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Raymond Kurzweil in una foto del 2006 (Cortesia Michael Lutch/Kurzweil Technologies) Alcuni esperti di intelligenza artificiale profetizzano che il futuro dell'umanità sarà la Singolarità, cioè l'integrazione della psiche umana nei computer. Ma i neuroscienziati sottolineano tutte le lacune di questa previsione, dato che nessuno sa bene in che modo la mente possa scaturire dal cervello: il codice neurale, grazie a cui gli impulsi nervosi vengono interpretati come percezioni, ricordi, significati e intenzioni, sfugge a qualsiasi tentativo di comprensione di John Horgan Quella che segue è una versione modificata e aggiornata di un articolo originariamente scritto per la rivista “IEEE Spectrum”. Ho 62 anni, con tutto ciò che comporta. Capelli grigi, un ginocchio poco affidabile e una memoria che lo è ancora meno. Posso ancora giocare discretamente a hockey, ma l'entropia cresce sempre di più. Quindi, una parte di me vorrebbe fortemente credere che ci stiamo rapidamente avvicinando alla “Singolarità”. Come il paradiso, la Singolarità si può declinare in molte versioni, ma la maggior parte di esse presuppone che si acceleri sulla strada del cervello bionico. In una prima fase diventeremo cyborg, e saranno i chip cerebrali a modificare la nostra percezione, la nostra memoria e la nostra intelligenza, eliminando la necessità di fastidiosi telecomandi per la TV. Alla fine, abbandoneremo del tutto il nostro Io in carne e ossa e caricheremo la nostra psiche digitalizzata nei computer. E abiteremo felicemente e per sempre nel cyberspazio, dove, per parafrasare Woody Allen, non avremo mai bisogno di cercare un parcheggio. Gli appassionati di Singolarità, o Singolaritariani, sono per lo più esperti di computer, come l'imprenditore Ray Kurzweil. Citando i progressi esponenziali dell'informazione, codificati dalla legge di Moore, Kurzweil profetizza “una fusione d'intelligenza biologica e non biologica” che culminerà in “esseri umani basati su software immortali”. E l'avvento della Singolarità non è previsto nell'arco di un millennio, o di un secolo, ma di decenni. Gli specialisti di cervelli reali trovano questi scenari ridicolmente ingenui, poiché siamo ancora molto lontani dalla comprensione di come una mente possa scaturire da un cervello. “Nessuno ne ha la più pallida idea”, dice il premio Nobel Eric Kandel. “Al momento, tutto ciò che si può fare è raccogliere opinioni intelligenti e ben argomentate”. Ai neuroscienziati manca una teoria generale e unificante che dia senso ai loro risultati sparsi e sconnessi, che riguardano, per esempio, la scoperta fatta da Kandel dei processi chimici e genetici che sono alla base della formazione della memoria nelle lumache di mare. Spesso, e a buon diritto, il cervello è chiamato il fenomeno più complesso noto alla scienza. Un tipico cervello adulto contiene circa 100 miliardi di cellule nervose, o neuroni. Un singolo neurone può essere collegato tramite assoni (le connessioni in uscita) e dendriti (connessioni in entrata) e attraverso le sinapsi (gli spazi che separano assoni e dendriti) a ben 100.000 altri neuroni. Basta combinare questi numeri per scoprire che un tipico cervello umano ha milioni di miliardi di connessioni tra i suoi neuroni. La complessità aumenta ulteriormente se si considera che le connessioni sinaptiche si formano, si rafforzano, s'indeboliscono e si sciolgono incessantemente. I vecchi neuroni muoiono, e ne nascono di nuovi per tutta la vita, come emerso da recenti studi che hanno smentito un dogma che durava da decenni. Le cellule possono anche essere riprogrammate per diversi scopi, passando dal controllo delle espressioni facciali a quello della flessione di un dito, dall'elaborazione della percezione visiva del colore rosso a quella uditiva degli scricchiolii. Lungi dall'essere forgiati da un modello comune, i neuroni mostrano un'incredibile varietà di forme e funzioni. I ricercatori ne hanno scoperte numerose solo nell'apparato visivo. Anche i neurotrasmettitori, che trasportano i segnali attraverso la sinapsi tra due neuroni, sono di diversi tipi, così come altre sostanze chimiche, come i fattori di crescita neurale e gli ormoni, che entrano ed escono dal cervello, modulando la cognizione in modi sottili e profondi. Quanto più si conosce il cervello, tanto più ci si meraviglia del suo funzionamento. Ma spesso non funziona: può essere colpito da schizofrenia, disturbo bipolare, depressione, morbo di Alzheimer e molti altri disturbi che non possono essere spiegati né trattati. I Singolaritariani, comunque, insistono sul fatto che i cervelli sono solo computer complessi, e in effetti questa analogia ha un suo fondamento. I neuroni assomigliano a transistor, poiché assorbono, trasformano e riemettono gli impulsi elettrochimici noti come potenziali d'azione. Con un'ampiezza di un decimo di volt e una durata di un millisecondo, i potenziali d'azione sono molto uniformi, e non si dissipano neppure quando corrono lungo assoni lunghi un metro. Chiamati anche picchi (spike), in riferimento alla loro forma sullo schermo di un oscilloscopio, nel cervello i potenziali d'azione servono, presumibilmente, come unità di base dell'informazione. Si supponga, come fanno molti Singolaritariani, che i potenziali d'azione siano equivalenti alle operazioni di un computer. Se il cervello contiene un milione di 26 marzo 2016 La teoria della singolarità e il codice neurale La teoria della singolarità e il codice neurale - Le Scienze http://www.lescienze.it/news/2016/03/26/news/mente_bionica_singolarit... 1 di 3 01-06-2016 20.07

La Teoria Della Singolarità e Il Codice Neurale - Le Scienze

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codice neurale

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Page 1: La Teoria Della Singolarità e Il Codice Neurale - Le Scienze

Raymond Kurzweil in una foto del 2006(Cortesia Michael Lutch/KurzweilTechnologies)

Alcuni esperti di intelligenza artificiale profetizzano che il futuro dell'umanità sarà la Singolarità, cioè l'integrazione della psicheumana nei computer. Ma i neuroscienziati sottolineano tutte le lacune di questa previsione, dato che nessuno sa bene in che modo lamente possa scaturire dal cervello: il codice neurale, grazie a cui gli impulsi nervosi vengono interpretati come percezioni, ricordi,significati e intenzioni, sfugge a qualsiasi tentativo di comprensione di John Horgan

Quella che segue è una versione modificata e aggiornata di un articolo originariamente scritto per la rivista “IEEE Spectrum”.

Ho 62 anni, con tutto ciò che comporta. Capelli grigi, un ginocchio poco affidabile e una memoria che lo è ancora meno. Posso ancora giocare discretamente a

hockey, ma l'entropia cresce sempre di più. Quindi, una parte di me vorrebbe fortemente credere che ci stiamo rapidamente avvicinando alla “Singolarità”.

Come il paradiso, la Singolarità si può declinare in molte versioni, ma la maggior parte di esse presuppone che si acceleri sulla strada del cervello bionico. In

una prima fase diventeremo cyborg, e saranno i chip cerebrali a modificare la nostra percezione, la nostra memoria e la nostra intelligenza, eliminando la

necessità di fastidiosi telecomandi per la TV. Alla fine, abbandoneremo del tutto il nostro Io in carne e ossa e caricheremo la nostra psiche digitalizzata nei

computer. E abiteremo felicemente e per sempre nel cyberspazio, dove, per parafrasare Woody Allen, non avremo mai bisogno di cercare un parcheggio.

Gli appassionati di Singolarità, o Singolaritariani, sono per lo più esperti di computer, come l'imprenditore Ray Kurzweil.

Citando i progressi esponenziali dell'informazione, codificati dalla legge di Moore, Kurzweil profetizza “una fusione

d'intelligenza biologica e non biologica” che culminerà in “esseri umani basati su software immortali”. E l'avvento della

Singolarità non è previsto nell'arco di un millennio, o di un secolo, ma di decenni.

Gli specialisti di cervelli reali trovano questi scenari ridicolmente ingenui, poiché siamo ancora molto lontani dalla

comprensione di come una mente possa scaturire da un cervello. “Nessuno ne ha la più pallida idea”, dice il premio Nobel

Eric Kandel. “Al momento, tutto ciò che si può fare è raccogliere opinioni intelligenti e ben argomentate”.

Ai neuroscienziati manca una teoria generale e unificante che dia senso ai loro risultati sparsi e sconnessi, che

riguardano, per esempio, la scoperta fatta da Kandel dei processi chimici e genetici che sono alla base della formazione

della memoria nelle lumache di mare.

Spesso, e a buon diritto, il cervello è chiamato il fenomeno più complesso noto alla scienza. Un tipico cervello adulto

contiene circa 100 miliardi di cellule nervose, o neuroni. Un singolo neurone può essere collegato tramite assoni (le

connessioni in uscita) e dendriti (connessioni in entrata) e attraverso le sinapsi (gli spazi che separano assoni e dendriti)

a ben 100.000 altri neuroni. Basta combinare questi numeri per scoprire che un tipico cervello umano ha milioni di miliardi

di connessioni tra i suoi neuroni.

La complessità aumenta ulteriormente se si considera che le connessioni sinaptiche si formano, si rafforzano, s'indeboliscono e si sciolgono incessantemente.

I vecchi neuroni muoiono, e ne nascono di nuovi per tutta la vita, come emerso da recenti studi che hanno smentito un dogma che durava da decenni.

Le cellule possono anche essere riprogrammate per diversi scopi, passando dal controllo delle espressioni facciali a quello della flessione di un dito,

dall'elaborazione della percezione visiva del colore rosso a quella uditiva degli scricchiolii. Lungi dall'essere forgiati da un modello comune, i neuroni mostrano

un'incredibile varietà di forme e funzioni. I ricercatori ne hanno scoperte numerose solo nell'apparato visivo. Anche i neurotrasmettitori, che trasportano i

segnali attraverso la sinapsi tra due neuroni, sono di diversi tipi, così come altre sostanze chimiche, come i fattori di crescita neurale e gli ormoni, che entrano

ed escono dal cervello, modulando la cognizione in modi sottili e profondi.

Quanto più si conosce il cervello, tanto più ci si meraviglia del suo funzionamento.

Ma spesso non funziona: può essere colpito da schizofrenia, disturbo bipolare,

depressione, morbo di Alzheimer e molti altri disturbi che non possono essere

spiegati né trattati. I Singolaritariani, comunque, insistono sul fatto che i cervelli

sono solo computer complessi, e in effetti questa analogia ha un suo fondamento.

I neuroni assomigliano a transistor, poiché assorbono, trasformano e riemettono gli

impulsi elettrochimici noti come potenziali d'azione. Con un'ampiezza di un decimo di

volt e una durata di un millisecondo, i potenziali d'azione sono molto uniformi, e non

si dissipano neppure quando corrono lungo assoni lunghi un metro. Chiamati anche

picchi (spike), in riferimento alla loro forma sullo schermo di un oscilloscopio, nel

cervello i potenziali d'azione servono, presumibilmente, come unità di base

dell'informazione.

Si supponga, come fanno molti Singolaritariani, che i potenziali d'azione siano

equivalenti alle operazioni di un computer. Se il cervello contiene un milione di

26 marzo 2016

La teoria della singolarità e il codice neurale

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L'integrazione tra uomo e computer è il sogno di molti esperti di intelligenza artificiale (CortesiaDefense Advanced Research Program, DARPA)

Rappresentazione schematica del potenziale d'azione registrato in un neurone di topo: ilgrafico mostra l'andamento del potenziale di membrana rispetto al tempo (WikimediaCommons)

L'alfabeto del codice genetico degli esseriviventi ha solo quattro lettere: C, G, T, A,dalle iniziali delle basi azotate citosina,guanina, timina e adenina, che costituisconoi pioli della scala a chiocciola con cui vienerappresentata la doppia elica del DNA. E'improbabile che il codice neurale possaavere una struttura così semplice (WikimediaCommons)

miliardi di sinapsi, che elaborano in media 10 potenziali d'azione al secondo, allora il

cervello esegue 10 milioni di miliardi di operazioni al secondo, o 10 petaflop. Alcuni

supercomputer hanno già superato quel tasso di elaborazione. Da qui la

convinzione dei Singolaritariani che i computer presto ci lasceranno indietro in quanto a capacità cognitiva, a meno che non ci integriamo con loro, grazie a una

convergenza bionica o a un “upload psichico”.

A sbarrarci la strada verso il cyber-paradiso, però, c'è il codice neurale. Questa espressione si riferisce ai software, o agli algoritmi, che trasformano i

potenziali d'azione e altri processi fisiologici in percezioni, ricordi, significati e intenzioni.

Il codice neurale è il più profondo e più significativo problema della scienza. Se i

ricercatori decifrassero il codice, potrebbero dare una risposta a enigmi filosofici

rimasti irrisolti dall'antichità, come il problema mente-corpo o quello del libero

arbitrio. Una soluzione al codice neurale potrebbe anche darci, in linea di principio,

un potere illimitato sul nostro cervello e sulla nostra mente. Alcuni classici della

fantascienza, tra cui il controllo della mente, la lettura del pensiero, il potenziamento

bionico e anche upload psichico, potrebbero diventare realtà.

Ma il problema più profondo nella scienza è anche di gran lunga il più difficile da

risolvere. I neuroscienziati non hanno ancora idea di cosa sia il codice neurale.

Questo non vuol dire che non abbiano alcun candidato. Niente di più falso. Come

elettori nelle primarie presidenziali degli Stati Uniti, i ricercatori hanno un eccesso di

candidati, ciascuno dei quali con una pecca profonda.

A citare per la prima volta il codice neurale fu nel 1930 il neurobiologo britannico

Edgar Adrian. Dopo aver isolato neuroni sensoriali di rane e anguille, Adrian mostrò

che quando l'intensità di uno stimolo aumenta, aumenta anche la frequenza di

scarica di un neurone, che può arrivare a 200 picchi al secondo. Nei decenni

successivi, gli esperimenti sembravano confermare che il sistema nervoso di tutti

gli animali utilizza questo metodo di trasmissione delle informazioni, battezzato codice di frequenza (rate code).

Ma un codice di frequenza è un modo rozzo e inefficiente per trasmettere informazioni: sarebbe un po' come cercare di comunicare esclusivamente

canticchiando suoni di diverse altezze. I neuroscienziati hanno sospettato a lungo che il cervello impiegasse codici più raffinati. Una possibilità è la codifica

temporale, in cui l'informazione non è rappresentata solo dalla frequenza di attivazione di una cellula, ma anche dalla precisa sequenza temporale dei picchi.

Per esempio, un codice di frequenza tratterebbe le sequenze di un picco 010101 e 100011 come se fossero identiche perché hanno lo stesso numero di 0 e di

1. Invece, un codice temporale potrebbe assegnare significati diversi alle due stringhe perché le sequenze di bit sono differenti. La codifica temporale potrebbe

spingere la capacità di elaborazione delle informazioni del cervello verso il limite di Shannon, il massimo teorico che la teoria dell'informazione permette a un

sistema fisico dato.

Alcuni neuroscienziati sospettano che i codici temporali predominino nella corteccia prefrontale e altre strutture cerebrali associati alle funzioni cognitive

"superiori", come per esempio il processo decisionale. In queste regioni, i neuroni tendono ad attivarsi in media solo una o due volte al secondo.

A un livello più macroscopico, i ricercatori sono alla ricerca di “codici di popolazione” che coinvolgono l'attivazione coordinata di molti neuroni. Il defunto Gerald

Edelman ha sostenuto uno schema chiamato darwinismo neurale, in cui per esempio la nostra capacità di riconoscere un animale emerge dalla competizione

tra grandi popolazioni di neuroni che rappresentano diversi ricordi: Cane? Gatto? Donnola? Ratto? Il cervello fa affidamento rapidamente sulla popolazione che

più si accorda con lo stimolo in entrata. Forse perché Edelman utilizzava un gergo incomprensibile, il darwinismo neurale non si è mai affermato.

Un codice di popolazione chiamato “oscillazioni sincrone” coinvolge molti neuroni che si attivano con la stessa frequenza e

con la stessa scansione temporale. Nel 1990, Francis Crick e Christof Koch proposero che le oscillazioni sincronizzate

alla frequenza di 40 hertz avessero un ruolo chiave nella coscienza. Crick era ovviamente famoso per aver scoperto la

struttura del DNA e aver dimostrato che essa fa da supporto a un codice genetico sorprendentemente semplice che regola

l'eredità di tutti gli organismi.

Koch tuttavia dubita che il codice neurale "sarà qualcosa di semplice e universale come il codice genetico”. I codici neurali

sembrano variare tra le diverse specie, osserva, e anche in diverse modalità sensoriali nella stessa specie. "Il codice per

l'udito non è lo stesso di quello per l'olfatto", spiega, "in parte perché i fonemi che compongono le parole cambiano

all'interno di una piccola frazione di secondo, mentre gli odori aumentano e diminuiscono molto più lentamente".

"Potrebbe non esserci alcun principio universale a regolare l'elaborazione neurale dell'informazione, oltre a quello secondo

cui il cervello è incredibilmente adattabile e in grado di estrarre ogni bit d'informazione possibile, inventando nuovi codici,

se necessario", spiega Koch. Si sa così poco su come il cervello elabora le informazioni che in questo momento è difficile

escludere uno qualsiasi degli schemi di codifica.

Infatti, Koch ha contribuito a far tornare in auge uno schema di codifica da tempo scartato come implausibile. Questo

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schema è stato denigrato come l'ipotesi della "cellula nonna", perché portata all'estremo implica che i nostri banchi di memoria dedicano un singolo neurone a

ogni persona, luogo o cosa che abita i nostri pensieri, come la nonna.

Insieme all'eminente neurochirurgo Itzhak Fried, Koch ha identificato i neuroni che rispondono a immagini di persone specifiche, da Bill Clinton a Sylvester

Stallone. I neuroni sono stati scoperti negli epilettici nei quali Fried aveva impiantato alcuni elettrodi a scopi clinici.

I risultati suggeriscono che un singolo neurone, lungi dall'essere un semplice interruttore, può possedere un enorme potenza di calcolo. Messaggi significativi

potrebbero essere veicolati non solo da orde di neuroni che urlano all'unisono, ma da piccoli gruppi di cellule che bisbigliano, forse in un codice temporale

conciso.

Il neurobiologo inglese Steven Rose sospetta che il cervello elabori le informazioni a scala sia più grande sia più piccola di quella dei singoli neuroni e delle

singole sinapsi, tramite processi genetici, ormonali e di altro tipo. Egli quindi mette in dubbio un presupposto fondamentale dei Singolaritisti, e cioè che i picchi

rappresentano la somma totale dell'output computazionale del cervello. La potenza di elaborazione delle informazioni del cervello potrebbe essere superiore di

molti ordini di grandezza rispetto a quanto suggeriscono i soli potenziali d'azione.

Inoltre, decodificare i segnali neurali da singoli cervelli sarà sempre straordinariamente difficile, sostiene Rose, perché il cervello di ogni individuo è unico e in

continua evoluzione. Per sottolineare questo punto, Rose cita un esperimento mentale che coinvolge un "cerebroscopio", in grado di registrare tutto ciò che

accade in un cervello, a livello microscopico e macroscopico, in tempo reale.

Ipotizziamo che il cerebroscopio registri tutte le attività neurali di Rose mentre osserva un autobus rosso che percorre una certa strada. Potrebbe il

cerebroscopio ricostruire ciò che Rose sta sentendo? No, perché la sua risposta neurale anche al più semplice stimolo ha origine da tutta la storia precedente

del suo cervello, anche, per esempio, da un incidente avvenuto nell'infanzia, quando un autobus per poco non lo ha investito.

Per interpretare l'attività neurale corrispondente a qualsiasi momento, argomento Rose, gli scienziati avrebbero bisogno di “accedere a tutta la mia storia di vita

neurale e ormonale”, così come a tutte le sue esperienze corrispondenti. Gli scienziati avrebbero anche bisogno di conoscere dettagliatamente il contesto

sociale, costantemente in evoluzione, all'interno del quale Rose ha vissuto; il suo atteggiamento verso gli autobus, per esempio, sarebbe diverso se un gruppo

di terroristi avesse recentemente attaccato un autobus.

Questa analisi implica che ogni psiche individuale è fondamentalmente irriducibile, imprevedibile e inspiegabile. Certamente non è abbastanza semplice da poter

essere estratta da un cervello e trasferita su un altro supporto, come ipotizzano i Singolaritariani.

In definitiva, la singolarità è una visione religiosa, piuttosto che scientifica. Lo scrittore di fantascienza Ken MacLeod l'ha soprannominata “La beatitudine dei

nerd”, in riferimento alla profezia apocalittica contenuta nella Bibbia, secondo cui Gesù, alla fine dei tempi, porterà i giusti in paradiso, lasciando indietro i

peccatori.

Tale desiderio di trascendenza, sia esso spirituale o tecnologico, è fin troppo comprensibile. Sia come individui sia come specie, ci troviamo di fronte a enormi

problemi, compreso il terrorismo, la proliferazione nucleare, la sovrappopolazione, la povertà, la fame, il degrado ambientale, i cambiamenti climatici,

l'esaurimento delle risorse, e le epidemie come l'AIDS. Gli ingegneri e gli scienziati dovrebbero prendere di petto i problemi del mondo e trovare soluzioni,

piuttosto che indulgere in fantasie pseudoscientifiche d'evasione come la Singolarità.

(La versione originale di questo articolo è apparsa su www.scientificamerican.com il 22 marzo. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)

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