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La triste storia de La Mucca Pazza Vissuta con amaro-ironica allegria nell’Antica Macelleria di Dario Cecchini a Panzano in Chianti Testi e poesie di Miriam Serni Casalini Disegni di Sibel Diker

La triste storia della mucca pazza

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Vissuta con amaro-ironica allegria nell’Antica Macelleria di Dario Cecchini a Panzano in Chianti

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La triste storia deLa Mucca Pazza

Vissuta con amaro-ironica allegrianell’Antica Macelleria di

Dario Cecchinia Panzano in Chianti

Testi e poesie di

Miriam Serni Casalini

Disegni di Sibel Diker

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La triste storia deLa Mucca Pazza

Vissuta con amaro-ironica allegrianell’Antica Macelleria di

Dario Cecchinia Panzano in Chianti

Testi e poesie di Miriam Serni Casalini

Disegni di Silver Diker

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novembre 2001

La “arne” di noi toscani aspiratori di “C”, che è vizio vocale retaggio dei padri Etruschi è la “carne”, la “ciccia” insomma, dove invece le “C” si sprecano.Sia la carne che la ciccia, sono parole che derivano da antiche lingue: dal greco “kreas” – carne cruda, dal latino “crour” – sangue vivo, pure dal latino “inseco” – tagliare, e “insicia” – tagliata da cui anche “salsiccia” – tritata.Invece “beccaio”, colui che vendeva carni ovine e poi per estensione ogni tipo di carne, deriva da “becco”, il maschio della capra, quello con le corna. Nomi ormai in disuso (qualche becco c’è ancora in giro, ma son cose private…segreti d’alcova).Da tempo il beccaio è il macellaio o macellaro, o dissacrando…macelladro.Dicevamo i vecchi: “i’ macelladro glia’ i’ banco arto apposta pe’ non fa’ vedere icche gli’armeggia”.Lasciamo le dotte etimologie della carne che ci interessano poco, mentre molto ci interessa il suo gusto.Un tempo la povera gente si nutriva soprattutto di verdure e legumi. La rara carne consisteva in frattaglie e, a scialare, in piccoli animali da cortile, di rapido allevamento e rapido consumo.Come conservare una bestia grossa senza che si deteriorasse? Solo il maiale, adatto ad essere salato, durava nel tempo.

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I grossi bovini erano cibo destinato alle classi ricche, ai banchetti sacrificali, da consumarsi in riti collettivi.La carne bovina arrostita era ritenuta degna degli Dei e degli eroi. Erano proprio gli eroi che la tagliavano (insicia) e ne distribuivano le parti migliori, in primo ai Numi, poi ai convitati, a seconda dell’importanza gerarchica.Omero ci narra di banchetti a noi incomprensibili per la quantità di bestiame sacrificato e consumato: l’ecatombe.Quando, nell’Odissea, Telemaco va all’isola di Pilo per incontrare Nestore, trova il popolo a banchetto in riva al mare.

…Immolavano i Pili in riva al mare negri giovenchi al Dio dai crimi azzurriscotitor della Terra. Eran nove fila di seggi, ed in ciascuna filasedevan cinquecento e ogniuna offrivanove giovenchi. Avean già gustatole interiora, e ardean le carni al Nume…

...Le giovenche del sole…

…e come ebbero pregato, come l’ebbero uccise e discoiate,spiccarono e avvolsero le coscecon brani tolti a tutte l’altre membrain una pingue coltrice d’omentonè avendo vino onde libar sull’arsevittime, vi libaron con acquae arrostivano i visceri. Ed infinequando arse le cosce, ebber gustatole interiora, tutte l’altre carnifecero a pezzi e infissero agli spiedi…

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Lasciamo anche i classici mitologici per tornare ai nostri usi.La trippa, il lampredotto, i rognoni, il polmone, le zampe, e poi lo spezzatino, il peposo, il lesso profumato con gli odori dell’orto, sono mangiari fatti con le parti meno pregiate dei bovini, cucinati con sapienza e pazienza, talché rendono ricca di sapori la cucina povera dei poveri.Ci si contentava. Ci si doveva contentare, ma erano i tagli più pregiati l’aspirazione dei ceti “bassi” (che ambivano a diventare “alti”).Era la carne arrosto lo “status symbol” da mettere in tavola.Ma nemmeno la carne arrosto era il massimo.Ecco che la genialità, la cultura, la storia, il lavoro, il gusto, la tradizione dei toscani, partorisce

“la fiorentina”

Non c’è espressione piu’ alta nella civiltà del cibo. Una “fiorentina” tagliata e arrostita con le dovute semplici regole, la gusti, ne godi e ti accorgi che non è solo cibo: è un’emozione. È uno stile di vita dove c’è il tocco dell’artista.È il risultato di un processo evolutivo frutto del lavoro e dell’amore di cento generazioni di toscanità. Sta al pari con i capolavori del suo Rinascimento.E ora, questo capolavoro ce lo vogliono togliere.Ce lo tolgano d’autorità per colpa della

“Mucca Pazza”

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Mio nipote Filippo di undici anni, frastornato da terroristiche notizie televisive, mi chiede:

“Nonna, che cos’è la mucca pazza?”

Per spiegargli la faccenda e farmi capire da un ragazzo, ho scritto per lui una novella:

“La mucca Ofelia”

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“La mucca Ofelia”

C’era una volta…Comincia così ogni fiaba, anche quelle che non hanno un lieto fine. Allora diciamo, c’era una volta una mucca giovinetta. Era bruna. Discendeva dalla nobile famiglia della razza Bruna Alpina, di origine svizzera.

La nonna le diceva: “Ofelia”, era questo il suo nome, “Ofelia”, bambina mia, cerca di essere buona e brava. Noi mucche, ma anche i vitelli, i buoi, le vacche, siamo famosi per il nostro buon carattere. Tutti i poeti ci hanno cantato per questo: “…pio bove…”, “…pacata faccia…”, “…lento ruminare…” “…quieto muggire…”. Bucoliche visioni di animali utili e mansueti. I padroni ci apprezzano per il nostro buon carattere, per la nostra mitezza.”

Non le diceva la nonna, o forse non lo sapeva, che i padroni apprezzavano di più le loro saporose costate e i loro teneri filetti. E neanche le parlava del toro, giovane focoso maschio che stava in tutt’altra parte della stalla. Era ancora adolescente Ofelia, c’era tempo per certe cose.

La vita scorreva placida sul verde dei prati, come nel giorno della creazione. Ofelia cresceva nutrendosi d’ogni sorta di tenere erbette: trifoglio, lupinella, menta, salvastrella. D’inverno, nel tepore della stalla, c’erano forconate di profumato fieno e pastoni di saporose civaie.

Ogni tanto, però, Ofelia era triste.Quando vedeva tanti suoi amici e amiche partire su di un grosso camion per la divertente città, piagnucolava: “Beati loro. Perché io, no?”. La nonna le aveva detto: “Tu e le altre che restate siete le più belle. Siete state scelte per la razza. È una cosa importante e devi esserne orgogliosa. Non ti rattristare, che la vita è bella.”

La nonna aveva ragione.

Ofelia crebbe, conobbe il giovane toro, le nacquero i vitellini. Che gioia le

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dava lo smusare dei piccoli contro il suo petto pieno di latte! Ne aveva tanto che avanzava anche per tutti i bambini del paese. Era felice Ofelia e davvero orgogliosa.

Ma qualcuno contento non era.No’. Non era per niente soddisfatto “l’Orco Sapiens”, il padrone delle mandrie. Era troppo lento il ciclo di crescita dei bovini. Mesi e mesi. Fatica e spese.“Il mondo oggi va in fretta, e io sto qui a cincischiare. Bisognerebbe trovare il modo di guadagnare di più. Ci vorrebbe un cibo ricco ed energetico, per abbreviare i tempi.” Questo pensava.Cosicché decise di chiedere aiuto all’”Orco Sapiens-Sapiens”, famoso alchimista suo amico, che nell’antro misterioso, tra storte e alambicchi, elaborava strani intrugli e combinava mille diavolerie.

Tutti i bovini che partivano con i camion, come avrete capito, non andavano a ballare in discoteca, finivano bensì al mattatoio.Lì, dopo la macellazione, tolta la carne buona, gli scarti, come ossi, cartilagini, pelletiche, finivano inutilizzati nei depositi, insieme a intere carcasse di animali malati e vecchi che non si potevano nè mangiare nè vendere.Erano carne e ossa ancora ricchi di proteine e altre sostanze che potevano tornare utili. Va considerato anche che lo smaltimento di questi residui maleodoranti era problema di difficile soluzione e assai costoso.Cosa fare?Ecco che l’alchimista furbo, con un procedimento di sua invenzione, trasformò tutto questo materiale di origine animale, lo disidratò e ne fece farina. Farina che venne aggiunta al cibo per alimentare i bovini.

Tutti i ruminanti dell’allevamento ne ebbero copiose dosi e vi si adattarono di buon grado. Non erano forse animali miti e pazienti? Ora non erano più erbivori ma carnivori e, a loro insaputa…cannibali.

Tutto filava liscio, ma un brutto giorno, “Pica-Pica”, detta “Pica”, la gazza ladra che si intrufolava dappertutto in cerca di prede luccicanti, andò a ficcanasare nell’ufficio dell’Orco Sapiens.C’era una riunione di allevatori che parlavano dei loro lucrosi affari. Pica ascoltò non vista la loro conversazione. Seppe tutto degli animali uccisi e di che era fatta la famosa farina. Non credeva alle sue orecchie.“Ma che cosa interessante! La devo proprio raccontare!”, esclamò Pica

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precipitandosi a volo radente nella stalla.

Mammamia, aprit i cielo! Che spavento e che scompiglio!

Gli animali non volevano credere a questo orrore, ma pian piano la verità si fece strada nella loro ottusa quieta mente.“Ecco perché nessuno torna dalla città!” “Oddio!”, gridò Ofelia atterrita, “Oddio…! Oddio…! forse ho mangiato mia nonna, i miei figli, amici parenti! Oddio…! Oddio…!”Sconvolta dall’angosciosa rivelazione, Ofelia perse ogni controllo, si agitò, cominciò a correre di qua e di là, le si piegavano le gambe, batteva la testa nelle pareti…Era diventata pazza!

Gli psichiatri sentenziarono che la pazzia di Ofelia era del tipo “Encelopatia bovina spongiforme. La BSE – Incurabile.

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Sono amica di Dario Cecchini.Ci uniscono, malgrado la differenza di età, l’amore per l’infernal Dante, per le tradizioni toscane, per le nostre radici. Frequento la sua macelleria.Dario, in merito alla vicenda della “mucca pazza”, non aveva mai preso posizione. Se ne stava al di sopra delle parti, pur vivendone il clima in prima persona. Così, mentre scrivevo la novella per mio nipote, ebbi l’idea di stuzzicarlo.Dettate dallo spiritaccio toscano, mi vennero alla penna alcune brevi rime in tema.Dario, che quanto a spiritaccio toscano non mi è da meno, anzi mi è da di più, lesse la poesia, gli garbò, e con l’innato entusiasmo la recitò a tutto il suo pubblico che è talmente vasto da non credersi: clienti, amici, giornalisti di riviste, e quotidiani, radio, TV italiane e straniere. L’ha resa famosa, l’ha fatta conoscere fino in America e in Giappone.Abbandonato per un pò il suo Dante, non per disamore ma per obbligo contingente, è con questo spirito amaro-ironico, che Dario ha affrontato e affronta la situazione, perché, come lui ama ripetere citando Ennio Flaiano:

“La faccenda è grave ma non è seria”.

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Alla Mucca

T’amavofemmina dolced’un pio bove,

ruminante di verde bava,di un cibo senza imbroglio,

lupinella e trifoglio.Poi, l’Homo Sapiens decise,

per i vili denari,di farti mangiare i tuoi familiari.

Ti macinò il padre,gli zii, la cugina,

ne fece farina e intimò:

“Mangia, Rosmundail cranio dei tuoi cari!”

Offesa senza pari.Oh, dolce Ofelia,

ti fu tremenda l’onta.Ormai più nulla conta.

Ti si alterò la razza.Ora, sei solo pazza.

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20 Gennaio 2001

Notizie allarmanti dal pianeta “Mucca Pazza”: probabilmente sarà proibita la bistecca con l’osso, ed ecco il:

“De profundis” per “la bistecca fiorentina”

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“De profundis” per “la bistecca fiorentina”

Due ossi quasi in croce,la mia sacralità,

la forma triangolare tutta gusto e bontà,

porto stemma e blasonedi fiorentinità.

Non chiedermi chi sonoche tanto ognnun lo sa:

due stecche, “una bistecca”,è la mia identità.

In alto han decretatoche ho di troppo un osso

e mi sarà amputato.Oh! Crudeltà del fato.Ciondolerò cadente

senza piu alcun sostegno,a Budrio mi farannola protesi di legno.

Non sarò piu la stessa,nessuno mi amerà avrò perduta tuttala mia sacralità.

Qualcun mi difende?Per me nessuno pugna?

Sparirò dai menùCon un colpo di spugna?

Non fatemi morire,voglio viver pur ioche sono una prova

dell’esistenza di Dio.

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30 Gennaio 2001

A Bruxelles si conclude il Consiglio dei Ministri dell’Agricoltura della Comunità Europea, l’UE:“La bistecca con l’osso sarà messa al bando”. La notizia pare sicura, incerta la data dell’ entrata in vigore. Si parla del 19 Febbraio. In risposta all’UE ecco immediato il:

“Soliloquio della bistecca”

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“Soliloquio della bistecca”

Quando Amato decisedi non decider niente

a tutela e salutedell’italica gente,quando per temad’impopolarità

lui demandò il verdettoalla Comunità,di subito sentii

il mio destin segnato.Quel che dirà l’UE?Era un dato scontato.

Non nacqui in terra Francanè in Alemanna plaga,

non mi squartano a Lieginè mi cuociono a Breda

son sol figlia d’Italiae di toscanità,

non ho perciò dirittoalla continuità.

Faccio impazziregli uomini? Forse,

con la bontà.I signori dell’UE

non hanno altro da fare?Solo i gusti d’Italiavogliono eliminare?

Questa non è giustiziama solo un bel sopruso.

Di me che son “bistecca”verrà vietato l’uso.Lo dico alto e forte

ed è un gran pianto il mio:UE’, UE’, UE’!

Addio, addio, addio.

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Febbraio ha visto in tutta l’Italia manifestazioni di protesta, blocchi stradali, lanci di uova, in difesa degli allevamenti italiani e della bistecca.A sdrammatizzare la situazione, si sono avute maxi-grigliate nelle piazze e grandi abbuffate di “fiorentine”.

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La mia nonna diceva: “Stasera per cena c’è “la minestra d’urli”; avevo uno scampolino di pasta adatta alla “broda” di fagioli, era un po’ poca, ma ho messo giù quella.” La pasta adatta erano di solito “paternostri” o “occhi di ladro” ed erano davvero così pochi che quando ne pescavi uno “urlavi” di sorpresa e di gioia.Era un modo di scherzare sulla cucina povera di quel tempo, altro scherzo lo “stufato del Signor Pelliccia, dimolte patate e poca ciccia”, che spesso era polmone o lesso avanzato.Che dire dei “tondoni a sorpresa”? Erano fatti con farina bianca e acqua, un romaiolo di questo intriso veniva versato in una padella di ferro unta con un “C” d’olio e cotto da ambo i lati.Ne usciva una sottile migliacciola arrostita che, spalmata con un velo di marmellata (era questa la sorpresa), piegata in quattro a mo’ di fazzoletto, ci era gradita come una raffinata “crêpe-suzette”.Ma quando la nonna cucinava la “trippa alla fiorentina” o il “lampredotto”, era davvero una festa.Ho continuato anche io a cucinarli come faceva lei e devo dire che pure in tempo di vacche grasse, è ancora una festa di sapori.Purtroppo sarà per poco…Pare che il divieto “Mucca Pazza” sarà applicato alle frattaglie, in particolare al lampredotto. Chissà…?

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4 Febbraio 2001

Con la consueta ironia, con il suo bello spirito godereccio, Dario ha invitato amici e clienti per dare l’ “addio al lampredotto”.

Cucinava sapientemente Marco Angelillo detto Lillo, di professione trippaio, aiutato da Paola, la sua ragazza. Trippa e lampredotto. Un vero successo di ghiotta libidine.Non mi è mancata l’ispirazione per mettere insieme i soliti “versacci”.

Cosi parlo il lampredotto

Non sarò “snob”,non sarò “chic”,non sono certopiatto da “Vip”.Se tu mi assaggi

Ti piacerò.Mangiami oggi,domani…Boh!

Dice Roberto Benigni in una sua poesia:

…mi piace sia / toscana la mi vita / e ci ho un sogno / rinchiuso nel cassetto / guardar Masaccio con una ribollita / e Piero co’ fagioli all’uccelletto.Salire in vetta / al campanil di Giotto / con Cavalcanti / e quando e’ tutto pronto / leggere Guido, mangiare un lampredotto / e urlare forte: “Firenze, fammi i’ conto!”…

Già il lampredotto! Mi domando come farà ora il Robertaccio nazionale a realizzare il sogno nel cassetto. E noi?

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All’Osteria del Pennello

Mi aiuterò col versoe con la rima,

ma ci hanno toltola materia prima.

Sol l’astuzia toscanaci soccorre,so cosa fare,

so quel che ci occorre.Zitti, zitti,

quatti, quatti,tutti avvolti

i un mantello,volgeremo i nostri passialla “Buca del Pennello”

dove un oste compiacentecome il mitico Al Capone

misterioso ci propone,fumigante

e assi ben cottoun gustoso lampredotto.Per amore del proibito diverrem cospiratori.

Per mangiare Piatti rari,

valorosi “carbonari”.

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Se le fosche previsioni diverrano realtà, quante cose ancora perderemo! Tradizioni, odori, sapori, figure e mestieri caratteristici della nostra città.Scompariranno i trippai con i loro vivaci carretti che stazionavano ai crocicchi piu’ popolari e popolosi di Firenze..Sara’ solo ricordo e nostalgia il lampredotto grondante di caldo brodo magari incaciato di parmigiano che riempiva il “semelle”.

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Il carretto del trippaio

Ce n’eraIn Sant’Ambrogioe in San Lorenzoin San Frediano

e in via de’ Cimatori,carretti verdi

che mandavan fuoril’odoroso bollirdel lampredotto.

“La voglio nella croce.”“A me spugnosa.”

“Nella cuffia la vole,sora sposa?”

A sera c’era ressadal trippaio,

al chiaro lumedell’acetilene.

Sostavan l’impiegato e l’operaio:

intorno c’era un volo di falene.A far tacer

lo stomaco bastavail caldo lampredotto

nel paninoe per finire

in bello la serataniente di meglio che un bicchier

di vino.

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Vogliamo continuare ad essere ostinatamente ottimisti. Seguitiamo a dire: “pare…”, “forse…”, “chissà…” a sperare che prevalga il buonsenso.Caparbiamente raschiamo il fondo del Vaso di Pandora. “Spes, ultima Dea”.

Pare certo che il divieto della “fiorentina” sia prorogato al 31 Marzo.Intanto le grigliate sulle piazze continuano affollate di gente che sembra felice di infettarsi di BSE, forse perché le probabilità di beccarsi il morbo sono tante quante quelle di un “sei” miliardario al superenalotto.

“Ofelia” continua le sue considerazioni.

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Pazzi in circolazione

Chi mi ridusse pazza?Chi mi indusse in follia?

Chi fece alimentocon la gente mia.

Fu la bella pensatadi un grande genio alato,magari il Premio Nobel

gli è stato tributato.Lui, sovvertì l’ordineinscritto nel creato,

son io che pago il fioper questo disgraziato.Se io vo in “Bonifazio”

senza tanti riguardimeriterebbe lui

di finire a “San Salvi”.Se un genio siffattoresta in circolazione

allora cari amicifarò una previsione:la legge centottantache abolì la pazzia

sarà anche a me applicatae mi daranno il VIA!

Combatto una battaglia senza lanci di uova questi miseri versi

ne son modesta prova.Difendo la mia vitaimbratto scartafacci,

so bene che i miei versisono solo “versacci”.

E sarò pure pazza,credetemi in parola,pazza sono davveroperò non son la sola.

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La vita in grigio

Globalizzazione, cibi transgenici. Parole nuove che sentiamo ripetere in continuazione e che il mio vecchio dizionario non registra.E che vuol dire?Vuol dire che presto saremo tutti uguali come polli d’allevamento , vestiremo nello stesso modo, mangeremo le stesse cose insipide e celofanate.Via il lardo di Colonnata, il formaggio di Fossa, la mozzarella di bufala, la soprassata, la cioccolata. Via…Via…ordini dell’Unione Europea.Trionferà la filosofia di Mc Donald.Ogni colore sbiadirà fino al grigio.Il gusto del pollo sarà come quello del vitello, quello del vitello come quello del maiale, e così via uniformando, finchè ogni hamburger avrà il medesimo sapore, a Roma come a Mosca, a New York.Che squallore…Cadremo in depressione, magari in pazzia.

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Ll viale del tramonto

Arriva Marzo, il tempo dell’addio.

Ogni domenica mattina nella Macelleria Cecchini ci saranno festeggiamenti…No. Commemorazioni? Nemmeno. Saranno manifestazioni tributate alla “fiorentina” in suo onore e gloria.Riunioni conviviali poetico-musicali, golose merende e bicchieri di Chianti che ci aiuteranno a sdrammatizzare una situazione assai pesante per gli addetti ai lavori, per tutti noi, sconcertante a dir poco.Dario, per la sua ironica battaglia in difesa della qualità e del gusto, fatta di parole che spesso feriscono più della spada, riceve infiniti attestati di merito, dai clienti che continuano ad affollare la sua bottega, da associazioni di categoria e da colleghi.Un giovane macellaio di Grosseto gli ha scritto: “Tu sei il nostro Garibaldi!”.Non è possibile fare l’elenco degli articoli e delle foto di Dario su giornali e riviste. Richiesto e ripreso da tutte le emittenti TV. I telefoni squillano in continuazione, concerto estivo di grilli sul prato. Lui risponde con voce tonante: “Pronto! Macelleria Cecchini!”. È arrivata anche, e non poteva mancare, una lettera anonima. Testuale: “Barbari macellai, il morbo della mucca pazza vi spazzerà via!”.

Che l’abbia scritto un fanatico vegetariano?

Dario prepara grandi cose per il 31 Marzo, giornata “clou” delle manifestazioni.Intanto, parodiamo il “5 Maggio” di manzoniana memoria (non me ne voglia il “scior Lisander”), ho fraseggiato con questo:

31 Marzo 2001

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31 Marzo 2001

Lei fu.Rimase immobile

orba del suo vigorestette negletta e memoredel passato splendore.Tutta l’Italia attonita

rimane a sospirar,muta, pensando all’ultima

ora della “costata”,nè sa quand’altra simile

stesa sulla grigliatasopra la brace ardente

ad arrostir verrà.Fu vera gloria?

Non lo diranno i posteri,lo dice già la storia.

Dell’Alpi alle Piramidida Manzanarre al Renoda tutti era apprezzato

il suo sapore pieno,nota da Scilla a Tanai,dall’uno all’altro mar. Ben quindici nazionid’inique leggi armatecontro di lei si volsero

a decretarne il fato,lei fu si lente e succuleuccisa in mezzo a lor.L’onta della condannaed il supremo oltraggio

priva tutta la gentedel suo gustoso assaggio,travolta è nella polvere

caduta dall’altar.

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Ma non sarà per semprepriva della sua gloria!La procellosa e trepida

speme d’un gran ritorno,l’ansia d’un cor

che indocilevuol riscattare il pegno,lei, dalle grigie ceneri

presto risorgerà.A conquistar le mense,

vittrice, trionferà.

Oh, sacrale “fiorentina”!Sarà un addio o sarà un pesce d’Aprile?

Ma insomma , che succede il 31 Marzo nell’Antica Macelleria di Dario Cecchini a Panzano?Intanto la distribuzione di queste pagine, poi…chiedetelo a lui, e cercate di esserci perché ne varrà la pena.

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