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La falconeria: presente e passato di un’arte millenaria “La Cetrería es no solamente un sistema diferenciado de caza, sino el arte que ha llevado al hombre a la más profunda alianza con el animal. Por ello hermano halconero, cuando una vez más, ave al puño, al amanecer, salgas a la caza d pieza que siempre parece la primera y en verdad puede ser la última, piensa que en tu emoción palpitan y perviven ci años de poderosos cazadores”. (Félix Rodríguez De La Fuente) L’antica arte di cacciare con gli uccelli e di addestrarli a tale scopo, che negli ultimi decenni sta conoscendo una rinascita, si presenta ancora oggi agli occhi dell’uomo come una sfida. La ricerca continua di quel delicato equilibrio che si instaura tra il falco e il suo falconiere è circondata da un fascino particolare, che spinge l’uomo a mettersi alla prova tutte le volte che, lanciato il falco dal pugno, lo osserva prendere quota, indipendente e solitario, libero di decidere se ritornare al pugno del suo compagno, coronando il tacito patto con l’uomo, o se abbracciare invece la libertà. L’alleanza uomo-falco mette alla prova l’impegno dell’uomo, che deve garantire gli spazi ed il tempo necessari al corretto esercizio della falconeria. L’errore umano rompe l’idillio e per evitarlo il falconiere dovrà curare giornalmente quel delicato, emotivo ed esclusivo equilibrio con il rapace, che rappresenta il cuore di quest’arte. Ma quali sono le sue origini, e quali le ragioni di una recente rinascita dell’interesse per la Falconeria? Definire una data che sia un faro o una delimitazione, il prima e il dopo in un periodo, è riconosciuta come una fatica improba, in particolar modo in materia di costumi, anche quando ad impegnarsi è uno storico. L’affermazione di una rinascita della falconeria in tempi odierni non può poggiare su sensibilità individuali o speranzose previsioni, ma su dati certi che vanno rintracciati in due scienze “esatte”: statistica ed economia. La prima evidenzia dal 1960 in poi una crescita graduale, ma consistente, del numero dei falconieri in tutta Europa; la seconda, l’irrobustimento dell’offerta nel mercato dei rapaci riprodotti in cattività. Negli ultimi anni anche l’esposizione mediatica di questa antica arte è diventata sempre più intensa, quasi a dimostrare la ricerca da parte della stessa di nuovi spazi, di un nuovo equilibrio in un curioso intreccio di passato e futuro. La ricerca di un nuovo ruolo, stimolante negli interrogativi che pone, deve però confrontarsi con la situazione contemporanea. Non può esser conflittuale, ad esempio, rispetto a valori preminenti, come la salvaguardia dell’ambiente e delle specie in pericolo di estinzione. Un relitto della cultura medievale si è spiaggiato sulle rive del nostro tempo, e non tutto può esser recuperato, non tutto può esser riproposto. La tutela delle specie di rapaci protetti è stata posta negli ultimi anni al centro dell’attenzione da parte della Lega Italiana Protezione Uccelli (LIPU), che non ha mostrato particolari simpatie verso le federazioni di falconieri. L’impiego dei falchi per il bird contol : favorevoli o contrari? La LIPU ha sollevato infatti una polemica in merito all’impiego dei falchi nelle aree aeroportuali, finalizzato ad allontanare altre specie di volatili, potenzialmente pericolosi per gli aerei nelle fasi di decollo e di atterraggio. Il dibattito è testimoniato da uno scambio di lettere aperte tra il Responsabile Ecologia Urbana della LIPU, Marco Dinetti, ed un rappresentante dell’ AIF (Associazione Italiana per la Falconeria), Giovanni Goj. Gli spunti dialettici si articolano dall’esigenza primaria di tutela delle specie coinvolte (siano essi volatili arrostiti nelle turbine dei jet o falchi costretti in cattività) ad una dettagliata spiegazione tecnica sull’efficacia deterrente del falco

La Storia Della Falconeria

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“La Cetrería es no solamente un sistema diferenciado de caza, sino el arte que ha llevado al hombre a la más profunda y libre alianza con el animal. Por ello hermano halconero, cuando una vez más, ave al puño, al amanecer, salgas a la caza de esa pieza que siempre parece la primera y en verdad puede ser la última, piensa que en tu emoción palpitan y perviven cien mil años de poderosos cazadores”. (Félix Rodríguez De La Fuente)

L’antica arte di cacciare con gli uccelli e di addestrarli a tale scopo, che negli ultimi decenni sta

conoscendo una rinascita, si presenta ancora oggi agli occhi dell’uomo come una sfida. La ricerca continua di quel

delicato equilibrio che si instaura tra il falco e il suo falconiere è circondata da un fascino particolare, che spinge

l’uomo a mettersi alla prova tutte le volte che, lanciato il falco dal pugno, lo osserva prendere quota, indipendente e

solitario, libero di decidere se ritornare al pugno del suo compagno, coronando il tacito patto con l’uomo, o se

abbracciare invece la libertà. L’alleanza uomo-falco mette alla prova l’impegno dell’uomo, che deve garantire gli

spazi ed il tempo necessari al corretto esercizio della falconeria. L’errore umano rompe l’idillio e per evitarlo il

falconiere dovrà curare giornalmente quel delicato, emotivo ed esclusivo equilibrio con il rapace, che rappresenta il

cuore di quest’arte. Ma quali sono le sue origini, e quali le ragioni di una recente rinascita dell’interesse per la

Falconeria?

Definire una data che sia un faro o una delimitazione, il prima e il dopo in un periodo, è riconosciuta

come una fatica improba, in particolar modo in materia di costumi, anche quando ad impegnarsi è uno storico.

L’affermazione di una rinascita della falconeria in tempi odierni non può poggiare su sensibilità individuali o

speranzose previsioni, ma su dati certi che vanno rintracciati in due scienze “esatte”: statistica ed economia.

La prima evidenzia dal 1960 in poi una crescita graduale, ma consistente, del numero dei falconieri in tutta Europa;

la seconda, l’irrobustimento dell’offerta nel mercato dei rapaci riprodotti in cattività.

Negli ultimi anni anche l’esposizione mediatica di questa antica arte è diventata sempre più intensa, quasi a

dimostrare la ricerca da parte della stessa di nuovi spazi, di un nuovo equilibrio in un curioso intreccio di passato e

futuro.

La ricerca di un nuovo ruolo, stimolante negli interrogativi che pone, deve però confrontarsi con la situazione

contemporanea.

Non può esser conflittuale, ad esempio, rispetto a valori preminenti, come la salvaguardia dell’ambiente e delle

specie in pericolo di estinzione. Un relitto della cultura medievale si è spiaggiato sulle rive del nostro tempo, e non

tutto può esser recuperato, non tutto può esser riproposto.

La tutela delle specie di rapaci protetti è stata posta negli ultimi anni al centro dell’attenzione da parte della Lega

Italiana Protezione Uccelli (LIPU), che non ha mostrato particolari simpatie verso le federazioni di falconieri.

L’impiego dei falchi per il bird contol : favorevoli o contrari?

La LIPU ha sollevato infatti una polemica in merito all’impiego dei falchi nelle aree aeroportuali,

finalizzato ad allontanare altre specie di volatili, potenzialmente pericolosi per gli aerei nelle fasi di decollo e di

atterraggio. Il dibattito è testimoniato da uno scambio di lettere aperte tra il Responsabile Ecologia Urbana della

LIPU, Marco Dinetti, ed un rappresentante dell’ AIF (Associazione Italiana per la Falconeria), Giovanni Goj.

Gli spunti dialettici si articolano dall’esigenza primaria di tutela delle specie coinvolte (siano essi volatili arrostiti nelle

turbine dei jet o falchi costretti in cattività) ad una dettagliata spiegazione tecnica sull’efficacia deterrente del falco

quale mezzo di controllo e del suo impatto ambientale: nullo. Inoltre la voce protezionista di tale dibattito, si

preoccupa di chiarire l’ineluttabilità dell’attrazione fatale fra specie migratorie o svernanti e le aree aeroportuali.

Sullo sfondo, e poco menzionato, il problema della sicurezza in fasi di decollo e atterraggio, e l’interesse, o il

disinteresse, per la vita umana.

Il primo giugno del 2003 un aereo da turismo privato, un Lear-jet 45, era precipitato poco dopo il decollo nei pressi

dello scalo milanese di Linate, provocando la morte dei due piloti a bordo. L’Agenzia Nazionale per la Sicurezza del

Volo aveva subito promosso un’inchiesta per accertare le cause dell’incidente, imputabili, a quanto sembra, alla

presenza di uccelli considerati nocivi o pericolosi (pest specimen) nella zona. L’ ipotesi che si possa essere trattato

di un caso di Bird Strike (impatto con volatili) è confermata dal ritrovamento, nei pressi della pista dei resti

carbonizzati di alcuni uccelli.

Nel gennaio 2009, un Airbus A 320 è stato costretto ad un ammaraggio nel fiume Hudson poco dopo il decollo

dall’aeroporto La Guardia di New York, per la collisione con uno stormo che ha danneggiato entrambi i motori

dell’aereo.

La notizia del primo incidente ha sollevato il dibattito a cui si è accennato sopra tra la LIPU e la federazione dei

falconieri italiani. La LIPU ha indicato quali mezzi utili all’allontanamento dei volatili dagli scali aeroportuali l’impiego

di cani e dei “dissuasori acustici a terra”, destinati a riprodurre le vocalizzazioni dei rapaci in caccia o il grido

d’allarme delle specie da allontanare. Questi metodi alternativi all’esercizio della Falconeria, più gravosa dal punto

di vista economico, e la necessità di proteggere i rapaci dal fenomeno del contrabbando, vogliono escludere in

modo definitivo e univoco l’utilizzo di quest’arte per l’allontanamento dei volatili nocivi.

La risposta del Falconiere ha riconosciuto in via indiretta la consistenza dell’impegno economico per l’esercizio del

bird contol (l’allontanamento volatili a mezzo falchi) rispetto agli altri metodi indicati dalla LIPU, ma ha altresì

chiarito come l’impiego dei cani a terra - “esseri che si muovono in due dimensioni contro animali che ne sfruttano

tre” - sia inutile per un allontanamento definitivo in tempi brevi, e come l’utilizzo dei “dissuasori acustici” perda

rapidamente efficacia, spegnendosi nella totale indifferenza delle specie destinate all’allontanamento: l’avifauna

spaventata si posa semplicemente più lontano, continuando comunque a stazionare nelle aree sensibili o nelle

vicinanze dell’aeroporto.

L’esperienza di alcune grandi aree urbane europee, in relazione a storni e piccioni, ha visto infatti riproporsi il

disagio dei cittadini nei giorni successivi all’introduzione di questa tecnica di “bonifica”.

Le statistiche presentate da alcuni scali internazionali che impiegano falconi già da lungo tempo evidenziano la

bontà della soluzione: si tratta di un metodo naturale ed efficace, che non contempla l’abbattimento della preda ed

è quindi anche rispettoso delle risorse dell’avifauna presente sul territorio. Un’altra voce, quella del JFK di New

York, illustra invece un impiego per così dire critico della Falconeria: determinate condizioni, grandi baie marine

con grandi uccelli pelagici, impediscono che l’unica risposta per una bonifica del territorio sia appunto il bird contol .

Gli albatri ed altre specie simili per grandezza, o di maggior peso, come i pellicani, non vengono abitualmente

cacciate dai falchi in natura, poiché teoricamente impossibili da abbattere. In questi casi specifici è immediato

pensare che, se è inutile la stoccata di un falcone, è risibile l’utilizzo di un dissuasore acustico.

La “carta d’identità del rapace”

La cosiddetta “carta d’identità del rapace”, è un documento CITES che contiene tutti i dati dell’animale

(specie, sesso, numero dell’anello di riconoscimento, dati dell’allevatore, timbro dell’ufficio che lo ha rilasciato) ed è

richiesta dal Corpo Forestale dello Stato ai fini della dichiarazione obbligatoria di detenzione del rapace in

questione, e ai fini della vigilanza sul territorio, quindi ad ogni incontro col falconiere.

I falchi impiegati oggi nell’esercizio della Falconeria, infatti, provengono esclusivamente da centri di riproduzione,

che ne garantiscono la nascita in cattività da almeno due generazioni (F2). Al momento dell’acquisto il rapace deve

presentarsi dotato di un anello di riconoscimento inamovibile, posto sul tarso, e accompagnato dalla suddetta

“carta di identità del rapace”.

Grazie ai numerosi controlli ed alle misure di sicurezza in atto negli ultimi decenni, il fenomeno del contrabbando di

rapaci è stato notevolmente arginato.

La Convenzione CITES Di fondamentale importanza, e garanzia indiscutibile contro il commercio illegale di specie di rapaci, è

stata la Convenzione sul Commercio Internazionale di Specie di Fauna e Flora Selvatiche Minacciate di Estinzione,

in sigla CITES (Convention on International Trade of Endangered Species of Wild Fauna and Flora), firmata a

Washington il 03 marzo 1973 ed entrata in vigore in Italia nel 1980. Il testo della Convenzione, applicata

attualmente da più di 160 Paesi, riconosce diversi gradi di protezione a più di 30.000 specie di animali e piante,

regolamentando, e ove necessario vietando, il loro commercio, siano essi esemplari vivi o si tratti di parti e prodotti

derivati (come ad esempio i giubbotti in pelle o le piante secche). Le specie, o sottospecie, di animali e piante

inserite nel programma CITES, che fa parte a sua volta del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP),

sono elencate in tre Appendici, secondo la differente intensità di tutela: l’Appendice I contiene l’elenco delle specie

in grave pericolo di estinzione, per le quali vige divieto assoluto di commercio; l’Appendice II offre una lista delle

specie il cui commercio è regolamentato per evitare sfruttamenti incompatibili con la loro sopravvivenza;

l’Appendice III presenta un elenco delle specie protette dai singoli Stati, che ne regolamentano l’esportazione dai

propri territori. Varie specie di falconidi e accipitridi, tra cui il Pellegrino, il Falcone di Barberia e l’Aquila di mare,

fanno parte dell’Appendice I e possono pertanto essere commercializzati solamente se nati in cattività.

Contrabbando e bracconaggio negli anni ’70 e ’80

La rigida posizione della LIPU riguardo alla necessità di una maggior tutela dei rapaci è comprensibile, in

quanto non immemore dei danni provocati in passato all’avifauna. Gli anni ’70 e ’80 sono stati anni particolarmente

critici, in cui si è assistito all’espandersi del fenomeno del contrabbando e al decimarsi della popolazione silvestre,

fortemente indebolita dagli effetti provocati dall’uso degli anticrittogamici in agricoltura. I furti delle uova dai nidi e la

cattura di nidiacei destinati al mercato illegale hanno inciso sulla popolazione silvestre e sulla disponibilità di uccelli

da preda, già numericamente contenuti. Inoltre, trovandosi al vertice della catena alimentare, i rapaci risentono di

tutti gli effetti provocati dall’utilizzo di anticrittogamici, che, congiuntamente all’inquinamento ambientale e all’uso

del DDT, oggi fortunatamente vietato in molti Paesi, hanno ripercussioni preoccupanti sul ciclo di vita e di

riproduzione. Lo spessore del guscio delle uova si assottiglia provocandone la rottura durante la cova e diminuisce

la fecondità dell’animale.

A questi problemi si sono aggiunti il bracconaggio e alcune usanze bizzarre, come la pratica apotropaica che vede

riproporsi ogni anno l’abbattimento di decine e decine di Falchi pecchiaioli, durante il transito migratorio sul

versante calabrese dello stretto di Messina.

Le prime forme di tutela dei rapaci

Innanzi a tutte queste problematiche, il Falconiere sembra porsi in chiave antitetica, in primo luogo in

quanto possessore di una specie protetta -e verrebbe da interrogarsi se sottratta alla vita selvatica-, in secondo

luogo perché forse cacciatore, e quindi destinato ad incidere sulle risorse venatorie del suo territorio. La realtà può

essere profondamente diversa.

Storicamente, una fra le prime forme di salvaguardia di specie animali in ambito europeo è da rintracciare nel

basso medioevo. I dati giuridici offerti dalle fonti di quel periodo sono incontrovertibili: i falchi non potevano essere

cacciati, e quindi uccisi per la sussistenza alimentare; non potevano essere sottratti dal nido da persone non

qualificate; potevano essere impiegati per l’esercizio della caccia solo da alcune categorie di persone, secondo una

specifica gerarchia. La tutela offerta era naturalmente figlia del periodo storico: le pene inflitte a chi avesse

prelevato dal nido o rubato un falco variavano dall’aver mozzate le mani all’aver cavati gli occhi, fino a venir

costretti ad alimentare il rapace con la propria carne; chi avesse invece osato uccidere l’animale rischiava il carcere

a vita, come in Francia, o la pena di morte, come in molti altri Paesi. Ai recidivi spettava la forca. Tradizionalmente

quindi falconeria e protezione delle specie rapaci sono intimamente connesse, ed è utile notare che sino a che tale

tradizione si è mantenuta integra, i falchi sono vissuti sostanzialmente indisturbati nei loro territori.

Il Medioevo: epoca d’oro della Falconeria

Nel periodo che va dall’anno Mille al Quattrocento, la Falconeria, oltre ad offrire il suo aspetto

squisitamente venatorio, diventa protagonista in ambito culturale, letterario, politico e di costume e si presenta

anche come pratica magica legata alla simbologia del falco e del cavaliere. E’ proprio in questo periodo storico del

nostro continente che viene scritto il primo trattato scientifico di ornitologia esistente, il Liber de arte venandi cum

avibus, “L’arte di cacciare con gli uccelli”, dell’imperatore e re di Sicilia Federico II di Hohenstaufen, ed è durante il

Medioevo che vengono scritte pagine di letteratura indimenticabili con chiari riferimenti alla caccia col falcone

(scene di falconeria sono descritte in opere di Dante, Boccaccio, Brunetto Latini, nel Poema del Mío Cid, nella

Celestina di Fernando de Rojas…). La pratica di quest’arte venatoria, e la conseguente presenza dei rapaci a corte

è una costante nella vita di dame e cavalieri; ai falchi spetta inoltre un ruolo politico non indifferente (i falchi

intervengono nella stipula di trattati, fanno parte della dote negli sposalizi regali, etc.).

Simbologia e pratiche magiche

Il falco (come gli altri rapaci utilizzati nelle cacce al volo, soprattutto astori e sparvieri) è dotato di

un organismo perfetto: la sua linea è agilmente compatta, dispone di un organismo concepito dalla

natura per la lotta e l’assalto, quasi proiezione dell’ardimento dell’uomo che, restando a cavallo,

lancia la propria arma vivente nello spazio del cielo che rimane interdetto alle sue orme terrene: è

un animale alto ed aggressivo, simbolo dell’indomabile fierezza del nobile, e, insieme, della sua

virilità.

(Trombetti Budriesi 2000: XXXVI)

Questo uccello “di natura selvaggia, che prova somma repulsione per l’uomo” (2000: XXXV) è lo status symbol del

nobile medievale. A lui sono attribuite le qualità del cavaliere (coraggio, nobiltà) e su di lui, essere alato, proiettate

le ambizioni terrene dell’uomo, prima fra tutte il potere. Il suo corpo, arma da caccia completa, i suoi voli, con quelle

picchiate così perfette e precise sulla preda, diventano il simbolo della perfezione, della forza, del coraggio, e

anche della nobiltà, della bellezza. La sua figura è circondata da fascino e mistero, storie e leggende si intrecciano

attorno a questo essere considerato quasi sovrannaturale e immortalato in meravigliose rappresentazioni

iconografiche. Filtri e pozioni diventano abituali nella cura delle malattie del falco e la recita di incantesimi o

scongiuri in latino accompagna tutto il periodo dell’allevamento. Citiamo a questo proposito alcune ricette mediche

ed alcuni incantesimi suggeriti da Dancus Rex e Magister Guillelmus tratti dal Trattato del Governo delle Malattie e

Guarigioni de’ Falconi, Astori e Sparvieri di un volgarizzatore anonimo del secolo XIV.

La seguente ricetta, o forse sarebbe più corretto dire pozione magica, di Maestro Guillielmo, falconiere di Ruggiero

II di Sicilia, suggerisce di curare la gotta del falco somministrandogli un pasto a base di cenere di pipistrello

precedentemente bruciato, mescolata a della carne di lucertola:

(…) Anco a questo male fae questa medicina: prende lo barbastrello ed ardilo a ciò che ne faci

polvere, e quella polvere con carne di lacerte li dae a mangiare infine a tre die; poscia li dona a

mangiare carne di becco infine che sie grasso, e fie guarito.

(Magister Guillelmus, cit. in Innamorati 1965: I, 107)

Dancus Rex e Magister Guillelmus suggeriscono di pronunciare il seguente incantesimo durante la muta dei

falchi:

Quando l’uccello mette la penna, dei dire questo verso: Volatilia tua sub pedibus tuis.

(1965: I, 103)

Il De Arte venandi cum avibus di Federico II

La tradizione nella stesura dei trattati di Falconeria lasciava grande spazio alla medicina falconaria; pagine

come quelle citate fanno parte dei maggiori trattati dell’epoca.

L’imperatore Federico II di Svevia, grande appassionato di falconeria e abile falconiere egli stesso - passione forse

ereditata dal nonno Barbarossa - ben conosceva i trattati degli scrittori più noti ed autorevoli, l’arabo Moamīn ed il

persiano Ghatrīf. Aveva promosso egli stesso la traduzione dei loro testi di falconeria, collaborando con i traduttori

di corte alla stesura della versione latina; li aveva studiati con attenzione e fatto tesoro dei loro insegnamenti. Non

soddisfatto di quanto appreso dedicò molto del suo tempo ad uno studio personale ed ancor più approfondito

dell’arte della falconeria, mettendo in pratica personalmente nuove tecniche di addestramento, cercando di

perfezionare quelle già conosciute e osservando attentamente i propri falconi durante le battute di caccia. La sua

spiccata curiosità per il mondo naturale, la sete di conoscenza (si autodefinì “vir inquisitor sapientiae et amator”) ed

il suo grande spirito d’osservazione lo spinsero in seguito a comporre egli stesso un trattato di falconeria. L’intento

era quello di scrivere un libro incentrato sull’addestramento e sulla caccia col falcone, tralasciando la parte medica,

già esaustivamente trattata negli scritti del periodo. Il risultato sorprendente è un vero e proprio trattato di

ornitologia, redatto con profondo rigore scientifico: più di 500 anni prima di Linneo, Federico II fu il primo ad

introdurre l’uso della nomenclatura binomia per designare le diverse specie di uccelli, e ad utilizzare il terzo nome

per l’indicazione della sottospecie: il “falco lanarius” o “falco lanerius” di Federico corrisponde a quello che oggi

chiamiamo lanario (Falco biarmicus); la distinzione che l’imperatore opera tra il “falco gentilis peregrinus” e il “falco

gentilis absolute” corrisponde all’attuale distinzione tra il pellegrino del nord (Falco peregrinus peregrinus) e la

sottospecie indigena dell’Europa centrale (Falco peregrinus germanicus), cfr. Trombetti Budriesi 2000: XCVI-XCVII;

1124-1132.

L’innovazione del trattato non si limita a questo; l’“imperatore-intellettuale”, con il suo “atteggiamento moderno,

polemico e propulsivo” (Innamorati 1965: I, 5) è forse anche il primo a permettersi di contraddire la classificazione

aristotelica degli animali in acquatici e terrestri, preferendo suddividerli, “sulla base dell’esperienza, ed assumendo,

in certo senso, la terminologia del linguaggio parlato, in acquatici, terrestri ed intermedi, fornendo, di tutti, esempi e

classificandoli per generi differenti e per specie differenti (all’interno) dei generi” (Federico II di Svevia, cit. in

Trombetti Budriesi 2000: 18).

Il Liber de arte venandi cum avibus è un’opera di grandissima importanza non solo storica, ma anche tecnica: i sei

libri nei quali si divide contengono innumerevoli indicazioni, consigli e descrizioni delle tecniche di allevamento,

addestramento e caccia col rapace, offerte con una chiarezza ed un’accuratezza nei dettagli tale da poter essere

considerato attuale dopo quasi otto secoli dalla sua composizione. Dopo aver letto le descrizioni delle attrezzature

necessarie all’allevamento e all’addestramento dei rapaci (posatoi, tornetti, filagna, lunga, guantone, logoro, etc.)

ed averne compreso la funzione, qualsiasi aspirante falconiere dei giorni nostri potrebbe cimentarsi nella

costruzione di pertiche, blocchi (posatoi per il falco), carnieri medioevali (borsa in cui il falconiere ripone le carni da

dare al falco e altri oggetti) o geti (lacci di cuoio legati alle zampe del falco, che permettono di trattenere l’animale

sul pugno del falconiere o di gettarlo contro la preda) non meno funzionali di quelli confezionati nell’era industriale.

Non si deve dimenticare che Federico II, oltre ad introdurre e diffondere l’arte della falconeria in Italia, fece proprio

l’uso orientale del cappuccio durante il periodo di addestramento per tranquillizzare il falco, rendendo questa fase

di approccio con l’animale meno crudele: tradizionalmente si usava infatti “cigliare”, o, come suggerisce

l’imperatore “bloire” il falco. L’operazione consisteva nel cucire le palpebre dell’animale per poi allentare

gradualmente la chiusura della sutura con l’avanzare del livello di addestramento. Come precisa Trombetti

Budriesi, nell’introduzione al De Arte venandi cum avibus, il falco è un animale che “prova somma repulsione per

l’uomo” e che “necessita pertanto di un lungo processo di acculturazione”. Nel secondo libro del trattato, Federico II

spiega che la funzione della cigliatura è quella di evitare che il rapace, identificando l’uomo, per cui prova

avversione e terrore, diventi irrequieto, e, cercando di fuggire, si ferisca perché legato. L’imperatore lascia

intendere più volte che è necessario prendere con cautela la decisione di allentare la cigliatura, valutando con

estrema attenzione il livello di addestramento del rapace, perché la natura selvaggia del falco riemerge con facilità

e con altrettanta facilità la sua proverbiale “indomabile fierezza” potrebbe spingerlo a spiccare il volo verso la

libertà.

Si evince quindi che il rapporto uomo-falco si basa su un equilibrio estremamente fragile, difficilissimo da

raggiungere ed altrettanto difficile da mantenere. L’ultima parola spetta sempre a lui, il signore dei cieli, che può

decidere di ritornare al pugno del suo falconiere o di rendersi inafferrabile alle intenzioni terrene dell’uomo. E

all’uomo non resta che affidarsi al proprio ingegno, alla propria sensibilità per addestrare il rapace al punto da farlo

volare libero in cerca della preda, per poi liberamente tornare a posarsi sulla sua mano; è con la sola superiorità

dello spirito, non con la forza, che si può domare l’indomabile, ed è questo che rende l’arte di cacciare con gli

uccelli più nobile e più degna, “nobilior et dignior”, degli altri tipi di caccia.

Letteratura e Falconeria

Il falco affascinò o quanto meno attirò l’attenzione di studiosi e letterati, scrittori e poeti, che immortalarono

scene di caccia col falcone o semplicemente ricordarono l’esistenza di quest’arte antichissima, chiamata falconeria,

all’interno delle loro opere. Come abbiamo già accennato, quella del falco era una presenza costante, immancabile

nella società medioevale, nella vita del nobile di corte, per il quale il falco rappresentava uno dei beni più preziosi,

in quanto simbolo del potere e della ricchezza. Fotografando scene di vita medioevale, ecco quindi che poeti,

letterati, scrittori decidono di immortalare anche questi esseri alati, che già presentano in se stessi un che di eterno;

nelle corti si recitano le note “cacce in rima”, composizioni poetiche e musicali metricamente affini al madrigale, in

cui è per lo più scritta o rappresentata una scena di caccia.

Folgore da San Gemignano, nella sua “corona” di sonetti detta “dei mesi” ed in quella “dei giorni della settimana”

associa la presenza dei rapaci a momenti di “diletto” ed “allegrezza”: “Di settembre vi do diletti tanti/ falconi, astori,

smerletti, sparvieri/ lunghe, gherbegli, geti con carnieri/ brachette con sonagli, pasto e guanti (…)” (cit. in

Innamorati 1965: I, 122).

Boccaccio fa’ del falcone (alter ego del nobile medioevale) un personaggio di due novelle del Decameron, la nona

della quinta giornata e la nona della settima giornata. Nella prima (V-9) il nobile falcone viene immolato quale

ultima e unica ricchezza rimasta a Federigo degli Alberghi e offerto in pasto a monna Giovanna, ignara di

mangiarsi proprio il rapace che era andata a chiedere in dono per il figlio malato. Nella seconda (VII-9) lo sparviero

del nobile, vecchio ed impotente Nicostrato viene barbaramente ucciso sotto i suoi occhi dalla moglie Lidia, decisa

a beffarsi della sua impotenza, dando allo stesso tempo una prova d’amore all’amante Pirro, il servitore di

Nicostrato. Il sacrificio dei due rapaci è fortemente legato alla simbologia dell’animale, “attributo altamente

significativo del proprio status sociale” (Trombetti Budriesi 2000: XXXV), segno di potere, nobiltà, forza, virilità.

Durante tutto il Medioevo il falco diviene stabilmente e pregnantemente emblema di nobiltà d’animo, e araldica.

Il falco è presente anche in alcuni canti della Divina Commedia. Dante mostra di conoscere la falconeria e

le tecniche di addestramento del rapace, citando il volo del falcone in alcuni passi dell’Inferno ed inserendolo

all’interno di similitudini memorabili, come quella di queste terzine:

Come 'l falcon ch'è stato assai su l'ali, che sanza veder logoro o uccello

fa dire al falconiere «Omè, tu cali!»,

discende lasso onde si move isnello, per cento rote, e da lunge si pone

dal suo maestro, disdegnoso e fello;

così ne puose al fondo Gerïone al piè al piè de la stagliata rocca, e, discarcate le nostre persone,

si dileguò come da corda cocca.

(Inf. XVII: 127-136)

Gli scrittori italiani non sono i soli ad inserire riferimenti venatori nelle loro opere; la fortuna letteraria del

falco non conosce frontiera.

Kriemhilde sogna di addomesticare un falco (stiamo parlando della saga dei Nibelunghi); i dieci re invitati da Re

Artù alle nozze tra Erek e Enide (nell’ Erek di Hartmann von Aue) si presentano a cavallo col loro falco in pugno.

E chi non ricorda le lacrime del Cid Campeador, Rodrigo Díaz de Vivar, in partenza per l’esilio? L’incipit del primo

grande poema epico spagnolo canta il dolore di un uomo che per prima cosa si ricorda di essere falconiere: lo

sguardo di Rodrigo, rivolto alle voliere vuote, ai posatoi abbandonati, tradisce il legame che lo lega ai suoi falchi:

De los ojos tan fuertemientre llorando, tornaba la cabeça i estábalos catando.

Vio puertas abiertas e uços sin cañados, alcándaras vazias sin pielles e sin mantos

(5) e sin falcones e sin adtores mudados. Sospiró mio Çid, ca mucho habié grandes cuidados.

(ed. Lázaro & Tusón 1988: 33)

I rapaci a corte: la gerarchia sociale

In tutte le corti europee falchi, falchetti, smerigli ed altri rapaci attiravano l’attenzione di cavalieri, principi,

baroni, re e regine; il dono di un falcone era una tecnica di corteggiamento molto apprezzata dalle dame di

palazzo, basti pensare che i falchi, come già accennato, venivano offerti come dote di nozze negli sposalizi regali.

Ogni gradino della scala sociale aveva come simbolo del proprio rango un rapace: l’aquila reale era riservata

all’imperatore; il girfalco era prerogativa del re; il falcone gentile spettava al principe; il pellegrino femmina ai duchi

e ai conti; il terzuolo di pellegrino (il pellegrino maschio, di dimensioni di 1/3 inferiori a quelle della femmina) al

barone; il falco sacro al cavaliere; il lanario al nobile di campagna; lo smeriglio alla dama; il lodolaio ai paggi. Ai

piccoli proprietari terrieri era destinato l’astore femmina, l’astore maschio era assegnato ai poveri, la femmina di

sparviere ai preti ed il moschetto (lo sparviere maschio) ai chierici di rango inferiore.

Diplomazia e politica: il ruolo del falcone

Carico della sua simbologia il falcone svolgeva un ruolo politico di prim’ordine: una delegazione di

falconieri era presente durante la stipula di importanti trattati e in più di un’occasione si rivelò fondamentale per una

soluzione pacifica di controversie tra regnanti. L’esempio più eclatante del valore che non solo i popoli d’Occidente

ma anche quelli d’Oriente attribuivano al falco e all’arte della falconeria è senza dubbio la tregua chiesta ed

ottenuta, in piena crociata, durante la battaglia di Tolemaide, dal monarca francese Filippo Augusto: il suo girfalco

preferito era andato a posarsi all’interno del baluardo nemico e per permettergli di recuperarlo i fedeli della

mezzaluna accettarono di sospendere lo scontro. Il riscatto pagato sarebbe bastato per liberare più di cinquecento

prigionieri cristiani.

Tre secoli più tardi, reduci anch’essi dalle crociate, i Cavalieri di San Giovanni invieranno in dono un falcone a

Carlo V re di Spagna, quale ringraziamento per aver concesso all’Ordine, rimasto senza sede dopo la disfatta di

Rodi, l’isola di Malta, Gozo e la base di Tripoli.

L’impiego strategico del falcone nei rapporti diplomatici si è dimostrato così efficace da essere riproposto ai giorni

nostri: solo qualche decennio fa il celebre falconiere e naturalista Félix Rodríguez de la Fuente saliva a bordo di un

aereo in compagnia di due falchi pellegrini, dono della corona di Spagna al monarca saudita Saud Ibn Abdul-Aziz.

Uno sguardo alle origini: dal II Millennio a. C. alle Crociate

L’incontro-scontro tra Oriente e Occidente nel periodo delle crociate modificò inevitabilmente i rapporti tra

le due culture, favorendo gli scambi ed arricchendo le conoscenze di entrambi gli schieramenti. Questo periodo

storico significò l’incontro tra i due grandi filoni della Falconeria, quello orientale e quello nordico: sebbene gli

studiosi concordino nel situare le origini di quest’arte in Asia, intorno al II millennio a.C., i primi contatti dei popoli

europei con la falconeria si devono probabilmente alle invasioni barbariche. Le tribù dei popoli germanici

praticavano infatti una sorta di rudimentale basso volo (tipo di caccia esercitata in zone boschive ed effettuata

storicamente con l’impiego di astori e sparvieri, grandi inseguitori, capaci di rincorrere la preda fra i rami degli alberi

riuscendo a raggiungerla e bloccarla con estrema rapidità), tecnica che ben si conciliava con le caratteristiche

geologiche delle terre da loro abitate.

Il reperto più antico che attesta l’esercizio dell’arte della falconeria è un bassorilievo rinvenuto tra le rovine della

città mesopotamica di Khorsabad, raffigurante un uomo con un falco in pugno e datato intorno al 1400 a.C.

Resti iconografici a tema falconario sono stati scoperti anche in Turchia ed in Cilicia: un bassorilievo recuperato

nelle rovine di Bogazkab rappresenta un falconiere con un rapace sul pugno destro, intento a sorreggere la lunga

con la mano sinistra (1300 a.C.); una stele ittita datata intorno al XIII sec. a.C. riproduce la figura dello scriba

Tarhunpiya bambino, che prende in mano i geti di un falcone posato sul suo blocco.

Altri reperti archeologici provengono dall’arte assira e da quella greca. Intorno al VI sec. d.C. viene trovato nella

cosiddetta “Villa del Falconiere” di Argos, nel Peloponneso, un mosaico raffigurante, con dovizia di dettagli, scene

di caccia col falcone. E’ forse questa la prima testimonianza dell’esercizio di quest’arte in Europa.

La prima metà del secolo VIII, segnata in Oriente dal califfato abbasside di Baghdad, rappresenta “l’età d’oro della

caccia al volo nel mondo islamico” (Trombetti Budriesi 2000: XXII). E’ durante questo periodo che si realizza la

stesura dei due primi e più significativi trattati di falconeria in lingua araba, punto di riferimento per gli studiosi di

cinegetica orientali e ispirazione degli scrittori occidentali nei secoli successivi. Il primo è il trattato di falconeria di

al-Ghitrīf ibn Qodāma al-Ghassānī, conosciuto in Occidente come Ghatrīf. Gran falconiere del decimo califfo

ommayade di Damasco, Hichām ibn ‘Abd el-Malik (724-743), e del primo califfo abbasside, elaborò la sua opera tra

il 783 e il 785. L’altra opera di considerevole importanza è il Kitāb al-mutawakkilī (Trattato di Falconeria) del famoso

medico Abou Zayd Hounayn ibn Ishāq al-‘Ibādī, conosciuto come il Moamin. La versione più fedele del trattato “è

contenuta nel Kitāb al-djawārih (Trattato sugli uccelli che cacciano al volo) dovuto ad al-Hadjdjādi ibn Khaythama,

compilato durante il califfato di Hāroun al-Rachīd (786-809)” (Trombetti Budriesi 2000: XXIII).

Nel 1116 viene realizzato quello che si considera il più antico ricamo arabo che si conosca in tutto il mondo: un

manto regale con medaglioni ricamati in seta ed oro recanti varie raffigurazioni, tra cui cavalieri e falconieri che

portano in pugno il loro rapace pronto alla caccia. Il tessuto, proveniente dalle manifatture arabo-ispane di Almería

e conservato attualmente nella sacrestia della Cattedrale di Fermo, è stato utilizzato per farne un paramento sacro

ed è noto come la “Casula di S. Tommaso Becket”. Fu proprio il santo martire inglese, secondo antiche fonti, a

donarlo al vescovo di Fermo, Presbitero, suo amico e compagno di studi all’Università di Bologna.

L’incontro tra le due tradizioni, quella orientale e quella occidentale durante il periodo delle crociate

produrrà una evoluzione tra le tecniche di caccia e di addestramento. Nella falconeria occidentale vi sarà

l’introduzione del cappuccio, scomparirà gradualmente la cigliatura, saranno perfezionate le tecniche di caccia, in

funzione delle differenti prede, e si sostanzierà un travaso di esperienze. Questo scambio sarà reso patrimonio

stabile da Federico II.

L’imperatore si preoccupò di riunire i migliori maestri dell’arte, provenissero anche dalla Terra Santa o dall’oriente,

presso la sua corte, proponendo un’esperienza culturale senza alcun possibile paragone nei periodi storici

successivi. Un centro di ricerca multietnico, professionale, produttivo di stimoli e spunti scientifici sviluppati nel “De

arte venandi cum avibus”.

Nell’ arco di tempo attraversato dalle crociate, ampio in verità, si codifica e si impone la differenziazione gerarchica

delle differenti specie di rapaci.

L’aneddoto dell’imperatore Federico II (novella XC del Novellino), costretto a giustiziare il suo falco preferito, un

girfalco, perché “avea morto lo suo signore”, un’aquila, è esemplificativo dell’impossibilità a perdonare il tradimento

del vassallo più alto in rango (il girfalco), verso l’imperatore (l’aquila). Non è casuale la scelta “del giustiziere”, il

boia, per la decapitazione del girfalco.

L’incontro delle due tradizioni non comporterà la loro fusione. Permarranno differenze metodologiche

notevoli, come l’utilizzo frequente delle albanelle nella falconeria mediorientale, che non saranno assimilate.

Il Quattrocento, secolo del Magnifico

La migliore interpretazione dell’arte della falconeria, durante il Quattrocento è legata alla figura di Lorenzo

il Magnifico. Grande nelle sue passioni, accorto politico, oggetto delle attenzioni non proprio benevole degli altri

signori dell’epoca, ha legato la sua figura alle grandi partite di caccia quattrocentesche, lasciando testimonianza di

questo suo interesse in un lungo ed impaziente carteggio intrattenuto con i nobili del tempo. Citiamo ad esempio

una lettera indirizzata al duca Ercole D’Este, il 9 gennaio 1482, in cui Lorenzo de’ Medici chiede con urgenza due

falchi “boni da aironi”. Il magnifico è anche inconsapevole argomento epistolare fra Angelo Poliziano e Clarice

Orsini, per la sua predilezione nei confronti di un pellegrino, pronto al richiamo del logoro.

Il signore di Firenze non costituisce un’eccezione nel panorama della penisola, il clima culturale e storico è l’humus

che nutrirà le grandi cacce del Cinquecento, ma è senza dubbio il più composto, il più solenne, e di maggior rilievo.

Le grandi cacce signorili del Cinquecento

In questo periodo si raggiunge “il vertice della grandiosità spettacolare”, citando Innamorati, poiché

confluiscono elementi di mondanità tipici delle feste a corte, e un gusto scenografico per i luoghi e le strategie di

caccia che mai più si ripeterà. E’ una dimostrazione di sfarzo, di ricchezza, ed un esercizio di gusto e sensibilità

individuale, che trova coinvolti tutti i maggiori personaggi del periodo. Leone X, gli Este, i Gonzaga, che gareggiano

per rendere tali cacce indimenticabili e oggetto di pettegolezzo e invidia nelle altri corti europee.

L’avvento delle armi da fuoco e il declino della Falconeria

Il declino della falconeria è direttamente collegato all’avvento e alla diffusione delle armi da fuoco, che

costituiscono nella caccia un mezzo più rapido e sicuro per assicurarsi risorse alimentari; quali concause,

possiamo menzionare la maggior estensione dei coltivi, l’accresciuta pressione demografica, e la diminuzione della

selvaggina. Fattori tecnici connessi ad uno culturale: in tutte le corti europee si costituiscono centri importanti di

allevamento e di addestramento, le cui fondamenta erano potenti ed esclusive scuole di allevatori. Questi ultimi,

costituiti in casta, difendevano con tutti i mezzi a loro disposizione i privilegi acquisiti, trasformando

l’addestramento in un prolungato e indefinito approccio di formazione per il falco, nel tentativo, riuscito, di rendersi

indispensabili. Queste considerazioni riportate nell’antologia di Giuliano Innamorati, lasciano intuire come la

rivoluzione delle armi da fuoco, abbia segnato il declino della tradizione falconaria, sclerotica, e incapace di

reinterpretarsi per sopravvivere. La comparsa di moschetti e pistole nel sec. XVI, unitamente agli altri fattori,

causerà una lenta asfissia e l’arte della falconeria perderà il suo splendore, per poi venir riscoperta secoli più tardi.

L’impronta del falconiere

Le polemiche e le accuse, fra le associazioni ambientaliste e le associazioni di falconeria sono

ancora lontane dalla conclusione, ed una prospettiva “terza”, il più possibile imparziale su tanta contesa,

valuta positivamente la strada sin qui percorsa. I falconieri non possono più essere tacciati di contrabbando,

il documento CITES, applicato, lo rende impossibile. Da ciò tutti hanno tratto vantaggio: depredare nidi

costituiva una condotta deprecabile, oltre che pericolosissima per le specie coinvolte. Oggi i centri di

riproduzione soddisfano la domanda del mercato, composto da soggetti che non si improvvisano esperti, ed

esemplari vincitori di competizioni assicurano linee di sangue molto apprezzate.

Il concetto di falconeria, nei suoi millenni di storia, ha naturalmente subito delle modificazioni. Al giorno

d’oggi i falconieri che praticano l’arte venatoria sono un numero esiguo rispetto al numero totale. Per i

falconieri disinteressati all’attività venatoria, l’esercizio al logoro, o al pugno, è il simulacro della caccia con il

loro compagno e se si obietta come “contra naturam” questa condotta, essendo i rapaci animali predatori

che cacciano per istinto, vale la pena ricordare che la consuetudine fra falco e uomo in Europa ha solo 1600

anni, ed è continua la ricerca di equilibri e interazioni migliori, ma le esperienze pregresse, rispetto ad

un’ipotetica perfezione, devono pur esser compiute. Il falconiere incappuccia il suo falco, ed è contento

dell’espressione del volo del suo pellegrino, o del suo lanario, o di entrambi, se privilegiato. La giornata è

conclusa, il carniere scarso, o vuoto. Non si può addebitare loro la dispersione nell’ambiente di tonnellate di

piombo, i pallini esplosi. L’impronta del falconiere, se espressa in queste modalità, è sull’ambiente

circostante leggera, e rispettosa della selezione naturale nel prelievo venatorio.

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© Isabella Oss Pinter 2009