme una specie di “rivoluzione copernicana” che po-ne al centro dell’attenzione l’interesse del bambino e non, come dai tempi del diritto romano fino a una trentina di anni fa, l’interesse dell’adulto o il diritto del geni-tore sul figlio come su cosa propria»63.

Con tali leggi, e soprattutto con la legge 149/2001, quindi si cerca, po-nendo al centro di tutti gli interventi l’interesse del minore, con l’intervento dell’affidamento familiare, di dare al minore che si ritrova in una famiglia temporaneamente in crisi la possibilità, accompagnato e

62 Finocchiaro A. , Finocchiaro M. , Adozione e affidamento dei minori: commento alla

nuova disciplina: L. 28 marzo 2001, n. 149 e D. L. 24 aprile 2001, n. 150, Milano, Giuffrè, 2001.

63 Ichino Francesca, Zevola Mario, Affido familiare e adozione: minori in difficoltà, famiglia di sostegno e famiglia sostitutiva, 2. ed. , Milano, U. Hoelpi, 2002.

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Aspetti giuridici dell’affidamento familiare 59

seguito dagli operatori e dagli affidatari, di superare questo periodo senza interrompere il suo normale sviluppo, e si cerca nello stesso tem-po, con interventi di sostegno, di aiutare la famiglia naturale a riacquisi-re le sue competenze genitoriali per consentire al minore di rientrare nel suo nucleo di origine, fine ultimo della stessa legge 4 Maggio 1983 n. 184 come modificata dalla legge 28 marzo 2001 n. 149.

3.5. Riferimenti normativi precedenti

È interessante aggiungere che vi sono altre leggi, decreti legislativi e decreti ministeriali, che pur non riguardando specificatamente l’affidamento familiare vi fanno comunque riferimento al fine di tutelare il minore, le famiglie e le persone singole, che si propongono per l’affido, e le famiglie naturali che presentano varie difficoltà.

3.5.1. Legge 28 Agosto 1997, n. 285

A favore dell’infanzia e dell’adolescenza, affinché con adeguati inter-venti venga offerta la possibilità e il diritto ai minori, sia nella propria famiglia, sia in quella adottiva che in quella affidataria, di vivere e cre-scere in modo sano, la legge 28 Agosto 1997, n. 285, “Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza”, sottolinea che: “É istituito, presso la presidenza del consiglio dei ministri, il fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza finalizzato alla realizzazione di interventi a livello nazionale, regionale e locale per favorire la promozione dei diritti, la qualità della vita, lo sviluppo, la realizzazione individuale e la socia-lizzazione dell'infanzia e dell'adolescenza, privilegiando l'ambiente ad esse più confacente ovvero la famiglia naturale, adottiva o affidataria, in attuazione dei principi della convenzione sui diritti del fanciullo resa esecutiva ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176, e degli articoli 1 e 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 104.” (art. 1, comma 1). Tale fondo nazionale è disposto per i progetti relativi alla: “

a) realizzazione di servizi di preparazione e di sostegno alla relazione genitore-figli, di contrasto della povertà e della violenza, nonché di misure alternative al ricovero dei minori in istituti educativo-assistenziali, tenuto conto altresì della condizione dei minori stra-nieri;

b) innovazione e sperimentazione di servizi socio-educativi per la prima infanzia;

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Capitolo terzo 60

c) realizzazione di servizi ricreativi ed educativi per il tempo libero, an-che nei periodi di sospensione delle attività didattiche;

d) realizzazione di azioni positive per la promozione dei diritti dell'in-fanzia e dell'adolescenza, per l'esercizio dei diritti civili fondamenta-li, per il miglioramento della fruizione dell'ambiente urbano e natu-rale da parte dei minori, per lo sviluppo del benessere e della qualità della vita dei minori, per la valorizzazione, nel rispetto di ogni diver-sità, delle caratteristiche di genere, culturali ed etniche;

e) azioni per il sostegno economico ovvero di servizi alle famiglie natu-rali o affidatarie che abbiano al loro interno uno o più minori con handicap al fine di migliorare la qualità del gruppo-famiglia ed evi-tare qualunque forma di emarginazione e di istituzionalizzazione” (art. 3, comma 1).

3.5.2. Legge 8 Novembre 2000, n. 328

La legge 8 Novembre 2000, n. 328, “Legge quadro per la realizzazio-ne del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, rappresenta un punto fondamentale per gli enti locali dal momento che con essa «si de-linea per la prima volta in Italia in modo veramente incisivo un assetto giuridico di decentramento nell’ambito dell’assistenza e dell’intervento sociale»64.

Si pone in risalto, all’art. 1 comma 1, il fatto che “La Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali, promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inade-guatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione”; dove per “interventi e servizi so-ciali”, come indicato al comma 2, ci si riferisce alle attività, previste nel decreto legislativo 112/1998 art. 128 “relative alla predisposizione ed eroga-zione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona uma-na incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal siste-ma previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di am-ministrazione della giustizia”.

64 Intervento di Morgante Luca, Previdenza sociale, Welfare e amministrazione penale

in Italia. I piani di zona e gli Uffici di esecuzione penale esterna, Capo della Segreteria della Direzione Generale dell’esecuzione penale esterna.

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Aspetti giuridici dell’affidamento familiare 61

Intervento, dunque, che ha carattere di universalità, e di cui hanno di-ritto ad usufruirne, come sottolineato all’art. 2 comma 1, “i cittadini ita-liani e, nel rispetto degli accordi internazionali, con le modalità e nei limiti defi-niti dalle leggi regionali, anche i cittadini di Stati appartenenti all’Unione euro-pea ed i loro familiari, nonché gli stranieri, individuati ai sensi dell’articolo 41 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. Ai profughi, agli stranieri ed agli apolidi sono garantite le misure di prima assistenza, di cui all’articolo 129, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112”; sono comunque previste, al comma 3, le situazioni che richiedo-no la priorità ai servizi e alle prestazioni erogati dal sistema integrato di inter-venti e servizi sociali, situazioni relative ai: “soggetti in condizioni di povertà o con limitato reddito o con incapacità totale o parziale di provvedere alle pro-prie esigenze per inabilità di ordine fisico e psichico, con difficoltà di inserimen-to nella vita sociale attiva e nel mercato del lavoro, nonché i soggetti sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria che rendono necessari interventi assi-stenziali”.

Dall’art. 16 si evince che il “sistema integrato di interventi e servizi sociali riconosce e sostiene il ruolo peculiare delle famiglie nella formazione e nella cura della persona, nella promozione del benessere e nel perseguimento della coesione sociale; sostiene e valorizza i molteplici compiti che le famiglie svolgono sia nei momenti critici e di disagio, sia nello sviluppo della vita quotidiana; sostiene la cooperazione, il mutuo aiuto e l’associazionismo delle famiglie; valorizza il ruolo attivo delle famiglie nella formazione di proposte e di progetti per l’offerta dei servizi e nella valutazione dei medesimi. Al fine di migliorare la qualità e l’efficienza degli interventi, gli operatori coinvolgono e responsabilizzano le per-sone e le famiglie nell’ambito dell’organizzazione dei servizi” (comma 1). In merito a ciò, per quel che concerne il nostro discorso sull’affido familia-re, tale art. al comma 3 lettera f) specifica che “Nell’ambito del sistema in-tegrato di interventi e servizi sociali hanno priorità”anche :“f) servizi per l’affido familiare, per sostenere, con qualificati interventi e percorsi formativi, i compiti educativi delle famiglie interessate.”.

Questo sistema, come messo in risalto all’art. 22 comma 1, “si realizza mediante politiche e prestazioni coordinate nei diversi settori della vita sociale, integrando servizi alla persona e al nucleo familiare con eventuali misure eco-nomiche, e la definizione di percorsi attivi volti ad ottimizzare l’efficacia delle risorse, impedire sovrapposizioni di competenze e settorializzazione delle rispo-ste”. Al comma 2, tra gli interventi che “costituiscono il livello essenziale delle prestazioni sociali erogabili sotto forma di beni e servizi secondo le caratte-ristiche ed i requisiti fissati dalla pianificazione nazionale, regionale e zonale, nei limiti delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali, tenuto conto

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Capitolo terzo 62

delle risorse ordinarie già destinate dagli enti locali alla spesa sociale”, alla let-tera c) sono previsti “c) interventi di sostegno per i minori in situazioni di di-sagio tramite il sostegno al nucleo familiare di origine e l’inserimento presso famiglie, persone e strutture comunitarie di accoglienza di tipo familiare e per la promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza” e alla lettera d) le “d) misure per il sostegno delle responsabilità familiari, ai sensi dell’articolo 16, per favorire l’armonizzazione del tempo di lavoro e di cura familiare”.

«Si può dunque ragionevolmente sostenere che la legge 328, costituisce una riforma veramente significativa dell’impianto socio-assistenziale del nostro Pa-ese, sicuramente la più significativa dopo la legge Crispi del 1890, implicando, peraltro, un mutamento di fondo nel concetto di assistenza considerata come un diritto dei cittadini più che una prerogativa dell’ente pubblico e rafforzando so-prattutto la cultura della cooperazione, della integrazione e della sussidiarietà nella programmazione e gestione dei servizi.

Fulcro dell’impianto normativo sono le comunità locali con i loro bisogni concreti e con le risposte che le comunità stesse attraverso le istituzioni, le fami-glie , le organizzazioni sul e del territorio ai vari livelli, siano in grado o possano dare.

Rimane però tutelato il principio di solidarietà comprendente il territorio nazionale nella sua totalità a garanzia dei livelli essenziali di prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono far parte del patrimonio inalienabile di ogni cittadino.»65

3.5.3. Decreto Legislativo 26 Marzo 2001, n. 151

Con il D.L. 26 Marzo 2001, n. 151, “Testo Unico delle disposizioni le-gislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della Legge 8 Marzo 2000, n. 53”, i benefici con-cessi ai genitori naturali, relativamente ai congedi di maternità, di pater-nità, parentali, per malattia del bambino e ai riposi giornalieri, vengono estesi anche agli affidatari.

Infatti, nell’art. 26, si evidenzia che il congedo di maternità spetta an-che alle donne che hanno in affidamento un minore, “Il congedo di mater-nità di cui alla lettera c), comma 1, dell'articolo 16 può essere richiesto dalla la-voratrice che abbia adottato, o che abbia ottenuto in affidamento un bambino di

65 Intervento di Morgante Luca, Previdenza sociale, Welfare e amministrazione penale

in Italia. I piani di zona e gli Uffici di esecuzione penale esterna, Capo della Segreteria della Direzione Generale dell’esecuzione penale esterna.

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Aspetti giuridici dell’affidamento familiare 63

età non superiore a sei anni all'atto dell'adozione o dell'affidamento” (comma 1), congedo che può essere utilizzato “durante i primi tre mesi successivi all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia della lavoratrice” (comma 2).

Oltre al congedo di maternità è considerato anche quello di paternità, per il quale all’art. 31 si sottolinea che lo stesso vale anche per i lavorato-ri che hanno in affidamento un bambino.

È previsto per gli affidatari anche il congedo parentale, infatti all’art. 36 si legge che tale congedo “spetta anche per le adozioni e gli affidamenti”, specificando che “Il limite di età, di cui all'articolo 34, comma 1, è elevato a sei anni. In ogni caso, il congedo parentale può essere fruito nei primi tre anni dall'ingresso del minore nel nucleo familiare” (comma 2) e che “Qualora, al-l'atto dell'adozione o dell'affidamento, il minore abbia un'età compresa fra i sei e i dodici anni, il congedo parentale è fruito nei primi tre anni dall'ingresso del minore nel nucleo familiare”.

In merito ai riposi giornalieri l’art. 45, al comma 1, stabilisce che “Le disposizioni in materia di riposi di cui agli articoli 39, 40 e 41 si applicano an-che in caso di adozione e di affidamento entro il primo anno di vita del bambi-no”, quindi come per le lavoratrici madri così per le lavoratrici affidata-rie il datore di lavoro deve consentire “durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l'orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore” (art. 39, comma 1). “Le disposizioni di cui all'articolo 42 si applicano anche in caso di adozione e di affidamento di soggetti con handicap in situazione di gravità” (art. 45, comma 2).

Altro diritto spettante anche agli affidatari è quello relativo al conge-do per malattia del bambino, diritto questo stabilito all’art. 50; però bi-sogna sottolineare che, per quanto riguarda il limite di età del figlio ma-lato, mentre l’art. 47, comma 1, per i genitori naturali, sancisce che “En-trambi i genitori, alternativamente, hanno diritto di astenersi dal lavoro per pe-riodi corrispondenti alle malattie di ciascun figlio di età non superiore a tre an-ni”, per gli affidamenti e le adozioni, l’art. 50, comma 2, prevede che “Il limite di età, di cui all'articolo 47, comma 1, è elevato a sei anni”; al comma 3 invece si legge che “Qualora, all'atto dell'adozione o dell'affidamento, il mi-nore abbia un'età compresa fra i sei e i dodici anni, il congedo per la malattia del bambino è fruito nei primi tre anni dall'ingresso del minore nel nucleo familiare alle condizioni previste dall'articolo 47, comma 2”; le condizioni previste dall’art. 47, comma 2, sono “Ciascun genitore, alternativamente, ha altresì diritto di astenersi dal lavoro, nel limite di cinque giorni lavorativi all'anno, per le malattie di ogni figlio di età compresa fra i tre e gli otto anni”.

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Capitolo terzo 64

Come l’art. 66, comma 1, sancisce che per le “lavoratrici autonome, col-tivatrici dirette, mezzadre e colone, artigiane ed esercenti attività commerciali di cui alle leggi 26 ottobre 1957, n. 1047, 4 luglio 1959, n. 463, e 22 luglio 1966, n. 613, e alle imprenditrici agricole a titolo principale, è corrisposta una inden-nità giornaliera per il periodo di gravidanza e per quello successivo al parto cal-colata ai sensi dell'articolo 68”, così l’art. 67 comma 2 stabilisce che “In caso di adozione o di affidamento, l'indennità di maternità di cui all'articolo 66 spet-ta, sulla base di idonea documentazione, per tre mesi successivi all'effettivo in-gresso del bambino nella famiglia a condizione che questo non abbia superato i sei anni di età, secondo quanto previsto all'articolo 26, o i 18 anni di età, secon-do quanto previsto all'articolo 27”.

In riferimento invece alle libere professioniste l’art. 72 afferma che “L’indennità di cui all'articolo 70 spetta altresì per l'ingresso del bambino adot-tato o affidato, a condizione che non abbia superato i sei anni di età” (comma 1), che “La domanda, in carta libera, deve essere presentata dalla madre al com-petente ente che gestisce forme obbligatorie di previdenza in favore dei liberi professionisti entro il termine perentorio di centottanta giorni dall'ingresso del bambino e deve essere corredata da idonee dichiarazioni, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, attestanti l'inesistenza del diritto a indennità di maternità per qualsiasi altro titolo e la data di effettivo ingresso del bambino nella famiglia” (comma 2) e che “Alla domanda di cui al comma 2 va allegata copia autentica del provvedimento di adozione o di affida-mento” (comma 3).

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Capitolo quarto Uno sguardo al “Centro Affidi” della Provincia di Potenza

La Provincia di Potenza, oltre alle attività istituzionali di sua compe-tenza, da anni la si vede impegnata in materia di assistenza ai minori in situazioni di difficoltà socio-familiari e di rischio conclamato, problema-tiche alle quali inizialmente ha risposto attraverso l’ I.P.A.I. (Istituto Pro-vinciale Infanzia Abbandonata), riconvertito alla fine degli anni ‘80 in Comunità Centro Natascia e, quando in seguito la Comunità è stata chiusa, in virtù della legge 149/2001 che prevede la chiusura degli Istituti entro il 2006, ha voluto continuare a lavorare, in sintonia con il Tribunale per i Minorenni, per aiutare i minori in situazioni pregiudizievoli per la loro crescita psico-fisica con l’istituzione di un “Centro Affidi”, coinvol-gendo tutti i servizi territoriali del pubblico e del privato sociale per un’azione programmata che intende potenziare e promuovere in tutta la provincia l’affidamento familiare.

4.1. Il “Centro Affidi” della Provincia di Potenza, obiettivi e compiti

Il territorio della Provincia di Potenza, pur se piccolo rispetto ad altre realtà italiane (circa 387.444 abitanti), presenta, tra la popolazione, alcuni contesti familiari problematici caratterizzati da deficit economico, socio–culturale ed educativo, da nuclei monogenitoriali, dalla presenza di ge-nitori malati, con patologie psichiatriche, di tossicodipendenza e di alco-lismo, ecc..

Situazioni queste che, incidendo in modo negativo sia sulle condizio-ni di vita delle famiglie sia sullo sviluppo del minore e, risultando pre-giudizievoli per la crescita psico-fisica dei bambini, necessitano di inter-venti mirati di supporto e aiuto.

Per rispondere a queste condizioni di difficoltà delle famiglie e dei minori, l’Ente Provincia di Potenza, in collaborazione con il locale Tri-bunale per i Minorenni e l’Associazione il “Ponte gruppo Famiglie Affi-datarie”, ha voluto, nell’ambito delle Politiche Sociali, promuovere una “nuova” cultura della famiglia con l’istituzione di un “Centro-Affidi”, la cui realizzazione è stata approvata nel 2003 con deliberazione della giunta provinciale n. 207.

Il “Centro Affidi” nasce quindi dalla necessità di attuare interventi di aiuto e sostegno su tutto il territorio provinciale, e soprattutto dalla con-

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Capitolo quarto 66

siderazione che l’affidamento familiare, data la sua complessità e l’importanza che può rivestire per un sano sviluppo del minore, necessi-ta di un servizio territoriale di riferimento.

Prima di procedere alla spiegazione dei compiti del “Centro Affidi” vorrei sottolineare che al suo interno sono previste le figure professionali dell’assistente sociale, dello psicologo, dell’operatore pedagogico (peda-gogista, educatore), di una o più famiglie affidatarie dell’Associazione, e nei casi in cui si rileva necessario vi è anche l’intervento del neuropsi-chiatria infantile e del pediatra, figure queste che mettono in evidenza la scelta di svolgere un lavoro di rete, che veda un’interazione di più sog-getti per la progettazione, l’individuazione della metodologia, il con-fronto e la discussione delle strategie e dei percorsi di intervento, la pro-grammazione del piano di formazione e di aggiornamento; una rete dunque fondamentale ed essenziale per la complessità dell’affidamento familiare.

Premesso ciò, è interessante notare che il Servizio, ponendo al centro di ogni intervento il benessere e la tutela del minore, si pone come obiet-tivo quello di offrire ad ogni minore il diritto di vivere nella sua fami-glia, chiamando le istituzioni a sostenerla e aiutarla per consentirle di continuare ad occuparsi idoneamente del figlio, e solo nel momento in cui, accertato che ciò non risulta del tutto possibile aprire la strada all’intervento di affido con una famiglia affidataria, tendendo conto del-le esigenze del minore. Di conseguenza, gli operatori del “Centro Affi-di”, partendo dal presupposto che l’affidamento familiare non è “una soluzione definitiva, ma una tappa di un percorso sia personale che so-ciale, che da una parte preserva e rafforza l’identità del minore, dall’altra interviene in maniera trasversale sul contesto sociale operando per una cultura della tolleranza e dell’accettazione, della partecipazione di cia-scuno al processo educativo e della condivisone della responsabilità, re-troterra indispensabile per rendere realizzabile e per far maturare qual-siasi intervento sul singolo”, si propongono di lavorare “per una cultura dell’affido che va nella prospettiva della famiglia aperta”.

Risulta, inoltre, importante considerare che nel momento in cui si la-vora per un intervento che coinvolge persone, con delle proprie situa-zioni e caratteristiche, non si può pensare di realizzare progetti di affido uguali per tutti, senza tener conto della diversità degli utenti e soprattut-to delle situazioni sociali e culturali che sono in continuo mutamento. In virtù di ciò, gli operatori, dalla costituzione del “Centro – Affidi” ad og-gi, hanno cercato un confronto costante con le altre realtà nazionali, ri-flettendo sulle proprie esperienze e quelle altrui in modo da poter ag-

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Uno sguardo al “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 67

giungere al loro lavoro nuovi aspetti, e ciò al fine di rendere il più otti-male possibile l’intervento dell’affido nel territorio provinciale e rispon-dere con gli anni alle diverse problematiche. Infatti, il Servizio ha impo-stato il suo lavoro seguendo quelli che sono gli interventi a livello na-zionale e quelle che sono le linee guida del C.N.S.A. (Coordinamento Nazionale Servizi Affido), dal momento che, grazie all’impegno e al la-voro degli stessi operatori, il Centro è rientrato fra i componenti nel di-rettivo del C.N.S.A.. Tale impegno, del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza Assessorato alle Politiche Sociali, Pace, Immigrazione e Vo-lontariato, non solo a livello locale ma anche nazionale, emerge anche dalla pubblicazione, da parte di tale Ente, del 1° Rapporto di Attività del Coordinamento Nazionale Servizi Affidi.

Da quanto detto, credo possa evincersi l’attenzione e l’interesse che l’Ente nutre nei riguardi del benessere del minore, dell’affido e della sua promozione, e l’impegno di voler acquisire e apprendere, confrontando-si appunto con altre realtà, nuovi possibili aiuti e interventi, suggeri-menti ed idee per migliorare l’efficienza dei suoi interventi.

Gli operatori del “Centro Affidi” sono impegnati, partendo dal pre-supposto che ogni intervento e progetto di affido deve portare al rientro del minore in famiglia, nel compito di reperire famiglie e persone singo-le disponibili all’affido, da inserire in una banca dati, con relativa valu-tazione e selezione, la quale avviene attraverso colloqui che hanno l’obiettivo di analizzare e comprendere le motivazioni e le aspettative che hanno portato la famiglia o le persone singole alla scelta di intra-prendere la strada dell’affido, le sue risorse, i suoi limiti e le sue caratte-ristiche, al fine di valutare a quale situazione può meglio rispondere e offrire il suo aiuto.

Per le persone selezionate come possibili affidatari, il Centro provin-ciale, avvia un piano di formazione e di supporto teorico-pratico, of-frendo loro la possibilità di seguire un periodo formativo ed entrare in un gruppo di auto – aiuto, composto dalle persone selezionate come possibili affidatari, dagli operatori socio – assistenziali e dalle famiglie affidatarie dell’associazione Il Ponte, con l’obiettivo di prepararle ad af-frontare un impegno importante e complesso.

Successivamente alla selezione e formazione delle persone disponibili all’affido e all’esame delle segnalazioni dei minori a rischio, provenienti dai sevizi territoriali e dall’Autorità Giudiziaria, gli operatori del Servi-zio, con gli operatori dei servizi di base, incrociano, per l’abbinamento minore – famiglia affidataria, la storia del minore e quella degli affidata-ri.

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Capitolo quarto 68

Avviato il progetto educativo gli operatori del territorio e del “Centro Affidi” verificano e revisionano periodicamente il suo andamento, ag-giornandolo nei casi in cui si rende necessario, e si occupano di pro-grammare le fasi di rientro del minore in famiglia, oppure le iniziative da adottare per sostenerlo nella ricerca di altre soluzioni; seguendo quindi costantemente il minore e la famiglia affidataria.

È rilevante prendere in considerazione anche il fatto che il Progetto del “Centro - Affidi” ha promosso e attuato alcuni punti essenziali per poter mettere in campo e realizzare, sul territorio provinciale, dei pro-getti di affido che abbiano i requisiti fondamentali per rispondere alle esigenze del minore e delle famiglie, cercando di “garantire le condizio-ni sia di qualità dell’intervento che di organizzazione della struttura”. Infatti, ritenendo fondamentale ed essenziale che le parti impegnate in un lavoro così delicato siano adeguatamente preparate, ha previsto un’adeguata formazione per gli operatori coinvolti, offrendo loro “stru-menti, linguaggi e saperi comuni”, corsi per l’aggiornamento permanen-te e l’approfondimento, occasioni formative, come convegni e seminari, per una conoscenza e un confronto delle esperienze, del dibattito cultu-rale e della ricerca a livello nazionale, ciò a maggiore dimostrazione che, come spiegavo poco sopra, il Centro si propone di raggiungere degli ot-timi livelli per poter rispondere adeguatamente ai rischi e alle problema-tiche che “colpiscono” i minori con le loro famiglie.

Inoltre, data l’importanza della diffusione dell’affido e della cultura della solidarietà nei confronti di chi non ha avuto la fortuna di vivere in un ambiente sano e “normale”, ha avviato un percorso di promozione e diffusione dell’affido con campagne di informazione e sensibilizzazione dell’opinione pubblica sull’importanza che un tale intervento può avere per un minore che si ritrova a vivere in un contesto pregiudizievole per la sua formazione, al fine di far maturare tra i lucani un nuovo concetto di famiglia, che possa portare a cambiamenti positivi, e la consapevolez-za che esistono minori ai quali non vengono offerte le risorse necessarie per la sua crescita e che soprattutto sono temporaneamente privi di una famiglia idonea, perché la loro si presenta problematica e vive un perio-do di difficoltà. A tal proposito, al fine di pubblicizzare il “Centro Affi-di” e l’intervento di affido, ha sostenuto e appoggiato incontri, trasmis-sioni televisive/radiofoniche, stampa di materiali informativi, campagna di sensibilizzazione negli organismi territoriali, presso associazioni ecc.; aspetto questo che ha consentito di realizzare un elenco di persone di-sponibili all’affido.

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Uno sguardo al “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 69

In questi anni il Centro ha anche sostenuto attività, quali : la stipula di protocolli operativi, essendo la collaborazione tra i Servizi coinvolti un punto fondamentale in materia di minori e di affido; l’elaborazione di un Regolamento del “Centro Affidi” per definire le finalità, le proce-dure di intervento, i ruoli, le competenze e le funzioni dei vari settori e soggetti coinvolti; l’attivazione di una rete tra i diversi servizi del territo-rio; la promozione di uno spazio settimanale o quindicinale di pro-grammazione, per il confronto, l’analisi e la riflessione sugli interventi avviati (attività e metodologie).

Da quanto detto e in estrema sintesi, credo possa evincersi come il “Centro Affidi” abbia puntato alla qualità e all’efficienza degli interventi ponendo attenzione a quelli che sono gli aspetti qualitativamente impor-tanti, quali il costante lavoro di sensibilizzazione e promozione dell’affido familiare sul territorio provinciale, la realizzazione e l’attuazione di un corso di formazione e preparazione all’affido per le famiglie che risultano disponibili all’affidamento familiare, l’abbinamento minore – affidatari e l’inserimento dei miniori nelle fami-glie.

4.2. Attività svolte dal 2003 al 2008

Dopo aver considerato gli obiettivi e i compiti che il “Centro Affidi” della Provincia di Potenza, in collaborazione con il Tribunale per i Mino-renni e l’Associazione “Ponte” Famiglia Affidatarie, si è prefissato, nei sottoparagrafi successivi vorrei fare una disamina puntuale, che va dal 2003, anno della sua istituzione, sino al 2007, delle attività sia a livello qualitativo che quantitativo programmate ed attuate, in modo da poter mettere in luce gli aspetti concreti privilegiati dal Servizio per una cre-scita qualitativa dell’affido nel territorio provinciale.

4.2.1. Punto di vista qualitativo

Il “Centro Affidi” subito dopo la sua costituzione, dal 2003 al 2004, at-traverso incontri informativi nei Comuni con la cittadinanza, gruppi parrocchiali, associazioni, ha curato, al fine di far conoscere ai cittadini lucani tale servizio e gli obiettivi che si propone, la promozione e la sen-sibilizzazione con campagne informative, divulgazione di materiale in-formativo, come manifesti e depliants e, mediante i servizi sociali del territorio, di schede di disponibilità all’affido rivolte a famiglie, ha pro-

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mosso incontri tra Provincia, Servizi sociali dei comuni e Tribunale per i Minori, e ha aderito, data l’importanza di un confronto constante con le altre realtà italiane, al Coordinamento Nazionale Servizi Affidi, come rappresentante del Comitato Direttivo.

Nel 2005 ha promosso, proprio per la sua indubbia importanza, un corso di formazione rivolto a tutti gli operatori dei Servizi Sociali dei Comuni della Provincia e alle famiglie che hanno dato disponibilità all’affido, si è avuta la costituzione del I° gruppo di famiglie affidatarie, e sono stati programmati incontri con cadenza mensile del gruppo fami-glie con gli operatori del Centro Affidi (mutuo - aiuto).

Nel 2006 ha continuato, come disposto e programmato nell’anno pre-cedente, con il II ° corso di formazione per famiglie affidatarie, costitu-endo il II ° gruppo di famiglie affidatarie, con incontri a cadenza mensile del gruppo famiglie affidatarie con gli operatori del Centro Affidi (gruppo di mutuo - aiuto), ha inoltre promosso incontri informativi e partecipazione a seminari e convegni in Regione e fuori Regione, per consentire di approfondire le tematiche dell’affido, ha avviato rapporti con il Dipartimento Solidarietà Sociale per l’inserimento di minori in famiglie affidatarie in prossimità della chiusura degli Istituti al 31.12.2006, ed ha elaborato una bozza di Protocollo d’Intesa tra Provin-cia di Potenza, Servizi Sociali del territorio Provinciale e Tribunale per i Minori.

Successivamente ha previsto incontri con i Servizi Sociali del territo-rio provinciale e il Tribunale dei Minori per la condivisione del Protocol-lo d’Intesa, il quale il 29.11.2007 è stato firmato. In questo stesso anno ha avuto rapporti con il Dipartimento Solidarietà Sociale per la stesura del-le linee guida Regionali, ha stampato il I ° Rapporto del C.N.S.A., conte-nente documenti e riflessioni prodotte dal comitato direttivo, al quale la Provincia, attraverso un referente del Centro Affidi, vi partecipa.

Per il 2008 ha previsto delle giornate di sensibilizzazione presso i Comuni per il reperimento di nuove disponibilità da parte delle fami-glie.

4.2.2. Punto di vista quantitativo

Il lavoro iniziale del “Centro Affidi”, relativo all’informazione sull’affido, alla promozione e alla sensibilizzazione dei cittadini lucani a tale materia, per far sì che potessero avvicinarsi alle situazioni problema-tiche che molte famiglie a rischio vivono e comprendere l’importanza di un loro aiuto e sostegno sia per il minore che per la sua famiglia, al fine

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di diffondere maggiormente la cultura dell’affido, ovviamente non ha avuto temine nel 2004 ma è stato programmato ed attuato ogni anno. Ta-le impegno del “Centro Affidi” ha portato dal 2005 al 2007 all’adesione di 47 famiglie e persone interessate e motivate all’affido e 28 dal 2005 al 2006 sono rientrate nei Gruppi Famiglie Affidatarie.

Dal 2005 al 2008 si sono avuti 34 abbinamenti minori – affidatari, di cui 6 nel 2005, relativi ad affidi giudiziali; 17 nel 2006, suddivisi in 10 af-fidi giudiziali, un solo affido consensuale, un affido par – time, quindi sostegno madre – figlio, 4 affidi a lungo termine ed un affido ad adole-scenti in comunità, programmato nel periodo fine settimana, festività, vacanze estive; 9 per il 2007, i quali sono stati 4 affidi giudiziali e 3 affidi ad adolescenti in comunità; per quanto riguarda il 2008, al momento, sono in corso 2 abbinamenti, si parla di affidi giudiziali, di cui un affido a lungo termine ed un affido ad adolescente in comunità.

Per avere un’idea più chiara della situazione quantitativa degli affidi e per meglio comprendere l’attività concreta del “Centro Affidi”, ho co-struito due tabelle, qui di seguito riportate, le quali rappresentano la si-tuazione suddivisa per anni, nella tabella 1, che va dal 2005 al 2007, ho evidenziato i dati relativi all’adesione delle famiglie lucane disponibili all’affido e la composizione numerica dei Gruppi di Famiglie Affidata-rie, nella tabella 2, che considera il periodo dal 2005 al 2008, ho posto in rilievo i dati riguardanti gli abbinamenti minore – affidatari e le tipolo-gie di affidi attuati. Informazioni queste riportate anche in un grafico.

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Uno sguardo al “Centro Affidi” della Provincia di potenza 75

Dalla seconda tabella, e relativo grafico (2.1.), si evince che la maggior parte degli affidi sono giudiziali, ben il 22, aspetto questo che, secondo il mio punto di vista, potrebbe essere ricollegato al fatto che molte famiglie problematiche non vedono ancora nell’affido una possibilità di aiuto per loro e per i loro figli, non hanno ancora acquisito la cultura dell’affido, e di conseguenza avvertono tale intervento come una limitazione, vivendo i servizi e gli affidatari come dei “nemici” che vogliono portare via i loro figli.

Situazione questa che si ritrova un po’ in tutta Italia, infatti durante il Convegno Nazionale «Affido: Legàmi per crescere.», organizzato dal Comune di Torino il 21-22 Febbraio, il dott. Belotti66 evidenzia che nel 2005 il 70% degli affidamenti sono stati giudiziali.

Credo che da ciò emerga la necessità di lavorare ancora per i nuclei a rischio, di offrire loro servizi sempre più capaci e preparati nel risponde-re alle loro situazione e soprattutto nel colmare le loro paure.

4.2.3. Esempio di un affido familiare del “Centro Affidi” della Pro-vincia di Potenza

Vorrei portare un esempio concreto di affido realizzato dal “Centro Affidi”, i nomi sono di fantasia.

Giovanni, di anni 10, viveva con i suoi quattro fratelli ed una madre con problemi di alcool e psichici e senza il padre che era deceduto, un contesto familiare che non offriva lui cure e attenzioni materne di cui un bambino necessita, non costruttivo e idoneo per accompagnarlo nelle varie fasi della sua crescita e del suo sviluppo. Allontanato dalla madre, con due dei suoi fratelli, è stato ospitato in una casa famiglia per due anni. Poi una coppia, Marco e Luisa sposati con due figli di 11 e 14 anni, maturano l’idea di offrire il loro amore, le loro attenzioni, le loro cure, insomma la loro famiglia a chi purtroppo ne era stato privato. I due co-niugi si rivolgono al “Centro Affidi” e, come da procedura, l’operatore del Servizio, attraverso colloqui, valuta le motivazioni, le risorse che la famiglia può mettere a disposizione per accompagnare un minore e le sue aspettative, vengono così inseriti nella banca dati delle famiglie di-sponibili all’affido.

Inizia per loro un corso di formazione e preparazione, e l’inserimento in un gruppo di auto – aiuto, con famiglie disponibili all’affido, operato-

66 Coordinatore Attività Scientifiche Centro nazionale documentazione e analisi infanzia e adolescenza, Università di Padova.

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ri socio – assistenziali e famiglie affidatarie dell’associazione Il Ponte, al fine di aiutarli a comprendere e prepararli ad affrontare il compito, im-pegnativo e complesso, che andranno a svolgere.

Gli operatori del Centro, con il Tribunale per i Minorenni, procedono all’incrocio della storia di Giovanni, in relazione alla sua età e ai suoi bi-sogni, con quella di Marco, Luisa e la loro famiglia, e valutano che que-sta famiglia è idonea e può rispondere alle esigenze del piccolo Giovan-ni.

Inizialmente il progetto di intervento prevedeva che Giovanni conti-nuasse a vivere nella casa famiglia e Marco e Luisa potessero portarlo a casa loro il fine settimana e nei giorni di festa, passato un anno il Tribu-nale per i Minori ha stabilito un affido a lungo termine e Marco e Luisa hanno accolto Giovanni nella loro famiglia.

Tutto ciò non ponendo mai nessuna rottura con il nucleo di origine, ad eccezione della madre.

Emerge come, grazie al lavoro del “Centro Affidi” e all’amore che queste persone avevano da donare, un bambino ha avuto la possibilità di vivere in una famiglia, per lui si è aperta una nuova strada, con punti di riferimento significativi, perché anche se l’affido non dura per sempre e non si diventa figli e genitori, come per l’adozione, lascia comunque il segno nei cuori degli affidatari e del minore.

Con questa storia ed altre, che sono andate a buon fine nella provin-cia di Potenza, si è realizzato concretamente lo slogan del “Centro Affi-di”: “è tempo… di solidarietà e famiglia. L’Affido familiare è accogliere un bambino per aiutarlo a crescere in una famiglia… magari la tua!”.

4.3. Corso di formazione per le famiglie affidatarie

Partendo dal presupposto che il “Centro Affidi”, come considerato precedentemente, ha previsto ed attuato un corso di preparazione, for-mazione e approfondimento su quelle che sono le tematiche concernenti l’affido familiare, ho ritenuto opportuno ed interessante sottolineare gli aspetti che vengono privilegiati in questo piano di formazione. Scelta, questa, mossa dal credere che gli affidatari necessitano ed hanno biso-gno di essere preparati per affrontare una “sfida” così delicata che li ve-de rivestire un ruolo molto importante per il benessere del minore, ruolo che inevitabilmente li mette in discussione, li porta ad una “ricostruzio-ne” degli equilibri del loro stesso nucleo familiare e, ad una difficoltà nell’accettare sia la diversità della famiglia naturale, la quale presenta

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una sua storia e delle problematiche differenti, e sia la loro presenza du-rante il periodo di affido e il loro legame con il bambino.

Il corso di approfondimento, tenuto dagli operatori dell’Associazione “Progetto Famiglia” di Salerno, è suddiviso in 6 incontri ognuno dei quali tocca delle tematiche fondamentali in materia di affido, tematiche che vanno dagli aspetti sociali, giuridici, esperenziali dell’affido, sino a-gli aspetti psico – pedagogici relativi al vissuto degli affidatari e a quello dei minori.

Con il primo incontro, “Introduzione al corso e aspetti sociali dell’affido”, agli affidatari viene offerto un quadro inerente alle cause che portano al-la decisione di allontanare il minore dalla famiglia di origine, al progetto individualizzato di affido e all’abbinamento minori/affidatari, al prov-vedimento di affido, evidenziando la distinzione tra affido amministra-tivo ed affido giudiziario, all’avvio dell’affido familiare, alla sua durata e alla sua conclusione.

Nel secondo incontro, “Aspetti giuridici ed esperenziali dell’affido”, gli operatori pongono l’attenzione sulla normativa nazionale, regionale e locale in materia di affidi, evidenziando i diritti e i doveri degli affidatari e le provvidenze locali ed economiche disposte per loro, durante questo incontro sono previste anche la visione di uno spot sull’affido familiare, la testimonianza di alcune famiglie affidatarie e la testimonianza della comunità residente di una casa famiglia. L’idea di portare dell’esperienze concrete mi ha colpito positivamente, poiché penso che possano offrire, a chi intende intraprendere un progetto di affido, la pos-sibilità di confrontarsi con chi ha già vissuto questa esperienza e che può, forse, dare loro delle risposte e delle spiegazioni in più; inoltre, credo che un tale confronto oltre ad essere un vantaggio per i futuri affi-datari può esserlo anche per chi porta la propria testimonianza, perché consente loro di compiere un ulteriore gesto di solidarietà nei confronti dei minori che aspettano ed hanno diritto di vivere in un contesto sano, attento e capace di accompagnarli per un breve periodo.

Altro punto fondamentale del corso di preparazione è quello relativo agli “Aspetti psico-pedagogici”, in relazione al vissuto degli affidatari, per il quale gli operatori dell’Associazione “Progetto Famiglia” prevedono due incontri, il terzo ed il quarto. Vengono considerate la rigidi-tà/flessibilità delle aspettative, ciò in ragione del fatto che un atteggia-mento degli affidatari che evidenzia delle attese eccessivamente rigide è assolutamente negativo, poiché essi devono dimostrarsi aperti a possibi-li mutamenti e cambi di “rotta” e non pretendere e pensare che gli svi-luppi e le dinamiche relazionali seguano la “direzione” che essi hanno

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immaginato inizialmente; si fa attenzione ai figli, nel caso in cui gli affi-datari ne abbiano, ciò perché è fondamentale che anche essi siano d’accordo con questa scelta e la condividano; aspetti che gli operatori mettono ancora in evidenza si rifanno alla comunicazione nell’affido, e alla gestione dei conflitti; viene inoltre sottolineata l’importanza di accet-tare la diversità del minore, relativa alla sua storia ed alla sua famiglia naturale, perché risulta basilare che gli affidatari accolgano il bambino con tutta la sua situazione dal momento che è importante non porre nes-suna rottura con il passato e con i legami, egli ha bisogno di sentirsi ac-cettato senza nessuna discriminazione; e si considera la sfera della geni-torialità, per ciò che concerne le figure di “mamma e papà”.

A differenza di questi ultimi due incontri, con il quinto gli operatori pongono rilievo a quelli che sono gli “Aspetti psico-pedagogici” riguardan-ti il minore, con attenzione al suo vissuto affettivo in una famiglia “in difficoltà”, alle conseguenze che questo vissuto può portare nell’ attac-camento affettivo, ed al vissuto del minore in affido (l’affido familiare co-me “base sicura”).

Nell’ultimo incontro, “Conclusioni e verifica finale”, si ha l’obiettivo di rilevare le considerazioni maturate, l’importanza e l’utilità che il corso di approfondimento ha avuto per gli affidatari e, si basa su tre interrogati-vi:

- Cosa mi ha dato il corso? Verifica dell’attività svolta. - Cosa vorrei approfondire? Verifica del fabbisogno formativo. - Mi sento pronto? Comunicazione della disponibilità all’affido.

4.4. Collaborazione con il Tribunale per i Minorenni (Protocollo d’Intesa tra “Centro Affidi” – Tribunale per i Minori – Comuni del ter-ritorio provinciale)

Nel procedimento di affido, come emerso anche a livello nazionale, è importante la collaborazione tra più figure professionali, tra pubblico e privato, tra Servizi ed Enti, ciò perché un lavoro di rete, da un lato, per-mette di valutare sotto più aspetti le difficoltà, le esigenze e le problema-tiche dei nuclei di origine, del minore e delle famiglie disponibili all’affido e, dall’altro, consente di attuare interventi mirati per ogni si-tuazione, favorendo inoltre una migliore promozione dell’affido ed una sua crescita sia qualitativa che quantitativa.

Alla luce di ciò, e dal momento che, come spiegato, obiettivo fonda-mentale del Centro Affidi “è quello di dare risposte diverse a minori in famiglie in difficoltà, affrontare aspetti che mettono in gioco soggetti e

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professionalità diverse, dinamiche relazionali (tra genitori di famiglie diverse, tra adulti e minori) e dinamiche istituzionali fra i vari servizi (Tribunale per i Minori, Servizi Sociali, Consultori, Gruppi e Associazio-ni)”, e far sì che, a livello sociale, su tutto il territorio lucano possa cre-scere questa cultura educativa della solidarietà e della “famiglia aperta”, il Servizio Affidi, operando in materia di affido familiare che, data la sua complessità, richiede l’intervento di diverse professionalità e, ritenendo essenziale il confronto e lo scambio collaborativo tra i vari servizi territo-riali e i relativi operatori, ha fortificato le collaborazioni con: il Tribunale per i Minorenni della Basilicata, i Servizi Sociali Territoriali di base, i Consultori, Associazioni e Gruppi di Volontariato, tutte le istituzioni ed enti privati e pubblici che interagiscono con le problematiche minorili.

Proprio in virtù dell’importanza che, sia a livello nazionale che locale, un lavoro multidisciplinare ha nel campo dell’affido familiare è stato firmato, il 19 novembre 2007, un Protocollo d’Intesa (Lg. 149/2001), tra Provincia di Potenza “Centro Affidi”, Tribunale per i Minori e Servizi Sociali Comunali (n. 100) del territorio provinciale ognuno per le proprie competenze e specificità; l’ obiettivo prioritario è quello di tutelare il mi-nore e garantire lui un ambiente positivo per la sua crescita psicofisica, al fine di porre particolare attenzione, prima, durante e dopo l’intervento, alle dinamiche relazionali, ai vissuti personali, alle condi-zioni familiari, alla valutazione delle situazioni complesse e con alto co-involgimento emotivo, alle decisioni che oltre ad essere prese nel più breve tempo possibile vanno vagliate con cura, all’equilibrio dei rapporti che dovrebbe venire ad instaurarsi tra i vari attori coinvolti, alla verifica e al controllo costante del percorso.

L’idea di tale Protocollo d’Intesa per l’Affido Familiare Lg. 149/2001 è nato ed è stato stipulato in considerazione del fatto che “Tutti i bambini hanno diritto ad una famiglia”, che “La funzione dell’affidamento è di separare per poter riunire, per ridare significato ai rapporti logorati o malsani, per impedire che i danni subiti dai bambini e le difficoltà degli adulti arrivino ad un punto di non ritorno”, e che la legge 328/00 all’art. 7 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) attribuisce alle Province la programmazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali.

Dal Protocollo si evidenzia come il “Centro Affidi”, al fine di portare l’intervento dell’affido, nella provincia di Potenza, a dei risultati qualita-tivamente migliori, abbia valorizzato un lavoro di rete basato sull’interazione e la collaborazione, infatti ognuno, “Centro Affidi”, Tri-bunale per i Minorenni, Servizi Sociali Comunali, con il suo lavoro e in

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base alle proprie competenze crea un “collegamento” con gli altri; di se-guito vorrei evidenze i procedimenti e le funzioni che li vedono impe-gnati nella realizzazione di un lavoro di interazione e collegamento.

Il “Centro Affidi”, impegnato nella sensibilizzazione e, nella valuta-zione, selezione e formazione delle persone disponibili all’affido, attua incontri di auto – aiuto per le famiglie affidatarie e, in virtù dei rapporti di collaborazione che vengono ad instaurarsi, il Tribunale per i Minori invia, per la formazione e per gli incontri, le famiglie disponibili all’affido. La banca dati delle famiglie formate e disponibili all’affido, “costruita” dal “Centro Affidi”, viene messa a disposizione del Tribuna-le per i Minori e dei Servizi Sociali Comunali. Questi ultimi, individuano le situazioni familiari a rischio psico-fisico-sociale-ambientale per il mi-nore, fanno riferimento alla banca dati per “estrapolare” famiglie affida-tarie per l’accoglienza di un minore e, in tal modo valutano le soluzioni che meglio soddisfano i bisogni del minore in rapporto al vissuto fami-liare, all’età e alle prospettive di evoluzione della situazione familiare, offrendo così al “Centro Affidi” gli elementi utili a definire il profilo del-la famiglia o della persona singola adatta all’accoglienza del minore. Il Centro fa una relazione sociale sulla famiglia affidataria individuata per il minore con una relativa scheda illustrativa. Insieme concordano l’abbinamento tra minore e famiglia affidataria e, stilano il progetto d’intervento.

In caso di affidi giudiziali il Tribunale per i Minori richiede l’intervento di un operatore del “Centro Affidi” per l’individuazione di famiglie affidatarie idonee per eventuale inserimento di un minore in af-fido giudiziale e/o a rischio, fornendo elementi utili sul bambino per ot-timizzare la scelta della coppia affidataria. Successivamente incontra la famiglia affidataria proposta dal “Centro Affidi” e vaglia con l’operatore dello stesso l’idoneità della famiglia e l’eventuale abbinamento con il minore. Valutato idoneo l’abbinamento, il Tribunale dei Minori, concor-da con il “Centro Affidi” e i Servizi sociali le strategie d’intervento dell’affido e, assegna loro la predisposizione dell’affido, emettendo ido-neo provvedimento di allontanamento del minore dalla propria fami-glia.

A tal punto gli operatori dei Servizi Sciali Comunali attivano inter-venti a sostegno della famiglia d’origine per modificare quei fattori che hanno determinato l’intervento dell’affido dello stesso.

Congiuntamente, l’equipè psico-sociale dei Servizi Sociali Comunali con gli operatori del Centro Affidi provinciale, collaborano al fine di fornire sostegno alla famiglia affidataria nel percorso di affidamento con

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colloqui, visite domiciliari e relazioni sociali da inviare al Tribunale per i Minori in caso di affido giudiziale ovvero al Giudice Tutelare, verificano e revisionano il progetto educativo per eventuale aggiornamento, con-cordano le modalità di rientro nella famiglia d’origine del minore o le proposte di soluzioni alternative, relazionando, in caso di affidi giudi-ziali, al Tribunale per i Minori, e definiscono con il “Centro Affidi” gli aspetti burocratici – amministrativi e tutte le questioni correlate all’affido.

Gli operatori del “Centro Affidi”, inoltre, offrono consulenze per i gruppi di sensibilizzazione e condivisione dell’esperienza con gli affida-tari, consulenze a richiesta per gli operatori del territorio; promuovono una rete di risorse pubbliche e private per facilitare l’accesso ai servizi e alle prestazioni necessarie per rendere concretamente operanti i progetti educativi concordati; intrattengono rapporti costanti con il Tribunale per i Minori o Ordinario, Giudice Tutelare, incontri periodici di supervisione sui casi in affido; svolgono incontri pubblici nel territorio provinciale in collaborazione con i Servizi Sociali e formazione delle famiglie negli am-biti territoriali; e collaborano con l’associazione famiglie affidatarie “il Ponte” per le attività di sensibilizzazione e promozione sul territorio.

In una provincia piccola come quella di Potenza, dove si parla di Comuni con un numero di popolazione non elevato, si pensi che il capo-luogo lucano (Potenza) conta circa 70.000 abitanti, numero sicuramente esiguo rispetto ad altre realtà, credo che una tale collaborazione sia otti-male e vantaggiosa, e ciò in ragione del fatto che con l’intervento dei Servizi Sociali Comunali, i quali sono sicuramente più vicini ai cittadini, alle loro storie, alle loro realtà e alle loro problematiche, possa da una parte “estendersi” maggiormente una cultura dell’affido e della solida-rietà e, dall’altra avere una mappatura molto più dettagliata delle fami-glie problematiche, basi queste sulle quali il Centro provinciale può rea-lizzare sia interventi adeguati per quei minori che vivono situazioni a rischio per la loro crescita psico-fisica-affettiva-relazionale, e sia campa-gne di sensibilizzazione nei vari Comuni.

Inoltre, penso sia opportuno evidenziare che il Coordinamento Na-zionale Servizi Affidi, nel documento Proposte di linee guida per l’affidamento familiare del 2007, ha sottolineato che «È auspicabile la stipu-la di protocolli d’intesa tra l’Ente Locale e il Tribunale peri Minorenni, come già avvenuto in alcune realtà», citazione che ritengo doverosa per-ché tra le poche realtà che hanno visto in tale protocollo una possibilità di miglioramento qualitativo dell’affido rientra anche il “Centro Affidi” della provincia di Potenza, aspetto questo che avvalora maggiormente la

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mia tesi sull’attenzione che il Servizio provinciale volge ai minori e alle famiglie lucane, sull’impegno e la volontà degli operatori di rendere il suddetto Servizio sempre più efficiente e pronto a rispondere alle situa-zioni di difficoltà che si presentano, e di promuove l’affido spronando le famiglie “normali” a donare la propria famiglia per aiutare chi ha perso temporaneamente i suoi punti di riferimento.

Per una migliore comprensione, in Appendice C viene riportato il

Protocollo d’Intesa con le motivazioni che hanno portato alla sua stesura e le funzioni spettanti al “Centro Affidi”, ai Servizi Sociali Comunali e al Tribunale per i Minorenni di Potenza.

4.5. I risultati del questionario alle famiglie affidatarie

Il questionario è stato strutturato in 6 parti: A Informazioni generali della coppia; B Indagine psico – sociale sulla coppia aspirante all’affido, a sua volta suddiviso in 1) Storia individuale (di Lui), 2) Storia individu-ale (di Lei), 3) Storia della coppia; C Atteggiamento della coppia nei con-fronti dell’affido; D) Atteggiamento dei familiari nei confronti dell’affido; E) Atteggiamento della famiglia affidataria nei confronti del-la famiglia d’origine del minore e della sua storia di vita; F) Importanza della formazione. Quindi, partendo dalle informazioni generali sugli af-fidatari è stata mia intenzione porre in evidenza il loro atteggiamento nei confronti dell’affido, le motivazioni che li hanno spinti a fare tale scelta. Ritenendo poi importante nel procedimento di affido il coinvol-gimento ed il giudizio dei figli, dove presenti, e degli altri familiari, ho cercato di mettere in luce quello che pensano e come vivono la decisione di accogliere un minore temporaneamente nel loro nucleo familiare. Al-tro obiettivo che mi sono proposta è stato quello di porre in risalato l’atteggiamento della famiglia affidataria nei confronti della famiglia d’origine del minore e della sua storia. Infine, ho voluto rilevare l’importanza che la formazione, realizzata dal “Centro Affidi”, può ave-re per gli affidatari; tale aspetto e l’interesse nel valutare l’efficacia del percorso di formazione mi hanno spinto all’idea di somministrare un questionario alle persone disponibili all’affido.

Per raccogliere le informazioni sugli affidatari del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza ho cercato di avere una situazione che potesse rispecchiare vari contesti familiare, infatti si è pensato di somministrare il questionario ad un campione eterogeneo rappresentato da 8 famiglie e una persona singola, da famiglie con figli e famiglie senza, famiglie che

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hanno già avuto esperienze di affido e famiglie che ancora non hanno avuto esperienze in tal senso, da persone laureate, diplomate e con li-cenza media, ciò in modo da mettere in evidenza che nel procedimento di affido non vengono valutati gli studi, le qualifiche e il lavoro che si svolge, ma si fa attenzione ad altre caratteristiche, quali la maturità per affrontare un compito così complesso, le motivazione e le aspettative. Le persone che hanno risposto al questionario sono 17, di cui 8 famiglie ed una single, per un totale di 9 questionari.

Nello specifico, dalle informazioni generali della coppia si evince che le persone, le quali hanno risposto alle domande, n. 17, svolgono profes-sioni che vanno dall’avvocato, all’imprenditore, all’idraulico forestale, all’operaio generico, alla casalinga, al medico, al dipendente, all’infermiera, all’assistente sociale, all’impiegato, al funzionario pubbli-co, al commercialista, al geometra; tutti di religione cattolica tranne uno deista.

4 famiglie hanno figli (Famiglie 1– 3 – 7 - 8), tra queste, una ha una fi-glia adottiva, 3 hanno 2 figli e un minore in affidamento, la Famiglia 2 non ha figli ma ha una ragazza in affidamento, e 3 sono senza (Famiglie 5 – 4 - 9). Hanno tutti una casa di proprietà e dichiarano di avere una stanza per il bambino in affidamento, fatta eccezione per la Famiglia 8 e la persona singola 6 che hanno risposto di non avere una stanza per il bambino.

Con la seconda parte del questionario, Indagine psico – sociale sulla coppia aspirante all’affidamento, ho voluto porre delle domande relative alla storia individuale di lei e di lui e alla storia della coppia ponendo in risalto la loro famiglia di origine ed i rapporti con essa, i loro interessi ed il loro tempo libero, la presenza di figli, conviventi e se hanno presentato domanda di disponibilità all’adozione. Da ciò è emerso che, rispetto alla famiglia di origine degli stessi affidatari, su 17 persone, 8 hanno ottimi rapporti (Famiglia 1 – 2 – 4 – 8 Lui - persona singola 6), 7 buoni (Fami-glia 3 Lui – Famiglia 5 Lui – Famiglia 7 – Famiglia 8 Lei – Famiglia 9), 1 discreti (Famiglia 5 Lei) ed 1 non ha risposto (Famiglia 3 Lei).

10 persone hanno un lavoro autonomo (Famiglia 1 – 2 – 3 – 4 Lei – Famiglia 7 – 9 Lui) e 6 dipendente (Famiglia 4 Lui – 5 Lei – persona singola 6 – Famiglia 8 – Famiglia 9 Lei).

Tra gli interessi ed il tempo libero sono emerse varie scelte, alcune comuni, come musica, lettura, viaggi, sport, cinema ed altre specifiche quali: lavori agricoli, lavorare a maglia, cucinare, frequentare seminari sui problemi minorili, bricolage, barca a vela, volontariato con anziani,

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vita associativa (Ass. Famiglie Affidatarie), animazione parrocchiale, in-teresse per l’antichità e le tradizioni enogastronomiche.

La maggior parte delle famiglie, 6 (Famiglia 1 – 3 – 5 – persona sin-gola 6 – Famiglia 7 - 8), hanno risposto di non avere presentato doman-da di disponibilità all’adozione, 3, invece, hanno risposto di Si (Famiglia 2: nel 2003 al T.M. di Potenza – Famiglia 4: il 18.06.2005 al T.M. di Po-tenza – Famiglia 9: nel 2005 al T.M. di Potenza, Napoli, Salerno, Bari, Ta-ranto).

Relativamente all’Atteggiamento della coppia nei confronti dell’affido, punto questo molto importante poiché pone in evidenza le motivazioni che hanno spinto alla scelta dell’affido, dalle risposte delle persone disponibili all’affido, ad eccezione della persona singola 6 che non ha risposto alle domande in quanto non può far riferimento a consi-derazioni di coppia, si pone in rilievo che nella maggior parte delle fa-miglie a pensare per primo all’affido sono stati entrambi i genitori (Fa-miglia 1 – 3 – 4 – 5 - 7), aspetto questo, secondo il mio punto di vista, che sottolinea come per fare una scelta così importante è essenziale che siano entrambi a volerlo “allo stesso modo”, se così si può dire, e ad avere lo stesso interesse; ovviamente ciò non significa che nelle Famiglie 3 – 8 - 9, che alla domanda su “Chi dei due ha pensato per primo all’affido” han-no risposto “Lei”, non vi sia interesse dall’altra parte ma semplicemente che tale interesse è “nato” dopo. Comunque credo sia necessario che in seguito si maturi questa volontà e non si accetti per il semplice motivo di accontentare il coniuge, anche perché ciò non sarebbe una buona par-tenza per intraprendere un percorso come l’affido.

È interessante considerare che hanno sentito parlare dell’affido da: Amici, Servizi Sociali, Internet, seminari frequentati, famiglie affidatarie, tv, canali questi sicuramente fondamentali che pongono in evidenza come la promozione dell’affido possa partire da vari contesti.

È emerso che tutte le famiglie già conoscono situazioni di minori in affido, condizione questa sicuramente interessante poiché in tal modo si presuppone che essi abbiano già avuto un confronto con situazioni con-crete valutando i pro e i contro; naturalmente ciò non rappresenta un punto di arrivo per avere sicurezza assoluta circa l’interresse all’affido ma per lo meno è un punto di inizio che consente loro di partire con del-le informazioni in più.

Per quanto concerne l’adozione, 7 famiglie conoscono situazioni di minori in adozione (Famiglia 1 – 2 – 4 – 5 – 7 – 8 - 9) ed una No (Fami-glia 3).

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Arrivando alla domanda sulle motivazioni che hanno portato alla scelta di un affido, è degno di attenzione il fatto che nessuna famiglia ha barrato come alternativa di risposta “Desiderio di compiacere il coniu-ge” e “Compensazione per il figlio mancante”; considerazione questa che ritengo importante poiché tali motivazioni non rispetterebbero la na-tura dell’affido e di conseguenza non potrebbero stare alla base di una scelta che si fonda sulla temporaneità dell’intervento e sulla presenza del legame genitore naturale - figlio. Comunque, dalle risposte si evince che sono stati mossi alla scelta dell’affido dal desiderio e dalla volontà di estendere il loro ruolo genitoriale, di offrire aiuto e sostegno a bambini in difficoltà e solidarietà nei confronti di quei nuclei familiari in difficol-tà. Dunque, a mio avviso, si evidenzia la loro cultura basata sulla solida-rietà, aspetto questo importantissimo poiché è il “motore” che spinge ad una scelta impegnativa come l’affido.

Rilevante è anche il fatto che per tutte le famiglie ad eccezione di 2 il sesso non è rilevante, invece per quel che concerne l’età solo per tre è in-differente.

Si nota, inoltre, che: 3 famiglie sono disposte ad accogliere 2 minori (Famiglia 2 – 3 – 4), 5 famiglie uno (Famiglia 1 – 5 – 7 – 8 – 9) e 0 fami-glie più minori; per 2 famiglie andrebbero bene anche 2 fratelli (Famiglia 3 – 4), mentre le altre 6 non specificano se preferiscono “Fratelli” o “Non consanguinei”, ciò potrebbe indicare che andrebbe bene in qualsiasi ca-so; solo 2 famiglie dichiarano che accoglierebbero anche minori “Porta-tori di Handicap” (Famiglia 2 - 8), 5 invece non hanno espresso la loro preferenza o meno per un minore “Portatore di Handicap”, scelta questa che da una parte potrebbe significare che non si ha alcuna preferenza e dall’altra che invece non si è nella possibilità, per qualsiasi ragione, di accogliere un minore con difficoltà maggiori, al contrario, una ha rispo-sto No (Famiglia 9); ancora, se 2 famiglie non hanno indicato che an-drebbe bene anche un minore “Di razza di diversa” (Famiglia 3 – 7), 6 hanno specificato di essere favorevoli ad accoglierlo (Famiglia 1 – 2 – 4 – 5 – 8 – 9).

Infine, emerge che per una famiglia sarebbe inadatto un bambino/a piccolo/a, mentre per 2 sarebbe inadatto, data la loro situazione familiare e i problemi di gestione, un minore con problemi di handicap. Rispetto a queste ultime 2 famiglie vorrei sottolineare che alla domanda riguardan-te la disponibilità ad accogliere un minore con handicap non avevano barrato nessuna delle due alternative (Si e No).

Dal momento che, nei casi in cui gli affidatari hanno figli propri, per l’equilibrio della stessa famiglia e per l’andamento positivo dell’affido, è

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necessario che vengano coinvolti e resi partecipi della volontà di acco-gliere temporaneamente un minore, che siano d’accordo con tale scelta poiché dovranno, tutti insieme, riorganizzare i loro tempi e i loro spazi per meglio integrare le loro modalità di vita con quelle del minore, ho ritenuto utile porre delle domande riguardanti l’Atteggiamento dei fa-miliari nei confronti dell’affido, per comprendere se i figli e gli altri fa-miliari siano stati coinvolti, cosa ne pensano i familiari non convinti e che rilevanza può avere il loro giudizio sulla scelta.

Da tale considerazione è emerso che le famiglie con figli li hanno coinvolti ed essi risultano d’accordo e disponibili a riorganizzare le loro modalità di vita; a tal proposito, osservando che le famiglie con figli hanno già esperienze di affido penso si possa dedurre che essi siano già “preparati” nell’accogliere un minore.

Anche i familiari conviventi sono stati coinvolti, dove presenti ov-viamente, e risultano favorevoli e disponibili all’affido.

I Familiari non convinti, anche in questo caso dove presenti, invece si dimostrano scettici. Infatti, alcuni “Si chiedono il perché della scelta dell’affido invece di scelte adottive”, altri pongono in risalto il fatto che richiede “Assunzione di grande responsabilità”; il loro giudizio se per alcuni non ha importanza per altri invece è un sostegno.

In ragione del fatto che nel procedimento di affido è essenziale e basi-lare che gli affidatari accettino la famiglia naturale con il suo passato, la sua storia e le sue problematiche, ciò anche perché non ignorando le ori-gini del minore ma accettandole, mantenendo i legami con la famiglia naturale, egli non vive una rottura ed una separazione definitiva dalle sue origini e dai suoi affetti, nella quinta parte, Atteggiamento della fa-miglia affidataria nei confronti della famiglia d’origine del minore e del-la sua storia di vita, ho cercato di far emergere se le famiglie del “Centro Affidi” sono disposte a mantenere i rapporti e come pensano di compor-tarsi relativamente alle abitudini di vita del minore,delle sue origini e della sua storia.

Considerato ciò, è emerso che tutti sono disponibili al mantenimento dei rapporti con la famiglia biologica tranne una la Famiglia 9, che ha risposto No; nessuna ha “Qualche perplessità”, fatta eccezione per la Famiglia 7 che ha risposto “Famiglia di origine quasi inesistente” e la Famiglia 1 che dichiara di avere perplessità ma specificando che sono “sicuri del sostegno del Centro Affidi”.

In riferimento alla domanda “Come pensate di porvi nei confronti delle abitudini di vita del minore, delle sue origini e della sua storia”, vi sono state varie risposte tutte molto interessanti che mettono in luce il

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fatto che sono disponibili ad integrare le sue origini, il suo vissuto con il loro per salvaguardare quella che è la sua identità, ad ascoltarlo e coglie-re quelli che possono essere le sue difficoltà passate e presenti, rispet-tando i suoi tempi di apertura nei loro confronti. Vorrei riportarle, qui di seguito, per far emergere meglio quello che è il loro pensiero: Famiglia 1: “Accettare il suo contesto familiare, le abitudini e integrarlo con le no-stre”; Famiglia 2: “Da un anno abbiamo in affido una ragazza (attual-mente di 18 anni) rumena, abusata dal convivente della sorella. Dopo le prime difficoltà di relazioni oggi va tutto bene, incontra la sua famiglia (2 sorelle) e le incontriamo anche noi. Il Tribunale di Potenza ha prolun-gato l’affido al 21° anno. La ragazza ha deciso di restare per sempre con noi e siamo contenti che ci abbia scelti”; Famiglia 3: “Il massimo rispetto per le sue tradizioni che nessuno vuole rinnegare. Il minore deve man-tenere chiara la sua identità e senso di provenienza”; Famiglia 4: “Cer-cando di non negare o annullare il suo vissuto (per superare conflittuali-tà o negatività pregresse è importante che il bambino non rifiuti il suo passato)”; Famiglia 5: “Cercare di cogliere i messaggi di disagio del mi-nore, facendo in modo che il suo disagio pregresso non possa diventare motivo di conflitto nell’esperienza d’affido. L’affido, come esperienza temporanea di vita dovrebbe fungere d’aiuto in ciò”; Persona singola 6: “mantenere il più possibile il rapporto con la famiglia di origine, e cor-reggere quelle che possono essere le abitudini sbagliate del minore”; Famiglia 7: “Ci siamo posti in atteggiamento di ascolto e di accoglienza. Pian piano si è aperto e ci ha coinvolti”; Famiglia 8: “Nella maniera più consona al minore in relazione al progetto di affido condiviso con gli operatori sociali”; Famiglia 9: “Atteggiamento di comprensione, di so-stegno e soprattutto di guida”.

L’ultimo aspetto, Importanza della formazione, rappresenta il punto dal quale è partita l’idea del questionario, ciò perché con le domande re-lative al corso di formazione organizzato dal “Centro Affidi” ho voluto porre in evidenza la sua efficacia per gli affidatari sia da un punto di vi-sta teorico che pratico.

Le persone coinvolte hanno evidenziato che la formazione è stata uti-le e che risulta necessaria prima di accogliere un minore in famiglia. Con il punto c, relativo alle riflessioni, ho potuto meglio comprendere l’utilità di tale formazione, alla luce del fatto che la motivazione che mi ha spinto a somministrare un questionario era proprio quella di rilevare l’importanza della formazione per le famiglie affidatarie, naturalmente poi sono riuscita ad avere altre informazioni che hanno chiarito mag-giormente le mie idee. Comunque, tornando a ciò che è emerso dal pun-

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Il periodo di formazione nell’esperienza concreta ha portato a ricono-scere gli operatori del Centro Affidi come sostegno nei momenti di diffi-coltà, ciò è molto interessante poiché mette in luce il fatto che gli opera-tori del Centro abbiano cercato di porsi, con interventi specializzati, co-me supporto per coloro che fanno una scelta così impegnativa e social-mente educativa, ha dato modo di confrontarsi con il T.M., i servizi so-ciali e con famiglie che hanno fatto “esperienze simili”, è risultato utile per gli affidatari che hanno già fatto esperienze di affido poiché li ha preparati “nell’accoglienza del minore e soprattutto ad evitare errori di gestione del rapporto”, a comprendere i problemi dei bambini/ragazzi per rispondervi in modo adeguato, non lasciandoli impreparati anche rispetto ai rapporti con la famiglia naturale, e sostenendoli nella fase del-la conclusione dell’affido.

È interessante, a mio avviso, mettere in relazione le risposte delle per-sone che hanno avuto esperienze di affido con le loro risposte alla do-manda “Che riscontro ha avuto la formazione nell’esperienza concreta”, poiché esse avendo già avuto modo di svolgere il ruolo di affidatari pos-sono, con le loro risposte, meglio valutare l’efficacia di un tale corso. In-fatti, è emerso che: è “servita a non rimanere impreparati e spiazzati nel-le due esperienze da noi intraprese”, “ha aiutato a capire meglio la ra-gazza”, “È importante così come il confronto con altre famiglie con espe-rienze simili”, li ha preparati “nell’accoglienza del minore soprattutto nell’evitare errori di gestione del rapporto”. In tal senso, altra risposta interessante, che fa però riferimento all’adozione dal momento che la famiglia non ha ancora fatto esperienza di affido, è: “siamo una coppia che ha adottato la propria figlia quando aveva 2 mesi”, risposta questa che credo sottintenda, dal momento che hanno adottato una bambina, che la formazione è risultata buona ed efficace preparandoli idoneamen-te.

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104 Capitolo quarto

4.6. Aspetto educativo

Dal capitolo emerge che la promozione dell’affidamento familiare e la sensibilizzazione dell’opinione pubblica favorisce la cultura educativa dell’affido fondata sulla responsabilità, sull’accettazione delle persone che non riescono a prendersi cura adeguatamente dei figli. Stimola i cittadini ad avvicinarsi a quelle realtà diverse dalle loro che portano a situazioni di de-privazione, e soprattutto alla solidarietà, quale auspicabile elemento atto a raggiungere una “cultura educativa basata sulla solidarietà”. Ed è proprio questa “cultura educativa basata sulla solidarietà” che il “Centro Affidi” cerca di promuovere e far crescere nella provincia di Potenza.

L’affidamento, in virtù del fatto che opera al fine di offrire al minore il di-ritto a vivere, crescere ed essere educato nell’ambito di una famiglia, si propone di svolgere un compito educativo che abbia come presupposto quello di ri-spondere ai suoi bisogni e alle sue esigenze, di offrirgli la possibilità di avere al suo fianco una guida, operatori – famiglie o persone singole affidatarie, che sappia accettare e comprendere la sua storia, accompagnarlo e sostener-lo nella crescita e verso la scoperta del suo sé, fungendo quindi come sup-porto educativo.

Famiglie affidatarie, quindi, che il “Centro Affidi” provinciale segue con un corso formativo che possa educarle maggiormente a quelli che sono i loro compiti nel procedimento di affido, possa offrire loro informazioni sugli a-spetti e le caratteristiche dell’affido; interessante come risvolto educativo, è anche la possibilità, negli incontri del corso di formazione, per le persone di-sponibili all’affido di confrontarsi con le testimonianze di alcune famiglie affidatarie, le quali con la loro esperienza concreta possono, dare maggiori informazioni sull’aspetto pratico di un tale intervento e sul ruolo che li at-tende, con le difficoltà e le soddisfazioni ma, soprattutto possono far com-prendere l’importanza educativa di un siffatto intervento e di un loro aiuto per il bambino. È da considerare inoltre che l’affidamento, con adeguati in-terventi, aiutando i genitori naturali a superare le proprie difficoltà e pro-blematicità può educarli alla genitorialità e alle funzioni che ne scaturiscono, ciò alla luce del fatto che educando i genitori si può pensare di renderli ido-nei nel seguire il figlio/a nel suo sviluppo educativo.

Ancora, credo che un aiuto educativo le famiglie affidatarie possano of-frirlo anche ai genitori naturali, poiché non giudicandoli ma accettandoli con la loro storia, la loro diversità e le loro problematicità possono aiutarli a comprendere il loro ruolo con i figli, ciò dal momento che è essenziale che siano i genitori, dove possibile, a fungere da guida per il minore e seguirlo.

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Capitolo quinto Coordinamento Nazionale Servizi Affido ( C.N.S.A.) e Inda-

gini nazionali

5.1. C.N.S.A.: motivazioni della sua costituzione e impegni per la cre-scita qualitativa dell’affido familiare

Il territorio nazionale presentando realtà diverse, in materia di affido familiare, richiedenti interventi che, se pur non uguali ed omogenei per tutti, seguano delle linee guida “nazionale” in base alle quali gli opera-tori possano poi realizzare, tenendo conto ovviamente delle esigenze della propria utenza, i loro interventi e progetti di affido, alla luce degli obiettivi di coordinamento che il Coordinamento Nazionale Servizi Af-fidi (C.N.S.A.) persegue. Il C.N.S.A., attivo dal 1996 ma, costituitosi for-malmente, con un accordo tra amministrazioni pubbliche, il 26 Maggio 1998 a cui, come per Statuto, “possono aderire gli Enti pubblici che «a-vendo costituito Servizi che si occupano d’affido familiare sono interes-sati alla realizzazione degli scopi del C.N.S.A.»”, ha appunto l’obiettivo di offrire agli operatori la possibilità di mettere a confronto le loro realtà. Infatti, come spiega Liana Burlando (Responsabile Progetto Affido Fami-liare Comune di Genova) – Segreteria CNSA67, si cerca di dare «agli operatori dei Servizi socio-sanitari impegnati nell’affido familiare, occa-sioni di incontro ove poter confrontare e condividere riflessioni, esperienze, creando una sede permanente di dibattito, di formazione e di crescita sui temi inerenti l’affido familiare e le problematiche connesse.

Il volano che ne ha messo in moto la costituzione è stata l’esigenza di supe-rare la condizione d’isolamento che frequentemente caratterizza la pratica di questi operatori e l’esigenza e volontà di avere un punto di riferimento costante, non statico ma vitale e in evoluzione. Il primo spunto è stato un convegno sull’affidamento familiare organizzato a Vicenza nel 1996, dove operatori pro-venienti da diverse zone d’Italia impegnati in questo settore — educatori, psico-logi e assistenti sociali — si sono conosciuti e confrontati e hanno deciso di con-tinuare lo scambio e la discussione delle esperienze.».

67 Tratto da Provincia di Potenza Assessorato alle Politiche Sociali, Pace, Immi-

grazione e Volontariato, (a cura di), 1° Rapporto di Attività del Coordinamento Naziona-le Servizio Affidi, Centro Affidi Provincia di Potenza, Dicembre 2007.

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Capitolo quinto 106

Di conseguenza, dal momento che la legge 8 Novembre 2000, n. 32868

e la successiva legge di riforma 28 Marzo 2001, n. 14969 portano a nuovi ruoli e nuove funzioni dei soggetti, pubblici e privati, che si occupano di sostegno, aiuto e accoglienza di minori temporaneamente allontanati dalla loro famiglia di origine,

«Il CNSA ha impostato un lavoro a piccoli gruppi all’interno dei tre incontri annuali del Direttivo, i cui esiti vengono riportati successivamente alla discus-sione dei soci aderenti in sede assembleare. Ha inoltre avviato, nel 2001, un dia-logo con le associazioni che si occupano di affido presenti in misura maggiore sul territorio nazionale.»70.

In una realtà, quindi, così diversificata «il confronto, e la messa in comune delle esperienze che, nel campo dell’affido, il C.N.S.A. rende possibile costituiscono non solo uno strumento utile per con-trastare l’isolamento, ma anche per suscitare buone prassi e migliorare la quali-tà delle prestazioni, allontanando, in un paese come l’Italia, “lungo” e disomo-geneo, la deriva di una disparità accentuata e quindi di inaccettabili disugua-glianze.»71.

Tra i vari scopi che il C.N.S.A a livello nazionale., partendo dagli am-biti regionali e locali, si propone troviamo quelli di:

• “creare una sede permanente di confronto e dibattito sui temi inerenti l’affido familiare e sulle problematiche familiari e minorili con-nesse”;

68 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi

sociali di riorganizzazione” 69 “Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante «Disciplina dell’adozione

e dell’affidamento dei minori», nonché al titolo VIII del libro primo del codice civi-le”

70 Tratto da Provincia di Potenza Assessorato alle Politiche Sociali, Pace, Immi-grazione e Volontariato, (a cura di), 1° Rapporto di Attività del Coordinamento Naziona-le Servizio Affidi, Centro Affidi Provincia di Potenza, Dicembre 2007.

71 Provincia di Potenza Assessorato alle Politiche Sociali, Pace, Immigrazione e Volontariato, (a cura di), 1° Rapporto di Attività del Coordinamento Nazionale Servizio Affidi, Centro Affidi Provincia di Potenza, Dicembre 2007, tratto dalla presentazione del Presidente del Tribunale per i Minorenni di Potenza, Pasquale Andria.

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Coordinamento Nazionale Servizi Affido (C.N.S.A) e Indagini nazionali 107

• “elaborare percorsi metodologico-operativi comuni ai diversi Servizi Affido operanti sul territorio nazionale”;

• “promuovere attività di formazione ed aggiornamento per gi operatori sociali e socio-sanitari”;

• “valorizzare il ruolo primario dell’Ente Locale nella pro-grammazione, gestione e coordinamento di tutte le attività inerenti l’Affido Familiare”;

• “proporsi come referente tecnico per gli organi delle Ammini-strazioni Locali e Centrali nell’ambito della programmazione delle poli-tiche sociali inerenti l’affido familiare e le problematiche familiari e mi-norili connesse”;

• “promuovere iniziative di sensibilizzazione, anche in collabo-razione con il privato sociale, sia a livello locale che nazionale, sull’affido familiare e sulle tematiche familiari e minorili connesse”;

• “promuovere d’intesa con le Associazioni nazionali di volon-tariato e le Istituzioni la creazione di una commissione paritetica per un proficuo confronto sulle politiche sociali riguardanti famiglia-minori-affidi”.

Risulta essere fondamentale, a mio avviso, il fatto che, lavorando all’affidamento, il quale rappresenta un intervento molto complesso, sia per i bambini, sia per le famiglie affidatarie, sia per gli operatori sociali e sanitari dei servizi territoriali, e operando in un contesto caratterizzato dal continuo mutare delle condizioni sociali, che porta al confronto con un’utenza sempre più problematica e soprattutto diversificata, che ri-chiede interventi di aiuto e sostegno più complessi e articolati, il C.N.S.A. ha «avviato un percorso di riflessione, evidenziando la necessità di sviluppare forme innovative e flessibili d’accoglienza, in grado di rispondere alle diverse situazioni, come gli affidi «difficili» quali quelli di adolescenti, che richiedono un sostegno specifico, o le nuove esigenze emergenti (come la situazione dei minori stranieri, o di madre/bambino): accoglienze che vanno dal buon vicinato alle forme d’affido professionale.»72.

Dalla complessità dell’affidamento familiare ne consegue e si com-prende quindi l’importanza che il Coordinamento Nazionale Servizi Af-

72 Tratto da Provincia di Potenza Assessorato alle Politiche Sociali, Pace, Immi-

grazione e Volontariato, (a cura di), 1° Rapporto di Attività del Coordinamento Naziona-le Servizio Affidi, Centro Affidi Provincia di Potenza, Dicembre 2007.

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Capitolo quinto 108

fidi dà al confronto tra le figure professionali e allo scambio di informa-zioni relative alle diverse esperienze, per dare opportunità agli operatori di riflettere insieme su quelle che sono le difficoltà e i cambiamenti so-ciali e di “apprendere” dagli interventi attuati in altri contesti dei punti di riferimento da utilizzare per il sostegno al proprio bacino di utenza, al fine di portare alla realizzazione di un progetto ottimale e soprattutto corrispondente a quelle che sono le necessità e i bisogni del minore e delle famiglie.

Per un più favorevole sviluppo dell’affido

«I Servizi Affido, attraverso l’intervento d’Assistenti Sociali, Educatori Pro-fessionali e Psicologi specificamente formati e dedicati a tale intervento (i primi, in genere, operatori dell’Ente Pubblico, i secondi dei Servizi Sanitari) sono im-pegnati anche nello sperimentare nuove idee ed esperienze e definire linee d’intervento efficaci ed adeguate, perché l’affido gioca un ruolo decisivo anche nel limitare l’inserimento di minori in strutture residenziali o, in ogni caso, per ridurne la permanenza.»73.

È molto interessante sottolineare anche che il C.N.S.A. dà molto rilie-vo ed è sempre più impegnato nella promozione, nella formazione e nell’aggiornamento per gli operatori e per gli affidatari e, nello sviluppo e nella crescita qualitativa dell’affidamento familiare. Infatti si legge che

«Per assicurare all’affido familiare il necessario livello qualitativo ed orga-nizzativo, anche nel rispetto e in attuazione della legge 149/2001, si sta lavoran-do, tramite il Coordinamento Nazionale Servizi Affido, perché:

• vi siano linee guida nazionali, che garantiscano corrette ed omoge-nee modalità per l’affido su tutto il territorio, sia per quanto riguarda il ruolo e l’intervento dei servizi affido, sia rispetto alla valutazione e formazione delle famiglie affidatarie, sia riguardo ai sostegni tecnici ed economici per gli affida-tari (contributo mensile, esenzioni per accesso e fruizione di servizi, spese di ca-rattere sanitario, …);

• i Servizi abbiano un congruo numero di operatori e di tempo/lavoro dedicato all’affido familiare, poiché tale strumento richiede un intenso lavoro professionale, ed è necessario ne siano sostenute e favorite la formazione e

73 Tratto da Provincia di Potenza Assessorato alle Politiche Sociali, Pace, Immi-

grazione e Volontariato, (a cura di), 1° Rapporto di Attività del Coordinamento Naziona-le Servizio Affidi, Centro Affidi Provincia di Potenza, Dicembre 2007.

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Coordinamento Nazionale Servizi Affido (C.N.S.A) e Indagini nazionali 109

l’aggiornamento, indispensabili in un campo così delicato e ancora di più es-senziali nella gestione di situazioni conflittuali o particolarmente complesse;

• sia rafforzato il rapporto e la collaborazione fra i Servizi Pubblici, le associazioni e le reti di famiglie;

• siano assicurate formazione e sostegno alle famiglie affidatarie, an-che perché possano far fronte ad affidi particolarmente impegnativi (adolescen-ti, neonati, stranieri, ...);

• siano sviluppati ed attuati progetti ed interventi di sostegno ed ac-compagnamento per le famiglie d’origine;

• la sensibilizzazione e l’informazione sull’affido siano curate con co-stanza e creatività.»74 .

Tale interesse del C.N.S.A. è evidenziato anche in un intervento75, svolto durante un Convegno nazionale dal titolo: “Affidamenti familiari: dalla discrezionalità al diritto dei bambini”76 , nel quale la rappresentan-te del C.N.S.A., Liana Burlando, considerando, a livello nazionale, re-gionale e locale, « quanto rilievo assumono i Servizi nella realizzazione degli affidamenti, sottolineando gli scambi di conoscenze e le forme di coordinamento tra Operatori dei Servizi Affidi e fra questi ed il Privato Sociale», afferma che:

«Deve essere garantito lo svolgimento di diverse funzioni: la promozione, contri-buendo a creare una cultura dell’affido familiare e diffondendo la conoscenza delle pro-blematiche che intende affrontare, la tipologia degli interventi realizzati e le modalità di funzionamento dei Servizi competenti, utilizzando a tal fine tutti i canali e i mezzi utili, anche in collaborazione col volontariato; l’attuazione di iniziative volte al reperimento di famiglie sensibili e disponibili all’affido al fine di costituire una banca di risorse cui attingere, per realizzare i progetti di protezione e tutela del minore; l’incentivazione dell’utilizzo dell’affido come intervento privilegiato nelle situazioni in cui è necessario che un bambino sia accolto e curato; l’accoglienza delle persone disponibili

74 Tratto da Provincia di Potenza Assessorato alle Politiche Sociali, Pace, Immi-

grazione e Volontariato, (a cura di), 1° Rapporto di Attività del Coordinamento Naziona-le Servizio Affidi, Centro Affidi Provincia di Potenza, Dicembre 2007.

75 Tonizzo Frida, Affidamenti familiari: l’accoglienza delle famiglie e le competenze delle istituzioni, Tratto da Associazione di Volontariato “Il Noce”, L’affido sotto il noce. Vent’anni di esperienze, Casarsa, aprile 2006.

76 Convegno tenutosi a Milano il 26 Maggio 2005, organizzato dall’Anfaa – Asso-ciazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie – dalla Fondazione Promozione Sociale, da Prospettive Assistenziali, con la collaborazione del Coordinamento Na-zionale Servizi Affidi.

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Capitolo quinto 110

all’affidamento, predisponendo percorsi di informazione-formazione individuale e/o di gruppo sugli aspetti giuridici, sociali e psicologici dell’intervento; la predisposizione del-la conoscenza e la valutazione di persone e famiglie desiderose di collaborare, utilizzando strumenti valutativi quanto più possibili certi e verificabili; la valutazione delle segna-lazioni dei minori per i quali è formulato un progetto di affido per scegliere, all’interno della banca dati, le famiglie ritenute più adeguate; il supporto alla formulazione del pro-getto mirato di affido in collaborazione con i Servizi di territorio; l’elaborazione, sulla base di un sistema di criteri consolidati e continuamente verificati, d’ipotesi di abbina-mento minore/nucleo affidatario, in collaborazione con gli operatori che hanno formula-to il progetto; il sostegno e l’accompagnamento delle famiglie affidatarie prima e durante l’affido condividendo con gli altri operatori i momenti di verifica; l’elaborazione degli aspetti tecnici più rilevanti sulla base dei risultati ottenuti attraverso i singoli progetti; la predisposizione, per gli operatori, di spazi per la formazione, l’autoformazione, la ri-flessione, l’approfondimento e la rielaborazione delle esperienze in atto e della metodolo-gia di lavoro; l’avvio e il consolidamento di un rapporto di collaborazione con ogni realtà del volontariato impegnato in questo settore, partecipando a periodici incontri di coor-dinamento».

Da quanto detto ritengo possa emergere come «La ricchezza del con-tributo del CNSA nasce proprio dalla diversità che caratterizza il conte-sto territoriale, organizzativo, operativo di ognuno dei Servizi aderen-ti.».

5.2. Documenti realizzati dal C.N.S.A.

Il Coordinamento Nazionale Servizi Affidi dal 1998 grazie al confron-to costante tra le figure professionali dei Servizi Affido aderenti, che hanno messo a disposizione la loro esperienza, le loro riflessioni in uno scambio continuo di informazioni inerenti l’affidamento familiare e le problematiche che ne conseguono per il minore e le famiglie, e i cam-biamenti sociali nonché le diverse esigenze dell’utenza, è riuscito in que-sti anni a realizzare 10 documenti relativi a temi specifici, con l’obiettivo di concordare un “linguaggio comune” per definire gli stessi contenuti e linee guida che possano essere utili nella realizzazione di progetti di af-fidi familiari. Ritenendo fondamentali questi documenti elaborati dal coordinamento, poiché mettono in luce gli aspetti, la complessità e le dif-ficoltà dell’affido familiare che emergono dalla realtà dei Servizi impe-gnati quotidianamente “sul campo”, ho pensato di riportare, qui di se-guito, dividendoli per anno di elaborazione, una sintesi che ha come o-

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biettivo quello di evidenziare i contenuti, secondo il mio punto di vista, più importanti.

1998 Dal momento che a livello nazionale, in materia di affidi fa-miliari, come abbiamo sottolineato sopra, è emersa una realtà disomo-genea, dovuta alle diverse caratteristiche e risorse disponibili sui territo-ri, alle esigenze dell’utenza interessata, alle metodologie utilizzate per intervenire sulle situazioni problematiche, che portano alla realizzazione di interventi diversificati nei confronto dei minori e delle famiglie, nel 1998 il C.N.S.A. presenta il suo primo documento, “Affidamento familiare e linee operative per la sua attuazione”, proponendo «alcune linee guida operative derivate dall’esperienza consolidata dei servizi, quale spunto di riflessione per l’individuazione di un modello e di strumenti di lavoro omoge-nei ed efficaci riguardo all’affidamento familiare nel rispetto delle diverse peculiarità. Si tratta di una prima stesura teorica finalizzata ad estendere il dibattito sul tema a livello nazionale.»77 .

Essendo, dunque, scopo del C.N.S.A. quello di analizzare «i termini costitutivi dell’affido, il processo che li lega attraverso una struttura di relazioni, e definirli in maniera più univoca possibile in modo che gli attori del processo abbiano punti di riferimento certi e gli Amministratori elementi sufficienti per una corretta individuazione e destinazione delle risorse»,

il coordinamento evidenzia: che l’affido, rappresenta una risposta a situazioni di disagio o di maltrattamento di quei minori, sia italiani che stranieri, temporaneamente privi di un ambiente familiare idoneo, i cui risvolti vanno preventivamente conosciuti e affrontati. Ciò al fine di predisporre idonei interventi di protezione e tutela che consistono nell’inserire il minore in un nucleo familiare diverso da quello originario e di aiutare anche la famiglia naturale a superare le sue temporanee pro-blematicità; gli obiettivi che si propone, sottolineando un aspetto molto rilevante che è quello relativo all’importanza, prima di procedere all’allontanamento del minore dal suo nucleo di origine, di mettere in atto interventi di sostegno e di aiuto rivolti ai genitori biologici “al fine di prevenire l’abbandono e di consentire al minore di essere educato nell’ambito

77 Tratto da Provincia di Potenza Assessorato alle Politiche Sociali, Pace, Immi-

grazione e Volontariato, (a cura di), 1° Rapporto di Attività del Coordinamento Naziona-le Servizio Affidi, Centro Affidi Provincia di Potenza, Dicembre 2007.

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della propria famiglia”; i compiti dell’ente locale; gli attori dell’affido, che vengono divisi in attori diretti, quali il minore, la famiglia d’origine e la famiglia affidataria, e indiretti, quali i Servizi Territoriali, i Servizi Affidi e l’Autorità giudiziaria, in riferimento ai quali il coordinamento ne ha definito “le relazioni che legano questi attori ed il percorso per la realiz-zazione di un affido perché da esse deriverà una definizione degli attori stessi”.

2002 Nel 2002 il C.N.S.A. ha realizzato due documenti. Il primo, “Affidi sine - die”, nasce dalla considerazione che da un lato la legge 149/2001 sancisce che il periodo di durata dell’affido “non può superare la durata di ventiquattro mesi ed è prorogabile, dal tribunale per i minorenni, qua-lora la sospensione dell’affidamento rechi pregiudizio al minore”(art. 4 comma 4), e dall’altro sono invece in aumento gli affidi sine – die, i quali pre-suppongono “progetti d’affido” la cui durata non è necessariamente de-finita nel decreto, o che non prevede il tempo di rientro in famiglia, o che viene modificato nel tempo senza consentire il rientro in famiglia del minore. Considerando un siffatto intervento il coordinamento ha speci-ficato i casi in cui si rende necessario ed utile, per il minore e per la fa-miglia naturale, non trascurandone i rischi e i vantaggi che possono sca-turirne, per la famiglia di origine, per il minore e per gli affidatari, e of-frendo, così, ai Servizi delle linee guida nazionali.

In questo stesso anno, il Coordinamento Nazionale Servizi Affidi ha curato, per la Rivista “Questioni e Documenti” Quaderni del Centro Na-zionale di Documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, la pubblicazione dell’articolo “La legge 149/2001: riflessioni del Coordinamento Nazionale Servizi Affidi”, il quale rappresenta, a mio avviso, un documen-to essenziale poiché analizza gli aspetti positivi e le criticità che scaturi-scono dalla legge 149/2001 alla luce di quella che è l’esperienza di chi è impegnato costantemente “sul campo” e ogni giorno deve mettere in at-to ciò che la legge stabilisce.

Per quanto riguarda gli aspetti positivi il coordinamento mette in ri-salto come la legge riformata pone più attenzione alla famiglia di origine e alla necessità di predisporre opportuni interventi in suo favore, ai di-ritti e ai bisogni del minore, in relazione alla sua crescita e ai bisogni di relazioni affettive, valorizza e riconosce le funzioni svolte dalla famiglia affidataria, dà ai Servizi dell’Ente Locale ruoli e responsabilità relative: “agli obblighi di assistenza nei confronti delle famiglie di origine, alla formazione di famiglie affidatarie e operatori, alla valutazione del biso-gno di affido, nonché il monitoraggio e supporto al progetto in itinere”; afferma il “principio di sussidiarietà con le associazioni: a tale proposito

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il CNSA da un anno ha in corso una riflessione congiunta con associa-zioni di volontariato presenti sul territorio nazionale”; considera fonda-mentale “il monitoraggio costante anche delle situazioni dei minori in istituto (la cui conoscenza potenzia la possibilità di utilizzo dell’affido familiare)”.

Gli aspetti critici riscontrati dagli operatori e i Servizi, impegnati in materia, si rifanno:

• alla durata dell’affido poiché non sempre, come spiega il C.N.S.A, rispetta i tempi stabiliti dalla legge, ciò perché la problematicità delle famiglie di origine, nonostante la messa in atto di un fattivo pro-getto di sostegno da parte dei Servizi, frequentemente non consente un rientro in famiglia entro i tempi indicati dalla legge, tempo che molto spesso non risulta essere sufficiente per aiutare la famiglia di origine a recuperare le sue capacità genitoriali e a superare le sue difficoltà, le quali raramente possono ricondursi ad un disagio economico, e quindi di più facile risoluzione, ma nella maggior parte dei casi toccano pro-blematiche molto più complesse, di origine relazionale e affettiva, che richiedono quindi tempi ed interventi più lunghi. Infatti, il tempo, rive-stendo una parte fondamentale nell’aiutare i genitori naturali e il minore a ritrovare un equilibrio, per il coordinamento “non può essere caratte-rizzato da una rigidità che non tenga conto della mobilità e dalle esigen-ze soggettive di crescita.

In virtù di quanto detto e dell’esperienza accumulata dai Servizi, il C.N.S.A. si pone il seguente quesito: “Data la rilevanza che assume que-sto intervento considerata la casistica che si presenta ai Servizi, è possibi-le pensare ad una riflessione che permetta di riconoscere anche a livello giuridico questo intervento?”.

• al fatto che

«La legge 149/2001 invita ad utilizzare il più possibile l’affidamento familia-re, ma tende a restringerlo sempre più come affido giudiziario a scapito dell’affido consensuale, proprio per la prevalenza della questione “durata” im-posta dalla legge. Di fatto l’affido, che dovrebbe essere uno strumento di aiuto alla famiglia in difficoltà, diventa uno strumento giudiziale che penalizza la di-sponibilità della famiglia di origine ad instaurare un rapporto di fiducia con i Servizi (“fiducia a tempo: 24 mesi”). I progetti che i Servizi attivano per le fami-glia di origine in difficoltà spaziano da sostegni economici a quelli psicologici e di supporto alla genitorialità, il progetto di affido si inserisce in una presa in ca-rico più complessiva che non sempre può ricondursi alla temporalità dei 24 me-si. Peraltro il contesto operativo dei Servizi denota una realtà caratterizzata non

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solo dall’affido residenziale (tempo pieno) di differente durata, ma anche dall’utilizzo di forme di affido di sostegno - a tempo parziale - più duttili e fles-sibili, più adatte a rispondere ai differenti bisogni di famiglie di origine e bam-bini in situazioni meno compromesse. La valorizzazione di queste esperienze è risultata anche un modo per promuovere la cultura dell’affido, utilizzando al meglio le risorse di solidarietà del territorio.

Il confronto tra vari Servizi Affidi che operano sul territorio nazionale, ha re-so visibile anche una certa disomogeneità nell’applicazione della legge (che già si verificava con l’applicazione della legge 184/83). La ventilata riforma del Tri-bunale per i Minorenni, rischia di complicare ancor più la definizione di criteri omogenei di applicazione: come si contestualizzerà questa legge? Quale cultura dell’affido sarà patrimonio dei giudici? Il dibattito è aperto».

• al ruolo, alla responsabilità dei Servizi e alle risorse finanziare, poiché la legge 149/2001 sancisce che “Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie competenze” e “nei limiti delle risorse finanziarie di-sponibili” devono sostenere idonei interventi per i nuclei familiari a ri-schio, promuovere “iniziative di formazione dell’opinione pubblica sull’affidamento e l’adozione e di sostegno all’attività delle comunità di tipo fa-miliare, organizzano corsi di preparazione ed aggiornamento professionale degli operatori sociali nonché incontri di formazione e preparazione per le famiglie e le persone che intendono avere in affidamento o in adozione minori”(art. 1 comma 3), intervenire “con misure di sostegno e di aiuto economico in favore della famiglia affidataria”(art. 5 comma 4), fatto questo che, come eviden-zia il coordinamento,

«Nel confronto tra i Servizi Affidi del CNSA, nonché tra questi ed alcune as-sociazioni presenti sul territorio nazionale, emerge in tutta la sua criticità quan-to riportato dagli art. 1 e 5 che di fatto non è garantito su tutto il territorio na-zionale ( assenza di risorse finanziarie a supporto della famiglia affidataria e della famiglia di origine, mancanza di Servizi sul territorio ecc.).».

• alla valorizzazione della famiglia affidataria e la sua effettiva tutela, dal momento che gli affidatari, come spiega il coordinamento, es-sendo dei “volontari” devono essere tutelati non solo rispetto alla que-stione economica (art. 38 comma 4, legge149/200178) ma anche

78 Legge 2001 n. 149, art. 38 comma 4 “Le regioni determinano le condizioni e

modalità di sostegno alle famiglie, persone e comunità di tipo familiare che hanno

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«con un sostegno effettivo da parte dei Servizi. […] le famiglie affidatarie sono una “risorsa” di cui avere cura con un adeguato sostegno (educativo, psicologi-co ecc.) che è dovuto a chi si rende disponibile a confrontarsi con problematiche (di minori e famiglie di origine) che non fanno certo parte dell’esperienza quo-tidiana di una famiglia affidataria.».

Viene comunque sottolineato che in alcuni articoli il legislatore evi-denzia la necessità di tutelare, oltre al bambino e alla famiglia naturale, anche le famiglie affidatarie ponendo quindi “una “attenzione alla cura dei legami” che coglie il significato profondo dell’affido, dove frequen-temente ad affido concluso, il rapporto continua”, aspetto questo che il coordinamento appoggia e ritiene fondamentale poiché

«La tutela della famiglia affidataria (come del resto quella del bambino e del-la famiglia di origine) va quindi interpretata in una accezione più ampia: non solo tutela giuridica, ma anche dei suoi sentimenti, e occorre anche sia accom-pagnata da una crescita culturale sull’affidamento familiare anche da parte del-le istituzioni con cui le famiglie affidatarie hanno contatto (es. scuola e sanità).».

Dai vari punti analizzati, ne consegue che, per sostenere e aiutare il minore, la famiglia naturale e gli affidatari, è necessario che l’affidamento sia realizzato con un “intervento di rete” in cui siano im-pegnati, in un lavoro di collaborazione, diverse figure professionali, pubblico e privato, sociale e volontariato e i diversi Servizi, in un conti-nuo confronto e scambio.

2003 Nel 2003 il C.N.S.A. ha lavorato alla stesura di due docu-menti: “Riflessioni sull’affidamento familiare di bambini piccolissimi” e “Pro-mozione dell’affido”.

La situazione concernente l’affido di bambini piccolissimi richiede molta attenzione poiché “l’affidamento familiare tempestivo e a breve termine” si dimostra un intervento ottimale sia per procedere tempesti-vamente alla tutela del neonato, che si ritrova a vivere in una situazione a rischio e, sia per consentire “agli operatori di approfondire, in tempi brevi, la conoscenza e la valutazione delle capacità genitoriali anche con il supporto dei servizi specialistici, che consenta di formulare un proget-to più a lungo termine per il futuro del bambino, che preveda: o il rien-

minori in affidamento, affinché tale affidamento si possa fondare sulla disponibilità e l’idoneità all’accoglienza indipendentemente dalle condizioni economiche”.

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tro nella famiglia, anche allargata, o l’apertura di un procedimento di adattabilità”; di conseguenza è necessario e urgente “predisporre gli atti necessari per richiedere l’apertura del procedimento di adattabilità” e “predisporre progetti di interventi di supporto ai genitori necessari per potenziare e sviluppare le capacità residue e il senso di responsabilità quando si ritiene possibile il rientro del bambino in famiglia (anche nella famiglia allargata)”. Considerando quindi che la realizzazione di un progetto di affido per un neonato deve tener conto del fatto che nei pri-mi anni di vita è vitale per il bambino instaurare relazioni affettive con persone significative il coordinamento ha cercato con questo documento “di raccogliere le attuali risposte, le nuove esperienze, i progetti in itinere, esistenti nelle varie realtà locali”, ponendo l’accento proprio sull’importanza “che viene ad assumere il fattore “tempo”” e la preven-zione che può avere un intervento di affido nei primissimi anni inciden-do “sulla vita futura” e, su quelli che sono “gli aspetti di complessità, i nodi problematici, e le condizioni necessarie per poter attuare progetti coerenti con gli obiettivi individuati”.

Per quanto riguarda il documento “Promozione dell’affido”, tema-tica, a mio avviso, essenziale poiché pone l’accento sull’importanza di sensibilizzare la comunità e di diffondere la cultura dell’affido, della “solidarietà” e dell’“accoglienza”, il coor-dinamento ha evidenziato il fatto che la promozione dell’affido ri-copre interesse sia per i Servizi Sociali locali che per le Associazio-ni del privato sociale richiedendo un rapporto di reciproca colla-borazione, collaborazione che ovviamente tiene conto degli inte-ressi, degli obiettivi comuni e delle differenze, “Differenze relative a competenze, ruoli, mission del pubblico e del privato, nonché in-terne ai due settori, quello dell’associazionismo e quello del pub-blico”. In considerazione di questa collaborazione tra pubblico e privato, il coordinamento ha offerto informazioni chiare e ben de-finite che hanno il fine di “contribuire a costruire linee guida ma anche documenti programmatici che orientino le prassi e costitui-scano stimoli e punti di riferimenti di carattere culturale e teorico per quanti hanno interesse per il tema e per l’intervento di affido”. Si sofferma appunto sul fatto «che la promozione dell’affido possa essere efficacemente realizzata solo in un contesto in cui pubblico e privato si ri-conoscono reciprocamente quali portatori di compe-tenze e funzioni diverse, trovando sinergie e linguaggi comuni, ri-spetto a obiettivi chiari e definiti, basati su principi e valori condi-visi», un lavoro basato sulla collaborazione e sulla coprogettazio-

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ne, che vede quindi pubblico e privato lavorare per un fine comu-ne, che è quello della sensibilizzazione e della promozione dell’affido, porta “al moltiplicarsi di occasioni e modi di diffusione della cultura dell’affido”. Si può dunque affermare, come scrive il coordinamento a conclusione dell’articolo, che «la relazione tra Servizio Sociale locale e privato sociale, attraverso il supera-mento delle differenze e l’instaurarsi di relazioni di fiducia, costruite attraverso il lavorare assieme permette la realizzazione di percorsi di progettualità comu-ne in grado di ribadire la valenza sociale dell’affido familiare, da un lato come salvaguardia dell’imprescindibile diritto del bambino alla famiglia e dall’altra come crescita della famiglia affidataria che diventa promotrice nella società di un cultura di solidarietà e condivisione.».

2004 Nel 2004 il Coordinamento Nazionale Servizi Affido ha ela-borato i documenti relativi all’“Affido di adolescenti” e all’“Affido di minori stranieri”.

Il documento sull’Affido di adolescenti nasce “da un’analisi della realtà che i Servizi Affido si trovano ad affrontare” dalla quale è emerso che per gli adolescenti, più che l’intervento dell’affidamento familiare, si op-ta spesso per l’inserimento in strutture – educative, quindi, alla luce del-la situazione attuale il coordinamento spiega da una parte l’importanza che l’affidamento familiare può avere per gli adolescenti, dal momento che può offrire “una risposta personalizzata ed essere la soluzione più idonea per un loro armonico sviluppo”, dandogli l’opportunità, con un adeguato abbinamento, di essere accompagnato e sostenuto nei momen-ti in cui deve affrontare le sue responsabilità, le sue scelte, la “costruzio-ne della sua personalità” e la realizzazione dei suoi “progetti di vita”; dall’altra la consapevolezza che attualmente non sono molte le famiglie affidatarie disposte ad accompagnarli e, sia che spesso si «denota una certa difficoltà degli stessi operatori sociali e sanitari a pensare all’affido per i minori già in età adolescenziale come un intervento possibile e praticabile. Fra le riflessioni che sottostanno a tale difficoltà vi è quella che, data la tendenza dei giovani a contrapporsi alla propria famiglia, non sia il caso di proporgliene un’altra non propria, con il rischio di innescare una dinamica che potrebbe rivelarsi negativa sia per la famiglia affidataria sia per il ragazzo stes-so.».

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Vengono indicate le “caratteristiche di base” che deve avere l’adolescente per far sì che possa attuarsi lo strumento dell’affido come valore aggiuntivo alla sua vita, dal momento che tale esperienza deve consentire all’adolescente di “rielaborare il passato, acquisire consapevo-lezza della situazione della famiglia d’origine e “prendere” le distanze/la misura da tale situazione, per la costruzione della propria identità e del proprio futuro”, le “condizioni necessarie per realizzare l’affido degli adolescenti”, ciò in virtù del fatto che

«Per definire il diverso percorso personale (costruzione dell’identità / cam-mino verso l’autonomia), bisogna distinguere se l’adolescente inizia il percorso d’affido direttamente dalla famiglia d’origine o provenendo da altra collocazio-ne (struttura residenziale, affido).»

e alcuni punti fondamentali per la realizzazione di un buon progetto di affido, punti che prendono in considerazione: la “condivisone del progetto da parte dell’adolescente”, le “caratteristiche e le competenze delle famiglie affidatarie”, il “ruolo e le funzioni dei Servizi Socio – Sani-tari”, la “la famiglia di origine” e il lavoro che bisogna attuare con lei.

Partendo dalla considerazione che l’Affido di minori stranieri è un aspetto da non sottovalutare, dato che il numero dei minori stranieri in Italia è in costante aumento, il coordinamento ha elaborato il documento “Affido di minori stranieri”, situazione che “induce ad una riflessione per leggere i nuovi bisogni e poter offrire di conseguenza risposte adegua-te”, e si è interrogato «sul fatto che a fronte di una popolazione di minori stranieri in aumento, gli af-fidamenti familiari di stranieri residenti o domiciliati sono esigui, mentre il nu-mero di minori stranieri inseriti in strutture è sicuramente più elevato: quali le difficoltà a proporre ed avviare affidamenti familiari? Quali le difficoltà a repe-rire famiglie idonee alla loro accoglienza?».

Diviene allora fondamentale, per la realizzazione dell’affido di minori stranieri, come si evince dal documento, che i Servizi tengano conto, trattandosi di una tematica che porta alla realizzazione di interventi spe-cifici, che i minori appartengono ad una diversa cultura e si ritrovano a vivere fra due realtà culturali, avvertendo quindi la diversità, “Le fami-glie d’origine dei minori stranieri sono portatrici di riferimenti culturali diversi che indirizzano i loro comportamenti individuali, anche nella re-lazione con i Servizi”, di conseguenza si rende opportuno e fondamenta-

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le analizzare le varie situazioni dei minori stranieri presenti in Italia, co-noscere le differenze culturali e religiose e, collaborare “con le varie et-nie utilizzando più figure professionali”. Il coordinamento pone, inoltre, attenzione anche alle due forme di affido utilizzate dai Servizi, l’affido omoculturale, impegnato nell’affidamento a famiglie della stessa etnia, e quello eterofamiliare, che “riguarda la ricerca di disponibilità di famiglie italiane per l’affidamento di minori stranieri”, sottolineando che per en-trambe è utile un’azione di sensibilizzazione, formazione e informazione per sviluppare gli obiettivi di “conoscenza reciproca”, “scambio cultura-le” e “sollecitazione alla solidarietà”. Credo sia fondamentale non tra-scurare il fatto che pur se i minori stranieri presentano delle difficoltà maggiori rispetto a quelli italiani, è possibile e importante, come sottoli-nea anche il coordinamento, offrire loro gli stessi strumenti e sostegni di aiuto attuati per i minori italiani poiché dopo aver valutato la disponibi-lità, le caratteristiche e le competenze degli affidatari «il percorso metodologico operativo tra affido di minori italiani e stranieri è i-dentico (valutazione, abbinamento, sostegno, diritti e doveri della famiglia affi-dataria), come pure l’attivazione delle varie tipologie di affido (residenziale, di-urno, fine settimana e vacanze).

La figura del mediatore culturale diversifica il progetto dell’affidamento di un minore straniero da un minore italiano e si aggiunge agli altri attori dell’affido».

Interessante, in questo documento, è anche che il coordinamento per i casi di minori stranieri non accompagnati ritiene « necessario trovare un “inserimento assistito” nella nostra realtà rispetto all’età e alle motivazioni che li hanno indotti alla “fuga” in Italia e si può quindi ipo-tizzare un “affido educativo” a famiglie o a single, sia italiani sia stranieri. Per affido educativo s’intende, in questo contesto, un’accoglienza in cui sia meno approfondito il versante del “pensato” sulla storia del minore, sulla sua fami-glia d’origine ed invece maggiormente ampliato l’aspetto dell’accompagnamento concreto, che comprende un’azione di “tutoraggio” uni-ta ad un’esperienza di “familiarità”; si può immaginare un’esperienza più in-tensa di ospitalità familiare, ma non un affido “canonico”».

2005 Nel 2005 il C.N.S.A. con un documento dal titolo “Affidamen-to Familiare Internazionale” esprime le “osservazioni tecniche, già con-frontate e condivise con le Associazioni del Privato Sociale”, in merito

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alle “proposte di legge in materia di affidamento familiare internaziona-le” che intendono tutelare «il diritto ad una crescita in famiglia anche ai minori di altri paesi le cui famiglie non siano in grado, temporaneamen-te, di assicurare loro adeguata attenzione e cura». Per evitare confusione il coordinamento evidenzia le caratteristiche che rendono l’affido inter-nazionale differente dall’affido familiare, specificando che a differenza dell’affido familiare, nell’affido internazionale “non è possibile garantire effettivamente il mantenimento della relazione fra il minore e la sua fa-miglia ed il suo contesto sociale e culturale” poiché le due famiglie si trovano a vivere in Paesi e Stati lontani tra loro, la possibilità di affido previsto per gli anni di studio e di adozione del minore da parte degli affidatari, nei casi in cui siano trascorsi i due anni e i genitori accettino, “rischiano addirittura di diventare un atto “punitivo” nei confronti di quest’ultima e, in questi casi, tale accoglienza può diventare, nei fatti, un canale che permette di superare la normativa vigente in materia di ado-zione”, l’accoglienza del minore, residente in un altro Paese, “non può conciliarsi, specie in situazioni d’emergenza, con la necessaria adeguata preparazione della famiglia accogliente e con il doveroso rispetto della cultura del bambino e della sua famiglia”, il bambino accolto da una fa-miglia che vive in un altro Paese vive “un doppio sradicamento: prima per il passaggio dalla propria famiglia e dal proprio Paese alla famiglia accogliente e poi al momento del rientro nella propria famiglia e nel proprio Paese”.

Il coordinamento concorda, inoltre, con la considerazione, di organi-smi internazionali quali l’UNICEF e la Croce Rossa, sul fatto che sarebbe più opportuno “attivare interventi di sostegno a livello locale, anche at-traverso organismi di cooperazione internazionale che favoriscano in lo-co forme di accoglienza familiare, permettendo così ai minori di rimane-re nelle loro famiglie e nel loro Paese”, evitando loro di essere allontana-ti dal loro Paese e dalla loro famiglia.

2006 Partendo dal presupposto che «le famiglie oggi si trovano a vivere una “difficile normalità” nel gestire la vita quotidiana e tale situazione se da un lato porta ad una maggiore difficoltà nel diffondere la cultura della solidarietà, dall’altro richiede un maggior impegno alle istituzioni nel garantire nuove e adeguate forme di sostegno alle famiglie»,

il coordinamento nel 2006 ha prodotto il documento “Ripensare l’accoglienza” mettendo in luce che i Servizi aderenti in base a tale diffi-coltà hanno riflettuto “su forme differenziate d’accoglienza, forme che

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coprono un arco che va dal buon vicinato all’affido con supporto profes-sionale”.

Il coordinamento volge allora il suo sguardo agli interventi che “si collocano tra due estremi “accoglienza” / “appartenenza”” e, conside-rando quei casi in cui non si rende necessario l’allontanamento del mi-nore dalla sua famiglia, grazie all’esperienza dei Servizi Affido, cerca di offrire come alternativa forme di accoglienza «dove il termine accoglienza si apre ad altri significati quali vicinanza al disa-gio, alle fatiche dei minori e delle loro famiglie, accompagnamento, affianca-mento nei momenti di crisi e di difficoltà sia quotidiane sia per periodi partico-lari.

Tali interventi rientrano nel progetto di presa in carico della famiglia e del minore e trovano le ragioni normative nell’art. 1 della legge 184/83, così come ridefinita dalla legge 149/2001 comma 3 e nell’art. 16 della legge 328/2000 comma 3, nonché nei riferimenti del Piano Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza relativo agli anni 2003/2006.

Le forme di sostegno e di affiancamento rientrano all’interno degli interventi concordati con la famiglia, e si realizzano, quindi, in un regime di consensuali-tà.».

Tali forme di accoglienza, risultano quindi strumenti efficienti e utili dato che: intervengono nelle situazioni in cui “non si evidenziano caren-ze genitoriali tali da doverne sostituire le funzioni”; possono “prevenire situazioni di disagio, in grado di garantire la tutela del minore ed il suo mantenimento nel contesto della sua famiglia d’origine”; “promuovono le risorse della famiglia e ne incrementano gli aspetti positivi”; sono “centrati sul sostegno alla genitorialità, pur garantendo l’interesse supe-riore del minore”; realizzano “obiettivi specifici, definiti, condivisi tra la famiglia con bisogno di sostegno e famiglia disponibile a darlo, attraver-so la definizione di un progetto di vicinanza tra un nucleo familiare con un altro nucleo o con una persona singola”.

Il coordinamento per una migliore definizione e attuazione delle forme di accoglienza, dà rilievo alle “competenze relative alla promo-zione e alla formazione” ed evidenzia l’importanza e la necessità di por-re attenzione anche per ciò che concerne le “risorse solidali”, in riferi-mento “al contesto di vita e alla composizione familiare”, alle “eventuali esperienze di volontariato a livello territoriale”, alla “cognizione che tale intervento è rivolto a favorire la relazione tra il minore e la sua famiglia, anche in termini preventivi, e che tale obiettivo di sfondo prevede una

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particolare vicinanza tra le famiglie che esprimono il bisogno e le perso-ne disponibili, situazione spesso difficile da gestire e non sempre previ-sta quando viene offerta la disponibilità”, al “saper sostenere le compe-tenze genitoriali attraverso piccoli gesti o incombenze quotidiane, ma anche essere disponibili ad accettare i problemi personali o di coppia, nella consapevolezza che “star bene” come persona è condizione fon-damentale per poter esercitare un’adeguata genitorialità”, e al “saper conciliare uno spazio autonomo d’intervento con la richiesta d’aiuto nei momenti di difficoltà, rivolta ai servizi socio-sanitari”.

Da alcune esperienze “in atto presso diverse realtà territoriali”, il C.N.S.A. ha sottolineato come forme, che consentono il concretizzarsi dell’intervento d’accoglienza, quelle relative al “buon vicinato e vicinan-za educativa” e al “sostegno a nuclei di madri e bambini”. La prima pre-vede una “vicinanza ad un nucleo familiare che ha bisogno di essere temporaneamente accompagnato o sostenuto nello svolgimento di alcu-ne attività della vita quotidiana o per raggiungere alcuni obiettivi educa-tivi, con la mediazione dei Servizi tra i nuclei familiari”, la seconda pre-vede un intervento «rivolto a nuclei mono-parentali (anche con genitori minorenni) che necessitano di un supporto per il raggiungimento di una piena autonomia.

Ciò comporta che la valutazione dei Servizi sul singolo caso individui quelle situazioni nelle quali la madre o, in alcuni casi il padre, ha una sufficiente com-petenza genitoriale ed una qualche forma d’autonomia nel rispondere ai biso-gni primari del figlio: situazioni in cui è quindi possibile fare ragionevoli previ-sioni di evoluzioni positive.».

Considerando poi che le famiglie affidatarie hanno un ruolo fonda-mentale nell’affido familiare, il C.N.S.A., evidenzia che attualmente “s’incontrano sempre maggiori difficoltà nel reperire famiglie affidatarie disponibili ad accogliere quei minori che si trovano in particolari e gravi condizioni personali”, difficoltà che, «rendono indispensabile e opportuno considerare le sperimentazioni quali le famiglie professionali e le forme di sostegno all'affido tradizionale, che possono fornire interessanti spunti di riflessione, ma che richiedono un monitoraggio ed un’attenta valutazione proprio per le specificità che presentano e per il loro av-vio recente.».

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Mi sembra che da quanto detto emerga l’importanza del ruolo degli affidatari, i quali rappresentando un nodo centrale dell’intervento, come specifica giustamente il coordinamento, necessitano di “uno specifico supporto professionale attuato attraverso strumenti e risorse ben definiti (educatori professionali, strutture d’appoggio diurno e residenziali, me-diatori culturali, …)”, e di molta attenzione alle difficoltà che, accoglien-do “minori particolarmente problematici e gravemente compromessi, potrebbe trovarsi ad affrontare, prevedendo opportuni e mirati strumen-ti di supporto e di integrazione alle risorse delle famiglie affidatarie stes-se”.

2007 Le riflessioni e le esperienze dei Servizi aderenti, concernenti “l’individuazione di un modello e di strumenti di lavoro omogenei ed efficaci riguardo all’affidamento familiare nel rispetto delle diverse pe-culiarità”, hanno portato il Coordinamento Nazionale Servizi Affido, nel 2007, alla stesura di un documento relativo a “Proposte di linee guida per l’affidamento familiare”, nel quale si propongono “linee guida tecniche ed operative sull’affido familiare”.

Partendo quindi dal presupposto che “l’affidamento familiare è stru-mento privilegiato e imprescindibile d’aiuto e tutela per il minore e la sua famiglia”, il C.N.S.A. conferma che nell’affido

«La co-costruzione di un linguaggio e di una prassi comune tra i diversi at-tori coinvolti, pur nel rispetto di funzioni, identità professionali e ruoli, isti-tuzionali e non, è la premessa per costruire collaborazioni positive e signifi-cative tra queste realtà e gli Enti Locali.», essendo quindi necessario, per l’attuazione dell’affido, il coinvolgimento di più attori il coordinamento offre delle linee utili a livello nazionale in una disamina dei punti fondamentali riscontrati dai Servizi aderenti nel-le loro esperienze quotidiane:

1. “Riferimenti legislativi”: in merito ai quali il C.N.S.A. men-ziona gli artt. 1-2-3-4-5 della legge 149/01.

2. “L’affido familiare ed altre forme di accoglienza”: il coordi-namento pone rilievo al fatto che, considerato che i bisogni, le difficoltà e le problematiche a cui rispondere sono diverse, «sono state sviluppate diverse forme d’affidamento familiare, duttili e flessibili: residenziale (a breve, medio o lungo termine, o per periodi cadenzati come i fi-ne settimana e le vacanze) e diurno e d’appoggio (accoglienza articolata su fasce orarie o giornaliere)»,

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Capitolo quinto 124

come è stato già menzionato in un documento precedente, i Servizi han-no avviato anche “forme diverse d’accoglienza che vanno dal buon vici-nato a supporti professionali per affidi particolarmente “difficili” ”. Queste nuove possibilità e forme di accoglienza “rappresentano il tenta-tivo di identificare ulteriori risposte a situazioni particolarmente pro-blematiche”.

3. “Riferimenti Istituzionali”: il C.N.S.A. sottolinea i compiti e le funzioni dell’Ente Pubblico.

4. “Funzioni del Servizio Socio-Sanitario Territoriale”, dal mo-mento che “Ogni minore in affido familiare deve essere seguito da un’equipé multidisciplinare del Servizio Socio-Sanitario”.

5. “Funzioni del Servizio Affido”. 6. “Il metodo”: il coordinamento elenca gli aspetti che vanno

considerati in un progetto, quali “i motivi che rendono necessaria l’accoglienza”, la durata, “gli obiettivi da raggiungere, a breve, medio e lungo termine”, “le funzioni e gli interventi di ciascun componente dell’équipe”, “le modalità di rapporto tra il minore e la sua famiglia” e tra il nucleo di origine e gli affidatari, “la tipologia dell’affido”, “gli in-terventri a sostegno degli affidatari e del minore”, “gli interventi a so-stegno e recupero della famiglia d’origine”, “la cadenza degli incontri di verifica con i diversi operatori”, e l’iter da seguire durante il percorso d’affido e la conclusione.

7. “Associazioni ed Organismi del Privato Sociale”: il coordina-mento specifica a tal proposito che

«Si riconoscono e valorizzano le Associazioni e gli Organismi del Privato Sociale che operano nel settore dell’affidamento familiare. nel rispetto dei diversi ruoli e competenze, vanno favoriti percorsi di collaborazione ed inte-razione tra soggetti pubblici e privati, al fine di individuare obiettivi e strate-gie definiti, in un sistema di lavoro ed azioni in rete.», i Servizi Sociali locali ed il privato sociale devono collaborare alla sensi-bilizzazione e promozione dell’affidamento familiare.

8. “Rapporti con la Magistratura”: si pone attenzione all’importanza del ruolo della Magistratura nel definire i percorsi di tu-tela del minore, poiché è il Giudice Tutelare a rendere “esecutivo il provvedimento di affidamento familiare disposto dal Servizio Sociale locale”, è il Tribunale per i Minorenni ad emettere “il provvedimento di affido nei casi in cui manchi l’assenso all’affido da parte dei genitori e-

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sercenti la potestà” e di dichiarare “adottabile il minore di cui sia accer-tata la situazione di abbandono”. È inoltre necessario informare, compi-to attribuito al Servizio Sociale locale, il giudice tutelare o il tribunale per i minorenni in merito ad “ogni evento di particolare rilevanza”, e sottopor-gli, sempre dal Servizio Sociale locale, “una relazione semestrale sull’andamento del programma di assistenza, sulla sua presumibile ulteriore durata e sull’evoluzione delle condizioni di difficoltà del nucleo familiare di pro-venienza” (art. 4 comma 3) L’Autorità Giudiziaria deve sentire gli affida-tari “nell’ambito della definizione dei progetti per i minori da loro ac-colti, così come previsto dall’art. 5, comma 1 della Legge 149/01”. Risul-ta importante “la stipula di protocolli d’intesa tra l’Ente Locale e il Tribunale per i Minorenni”.

9. “I minori”: dei quali il coordinamento ne sottolinea i diritti, l’importanza di accettarlo “nel rispetto della cultura e tradizione d’origine e delle abitudini della famiglia di provenienza”, e la necessi-tà di soddisfare il suo bisogno di affetto, di consentirgli di superare la si-tuazione di disagio che sta vivendo e offrirgli l’opportunità, con un buon progetto di affido, di crescere in modo equilibrato grazie a sostegno de-gli affidatari e dei Servizi.

10. “I genitori”: i quali devono “essere informati sulle finalità dell’affidamento, in generale e per lo specifico progetto”, “essere coin-volti in tutte le fasi del progetto d’affido”, “essere coinvolti in un proget-to di aiuto per superare i problemi propri e del nucleo familiare”, “man-tenere durante l’affido familiare, se e come previsto dal progetto, i rap-porti con il proprio figlio”; e devono “attivarsi per il superamento delle condizioni che hanno portato all’allontanamento del minore, per favo-rirne il rientro in collaborazione con gli operatori dei servizi”, “mantene-re rapporti costanti e collaborativi con gli operatori per favorire il buon andamento dell’affido”, “mantenere rapporti con la famiglia affidataria e con il minore, tenendo conto d’eventuali disposizioni dell’Autorità Giudiziaria e di quanto concordato dagli operatori del Servizio Sociale in relazione al progetto”, “rispettare la privacy della famiglia affidataria, in ottemperanza alla specifica legislazione in merito”.

11. “Gli affidatari”: hanno diritto di: “essere preventivamente in-formati delle condizioni dell’affido che si propone loro, anche in attua-zione di quanto disposto dal Tribunale per i Minorenni”, “essere coin-volti in tutte le fasi del progetto d’affido”, “poter disporre di un soste-gno individuale e partecipare alle attività di sostegno (gruppi, colloqui, formazione, ecc.) predisposte dai servizi”, “ricevere un contributo, svin-colato dal reddito e facilitazioni per l’accesso ai servizi”. È di loro com-

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Capitolo quinto 126

petenza “assicurare il mantenimento, la cura, l’educazione e l’istruzione del minore in affido, provvedendo, in accordo con la famiglia d’origine e con gli operatori, anche alle necessità d’ordine sanitario, intervenendo tempestivamente in caso di gravità ed urgenza, informandone il Servizio Sociale”, “mantenere, secondo le indicazioni degli operatori e le even-tuali disposizioni dell’Autorità Giudiziaria, rapporti con la famiglia d’origine del minore in affido”, “favorire il rientro del minore nella sua famiglia d’origine secondo gli obiettivi definiti nel progetto”. Devono dimostrare “capacità affettiva e educativa per saper accettare e rispettare la storia del bambino, le sue origini, il suo mondo relazionale, accoglien-dolo presso di sé come fosse un proprio figlio, con la consapevolezza che non lo è, rispettandone le caratteristiche culturali, religiose ed etniche”, “disponibilità a collaborare con gli operatori e con la famiglia d’origine”, “disponibilità a tollerare i cambiamenti che possono verificarsi nel pro-getto per il bene del minore e saper mantenere discrezione e rispetto nei confronti della famiglia di origine del bambino, anche nel rispetto della legislazione sulla privacy”, “disponibilità concreta (tempo, spazio) ed emotiva (accoglienza) ed un sostanziale equilibrio di fondo”. Deve esse-re data loro la possibilità di informarsi e formarsi e «essere preventivamente informati dal Servizio Socio-Sanitario riguardo alle condizioni dell’affido che a loro si vuole proporre, affinché possano valutare personalmente se dare o no la propria disponibilità; è importante che, oltre alla valutazione professionale degli operatori, gli affidatari siano accompa-gnati in un percorso di “autovalutazione” rispetto ai propri limiti, attese, ri-sorse e potenzialità.».

12. “I sostegni”: i quali devono, come sottolinea il coordinamento, essere promossi ed attuati dal Comune di residenza dei genitori e del bambino relativamente alle famiglie/persone singole affidatarie, al mi-nore e ai genitori.

5.3. Indagini Nazionali

In Italia si è registrato negli anni, grazie alla legge 149/2001, che pre-vede entro il 31 dicembre 2006 il superamento del ricovero in Istituto, e all’intervento degli operatori, una maggiore cultura dell’affidamento familiare rispetto all’affidamento a comunità alloggio o istituti. A tal

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Coordinamento Nazionale Servizi Affido (C.N.S.A) e Indagini nazionali 127

proposito qui di seguito riporto alcune tavole79 che pongono in risalto questo aspetto essenziale, considerando i Provvedimenti a tutela del mi-nore emessi dai Tribunale per i Minorenni e i numeri dei minori in affi-damento familiare e i minori accolti nei servizi residenziali al 31 dicem-bre 2005, con un commento personale ai dati.

Fonte: Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e

l’adolescenza, I numeri italiani, Firenze, Istituto degli Innocenti, 2007(Questioni e Documenti, n. 43).

Tavola 1 - Istituti per minori e minori ospiti secondo le rilevazioni

ISTAT del 1999, 2000 e Centro nazionale del 2003. Italia

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Variazione 2003/2000 144 4.942

79 Fonte: Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e

l’adolescenza, I numeri italiani, Firenze, Istituto degli Innocenti, 2007(Questioni e Documenti, n. 43).

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139 Capitolo quinto

Commento La Tavola 1 - Istituti per minori e minori ospiti secondo le rileva-

zioni ISTAT del 1999, 2000 e Centro nazionale del 2003. Italia, prende in considerazione le strutture presenti in Italia dal 1999 al 2003 e i minori ospiti per lo stesso periodo. Emerge come al 31 dicembre 1999 erano pre-senti 475 strutture che ospitavano un totale di 10.626 minori, negli anni successivi si è verificata una riduzione delle strutture, infatti al 31 di-cembre 2000 vi erano 359 strutture che accoglievano 7.575 miniori sino ad arrivare al 30 giugno 2003 con 215 strutture ospitanti 2.633 minori. Dai dati sulla variazione risulta che vi è stato un forte calo delle struttu-re, precisamente dalla variazione 2000/1999 vi è stata una riduzione di 116 strutture e, dalla variazione 2003/2000 di 114 strutture; invece, per quanto concerne i minori ospiti, dalla variazione 2000/1999 si nota che «il numero delle accoglienze è diminuito di 3.051 unità, la variazione calcolata tra il 2003 e il 2000 ammonta a 4.942 unità, riflettendo di fatto in tale periodo una contrazione di quasi due terzi di minori.»80. Aspetto questo che mette in evidenza come si sia cercato in questi anni di ridurre le strutture per minori, e quindi il fenomeno della deistituzionalizzazio-ne, al fine di promuovere l’affidamento familiare.

Dalla Tavola 5.3.1 - Provvedimenti emessi dai tribunali per i mino-renni in materia di affidamento. Italia - Anni 1993-2003, si può notare che se nel 1993 la percentuale degli affidamenti familiari rispetto al tota-le è del 34,7%; negli anni successivi vi è stato un aumento sino ad arriva-re nel 2003 ad una percentuale di affidamenti familiari del 54,4%. Nello specifico, dei provvedimenti emessi dai tribunali per i minorenni, risulta che nel 1993, su un totale di 1.910 affidamenti 1.248 sono stati Affida-menti a comunità alloggio o istituti e solo 662 Affidamenti familiari, con una percentuale di affidamenti familiari del 34,7%, situazione questa che dal 1994 subisce un cambiamento che vede l’aumento della percentuale degli affidamenti familiari. Con picchi di affidamenti familiari del 46,9% del 1994 e del 54,4% del 2003.

Guardando i dati relativamente all’aumento delle percentuali di affi-damento familiare del 2002 e del 2003, si potrebbe pensare che questa crescita sia dovuta alla legge 149/2001 che prevede la chiusura degli Isti-tuti entro il 2006. Comunque, tale tendenza mostra una maggiore cultura

80 Fonte: Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e

l’adolescenza, I numeri italiani, Firenze, Istituto degli Innocenti, 2007(Questioni e Documenti, n. 43).

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Capitolo quinto 140

dell’affidamento familiare rispetto agli affidamenti a comunità alloggio o istituti.

Nella Tavola 5.3.2 - Provvedimenti emessi dai tribunali per i mino-renni in materia di affidamento - Anni 2001-2003, vengono posti in ri-salto i provvedimenti emessi dai Tribunali per i minorenni considerando gli anni 2001 – 2002 – 2003 in riferimento agli affidamenti familiari e agli affidamenti a comunità alloggio o istituti, secondo il territorio di compe-tenza.

Si evince che in totale nel 2001 gli affidamenti emessi dai Tribunali per i minorenni sono stati 2.197, di cui 671 Affidamenti familiari e 1.526 Affidamenti a comunità alloggio o istituti; nel 2002 i provvedimenti in materia di affidamento emessi dai Tribunali per i minorenni sono stati 1.777, suddivisi in 819 Affidamenti familiari e 958 Affidamenti a comu-nità alloggio o istituti; il 2003 ha registrato 866 Affidamenti familiari e 727 Affidamenti a comunità alloggio o istituti, per un totale di 1.593 affi-damenti emessi dal Tribunale per i minorenni. Se dal 2001 e dal 2002 emerge la prevalenza degli affidamenti a comunità alloggio o istituti ri-spetto agli affidamenti familiari, nel 2003 si verifica un’inversione di tendenza con l’aumento degli affidamenti familiari rispetto agli affida-menti a comunità alloggio o istituti.

In particolare, analizzando le situazioni che presentano per tutti e tre gli anni considerati la stessa tendenza emerge che i Tribunali per i mino-renni dove si registrano i valori più alti per l’Affidamento familiare sono quelli di: Torino; Bolzano; Venezia; Firenze; Roma; Salerno. Tra questi possono essere inseriti anche i Tribunali per i minorenni di Milano, Ca-tanzaro e Catania, poiché i primi due per il 2001 hanno registrato più af-fidamenti familiari (1 su un totale di 1 per Milano e 2 su un totale di 2 per Catanzaro), mentre per il 2002 e il 2003 non risulta nessun provve-dimento di affidamento emesso da tali Tribunali; Catania sia nel 2001 che nel 2003 registra tra il totale degli affidamenti tutti affidamenti fami-liari (10 per il 2001 e 2 per il 2003, invece per il 2002 non risulta alcun provvedimento emesso dal Tribunale per i minorenni).

I Tribunali per i minorenni che al contrario hanno valori più alti per l’Affidamento a comunità alloggio o istituti sono: Brescia; Trento; Trie-ste; Ancona; L’Aquila; Campobasso; Napoli; Palermo.

Mentre gli altri Tribunali per i minorenni presentano situazioni che variano negli anni, senza esprimere, tuttavia, una differenza statistica-mente significativa.

Invece, il Tribunale per i minorenni di Genova non ha emesso alcun provvedimento in materia di affidamento negli anni considerati.

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Coordinamento Nazionale Servizi Affido (C.N.S.A) e Indagini nazionali 141

Considerando, inoltre, che in alcune Regioni sono presenti più Tribu-nali per i Minorenni, i dati dei Tribunali per i Minorenni della stessa Re-gione potrebbero essere letti in un’ottica cumulativa, qui di seguito e-sposta.

Nella Regione Lombardia, relativamente ai Tribunali per i minorenni di Milano e Brescia, nel 2001 si sono avuti in totale 3 affidamenti, di cui 1 familiare e 2 a comunità alloggio o istituti, per il 2002 e per il 2003 i valo-ri da considerare sono solo quelli attinenti al Tribunale per i minorenni di Brescia perchè dal Tribunale per i minorenni di Milano non è stato emesso alcun provvedimento in materia di affidamento.

Nel Trentino Alto – Adige, considerando i Tribunali per i minorenni di Trento e Bolzano, si evince che nel 2001 su un totale di 30 affidamenti 12 sono stati familiari e 18 a comunità alloggio o istituti, nel 2002 dei 32 affidamenti 16 sono stati familiari e 16 a comunità alloggio o istituti, nel 2003 vi sono stati 6 affidamenti, di cui 4 familiari e 2 a comunità alloggio o istituti. Emerge che, fatta eccezione per il 2002 dove i dati sono uguali, nel 2001 i valori degli affidamenti a comunità alloggio o istituti sono sta-ti maggiori, mentre nel 2003 risultano più affidamenti familiari.

Nella Regione Campania, in riferimento ai Tribunali per i minorenni di Napoli e Salerno, premesso che per gli affidamenti familiari i dati so-no riconducibili solo al Tribunale per i minorenni di Salerno dal momen-to che per Napoli non risulta nessun affidamento familiare, emerge che nel 2001 vi sono stati 309 affidamenti, di cui 64 familiari e 245 a comuni-tà alloggio o istituti, nel 2002 il totale degli affidamenti è stato di 233, 132 familiari e 101 a comunità alloggio o istituti, nel 2003 gli affidamenti so-no stati 192, 144 familiari e 48 a comunità alloggio o a istituti. Da tali dati si nota che a differenza del 2001, dove si sono verificati più affidamenti a comunità alloggio o istituti nel 2002 e nel 2003 la maggior parte degli af-fidamenti sono stati familiari.

Nella Regione Puglia, dai Tribunali per i minorenni di Bari, Lecce e Taranto, complessivamente si nota che nel 2001 sono stati registrati 250 affidamenti, 33 familiari e 217 a comunità alloggio o istituti, nel 2002 su un totale di 203 affidamenti 80 sono stati familiari e 123 a comunità al-loggio o istituti, nel 2003 di 190 affidamenti 85 fanno riferimento a quelli familiari e 105 a comunità alloggio o istituti. In generale risulta che in tutti e tre gli anni gli affidamenti a comunità alloggio o istituti sono stati di più rispetto a quelli familiari.

Per quanto concerne la Calabria, alla luce dei provvedimenti emessi dai Tribunali per i minorenni di Catanzaro e Reggio Calabria, nel 2001 ci sono stati 31 affidamenti, 14 familiari e 17 a comunità alloggio o istituti,

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Capitolo quinto 142

per il 2002 ed il 2003 vengono registrati solo i dati del Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria ciò in ragione del fatto che il Tribunale per i minorenni di Catanzaro non ha emesso provvedimenti in materia di af-fidamento.

Nella Regione Sicilia, per ciò che concerne i Tribunali per i minorenni di Palermo, Messina, Caltanissetta e Catania, si evince che nel 2001 gli affidamenti sono stati 246, dei quali 20 fanno riferimento ad affidamenti familiare e 226 ad affidamenti a comunità alloggio o istituti, nel 2002 vi sono stati 141 affidamenti, di cui 30 familiari e 111 a comunità alloggio o istituti, nel 2003 in totale gli affidamenti sono stati 90, 17 familiari e 73 a comunità alloggio o istituti. Emerge da questi valori che, come per la Regione Puglia, in tutti e tre gli anni gli affidamenti sono stati prevalen-temente a comunità alloggio o istituti.

Infine, nella Regione Sardegna, rispetto ai Tribunali per i minorenni di Cagliari e Sassari, nel 2001 su un totale di 107 affidamenti 72 sono sta-ti familiari e 35 a comunità alloggio o istituti, nel 2002 si sono registrati 86 affidamenti, di cui 65 familiari e 21 a comunità alloggio o istituti, nel 2003 vi sono stati 135 affidamenti, 54 dei quali sono stati familiari e 81 a comunità alloggio o istituti. Complessivamente risulta, quindi, che nel 2001 e nel 2002 la maggior parte degli affidamenti sono stati familiari, invece nel 2003 si è verificata una crescita degli affidamenti a comunità alloggio o istituti.

La Tavola 5.3.3 - Provvedimenti emessi dai tribunali per i minoren-ni in materia di affidamento per area territoriale - Anni 2001-2003 con-sidera, come la precedente, i provvedimenti emessi dai Tribunali per i minorenni in materia di affidamento familiare ma, a differenza dell’altra, in relazione alle aree territoriali ed evidenziando anche le per-centuali di affidamenti familiari.

È interessante notare che sia al Nord che al Centro e Sud nel 2003 la percentuale degli affidamenti familiari è aumentata, mentre nelle Isole si è verificato un calo rispetto al 2002. Inoltre, dai dati emerge come al Cen-tro la tendenza verso gli Affidamenti familiari sia stata sempre maggiore rispetto agli Affidamenti a comunità alloggio o istituti, infatti nel 2001 la percentuale degli affidamenti familiari è del 59,6 e nel 2002 è del 56,1, l’ulteriore crescita si è verificata nel 2003 con il 61,2 %. Al contrario, al Sud i valori sono più alti, in considerazione di tutti e tre gli anni, per gli Affidamenti a comunità alloggio o istituti anche se rispetto al 2001, dove la percentuale degli Affidamenti familiari è del 26,8%, nel 2002 e nel 2003 si è verificato un aumento degli affidamenti familiari del 47,9% per il 2002 e del 48,4% per il 2003. Nelle Isole, invece, gli Affidamenti a co-

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Coordinamento Nazionale Servizi Affido (C.N.S.A) e Indagini nazionali 143

munità alloggio o istituti risultano sempre maggiori rispetto agli Affi-damenti familiari, nel 2001 vi è una percentuale di questi ultimi del 26,1, nel 2002 si evince un rialzo con un 41,9% ma nel 2003 i valori scendono nuovamente al 31,6%. Il Nord, rispettivamente al 2001 e al 2002 presenta percentuali di Affidamenti familiari molto bassi, una percentuale del 25,5 riferita al 2001 ed una del 41,4 riferita al 2002 ma bisogna notare che nel 2003 si registra una crescita consistente degli Affidamenti familiari, ben il 68,6%, percentuale alta anche rispetto alle altre aree territoriali.

Considerando comunque il totale rispetto alle quattro aree territoriali bisogna considerare che l’Affidamento familiare è cresciuto dal 30,5% del 2001 al 46,1% del 2002 sino al 54,4% del 2003, percentuali che indica-no uno sviluppo crescente della cultura dell’affidamento familiare e dell’importanza attribuita nel procedimento di affido all’inserimento, anche se temporaneo, del minore in un contesto familiare.

La crescita della cultura dell’affidamento familiare si evince ancor meglio dai dati riportati nella Tavola 6.1 – Minori in affidamento fami-liare e minori accolti nei servizi residenziali per regione e provincia autonoma al 31 dicembre 2005. Infatti, al 31 dicembre 2005 gli affida-menti familiari risultano maggiori rispetto agli affidamenti a servizi re-sidenziali, i minori accolti in strutture residenziali sono 12.513 mentre i minori in affidamento familiare sono 13.159 « il dato è però da ritenersi sottostimato in quanto da un lato non tiene conto degli affidamenti fami-liari della Regione Sicilia che a questa data non ha fornito le informazio-ni e, dall’altro, risulta parziale in almeno altre due realtà regionali. Con-siderato che dalla ricerca del 1999 risultavano in corso in quell’anno 10.200 affidamenti familiari, il dato attuale, anche se sottostimato, porta nel periodo 1999-2003, a un incremento percentuale degli affidamenti familiari prossimo al 30%.»81.

Osservando si nota che le Regioni e le Province autonome con dati più alti per i minori accolti nei servizi residenziali sono: Provincia di Trento (327 minori accolti e 101 in affidamento familiare), Veneto (1.002 minori accolti e 764 minori in affidamento familiare), Friuli – Venezia Giulia (221 minori accolti e 165 minori in affidamento familiare), Umbria (252 minori accolti e 197 minori in affidamento familiare), Lazio (1.000 minori accolti e 918 minori in affidamento familiare), Abruzzo (265 mi-nori accolti e 199 minori in affidamento familiare), Molise (96 minori ac-

81 Fonte: Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e

l’adolescenza, I numeri italiani, Firenze, Istituto degli Innocenti, 2007(Questioni e Documenti, n. 43).

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Capitolo quinto 144

colti e 82 minori in affidamento familiare), Campania, 1.384 minori ac-colti e 776 minori in affidamento familiare), Basilicata (152 minori accolti e 8 minori in affidamento familiare), Calabria (516 minori accolti e 354 minori in affidamento familiare), Sardegna (337 minori accolti e 79 mi-nori in affidamento familiare). Al contrario, i valori più alti per gli Affi-damenti familiari si registrano in: Piemonte (1.448 minori in affidamento familiare e 1.175 minori accolti), Valle D’Aosta (46 minori in affidamento familiare e 21 minori accolti), Lombardia (2.505 minori in affidamento familiare e 1.652 minori accolti), Provincia di Bolzano (201 minori in af-fidamento familiare e 151 minori accolti), Liguria (660 minori in affida-mento familiare e 466 minori accolti), Emilia – Romagna (1.264 minori in affidamento familiare e 1.040 minori accolti), Toscana (1.725 minori in affidamento familiare e 970 minori accolti), Puglia (1.404 minori in affi-damento familiare e 1.175 minori accolti).

Dalla Tavola 6.2 - Minori in affidamento familiare e minori accolti nei servizi residenziali per regione e provincia autonoma al 31 dicem-bre 2005. Tassi per 1.000 abitanti della stessa età emerge, tra i minori ac-colti nei servizi residenziali e i minori in affidamento familiare, come da-to nazionale che per ogni 1.000 minori residenti 1,5 è in affidamento fa-miliare e 1,4 è accolto nei servizi residenziali, valore che sottolinea l’aumento degli affidamenti familiari.

Si nota che le Regioni e le province autonome che registrano, per quanto riguarda gli affidamenti familiari, valori bassi rispetto a quello nazionale sono: Basilicata 0,1 - Sardegna 0,3 - Campania 0,6 - Abruzzo e Calabria 0,9 - Veneto, Friuli – Venezia Giulia e Lazio 1,0 - Provincia di Trento 1,1, Umbria 1,2. Al contrario, le Regioni e le province autonome che mostrano valori alti rispetto a quello nazionale sono: Toscana 3,3 – Liguria 3,2 - Valle D’Aosta 2,4 - Piemonte 2,3 – Provincia di Bolzano, Emilia – Romagna 2,1 – Puglia 1,8 – Lombardia 1,7 – le Marche e il Moli-se si mantengono sul valore nazionale 1,5. Da tali dati si evince dunque che «L’indicatore risulta al di sopra del valore medio nazionale in alcune regioni del Centro-nord, mentre tra le regioni del Sud è la sola Puglia (1,8) ad avere un valore medio più alto di quello nazionale.»82.

Le Regioni e le Province autonome che presentano valori alti rispetto a quello nazionale per quanto concerne i minori accolti nei servizi resi-denziali, che è 1,4, sono: Marche 2,0 – Provincia di Trento 3,6 – Puglia 1,5

82 Fonte: Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e

l’adolescenza, I numeri italiani, Firenze, Istituto degli Innocenti, 2007(Questioni e Documenti, n. 43).

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Coordinamento Nazionale Servizi Affido (C.N.S.A) e Indagini nazionali 145

– Molise 1,8 – la Basilicata si mantiene sul valore nazionale. Mentre, le Regioni e le Province autonome che hanno valori bassi rispetto a quello nazionale sono: Valle D’Aosta, Lombardia, Lazio, Campania 1,1 – A-bruzzo 1,2 – Umbria, Calabria, Sardegna 1,3.

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Osservazioni conclusive

In questo elaborato, partendo dal presupposto che ogni bambino ha il “diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia” (art. 1 legge 149/2001) e che qualora la famiglia, nonostante gli interventi di aiuto e di sostegno, non risulti capace di svolgere le sue funzioni genitoriali presentando condizioni di vita e problematiche pregiudizievoli per lo sviluppo psico-fisico del figlio/a, ho preso in considerazione l’intervento dell’affidamento familiare con un’attenzione particolare all’impegno e all’operato del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza. Da un tale la-voro sono emersi aspetti molto interessanti dell’affido familiare che pongono in risalto la complessità, le molteplici sfaccettature e l’importanza che un siffatto intervento può avere per i suoi protagonisti, minore – nucleo naturale – famiglie e persone affidatarie.

Considerando che l’affidamento a differenza dell’adozione non pre-vede alcuna rottura giuridica del legame tra il minore e i suoi genitori naturali, si evince come tale intervento, prevedendo un distacco non de-finitivo ma temporaneo, persegua lo scopo, da un lato di garantire al minore la possibilità di vivere in un ambiente sano con adulti significa-tivi che possano accompagnarlo, durante il periodo di allontanamento dal suo nucleo, nella sua crescita e nel suo sviluppo e, dall’altro di met-tere in atto degli interventi che possano, allo stesso tempo, aiutare i geni-tori naturali a superare le difficoltà che hanno portato alla separazione e a riacquisire le capacità e le funzioni genitoriali per poter tornare ad oc-cuparsi nuovamente del figlio/a.

In virtù del fatto che ogni persona ha caratteristiche e situazioni diffe-renti e che l’affidamento è rivolto a minori di età compresa tra 0 e 18 an-ni senza distinzione di sesso, di etnia, di età, di lingua, di religione e nel rispetto della identità culturale del minore, emerge l’importanza di realizzare inter-venti di affido individualizzati che pongano al centro le varie esigenze e i vari bisogni. Infatti, si può notare che:

a) Per il bambino piccolo risulta essenziale, sin dai primissimi mesi di vita, soddisfare il suo bisogno di attaccamento e avere figure di riferimento capaci di offrirgli amore, cure ed atten-zioni al fine di evitare che se i genitori naturali non risultino capaci e idonei possa crescere con vuoti affettivi e relazionali;

b) Per l’adolescente è necessario considerare sia le problematiche e le carenze della famiglia naturale e sia l’aspetto adolescen-ziale, il quale richiede la presenza di figure adulte che possa-

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Osservazioni conclusive 148

no sostenerlo e accompagnarlo nella rielaborazione della sua storia e della sua situazione familiare e nella ricerca della sua identità, stimolare le sue risorse e i suoi interessi per la co-struzione del suo futuro;

c) Per il minore straniero, a prescindere dal fatto che lo Stato ita-liano offre a lui gli stessi diritti di tutela e protezione sanciti per il minore italiano, si presentano difficoltà ed ostacoli maggiori, poiché trovandosi a vivere in un Pese straniero do-vrà crescere, scoprire il suo sé e costruire la sua identità elabo-rando l’appartenenza sia a due famiglie, quella naturale e quella affidataria, e sia a due culture ed etnie differenti, situa-zione quindi che richiede un intervento multiprofessionale (assistente sociale, educatore, mediatore culturale, ecc…); ne consegue dunque che per un suo sano sviluppo è basilare che il progetto di affido metta in relazione le sue origini e il suo presente.

Alla luce, quindi, di queste diversità che caratterizzano il protagoni-sta principale dell’affido si può comprendere che agli operatori è richie-sto: un lavoro che poggi le sue fondamenta su quelle che sono le caratte-ristiche, le esigenze e le difficoltà del bambino/ragazzo, e in base a ciò realizzare un adeguato intervento e offrire a lui sostegno e aiuto per af-frontare il procedimento di affido e la separazione dal suo nucleo; una capacità di confronto positivo con le diverse culture e situazioni per far sì che possano integrarsi tra loro; un’attenzione a quelle che possono es-sere le problematiche psico-sociali che il bambino si trova ad affrontare quali: “difficoltà emotivo – relazionali”, senso di colpa e di angoscia per l’allontanamento, senso di abbandono, poiché vivrà più separazioni, dal-la famiglia naturale prima e dagli affidatari a conclusione dell’affido, conflitto di lealtà nei confronti dei suoi genitori. Inoltre risulta basilare che gli operatori nel loro intervento, al fine di reintegrare il minore nella sua famiglia, facciano in modo che possa mantenersi sempre viva la re-lazione con la sua famiglia e favorire i presupposti per un rapporto col-laborativo tra le due famiglie, ciò perché una collaborazione consente al bambino/ragazzo di vivere la situazione con meno conflittualità.

Risulta importante, ancora, che gli operatori, oltre agli interventi per il minore, mettano in azione interventi nei confronti sia della famiglia naturale che di quella affidataria, dal momento che entrambe, anche se per ragioni dissimili, necessitano di aiuto e sostegno. In ragione di ciò emerge che gli operatori devono:

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Osservazioni conclusive 149

a) Per quel che concerne la famiglia naturale, instaurare un rap-porto chiaro che non la faccia sentire come inadatta e negati-va, individuare le cause che hanno portato alla crisi e le risor-se che possiede per giungere ad un cambiamento positivo, ac-compagnarla nella comprensione, accettazione e superamento delle problematiche, e nel recupero delle capacità genitoriali;

b) In riferimento alla famiglia affidataria, valutare in primis la sua maturità, le motivazioni e le aspettative, dal momento che dovrà agevolare e favorire il rientro del minore nel suo nucle-o; sostenerla e aiutarla: per tutto il percorso di affido, nell’accettazione e comprensione del bambino, delle sue diffi-coltà, dei suoi tempi di apertura e del suo contesto familiare, quindi delle sue origini, della sua storia e della sua famiglia, nel suo ruolo educativo, affettivo, relazione e sociale, nel mantenere anche il suo equilibrio familiare; fornirle: informa-zione/formazione sull’affido, adeguata preparazione per ge-stire sia i rapporti con il minore che con la sua famiglia natu-rale, accompagnarla e integrare le sue risorse nel caso dovesse affrontare situazioni critiche.

Ne deriva che è essenziale ed auspicabile, in materia di affidamento familiare, strutturare un lavoro di rete che, con il coinvolgimento di va-rie figure professionali, possa “dar vita” ad un intervento sociale, psico-logico, educativo e sanitario, riuscendo così ad aiutare il minore, la fa-miglia naturale e gli affidatari.

L’interesse, la tutela ed il diritto del minore a crescere ed essere edu-cato in un ambiente sano emergono “in modo forte e chiaro” con la Leg-ge 4 Maggio 1983, n. 184 e con la Legge 28 Marzo 2001, n. 149 recante “Modifiche alla legge 4 maggio 1983”. Infatti con tali leggi il legislatore pone al centro gli interessi del minore ed evidenzia che: l’affidamento è possibile quando gli interventi di sostegno e aiuto al nucleo familiare multiproblematico non abbiano portato a cambiamenti positivi; che in primis bisogna considerare la possibilità di un affidamento familiare o ad una persona singola e solo in assenza di tali possibilità vi può essere l’inserimento del minore presso una comunità di tipo familiare; dispone, aspetto molto importante, la chiusura degli istituti entro il 2006.

Ed è su tali linee che l’Ente Provincia di Potenza, nell’ambito delle Po-litiche Sociali, in collaborazione con il Tribunale per i Minorenni e l’Associazione il “Ponte gruppo Famiglie Affidatarie”, nel 2003 ha istitu-to il “Centro Affidi”. Dall’operato di questi anni si evidenzia che è inte-

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Osservazioni conclusive 150

resse degli operatori lavorare alla qualità e all’efficienza degli interventi con un’attenzione agli aspetti qualitativi, quali:

a) promozione su tutto il territorio provinciale dell’affido fami-liare, della cultura della solidarietà e di un “nuovo concetto di famiglia”, nella prospettiva di sensibilizzare i cittadini sull’importanza che l’intervento di affido riveste per i bambi-ni che non hanno la “fortuna” di vivere in un contesto ade-guato alla sua crescita psico-fisica, di avvicinare sempre più perone alla scelta dell’affido come compito educativo, affetti-vo e sociale e, di realizzare cambiamenti positivi;

b) confronto costante con le altre realtà nazionali, riflettendo sul-le proprie esperienze e quelle altrui in modo da poter aggiun-gere al loro lavoro nuovi aspetti, e ciò al fine di rendere il più ottimale possibile l’intervento dell’affido nel territorio provin-ciale e rispondere alle diverse problematiche e situazioni so-ciali, in virtù di ciò ha aderito al C.N.S.A. (Coordinamento Nazionale Servizi Affido);

c) realizzare interventi atti ad offrire al minore la possibilità di vivere, valutata l’inidoneità della sua famiglia, in un contesto familiare attento e sano. A tal fine sono impegnati nel reperi-mento di famiglie e persone singole disponibili all’affido;

d) per le famiglie e le persone disponibili all’affido, attuazione di un corso di preparazione, formazione e approfondimento sul-le tematiche dell’affido e sui suoi aspetti, con l’obiettivo di in-formarli, seguirli e accompagnarli nel percorso di affido, ciò in considerazione del fatto che tra i compiti del Centro pro-vinciale vi è anche quello, fondamentale, dell’abbinamento minore – affidatari e inserimento dei minori nelle famiglie;

e) stipula di un Protocollo d’intesa (Lg. 149/2001), tra Provincia di Potenza “Centro Affidi”, Tribunale per i Minori e Servizi Sociali Comunali (n. 100) del territorio provinciale ognuno per le proprie competenze e specificità.

Grazie al lavoro di sensibilizzazione dell’opinione pubblica è emerso che dal 2005 al 2007 hanno dato la loro adesione all’affido 47 famiglie e sono stati realizzati 34 abbinamenti minore – affidatari.

Inoltre, ritenendo la realizzazione del corso di formazione per gli af-fidatari un aspetto fondamentale del lavoro del “Centro Affidi”, dal momento che per svolgere un ruolo impegnativo e delicato come quello dell’affidatario si rende necessario ed ottimale un corso formativo, ho cercato, realizzando un questionario rivolto alle famiglie e persone di-

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Osservazioni conclusive 151

sponibili all’affido che hanno seguito e seguono la formazione organiz-zata dal “Centro Affidi”, di raccogliere le loro valutazioni e considera-zioni. Bisogna comunque sottolineare che sono emerse anche informa-zioni relative alla coppia, alla loro storia individuale, al loro atteggia-mento e a quello dei familiari nei confronti dell’affido, e su come inten-dono rapportarsi alla famiglia d’origine del minore e alla sua storia di vita.

Considerando, solo i punti più salienti, è emerso che: a) tra le motivazioni che hanno portato alla scelta dell’affido

nessuna famiglia ha barrato come alternativa di risposta “De-siderio di compiacere il coniuge” e “Compensazione per il fi-glio mancante”, risposte queste che a mio avviso non conside-rano l’importanza di una scelta voluta da entrambi ed il fatto che gli affidatari svolgono un ruolo genitoriale temporaneo poiché è presente il legame genitore naturale – figlio;

b) le famiglie con figli li hanno coinvolti ed essi risultano con-cordi, aspetto essenziale in un procedimento di affido dal momento che a tutti i membri della famiglia è richiesto di ri-organizzare i loro tempi e i loro spazi in funzione del percorso da svolgere;

c) tutti sono disponibili al mantenimento dei rapporti con la fa-miglia biologica tranne una, da quanto detto sin ora, ritengo basilare da parte degli affidatari, per l’interesse del bambi-no/a, l’accettazione del nucleo di origine e il mantenimento dei legami;

d) alla domanda “Come pensate di porvi nei confronti delle abi-tudini di vita del minore, delle sue origini e della sua storia” le risposte pongono in risalto la volontà di integrare le sue o-rigine con la propria storia familiare per salvaguardare quella che è la sua identità, di ascoltarlo e cogliere quelli che possono essere le sue difficoltà passate e presenti, rispettando i suoi tempi di apertura nei loro confronti;

e) la formazione è stata utile e risulta necessaria prima di acco-gliere un minore in famiglia, li ha aiutati nei rapporti con i minori, a riconoscere i propri limiti, a conoscere meglio i vari aspetti dell’affido, il ruolo delle famiglie affidatarie e quello degli operatori, le problematiche minorili, a “non rimanere impreparati negli approcci iniziali”, a riconoscere gli operato-ri del Centro come sostegno nei momenti di difficoltà, a con-frontarsi con il T.M., i servizi sociali e con famiglie che hanno

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Osservazioni conclusive 152

fatto “esperienze simili”, a gestire i rapporti con il bambino/a e la famiglia naturale, a sostenerli nella fase conclusiva dell’affido.

È risultato inoltre importante, valutando l’interesse degli operatori del “Centro Affidi” ad un confronto costante con le altre realtà nazionali, il lavoro del Coordinamento Nazionale Servizi Affidi (C.N.S.A.). Attivo dal 1996 ma, costituitosi formalmente il 1998 si propone di offrire agli operatori, impegnati in materia di affidamento familiare, la possibilità di mettere a confronto le loro realtà con uno scambio di informazioni rela-tive alle diverse esperienze, per riflettere insieme su quelle che sono le difficoltà e i cambiamenti sociali, al fine di portare alla realizzazione di un progetto ottimale e soprattutto corrispondente a quelle che sono le necessità e i bisogni del minore e delle famiglie. Si è cercato, dunque, di “dar vita” ad un “linguaggio comune” che potesse avvicinare i vari ser-vizi impegnati nel nostro Paese. A tal proposito il C.N.S.A., con l’impegno dei servizi aderenti, ha realizzato 10 documenti concernenti temi specifici che offrono linee guida che possono portare alla realizza-zione di interventi sempre più rispondenti alle esigenze dell’utenza e ai cambiamenti sociali.

Infine, a mio avviso, è degno di attenzione il fatto che, come emerge dai dati del Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, I numeri italiani, Firenze, Istituto degli Innocenti, 2007(Questioni e Documenti, n. 43), al 31 dicembre 2005 gli affidamenti familiari risultino maggiori rispetto agli affidamenti a servizi residenzia-li, infatti i minori accolti in strutture residenziali sono 12.513 mentre i minori in affidamento familiare 13.159. Osservazione questa che fa e-mergere uno sviluppo della cultura dell’affidamento familiare e la vo-lontà di, chi impegnato costantemente in tale materia, voler offrire ai minori in difficoltà risposte che tengano conto dell’importanza per i bambini di crescere in una famiglia.

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Appendice A

QUESTIONARIO FAMIGLIE AFFIDATARIE del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza

Il questionario somministrato alle famiglie affidatarie del “Centro Af-

fidi” della Provincia di Potenza è stato realizzato in collaborazione con il “Centro Affidi” della Provincia di Potenza Ass.Soc. A.Marsicovetere.

Qui di seguito vengono riportati i questionari integrali con le risposte che esse hanno addotto.

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Appendice A 154

FAMIGLIA 1

A INFORMAZIONI GENERALI DELLA COPPIA a) Lei Titolo di studio LAUREA IN GIURISPRUDENZA Professione AVVOCATO Orario di lavoro LIBERO Religione CATTOLICA b) Lui Titolo di studio LAUREA INGEGNERIA Professione IMPRENDITORE Orario di lavoro LIBERO Religione ___________________

c) Tipo di abitazione: proprietà X affitto □ stanze n° 7 d) Sintetica descrizione dell’abitazione: VILLA TRE PIANI CON GIARDINO e) Esiste una stanza per il bambino in affidamento? Si X No □

Figli N° F M Età1 1 / 4

Altri Componenti Età F M

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 155

B INDAGINE PSICO-SOCIALE SULLA COPPIA ASPIRANTE

ALL’AFFIDAMENTO 1) STORIA INDIVIDUALE (di Lui) a) Struttura della famiglia di origine:

Padre Età

Madre Età

78 75

Fratelli/Sorelle

Età Cognati/e

Età Nipoti

Età Altre figure significative

Fratello 54 Cognata 48 26 21

b) Rapporti con essa: Ottimi X Buoni □ Discreti □ Inesistenti □ c) Lavoro: autonomo IMPRENDITORE dipendente___________________ d) Interessi e tempo libero MOTORISTICI E DI VOLO – MUSICA – CINEMA – LETTURA

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Appendice A 156

2) STORIA INDIVIDUALE (di Lei) a) Struttura della famiglia di origine:

Padre Età

Madre Età

67 65

Fratelli/Sorelle

Età Cognati/e

Età Nipoti

Età Altre figure significative

Fratello 40 Cognata 42 7

b) Rapporti con essa: Ottimi X Buoni □ Discreti □ Inesistenti □ c) Lavoro: autonomo STUDIO LEGALE dipendente___________________ d) Interessi e tempo libero MUSICA E LETTURA

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 157

3) STORIA DELLA COPPIA a) Presenza di figli: Si □ No □

b) Conviventi: c) Presentato domanda di disponibilità all’adozione: Si □ No X Quando______________ Quale T.M._________________________

Età Frequenta la scuolaClasse

Lavora Figli adottivi Minori in affido

4 Scuola Materna Si Par - Time

Altri componenti Età M F

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Appendice A 158

C ATTEGGIAMENTO DELLA COPPIA NEI CONFRONTI

DELL’AFFIDO a) Chi dei due ha pensato per primo all’affido ENTRAMBI b) Da chi ne avete sentito parlare AMICI c) Conoscete situazioni di minori in affido Si X No □ d) Conoscete situazioni di minori in adozione Si X No □ e) Motivazioni che vi hanno spinto alla scelta di un affido: Estendere il ruolo genitoriale □ Desiderio di compiacere il coniuge □ Compensazione per il figlio mancante □ Altro DARE UN SOSTEGNO A UN BAMBINO f) Come immaginate il bambino: sesso: F X M X età DAI 5 ANNI IN SÙ g) Siete disposti ad accogliere: Numero minori: 1 X 2 □ Più □ Fratelli □ Non consanguinei □ Portatori di Handicap: Si □ No □ Di razza diversa: Si X No □ h) Quale tipologia di bambino pensate sia inadatto alla vostra fami-

glia? UN MINORE CON HANDICAP (PER DIFFICOLTA’ DI GESTIONE)

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 159

D ATTEGGIAMENTO DEI FAMILIARI NEI CONFRONTI

DELL’AFFIDO a) Figli: Sono stati coinvolti: Si X No □ Cosa ne pensano: SONO CONTENTI Sono disposti a riorganizzare le loro modalità di vita: Si X Sono perplessi □ No □ b) Familiari Conviventi: Sono stati coinvolti: Si □ No □ Cosa ne pensano:_____________________________________ Sono disposti a riorganizzare le loro modalità di vita: Si □ Sono perplessi □ No □ c) Familiari non convinti: Cosa ne pensano di questa vostra scelta: _____________________________________________________________ _____________________________________________________________ Quale rilevanza ha il loro giudizio: IL GIUDIZIO DEGLI ALTRI NON HA RILEVANZA

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Appendice A 160

E ATTEGGIAMENTO DELLA FAMIGLIA AFFIDATARIA NEI

CONFRONTI DELLA FAMIGLIA D’ORIGINE DEL MINORE E DELLA SUA STORIA DI VITA

a) Disponibilità al mantenimento dei rapporti: Si X No □ Qualche perplessità: SI – MA SICURI DEL SOSTEGNO DEL CEN-

TRO AFFIDI b) Come pensate di porvi nei confronti delle abitudini di vita del mi-

nore, delle sue origini e della sua storia: ACCETTARE IL SUO CONTESTO FAMILIARE, LE ABITUDINI E

INTEGRARLO CON LE NOSTRE

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 161

F IMPORTANZA DELLA FORMAZIONE a) Ritenete che la formazione sia utile per le famiglie affidatarie: Lui: Si X No □ Lei: Si X No □ b) Ritenete che prima di accogliere un minore sia opportuno un ciclo

di formazione: Lui: Si X No □ Lei: Si X No □ c) Riflessioni: Lui: In cosa vi ha arricchito Mi ha fatto capire bene l’istituto dell’affido Lei: In cosa vi ha arricchito HO CAPITO IL RUOLO DELLA FAMIGLIA AFFIDATARIA E LE

PROBLEMATICHE MINORI Lui: Che riscontro ha avuto la formazione nell’esperienza

concreta SIAMO UNA COPPIA CHE HA ADOTTATO LA PROPRIA FIGLIA

QUANDO AVEVA 2 MESI Lei: Che riscontro ha avuto la formazione nell’esperienza

concreta _____________________________________________________________ _____________________________________________________________ d) Quante esperienze di affido avete fatto? 1 □ 2 □ 3 □

NESSUNA

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Appendice A 162

FAMIGLIA 2

A INFORMAZIONI GENERALI DELLA COPPIA a) Lei Titolo di studio LICENZA MEDIA Professione IDRAULICO FORESTALE Orario di lavoro STAGIONALE Religione CATTOLICA b) Lui Titolo di studio LICENZA MEDIA Professione OPERAIO GENERICO Orario di lavoro FLESSIBILE Religione _________________

c) Tipo di abitazione: proprietà X affitto □ stanze n° □ d) Sintetica descrizione dell’abitazione: 5 VANI + SERVIZI 2 PIANI + MANSARDA e) Esiste una stanza per il bambino in affidamento? Si X No □

Figli N° F M Età

Altri Componenti Età F M 1 ragazza in affido

da 1 anno 18 /

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 163

B INDAGINE PSICO-SOCIALE SULLA COPPIA ASPIRANTE

ALL’AFFIDAMENTO 1) STORIA INDIVIDUALE (di Lui) a) Struttura della famiglia di origine:

Padre Età

Madre Età

86 deceduta

Fratelli/Sorelle

Età Cognati/e

Età Nipoti

Età Altre figure significative

F/50 Cognato 59 zii e cugini

b) Rapporti con essa: Ottimi X Buoni □ Discreti □ Inesistenti □ c) Lavoro: autonomo / dipendente___________________ d) Interessi e tempo libero CALCIO/LAVORI AGRICOLI/VIAGGIARE soprattutto il mare

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Appendice A 164

2) STORIA INDIVIDUALE (di Lei) a) Struttura della famiglia di origine:

Padre Età

Madre Età

Deceduto 78

Fratelli/Sorelle

Età Cognati/e

Età Nipoti

Età Altre figure significative

M/50 F/43

b) Rapporti con essa: Ottimi X Buoni □ Discreti □ Inesistenti □ c) Lavoro: autonomo / dipendente___________________ d) Interessi e tempo libero MUSICA – MARE frequento molti seminari sui problemi minorili mi piace molto capire i problemi che assillano la società

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 165

3) STORIA DELLA COPPIA a) Presenza di figli: Si □ No X

b) Conviventi: c) Presentato domanda di disponibilità all’adozione: Si X No □ Quando 2003 Quale T.M POTENZA

Età Frequenta la scuolaClasse

Lavora Figli adottivi Minori in affido

Altri componenti Età M F

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Appendice A 166

C ATTEGGIAMENTO DELLA COPPIA NEI CONFRONTI

DELL’AFFIDO a) Chi dei due ha pensato per primo all’affido LEI b) Da chi ne avete sentito parlare DAI SEMINARI FREQUENTATI

DALLA SIGNORA c) Conoscete situazioni di minori in affido Si X No □ d) Conoscete situazioni di minori in adozione Si X No □ e) Motivazioni che vi hanno spinto alla scelta di un affido: Estendere il ruolo genitoriale □ Desiderio di compiacere il coniuge □ Compensazione per il figlio mancante □ Altro AIUTARE CHI HA BISOGNO f) Come immaginate il bambino: sesso: F X M X età INDIFFERENTE g) Siete disposti ad accogliere: Numero minori: 1 □ 2 X Più □ Fratelli □ Non consanguinei □ Portatori di Handicap: Si X No □ Di razza diversa: Si X No □ h) Quale tipologia di bambino pensate sia inadatto alla vostra fami-

glia? PER NOI NON CI SONO PROBLEMI OGNI BAMBINO CHE HA BI-

SOGNO DA NOI TROVA LA PIENA DISPONIBILITÀ

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 167

D ATTEGGIAMENTO DEI FAMILIARI NEI CONFRONTI

DELL’AFFIDO a) Figli: Sono stati coinvolti: Si X No □ Cosa ne pensano: HANNO ACCETTATO Sono disposti a riorganizzare le loro modalità di vita: Si X Sono perplessi □ No □ b) Familiari Conviventi: Sono stati coinvolti: Si □ No □ Cosa ne pensano: ____________________________________ Sono disposti a riorganizzare le loro modalità di vita: Si □ Sono perplessi □ No □ c) Familiari non convinti: Cosa ne pensano di questa vostra scelta: SONO CONTENTI Quale rilevanza ha il loro giudizio: NESSUNA SE NEGATIVA

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Appendice A 168

E ATTEGGIAMENTO DELLA FAMIGLIA AFFIDATARIA NEI

CONFRONTI DELLA FAMIGLIA D’ORIGINE DEL MINORE E DEL-LA SUA STORIA DI VITA

a) Disponibilità al mantenimento dei rapporti: Si X No □ Qualche perplessità: NO b) Come pensate di porvi nei confronti delle abitudini di vita del mi-

nore, delle sue origini e della sua storia: DA UN ANNO ABBIAMO IN AFFIDO UNA RAGAZZA (AT-

TUALMENTE DI 18 ANNI) RUMENA, ABUSATA DAL CONVIVENTE DELLA SORELLA.

DOPO LE PRIME DIFFICOLTÀ DI RELAZIONI OGGI VA TUTTO BENE INCONTRA LA SUA FAMIGLIA (2 SORELLE) E LE INCON-TRIAMO ANCHE NOI. IL TRIBUNALE DI POTENZA HA PROLUN-GATO L’AFFIDO AL 21° ANNO. LA RAGAZZA HA DECISO DI RE-STARE PER SEMPRE CON NOI E SIAMO CONTENTI CHE CI ABBIA SCELTI.

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 169

F IMPORTANZA DELLA FORMAZIONE a) Ritenete che la formazione sia utile per le famiglie affidatarie: Lui: Si X No □ Lei: Si X No □ b) Ritenete che prima di accogliere un minore sia opportuno un ciclo

di formazione: Lui: Si X No □ Lei: Si X No □ c) Riflessioni: Lui: In cosa vi ha arricchito ABBIAMO CAPITO COME COMPORTARCI Lei: In cosa vi ha arricchito NEL CAPIRE I PROBLEMI DI BAMBINI E RAGAZZI ADOLE-

SCENTI Lui: Che riscontro ha avuto la formazione nell’esperienza

concreta A CHIEDERE SOSTEGNO AGLI OPERATORI DEL CENTRO AFFI-

DI QUANDO AVEVAMO DELLE DIFFICOLTÀ Lei: Che riscontro ha avuto la formazione nell’esperienza

concreta A METTERE IN ATTO CIÒ CHE AVEVO IMPARATO E CON-

FRONTARMI CON IL T.M. E I SERVIZI SOCIALI OLTRE CHE CON IL GRUPPO DI FAMIGLIE AFFIDATARIE.

d) Quante esperienze di affido avete fatto? 1 X 2 □ 3 □

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Appendice A 170

FAMIGLIA 3

A INFORMAZIONI GENERALI DELLA COPPIA a) Lei Titolo di studio DIPLOMA - RAGIONERIA Professione CASALINGA Orario di lavoro _______________ Religione CATTOLICA b) Lui Titolo di studio LAUREA Professione MEDICO Orario di lavoro 8.30 – 11.00 Religione CATTOLICA 16.30 – 19.00

c) Tipo di abitazione: proprietà X affitto □ stanze n° □ d) Sintetica descrizione dell’abitazione: CUCINA / SOGGIORNO / 2 BAGNI / SALOTTO / VERANDA / LA-

VANDERIA E TERRAZZO e) Esiste una stanza per il bambino in affidamento? Si X No □

Figli N° F M Età2 / 23 / 18

Altri Componenti Età F M

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 171

B INDAGINE PSICO-SOCIALE SULLA COPPIA ASPIRANTE

ALL’AFFIDAMENTO 1) STORIA INDIVIDUALE (di Lui) a) Struttura della famiglia di origine:

Padre Età

Madre Età

8O 74

Fratelli/Sorelle

Età Cognati/e

Età Nipoti

Età Altre figure significative

Sorella 47 Cognato 50 (separato)

F/21

Fratello 41 Cognata 34 M/21

b) Rapporti con essa: Ottimi □ Buoni X Discreti □ Inesistenti □ c) Lavoro: autonomo STUDIO MEDICO dipendente___________________ d) Interessi e tempo libero LEGGERE – VIAGGIARE APPASSIONATO DI ANTICHITÀ – AMO ASCOLTARE MUSICA

JAZZ E CLASSICA – IL MARE E IL GIARDINAGGIO

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Appendice A 172

2) STORIA INDIVIDUALE (di Lei) a) Struttura della famiglia di origine:

Padre Età

Madre Età

88 Deceduta

Fratelli/Sorelle

Età Cognati/e

Età Nipoti

Età Altre figure significative

M/55 Cognata 53 (separati)

M 22

F/48 Cognato 51 M 26 F 21

b) Rapporti con essa: Ottimi □ Buoni □ Discreti □ Inesistenti □ c) Lavoro: autonomo CASALINGA dipendente___________________ d) Interessi e tempo libero LEGGERE – BARCA A VELA – VIAGGIARE – CUCINARE – MUSI-

CA CLASSICA

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 173

3) STORIA DELLA COPPIA a) Presenza di figli: Si X No □

b) Conviventi: c) Presentato domanda di disponibilità all’adozione: Si □ No X Quando ___________________ Quale T.M ___________________

Età Frequenta la scuolaClasse

Lavora Figli adottivi Minori in affido

22 III° Anno Università 1 di anni 16 – ragazza

18 III° Liceo Classico

Altri componenti Età M F

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Appendice A 174

C ATTEGGIAMENTO DELLA COPPIA NEI CONFRONTI

DELL’AFFIDO a) Chi dei due ha pensato per primo all’affido CONOSCEVAMO LA

STORIA FAMILIARE DELLA RAGAZZA b) Da chi ne avete sentito parlare SERVIZI SOCIALI c) Conoscete situazioni di minori in affido Si X No □ d) Conoscete situazioni di minori in adozione Si □ No X e) Motivazioni che vi hanno spinto alla scelta di un affido: Estendere il ruolo genitoriale □ Desiderio di compiacere il coniuge □ Compensazione per il figlio mancante □ Altro VOLER CERCARE DI CAMBIARE IN MEGLIO LA VITA DI

UN’ADOLESCENTE COSTRETTA A VIVERE UNA VITA CON RE-SPONSABILITÀ TROPPO GRANDI PER LA SUA ETÀ. DARLE LA SPENSIERATEZZA DEI SUOI 16 ANNI

f) Come immaginate il bambino: sesso: F X M X età ADOLESCENTE g) Siete disposti ad accogliere: Numero minori: 1 □ 2 X Più □ Fratelli X Non consanguinei □ Portatori di Handicap: Si □ No □ Di razza diversa: Si □ No □ h) Quale tipologia di bambino pensate sia inadatto alla vostra fami-

glia? UNA PERSONA BISOGNOSA DI UNA VITA FAMILIARE TRAN-

QUILLA E REGOLARE.

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 175

D ATTEGGIAMENTO DEI FAMILIARI NEI CONFRONTI

DELL’AFFIDO a) Figli: Sono stati coinvolti: Si X No □ Cosa ne pensano: SONO CONCORDI Sono disposti a riorganizzare le loro modalità di vita: Si □ Sono perplessi □ No □ b) Familiari Conviventi: Sono stati coinvolti: Si X No □ Cosa ne pensano: HANNO ESPRESSO GIUDIZIO FAVOREVOLE Sono disposti a riorganizzare le loro modalità di vita: Si □ Sono perplessi □ No □ c) Familiari non convinti: Cosa ne pensano di questa vostra scelta: _____________________________________________________________ _____________________________________________________________ Quale rilevanza ha il loro giudizio: COSTITUISCE UN ULTERIORE SOSTEGNO ALLA NOSTRA DECI-

SIONE

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Appendice A 176

E ATTEGGIAMENTO DELLA FAMIGLIA AFFIDATARIA NEI

CONFRONTI DELLA FAMIGLIA D’ORIGINE DEL MINORE E DEL-LA SUA STORIA DI VITA

a) Disponibilità al mantenimento dei rapporti: Si X No □ Qualche perplessità: NESSUNA b) Come pensate di porvi nei confronti delle abitudini di vita del mi-

nore, delle sue origini e della sua storia: IL MASSIMO RISPETTO PER LE SUE TRADIZIONI CHE NESSUNO

VUOLE RINNEGARE. IL MINORE DEVE MANTENERE CHIARA LA SUA IDENTITÀ E SENSO DI PROVENIENZA

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 177

F IMPORTANZA DELLA FORMAZIONE a) Ritenete che la formazione sia utile per le famiglie affidatarie: Lui: Si X No □ Lei: Si X No □ b) Ritenete che prima di accogliere un minore sia opportuno un ciclo

di formazione: Lui: Si X No □ Lei: Si X No □ c) Riflessioni: Lui: In cosa vi ha arricchito CONOSCERE DI PIÙ L’AFFIDO E I SUOI RISVOLTI Lei: In cosa vi ha arricchito L’IMPORTANZA DI UN SOSTEGNO DA PARTE DI OPERATORI

PROFESSIONALI Lui: Che riscontro ha avuto la formazione nell’esperienza

concreta CI HA AIUTATO A CAPIRE MEGLIO LA RAGAZZA Lei: Che riscontro ha avuto la formazione nell’esperienza

concreta CI HA DATO E CI DÀ LA POSSIBILITÀ DI CONFRONTARCI CON

ALTRE FAMIGLIE AFFIDATARIE d) Quante esperienze di affido avete fatto? 1 X 2 □ 3 □

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Appendice A 178

FAMIGLIA 4

A INFORMAZIONI GENERALI DELLA COPPIA a) Lei Titolo di studio LAUREA Professione LIBERO PROFESSIONISTA Orario di lavoro FLESSIBILE Religione CATTOLICA b) Lui Titolo di studio LAUREA Professione DIPENDENTE Orario di lavoro 8.30 – 18.00 Religione CATTOLICA

c) Tipo di abitazione: proprietà X affitto □ stanze n° 7 d) Sintetica descrizione dell’abitazione: VILLETTA SU DUE PIANI – MOLTO AMPIA e) Esiste una stanza per il bambino in affidamento? Si X No □

Figli N° F M Età

Altri Componenti Età F M

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 179

B INDAGINE PSICO-SOCIALE SULLA COPPIA ASPIRANTE

ALL’AFFIDAMENTO 1) STORIA INDIVIDUALE (di Lui) a) Struttura della famiglia di origine:

Padre Età

Madre Età

Defunto 85

Fratelli/Sorelle

Età Cognati/e

Età Nipoti

Età Altre figure significative

Fratello 64 Cognata 58 Nipote 32 Fratello 64 Cognata 56 Nipote 30 Sorella 58 Cognato 60 Nipote 33 Sorella 55 Cognato 60 Nipote 33

Nipote 26 Nipote 23 Nipote 35 Nipote 31 Nipote 26

b) Rapporti con essa: Ottimi X Buoni □ Discreti □ Inesistenti □ c) Lavoro: autonomo____________________ dipendente / d) Interessi e tempo libero BRICOLAGE – PASSEGGIATE IN CAMPAGNA – NUOTO – LET-

TURA AMANTE DELLE TRADIZIONI ENOGASTRONOMICHE

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Appendice A 180

2) STORIA INDIVIDUALE (di Lei) a) Struttura della famiglia di origine:

Padre Età

Madre Età

75 73

Fratelli/Sorelle

Età Cognati/e

Età Nipoti

Età Altre figure significative

Fratello 46 Cognata 36 Nipote Fratello 36 Cognata 34 Nipote

b) Rapporti con essa: Ottimi X Buoni □ Discreti □ Inesistenti □ c) Lavoro: autonomo / dipendente___________________ d) Interessi e tempo libero LETTURA – PASSEGGIATE IN CAMPAGNA E AL MARE – AMO

CUCINARE E LAVORARE A MAGLIA E ALL’UNCINETTO

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 181

3) STORIA DELLA COPPIA a) Presenza di figli: Si □ No X

b) Conviventi: c) Presentato domanda di disponibilità all’adozione: Si X No □ Quando 18.06.05 Quale T.M. POTENZA

Età Frequenta la scuolaClasse

Lavora Figli adottivi Minori in affido

Altri componenti Età M F

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Appendice A 182

C ATTEGGIAMENTO DELLA COPPIA NEI CONFRONTI

DELL’AFFIDO a) Chi dei due ha pensato per primo all’affido ENTRMBI b) Da chi ne avete sentito parlare DA AMICI c) Conoscete situazioni di minori in affido Si X No □ d) Conoscete situazioni di minori in adozione Si X No □ e) Motivazioni che vi hanno spinto alla scelta di un affido: Estendere il ruolo genitoriale □ Desiderio di compiacere il coniuge □ Compensazione per il figlio mancante □ Altro AIUTARE UN BAMBINO IN DIFFICOLTA’ f) Come immaginate il bambino: sesso: F X M □ età 0 – 2 ANNI g) Siete disposti ad accogliere: Numero minori: 1 □ 2 X Più □ Fratelli X Non consanguinei □ Portatori di Handicap: Si □ No □ Di razza diversa: Si X No □ h) Quale tipologia di bambino pensate sia inadatto alla vostra fami-

glia? UN BAMBI8NO CON GRAVI PROBLEMI DI HANDICAP

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 183

D ATTEGGIAMENTO DEI FAMILIARI NEI CONFRONTI

DELL’AFFIDO a) Figli: Sono stati coinvolti: Si □ No □ Cosa ne pensano: ____________________________________ Sono disposti a riorganizzare le loro modalità di vita: Si □ Sono perplessi □ No □ b) Familiari Conviventi: Sono stati coinvolti: Si □ No □ Cosa ne pensano: ____________________________________ Sono disposti a riorganizzare le loro modalità di vita: Si □ Sono perplessi □ No □ c) Familiari non convinti: Cosa ne pensano di questa vostra scelta: CONDIVIDONO IN PIENO LA NS. SCELTA Quale rilevanza ha il loro giudizio: SIAMO CONTENTI CHE LORO CI SOSTENGONO NELLA SCELTA

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Appendice A 184

E ATTEGGIAMENTO DELLA FAMIGLIA AFFIDATARIA NEI

CONFRONTI DELLA FAMIGLIA D’ORIGINE DEL MINORE E DEL-LA SUA STORIA DI VITA

a) Disponibilità al mantenimento dei rapporti: Si X No □ Qualche perplessità: NON RITENIAMO DI CONTRAPPORCI ALLA

FAMIGLIA DI ORIGINE MA DI AFFIANCARLA b) Come pensate di porvi nei confronti delle abitudini di vita del mi-

nore, delle sue origini e della sua storia: CERCANDO DI NON NEGARE O ANNULLARE IL SUO VISSUTO

(PER SUPERARE CONFLITTUALITA’ O NEGATIVITA’ PREGRESSE È IMPORTANTE CHE IL BAMBINO NON RIFUTI IL SUO PASSATO)

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 185

F IMPORTANZA DELLA FORMAZIONE a) Ritenete che la formazione sia utile per le famiglie affidatarie: Lui: Si X No □ Lei: Si X No □ b) Ritenete che prima di accogliere un minore sia opportuno un ciclo

di formazione: Lui: Si X No □ Lei: Si X No □ c) Riflessioni: Lui: In cosa vi ha arricchito AD AVERE LE IDEE PIÙ CHIARE RISPETTO A QUESTA TEMATI-

CA Lei: In cosa vi ha arricchito AD AVERE MAGGIORI CHIARIMENTI E DELUCIDAZIONI ED

ESSERE ANCOR PIÙ FERRATI SULL’ARGOMENTO. Lui: Che riscontro ha avuto la formazione nell’esperienza

concreta STIAMO PER ACCOGLIERE N° 2 MINORI Lei: Che riscontro ha avuto la formazione nell’esperienza

concreta STIAMO PER ACCOGLIERE N° 2 MINORI d) Quante esperienze di affido avete fatto? 1 □ 2 □ 3 □ NESSUNA (prima esperienza)

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Appendice A 186

FAMIGLIA 5

A INFORMAZIONI GENERALI DELLA COPPIA a) Lei (età 39 anni) Titolo di studio ISTITUTO PROFESSIONALE FEMMINILE Professione INFERMIERA Orario di lavoro 07.00/14.00 o 14.00/21.00 Religione CATTOLICA b) Lui (età 46 anni) Titolo di studio ISTITUTO TECNICO PER GEOMETRI Professione CASALINGO (EX COMMERCIANTE) Orario di lavoro _________________________ Religione DEISTA

c) Tipo di abitazione: proprietà X affitto □ stanze n° 3 d) Sintetica descrizione dell’abitazione: 100 MQ. CON SOGGIORNO, DUE STANZE DA LETTO, CUCINA E

DUE WC e) Esiste una stanza per il bambino in affidamento? Si X No □

Figli N° F M Età

Altri Componenti Età F M

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 187

B INDAGINE PSICO-SOCIALE SULLA COPPIA ASPIRANTE

ALL’AFFIDAMENTO 1) STORIA INDIVIDUALE (di Lui) a) Struttura della famiglia di origine:

Padre Età

Madre Età

Defunto nel 1975 Defunta nel 1971

Fratelli/Sorelle

Età Cognati/e

Età Nipoti

Età Altre figure significative

Marina, età 42 anni

Valentina, età 17 anni

b) Rapporti con essa: Ottimi □ Buoni X Discreti □ Inesistenti □ c) Lavoro: autonomo EX TABACCHERIA dipendente____________________ d) Interessi e tempo libero AMANTE DEI VIAGGI (ORGANIZZO SPESSO VIAGGI INTERNA-

ZIONALI PER ME E COMPAGNA) LETTURA E SCRITTURA (COMPONIMENTI POETICI, ROMANZI,

AUTOBIOGR. ECC.) PRATICANTE DI SPORT (CICLISMO, TENNIS E FOOTING)

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Appendice A 188

2) STORIA INDIVIDUALE (di Lei) a) Struttura della famiglia di origine:

Padre Età

Madre Età

Giovanni, 71 anni Defunta nel 2005

Fratelli/Sorelle

Età Cognati/e

Età Nipoti

Età Altre figure significative

Cosimina, 46 anni

Mimmo, 50 anni

Michele 9 anni,

Erminia 16 anni

Nicola, 43 anni

Grazia, 42 anni

Damiana 13 anni,

Giovanni 9 anni

b) Rapporti con essa: Ottimi □ Buoni □ Discreti X Inesistenti □ c) Lavoro: autonomo / dipendente struttura ospedaliera d) Interessi e tempo libero CANTANTE SOPRANO (NEL CORO DELLA CATTEDRALE) AMANTE DEI VIAGGI

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 189

3) STORIA DELLA COPPIA a) Presenza di figli: Si □ No X

b) Conviventi: c) Presentato domanda di disponibilità all’adozione: Si □ No X Quando________________ Quale T.M._______________________

Età Frequenta la scuolaClasse

Lavora Figli adottivi Minori in affido

Altri componenti Età M F

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Appendice A 190

C ATTEGGIAMENTO DELLA COPPIA NEI CONFRONTI

DELL’AFFIDO a) Chi dei due ha pensato per primo all’affido ENTRAMBI b) Da chi ne avete sentito parlare SU INTERNET c) Conoscete situazioni di minori in affido Si X No □ d) Conoscete situazioni di minori in adozione Si X No □ e) Motivazioni che vi hanno spinto alla scelta di un affido: Estendere il ruolo genitoriale □ Desiderio di compiacere il coniuge □ Compensazione per il figlio mancante □ Altro SENTIRSI UTILE E DARE IL PROPRIO APPORTO NEL

SOCIALE f) Come immaginate il bambino: sesso: F □ M □ età 6 – 12 ANNI g) Siete disposti ad accogliere: Numero minori: 1 X 2 □ Più □ Fratelli □ Non consanguinei □ Portatori di Handicap: Si □ No □ Di razza diversa: Si X No □ h) Quale tipologia di bambino pensate sia inadatto alla vostra fami-

glia? _____________________________________________________________ _____________________________________________________________ _____________________________________________________________

Page 202: L’AFFIDO FAMILIARE - Provincia di Potenza · L’idea di una tesi sull’affido familiare, con un’attenzione particolare all’impegno e all’operato del Centro Affidi della

Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 191

D ATTEGGIAMENTO DEI FAMILIARI NEI CONFRONTI

DELL’AFFIDO a) Figli: Sono stati coinvolti: Si □ No □ Cosa ne pensano: ____________________________________ Sono disposti a riorganizzare le loro modalità di vita: Si □ Sono perplessi □ No □ b) Familiari Conviventi: Sono stati coinvolti: Si □ No □ Cosa ne pensano: ____________________________________ Sono disposti a riorganizzare le loro modalità di vita: Si □ Sono perplessi □ No □ c) Familiari non convinti: Cosa ne pensano di questa vostra scelta: SI CHIEDONO IL PERCHÉ DELLA SCELTA DELL’AFFIDO INVE-

CE DI SCELTE ADOTTIVE Quale rilevanza ha il loro giudizio: ALCUNI PREGIUDIZI SONO STATI COMUNQUE DI GROSSO

RINFORZO, INVECE, NEL PERPETRARE LA NOSTRA SCELTA.

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Appendice A 192

E ATTEGGIAMENTO DELLA FAMIGLIA AFFIDATARIA NEI

CONFRONTI DELLA FAMIGLIA D’ORIGINE DEL MINORE E DEL-LA SUA STORIA DI VITA

a) Disponibilità al mantenimento dei rapporti: Si X No □ Qualche perplessità: NESSUNA. NELLE DUE ESPERIENZE

D’AFFIDO PRECEDENTI ABBIAMO PERSEGUITO QUESTA LINEA b) Come pensate di porvi nei confronti delle abitudini di vita del mi-

nore, delle sue origini e della sua storia: CERCARE DI COGLIERE I MESSAGGI DI DISAGIO DEL MINORE,

FACENDO IN MODO CHE IL SUO DISAGIO PREGRESSO NON POS-SA DIVENTARE MOTIVO DI CONFLITTO NELL’ESPERIENZA D’AFFIDO. L’AFFIDO, COME ESPERIENZA TEMPORANEA DI VITA DOVREBBE FUNGERE D’AIUTO IN CIÒ.

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 193

F IMPORTANZA DELLA FORMAZIONE a) Ritenete che la formazione sia utile per le famiglie affidatarie: Lui: Si X No □ Lei: Si X No □ b) Ritenete che prima di accogliere un minore sia opportuno un ciclo

di formazione: Lui: Si X No □ Lei: Si X No □ c) Riflessioni: Lui: In cosa vi ha arricchito IL CORSO DI FORMAZIONE HA CREATO UNA MAGGIORE

CONSAPEVOLEZZA NELL’ISTITUZIONE DELL’AFFIDO E PERMET-TE DI NON RIMANERE IMPREPARATI NEGLI APPROCCI INIZIALI.

Lei: In cosa vi ha arricchito ISTRUTTIVO LO SCAMBIO D’OPINIONI E D’ESPERIENZE CON

LE ALTRE COPPIE E LA PRESENTAZIONE TEORICA DEGLI AD-DETTI ALLA FORMAZIONE

Lui: Che riscontro ha avuto la formazione nell’esperienza

concreta LA FORMAZIONE CERCA DI FOCALIZZARE I NODI COME RAP-

PORTI COL MINORE E CON LA FAMIGLIA DELLO STESSO E SO-PRATTUTTO LA PROBLEMATICA DELLA CONCLUSIONE DELL’AFFIDO

Lei: Che riscontro ha avuto la formazione nell’esperienza

concreta RITENGO SIA SERVITA A NON RIMANERE IMPREPARATI E

SPIAZZATI NELLE DUE ESPERIENZE DA NOI INTRAPRESE d) Quante esperienze di affido avete fatto? 1 □ 2 X 3 □

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Appendice A 194

PERSONA SINGOLA 6

A INFORMAZIONI GENERALI DELLA COPPIA a) Lei Titolo di studio DIPLOMA Professione ASSISTENTE SOCIALE Orario di lavoro 8.14 Religione CATTOLICA b) Lui Titolo di studio _______________________________________________ Professione ___________________________________________________ Orario di lavoro ___________________Religione___________________

c) Tipo di abitazione: proprietà X affitto □ stanze n° □ d) Sintetica descrizione dell’abitazione: 2 CAMERE PIÙ ACCESSORI e) Esiste una stanza per il bambino in affidamento? Si □ No X

Figli N° F M Età

Altri Componenti Età F M

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 195

B INDAGINE PSICO-SOCIALE SULLA COPPIA ASPIRANTE

ALL’AFFIDAMENTO 1) STORIA INDIVIDUALE (di Lui) a) Struttura della famiglia di origine:

Padre Età

Madre Età

Fratelli/Sorelle

Età Cognati/e

Età Nipoti

Età Altre figure significative

b) Rapporti con essa: Ottimi □ Buoni □ Discreti □ Inesistenti □ c) Lavoro: autonomo____________________ dipendente____________________ d) Interessi e tempo libero _____________________________________________________________ _____________________________________________________________ _____________________________________________________________ _____________________________________________________________

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Appendice A 196

2) STORIA INDIVIDUALE (di Lei) a) Struttura della famiglia di origine:

Padre Età

Madre Età

73 70

Fratelli/Sorelle

Età Cognati/e

Età Nipoti

Età Altre figure significative

45 Cognata 37 40

b) Rapporti con essa: Ottimi X Buoni □ Discreti □ Inesistenti □ c) Lavoro: autonomo ____________________ dipendente / d) Interessi e tempo libero VOLONTARIATO CON ANZIANI – LETTURA – SPORT

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 197

3) STORIA DELLA COPPIA a) Presenza di figli: Si □ No □

b) Conviventi: c) Presentato domanda di disponibilità all’adozione: Si □ No □ Quando______________________ Quale T.M.__________________

Età Frequenta la scuolaClasse

Lavora Figli adottivi Minori in affido

Altri componenti Età M F

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Appendice A 198

C ATTEGGIAMENTO DELLA COPPIA NEI CONFRONTI

DELL’AFFIDO a) Chi dei due ha pensato per primo all’affido ____________________ b) Da chi ne avete sentito parlare ________________________________ c) Conoscete situazioni di minori in affido Si □ No □ d) Conoscete situazioni di minori in adozione Si □ No □ e) Motivazioni che vi hanno spinto alla scelta di un affido: Estendere il ruolo genitoriale □ Desiderio di compiacere il coniuge □ Compensazione per il figlio mancante □ Altro _____________________________________________________ f) Come immaginate il bambino: sesso: F □ M □ età _________________________ g) Siete disposti ad accogliere: Numero minori: 1 □ 2 □ Più □ Fratelli □ Non consanguinei □ Portatori di Handicap: Si □ No □ Di razza diversa: Si □ No □ h) Quale tipologia di bambino pensate sia inadatto alla vostra fami-

glia? _____________________________________________________________ _____________________________________________________________ _____________________________________________________________

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 199

D ATTEGGIAMENTO DEI FAMILIARI NEI CONFRONTI

DELL’AFFIDO a) Figli: Sono stati coinvolti: Si □ No □ Cosa ne pensano: ____________________________________ Sono disposti a riorganizzare le loro modalità di vita: Si □ Sono perplessi □ No □ b) Familiari Conviventi: Sono stati coinvolti: Si X No □ Cosa ne pensano: Sono felici di poter aiutare un bambino momenta-

neamente in difficoltà Sono disposti a riorganizzare le loro modalità di vita: Si X Sono perplessi □ No □ c) Familiari non convinti: Cosa ne pensano di questa vostra scelta: LA CONDIVIDONO PIENAMENTE ED ANCHE LORO DANNO IL

LORO SUPPORTO ALLA COPPIA MADRE - BAMBINO Quale rilevanza ha il loro giudizio: _____________________________________________________________ _____________________________________________________________

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Appendice A 200

E ATTEGGIAMENTO DELLA FAMIGLIA AFFIDATARIA NEI

CONFRONTI DELLA FAMIGLIA D’ORIGINE DEL MINORE E DEL-LA SUA STORIA DI VITA

a) Disponibilità al mantenimento dei rapporti: Si X No □ Qualche perplessità: ___________________________________________ b) Come pensate di porvi nei confronti delle abitudini di vita del mi-

nore, delle sue origini e della sua storia: MANTENRE IL PIÙ POSSIBILE IL RAPPORTO CON LA FAMIGLIA

DI ORIGINE E CORREGGERE QUELLE CHE POSSONO ESSERE LE ABITUDINI SBAGLIATE DEL MINORE

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 201

F IMPORTANZA DELLA FORMAZIONE a) Ritenete che la formazione sia utile per le famiglie affidatarie: Lui: Si □ No □ Lei: Si X No □ b) Ritenete che prima di accogliere un minore sia opportuno un ciclo

di formazione: Lui: Si □ No □ Lei: Si X No □ c) Riflessioni: Lui: In cosa vi ha arricchito _____________________________________________________________ _____________________________________________________________ Lei: In cosa vi ha arricchito HA AVVALORATO E RAFFORZATO LE MIE CONOSCENZE Lui: Che riscontro ha avuto la formazione nell’esperienza

concreta _____________________________________________________________ _____________________________________________________________ Lei: Che riscontro ha avuto la formazione nell’esperienza

concreta _____________________________________________________________ _____________________________________________________________ d) Quante esperienze di affido avete fatto? 1 X 2 □ 3 □ Ho fatto un affido par - time come single aiutando madre – bambino

occupandomi di quest’ultimo mentre la madre lavorava coinvolgendo la mia famiglia (genitori – fratelli - cognata)

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Appendice A 202

FAMIGLIA 7

A INFORMAZIONI GENERALI DELLA COPPIA a) Lei Titolo di studio DIPLOMA SCUOLA MEDIA SUPERIORE Professione RAGIONIERA - COMMERCIALISTA Orario di lavoro 8.00 – 13.00 – 15.00 – 18.00 Religione CATTOLICA b) Lui Titolo di studio DIPLOMA SCUOLA MEDIA SUPERIORE Professione GEOMETRA Orario di lavoro 8.00 – 13.00 – 15.00 – 18.00 Religione CATTOLICA

c) Tipo di abitazione: proprietà X affitto □ stanze n° □ d) Sintetica descrizione dell’abitazione: VILLETTA BIFAMILIARE e) Esiste una stanza per il bambino in affidamento? Si X No □

Figli N° F M Età2 1 / 16 2 / 13

Altri Componenti Età F M 1 16 /

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 203

B INDAGINE PSICO-SOCIALE SULLA COPPIA ASPIRANTE

ALL’AFFIDAMENTO 1) STORIA INDIVIDUALE (di Lui) a) Struttura della famiglia di origine:

Padre Età

Madre Età

78 74

Fratelli/Sorelle

Età Cognati/e

Età Nipoti

Età Altre figure significative

Fratello 50 Cognata50 Fratello 46 Cognata 47 3; 25 – 16 - 13 Sorella 31

b) Rapporti con essa: Ottimi □ Buoni X Discreti □ Inesistenti □ c) Lavoro: autonomo LIBERA PROFESSIONE dipendente____________________ d) Interessi e tempo libero LETTURA, SPORT, TREKKING, PESCA

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Appendice A 204

2) STORIA INDIVIDUALE (di Lei) a) Struttura della famiglia di origine:

Padre Età

Madre Età

74 70

Fratelli/Sorelle

Età Cognati/e

Età Nipoti

Età Altre figure significative

Fratello 45 Cognata 45 3; 20 – 16 – 12 Fratello 43 Cognata 42 2; 18 – 18 Fratello 35 Cognata 42 2; 4 - 1 Fratello 31

b) Rapporti con essa: Ottimi □ Buoni X Discreti □ Inesistenti □ c) Lavoro: autonomo LIBERA PROFESSIONE dipendente ____________________ d) Interessi e tempo libero SPORT, MUSICA, VIAGGI

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 205

3) STORIA DELLA COPPIA a) Presenza di figli: Si X No □

b) Conviventi: c) Presentato domanda di disponibilità all’adozione: Si □ No X Quando______________________ Quale T.M.__________________

Età Frequenta la scuolaClasse

Lavora Figli adottivi Minori in affido

16 IV° Ginnasio 13 II Media 16 II° Superiore Si

Altri componenti Età M F

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Appendice A 206

C ATTEGGIAMENTO DELLA COPPIA NEI CONFRONTI

DELL’AFFIDO a) Chi dei due ha pensato per primo all’affido ENTRAMBI b) Da chi ne avete sentito parlare AMICI – FAMIGLIE AFFIDATARIE c) Conoscete situazioni di minori in affido Si X No □ d) Conoscete situazioni di minori in adozione Si X No □ e) Motivazioni che vi hanno spinto alla scelta di un affido: Estendere il ruolo genitoriale X Desiderio di compiacere il coniuge □ Compensazione per il figlio mancante □ Altro CI HANNO COINVOLTI E NON ABBIAMO RIFIUTATO f) Come immaginate il bambino: sesso: F □ M □ età _________________________ g) Siete disposti ad accogliere: Numero minori: 1 X 2 □ Più □ Fratelli □ Non consanguinei □ Portatori di Handicap: Si □ No □ Di razza diversa: Si □ No □ h) Quale tipologia di bambino pensate sia inadatto alla vostra fami-

glia? BAMBINA O BAMBINO DI PICCOLA ETÀ

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 207

D ATTEGGIAMENTO DEI FAMILIARI NEI CONFRONTI

DELL’AFFIDO a) Figli: Sono stati coinvolti: Si X No □ Cosa ne pensano: SONO STATI SUBITO DISPONIBILI Sono disposti a riorganizzare le loro modalità di vita: Si X Sono perplessi □ No □ b) Familiari Conviventi: Sono stati coinvolti: Si X No □ Cosa ne pensano: HANNO ACCETTATO DI BUON GRADO Sono disposti a riorganizzare le loro modalità di vita: Si □ Sono perplessi □ No □ c) Familiari non convinti: Cosa ne pensano di questa vostra scelta: QUALCUNO CI HA MANIFESTATO PERPLESSITÀ Quale rilevanza ha il loro giudizio: ASCOLTIAMO TUTTI. A VOLTE EFFETTIVAMENTE NON È FA-

CILE

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Appendice A 208

E ATTEGGIAMENTO DELLA FAMIGLIA AFFIDATARIA NEI

CONFRONTI DELLA FAMIGLIA D’ORIGINE DEL MINORE E DEL-LA SUA STORIA DI VITA

a) Disponibilità al mantenimento dei rapporti: Si X No □ Qualche perplessità: FAMIGLIA DI ORIGINE QUASI INESISTENTE b) Come pensate di porvi nei confronti delle abitudini di vita del mi-

nore, delle sue origini e della sua storia: CI SIAMO POSTI IN ATTEGGIAMENTO DI ASCOLTO E DI AC-

COGLIENZA. PIAN PIANO SI È APERTO E CI HA COINVOLTI

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 209

F IMPORTANZA DELLA FORMAZIONE a) Ritenete che la formazione sia utile per le famiglie affidatarie: Lui: Si X No □ Lei: Si X No □ b) Ritenete che prima di accogliere un minore sia opportuno un ciclo

di formazione: Lui: Si X No □ Lei: Si X No □ c) Riflessioni: Lui: In cosa vi ha arricchito TI ARRICCHISCE NEL RAPPORTO CHE SI RIESCE A INSTAURA-

RE. A MODO SUO CI VUOLE BENE E TIENE A NOI. Lei: In cosa vi ha arricchito TI DEVI MISURARE CON I TUOI LIMITI. SI IMPARA AD ESSERE

PIÙ PAZIENTI E DISPONIBILI Lui: Che riscontro ha avuto la formazione nell’esperienza

concreta È IMPORTANTE COSÌ COME IL CONFRONTO CON ALTRE FA-

MIGLIE CON ESPERIENZE SIMILI Lei: Che riscontro ha avuto la formazione nell’esperienza

concreta IDEM d) Quante esperienze di affido avete fatto? 1 X 2 □ 3 □ (da circa quattro anni)

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Appendice A 210

FAMIGLIA 8

A INFORMAZIONI GENERALI DELLA COPPIA a) Lei (anni 48) Titolo di studio DIPLOMA Professione IMPIEGATA Orario di lavoro 8 - 13 Religione CATTOLICA b) Lui (anni 52) Titolo di studio DIPLOMA Professione IMPIEGATO Orario di lavoro 8 – 14 (Lun - Ven) Religione CATTOLICA 8 – 14 – 15 – 19 (Gio – Mar)

c) Tipo di abitazione: proprietà X affitto □ stanze n° □ d) Sintetica descrizione dell’abitazione: CASA DI CAMPAGNA – 5 VANI + ACCESSORI e) Esiste una stanza per il bambino in affidamento? Si □ No X

Figli N° F M Età 1 / 25 2 / 23 3 / 10

affidata 4 / 23

Altri Componenti Età F M

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 211

B INDAGINE PSICO-SOCIALE SULLA COPPIA ASPIRANTE

ALL’AFFIDAMENTO 1) STORIA INDIVIDUALE (di Lui) a) Struttura della famiglia di origine:

Padre Età

Madre Età

81 81

Fratelli/Sorelle

Età Cognati/e

Età Nipoti

Età Altre figure significative

Fratello 50 Cognata 48 N° 3 (22 – 19 – 16) Fratello 49 Cognata 44 N° 2 (17 – 7) Sorella 45 Cognato 46 N° 2 (13 - 12)

Cognata 43 N° 1 (13) Cognato 35

b) Rapporti con essa: Ottimi X Buoni □ Discreti □ Inesistenti □ c) Lavoro: autonomo ____________________ dipendente / d) Interessi e tempo libero VITA ASSOCIATIVA (ASS. FAMIUGLIE AFFIDATARIE) SPORT ANIMAZIONE PARROCCHIALE

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Appendice A 212

2) STORIA INDIVIDUALE (di Lei) a) Struttura della famiglia di origine:

Padre Età

Madre Età

Deceduto Si

Fratelli/Sorelle

Età Cognati/e

Età Nipoti

Età Altre figure significative

Sorella 44 Cognato 49 Fratello 35 Cognata 38

Cognata N° 1 (13) Cognato 50 N° 3 (22 – 19 – 16) Cognata 45 N° (13 – 12)

b) Rapporti con essa: Ottimi □ Buoni X Discreti □ Inesistenti □ c) Lavoro: autonomo ____________________ dipendente / d) Interessi e tempo libero VITA ASSOCIATIVA LETTURA

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 213

3) STORIA DELLA COPPIA a) Presenza di figli: Si X No □

b) Conviventi: c) Presentato domanda di disponibilità all’adozione: Si □ No X Quando______________________ Quale T.M.__________________

Età Frequenta la scuolaClasse

Lavora Figli adottivi Minori in affido

25 Università 6° A 23 Università 4° A. 16 Liceo Pedag. 3° 23 Diplomata Si

Altri componenti Età M F

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Appendice A 214

C ATTEGGIAMENTO DELLA COPPIA NEI CONFRONTI

DELL’AFFIDO a) Chi dei due ha pensato per primo all’affido LEI b) Da chi ne avete sentito parlare NEL 1990 DALLA TV c) Conoscete situazioni di minori in affido Si X No □ d) Conoscete situazioni di minori in adozione Si X No □ e) Motivazioni che vi hanno spinto alla scelta di un affido: Estendere il ruolo genitoriale X Desiderio di compiacere il coniuge □ Compensazione per il figlio mancante □ Altro SOLIDARIETÀ VERSO FAMIGLIE IN DIFFICOLTÀ f) Come immaginate il bambino: sesso: F X M X età _________________________ g) Siete disposti ad accogliere: Numero minori: 1 X 2 □ Più □ Fratelli □ Non consanguinei □ Portatori di Handicap: Si X No □ Di razza diversa: Si X No □ h) Quale tipologia di bambino pensate sia inadatto alla vostra fami-

glia? NESSUNO

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 215

D ATTEGGIAMENTO DEI FAMILIARI NEI CONFRONTI

DELL’AFFIDO a) Figli: Sono stati coinvolti: Si X No □ Cosa ne pensano: CONDIVIDONO PIENAMENTE LA SCELTA Sono disposti a riorganizzare le loro modalità di vita: Si X Sono perplessi □ No □ b) Familiari Conviventi: Sono stati coinvolti: Si X No □ Cosa ne pensano: ____________________________________ Sono disposti a riorganizzare le loro modalità di vita: Si □ Sono perplessi □ No □ c) Familiari non convinti: Cosa ne pensano di questa vostra scelta: NON VE NE SONO Quale rilevanza ha il loro giudizio: _____________________________________________________________ _____________________________________________________________

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Appendice A 216

E ATTEGGIAMENTO DELLA FAMIGLIA AFFIDATARIA NEI

CONFRONTI DELLA FAMIGLIA D’ORIGINE DEL MINORE E DEL-LA SUA STORIA DI VITA

a) Disponibilità al mantenimento dei rapporti: Si X No □ Qualche perplessità: ___________________________________________ b) Come pensate di porvi nei confronti delle abitudini di vita del mi-

nore, delle sue origini e della sua storia: NELLA MANIERA PIÙ CONSONA AL MINORE IN RELAZIONE

AL PROGETTO DI AFFIDO CONDIVISO CON GLI OPERATORI SO-CIALI.

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 217

F IMPORTANZA DELLA FORMAZIONE a) Ritenete che la formazione sia utile per le famiglie affidatarie: Lui: Si X No □ Lei: Si X No □ b) Ritenete che prima di accogliere un minore sia opportuno un ciclo

di formazione: Lui: Si X No □ Lei: Si X No □ c) Riflessioni: Lui: In cosa vi ha arricchito _____________________________________________________________ _____________________________________________________________ Lei: In cosa vi ha arricchito _____________________________________________________________ _____________________________________________________________ Lui: Che riscontro ha avuto la formazione nell’esperienza

concreta _____________________________________________________________ _____________________________________________________________ Lei: Che riscontro ha avuto la formazione nell’esperienza

concreta _____________________________________________________________ _____________________________________________________________ d) Quante esperienze di affido avete fatto? 1 □ 2 □ 3 □

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Appendice A 218

FAMIGLIA 9

A INFORMAZIONI GENERALI DELLA COPPIA a) Lei Titolo di studio LAUREA Professione FUNZIONARIO PUBBLICO Orario di lavoro 8.00 – 14.00 (Lun - Ven) Religione CATTOLICA 15.00 – 18.00 (Mar e Gio) b) Lui Titolo di studio LAUREA Professione LIBERA PROFESSIONE Orario di lavoro 8 – 14 (Lun - Ven) Religione CATTOLICA 15 – 19 (Gio – Mar)

c) Tipo di abitazione: proprietà X affitto □ stanze n° 4 d) Sintetica descrizione dell’abitazione: CUCINA – 2 BAGNI – SOGGIORNO – CAMERA MATRIMONIALE

– CAMERA SINGOLA – STUDIO e) Esiste una stanza per il bambino in affidamento? Si X No □

Figli N° F M Età

Altri Componenti Età F M

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 219

B INDAGINE PSICO-SOCIALE SULLA COPPIA ASPIRANTE

ALL’AFFIDAMENTO 1) STORIA INDIVIDUALE (di Lui) a) Struttura della famiglia di origine:

Padre Età

Madre Età

77 72

Fratelli/Sorelle

Età Cognati/e

Età Nipoti

Età Altre figure significative

43

b) Rapporti con essa: Ottimi □ Buoni X Discreti □ Inesistenti □ c) Lavoro: autonomo / dipendente ____________________ d) Interessi e tempo libero LETTURA – CINEMA - VIAGGI

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Appendice A 220

2) STORIA INDIVIDUALE (di Lei) a) Struttura della famiglia di origine:

Padre Età

Madre Età

78 74

Fratelli/Sorelle

Età Cognati/e

Età Nipoti

Età Altre figure significative

44 46 1

b) Rapporti con essa: Ottimi □ Buoni X Discreti □ Inesistenti □ c) Lavoro: autonomo ____________________ dipendente / d) Interessi e tempo libero LETTURA – CINEMA – VIAGGI

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 221

3) STORIA DELLA COPPIA a) Presenza di figli: Si □ No X

b) Conviventi: c) Presentato domanda di disponibilità all’adozione: Si X No □ Quando 2005 Quale T.M. POTENZA + NAPOLI, SALERNO,

BARI, TARANTO

Età Frequenta la scuolaClasse

Lavora Figli adottivi Minori in affido

Altri componenti Età M F

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Appendice A 222

C ATTEGGIAMENTO DELLA COPPIA NEI CONFRONTI

DELL’AFFIDO a) Chi dei due ha pensato per primo all’affido LEI b) Da chi ne avete sentito parlare AMICI c) Conoscete situazioni di minori in affido Si X No □ d) Conoscete situazioni di minori in adozione Si X No □ e) Motivazioni che vi hanno spinto alla scelta di un affido: Estendere il ruolo genitoriale □ Desiderio di compiacere il coniuge □ Compensazione per il figlio mancante □ Altro DESIDERIO DI RIVERSARE IL NOSTRO AFFETTO SU UN

BAMBINO IN DIFFICOLTÀ f) Come immaginate il bambino: sesso: F X M □ età prescolare g) Siete disposti ad accogliere: Numero minori: 1 X 2 □ Più □ Fratelli □ Non consanguinei □ Portatori di Handicap: Si □ No X Di razza diversa: Si X No □ h) Quale tipologia di bambino pensate sia inadatto alla vostra fami-

glia? CON DISABILITÀ GRAVI

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 223

D ATTEGGIAMENTO DEI FAMILIARI NEI CONFRONTI

DELL’AFFIDO a) Figli: Sono stati coinvolti: Si □ No □ Cosa ne pensano: ____________________________________ Sono disposti a riorganizzare le loro modalità di vita: Si □ Sono perplessi □ No □ b) Familiari Conviventi: Sono stati coinvolti: Si □ No □ Cosa ne pensano: ____________________________________ Sono disposti a riorganizzare le loro modalità di vita: Si □ Sono perplessi □ No □ c) Familiari non convinti: Cosa ne pensano di questa vostra scelta: ASSUNZIONE DI GRANDE RESPONSABILITÀ Quale rilevanza ha il loro giudizio: NESSUNA

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Appendice A 224

E ATTEGGIAMENTO DELLA FAMIGLIA AFFIDATARIA NEI

CONFRONTI DELLA FAMIGLIA D’ORIGINE DEL MINORE E DEL-LA SUA STORIA DI VITA

a) Disponibilità al mantenimento dei rapporti: Si □ No X Qualche perplessità: _________________________________________ b) Come pensate di porvi nei confronti delle abitudini di vita del mi-

nore, delle sue origini e della sua storia: ATTEGGIAMENTO DI COMPRENSIONE, DI SOSTEGNO E SO-

PRATTUTTO DI GUIDA

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Questionario famiglie affidatarie del “Centro Affidi” della Provincia di Potenza 225

F IMPORTANZA DELLA FORMAZIONE a) Ritenete che la formazione sia utile per le famiglie affidatarie: Lui: Si X No □ Lei: Si X No □ b) Ritenete che prima di accogliere un minore sia opportuno un ciclo

di formazione: Lui: Si X No □ Lei: Si X No □ c) Riflessioni: Lui: In cosa vi ha arricchito _____________________________________________________________ _____________________________________________________________ Lei: In cosa vi ha arricchito HA PERMESSO DI FARCI CONOSCERE REALTÀ E SITUAZIONI

FAMILIARI DIVERSE, E DI AFFRONTARE LE PROBLEMATICHE ADOLESCENZIALI

Lui: Che riscontro ha avuto la formazione nell’esperienza

concreta CI HA PREPARATI NELL’ACCOGLIENZA DEL MINORE SO-

PRATTUTTO NELL’EVITARE ERRORI DI GESTIONE DEL RAPPOR-TO

Lei: Che riscontro ha avuto la formazione nell’esperienza

concreta _____________________________________________________________ _____________________________________________________________ d) Quante esperienze di affido avete fatto? 1 X 2 □ 3 □

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Appendice B

Buone prassi

Comune di GENOVA

Affido di neonati: il Near83 Premessa Studi e ricerche hanno dimostrato l’importanza, per il neonato ed il

bambino piccolissimo, di poter sviluppare relazioni significative fin da subito dopo la nascita, poiché su questo si fondano alcune caratteristiche peculiari della personalità (capacità di stabilire rapporti adeguati con gli altri, senso di sicurezza, sviluppo dell’autonomia, ..).

L’affido familiare, allora, diventa la risposta più idonea al bisogno di attaccamento del bambino neonato o piccolissimo che debba essere al-lontanato dalla propria famiglia, e costituisce anche un intervento pre-ventivo rispetto a patologie dello sviluppo psicofisico, che possono inve-ce derivare o essere collegate a permanenze prolungate in strutture o-spedaliere o comunitarie.

L’affido di neonati Per quanto riguarda le condizioni e le motivazioni che hanno fatto

nascere a Genova il progetto Near, si parla di un’idea che ha iniziato a maturare nell’anno 2001, anche perché erano in aumento le segnalazioni di neonati in stato di bisogno ed emergeva, quindi, la necessità di porre un’attenzione peculiare a tale tipologia d’intervento.

Non si potevano poi ignorare le indicazioni legislative (legge 149/01) che, in caso di necessità d’allontanamento dal nucleo familiare di minori fra 0 e 6 anni, prevedono solo l’affido familiare o l’inserimento in comu-nità di tipo familiare.

L’esperienza di lavoro con questo tipo di affidi evidenziava, inoltre, la necessità di avere una solida rete di collaborazioni e connessioni con altri Enti: il Tribunale per i Minorenni (per la competenza in merito ai

83 Il Progetto viene riportato solo in parte, precisamente gli aspetti più inerenti a

questo contesto.

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Appendice B 228

provvedimenti e le prescrizioni), i Servizi territoriali ASL (che hanno il compito di fare una diagnosi ed una prognosi dei genitori e del progetto terapeutico di recupero), gli Ospedali (che possono conoscere, attraverso le Assistenti Sanitarie o Sociali, la situazione prima che la segnalazione giunga ai Servizi), gli Spazi Famiglia, (per l’organizzazione degli incon-tri in luogo neutro tra genitori e figli).

E’ essenziale, per questi affidi, la collaborazione tra i diversi soggetti coinvolti nel progetto per il bimbo piccolo, vale a dire il Tribunale, i Ser-vizi Sociali, Sanitari e le famiglie affidatarie, dove ciascuno svolge un ruolo definito ma strettamente connesso con gli altri. La responsabilità della vita di un bimbo non può che comprendere aspetti diversi: quello di fornirgli affetto e sicurezza, quello di essere cresciuto da una famiglia sufficientemente adeguata, quello di avere una tutela giuridica. E’ quin-di fondamentale che ciascun soggetto si assuma la propria parte di re-sponsabilità in considerazione della funzione esercitata.

Tutto ciò ha portato a considerare necessaria una regia centrale, volta a coordinare le linee guida dei vari interventi, attraverso un gruppo so-vra-zonale di operatori dell’affido che lavorasse attorno al progetto di affidi di neonati e l’organizzazione di uno specifico gruppo di famiglie dedicate a questa esperienza.

Il Near L’affido Near (acronimo di “neonati a rischio” ma vocabolo significa-

tivo anche nella traduzione dall’inglese, con il suo richiamare la relazio-ne di vicinanza e intimità che suscita il bimbo piccolo) è rivolto a neonati o piccolissimi (talvolta nati in crisi d’astinenza tossicologica e/o con pro-blematiche di tipo sanitario), figli di persone con gravi difficoltà per problemi di salute mentale, di dipendenza o di inadeguatezza genitoria-le, i cui comportamenti provocano danni allo sviluppo del bambino e possono potenzialmente pregiudicarne una crescita psicofisica armoni-ca.

Il Tribunale per i Minorenni, in questi casi, predispone il divieto al ri-entro in famiglia, nell’attesa di una valutazione diagnostica e prognosti-ca da parte dei Servizi.

Il Near, attraverso un intervento il più possibile tempestivo, offre la possibilità di una specifica accoglienza familiare, in un contesto quindi affettivo e stimolante. Ciò consente di assicurare al bambino la possibili-tà di sperimentare legami affettivi significativi, per evitare i danni deri-vanti da un’istitutizzazione precoce, ben noti non solo agli addetti ai la-vori.

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Buone prassi 229

Tale affido ha generalmente una breve durata (6-8 mesi), sia perché corrisponde al tempo occorrente agli operatori per svolgere la valuta-zione dell’ambiente di vita e delle capacità genitoriali, sia perché favori-sce la possibilità di una puntuale decisione da parte dell’Autorità Giudi-ziaria in merito al percorso futuro (adozione, rientro nel nucleo d’origine, affido a lungo termine).

Gli obiettivi Gli obiettivi del progetto rispondono a diverse esigenze:

- limitare i tempi di permanenza in ospedale o l’inserimento in strutture residenziali di neonati e bambini piccolissimi;

- avere a disposizione una risorsa specifica e competente, evi-tando tempi prolungati per la collocazione del neonato;

- organizzare in maniera organica la risposta ad una specifica fascia di utenza, costruendo una risorsa centrale per tutta la città, ottimizzando tempi e modalità di intervento ed omoge-neizzando criteri per la selezione delle famiglie e per la ge-stione dell’intervento.

La metodologia Viene utilizzata una metodologia di lavoro multidisciplinare e inter-

professionale, attivando collaborazioni con operatori di altre discipline che in misura diversa intersecano il progetto di vita del bambino e della sua famiglia durante l’affido.

A tal fine sono stati effettuati: - incontri con i Giudici del Tribunale per i Minorenni (che han-

no coinvolto sia gli operatori sia le famiglie Near) per appro-fondire gli aspetti giuridici;

- incontri con l’Assistente Sociale referente per le adozioni, per meglio comprendere gli aspetti legali e psicosociali legati a ta-le intervento in un’ottica di maggior collaborazione;

- incontri con Medici infettivologi, che hanno fornito indicazio-ni tecniche e pratiche utili alle famiglie che accolgono bimbi interessati da questo tipo di patologie;

- incontri formativi, destinati sia agli operatori sia alle famiglie Near, con esperti del Centro Studi Neonato di Genova, che hanno permesso di conoscere più approfonditamente gli studi recenti sul mondo delle relazioni precoci tra il bimbo e chi si prende cura di lui, relazioni oggetto della valutazione delle capacità genitoriali;

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Appendice B 230

- incontri di collaborazione con ricercatori dell’Università Cat-tolica di Milano per una ricerca sui progetti che prevedono l’affido di bambini piccolissimi in Italia.

Alcune collaborazioni sono continuative, altre vengono attivate se-

condo le necessità ed i bisogni emergenti. L’organizzazione Per rispondere in maniera adeguata alla peculiarità e alla complessità

degli affidi di neonati, è stata necessaria un’intensa attività di elabora-zione da parte di un equipe tecnica di operatori chiamati a comporre il Gruppo Near: il Responsabile del Progetto Affido Familiare, quattro As-sistenti Sociali, una Psicologo ed un Educatore Professionale, che s’incontrano quindicinalmente per accogliere e valutare le richieste d’affido Near, monitorare con regolarità gli affidi avviati, conoscere e preparare le famiglie che si candidano all’esperienza dell’affido di neo-nati, anche attraverso incontri conoscitivi e di “sensibilizzazione” indi-viduali e/o di gruppo, gestire il Gruppo delle famiglie affidatarie e sup-portarle individualmente, se necessario, curare la collaborazione con le Associazioni, altri Servizi Affido, col T.M., con l’ASL. Un’altra scelta o-perativa del gruppo Near è stata quella di prevedere l’individuazione, in ogni situazione di abbandono di un neonato o bambino molto piccolo, di un operatore di riferimento appartenente al gruppo Near stesso, che si affianchi a quelli territoriali referenti del caso, sia al momento della pre-sentazione alla famiglia affidataria individuata come abbinabile sia lun-go tutto il percorso dell’affido Near.

Gli strumenti E’ organizzato un Gruppo d’incontro delle famiglie Near. Ognuna fa

riferimento anche al suo originale gruppo di zona, dove può tornare ad esperienza finita e negli intervalli tra un’esperienza ed un’altra eventua-le con neonati. La partecipazione al Gruppo F.A. Near si conclude dopo alcuni mesi dalla cessazione della disponibilità a tale tipo di affido, que-sto per consentire uno spazio d’elaborazione dell’esperienza stessa. Tale possibilità corrisponde ad una duplice esigenza espressa dalle stesse fa-miglie: quella di vedersi garantito uno spazio specifico dove condividere l’esperienza vissuta in comune, e quella di non essere allontanate dal gruppo d’origine.

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Buone prassi 231

Alla conduzione del Gruppo delle famiglie affidatarie, similmente a quanto avviene nelle Commissioni di zona, sono preposti almeno due operatori, uno psicologo e una o due Assistenti Sociali del Near.

Al fine di assicurare il più possibile continuità nella storia dei bambi-

ni, le famiglie sono invitate a tenere “memoria” del periodo che il bam-bino trascorre in affido near (diario, foto, …), in modo da consegnare ta-le materiale alla famiglia che lo accoglierà successivamente.

Concluso l’affido, operatori Near incontrano la Famiglia Affidataria,

per una valutazione dell’esperienza, a sostegno del “distacco” e la ride-finizione della disponibilità ad altri affidi Near.

Le procedure a) La presentazione del caso a.1) Prerequisito per l’attivazione di un intervento è la segnalazione al

referente Near di Zona e la compilazione, da parte degli operatori che hanno in carico il caso, della scheda relativa al nucleo familiare per l’attivazione del progetto Near, e il suo invio al gruppo Near stesso;

a.2) Il gruppo Near valuta i vari aspetti della richiesta specifica di in-tervento, elabora una prima ipotesi di abbinamento tra il bambino picco-lo in stato di necessità ed una famiglia formata a tale accoglienza, infine individua l’operatore Near di riferimento.

a.3) Successivamente segue un incontro tra l’operatore Near di riferi-mento e i titolari del caso per la presentazione e la predisposizione del progetto d’affido. Nelle situazioni per le quali è necessario un particola-re approfondimento, l’incontro viene, invece, effettuato alla presenza di tutto il gruppo Near.

a.4) Individuata la famiglia, gli operatori titolari del caso e l’operatore Near di riferimento la incontrano, presentando la situazione del bambi-no ed il progetto di affido.

b) La presa in carico b.1) Ogni caso per cui si chiede l’intervento Near deve essere seguito

da un assistente sociale e da uno psicologo (quando possibile è auspicata anche la presenza dell’educatore professionale) ma, condizione “sine qua non” per l’avvio dell’affido è la garanzia che gli operatori si possano attivare sul caso con assoluta priorità. Se, fatta salva la congruità della richiesta, tali requisiti minimi sono soddisfatti, un operatore del gruppo Near si affianca a quelli referenti del caso, sia al momento della presen-

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Appendice B 232

tazione alla famiglia affidataria individuata come abbinabile sia lungo tutto il percorso dell’affido Near.

b.2) Gli operatori titolari curano i rapporti con la famiglia affidataria, anche attraverso specifici momenti di aggiornamento reciproco sulla si-tuazione del bambino e, inoltre, segnalano all’operatore Near di riferi-mento, gli eventuali problemi in merito al caso e le eventuali necessità di modifica del progetto di affido.

c) La conclusione c.1) Gli operatori del caso e l’operatore Near predispongono con la

famiglia affidataria le modalità di passaggio del bambino verso la nuova collocazione, definendo anche, per quanto possibile secondo le singole situazioni, tempi e modi per i successivi contatti fra il bambino e la fa-miglia Near;

c.2) alla fine del periodo di passaggio gli operatori del caso e l’operatore Near incontrano la famiglia per un incontro conclusivo di ta-le esperienza.

… Omissis I risultati Grazie all’organizzazione e all’ampia disponibilità delle famiglie affi-

datarie, i tempi d’avvio dei singoli affidi sono contenuti ed importanti sono i risultati ottenuti, anche in termini numerici.

Dal 2002 ad oggi, infatti, sono stati complessivamente realizzati n. 48 affidi Near:

- n. 7 affidi nel 2002. Per 5 di questi, terminata la fase diagno-stica e di conoscenza delle risorse familiari, si è progettato un affido a lungo termine (in due casi questi affidi si trasforme-ranno in Adozioni Speciali84), mentre 2 sono rientrati in fami-glia d’origine o con parenti;

- n° 6 nel 2003: 2 bambini sono andati in adozione, 1 in comuni-tà m/b, 2 in Comunità Terapeutica dove era già inserita la madre, 1 è stato accolto dai nonni materni;

84 Le Adozioni Speciali sono regolate dagli articoli 25-29 della Legge 149/2001

che prevede in situazioni particolari (non previste dall’ex articolo 44 legge 184/1983) la possibilità d’adozione a coppie non coniugate, a singoli, a famiglie che hanno in essere un intervento prolungato di affido familiare.

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Buone prassi 233

- n° 8 nel 2004: 3 bambini sono andati in adozione, 3 in affido sine-die (di cui 2 presso le stesse famiglie near), 1 è rientrato in famiglia, 1 è ancora in corso;

- n° 7 nel 2005: 2 bambini sono andati in adozione, 2 in Comu-nità Terapeutica dove era già inserita la madre, 1 è rientrato presso la famiglia d’origine, 1 è stato accolto dagli zii, 1 affido si è trasformato in un affido d’appoggio;

- n° 12 nel 2006 (di cui 6 in case famiglia): 2 bambini sono an-dati in adozione, 6 in affido sine-die (di cui 2 presso le stesse famiglie Near), 1 è andato in struttura m/b, 3 affidi – in casa famiglia - sono ancora in corso.

- n° 6 nel 2007 (di cui 2 in case famiglia): 1 bambino è poi an-dato in affido a lungo termine, 4 affidi sono ancora in corso - per 2 di questi si sta predisponendo il passaggio a famiglie af-fidatarie, mentre per 1 è in corso una C.T.U. predisposta dal tribunale, 1 bambino è andato in struttura m/b con la mamma.

- nel 2008 sono già stati avviati n. 2 affidi. … Omissis

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Appendice B 234

Comune di TORINO

Progetto Neonati85 INTRODUZIONE Il servizio educativo del “Progetto Neonati” nasce da una riflessione

sulla legge 184/83 e sulle modifiche apportate dalla legge 149/01 che ha condotto ad un nuovo orientamento della comunità per minori (0-3 an-ni) “Il Piccolo Principe”.

Come stabilisce l’art. 2 della legge, una volta messi in atto, da parte dei Servizi Sociali, tutti i sostegni alla famiglia d’origine del minore in difficoltà, il bambino, temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, deve essere affidato prioritariamente ad una famiglia. Solo in ul-tima istanza si può valutare di inserire il minore in una comunità (priori-tariamente di tipo familiare), comunque come soluzione provvisoria e per un periodo determinato.

L’affidamento familiare, quindi, è valutato come soluzione privilegia-ta per l’assistenza a tutti i minori che, temporaneamente, non possono rimanere nella propria famiglia.

Le modifiche alla legge 184/83 hanno di fatto portato ad un’analisi più attenta della situazione dei neonati, che già da tempo i Servizi Sociali del Comune di Torino avevano intrapreso, per sviluppare nuove forme d’intervento partendo dalla considerazione, ormai acquisita, che la pro-lungata permanenza dei minori in comunità rende insicure per il bam-bino le basi per strutturare comportamenti e relazioni di attaccamento.

Quindi, partendo dalle disposizioni di legge e dall’analisi del benes-sere del bimbo, si è arrivati a formulare, già dal 1995 con una delibera-zione del Comune, il “Progetto Neonati” che prevedeva di garantire sin dai primi giorni di vita del minore un ambiente familiare idoneo, evi-tando i danni di una permanenza prolungata presso una struttura co-munitaria. A tal fine era previsto l’inserimento dei neonati in famiglie affidatarie appositamente selezionate, anche in base all’esperienza e alle loro capacità di gestire il distacco. Nelle prime fasi di avvio, si stentava a far prendere consistenza al Progetto Neonati, rispetto agli altri interven-

85 Il Progetto viene riportato solo in parte, precisamente gli aspetti più inerenti a

questo contesto.

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Buone prassi 235

ti, per l’alto costo organizzativo e di personale che richiedeva ai Servizi Sociali.

Nell’anno 2000 nasce l’esigenza da parte della Divisione Servizi So-ciali di rilanciare il Progetto Neonati, arricchendolo di nuovi contenuti e dotando il territorio cittadino di un servizio educativo specializzato per la sua realizzazione. Inizia così la sperimentazione che ci vede coinvolte, e che sfocia con la trasformazione graduale della comunità di Corso Ca-sale, 85 in due servizi differenti: l’Accoglienza Bimbi e il Progetto Neo-nati. Inizialmente la sperimentazione si affianca alla gestione della co-munità (da ottobre 2000 a luglio 2002). A partire da agosto 2002, con le dimissioni graduali dei bimbi inseriti nella struttura, l’équipe di sette educatrici è impegnata in modo esclusivo sul nuovo progetto. Questo cambiamento ha prodotto nuovi stimoli nelle operatrici che hanno inve-stito tempo e idee, ma ha anche provocato grossa confusione e incertez-za determinata dal dover affrontare problematiche organizzative sempre nuove che, di volta in volta, si presentavano con il procedere della spe-rimentazione (nuovo ruolo educativo, rapporto con altre figure profes-sionali e non, locali, orari, ecc.). Ciò ha comportato la necessità di una continua “correzione del tiro” per poter giungere ad un assetto sempre più funzionale.

Per la realizzazione dei suoi obiettivi, il Progetto Neonati prevede di avvalersi di:

• Famiglie Affidatarie per l’ospitalità temporanea dei bambini; • Servizio Educativo che cura gli incontri in luogo neutro; • Servizio di Neuropsichiatria Infantile che fornisce collabora-

zione grazie ad apposita convenzione; • Servizio Sociale che coordina la gestione del progetto indivi-

duale; • Divisione Servizi Sociali – Settore Minori che ha individuato

una figura di coordinamento del progetto complessivo presso l’Ufficio Affidamenti col compito, tra gli altri, di organizzare il reperimento, la selezione ed eventualmente un aggiorna-mento circa la valutazione di idoneità delle famiglie affidata-rie.

Obiettivi

Il Progetto Neonati persegue l’obiettivo primario di garantire al neo-nato un ambiente idoneo alla sua specifica ed irrinunciabile esigenza di ricevere, da subito, cure ed attenzioni privilegiate fondamentali per il suo equilibrio psico-fisico futuro, mediante:

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Appendice B 236

- l’inserimento temporaneo e definito del bimbo in una fami-glia affidataria che svolga funzioni genitoriali

- tempi brevi di definizione del futuro del bambino attraverso un canale preferenziale con le Autorità Giudiziarie minorili e con tutti i Servizi coinvolti, limitando il periodo di incertezza sul futuro del minore. Attualmente il Tribunale per i Mino-renni utilizza il Progetto Neonati in via preferenziale rispetto alle comunità.

Contemporaneamente si garantisce il mantenimento o l’instaurarsi del rapporto parentale con la famiglia d’origine attraverso gli incontri in luogo neutro tra il bimbo ed i parenti aventi diritto. Tali incontri, svolti alla presenza di educatori professionali, hanno inoltre la finalità di so-stenere la genitorialità e di raccogliere elementi utili per la definizione del futuro del minore.

E’ importante ricordare che, come indicato nella succitata legge, si impone ai Servizi che vengano attuati interventi di aiuto e sostegno alla famiglia del minore per accelerare quanto più possibile il suo rientro. Se ciò non è praticabile, vengono prese in considerazione soluzioni alterna-tive.

… Omissis

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Buone prassi 237

Fonte: Provincia di Potenza Assessorato alle Politiche Sociali, Pace,

Immigrazione e Volontariato, (a cura di), 1° Rapporto di Attività del Coor-dinamento Nazionale Servizio Affidi, Centro Affidi Provincia di Potenza, Dicembre 2007, p. 58

Comune di PARMA

PROGETTO “FAMIGLIE ED ACCOGLIENZA” SINTESI

Il crescente disagio rilevato dagli operatori che operano nei servizi e

la crescente difficoltà ad avere famiglie disponibili per l’affido famigliare ha portato il Comune di Parma a riflettere sulla necessità di investire sulla creazione di una cultura dell’accoglienza e dell’affido nel contesto cittadino, al fine di favorire: da un lato una ridefinizione condivisa del senso dell’affido, e dall’altro il diffondersi di una nuova sensibilità nei confronti delle famiglie e dei bambini in difficoltà.

Se, infatti, continuano ad esistere nella nostra città situazioni di biso-gno in cui è inevitabile arrivare ad interventi di allontanamento del mi-nore dalla sua famiglia d’origine, dall’altro vi è sempre più la consape-volezza che laddove la famiglia vive un momento di difficoltà e margi-nalità, ma vi sono potenzialità da valorizzare, si possano attivare forme di aiuto differenziate in rapporto ai bisogni espressi.

La risposta a tali bisogni potrebbe stare nell’attivazione di reti di acco-glienza e di solidarietà all’interno delle realtà sociali in cui la famiglia è in-serita come parrocchie, luoghi di lavoro, scuola, associazioni, ecc.

Il progetto “Famiglie e accoglienza” mette in rete, com’è nell’ottica del Piano di Zona, diverse realtà operanti in contesti differenti.

In questo senso è prevista la collaborazione fra il Comune di Parma attraverso la propria equipe affido, l’Ufficio Diocesano della famiglia e l’Associazione “Gruppo Affido” di Parma.

L’obiettivo primario di questo progetto é la promozione di una nuova cultura per l’accoglienza nella nostra città.

Tale finalità può essere raggiunta ponendosi un obiettivo più specifi-co e concreto: prendere contatto ed attuare un processo d’integrazione fra tutte le realtà che oggi sono particolarmente sensibili ai temi dell’accoglienza ed apertura all’altro, e che già prevedono momenti d’incontro e condivisione fra famiglie.

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Con tali realtà è fondamentale:

- lavorare per la riscoperta e valorizzazione delle potenzialità delle famiglie di Parma

- individuare in modo “creativo” le diverse possibilità di aiuto alle famiglie che si trovano in una condizione di difficoltà.

Dal punto di vista operativo tale obiettivo può essere raggiunto at-

tuando quello che oggi viene definito “lavoro di rete”, individuando in-terlocutori significativi all’interno delle diverse realtà.

Tali figure costituiscono, insieme con gli operatori dell’equipe di pro-getto, di volta in volta, un gruppo di lavoro con il quale ragionare sul pro-getto e sui modi possibili per realizzarlo (sottoprogetti specifici, forma-zione per le persone coinvolte, forme di promozione all’accoglienza, ecc).

Solo in questo modo si possono creare possibilità concrete di incontro tra bisogni e risorse, ogni volta differenti a seconda delle situazioni spe-cifiche che verranno ad evidenziarsi. Inoltre, in questo modo, si può ri-spondere ai bisogni espressi dal territorio (all’interno dello stesso quar-tiere, parrocchia, ecc), arrivando a sperimentare l’aiuto all’altro come un’opportunità per tutti, in quanto espressa con livelli di impegno diffe-renziati, e “naturali”.

Si può infatti passare dall’accompagnamento di un bambino all’asilo, magari il compagno del figlio i cui genitori hanno problemi di lavoro, a forme di “baby-sitteraggio” più o meno impegnative, fino a forme di appoggio e sostegno più complesse e impegnative, come quelle dell’affido famigliare vero e proprio.

Secondo la disponibilità offerta da singoli, famiglie e gruppi di fami-

glie, e del tipo d’impegno richiesto, l’équipe affido garantisce forme dif-ferenziate di formazione e sostegno:

- Nel caso dell’affido o di sostegno a famiglie estremamente disagiate, bisogni sempre presenti a livello di Servizi Sociali, il lavoro con le famiglie sarà chiaramente più approfondito e di conoscenza personale, al fine di rendere consapevoli e di proteggere i soggetti coinvolti da esperienze troppo comples-se ed emotivamente impegnative.

- Per ciò che riguarda invece altre forme d’aiuto meno com-plesse, ma pur sempre importanti, gli operatori, insieme con i

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Buone prassi 239

“portavoce” dei gruppi, potranno fornire momenti formativi e di consulenza individuali e di gruppo.

In particolare sarà garantita la programmazione periodica di gruppi di formazione per tutti quelli che vorrebbero offrire la loro disponibilità, in modo da sostenere l’acquisizione di alcune competenze sia nel rap-porto con i bambini e le loro famiglie in condizione di difficoltà, sia nella capacità di leggere le proprie reali possibilità.

Realizzazione Il progetto si è articolato in tre fasi successive con il coinvolgimento

di figure diverse. Fase I Costituzione di un gruppo di lavoro che ha visto coinvolti

- l’équipe affido del Comune di Parma, con funzione di garante del progetto, coordinamento e formazione;

- un referente dell’Ufficio diocesano della famiglia e un referen-te dell’Associazione “Gruppo Affido” di Parma con ruolo di:

• individuazione e sensibilizzazione delle realtà fa-migliari e associative presenti nella realtà cittadine,

• lavoro sulla motivazione delle persone coinvolte • facilitatore dell’integrazione fra le parti • consulente all’équipe sul lavoro di progettazione e

verifica - gli operatori territoriali (educatori/assistenti sociali) dei quat-

tro poli e dei Comuni del Distretto Socio-Sanitario come rap-presentanti del territorio, portavoce dei bisogni emergenti, ol-tre che anello di congiunzione fra famiglie e Servizi;

- di volta in volta i referenti territoriali individuati all’interno delle diverse realtà e territori cittadini con il compito di anda-re a costruire il progetto stesso con gli operatori coinvolti oltre che fungere da portavoce c/o le realtà che rappresentano e da attivatore delle risorse.

Fase II Il gruppo di lavoro ha cominciato ad essere operativo all’interno delle

diverse realtà territoriali. Tale operatività si è concretizzata attraverso la programmazione e re-

alizzazione di progetti di promozione e di formazione rivolta a gruppi di famiglie individuati nelle diverse realtà territoriali (parrocchie, associa-

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zioni, luoghi di incontro) finalizzati alla diffusione del progetto, sensibi-lizzazione ai temi dell’accoglienza, alla raccolta di risorse.

Fase III - (In itinere) I rappresentanti territoriali, dovrebbero divenire nel tempo punto di

incontro tra risorse e bisogni in collaborazione con gli operatori territo-riali oltre a mantenere un ruolo promozionale ed attivare l’équipe affido ogni volta lo ritengano necessario.

L’équipe affido, rimane luogo concreto di pensiero dei microprogetti formulati con i partner coinvolti.

All’interno della partnership gli operatori dell’èquipe affido mettono a disposizione le proprie competenze specifiche garantendo una forma-zione permanente ed eventuali spazi di consulenza e supervisione, oltre a svolgere un’indispensabile funzione di coordinamento ed organizza-zione.

Sono, inoltre, previsti momenti periodici di incontro del gruppo di lavoro iniziale (referenti, équipe affido, responsabile ufficio famiglie Di-ocesi, operatori territoriali), finalizzati al monitoraggio del progetto, allo scambio di esperienze, condivisione di nuove proposte emerse grazie al lavoro “sul campo”.

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Fonte: Provincia di Potenza Assessorato alle Politiche Sociali, Pace,

Immigrazione e Volontariato, (a cura di), 1° Rapporto di Attività del Coor-dinamento Nazionale Servizio Affidi, Centro Affidi Provincia di Potenza, Dicembre 2007, p. 61

Comune di MILANO Settore Servizi alla famiglia Ufficio Coordinamento Tecnico Centrale Affidi

PROGETTO FAMILIARE MAMMA E BAMBINO La decisione di formulare ed avviare il progetto d’affido familiare

mamma e bambino, insieme, nella stessa famiglia affidataria, è scaturito dall’intreccio di osservazioni, riflessioni, favorevoli coincidenze e dal de-siderio di percorrere strade diverse nella continua ricerca di nuove for-me di aiuto.

La riflessione e il pensiero sono scaturiti dall’osservazione dei dati di realtà e dalla rilevanza del fenomeno. In effetti, abbiamo evidenziato un consistente numero di collocamenti in strutture di giovanissime madri con bambini e un rilevante numero di provvedimenti emessi dal Tribu-nale per i Minorenni di affido all’Ente Locale per inserimento mam-ma/bambino in struttura.

Parallelamente alle riflessioni e alle osservazioni sopradette siamo stati sollecitati dalla lettura della legge 149 in rapporto al suo insistente affermare: il diritto del minore a crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia; il diritto del minore ad un’altra famiglia quando la propria non sia in grado di provvedere alla sua crescita ed educazio-ne; al suo insistente rilevare “la predisposizione di programmi di assi-stenza per la famiglia d’origine”.

Stimolante e affascinante è stato il desiderio di integrare le riflessioni e le osservazioni con il dettato legislativo spinti dal desiderio di intra-prendere nuovi percorsi di conoscenza.

Si è dato quindi forma alla concreta sperimentazione del progetto di affido eterofamiliare per madre/bambino con l’intento di perseguire i seguenti obiettivi:

• Offrire un vero e proprio contesto familiare che accolga in af-fido la madre, suo figlio e la loro relazione con la funzione

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principale di valorizzare, apprezzare, consigliare, sostenere e appoggiare la giovane mamma nel suo ruolo

• Accompagnare la giovane in un percorso di autonomia attra-verso un affiancamento genitoriale

• Aiutarla ad usufruire dell’esperienza di questo affiancamento per poterlo riproporre nel rapporto con il proprio figlio

• Aiutarla e vicariarla nel suo ruolo materno • Offrire un contesto di funzioni genitoriali-integrative in cui

sia salvaguardata la relazione madre-bambino • Tenere vivo il legame, rinsaldandolo, offrendo alla madre e al

bambino un contesto di relazioni familiari strutturanti L’affidamento mamma/bambino si colloca come un intervento di se-

condo livello dopo un periodo di permanenza in comunità mam-ma/bambino da cui è emersa una buona relazione tra i due e s’ipotizza una soluzione positiva della situazione seppure in un lasso di tempo an-cora lungo.

Il passaggio della madre dalla comunità alla famiglia affidataria deve avvenire gradualmente: devono essere chiare le regole dell’affidamento sia alla mamma sia alla famiglia affidataria la quale ha in affidamento il minore con il consenso della madre per delega del servizio sociale (cui è affidato il minore dal Tribunale per i minorenni).

La famiglia affidataria ha il compito di aiutare la mamma ad occupar-si nel modo migliore di suo figlio ma anche di sostenerla nel recupero di “alcuni pezzi” della sua vita, ad esempio l’adolescenza. In queste occa-sioni la famiglia affidataria si sostituisce alla madre nella cura del mino-re.

Durata dell’affidamento La durata di questi affidamenti non può essere considerata breve in

quanto non si pongono come obiettivo solo quello di sostenere una gio-vane mamma nella ricerca di casa e lavoro, ma anche di aiutarla a dive-nire autonoma nella gestione della propria vita (affetti, sicurezze, realiz-zazione) e di quella di suo figlio.

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Fonte: Provincia di Potenza Assessorato alle Politiche Sociali, Pace,

Immigrazione e Volontariato, (a cura di), 1° Rapporto di Attività del Coor-dinamento Nazionale Servizio Affidi, Centro Affidi Provincia di Potenza, Dicembre 2007, p. 68.

Comune di ROMA Questa proposta è stata portata avanti dal Comune di Roma attraver-

so un progetto finanziato dalla legge 285/97. Il progetto è stato attivato nel 1999 e concluso nel 2001. Sulla base di questa esperienza e delle ri-chieste provenienti dal territorio romano, il neonato Centro Comunale “Pollicino” dal 2002 si sta attivando secondo una metodologia più ri-spondente alle esigenze del Servizio Sociale richiedente e ai bisogni del nucleo madre-bambino in difficoltà.

SCHEDA PROGETTO n° 78 Soggetto Titolare Assessorato alle Politiche Sociali – V Dipartimento – Ufficio Minori Titolo “Oltre l’affido” Intervento in favore di nuclei madre-figlio per il sostegno ai processi di ac-

quisizione della autonomia Durata dell’intervento 2 anni Descrizione del fabbisogno Secondo i dati forniti dall’Istat nell’indagine multiscopo sulla fami-

glia, pubblicata nel 1996, i nuclei familiari in Italia sono passati da 16 mi-lioni nel 1988 a 16 milioni 204 mila nel 1994. Di questi ultimi l’11% è co-stituito da famiglie monogenitoriali. E’ interessante notare che i nuclei familiari, in cui i figli vivono con un solo genitore, costituiscono attual-mente il 14,9% dei nuclei composti da entrambi i genitori (secondo la media del 1994 si tratta di 1.776.000 nuclei monogenitoriali rispetto a 11.905.000 nuclei completi).

I nuclei monogenitoriali rappresentano una realtà familiare sempre più diffusa in Italia, in particolare nel Nord Italia (il 12,1% nel Nord-Ovest ed il 10,9% nel Nord-Est) ma anche nel Centro Italia il fenomeno ha raggiunto un livello significativo (11%).

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Nei nuclei monoparentali soltanto nel 15,4% dei casi i bambini vivono con il padre mentre nel 84,6% i figli vivono con le madri. Com’è noto la maggioranza di queste famiglie è composta da madri sole con figli a ca-rico, anche per effetto del frequente affidamento dei bambini alle madri in caso di separazione e divorzio. Nell’utenza in assistenza si è constata-ta un’elevata problematicità, esse di solito, infatti, provengono da un cir-cuito di disagio sociale ed economico che le penalizza e le stigmatizza limitando la loro possibilità d’accesso ad una soddisfacente realizzazio-ne personale e professionale. La donna si trova spesso sola nell’affrontare i problemi suoi e dei figli, non avendo contesti solidali parentali di riferimento.

In relazione a questa problematica, le attività presenti nel territorio romano sono oggi prevalentemente rivolte all’assistenza, alla tutela ed alla salvaguardia del minore separato dalla madre.

In particolare, i piccoli nuclei monogenitoriali vengono, in alcuni casi, collocati in strutture residenziali di tipo educativo-assistenziale per ov-viare alle difficoltà alloggiative ed economiche, senza un progetto indi-vidualizzato, di promozione del benessere e dell’autonomia della fami-glia. Le accoglienze rispondono ad esigenze di emergenza e dopo una permanenza, anche lunga, nella struttura, spesso le donne ne escono senza aver modificato la situazione di partenza, lasciandovi il figlio.

Pertanto, l’importanza e la funzionalità di questo progetto scaturisce dal bisogno di risorse, rilevato dai Servizi Sociali Territoriali, a supporto della relazione genitore-figlio e di promozione dell’autonomia personale e professionale della donna: un intervento mirato al mantenimento del nucleo madre-bambino, sia favorendo l’inserimento nel mercato lavora-tivo della donna, recuperando, laddove possibile, una sua formazione professionale, che la agevoli in tale ricerca (ad es. inserendola in brevi corsi di qualificazione professionale), sia aiutandola a trovare l’alloggio.

Obiettivi perseguiti e servizi/azioni che si intendono realizzare Obiettivi:

a) far uscire il nucleo familiare madre-figlio dal circuito assi-stenziale;

b) consolidare la rete amicale di sostegno al nucleo madre-figlio, anche attraverso famiglie affidatarie residenti nei territori di riferimento delle case d’accoglienza;

c) promuovere la relazione genitore-figlio;

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d) promuovere il raggiungimento di un’autonomia personale e professionale della donna;

e) accrescere le competenze e le risorse della madre sola nella cura della prole.

Azioni: h) apertura di quattro case d’accoglienza per nuclei madre-figlio; i) azioni di accompagnamento psico-pedagogico; j) formazione delle famiglie affidatarie;

Descrizione della metodologia Il progetto si propone come servizio sperimentale, anche attraverso

l’innovazione dell’istituto dell’affidamento familiare. Si prevede, infatti, l’affidamento di un nucleo familiare madre-figlio ad altro nucleo fami-liare residente nel territorio, l’animazione ed il consolidamento di una rete di soggetti che comprenda i due nuclei familiari, nonché l’integrazione dei servizi territoriali e centrali competenti.

Ogni casa ospiterà due nuclei madre-figlio, che saranno sostenuti da un nucleo familiare affidatario.

Il nucleo familiare affidatario dovrà avere esperienza di affidamenti familiari per riuscire ad instaurare con la donna un rapporto di tipo fa-miliare e costituire per lei ed i suoi bambini un riferimento assimilabile a quello delle figure parentali. La famiglia di sostegno dovrà riferire al servizio sociale competente sull’andamento e la gestione della casa e su-gli sviluppi dell’intervento sul nucleo monogenitoriale.

Per quanto riguarda la promozione dell’autonomia personale e pro-fessionale della donna, tale obiettivo potrà essere conseguito aiutando la donna ad orientarsi nelle sue scelte, sia nella ricerca di un lavoro, valo-rizzando le precedenti esperienze lavorative e le sue attitudini, sia nella ricerca di una abitazione autonoma. A tal fine sarà importante l’apporto dei servizi territoriali, ma anche il ricostruire o costruire con la donna ed il suo bambino/i una rete di positivi rapporti familiari ed amicali.

Destinatari Destinatari finali: Nuclei monoparentali composti da madre con fi-

glio/i minori, che si trovino in situazione di temporanea difficoltà, in particolare senza alloggio e con possibilità economiche carenti.

Destinatari intermedi: operatori dei servizi, operatori del privato so-ciale, volontari.

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Appendice B 246

Localizzazione dell’intervento e ambito di impatto Localizzazione: Verranno affittate quattro abitazioni di adeguata di-

mensione. Ambito di impatto: i territori di riferimento delle quattro case

d’accoglienza. Livello di integrazione con altre iniziative e/o Istituzioni Il progetto, seppur gestito e coordinato dal Comune di Roma attra-

verso i suoi servizi circoscrizionali e centrali (V Dipartimento-Ufficio Minori), prevede un’integrazione operativa con gli altri servizi compe-tenti in materia (ASL, Provincia di Roma) che verrà definita tramite pro-tocollo d’intesa.

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Buone prassi 247

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Provincia di Milano Servizio Segretariato ed Emergenze Sociali Area Affido

NUOVI MODELLI DI ACCOGLIENZA: L’Affido Professionale

La riflessione e la progettazione di nuovi modelli di accoglienza nasce

all'interno del Coordinamento Affidi della Provincia di Milano che, negli ultimi anni, si è confrontato sulle problematiche emergenti e sulla neces-sità di individuare risposte nuove, mirate ed adeguate per la tutela dei minori.

Il progetto affido professionale è frutto di indicazioni e considerazio-ni che si fondano sull’esperienza degli operatori dei servizi territoriali, delle cooperative sociali e i rappresentanti di associazioni di famiglie.

Caratteristiche del progetto Il progetto affido professionale è attuato nel territorio della provincia

dalla Provincia di Milano, Direzione Affari Sociali, Settore Sostegno e Prevenzione delle Emergenze sociali in collaborazione con le cooperati-ve sociali Associazione Famiglie per l’Accoglienza, Centro Bambino Maltrattato, Comin e Grande Casa.

Un aspetto qualificante del progetto è quello di favorire un proficuo intreccio fra l’istanza pubblica dei servizi territoriali responsabili di vigi-lare e tutelare, e il terzo settore, in un assetto organizzativo dove siano chiaramente individuate le responsabilità di ciascun soggetto e del coor-dinamento all’interno di un sistema unificato. Il progetto famiglie pro-fessionali rappresenta una forma e una modalità di gestione che richia-ma ad una fondamentale definizione di contesto e di ruoli in cui coesiste una corresponsabilità istituzionale tra soggetti pubblici e cooperazione privata.

Il progetto garantisce un intervento di protezione del minore che, al-lontanato dalla famiglia d’origine, è temporaneamente collocato presso

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Appendice B 248

famiglie selezionate e preparate a questo compito, al fine di assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui ha bisogno, e la continuità dei rapporti con la sua famiglia.

Il collocamento presso una famiglia professionale è eseguito dal Co-mune, in applicazione di quanto previsto nella legge 149/01 e in attua-zione del decreto della magistratura.

Il regolamento che è stato predisposto, è il riferimento articolato che definisce i criteri, i tempi e le modalità del collocamento, gli impegni del-le amministrazioni locali e delle organizzazioni, nonché gli impegni e i diritti della famiglia d’origine e della famiglia professionale.

Uno dei due coniugi (referente professionale nella famiglia), deve ren-dersi disponibile all’ottica professionale che prevede uno specifico e ob-bligatorio percorso di formazione, la partecipazione al gruppo di soste-gno e una adeguata disponibilità di tempo ma è necessario che sia l’intera famiglia (coniuge e figli) ad impegnarsi nel progetto.

L’accordo successivo al percorso di selezione e di formazione prevede la sottoscrizione di un contratto di co.co.pro. con una delle cooperative so-ciali da parte del referente professionale della famiglia e comprende la necessaria disponibilità a incontri periodici con i servizi, e l’accettazione di un monitoraggio intenso e costante per tutto il periodo di ospitalità del minore.

L’abbinamento tra il minore e famiglia professionale avviene in si-nergia tra il servizio territoriale, l’Amministrazione Provinciale e le coo-perative in sede di supervisione con uno psicoterapeuta esterno.

La famiglia professionale viene affiancata a un tutor che svolge, da un lato una funzione di supporto e accompagnamento al referente e, dall’altra, un’importante mediazione nel lavoro di rete tra i servizi coin-volti nel progetto di affido.

Il progetto di affido professionale ha una temporalità definita di due anni.

Con le cooperative coinvolte è stata stipulata una convenzione che ha garantito standard di prestazioni adeguate al compito, ciò esige precise definizioni di impegni e competenze reciproche nell’intreccio collabora-tivo tra ente pubblico e privato sociale.

Metodologia e procedure Struttura organizzativa Il progetto prevede un sistema di gestione, organizzazione e monito-

raggio a più livelli.

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Buone prassi 249

• Coordinamento del progetto con compiti di programmazione, verifica e valutazione delle attività composto da responsabili Provincia/Cooperative.

• Gruppo operativo di progetto con compiti di gestione, valuta-zione e supervisione

E’ l’ambito operativo in cui si riflette e si definiscono le strategie ese-

cutive connesse alle diverse attività del progetto quali la definizione e costruzione degli strumenti metodologici e di documentazione, la pro-grammazione delle attività di promozione e di aggiornamento e monito-raggio dei collocamenti in corso e dei casi in attesa.

Il gruppo di lavoro è composto stabilmente da: - Operatori Provincia (2 Assistenti Sociali) - Operatori Cooperative referenti delle famiglie (1 tutor e assi-

stente sociale) Il gruppo ha la caratteristica di essere ad assetto variabile in quanto

partecipano di volta in volta gli operatori del territorio di riferimento dei minori (assistente sociale, psicologo, educatori di comunità, educatori assistenza domiciliare….) che intendono presentare le situazioni per cui richiedono la famiglia professionale. Inoltre a collocamento avvenuto è prevista la partecipazione degli stessi operatori in sede di supervisione per monitorare la situazione.

• Gruppo di selezione e valutazione famiglie professionali Il gruppo è composto dalle Assistenti Sociali della Provincia e da ope-

ratori delle Cooperative (assistente sociale + psicologa). • Equipe tutor

I tutor delle cooperative sociali garantiscono attraverso una specifica riunione di equipe il coordinamento delle attività, la condivisione delle metodologie e l’aggiornamento dei progetti.

Gli strumenti Per la realizzazione del progetto si sono individuati alcuni strumenti

che consentono di regolare i rapporti tra i diversi soggetti: - Il regolamento del servizio, che dopo la fase sperimentale dovrà

essere deliberato dai Consigli Provinciale e Comunali e per il quale si prevede una definitiva riformulazione al termine del-la sperimentazione.

- Il convenzionamento delle organizzazioni del terzo settore con l'ente locale.

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Appendice B 250

- Il contratto di collaborazione a progetto tra famiglia e associazio-ne o cooperativa.

- Il progetto di affido professionale dell’ente locale riferito a cia-scun minore.

Il progetto di affido professionale costituisce il “patto” tra Ente locale, cui il minore è affidato con provvedimento dell’Autorità Giudiziaria, la cooperativa rappresentata dal tutor, la famiglia professionale e la fami-glia d’origine: esso regola le relazioni tra i quattro soggetti e contiene il progetto specifico per ciascun minore.

Valutazione A partire dagli obiettivi di esito sono stati individuati gli strumenti

valutativi da utilizzare all’inizio del percorso e nei momenti definiti co-me cruciali nella progettazione di ogni singolo intervento. Le varie fasi sono finalizzate a:

- valutare gli obiettivi di outcome, ovvero di cambiamento dei minori e delle famiglie

- valutare i risultati in termini di soddisfazione degli affidatari e degli operatori del territorio

A conclusione di ciascuna fase il gruppo di direzione del progetto è stato coinvolto per verificare e discutere i risultati raggiunti.

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Appendice C

Protocollo d’Intesa per l’Affido Familiare Lg. 149/2001

Protocollo d’Intesa: Provincia di Potenza Tribunale per i Minori Comuni del Territorio provinciale I membri aderenti al Protocollo: PROVINCIA DI POTENZA TRIBUNALE PER I MINORI COMUNI CAPOFILA DEGLI AMBITI ZONALI: COMUNE DI POTENZA COMUNE DI RAPOLLA – AMBITO “VULTURE” COMUNE DI VENOSA – AMBITO “ALTO BRADANO” COMUNE DI MURO LUCANO – AMBITO “MARMO MELANDRO” COMUNE DI PIETRAGALLA – AMBITO “BASENTO” COMUNE DI VIGGIANO – AMBITO “ALTO AGRI” COMUNE DI CORLETO PERTICARA – AMBITO “AGRI SAURO” COMUNE DI BRIENZA – AMBITO “AGRI MELANDRO” COMUNE DI VIGGIANELLO – AMBITO “LAGONEGRESE” COMUNE DI SENISE – AMBITO “ALTO SINNI VAL SARMENTO”

PREMESSA La legge 328/00 all’art. 7 (Legge quadro per la realizzazione del sistema in-

tegrato di interventi e servizi sociali) attribuisce alle Province la program-mazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali per i compiti previsti dall’art. 15 della legge 8 giugno 1990, n. 142, nonché dall’articolo 132 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, secondo le modalità de-finite dalle regioni che disciplinano il ruolo delle Province in ordine:

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Appendice C 252

a) alla raccolta delle conoscenze e dei dati sui bisogni e sulle ri-sorse rese disponibili dai comuni e da altri soggetti istituzio-nali presenti in ambito provinciale per concorrere all’attuazione del sistema informativo dei servizi sociali;

b) all’analisi dell’offerta assistenziale per promuovere appro-fondimenti mirati sui fenomeni sociali più rilevanti in ambito provinciale fornendo, su richiesta dei comuni e degli enti inte-ressati, il supporto necessario per il coordinamento degli in-terventi territoriali;

c) alla promozione, d’intesa con i comuni, di iniziative di forma-zione, con particolare riguardo alla formazione professionale di base e all’aggiornamento;

d) alla partecipazione alla definizione e all’attuazione dei piani di zona.

L’art. 16 della legge 328/00 individua l’affidamento familiare fra le

priorità per sostenere con qualificanti interventi i compiti educativi delle famiglie interessate;

L’accordo del 16 dicembre 2004 tra il Ministero del Lavoro e delle Po-

litiche Sociali, le Regioni, le Province Autonome, le Province, i Comuni e le Comunità Montane prevede delle azioni per rendere possibile la chiu-sura degli Istituti di assistenza dei minori entro il 31.12.2006.

“Tutti i bambini hanno diritto ad una famiglia”. È questo

l’imperativo che la Convenzione sui diritti del fanciullo e la legge 149/01 pongono a carico dei decisori politici e operatori del settore delle politi-che per l’infanzia. Promuovendo l’istituto dell’affido familiare in base alle innovazioni e modifiche introdotte dalla stessa legge, in particolare rendendolo più flessibile e idoneo alle effettive esigenze di tutela del minore e del suo preminente interesse a vivere in un ambiente sano e se-reno, valorizzando reti di famiglie e associazioni di famiglie entro cui la singola famiglia trovi sostegno amicale e professionale.

Un temporaneo distacco del minore dalla propria famiglia, senza in-

terruzione di rapporti, un incontro fra una famiglia che ha perso o ri-schia di perdere la sua capacità di rappresentare per il proprio figlio un nido sicuro e di garantire una genitorialità sufficientemente buona e una famiglia che temporaneamente ha risorse da poter condividere con gli altri. Una carenza e un esubero che temporaneamente si compensano

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nell’attesa di poter recuperare la propria autonoma interezza. La funzio-ne dell’affidamento è di separare per poi riunire, per ridare significato ai rapporti logorati e malsani, per impedire che i danni subiti dai bambini e le difficoltà degli adulti arrivino ad un punto di non ritorno.

Un intervento così complesso come l’affidamento familiare non può

essere gestito in modo efficace senza disporre di una struttura di riferi-mento, che promuova lo sviluppo dei diversi fattori costitutivi del servi-zio: culturali, scientifici, organizzativi, professionali, di contatto e sensi-bilizzazione dell’opinione pubblica.

Da qui l’esigenza (da parte del Settore Politiche Sociali della Provin-

cia di Potenza) di realizzare un Centro Affidi operante nell’ambito pro-vinciale.

L’obiettivo primario è quello di dare risposte a minori in famiglie in difficoltà, affrontare aspetti che mettono in gioco soggetti e professiona-lità diverse, dinamiche relazionali (tra genitori di famiglie diverse, tra adulti e minori) e dinamiche istituzionali fra i vari servizi (Tribunale per i Minori, Servizi Sociali, Consultori, Gruppi e Associazioni).

Lavorare nel campo dell’affidamento familiare richiede una particola-

re attenzione alle dinamiche relazionali, ai vissuti personali e alle condi-zioni familiari; richiede la capacità di saper valutare situazioni comples-se e con alto coinvolgimento emotivo; il saper prendere delle decisioni, anche difficili e radicali, spesso in breve tempo; di saper mantenere i rapporti, verificare e controllare costantemente un percorso; tutto questo non perdendo l’obiettivo prioritario che è quello della tutela del minore e garantire ad esso un ambiente positivo per la sua crescita psicofisica.

Il Centro Affidi ha aderito al CNSA (Coordinamento Nazionale Ser-vizi Affidi) rientrando fra i componenti nel direttivo e segue le linee guida dello stesso.

Da qui nasce la necessità di un protocollo d’Intesa tra Centro Affidi,

Tribunale per i Minori e Servizi Sociali Comunali del territorio provin-ciale ognuno per le proprie competenze e specificità.

CENTRO AFFIDI

- Sensibilizzazione sul territorio Provinciale;

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Appendice C 254

- Valutazione e selezione delle famiglie e dei singoli che hanno manifestato la loro disponibilità all’accoglienza temporanea e richiesta di relazione psico-sociale dettagliata al comune di appartenenza;

- Formazione delle famiglie affidatarie; - Rapporti con i Servizi Sociali dei Comuni; - Gruppi di famiglie affidatarie in incontri di auto-aiuto; - Banca dati delle famiglie formate e disponibili all’affido a di-

sposizione del Tribunale per i Minori e per i Servizi Sociali Comunali;

- Relazione sociale sulla famiglia affidataria individuata per il minore e relativa scheda illustrativa;

- Abbinamento minore famiglia: in concertazione con il T.M. in caso di affido giudiziale e i Servizi Sociali Comunali;

- Interazione delle equipè psico-sociale dei Servizi Sociali Co-munali con gli operatori del Centro Affidi provinciale al fine di fornire sostegno alla famiglia affidataria nel percorso di af-fidamento con colloqui, visite domiciliari e relazioni sociali da inviare al Tribunale per i Minori in caso di affido giudiziale ovvero al Giudice Tutelare;

- Verifiche e revisioni del progetto educativo: periodicamente, secondo le scadenze previste tra gli operatori del Centro e gli operatori del territorio, che seguono la famiglia naturale e il minore inserito nella famiglia affidataria con l’obiettivo di de-finire il percorso di affido e aggiornamento del progetto, rela-zionando al T.M. in caso di affido Giudiziale;

- Consulenze degli operatori del Centro per i gruppi di sensibi-lizzazione e condivisione dell’esperienza con gli affidatari, consulenza a richiesta per gli operatori del territorio;

- Promozione di una rete di risorse pubbliche e private per faci-litare l’accesso ai servizi e alle prestazioni necessarie per ren-dere concretamente operanti i progetti educativi concordati;

- Rapporti costanti con il Tribunale per i Minori o Ordinario, Giudice Tutelare, incontri periodici di supervisione sui casi in affido;

- Incontri pubblici nel territorio provinciale in collaborazione con i Servizi Sociali e formazione delle famiglie negli ambiti territoriali;

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- Collaborazione con l’associazione famiglie affidatarie “il Pon-te” per le attività di sensibilizzazione e promozione sul terri-torio.

SERVIZI SOCIALI COMUNALI

- Provvedono a chiedere al Centro Affidi l’individuazione di famiglie affidatarie per l’accoglienza di un minore;

- Individuano le situazioni familiari a rischio psico-fisico-sociale-ambientale per il minore;

- Valutano le soluzioni che meglio soddisfano i bisogni del mi-nore in rapporto al vissuto familiare, all’età e alle prospettive di evoluzione della situazione familiare;

- Predispongono al Centro Affidi gli elementi utili a definire il profilo della famiglia o della persona singola adatta all’accoglienza del minore;

- Concordano con il Centro Affidi l’abbinamento tra minore e famiglia affidataria;

- Concordano e stilano con gli operatori del Centro Affidi il progetto d’intervento;

- In caso di affido giudiziario unitamente al Centro Affidi con-cordano con il T.M. le strategie d’intervento;

- Attivano interventi a sostegno della famiglia d’origine del minore per modificare quei fattori che hanno determinato l’intervento dell’affido dello stesso;

- Concorrono alle attività di verifica con il Centro Affidi per l’aggiornamento del progetto e concordano le modalità di ri-entro nella famiglia d’origine del minore o proposte di solu-zioni alternative;

- Definiscono con il Centro Affidi gli aspetti burocratici – am-ministrativi e tutte le questioni correlate all’affido.

TRIBUNALE PER I MINORI Riguardo gli affidamenti giudiziari e/o a rischio:

- Dispone della banca dati del Centro Affidi per l’individuazione di affidamenti a rischio;

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Appendice C 256

- Invia al Centro Affidi, per la formazione e per gli incontri di auto-aiuto, le famiglie disponibili all’affido;

- Richiede l’intervento di un operatore del Centro Affidi per l’individuazione di famiglie affidatarie idonee per eventuale inserimento di un minore in affido giudiziale e/o a rischio;

- Fornisce elementi utili sul minore per ottimizzare la scelta della coppia affidataria;

- Incontra la famiglia affidataria proposta dal Centro Affidi e vaglia con l’operatore dello stesso Centro l’idoneità della fa-miglia e l’eventuale abbinamento con il minore;

- Concorda con il Centro Affidi e i Servizi sociali le strategie d’intervento dell’affido;

- Demanda al Servizio Sociale, in collaborazione con il Centro Affidi, la predisposizione dell’affido, emettendo idoneo prov-vedimento di allontanamento del minore dalla propria fami-glia.

Potenza 19 novembre 2007

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Indice

Introduzione......................................................................................................V Capitolo primo – Aspetti dell’affidamento familiare ..................................3 1.1. Cos’è l’affido familiare...............................................................................3 1.1.1. Distinzione affidamento e adozione ..............................................5 1.1.2. L’affidamento: consensuale e giudiziale .......................................6 1.1.3. Affidamento sine – die .....................................................................7 1.1.4. Tipologie di affido ............................................................................9 1.2. Affidamento di bambini piccoli..............................................................12 1.3. Affidamento di adolescenti.....................................................................15 1.4. Affidamento di minori stranieri .............................................................18 1.4.1. Minore straniero non accompagnato e minore stranie-

ro con la famiglia ......................................................................................23 1.4.2. Affido omoculturale ed eteroculturale ........................................24 Capitolo secondo – L’affido: protagonisti e problematiche ......................27 2.1. I protagonisti dell’affidamento...............................................................27 2.1.1. Il minore ...........................................................................................27 2.1.2. La famiglia di origine .....................................................................28 2.1.3. La famiglia affidataria ....................................................................29 2.2. Il ruolo degli operatori sociali.................................................................30 2.2.1. Il ruolo dell’operatore con la famiglia naturale..........................35 2.2.2. Il ruolo dell’operatore con gli affidatari ......................................37 2.2.3. Lavoro di rete ..................................................................................39 2.3. Problematiche psico-sociali.....................................................................41 2.3.1. Le problematiche della famiglia affidataria nel proce-

dimento di affido ......................................................................................43 2.3.2. Le problematiche della famiglia naturale nel procedi-

mento di affido..........................................................................................46 Capitolo terzo – Aspetti giuridici dell’affidamento familiare...................49 3.1. Le origini: dal diritto romano al 1977 ....................................................49 3.2. L’affidamento familiare nella legge 4 Maggio 1983, n. 184 ................51 3.3. L’affidamento familiare nella legge 28 Marzo 2001, n. 149 ................56 3.4. Conclusioni................................................................................................58 3.5. Riferimenti normativi precedenti...........................................................59 3.5.1. Legge 28 Agosto 1997, n. 285.........................................................59 3.5.2. Legge 8 Novembre 2000, n. 328 ....................................................60 3.5.3. Decreto Legislativo 26 Marzo 2001, n. 151 ..................................62

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Capitolo quarto – Uno sguardo al “Centro Affidi” della Provin-

cia di Potenza............................................................................................ 65 4.1. Il “Centro Affidi” della Provincia di Potenza, obiettivi e

compiti ....................................................................................................... 65 4.2. Attività svolte dal 2003 al 2008 .............................................................. 69 4.2.1. Punto di vista qualitativo.............................................................. 69 4.2.2. Punto di vista quantitativo ........................................................... 70 4.2.3. Esempio di un affido familiare del “Centro – Affidi”

della Provincia di Potenza ...................................................................... 75 4.3. Corso di formazione per le famiglie affidatarie .................................. 76 4.4. Collaborazione con il Tribunale per i Minorenni (Protocollo

d’intesa tra Centro Affidi – Tribunale per i Minori – Comuni del territorio provinciale)........................................................................ 78

4.5. I risultati del questionario alle famiglie affidatarie............................. 82 4.6. Aspetto educativo.................................................................................. 104 Capitolo quinto – Coordinamento Nazionale Servizi Affidi

(C.N.S.A.) e Indagini nazionali ........................................................... 105 5.1. C.N.S.A.: motivazioni della sua costituzione e impegni per

la crescita qualitativa dell’affido familiare ......................................... 105 5.2. Documenti realizzati ............................................................................. 110 5.3. Indagini Nazionali................................................................................. 126 Osservazioni conclusive .............................................................................. 147 Appendice A: Questionario famiglie affidatarie del Centro Affidi della

Provincia di Potenza ................................................................................. 153 Appendice B: Buone Prassi.............................................................................. 227 Appendice C: Protocollo d’intesa tra Centro Affidi – Tribunale per i

Minori – Comuni del territorio provinciale.............................................. 251 Bibliografia ...................................................................................................... 257

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