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Visita il sito www.scienzaqualita.com per tutte le novità e per consultare la nostra rivista bimestrale sui temi del diritto alimentare e della qualità
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Questa pubblicazione è realizzata con il contributo di QC&I e SoCert
MarzoNumero 3
Gruppi d’Acquisto:Solidali... sul Serio
2009
pag. 12
Il cosmetico:sveliamo il mistero pag. 8
Adriana Bucco:ora tocca
alle donne pag. 6
Nuove regoleper additivi,
enzimi e aromi pag. 4
Per competereimpariamo
dalla Svezia pag. 2
Competere ai livelli bassi?Impariamo dalla Svezia
2marzo 2009
AAllbbeerrttoo BBeerrggaammaasscchhiiresponsabile comunicazione & marketing
QC&I International [email protected]
“NON POSSIAMO COMPETERE AI LIVELLI BASSI”
Questa frase, pronunciata da un funzionario delle
Pubblica Istruzione svedese all’interno di un servizio
che confrontava le nostre scuole e le loro, mi ha parti-
colarmente colpito. Non voglio parlare delle risultanze
dell’indagine (la comparazione sarebbe troppo imba-
razzante) ma della spiegazione data dal funzionario al
perché il governo svedese riversasse tante risorse per la
pubblica istruzione.
La risposta mi ha colpito, anche perché assolutamente in
linea con le idee che la newsletter La Scienza della
Qualità sta portando avanti sin dalla sua prima uscita:
cioè l’indispensabilità di alzare, per un paese evoluto, il
livello qualitativo della competizione per avere maggio-
ri probabilità di successo. La Svezia ritiene che la sua
popolazione scolastica debba essere preparata, in modo
ottimale, per poter formare dei tecnici che siano compe-
titivi negli alti livelli del mondo del lavoro. Benissimo,
anche l’Italia dovrebbe fare altrettanto, se non nell’am-
bito della scuola dove, ahimè, siamo agli ultimi posti in
Europa, almeno nel campo dove è già naturalmente ai
massimi livelli: la sua produzione agroalimentare.
IL TESTO UNIFICATO SULL’AGRICOLTURA BIOLOGICA
Alcune prime indicazioni positive in tal senso le ho tro-
vate nel testo unificato della Commissione per i disegni
di legge dal titolo: Nuove disposizioni per lo sviluppo e
la competitività della produzione agricola ed agroali-
mentare con metodo biologico. Questo testo ha iniziato
lo scorso 4 febbraio 2009 l’iter parlamentare di approva-
zione. Non volendo entrare in merito all’elencazione dei
molteplici e noiosi adempimenti degli operatori control-
lati e degli organismi controllanti, vorrei soprattutto
individuare alcuni punti focalizzanti del testo unificato.
Distretti, comprensori e protocolli di filiera
Il disegno di legge spinge il mondo agricolo verso la
creazione di zone geografiche vocate sia all’agricoltura
biologica, sia alla tutela e alla valorizzazione dei pro-
dotti tipici di qualità. Inoltre vuole premiare chi stipula
accordi di filiera per la produzione biologica.
Una delle conseguenze delle iniziative sopra indicate è
lo stimolo a raccogliere le forze per un’unica azione
comunicativa di marketing. In campo agroalimentare,
infatti, come in quello turistico, non è la singola azien-
da italiana ad essere di immagine per le “vendite”, ma
tutta la zona geografica per non dire l’intera nazione.
Inoltre, mettendo assieme le singole forze commerciali
e di immagine si ottiene una risultante che ha un
impatto sul mercato maggiormente amplificato.
La dimostrazione di quanto appena espresso è nel rite-
nere, sempre all’interno del testo unico, importante ed
efficace l’utilizzo di un marchio nazionale che possa
indicare che l’intera filiera si è sviluppata sul territorio
nazionale. Mi sembra evidente che, per poter suppor-
tare l’indicazione della provenienza territoriale, sia
indispensabile la raccolta e l’elaborazione di una note-
vole mole di dati, che possono essere utilizzati per una
attività capillare di marketing delle produzioni.
La globalizzazione delle peculiarità
Altro punto molto interessante è la volontà di conserva-
re e diffondere le risorse fitogenetiche degli agroecosi-
stemi locali. Nell’epoca della globalizzazione questo è
un segnale importante. Non appiattiamo le varietà in
una omogeneità indistinta, ma conserviamo le caratteri-
stiche peculiari della singola zona dandone una infor-
mazione globalizzata. Non è una differenza banale.
Davanti avete un ristorante con cucina particolare (tra-
dizionale o etnica) e un fast food. Decidete voi dove
entrare.
La Scienza della qualità - Anno II, 2009 - numero 3Bimestrale informativo della società QC&I International Services
Direttore editoriale Alberto BergamaschiDirettore responsabile Guglielmo FrezzaCoordinamento Comitato scientifico Carmelo Bonarrigo
Alcune delle fotografie di questo numero sono state scat-tate nei laboratori dell’azienda Bio Leaves
Nuove regole per additivi, enzimi e aromi
pag. 4Diritto & alimentazione
Prodotti senza glutine:come leggere l’etichettatura
pag. 20Alimentazione speciale
La certificazione forestalee il sistema PECF
pag. 10Certificazione
Il prodotto cosmetico:un mistero da svelare
pag. 8Cosmetica biologica
3 marzo 2009
Editoriale
Solidali... sul SerioStoria di un GAS
pag. 12Dalla parte del consumatore
La nuova agricolturasi tinge di rosa:Adriana Bucco, presidenteColdiretti Donna Impresa
pag. 6Agricoltura
Volete richiedere l’abbonamentogratuito a “La Scienza della qualità”per voi o per un vostro conoscente?
Scriveteci a [email protected] oppure visitate il nostro blog http://qciblog.blogspot.com
Dalle pagine del sito è possibile con-sultare e scaricare in formato pdftutti i numeri della rivista, oltre aleggere gli articoli più interessanti.Da questo mese, inoltre, il blog diQCI si arricchisce anche di contribu-ti video dedicati all’esperienza diaziende, esperti, personalità delmondo dell’agricoltura biologica,della cosmetica, della certificazione.Il primo servizio on-line è dedicatoad Adriana Bucco, neo presidente diColdiretti Donna Impresa, perconoscere le strategie dell’associa-zione e approfondire i contenutidell’iniziativa italiana in sede euro-pea volta all’indicazione in etichet-ta dell’origine geografica deiprodotti.
Le confetture pag. 17Normativa
Obiettivo: garantireigienicità e salubrità
pag. 14
AAvvvv.. SSeebbaassttiiaannoo RRiizzzziioolliiRicercatore di diritto dell’Unione Europea
Università di FerraraSDA Studio di Diritto [email protected]
zare, sottopone al Comitato permanente per la catena
alimentare e la salute degli animali (istituito dall’art.
58, reg. (CE) num. 178/02) un progetto di regolamento
per l’inserimento della sostanza nell’elenco comunita-
rio – istituito e aggiornato dalla Commissione e pubbli-
cato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea –
delle sostanze autorizzate. Si tratta del c.d. “elenco
positivo”, già adottato per aromi, additivi e coloranti:
solamente le sostanze inserite nell’elenco comunitario
possono essere utilizzate per l’alimentazione umana,
ed esclusivamente alle condizioni ivi fissate per ciascu-
na sostanza. L’elenco comunitario non è unico: ne
viene istituito ed aggiornato uno per ciascuna delle
legislazioni alimentari settoriali.
Peraltro, mentre il sistema dell’elenco positivo per gli
aromi e gli additivi è in vigore oramai da decenni, per
gli enzimi rappresenta una novità assoluta dato che tali
sostanze – eccettuati gli enzimi alimentari utilizzati
come additivi alimentari – non erano assoggettate a
regolamentazione comunitaria prima dei regg. (CE)
numm. 1331 e 1332/08. Questa circostanza rende parti-
colarmente gravoso per gli operatori del settore l’ade-
guamento alla disciplina in questione, soprattutto ove
si consideri che gli enzimi sono assoggettati anche a
stringenti norme in materia di etichettatura. Pertanto,
considerato che molti enzimi alimentari sono in com-
mercio da molto prima dell’entrata in vigore dei rego-
lamenti in questione,per tali sostanze il passaggio all’e-
lenco comunitario e alla nuova disciplina nel suo com-
plesso è graduale: è infatti previsto un periodo di due
anni decorrente dall’applicazione delle misure di attua-
zione del reg. (CE) num. 1331/08 (ad oggi non ancora
adottate) per consentire agli operatori alimentari inte-
ressati ad ottenere l’iscrizione di un enzima sull’elenco
comunitario di predisporre e inoltrare alla Commissione
le informazioni necessarie per la valutazione del rischio
delle sostanze già attualmente utilizzate; inoltre, le di-
sposizioni relative all’etichettatura degli enzimi si appli-
cano solamente a decorrere dal 20 gennaio 2010.
Con quattro recenti regolamenti pubblicati in
Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, il legi-
slatore comunitario ha “riscritto” le norme in
materia di additivi e aromi e disciplinato, per la prima
volta, gli enzimi destinati ad essere utilizzati nell’ali-
mentazione umana.
Più precisamente, con il reg. (CE) num. 1331/08 è stata
istituita una procedura comunitaria uniforme di valu-
tazione e autorizzazione all’immissione in commercio
di additivi, aromi ed enzimi alimentari; con i regg. (CE)
numm. 1332/08, 1333/08 e 1334/08 sono stati stabiliti le
condizioni ed i requisiti che permettono l’uso a fini ali-
mentari di, rispettivamente, enzimi, additivi e aromi.
Il sistema adottato dal legislatore comunitario prevede
che possano essere utilizzate nell’alimentazione
umana solamente le sostanze che, essendo conformi ai
requisiti fissati in ciascuna delle tre legislazioni setto-
riali, sono reputate sicure (in realtà, il reg. (CE) num.
1331/08 parla di “innocuità”) all’esito di una valutazio-
ne del rischio effettuata dall’Autorità europea per la
sicurezza alimentare e seguita da una misura di gestio-
ne del rischio da parte della Commissione europea.
In buona sostanza, ciascun interessato (può trattarsi di
una o più imprese alimentari, ovvero di uno Stato
membro) rivolge alla Commissione europea la richiesta
di autorizzazione all’uso alimentare di un aroma, un
enzima o un additivo. Questa trasmette quanto prima
la domanda all’Autorità europea per la sicurezza ali-
mentare e ne chiede il parere (peraltro, la valutazione
del rischio da parte dell’Autorità europea non è richie-
sta quando la sostanza in questione “non può avere
effetto sulla salute umana”). L’Autorità esprime il pro-
prio parere entro nove mesi e lo trasmette alla
Commissione europea, agli Stati membri ed eventual-
mente al richiedente. La procedura è pubblica e tra-
sparente, ma è tuttavia previsto che talune delle infor-
mazioni trasmesse dal richiedente siano oggetto di un
trattamento riservato al fine di tutelare il segreto indu-
striale e la posizione del richiedente nei confronti delle
imprese concorrenti.
Entro nove mesi seguenti dall’emanazione del parere
dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare
(ovvero dalla data di ricevimento della domanda, lad-
dove non sia richiesto il parere dell’Autorità), la
Commissione, se reputa sicura la sostanza da autoriz-
Nuove regole per additivi,enzimi e aromi
4marzo 2009
5 marzo 2009
Diritto & Alimentazione
REGOLAMENTO (CE) N. 41/2009 DELLA COMMISSIONE del 20 gennaio 2009 relativo alla composizione e all’eti-chettatura dei prodotti alimentari adatti alle personeintolleranti al glutine.
L’industria alimentare ha elaborato una gamma di prodotti pre-sentatati come “senza glutine” (o con espressioni equivalenti).Davanti a questo fenomeno, la Comunità europea teme gli osta-coli che possono derivare alla libera circolazione sul mercatoeuropeo dalle diverse condizioni che le legislazioni nazionaliprevedono per l’uso di tali espressioni; e teme inoltre che diver-se legislazioni nazionali, oltre a ostacolare la circolazione com-merciale del prodotto, non garantiscono allo stesso modo unaelevata protezione per i consumatori. Ne è nata l’esigenza disci-plinare in modo unica per tutta la CE le condizioni per l’utilizzodei termini relativi all’assenza di glutine.
Procedura di infrazione contro l’Italia
Mentre la CE armonizza le disposizioni legislative degli Statimembri sulle indicazioni “senza glutine” e simili (v. la news pre-cedente), la Commissione europea segue la linea dura contro gliStati che non danno tempestiva attuazione alle norme comuni-tarie sugli allergeni. La Direttiva 2007/68/EC ha aggiornato (e non per la prima volta)l’Allegato III bis della direttiva etichettatura (2000/13/CE),aggiornando l’elenco degli ingredienti da indicare obbligatoria-mente in etichetta, in quanto contenenti allergeni, imponendoagli Stati europei di recepire il nuovo testo dell’elenco entro il31/05/2008. L’Italia, non avendo ancora provveduto, rischia ora una condan-na per infrazione dalla Corte di giustizia CE: il 29/01/2009 è infat-ti iniziata la seconda fase del procedimento di infrazione control’Italia, con l’invio di un “parere motivato” (atto previsto dalTrattato CE) che contesta al nostro Paese l’inadempimento deipropri obblighi derivanti dalla partecipazione alla Comunità.
DECISIONE DEL CONSIGLIO del 28 novembre 2008 relativa al nuovo accordo tra Comunità europea e Australia sul commercio del vino
Nuovo accordo fra UE e Australia firmato a Bruxelles, in sostitu-zione del precedente che risaliva al 1994, e che già vietava aiproduttori australiani l’uso di importanti denominazioni (tra lequali “Champagne”, “Porto”, “Sherry”) e alcune espressioni tra-dizionali (quali “Amontillado”, “Claret”, “Auslese”, ecc.).L’accordo di fine 2008 stabilisce date precise per la definitiva eli-minazione di questi nomi dal mercato australiano, e introduceun principio di reciprocità nella protezione delle rispettive indi-cazioni geografiche.
Libro Verde sulla qualità dei prodotti agricoliLa Commissione europea informa che al termine della pubblicaconsultazione sulla qualità dei prodotti agricoli, aperta con lapubblicazione del Libro Verde del 2008 sull’argomento, più di500 risposte e osservazioni risultano pervenute dagli stakehol-ders: produttori agricoli, operatori commerciali, associazioni rap-
presentative di interessi, autorità locali, consumatori, ONGambientaliste, e molte altre categorie di soggetti, sia dei 27 Statimembri della CE che di Paesi terzi. I contributi – osserva la Commissione – riflettono una vastagamma di punti di vista, tra l’altro sui pro e i contro di una eti-chettatura obbligatoria concernente il luogo di origine dellamateria prima agricola, il futuro delle indicazioni geografiche, elo sviluppo di forme di certificazione privata della qualità. IServizi della Commissione hanno cominciato l’analisi delle rispo-ste, e sono in corso di pubblicazione nel sito web dedicato allapolitica di qualità(http://ec.europa.eu/agriculture/quality/policy/opinions_en.htm).
Reg. CE n. 73/2009 del Consigliodel 19 gennaio 2009: Nuove norme generali su PAC, pagamento unico e altri regimi di sostegno
E’ stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europeadel 31/01/2009 il reg. n. 73/2009, con i quale sono state riordina-te, e in parte modificate, le norme sui regimi di sostegno direttoagli agricoltori nell’ambito della politica agricola comune, e isti-tuiti taluni regimi specifici di sostegno. Sono infine stati modificati – con lo stesso regolamento – i regg.n. 1290/2005, n. 247/2006 e n. 378/2007, ed è stato abrogato l’at-to fondamentale della riforma PAC del 2003: il reg. n. 1782/2003.Di particolare interesse, con riguardo agli aspetti inerenti la qua-lità dei prodotti, è l’art. 68, che prevede la possibilità per gli Statimembri di concedere – oltre al pagamento unico disaccoppiato,il quale rimane, con tutti i requisiti di condizionalità già noti –forme di sostegno specifico agli agricoltori, tra l’altro, per “spe-cifici tipi di agricoltura che sono importanti per la tutela o ilmiglioramento dell’ambiente”, per “il miglioramento della qua-lità dei prodotti agricoli”, e per “specifiche attività agricole checomportano benefici agroambientali aggiuntivi”.La tipologia di aiuto forse più interessante è la prima, sia per lapossibilità di farvi rientrare, ad esempio, la produzione biologi-ca, sia perché il regolamento non subordina tale facoltà degliStati membri ad alcuna condizione particolare. Non mancano di interesse, tuttavia, anche gli aiuti specifici che iPaesi europei potranno destinare al miglioramento della qualitàdei prodotti, aiuti erogabili, però, solo se si tratta di misurecoerenti con la disciplina delle DOP e IGP o delle STG (regg. nn.509 e 510 del 2006), con il reg. n. 834/2007 sulla produzione bio-logica, e con le norme di commercializzazione previste dal rego-lamento unico sulla organizzazione comune del mercato (reg.1234/2007). Quanto infine all’aiuto che può essere dato in vistadei possibili “benefici agroambientali aggiuntivi” di talune atti-vità agricole, si tratta del tipo di aiuto specifico regolato in modopiù restrittivo: per essere concedibile da parte degli Stati mem-bri esso deve limitarsi a coprire i costi supplementari effettiva-mente sostenuti e la perdita di reddito subita per conseguire l’o-biettivo prestabilito, e devono essere preventivamente approva-ti dalla Commissione.Entro il 1° agosto 2009, il 1° agosto 2010 o il 1° agosto 2011 gliStati membri potranno decidere di utilizzare (a partire dall’annosuccessivo a tale decisione) fino al 10% dei loro massimali nazio-nali di aiuti diretti.
Novità legislative A curaProf. Avv. Paolo BorghiStudio di Diritto Alimentare [email protected]
La nuova agricolturasi tinge di rosa
6marzo 2009
GGuugglliieellmmoo FFrreezzzzaaGiornalista
[email protected] qualcuno ancora pensa all’agricoltura come
all’ultimo, inespugnabile fortilizio del maschili-
smo e della famiglia patriarcale, imperturbabile ai
cambiamenti sociali e del mercato, è ora che inizi a
rivedere le sue posizioni.
Non è solo questione di numeri, anche se le donne tito-
lari d’azienda rappresentano oggi un buon trenta per
cento del settore primario italiano e sono in costante
aumento in ogni regione d’Italia. Prima ancora che
nelle cifre, il rapido cambiamento è scritto nell’evolu-
zione che le donne hanno dato alle loro imprese asse-
condando gli stimoli offerti dalla legge di orientamen-
to.
“Se prendiamo un settore all’avanguardia come quello
dell’agricoltura biologica – spiega Adriana Bucco,
recentemente eletta alla guida di Coldiretti Donna
Impresa – la maggior parte delle aziende certificate è
già in mano a noi imprenditrici. Lo stesso dicasi per le
nuove opportunità che la legge ha offerto al nostro
settore: dall’agriturismo alle fattorie didattiche, dalla
fattoria sociale all’agriasilo che stiamo lanciando pro-
prio in questi mesi, tutto quel che di più innovativo si
sta muovendo in agricoltura ha una forte impronta
femminile. Forse, dico io, anche perché inventare il
cambiamento era l’unico modo possibile per ritagliarci
il nostro spazio in un mondo ancora decisamente
maschilista”.
Volessimo riassumere in un’unica cifra, potrem-
mo dire che la multifunzionalità è donna...
“Esatto, ed è un approccio al fare impresa che è forte-
mente radicato nella nostra mentalità. Non dimenti-
chiamoci che la donna da sempre gestisce un bilancio
familiare, collabora in azienda, segue la crescita dei
figli e accudisce gli anziani che rimangono in campa-
gna. Siamo abituate a giocare su più tavoli contempo-
raneamente, e la stessa filosofia trasferita in azienda
ha offerto a molte di noi la capacità di sopravvivere alle
crisi che periodicamente investono singoli settori.
Quote latte, mucca pazza, aviaria, concorrenza estera:
senza un approccio multifunzionale, e senza il piacere
di trasformare la casa dell’agricoltore in un luogo aper-
to al pubblico, una grossa fetta dell’agricoltura italiana
sarebbe già in ginocchio. Specie quelle piccole aziende
che sono la base storica di Coldiretti e che svolgono un
ruolo fondamentale di presidio del territorio”.
Basta la multifunzionalità per rimanere sul mer-
cato?
“A mio parere è fondamentale, ma certo da sola non
basta o comunque non basta per tutti. Oggi alle azien-
de è richiesto un grosso investimento in formazione,
per presidiare aree a cui fino a pochi anni fa si badava
ben poco. Marketing, packaging, strumenti innovativi
di vendita, internet, razionalizzazione del trasporto
merci sono tutti ingredienti essenziali per un imprendi-
tore. Se c’è la consapevolezza che il mercato italiano è
ormai saturo, dobbiamo anche renderci conto che per
aggredire nuovi mercati è indispensabile abbandonare
la nostra vecchia logica agricola chiusa e conservatrice.
Faccio solo un esempio per spiegare lo scenario che si
va dispiegando a livello internazionale. In Cina sta cre-
scendo la prima generazione di bambini che consuma
latte. I loro genitori non possiedono neppure gli enzi-
mi necessari a digerire il lattosio, ma nel giro di un paio
di generazioni un popolo di un miliardo e 300 milioni
di persone si presenterà sul mercato chiedendo latte,
yogurth, derivati. E naturalmente acqua, foraggio, ani-
mali. Cosa comporterà questo per il mercato, è persino
difficile da immaginare”.
Intanto una fascia benestante di cinesi, indiani,
arabi e via elencando guarda ai prodotti italiani
come a un sinonimo di qualità. Ma cosa vuol dire
per un imprenditore investire sulla qualità?
“Vuol dire affrontare il mercato con una marcia in più,
ma prima ancora vuol dire salvare la propria azienda in
un panorama segnato da una quantità di prodotti a
basso prezzo e da costi di produzione che in Italia sono
altissimi. In altre parole, per chi non vuol chiudere gli
occhi di fronte alla realtà oggi come oggi è una strada
obbligata”.
Il fatto è che non tutti hanno in tasca i petroldol-
lari degli arabi...
“E infatti qui si gioca una battaglia decisiva per il
nostro futuro: trovare forme di commercializzazione
7 marzo 2009
che consentano di abbattere i costi di filiera, e accom-
pagnare i consumatori in un percorso culturale che
aumenti la loro consapevolezza in merito alle scelte ali-
mentari.
Come Coldiretti da anni stiamo promuovendo quello
che abbiamo definito un Patto con il consumatore,
basato sulla comunicazione e sulla responsabilità reci-
proca. Prenda l’esempio dei farmer’s markets che si
stanno diffondendo a macchia d’olio nelle città italia-
ne: se il prodotto è freschissimo, se arriva da quel terri-
torio, se viene proposto a un prezzo inferiore a quello
che si trova in negozio (ma superiore a quel che un
grossista paga all’agricoltore), ecco che attraverso la
spesa riusciamo a comunicare concetti come quelli di
filiera corta o di chilometri zero che consideriamo fon-
damentali. Per la salute delle persone, e per la salva-
guardia dell’ambiente”.
A patto che – e non sempre è successo – i costi
siano ragionevoli. Altrimenti si accorcia la filiera
ma il prezzo per il consumatore rimane lo stesso.
Al punto che l’inaugurazione di qualche farmer’s
market si è trasformata in un insuccesso, media-
tico e di clienti...
“C’è una mentalità da cambiare, e ne siamo consape-
voli. Il paradosso è che molti agricoltori si accontenta-
no delle briciole quando vendono ai grossisti, mentre
in piazza trovano giustificato vendere a peso d’oro in
nome della qualità.
Facciamo chiarezza una volta per tutte: non dobbiamo
scambiare la qualità con il furto. Se oggi all’agricoltore
rimangono in tasca 30 centesimi ogni euro di valore del
prodotto alla vendita, attraverso i farmer’s markets
possiamo sperare di incassarne 60, non certo 1 euro e
20. Senza un margine equo per i consumatori, l’intera
operazione perde di senso”.
Il prezzo però non è tutto, o non dovrebbe esser-
lo. Certo, se l’Europa non mettesse i bastoni tra
le ruote, sarebbe più facile spiegarlo ai consuma-
tori.
“Questa è l’altra faccia della medaglia, ed è uno dei
punti di maggiore attrito che in questo momento regi-
striamo a livello comunitario. Parole come rintracciabi-
lità e tracciabilità dell’origine sono per noi fondamen-
tali, esattamente come la multifunzionalità. Se voglia-
Agricoltura biologica
mo far crescere e sostenere un’agricoltura di qualità,
abbiamo bisogno anche di consumatori sempre più
consapevoli e attenti a quel che mangiano. Sappiamo
perfettamente che i nostri prodotti costano di più, ma
quel prezzo è giustificato da controlli rigorosissimi
lungo tutta la filiera che pochissimi altri paesi hanno.
Quello che chiediamo è che ogni produttore abbia
quantomeno la possibilità di indicare in etichetta i luo-
ghi di provenienza e di trasformazione dei prodotti.
Sarà poi il consumatore a scegliere se vuole mangiare
un grano che arriva dalla Turchia o un pomodoro della
Cina. Ma chi il grano lo produce in Italia sobbarcando-
si costi ben più alti deve poterlo comunicare ai suoi
clienti”.
Sa cosa rispondono a Bruxelles? Che per giustifi-
care tutta la pasta prodotta in Italia bisognereb-
be coltivare a grano l’intera penisola. E forse non
basterebbe nemmeno. Come la mettiamo?
“La mettiamo in maniera molto semplice. Sappiamo
tutti che la maggior parte delle aziende italiane indu-
striali non usa il nostro grano, e per quel che ci riguar-
da dovranno essere sempre in grado di farlo. Poi ci
sono tante aziende medio-piccole, magari a conduzio-
ne artigianale, che il grano continuano a produrlo o
acquistarlo in Italia. E’ a loro che noi pensiamo, e siamo
convinti che debbano avere la possibilità di raccontare
in etichetta al consumatore il perché di un prezzo più
alto.
Questa non è una trovata pubblicitaria del momento,
ma l’unica strada possibile per tutelare davvero la qua-
lità. Sarà poi il consumatore a scegliere in base ai suoi
gusti e alle sue convinzioni. Ma che almeno abbia tutti
gli elementi per farlo a ragion veduta”.
GGuuaarrddaa ll’’iinntteerrvviissttaa aaddAAddrriiaannaa BBuuccccoo ssuull ssiittoohhttttpp::////qqcciibblloogg..bbllooggssppoott..ccoomm
Il prodotto cosmetico:un mistero da svelare
8marzo 2009
EElliissaa MMaaccccaaggnniiChimico - Esperta di prodotti cosmetici
[email protected] consumatore attento è facile capire, assag-
giandolo, la qualità organolettica di un ali-
mento e anche comprendere in modo suffi-
cientemente agevole, leggendo l’etichetta, che cosa
contiene; riuscendo persino a decifrare i misteriosi
ingredienti contrassegnati dalla lettera “E”.
Orientarsi nel mondo dei cosmetici, invece, è molto più
difficile ed anche a un consumatore attento ed evoluto
può risultare complicato comprendere la buona quali-
tà di un prodotto cosmetico: che cosa contiene e se sta
utilizzando effettivamente un prodotto “naturale”
oppure totalmente “chimico”.
Per addentrarci nel modo affascinante della cosmetica,
cerchiamo di capire com’è fatto un prodotto cosmetico,
come viene presentato e, soprattutto, come possiamo
decifrare gli ingredienti contenuti, ovvero il mistero dei
codici INCI.
Tutto questo tenendo ben presente che la produzione
e commercializzazione dei cosmetici nella UE è regola-
ta dalla Direttiva 76/768/CEE, recepita in Italia dalla
L. 713/86 e successivi aggiornamenti.
COMINCIAMO A SVELARE IL MISTERO
Generalmente un cosmetico è formato da tre categorie
di materie prime: gli eccipienti, i principi funzionali e
gli additivi.
Gli eccipienti, detti anche sostanze di base, sono costi-
tuiti da un insieme di sostanze che costituiscono l’im-
palcatura del cosmetico. La scelta degli eccipienti
dipende dal tipo di cosmetico che vogliamo formulare:
un tonico sarà composto di acqua o da solventi liquidi,
mentre una crema sarà composta da acqua e sostanze
grasse o siliconiche.
Gli additivi sono delle sostanze che vengono additiva-
te al prodotto cosmetico per eliminare o migliorarne le
qualità organolettiche (colore, odore, texture…) oppu-
re la conservazione, la tecnica di fabbricazione e altro.
Sono considerati additivi i conservanti, i profumi, i
coloranti, gli antiossidanti…
I principi funzionali sono quelle materie prime dalle
quali dipende l’azione cosmetica vera e propria.
Ad esempio, in una crema antiage i principi funzionali
saranno una serie di materie prime che rallentano l’in-
vecchiamento cutaneo, come ad esempio, la vitamina
E, alcuni enzimi o altro. Non è sempre, però, possibile
fare una distinzione netta tra queste tre macrocatego-
rie. Un ombretto, per esempio, è costituito da un insie-
me di polveri e coloranti tenuti insieme da oli leganti:
nessuna di queste sostanze può essere considerata un
principio attivo, ma l’ombretto funziona benissimo!
CONTINUIAMO A SVELARE IL MISTERO:
L’ETICHETTATURA E IL CODICE INCI
Indipendentemente dal tipo di cosmetico, la legge
713/86 fornisce disposizioni precise sull’etichettatura.
L’articolo 8 prevede, infatti, che su un’etichetta di un
cosmetico debbano essere riportate le seguenti diciture:
1) Responsabile immissione sul mercato del prodotto;
2) Contenuto nominale;
3) Data di scadenza. Tale indicazione è obbligatoria
solo se il prodotto integro ha una durata inferiore ai
30 mesi. Se invece ha una durata superiore ai 30
mesi è obbligatoria l’indicazione del PAO (Period
After Opening): ovvero l’indicazione della durata
del prodotto una volta aperto. Il PAO è indicato
mediante un simbolo;
4) Precauzioni o avvertenze, se necessario, previste per
l’utilizzazione corretta del prodotto;
5) Il numero del lotto;
6) Il Paese di origine per i prodotti fabbricati in Paesi
non membri della UE;
7) La funzione del prodotto (se necessaria);
8) L’elenco degli ingredienti.
9 marzo 2009
Gli ingredienti devono essere riportati in ordine
decrescente di peso (sotto l’1% possono essere ripor-
tati in ordine sparso) e devono essere dichiarati con la
nomenclatura comune prevista dall’inventario europeo
degli ingredienti cosmetici, ovvero il “famoso” INCI
(International Nomenclature Cosmetic Ingredients).
Tale “vocabolario” è stato instituito con la Decisione
96/335/CEE e modificato dalla Decisione 2006/257/CE.
Bisogna porre l’accento sul fatto che l’inventario degli
ingredienti è puramente indicativo, e non costituisce
una lista di sostanze autorizzate o vietate per l’uso nei
prodotti cosmetici.
La nomenclatura INCI è una terminologia convenziona-
le che si basa, in linea di massima, sui seguenti principi:
- i nomi degli ingredienti chimici sono indicati in
inglese
- i nomi degli ingredienti naturali sono in latino, con
l’indicazione, per gli ingredienti vegetali della parte
di pianta in inglese
- i coloranti sono indicati, quasi tutti, con il numero di
Colour Index (CI)
Così, ad esempio, la cera d’api sarà indicata come
“Synthetic beeswax” se di origine sintetica e come
“Cera alba” se di origine naturale.
Riuscendo a decifrare il linguaggio INCI è possibile
avere una radiografia del cosmetico, capendo
quali materie prime sono state adoperate per la
sua realizzazione.
La Decisione 2006/257/CE, oltre a riportare il nome INCI
di un ingrediente, fa riferimento alle funzioni per le
quali questo viene di norma utilizzato nei prodotti
cosmetici.
Alcuni esempi di funzioni possono essere: AGENTE
TAMPONE (Stabilizza il pH dei cosmetici), CONSERVAN-
TE (Impedisce, prevalentemente, lo sviluppo di micror-
ganismi nel cosmetico). Tutti i conservanti elencati sono
sostanze che figurano nella lista positiva dei conser-
vanti (Allegato VI della direttiva Cosmetici).
Ed è proprio basandosi sulle categorie funzionali delle
materie prime che cominceremo, dal prossimo numero,
il nostro percorso di approfondimento per cercare di
decifrare i codici INCI e riuscire, in questo modo, ad
arrivare alla finalità della rivista: comunicare la qua-
lità reale.
Cosmetica
Data di scadenza
Per i prodotti cosmetici NON è sempre obbligatorio
indicare sulla confezione la data di scadenza.
Infatti, la L. 713/86, articolo 8, comma 1c, stabilisce che:
“la data di durata minima del prodotto cosmetico, che
corrisponde a quella alla quale tale prodotto, opportu-
namente conservato, continua a soddisfare la sua fun-
zione iniziale e rimane in particolare conforme alle dis-
posizioni di cui al comma 1 dell’articolo 7. […]
L’indicazione della data di durata minima non è obbli-
gatoria per i prodotti cosmetici che abbiano una dura-
ta minima superiore ai 30 mesi”.
Ovvero il legislatore ci dice che, se su un prodotto
cosmetico non troviamo la data di scadenza, tale pro-
dotto ci viene garantito, se conservato in maniera ido-
nea, per almeno 30 mesi.
La data di scadenza fa riferimento sia ad un possibile
rischio derivante dall’uso del prodotto che ad una per-
dita di funzionalità del prodotto stesso.
Data di produzione
La data di produzione è la data nella quale un articolo
viene prodotto. Per i prodotti cosmetici NON è obbli-
gatorio riportare tale indicazione.
PAO
PAO: Period After Opening.
Il PAO indica “… periodo di tempo in cui il prodotto,
una volta aperto, può essere utilizzato senza effetti
nocivi per il consumatore.”
Il PAO viene indicato tramite il simbolo sopra riportato
seguito dal’indicazione del numero di mesi.
Il PAO fa riferimento solo al possibile rischio derivante
dall’uso del prodotto e non alla perdita di funzionalità.
L’indicazione del PAO è obbligatoria, a parte poche
eccezioni, per tutti i prodotti aventi una durata minima
superiore ai 30 mesi.
Nota bene
PPaaoolloo BBeerrttaazzzzoo,ANCCP srl
(per gentile concessione PUNTO CE)
Pertanto un primo tipo di certificazione, quello della
gestione forestale, riguarda il fatto che una proprietà
forestale venga gestita secondo criteri di sostenibilità.
Il legname che viene prodotto viene marchiato ed è
quindi commercializzato come da proveniente da
boschi gestiti in modo sostenibile.
Il legname proveniente da foreste certificate per la cor-
retta gestione forestale, deve poi poter essere rintrac-
ciabile nelle varie fasi delle successive lavorazioni sino
al prodotto finito.
Questo secondo tipo di certificazione viene denomina-
to catena di rintracciabilità – chain of custody.
La convenienza della certificazione forestale per un
proprietario o per un azienda di lavorazione del legno
consta in considerazioni di natura economica connesse
alla preferenza accordata dal consumatore al prodotto
certificato. Pertanto rappresenta quindi un utile stru-
mento di marketing, un’opportunità di ufficializzare
l’impegno imprenditoriale verso l’ambiente, e al tempo
stesso un impegno per la promozione di una gestione
oculata e corretta di boschi.
Il sistema PEFC permette di certificare:
1) la sostenibilità della gestione dei boschi;
2) la rintracciabilità dei prodotti legnosi commercializ-
zati e trasformati che provengono da boschi certifi-
cati PEFC
I documenti di riferimenti per la certificazione foresta-
le PEFC Italia sono i seguenti:
ITA 1000
Descrizione dello schema PEFC Italia di certificazione
della Gestione Forestale Sostenibile
ITA 1001-1
Criteri ed indicatori per la certificazione individuale e
di gruppo di GFS
ITA 1001-2
Criteri ed indicatori complementari per la certificazio-
ne regionale di GFS
Il sistema PEFC è un’iniziativa volontaria basata su
una larga intesa delle parti interessate all’implemen-
tazione della gestione forestale sostenibile a livello
nazionale e regionale dal mondo della proprietà al
mondo ambientalista, dal mondo dell’industria del
legno al consumatore finale.
Il PEFC Italia è un’associazione senza fini di lucro che
costituisce l’organo di governo nazionale del sistema di
certificazione PEFC – Programme for Endorsement of
Forest Certification schemes -. Partecipano ad oggi allo
sviluppo del PECF Italia 41 soci in continuo aumento
tra rappresentanti dei proprietari forestali, consumato-
ri, degli utilizzatori, dei liberi professionisti, delle
amministrazioni, delle cooperative e dal mondo del-
l’industria e dell’artigianato del legno.
Tra gli obiettivi principali del PEFC vi sono quelli di rag-
giungere e migliorare l’immagine della selvicoltura e
della filiera foresta – legno, fornendo uno strumento
che consenta di commercializzare legno e prodotti del
bosco derivanti da foreste gestite in modo sostenibile.
Per certificazione della gestione forestale si intende
una procedura di verifica riconosciuta che conduca
all’emissione, da parte di un organismo di terza parte
indipendente, di un certificato che attesti che le forme
di gestione boschiva rispondono a determinati criteri e
requisiti di sostenibilità.
Criteri e requisiti che per la fase di certificazione fore-
stale sostenibile GFS sono indicati e valutati nel riferi-
mento normativo PEFC Italia denominato ITA 1001-1.
Lo schema di certificazione forestale PEFC in Europa è
fondato su tre principi fondamentali:
- il rispetto dei criteri e degli indicatori definiti nelle
Conferenze Ministeriali per la protezione delle fore-
ste in Europa che hanno dato via al cosiddetto
Processo pan-europeo;
- l’applicazione a livello regionale o di gruppo (anche
se è possibile un’adesione individuale);
- i controlli di conformità e la certificazione affidate a una
terza parte indipendente, riconosciuta e accreditata.
La certificazione forestale è richiesta per l’esigenza dei
consumatori di poter disporre sui mercati di prodotti a
base di legno proveniente da boschi gestiti in maniera
corretta e sostenibile, sia da in punto di vista ecologico
che economico e sociale.
La certificazione forestalee il sistema PECF
10marzo 2009
ITA 1002
Schema di certificazione della Catena di Custodia
dei prodotti di origine forestale
ITA 1003
Accreditamento ODC e qualificazione Personale
di Audit GFS E COC
ITA 1004
Schema di certificazione PEFC per la Pioppicoltura
ITA 1004-1
Criteri e indicatori di certificazione PEFC
per la pioppicoltura
Riassumendo la certificazione forestale è una dichiara-
zione con la quale una terza parte indipendente verifi-
ca ed attesta che un sistema produttivo, un prodotto o
un servizio è conforme ai requisiti (o standard) di una
norma o una regola tecnica.
Gli standard, ossia i criteri e gli indicatori che vengono
utilizzati nel processo di certificazione, variano a secon-
da del sistema prescelto. Alcuni schemi di certificazione
prevedono il rilascio di un logo sul prodotto e/o sui
documenti ad esso relativi.
La certificazione di qualità può seguire un approccio:
1) ‘di sistema’ quando si verifica l’adozione da parte
dell’azienda di un processo produttivo e di un’orga-
nizzazione gestionale che preveda il miglioramento
continuo delle prestazioni nel tempo. Gli obiettivi
da raggiungere e gli strumenti attuativi sono scelti
dall’azienda stessa nell’ambito di una norma di rife-
rimento (ad es. ISO 9000);
2) basata sulla performance (o prestazione) quando si
accerta l’adozione ed il rispetto, da parte dell’azien-
da, di un insieme di standard di validità generale
misurati e monitorati nel tempo secondo parametri
quantitativi o descrittivi. Gli obiettivi da raggiunge-
re, così come gli standard di riferimento, sono pre-
definiti e applicabili a tutte le aziende del settore,
indipendentemente dalle loro dimensioni. La tipolo-
gia degli standard utilizzati nel processo di certifica-
zione ed il numero degli indicatori di monitoraggio
variano a seconda dello schema prescelto.
Nel settore forestale la certificazione permette alle
aziende di attestare la propria conformità a principi e
criteri di gestione, utilizzazione e trasformazione soste-
nibile delle risorse legnose.
E’ quindi definita come uno strumento di mercato che
ha lo scopo di sensibilizzare e fornire incentivi sia al
11 marzo 2009
Certificazione
produttore che al consumatore per l’uso sostenibile
delle foreste. In altri termini, è un valore aggiunto che
può facilitare il commercio e aumentare la redditività
del prodotto o servizio offerto. La certificazione fore-
stale può distinguersi sulla base della valutazione di
conformità della:
1) gestione forestale, dalla fase di pianificazione all’e-
sbosco e accatastamento
2) rintracciabilità dei prodotti o tracciabilità di filiera
(anche denominata “catena di custodia” o chain of
custody). In questo caso il certificato e il logo sul
prodotto attestano che un certo contenuto in
legno, oppure l’intero prodotto, proviene da fore-
ste gestite in modo sostenibile. La catena di custo-
dia è valida solo se ogni azienda della filiera di lavo-
razione e trasformazione impiega materiale legno-
so certificato di cui sono note la provenienza e la
gestione. A ogni stadio della catena di lavorazione
e trasformazione deve essere quindi possibile rin-
tracciare la provenienza del prodotto tramite un
codice identificativo dell’azienda.
La certificazione si differenzia anche in base ai sogget-
ti che vengono certificati e può essere:
1) aziendale (o individuale), quando si rivolge a sin-
gole aziende, siano esse proprietà forestali o indu-
strie di trasformazione e lavorazione del legno;
2) di gruppo, quando comprende gruppi di aziende
dello stesso tipo (ad es. industrie di pannelli) o di
proprietà consorziate che condividono il sistema
gestionale e amministrativo;
3) regionale, intendendo per ‘regione’ una porzione
di territorio non necessariamente coincidente con la
regione amministrativa e che comprende soggetti di
natura diversa (es. proprietari, industrie di trasfor-
mazione, consorzi, pubblica amministrazione, rap-
presentanti di categoria).
In Italia, come in Europa e nel resto del mondo la certi-
ficazione forestale si sta diffondendo sempre più a
tutela e per conto del consumatore.
Bibliografia: Pecf Ialia – www.pefc.it
GGuugglliieellmmoo FFrreezzzzaaGiornalista
mondo, è un modo di pensare e di agire che va appli-
cato concretamente nella nostra vita quotidiana”.
Faccia un esempio.
“Mi interessa stabilire relazioni con i piccoli produttori
del mio territorio, per dare occasioni di sviluppo a un’e-
conomia ingiustamente considerata marginale, in cui le
persone mettono la loro faccia e la loro storia, non solo
la notorietà del marchio. Mi interessa sapere nel detta-
glio come si produce, a partire dalle condizioni di lavo-
ro del personale. E mi interessa sapere se quell’azienda
svolge anche quel ruolo di presidio e tutela dell’am-
biente che per secoli è stato parte integrante dell’e-
sperienza agricola”.
Non le basta che un prodotto sia certificato bio-
logico, per sentirsi garantito?
“Non mi basta no, e questo è il punto più delicato su
cui come Gruppi d’Acquisto cerchiamo di lavorare
innanzitutto a livello culturale. Cosa ne so di un pro-
dotto biologico che viene dalla Cina, a parte il fatto che
ha percorso migliaia di chilometri in un aereo o in una
nave cargo? In realtà l’esperienza quotidiana ci dice
che il consumatore non è pienamente tutelato a livello
di informazioni. Nemmeno la certificazione più rigoro-
sa mi consente oggi di capire chi davvero è impegnato
In Italia ormai sono più di cinquecento. C’è chi aggre-
ga le famiglie di un condominio e chi è arrivato a
contare centinaia di soci; chi è nato come naturale
evoluzione di esperienze associative o di consumo criti-
co e chi, più semplicemente, dal desiderio di portare in
tavola alimenti di qualità senza rimanere ostaggio dei
volantini con le offerte settimanali che la grande distri-
buzione recapita in ogni cassetta delle lettere.
Eterogenei, informali, profondamente radicati nel ter-
ritorio e gelosi della propria indipendenza al punto di
non aver mai voluto costituire un’associazione a livello
nazionale, i GAS (Gruppi d’Acquisto Solidale) sono uno
dei fenomeni più interessanti che hanno preso piede
negli ultimi anni. E pian piano stanno assumendo con
la forza dei numeri e delle idee una dimensione non
più trascurabile nemmeno dal punto di vista economi-
co. Alla faccia di chi troppo presto avrebbe voluto liqui-
dare la loro esperienza come un marginale mix di uto-
pia e solidarismo.
“In realtà – racconta Daniele Cannistrà, uno dei padri
del GAS Sul Serio di Crema – oggi sono i grandi gruppi
italiani del settore biologico che si stanno impegnando
a studiare le dinamiche dei Gruppi d’Acquisto per arri-
vare a proporre i loro prodotti. Questo vuol dire che
hanno intravisto un mercato potenzialmente interes-
sante, specie in un momento di contrazione dei consu-
mi. Anche se forse non hanno colto appieno le motiva-
zioni che stanno alla base della nostra esperienza”.
Sarebbe a dire? Se con la forza dei numeri riusci-
te a ottenere prezzi scontati, e oltretutto su pro-
dotti biologici, cosa volete di più?
“Attenzione, perché rischiamo di ficcarci in un equivo-
co da cui poi non si esce più. Siamo una realtà etero-
genea, senza alcuna organizzazione a dettare le linee
guida, e quindi non escludo che in Italia possano esser-
ci anche Gruppi d’Acquisto la cui unica finalità è quel-
la di ottenere prodotti di qualità a prezzi accettabili.
Ma credo che siano una minoranza, e nemmeno i più
interessanti dal punto di vista dei numeri. In realtà, io
sono convinto che la vera forza dei Gruppi d’Acquisto
sia un’altra: proporsi come esempio concreto e realiz-
zato di un modello alternativo alle logiche puramente
capitalistiche del commercio. E questo non è solo un
problema di tutela dei contadini poveri del Sud del
Solidali... sul Serio
12marzo 2009
sul fronte della qualità o del rispetto delle norme eti-
che, che per noi sono discriminanti. Servono altri crite-
ri, magari non obbligatori ma che consentano di
accompagnare i prodotti con una sorta di scheda di
autoreferenza che aumenti le informazioni rivolte al
consumatore. Oppure, come i Gruppi d’Acquisto hanno
fatto finora recuperando lo spirito originale dell’agri-
coltura biologica, questo problema va risolto attraver-
so il rapporto diretto e la conoscenza tra produttore e
consumatore. Da solo non puoi farlo, in gruppo sì”.
Detto fra noi, sono tutte cose belle ma che costa-
no. E poi chi le ripaga le aziende?
“Le ripaghiamo noi, ed è per questo che ritengo sba-
gliato considerare i Gruppi d’Acquisto semplicemente
una scorciatoia per risparmiare. Noi acquistiamo le
arance in Sicilia, e quest’anno abbiamo già stabilito il
prezzo che pagheremo l’anno prossimo. Magari così le
paghiamo più di quel che non ci costerebbero tra dodi-
ci mesi, ma intanto quel produttore ha la certezza di un
reddito”.
Se è per questo lo fa anche la Grande distribuzione...
“No. La distribuzione tradizionale cerca anche il pro-
dotto di buona qualità, in regola con tutte le certifica-
zioni... purché però costi poco. E i suoi volumi sono tali
da rendere i piccoli produttori ostaggio di strategie
commerciali in cui non hanno voce in capitolo, indifesi
di fronte a un abbassamento improvviso dei prezzi.
I Gruppi d’Acquisto possono invece essere un concreto
canale alternativo, in cui il prezzo di vendita incorpora
anche quel valore aggiunto determinato dall’etica,
dalla tutela ambientale, dal valore sociale che un’im-
presa sa esprimere. E questo, per i produttori da un
lato e i consumatori dall’altro, è un autentico circuito
virtuoso.
Insomma, volete cambiare il mondo.
“Ci basta costruire un modello di sviluppo alternativo,
unendo un lavoro culturale a lungo termine con la
quotidianità delle scelte concrete. Quale che sia la sto-
ria di ciascuno, alla base dei Gruppi d’Acquisto ci sono
sempre le famiglie intese come primo nucleo sociale.
Da lì è possibile disegnare nuclei allargati, che conser-
vino quell’aspetto solidale e accogliente che è al fondo
dell’esperienza familiare.
GAS significa Gruppo d’Acquisto Solidale: al suo inter-
no, nella logica dell’aiuto e della reciprocità; al suo
esterno, offrendo ai produttori nuovi percorsi di svi-
luppo economico.
Cambiare il mondo? Facciamo la nostra parte”.
13 marzo 2009
Dalla parte del consumatore
Il Gas cremasco si è costituito nel dicembre del 2000 con
un gruppo iniziale di una decina di famiglie che da
qualche anno aderivano alla campagna nazionale
Bilanci di Giustizia, una delle prime iniziative nate nel
mondo dell’associazionismo cattolico per aiutare la ri-
flessione critica sull’uso del denaro e sugli acquisti.
Da allora si è andato via via ampliando arrivando a con-
tare attualmente circa 100 famiglie aderenti, a cui
vanno aggiunte anche le famiglie che non si segnalano
direttamente ma si appoggiano ad amici o parenti che
fanno parte del gruppo.
Parallelamente alla crescita delle adesioni, il gruppo si
è anche irrobustito dal punto di vista giuridico, e dal-
l’aprile 2007 si è costituito in associazione prendendo
la nuova denominazione di “GAS sul Serio”, con un
efficace gioco di parole che unisce il nome del fiume
della città alla forte consapevolezza etica dei soci.
L’attività del gruppo è scandita in due momenti essen-
ziali: l’acquisto collettivo di prodotti, curato da alcuni
membri del gruppo; l’incontro periodico (3-4 volte l’an-
no) per approfondire argomenti di comune interesse,
riflettere sulle tematiche etiche e concordare le linee di
azione del gruppo. Un impegno culturale che è stato
recentemente ripreso e incrementato, come indispen-
sabile corollario degli acquisti.
Attualmente sono una ventina i piccoli produttori da
cui il GAS si serve, per la stragrande maggioranza
aziende dei territori limitrofi con una vasta gamma di
prodotti che spazia dal riso ai detergenti ecologici.
A differenza di altri GAS, a Crema non esiste un magaz-
zino comune del gruppo. Ciascun aderente, a
rotazione, si fa carico di tenere i contatti con un forni-
tore, ricevere i prodotti a casa propria e organizzare la
consegna alle famiglie. Una scelta che contribuisce a
tenere bassi i costi, ma soprattutto aiuta ad appro-
fondire il rapporto diretto tra le persone che è alla base
dell’esperienza dei Gruppi d’Acquisto Solidali.
Dieci anni di storiain riva al Serio
SStteeffaannoo CCaassttiiggnnaannii,PEGASO management
re alimentare garantiscano sistemi di conduzione igie-
nica delle attività e di tempestiva risposta ad eventuali
allarmi di sicurezza alimentare. Proprio da tali necessi-
tà si è partiti per avviare il progetto COAL:
1) Si è proceduto ad una prima indagine di valutazione
dell’effettivo grado di applicazione e approfondi-
mento della normativa cogente, mediante apposite
verifiche preliminari che hanno coinvolto tutta la
base associativa, condotte dagli Assistente Rete, per-
sonale COAL che vive quotidianamente il territorio
affiancando il singolo punto vendita.
2) Sulla base dei dati raccolti si è sviluppato un capito-
lato tecnico di servizio da trasferire a tutta la base
sociale.
Parallelamente si sono pianificati interventi di forma-
zione degli addetti alle attività alimentari, organizzan-
do corsi di formazione e rendendoli fruibili a tutti i soci
nel territorio di propria appartenenza. I corsi, allineati
alle regole regionali (in applicazione agli accordi Stato-
Regioni che prevedono che la singola amministrazione
regionale legiferi in merito a modalità e contenuti di
formazione degli addetti alimentaristi), prevedono,
oltre ai contenuti obbligatori, aspetti riferibili alla
gestione specifica di attività di vendita di prodotti ali-
mentari. L’assistenza agli operatori anche mediante
interventi formativi finalizzati a costruire consapevo-
lezza è stata considerata una base di rilevante impor-
tanza per lo sviluppo delle attività a seguire: il proget-
to vuole rappresentare un effettivo sistema di garan-
zia, che dovrà essere gestito da operatori sufficiente-
mente formati che rendano operativo nel quotidiano il
sistema implementato.
I punti vendita, in relazione all’organizzazione della
COAL si differenziano, anche sostanzialmente, l’uno
dall’altro. Alcuni sono maxi supermercati che hanno
Nel precedente numero abbiamo presentato il
progetto “Una Rete di Qualità del Servizio con
al centro il consumatore”. Il progetto, articola-
to in molteplici fasi, è stato avviato dalla nostra orga-
nizzazione con uno dei protagonisti della Distribuzione
Organizzata del Centro Italia fin dagli anni ’60.
La COAL Soc. Coop. a r.l. (www.coal.it), indissolubil-
mente legata al territorio e quindi più che mai vicina
alle esigenze dei consumatori, ha trovato nella forza
della cooperazione (circa 400 punti vendita associati o
affiliati) una risposta concreta ed efficace, una formu-
lazione organizzativa che permette di salvaguardare
quel prezioso patrimonio di fiducia e rapporto perso-
nale che lega il consumatore al suo punto vendita.
Consci dell’importanza di garantire un servizio impec-
cabile, lavorazioni controllate dal punto di vista igieni-
co-sanitario, il corretto mantenimento dei prodotti ali-
mentari alle idonee temperature e condizioni di stoc-
caggio, COAL ha definito, unitamente alla nostra orga-
nizzazione professionale, un percorso che punti al per-
fezionamento di uno standard di servizio altamente
qualitativo, per costruire un Marchio unico, che sia sin-
tesi di servizio al consumatore, qualità di lavorazioni e
prodotti: “il Sorriso della Qualità”.
Questo progetto, sicuramente ambizioso e innovativo
per il settore, se da una parte promette sicuri vantaggi
relativamente al posizionamento ed all’affidabilità di
COAL, presenta al tempo stesso alcune criticità gestio-
nali legate alla “sovranità” del singolo socio. In questa
ottica si giustifica la “cautela” operativa con cui si è
mossa la Direzione COAL, abbinata a un piano di pro-
getto con tempistiche “non stringenti” per permettere
e facilitare al proprio contesto cooperativo l’avvicina-
mento al progetto.
Un primo passo necessario è stato identificato con l’op-
portunità di verificare e allineare la gestione del singo-
lo Punto Vendita dal punto di vista della tutela norma-
tiva, per garantire il consumatore in due aspetti impre-
scindibili: igienicità delle lavorazioni e salubrità degli
alimenti e delle bevande.
La normativa europea, articolata in molteplici regola-
menti (con in testa il “Libro Bianco” – Reg. CE 178/2002
e il cosiddetto “Pacchetto Igiene” – Reg.ti CE 852-853 e
854 del 2004), prevede che tutti gli operatori del setto-
Primo obiettivo: garantire standard di igienicità e salubrità
14marzo 2009
servizi completi per quanto concerne l’alimentazione
(il libero servizio, la gastronomia, macellerie e pesche-
rie, reparti frutta e verdura e panetteria interna, senza
escludere aree di specificità territoriali e surgelati con-
fezionati o a libero servizio), altri sono negozi di vici-
nato specializzati.
Il capitolato quindi doveva garantire interventi specifi-
ci per il singolo punto vendita che permettessero di
valorizzare le sue peculiarità, garantendo al tempo
stesso che tutte le attività svolte fossero regolamenta-
te secondo buone pratiche di lavorazione, attraverso
attente analisi dei rischi e con sistemi di controllo dei
punti ritenuti critici (metodologia HACCP).
Sono previsti quindi check e verifiche specifiche in tutti
i punti vendita, con l’obiettivo di verificare effettive
attività svolte, modalità operative di conduzione dei
processi e strutturazione delle aree e dei locali.
CHECK E VERIFICHE A TUTELA DELLA QUALITA’
Il check di analisi rappresenta anche un momento di
verifica, condotto da personale qualificato della nostra
oranizzazione (biologi, tecnologi alimentari, con spe-
cializzazione ed esperienza consolidata in ambiti di
autocontrollo alimentare), che permette di effettuare
una fotografia delle situazioni tecnico-strutturali, con
l’obiettivo di verificare l’allineamento delle strutture
dei Punti Vendita alle disposizioni tecnico-normative
attuali, soprattutto per quelle strutture che sono ope-
rative sul mercato ormai da molti anni. Tale valutazio-
ne (sia strutturale che comportamentale) produce un
report analitico dei rilievi emersi, i quali sono trasferiti
al singolo punto vendita e utilizzati dallo stesso per
condurre gli eventuali interventi correttivi.
I dati raccolti nei sopralluoghi vengono sintetizzati per
assistere il singolo esercente nella predisposizione del
piano di autocontrollo personalizzato in relazione alle
proprie peculiarità.
Il documento contiene, oltre che la rispondenza alla
normativa cogente, le prassi operative adottate dal sin-
golo punto vendita per garantire igienicità di lavora-
zioni, corrette procedure di verifica del manteniemnto
delle temperature di stoccaggio, esposizione e vendita,
di conduzione delle pulizie, delle disinfezioni e delle
manutenzioni di apparecchiature e locali.
Il sistema contiene inoltre le modalità di gestione di
eventuali non conformità, sia in fase di accettazione
con relativi strumenti di segnalazione dei problemi alla
sede centrale (per la tempestiva gestione da parte del
gruppo), che di eventuali difformità riscontrate duran-
te la lavorazione dei prodotti, lo stoccaggio o la vendi-
ta, il servizio al consumatore.
L’INFORMAZIONE DI PRODOTTO AL CONSUMATORE
Importante attenzione è stata riversata anche nel siste-
ma di informazione di prodotto al consumatore: per
quanto concerne preparazioni interne (prodotti
gastronomici, preparati a base di carne pronti a cuoce-
re, prodotti cotti, confezioni monodose di prodotti pre-
senti anche a banco, ecc.) si è proceduto con la verifica
del sistema di etichettatura e di informazione median-
te “Cartelli unici degli ingredienti” o “Ricettari” posti
in posizioni ben visibili alla clientela e contenenti tutte
le informazioni utili ad una scelta consapevole (nonché
rispondenti alla normativa di riferimento – d.lgs.
109/92 e smi). Per alcune tipologie di prodotti agroali-
mentari (es. carne bovina, pollame, pesce, frutta) si è
proceduto all’allineamento delle specifiche informa-
zioni integrative al consumatore previste da regola-
menti comunitari verticali.
La documentazione del Sistema di Autocontrollo HACCP
predisposto (compreso il registro contenente la moduli-
stica da utilizzare per la registrazione delle attività di
controllo previste e delle eventuali non conformità rile-
vate) è condivisa con l’operatore del settore alimentare
mediante un incontro formativo e divulgativo.
LA RINTRACCIABILITÀ DEI PRODOTTI ALIMENTARI
Altra attività regolamentata all’interno del progetto è
rappresentata dalla Rintraccaibilità dei prodotti ali-
15 marzo 2009
Dalla parte del consumatore
punti vendita che verso i fornitori/produttori e gli orga-
ni preposti al controllo.
Il canale di comunicazione e gestione è comunque bidi-
rezionale. Il singolo punto vendita, ottenute le infor-
mazioni complete provvede immediatamente (qualora
fosse aperto un “allarme”) al trasferimento delle infor-
mazioni alla clientela, mediante appositi strumenti
(cartellonistica all’ingresso, cartelli presenti nel reparto
adiacente e prossimo alla tipologia di prodotto, ecc.),
comprese le modalità comportamentali da adottare
qualora avessero acquisito il prodotto in questione.
In conclusione il progetto TUTELA NORMATIVA non
vuole rappresentare esclusivamente l’impostazione di
strumenti gestionali e tecnico-normativi, lasciando poi
il punto vendita alla gestione autonoma degli stessi.
Si è predisposto un sistema di servizio continuativo che
prevede verifiche ispettive periodiche, finalizzate a
verificare l’effettivo conduzione delle attività rispetto a
quanto previsto dai documenti e dalle procedure ela-
borate.
Mediante l’assistenza sul luogo è inoltre possibile
garantire un costante adeguamento e aggiornamento
degli strumenti di rispondenza normativa ad eventuali
aggiornamenti della stessa.
L’informazione periodica è canalizzata mediante gli
strumenti istituzionali COAL (periodico del gruppo),
all’interno dei quali è inserita un’apposita rubrica utile
a comunicare eventuali novità normative o comunque
collegate ad aspetti di garanzia qualitativa degli ali-
menti.
Altro strumento previsto dal progetto è rappresentato
dall’implementazione di un Filo Diretto, una linea tele-
fonica a servizio del singolo socio/affiliato, gestita
dall’Ufficio Qualità Coal, che permette di ottenere
risposte tempestive e puntuali alle esigenze quotidiane
in termini di tutela igienico-sanitaria e rintracciabilità
degli alimenti.
Le attività che si sono messe in campo permettono di
tracciare la base per la costruzione di un ponte di con-
tatto tra l’Organizzazione di distribuzione e il consu-
matore finale, con l’obiettivo fondamentale di garanti-
re il mantenimento degli idonei standard primari (igie-
ne e sicurezza), pre-requisito di ogni percorso di quali-
ficazione di un Marchio.
mentari. L’implementazione di un Sistema di
Rintracciabilità/Tracciabilità degli alimenti è predispo-
sto per singolo punto vendita in rispondenza a quanto
disposto dal Reg. CE 178/02 (arrt. 18 e 19) e contestual-
mente integrato al sistema di rintracciabilità e traccia-
bilità della sede centrale distributiva:
1) Si è pianificato, in accordo con la centrale distributi-
va, un protocollo di gestione delle attività di rin-
tracciabilità/tracciabilità che garantisce la traccia
logistica di ogni lotto di prodotto che gravita nei
magazzini COAL e viene distribuito ai singoli punti
vendita.
2) Tutte le informazioni sono gestite dalla Centrale
mediante apposito software gestionale, che per-
mette il mantenimento delle informazioni in archi-
vio anche dopo la consegna al punto vendita e
almeno per il tempo di vita del prodotto, con la con-
seguente possibilità di individuare i prodotti acqui-
siti dai fornitori/produttori, consegnati nel singolo
punto vendita o ancora immagazzinati nella centra-
le distributiva.
Questa capacità tecnica di gestione delle informazioni
deve necessariamente essere agganciata al singolo
punto vendita al fine di garantire un corretto e tempe-
stivo funzionamento.
3) Al singolo socio/affiliato è trasferita una procedura
gestionale che traccia le regole comportamentali da
adottare sia in caso di riscontro di problemi da parte
del consumatore, che a fronte di input forniti dagli
organi preposti il controllo, che da eventuali infor-
mazioni veicolate dalla sede centrale.
4) Mediante appositi report il singolo operatore racco-
glie le informazioni opportune e le trasferisce alla
sede centrale la quale provvede alla conduzione
delle verifiche necessarie e all’attuazione di even-
tuali azioni correttive di gestione dell’allarme.
Mediante una congiunzione operativa con la sede cen-
trale, essendo immediantamente riprocessate le infor-
mazioni, si riesce a provvedere alla gestione dell’allar-
me con la massima tempestività, sia verso la rete dei
Primo obiettivo: garantire standard di igienicità e salubrità
16marzo 2009
Storicamente, l’origine della produzione di confet-
ture e marmellate nasce dalla necessità di conser-
vare i frutti fuori stagione. I Greci e Romani lo
facevano utilizzando il miele, ma per la produzione su
scala industriale bisogna attendere la fine dell’Otto-
cento. Il valore del mercato del comparto confetture è
di 28.620 tonnellate per un fatturato di 92.400.000
euro. Le tipologie di confettura che il consumatore ita-
liano predilige sono albicocca, ciliegia, pesca e fragola,
ma sono in crescita anche mirtilli, more e frutti di
bosco.
NORMATIVA VIGENTE
Il Decreto Legislativo 20 febbraio 2004, n.50 ne stabili-
sce la denominazione di vendita. Le confetture sono i
prodotti preparati con la polpa e/o purea di uno o più
frutti, con almeno il 35% di polpa e frutta; nelle con-
fetture extra invece il minimo legale di polpa di frut-
ta aumenta al 45%. Le marmellate invece sono i pro-
dotti preparati mediante polpa, purea, succo, estratti
acquosi e scorza di agrumi con un minimo di frutta del
20%, di cui almeno il 7,5% deve provenire dall’endo-
carpo.
Il Decreto stabilisce anche eccezioni per alcune tipolo-
gie di confetture e marmellate, sia per quanto riguar-
da la percentuale minima di frutta, sia per la forma in
cui vengono utilizzate, e indica inoltre i frutti che non
possono essere impiegati per queste preparazioni.
INGREDIENTI PRINCIPALI
Frutta
La frutta fresca è principalmente costituita d’acqua
(90%).
I glucidi sono i composti maggiormente presenti (1,4-
17 %); tra questi troviamo glucosio, fruttosio e sacca-
rosio, ma ci sono anche altri polisaccaridi come cellulo-
sa, emicellulosa e pectine. Le proteine invece rimango-
no su valori piuttosto limitati (0,2-1%), come pure i lipi-
di (0,6%) e la fibra (0,8-1%). Anche gli elementi mine-
rali come ferro, calcio, sodio, potassio e fosforo sono
presenti in piccole quantità.
Tra le vitamine e provitamine ritroviamo vitamina C, ß-
carotene, vitamina B6 e retinolo, ma anche piccole
quantità di tiamina, riboflavina, niacina e vitamina E.
Le caratteristiche chimiche e fisiche dei frutti (solidi
solubili, acidità) determinano quelle delle confetture
(potere gelatinizzante, conservabilità) e quindi le per-
centuali di ingredienti da aggiungere e i processi di
lavorazione.
Zucchero
Confetture e marmellate contengono un’elevata per-
centuale di zuccheri (circa 55%) rappresentati per 2/3
da saccarosio e per 1/3 da zucchero invertito. Lo zuc-
chero invertito, così definito per la capacità di deviare
il piano di rotazione della luce polarizzata, si ottiene
per idrolisi del saccarosio in glucosio e fruttosio sfrut-
tando in questo caso le alte temperature e il pH acido.
L’equilibrio tra il saccarosio e lo zucchero invertito
determina le caratteristiche del prodotto finito quali
ad esempio: aumento del potere dolcificante, gelifi-
cante, umettante, controllo della cristallizzazione,
riduzione della viscosità, ecc.
Pectine
Le pectine (dal greco “pektos” che significa consisten-
te) sono polimeri derivati da carboidrati che contengo-
no un grande numero di unità di acido galatturonico
che formano catene lineari tenute insieme da legami
glisodici. I carbossili degli acidi poligatturonici possono
essere parzialmente esterificati con alcool metilico di
origine naturale e determinare così il grado di esterifi-
cazione della pectina (DE), cioè le unità di acido galat-
turonico esterificate.
La naturale presenza di pectina nei tessuti vegetali rap-
presentava in passato l’unico mezzo per ottenere la
gelificazione di confetture e marmellate; era infatti
molto diffuso, ed in alcuni casi lo è ancora a livello
domestico, l’utilizzo di pezzi di mela o scorze di agru-
mi che sono ricchi di pectina insieme a frutti con scarso
potere gelificante.
La trasformazione in gelatina di una soluzione acquo-
sa contenente pectina è dovuta ad un fenomeno di
MMaaddddaalleennaa MMeenneegghheettttiiBorsista all’Università di Padova
Esperta in certificazione di [email protected]
Le confetture
17 marzo 2009
TECNOLOGIA DI PRODUZIONE
Le operazioni preliminari consistono nella raccolta,
ricezione, stoccaggio, lavaggio, cernita, scottatu-
ra e riduzione in pezzi del frutto.
Risulta fondamentale per tutte queste fasi la valutazio-
ne della migliore qualità organolettica e tecnologica
del frutto, in base al tipo di trasformazione che si vuole
effettuare. A queste operazioni segue il vero e proprio
processo produttivo che inizia con la miscelazione
nelle opportune quantità degli ingredienti: frutta (in
pezzi, polpa o purea) e zuccheri.
La successiva fase di cottura consente di allontanare
parte dell’acqua di costituzione e allo stesso tempo di
ammorbidire i tessuti, solubilizzare lo zucchero, miglio-
rare la miscelazione degli ingredienti consentendo una
parziale inversione del saccarosio. La temperatura si
aggira intorno ai 50°C e il tempo varia in base a diver-
si fattori che dipendono principalmente dal tipo di frut-
ta e dalla tipologia di prodotto che si vuole ottenere.
Segue la fase di concentrazione che prevede l’ag-
giunta di pectina, acido e di tutti gli eventuali ingre-
dienti che la ricetta prevede. Questa operazione con-
sente di ottenere la dissoluzione e la miscelazione dei
componenti, l’inversione parziale del saccarosio, le
caratteristiche sensoriali desiderate, l’aumento della
consistenza e altri cambiamenti strutturali, la distruzio-
ne di lieviti e muffe, la rimozione dell’SO2 eventual-
mente presente (l’uso non è ammesso per la produzio-
ne di confetture extra).
Nella concentrazione a pressione atmosferica, l’ebolli-
zione avviene ad una temperatura di 105°C circa per
15-20 minuti. La moderna lavorazione industriale preve-
de l’utilizzo di evaporatori sotto vuoto che permettono
Le confetture
18
precipitazione: ad alte temperature la pectina, sepa-
randosi dall’acqua per l’intervento di una terza sostan-
za (zucchero o sali metallici), forma con le sue catene
macromolecolari intrecciate e legate tra di loro una
struttura reticolare tridimensionale di fibrille, che trat-
tiene i solidi e i liquidi della soluzione. Si forma così, a
seguito del raffreddamento, il gel, la cui consistenza
dipende dal peso molecolare, quantità e tipo di pecti-
na, dal pH e dalla concentrazione zuccherina.
La necessità di standardizzare la produzione, ha porta-
to a un notevole utilizzo di pectine di produzione indu-
striale, di cui esiste una grande varietà. Le pectine in
commercio si differenziano principalmente per un
diverso DE. Ad esempio le pectine HM (ad alto DE) resi-
stono bene alle alte temperature e sono quindi ottime
per le pasticcerie artigianali.
Le pectine LM (a basso DE) sono adatte per le confet-
ture destinate all’industria perché possono essere lavo-
rate, anche se subiscono stress meccanici e a bassa tem-
peratura. Inoltre non richiedono un quantitativo eleva-
to di zuccheri per gelificare e risultano quindi adatte
alla produzione di confetture ipocaloriche.
Con l’applicazione del D.M. n.209 del 1996, la pectina
non è più l’unico addensante utilizzabile nelle confet-
ture. Se ne possono infatti impiegare altri, tuttavia si
preferisce ancora utilizzare la pectina perché questa è
riconosciuta dal consumatore come costituente natura-
le della frutta.
Acidi
Il pH ottimale di gelificazione è compreso tra 3-3,5.
Per valori superiori a 3,6 la gelificazione non ha più
luogo perché il gel risulta troppo debole; per valori
inferiori a 2,9 si ha formazione di un gel molto forte,
ma con un’eccessiva perdita di acqua, che provoca il
fenomeno di sineresi. L’acido più utilizzato è quello
citrico.
Additivi e altri ingredienti
Gli additivi che possono essere addizionati alle confettu-
re rientrano nella categoria dei conservanti, antiossidan-
ti, correttori di acidità, stabilizzanti, addensanti, gelifi-
canti, coloranti. L’allegato IV del D.Lgs. n.50 del 2004
elenca gli ingredienti facoltativi (miele, succhi di frutta,
oli essenziali, sostanze alcoliche...) e in quali tipologie di
confetture e marmellate possono essere aggiunti.
marzo 2009
19
di operare a temperature di ebollizione di 60-65°C. La
riduzione dei tempi e delle temperature di trattamen-
to termico limitano sensibilmente la comparsa di rea-
zioni indesiderate di natura ossidativa e imbrunimenti
non enzimatici riconducibili essenzialmente alla cara-
mellizzazione degli zuccheri.
Il composto ancora caldo viene confezionato immet-
tendolo in vasi di vetro, latta o monodosi in plastica. Le
confetture contenute nei vasi vengono chiuse con un
getto di vapore che crea una piccola depressione in
modo da creare il vuoto. La temperatura deve rimane-
re superiore agli 80°C anche in questa fase.
Il tutto viene poi pastorizzato a circa 90°C per un
minuto per distruggere la carica microbica e permette-
re una maggiore conservazione del prodotto.
Successivamente viene raffreddato ed etichettato. Le
confetture e marmellate così preparate vengono con-
fezionate e stoccate nei magazzini fino al momento
del trasporto.
ASPETTI NUTRIZIONALI ED ETICHETTATURA
La lavorazione e gli zuccheri aggiunti modificano
sostanzialmente la frutta che, come confettura, mar-
mellata o gelatina, mostra un valore nutrizionale note-
volmente diverso rispetto al prodotto fresco.
Si può infatti osservare che l’elevato apporto glucidico
aumenta il valore energetico (278Kcal/100g di parte edi-
bile).
Se si considera che il 30% è costituito da acqua, il teno-
re degli altri nutrienti riferito a 100g di prodotto è mini-
mo: 0.37g di proteine, 0.07g di lipidi, 1g di fibra.
Le vitamine risultano inattivate quasi totalmente dal
trattamento termico; quella più presente con 8.8 mg è
la vitamina C, mentre sono rintracciabili in piccolissime
quantità acidi e sali minerali.
Le caratteristiche chimico-fisiche di una confettura
sono mediamente le seguenti: contenuto in solidi solu-
bili 50-82 (°Brix), pH 2,9-3,5, attività dell’acqua (aw)
>0,55.
La frutta e lo zucchero che vengono indicati per otte-
nere 100 grammi di prodotto finito sono espressi come
quantità impiegata all’origine.
La frutta apporta poi il suo zucchero, è per questo che
nella confettura si parla di zuccheri totali: quelli della
frutta e quelli aggiunti.
Lo zucchero (al singolare) per definizione è il saccaro-
sio; se la confettura non contiene altro zucchero che
quello stesso della frutta, la miglior indicazione da
riportare in etichetta è “senza zuccheri aggiunti”.
marzo 2009
Normativa
La Scienza della Qualità si avvale, per il suo obiettivo di
comunicare la qualità reale, di collaboratori che
hanno sposato la filosofia del progetto e che interven-
gono nella newsletter proponendo articoli, considera-
zioni, approfondimento e altro.
Sono Studi Professionali, liberi professionisti o anche
solo esperti che impiegano parte del loro tempo in
questa opera difficile, ma meritoria, di diffusione del
“verbo” della conoscenza.
Gli Studi Professionali hanno sede in determinate locali-
tà geografiche con le loro strutture logistiche e, per que-
sto motivo, il loro raggio di azione non è illimitato.
Mentre gli esperti e i liberi professionisti non sono inse-
riti in una rete organizzata per il contatto con gli utenti,
ma hanno una localizzazione più diffusa e puntiforme.
Ora la Scienza della Qualità cerca di fare un ulteriore
passo avanti, creando a dando voce a una rete di pro-
fessionisti, in tutti i campi e a livello nazionale ed
oltre, che per le loro caratteristiche e scelte organizza-
tive, sono privi del supporto logistico delle studio pro-
fessionale e paradossalmente, per questo motivo, sono
più agili e potenzialmente tempestivi, ma che si riesco-
no a contattare solo per conoscenze personali.
La Scienza della Qualità si è buttata in questa avventu-
ra non certamente per creare una sorta di concorrenza
professionale, ma perché si è resa conto che le due
tipologie organizzative (lo Studio Professionale e l’e-
sperto) non sono assolutamente in antitesi, ma si pos-
sono facilmente integrare e addirittura può nascere tra
loro una collaborazione sinergica.
Non siamo a conoscenza se si siano già fatti tentativi di
far partire altri progetti di integrazione tra queste
diverse entità professionali, ma questo non ha molta
rilevanza: l’importante è cercare di creare ulteriori viot-
toli nello stradario della diffusione dell’informazione.
In questo numero, pertanto, Maddalena Meneghetti
inaugura la nuova rubrica.
Presentiamola velocemente: è laureata in Scienze e
Tecnologie Alimentari, Borsista all’Università di Padova ed
esperta in certificazione di prodotto, packaging, metodo-
logie analitiche, microorganismi di interesse alimentare,
qualità dei prodotti di origine animale e vegetale, difesa
delle derrate alimentari, economia e marketing.
La voce dei Professionisti
E’ disponibile lo “Speciale confet-ture” arricchito dal testo delle di-sposizioni normative vigenti.Per riceverlo gratuitamente scri-vete a [email protected]
Prodotti senza glutine:come leggere l’etichettatura
20marzo 2009
RRaaffffaaeellllaa MMaaccccaarriiooIngegnere
Settore Agroalimentare ANCCP [email protected]
LA LEGISLAZIONE
Il 21 gennaio del 2009 è stato pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale dell’Unione Europea il Regolamento (CE) N.
41/2009 della Commissione del 20 gennaio 2009 relati-
vo alla composizione e all’etichettatura dei prodotti
alimentari adatti alle persone intolleranti al glutine. Il
Regolamento, pur prevedendo un periodo transitorio
fino al 1° gennaio 2012, si pone diversi obiettivi:
- semplificare l’attuale legislazione;
- uniformare le varie normative nazionali attualmente
esistenti negli Stati membri dell’Unione europea;
- offrire maggiore garanzia al consumatore.
L’INFORMAZIONE
I consumatori di questi prodotti, infatti, sono persone
per le quali l’ingestione di glutine anche in piccole
quantità può provocare danni all’organismo di natura
più o meno grave: la presenza di tracce di glutine nella
dieta di queste persone possono essere tollerate in
misura che varia da soggetto a soggetto.
La persona intollerante al glutine, come anche le per-
sone che hanno altri tipi di allergie e/o intolleranze ali-
mentari, di fronte ad un qualsiasi prodotto alimentare
fresco, conservato, confezionato, sfuso, servito in un
ristorante o in una mensa aziendale o scolastica, deve
poter trovare risposta alla domanda: “Ma io, questo,
lo posso mangiare?”.
Il consumatore che si pone questa domanda, semplice
ma di fondamentale importanza, ha dunque bisogno
di informazione sull’alimento che sta per acquistare o
consumare. Di più, ha bisogno di un’informazione
che deve essere di qualità, dove con questo termine
qui si vuole indicare un’informazione che:
- sia facilmente comprensibile;
- sia facilmente reperibile;
- sia affidabile.
Le persone intolleranti al glutine, ma ciò vale per qual-
siasi altra intolleranza alimentare, devono essere in
grado di avere informazioni chiare in situazioni per
loro potenzialmente pericolose, che possono essere, in
estrema sintesi, le seguenti:
- l’alimento che si intende consumare è naturalmente
privo di glutine?
- o è stato lavorato per ridurre al minimo il glutine in
esso presente?
- in entrambi i casi precedenti, è stato protetto da
eventuali contaminazioni con alimenti che invece lo
contengono?
- come si può essere sicuri di quanto sopra quando si
mangiano cibi preparati fuori casa?
- che strumenti di tutela si hanno quando si è all’e-
stero, sia in Stati membri dell’Unione europea che in
Paesi terzi?
COS’È IL GLUTINE?
Il glutine è una frazione proteica presente nei cereali
della specie Triticum, comprendente il frumento duro,
il kamut e la spelta, oltre che in altri cereali quali la
segale e l’orzo.
Più controverso è l’utilizzo dell’avena: questo cereale
può essere consumato dalla maggior parte delle per-
sone intolleranti al glutine, ma non da tutte. L’avena,
tuttavia, può presentare contaminazione da frumento,
segale o orzo durante le operazioni di raccolta,
trasporto, conservazione e lavorazione.
Per questo motivo, il Regolamento prevede che le sud-
dette operazioni eseguite su avena destinata all’ali-
mentazione delle persone intolleranti al glutine, siano
condotti con accorgimenti tali che il contenuto in glu-
tine finale non superi i 20 mg/kg.
Il consumatore celiaco, nella scelta dei prodotti da
inserire nella propria dieta, deve orientarsi necessaria-
mente verso le seguenti categorie di alimenti:
- alimenti che sono naturalmente privi di glutine;
- alimenti in cui il glutine è stato in qualche modo
ridotto.
21 marzo 2009
DICITURE IN ETICHETTA
L’informazione è fondamentale: il Regolamento (CE)
41/2009 prevede, infatti, due tipologie di diciture (con
contenuto di glutine molto basso e senza glutine)
da riportarsi nell’etichettatura, nella presentazione e
nella pubblicità dei prodotti alimentari destinati a per-
sone intolleranti al glutine, a cui associa significati ben
precisi, come riportato nella tabella di sintesi.
Le diciture “con contenuto di glutine molto basso” e
“senza glutine” devono essere indicate accanto alla
denominazione di vendita del prodotto.
La prima riflessione riguarda la seconda dicitura: se su
un prodotto si ritrova scritto “senza glutine” non vuol
dunque dire che in esso il glutine sia assente, ma che ne
contiene non più di 20 mg/kg.
Ciò deriva dal fatto che l’estrazione del glutine dai
cereali che lo contengono è tecnicamente difficoltosa
(ed economicamente onerosa!): allo stato attuale della
tecnica non è dunque possibile produrre alimenti total-
mente privi di glutine a partire dai cereali che lo con-
tengono naturalmente.
La sola certezza che si può avere il consumatore riguar-
do all’utilizzo di prodotti totalmente privi di glutine sta
dunque nell’utilizzare alimenti che già in natura non
ne contengano. Ma questo non basta: come ben sanno
le persone che quotidianamente si confrontano con
queste problematiche, la presenza di glutine deve
essere scongiurata anche eliminando il rischio di conta-
minazione. In parole povere, non basta mangiare un
Alimentazione speciale
piatto di riso (alimento naturalmente privo di glutine)
ma bisogna anche essere certi che lo stesso non sia
stato cucinato, ad esempio, in una pentola in cui abi-
tualmente si cuoce la pasta.
MANGIARE FUORI CASA
La seconda riflessione dovrebbe portare a rispondere
alla seguente domanda: come deve essere costruita e
come deve essere comunicata l’informazione al con-
sumatore che ha la necessità di utilizzare particolari
prodotti alimentari, in modo tale da non indurre in
errore il consumatore, come esplicitamente previsto
dal Regolamento comunitario?
E ancora: se gestire l’intolleranza al glutine è relativa-
mente facile nell’alimentazione in casa, quali sono le
informazioni che il consumatore deve poter avere per
mangiare in sicurezza fuori casa, sia in Italia che all’e-
stero?
Per rimanere in ambito nazionale, l’Associazione
Italiana Celiachia (A.I.C.) che nel 2009 festeggia i 30
anni di attività, ha promosso diverse iniziative in tal
senso e costituisce sicuramente un punto di riferimen-
to fondamentale per le persone che si confrontano
quotidianamente con l’intolleranza al glutine. Non a
caso, tra gli altri aspetti, l’Associazione ha puntato
fortemente sull’informazione al consumatore con stru-
menti come il Prontuario, il marchio della “spiga sbar-
rata”, il progetto AFC (Alimentazione Fuori Casa), solo
per citare alcune iniziative.
DDIICCIITTUURRAA TTIIPPII DDII PPRROODDOOTTTTII RRIIFFEERRIIMMEENNTTOONNOORRMMAATTIIVVOO
CCOONNTTEENNUUTTOO DDII GGLLUUTTIINNEE
MMOOLLTTOO BBAASSSSOO
Ingredienti ricavati da frumento, segale, orzo, avena o da loro varietà incrociate, specialmentelavorati per ridurne il contenuto di glutine che non deve superare 100 mg/kg nei prodotti ali-mentari quali venduti al consumatore finale
Reg. (CE) 41/2009,Art. 3, comma 1
Prodotti alimentari contenenti uno o più degli ingredienti di cui alla riga precedente Reg. (CE) 41/2009,Art. 3, comma 1
Prodotti alimentari contenenti ingredienti che sostituiscono frumento, segale, orzo o loro varie-tà incrociate e ingredienti ricavati da frumento, segale, orzo, avena o da loro varietà incrocia-te, specialmente lavorati per ridurne il contenuto di glutine il cui contenuto di glutine non devesuperare 100 mg/kg nei prodotti alimentari quali venduti al consumatore finale
Reg. (CE) 41/2009,Art. 3, comma 5
SSEENNZZAA GGLLUUTTIINNEE
Ingredienti ricavati da frumento, segale, orzo, avena o da loro varietà incrociate, specialmentelavorati per ridurne il contenuto di glutine che non deve superare 20 mg/kg nei prodotti ali-mentari quali venduti al consumatore finale
Reg. (CE) 41/2009,Art. 3, comma 2
Prodotti alimentari contenenti uno o più degli ingredienti di cui alla riga precedente Reg. (CE) 41/2009,Art. 3, comma 2
Ingredienti che sostituiscono frumento, segale, orzo o loro varietà incrociate il cui contenuto diglutine non deve superare 20 mg/kg nei prodotti alimentari quali venduti al consumatore finale
Reg. (CE) 41/2009,Art. 3, comma 3
Prodotti alimentari contenenti uno o più degli ingredienti di cui alla riga precedente Reg. (CE) 41/2009,Art. 3, comma 4
Prodotti senza glutine:come leggere l’etichettatura
22marzo 2009
Il marchio della “spiga sbarrata” è un esempio di
informazione chiara, immediata ed esaustiva: il con-
sumatore celiaco, infatti, sa che i prodotti contrassegnati
da questo simbolo sono sicuri. Quello che forse non sa, è
tutto il significato del simbolo stesso. Quest’ultimo,
infatti, è concesso da A.I.C. solo a prodotti che siano stati
sottoposti a verifiche e controlli specifici e siano stati
conseguentemente ritenuti idonei a essere destinati
all’alimentazione dei soggetti celiaci.
Per ottenere il marchio, infatti, tutto il processo pro-
duttivo dell’alimento in questione viene sottoposto a
verifica e controllo, con un approccio di sistema che si
estende a diversi ambiti del processo produttivo.
Tutti gli stabilimenti che producono alimenti destinati
alle persone intolleranti al glutine, infatti, sono sogget-
ti ad autorizzazione da parte del Ministero della Salute
e all’approvazione preventiva dell’etichettatura dei
prodotti, così come previsto dal D.Lgs. n. 111 del 27
gennaio 1992 s.m.i. che recepisce la direttiva europea
98/398, concernente i prodotti alimentari destinati a
un’alimentazione particolare.
Tali normative prevedono un’analisi di tutti i principali
processi produttivi e ad essi connessi: si parte, infatti,
dalle materie prime utilizzate nella produzione, con
particolare riguardo alla qualifica dei fornitori e ai con-
trolli in accettazione, per poi entrare nel vivo del
processo produttivo, con tutti i controlli previsti nelle
diverse fasi, fino alla conformità del prodotto finito.
Come già succede per tutte le produzioni alimentari,
ancora di più in questi casi è fondamentale la valu-
tazione di altri processi che riguardano, oltre ovvia-
mente l’igiene del prodotto alimentare e la rintracciabi-
lità lungo tutta la filiera produttiva, anche aspetti ge-
stionali che concorrono ad aumentare la sicurezza del
prodotto, a partire dalle procedure di gestione delle non
conformità e di eventuali reclami dei clienti, per com-
prendere anche aspetti legati alla formazione e all’ad-
destramento del personale adibito alle diverse attività.
Nello schema appena esposto in estrema sintesi, è
facile vedere l’approccio per processi e i requisiti pre-
senti nelle norme dei sistemi di gestione ormai conso-
lidate, dalla UNI EN ISO 9001 per la qualità, di cui
recentemente è stata pubblicata la nuova versione, alle
altre norme tipiche del settore agroalimentare
riguardanti la sicurezza degli alimenti (ISO 22000) e la
rintracciabilità (ISO 22005), che ne riprendono i principi
fondamentali adattandoli alle peculiarità della pro-
duzione alimentare.
L’IMPORTANZA DELL’INFORMAZIONE
L’informazione chiaramente e correttamente comuni-
cata è fondamentale per la tutela del consumatore e lo
è ancora di più per il consumatore con esigenze parti-
colari. Inoltre, la comunicazione di un’informazione
condivisa è uno strumento di qualità delle aziende pro-
duttrici che possono così ampliare il mercato dei propri
prodotti, nel momento in cui riescono a comunicarne
certe caratteristiche ai consumatori interessati.
La tutela del consumatore e la libera circolazione
dei prodotti sono due degli obiettivi che si prefig-
gono le attuali normative comunitarie in materia di
sicurezza dei prodotti alimentari. Sempre a proposito
di informazione, sarebbe opportuno prendere in con-
siderazione l’ipotesi di affiancare le attuali normative
che sottolineano in quali prodotti il glutine è assente o
è presente in forma particolarmente ridotta, con indi-
cazioni che esplicitino la presenza di glutine, soprattut-
to negli alimenti in cui il consumatore non ne può
ragionevolmente sospettare la presenza.
Se è fondamentale sapere in quali alimenti il glutine
non c’è (alimenti sicuri per le persone ad esso intolle-
ranti), è altrettanto importante sapere dove il glutine
c’è o, potenzialmente, ci potrebbe essere (alimenti
potenzialmente pericolosi).
L’informazione, infine, deve essere estesa a tutti i
soggetti in qualche modo coinvolti nel problema della
corretta gestione delle intolleranze alimentari:
- le persone che ne soffrono, con un’educazione ali-
mentare che sempre di più deve iniziare dalla scuola
primaria per poi estendersi a tutte le fasce d’età;
- gli operatori del settore alimentare, dalla pro-
duzione primaria, alla lavorazione fino alla di-
stribuzione al consumatore finale;
- le strutture pubbliche e private preposte alla ricerca nel
campo alimentare, con approccio sempre più multidi-
sciplinare (medico, tecnologico, merceologico, etc);
- gli organi di governo, per la realizzazione di norme
chiare, omogenee e di tempestiva applicazione.