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LA TRADIZIONE ARTISTICA ITALIANA NELLA MOSTRA D'ARTE SACRA A ZARA Ogni anno, al finir dell'estate, numerose cornit iYe r li za1·atini e dalmati emigra.ti nella P enisola, cli triestini e giuliani e infine di italiani d'ogni regione si dirigono a.Jl' italiana capita] ; della Dal- mazia, non tanto per una piacevole crociera turistica, quanto per un bisogno più profondo e quasi per assolvere un voto. Così la gita perde ogni carattere cli superficiale diversione e ass ume iI nobile aspetto d' un pio pellegrinaggio. E la. visita affettuosa che si fa alla sorella l ontana, ma sempre vicina. al nostro cuore, il ritorno alla tena dei fratelli che si ama no più intensamente quasi per riparare alla sorte che li ha così crudelmente staccati da noi. E ZanL risponde con cuore altretta nto frat erno all'affetto dei ritornanti e fa quanto più può per accoglierli degnamente. Quest'anno essa ha voluto - tra l'altro - approntare per loro una vasta mostra dell'arte sacra. della Dalmazia, un a mostra che è una stor ia docu- mentaria della secolare tradizione cl 'italianitù, nell 'Adriati co orien- tale. La mostra - ch'è divi sa in due sezioni , l'una in Ca ll e del Co nte e l',tltra al Semina. rio Vecchio - comprend e oltre un millennio cli storia dalmata : dal sec. VIII a,J sec. }. ,.VIII. Enorme estensione nel tempo, che si moltiplicò, con un' altrettanta ampia comprensione cli generi. Infinito è infatti il 1rnmero degl i oggetti che con co1To11 0 a lla dota.zione d' una chiesa: essi cominciano dalla sc ultur·a architettonica, del tempio e finiscono con la lampada e l'ince nsiere, con la stola e il corporale. Le difficoltà cli raccogliere questo imponente ed etero- geneo materiale, di scegliere l'esemplare più signitìcatirn e più bello in tanti secoli di culto e in categorie così numer ose e dispa rat e, clevon essere sta, te penose e infinite. Ma, lo scopo fu raggiunto: non diciamo che lacune non manchino ; non assicuriamo che di tanta foltissima erba sia.no stati colti solo i fiori più belli, e che le varie raccolte si equilibrino perfettamente sempre. Ma i risultati cli tante fatiche sono egualmente splendidi e meritori. . . Da-va nti a noi in due palazzi e sette sale si spalancano 1 tesori di tutte le chiese dalmate, tesori ignorati o quasi, che noi intra.vve-

LA TRADIZIONE ARTISTICA ITALIANA MOSTRA D'ARTE ZARA...quest'arte e che una poesia tutta spirituale la penetra. La plasticità dei Greci e cTei Romani è redenta dallo spirito di Cristo

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LA TRADIZIONE ARTISTICA ITALIANA NELLA MOSTRA D'ARTE SACRA A ZARA

Ogni anno, al finir dell 'estate, numerose cornitiYe rli za1·atini e dalmati emigra.ti nella P enisola , cli triestini e giuliani e infine di italiani d'ogni regione si dirigono a.Jl' italiana cap ita] ; della Dal­mazia, non tanto per una piacevole crociera turistica, quanto per un bisogno più profondo e quasi per assolvere un voto. Così la gita perde ogni carattere cli superficiale diversione e assume iI nobile aspetto d ' un pio pellegrinaggio. E la. visita affettuosa che si fa alla sorella lontana, ma sempre vicina. al nostro cuore, il ritorno alla tena dei fratelli che si amano più intensamente quasi per riparare alla sorte che li ha così crudelmente staccati da noi.

E ZanL risponde con cuore altretta nto fraterno all 'affetto dei ritornanti e fa quanto più può per accoglierli degnamente. Quest'anno essa ha voluto - tra l'altro - approntare per loro una vasta mostra dell'arte sacra. della Dalmazia, una mostra che è una storia docu­mentaria della secolare tradizione cl ' italianitù, nell 'Adriatico orien­tale.

La mostra - ch'è divi sa in due sezioni , l'una in Ca lle del Conte e l ',tltra al Semina.rio Vecchio - comprende oltre un millennio cli storia dalmata : dal sec. VIII a,J sec. }.,.VIII. Enorme estensione nel tempo, che si moltiplicò, con un'altrettanta ampia comprensione cli generi. Infinito è infatti il 1rnmero degl i oggetti che conco1To11 0 alla dota.zione d' una chiesa: essi cominciano dalla scultur·a architettonica, del tempio e finiscono con la lampada e l ' incensiere, con la stola e il corporale. Le difficoltà cli raccogliere questo imponente ed etero­geneo materiale, di scegliere l'esemplare più signitìcatirn e più bello in tanti secoli di culto e in categorie così numerose e disparate, clevon essere sta,te penose e infinite. Ma, lo scopo fu raggiunto: non diciamo che lacune non manchino ; non assicuriamo che di tanta foltissima erba sia.no stati colti solo i fiori più belli , e che le varie raccolte si equilibrino perfettamente sempre. Ma i risultati cli tante fatiche sono egualmente splendidi e meritori. . .

Da-vanti a noi in due palazzi e sette sale si spalancano 1 tesori di tutte le chiese dalmate, tesori ignorati o quasi, che noi intra.vve-

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606 REMIGIO :MARINI

cleva,mo appena, o non vedevamo affatto nei fondi di absidi oscure o alle gelose pareti di sacrestie cui si arriva per impraticabili labi­rinti , o, dietro le arcigne valve d'un ciborio e le inflessibili cancellate d'un inviolabile Tesoro parrocchiale. Argenti sbalzati e teche d'oro, reliquiari medievali e pissidi gemmate, fumosi crocifissi bizantini e pa-le perdentesi già nel tenebrore d' una navata oggi sono in pieno sole, a due passi da noi; noi possiamo vederle misurarle compararle in una la,rga visione d'assieme, e nello stesso tempo in un minuzioso esame microscopico.

Una sto.ria viva, parlante, tradotta in metallo nobile o in colori superbi, nella forma scolpita o nel ricamo policromo, ora finalmente può far udire la sua voce. E che ci sia,no coloro che ben l'intendono, lo dimostra la folla cli visitatori che s'attarda davanti a bassorilievi e paramenti, a pitture e sculture di cui una nobile ininterrotta tra­dizione italianissima ha arricchito nei secoli tutte le cattedrali tutte le chiese e tutti i monasteri della Dalmazia.

Mostra artistica, dunque, e mostra documentaria,. A un'esposi­zione che, cbll' VIII al XIII, comprende sei secoli cli pesante Medio­evo, non si può richiedere che tutto sia perfetto, che tutto manifesti un gusto ineccepibile, che tutto sia arte pura. ì\Ia non per questo si deve credere che la grande quantità degli oggetti esposti dimostri un semplice interesse cli arida documentazione o di fredda, archeologia. Se studiando i primi i-;ecoli delle nostre lettere o di quelle di qualsiasi paese, volessimo scegliere intransigenti solo la poesia perfetta o la, prosa estetica, dovremmo rinuncia.re alla quasi totalità dei documenti di cui quegli a,nni oscuri ci sono tutt'altro che avari. Si finirebbe così per rinuncia,re alla comprensione sia, d'ella nostra che cli ogni lette­ratura. Il linguaggio uma,no comincia con il balbettamento : ogni art.e ha il suo periodo infantile ; e come per comprender bene ogni fenomeno vita.le niente è più interessante e istruttivo che coglierlo nel suo germe e studiarne lo sviluppo lento, incerto e ondeggian te del periodo larvale, così per comprender bene il genio d'una lingua , il significato d'un movimento letterario -0 estetico niente giova pii: che rifarsi alle loro origini, quando ancor di arte completa non 81

può parlare, ma dell'arte futura già scorgiamo i primi albori, le ingenue movenze, il suo primo svilupparsi dai dati della psicologia e della storia.

Allora, gli snobistici adoratori della bellezza pura, se con ingenu~ attenzione, se con amorosa, pazienza vorranno vedere e studiare queSh primi e incerti passi nella strada infinita che porta a una sempre

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, ettor C:upnccio: 8 . . l/ r11·/i110

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LA 1iOSTRA D'ARTE SA,CRA A ZARA 607

a~te~~ : mai raggiunta perfer,ione, allora s'accorgerann o che nulla eh prn mteressante nnlla cli più poetico esiste che lo scoprire le vene secrete che a q nella beller,z ,1, incessa ntemente tendono. Collocandosi in questo punto cli vista si convinceranno, per esempio, che l' arte sacra della Dalmazia - la quale nei secoli cli ferro è l' unica arte possibile, l 'arte per eecellenza , come ogni filosofia allora non è che teologia - deriva per vene sottenanee capillari dalla grande fonte del classicismo, che infiltrazioni orientali nel periodo bir,antino e nor­diche in quello gotico non oscurano quell a tradizione e nemmeno l 'offuscano , ma ht fecondano o meglio LL colorano senza, scuoter-ne l 'intima libra perenne ; e vedranno infine come da quelle sottilissime polle scaturir-à e crescerà il rivo classico che clixerrù poi l 'ampio maestoso fiume del Rinascimento.

Perciò anche quel povero frarn mento marmoreo del sec. VIII, che vorrebbe raffigurare l ' incontro della Vergine con S. Elisabetta , non è nella sua ingenu a rozzezza privo cli significa to. Nè senza importanza sono anche i frammenti cli piatto con sacre figurazioni, e gli anneriti venerandi crocifissi e i grifi romanici, e i frammenti di plutei, e i bracci e i piedi reliquiari , tutte cose offerteci dai sec. X, XI e XII che con l'arte, è notorio, non ebbero certo soYcrchia dime. ·tic!Jezza. :\fa essi sono meno e più che semplici forme di bellezza: sono gli alti testi­moni cl'um, grande tradizione.

Arte classica: e cioè arte della scelta , dell 'eq uilibrio , dell'ar­monia. Arte musicale. Questa ì, la tradizionr la tina e italiana . Anciie gli oggetti più rudi e più primitivi , anr,he i balbetta menti sot to_ forma di bassorilievi, di icone, cli teche e cli paliotti, che abbondano 111 que­sta mostra , cla,nno la sensazione precisa che sempre cli questa. tradi-

zione qui si tratta. . . E Farte sacra poi, quando è gra,nde, viene a potenziare, n subh-

mare questa derivazione classica : porta un nuovo spirito nella forma, il sentimento nella beHezza , il divino nell 'umano. . .

Un vivo esempio cli questa sublimazione l'abbiamo g_1~ nell~ prima sa-letta cl.i questa- Mostra. Guarcla_te infatti il hasso '.·th~v~ di S. Anastasia nella pietra tombale provemente dal Duomo cli_ Za ra ~d appartenente ora a quel ricchissimo panteon delle memone pati ie

ch'è il Museo di S. Donato. . . fi cl 1 Quella bella donna <Yiacente non è più la goffa gotica gura 1 e

Duec~nto i le linee e i piani armonici che limitano il 8:10 pur~ vo :~

e dise•Ynano la- sua dolce figura, risentono della perfezrnne ~e1 tl:~a sici : ;a l'espressione del viso, la delica,ta purezza ch-'emana a u

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608 REMIGIO MARINI

la bella persona, aecusano che la bellezza non è la sola ispiratrice di quest'arte e che una poesia tutta spirituale la penetra. La plasticità dei Greci e cTei Romani è redenta dallo spirito di Cristo.

Ma le cose più alte di questa Mostra sono i dipinti. E fra questi domin ano sovrani i sei Carpaccio del Duomo di Zara .

Queste sei tavole ebbero una storia movimentata in quest'ultimo decennio. Anzi possiamo aggiungere una notizia più piccante: per quattro lunghi secoli esse fnron credute morte: rinacquero nel Duomo cli Zara proprio dieci mmi or sono. Il parto fu alquanto laborioso; ma dopo ripetuti sforzi e gran travaglio cli ferri chirurgici e gran sudore dell ' eminente ostetrico assistente, il prof. Antonio Morassi, ora I spettore alle Antichità e Belle Arti della Lombardia, le sei gem­me poterono finalmente rivedere la luce.

Fuor di metafora, per una serie di complicate vicende che non è il caso qui di raccontare, queste sei tavole - che formavano una ancona fatta dipingere al Carpaccio dall'abate Martino Mladossich, ancona collocata già nel 1480 sul nuovo altare allora dedicato a San Martino nel Duomo di Zara -- giacevano fino a dieci anni or sono staccate, mutile, trasfigurate e irriconoscibili nel fondo di un'oscura cappella della cattedrale za.ratina.

Bisognava posseder occhi acuti per scorgere sotto quelle misere croste i capolavori ch'oggi tutti possono ammirare, ritornati all'an­tico splendore, sulla parete absidale del Duomo : e per intanto qui alla terza sala della Mostra.

Soltanto dobbiamo osservare che un po' d'ell'antica secolare sfor­tuna di questi grandi dipinti è rimasta loro ancora appiccicata. Il loro posto normale dietro l ' Altar maggiore del Duomo è abbastanza oscuro e dovetti consumarmi un po' gli occhi quattr'anni fa quando li vidi per la prima volta. Ora che un'occasione fortunata poteva trarli dal limbo della loro penombra, gli ordinatori, che meritano tutte le lodi di questo mondo per tutta la cura ch'essi seppero avere per il più tapino dei frammenti bizantini e la più pedestre ... roano reliquiaria, qui mi tornano a collocare il divino Carpaccio su due pareti in cui la luce a.rriva infelicemente di schiancio, mentre su una terza tra due finestre ~uminosissime una delle t avole, il San Simeone, resta letteralmente soppressa.

Le sei t avole sono state una delle più grandi scoperte artistiche del dopoguerra. L'opera fondamentale sul Carpacdo scritta in colla­borazione dal Lud'wig e dal Molmenti e che porta la data d'el ~906, dubita fortemente della loro autenticità e, in definitiva, la respmge.

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LA MOSTRA D'ARTE SACRA A ZARA 609

Nella ma~sima ~on_ografia che sulla pittura veneziana, precinquecen­tesca ~bbiamo; d1 ~10nell~ Venturi («Origini della pittura venezia,na, 1300-foOO,, - "\ enezia, 1901) nemmeno se ne parla, e non ne fa. verbo nemmeno Adolfo Venturi padre parecchi an ni più ta rdi nella monu­mentale_ ~ua ,~Stori~. del~'arte ita lia na», vol. VII, p. 4 (Milano, 1Dl5). Tutto c10 puo test1momare ad abundantia.m dello stato dis o-r azia to in cui i sei quadri era.n ridotti , e insieme serve ad accrescere 1: gloria (questa parola è qui perfettamente legittima) del loro scopritor·e.

11 qm_1,le fa la storia interessan tissima dell.1 scoper ta nel Yol. XV dell'«Emporium,, (1924). Ora l' nttribuzione è luminosa certezza (biso­gnerebbe del r esto esser completamente ciechi per nega rla) ed è come ufficia lmente acquisita nel breve ma denso articolo che al Carpaccio dedica neH '«Enciclopeclia ita,liana", Giuseppe Fiocco, dei contempo­ranei forse il ca rpaccista più a utorevole e benemerito.

Questo gruppo di dipinti destarn qualche dubbio - oltre che per l'alterazione profonda a pportatavi da ignorantissimi criminali restau­ra.tori - anche per la data che i documenti loro assegnavano. Infatti la prima opera di data sicura, di Vit tore, avanti la, grande scoperta za ratina, non risaliva oltre il 1490 (riuesto è l ' anno infatti dell ' inizio del ciclo di S. Orsola, ora all 'Accademia, veneziana,).

Nel 1490 Carpaccio aveva a lmeno 33 a.irni. (Dico «a lmeno" perchè anche su questa fa ccenda - della nascita. e della morte del povero Vittore - ma:dme discrepant sententiae. Morassi lo dice «nato non dopo il 1457,,; Adolfo Venturi non parla che dell a morte: avvenuta secondo lui nel 1527 · ma con lui non è d'accordo il Fiocco, che l'anti­cipa al 1525 o '26; ;er il quale Fiocco - specificando meglio la data un po' vaga del ~forassi - si deve fissare la na,5cit~ nel _1455 o '5~.

In realtà una precisione assoluta mancando test1momanze espli­cite non si può avere nè per la nnscita, nè per la morte di que~t ' uomo le cui opere tanto chiare stanno di fronte a una ta nto o~cu~-~ e~_istenza. Comunque la data generica del i\forassi è quella che qm prn c importa e, in fond:0, lct più sicura. Infatti ci rimane ancora il testamen to dello zio del Carpaccio che nel 1472 lo istituisce suo ered:·. O~a, ~sserva il ~forassi , la legge venezia,na vietava. d ' istitui re eredi i mrno1'l s~tto i 15 anni d'età. Conclusione: Vittore non può esser nato che prima

del 1457). - d. · Ripetiamo : il Carpaecio che nel 1490, apprestandosi a 1prnger~

Sant'Orsola e a salire le sue più alte vette, non contava meno_ d1 33 anni, non doveva essere sbocciato in una notte _come una pratelhna di marzo. Non si commette di solito a t~n nov~lhno ---:- e_ tanto ~e:t~ di qualsia.si a_ltro l'avrebbe fatto un co~tato di ve,nezia~I c~pe ,. _ nel fondaco, ma non meno competenti m fatto d estetica un llll

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presa come quella : ricoprire di una storia complica,ta che importava f'.entinaia e migliaia, cli figure, e che significava un'alta epica di cristiana, tenerezza e di ariostesca fantasia, ricoprire dal pavimento al soffitto tutto il perimetro parietale d'una vasta sala che doveva riescire il monumento a una secolare istituzione veneziana e alla stessa Venezia. Quali miracoli pittorici aveva compiuto prima d'al­lora il Carpaccio se Venezia, ch'aveva a sua disposizione - trala­sciando l' arretrato Bartolomeo Vivarini, il mediocre Bastim1i e i minori - un Alvise Vivarini, un Gentile e un Giovanni Bellini, e a poche miglia dalla laguna un Mantegna, un Cima, un Montagna, per qnella grandiosa opera s'era rivolta a lui? Vuol dire ch'egli aveva già dato adeguati saggi del suo poderoso ingegno. Ora prima della scoperta di Zara tutta la, sua produzione avanti S. Orsola era troppo scarsa, e, cli fronte ai lavori posteriori, troppo inferiore per poter credere che della sua prima stagione artistica noi possedessimo il più e il meglio. L'ancona dalmatica gettò una fulgida luce su questo mi­stero : la sua data sicurissima ci mostra un Carpaccio ventitreenne o v,enticinquenne già maestro superbo e - a parte qualche sua gio­vanile ingenuità, del resto deliziosissima - già nel pieno possesso della sua personalità.

Considerando nel loro insieme le tavole zaratine avvertiamo su­bito che s'esse accusano nettamente la loro peculiarità carpaccesca,, una più spiccata ingenuità e un 'aria più fresca circola tra le figure isolate e l'ampiezza degli sfondi. L'artista ha dieci anni di meno che al tempo di S. Orsola, è poco più che un giovanetto : e due e tre e quattro lustri cli esperienza artistica con un simile ingegno e tale esuoeranza di fantasia dovevano condurlo ben lontano da questi suoi primi passi nell'a,rte: primi passi, tuttavia, fatti con gambe cli giga,nte.

Arte ancor immatura dunque? opere queste di più corto respiro? buoni presagi, soltanto, ma insnfficenti realizzazioni? Io penso pro­prio l ' opposto. A costo cli scandalizzare la gente io vedo in questo giovane Carpaccio la vena più schietta, più pura, più viva della sua arte. Ci sono degli errori, si, di tecnica nell'ancona zaratina: un certo ieratismo e un formalismo di maniera, una non sempre sicura anatomia, una stati~a problematica n,ell'impostazione delle sue figure che conservano un po' il «passo . di danza» di gotica memoria. Ma tutto questo è nulla di fronte alla fresca poesia, che sgorg·a da, qiueste tavole. A parte il fatto che - come tutti i maestri veneziani più f~­mosi, e quindi carichi di lavori e di commissioni - già durante il

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LA ~JOSTRA D'ARTE SACRA .1 ZAIU 61 I

ciclo cli S . Orsola, e in più larga scala più tardi, Vitto!'e ha, adoperato nelle opere della, sua pienezza art istica nuhoncl<·vole qua ntitù d'aiuti. è certo che nella composizione de} quad'ro, dove naturalmente il mae­stro era il pa drone assoluto cli fronte agli allievi, nei pia,ni che lo c,ompong?no, nei fondi , nell'espressione, nello spirito genera le del-1 opera, e entrato nella maturità. del Ca,rpaccio - in sieme co n la perfezione formale e l 'agile suo muoversi in larghissimi spazi e con innumeri figm·e - qua lche cosa cli pletorico e cli sovraccarico, (]Ualcbe po' cli maniera e cli sazio mestiere.

Le composizioni dal '90 e specie []nelle dal '500 in poi rest:1110 sempre le più ricche per cornplPssitù, e g-l'ancliositù, ma. c'è in esse molto minor pittura pura, in propor,d.one. che nell e per ~er·o li dimen­ticate e sepolte tavolette cli Zara. Non voglio obbligar nessuno -s'intende - a seguir la mia opinione: ma mi sembra cli po~~ecle1· snffi­centi ragioni per non abba ndon are la mia.

Una cosa che colpi sce subi to chi appena vede i sei dipinti, è il fatto che il fondo vedutistico, architetturale che abbond a e sovrabbon­cTa in tutta la produzione della maturit,ì., qui manca affatto. Certa ­m ente le collaborazioni con Gent il e (nel cic:lo cl e!J a 8. ('roee abbiamo, a d esempio, quadri di Gentile e quadri cli Vittore) cl ernno aver inf1uito fortemente a qu esto ri guardo : e non sempre a va ntaggio dell 'a.r'te perchè certi castelloni e certe costruzioni fanta stiche d'ogni stile che riempiono tutti i fondi del Ca rpaccio fin e '400 e posteriore, n volte acluggiano il dipinto, s tancano e pesano. Questo confronto, dunque, torna a conforto della mia tesi. Ma non voglio spinger pi ù olt re Fesa­me per non aggiunger altra, noia al già, annoia to lettore. Con il quale - sempre che lo permetta - riguarderemo ancora una volta i sei

quadri preziosi. E cco dunq ue S. Anastasia,, meravigliosa fanciulla veneta che ~i

eleva matronale («fanciulla matronale,, : non c'è alcuna contra ch­zione tra quel sosta,ntivo e questo aggett ivo nell 'arte _n·net:~. ~a . fon­ciulla-matrona è la donna dei Virnrini. cli Giam be11 rno. eh TJZ1an o, di Giorgione, di Palma , cli Veron ese) in una vasta campa~·na sn ct~i domina un cielo infinito. Il manto verde in tenso s'accoppia ~plemh~ da.mente su quel rosso dogale eh'è il gra nde colore cli Yenezia e cl1

cui il Carpaccio ha fatto una gloria t utta, sua. . Ed eeco l'ossuto macerator dell a ca rn e R. G~rolamo, a cm fa gra­

zioso eontrasto il giovane vicino cavaliere da l giustacuore ri ca1~a~o e dalla bionda ca,pellier a al vento: è S. Martino, che con un pigho elecrante intonato a lla sua agile prestanza ?ona - co~e vuole_ la leg;end; _ parte del suo mantello al mendicante cencioso che m-

contra per via,.

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Il cavallo, a dire il vero, sembra una scultura copiata (certa­mente Vittore aveva avuto presente la donatelliana statua equestre cli Pa,dova ; saremmo quasi tentati - tanto il cavallo carpaccesco le somiglia - di agg·iungervi anche la. venocchiana di Venezia: sol­tanto che nel 1480 - data delle tavole di Zara - il Verrocchio ne aveva appena da, un anno ricevuta la commissione da,l Senato ~,eneto e quando morì, nel 1488, aveva appena terminato il modello. Solo alcuni anni più tardi il bronzeo Colleoni poteva lanciare la sua tre­menda guardatura da una pia.zza di Venezia), ma il' bianco clel suo mantello in contrasto con il rosso bruno del manto del cavaliere dà uno dei più pastosi e più squillanti accordi della tavolozza carpac­cesca.

Non meno forte è la maschia a.dusta figura del vecchio S. Si­meone. Egli procede lento, severo, tutto assorto nella sua lettura. Lri quale per il Carpaccio è davvero una cosa seria: non somiglia affatto il suo santo lettore a quelle figure decorative che tengono un libro in mano, così tanto per fare qualcosa. Le spalle arcuate, la testa reclinata, il pensiero immerso nel suo libro, questo poderoso Car­paccio è una cosa indimenticabile.

In una delle dne pareti minori s'appaiano S. Pietro e S. Paolo. I volti e le figure sono tradizionali : vecchio 1mterno l'uno, nella sua più vigorosa possa virile l'altro che s'appoggia con piglio guerriero su una, spada. Ma i due personaggi sono stati rivissuti· nell'animo del pittore : sono due persone vive e reali. ·

Ci sono, è vero, in queste due ultime tavole delle sconcordanze di stile con le precedenti e certi difetti anatomici appariscenti spece nel San Paolo. Ma mi pare che il Morassi sia eccessivamente severo nel rilevarli e che dopo aver duramente segnato il passivo trascuri con evicl'ente ingiustizia l 'attivo dei due dipinti, che per me è tut­t'altro che insignifica,nte. Egli trova «un po' volgaruccia» l'espres­sione di Pietro (ed ecco la sconcorcTanza da me accennata di fronte al carattere idealistico delle a1tre quattro figure) : ora io non vi scorgo affatto volgarità, ma, soltanto un reaJismo un po' crud'o. Vittore in Pietro non vede che un vecchio e rozzo pescat-0re : ora si Sl:li che quel pescatore è anche un santo e non è logico il pittore che volle dimen­ticarlo. Ma come opera pittorica e ritrattistica (perchè qui si tratta con grande probabilità d'un vero e proprio ritratto, !'lecondo il co­stume quattrocentesco di mescolare liberamente il realistico al sim­bolico) il S. Pietro è opera perfettamente degna del suo autore._ .

Così per il S. Paol-0. Il Morassi lo trova «inferi-Ore a tutti gh altri», mal costruito e difettoso, e a dirittura con «un'aria idiota». Ora per la d'eficenza costruttiva possiamo anche and'ar d''aecordo: ma

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LA i\WSTRA D 'ARTE SACRA A ZARA 615

non c'è niente di pi~ espressivo - mi si passi u bisticcio_ cli quella m,ancanza ~'esp,ress10ne. Come Pietro è l 'autentico pescatore, così P_<Lolo, ~lall_ enor_me spadone, dall'occhio fisso , ma di una durezza piena di mmacc10se decisioni, è l'autentico soldato di ventura. Non s~rà un apostolo, ma è un carattere, e quella durezza non sarà san­tità, mtt non .è nemmeno idiozia.

E il valore cromatico delle due composizioni non dice nulla a,l M~rassi? Il colore infatti s'intona, mirabilmente alle due diverse annue dei personaggi: su due toni dolci - cilestro chia,ro e ofallo paglia - il manto di S . Pietro «vecchierel canuto e bianco" ~osso carminio acceso la toga di S. Paolo, sulla quale s'affolta la sel;a nera di una barba prepotente e selvatica.. ·

I sei Carpaccio di questa Mostra mi !J anno fatto indugiare pa­recchio: ma sono sei gemme che ben lo meritavano. (Non meritavano però d 'esser seccati i lettori: anche questo è vero. llfa questi faranno benissimo a gettar via il mio articolo e, se non le hanno vbte .rnc:ora, andarsi a godere da sè quelle cose deliziose a Zara : pochi Yiaggi sa­rebbero meglio remunerati di questo). Bisognerà, ora affrettarsi un po' .

Fra i reliquiari, le pissidi, le mitre e i pa_liotti della, sah1 qua,rb emergono tre belle pitture e tre belle firme: Ba,rtolomeo Viva,rini, Alvise Vivarini e Francesco Bissolo. Provengono da Lussingrande, da Oherso e da Lagosta e con i Carpaccio di Zara rappresentano egregiamente tutta la Dalmazia.

Bartolomeo, secondo il suo temperamento, ma del resto anche secondo tutto l'indirizzo dei mura.nesi, riconferma in questa sua, paJa - «Madonna e Santi» - quella sua tendenza a.).l'energico, al rude, al popolaresco, con un suo fare inciso e sca,lpellato che ricorda la su~ attrazione verso lo squarcionismo. «Crudo, sgarbato, _barc~rolo _di Murano» lo chiama Lionello Venturi con non eccess1:va s1U1patia. Eppure egÌi conserva il ieratismo severo dei bizantini, il brilla.nt~~o colore anche orientale di carni, vesti e metalli rialzato dal classici­smo un po' duro della scuola squarcionesca.

Ma in Alvise la severità muranese si attenua e s'ingentilisce al contatto della grazia e dell'umanità eletta del massimo qu_attroce~­tista veneziano e del più soave forse pittor di Ma.do~ne di_ tutto il Rinascimento· Giovanni Bellini. Facendosi pittore di grazia., però, Alvise non abbandona la forza incisiva ch'è il suo più intimo carat-

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tere. Basta guardare in questa sua «Sa.era conversazione» il nudo mirabile ùi Sa,n Sebastiano, e la sua sicurezza anatomica, e il i-; uo chiaroscuro sapiente.

Inferiore ai due Vivarini si dimostra Francesco Bissolo che di Giovanni Bellini fu aiutante in diverse op(m~ e specialmente nei cli­piHti del P alazzo Ducale cli Venezia. Non si può negare che la sua «Sacra · c-0nversazione» cli Lagosta non si presenti bene, intonata com'è al gradevole, armonico, mistico quattrocentismo veneziano. Ma niente di particolarmente vivo e di personalmente suo emerge d'a questa sua pala. Egli r esta. solo il fedele e pedisseq uo continuatore della pittura giambelliniana.

Nella seconda sezione ùella- Mostra , il Palazzo del Seminario vecchio, ci sono per lo più dipinti cli scuole o di maniere dei sec. ;\'VI, XVII e XVIII. Ma, oltre alle pitture sacre sono squadernati in queste tre sale para.menti d' ogni secolo e d'ogni stile e di grande ricchezza, quasi tutti provenienti dai Duomi cli Zara, Ossero, Lussinpiccolo e Cherso. E con piviali e pianete, stole e manipoli si trovano a casa loro leggii, corali , antifonari , lampade liturgiche e croci astili.

Nella ma,ssima parte i dipinti di questa sezione sono attribuzio­ni : a Palma il Giovane, a Giandomenico Tiepolo , alla scuola napo­letana,, a quella del Tintoretto o del Tiziano.

Forse il più notevole quadro con firma sicura è quello cl i Ber­nardo Strozzi: «S. Francesco in meditazione». Del grande assisiate qui è resa acutamente non tanto lo dolcezza serafica dell'amico di frate Lupo, qua.nto l'austerità del penitente della Verna e del can­tore cli sorella, Morte . Secondo, del resto, la- concezione tragica cbe della vita sa dare il Seicento quand'è arte e non frigid,.e cerebrale lambiccatura. E Bernardo Strozzi è gran nome al quale la critica da qualche anno sta preparando il posto .di cui è degno . .

E ' attribuita a Palma il Giovane una vasta pala, d'alta.re in cui il realismo sentimentale clel 700 è, invece, evidentissimo. Io , per per esempio, trovo in questa bella, opera una vicinanza molto stret:,i, con la scuola del Piazzetta. E ' parecchio pericoloso pronuncia,re m simili casi giudizi apodittici : e noi ci gnarcleremo bene dal fa.rlo. Non resta che invitare i critici di buona bolontà a studiare attenta­mente questa nobilissima pittura, sicuri per parte nostra che il ternpo necessario a taH ricerche non sarà speso invano.

Tintorettesca, come ben dice qui il catalogo, è la Madonna co~ il Bambino, anche del Duomo di Lussingrande. Ma è intorettismo di maniera, disarmonico, poco bello. Non ci convincono affatto, al c?n­trario, le attribuzioni d'una, decina cli quadri settecentesc.Ji i a Gian

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Sa,11/a A 11a sfa-s ia di , ettor Ca rpaccio Arte del Sec. XV. r ron?nienzn Duomo cli Z:"1r:-i.

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LA. MOSTRA D'ARTE SA.ORA. A ZARA. 615

Domenico Tiepolo. Troppo con queste offensive assegnazioni è stato danneggiato un eletto pittore a cui non nuoce che la folgorante luce paterna per ritrovare fina.Jmente l'altissima stima che gli è dovuta. Questi quadri di una certa scia,tta facilità appena decorosa,, se mai, possono avvicinarsi a composizioni di bottega pitt-0nia,na, nè possono sperare d'esser presi molto sul serio.

Tuttavia anche questi saggi che non raggiungono estetica nobil­tà, non sono meno interessanti in sede storica e documentaria. In una mostra come questa ch'è lo specchio fedele di tutta la storia reli­giosa della, Da.Jmazia, anche le poche ombre servono a dar luce alle molte cose elette cui rapidamente accennammo in questa rassegna.

REMIGIO :MARINI