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Questa pubblicazione è realizzata con il contributo di QC&I e SoCert Marzo Numero 3 Gruppi d’Acquisto: Solidali... sul Serio 2009 pag. 12 Il cosmetico: sveliamo il mistero pag. 8 Adriana Bucco: ora tocca alle donne pag. 6 Nuove regole per additivi, enzimi e aromi pag. 4 Per competere impariamo dalla Svezia pag. 2

La Scienza Della Qualità Marzo 09

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Page 1: La Scienza Della Qualità Marzo 09

Questa pubblicazione è realizzata con il contributo di QC&I e SoCert

MarzoNumero 3

Gruppi d’Acquisto:Solidali... sul Serio

2009

pag. 12

Il cosmetico:sveliamo il mistero pag. 8

Adriana Bucco:ora tocca

alle donne pag. 6

Nuove regoleper additivi,

enzimi e aromi pag. 4

Per competereimpariamo

dalla Svezia pag. 2

Page 2: La Scienza Della Qualità Marzo 09

Competere ai livelli bassi?Impariamo dalla Svezia

2marzo 2009

AAllbbeerrttoo BBeerrggaammaasscchhiiresponsabile comunicazione & marketing

QC&I International [email protected]

“NON POSSIAMO COMPETERE AI LIVELLI BASSI”

Questa frase, pronunciata da un funzionario delle

Pubblica Istruzione svedese all’interno di un servizio

che confrontava le nostre scuole e le loro, mi ha parti-

colarmente colpito. Non voglio parlare delle risultanze

dell’indagine (la comparazione sarebbe troppo imba-

razzante) ma della spiegazione data dal funzionario al

perché il governo svedese riversasse tante risorse per la

pubblica istruzione.

La risposta mi ha colpito, anche perché assolutamente in

linea con le idee che la newsletter La Scienza della

Qualità sta portando avanti sin dalla sua prima uscita:

cioè l’indispensabilità di alzare, per un paese evoluto, il

livello qualitativo della competizione per avere maggio-

ri probabilità di successo. La Svezia ritiene che la sua

popolazione scolastica debba essere preparata, in modo

ottimale, per poter formare dei tecnici che siano compe-

titivi negli alti livelli del mondo del lavoro. Benissimo,

anche l’Italia dovrebbe fare altrettanto, se non nell’am-

bito della scuola dove, ahimè, siamo agli ultimi posti in

Europa, almeno nel campo dove è già naturalmente ai

massimi livelli: la sua produzione agroalimentare.

IL TESTO UNIFICATO SULL’AGRICOLTURA BIOLOGICA

Alcune prime indicazioni positive in tal senso le ho tro-

vate nel testo unificato della Commissione per i disegni

di legge dal titolo: Nuove disposizioni per lo sviluppo e

la competitività della produzione agricola ed agroali-

mentare con metodo biologico. Questo testo ha iniziato

lo scorso 4 febbraio 2009 l’iter parlamentare di approva-

zione. Non volendo entrare in merito all’elencazione dei

molteplici e noiosi adempimenti degli operatori control-

lati e degli organismi controllanti, vorrei soprattutto

individuare alcuni punti focalizzanti del testo unificato.

Distretti, comprensori e protocolli di filiera

Il disegno di legge spinge il mondo agricolo verso la

creazione di zone geografiche vocate sia all’agricoltura

biologica, sia alla tutela e alla valorizzazione dei pro-

dotti tipici di qualità. Inoltre vuole premiare chi stipula

accordi di filiera per la produzione biologica.

Una delle conseguenze delle iniziative sopra indicate è

lo stimolo a raccogliere le forze per un’unica azione

comunicativa di marketing. In campo agroalimentare,

infatti, come in quello turistico, non è la singola azien-

da italiana ad essere di immagine per le “vendite”, ma

tutta la zona geografica per non dire l’intera nazione.

Inoltre, mettendo assieme le singole forze commerciali

e di immagine si ottiene una risultante che ha un

impatto sul mercato maggiormente amplificato.

La dimostrazione di quanto appena espresso è nel rite-

nere, sempre all’interno del testo unico, importante ed

efficace l’utilizzo di un marchio nazionale che possa

indicare che l’intera filiera si è sviluppata sul territorio

nazionale. Mi sembra evidente che, per poter suppor-

tare l’indicazione della provenienza territoriale, sia

indispensabile la raccolta e l’elaborazione di una note-

vole mole di dati, che possono essere utilizzati per una

attività capillare di marketing delle produzioni.

La globalizzazione delle peculiarità

Altro punto molto interessante è la volontà di conserva-

re e diffondere le risorse fitogenetiche degli agroecosi-

stemi locali. Nell’epoca della globalizzazione questo è

un segnale importante. Non appiattiamo le varietà in

una omogeneità indistinta, ma conserviamo le caratteri-

stiche peculiari della singola zona dandone una infor-

mazione globalizzata. Non è una differenza banale.

Davanti avete un ristorante con cucina particolare (tra-

dizionale o etnica) e un fast food. Decidete voi dove

entrare.

Page 3: La Scienza Della Qualità Marzo 09

La Scienza della qualità - Anno II, 2009 - numero 3Bimestrale informativo della società QC&I International Services

Direttore editoriale Alberto BergamaschiDirettore responsabile Guglielmo FrezzaCoordinamento Comitato scientifico Carmelo Bonarrigo

Alcune delle fotografie di questo numero sono state scat-tate nei laboratori dell’azienda Bio Leaves

Nuove regole per additivi, enzimi e aromi

pag. 4Diritto & alimentazione

Prodotti senza glutine:come leggere l’etichettatura

pag. 20Alimentazione speciale

La certificazione forestalee il sistema PECF

pag. 10Certificazione

Il prodotto cosmetico:un mistero da svelare

pag. 8Cosmetica biologica

3 marzo 2009

Editoriale

Solidali... sul SerioStoria di un GAS

pag. 12Dalla parte del consumatore

La nuova agricolturasi tinge di rosa:Adriana Bucco, presidenteColdiretti Donna Impresa

pag. 6Agricoltura

Volete richiedere l’abbonamentogratuito a “La Scienza della qualità”per voi o per un vostro conoscente?

Scriveteci a [email protected] oppure visitate il nostro blog http://qciblog.blogspot.com

Dalle pagine del sito è possibile con-sultare e scaricare in formato pdftutti i numeri della rivista, oltre aleggere gli articoli più interessanti.Da questo mese, inoltre, il blog diQCI si arricchisce anche di contribu-ti video dedicati all’esperienza diaziende, esperti, personalità delmondo dell’agricoltura biologica,della cosmetica, della certificazione.Il primo servizio on-line è dedicatoad Adriana Bucco, neo presidente diColdiretti Donna Impresa, perconoscere le strategie dell’associa-zione e approfondire i contenutidell’iniziativa italiana in sede euro-pea volta all’indicazione in etichet-ta dell’origine geografica deiprodotti.

Le confetture pag. 17Normativa

Obiettivo: garantireigienicità e salubrità

pag. 14

Page 4: La Scienza Della Qualità Marzo 09

AAvvvv.. SSeebbaassttiiaannoo RRiizzzziioolliiRicercatore di diritto dell’Unione Europea

Università di FerraraSDA Studio di Diritto [email protected]

zare, sottopone al Comitato permanente per la catena

alimentare e la salute degli animali (istituito dall’art.

58, reg. (CE) num. 178/02) un progetto di regolamento

per l’inserimento della sostanza nell’elenco comunita-

rio – istituito e aggiornato dalla Commissione e pubbli-

cato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea –

delle sostanze autorizzate. Si tratta del c.d. “elenco

positivo”, già adottato per aromi, additivi e coloranti:

solamente le sostanze inserite nell’elenco comunitario

possono essere utilizzate per l’alimentazione umana,

ed esclusivamente alle condizioni ivi fissate per ciascu-

na sostanza. L’elenco comunitario non è unico: ne

viene istituito ed aggiornato uno per ciascuna delle

legislazioni alimentari settoriali.

Peraltro, mentre il sistema dell’elenco positivo per gli

aromi e gli additivi è in vigore oramai da decenni, per

gli enzimi rappresenta una novità assoluta dato che tali

sostanze – eccettuati gli enzimi alimentari utilizzati

come additivi alimentari – non erano assoggettate a

regolamentazione comunitaria prima dei regg. (CE)

numm. 1331 e 1332/08. Questa circostanza rende parti-

colarmente gravoso per gli operatori del settore l’ade-

guamento alla disciplina in questione, soprattutto ove

si consideri che gli enzimi sono assoggettati anche a

stringenti norme in materia di etichettatura. Pertanto,

considerato che molti enzimi alimentari sono in com-

mercio da molto prima dell’entrata in vigore dei rego-

lamenti in questione,per tali sostanze il passaggio all’e-

lenco comunitario e alla nuova disciplina nel suo com-

plesso è graduale: è infatti previsto un periodo di due

anni decorrente dall’applicazione delle misure di attua-

zione del reg. (CE) num. 1331/08 (ad oggi non ancora

adottate) per consentire agli operatori alimentari inte-

ressati ad ottenere l’iscrizione di un enzima sull’elenco

comunitario di predisporre e inoltrare alla Commissione

le informazioni necessarie per la valutazione del rischio

delle sostanze già attualmente utilizzate; inoltre, le di-

sposizioni relative all’etichettatura degli enzimi si appli-

cano solamente a decorrere dal 20 gennaio 2010.

Con quattro recenti regolamenti pubblicati in

Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, il legi-

slatore comunitario ha “riscritto” le norme in

materia di additivi e aromi e disciplinato, per la prima

volta, gli enzimi destinati ad essere utilizzati nell’ali-

mentazione umana.

Più precisamente, con il reg. (CE) num. 1331/08 è stata

istituita una procedura comunitaria uniforme di valu-

tazione e autorizzazione all’immissione in commercio

di additivi, aromi ed enzimi alimentari; con i regg. (CE)

numm. 1332/08, 1333/08 e 1334/08 sono stati stabiliti le

condizioni ed i requisiti che permettono l’uso a fini ali-

mentari di, rispettivamente, enzimi, additivi e aromi.

Il sistema adottato dal legislatore comunitario prevede

che possano essere utilizzate nell’alimentazione

umana solamente le sostanze che, essendo conformi ai

requisiti fissati in ciascuna delle tre legislazioni setto-

riali, sono reputate sicure (in realtà, il reg. (CE) num.

1331/08 parla di “innocuità”) all’esito di una valutazio-

ne del rischio effettuata dall’Autorità europea per la

sicurezza alimentare e seguita da una misura di gestio-

ne del rischio da parte della Commissione europea.

In buona sostanza, ciascun interessato (può trattarsi di

una o più imprese alimentari, ovvero di uno Stato

membro) rivolge alla Commissione europea la richiesta

di autorizzazione all’uso alimentare di un aroma, un

enzima o un additivo. Questa trasmette quanto prima

la domanda all’Autorità europea per la sicurezza ali-

mentare e ne chiede il parere (peraltro, la valutazione

del rischio da parte dell’Autorità europea non è richie-

sta quando la sostanza in questione “non può avere

effetto sulla salute umana”). L’Autorità esprime il pro-

prio parere entro nove mesi e lo trasmette alla

Commissione europea, agli Stati membri ed eventual-

mente al richiedente. La procedura è pubblica e tra-

sparente, ma è tuttavia previsto che talune delle infor-

mazioni trasmesse dal richiedente siano oggetto di un

trattamento riservato al fine di tutelare il segreto indu-

striale e la posizione del richiedente nei confronti delle

imprese concorrenti.

Entro nove mesi seguenti dall’emanazione del parere

dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare

(ovvero dalla data di ricevimento della domanda, lad-

dove non sia richiesto il parere dell’Autorità), la

Commissione, se reputa sicura la sostanza da autoriz-

Nuove regole per additivi,enzimi e aromi

4marzo 2009

Page 5: La Scienza Della Qualità Marzo 09

5 marzo 2009

Diritto & Alimentazione

REGOLAMENTO (CE) N. 41/2009 DELLA COMMISSIONE del 20 gennaio 2009 relativo alla composizione e all’eti-chettatura dei prodotti alimentari adatti alle personeintolleranti al glutine.

L’industria alimentare ha elaborato una gamma di prodotti pre-sentatati come “senza glutine” (o con espressioni equivalenti).Davanti a questo fenomeno, la Comunità europea teme gli osta-coli che possono derivare alla libera circolazione sul mercatoeuropeo dalle diverse condizioni che le legislazioni nazionaliprevedono per l’uso di tali espressioni; e teme inoltre che diver-se legislazioni nazionali, oltre a ostacolare la circolazione com-merciale del prodotto, non garantiscono allo stesso modo unaelevata protezione per i consumatori. Ne è nata l’esigenza disci-plinare in modo unica per tutta la CE le condizioni per l’utilizzodei termini relativi all’assenza di glutine.

Procedura di infrazione contro l’Italia

Mentre la CE armonizza le disposizioni legislative degli Statimembri sulle indicazioni “senza glutine” e simili (v. la news pre-cedente), la Commissione europea segue la linea dura contro gliStati che non danno tempestiva attuazione alle norme comuni-tarie sugli allergeni. La Direttiva 2007/68/EC ha aggiornato (e non per la prima volta)l’Allegato III bis della direttiva etichettatura (2000/13/CE),aggiornando l’elenco degli ingredienti da indicare obbligatoria-mente in etichetta, in quanto contenenti allergeni, imponendoagli Stati europei di recepire il nuovo testo dell’elenco entro il31/05/2008. L’Italia, non avendo ancora provveduto, rischia ora una condan-na per infrazione dalla Corte di giustizia CE: il 29/01/2009 è infat-ti iniziata la seconda fase del procedimento di infrazione control’Italia, con l’invio di un “parere motivato” (atto previsto dalTrattato CE) che contesta al nostro Paese l’inadempimento deipropri obblighi derivanti dalla partecipazione alla Comunità.

DECISIONE DEL CONSIGLIO del 28 novembre 2008 relativa al nuovo accordo tra Comunità europea e Australia sul commercio del vino

Nuovo accordo fra UE e Australia firmato a Bruxelles, in sostitu-zione del precedente che risaliva al 1994, e che già vietava aiproduttori australiani l’uso di importanti denominazioni (tra lequali “Champagne”, “Porto”, “Sherry”) e alcune espressioni tra-dizionali (quali “Amontillado”, “Claret”, “Auslese”, ecc.).L’accordo di fine 2008 stabilisce date precise per la definitiva eli-minazione di questi nomi dal mercato australiano, e introduceun principio di reciprocità nella protezione delle rispettive indi-cazioni geografiche.

Libro Verde sulla qualità dei prodotti agricoliLa Commissione europea informa che al termine della pubblicaconsultazione sulla qualità dei prodotti agricoli, aperta con lapubblicazione del Libro Verde del 2008 sull’argomento, più di500 risposte e osservazioni risultano pervenute dagli stakehol-ders: produttori agricoli, operatori commerciali, associazioni rap-

presentative di interessi, autorità locali, consumatori, ONGambientaliste, e molte altre categorie di soggetti, sia dei 27 Statimembri della CE che di Paesi terzi. I contributi – osserva la Commissione – riflettono una vastagamma di punti di vista, tra l’altro sui pro e i contro di una eti-chettatura obbligatoria concernente il luogo di origine dellamateria prima agricola, il futuro delle indicazioni geografiche, elo sviluppo di forme di certificazione privata della qualità. IServizi della Commissione hanno cominciato l’analisi delle rispo-ste, e sono in corso di pubblicazione nel sito web dedicato allapolitica di qualità(http://ec.europa.eu/agriculture/quality/policy/opinions_en.htm).

Reg. CE n. 73/2009 del Consigliodel 19 gennaio 2009: Nuove norme generali su PAC, pagamento unico e altri regimi di sostegno

E’ stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europeadel 31/01/2009 il reg. n. 73/2009, con i quale sono state riordina-te, e in parte modificate, le norme sui regimi di sostegno direttoagli agricoltori nell’ambito della politica agricola comune, e isti-tuiti taluni regimi specifici di sostegno. Sono infine stati modificati – con lo stesso regolamento – i regg.n. 1290/2005, n. 247/2006 e n. 378/2007, ed è stato abrogato l’at-to fondamentale della riforma PAC del 2003: il reg. n. 1782/2003.Di particolare interesse, con riguardo agli aspetti inerenti la qua-lità dei prodotti, è l’art. 68, che prevede la possibilità per gli Statimembri di concedere – oltre al pagamento unico disaccoppiato,il quale rimane, con tutti i requisiti di condizionalità già noti –forme di sostegno specifico agli agricoltori, tra l’altro, per “spe-cifici tipi di agricoltura che sono importanti per la tutela o ilmiglioramento dell’ambiente”, per “il miglioramento della qua-lità dei prodotti agricoli”, e per “specifiche attività agricole checomportano benefici agroambientali aggiuntivi”.La tipologia di aiuto forse più interessante è la prima, sia per lapossibilità di farvi rientrare, ad esempio, la produzione biologi-ca, sia perché il regolamento non subordina tale facoltà degliStati membri ad alcuna condizione particolare. Non mancano di interesse, tuttavia, anche gli aiuti specifici che iPaesi europei potranno destinare al miglioramento della qualitàdei prodotti, aiuti erogabili, però, solo se si tratta di misurecoerenti con la disciplina delle DOP e IGP o delle STG (regg. nn.509 e 510 del 2006), con il reg. n. 834/2007 sulla produzione bio-logica, e con le norme di commercializzazione previste dal rego-lamento unico sulla organizzazione comune del mercato (reg.1234/2007). Quanto infine all’aiuto che può essere dato in vistadei possibili “benefici agroambientali aggiuntivi” di talune atti-vità agricole, si tratta del tipo di aiuto specifico regolato in modopiù restrittivo: per essere concedibile da parte degli Stati mem-bri esso deve limitarsi a coprire i costi supplementari effettiva-mente sostenuti e la perdita di reddito subita per conseguire l’o-biettivo prestabilito, e devono essere preventivamente approva-ti dalla Commissione.Entro il 1° agosto 2009, il 1° agosto 2010 o il 1° agosto 2011 gliStati membri potranno decidere di utilizzare (a partire dall’annosuccessivo a tale decisione) fino al 10% dei loro massimali nazio-nali di aiuti diretti.

Novità legislative A curaProf. Avv. Paolo BorghiStudio di Diritto Alimentare [email protected]

Page 6: La Scienza Della Qualità Marzo 09

La nuova agricolturasi tinge di rosa

6marzo 2009

GGuugglliieellmmoo FFrreezzzzaaGiornalista

[email protected] qualcuno ancora pensa all’agricoltura come

all’ultimo, inespugnabile fortilizio del maschili-

smo e della famiglia patriarcale, imperturbabile ai

cambiamenti sociali e del mercato, è ora che inizi a

rivedere le sue posizioni.

Non è solo questione di numeri, anche se le donne tito-

lari d’azienda rappresentano oggi un buon trenta per

cento del settore primario italiano e sono in costante

aumento in ogni regione d’Italia. Prima ancora che

nelle cifre, il rapido cambiamento è scritto nell’evolu-

zione che le donne hanno dato alle loro imprese asse-

condando gli stimoli offerti dalla legge di orientamen-

to.

“Se prendiamo un settore all’avanguardia come quello

dell’agricoltura biologica – spiega Adriana Bucco,

recentemente eletta alla guida di Coldiretti Donna

Impresa – la maggior parte delle aziende certificate è

già in mano a noi imprenditrici. Lo stesso dicasi per le

nuove opportunità che la legge ha offerto al nostro

settore: dall’agriturismo alle fattorie didattiche, dalla

fattoria sociale all’agriasilo che stiamo lanciando pro-

prio in questi mesi, tutto quel che di più innovativo si

sta muovendo in agricoltura ha una forte impronta

femminile. Forse, dico io, anche perché inventare il

cambiamento era l’unico modo possibile per ritagliarci

il nostro spazio in un mondo ancora decisamente

maschilista”.

Volessimo riassumere in un’unica cifra, potrem-

mo dire che la multifunzionalità è donna...

“Esatto, ed è un approccio al fare impresa che è forte-

mente radicato nella nostra mentalità. Non dimenti-

chiamoci che la donna da sempre gestisce un bilancio

familiare, collabora in azienda, segue la crescita dei

figli e accudisce gli anziani che rimangono in campa-

gna. Siamo abituate a giocare su più tavoli contempo-

raneamente, e la stessa filosofia trasferita in azienda

ha offerto a molte di noi la capacità di sopravvivere alle

crisi che periodicamente investono singoli settori.

Quote latte, mucca pazza, aviaria, concorrenza estera:

senza un approccio multifunzionale, e senza il piacere

di trasformare la casa dell’agricoltore in un luogo aper-

to al pubblico, una grossa fetta dell’agricoltura italiana

sarebbe già in ginocchio. Specie quelle piccole aziende

che sono la base storica di Coldiretti e che svolgono un

ruolo fondamentale di presidio del territorio”.

Basta la multifunzionalità per rimanere sul mer-

cato?

“A mio parere è fondamentale, ma certo da sola non

basta o comunque non basta per tutti. Oggi alle azien-

de è richiesto un grosso investimento in formazione,

per presidiare aree a cui fino a pochi anni fa si badava

ben poco. Marketing, packaging, strumenti innovativi

di vendita, internet, razionalizzazione del trasporto

merci sono tutti ingredienti essenziali per un imprendi-

tore. Se c’è la consapevolezza che il mercato italiano è

ormai saturo, dobbiamo anche renderci conto che per

aggredire nuovi mercati è indispensabile abbandonare

la nostra vecchia logica agricola chiusa e conservatrice.

Faccio solo un esempio per spiegare lo scenario che si

va dispiegando a livello internazionale. In Cina sta cre-

scendo la prima generazione di bambini che consuma

latte. I loro genitori non possiedono neppure gli enzi-

mi necessari a digerire il lattosio, ma nel giro di un paio

di generazioni un popolo di un miliardo e 300 milioni

di persone si presenterà sul mercato chiedendo latte,

yogurth, derivati. E naturalmente acqua, foraggio, ani-

mali. Cosa comporterà questo per il mercato, è persino

difficile da immaginare”.

Intanto una fascia benestante di cinesi, indiani,

arabi e via elencando guarda ai prodotti italiani

come a un sinonimo di qualità. Ma cosa vuol dire

per un imprenditore investire sulla qualità?

“Vuol dire affrontare il mercato con una marcia in più,

ma prima ancora vuol dire salvare la propria azienda in

un panorama segnato da una quantità di prodotti a

basso prezzo e da costi di produzione che in Italia sono

altissimi. In altre parole, per chi non vuol chiudere gli

occhi di fronte alla realtà oggi come oggi è una strada

obbligata”.

Il fatto è che non tutti hanno in tasca i petroldol-

lari degli arabi...

“E infatti qui si gioca una battaglia decisiva per il

nostro futuro: trovare forme di commercializzazione

Page 7: La Scienza Della Qualità Marzo 09

7 marzo 2009

che consentano di abbattere i costi di filiera, e accom-

pagnare i consumatori in un percorso culturale che

aumenti la loro consapevolezza in merito alle scelte ali-

mentari.

Come Coldiretti da anni stiamo promuovendo quello

che abbiamo definito un Patto con il consumatore,

basato sulla comunicazione e sulla responsabilità reci-

proca. Prenda l’esempio dei farmer’s markets che si

stanno diffondendo a macchia d’olio nelle città italia-

ne: se il prodotto è freschissimo, se arriva da quel terri-

torio, se viene proposto a un prezzo inferiore a quello

che si trova in negozio (ma superiore a quel che un

grossista paga all’agricoltore), ecco che attraverso la

spesa riusciamo a comunicare concetti come quelli di

filiera corta o di chilometri zero che consideriamo fon-

damentali. Per la salute delle persone, e per la salva-

guardia dell’ambiente”.

A patto che – e non sempre è successo – i costi

siano ragionevoli. Altrimenti si accorcia la filiera

ma il prezzo per il consumatore rimane lo stesso.

Al punto che l’inaugurazione di qualche farmer’s

market si è trasformata in un insuccesso, media-

tico e di clienti...

“C’è una mentalità da cambiare, e ne siamo consape-

voli. Il paradosso è che molti agricoltori si accontenta-

no delle briciole quando vendono ai grossisti, mentre

in piazza trovano giustificato vendere a peso d’oro in

nome della qualità.

Facciamo chiarezza una volta per tutte: non dobbiamo

scambiare la qualità con il furto. Se oggi all’agricoltore

rimangono in tasca 30 centesimi ogni euro di valore del

prodotto alla vendita, attraverso i farmer’s markets

possiamo sperare di incassarne 60, non certo 1 euro e

20. Senza un margine equo per i consumatori, l’intera

operazione perde di senso”.

Il prezzo però non è tutto, o non dovrebbe esser-

lo. Certo, se l’Europa non mettesse i bastoni tra

le ruote, sarebbe più facile spiegarlo ai consuma-

tori.

“Questa è l’altra faccia della medaglia, ed è uno dei

punti di maggiore attrito che in questo momento regi-

striamo a livello comunitario. Parole come rintracciabi-

lità e tracciabilità dell’origine sono per noi fondamen-

tali, esattamente come la multifunzionalità. Se voglia-

Agricoltura biologica

mo far crescere e sostenere un’agricoltura di qualità,

abbiamo bisogno anche di consumatori sempre più

consapevoli e attenti a quel che mangiano. Sappiamo

perfettamente che i nostri prodotti costano di più, ma

quel prezzo è giustificato da controlli rigorosissimi

lungo tutta la filiera che pochissimi altri paesi hanno.

Quello che chiediamo è che ogni produttore abbia

quantomeno la possibilità di indicare in etichetta i luo-

ghi di provenienza e di trasformazione dei prodotti.

Sarà poi il consumatore a scegliere se vuole mangiare

un grano che arriva dalla Turchia o un pomodoro della

Cina. Ma chi il grano lo produce in Italia sobbarcando-

si costi ben più alti deve poterlo comunicare ai suoi

clienti”.

Sa cosa rispondono a Bruxelles? Che per giustifi-

care tutta la pasta prodotta in Italia bisognereb-

be coltivare a grano l’intera penisola. E forse non

basterebbe nemmeno. Come la mettiamo?

“La mettiamo in maniera molto semplice. Sappiamo

tutti che la maggior parte delle aziende italiane indu-

striali non usa il nostro grano, e per quel che ci riguar-

da dovranno essere sempre in grado di farlo. Poi ci

sono tante aziende medio-piccole, magari a conduzio-

ne artigianale, che il grano continuano a produrlo o

acquistarlo in Italia. E’ a loro che noi pensiamo, e siamo

convinti che debbano avere la possibilità di raccontare

in etichetta al consumatore il perché di un prezzo più

alto.

Questa non è una trovata pubblicitaria del momento,

ma l’unica strada possibile per tutelare davvero la qua-

lità. Sarà poi il consumatore a scegliere in base ai suoi

gusti e alle sue convinzioni. Ma che almeno abbia tutti

gli elementi per farlo a ragion veduta”.

GGuuaarrddaa ll’’iinntteerrvviissttaa aaddAAddrriiaannaa BBuuccccoo ssuull ssiittoohhttttpp::////qqcciibblloogg..bbllooggssppoott..ccoomm

Page 8: La Scienza Della Qualità Marzo 09

Il prodotto cosmetico:un mistero da svelare

8marzo 2009

EElliissaa MMaaccccaaggnniiChimico - Esperta di prodotti cosmetici

[email protected] consumatore attento è facile capire, assag-

giandolo, la qualità organolettica di un ali-

mento e anche comprendere in modo suffi-

cientemente agevole, leggendo l’etichetta, che cosa

contiene; riuscendo persino a decifrare i misteriosi

ingredienti contrassegnati dalla lettera “E”.

Orientarsi nel mondo dei cosmetici, invece, è molto più

difficile ed anche a un consumatore attento ed evoluto

può risultare complicato comprendere la buona quali-

tà di un prodotto cosmetico: che cosa contiene e se sta

utilizzando effettivamente un prodotto “naturale”

oppure totalmente “chimico”.

Per addentrarci nel modo affascinante della cosmetica,

cerchiamo di capire com’è fatto un prodotto cosmetico,

come viene presentato e, soprattutto, come possiamo

decifrare gli ingredienti contenuti, ovvero il mistero dei

codici INCI.

Tutto questo tenendo ben presente che la produzione

e commercializzazione dei cosmetici nella UE è regola-

ta dalla Direttiva 76/768/CEE, recepita in Italia dalla

L. 713/86 e successivi aggiornamenti.

COMINCIAMO A SVELARE IL MISTERO

Generalmente un cosmetico è formato da tre categorie

di materie prime: gli eccipienti, i principi funzionali e

gli additivi.

Gli eccipienti, detti anche sostanze di base, sono costi-

tuiti da un insieme di sostanze che costituiscono l’im-

palcatura del cosmetico. La scelta degli eccipienti

dipende dal tipo di cosmetico che vogliamo formulare:

un tonico sarà composto di acqua o da solventi liquidi,

mentre una crema sarà composta da acqua e sostanze

grasse o siliconiche.

Gli additivi sono delle sostanze che vengono additiva-

te al prodotto cosmetico per eliminare o migliorarne le

qualità organolettiche (colore, odore, texture…) oppu-

re la conservazione, la tecnica di fabbricazione e altro.

Sono considerati additivi i conservanti, i profumi, i

coloranti, gli antiossidanti…

I principi funzionali sono quelle materie prime dalle

quali dipende l’azione cosmetica vera e propria.

Ad esempio, in una crema antiage i principi funzionali

saranno una serie di materie prime che rallentano l’in-

vecchiamento cutaneo, come ad esempio, la vitamina

E, alcuni enzimi o altro. Non è sempre, però, possibile

fare una distinzione netta tra queste tre macrocatego-

rie. Un ombretto, per esempio, è costituito da un insie-

me di polveri e coloranti tenuti insieme da oli leganti:

nessuna di queste sostanze può essere considerata un

principio attivo, ma l’ombretto funziona benissimo!

CONTINUIAMO A SVELARE IL MISTERO:

L’ETICHETTATURA E IL CODICE INCI

Indipendentemente dal tipo di cosmetico, la legge

713/86 fornisce disposizioni precise sull’etichettatura.

L’articolo 8 prevede, infatti, che su un’etichetta di un

cosmetico debbano essere riportate le seguenti diciture:

1) Responsabile immissione sul mercato del prodotto;

2) Contenuto nominale;

3) Data di scadenza. Tale indicazione è obbligatoria

solo se il prodotto integro ha una durata inferiore ai

30 mesi. Se invece ha una durata superiore ai 30

mesi è obbligatoria l’indicazione del PAO (Period

After Opening): ovvero l’indicazione della durata

del prodotto una volta aperto. Il PAO è indicato

mediante un simbolo;

4) Precauzioni o avvertenze, se necessario, previste per

l’utilizzazione corretta del prodotto;

5) Il numero del lotto;

6) Il Paese di origine per i prodotti fabbricati in Paesi

non membri della UE;

7) La funzione del prodotto (se necessaria);

8) L’elenco degli ingredienti.

Page 9: La Scienza Della Qualità Marzo 09

9 marzo 2009

Gli ingredienti devono essere riportati in ordine

decrescente di peso (sotto l’1% possono essere ripor-

tati in ordine sparso) e devono essere dichiarati con la

nomenclatura comune prevista dall’inventario europeo

degli ingredienti cosmetici, ovvero il “famoso” INCI

(International Nomenclature Cosmetic Ingredients).

Tale “vocabolario” è stato instituito con la Decisione

96/335/CEE e modificato dalla Decisione 2006/257/CE.

Bisogna porre l’accento sul fatto che l’inventario degli

ingredienti è puramente indicativo, e non costituisce

una lista di sostanze autorizzate o vietate per l’uso nei

prodotti cosmetici.

La nomenclatura INCI è una terminologia convenziona-

le che si basa, in linea di massima, sui seguenti principi:

- i nomi degli ingredienti chimici sono indicati in

inglese

- i nomi degli ingredienti naturali sono in latino, con

l’indicazione, per gli ingredienti vegetali della parte

di pianta in inglese

- i coloranti sono indicati, quasi tutti, con il numero di

Colour Index (CI)

Così, ad esempio, la cera d’api sarà indicata come

“Synthetic beeswax” se di origine sintetica e come

“Cera alba” se di origine naturale.

Riuscendo a decifrare il linguaggio INCI è possibile

avere una radiografia del cosmetico, capendo

quali materie prime sono state adoperate per la

sua realizzazione.

La Decisione 2006/257/CE, oltre a riportare il nome INCI

di un ingrediente, fa riferimento alle funzioni per le

quali questo viene di norma utilizzato nei prodotti

cosmetici.

Alcuni esempi di funzioni possono essere: AGENTE

TAMPONE (Stabilizza il pH dei cosmetici), CONSERVAN-

TE (Impedisce, prevalentemente, lo sviluppo di micror-

ganismi nel cosmetico). Tutti i conservanti elencati sono

sostanze che figurano nella lista positiva dei conser-

vanti (Allegato VI della direttiva Cosmetici).

Ed è proprio basandosi sulle categorie funzionali delle

materie prime che cominceremo, dal prossimo numero,

il nostro percorso di approfondimento per cercare di

decifrare i codici INCI e riuscire, in questo modo, ad

arrivare alla finalità della rivista: comunicare la qua-

lità reale.

Cosmetica

Data di scadenza

Per i prodotti cosmetici NON è sempre obbligatorio

indicare sulla confezione la data di scadenza.

Infatti, la L. 713/86, articolo 8, comma 1c, stabilisce che:

“la data di durata minima del prodotto cosmetico, che

corrisponde a quella alla quale tale prodotto, opportu-

namente conservato, continua a soddisfare la sua fun-

zione iniziale e rimane in particolare conforme alle dis-

posizioni di cui al comma 1 dell’articolo 7. […]

L’indicazione della data di durata minima non è obbli-

gatoria per i prodotti cosmetici che abbiano una dura-

ta minima superiore ai 30 mesi”.

Ovvero il legislatore ci dice che, se su un prodotto

cosmetico non troviamo la data di scadenza, tale pro-

dotto ci viene garantito, se conservato in maniera ido-

nea, per almeno 30 mesi.

La data di scadenza fa riferimento sia ad un possibile

rischio derivante dall’uso del prodotto che ad una per-

dita di funzionalità del prodotto stesso.

Data di produzione

La data di produzione è la data nella quale un articolo

viene prodotto. Per i prodotti cosmetici NON è obbli-

gatorio riportare tale indicazione.

PAO

PAO: Period After Opening.

Il PAO indica “… periodo di tempo in cui il prodotto,

una volta aperto, può essere utilizzato senza effetti

nocivi per il consumatore.”

Il PAO viene indicato tramite il simbolo sopra riportato

seguito dal’indicazione del numero di mesi.

Il PAO fa riferimento solo al possibile rischio derivante

dall’uso del prodotto e non alla perdita di funzionalità.

L’indicazione del PAO è obbligatoria, a parte poche

eccezioni, per tutti i prodotti aventi una durata minima

superiore ai 30 mesi.

Nota bene

Page 10: La Scienza Della Qualità Marzo 09

PPaaoolloo BBeerrttaazzzzoo,ANCCP srl

[email protected]

(per gentile concessione PUNTO CE)

Pertanto un primo tipo di certificazione, quello della

gestione forestale, riguarda il fatto che una proprietà

forestale venga gestita secondo criteri di sostenibilità.

Il legname che viene prodotto viene marchiato ed è

quindi commercializzato come da proveniente da

boschi gestiti in modo sostenibile.

Il legname proveniente da foreste certificate per la cor-

retta gestione forestale, deve poi poter essere rintrac-

ciabile nelle varie fasi delle successive lavorazioni sino

al prodotto finito.

Questo secondo tipo di certificazione viene denomina-

to catena di rintracciabilità – chain of custody.

La convenienza della certificazione forestale per un

proprietario o per un azienda di lavorazione del legno

consta in considerazioni di natura economica connesse

alla preferenza accordata dal consumatore al prodotto

certificato. Pertanto rappresenta quindi un utile stru-

mento di marketing, un’opportunità di ufficializzare

l’impegno imprenditoriale verso l’ambiente, e al tempo

stesso un impegno per la promozione di una gestione

oculata e corretta di boschi.

Il sistema PEFC permette di certificare:

1) la sostenibilità della gestione dei boschi;

2) la rintracciabilità dei prodotti legnosi commercializ-

zati e trasformati che provengono da boschi certifi-

cati PEFC

I documenti di riferimenti per la certificazione foresta-

le PEFC Italia sono i seguenti:

ITA 1000

Descrizione dello schema PEFC Italia di certificazione

della Gestione Forestale Sostenibile

ITA 1001-1

Criteri ed indicatori per la certificazione individuale e

di gruppo di GFS

ITA 1001-2

Criteri ed indicatori complementari per la certificazio-

ne regionale di GFS

Il sistema PEFC è un’iniziativa volontaria basata su

una larga intesa delle parti interessate all’implemen-

tazione della gestione forestale sostenibile a livello

nazionale e regionale dal mondo della proprietà al

mondo ambientalista, dal mondo dell’industria del

legno al consumatore finale.

Il PEFC Italia è un’associazione senza fini di lucro che

costituisce l’organo di governo nazionale del sistema di

certificazione PEFC – Programme for Endorsement of

Forest Certification schemes -. Partecipano ad oggi allo

sviluppo del PECF Italia 41 soci in continuo aumento

tra rappresentanti dei proprietari forestali, consumato-

ri, degli utilizzatori, dei liberi professionisti, delle

amministrazioni, delle cooperative e dal mondo del-

l’industria e dell’artigianato del legno.

Tra gli obiettivi principali del PEFC vi sono quelli di rag-

giungere e migliorare l’immagine della selvicoltura e

della filiera foresta – legno, fornendo uno strumento

che consenta di commercializzare legno e prodotti del

bosco derivanti da foreste gestite in modo sostenibile.

Per certificazione della gestione forestale si intende

una procedura di verifica riconosciuta che conduca

all’emissione, da parte di un organismo di terza parte

indipendente, di un certificato che attesti che le forme

di gestione boschiva rispondono a determinati criteri e

requisiti di sostenibilità.

Criteri e requisiti che per la fase di certificazione fore-

stale sostenibile GFS sono indicati e valutati nel riferi-

mento normativo PEFC Italia denominato ITA 1001-1.

Lo schema di certificazione forestale PEFC in Europa è

fondato su tre principi fondamentali:

- il rispetto dei criteri e degli indicatori definiti nelle

Conferenze Ministeriali per la protezione delle fore-

ste in Europa che hanno dato via al cosiddetto

Processo pan-europeo;

- l’applicazione a livello regionale o di gruppo (anche

se è possibile un’adesione individuale);

- i controlli di conformità e la certificazione affidate a una

terza parte indipendente, riconosciuta e accreditata.

La certificazione forestale è richiesta per l’esigenza dei

consumatori di poter disporre sui mercati di prodotti a

base di legno proveniente da boschi gestiti in maniera

corretta e sostenibile, sia da in punto di vista ecologico

che economico e sociale.

La certificazione forestalee il sistema PECF

10marzo 2009

Page 11: La Scienza Della Qualità Marzo 09

ITA 1002

Schema di certificazione della Catena di Custodia

dei prodotti di origine forestale

ITA 1003

Accreditamento ODC e qualificazione Personale

di Audit GFS E COC

ITA 1004

Schema di certificazione PEFC per la Pioppicoltura

ITA 1004-1

Criteri e indicatori di certificazione PEFC

per la pioppicoltura

Riassumendo la certificazione forestale è una dichiara-

zione con la quale una terza parte indipendente verifi-

ca ed attesta che un sistema produttivo, un prodotto o

un servizio è conforme ai requisiti (o standard) di una

norma o una regola tecnica.

Gli standard, ossia i criteri e gli indicatori che vengono

utilizzati nel processo di certificazione, variano a secon-

da del sistema prescelto. Alcuni schemi di certificazione

prevedono il rilascio di un logo sul prodotto e/o sui

documenti ad esso relativi.

La certificazione di qualità può seguire un approccio:

1) ‘di sistema’ quando si verifica l’adozione da parte

dell’azienda di un processo produttivo e di un’orga-

nizzazione gestionale che preveda il miglioramento

continuo delle prestazioni nel tempo. Gli obiettivi

da raggiungere e gli strumenti attuativi sono scelti

dall’azienda stessa nell’ambito di una norma di rife-

rimento (ad es. ISO 9000);

2) basata sulla performance (o prestazione) quando si

accerta l’adozione ed il rispetto, da parte dell’azien-

da, di un insieme di standard di validità generale

misurati e monitorati nel tempo secondo parametri

quantitativi o descrittivi. Gli obiettivi da raggiunge-

re, così come gli standard di riferimento, sono pre-

definiti e applicabili a tutte le aziende del settore,

indipendentemente dalle loro dimensioni. La tipolo-

gia degli standard utilizzati nel processo di certifica-

zione ed il numero degli indicatori di monitoraggio

variano a seconda dello schema prescelto.

Nel settore forestale la certificazione permette alle

aziende di attestare la propria conformità a principi e

criteri di gestione, utilizzazione e trasformazione soste-

nibile delle risorse legnose.

E’ quindi definita come uno strumento di mercato che

ha lo scopo di sensibilizzare e fornire incentivi sia al

11 marzo 2009

Certificazione

produttore che al consumatore per l’uso sostenibile

delle foreste. In altri termini, è un valore aggiunto che

può facilitare il commercio e aumentare la redditività

del prodotto o servizio offerto. La certificazione fore-

stale può distinguersi sulla base della valutazione di

conformità della:

1) gestione forestale, dalla fase di pianificazione all’e-

sbosco e accatastamento

2) rintracciabilità dei prodotti o tracciabilità di filiera

(anche denominata “catena di custodia” o chain of

custody). In questo caso il certificato e il logo sul

prodotto attestano che un certo contenuto in

legno, oppure l’intero prodotto, proviene da fore-

ste gestite in modo sostenibile. La catena di custo-

dia è valida solo se ogni azienda della filiera di lavo-

razione e trasformazione impiega materiale legno-

so certificato di cui sono note la provenienza e la

gestione. A ogni stadio della catena di lavorazione

e trasformazione deve essere quindi possibile rin-

tracciare la provenienza del prodotto tramite un

codice identificativo dell’azienda.

La certificazione si differenzia anche in base ai sogget-

ti che vengono certificati e può essere:

1) aziendale (o individuale), quando si rivolge a sin-

gole aziende, siano esse proprietà forestali o indu-

strie di trasformazione e lavorazione del legno;

2) di gruppo, quando comprende gruppi di aziende

dello stesso tipo (ad es. industrie di pannelli) o di

proprietà consorziate che condividono il sistema

gestionale e amministrativo;

3) regionale, intendendo per ‘regione’ una porzione

di territorio non necessariamente coincidente con la

regione amministrativa e che comprende soggetti di

natura diversa (es. proprietari, industrie di trasfor-

mazione, consorzi, pubblica amministrazione, rap-

presentanti di categoria).

In Italia, come in Europa e nel resto del mondo la certi-

ficazione forestale si sta diffondendo sempre più a

tutela e per conto del consumatore.

Bibliografia: Pecf Ialia – www.pefc.it

Page 12: La Scienza Della Qualità Marzo 09

GGuugglliieellmmoo FFrreezzzzaaGiornalista

[email protected]

mondo, è un modo di pensare e di agire che va appli-

cato concretamente nella nostra vita quotidiana”.

Faccia un esempio.

“Mi interessa stabilire relazioni con i piccoli produttori

del mio territorio, per dare occasioni di sviluppo a un’e-

conomia ingiustamente considerata marginale, in cui le

persone mettono la loro faccia e la loro storia, non solo

la notorietà del marchio. Mi interessa sapere nel detta-

glio come si produce, a partire dalle condizioni di lavo-

ro del personale. E mi interessa sapere se quell’azienda

svolge anche quel ruolo di presidio e tutela dell’am-

biente che per secoli è stato parte integrante dell’e-

sperienza agricola”.

Non le basta che un prodotto sia certificato bio-

logico, per sentirsi garantito?

“Non mi basta no, e questo è il punto più delicato su

cui come Gruppi d’Acquisto cerchiamo di lavorare

innanzitutto a livello culturale. Cosa ne so di un pro-

dotto biologico che viene dalla Cina, a parte il fatto che

ha percorso migliaia di chilometri in un aereo o in una

nave cargo? In realtà l’esperienza quotidiana ci dice

che il consumatore non è pienamente tutelato a livello

di informazioni. Nemmeno la certificazione più rigoro-

sa mi consente oggi di capire chi davvero è impegnato

In Italia ormai sono più di cinquecento. C’è chi aggre-

ga le famiglie di un condominio e chi è arrivato a

contare centinaia di soci; chi è nato come naturale

evoluzione di esperienze associative o di consumo criti-

co e chi, più semplicemente, dal desiderio di portare in

tavola alimenti di qualità senza rimanere ostaggio dei

volantini con le offerte settimanali che la grande distri-

buzione recapita in ogni cassetta delle lettere.

Eterogenei, informali, profondamente radicati nel ter-

ritorio e gelosi della propria indipendenza al punto di

non aver mai voluto costituire un’associazione a livello

nazionale, i GAS (Gruppi d’Acquisto Solidale) sono uno

dei fenomeni più interessanti che hanno preso piede

negli ultimi anni. E pian piano stanno assumendo con

la forza dei numeri e delle idee una dimensione non

più trascurabile nemmeno dal punto di vista economi-

co. Alla faccia di chi troppo presto avrebbe voluto liqui-

dare la loro esperienza come un marginale mix di uto-

pia e solidarismo.

“In realtà – racconta Daniele Cannistrà, uno dei padri

del GAS Sul Serio di Crema – oggi sono i grandi gruppi

italiani del settore biologico che si stanno impegnando

a studiare le dinamiche dei Gruppi d’Acquisto per arri-

vare a proporre i loro prodotti. Questo vuol dire che

hanno intravisto un mercato potenzialmente interes-

sante, specie in un momento di contrazione dei consu-

mi. Anche se forse non hanno colto appieno le motiva-

zioni che stanno alla base della nostra esperienza”.

Sarebbe a dire? Se con la forza dei numeri riusci-

te a ottenere prezzi scontati, e oltretutto su pro-

dotti biologici, cosa volete di più?

“Attenzione, perché rischiamo di ficcarci in un equivo-

co da cui poi non si esce più. Siamo una realtà etero-

genea, senza alcuna organizzazione a dettare le linee

guida, e quindi non escludo che in Italia possano esser-

ci anche Gruppi d’Acquisto la cui unica finalità è quel-

la di ottenere prodotti di qualità a prezzi accettabili.

Ma credo che siano una minoranza, e nemmeno i più

interessanti dal punto di vista dei numeri. In realtà, io

sono convinto che la vera forza dei Gruppi d’Acquisto

sia un’altra: proporsi come esempio concreto e realiz-

zato di un modello alternativo alle logiche puramente

capitalistiche del commercio. E questo non è solo un

problema di tutela dei contadini poveri del Sud del

Solidali... sul Serio

12marzo 2009

Page 13: La Scienza Della Qualità Marzo 09

sul fronte della qualità o del rispetto delle norme eti-

che, che per noi sono discriminanti. Servono altri crite-

ri, magari non obbligatori ma che consentano di

accompagnare i prodotti con una sorta di scheda di

autoreferenza che aumenti le informazioni rivolte al

consumatore. Oppure, come i Gruppi d’Acquisto hanno

fatto finora recuperando lo spirito originale dell’agri-

coltura biologica, questo problema va risolto attraver-

so il rapporto diretto e la conoscenza tra produttore e

consumatore. Da solo non puoi farlo, in gruppo sì”.

Detto fra noi, sono tutte cose belle ma che costa-

no. E poi chi le ripaga le aziende?

“Le ripaghiamo noi, ed è per questo che ritengo sba-

gliato considerare i Gruppi d’Acquisto semplicemente

una scorciatoia per risparmiare. Noi acquistiamo le

arance in Sicilia, e quest’anno abbiamo già stabilito il

prezzo che pagheremo l’anno prossimo. Magari così le

paghiamo più di quel che non ci costerebbero tra dodi-

ci mesi, ma intanto quel produttore ha la certezza di un

reddito”.

Se è per questo lo fa anche la Grande distribuzione...

“No. La distribuzione tradizionale cerca anche il pro-

dotto di buona qualità, in regola con tutte le certifica-

zioni... purché però costi poco. E i suoi volumi sono tali

da rendere i piccoli produttori ostaggio di strategie

commerciali in cui non hanno voce in capitolo, indifesi

di fronte a un abbassamento improvviso dei prezzi.

I Gruppi d’Acquisto possono invece essere un concreto

canale alternativo, in cui il prezzo di vendita incorpora

anche quel valore aggiunto determinato dall’etica,

dalla tutela ambientale, dal valore sociale che un’im-

presa sa esprimere. E questo, per i produttori da un

lato e i consumatori dall’altro, è un autentico circuito

virtuoso.

Insomma, volete cambiare il mondo.

“Ci basta costruire un modello di sviluppo alternativo,

unendo un lavoro culturale a lungo termine con la

quotidianità delle scelte concrete. Quale che sia la sto-

ria di ciascuno, alla base dei Gruppi d’Acquisto ci sono

sempre le famiglie intese come primo nucleo sociale.

Da lì è possibile disegnare nuclei allargati, che conser-

vino quell’aspetto solidale e accogliente che è al fondo

dell’esperienza familiare.

GAS significa Gruppo d’Acquisto Solidale: al suo inter-

no, nella logica dell’aiuto e della reciprocità; al suo

esterno, offrendo ai produttori nuovi percorsi di svi-

luppo economico.

Cambiare il mondo? Facciamo la nostra parte”.

13 marzo 2009

Dalla parte del consumatore

Il Gas cremasco si è costituito nel dicembre del 2000 con

un gruppo iniziale di una decina di famiglie che da

qualche anno aderivano alla campagna nazionale

Bilanci di Giustizia, una delle prime iniziative nate nel

mondo dell’associazionismo cattolico per aiutare la ri-

flessione critica sull’uso del denaro e sugli acquisti.

Da allora si è andato via via ampliando arrivando a con-

tare attualmente circa 100 famiglie aderenti, a cui

vanno aggiunte anche le famiglie che non si segnalano

direttamente ma si appoggiano ad amici o parenti che

fanno parte del gruppo.

Parallelamente alla crescita delle adesioni, il gruppo si

è anche irrobustito dal punto di vista giuridico, e dal-

l’aprile 2007 si è costituito in associazione prendendo

la nuova denominazione di “GAS sul Serio”, con un

efficace gioco di parole che unisce il nome del fiume

della città alla forte consapevolezza etica dei soci.

L’attività del gruppo è scandita in due momenti essen-

ziali: l’acquisto collettivo di prodotti, curato da alcuni

membri del gruppo; l’incontro periodico (3-4 volte l’an-

no) per approfondire argomenti di comune interesse,

riflettere sulle tematiche etiche e concordare le linee di

azione del gruppo. Un impegno culturale che è stato

recentemente ripreso e incrementato, come indispen-

sabile corollario degli acquisti.

Attualmente sono una ventina i piccoli produttori da

cui il GAS si serve, per la stragrande maggioranza

aziende dei territori limitrofi con una vasta gamma di

prodotti che spazia dal riso ai detergenti ecologici.

A differenza di altri GAS, a Crema non esiste un magaz-

zino comune del gruppo. Ciascun aderente, a

rotazione, si fa carico di tenere i contatti con un forni-

tore, ricevere i prodotti a casa propria e organizzare la

consegna alle famiglie. Una scelta che contribuisce a

tenere bassi i costi, ma soprattutto aiuta ad appro-

fondire il rapporto diretto tra le persone che è alla base

dell’esperienza dei Gruppi d’Acquisto Solidali.

Dieci anni di storiain riva al Serio

Page 14: La Scienza Della Qualità Marzo 09

SStteeffaannoo CCaassttiiggnnaannii,PEGASO management

[email protected]

re alimentare garantiscano sistemi di conduzione igie-

nica delle attività e di tempestiva risposta ad eventuali

allarmi di sicurezza alimentare. Proprio da tali necessi-

tà si è partiti per avviare il progetto COAL:

1) Si è proceduto ad una prima indagine di valutazione

dell’effettivo grado di applicazione e approfondi-

mento della normativa cogente, mediante apposite

verifiche preliminari che hanno coinvolto tutta la

base associativa, condotte dagli Assistente Rete, per-

sonale COAL che vive quotidianamente il territorio

affiancando il singolo punto vendita.

2) Sulla base dei dati raccolti si è sviluppato un capito-

lato tecnico di servizio da trasferire a tutta la base

sociale.

Parallelamente si sono pianificati interventi di forma-

zione degli addetti alle attività alimentari, organizzan-

do corsi di formazione e rendendoli fruibili a tutti i soci

nel territorio di propria appartenenza. I corsi, allineati

alle regole regionali (in applicazione agli accordi Stato-

Regioni che prevedono che la singola amministrazione

regionale legiferi in merito a modalità e contenuti di

formazione degli addetti alimentaristi), prevedono,

oltre ai contenuti obbligatori, aspetti riferibili alla

gestione specifica di attività di vendita di prodotti ali-

mentari. L’assistenza agli operatori anche mediante

interventi formativi finalizzati a costruire consapevo-

lezza è stata considerata una base di rilevante impor-

tanza per lo sviluppo delle attività a seguire: il proget-

to vuole rappresentare un effettivo sistema di garan-

zia, che dovrà essere gestito da operatori sufficiente-

mente formati che rendano operativo nel quotidiano il

sistema implementato.

I punti vendita, in relazione all’organizzazione della

COAL si differenziano, anche sostanzialmente, l’uno

dall’altro. Alcuni sono maxi supermercati che hanno

Nel precedente numero abbiamo presentato il

progetto “Una Rete di Qualità del Servizio con

al centro il consumatore”. Il progetto, articola-

to in molteplici fasi, è stato avviato dalla nostra orga-

nizzazione con uno dei protagonisti della Distribuzione

Organizzata del Centro Italia fin dagli anni ’60.

La COAL Soc. Coop. a r.l. (www.coal.it), indissolubil-

mente legata al territorio e quindi più che mai vicina

alle esigenze dei consumatori, ha trovato nella forza

della cooperazione (circa 400 punti vendita associati o

affiliati) una risposta concreta ed efficace, una formu-

lazione organizzativa che permette di salvaguardare

quel prezioso patrimonio di fiducia e rapporto perso-

nale che lega il consumatore al suo punto vendita.

Consci dell’importanza di garantire un servizio impec-

cabile, lavorazioni controllate dal punto di vista igieni-

co-sanitario, il corretto mantenimento dei prodotti ali-

mentari alle idonee temperature e condizioni di stoc-

caggio, COAL ha definito, unitamente alla nostra orga-

nizzazione professionale, un percorso che punti al per-

fezionamento di uno standard di servizio altamente

qualitativo, per costruire un Marchio unico, che sia sin-

tesi di servizio al consumatore, qualità di lavorazioni e

prodotti: “il Sorriso della Qualità”.

Questo progetto, sicuramente ambizioso e innovativo

per il settore, se da una parte promette sicuri vantaggi

relativamente al posizionamento ed all’affidabilità di

COAL, presenta al tempo stesso alcune criticità gestio-

nali legate alla “sovranità” del singolo socio. In questa

ottica si giustifica la “cautela” operativa con cui si è

mossa la Direzione COAL, abbinata a un piano di pro-

getto con tempistiche “non stringenti” per permettere

e facilitare al proprio contesto cooperativo l’avvicina-

mento al progetto.

Un primo passo necessario è stato identificato con l’op-

portunità di verificare e allineare la gestione del singo-

lo Punto Vendita dal punto di vista della tutela norma-

tiva, per garantire il consumatore in due aspetti impre-

scindibili: igienicità delle lavorazioni e salubrità degli

alimenti e delle bevande.

La normativa europea, articolata in molteplici regola-

menti (con in testa il “Libro Bianco” – Reg. CE 178/2002

e il cosiddetto “Pacchetto Igiene” – Reg.ti CE 852-853 e

854 del 2004), prevede che tutti gli operatori del setto-

Primo obiettivo: garantire standard di igienicità e salubrità

14marzo 2009

Page 15: La Scienza Della Qualità Marzo 09

servizi completi per quanto concerne l’alimentazione

(il libero servizio, la gastronomia, macellerie e pesche-

rie, reparti frutta e verdura e panetteria interna, senza

escludere aree di specificità territoriali e surgelati con-

fezionati o a libero servizio), altri sono negozi di vici-

nato specializzati.

Il capitolato quindi doveva garantire interventi specifi-

ci per il singolo punto vendita che permettessero di

valorizzare le sue peculiarità, garantendo al tempo

stesso che tutte le attività svolte fossero regolamenta-

te secondo buone pratiche di lavorazione, attraverso

attente analisi dei rischi e con sistemi di controllo dei

punti ritenuti critici (metodologia HACCP).

Sono previsti quindi check e verifiche specifiche in tutti

i punti vendita, con l’obiettivo di verificare effettive

attività svolte, modalità operative di conduzione dei

processi e strutturazione delle aree e dei locali.

CHECK E VERIFICHE A TUTELA DELLA QUALITA’

Il check di analisi rappresenta anche un momento di

verifica, condotto da personale qualificato della nostra

oranizzazione (biologi, tecnologi alimentari, con spe-

cializzazione ed esperienza consolidata in ambiti di

autocontrollo alimentare), che permette di effettuare

una fotografia delle situazioni tecnico-strutturali, con

l’obiettivo di verificare l’allineamento delle strutture

dei Punti Vendita alle disposizioni tecnico-normative

attuali, soprattutto per quelle strutture che sono ope-

rative sul mercato ormai da molti anni. Tale valutazio-

ne (sia strutturale che comportamentale) produce un

report analitico dei rilievi emersi, i quali sono trasferiti

al singolo punto vendita e utilizzati dallo stesso per

condurre gli eventuali interventi correttivi.

I dati raccolti nei sopralluoghi vengono sintetizzati per

assistere il singolo esercente nella predisposizione del

piano di autocontrollo personalizzato in relazione alle

proprie peculiarità.

Il documento contiene, oltre che la rispondenza alla

normativa cogente, le prassi operative adottate dal sin-

golo punto vendita per garantire igienicità di lavora-

zioni, corrette procedure di verifica del manteniemnto

delle temperature di stoccaggio, esposizione e vendita,

di conduzione delle pulizie, delle disinfezioni e delle

manutenzioni di apparecchiature e locali.

Il sistema contiene inoltre le modalità di gestione di

eventuali non conformità, sia in fase di accettazione

con relativi strumenti di segnalazione dei problemi alla

sede centrale (per la tempestiva gestione da parte del

gruppo), che di eventuali difformità riscontrate duran-

te la lavorazione dei prodotti, lo stoccaggio o la vendi-

ta, il servizio al consumatore.

L’INFORMAZIONE DI PRODOTTO AL CONSUMATORE

Importante attenzione è stata riversata anche nel siste-

ma di informazione di prodotto al consumatore: per

quanto concerne preparazioni interne (prodotti

gastronomici, preparati a base di carne pronti a cuoce-

re, prodotti cotti, confezioni monodose di prodotti pre-

senti anche a banco, ecc.) si è proceduto con la verifica

del sistema di etichettatura e di informazione median-

te “Cartelli unici degli ingredienti” o “Ricettari” posti

in posizioni ben visibili alla clientela e contenenti tutte

le informazioni utili ad una scelta consapevole (nonché

rispondenti alla normativa di riferimento – d.lgs.

109/92 e smi). Per alcune tipologie di prodotti agroali-

mentari (es. carne bovina, pollame, pesce, frutta) si è

proceduto all’allineamento delle specifiche informa-

zioni integrative al consumatore previste da regola-

menti comunitari verticali.

La documentazione del Sistema di Autocontrollo HACCP

predisposto (compreso il registro contenente la moduli-

stica da utilizzare per la registrazione delle attività di

controllo previste e delle eventuali non conformità rile-

vate) è condivisa con l’operatore del settore alimentare

mediante un incontro formativo e divulgativo.

LA RINTRACCIABILITÀ DEI PRODOTTI ALIMENTARI

Altra attività regolamentata all’interno del progetto è

rappresentata dalla Rintraccaibilità dei prodotti ali-

15 marzo 2009

Dalla parte del consumatore

Page 16: La Scienza Della Qualità Marzo 09

punti vendita che verso i fornitori/produttori e gli orga-

ni preposti al controllo.

Il canale di comunicazione e gestione è comunque bidi-

rezionale. Il singolo punto vendita, ottenute le infor-

mazioni complete provvede immediatamente (qualora

fosse aperto un “allarme”) al trasferimento delle infor-

mazioni alla clientela, mediante appositi strumenti

(cartellonistica all’ingresso, cartelli presenti nel reparto

adiacente e prossimo alla tipologia di prodotto, ecc.),

comprese le modalità comportamentali da adottare

qualora avessero acquisito il prodotto in questione.

In conclusione il progetto TUTELA NORMATIVA non

vuole rappresentare esclusivamente l’impostazione di

strumenti gestionali e tecnico-normativi, lasciando poi

il punto vendita alla gestione autonoma degli stessi.

Si è predisposto un sistema di servizio continuativo che

prevede verifiche ispettive periodiche, finalizzate a

verificare l’effettivo conduzione delle attività rispetto a

quanto previsto dai documenti e dalle procedure ela-

borate.

Mediante l’assistenza sul luogo è inoltre possibile

garantire un costante adeguamento e aggiornamento

degli strumenti di rispondenza normativa ad eventuali

aggiornamenti della stessa.

L’informazione periodica è canalizzata mediante gli

strumenti istituzionali COAL (periodico del gruppo),

all’interno dei quali è inserita un’apposita rubrica utile

a comunicare eventuali novità normative o comunque

collegate ad aspetti di garanzia qualitativa degli ali-

menti.

Altro strumento previsto dal progetto è rappresentato

dall’implementazione di un Filo Diretto, una linea tele-

fonica a servizio del singolo socio/affiliato, gestita

dall’Ufficio Qualità Coal, che permette di ottenere

risposte tempestive e puntuali alle esigenze quotidiane

in termini di tutela igienico-sanitaria e rintracciabilità

degli alimenti.

Le attività che si sono messe in campo permettono di

tracciare la base per la costruzione di un ponte di con-

tatto tra l’Organizzazione di distribuzione e il consu-

matore finale, con l’obiettivo fondamentale di garanti-

re il mantenimento degli idonei standard primari (igie-

ne e sicurezza), pre-requisito di ogni percorso di quali-

ficazione di un Marchio.

mentari. L’implementazione di un Sistema di

Rintracciabilità/Tracciabilità degli alimenti è predispo-

sto per singolo punto vendita in rispondenza a quanto

disposto dal Reg. CE 178/02 (arrt. 18 e 19) e contestual-

mente integrato al sistema di rintracciabilità e traccia-

bilità della sede centrale distributiva:

1) Si è pianificato, in accordo con la centrale distributi-

va, un protocollo di gestione delle attività di rin-

tracciabilità/tracciabilità che garantisce la traccia

logistica di ogni lotto di prodotto che gravita nei

magazzini COAL e viene distribuito ai singoli punti

vendita.

2) Tutte le informazioni sono gestite dalla Centrale

mediante apposito software gestionale, che per-

mette il mantenimento delle informazioni in archi-

vio anche dopo la consegna al punto vendita e

almeno per il tempo di vita del prodotto, con la con-

seguente possibilità di individuare i prodotti acqui-

siti dai fornitori/produttori, consegnati nel singolo

punto vendita o ancora immagazzinati nella centra-

le distributiva.

Questa capacità tecnica di gestione delle informazioni

deve necessariamente essere agganciata al singolo

punto vendita al fine di garantire un corretto e tempe-

stivo funzionamento.

3) Al singolo socio/affiliato è trasferita una procedura

gestionale che traccia le regole comportamentali da

adottare sia in caso di riscontro di problemi da parte

del consumatore, che a fronte di input forniti dagli

organi preposti il controllo, che da eventuali infor-

mazioni veicolate dalla sede centrale.

4) Mediante appositi report il singolo operatore racco-

glie le informazioni opportune e le trasferisce alla

sede centrale la quale provvede alla conduzione

delle verifiche necessarie e all’attuazione di even-

tuali azioni correttive di gestione dell’allarme.

Mediante una congiunzione operativa con la sede cen-

trale, essendo immediantamente riprocessate le infor-

mazioni, si riesce a provvedere alla gestione dell’allar-

me con la massima tempestività, sia verso la rete dei

Primo obiettivo: garantire standard di igienicità e salubrità

16marzo 2009

Page 17: La Scienza Della Qualità Marzo 09

Storicamente, l’origine della produzione di confet-

ture e marmellate nasce dalla necessità di conser-

vare i frutti fuori stagione. I Greci e Romani lo

facevano utilizzando il miele, ma per la produzione su

scala industriale bisogna attendere la fine dell’Otto-

cento. Il valore del mercato del comparto confetture è

di 28.620 tonnellate per un fatturato di 92.400.000

euro. Le tipologie di confettura che il consumatore ita-

liano predilige sono albicocca, ciliegia, pesca e fragola,

ma sono in crescita anche mirtilli, more e frutti di

bosco.

NORMATIVA VIGENTE

Il Decreto Legislativo 20 febbraio 2004, n.50 ne stabili-

sce la denominazione di vendita. Le confetture sono i

prodotti preparati con la polpa e/o purea di uno o più

frutti, con almeno il 35% di polpa e frutta; nelle con-

fetture extra invece il minimo legale di polpa di frut-

ta aumenta al 45%. Le marmellate invece sono i pro-

dotti preparati mediante polpa, purea, succo, estratti

acquosi e scorza di agrumi con un minimo di frutta del

20%, di cui almeno il 7,5% deve provenire dall’endo-

carpo.

Il Decreto stabilisce anche eccezioni per alcune tipolo-

gie di confetture e marmellate, sia per quanto riguar-

da la percentuale minima di frutta, sia per la forma in

cui vengono utilizzate, e indica inoltre i frutti che non

possono essere impiegati per queste preparazioni.

INGREDIENTI PRINCIPALI

Frutta

La frutta fresca è principalmente costituita d’acqua

(90%).

I glucidi sono i composti maggiormente presenti (1,4-

17 %); tra questi troviamo glucosio, fruttosio e sacca-

rosio, ma ci sono anche altri polisaccaridi come cellulo-

sa, emicellulosa e pectine. Le proteine invece rimango-

no su valori piuttosto limitati (0,2-1%), come pure i lipi-

di (0,6%) e la fibra (0,8-1%). Anche gli elementi mine-

rali come ferro, calcio, sodio, potassio e fosforo sono

presenti in piccole quantità.

Tra le vitamine e provitamine ritroviamo vitamina C, ß-

carotene, vitamina B6 e retinolo, ma anche piccole

quantità di tiamina, riboflavina, niacina e vitamina E.

Le caratteristiche chimiche e fisiche dei frutti (solidi

solubili, acidità) determinano quelle delle confetture

(potere gelatinizzante, conservabilità) e quindi le per-

centuali di ingredienti da aggiungere e i processi di

lavorazione.

Zucchero

Confetture e marmellate contengono un’elevata per-

centuale di zuccheri (circa 55%) rappresentati per 2/3

da saccarosio e per 1/3 da zucchero invertito. Lo zuc-

chero invertito, così definito per la capacità di deviare

il piano di rotazione della luce polarizzata, si ottiene

per idrolisi del saccarosio in glucosio e fruttosio sfrut-

tando in questo caso le alte temperature e il pH acido.

L’equilibrio tra il saccarosio e lo zucchero invertito

determina le caratteristiche del prodotto finito quali

ad esempio: aumento del potere dolcificante, gelifi-

cante, umettante, controllo della cristallizzazione,

riduzione della viscosità, ecc.

Pectine

Le pectine (dal greco “pektos” che significa consisten-

te) sono polimeri derivati da carboidrati che contengo-

no un grande numero di unità di acido galatturonico

che formano catene lineari tenute insieme da legami

glisodici. I carbossili degli acidi poligatturonici possono

essere parzialmente esterificati con alcool metilico di

origine naturale e determinare così il grado di esterifi-

cazione della pectina (DE), cioè le unità di acido galat-

turonico esterificate.

La naturale presenza di pectina nei tessuti vegetali rap-

presentava in passato l’unico mezzo per ottenere la

gelificazione di confetture e marmellate; era infatti

molto diffuso, ed in alcuni casi lo è ancora a livello

domestico, l’utilizzo di pezzi di mela o scorze di agru-

mi che sono ricchi di pectina insieme a frutti con scarso

potere gelificante.

La trasformazione in gelatina di una soluzione acquo-

sa contenente pectina è dovuta ad un fenomeno di

MMaaddddaalleennaa MMeenneegghheettttiiBorsista all’Università di Padova

Esperta in certificazione di [email protected]

Le confetture

17 marzo 2009

Page 18: La Scienza Della Qualità Marzo 09

TECNOLOGIA DI PRODUZIONE

Le operazioni preliminari consistono nella raccolta,

ricezione, stoccaggio, lavaggio, cernita, scottatu-

ra e riduzione in pezzi del frutto.

Risulta fondamentale per tutte queste fasi la valutazio-

ne della migliore qualità organolettica e tecnologica

del frutto, in base al tipo di trasformazione che si vuole

effettuare. A queste operazioni segue il vero e proprio

processo produttivo che inizia con la miscelazione

nelle opportune quantità degli ingredienti: frutta (in

pezzi, polpa o purea) e zuccheri.

La successiva fase di cottura consente di allontanare

parte dell’acqua di costituzione e allo stesso tempo di

ammorbidire i tessuti, solubilizzare lo zucchero, miglio-

rare la miscelazione degli ingredienti consentendo una

parziale inversione del saccarosio. La temperatura si

aggira intorno ai 50°C e il tempo varia in base a diver-

si fattori che dipendono principalmente dal tipo di frut-

ta e dalla tipologia di prodotto che si vuole ottenere.

Segue la fase di concentrazione che prevede l’ag-

giunta di pectina, acido e di tutti gli eventuali ingre-

dienti che la ricetta prevede. Questa operazione con-

sente di ottenere la dissoluzione e la miscelazione dei

componenti, l’inversione parziale del saccarosio, le

caratteristiche sensoriali desiderate, l’aumento della

consistenza e altri cambiamenti strutturali, la distruzio-

ne di lieviti e muffe, la rimozione dell’SO2 eventual-

mente presente (l’uso non è ammesso per la produzio-

ne di confetture extra).

Nella concentrazione a pressione atmosferica, l’ebolli-

zione avviene ad una temperatura di 105°C circa per

15-20 minuti. La moderna lavorazione industriale preve-

de l’utilizzo di evaporatori sotto vuoto che permettono

Le confetture

18

precipitazione: ad alte temperature la pectina, sepa-

randosi dall’acqua per l’intervento di una terza sostan-

za (zucchero o sali metallici), forma con le sue catene

macromolecolari intrecciate e legate tra di loro una

struttura reticolare tridimensionale di fibrille, che trat-

tiene i solidi e i liquidi della soluzione. Si forma così, a

seguito del raffreddamento, il gel, la cui consistenza

dipende dal peso molecolare, quantità e tipo di pecti-

na, dal pH e dalla concentrazione zuccherina.

La necessità di standardizzare la produzione, ha porta-

to a un notevole utilizzo di pectine di produzione indu-

striale, di cui esiste una grande varietà. Le pectine in

commercio si differenziano principalmente per un

diverso DE. Ad esempio le pectine HM (ad alto DE) resi-

stono bene alle alte temperature e sono quindi ottime

per le pasticcerie artigianali.

Le pectine LM (a basso DE) sono adatte per le confet-

ture destinate all’industria perché possono essere lavo-

rate, anche se subiscono stress meccanici e a bassa tem-

peratura. Inoltre non richiedono un quantitativo eleva-

to di zuccheri per gelificare e risultano quindi adatte

alla produzione di confetture ipocaloriche.

Con l’applicazione del D.M. n.209 del 1996, la pectina

non è più l’unico addensante utilizzabile nelle confet-

ture. Se ne possono infatti impiegare altri, tuttavia si

preferisce ancora utilizzare la pectina perché questa è

riconosciuta dal consumatore come costituente natura-

le della frutta.

Acidi

Il pH ottimale di gelificazione è compreso tra 3-3,5.

Per valori superiori a 3,6 la gelificazione non ha più

luogo perché il gel risulta troppo debole; per valori

inferiori a 2,9 si ha formazione di un gel molto forte,

ma con un’eccessiva perdita di acqua, che provoca il

fenomeno di sineresi. L’acido più utilizzato è quello

citrico.

Additivi e altri ingredienti

Gli additivi che possono essere addizionati alle confettu-

re rientrano nella categoria dei conservanti, antiossidan-

ti, correttori di acidità, stabilizzanti, addensanti, gelifi-

canti, coloranti. L’allegato IV del D.Lgs. n.50 del 2004

elenca gli ingredienti facoltativi (miele, succhi di frutta,

oli essenziali, sostanze alcoliche...) e in quali tipologie di

confetture e marmellate possono essere aggiunti.

marzo 2009

Page 19: La Scienza Della Qualità Marzo 09

19

di operare a temperature di ebollizione di 60-65°C. La

riduzione dei tempi e delle temperature di trattamen-

to termico limitano sensibilmente la comparsa di rea-

zioni indesiderate di natura ossidativa e imbrunimenti

non enzimatici riconducibili essenzialmente alla cara-

mellizzazione degli zuccheri.

Il composto ancora caldo viene confezionato immet-

tendolo in vasi di vetro, latta o monodosi in plastica. Le

confetture contenute nei vasi vengono chiuse con un

getto di vapore che crea una piccola depressione in

modo da creare il vuoto. La temperatura deve rimane-

re superiore agli 80°C anche in questa fase.

Il tutto viene poi pastorizzato a circa 90°C per un

minuto per distruggere la carica microbica e permette-

re una maggiore conservazione del prodotto.

Successivamente viene raffreddato ed etichettato. Le

confetture e marmellate così preparate vengono con-

fezionate e stoccate nei magazzini fino al momento

del trasporto.

ASPETTI NUTRIZIONALI ED ETICHETTATURA

La lavorazione e gli zuccheri aggiunti modificano

sostanzialmente la frutta che, come confettura, mar-

mellata o gelatina, mostra un valore nutrizionale note-

volmente diverso rispetto al prodotto fresco.

Si può infatti osservare che l’elevato apporto glucidico

aumenta il valore energetico (278Kcal/100g di parte edi-

bile).

Se si considera che il 30% è costituito da acqua, il teno-

re degli altri nutrienti riferito a 100g di prodotto è mini-

mo: 0.37g di proteine, 0.07g di lipidi, 1g di fibra.

Le vitamine risultano inattivate quasi totalmente dal

trattamento termico; quella più presente con 8.8 mg è

la vitamina C, mentre sono rintracciabili in piccolissime

quantità acidi e sali minerali.

Le caratteristiche chimico-fisiche di una confettura

sono mediamente le seguenti: contenuto in solidi solu-

bili 50-82 (°Brix), pH 2,9-3,5, attività dell’acqua (aw)

>0,55.

La frutta e lo zucchero che vengono indicati per otte-

nere 100 grammi di prodotto finito sono espressi come

quantità impiegata all’origine.

La frutta apporta poi il suo zucchero, è per questo che

nella confettura si parla di zuccheri totali: quelli della

frutta e quelli aggiunti.

Lo zucchero (al singolare) per definizione è il saccaro-

sio; se la confettura non contiene altro zucchero che

quello stesso della frutta, la miglior indicazione da

riportare in etichetta è “senza zuccheri aggiunti”.

marzo 2009

Normativa

La Scienza della Qualità si avvale, per il suo obiettivo di

comunicare la qualità reale, di collaboratori che

hanno sposato la filosofia del progetto e che interven-

gono nella newsletter proponendo articoli, considera-

zioni, approfondimento e altro.

Sono Studi Professionali, liberi professionisti o anche

solo esperti che impiegano parte del loro tempo in

questa opera difficile, ma meritoria, di diffusione del

“verbo” della conoscenza.

Gli Studi Professionali hanno sede in determinate locali-

tà geografiche con le loro strutture logistiche e, per que-

sto motivo, il loro raggio di azione non è illimitato.

Mentre gli esperti e i liberi professionisti non sono inse-

riti in una rete organizzata per il contatto con gli utenti,

ma hanno una localizzazione più diffusa e puntiforme.

Ora la Scienza della Qualità cerca di fare un ulteriore

passo avanti, creando a dando voce a una rete di pro-

fessionisti, in tutti i campi e a livello nazionale ed

oltre, che per le loro caratteristiche e scelte organizza-

tive, sono privi del supporto logistico delle studio pro-

fessionale e paradossalmente, per questo motivo, sono

più agili e potenzialmente tempestivi, ma che si riesco-

no a contattare solo per conoscenze personali.

La Scienza della Qualità si è buttata in questa avventu-

ra non certamente per creare una sorta di concorrenza

professionale, ma perché si è resa conto che le due

tipologie organizzative (lo Studio Professionale e l’e-

sperto) non sono assolutamente in antitesi, ma si pos-

sono facilmente integrare e addirittura può nascere tra

loro una collaborazione sinergica.

Non siamo a conoscenza se si siano già fatti tentativi di

far partire altri progetti di integrazione tra queste

diverse entità professionali, ma questo non ha molta

rilevanza: l’importante è cercare di creare ulteriori viot-

toli nello stradario della diffusione dell’informazione.

In questo numero, pertanto, Maddalena Meneghetti

inaugura la nuova rubrica.

Presentiamola velocemente: è laureata in Scienze e

Tecnologie Alimentari, Borsista all’Università di Padova ed

esperta in certificazione di prodotto, packaging, metodo-

logie analitiche, microorganismi di interesse alimentare,

qualità dei prodotti di origine animale e vegetale, difesa

delle derrate alimentari, economia e marketing.

La voce dei Professionisti

E’ disponibile lo “Speciale confet-ture” arricchito dal testo delle di-sposizioni normative vigenti.Per riceverlo gratuitamente scri-vete a [email protected]

Page 20: La Scienza Della Qualità Marzo 09

Prodotti senza glutine:come leggere l’etichettatura

20marzo 2009

RRaaffffaaeellllaa MMaaccccaarriiooIngegnere

Settore Agroalimentare ANCCP [email protected]

LA LEGISLAZIONE

Il 21 gennaio del 2009 è stato pubblicato sulla Gazzetta

Ufficiale dell’Unione Europea il Regolamento (CE) N.

41/2009 della Commissione del 20 gennaio 2009 relati-

vo alla composizione e all’etichettatura dei prodotti

alimentari adatti alle persone intolleranti al glutine. Il

Regolamento, pur prevedendo un periodo transitorio

fino al 1° gennaio 2012, si pone diversi obiettivi:

- semplificare l’attuale legislazione;

- uniformare le varie normative nazionali attualmente

esistenti negli Stati membri dell’Unione europea;

- offrire maggiore garanzia al consumatore.

L’INFORMAZIONE

I consumatori di questi prodotti, infatti, sono persone

per le quali l’ingestione di glutine anche in piccole

quantità può provocare danni all’organismo di natura

più o meno grave: la presenza di tracce di glutine nella

dieta di queste persone possono essere tollerate in

misura che varia da soggetto a soggetto.

La persona intollerante al glutine, come anche le per-

sone che hanno altri tipi di allergie e/o intolleranze ali-

mentari, di fronte ad un qualsiasi prodotto alimentare

fresco, conservato, confezionato, sfuso, servito in un

ristorante o in una mensa aziendale o scolastica, deve

poter trovare risposta alla domanda: “Ma io, questo,

lo posso mangiare?”.

Il consumatore che si pone questa domanda, semplice

ma di fondamentale importanza, ha dunque bisogno

di informazione sull’alimento che sta per acquistare o

consumare. Di più, ha bisogno di un’informazione

che deve essere di qualità, dove con questo termine

qui si vuole indicare un’informazione che:

- sia facilmente comprensibile;

- sia facilmente reperibile;

- sia affidabile.

Le persone intolleranti al glutine, ma ciò vale per qual-

siasi altra intolleranza alimentare, devono essere in

grado di avere informazioni chiare in situazioni per

loro potenzialmente pericolose, che possono essere, in

estrema sintesi, le seguenti:

- l’alimento che si intende consumare è naturalmente

privo di glutine?

- o è stato lavorato per ridurre al minimo il glutine in

esso presente?

- in entrambi i casi precedenti, è stato protetto da

eventuali contaminazioni con alimenti che invece lo

contengono?

- come si può essere sicuri di quanto sopra quando si

mangiano cibi preparati fuori casa?

- che strumenti di tutela si hanno quando si è all’e-

stero, sia in Stati membri dell’Unione europea che in

Paesi terzi?

COS’È IL GLUTINE?

Il glutine è una frazione proteica presente nei cereali

della specie Triticum, comprendente il frumento duro,

il kamut e la spelta, oltre che in altri cereali quali la

segale e l’orzo.

Più controverso è l’utilizzo dell’avena: questo cereale

può essere consumato dalla maggior parte delle per-

sone intolleranti al glutine, ma non da tutte. L’avena,

tuttavia, può presentare contaminazione da frumento,

segale o orzo durante le operazioni di raccolta,

trasporto, conservazione e lavorazione.

Per questo motivo, il Regolamento prevede che le sud-

dette operazioni eseguite su avena destinata all’ali-

mentazione delle persone intolleranti al glutine, siano

condotti con accorgimenti tali che il contenuto in glu-

tine finale non superi i 20 mg/kg.

Il consumatore celiaco, nella scelta dei prodotti da

inserire nella propria dieta, deve orientarsi necessaria-

mente verso le seguenti categorie di alimenti:

- alimenti che sono naturalmente privi di glutine;

- alimenti in cui il glutine è stato in qualche modo

ridotto.

Page 21: La Scienza Della Qualità Marzo 09

21 marzo 2009

DICITURE IN ETICHETTA

L’informazione è fondamentale: il Regolamento (CE)

41/2009 prevede, infatti, due tipologie di diciture (con

contenuto di glutine molto basso e senza glutine)

da riportarsi nell’etichettatura, nella presentazione e

nella pubblicità dei prodotti alimentari destinati a per-

sone intolleranti al glutine, a cui associa significati ben

precisi, come riportato nella tabella di sintesi.

Le diciture “con contenuto di glutine molto basso” e

“senza glutine” devono essere indicate accanto alla

denominazione di vendita del prodotto.

La prima riflessione riguarda la seconda dicitura: se su

un prodotto si ritrova scritto “senza glutine” non vuol

dunque dire che in esso il glutine sia assente, ma che ne

contiene non più di 20 mg/kg.

Ciò deriva dal fatto che l’estrazione del glutine dai

cereali che lo contengono è tecnicamente difficoltosa

(ed economicamente onerosa!): allo stato attuale della

tecnica non è dunque possibile produrre alimenti total-

mente privi di glutine a partire dai cereali che lo con-

tengono naturalmente.

La sola certezza che si può avere il consumatore riguar-

do all’utilizzo di prodotti totalmente privi di glutine sta

dunque nell’utilizzare alimenti che già in natura non

ne contengano. Ma questo non basta: come ben sanno

le persone che quotidianamente si confrontano con

queste problematiche, la presenza di glutine deve

essere scongiurata anche eliminando il rischio di conta-

minazione. In parole povere, non basta mangiare un

Alimentazione speciale

piatto di riso (alimento naturalmente privo di glutine)

ma bisogna anche essere certi che lo stesso non sia

stato cucinato, ad esempio, in una pentola in cui abi-

tualmente si cuoce la pasta.

MANGIARE FUORI CASA

La seconda riflessione dovrebbe portare a rispondere

alla seguente domanda: come deve essere costruita e

come deve essere comunicata l’informazione al con-

sumatore che ha la necessità di utilizzare particolari

prodotti alimentari, in modo tale da non indurre in

errore il consumatore, come esplicitamente previsto

dal Regolamento comunitario?

E ancora: se gestire l’intolleranza al glutine è relativa-

mente facile nell’alimentazione in casa, quali sono le

informazioni che il consumatore deve poter avere per

mangiare in sicurezza fuori casa, sia in Italia che all’e-

stero?

Per rimanere in ambito nazionale, l’Associazione

Italiana Celiachia (A.I.C.) che nel 2009 festeggia i 30

anni di attività, ha promosso diverse iniziative in tal

senso e costituisce sicuramente un punto di riferimen-

to fondamentale per le persone che si confrontano

quotidianamente con l’intolleranza al glutine. Non a

caso, tra gli altri aspetti, l’Associazione ha puntato

fortemente sull’informazione al consumatore con stru-

menti come il Prontuario, il marchio della “spiga sbar-

rata”, il progetto AFC (Alimentazione Fuori Casa), solo

per citare alcune iniziative.

DDIICCIITTUURRAA TTIIPPII DDII PPRROODDOOTTTTII RRIIFFEERRIIMMEENNTTOONNOORRMMAATTIIVVOO

CCOONNTTEENNUUTTOO DDII GGLLUUTTIINNEE

MMOOLLTTOO BBAASSSSOO

Ingredienti ricavati da frumento, segale, orzo, avena o da loro varietà incrociate, specialmentelavorati per ridurne il contenuto di glutine che non deve superare 100 mg/kg nei prodotti ali-mentari quali venduti al consumatore finale

Reg. (CE) 41/2009,Art. 3, comma 1

Prodotti alimentari contenenti uno o più degli ingredienti di cui alla riga precedente Reg. (CE) 41/2009,Art. 3, comma 1

Prodotti alimentari contenenti ingredienti che sostituiscono frumento, segale, orzo o loro varie-tà incrociate e ingredienti ricavati da frumento, segale, orzo, avena o da loro varietà incrocia-te, specialmente lavorati per ridurne il contenuto di glutine il cui contenuto di glutine non devesuperare 100 mg/kg nei prodotti alimentari quali venduti al consumatore finale

Reg. (CE) 41/2009,Art. 3, comma 5

SSEENNZZAA GGLLUUTTIINNEE

Ingredienti ricavati da frumento, segale, orzo, avena o da loro varietà incrociate, specialmentelavorati per ridurne il contenuto di glutine che non deve superare 20 mg/kg nei prodotti ali-mentari quali venduti al consumatore finale

Reg. (CE) 41/2009,Art. 3, comma 2

Prodotti alimentari contenenti uno o più degli ingredienti di cui alla riga precedente Reg. (CE) 41/2009,Art. 3, comma 2

Ingredienti che sostituiscono frumento, segale, orzo o loro varietà incrociate il cui contenuto diglutine non deve superare 20 mg/kg nei prodotti alimentari quali venduti al consumatore finale

Reg. (CE) 41/2009,Art. 3, comma 3

Prodotti alimentari contenenti uno o più degli ingredienti di cui alla riga precedente Reg. (CE) 41/2009,Art. 3, comma 4

Page 22: La Scienza Della Qualità Marzo 09

Prodotti senza glutine:come leggere l’etichettatura

22marzo 2009

Il marchio della “spiga sbarrata” è un esempio di

informazione chiara, immediata ed esaustiva: il con-

sumatore celiaco, infatti, sa che i prodotti contrassegnati

da questo simbolo sono sicuri. Quello che forse non sa, è

tutto il significato del simbolo stesso. Quest’ultimo,

infatti, è concesso da A.I.C. solo a prodotti che siano stati

sottoposti a verifiche e controlli specifici e siano stati

conseguentemente ritenuti idonei a essere destinati

all’alimentazione dei soggetti celiaci.

Per ottenere il marchio, infatti, tutto il processo pro-

duttivo dell’alimento in questione viene sottoposto a

verifica e controllo, con un approccio di sistema che si

estende a diversi ambiti del processo produttivo.

Tutti gli stabilimenti che producono alimenti destinati

alle persone intolleranti al glutine, infatti, sono sogget-

ti ad autorizzazione da parte del Ministero della Salute

e all’approvazione preventiva dell’etichettatura dei

prodotti, così come previsto dal D.Lgs. n. 111 del 27

gennaio 1992 s.m.i. che recepisce la direttiva europea

98/398, concernente i prodotti alimentari destinati a

un’alimentazione particolare.

Tali normative prevedono un’analisi di tutti i principali

processi produttivi e ad essi connessi: si parte, infatti,

dalle materie prime utilizzate nella produzione, con

particolare riguardo alla qualifica dei fornitori e ai con-

trolli in accettazione, per poi entrare nel vivo del

processo produttivo, con tutti i controlli previsti nelle

diverse fasi, fino alla conformità del prodotto finito.

Come già succede per tutte le produzioni alimentari,

ancora di più in questi casi è fondamentale la valu-

tazione di altri processi che riguardano, oltre ovvia-

mente l’igiene del prodotto alimentare e la rintracciabi-

lità lungo tutta la filiera produttiva, anche aspetti ge-

stionali che concorrono ad aumentare la sicurezza del

prodotto, a partire dalle procedure di gestione delle non

conformità e di eventuali reclami dei clienti, per com-

prendere anche aspetti legati alla formazione e all’ad-

destramento del personale adibito alle diverse attività.

Nello schema appena esposto in estrema sintesi, è

facile vedere l’approccio per processi e i requisiti pre-

senti nelle norme dei sistemi di gestione ormai conso-

lidate, dalla UNI EN ISO 9001 per la qualità, di cui

recentemente è stata pubblicata la nuova versione, alle

altre norme tipiche del settore agroalimentare

riguardanti la sicurezza degli alimenti (ISO 22000) e la

rintracciabilità (ISO 22005), che ne riprendono i principi

fondamentali adattandoli alle peculiarità della pro-

duzione alimentare.

L’IMPORTANZA DELL’INFORMAZIONE

L’informazione chiaramente e correttamente comuni-

cata è fondamentale per la tutela del consumatore e lo

è ancora di più per il consumatore con esigenze parti-

colari. Inoltre, la comunicazione di un’informazione

condivisa è uno strumento di qualità delle aziende pro-

duttrici che possono così ampliare il mercato dei propri

prodotti, nel momento in cui riescono a comunicarne

certe caratteristiche ai consumatori interessati.

La tutela del consumatore e la libera circolazione

dei prodotti sono due degli obiettivi che si prefig-

gono le attuali normative comunitarie in materia di

sicurezza dei prodotti alimentari. Sempre a proposito

di informazione, sarebbe opportuno prendere in con-

siderazione l’ipotesi di affiancare le attuali normative

che sottolineano in quali prodotti il glutine è assente o

è presente in forma particolarmente ridotta, con indi-

cazioni che esplicitino la presenza di glutine, soprattut-

to negli alimenti in cui il consumatore non ne può

ragionevolmente sospettare la presenza.

Se è fondamentale sapere in quali alimenti il glutine

non c’è (alimenti sicuri per le persone ad esso intolle-

ranti), è altrettanto importante sapere dove il glutine

c’è o, potenzialmente, ci potrebbe essere (alimenti

potenzialmente pericolosi).

L’informazione, infine, deve essere estesa a tutti i

soggetti in qualche modo coinvolti nel problema della

corretta gestione delle intolleranze alimentari:

- le persone che ne soffrono, con un’educazione ali-

mentare che sempre di più deve iniziare dalla scuola

primaria per poi estendersi a tutte le fasce d’età;

- gli operatori del settore alimentare, dalla pro-

duzione primaria, alla lavorazione fino alla di-

stribuzione al consumatore finale;

- le strutture pubbliche e private preposte alla ricerca nel

campo alimentare, con approccio sempre più multidi-

sciplinare (medico, tecnologico, merceologico, etc);

- gli organi di governo, per la realizzazione di norme

chiare, omogenee e di tempestiva applicazione.