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CAPITOLO I LA RESPONSABILITA’ CIVILE IN GENERALE Notazioni generali - Il fatto illecito – le tipologie di responsabilità’ - 2. La responsabilità civile; - 2.1. Note generali – Distinzione fra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale - 2.2. L’inadempimento del contratto di lavoro - 3. La responsabilità extracontrattuale - 3.1. Il danno biologico - 3.2. Il danno esistenziale CAPITOLO II LE RESPONSABILITA’ SPECIALI LA RESPONSABILITA’ DELL’INSEGNANTE 1. Le responsabilità speciali – generalità - 2. L’art. 28 della Costituzione e la surroga dell’amministrazione scolastica - 3. Il fatto dell’’incapace – L’insegnante e la responsabilità per il fatto dello stesso - 4. Insegnanti e genitori 4.1. L’obbligo dei genitori - 4.2. I minori e la responsabilità dell’insegnante - 4.3. responsabilità da cose in custodia - 4.4. Scuola e danno esistenziale. 1. NOTAZIONI GENERALI - IL FATTO ILLECITO – LE TIPOLOGIE DI RESPONSABILITA’ La varietà e l’importanza dei compiti affidati agli apparati amministrativi, comporta, come necessaria conseguenza, un intenso rischio di danno derivante dall’errato o dal mancato perseguimento delle finalità assegnate alla cura delle pubbliche amministrazioni. E’ palmare constatazione la quotidiana e rilevante incidenza dell’attività dell’operatore pubblico nella vita del cittadino, il correlarsi della prima con le aspettative dell’amministrato medesimo alla fruizione di un servizio pubblico efficiente e pronto a sollecitare o ad accompagnare le evoluzioni e gli sviluppi 1

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CAPITOLO I

LA RESPONSABILITA’ CIVILE IN GENERALE

Notazioni generali - Il fatto illecito – le tipologie di responsabilità’ - 2. La responsabilità civile; - 2.1. Note generali – Distinzione fra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale - 2.2. L’inadempimento del contratto di lavoro - 3. La responsabilità extracontrattuale - 3.1. Il danno biologico - 3.2. Il danno esistenziale

CAPITOLO II

LE RESPONSABILITA’ SPECIALI – LA RESPONSABILITA’ DELL’INSEGNANTE

1. Le responsabilità speciali – generalità - 2. L’art. 28 della Costituzione e la surroga dell’amministrazione scolastica - 3. Il fatto dell’’incapace – L’insegnante e la responsabilità per il fatto dello stesso - 4. Insegnanti e genitori 4.1. L’obbligo dei genitori - 4.2. I minori e la responsabilità dell’insegnante - 4.3. responsabilità da cose in custodia - 4.4. Scuola e danno esistenziale.

1. NOTAZIONI GENERALI - IL FATTO ILLECITO – LE TIPOLOGIE DI RESPONSABILITA’

La varietà e l’importanza dei compiti affidati agli apparati amministrativi, comporta, comenecessaria conseguenza, un intenso rischio di danno derivante dall’errato o dal mancatoperseguimento delle finalità assegnate alla cura delle pubbliche amministrazioni. E’ palmareconstatazione la quotidiana e rilevante incidenza dell’attività dell’operatore pubblico nella vita del cittadino, il correlarsi della prima con le aspettative dell’amministrato medesimo alla fruizione di un servizio pubblico efficiente e pronto a sollecitare o ad accompagnare le evoluzioni e gli sviluppi

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della società, dei suoi valori, della mutevole nozione di utilità collettiva; e, ancora, semprel’interferenza dei compiti della pubblica amministrazione nella sfera patrimoniale del cittadino come la problematica della gestione delle risorse e dei beni collettivi, porta il pubblico operatore ad un onere legato ad un ampio ventaglio di responsabilità, il cui peso risulta aggravato per una pluralità di motivi:

la complessità, la varia articolazione, l’incessante evoluzione dell’organizzazione amministrativa, con il difficile e non delineato riparto di competenze fra poteri statali, i poteri locali e, nell’ambito dei primi, fra il modello amministrativo di tipo ministeriale e gli enti del decentramento ( esempio eclatante, la costituzione in persona giuridica delle scuole) unitamente alle autorità di controllo; la sempre crescente mole di produzione normativa, con la proliferazione di fonti: legge, regolamenti di varie autorità, contratti collettivi, per non tacere dell’importanza degli atti generali, delle circolari e dell’interpretazione giurisprudenziale; lo sviluppo tecnologico, rilevante anche nell’erogazione dei servizi pubblici, e la necessità di una sempre più compiuta capacità e professionalità tecnica ( va segnalata anche la creazione di nuove figure mansionali).

La scuola come servizio pubblico, e le istituzioni scolastiche, soggetti giuridici autonomi,tramite i quali detto servizio si articola e viene erogato, non si sottrae alle esposte problematiche,anzi le esalta. Ciò sia per l’importanza del fine pubblico che al sistema dell’istruzione è affidato, sia per la peculiarità contestuale che vede al contempo l’esigenza di sinergie collaborative, tutela e sensibilità verso la delicatezza del momento formativo, garanzia di pluralità e libertà nel rispetto del dovere di trasmissione di saperi e valori consolidati e condivisi1. Il contesto scolastico, proprio per le peculiarità descritte e la pregnanza dell’elemento relazionale è definito come comunità scolastica, che deve assumere carattere interagente con la più vasta comunità sociale e civica2; di qui l’assunzione di responsabilità insite nella complessità degli apparati pubblici più evoluti. Deriva da quanto detto che il personale della scuola, ed in particolare l’insegnante, sia in ragione del suo stato di dipendente pubblico, quando sia inserito in una struttura pubblica, sia per i suoi delicati compitidi formazione e trasmissione del sapere, ed allora il momento responsabilizzante coinvolge anche il dipendente di istituzione privata, è esposto ad una serie di responsabilità, varie nella loro caratterizzazione, struttura e finalità.

Vi è, in primo, luogo, la responsabilità civile, verso terzi, per i danni causati da detto personale violando generali obblighi della vita di relazione, così arrecando ingiustamente lesioni ad altrui interessi giuridicamente protetti; all’interno dei generali obblighi di relazione, nel settore della scuola assistiamo poi, come inseguito meglio si illustrerà a un particolare regime di responsabilità connotato da un peculiare obbligo di vigilanza e da uno specifico onere di prova;

la responsabilità amministrativa e quella contabile colpiscono i dipendenti e gli amministratori pubblici, e quindi anche la classe docente, che arrecano un danno a pubblici beni ed interessi, in correlazione causale con un comportamento attivo o di omissione privo di perizia professionale, diligenza e prudenza; nell’ambito del genere responsabilità amministrativa vi è quella contabile, caratterizzata dalla particolare situazione e dal particolare stato dei soggetti sottoposti alla stessa, in quanto il presupposto fondante della medesima è la consegna formalizzata – per la custodia e la gestione – di denaro o beni dell’amministrazione. Non è fuori luogo menzionare anche la responsabilità di tipo contabile, poiché, dato che nella stessa incorre anche il cd. “ contabile di fatto”, ovvero colui che abbia anche temporaneamente, per momentanea delega o per mera

1 Per le esposte tematiche si veda POTOSCHNIG, Insegnamento, istruzione, scuola, in Giur. cost., 1961, p.351.

2 Così, espressamente, l’art. 3 del D. Lgs. 4 aprile 1994, n. 297. Ma vale anche ricordare l’art. 1, comma 2 del D.P.R. 24 giugno 1998, n.

249 (Regolamento recante lo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria (in GU 29 luglio 1998, n. 175): “Lascuola è una comunità di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale, informata ai valori democratici e volta alla crescita della persona in tutte le sue dimensioni. In essa ognuno, con pari dignità e nella diversità dei ruoli, opera per garantire la formazione alla cittadinanza, la realizzazione del diritto allo studio, lo sviluppo delle potenzialità di ciascuno e il recupero delle situazioni di svantaggio, in armonia con i principi sanciti dalla Costituzione e dalla Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia fatta a New York il 20 novembre 1989 e con i principi generali dell'ordinamento italiano”.

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ingerenza ( anche illecita) un “ maneggio” di beni o denaro pubblico. Allora, anche il docente che debba, per vari motivi, amministrare o custodire una somma o dei beni può essere, per la fattispecie, definito come contabile.

La responsabilità penale comporta – salvo ipotesi di sanzioni pecuniarie per reati di minorvalenza sociale – la pena della privazione della libertà personale, scelta ultima dell’ordinamento di fronte ad atti di particolare gravità; segna la pesante soluzione nel conflitto fra il principio della predetta libertà e la necessità di preservare ed ammonire la collettività con l’”habeas corpus” di chi ha gravemente violato prioritarie regole di convivenza e di rispetto della vita e dei beni degli altri membri della società. E’ affidata, quindi, ad una “riserva di legge” come meglio si spiegherà.

Tale essendo la comune definizione – nelle sue articolazioni ordinamentali – di e delle responsabilità, bisogna avvertire che la nozione non può essere contemplata di per sé stessa maacquista rilevanza solo nell’alveo della triade categoriale di illecito, sanzione e, per l’appunto, responsabilità, nozioni intrinsecamente collegate; il nesso mostra i suoi ferrei vincoli e la sua imprescindibilità logica poichè responsabilità è soggezione alla sanzione applicata all'autoredell'illecito3.Quest’ultimo è definibile, in un’accezione molto ampia, come la violazione di un dovere collegato alla vita di relazione. Poiché i doveri sono posti a salvaguardia di altrui beni e altrui legittimiinteressi, e dei rapporti giuridici ad essi connessi, il fatto illecito, cui meglio corrisponderebbe la qualificazione di atto, in quanto riconducibile ad un comportamento umano, è ciò che lede situazioni giuridiche protette4.

Lo spazio dell’illecito, nel mondo del diritto, è stretto fra due confini; perché questo sia configurabile, in linea generale deve, come si afferma tradizionalmente nella dottrina e nella giurisprudenza, essere compiuto :

“ non iure”, cioè il comportamento deve essere posto in essere in assenza di cause definite “ di giustificazione“ ( esercizio di un diritto, adempimento di un dovere, legittima difesa, stato di necessità5);

“contra ius” ovvero in lesione di interessi che l’ordinamento specificamente protegge. Non pare possa distinguersi fra la nozione di illiceità e quella di antigiuridicità, in quanto ambedueindicative della rottura di un equilibrio ordinativo6.

Così delineata la categoria dell’illecito acquista più chiara luce quella di responsabilità, nozione ambivalente, in quanto sotto un primo profilo, antecedente al compimento del fatto lesivo, questa indica la posizione del soggetto sul quale vanno ad incidere le conseguenze dei propri comportamenti liberi e consapevoli, sotto un altro, dinamico, mostra la conseguenza sanzionatoria nell’ipotesi di ingiusta lesività di detti comportamenti. Nell’accezione comune l’individuo responsabile viene individuato come colui che è capace di dare concreto ed equilibrato significato al contesto esterno ( capacità di intendere) e vigile controllo e direttiva sulla propria volontà ( capacità di volere); responsabile è allora colui che, in assenza di uno stato di incapacità di intendere e di volere e quindi liberamente determinatosi nel proprio agire assume su di sé l’onere del rischio e dell’eventuale danno legato al proprio comportamento7.

Il riferimento, poc’anzi fatto, alla capacità di intendere e di volere introduce quindi un ulteriore elemento di rilievo, in negativo, nella nozione di responsabilità , ovvero lo stato soggettivo psicologico dell’agente e la sua imputabilità, che di per sé non elimina oggettivamente l’illecito, ma

3 MAIORCA, I fondamenti della responsabilità, Milano 1990, con recens. di BIANCA in Rdciv. 1991, I, p. 790.

4 Per una esaustiva trattazione dell’illecito in sede di dogmatica generale del diritto si veda PIETROBON, Illecito e fatto illecito, Inibitoria e

risarcimento, Padova 1998; MAIORCA, Responsabilità ( teoria generale), in Enc.dir. XXXIX, p. 1004 e I fondamenti della responsabilità,cit. Milano, 1990; FRANZONI, Dei fatti illeciti, in comm. al cod. civ., a cura di SCIALOJA e BRANCA, Bologna-Roma, 1993; TRIMARCHI,Illecito, in Enc. Diritto XX, p. 90; SCOGNAMIGLIO, Illecito, in Noviss Dig. It., vol.VIII, p.164; VISINTINI, I fatti illeciti, Padova 1990. 5 Negli studi penalistici si rinvengono i più interessanti approfondimenti circa le situazioni scriminanti che impediscono il costituirsi

dell’illiceità: si veda DELPINO, Diritto penale, parte generale, Napoli 1998, p.174 ss. e gli articoli 50 e ss. del codice penale.Successivamente verranno illustrate le singole cause di giustificazione di rilievo ai fini del presente lavoro. 6 SCADUTO-RUBINO, Illecito (Atto –Diritto moderno) in Noviss.Dig.It.,VI, Torino, 1938, p. 702.

7 VENTURINI, La responsabilità civile amministrativa e disciplinare nella scuola, in TENORE ( a cura di), La Dirigenza scolastica, Milano

2002, p. 322.

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rende esente da responsabilità a titolo di esimente personale8. Il valore fondante della qualificazione di illiceità è il principio di autoresponsabilità, ovvero la possibilità data al singolo di operare liberamente (“agere licere”) rispettando gli spazi ed i confini etico-giuridici dell’altrui persona e della collettività9.

In conclusione, quindi, così come suggerisce l’accezione semantica, il termine responsabilità (da “respondeo”, ovvero rispondere ed “habilitas” cioè attitudine, idoneità), nel lessico giuridico, intende l'individuazione e la sottoposizione di un soggetto alle conseguenze di determinati fatti od azioni. Il genere, così ampiamente inteso, si articola, poi, nel tessuto normativo vigente, riprendendo e definendo in forma sintetica anche nozioni cui prima si è dato conto, in quattro specie, contraddistinte da precipui regimi e finalità: la responsabilità penale, la civile, la disciplinare e, con particolare riferimento al settore pubblico, quella amministrativa10. La responsabilità penale si ricollega alla lesione di interessi di particolare pregnanza (in sostanza riconducibili ad indicazioni costituzionali), lesione perpetrata con comportamenti già qualificati da uno schema legislativamente definito e con sanzioni predeterminate ( “nullum crimen” e “nulla poena sine lege”), secondo i canoni della tassatività e della nominatività; quella civile tutela i soggetti – con modalità risarcitorie – a fronte di un danno ingiusto cagionato nei loro confronti, mentre la responsabilità disciplinare fa riferimento alla reazione di un’organizzazione in ipotesi di comportamenti che turbino le corrette dinamiche della stessa; quella amministrativa, poi, sanziona l’inefficienza del soggetto inserito nell’apparato amministrativo e tutela i beni e le risorse collettive.

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2. LA RESPONSABILITA’ CIVILE

2.1. NOTE GENERALI – DISTINZIONE FRA RESPONSABILITA’ CONTRATTUALE ED EXTRACONTRATTUALE

Il presupposto della responsabilità civile è la realizzazione di una fattispecie di illecito che può essere contrattuale o extracontrattuale: da ciò discende la quindi la soggezione alle sanzioni previste dall’ordinamento. Vanno sottolineati quindi due momenti: il profilo statico o potenziale, ovvero l’individuazione e l’ esposizione di un soggetto alle conseguenze – che comportano per lo stesso il sacrificio di utilità a lui appartenenti ( es. somma di denaro per il risarcimento) e quindi rappresentano, quale speculare aspetto di una soddisfazione o ristoro del danneggiato, una sanzione - susseguenti all’infrazione delle norme (della più varia tipologia) che tutelano interessi di vario genere dei consociati, e che, parimenti, rendono antigiuridica la lesione agli stessi; il profilo dinamico o effettuale, che si correla alla reazione che l’ordinamento prevede in relazione ad un comportamento trasgressivo di regole, a vario titolo poste, quando quale conseguenza ( imprescindibile principio di offensività) di tale comportamento si concreta una lesione, qualificabile come ingiusta perché derivante da atti non permessi, di interessi ed "utilitates" altrui11.

8 BIANCA, Diritto civile V, La responsabilità, pagg. 636 ss.

9 ALPA-BESSONE-ZENCOVICH, Obbligazioni e contratti, I fatti illeciti, in Trattato di diritto privato VI 14, a cura di RESCIGNO, Torino, 1995,

pag. 7 e MADDALENA, Azione dei pubblici poteri e costruzione di una società solidale; il problema della giurisdizionalizzazione dei valori etici nella prospettiva dei diritti fondamentali e della legalità costituzionale, in corso di pubblicazione sulla rivista del Consiglio di Stato e in www. Amcorteconti.it.10

La recente normativa in materia di impiego nelle pubbliche amministrazioni ha introdotto una nuova tipologia di responsabilità, definita come responsabilità dirigenziale, peraltro diversamente dalle altre (art. 28 Cost. “in primis”) non contemplata dalla Costituzione, e legata al contenuto del rapporto fiduciario ricollegabile all’incarico dirigenziale ed al raggiungimento dei risultati prefissati. 11

La letteratura in materia è, evidentemente, data l’importanza dell’istituto, vastissima, per cui si fa cenno solo alle trattazioni che maggiormente hanno ispirato la stesura dell’opera: MONATERI, Manuale della responsabilità civile, Torino, 2001; ALPA, Diritto della responsabilità civile, Roma-Bari, 2003; VISENTINI, Trattato breve della responsabilità civile, Padova, 1999; AA.VV., La responsabilità civile, in Il diritto privato nella giurisprudenza, a cura di CENDON, Torino, 1998 CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, Milano, 1997; SALVI, La responsabilità civile, in Trattato di diritto privato a cura di IUDICA E ZATTI, Milano 1997; DE CUPIS, Il danno. Teoria generale della resp. civ., 2a ed. Milano, 1996, 3a ed. Milano, 1999; BIANCA, Diritto civile, La responsabilità, cit.; FRANZONI, Dei fatti illeciti, in Comm. SCIALOJA-BRANCA-GALGANO, Bologna-Roma, 1993; BUSNELLI, Illecito civile, in Enc. giur., XV, Roma, 1989, e

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La responsabilità in questione ha come fine la tutela delle sfere giuridiche protette dal diritto privato, ovvero il diritto che regola i rapporti fra soggetti dell'ordinamento posti su di un piano paritario: sempre costante deve quindi essere il riferimento al canone ordinamentale posto dall’art. 1173 c.c., per il quale l’obbligazione sorge da contratto, da fatto illecito e da ogni altra fattispecie prevista dalla legge12.

Da qui deriva la menzionata e una prioritaria distinzione fra responsabilità contrattuale e quella extracontrattuale13; la prima tutela un obbligo od una serie di obblighi verso uno specifico creditore, e quindi è in correlazione con l’inadempimento di specifiche obbligazioni sorte, contrattualmente o secondo la legge, nei confronti di soggetti previamente determinati;originariamente deve essere sorto, quindi, uno specifico rapporto obbligatorio fra due parti qualificabili l’uno come soggetto passivo, tenuto alla realizzazione del credito nei confronti dell’altro, identificabile come soggetto attivo, per l’appunto il creditore di cui si parlava poc’anzi; solo nel caso di mancata o inesatta prestazione – con colpa o dolo – subentra il risarcimento del danno, in via sussidiaria e surrogatoria14; la seconda discende dalla violazione di un obbligo generale di non arrecare ad altri un danno ingiusto e grava su ogni soggetto nei confronti degli altri consociati; il danno ed la sua riparazione si pongono poi, il primo come elemento generatore dell’obbligazione risarcitoria o reintegratoria, la seconda come contenuto di un obbligo primario ed originario, invece, nei confronti del soggetto concretamente leso. In sintesi, quindi, è la protezione accordata - con il menzionato meccanismo del reintegro del bene perduto od il risarcimentopatrimoniale - in caso di ingiuste lesioni di situazioni giuridiche tutelate nei confronti di tutti i consociati, prescindendo dall'esistenza di uno specifico rapporto obbligatorio15.

Pur nell’unitarietà del dato di fondo, rinvenibile nella reazione dell’ordinamento alla violazione di un dovere, nella condivisione del prioritario rimedio del risarcimento del danno, e l’identico riferimento a taluni istituti16, in particolare quelli riguardanti le cause di esonero della responsabilità ( ad es. forza maggiore, stato di necessità) vi sono rilevanti differenze fra le due forme di illecito17.

Nella responsabilità contrattuale l’onere della prova è più gravoso per il debitore18: poiché l’adempimento si configura come atto dovuto, colui che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno causato, potendosi liberare da questo obbligo solo dimostrando che l’inadempimento ( la mancata, inesatta o ritardata prestazione), è stato causato da un’impossibilità della prestazione a lui non imputabile: il comportamento colposo o doloso dell’inadempiente, perciò, non deve essere provato dal danneggiato, spettando al debitore che ritiene di non essere tenuto all’obbligo risarcitorio dar prova dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione per cause a lui non riconducibili19; in quella extracontrattuale, la colpevolezza è

l'aggiornamento del 1991; CALABRESI, The Costs of Accidents, in Yale univ. press., 1970, tr. it., Milano, 1975; RODOTÀ, Il problema della responsabilità civile, Milano, 1967; SACCO, L'ingiustizia di cui all'art. 2043 c.c.,, in FP, 1960, I, 1420; SCHLESINGER, La ingiustizia del danno nell'illecito civile, in J, 1960, p. 356 ss.. 12

Quindi, in sostanza, enucleando il concetto espresso dal MONATERI, Manuale della responsabilità, cit., nella massimasemplificazione, per responsabilità civile si intende la responsabilità regolata dal diritto privato, ed in particolare dagli artt. 1218 e ss., per quanto riguarda la responsabilità contrattuale, dagli artt.2043 ss. per la extracontrattuale; la lettura di quest’ultimo articolo, peraltro, va orientata – nell’individuare una scala di principi cui orientare il sistema dei doveri generici della vita di relazione - nel senso dei valori espressi dalla carta Costituzionale. Vanno richiamati, con prioritaria pregnanza, gli art. 2 e 3 della Costituzione, che esprimono i valori di solidarietà, uguaglianza e tutela della persona, quale individuo nella sua identità, nel suo divenire, nella sua natura relazionaleall’interno delle collettività ove si esprime nei vari profili della sua personalità, l’art. 32, in tema di diritto alla salute, gli art. 41 e 42 che tratteggiano uno statuto della proprietà e dell’impresa e, ancora di particolare importanza per la presente trattazione, l’art.33, che sancisce la libertà dell’esercizio e dell’insegnamento dell’arte e della scienza. 13

MONATERI, Cumulo di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, Padova 1989; RAVAZZONI, Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, Milano, p. 945. 14

BONVICINI, La responsabilità civile, I Milano, 1971, p. 86. 15

Per gli approfondimenti sul tema della responsabilità in generale meritano ancora menzione ZACCARIA, Commentario breve al codice civile, artt. 2043-2049, a cura di CIAN e TRABUCCHi, Padova, 2000; TRIMARCHI, Rischio e responsabilità oggettiva, Milano, 1961; GIORDANO, La colpa nell'illecito extracontrattuale tra vecchi e nuovi orientamenti di dottrina e giurisprudenza, in GC, 1997, II, p.169; ALPA-BESSONE, La responsabilità civile, in Giur. sist. BIGIAVi, Torino, 1987, v. I-V. 16

BIANCA, La responsabilità, cit., p. 547. 17

E’ tutto impostato sul parallelismo e le distinzioni fra le due forme di responsabilità lo studio di GIARDINA, Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, Milano, 1993. 18

Per una sintetica esposizione delle differenze fra le due responsabilità v. VENTURINI, La responsabilità, cit., p. 325. 19

Cfr. GAZZONi, Manuale di diritto privato, VIII ed., Napoli 2001, p. 610.

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elemento costitutivo dell’illecito, per cui, colui che ha subito il danno deve provare lo stesso e la sua caratteristica di ingiustizia, il rapporto causale con il comportamento del soggetto da cui pretende il risarcimento, ed il dolo e la colpa del medesimo20. In questo senso vale la regola generale sancita dall’art. 2697 del codice civile secondo il quale chi vuol far valere un diritto deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento21;

la responsabilità contrattuale conosce taluni rimedi specifici ( eccezione d’inadempimento,risoluzione del contratto); la prescrizione del diritto al risarcimento del danno, è decennale per la responsabilità contrattuale ( art. 2946 c.c.), quinquennale per l’extracontrattuale (2947 c.c.)22;

è differente l’area dei danni risarcibili; negli articoli riguardanti la responsabilità extracontrattuale non viene richiamato l’art. 1225 del codice civile, che, per l’inadempimentocontrattuale, limita il danno di cui si può pretendere il ristoro, salvo il caso di dolo, a quanto prevedibile23 all’epoca del sorgere delle obbligazioni; quindi, in tale ambito vi è la tendenza a farcoincidere il contenuto dell’obbligo di reintegro con il concreto danno ingiusto verificatosi;

solo per l’illecito extracontrattuale è ammesso il risarcimento in forma specifica (art. 2058 c.c.), benché la tesi sia avversata24, e così, ancora, il risarcimento del danno morale, è ammesso solo nei casi previsti dalla legge ( art. 2059 c.c.), cioè, stando alle attuali previsioni normative, solo in caso di reato (art. 185 c.p.); per taluni la predetta risarcibilità sarebbe limitata, per motivi logico-giuridici, all’illecito extracontrattuale, mentre per altri nulla osterebbe ad una ricomprensione del danno morale anche nell’alveo della responsabilità contrattuale25;

quando non si versa in specifico inadempimento, ma è stato compiuto un illecito violando generali norme della vita di relazione (l’”ubi consistam” dell’illecito extracontrattuale) non è necessaria la preventiva messa in mora ( “mora ex re”).

Muovendo dalla considerazione che ciò che rileva, in fin dei conti, per un’efficace tutela, è la corretta individuazione dell’interesse da proteggere, del bene leso e della soluzione idonea per ripagare il danneggiato26questa tradizionale distinzione è stata da taluni messa in disparte in un’ottica che abbandona le definizioni teoriche per avvicinarsi ad un’impostazione più legata alle fattispecie concrete ed alla casistica; va comunque, posta in evidenza la sussistenza di momenti di congiunzione fra le due sub-tipologie di responsabilità civile, come nel caso di lesione di diritti primari ( bene della vita e della salute, nel contratto di trasporto di persone o di obbligazione di cura medica, beni della riservatezza e della salvaguardia dell’ambiente domestico, nell’ipotesi degli obblighi di protezione nell’esecuzione di un’obbligazione contrattuale) ove è pacifica la possibilità fra la scelta fra le due tipologie di azioni27.

20 NATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio, in Trattato CICU-MESSINEO-MENGONI, XVI, 2, 1984, p. 79 ss..

21La regola soffre però delle eccezioni, per esempio in relazione alla responsabilità da circolazione di autoveicoli e di esercizio di

attività pericolose; ancora, in tema di responsabilità per fatto dell’incapace, del minore soggetto alla sorveglianza del genitore o dell’insegnante, il sistema probatorio, come si vedrà, risulta ancora più articolato, dovendo il danneggiato dimostrare la colpevolezza del danneggiante minore o incapace, mentre colui che è tenuto alla vigilanza, e che riveste una funzione vicaria, nella tutela risarcitoria,deve dimostrare di non aver potuto impedire il fatto. 22

Nella responsabilità contrattuale il periodo prescrizionale decennale soffre alcune deroghe, per taluni contratti della vita quotidiana ( artt. 2950 ss.c.c.) in quella extracontrattuale bisogna tener conto della prescrizione biennale in tema di autoveicoli, cfr. FRANCESCHETTI,Responsabilità civile, Napoli 2001 p. 31. 23

Va precisato che il concetto di prevedibilità deve far riferimento non alle soggettive prospettazioni od ipotesi del contraente, ma ad uno sguardo proiettivo sulle possibili conseguenze dell’inadempimento stesso secondo canoni di valutazione legate alla persona dibuona diligenza e buon raziocinio24

BIANCA, La responsabilità, cit. p. 188, fra i tanti. 25

Sulla problematica si veda FRANZONI, Fatti illeciti, cit., p. 82. 26

Ed in questa esclusiva ottica andrebbero interpretate, in chiave unitaria, le norme sulla responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.27

L’ALPA, Responsabilità civile e danno, Bologna 1993, p. 19, rileva che, anche sulla scorta degli orientamenti delle convenzioni internazionali, la distinzione andrebbe scomparendo, poiché la complessità delle odierne strutture contrattuali non può non dar luogo ad obblighi connessi ed accessori che hanno necessariamente anche una valenza extracontrattuale; ulteriore indice del fenomeno va rintracciato in forme di responsabilità definita come contrattuale che sorgono però da vicende non pattizie, come la responsabilitàprecontrattuale.

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2.2. L’INADEMPIMENTO DEL CONTRATTO DI LAVORO DELL’INSEGNANTE

Va , a questo punto, posta una precisazione, che chiarisca la presente economia espositiva in tema di responsabilità civile dell’insegnante: questi, nello svolgimento della attività professionale, può incorrere solo in forme di responsabilità di carattere extracontrattuale, dato che il suo ruolo di lavoratore dipendente non lo porta ad essere parte di contratti in quanto insegnante: l’unica tipologia pattizia riguarda - stante l’evoluzione in senso privatistico del vecchio rapporto di impiegopubblico, che ora, nell’ipotesi di insegnante dipendente dal Ministero dell’Istruzione, è rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni – la stipula, di carattere bilaterale e negoziale, del contratto di lavoro28. Ma tale fattispecie introduce i peculiari contenuti del rapporto di impiego dipendente, con l’insieme dei diritti e dei doveri che gli sono propri. L’aspetto della prevenzione e dell’eventuale ristoro pecuniario in relazione alla privazione e alla cattiva utilizzazione delle pubbliche risorse, anche quelle promesse con l’obbligo di prestare idoneo e professionale servizio, unitamente alla salvaguardia dell’imparzialità e del buon andamentodell’apparato amministrativo globalmente inteso, sono fini dell’istituto della responsabilità amministrativa, mentre il recupero di corrette dinamiche organizzative e di diligenza e correttezza professionale sono gli obiettivi della responsabilità disciplinare ( che oramai – in assimilazione con i poteri del datore di lavoro secondo il diritto civile - trae in buona parte titolo dal contenuto del rapporto contrattuale e dal suo profilo patologico, l’inadempimento) cui si dedica un breve cenno.

Per gli insegnanti, le sanzioni disciplinari e le relative procedure di irrogazione sono disciplinate dagli artt. 492 e ss. del D.Lgs. 297/94 ( residuo connotato pubblicistico, me che si inserisce in una struttura del rapporto di lavoro di tipo negoziale), cui rinvia l’art. 59, co. 10 del D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 e l’art. 56 del CCNL 1994-1997.In particolare, al personale direttivo e docente della scuola nei casi di violazione dei propri doveri possono essere inflitte le seguenti sanzioni disciplinari: — avvertimento scritto; — censura; — sospensione dall’insegnamento o dall’ufficio fino ad un mese;— sospensione dall’insegnamento o dall’ufficio da oltre un mese a sei mesi;— sospensione dall’insegnamento o dall’ufficio per un periodo di sei mesi e utilizzazione, trascorso il periodo di sospensione, con assegnazione di compiti diversi da quelli relativi alla propria funzione;— destituzione.

L’avvertimento scritto consiste in un richiamo scritto e munito di congrua motivazione che viene inflitto per lievi mancanze- si distingue dalle informali “ deplorazioni” o “ richiami”, che fungono da monito e da esortazione ma non sono sanzioni - riguardanti i doveri inerenti la funzione docente. Viene irrogato dal capo di istituto quale richiamo ad un più pronto rispetto degli obblighi di ufficio e deve essere preceduto dalla contestazione degli addebiti. Avverso il provvedimento del dirigente è ammesso ricorso gerarchico al Ministro che decide dopo aver acquisito il parere del Consiglio per il contenzioso del Consiglio nazionale della P.I.

La censura è una dichiarazione di biasimo in forma scritta e fornita di motivazione in merito, inflitta in conseguenza di mancanze non gravi inerenti ai doveri d’ufficio. Il concetto di gravità può ben essere tratto dai contenuti del codice di comportamento di cui deve munirsi ogni soggetto di comparto di contrattazione. Competente ad irrogare la sanzione è il Direttore del Centro servizi amministrativi ( dirigente provinciale) . La censura deve essere preceduta dalla contestazione degli addebiti.

28 CARINGELLA, Il lavoro alle dipendenze delle Pubbliche amministrazioni, Napoli 2002, p. 375 ss; GASPARRINI PIANESI, La responsabilità

disciplinare nella pubblica amministrazione in trasformazione, Milano, 2001.

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Avverso il provvedimento, è ammesso ricorso gerarchico al Ministro, che, anche in questo caso, decide sentito il competente Consiglio per il contenzioso del Consiglio nazionale della P.I.

La sospensione fino ad un mese consiste nel divieto di esercitare la funzione docente e direttiva, con la perdita del trattamento economico, fatta salva l’erogazione di un assegno in funzione alimentare pari alla metà dello stipendio minore e agli eventuali assegni per carichi di famiglia. La sospensione ha come conseguenza anche il ritardo di un anno nell’attribuzione dell’aumento periodico di stipendio. Viene inflitta:— per atti non conformi alle responsabilità, ai doveri ed alla correttezza inerenti alla funzione o per gravi negligenze in servizio, richiamo, quindi, agli obblighi di lealtà, buona fede e collaborazione; — per violazione del segreto d’ufficio, inerente ad atti od attività non soggetti a pubblicità: atti di cui si ha avuto conoscenza e che per legge o disposizioni superiori devono rimanere riservati (es. gli atti degli organi disciplinari, quanto avviene nei consigli di classe o nelle commissioni esaminatrici,tutti gli atti dalla cui divulgazione può derivare un pregiudizio all’Amministrazione o a terzi); — per aver omesso di compiere gli atti dovuti, in relazione ai doveri di vigilanza. Si conferisce così particolare enfasi nel rilevare l’importanza dei doveri di vigilanza sugli alunni in custodia nelle scuole di ogni ordine e grado. Competente ad irrogare la stessa è il direttore generale o capo del servizio centrale competente al personale dei ruoli nazionali, sentito il Consiglio di disciplina del Consiglio nazionale della P.I.; il dirigente provinciale nei confronti del personale dei ruoli provinciali, sentito il Consiglio di disciplina del Consiglio scolastico provinciale. La sospensione dall’insegnamento o dall’ufficio da oltre un mese e fino a sei mesi viene inflitta:— nei casi previsti ai fini della sospensione dell’impiego fino ad un mese, qualora le infrazioni abbiano carattere di particolare gravità; — per uso dell’impiego ai fini di interesse personale (l’interesse personale può essere anche di natura patrimoniale, ad es. illegittimo ricorso alle lezioni private); — per atti di violazione dei propri doveri, che pregiudichino il regolare funzionamento della scuola o per concorso negli atti stessi; — per abuso di autorità nei confronti degli alunni.

Viene comminata dal direttore generale o capo del servizio centrale competente e dal Dirigente provinciale (per i ruoli provinciali), sentiti i competenti organismi consultivi. Comportaoltre la perdita del trattamento economico, il ritardo di due anni nell’aumento periodico di stipendio se la sospensione non è superiore a tre mesi. Tale ritardo è elevato a tre anni, se la sospensione è superiore a tre mesi. Il ritardo nell’aumento periodico dello stipendio ha luogo dalla data in cui verrebbe a scadere il primo aumento successivo alla punizione inflitta. Il docente, nei casi di sospensione non può transitare in classi superiori di stipendio, né può partecipare a concorsi per l’accesso alla carriera superiore ai quali va ammesso con riserva se è pendente il ricorso avverso il provvedimento che ha inflitto la sanzione. Il periodo di tempo di sospensione dall’ufficio o dall’insegnamento infine è detratto dal computo dell’anzianità di carriera. I provvedimenti emanatidal Dirigente provinciale in materia di sospensione sono impugnabili con ricorso gerarchico al Ministro, che decide sentito il Consiglio per il contenzioso del Consiglio nazionale della P.I.

La sospensione dall’insegnamento o dall’ufficio per un periodo di sei mesi e utilizzazione in compiti diversi è conseguenza disciplinare derivante dal compimento di uno o più atti di particolare gravità configuranti gli estremi di reati punibili con pena detentiva non inferiore al massimo a tre anni, per i quali sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna o sentenza di condanna nel giudizio di 1º grado confermata in appello, e in ogni altro caso in cui sia stata inflitta la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici o dall’esercizio della potestà dei genitori.In ogni caso tali atti devono essere tali da rendere ostensiva l’incompatibilità con i doveri specifici della funzione e connessi all’esplicazione del rapporto educativo.

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Il Ministro della Pubblica Istruzione con proprio decreto dispone quali possano essere le mansionidi differente contenuto, ma di corrispondente qualifica funzionale, presso l’Amministrazionecentrale o periferica, ai quali vengono assegnati coloro ai quali sia stata comminata la suddetta sanzione.

La destituzione, la sanzione più grave, consiste nella cessazione del rapporto d’impiego.Viene inflitta dal Ministro su conforme parere del Consiglio di disciplina del Consiglio nazionale della P.I.; il predetto parere conforme è parere vincolante, da considerarsi, sotto un certo aspetto, atto di decisione del ricorso, poiché da esso il Ministro può discostarsi solo con atto più favorevole al docente. Viene comminata:— per atti che siano in grave contrasto con i doveri inerenti alla funzione; — per attività dolosa che abbia portato grave pregiudizio alla scuola, all’Amministrazione, agli alunni e alle famiglie;— per avere commesso, concorso o tollerato illecito uso di beni della scuola o di sommeamministrate o tenute in deposito; — per avere commesso, concorso a commettere pubblicamente gravi atti di inottemperanza a disposizioni legittime;— per avere richiesto e accettato compensi o benefici in relazione ad affari trattati per ragioni di servizio;— per grave abuso di autorità. Il provvedimento di destituzione viene emanato a seguito di procedimento disciplinare con contestazione degli addebiti e con termine massimo di 10 giorni per le deduzioni a difesa.La normativa in tema di provvedimenti disciplinari e relativi poteri del datore di lavoro pubblico tendenzialmente mira ad affermare il principio della autonomia del procedimento disciplinare dal giudizio penale29; la sentenza penale irrevocabile, però, non è controvertibile, nel giudizio disciplinare, circa l’accertamento della sussistenza del fatto illecito, e la sua commissione da parte del soggetto condannato30.E’ possibile la riabilitazione, trascorsi due anni dalla data del provvedimento, con il quale è stata irrogata la sanzione disciplinare, quando il personale docente, a giudizio del Comitato di valutazione di servizio abbia mantenuto condotta meritevole; il docente stesso può chiedere che siano resi nulli gli effetti della sanzione, esclusa ogni efficacia retroattiva. Il provvedimento è adottato dal direttore generale o capo del servizio centrale competente sentito il parere della Commissione di disciplina del Consiglio nazionale della P.I. per il personale appartenente ai ruoli nazionali; dal Dirigente provinciale, sentito il Consiglio di disciplina del Consiglio scolastico provinciale per il personale docente appartenente ai ruoli provinciali ed ha effetto “ex nunc”. In alcune fattispecie sono necessari provvedimenti di tutela provvisoria: la normativa prevede gli istituti della sospensione cautelare obbligatoria e facoltativa. Si procede a sospensione obbligatoria quando a carico del personale interessato sia stata disposta una misura cautelare personale, ovvero sia stato sottoposto a procedimento penale (art. 91 D.P.R. 3/57 richiamatodall’art. 506 del D.Lgs. 297/94). Essa è disposta dal direttore generale o capo del servizio centrale competente per il personale direttivo e per il personale docente appartenente ai ruoli nazionali; dal Direttore del Centro Servizi amministrativi per il personale docente appartenente ai ruoli provinciali.La sospensione cautelare facoltativa è invece disposta dal Ministro anche per il personale appartenente ai ruoli provinciali, quando sia stato instaurato o sia da instaurare un procedimentodisciplinare per gravi fatti.

29 Salvo alcune conseguenze necessitate che discendono dalle innovazioni apportate dalla legge 27 marzo 2001, n. 97, che prescrive la

risoluzione automatica del rapporto di impiego quale conseguenza di una condanna definitiva alla pena della reclusione per un periodopari o superiore a tre anni per i delitti di peculato, malversazione ai danni dello Stato, concussione, corruzione: art. 5, co 2° della predetta legge che ha introdotto, nel c.p., l’art. 32-quinquies. 30

Art. 1bis l. 97/01.

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Se ricorrono ragioni di particolare urgenza la sospensione cautelare può essere disposta anche dal capo di istituto, sentito il collegio dei docenti, salvo convalida da parte dell’autorità competente cui il provvedimento dovrà essere immediatamente comunicato. In mancanza di convalida nel terminedi 10 gg. il provvedimento di sospensione è revocato di diritto.

La sospensione viene meno quando nei confronti dell’interessato sia pronunciata sentenza, anche se non passata in giudicato, di non luogo a procedere, di proscioglimento o di assoluzione o provvedimento di revoca della misura di prevenzione o sentenza di annullamento.

3. LA RESPONSABILITA’ EXTRACONTRATTUALE

Esaurita la premessa di cui al paragrafo precedente è necessario ora affrontare i caratteri della responsabilità extracontrattuale, per esaminare poi, in successione (cap. II) le peculiarità che contraddistinguono quella dell’insegnante.

L’evoluzione dell'istituto della responsabilità ha portato lo stesso ad assumere una connotazione polivalente, sì da rivestire al contempo, con maggior rilievo dell'una o dell'altra funzione a seconda degli specifici settori di attività, un ruolo sanzionatorio, riparatorio (reintegrazione della situazione precedente agli effetti dannosi creatisi), preventivo ( di carattere individuale e collettivo, ovvero perché il singolo soggetto non abbia più a ripetere un comportamento illecito e perchè, al tempostesso, la reazione dell'ordinamento sia di monito affinchè altri non abbiano a compiere atti dello stesso genere) e di distribuzione del rischio e delle perdite patrimoniali (con riferimento, in particolar modo, alle attività ad alta tecnologia, di utilità collettiva ma anche di particolare pericolosità, il cui rischio di danno, appunto per la loro utilità, impone la soluzione della scelta del soggetto al quale imputare le eventuali perdite economiche).

Il sistema della responsabilità extracontrattuale è costruito sulla portata prescrittiva di quanto contenuto nell'art. 2043 del codice civile, il quale afferma che chiunque compie, dolosamente o colposamente un fatto ( come si vedrà è incerto se sia corretto il riferimento alla nozione di fatto in luogo di atto, che darebbe, invece, maggior risalto alla circostanza che si deve porre attenzione ad un comportamento umano) ingiusto è tenuto a risarcire il danno causato.

Gran parte dell’evoluzione dell’istituto si fonda sull’interpretazione data a questa espressione letterale. In sintesi, le problematiche fondamentali fanno perno sui seguenti punti di questione:

a) come si struttura l’illecito in questione nelle sue componenti ovvero la possibilità e l’utilità di una tale scomposizione di fronte ad un’unità della vicenda fattuale;

b) se la norma in questione sia di carattere primario ovvero sia esaustiva nel regolare, seppur a caratteri generali, una fattispecie di illecito oppure se – assumendo la veste di norma di carattere secondario - necessiti di integrazione, con un meccanismo di rinvio, con le norme che, nella specificità dei singoli settori ordinamentali, proibiscono determinati comportamenti lesivi rendendo così “contra legem” i comportamenti di infrazione alle stesse;

c) la funzione della norma stessa ed il ruolo della colpa;d) con quali criteri si debba individuare l’”ingiustizia” del danno.

Quanto al primo punto di analisi, va detto che l’analisi prospettica della responsabilità civile attuata tramite l’individuazione degli elementi dell’illecito è tecnica di analisi cui non è mai stata posta eccezione, anche nell’esperienza che viene dal diritto comparato: ciò perché, da un punto di vista sistematico, epistemologico e, non da ultimo, didattico, una scomposizione della fattispecie in elementi dà chiarezza alla stessa, mentre da un punto di vista pratico contribuisce alla certezza del diritto31. Quindi, per le predette ragioni di analisi e comprensione della vicenda fattuale si è soliti scomporre la fattispecie di illecito in elementi, da taluni anche definiti presupposti, o requisiti32.

31 Si veda, sia per gli aspetti di diritto comparato, sia per la disamina circa l’utilità di una strutturazione “concettuale e\o formale”, ALPA,

Diritto della responsabilità civile, cit.p. 83 ss.. 32

ALPA, La responsabilità civile, Milano, 1999, p.97.

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La struttura che appare di più agevole definizione individua: a) il fatto, o l’atto; b) l’elemento della colpevolezza, costituito dal dolo o dalla colpa, anche se, in talune ipotesi, l’ordinamento prescinde da tale elemento costitutivo; c) il danno ingiusto 33. Da taluni sono stati aggiunti anche i fattori identificativi dell’imputabilità, e dell’antigiuridicità, ma tale ampliamentodei momenti costitutivi dell’illecito appare troppo analitico enucleando aspetti che è megliocollegare al soggetto responsabile ( imputabilità ) o ricomprendere implicitamente nei tre profili costitutivi sopra esposti (l’antigiuridicità è connotato peculiare del fatto e del danno)34.Opportunamente integrativa appare invece la teoria che aggiunge a quelli sopra esposti, quale elemento specifico anche il nesso di causalità35.

Il primo elemento dell’illecito civile è quindi il fatto, inteso come avvenimento che trova fonte nel soggetto responsabile; è stato fatto notare che, benché l’art. 2043 parli di fatto commesso,non per questo la dizione deve intendersi più precisa con l’utilizzo del termine atto ( che indica un’azione umana), poichè, per talune forme di responsabilità, il danno ingiusto è ricollegato ad un evento naturale ( es. distruzione causata da cose in custodia): ciò che conta è che lo stesso sia posto in relazione con ( imputato ad) un soggetto che lo ha causato o che aveva il dovere di impedirlo36.Quando il danno si ricollega direttamente ad un atto umano questo può essere sia un'azione che un'omissione ( in quest'ultimo caso il soggetto deve essere tenuto a compiere un determinato atto o ad impedire uno specifico evento: ad esempio, l’insegnante è tenuto, come si vedrà in seguito ad impedire, alla stregua di canoni di idonea diligenza, che il discente crei danni a terzi; nell’ipotesi di verificazione dell’evento, viene in rilievo un difetto di vigilanza37 ) compiuta con capacità di intendere e volere e in carenza di uno stato di necessità ( la presenza di questi due elementi,qualificabili tecnicamente come scriminanti, o cause di giustificazione sono espressamentepreviste dagli artt. 2044 e 2045 c.c.); il richiamo alle cause di giustificazione evidenzia un presupposto di carattere negativo, ovvero che il comportamento che dà luogo a responsabilità, deve essere illecito in quanto non permesso, cioè ingiusto, e quindi non posto in essere a tutela di riconosciuti interessi o nell’esercizio di legittime facoltà ( viene in risalto, allora, l’operatività di altre cause di giustificazione, come l'adempimento di un dovere o l'esercizio di un diritto,secondo la nozione sopra già esposta).

Per dare qualche breve notazione circa i predetti elementi di colpevolezza, per come si atteggiano nella responsabilità civile extracontrattuale, il dolo indica l’intenzionalità del fatto causato ed è scindibile in un momento di volontarietà ed in uno di coscienza e consapevolezza38.Deve essere volontario l’atto o l’omissione posta in essere dal soggetto, mentre coscienza e consapevolezza devono connotare la caratteristica di ingiustizia del danno del quale, parimenti, si deve avere cognizione e la cui realizzazione deve essere stata quantomeno accettata (quando l’evenienza dannosa non è voluta ma il rischio del verificarsi della stessa viene contemplato e ricompresso nel novero delle conseguenze della propria azione si assiste alla figura del dolo eventuale). L’azione colposa si concreta invece in un comportamento imperito ( irrispettoso delle regole di una determinata professione) negligente ( senza attenzione e connotato da inerzia ed incuria), imprudente ( avventato e senza regole di cautela) o senzal’osservanza di regole sociali o giuridiche39. Non è mai inopportuno ribadire che la responsabilità

33 BIANCA, La responsabilità, cit., p. 573.

34 ALPA- BESSONE-ZENCOVICH, I fatti illeciti, in Trattato di Diritto Privato, diretto da RESCIGNO cit. p. 55 ss..

35 Risulta utile a fini illustrativi, poiché è di particolare rilievo la dogmatica inerente il legame eziologico, anche se, per altro verso,

questo può essere qualificato non come elemento autonomo, ma momento di collegamento del fatto e del danno; per la tesi della rilevanza specifica del nesso di causalità, v. BIANCA, La responsabilità, cit. p. 531. 36

BIANCA, La responsabilità, cit.p. 573. 37

Per meglio precisare: talvolta, quando la legge lo prevede, e si verte in ipotesi di responsabilità cd. “speciali”, assume giuridicarilevanza anche un fatto, ad esempio un vicenda naturale ( danno causato dal crollo di un edificio) ed allora, la fonte di responsabilitàche la stessa viene a rivestire si struttura in ragione di un particolare criterio di imputazione con un soggetto che, posto in particolare relazione con un soggetto od una cosa, rispetto ai quali ha un dovere di vigilanza o custodia, non ha impedito o ha indirettamenteprovocato il danno. Non appare erroneo affermare che il canone di responsabilità dettato nel caso di specie, nell’affermare il dovere di vigilanza crea, conseguentemente, un riferimento normativo, sotto l’aspetto del legame causale con l’evento dannoso, con il principiogenerale ritraibile dall’art. 40 del codice penale, secondo il quale non impedire un evento che si aveva l’obbligo di impedire equivale ad averlo causato. 38

In queste sintetiche definizioni di nesso di causalità, di dolo e di colpa si segue VENTURINI, La responsabilità, cit. p. 327. 39

VISENTINI, I fatti illeciti.La colpa in relazione agli altri criteri di imputazione della responsabilità, Padova, 1990, p. 73 ss.

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civile conosce le fattispecie di responsabilità, definita oggettiva ( ipotesi di particolare rilevo è quella del committente-datore di lavoro), che prescindono dal dolo e dalla colpa.

Nell’ambito della platea delle tesi attinenti il profilo del rapporto di causalità è stato abbandonato il principio, sinteticamente definibile come quello della "conditio sine qua non" ( ogni azione è fattore causale se, senza la stessa – con un procedimento di ricostruzione della vicenda per esclusione – l’evento non si sarebbe verificato - per accedere alla categoria esplicativa della "causalità adeguata"( è casualmente collegato ad un atto il fatto che, secondo canoni di normalità oggettiva e sociale ne costituisce la conseguenza) e del "rischio specifico", di una situazione dannosa, ricollegabile ad una determinata azione e che la stessa crea in maniera del tutto peculiare40; in sostanza la nozione ed i parametri individuativi del nesso di causalità vanno calati fra l'atto ed un evento il quale abbia anche, come conseguenza, un danno, patrimoniale o meno.

Quanto al secondo punto, questo, nel suo nucleo problematico, si incentra sulle caratteristiche della prescrizione contenuta nell’art. 2043 intesa in maniera antitetica41: vi è chi vi ha ravvisato una norma di carattere meramente indicatrice di conseguenze, risarcitorie e sanzionatorie, che pone conseguenze negative in colui che venga a ledere interessi tutelati senza dar supporto all’individuazione, grazie alla norma stessa, di posizioni giuridiche soggettive, o, più in generale, di situazioni attive, le quali, invece, devono essere reperite da altre norme di carattere primario; all’opposto, si è detto che la norma in questione assume caratteristiche primarie,delineando un sistema atipico, su cui si fonda non solo la sanzione ma anche il precetto, seppur definito in maniera molto ampia, con la tecnica della clausola “aperta” ovvero rinviando la soluzione del caso concreto ad una sapiente ponderazione del peso, del grado di incidenza e della rilevanza giuridica degli interessi in gioco, non senza poter assolutamente estraniare criteri sociali di considerazione42.Sembra oramai, anche alla luce di quanto si dirà in tema di ingiustizia del danno, che il dettato dell’art. 2043 sia direttamente incidente e qualificante un illecito civile, senza la necessità di valutare l’esistenza di altra norma che espressamente proibisca un determinato comportamento.

Si tratta allora, alla stregua di quanto poco fa detto, di rinvenire, nell’ordinamento, l’insiemedegli intereressi protetti, la cui lesione genera l’obbligo del risarcimento, e nel caso di conflitto di interessi – tutt’e due meritevoli ( ad esempio la libertà di attività economica di impresa, anche nel caso in cui si debbano utilizzare macchinari che comportano un tasso di rischio con la protezione della salute) – quale sia quello prevalente ( nel nostro esempio non vi è dubbio, salvo temperamenti,che sia il diritto alla salute). Occorre ora definire quale è la funzione dell’illecito e della sua conseguente sanzione. Un approccio risalente e tradizionale dava risalto al momento della censura e della riprovevolezza nei confronti del comportamento tenuto ponendo così l’accento sugli aspetti punitivi e sanzionatori della fattispecie di illecito; poiché questo si sostanziava in un giudizio di rimprovero che l'ordinamento muoveva alla condotta del convenuto l'illecito doveva fondarsi essenzialmente sul principio di colpevolezza43. Naturalmente non doveva essere obliterata la necessità di porre l’accento anche sull’esigenza risarcitoria nei confronti della vittima. La clausola generale di cui all’art.2043 c.c., che ancora il danno ingiusto al criterio di colpevolezza del dolo o della colpa, quindi, ha indotto a ritenere che la colpa stessa possa rappresentare l’elemento di imputazione a valenza generale, questo nell’ulteriore considerazione che anche l’inversione dell’onere della prova individuato precisato nelle prescrizioni che impongono di dimostrare di non aver potuto impedire il fatto, in fin dei conti, sempre a tale atteggiamento dovrebbe essere ricondotto, residuando a ipotesi

40 La teoria della “conditio sine qua non” reperisce il concetto di fattore causale in tutti quegli elementi senza i quali un determinato fatto

non si sarebbe verificato; quella della “causalità adeguata” si ricollega invece ad una valutazione circa un evento ed il fatto normalmente adeguato a produrlo; l’indirizzo teoretico fautore del principio del rischio specifico, individua invece un nesso causale quando il danno è la realizzazione del rischio specifico determinato da uno specifico fatto, v. BIANCA La responsabilità, cit., p. 132. 41

E’ una controversia risalente nel tempo: v. DE CUPIS, Dei fatti illeciti, in Comm. SCIALOJA E BRANCA, 2^ ed. IV, Delle Obbligazioni, artt. 2043-2059, 11; CIAN, Antigiuridicità e colpevolezza, Padova, 1996, p.151 ss.42

Per un completo esame della tematica si veda MONATERI, Manuale della responsabilità, cit. p. 5 ss. . 43

CHIRONI, La colpa nel diritto odierno, II, Colpa extracontrattuale, Torino, 1906, per aver conoscenza dell’indirizzo fin dai suoi albori; v. anche per una considerazione di tutte le teorie in tema, VISENTINI, Trattato breve della responsabilità civile, Padova, 1999.

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eccezionali quelle di responsabilità oggettiva o la generale prima In sostanza, l’interpretazione risalente è riconducibile, a fini di sintesi, alla massima “ nessuna responsabilità senza colpa”. Sottesa vi è una nozione della colpa come atteggiamento psicologico, atteggiamento dell’animo da censurare ed invocante una pronta reazione dell’ordinamento44; l’aspetto di riprovevolezza, giuridica e morale, evidenzia palesi profili sanzionatori del descritto sistema di responsabilità. La carenza della impostazione tradizionale risiede nel poco rilievo attribuito al danneggiato. Questo indirizzo ben può essere definito come “monista”.

Ma detta ipotesi monista dell’imputazione del danno ingiusto a chi si esponga ad un rimprovero nel senso dell’azione colpevole ha mostrato un’inidoneità ad assumere una valenza esaustiva di fronte non solo alle numerose ipotesi di responsabilità oggettiva previste dalla normativa, ma soprattutto nella considerazione della importanza economico-sociale delle stesse. Un più accorto disegno dell’istituto della responsabilità civile extracontrattuale non può non cogliere istanze sociali volte ad esaltare un ruolo riparatorio della stessa, accordandola con criteri di ripartizione del danno non necessariamente legati alla colpa, ma comunque improntati a solidarietà sociale, tendendo conto anche della sinergia – con l’istituto della la responsabilità – dei meccanismidella tutela e delle normative in tema di assicurazione. Ne consegue, anche, un necessario l’ampliamento dei danni risarcibili e la maggior tutela accordata alla persona45.Un primo orientamento interpretativo si è preoccupato di porre in posizione di equiordinazione colpa e responsabilità oggettiva, ponendosi poi il problema del dar conto della ragione ispiratrice della seconda46.

Il successo di questa impostazione, che può essere qualificata come “bipolare” deriva dalla costruzione di una tesi interpretativa che inquadra il sistema della imputazione da un canto sulla motivazione della censura etica dell’atteggiamento colpevole, dall’altro ( per la responsabilità oggettiva) sull’assunzione di un rischio implicito nella specifica attività imprenditoriale. Nell’esposto indirizzo, alla funzione censoria dell’illecito è stato affiancato il fine – creando così l’anzidetto binomio esplicativo-teorico – della soluzione della ripartizione del danno a fronte della sussistenza di rischi sociali, inevitabili nelle interazioni quotidiane che determinanol’insorgere (peraltro sono rischi che noi stessi imponiamo ed ai quali ci sottoponiamo) di rischi vicendevoli. Nella convivenza con detti rischi la società, con norme giuridiche e metagiuridiche, ha approntato norme di condotta ragionevole, la cui violazione, con conseguente danno, comportal’assunzione dell’onere del risarcimento in capo ad un determinato soggetto Quando tali normesono violate, e ne risulta un danno, i suoi costi devono essere sopportati da qualcuno. Il binomiocolpa-rischio va allora contemplato nell’ottica di una visione correttiva o compensativa dell’illecito, ed in una tecnica giuridica di risoluzione in cui Legislatore e Corti devono definire modalità di individuazione dell’onerato delle conseguenze del rischio ed all’entità del danno da risarcire. Ed è proprio in questa operazione che, per un principio di solidarietà sociale e di “ favor “ per la vittimache risulti più debole, si prescinde, nella responsabilità oggettiva, da un principio di colpevolezza per dar spazio solo al collegamento causale fra comportamento del soggetto sul quale incombel’onere degli effetti dell’evento rischioso ed il danno47.Non possono essere sottaciute aporie interpretative in tale teoria, peraltro, in astratto di un certo pregio; in concreto, però, risulta carente di un solido radicamento nella normativa vigente che, quando prospetta fattispecie di responsabilità oggettiva, non conferisce al dato dell’esercizio di impresa il ruolo di criterio ordinante e unificatore.

Una panoramica sulle funzioni e le conseguenti tecniche interpretative in tema di illecito civile non può non dar conto, per la sua radicale antitesi – in ragione delle categorie concettuali cui fa riferimento soprattutto – con gli orientamenti che danno prevalenza, rispetto ai canoni giuridici, all'analisi economica del diritto, volta a definire un sistema incentivante verso un comportamento

44 DE CUPIS, Il danno, I, Milano 1979, p.137: connessa vi era la risarcibilità del solo diritto soggettivo assoluto leso e del danno afferente

l’utilità patrimoniale ritraibile da un determinato bene. 45

RODOTÀ, Il problema della responsabilità civile, Milano, 1964. 46

TRIMARCHI, Rischio e responsabilità oggettiva, Milano, 1961. 47

TRIMARCHI, Rischio e responsabilità oggettiva, cit.

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individuale e sociale, ove vi è anche la competenza e l’incidenza dell’azione della pubblica amministrazione, con i suoi poteri autoritativi che, talora, possono conculcare le facoltà del privato.L'interesse legittimo va quindi inteso (ed ormai in tal senso viene comunemente inteso) come la posizione di vantaggio riservata ad un soggetto in relazione ad un bene della vita oggetto di un provvedimento amministrativo e consistente nell'attribuzione a tale soggetto di poteri idonei ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione dell'interesseal bene. In altri termini, l'interesse legittimo emerge nel momento in cui l'interesse del privato ad ottenere o a conservare un bene della vita viene a confronto con il potere amministrativo, e cioè con il potere della P.A. di soddisfare l'interesse (con provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dell'istante), o di sacrificarlo (con provvedimenti ablatori). Anche di questa figura giuridica, come già rilevato, è stata sancita, prima giurisprudenzialmente, poi legislativamente, la risarcibilità.

La sintetica esposizione delle situazioni giuridiche soggettive risulta necessaria, perché è dalle definizioni delle stesse e dal loro tradizionale approccio con il sistema delle responsabilità che si può comprendere appieno il radicale mutamento negli indirizzi ermeneutici cui si è assistito in questi anni ed attinente i criteri identificativi dell’ingiustizia del danno. Sotto questo profilo punto di attuale approdo dell’orientamento giurisprudenziale è una oramai famosa sentenza della Cassazione a Sezioni Unite, la n. 500 del 22 luglio 199954 che ha dettato uno “ statuto” dell’ingiustizia del danno; i Giudici della Corte, nella parte motivazionale della sentenza hanno illustrato il percorso interpretativo sul tema nel volgere degli anni per poi pervenire a tratteggiare il procedimento logico-ermeneutico utile al fine di pervenire a detta qualificazione di ingiustizia. Seguendo il filo motivazionale di questo “ leading case” sarà possibile tracciare una storia ed un decalogo applicativo dell’ingiustizia del danno civile.

La tradizionale interpretazione dell'art. 2043 c.c., conferiva la qualificazione di "danno ingiusto" soltanto alla lesione di un diritto soggettivo. Questo il procedimento concettuale: poichè l’ingiustizia del danno, che, come detto, l'art. 2043 c.c. assume quale componente essenziale della fattispecie della responsabilità civile, va intesa nella duplice accezione del danno medesimo quale prodotto “non iure” e “contra ius” (come precedentemente – par.1 - si è avuto modo di dire, “non iure”, nel senso che il fatto produttivo del danno non debba essere altrimenti giustificato dall'ordinamento giuridico; “contra ius”, nel senso che il fatto debba ledere una situazione soggettiva riconosciuta e garantita dall'ordinamento medesimo) significa che ciò che va tutelato è ciò che si presenta nella forma del diritto soggettivo perfetto55.Nuove esigenze di concreta e condivisa tutela delle relazioni sociali hanno però indotto la giurisprudenza ad un costante affinamento della propria sensibilità in tema di lesione di interessi, procedendo ad un costante ampliamento dell'area della risarcibilità del danno aquiliano.

Un primo significativo passo in tale direzione è rappresentato dal riconoscimento della risarcibilità non soltanto dei diritti assoluti, come si riteneva tradizionalmente, ma anche dei diritti relativi. La responsabilità per fatto illecito è stata ravvisata, infatti, non solo nell'ipotesi di lesione di diritti assoluti, ma anche nell'ipotesi di lesione di diritti relativi, allorché l'illecito del terzo incida sul diritto del creditore secondo i criteri che regolano il nesso eziologico tra evento e danno. Realizzatisi questi presupposti, allora, ad esempio, al datore di lavoro che abbia pagato al dipendente infortunato le retribuzioni afferenti al periodo di infortunio, spetta il diritto di ottenere dal terzo responsabile il rimborso delle somme corrisposte, poiché, nei casi in cui il lavoratore si assenti in seguito ad infortunio cagionato dal terzo, l'effettivo danneggiato risulta essere proprio il datore di lavoro, costretto per legge o per contratto, a continuare i pagamenti, sebbene il prestatore d'opera non sia in grado di eseguire le prestazioni lavorative56.

54 Cass.Civ. Sez. Un., 22 luglio 1999, n. 500, in (fra le innumerevoli riviste giuridiche in cui è stata riportata con copiosità di note a

commento) Foro it., 1999, I, p. 2487, con note di PALMIERI e PARDOLESI.55

Cass. civ., sez. un., 23 novembre 1985, n. 5813, in Giust. civ. Mass. 1985, f. 11. 56

Cass.civ., sez.III, 23 gennaio 1984, n.555, in Mass.giur.lav.1984, p.357; Dir. e prat. assicur. 1984, p. 699; ALIBRANDI, Sulla pretesa tutela aquiliana del diritto di credito del datore di lavoro, Milano, 1985.

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È quindi seguito il riconoscimento della risarcibilità di varie posizioni giuridiche, che del diritto soggettivo non avevano la consistenza, ma che la giurisprudenza di volta in volta elevava a tale dignità: vale la pena fare un cenno al c.d. diritto all'integrità del patrimonio o alla libera determinazione negoziale57, o all’affermata risarcibilità del danno da perdita di chance, intesa come probabilità effettiva e congrua di conseguire un risultato utile, da accertare secondo il calcolo delle probabilità o per presunzioni58.

Ulteriore passo di civiltà giuridica è stato il riconoscimento della risarcibilità della lesione di legittime aspettative di natura patrimoniale nei rapporti familiari, ed anche nell'ambito della famiglia di fatto, in cui il discrimine fra pretese ed aspirazioni qualificabili come "legittime" e le mere aspettative semplici, per ciò stesso non tutelabili, veniva rinvenuto in seno sia a precetti normativi che a principi etico - sociali di solidarietà familiare e di costume59.

In sostanza, la qualifica di diritto soggettivo era divenuta velo giustificativo per situazioni eterogenee, non altrimenti rientranti, secondo un’accezione ortodossa, nella predetta categoria: è evidente che pendeva, in questo scenario, il dilemma interpretativo ( questione sopra posta ed i cui termini di soluzione si vanno ora tracciando) circa la natura, di norma primaria o secondaria (di rinvio e sanzionatoria) dell’art. 2043 c.c.; vale la pena ripetere che quest’ultima opzione presuppone un legame fra l'art. 2043 c.c. che costituirebbe, appunto, norma secondaria (di sanzione) e norme primarie (di divieto); per la prima tesi interpretativa, l’articolo in questione racchiude in sè una clausola generale primaria, espressa dalla formula "danno ingiusto", in virtù della quale è risarcibile il danno che presenta le caratteristiche dell'ingiustizia, in quanto lesivo di interessi ai quali l'ordinamento conferisce pregnante rilievo, prendendoli in considerazione sotto vari profili (esulanti dalle tematiche del risarcimento).

La medesima impostazione logica, prima cennata con riferimento al diritto soggettivo - con in più la complessità sia delle vicende attinenti l’adozione di provvedimenti amministrativi, sia la prospettiva di inarrestabili contenziosi ed esborsi per l’erario - ha mostrato la giurisprudenza della Cassazione in riferimento alla risarcibilità degli interessi legittimi. La possibilità di fruire di una possibilità di “ filtro”, alle istanze risarcitorie nei confronti della pubblica amministrazione ha condotto ad operazioni di trasfigurazione di alcune figure di interesse legittimo in diritti soggettivi, con conseguente apertura dell'accesso alla tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c., a questi ultimitradizionalmente riservata.

Dall’esame circa la consistenza dell'interesse materiale sotteso (o correlato) all'interesselegittimo che non si pone solo in una prospettiva di legittimazione processuale per la proposizione del ricorso al giudice amministrativo, del quale non sarebbe quindi neppure ipotizzabile lesione produttiva di danno patrimoniale, ma ha anche natura sostanziale, nel senso che si correla, comesopra detto, ad un interesse materiale del titolare ad un bene della vita, la cui lesione (in termini di sacrificio o di insoddisfazione) può concretizzare danno, è sorta la considerazione che anche con interesse legittimo l'ordinamento intende proteggere l'interesse ad un bene della vita: ciò che

57 Cass.civ., sez.III, 4 maggio 1982, n. 2765, in Riv. giur. circol. trasp., 1982, p.1059 e Resp. civ. e prev. 1982, p. 602: “È risarcibile, a

norma dell'art. 2043 c.c., il danno inferto al diritto all'integrità del patrimonio e, più specificamente, al diritto di determinarsi liberamente nello svolgimento dell'attività negoziale relativa al patrimonio stesso, facendo ragionevole affidamento sulla veridicità delle dichiarazioni da chiunque rese, comunque concernenti quell'attività, e senza essere pregiudicato da dichiarazioni non veritiere rese per dolo o per colpa”.58

Cass. civ., sez. lav., 22 aprile 1993, n. 4725, in Giust. civ. Mass. 1993, p. 720; FRANCO,Tutela della professionalità e perdita di una "chance" (nota a sent. Cass., Sez. Lav., 3 febbraio 1993 n. 1336), in Giust. civ,. 1993,I, p.2441: “La probabilità, con le caratteristiche di effettività e plausibilità, di conseguire un certo bene rappresenta un bene patrimoniale, economicamente e giuridicamente valutabile, la cui perdita produce un danno attuale e risarcibile qualora ne sia provata la sussistenza anche secondo un calcolo di probabilità o per presunzioni se, cioè, possa essere dimostrata con certezza anche solo relativa, e non assoluta, ma come tale sufficiente” così Cass.civ., sez. lav., 19 dicembre 1985, n. 6506, in Riv. dir. comm., 1986, II, p.207. 59

Cass. civ., sez. III, 22 febbraio 1995, n. 1959,in Giust. civ. Mass. 1995, p. 406:”I cosiddetti danni patrimoniali futuri risarcibili a favore dei genitori e dei fratelli di un minore deceduto a seguito di fatto illecito, vanno ravvisati nella perdita o nella diminuzione di quei contributi patrimoniali o di quelle utilità economiche che - sia in relazione a precetti normativi (art. 315, 433, 230-bis c.c.) che per la pratica di vita improntata a regole etico-sociali di solidarietà familiare e di costume - presumibilmente e secondo un criterio di normalità il soggetto venuto meno prematuramente avrebbe apportato, alla stregua di una valutazione che faccia ricorso anche alle presunzioni ed ai dati ricavabili dal notorio e dalla comune esperienza, con riguardo a tutte le circostanze del caso concreto”.

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caratterizza l'interesse legittimo e lo distingue dal diritto soggettivo è soltanto il modo o la misuracon cui l'interesse sostanziale ottiene protezione.

Particolare incidenza pratica ha assunto la distinzione tra "interessi oppositivi" ed "interessi pretensivi", secondo che la protezione sia conferita al fine di evitare un provvedimentosfavorevole ovvero per ottenere un provvedimento favorevole: nella considerazione che i primisoddisfano istanze di conservazione della sfera giuridica personale e patrimoniale del soggetto i secondi istanze di sviluppo della sfera giuridica personale e patrimoniale del soggetto medesimo, la giurisprudenza ha scelto una via interpretativa che ha rappresentato anche un’opzione di valori dando spazio risarcitorio agli interessi oppositivi, ed a ipotesi in cui la P.A., omettendo di svolgere attività di vigilanza o di informazione, o compiendo erroneamente attività di certificazione, aveva determinato danni a terzi, pur riaffermando in linea di principio la irrisarcibilità degli interessi legittimi: tutto questo nell’ottica della lettura tradizionale dell'art. 2043 c.c., ove la tendenza progressivamente estensiva dell'area della risarcibilità (dei danni derivanti in realtà dalla lesione di alcune figure di interesse legittimo nel caso di esercizio illegittimo della funzione pubblica mediante attività giuridiche)60, veniva affermata e spiegata teoricamente sostenendo che il provvedimento della p.a. andava ad incidere su di un diritto soggettivo, “ affievolendolo”,cosicché, annullando l’atto che aveva posto detta compressione, il diritto soggettivo mostrava una reviviscenza, seppur con il “ vulnus” patito, e di tale lesione si poteva chiedere il ristoro. Si ammetteva cioè la risarcibilità del c.d. diritto affievolito, e cioè dell'originaria situazione di diritto soggettivo incisa da un provvedimento illegittimo che sia stato poi annullato dal giudice amministrativo con effetto ripristinatorio retroattivo.

Come si vede, la tecnica di ammissione di azioni di responsabilità seppur con modalitàpeculiari è stata assai simile a quella, già descritta, utilizzata per ampliare l'area della risarcibilità ex art. 2043 c.c. nei rapporti tra privati, e cioè l'elevazione di determinate figure di interessi legittimi (diversificate per contenuto e forme di protezione) a diritti soggettivi.

Ed ulteriore estensione del principio ha riguardato l’abuso dei poteri discrezionali (più precisamente la Corte di Cassazione parla di violazione dei c.d. limiti esterni della discrezionalità), ravvisata in ipotesi in cui la P.A., omettendo di svolgere attività di vigilanza o di informazione, o compiendo erroneamente attività di certificazione, aveva determinato danni a terzi61.L'esigenza di ravvisare un diritto soggettivo che rinasce, come si vede, era chiaramente dettata dalla volontà di non estraniarsi dall'area disciplinare tradizionale dell'art. 2043 c.c..

Ed analoga considerazione va fatta anche in relazione all'ipotesi (che costituisce sviluppo di quella precedente) della c.d. riespansione della quale beneficia anche il diritto soggettivo (non originario ma) nascente da un provvedimento amministrativo, qualora sia stato annullato il successivo provvedimento caducatorio dell'atto fonte della posizione di vantaggio. Nella storia della giurisprudenza della Cassazione è possibile infatti individuare anche ipotesi nelle quali è stata

60 Va aggiunto che nessun limite è stato mai invece ravvisato, in relazione ai comportamenti materiali della P.A., indiscussa fonte di

responsabilità aquiliana: “ex multis”, Cass. civ., sez. III, 29 aprile 1996, n. 3939, in Resp. civ. e prev., 1996, p. 1183. 61

Cass. civ., sez. un., 10 febbraio 1996, n. 1030, in Foro amm. 1997, p.1043 con nota di BACOSi: “Qualora un privato assuma di aver subito un danno a causa di certificazioni inesatte o errate rilasciate dalla p.a. dovute ad accertamenti negligenti o errati, spetta alla giurisdizione ordinaria accertare l'esistenza in concreto di situazioni di diritto soggettivo meritevoli di tutela risarcitoria”; Cass. civ., sez. un., 15 novembre 1994, n. 9593, in Giust. civ., Mass. 1994, f. 11;”La responsabilità della p.a. per illecito extracontrattuale - che può essere fatta valere dal privato con azione di risarcimento del danno davanti al giudice ordinario - è astrattamente configurabile anche nella diffusione di informazioni inesatte, in omissioni, o in leggerezze o negligenze commesse dall'amministrazione nell'esercizio di poteri di vigilanza o di controllo: tuttavia, la proponibilità di siffatta domanda risarcitoria non dipende solo dalla prospettazione della parte, ma anche dalla configurabilità in concreto, in relazione ai termini sostanziali della controversia, di un comportamento della p.a. che, superando i limiti esterni della discrezionalità, riconosciutale dalla legge, abbia leso un diritto soggettivo, con la conseguenza che non può considerarsi dedotta l'indicata lesione quando il privato censuri l'attività discrezionale di vigilanza o il cattivo esercizio di poteri di controllo, risolvendosi tali censure in un inammissibile sindacato del giudice ordinario sulla legittimità o sull'opportunità di attiamministrativi (nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva dichiarato il difetto di giurisdizione dell'A.g.o. sulla domanda di risarcimento proposta dal privato nei confronti del ministero dell'industria - per avere, quale autorità di vigilanza sull'attività di "leasing", consentito l'inserimento nei contratti di locazione finanziaria di clausole ritenute contrarie a norme imperative - nonravvisando un diritto soggettivo del privato, in assenza di norme obbliganti detta autorità al controllo del contenuto dei contratti in questione).

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riconosciuta la risarcibilità di interessi legittimi pretesivi, sostanzialmente in fattispecie in cui vi era concorrente anche una fattispecie criminosa62.

Esaurita l’illustrazione della parabola giurisprudenziale in tema di situazioni risarcibili, la Cassazione giunge a rilevare, nella motivazione della citata sentenza n. 500/99, che non può più essere sottaciuto che, da una corretta lettura dell’art.2043 Cost., risulta netta la centralità del danno, del quale viene previsto il risarcimento qualora sia "ingiusto", mentre la colpevolezza della condotta (in quanto contrassegnata da dolo o colpa) attiene all'imputabilità della responsabilità.

Viene allora consacrato quanto prima già enunciato, ovvero la valenza primaria della normain questione, dalla quale deriva in via diretta la prescrizione e l’indicazione dell’ingiustizia del danno. Vale la pena ripeterne le ragioni del principio, seguendo la Suprema Corte e le sue illuminanti espressioni.

L'area della risarcibilità non è quindi definita – si è affermato - da altre norme recanti divieti e quindi costitutive di diritti (con conseguente tipicità dell'illecito in quanto fatto lesivo di ben determinate situazioni ritenute dal legislatore meritevoli di tutela), bensì da una clausola generale, espressa dalla formula "danno ingiusto", in virtù della quale è risarcibile il danno che presenta le caratteristiche dell'ingiustizia, e cioè il danno arrecato “non iure”, da ravvisarsi nel danno inferto in difetto di una causa di giustificazione (“non iure”), che si risolve nella lesione di un interesse rilevante per l'ordinamento ( ottimo canone- guida nel considerare il valore ordinamentaledi un determinato interesse sono i precetti costituzionali, in particolare quelli di solidarietà e di eguaglianza, desumibili dagli artt. 2, 3 e 5 Cost.). Non è più contestabile, allora, si ribadisce, che la norma sulla responsabilità aquiliana non è norma (secondaria), volta a sanzionare una condotta vietata da altre norme (primarie), bensì norma (primaria) volta ad apprestare una riparazione del danno ingiustamente sofferto da un soggetto per effetto dell'attività altrui. Quindi, in sintesi, ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana:

- non assume rilievo determinante la qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto;

- la tutela risarcitoria è assicurata solo in relazione alla ingiustizia del danno, che costituisce fattispecie autonoma, contrassegnata dalla lesione di un interesse giuridicamente rilevante;

- gli interessi meritevoli di tutela vanno individuati con una dinamica ponderativa “ a posteriori”: caratteristica del fatto illecito delineato dall'art. 2043 c.c., inteso nei come norma primaria di protezione, è infatti la sua atipicità.

Per la Cassazione compito del Giudice, allora ( e si giunge al momento prescrittivo, a ciò che prima si è chiamato “decalogo” della sentenza in riferimento), chiamato ad attuare la tutela ex art. 2043 c.c., è quindi quello di procedere ad una selezione degli interessi giuridicamente rilevanti, poiché solo la lesione di un interesse che risulti emergente da tale procedimento può dare luogo ad un "danno ingiusto", “ed a tanto provvederà istituendo un giudizio di comparazione degli interessi in conflitto, e cioè dell'interesse effettivo del soggetto che si afferma danneggiato, e dell'interesseche il comportamento lesivo dell'autore del fatto è volto a perseguire, al fine di accertare se il sacrificio dell'interesse del soggetto danneggiato trovi o meno giustificazione nella realizzazione del contrapposto interesse dell'autore della condotta, in ragione della sua prevalenza”. L’attività di comparazione e valutazione non va riposta nella discrezionalità del giudice, ma nel diritto positivo, al fine di accertare se, e con quale consistenza ed intensità, l'ordinamento assicura tutela all'interessedel danneggiato, con disposizioni specifiche (così risolvendo in radice il conflitto, come avviene nel caso di interesse protetto nella forma del diritto soggettivo, soprattutto quando si tratta di diritti costituzionalmente garantiti o di diritti della personalità), ovvero comunque lo prende in

62Cass. civ., sez. I, 11 febbraio 1995, n. 1540, in Dir. proc. amm. 1997, p. 358: ” Il principio secondo cui affinché sorga l'obbligazione

del risarcimento del danno occorre che esso abbia arrecato un "danno ingiusto" va inteso nel senso che, mentre per tutti i fatti dannosi non costituenti reato l'ingiustizia del danno è da intendersi (oltreché nell'accezione di danno prodotto "non iure") anche "contra jus" (vale a dire come fatto che incida su una posizione soggettiva attiva tutelata come diritto perfetto), per i danni prodotti da reato, invece, l'ingiustizia è in "re ipsa" e non ha, quindi, bisogno di essere riconnessa alla violazione di un diritto soggettivo. Tali danni, quindi, vanno "in ogni caso" risarciti, anche ove siano collegati soltanto al pregiudizio di interessi di mero fatto”.

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considerazione sotto altri profili (diversi dalla tutela risarcitoria), manifestando così una esigenza di protezione (nel qual caso la composizione del conflitto con il contrapposto interesse è affidata alla decisione del giudice, che dovrà stabilire se si è verificata una rottura del "giusto" equilibrio intersoggettivo, e provvedere a ristabilirlo mediante il risarcimento). In particolare, nel caso di conflitto tra interesse individuale perseguito dal privato ed interesse ultraindividuale perseguito dalla P.A., la soluzione non è senz'altro determinata dalla diversa qualità dei contrapposti interessi, poiché la prevalenza dell'interesse ultraindividuale, con correlativo sacrificio di quello individuale, può verificarsi soltanto se l'azione amministrativa è conforme ai principi di legalità e di buona amministrazione, e non anche quando è contraria a tali principi.

Se la normativa sulla responsabilità aquiliana ha funzione di riparazione del "danno ingiusto", ed è ingiusto il danno che l'ordinamento non può tollerare che rimanga a carico della vittima, ma che va trasferito sull'autore del fatto, in quanto lesivo di interessi giuridicamenterilevanti, quale che sia la loro qualificazione formale, nulla più osta alla risarcibilità anche dell’interesse legittimo63.

La Cassazione ha definito i termini della possibilità di una domanda risarcitoria ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile codificando il procedimento valutativo-motivazionale del giudice:

questi dovrà, infatti, stabilire se la fattispecie concreta sia o meno riconducibile nello schema normativo delineato dall'art. 2043 c.c., e quindi dovra' procedere, in ordine successivo, a svolgere le seguenti indagini:

a) in primo luogo dovra' accertare la sussistenza di un evento dannoso;b) procedera' quindi a stabilire se l'accertato danno sia qualificabile come danno ingiusto,

in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l'ordinamento, che puo'essere indifferentemente un interesse tutelato nelle forme del diritto soggettivo (assoluto o relativo), ovvero nelle forme dell'interesse legittimo (quando, cioe', questo risulti funzionale alla protezione di un determinato bene della vita, poiche' e' la lesione dell'interesse al bene che rileva ai fini in esame), o altro interesse (non elevato ad oggetto di immediata tutela ma) giuridicamente rilevante (in quanto preso in considerazione dall'ordinamento a fini diversi da quelli risarcitori, e quindi non riconducibile a merointeresse di fatto);

c) dovra' inoltre accertare, sotto il profilo causale, facendo applicazione dei noti criteri generali, se l'evento dannoso sia riferibile ad una condotta (positiva o omissiva) della p.a.;

Con riferimento all’attività della P.A., si deve valutare se questa sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l'esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi e che il giudice ordinario può valutare, in quanto si pongono comelimiti esterni alla discrezionalità64.

3.1. Il DANNO BIOLOGICO

63 Prosegue la Cassazione nella sentenza n. 500: “Ciò non equivale certamente ad affermare la indiscriminata risarcibilità degli interessi

legittimi come categoria generale. Per quanto concerne gli interessi legittimi oppositivi, potrà ravvisarsi danno ingiusto nel sacrificiodell'interesse alla conservazione del bene o della situazione di vantaggio conseguente all'illegittimo esercizio del potere. Cosìconfermando, nel risultato al quale si perviene, il precedente orientamento, qualora il detto interesse sia tutelato nelle forme del diritto soggettivo, ma ampliandone la portata nell'ipotesi in cui siffatta forma di tutela piena non sia ravvisabile e tuttavia l'interesse risultigiuridicamente rilevante nei sensi suindicati. Circa gli interessi pretensivi, la cui lesione si configura nel caso di illegittimo diniego del richiesto provvedimento o di ingiustificato ritardo nella sua adozione, dovrà invece vagliarsi la consistenza della protezione chel'ordinamento riserva alle istanze di ampliamento della sfera giuridica del pretendente. Valutazione che implica un giudizio prognostico,da condurre in riferimento alla normativa di settore, sulla fondatezza o meno della istanza, onde stabilire se il pretendente fosse titolare non già di una mera aspettativa, come tale non tutelabile, bensì di una situazione suscettiva di determinare un oggettivo affidamentocirca la sua conclusione positiva, e cioè di una situazione che, secondo la disciplina applicabile, era destinata, secondo un criterio dinormalità, ad un esito favorevole, e risultava quindi giuridicamente protetta. 64

In sostanza, dopo il descritto mutamento giurisprudenziale, e il parallelo incremento di sensibilità del legislatore verso forme di maggior tutela del cittadino-utente dei pubblici servizi, v. D.lgs. N. 80 del 1998 e legge 205 del 2000, l’analisi del giudice non deve più soffermarsi sull’esistenza di un diritto soggettivo ma, invece, focalizzarsi sulla rilevanza della protezione dell’interesse danneggiato.

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Il danno biologico come categoria concettuale si radica nell’istanza di tutela della lesione al bene salute, ed infatti all’utilizzata locuzione viene ritenuta omologa quella di danno alla salute la seconda apparendo, però, più consona al dato costituzionale. La figura nasce, per impulsoprevalentemente giurisprudenziale, come moto di reazione ad una situazione che, sotto il profilo della tutela di diritti fondamentali collegati al "valore uomo", presentava un vuoto difficilmentegiustificabile sia in termini giuridici che extragiuridici.

Negli anni 70’, una nuova sensibilità sociale, collegata all’approfondimento ed al risalto dei valori di solidarietà e di eguaglianza depositati nella Carta Costituzionale, resi più vivi e presenti in relazione ai mutamenti sociali ed economici, ha trovato la giurisprudenza pronta a cogliere gli stessi, con la conseguente tensione all’adeguamento ai medesimi del sistema della tutela giuridica dei diritti e pervenendo alla elaborazione di soluzioni che, veicolate dal "diritto vivente", hanno innovato il diritto codificato senza l’intervento del legislatore.

Sul piano della cultura giuridica, il ritardo nella considerazione della valenza della persona, e la sua salvaguardia quasi esclusivamente sotto il profilo della sua capacità di produrre reddito ("homo economicus"), portavano a configurare, di conseguenza, il danno risarcibile solo in terminidi diminuzione di tale capacità, peraltro dovendosi solo escludere il danno non patrimoniale,relegato entro l’ambito angusto imposto dall’art. 2059 c.c. che limitava, in sostanza, la risarcibilità al solo "praetium doloris" conseguenza di un fatto costituente reato. D’altro canto, per superare gli spazi ristretti dal presupposto della patrimonialità dell’area risarcibile, erano state coniate figure di danno, caratterizzate in senso patrimoniale ma orientate verso le potenzialità esistenziali e relazionali del soggetto, quali il danno alla vita di relazione, il danno estetico, il danno alla capacità lavorativa generica ed il danno alla vita sessuale: tutte figure prospettate in relazione alla perdita reddituale del soggetto65.

Parte dalla giurisprudenza genovese e pisana l’inizio di un processo innovativo destinato ad ampliare sensibilmente l’ambito del danno risarcibile. Appariva difficilmente contestabile ad una più matura coscienza giuridica66, l’ ingiustizia insita nel liquidare diversamente due identici danni fisici a seconda del reddito dei soggetti danneggiati, ed allora la soluzione fu individuata nel prospettare l’introduzione di un danno di natura non patrimoniale (definito "extrapatrimoniale"per distinguerlo dal non patrimoniale tipico ex art. 2059 c.c.) eguale per tutti perché calcolato sulla base del reddito medio nazionale e differenziato unicamente sulla base di elementi extrareddituali quali età, sesso del leso e grado di invalidità accertato.

Il Tribunale di Genova definì l’archetipo teorico dell’attuale figura la teoria elaborando il concetto di danno biologico quale lesione dell’integrità psico-fisica in sé e per sé considerata,indipendentemente dalla capacità di guadagno del danneggiato, qualificando il danno "de quo" come danno extrapatrimoniale, "tertium genus" rispetto al danno patrimoniale e ed al danno non patrimoniale disciplinato dall’art. 2059c.c.67.Si aspirava, in sostanza, a sottolineare la distinzione tra danni non patrimoniali in senso lato (o extrapatrimoniali) e danni non patrimoniali in senso stretto (danni morali, il cd. “ patema d’animo”),restringendo l’ambito applicativo dell’art. 2059 codice civile al solo "praetium doloris" che qualifica il risarcimento dei secondi, e riconducendo i primi, in ragione della ingiustizia del danno, nell’alveo dell’art. 2043 cc. Immediatamente si imposero le tematiche della possibilità, per il diritto della responsabilità civile, di recepire le influenze di istanze egualitaristiche ed una pronunciata impostazione dogmatica in tema di natura giuridica del danno profilato nella sua insita antitesi fra danno patrimoniale e danno non patrimoniale.

Se sul primo tema non vi sono, allo stato attuale, più dubbi, circa il secondo va detto che in detta dialettica è venuta ad insinuarsi, peraltro, un’opzione per una terza via rispetto alla

65 Cass.civ., 2 gennaio 1969, n. 3859, in Foro it, 1970, p.1768 ss.; Cass. 23 giugno 1969, n. 2259 in Foro it.,1969, p. 2144; ROVELLI, I

danni alla vita di relazione per le lesioni all’integrità personale, in Arch. Resp. Civ. 1958, p. 3. 66

MORETTI e PELLEGRINI, Proposte per un nuovo metodo di liquidazione del danno a persona in Foro It., 1974, V, p. 163. 67

Si veda per tutte: Trib. Genova, Sez. II civ., 30 maggio 1974, in Dir. e prat. sin. stradale, 1974, p. 166 ss.

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applicazione classica dell’art. 2043 c.c. o dell’art. 2059 sempre del codice civile con la conseguente creazione di un "tertium genus". Ciò muovendo dall’ingiustizia del danno (il danno alla salute in quanto lesione di una situazione soggettiva avente rilevanza costituzionale è infatti danno "ingiusto") e ascrivendo il danno biologico in questione all’art. 2043 del codice civile il quale collega la sanzione risarcitoria al "damnum iniuria datum", senza distinguere tra patrimonialità o non patrimonialità del danno medesimo68.

Sulla questione intervenne la Corte Costituzionale69 che nel 1979 si pronunciò con le sentenze nn. 87 e 88, che contengono la prima enunciazione di principi fondamentali da parte del giudice costituzionale: la Consulta riconobbe la natura del "bene salute", tutelato direttamentedall’art. 32 Cost. non solo quale interesse della collettività ma come diritto fondamentaledell’individuo, e bene che costituisce oggetto di diritti aventi dignità di tutela diretta anche nei rapporti privatistici; d’altro canto non ne trasse le conseguenze cui pervenne sette anni dopo e che dappresso si illustreranno.

Un principio andava comunque invalendosi: non ammissibile sarebbe la risarcibilità della lesione del suddetto bene limitata alle conseguenze delle violazioni direttamente incidenti sull’attitudine del soggetto a produrre reddito, dovendo comprendere anche gli effetti della lesione del diritto, considerato come posizione soggettiva autonoma, indipendentemente da ogni altro aspetto conseguenziale, cioè a prescindere dalla lesione dell’attitudine al guadagno del danneggiato.Alla definizione della figura – con il suo autonomo ambito risarcitorio – ha inciso anche l’intervento della Cassazione agli inizi degli anni 80 del danno biologico con due decisioni dei primi anni ‘80, che ricondussero il danno biologico nell’alveo dell’art. 2043 c.c.70.Ancora allo stato nascente era la qualificazione del danno biologico così come i relativi criteri e metodologie risarcitorie. In un primo momento la Cassazione ritenne indubbia la natura patrimoniale del danno da menomazione dell’integrità psicofisica giacché colpisce un valore essenziale facente parte integrante del patrimonio del soggetto, cioè del "complesso di beni di sua esclusiva e diretta pertinenza"; nasce così una delle teoriche qualificatorie della figura in questione, che la include nell’alveo del danno patrimoniale, inteso in senso assai lato ed ampio; sarebbe, di conseguenza, erroneo far rientrare tale fattispecie di danno nell’ambito ristretto dell’art. 2059 cod. civ. in quanto quest’ultima norma assicura una forma di tutela rimessa ad una scelta discrezionale del legislatore (i "casi previsti dalla legge") laddove i principi fondamentali dell’ordinamentogiuridico "non consentono di ipotizzare casi di non risarcibilità del danno ingiusto di natura patrimoniale".

E’ proprio la stessa Suprema Corte di Cassazione a porre l’accento su una nozione "lata" di patrimonio dando ingresso all’esigenza, di superamento di un concetto meramente economico-reddituale di patrimonio, che permetteva di uscire dagli angusti confini della dizione letterale dell’art. 2059 cod. civ.71.

Già da questo momento si profilano le tre fondamentali impostazioni qualificatorie del danno biologico:

- danno biologico come danno patrimoniale, secondo quanto detto prima,- danno biologico come danno non patrimoniale, tesi che ha iniziato ad avere seguito in sentenze della Cassazione degli anni 90’, dovendosi ritenere lo stesso come avulso da ogni connotazione redditual-patrimonialistica72;- danno biologico come “tertium genus”, secondo quanto già cennato e, nella sua versione “più raffinata”73, con l’integrazione della sua connotazione quale danno- evento da parte della Consulta.

68 BUSNELLI, Diritto alla salute e tutela risarcitoria in "Tutela della salute e diritto privato" a cura di BUSNELLI-BRECCIA, Milano, 1978.

69Corte Cost. 26 luglio 1979, n. 87 (Pres. Amadei, Rel. Maccarone) e Corte Cost. 26 luglio 1979, n°.88 (Pres. Amadei Rel. Maccarone)

entrambe in Resp. Civ. Prev. 1979, p. 689. 70

Cass., 6 giugno 1981 n. 3675, in Giust. Civ.,1981, I, p.1903 e Cass., 6 aprile 1983 n. 2396, in Riv. Giur. Circ. Trasp, 1983, p.713. 71

Cass., 11 febbraio 1985, n. 1130, in Giur. it., 1985, I, 1, p.180. 72

“Ex multis” Cass., 13 gennaio 1993, n. 357, in Foro it., 1993, I, p. 1897; ZIVIZ, La tutela risarcitoria della persona, Milano, 1999, p. 331. 73

Così si esprime BONA, Il danno biologico, in Il danno alla persona, a cura di MONATERI, Torino, 2000, p.40.

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Momento capitale nel consolidamento del concetto di danno biologico è, infatti, la fondamentale sentenza della Corte Costituzionale n. 184 del 1986.In tale decisione la Corte opera, con articolato e complesso impegno ricostruttivo, una rielaborazione e sistemazione concettuale che ha imperiosamente influenzato e non cessa di esercitare detta influenza sul successivo sviluppo dottrinario e giurisprudenziale74.

La Corte individua il fondamento della risarcibilità del danno biologico nel collegamento o meglio nella integrazione tra art. 32 Cost. (che tutela il bene salute), e art. 2043 c. c., che sanziona, sulla base del principio del "neminem laedere", ogni fatto ingiusto.

Per il Giudice delle Leggi non è possibile non ricomprendere il diritto alla salute fra le posizioni soggettive tutelate dalla Costituzione: ne consegue una incontestabile, e senza eccezioni, esistenza dell’illecito, con conseguente obbligo alla riparazione, in ipotesi di violazione del diritto medesimo. Il danno biologico costituisce dunque "l’evento del fatto lesivo della salute" ed è danno specifico ( viene qualificato come danno-evento), peculiare tipologia di danno, da risarcire in via autonoma e prioritaria, sempre e comunque, anche contemporaneamente alle altre, eventuali, voci di nocumento, patrimoniale o danno morale subiettivo (i cd. “patemi d’animo”) che si classificano quali danni-conseguenza.

Nell’iter logico seguito dalla Corte il concetto di danno va sottoposto ad un processo di revisione che si muove nell’ottica dei valori costituzionali: ed allora l’ambito di applicazione dell’art. 2043, in correlazione all’art. 32 Cost., deve estendersi fino a ricomprendere il risarcimentonon solo dei danni patrimoniali in senso stretto ma tutti i danni che ostacolano "le attività realizzatrici della persona umana". Va sottolineata la “ vis” assorbente di tale impostazione,poiché nel nuovo concetto devono, di conseguenza farsi rientrare tutte quelle voci di danno (estetico, alla vita relazionale, alla sfera sessuale, ecc.) cui prima si cennava, ed individuate per consentire il risarcimento di lesioni prive di immediata, sebbene non indiretta, incidenza sulla capacità di produrre reddito del soggetto danneggiato.

Successivamente alla pronuncia illustrata la Corte di Cassazione ha ulteriormentespecificato il contenuto e l’ambito di applicazione del danno biologico, che allora si pone inteso come alterazione organica e\o funzionale di incidenza anatomo-psichica sul soggetto. Questo è il profilo “ statico” e costituisce l’evento della lesione: a ciò si deve poi aggiungere – e con ciò la Corte getta spiragli, come d’altronde era conseguenza ritraibile da espresse affermazioni della Corte Costituzionale, sulla successiva teorica del danno esistenziale - il decadimento, temporaneo o irreversibile, delle preesistenti condizioni psicofisiche e quindi tale da incidere in senso negativo su ogni concreta estrinsecazione della persona, sul suo modo di vivere pregresso, indipendentementedall’attitudine della stessa a produrre reddito; si parla allora di profilo dinamico e di aspetto conseguenziale al danno-evento75. Si afferma quindi la valenza civilistica della dimensione non solo economica, ma anche spirituale, sociale, culturale ed estetica.

E’ di facile constatazione come questo approdo di tutela abbia amplissime ripercussioni nel mondo della scuola e dell’esposizione a responsabilità degli insegnanti, la cui eventuale impreparazione, nell’approccio relazionale e didattico, svolto, evidentemente, con forme e modalità abnormi può causare rilevanti danni di carattere biologico ( ed anche, in senso più ampio, come più avanti si tratterà – cap. II, par. 4.4 - facendo cenno alla frontiera risarcitoria della “mal practice educativa”, danni della tipologia “esistenziale”) ad un soggetto in fase di fisiologica strutturazione caratteriale, cognitiva e percettiva.

D’altro canto, e si introduce qui un richiamo ad altra importante decisione della Corte Costituzionale76, integrativa della n. 184\1986 e che meriterebbe maggior spazio di quanto consenta l’economia del presente lavoro, il danno biologico deve consistere in una patologia medicalmente

74 Corte Cost. 14 luglio 1986, n. 184 (Pres. Paladini Rel.Mengoni) in Giust. It.,1987, I, p. 392.

75 Si veda, fra le tante, Cass. 25 febbraio 1997, n. 1704, in Giur,it., 1998, I, p.1589; Cass.9 febbraio 1998, n. 1324, in Giur.it., 1998, p.

2039, con nota di SUPPA.76

Corte Cost. 27 ottobre 1994, n. 372, in Foro it., 1994, I, p. 3297ss.

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consacrata e che, a tal fine, deve essere provata e idoneamente diagnosticata77. E, inoltre, verificatasi la patologia, va accertata la disutilità subita sul piano delle condizioni di vita.

3.2. Il DANNO ESISTENZIALE

La frontiera della responsabilità civile, sotto il profilo dell’individuazione di criteri di ingiustizia del danno e dell’area di risarcibilità degli stessi, si incentra, in questi ultimi anni, sulle istanze della persona umana nel suo complesso e nella sua complessità, e su agevoli e definitetecniche di salvaguardia delle stesse. Si è visto, affrontando la figura del danno biologico, che questa ha fatto venir meno limitate ed antisolidali tecniche di soddisfazione risarcitoria, fondata su una logica patrimonialistica del ristoro del danno alla persona. Il torto civile deve ora essere posto ( e su questa linea si muove la spinta innovativa del danno esistenziale, nozione che ora si affronta) a fronte della sfera personale della vittima senza scontare procedure od accertamenti che conducano ad una componente patrimoniale del pregiudizio. E ciò da un lato senza dover subire il limite del mero danno morale come “ patema d’animo”, dall’altro guardando alla vittima in tutta la sua dimensione personale e non solo al campo della salute78.

Trattando del danno biologico, si è visto che questo è sorto per dar soddisfazione ad urgenti e fino ad allora inascoltate necessità di tutela di beni strettamente connessi al valore-persona; sul piano dogmatico le vie percorribili – al fine di reperire legami qualificativo-identificativi della nuova figura – intese a collocare detto danno in seno ad una categoria definitoria potevano essere ( strade tutte seguite): a) ampliamento della nozione di danno patrimoniale, attuato tramite il mutamento del concetto di patrimonio; b) allargamento del concetto di danno non patrimonialeoltre i confini del patema d'animo e contestuale sottrazione alla disciplina dell'art. 2059 c.c. delle voci diverse dal danno morale; c) individuazione nel sistema di un nuovo genere di danno.

L’indirizzo che si è ritenuto preferibile, e maggiormente seguito, considera il danno in questione un “ tertium genus”, rendendo evidente la scelta per la linea sub c).

Negli ultimi anni, l’aspetto cd. “dinamico” del danno biologico così come tracciato dalla Consulta nella descritta sentenza n. 184\86 ha mostrato la sua valenza diffusiva e la sua natura propulsiva, richiedendo nuove tecniche epistemologiche e qualificatorie ed idonei indirizzi di prassi.

La finalità è quella di dare sicura e calibrata tutela ai profili di realizzazione personale dell’individuo in un’ottica non reddituale.

Anche in questo caso, in astratto il fine può essere raggiunto secondo tecniche che seguono le seguenti, differenti impostazioni metodologiche:(a) individuazione nel sistema di un nuovo genere di danno - individuato nei termini di lesione di una situazione soggettiva rilevante sul piano costituzionale – anch’esso sottratto alla limitazione

77 Si legge dal “ quaderno” ISVAP, dedicato monograficamente al danno biologico, e reperibile sul sito www. Isvap.it:/pubblicazioni.html:”La Suprema Corte ha avuto modo di affermare in proposito che la prima componente ( danno evento ndr.), è consistente "nellaspecifica lesione dell’organismo umano quale struttura complessa, fisica e psichica", deve essere, nei casi singoli, espressamente"accertata e descritta analiticamente nella sentenza". Anche il secondo profilo, che "emerge da un giudizio di sintesi che inquadri e pesi l’evento biologico nel preciso contesto organico e, in proiezione, nel quadro delle funzioni vitali" del soggetto danneggiato, esigeespressa motivazione in sentenza. Entrambe le componenti sopra individuate devono, ai fini della configurabilità e risarcibilità del danno, essere espressamente provate. In proposito la Corte Costituzionale, rimeditando le conclusioni cui era giunta con la sentenza n. 184/1986, ha avuto modo di precisare che laddove viene qualificato come "presunto" il danno biologico, identificato con il fatto lesivo della salute, si vuole dire che la prova della lesione è "in re ipsa", non già che questa prova sia di per sé sufficiente per il risarcimento. Occorre, al contrario, la prova ulteriore dell’entità del danno cioè che il "vulnus" ha prodotto una perdita di tipo analogo a quello di cui all’art. 1223 cod. civ. (risarcimento del danno per inadempimento) caratterizzata dalla diminuzione di un valore della persona, non reddituale, alla quale il risarcimento deve essere commisurato. Anche la Corte di Cassazione ha recentemente ripreso le argomentazioni del giudice costituzionale ribadendo la natura particolare del danno biologico, per il quale pure vale la regola che, verificatosi l’evento, non necessariamente vi è un danno da risarcire. La Suprema Corte ha precisato in proposito che "il risarcimentodel danno vi sarà se vi sarà perdita di quelle utilità che fanno capo all’individuo nel modo preesistente al fatto dannoso". In caso contrario "il danno biologico non può essere configurato". 78

Si veda ZIVIZ, Verso un altro paradigma risarcitorio, in CENDON-ZIVIZ, Il danno esistenziale. Una nuova categoria della responsabilità civile, Milano 2000 p. 42. E, ancora, la pubblicazione dell’autore relativa ad intervento a convegno presso il CSM, nell’anno 2001, intervento dedicato alle frontiere dell’area della risarcibilità civile.

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prevista dall’art. 2059 c.c.; (b) ampliamento della nozione di danno patrimoniale, attuato tramite il mutamento del concetto di patrimonio;(c) allargamento del concetto di danno non patrimoniale oltre i confini del patema d'animo e contestuale sottrazione alla disciplina dell'art. 2059 c.c. delle voci diverse dal danno morale;(d) individuazione del danno biologico quale categoria elettiva cui ricondurre qualunque pregiudizio diverso dal danno patrimoniale o morale.

La prima via, oltre a garantire un miglior campo di approfondimento e a prospettare un miglior strumentario pratico è quella su cui la dottrina si sta più impegnando e, tra l’altro, inizia a godere di riconoscimenti sul piano giurisprudenziale, ad opera della stessa Cassazione la quale - con le innovative e decise espressioni contenute nella sentenza n. 9009 del 200179 – ha affermato che, nell’area dei pregiudizi non patrimoniali diversi dal patema d’animo va compreso sia il danno alla salute che “quello che più genericamente si designa come ‘danno esistenziale’, al fine di coprire tutte le compromissioni delle attività realizzatrici della persona umana (es. impedimenti alla serenità familiare, al godimento di un ambiente salubre e di una situazione di benessere, al sereno svolgimento della propria vita lavorativa)”; pregiudizio il quale – osserva la Suprema Corte – andrà sottratto a qualsiasi limitazione risarcitoria: infatti, “poiché la persona umana è costituzionalmentetutelata nel suo sviluppo e nelle sue manifestazioni, il rango della posizione soggettiva inviolabile – con esclusione, quindi, dei meri disagi che trovano origine nella personale sensibilità del soggetto – impone di ritenere inoperanti i limiti della risarcibilità del danno non patrimoniale risultanti dall’art. 2059 c.c.”80.

In sostanza, il danno esistenziale è qualsiasi danno che l’individuo subisca alle attività realizzatrici della propria persona. Si manifesta nella lesione di qualsiasi interesse giuridicamenterilevante per la persona, risarcibile nelle sue conseguenze non patrimoniali. Si pone in dialettica costruttiva con il danno biologico, quello patrimoniale, e quello morale; se il momentogiurisprudenziale che ha segnato quello che viene indicato come il primo ed esplicito riconoscimento della Corte di Cassazione è rappresentato dalla pronuncia n.7713/200081, da allora una nutrita serie di pronunce giurisprudenziali ha dato corso al risarcimento del danno esistenziale, e può ben affermarsi che tale figura, stante i suoi aspetti innovativi, si pone al centro di quello che può ritenersi un modello trainante in ordine alla reinterpretazione del sistema di tutela risarcitoria della persona82.

E’ stato icasticamente detto che la “carriera” del danno esistenziale, ha seguito le fila di necessità e di nuove istanze non difficili da seguire. Si è verificato, riprendendo quanto sopra detto, con l’avvento del danno biologico, un incremento di approfondimento ed impegno giuridico nel soddisfare le istanze sociali, e ciò nel solco del processo di personalizzazione della responsabilità extracontrattuale: “agli occhi del giurista si è rivelata la presenza di vuoti sconosciuti, gli orizzonti del torto sono venuti man mano allargandosi, si è creata una nuova sensibilità presso gli interpreti; - vittime sconosciute, da un certo momento in poi, hanno iniziato a bussare alle porte dei tribunali: sempre più spesso è accaduto che la giurisprudenza prima, e la dottrina poi, si trovassero ad interrogarsi sui margini di tutela da concedere ad alcune situazioni in cui, al di là di ogni attentato per l’integrità psicofisica, risultava sconvolta per effetto dell’illecito, più o meno definitivamente, la quotidianità immediata della vittima”;- di qui la fioritura di una serie di sentenze, più o menoesplicite e consapevoli, di cassazione o di merito, relative ai settori più disparati dell’agire umano, e

79 CASSANO, La giurisprudenza del danno esistenziale, II ed. Piacenza,La Tribuna, 2002 e su Osservatorio del danno esistenziale, in

www.studiocelentano.it\dannoesistenziale\.80

Ampi richiami si trovano in ZIVIZ, op.cit. 81

Si veda sempre in CASSANO, op. cit., dal quale sono mutuate le coordinate definitorie della figura; afferma lo stesso autore, inrelazione alla citata sentenza: “In seguito a tale pronuncia deve segnalarsi una giurisprudenza assai più consapevole delle «potenzialità» del danno esistenziale, pur a fronte di obiezioni ragionate (ad es.Trib. Roma 7.3.2002) e aperture «nascoste» (cfr. le Sezioni Unite della Corte di Cassazione 2515/2002, in tema di danno ambientale, che sembrano aver risarcito un pregiudizio riconducibile sostanzialmente nell'alveo del danno esistenziale);dello stesso v. Fondamenti giuridici del danno esistenziale; novità giurisprudenziali e questioni in tema di prova, in Giust.it, 10\2002. 82

Le oramai numerose sentenze che fanno riferimento al danno esistenziale sono consultabili in CASSANO, La giurisprudenza del dannoesistenziale, cit.

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accomunate però da alcuni tratti: occasioni, tutte quante, di (a) offese arrecate a prerogative individuali diverse dalla salute, (b) con effetti di compromissione più o meno marcata sul terreno delle “attività realizzatrici” dell’interessato, (c) con – nelle vicende giudiziali - esiti finali favorevolia quest’ultimo”83;

Ed il danno esistenziale si pone come un “genus” terzo, o quarto, distinto dal danno patrimoniale e tutto dispiegato all’interno di una dialettica con il danno biologico: da un canto, infatti, le due figure possono essere viste in parallelo, in quanto il danno esistenziale specificherebbe, di quest’ultimo, il danno derivante dal non “poter fare” ( per inciso, il danno morale è un danno che deriva dal “ mal sentire” interiore). Sotto altra impostazione, invece, ildanno “ de quo” sarebbe da intendere, come nuovo “tertium genus” ( soppiantando il danno biologico, che viene ad assumere un ruolo sottocategoriale all’interno della nuova tipologia di nocumento) all’interno della responsabilità civile, quale insieme ben distinto cioè sia dall’alveo del danno patrimoniale, sia da quello del danno morale; è, si ripete, una realtà incentrata sul “fare non reddituale” delle persone, riconducibile all’art. 2043 c.c. e delle altre norme ordinarie sull’illecito, una nozione da configurare con un’interna articolazione, inquadrata con l’ausilio di due sotto-alvei fondamentali, quello del danno “esistenziale biologico” (luogo cui ricondurre le ipotesi effettive di aggressione alla salute) e quella del danno “esistenziale non biologico” (sede per le menomazioniinerenti a beni diversi dall’integrità psicofisica).

Ciò significa, in buona sostanza, che alla base della costruzione di una nuova categoria di danno risarcibile va posta non una generica modificazione peggiorativa del modo di essere dell’individuo, bensì la ripercussione negativa risentita dalle singole attività attraverso le quali esso realizza la propria personalità.

Si pone a questo punto – ammessa la configurabilità in astratto della figura - una questione relativa ai parametri dell’”an”e del “ quantum” risarcitorio84. Si tratta di accertare se il danno in trattazione sia riconducibile alla tipologia del danno evento oppure del danno conseguenza. La prima soluzione ricollega l’accertamento del danno alla lesione di interessi costituzionalmenteprotetti, risultandone, nella verificatasi evenienza, una prova “in re ipsa” del danno, e dovendosi allora procedere alla sua quantificazione85. La prospettiva che si incentra sugli aspetti consequenziali prescinde dal necessario ricorso a valori costituzionali, ma esige una rigorosa prova del danno così come concretamente incidente nelle prospettive esistenziali del danneggiato, non essendo sufficiente provare un comportamento non rispettoso dei predetti valori costituzionali, e della sua entità. Dottrina autorevole sottolinea la necessità di mantenere un approccio “consequenzialistico” - piuttosto che una lettura focalizzata sull’evento - nello spoglio dei materialirelativi al danno esistenziale, poiché86:“mettere al centro il momento dell’evento significa ammettere, in sostanza, che una tutela risarcitoria sarà possibile per il semplice fatto che una determinata prerogativa (della vittima) figuraviolata: restando impregiudicati, di lì in poi, soltanto i profili di quantificazione del danno - rimessiin buona sostanza all’attivazione di criteri di second’ordine: sul tenore dei quali lo studioso, si sottintende, non è chiamato in senso proprio a pronunciarsi”.

Diversamente opinando, si può pervenire “all’impossibilità che si giunga a una condanna risarcitoria (del convenuto) per il semplice fatto che un interesse giuridicamente rilevante (dell’attore) è stato calpestato. Si tratterà comunque di accertare, aggiuntivamente, se oltre a quel primo passaggio - sicuramente necessario - risulti in sede di processo anche l’evidenza, quanto a entità e a dimensioni, delle conseguenze negative risentite”.

83 CENDON, Danno esistenziale: esistere o non esistere, in www. Lenuovevocideldiritto.com; v. anche CENDON Trattato dei nuovi danni,

Padova, 2002. 84

Sul punto vedi VIOLA, Il danno esistenziale nella responsabilità civile della pubblica amministrazione, Piacenza, ed. La tribuna, 2003, p.29.ss.85

Nell’approccio eventistico le ripercussioni esistenziali finiscono per coincidere (processualmente o sostanzialmente) con la lesione “in sé” di quel bene giuridico; il pregiudizio si atteggia come qualcosa di automatico, un’entità ravvisabile in re ipsa. Nella visione consequenzialistica esso è tutt’uno, invece, con le “attività realizzatrici” che figurano compromesse; in tale compromissione l’evento-lesione ha ragione di emergere in funzione mediatrice, quale anello precedente della catena. 86

CENDON, Esistere o non esistere, cit.

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Un’elencazione completa di tutte le attività realizzatrici della persona appare – com’è ovvio - impossibile. Si può, in ogni caso, procedere ad un’aggregazione delle stesse per settori, i quali andrebbero divisi in: (1) attività biologico/sussitenziali; (2) relazioni affettivo/familiari; (3) relazioni sociali e attività cultural/scientifiche; (4) attività di svago e divertimento87.Non vi è quasi bisogno di sottolineare quanto sia importante un siffatto approccio di tutela della persona sul piano dell’illecito civile nel mondo della scuola, ove le potenzialità del discepolo, possono essere rilevantemente lese da un comportamento discriminatorio, da uno scellerato inserimento nel contesto di una classe ove mal aderisca una personalità che richieda un approccio educativo più accorto, in un mancato collegamento con l’opera educativa dei genitori. Se ne parlerà nel successivo capitolo ( par. 4.4.) La figura del danno in questione ha poi trovato un’innovativa collocazione sistematica ed un chiaro riconoscimento a seguito di due sentenze della Corte di Cassazione88ed una della Corte Costituzionale89, le quali peraltro, hanno svolto argomentazioni di ampio respiro ed intento, con il chiaro fine di rimeditare tutto l’ordito della responsabilità civile in relazione al danno alla persona. Nuova linfa esegetica ed applicativa ha trovato l’art. 2059 c.c., venendosi così a creare un sistema che è stato definito bipolare90. In primo luogo la Corte di Cassazione, premettendo che il risarcimento del danno non patrimoniale - individuato nella sua accezione più ampia di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti alla persona non connotati da rilevanza economica - è prevista appunto dal menzionato art. 2059 c.c91. ha liberato l’articolo in questione dai vincoli di cui soffriva a causa di un’interpretazione restrittiva - che lo poneva, in sostanza in una situazione di norma strettamente correlata all’art. 185 c.p., e quindi identificatesi con il danno morale soggettivo, ovvero la sofferenza contingente, il turbamentodell’animo transeunte determinati da fatto illecito integrante reato (interpretazione fondata sui lavori preparatori del codice del 1942 e largamente seguita dalla giurisprudenza) - sostenendo che nel vigente assetto dell’ordinamento, nel quale assume posizione preminente la Costituzione - che, all’art. 2, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo - il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona. La Corte di Cassazione non ha mancato di rilevare che nella legislazione successiva al codice si rinviene un cospicuo ampliamento dei casi di espresso riconoscimento del risarcimento del danno non patrimoniale anche al di fuori dell’ ipotesi di reato, in relazione alla compromissione di valori personali92 . Il Giudice di legittimità ha ritenuto poi non opportuno individuare all’interno della generale categoria del danno non patrimoniale specifiche figure di danno, con qualificazioni di varia foggia: ciò che rileva, ai fini dell’ammissione a risarcimento, in riferimento all’art. 2059, è stato detto, è l’ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona, dal quale conseguano pregiudizi non suscettivi di valutazione economica.Partendo quindi dal presupposto che non può essere revocato in dubbio, per il quale, di fronte a valori personali di rilievo costituzionale, deve escludersi che il risarcimento del danno non patrimoniale che ne consegua sia soggetto al limite derivante dalla riserva di legge correlata al predetto art. 185 c.p, una lettura della norma in questione “costituzionalmente orientata” impone di ritenere inoperante il detto limite se la lesione ha riguardato valori della persona costituzionalmentegarantiti. Nel caso in cui la lesione abbia inciso su un interesse costituzionalmente protetto la riparazione mediante indennizzo, ciò costituisce una forma minima di tutela, che non può essere in

87 La classificazione è mutuata da ZIVIZ, relazione convegno CSM, cit.

88Cass. Sez. Un. 31 maggio 2003, nn. 8827e 8828, consultabili nel sito del Ministero di Grazia e Giustizia,

Giustizia.i\giurisprudenza\cassazione e sull’Osservatorio del danno esistenziale in celentano.it\dannoesistenziale\.89

Corte Cost. 11 luglio 2003, n. 233, su Giust.it e Corte costituzionale.it90

L’espressione è del Giudice Costituzionale nella sentenza n. 233\2003,cit.; per analoga impostazione e qualificazione v. CASSANO, Laresponsabilità civile con due (belle?) gambe, e non più zoppa, in La nuova giurisprudenza ondine, su IPSOA.it91

"Danni non patrimoniali" secondo cui: "Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge". All’epoca dell’emanazione del codice civile (1942) l’unica previsione espressa del risarcimento del danno non patrimoniale era racchiusa nell’art.185 del c.p. del 1930. 92

Art. 2 della legge 117/88: risarcimento anche dei danni non patrimoniali derivanti dalla privazione della libertà personale cagionatidall’esercizio di funzioni giudiziarie; art. 29, comma 9, della legge 675/96: impiego di modalità illecite nella raccolta di dati personali; art. 44, comma 7, del d.lgs. 286/98: adozione di atti discriminatori per motivi razziali, etnici o religiosi; art. 2 della legge 89/2001: mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo.

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alcun modo obliterata93. Sotto il profilo teorico la soluzione interpretativa deriva dal principio per cui il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l’entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della legge fondamentale,atteso che il riconoscimento nella Costituzione dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale.Ilnuovo indirizzo della Corte di Cassazione ha poi, in breve spazio di tempo, ricevuto l’avallo della Consulta94. Chiamata a pronunciarsi sulla possibile lesione del principio disuguaglianza in ordine a presunzioni di colpa che, non rendendo possibile l’esame della componente soggettiva in concreto, non conferirebbero, secondo il Giudice remittente, la possibilità di valutare la sussistenza di un reato, anche se ai soli fini della responsabilità di civile “ sub specie” del danno morale, il Giudice delle leggi ha ricordato e ricostruito, seppur per brevi cenni, l’evoluzione sull’area di risarcibilità del danno non patrimoniale. Ed anche in questa occasione, facendo riferimento all’ambitoapplicativo dell’art. 2059 del c.c., ne è stata respinta – prevedendo i danni non patrimoniali solo nei casi previsti dalla legge - la pratica incidenza nell’ordinamento solo nell’ipotesi contemplatadall’art. 185 c.p. è cioè solo in presenza di fattispecie di reatoDa un lato, infatti, ha detto il Giudice Costituzionale, il legislatore ha introdotto ulteriori casi di risarcibilità del danno non patrimoniale estranei alla materia penale, riguardo ai quali è del tutto inconferente qualsiasi riferimento ad esigenze di carattere repressivo ( facendo eco ad identiche sottolineature della Cassazione sono state ricordate le azioni di responsabilità previste dall’art. 2 della legge 13 aprile 1988, n. 117, per i danni derivanti da ingiusta privazione della libertà personale nell’esercizio di funzioni giudiziarie e dall’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, per i danni derivanti dal mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo). Ma in tal senso, si legge nella sentenza in questione, ancora più corposo è stato l’intervento della

giurisprudenza - la Consulta non manca di avvertire che ciò è avvenuto, d’altro canto, nell’ambitodi operatività dell’art. 2043 c.c - che ha da tempo individuato ulteriori ipotesi di danni sostanzialmente non patrimoniali, derivanti dalla lesione di interessi costituzionalmente garantiti, risarcibili a prescindere dalla configurabilità di un reato (in primis il cosiddetto danno biologico). Proseguendo il proprio iter argomentativo nel quale la Corte Costituzionale si è mossa, come è chiaramente rilevabile, in una sorta di sinergia ermeneutica con la Corte di Cassazione, il mutamento legislativo e giurisprudenziale venutosi in tal modo a realizzare ha fatto assumereall’art. 2059 cod. civ. una funzione non più sanzionatoria, ma soltanto tipizzante dei singoli casi di risarcibilità del danno non patrimoniale. Ed in questa direzione, nel completare il quadro del predetto intervento innovatore della giurisprudenza la Consulta ha espressamente richiamato le decisioni della Cassazione di poco più di un mese antecedenti la propria pronuncia, ricordando le “due recentissime pronunce (Cass., 31 maggio 2003, nn. 8827 e 8828), che hanno l’indubbio pregio di ricondurre a razionalità e coerenza il tormentato capitolo della tutela risarcitoria del danno alla persona”, poiché in esse “viene, infatti, prospettata, con ricchezza di argomentazioni – nel quadro di un sistema bipolare del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale – un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 cod. civ., tesa a ricomprendere nell’astratta previsione della norma ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona: e dunque sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima; sia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell’interesse, costituzionalmente garantito, all’integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost.); sia infine il danno (spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona”.

93 “Ed una tutela minima non é assoggettabile a specifici limiti, poiché ciò si risolve in rifiuto di tutela nei casi esclusi”: Cass. Sez. Un

8828\2003, cit.94

Con la già citata sentenza n. 233 del 17 luglio 2003.

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Gli illustrati interventi degli autorevolissimi Consessi da un canto introducono alcuni elementi di chiarificazione, sotto l’aspetto delle categorie qualificatorie, dall’altro tracciano ( solo) per sommicapi le linee della futura elaborazione interpretativa. Sotto il primo aspetto è incontestabile una “summa divisio” in danno patrimoniale e danno non patrimoniale; quest’ultimo, altrettanto indubitabilmente si suddivide in danno morale soggettivo, danno da lesione dell’integrità fisica ( danno biologico), danno ricollegabile ad altri interessi di rango costituzionale inerenti alla persona ( danno esistenziale); o, ancora, intendendo il danno biologico come sub-specie del danno agli interessi costituzionali legati alla persona ( l’accenno ad “altri” interessi di rango costituzionale fa pensare più ad una categoria generale, comprensiva anche della lesione all’integrità fisica) ritenere esistente una dicotomia, all’interno del danno non patrimoniale, fra danno morale e danno esistenziale, all’interno del quale vi è la categoria del danno biologico95

95 Si veda, sulla questione, CENDON- ZIVIZ, Vincitori e vinti dopo la sentenza 233 della Corte Costituzionale, consultabile su diritto.it del

28.7.2003 e altalex.it sempre di pari data.

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CAPITOLO II

LE RESPONSABILITA’ SPECIALI – LA RESPONSABILITA’ DELL’INSEGNANTE

1. Le responsabilità speciali – generalità - 2. L’art. 28 della Costituzione e la surroga dell’amministrazione scolastica - 3. Il fatto dell’’incapace – L’insegnante e la responsabilità per il fatto dello stesso - 4. Insegnanti e genitori 4.1. L’obbligo dei genitori - 4.2. I minori e la responsabilità dell’insegnante; - 4.3. responsabilità da cose in custodia - 4.4. Scuola e danno esistenziale.

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1. LE RESPONSABILITA’ SPECIALI – GENERALITA’

La peculiare responsabilità cui è chiamato a rispondere, sotto il profilo civilistico, colui che svolge attività di insegnamento, si inserisce in una struttura ordinamentale dell’illecito civile che conosce alcune figure di responsabilità definita come speciale, in quanto retta, appunto, da uno specifico regime; talune di queste, peraltro, derivano da interventi legislativi extracodicistici, di carattere settoriale, ( responsabilità del produttore, responsabilità da danni da esercente compagniaaerea, per citare degli esempi), altre sono regolate dagli artt. 2047 e seguenti del codice civile96.Bisogna precisare, per evitare fraintendimenti, che con il termine non si vuole indicare la definizione di una precisa tipologia di illecito descritta nei suoi tratti fattuali ( ciò che corrisponde ad una nozione di tipicità, ovvero la descrizione da parte del legislatore dell’illecito quale vicenda fenomenica), e quindi la rigidità della fattispecie di queste forme di responsabilità; invero poichè il fatto causativo di danno può assumere caratteristiche assolutamente eterogenee, così come il comportamento sanzionato e la lesione stessa arrecata, che si qualifica come ingiusta, si intende perciò far riferimento ad uno specifico settore della vita sociale che, per le caratteristiche dei soggetti che coinvolge, per le relazioni umane intrattenute, per l’incidenza sociale arrecata esige una regolamentazione differenziata che più si avvicini alle istanze sociali. Infatti, nella responsabilità degli insegnanti ( maestri e precettori, art. 2048, comma 2 del codice civile), ad esempio, il concetto di responsabilità nasce dal soggetto ( insegnante), dall’attività compiuta ( attività di insegnamento)da un dovere ( di vigilanza), da un’esposizione a responsabilità per un comportamento altrui e non dal fatto che può assumere la forma di un’indefinita ed imprevedibile serie di vicende 97.Come è possibile arguire da quanto sinora detto, la colpevolezza come elemento centrale del sistema di imputazione delle responsabilità indica che l’ordinamento non recepisce la regola, di per sé peraltro con potenzialità incontrollabili sul piano effettuale, secondo la quale la semplicecausazione di un danno obbliga l’autore dello stesso al risarcimento98; d’altro canto, la centralità della colpa subisce dei contemperamenti o delle eccezioni. Vi è, infatti, si ripete, la responsabilità oggettiva, riprendendo il precedente accenno, quando il fatto dannoso è imputato ad un soggetto – che l’abbia comunque causato – prescindendo da un’indagine sulla sussistenza di colpevolezza. D’altro canto, l’assenza di tale requisito non estranea la fattispecie dalla categoria dell’illecito, includendola nell’alveo dei fatti leciti che comportano la corresponsione di un indennizzo, poiché il fondamento della responsabilità in questione poggia su di una “ ratio” unitaria all’interno del relativo sistema, cioè la violazione del dovere di rispetto altrui che causa un danno, quindi, qualificabile come ingiusto o meno. Bisogna, a questo punto, definire una convenzione terminologica: responsabilità indiretta può essere locuzione utilizzata per indicare la responsabilità oggettiva, cioè l’addebito di responsabilità per un comportamento di un altro soggetto senza che in capo al responsabile stesso debba essere rinvenuto un qualsiasi criterio comportamentale, ed ossequio a diligenza, prudenza e perizia, seppur in relazione al comportamento nei confronti del diverso soggetto. Si tratta, e si parla, allora, evidentemente, di responsabilità oggettiva, ed in questa impostazione, la responsabilità collegata ad altrui azioni, ma per un fatto proprio, di omissione di vigilanza, ad esempio, o di adozione di misure preventive impeditive del fatto dannoso, o, ancora, di deficienza nel dovere educativo, viene ad essere responsabilità diretta, per il fatto proprio omissivo99. In altra accezione, anche detta ultima fattispecie viene qualificata come responsabilità indiretta per il suo riferimento ad un atto illecito compiuto da altri.

96 BIGLIAZZI GERI, BRECCIA, BUSNELLI E NATOLI, Diritto civile, III, Obbligazioni e contratti, Torino 2001, p.734.

97 FRANCESCHETTI La responsabilità, cit. p. 249

98“Chi fa un danno deve risarcirlo”, principio dell’antico diritto germanico “Wer Schaden tut, muss Schaden bessern”, citato da

ENNECERUS U. LEHMANN, Recht der Schuldverhaltnisse, 920, come ricordato da BIANCA, La responsabilità, p. 684 99

Si veda, anche per i richiami a giurisprudenza e dottrina, BIANCA, La responsabilità, cit. p. 687.

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Le responsabilità speciali previste dal codice civile, possono essere inquadrate sotto distinti profili individuativi. Un primo criterio discretivo riguarda la relazione fra il soggetto agente e un determinato bene, od una particolare attività, o, ancora un altro soggetto, per cui:

- vi sono ipotesi normative che assumono un legame peculiare – di istruzione, di lavoro, di assistenza, genitoriale - fra chi commette il danno ( che, in via generale, non è escluso anch’esso da un obbligo di risarcimento) e chi (il soggetto di rilievo nella responsabilità speciale) ne deve rispondere ed allora si parla di responsabilità per fatto altrui: è la fattispecie che interessa la presente trattazione, perché in essa vi è ricompressa la responsabilità degli insegnanti;

- ancora, il legislatore conferisce rilievo ad una particolare posizione giuridica ( proprietà, titolarità di altro diritto reale, veste di custode) con beni od animali dai quali può derivare un danno a terzi100;

- rilievo viene altresì attribuito, per definire un peculiare regime, all’esercizio di attività che nel comune sentire, e nella prassi dei rischi e degli incidenti verificatisi possono definirsi comepericolosi ( circolazione stradale, aerea, particolari attività industriali)101;- particolare sensibilità viene poi dimostrata per approntare tutela nei confronti dei consumatori e della salvaguardia dell’ambiente102.

Sotto altra prospettiva di catalogazione, facendo riferimento all’onere probatorio cui è chiamato colui cui sono mossi gli addebiti di responsabilità si possono individuare:

- fattispecie in cui il soggetto viene ritenuto responsabile se non prova di non aver potuto impedire il fatto ( art. 2047 e 2047, responsabilità per fatto di incapace e per minore e sottoposto a tutela o ad attività, in senso lato, di insegnamento)103.

- ipotesi in cui il soggetto è chiamato responsabile a meno che non riesca a provare che il danno è derivato da un caso fortuito, da individuare e da provare ( art. 2051, 2051, 2052, danno da cose in custodia, da animali, da attività pericolose);

- situazioni in cui il soggetto deve dimostrare, per essere immune da un addebito di illecito, di aver fatto tutto il possibile per evitare il fatto ( art. 2054, in tema di circolazione di autoveicoli); - ipotesi in cui la responsabilità è sancita solo sulla base della sussistenza di un nesso di causalità fra fatto compiuto e danno, prescindendo da un’imputazione in termini di colpevolezza ( è al canonica definizione di dell’istituto della responsabilità oggettiva; esempi possono essere rinvenuti nella responsabilità del preponente, nel danno da attività nucleari, nel danno da velivoli a terzi sulla superficie);

Vi è una specie di scalarità, nel rigore del regime, nelle fattispecie così descritte: le primedue forme di responsabilità vengono definite come “aggravate” e tale è l’interpretazione più sensibile ed adeguata ai canoni generali della responsabilità civile104; secondo taluni, infatti, al contrario, le fattispecie menzionate definirebbero ipotesi di addebito a carattere oggettivo, poiché al soggetto sarebbe richiesto uno sforzo probatorio tale – dovendo lo stesso dimostrare che il danno deriva da un evento assolutamente estraneo alla propria sfera di dominio – che, in definitiva,estraneo da imputazione sarebbe solo il fatto cui il soggetto non ha dato causa secondo principi individuativi il nesso di causalità105.

Assolutamente condivisibile, invece, è ritenere, che, seppur con le diversificazioni legate alle specifiche fattispecie, il soggetto coinvolto in un giudizio di responsabilità sia tenuto ad un onere probatorio più impegnativo ( non aver potuto impedire il fatto, la riconducibilità del danno al caso fortuito), e, in definitiva, ad una responsabilità più rigorosa sotto il profilo della diligenza. Ciò

100 FRANZONI, La responsabilità oggettiva.. Il danno da cose e da animali, in I grandi orientamenti della giurisprudenza civile e

commerciale, ( diretta da GALGANO), 3, Padova,1988; MATTEI, Tutela inibitoria e tutela risarcitoria. Contributo alla teoria dei diritti suibeni, Milano 1987. 101

COMPORTI, Esposizione al pericolo e responsabilità civile, Napoli, 1965. 102

RUFFOLO, La tutela individuale e collettiva del consumatore, I, Profili di tutela individuale, Milano, 1979. 103

Sull’argomento ALPA, La responsabilità civile, Milano 1999, p. 667 ss; COMPORTI, Esposizione al pericolo e responsabilità civile, Napoli, 1965; FRANZONI, La responsabilità oggettiva. Il danno da cose e da animali, Padova, 1988.104

SALVI, La responsabilità civile, cit. p. 130. 105

CASTRONOVO, Responsabilità oggettiva - disciplina privatistica, in Enc. Treccani, XXVII, p. 12.

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è linearmente rilevabile dalle ipotesi che, di seguito, verranno esaminate con maggior dettaglio. La terza ipotesi presenta elementi di commistione fra la fattispecie di responsabilità con colpevolezza a carattere aggravato e fattispecie di responsabilità oggettiva, mentre la quarta rientra a pieno titolo in quest’ultima qualifica106.

2. L’art. 28 della Costituzione e la surroga dell’amministrazione scolastica

Nell’azione della pubblica amministrazione, i soggetti esposti a responsabilità civile per un fatto illecito sono due; l’autore del fatto e l’amministrazione stessa, che si avvale dell’operato dei dipendenti e ne risponde, in solido, con il soggetto tramite il quale ha agito; diversamente si atteggiano le responsabilità amministrativa, penale e disciplinare, ove prevale il principio della personalità delle stesse e la sua componente sanzionatoria, preventiva e di monito.

Fondamentale, in tema, è la prescrizione contenuta nell’art. 28 della Costituzione che - espungendo dal nostro ordinamento un’inammissibile immunità nascente, per il pubblico dipendente, dalla protezione della personalità giuridica dell’ente pubblico all’interno della quale agisce - sancisce che lo Stato e gli altri enti pubblici rispondono ( dando così tutela al cittadino di fronte all’inosservanza dei pubblici apparati nell’adempimento degli obblighi primari di cui sono onerati, come, per quanto a noi interessa, l’erogazione del servizio scolastico) insieme al pubblico dipendente.

Recita infatti così l’articolo in questione: “i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili ed amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici”. Come detto la disposizione assume un’evidente connotato etico e responsabilizzante, facendo venir meno ingiustificate esenzioni derivanti dalla circostanza che il pubblico dipendente veniva protetto dallo “schermo” della personalità della pubblica amministrazione all’interno della quale agiva in virtù di un rapporto organico o di mero servizio107.

La normativa antecedente la Costituzione repubblicana escludeva la responsabilità del dipendente pubblico nei confronti del danneggiato, salvo il caso in cui lo stesso avesse agito con dolo, da cui si traeva la conclusione di un comportamento egoistico e personale, in contrasto con i fini dell’ente; si parlava allora di responsabilità diretta dell’amministrazione, per fatto proprio, in virtù del rapporto organico, per il quale la stessa agiva tramite il dipendente.

Secondo una teoria108, dopo l’intervento del Legislatore costituzionale la responsabilità della pubblica amministrazione si presenta come indiretta, per fatto altrui, coincidente con la responsabilità delineata dall’art. 2049 del c.c.109; si è parlato, nel sostenere detta tesi della responsabilità indiretta, di una funzione di garanzia nei confronti della collettività, e di un’assunzione del rischio degli illeciti comportamenti di coloro dei quali la stessa si serve per il concreto adempimento dei propri obblighi ( sintetizzato nel broccardo “cuius commoda et eius incommoda”), assimilabile, come sopra cennato, alla specifica responsabilità di garanzia prevista dal predetto art. 2049 del codice civile per il datore di lavoro riguardo all’operato dei dipendenti o ausiliari ( è sempre meno seguita la teoria per cui detta responsabilità derivi da una presunzione di colpa “ in vigilando o in eligendo” come si suol dire, ovvero da una negligente sorveglianza o da un’incauta assunzione: basti pensare alla complessa struttura dei controlli nella pubblica amministrazione e all’imparzialità ed efficienza nella scelta del dipendente affidate a pubblici concorsi accessibili ad ogni cittadino).

106 Per un quadro completo dell’esposta sistematica si veda BIANCA, La responsabilità, cit. p. 686.

107 VENTURINI, La responsabilità, cit, p.335.

108 CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2001, p. 588.

109 E’ la responsabilità – senza colpa, legata al rischio del servirsi dell’altrui opera – per il fatto dei propri dipendenti ed ausiliari

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Contrapposta è invece la tesi che sostiene trattarsi di una responsabilità diretta, sussidiaria, in quanto, tramite il proprio dipendente è l’Amministrazione che agisce ( secondo la teoria dell’immedesimazione organica) 110. Si deve dar conto di una teoria mediana secondo cui bisogna distinguere fra fatti posti in essere nello specifico esercizio di una funzione, ove sarebbe in pieno risalto il rapporto organico, con conseguente responsabilità diretta dell’amministrazione ed attività materiale di gestione delle risorse o negoziale, che configurerebbe invece una responsabilità indiretta.

Preferibile è l’indirizzo interpretativo della responsabilità diretta, che si correla alla costruzione teorica secondo la quale lo Stato, o l’ente pubblico di riferimento agisce tramite i propri organi, dei quali componente fondamentale è la persona fisica che vi è incardinata. Per cui, attraverso l’operato della medesima persona fisica è lo stesso ente che agisce. Per l’art. 28 della Costituzione, quindi, la responsabilità del pubblico dipendente si affianca a quella dell’ente, il quale non assume il ruolo di garante111 ma riveste un ruolo di corresponsabile solidale e sussidiario.

Peraltro, è importante reperire pragmatici criteri individuativi, nello stabilire quando vi è questa duplice responsabilità: il presupposto, allora, e' la cosiddetta "occasionalita' necessaria", che sussiste tutte le volte in cui la condotta del dipendente sia strumentalmente connessa con l'attivita' d'ufficio. La riferibilita' dell'atto o del comportamento del dipendente alla p.a. va esclusa solo relativamente a quelle attivita' strettamente personali del dipendente stesso in relazioni allefinalita' istituzionali e non legate neppure da un nesso di occasionalita' con i compitiaffidatigli112.

Ed allora, un comportamento illecito, lesivo di un altrui diritto, anche se posto in essere in violazione dei doveri di ufficio, comporta la responsabilità dell’Amministrazione se sia stato comunque, nelle intenzioni, rivolto al raggiungimento dei predetti fini istituzionali; nell’opposto caso in cui si ravveda una vera e propria modifica delle prospettive finalistiche avendo il pubblico impiegato ( per quanto qui interessa il docente) sostituito i suoi personali interessi a quelli propri della p.a., quest'ultima rimarra' esente da ogni responsabilita' civile.

Diversa interpretazione del portato dell’articolo 28 della Costituzione avrebbe la conseguenza di individuare il fondamento della responsabilita' della p.a. non piu' in un illecito commesso nell'espletamento degli incarichi affidati ( la detta "occasionalita' necessaria")113; va d’altro canto avvisato che l’abuso di potere o la commissione di un reato non è sufficiente ad imputare la responsabilità solo al dipendente, poiché non vi deve essere alcun collegamentostrumentale con l’attività di ufficio.

Il docente che ponga in essere atti di vessazione o atti diffamatori nei confronti di alunni o di familiari degli stessi non esclude la responsabilità dell’Amministrazione ma solo, allora, se il comportamento è posto in essere in una travisata intenzione educativa o comunque legata all’attività dell’istituto; è solo del docente stesso se ha come fonte dissidi o rancori personali; atti di vandalismo nei confronti di beni di terzi, all’interno dell’istituzione scolastica, attuati con l’istigazione e l’apologia di illecito di un insegnante non possono comportare la responsabilità della scuola.

Un diverbio, ancora per esemplificare, sceso ad atti diffamatori o a comportamenti lesivi di diritti fra il personale docente, ad esempio in occasione della riunione di un organo collegiale, se verificatosi all’interno dell’istituto, ma nell’ambito di una discussione del tutto personale, porta alle medesime conseguenze, diversamente dalla circostanza in cui si discuta di questioni attinenti l’indirizzo di istituto. Il ritardo o la mancata adozione di atti rivelatisi dovuti ( certificazione ad esempio), affianca alla responsabilità del dirigente che abbia opposto il rifiuto quando lo stesso è dovuto a mancanza di capacità professionale nell’interpretare correttamente i propri compiti quella

110MERUSI-CLARICH, Commento all’art. 28, in Commentario alla Costituzione, Bologna-Roma 1991, p.370.

111 Non vi è, cioè, una specie di fideiussione “ex lege”.

112Fra le più recenti, sulla scia di copiosa e incontrastata serie giurisprudenziale v. Cass. civ. sez. III, 12 agosto 2000, n. 10803, in

Giust. civ. Mass. 2000, p.1794. 113

L’argomentazione è ben esplicata in Cass. pen., sez. V, 2 febbraio 1999, n. 1386, vedila in Rass. avv. Stato 2000,I, p. 343 con nota di PLUCHINO.

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dell’Amministrazione, mentre diversa è la soluzione quando il comportamento è tenuto per danneggiare intenzionalmente ( per ripicca, risentimento personale, interessi di lucro o intento di favorire altra persona) il richiedente114.In tema di definizione del concetto di occasionalità, la giurisprudenza ha posto i seguenti principi di riferimento:- presupposto della responsabilita' diretta della p.a. per fatto del proprio dipendente e' la cosiddetta "occasionalita' necessaria", che sussiste tutte le volte in cui la condotta del dipendente sia strumentalmente connessa con l'attivita' d'ufficio. La riferibilita' dell'atto o del comportamento del dipendente alla p.a. va esclusa solo relativamente a quelle attivita'strettamente personali del dipendente stesso in relazioni alle finalita' istituzionali e non legate neppure da un nesso di occasionalita' con i compiti affidatigli115;- la p.a. risponde del danno cagionato a terzi dal proprio dipendente quando la condotta di quest'ultimo sia strumentalmente connessa all'attivita' d'ufficio. Tale nesso di connessione strumentale, pero', non viene meno per il solo fatto che la condotta illecita sia consistita nell'abusodi un potere o nella violazione di un ordine, commessi per scopi egoistici quando il mezzo,giuridico o materiale, utilizzato per arrecare danno sia rilevantemente connesso con l’attività di pubblico impiego116;- la riferibilita'all’ente pubblico dell’atto illecito deve ritenersi esclusa nel caso di attivita' svoltasi ed ispirata da fini strettamente personali del dipendente, in un contesto estraneo ai fini istituzionali, e con azione, quindi, non collegata neppure con nesso di occasionalita' necessaria con le attribuzioni affidate117.

II settore della scuola presenta però, in tale quadro di duplice responsabilità, una peculiarità, perché, per taluni soggetti ed in talune ipotesi, risponde solo l’amministrazione scolastica ( salvo poi la rivalsa della stessa, in caso di dolo o colpa grave, nei confronti del colpevole. Giudice di quest’ultima vicenda è, con giurisdizione esclusiva, la Corte dei conti).

L'amministrazione scolastica assume in conseguenza, secondo quanto detto, una responsabilità diretta, per il menzionato rapporto derivante dal collegamento organico con la stessa del personale dipendente, quando – come si vedrà meglio esaminando in prosieguo lo specifico regime di tale responsabilità, nascente dall’assunzione di un obbligo di sorveglianza collegato all’esercizio della funzione di insegnamento - sia cagionato a minore un danno nel tempoin cui e' sottoposto alla vigilanza di detto personale. L'onere probatorio del danneggiato, in tale ipotesi, è limitato alla dimostrazione che il fatto si e' verificato nel tempo in cui il minore e'affidato alla scuola, divenendo, sulla base di tale presupposto, operativa la presunzione di colpa per inosservanza del predetto obbligo di sorveglianza. Ciò di cui il codice civile onera il docente,la prova liberatoria che e' stato posto in essere sufficiente controllo sugli allievi con una diligenza idonea ad impedire il fatto, spetta, invece, nel settore dell’istruzione pubblica, solo all'amministrazione scolastica. Diversamente, preme allora far notare, che nel regime ordinario della responsabilità della pubblica amministrazione per fatto del proprio dipendente, come sopra illustrato, rispetto al quale si verifica l’immedesimazione organica, e vi è la possibilità di convenire a giudizio ambedue i soggetti.

E’ questa la conseguenza giuridica del disposto dell'originario art. 61 l. 11 luglio 1980 n. 312, che recava particolari innovazioni nella disciplina della responsabilita' del personale della scuola per i danni prodotti ai terzi nell'esercizio delle predette funzioni di vigilanza degli alunni; e questo, lo si premette, sia sotto l'aspetto sia sostanziale che processuale. Sotto il primo profilo, la norma ha limitato la responsabilita' del detto personale ai soli casi di dolo o colpa grave nell'esercizio della vigilanza; sotto il secondo aspetto, invece, ha previsto la "sostituzione"

114 VENTURINI, La responsabilità, cit. p. 336.

115 Cass. civ. sez. III, 12 agosto 2000, n. 10803, in Giust. civ. Mass. 2000, p.1794.

116 Cass. Civ.,sez. III, 12 novembre 1999, n. 12553 in Vita not. 1999,1453 e Nuova giur. civ. comm. 2000,I, 608, con nota di

GRONDONA; Cass. civ.sez. lav., 18 febbraio 2000, n. 1890, in Giust. civ. Mass. 2000, 408 Mass. giur. lav. 2000, 698, con nota di BARBIERI.117

Cass. civ., sez. III, 22 maggio 2000, n. 6617, in Giust. civ., Mass. 2000, p.1079.

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dell'amministrazione al personale scolastico nell'obbligazione risarcitoria verso i terzi danneggiati, con esclusione quindi della legittimazione passiva degli insegnanti118.

La problematica menzionata è di particolare rilievo ed incidenza pratica: pare opportuno, quindi analizzarla più in dettaglio con qualche notazione di maggior profondità esplicativa: vale anzitutto, allora, prendere le mosse dal predetto dato normativo, costituito, originariamente, si è cennato, dall'art. 61 della legge 11 luglio 1980 n. 312, disposizione poi ripresa, senza modificazioni,nel tenore letterale, dall’art. 574 del successivo decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 ( Testo Unico sull’Ordinamento scolastico). Il cennato art. 61 testualmente disponeva: "La responsabilita'patrimoniale del personale direttivo, docente, educativo e non docente della scuola materna,elementare, secondaria ed artistica dello Stato e delle istituzioni educative statali per danni arrecati direttamente all'Amministrazione in connessione a comportamenti degli alunni e' limitata ai soli casi di dolo o colpa grave nell'esercizio della vigilanza sugli alunni stessi.

La limitazione di cui al comma precedente si applica anche alla responsabilita' del predetto personale verso l'Amministrazione che risarcisca il terzo dei danni subiti per comportamenti degli alunni sottoposti alla vigilanza. Salvo rivalsa nei casi di dolo o colpa grave, l'Amministrazione si surroga al personale medesimo nelle responsabilita' civili derivanti da azioni giudiziarie promosseda terzi". Richiamando quanto sopra succintamente esposto, dalla disposizione legislativa è enucleabile un duplice contenuto. Sotto l’aspetto sostanziale, quale ritraibile dal primo comma e dalla prima parte del secondo comma, si evince:che la responsabilita' del personale scolastico delle scuole statali, per fatti commessi dagli alunni, e' limitata ai soli casi di dolo o colpa grave, per i danni arrecati all'Amministrazione,nell'esercizio dell'obbligo di vigilanza;che la limitazione di cui sopra si riferisce anche alla responsabilita' del menzionato personale per danni subiti da terzi per comportamenti degli alunni sottoposti alla vigilanza. Il secondo contenuto, assume connotazione di carattere processuale ed e' quello, ritraibile dall'ultima parte del II comma del citato articolo 61, ove, con terminologia impropria, si fa riferimento ad un atecnico meccanismo di “surroga” nel senso che l'amministrazione si sostituisce al personale dal quale è pretesa attività di vigilanza per gli illeciti commessi dal personale medesimo.

Ed infatti, secondo univoca interpretazione data dalla giurisprudenza119, non di ogni tipo di illecito si tratta, come potrebbe apparire a prima vista dalla lettura del testo legislativo, che, in effetti, contiene un riferimento del tutto generico alle responsabilita' civili del personale scolastico, ma esclusivamente dell'illecito connesso alla “culpa in vigilando”; quest’ultimo indirizzo, è orientamento interpretativo più aderente – sul piano di logica formale e giuridica – alla luce dello stretto collegamento della disposizione in esame con le norme precedenti, che disciplinano appunto la culpa in vigilando del personale scolastico.

Compiuto suggello a questa incontrastata interpretazione viene anche anche dalla Consulta120, la quale, ritenendo infondata la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 61, comma 2 L. 11 luglio 1980, n. 312, sollevata in riferimento all'art. 28 Cost., ha posto in luce comein virtu' di tale normativa, gli insegnanti, limitatamente alla materia di responsabilita' per culpa in vigilando, cessano di essere legittimati personalmente verso terzi, nei cui confronti risponde invece l'amministrazione, sulla quale gravano, in via diretta, le responsabilita' civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi; ciò non si pone in violazione del predetto art. 28 Cost., poiché la norma costituzionale permette la limitazione della responsabilità diretta del pubblico dipendente e la stessa esclusione di responsabilità in relazione a determinate situazioni oggettive o soggettive.

Lo Stato potra' rivalersi sugli insegnanti, ove il difetto di vigilanza sia ascrivibile a dolo o colpa grave e, in tali ipotesi, potra' anche agire contro di essi per i danni arrecatigli direttamente dal comportamento degli alunni.

118 Cass. civ. sez. III, 21 settembre 2000, n. 12501, in Giust. civ., 2000, I, p.2835.

119 Cass. Civ. sez. III, 7 novembre 2000, n. 14484, in Giust. civ. Mass. 2000, p.2274.

120 Corte Cost., 5 febbraio 1992 n.64, in Foro amm., 1993, p. 1220 con nota di STADERINI.

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Va sottolineato che, riprendendo la precisazione poc’anzi rilevata, è orientamentogiurisprudenziale121 secondo il quale, con la norma di cui agli artt. 61 L. 312\80 e 574 l. 297\94, si è esclusa la legittimazione passiva degli insegnanti anche con riguardo alle azioni di responsabilita'promosse per danni subiti dagli alunni a causa di atti da loro stessi compiuti; a maggior ragione, sempre l’indirizzo delle Corti e' nel senso che il predetto difetto di legittimazione sussiste anche per i danni subiti dagli alunni, per fatti dolosi o colposi di terze persone verificatisi durante il periodo di permanenza nell'istituto scolastico122.

E’ considerazione da farsi che, trattandosi, nella fattispecie, di responsabilita' “in vigilando”, la norma in commento ha prevalentemente riguardo al personale docente, al quale principalmente e' demandato detto compito. Peraltro, la medesima responsabilità è estensibile, in particolari casi, al personale ausiliario che, per aspetti episodici, ed in casi di particolare necessita' e urgenza può avere compiti di sorveglianza sugli alunni123. Quest’ultimoaspetto, sottolinea il profilo innovativo del predetto articolo 574 L. 297\94 rispetto al più volte citato art. 61 L. 312\80: questa, contemplando nel proprio ambito applicativo il personale statale non ricomprendeva quello ausiliario ed amministrativo, dipendente dagli enti locali ( fino alle recenti riforme, che hanno ricondotto, nella quasi totalità, i dipendenti delle Istituzioni scolastiche nell’alveo della dipendenza statale); la prima, invece, contiene un espresso riferimento a tutto "il personale amministrativo, tecnico ed ausiliario".

Questione ulteriore rispetto a quella ora affrontata, e che, proprio dall’esposta legittimazioneesclusiva dell’ente pubblico per danno da carente vigilanza acquista ancora più rilievo, è quello del soggetto chiamato a rispondere, ovvero se questo sia il Ministero della Pubblica Istruzione ( organo dello Stato con soggettività giuridica) oppure la singola istituzione scolastica124.

E’ fatto di diffusa conoscenza che, prima delle recenti riforme le scuola godevano di autonomia125 – peraltro limitata e confinata a taluni profili organizzativi e didattici – e si configuravano come organi del Ministero; è ancora più conosciuta l’innovazione introdotta dall’art. 21 della legge delega n. 59 del 1997, che attribuisce personalità giuridica e autonomia organizzativa e didattica alle istituzioni scolastiche, una volta raggiunti i requisiti di dimensione ottimale,attraverso piani di dimensionamento della rete scolastica.

Peraltro, ancora prima di questo radicale mutamento esistevano istituti di istruzione dotati di soggettività giuridica: le scuole di istruzione tecnica e professionale, di istruzione artistica, i convitti nazionali e gli educandati femminili.

L’orientamento giurisprudenziale formatosi in tale contesto può risultare di grande ausilio per ipotizzare soluzioni interpretative nel presente scenario.

Due tesi, sostanzialmente, venivano avanzate in relazione alla legittimazione degli istituti che già in passato avevano personalità giuridica:

secondo un primo orientamento, gli istituti statali soggetti giuridici costituiscono organi dello Stato muniti, appunto, di personalita' giuridica ed inseriti nella organizzazione statale: ciò è reso palese sia dalla imputazione allo Stato di almeno una parte degli atti posti in essere da essi, sia dallo "status" del relativo personale, anche docente, che appartiene ai ruoli degli impiegati dello Stato, e, ancora, dalla fonte dei loro finanziamenti posti a carico dello Stato ( marginali risultano e risultavano, anche sotto l'aspetto quantitativo, i proventi ed i mezzi economici di altre fonti).

Decisiva è poi la circostanza che al personale della scuola provvede l'amministrazione della Pubblica Istruzione sia nella fase del reclutamento che della nomina, così come alla retribuzione, per cui ne deriva il corollario che il rapporto organico non puo' che instaurarsi tra l'Amministrazioneed i singoli docenti che sono impiegati dello Stato, dipendenti come tali gerarchicamente e disciplinarmente dalla amministrazione della P.I.

121 Cass.civ. sez..un, 11 agosto 1997, n. 7454.

122 Cass.civ. sez. III, 16 luglio 1999, n. 7517 Giust. civ. Mass. 1999,1651.

123 Cass.civ., sez. III, 21 settembre 2000, n. 12501, cit., vedila anche in Dir. e giust. 2000,35, 12 con nota di ROSSETTI.

124 Sul problema della soggettività giuridica nelle amministrazioni v. SCOCA, La soggettività delle amministrazioni, in AA.VV., Diritto

amministrativo, Bologna, 2001, III ed. 125

GATTI e ZAMBARDI, Autonomia amministrativa e gestione finanziaria delle istituzioni scolastiche, Napoli, 1976.

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Gli atti, quindi, anche illeciti, posti in essere dal personale docente statale nell'esercizio delle sue funzioni debbono riferirsi al Ministero dell’Istruzione e non ai singoli istituti, la cui soggettività si traduce in autonomia amministrativa finalizzata alla didattica. In questo senso opera la sostituzione dell'amministrazione al pubblico funzionario quale soggetto passivo dell'azione di danni126.

La seconda linea di pensiero127 muove dalla constatazione che l’attribuzione della personalita' giuridica agli istituti ha finalità di assicurare la concreta autonomia, gestionale e didattica, rispetto all'amministrazione centrale della pubblica istruzione; permane la soggezione alle direttive, alla vigilanza ed ai controlli di questa. Correlato dell’attribuzione della personalità è la titolarità di situazioni soggettive e in particolare di diritti soggettivi nei confronti di altri enti in relazione alla disciplina di contratti che comportano erogazione di spese, acquisti e somministrazioni.

Si parla correttamente di decentramento autarchico, ovvero di assunzione di funzioni dello Stato da parte di un ente che acquista poteri autoritativi e li esercita sotto la vigilanza ed il coordinamento dell’amministrazione rispetto alla quale sono state decentrate le funzioni.

Sorge quindi un ambito di dialettica caratterizzato dalla convivenza di un incardinamentonel generale sistema della pubblica istruzione e, in contrapposizione, i conferiti autonomi spazi operativi: non è inappropriata, perciò, la connotazione di enti strumentali che detti istituti hanno in quanto preordinati alla realizzazione di fini principalmente di interesse generale. Gli enti strumentali sono caratterizzati dall'esercitare in proprio funzioni e servizi spettanti ad altro ente, con la caratteristica, come detto, dell’autarchia, ovvero l’attribuzione di potestà autoritative; seppur con un procedimento mediato, comunque, i risultati del proprio operato refluiscono nell’ambito del generale settore di amministrazione di riferimento al quale riferiscono i risultati.

E’ stato giustamente sostenuto che la posizione delle istituzioni scolastiche rispetto al ministero dell’Istruzione, li rende organi dello stesso, pur nella loro veste di ente. Non si tratta di un “ tertium genus” di figura organizzatoria, ma di un doppio profilo ordinamentale128.

Ricorre allora qui la figura dell'organo-ente alla quale si assiste allorche' all'organo di una persona giuridica ( l’amministrazione statale) viene a sua volta attribuita la personalita' giuridica. La finalità di questa complessa costruzione giuridica, è legata allo svolgimento di attivita' strumentalirispetto alla attuazione delle competenze istituzionali dello Stato. Così. Sulla scia di impostazioneteorica di autorevolissima dottrina129, il rapporto tra organo-ente e lo Stato si pone in modo diverso a seconda che si tratti di rapporti con i terzi o di rapporti diretti organo-Stato.

Invero, rispetto allo Stato l'ente mantiene la sua natura di organo, inserito nella medesimaorganizzazione sulla base della inerenza allo Stato dei fini cui quest'ultimo e' preordinato. Rispetto ai terzi, invece, opera il connotato della personalita' giuridica, che consente all'organo-ente di poter gestire autonomamente il proprio patrimonio entrando in rapporti diretti con i terzi, nei confronti dei quali ha la capacita' di assumere direttamente diritti ed obblighi.

Tale configurazione di enti strumentali e, in particolare, di organi-enti si attaglia perfettamente alle istituzioni scolastiche. Tali istituzioni, infatti, mentre quali organi dello Stato esercitano una serie di attribuzioni proprie di quest'ultimo (rilascio di titoli di studio, certificazioni,attivita' di amministrazione del personale e di conduzione del rapporto con gli studenti), attesa la personalita' giuridica di cui sono dotati, entrano in rapporto con i terzi, nei cui confronti possono assumere diritti ed obblighi.

L’ultimo indirizzo riferito risulta, ad oggi, minoritario: si opina, d’altro canto, che se l’autonomia delle Istituzioni scolastiche acquisirà una solida concretezza, la prospettiva potrebbe ribaltarsi. E’ agevole constatare che, pur dipendendo quanto a rapporto di impiegodall’amministrazione del dicastero dell’Istruzione, l’insegnante, quando svolge le sue mansioni è

126 Cass.civ., sez. III, 17 gennaio 1996, n. 341; Cass. civ. sez. III, 7 novembre 2000, n. 14484, in Giust. civ. Mass. 2000, p. 2274.

127Cass. sez. III, 10 dicembre 1996, n. 10982, vedila commentata su ACRI-CORSETTI- MASI- ZERMAN, Il nuovo ordinamento giuridico

della scuola, Rimini 2001, p.103. 128

ACRI- CORSETTI -MASI- ZERMAN, Il nuovo ordinamento,… cit, p.109. 129

GIANNINI, Diritto amministrativo, III ed. 1994, in particolare nella parte sulle invarianti ordinamentali.

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funzionalmente incardinato nella singola scuola, ora persona giuridica, e chiamata ad esporsi con piena ed autonoma soggettività verso terzi.

2. IL FATTO DELL’INCAPACE – L’INSEGNANTE E LA RESPONSABILITA’ PER IL FATTO DELLO STESSO

Secondo l’art. 2046, non risponde del fatto dannoso colui che ha commesso lo stesso in momento in cui non aveva la capacità di intendere e di volere ( salvo che tale stato non dipenda da sua colpa). Il legislatore si è preoccupato di colmare il vuoto di tutela che l’anzidetta disposizione potrebbe creare, delineando una specifica responsabilità – con il successivo art. 2047 – in capo a colui che è tenuto alla sorveglianza dell’incapace . Il sottolineato “favor” risarcitorio130 nei confronti della vittima, come evincibile dal sistema della responsabilità del codice civile viene confermato dal comma secondo dell’articolo in questione, che si fa premura di attribuire al giudice, qualora non sia possibile ottenere il risarcimento da chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace, di condannare l’autore del danno ad un’equa indennità, “ in considerazione delle condizioni economiche delle parti” .

La struttura di questa fattispecie di responsabilità mostra due momenti comportamentalidistinti131: la lesione perpetrata dall’incapace cui si connette il mancato impedimento dell’evento ad opera di colui che riveste il ruolo di sorvegliante.

Si è visto che l’art. 2046 del codice civile, che rende esente da responsabilità l’incapace, va visto nella sua immediata sequenza, anche numerica, della responsabilità del sorvegliante: la sinossi, però, per essere completa e rispettare l’ispirazione del legislatore codicistico, deve contemplare anche l’art. 2048, sempre del codice civile, che prevede la responsabilità dei genitori ( comma I), e dei tutori, precettori e maestri d’arte per il fatto compiuto dai minori non emancipati.Anche la prova liberatoria è la stessa per tutte le illustrate fattispecie, ovvero la dimostrazione di non aver potuto impedire il fatto. E’ pure vero – va fin da ora specificato e distinto – che per quanto riguarda i genitori il giudizio di responsabilità, secondo i parametri interpretativi approntati dalle corti deve far riferimento alla complessiva opera educativa da questi prestata ed all’idoneità della stessa, in ciò, come meglio si specificherà, presentando un elemento di diversificazione rispetto alle altre fattispecie. Per meglio focalizzare quanto finora detto : la sorveglianza sull’incapace – ex art. 2047 – riguarda il soggetto di ogni età, anche il minore, quando presenti queste caratteristiche soggettive; quando il minore medesimo compia un atto illecito ma non versi in uno stato di incapacità di intendere e di volere si applicherà l’art. 2048. Ed allora, se si considerano i soggetti cui si rivolge principalmente la trama normativa illustrata risaltano, in reciproca integrazione, le figure dei genitori e degli insegnanti ( i “precettori e coloro che insegnano un mestiere e un’arte”, secondo l’aulica espressione dell’art. 2048). Per meglio specificare, nell’ipotesi di alunni in tenera età ( scuola elementare), privi, per ragioni fisiopsichiche, di una compiuta capacità cognitiva e valutativa della realtà, così come di un dominio- e di un sistema assiologico di riferimento idoneo - maturo circa le loro azioni, è più probabile che nei confronti dell’insegnante, quando venga arrecato danno ai terzi, si applichi l’art. 2047 in questione. La valutazione sulla sussistenza di questa capacità di intendimento e volizione fa effettuata calandosi in maniera assoluta nella specificità del fatto senza utilizzare criteri “ standard” né, tantomeno, mero riferimento all’età132

Si è detto che le fattispecie in questione si scindono in due momenti: il fatto del sottosposto a vigilanza o ad opera educativa ed il comportamento del soggetto preposto. L’atto del primo deve assumere, in astratto i requisiti canonici dell’illiceità, ovvero la lesione perpetrata

130 Parla di “ansia risarcitoria” IL PONZANELLI, Responsabilità civile. Profili di diritto comparato, Bologna, 1992, 391, V. anche MONATERI, Manuale della responsabilità civile, Torino, 2001, p. 290.

131 DE CUPIS, Dei fatti illeciti, in Comm. SCIALOJA e BRANCA, Bologna, 1971, p.

50.

132 Cass. civ. sez. III, 26 giugno 2001, n. 8740 in Foro it., 2001, I, p. 3098

:” Ai fini della responsabilità civile ex art. 2047 c.c. per danni cagionati da persone incapaci di intendere e volere, il giudice non

può limitarsi a tenere presente l'età dell'autore del fatto, ancorché si tratti di minore degli anni quattordici”.

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deve essere ingiusta, e commessa con dolo o con colpa133. Pur dovendosi sottolineare la difficoltà di un giudizio effettuato prescindendo dalla situazione concreta, ed i connessi ostacoli nel cogliere realmente, senza il riferimento ad un soggetto “compos sui”, i tratti della colpevolezza, nondimenoquesto passaggio valutativo si rivela imprescindibile, se si vuole evitare una situazione di disparità tutelando il soggetto danneggiato in maniera maggiore rispetto all’ipotesi in cui abbia subito danno da un colpevole capace di intendere e di volere134.

La natura della responsabilità si riconduce a quelle definite, di carattere aggravato, per la maggior complessità probatoria legata all’onere di dover dimostrare di non aver potuto impedire il fatto, e, più nello specifico, per essere venuti meno, colposamente, al dovere di vigilanza135. Dato che chi commette il fatto gode dell’immunità garantita a chi è incapace di intendere e di volere, non vi è responsabilità solidale fra l’agente e chi deve esercitare sorveglianza ( il vicario rispetto all’obbligo risarcitorio) dovendosi intentare l’azione civilistica nei confronti di quest’ultimo.L’incapace potrà essere chiamato solo in caso di insolvenza del vicario, ma con un’azione che si configura con altre caratteristiche. Non è infatti ravvisabile una responsabilità ex art. 2047, comma2, c.c. quando manchi un obbligato in via principale, poiché questa responsabilità deve considerarsi sussidiaria136.

L'equo indennizzo previsto dall'art. 2047 c.c., pur potendo in astratto corrispondere all'integrale ristoro del danno inferto, dipende, sia nell'"an", sia nel "quantum", da una valutazionecomparativa delle condizioni economiche delle parti, tale previsione essendo non già correlata ad un atteggiamento colposo dell'autore del danno, ma dettata dall'ordinamento al fine di soddisfare l'esigenza di riparazione della persona danneggiata, in base a principi di solidarietà sociale che coinvolgono lo stesso soggetto leso, sul quale il danno finisce sovente per gravare, almeno in parte; tale indennità, pertanto, può subire decurtazioni rispetto all'entità del risarcimento integrale del danno, secondo equi temperamenti dettati dalle condizioni economiche del soggetto su cui esso dovrebbe gravare, fino a doversi considerare del tutto non dovuto quando, dalla valutazione comparativa richiesta dalla norma, emerga una manifesta sperequazione fra la posizione economicadel danneggiato, per avventura florida, e quella deteriore del danneggiante137.

La previsione di cui all’articolo in questione non si applica, è stato detto, in caso in cui l’incapace causi un danno a sé stesso, né nell’ipotesi in cui il sorvegliante agisca in nomedell’incapace medesimo, per tutelarlo rispetto ad una lesione dallo stesso subito ad opera di altri: per meglio chiarire, l’ipotesi è quella in cui il terzo danneggiante adduca un concorso di colpa per la mancata attività del sorvegliante138.

Per concretare la responsabilità di cui all'art. 2047 c.c. è sufficiente che l'incapace ponga in essere il fatto dannoso al di fuori del controllo del sorvegliante o di un suo incaricato; è, viceversa, il sorvegliante che può liberarsi dalla responsabilità, dimostrando che il fatto si sarebbe verificato nonostante il diligente esercizio della sorveglianza e che, quindi, non esiste nesso di causalità tra fatto dannoso e difetto di sorveglianza139; si richiede quindi la dimostrazione che il

133 CENDON, Il dolo nella responsabilità extracontrattuale, Torino, 1976, 356; LISERRE, In tema di concorso colposo del danneggiato incapace, in RTDPC,1962,I, p.

352.

134 “Bisogna individuare un comportamento obiettivamente imprudente e tale da giustificare l'astratta attribuzione di un giudizio di colpa,

indipendentemente dalla imputabilità in concreto del danneggiato stesso; l’ orientamento trova la giustificazione essenziale nel rilievo e nel fatto dell'incapace siano presenti tutti gli elementi richiesti dall'art. 2043 c.c. perché possa configurarsi un fatto illecito produttivo di responsabilità, e quindi anche il requisito della colpevolezza. Sarebbe infatti aberrante che la tutela del danneggiato venisse, per effetto dell'art. 2047 c.c., estesa a quegli eventi i quali, essendo conseguenti a una condotta incolpevole, dovrebbero restare a suo carico se a cagionarli fosse un soggetto capace di intendere e di volere”; così, sostanzialmente, si esprime Cass. civ. sez. , sez. III, 24 maggio 1997, n. 4633, in Giust. civ. Mass., 1997, p. 834. 135 Qualificano la responsabilità come diretta Cass. 14 settembre 1967, n. 2157, in MGI, 1967, e POGLIANI,

Responsabilità e risarcimento da illecito civile, Milano, 1969, p. 124, mentre RODOTÀ, Il problema della responsabilità civile, Milano, 1964, 160, afferma trattarsi di responsabilità oggettiva, con giudizio

condiviso da MONATERI, Manuale della responsabilità civile, cit., p. 291, con queste motivazioni:” Se, infatti, si descrive lo schema della responsabilità oggettiva come un'area al cui interno un soggetto risponde per le conseguenze causalmentericonducibili ad un proprio o altrui fatto, salvo che offra una determinata prova liberatoria, mi sembra evidente come l'impostazione

dell'art. 2047 c.c. rispecchi ampiamente un tale schema” .136

Trib. Perugia, 30 ottobre 1995, in Rass. giur. umbra , 1996, 89. 137

Trib. Macerata, 20 maggio 1986, in Dir. Famiglia, 1987, p. 209. 138 Cass.civ., 28 luglio 1967, n. 2012, in MGI, 1967; Cass. 10 aprile 1970, n. 1008, in MGI, 1970.139

Cass. civ., sez. III, 19 giugno 1997, n. 5485, in Giust. civ. Mass. 1997, p. 1014.

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fatto si è verificato nonostante il diligente esercizio della sorveglianza materiale ovvero che l'omissione della sorveglianza è stata determinata da impedimento legittimo.Le abitudini sociali non valgono ad escludere o a mitigare l'obbligo di sorveglianza in relazione al carattere cogente dello stesso, per cui la sorveglianza deve essere esercitata, quali che siano tali abitudini, ed il mancato esercizio genera responsabilità per i fatti dannosi dell'incapace. L'ampiezzadell'obbligo di sorveglianza dei soggetti incapaci di intendere o volere, ancora, (art. 2047 c.c.) è da rapportare alle circostanze di tempo, luogo, ambiente, pericolo, che, considerando altresì la natura e il grado di incapacità del soggetto sorvegliato, possono consentire o facilitare il compimento di atti lesivi da parte del medesimo140.

3. INSEGNANTI E GENITORI

3.1. L’obbligo dei genitori

. L’art. 2048 c. c. qualifica i genitori come responsabili del fatto illecito causato dai figli minori non emancipati o dalle persone soggette a tutela che abitano con essi ( 1° comma) ed i precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte, per quanto ingiustamente causato dagli allievi ed apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza (2° comma).

Si tratta, si ripete, di illecito legato ad una cattiva vigilanza o nell’aver male impartito la dovuta educazione ( culpa in educando o in vigilando). Va quindi ritenuta priva di consistenza la tesi che ritiene trattarsi, in ciò che qui ne occupa, di obbligo legale di garanzia verso terzi nascente dalla posizione di genitore141.

La prova liberatoria richiesta ai genitori dall'art. 2048 c.c., infatti, è quella di non aver potuto impedire il fatto illecito commesso dal figlio minore - capace di intendere e di volere ( va ricordato che l’ipotesi in questione riguarda il minore capace di intendere e volere, poiché, in caso opposto, l’obbligo di vigilanza si rivelerebbe più stretto e la norma di riferimento contenuta nell’art. 2047 del c.c., sopra esaminata) - e si concreta, secondo canoni di normalità, nel dimostrare, oltre che di aver impartito al minore un'educazione consona alle proprie condizioni sociali e familiari, anche di aver esercitato sullo stesso una vigilanza adeguata all'eta' e finalizzata a correggere comportamenti non corretti e, quindi, meritevoli di un'ulteriore o diversa opera educativa142.

Trattandosi dell’ipotesi del minore capace di intendere e volere, non occorre che i genitori provino la propria costante ed ininterrotta presenza fisica accanto al figlio, quando per

l'educazione impartita, per l'eta' dello stesso e per l'ambiente in cui egli viene lasciato

libero di muoversi, risultino correttamente impostati i rapporti del minore con

l'ambiente extrafamiliare, facendo ragionevolmente presumere che tali

rapporti non possano costituire fonte di pericoli per se' e per i terzi. In altre

parole, l’obbligo di vigilanza inteso in senso di compresenza fisica sulle attività

del minore, assume un contenuto legato all’età ed all’autonomia e maturità psicofisica del sorvegliando143. D’altro canto, una fase critica dello

sviluppo, la percezione, secondo canoni di normalità, di segnali di ridefinizione

di moduli e dinamiche adattive comportano un maggior livello di vigilanza e

140 Cass. civ., sez. III, 24 maggio 1997, n. 4633, in Giust. civ. Mass. 1997, p. 834.

141 SCOGNAMIGLIO, Responsabilità per fatto altrui, in Nov.mo Digesto, Torino, 1968, vol XV , p. 694.

142 VENTURINI, La responsabilità, cit.p.332.

143 Si veda Cass. Civ. sez. III, 28 marzo 2001, n. 4481, in Giust. civ. Mass., 2001, p. 607; alla stregua di tali principi, va allora esclusa,

riprendendo un caso giurisprudenziale,la responsabilita' dei genitori di un minore nelle frequenti ipotesi di guida di motociclo, in caso di investimenti con gravi danni alla persona, quando viene fornita la prova di aver fatto tutto il possibile per educare adeguatamente il figlio e prepararlo alla necessaria autonomia, in particolare, facendogli conseguire con maturità e idoneità la necessaria patente.

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presenza, morale e fisica144. Spetta al genitore vigilare sulla condotta del minore in misuraadeguata all'ambiente, alle abitudini ed al carattere del soggetto, e, quindi, a prevenire un suo comportamento illecito, nonché, in particolare, a correggere quei difetti come l'imprudenza e la leggerezza che il fatto del minore ha rivelato145. E’ già rilevabile dai principi ora esposti che, l’obbligo di vigilanza si interseca con il dovere di impartire un’educazione adeguata e che i due compiti genitoriali si integrano a vicenda; la vigilanza può recedere a fronte di una corretta opera educativa, una carenza sotto questo profilo può esporre a responsabilità anche quando in concreto siano state poste in essere tutte le accortezze finalizzate a controllare l’operato del minore.

E’ principio giurisprudenziale quello secondo cui l'inadeguatezza dell'educazioneimpartita e della vigilanza esercitata su un minore, fondamento della responsabilita' dei genitori per il fatto illecito dal suddetto commesso, puo' esser tratta, in mancanza di prova contraria, dalle modalita' dello stesso fatto illecito, che ben possono rivelare il grado di maturita' e di educazione del minore, conseguenti al mancato adempimento dei doveri incombenti sui genitori, ai sensi dell'art. 147 c.c146. Il grado di vigilanza da esercitarsi dai genitori sul figlio minore va adeguato anche al suo carattere, alla sua indole ed alla sua maturità e, ai fini della prova liberatoria di cui all'art. 2048 comma 3 c.c., non è sufficiente che egli abbia ricevuto una buona educazione di fondo, se le modalità del fatto doloso di cui il minore si sia reso responsabile rivelino in se stesse una suscettibilità ed una carenza di autocontrollo tali da imporre un grado di vigilanza più stretto di quello in concreto esercitato147.

Ove manchi, da parte dei genitori, la prova liberatoria di non aver potuto impedire il comportamento dannoso - e cioè, si ripete, la dimostrazione di avere impartito al minorel'educazione e l'istruzione consone alle proprie condizioni familiari e sociali e di avere vigilato sulla sua condotta, così da non potersi configurare a loro carico una "culpa in educando" o "in vigilando"- i genitori medesimi sono poi obbligati a risarcire i detti danni nella stessa misura con cui tale obbligazione graverebbe sull'autore materiale dell'illecito e, quindi, in caso sussistano le condizioni, anche a risarcimento dei danni non patrimoniali148.

La responsabilità genitoriale è solidale, dovendo l’uno, esternamente, rispondere anche per l’altro. L’illustrazione del regime di responsabilità genitoriale ha significato, nell’economia di questa trattazione, in ragione dei momenti collegamento e di interazione con quella degli insegnanti e, in generale, dell’amministrazione scolastica, poiché ad essi compete, nel periodo temporale in cui lo scolaro è affidato allo stesso, un obbligo di vigilanza e, per limitati aspetti anche educativo. Questa contiguità presenta difficili momenti interpretativi sotto due profili: l’individuazione del momento di traslazione dell’obbligo di vigilanza tra i genitori ed l’istituzione scolastica e la definizione, in concreto, di quali aspetti del comportamento dannoso siano da riferire ad una cattiva educazione impartita dai genitori e dove, invece, il fattore causale sia da reperire nella carente vigilanza dell’insegnante.

4.2. I MINORI E LA RESPONSABILITA’ DELL’INSEGNANTE

E’ stato prima accennato che il disegno normativo relativo alla responsabilità civile degli insegnanti assegna un ruolo fondamentale al secondo comma dell’art. 2048 del codice civile: questo delinea una responsabilità di carattere “vicario” in capo ai precettori, ed a coloro che insegnano un mestiere o un'arte, in caso di danno cagionato illecitamente dagli allievi posti sotto la loro vigilanza149.

144 Trib. Verona, 18 febbraio 2000, in Giur. it., 2000, p. 1407 con nota di FERRI.

145 Cass. civ., sez. III, 18 dicembre 1992, n. 13424, in Giust. civ. Mass. 1992, f. 12.

146 Cass. civ., sez. III, 29 maggio 2001, n. 7270 , in Giust. civ. mass., 2001, 5.

147 Cass. civ., sez. III, 4 giugno 1997, n. 4971, in Danno e resp. 1998, p.252.

148 Cass. civ., sez. III, 9 giugno 1994, n. 5619, in Giust. civ. Mass. 1994, f. 6.

149 CORSARO, Sulla natura giuridica della responsabilità del precettore, in RDC, 1967, I, p. 38.

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La disposizione sottende una visione della scuola come luogo di istruzione ed, anche, in tale contesto formativo, di educazione e l’insegnante una figura appunto “ vicaria “ dei genitori dai quali mutua il contenuto dell’ufficio educativo che va ad integrare ed a porsi comecomplementare a quello dei primi150; l'ordinamento vuole incentivare tali obblighi di educazione e sorveglianza, a tutela dei terzi, ed appare corretto perciò che i precettori siano soggetti ai medesimivincoli istituzionali disegnati per condizionare le scelte dei genitori151.

Vanno però debitamente rilevate sia le affinità che le distinzioni di questa responsabilità rispetto a quella dei genitori sulla quale si forgia e si parametra. Un elemento discretivo da puntualizzare è chiaramente di ordine temporale e, ancora, relativo al contesto del “munus”educativo: vale a dire che i precettori rispondono per il tempo in cui i discenti sono sottoposti alla loro vigilanza e per i fatti che sono sotto il loro potere di sorveglianza e controllo152.

La dizione della disposizione in esame pare di amplissimo raggio laddove non distingue fra educandi di minore e di maggiore età. La potenziale ambiguità è stata però da tempo superata riconducendo la portata applicativa della norma secondo le sue chiare finalità ed escludendo perciò i maggiorenni nei confronti dei quali l’ordinamento non vuole indulgere verso atteggiamenti di lassismo rispetto ad una giusta pretesa di autoresponsabilità, autocorrezione e autocontrollo153.

E’ ben vero che da taluni è stata posta la distinzione fra il “proprium” dell’attività di insegnamento, che comporterebbe una responsabilità vicaria anche nei confronti dei maggiorenni, e responsabilità legata a fatti collegati da un rapporto di occasionalità con detta attività nel qual caso il maggiorenne stesso risponderebbe da solo. Appare preferibile ritenere che, nell’ipotesi in cui un fatto illecito venga commesso da un maggiorenne in attività di apprendimento, con una componentedi concausalità nell’operato dell’educatore ( utilizzo di strutture didattiche che, mal utilizzate anche per imperizia o imprudenza del docente, causano danno), si applichi il disposto dell’art. 2043 del codice civile, con l’onere della prova a carico del danneggiato e la solidarietà, nel rispondere, dei coautori dell’illecito stesso.

L’espressione del legislatore, nel cennato comma 2° dell’art. 2048, pone, in capo ai “precettori” ed “a coloro che insegnano un mestiere od un’arte” l’onere della responsabilità per i danni causati illecitamente dai “loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza” salvo che non provino “ di non aver potuto impedire il fatto”154. Il termine precettore è un termine desueto anche se sulla sua attuale accezione non appaiono, allo stato dell’interpretazione, esservi ambiguità, indicando l’insegnante di ogni ordine, grado e disciplina, senza, ancora, distinzione, poi, fra istituti di insegnamento pubblici o privati155. Naturalmenteoccorre che i docenti abbiano una concreta possibilità di direzione e controllo. Per la chiara dizione della norma, salvo quando assumano, anche solo in via contingente, il ruolo di insegnanti, non sono precettori i dirigenti scolastici.

Alla responsabilita' in questione taluni, come detto, attribuiscono funzione di garanzia156; è preferibile però costruire tale responsabilita' sull'obbligo di sorveglianza dell'allievo ed a fondare la fattispecie risarcitoria sulla predetta presunzione di negligente adempimento di esso157.

150 Utilizza la nozione di “ vicarietà” il MONATERI, Manuale della responsabilità, cit. p. 316 ss.

151 ROSSI CARLEO, La responsabilità dei genitori ex art. 2048 c.c., in RDC, 1979, II, p.138.152

Cass. civ., 4 marzo1977, n. 894. 153

Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2001, n. 8740, in Giust. civ., 2002, I, p. 710: “ L'art. 2048 c.c. postula l'esistenza di un fatto illecito compiuto da un minore capace di intendere e di volere, in relazione al quale soltanto è configurabile la culpa in educando e la culpa in

vigilando”;Corte App. Torino 5 aprile 1968, in ARC, 1968, p. 913; Corte App. Torino 8 giugno 1968, in GI, 1969, I, 2, p. 492.154

ALPA-BESSONE-ZENCOVICH, I fatti illeciti, cit. p.339 ss.. 155 Cass.civ., 6 febbraio 1970, n. 263, in MGI, 1970; Cass civ., Sez. Un., 3 febbraio 1972, in MGI, ivi,

1972; Cass.civ. 4 marzo 1977, n. 894, in MGI, 1977; Cass. 7 giugno 1977, n. 2342, in MGI,1977.156

CORSARO, Enc. Giuridica Treccani- voce Responsabilità civile, p. 20; ciò anche argomentando da recessiva teoria che prospettava la potestà degli operatori scolastici non in termini di autonomia ma di delega da parte dei genitori e di assunzione di garanzia nei confronti degli stessi. 157

Cass. civ., 1 agosto 1995, n. 8390, in Giust. civ. Mass., p.1458 ; VENTURINI, Le responsabilità, cit., p. 344.

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Come prima fatto notare, l’atto illecito deve essere compiuto durante l’attività di insegnamento, ed in tal senso si è parlato di limite “ esterno” della responsabilità, correlato alla dimensione temporale di esso: se non vi è dubbio che questa sussista durante lo svolgimentodell’attività didattica o nel periodo in cui la stessa si sarebbe dovuta svolgere, qualche precisazione va posta con riferimento al momento di entrata nella scuola, di uscita e durante i momentiricreativi158. Certamente, all’entrata nei locali della scuola, e sino ai cancelli di essa viene meno la responsabilità da vigilanza dei genitori in quanto i minori vengono affidati all’istituto scolastico.

Subentra allora l’istituzione scolastica (se è amministrazione pubblica, per il descritto meccanismo surrogatorio, solo questa ), e ciò anche durante la ricreazione e la permanenza in locali non prettamente didattici ( es.cortile), ed, ancora, anche durante le visite ricreative e l’attività sportiva. Sul punto va fatta una precisazione: vi può essere un ambito spazio-temporale ( es. periodo e luoghi individuabili nel tragitto fra l’ingresso nei locali della scuola ed entrata nella classe, ove li attende l’insegnante), in cui il docente non ha ancora assunto concretamente l’onere di vigilanza; nella fattispecie, risponderanno di eventuali illeciti commessi dal minore il personale ausiliario preposto alla vigilanza dell’entrata od il dirigente che non ha definito le modalitàorganizzative tali da non rendere possibili soluzioni di continuità nella custodia dei minori. Neimomenti ricreativi, invece, l’insegnante deve esercitare vigilanza, salvo una responsabilità anche o solo del dirigente che non abbia correttamente disposto l’eventuale avvicendamento dei docenti stessi o idonei luoghi per l’attività di ricreazione. In ogni ipotesi illustrata il canone di responsabilità, si ritiene, è quello tracciato dall’art.2048, comma 2°, in questione.

Peraltro, poiché nella responsabilità civile degli insegnanti per i danni cagionati da fatti illeciti di loro allievi, il dovere di vigilanza imposto ai docenti dall'art. 2048, comma 2, c.c. non ha carattere assoluto, bensì relativo, occorrendo correlarne il contenuto e l'esercizio in modo inversamente proporzionale all'età ed al normale grado di maturazione degli alunni, di modoche, con l'avvicinamento di costoro all'età del pieno discernimento, l'espletamento di tale dovere non richiede la continua presenza degli insegnanti, purché non manchino le più elementari misureorganizzative dirette a mantenere la disciplina tra gli allievi159. Viene anche affermato dalla giurisprudenza che ai sensi dell’art. 2048 c.c., per i fatti illeciti le lesioni arrecate da un alunno minore all'interno di un istituto di istruzione in conseguenza della condotta di colposa omissione di vigilanza del personale scolastico ricorre anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto al di fuori dell'orario delle lezioni, ove ne sia consentito l'anticipato ingresso nella scuola o la successiva sosta, sussistendo l'obbligo delle autorità scolastiche di vigilare sul comportamento degli scolari per tutto il tempo in cui costoro vengono a trovarsi legittimamente nell'ambito della scuola fino al loro effettivo licenziamento160. Inoltre, secondo condivisibile indirizzo giurisprudenziale la scuola risponde comunque dei fatti del minore dopo o prima delle lezioni anche se vi è stato accordo con i genitori nel lasciarlo senza vigilanza in un determinato luogo in attesa che gli stessi lo raggiungano per riaccompagnarlo a casa161 ed anche, se organizza un servizio di trasporto, durante l’espletamento di questo162. La responsabilità sussiste anche durante le gite scolastiche, nelle quali l’insegnante funge anche da accompagnatore163: non si tratta infatti di momento estraneo all’attività didattica della scuola, ma di una situazione in cui la funzioneformativa della stessa assume connotati peculiari, unendo momenti didattici a necessari spazi ricreativi e relazionali. Se non vi è dubbio circa l’applicabilità dei canoni usuali della responsabilità

158 Cass. civ., 5 settembre 1986, n. 5424, in Vita not., 1986, p. 1239; Cass., 28 luglio 1972, n. 2590; Cass. Civ, 7 giugno 1977, n.

2342; Cass. civ. 4 marzo.1977, n. 894. 159

Cass.civ., sez. III, 23 giugno 1993, n. 6937, in Giust. civ. Mass., 1993, p. 1065 e in Vita not., 1994, I, p. 227: nella specie in base alprincipio così formulato la Corte ha respinto ( confermando precedente decisione) la richiesta di risarcimento di un allievo quindicennedi un istituto tecnico che, nel corso dell'intervallo ed in assenza di sorveglianza da parte degli insegnanti, aveva riportato lesionipersonali dalla rottura di una vetrata causata da altri coetanei. 160

Cass. civ., sez. III, 19 febbraio 1994, n. 1623, in Giust. civ. Mass., 1994, p. 182 ; secondo la citata decisione, la responsabilità riguarda non solo le lesioni arrecate ma anche quelle riportate. 161

Cass. civ. 5 settembre 1986, n, 5424, in Vita not., 1986, p. 1239. 162

Cass. civ. 5 settembre 1986, n, 5424, cit.163

OLIVA e PIZZETTI, La responsabilità per danno cagionato da incapace e da minore, in Il danno alla persona, a cura di MONATERi,Torino, 2000, p. 510.

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del docente durante i periodo di insegnamento, ci si deve soffermare sui momenti ad esso connessi, legati alle normali esigenze di vita e che, nello specifico contesto, vengono vissuti con la comunitàscolastica. E’ da ritenersi sussistente anche in questo caso un obbligo di vigilanza superabile con l’onere della prova di non aver potuto impedire il fatto, non solo per analogia con il sussistente obbligo di vigilanza nei momenti ricreativi durante l’ordinaria attività scolastica, ma soprattutto perché con la consegna alla scuola del minore per il periodo della gita, vi è stata una “ traditio” genitoriale dei minori, ovvero un affidamento ai docenti; ampio spazio permane, però, per la responsabilità dei primi, sopratutto nelle situazioni ( pranzi, disciplina nei momenti di riposo e di ricreazione ) ove va dato il dovuto rilevo all’autonomia del soggetto in via di formazione, ed il cui eventuale illecito può recare, più che una carenza di vigilanza, un “ deficit” educativo ( vi può essere, in ipotesi, anche responsabilità concorrente dell’insegnante e dei genitori)164.

Si è prima fatto riferimento al cd. limite “esterno” della responsabilita', costituito dalla dimensione temporale dell'obbligo. Quello “interno” riguarda il contenuto della cennata diligente vigilanza, che, con l’inversione dell’onere della prova diviene presunzione di negligente adempimento all’obbligo in questione165.

Quindi, in sintesi, l'art. 2048 c.c. pone una presunzione di responsabilita' a carico dell'insegnante per il fatto illecito dell'allievo, collegata all'obbligo di sorveglianza scaturente dall'affidamento e temporalmente dimensionata alla durata di esso166.

La dizione legislativa circa la prova liberatoria ( la dimostrazione di non aver potuto impedire il fatto) appare incompleta, ed è stata precisata dalla giurisprudenza rilevando che essa non deve far riferimento specificamente al momento dell’evento dannoso, ma deve essere calato in una situazione contestuale, dovendosi dimostrare l'avvenuta adozione preventiva di misure organizzative e disciplinari idonee ad evitare situazioni di pericolo, nonché l'imprevedibilità e repentinità della specifica condotta dannosa167. Va avvertito che non può essere ritenuto responsabile del danno subito da un allievo l'insegnante assentatosi per adempiere ad un altro suo dovere168. D’altro canto, questo dovere di vigilanza gravante sui docenti va inteso in senso relativo, dovendo correlarsi il suo contenuto ed i suoi limiti, in particolare, all'età ed al normalegrado di maturazione degli alunni in relazione alle circostanze del caso concreto169.

L’inadeguatezza dell’individuazione dell’onere probatorio con modalità circoscritte alla specifica dinamica del fatto dannoso ha condotto all’affermazione che non e' raggiunta la prova liberatoria in base alla dimostrazione dell'impossibilita' di intervenire dopo l'inizio della serie causale sfociante nella produzione del danno, essendo a questo fine necessaria anche la dimostrazione che sono state adottate idonee misure preventive170; ancora, la predisposizione di un “sistema” di sorveglianza adeguato, ha come conseguenza che per superare la presunzione di colpevolezza occorre la dimostrazione di avere esercitato la sorveglianza con idonea previsione di ogni situazione pericolosa prospettabile171. Il canone di diligenza da adottare deve essere individuato non in relazione ad un modello astratto, ma strutturato in base alle risultanze specifiche

164 E’ interessante riportare una decisione del Trib. Reggio Emilia, 18 marzo 1982, in Riv. giur. scuola, 1983, p. 511, che ha affermato

non essere colpevole l'insegnante che, nell'ambito di una gita scolastica invernale, porti allievi tredicenni, per mezzo di una seggiovia, sulla cima di un monte, da cui partono piste di sci, anche se il pendio e la neve in parte ghiacciata, circostante lo spiazzo erboso e pianeggiante in cui arriva la seggiovia, possano comportare eventuali rischi. L'obbligo di vigilanza da parte dei docenti sancito dall'art. 39 del r.d. 30 aprile 1924 n. 965, ed in linea generale, rispetto ai discepoli minori di 14 anni, dall'art. 2047 c.c., deve essere valutato, è stato detto, in rapporto all'età e maturazione del discepolo ed ai principi sanciti con la l. 30 luglio 1973 n. 477, che stimola ed impone all'insegnante di aprire la scuola alla realtà esterna e di programmare la didattica in funzione della crescita armonica della personalità.D’altro canto, viola l'obbligo di vigilanza l'insegnante che lasci, sia pure momentaneamente, un gruppo di discepoli incustodito, sulla cima di un monte, per scendere con la seggiovia a rilevare altri allievi, senza farsi sostituire, nella custodia, da altro insegnante. Non vi è nesso di causalità fra l'omessa vigilanza e la imprevedibile ed imprudente condotta dell'allievo tredicenne, che sia stata, di per sè sola, idonea a provocare l'evento (nel caso l'allontanamento, contro le istruzioni, dalla zona pianeggiante di raccolta e lo scivolamento su una placca di ghiaccio, con impatto mortale contro un albero. 165

Cass. civ., 22 gennaio 1990, n. 318, in Giust. civ. Mass., 1990, f.1; Cass. civ. 26 giugno 1998 n. 6331, in Foro it., 1999, I, p.1574. 166

Cass. civ., sez. III, 10 febbraio 1981, n. 826, in Giust. civ. Mass. 1981, f. 2. 167

Trib.Milano, 29 gennaio 2001, in Gius, 2001, p. 2551; nel caso di specie il giudicante ha censurato la condotta dell'insegnante che, al momento dell'evento dannoso, aveva lasciato soli gli alunni nella classe, sostando nel corridoio durante il cambio dell'ora. 168

Cass. civ., sez. III, 20 settembre 1979, n. 4835, in Resp. civ. e prev., 1980, p. 534. 169

Cass.civ., sez. III, 18 aprile 2001, n. 5668, in Giust. civ. Mass. 2001, 811, in Foro it. 2001, I, 3098 con nota di DI CIOMMO.170

Cass.civ., sez. III, 3 febbraio 1999, n. 916, in Giust. civ. Mass. 1999, p. 244. 171

Cass.civ., sez. III, 18 aprile 2001, n. 5668, cit.

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della vita dell’istituto, della classe ed allo sviluppo comportamentale e caratteriale del minore172. In proposito può non essere sufficiente dato rassicurante un giudizio scolastico positivo anche sotto il profilo comportamentale: non può escludersi che un ragazzo solitamente corretto ed educato nel contesto scolastico, possa, una volta sottratto al diretto controllo dell'insegnante e al "timore" che questi ancora incute ( nella fattispecie giurisprudenziale da cui si trae l’indirizzo in questione trattavasi di un alunno di scuola elementare), dare sfogo alla propria vivacità e agli impulsi violenti che covano in ogni individuo, ponendo in essere comportamenti integranti gli estremi di un fatto illecito. I giudizi scolastici, quindi, non possono costituire il contenuto della prova liberatoria di cui all'art. 2048 c.c. 3°comma 173.

L’opinione trova sicura conferma nell’orientamento della giurisprudenza la quale ha dettato l’indirizzo per cui la qualifica di prevedibilità o meno del fatto dannoso deve far riferimento alla sua ripetitività e ricorrenza statistica, non astrattamente intesa, ma correlata al particolare ambientedi cui si tratta, sulla base della ragionevole prospettazione secondo cui certi eventi, già verificatisi in date condizioni, possono, al riprodursi di queste, ripetersi174. In particolare, allora, il docente risponde dell’evento dannoso che sia prevedibile in relazione a precedenti dello stesso generenoti e gia' verificatisi frequentemente175; vi può essere corresponsabilità del dirigente, in particolare, quando questa conoscenza assuma diffusione nell’ambito dell’istituto176. Ponderazione e misura nel valutare il caso concreto hanno guidato decisioni secondo le quali, talvolta, l’assenza non supplita dell’insegnante nei tempi e nelle occasioni definite da prassi e buon senso ( la non censurabilità di tale consuetudine, allora, porta a dire che non è responsabile il dirigente che tolleri la stessa) nelle classi superiori, può non costituire responsabilità; è stato infatti affermato che il controllo dell’allievo affidato alla custodia va compiuto con i mezzi ragionevolmente più idonei, senza, però, inutili rigorismi o soffocanti limitazioni che interferirebbero negativamente con i moderni metodi educativi, i quali tengono in debito conto anche un compito maieutico rispetto ad un comportamento autodisciplinante degli alunni177.

La strutturazione del canone di responsabilità sul parametro del contesto ambientale e della sensibilità e prontezza nel prevedere o cogliere con immediatezza i momenti di svolgimento di questo, fanno ravvedere responsabilità quando il danno subito da uno degli allievi in conseguenza della condotta imprudente di un compagno di classe trovi genesi in un clima di generale irrequietezza (talvolta causata proprio dall'assenza dell'insegnante178). Il tragitto all’interno dell’istituto fra un locale e l’altro della scuola può essere fonte di responsabilità, quando, essendo l’alunno di tenera età non si sia avuta la dovuta cura nell’accompagnarlo o nel consegnarlo a personale idoneo. Di converso, in età più avanzata può non risultare danno risarcibile quello accaduto in condizioni di normalità per un fatto assolutamente repentino ed imprevedibile, salvo quando il tragitto presenti elementi di rischio per la presenza di arredo o conformazionedell’edificio non adatta ad una scuola179; anche qui viene in rilievo la responsabilità del dirigente per non aver adottato le possibili misure organizzative.

172 E’ della stessa opinione MONATERI, Manuale della responsabilità, cit., p. 319.

173 Trib. Matera, 17 dicembre 1991, in Informazione previd., 1992, p. 338.

174Cass. civ., sez. I, 2 dicembre 1996, n. 10723 in Studium Juris, 1997, p. 314.

175 Ed allora, non può ritenersi negligente o imprudente il comportamento dell'insegnante che, in una seconda media inferiore, svolga

lezione consentendo agli allievi, tra i tredici ed i quindici anni, di non occupare i rispettivi banchi, ma di comunicare liberamente tra loro, e che, in conseguenza di un episodio di indisciplina, allontani dall'aula uno studente quindicenne senza affidarlo alla specifica custodia del personale non docente. Non può pertanto, essere attribuita responsabilità alcuna all'insegnante, anche in relazione alla imprevedibilità assoluta dell'accaduto, se lo studente allontanato dalla classe venga ferito ad un occhio dal cannello di ricambio di una penna a sfera infilato e sospinto all'improvviso da un altro studente nel piccolo foro esistente nella porta di accesso all'aula, foro al quale dall'esterno egli aveva accostato il volto per osservare quel che avveniva all'interno:Corte app. Roma, 9 luglio 1979, in Giur. merito1981,p. 57. 176

Cass. civ., 30 marzo 1999, n. 3074, in Dir. economia assicur., 2000, 632 con nota di DE STROEBEL.177

VENTURINI , La responsabilità, cit. p. 347, C.Conti, sez.II, 7 giugno 1984 n.100, vedi i passi riportati in BALDUIN BUDA, La responsabilità penale e civile dell’insegnante, Padova, 1999, p.15. 178

Cass. civ., 7 ottobre 1997 n. 9742, in Giust. civ. Mass., 1997,1871 e in Danno e resp., 1997, 451 con nota di FRANZONI.179

Es. porta a vetri, corridoi stretti con asperità e spigolo, condutture elettriche non in condizioni di sicurezza: VENTURINI, La responsabilità, cit. p. 347.

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La diligenza da osservare impone che la sorveglianza dovuta non può tollerare momenti di incremento di rischio, non potendo quindi avere momenti di interruzione180; l’assenza dell'insegnante comporta la responsabilità del medesimo qualora non provveda ad avvertire situazioni di urgenza che impongono un suo allontanarsi, più o meno temporaneo. Può anche esservi, allora, responsabilità del dirigente scolastico il quale sia rimasto inerte di fronte alla comunicazione o comunque alla conoscenza di detta assenza181.

Qualche puntualizzazione richiede l’esercizio dell’attività sportiva: non sussiste, per la giurisprudenza, "culpa in vigilando" dell'insegnante qualora il danno subito da un allievo, durante una gara dei giochi della gioventù, sia riconducibile al "rischio sportivo" inerente al tipo di gara e siano state adottate le cautele necessarie, in relazione all'età ed alla maturità degli allievi, posto che il dovere o (rectius) l'obbligo di vigilanza di cui all'art. 2048 c.c. non è da considerarsi assoluto182; invece, attività con caratteristiche di intrinseca pericolosità richiedono una predisposizione di precauzioni ed uno sforzo di vigilanza di particolare rilievo: così, è responsabile del danno (nella specie con un colpo di mazza, non fermata all'altezza del torace, tra giocatori principianti di hockey su prato) provocato da un allievo ad un altro, l'istruttore sportivo che non dimostra di aver adottato tutte le misure organizzative e disciplinari idonee ad evitarlo e di aver prestato la dovuta vigilanza, correlata alla prevedibilità dell'evento, insita nella pericolosità della specifica attività sportiva, per la loro osservanza183. D’altro canto, è stato detto, la presunzione di responsabilità per "culpa in vigilando" non può estendersi sino a ritenere sussistente la responsabilità stessa per il fatto solo che sia stato autorizzato lo svolgimento di giochi aerobici e dinamici, importanti per lo sviluppo psico-fisico del discepolo184.

Delineati i contorni della specifica responsabilità dell’insegnante, bisogna ora considerare i profili di corresponsabilità: con il dirigente scolastico, con i genitori ( tematica di fondamentalerilievo, come si è avuto modo di sottolineare, con il minore stesso.

Si è detto che il dirigente capo di istituto, pur nella molteplicità delle sue funzioni svolge un’attività amministrativa, fungendo da organo dell’istituzione scolastica, non rivestendo, perciò, la qualifica di precettore185, come sopra già accennato; peraltro, alle sue funzioni ed alla sua persona vanno riferite, con la conseguente responsabilità, disfunzioni organizzative che abbiano effetti su un’idonea attività di vigilanza dei docenti, predisposizione dei corretti meccanismi dei cambi di turno, costante presenza per porre soluzione a necessità insorte, ascolto del genitore in relazione alle problematiche dell’alunno che inducano a comportamenti preventivi, predisposizione -comecennato- dei locali scolastici in condizioni di non presentare rischi in relazione alla vivacità degli allievi186. Viene dalla casistica delle Corti l’indirizzo secondo il quale le attività parascolastiche di assistenza, in mancanza di specifiche norme regolatrici e di assunzione diretta della loro gestione da parte di altri enti, ove si svolgano nell'ambito dei locali di una scuola statale rientrano nella competenza organizzativa della direzione dell'istituto stesso con assunzione della correlativa responsabilità per eventi dannosi derivanti agli allievi da deficienze organizzative 187. E’

180 “Spingendosi, con il rispetto e la considerazione del diverso contenuto della vigilanza stessa in relazione all’autoresponsabilità

correlata allo stato di maturità del discente fino all’eventuale consegna ai genitori o comunque, nel caso di età idonea per gestireun’autonomia di circolazione, fino all’uscita dalla sfera di potenziale controllo dell’istituzione scolastica”: VENTURINI, La responsabilità,cit.p. 348. 181

Cass. civ., 3 febbraio 1999, n. 916, in Giust. civ. Mass., 1999, p. 244.182

Trib. Napoli, 12 maggio 1993, in Riv. dir. sport. 1994, p. 434.183

Cass.civ., sez. III, 6 marzo 1998, n. 2486, in Giust. civ. Mass. 1998, p. 524. 184

Trib. Milano, 27 aprile 2001, in Gius, 2001, p. 2784. 185

Cass. civ., 26 aprile 1996 n. 3888, in Giust. civ. Mass., 1996, p. 633.186

VENTURINI, La responsabilità, cit., p. 349; BADUIN BUDA, La responsabilità civile e penale dell’insegnante, cit. p. 27, per alcuni significativi richiami giurisprudenziali. 187

Cass. civ., sez. III, 20 settembre 1979, n. 4835, in Resp. civ. e prev. 1980, p. 534; Trib. Catania, 15 novembre 1990, in Giust. civ. 1991, I, p.1007: ”In tema di istruzione secondaria sussiste, da un lato, l'obbligo, per il comune, di destinare all'uso scolastico locali idonei a garantire l'incolumità fisica dei ragazzi (e conformi alle prescrizioni di cui alla legge n. 412 del 1975), dall'altro, il divieto, per gli insegnanti, di lasciare l'aula, prima dell'arrivo del collega del turno successivo, nonché l'obbligo, per il preside, di predisporre e sollecitare mezzi e soluzioni idonee ad impedire il verificarsi di eventi dannosi e, da ultimo, l'obbligo, per il vicepreside, di controllare che i cambi di turno, tra i professori, si svolgano in modo tale da garantire la vigilanza permanente degli studenti. Ove, per l'effetto, si verifichi - nell'ambito dell'istituto scolastico - un incidente con danni ad uno studente e per l'inidoneità dei locali (nella specie, tra l'altro, dall'aula, particolarmente angusta, si accedeva all'area destinata alla(nella specie, tra l'altro, dall'aula, particolarmente angusta, si accedeva all'area destinata alla ricreazione tramite una porta vetrata costituita da un debolissimo telaio in lamierino e fornito di un vetro

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assolutamente degno di menzione, oltre che condivisibile sia l’orientamento espresso dal Giudice che il comportamento del dirigente scolastico da questi convalidato, il caso in cui- ritenuto che una delle facoltà collegate allo "stato di non obbligo" degli studenti che, a loro scelta od a scelta dei propri genitori, decidono di non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole non universitarie di Stato, è quella di lasciare i locali scolastici durante l'ora di religione – si è affermato non violare alcun diritto primario nè dei minori, nè dei genitori, e non attentare in alcun modo al diritto costituzionale di "non avvalersi", il capo d'istituto che consente ai minori che non si avvalgono di detta facoltà di allontanarsi dalla scuola, ma esige che nel registro di classe sia presa nota, previa identificazione personale, dei nomi di coloro che prelevano gli scolari, e che essi abbiano a sottoscrivere quanto nel registro di classe annotato: infatti, ha affermato il Giudice invocato, lo "stato di non obbligo", se implica la sottrazione ad altro insegnamento obbligatorio, non implica la cessazione di ogni rapporto civilistico-disciplinare tra l'autorità scolastica e gli studenti ed i loro genitori, per cui, ai sensi dell'art. 2048 c.c. e dei principi generali sulla responsabilità (oltre che ai sensi della normativa scolastica interna), l'amministrazione, come ha l'obbligo di sorvegliare gli studenti durante la loro permanenza nei locali della scuola o, comunque,per tutto il tempo in cui gli scolari stessi sono affidati alla stessa, responsabile per i danni dagli studenti consumati o ad essi arrecati per mancata o carente diligenza "in vigilando", così ha il diritto di autotutelarsi, sul piano probatorio, sempre ai fini dell'onere di cui all’art. 2048 c.c., allorquando alla sorveglianza degli organi scolastici subentri la sorveglianza dei genitori o dei maggiorenni che ne fanno le veci, ed a tal fine verbalizzi i nomi di coloro che prelevano da scuola gli studenti ed ogni altro elemento rilevante ai fini della responsabilità188.

Benché, come già sottolineato prima, si ritiene che, nei casi ora esposti sia discussa non debba essere esclusa l’applicabilità dell’art. 2048 c.c. in favore dell’art. 2043 sempre del codice civile, meno gravoso, come si è visto, sotto il profilo dell’esposizione a responsabilità, bisogna comunque avvertire che detto ultimo indirizzo, benché minoritario, è stato sostenuto189.

Di assoluto rilievo è il regime delle responsabilità, parallele ed integrative, degli insegnanti e dei genitori190. Infatti, la responsabilita' del genitore ("ex" art. 2048, comma 1, c.c.) e quella del precettore ("ex" art. 2048, comma 2, c.c.) - per il fatto commesso da un minorecapace di intendere e volere mentre e' affidato a persona idonea a vigilarlo e controllarlo - nonsono tra loro alternative, giacche' l'affidamento del minore alla custodia di terzi solleva il genitore dalla presunzione di colpa "in vigilando" (dal momento che dell'adeguatezza della vigilanza esercitata sul minore risponde l’insegnante cui lo stesso e' affidato), ma non anche daquella di colpa "in educando", rimanendo comunque i genitori tenuti a dimostrare, per liberarsi da responsabilita' per il fatto compiuto dal minore in un momento in cui lo stesso si trovava soggetto alla vigilanza di terzi, di avere impartito al minore stesso un'educazioneadeguata a prevenirne comportamenti illeciti191.

In particolare va detto che può risultare preponderante il ruolo causale di genitori e dato prioritario rilievo alle loro carenze sia nell’impartire educazione che nel controllare il grado di interiorizzazione della stessa. Così è stata ritenuta non contraddittoria una decisione che, da un canto ha ammesso l'intento scherzoso – quindi di per sé non censurabile - con cui un alunno (diciassettenne) ha scagliato una gomma contro un altro alunno, ma, dall’altro, ha ravvisato nell'autore di tale gesto un'immatura sconsideratezza e una non ancora acquisita coscienza della irrilevanza delle intenzioni sui risultati di un gesto comunque oggettivamente violento. In ragione di ciò non è censurabile l'affermazione della responsabilità dei genitori per colpa in educando in quanto l'educazione da essi impartita deve tendere a fare acquisire al minore una maturità anche nelle attività di gioco e di scherzo192. L'inadeguatezza dell'educazione impartita e della vigilanza

a lastra unica di tenue spessore) e per l'insufficiente sorveglianza (i ragazzi erano stati lasciati soli, nel cambio di turno) sussiste la solidale, concorrente, responsabilità di tutti i soggetti predetti”. 188

Pret. Torino, 11 febbraio 1991, in Dir. Famiglia, 1991, 1070. 189

Propende per l’applicabilità dell’articolo in esame Cass. Civ. 1 agosto 1995, n. 8930. 190

Cass. civ., sez. III, 21 settembre 2000, n. 12501, in Giust. civ. Mass. 2000,1969, e in Giust. civ. 2000,I, p. 2835.191

Cass. civ. 13 settembre 1996, n. 8263, in Rep. Foro It. 1996.192

Cass. civ., sez. III, 21 settembre 2000, n. 12501, cit.

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esercitata su un minore, fondamento della responsabilità dei genitori per il fatto illecito dal suddetto commesso, può esser ritenuta, in mancanza di prova contraria, dalle modalità dello stesso fatto illecito, che ben possono rivelare il grado di maturità e di educazione del minore, conseguenti al mancato adempimento dei doveri incombenti sui genitori, ai sensi dell'art. 147 c.c193. L'opera di educazione dei genitori deve essere finalizzata a far acquisire ai figli una maturità anche nelle attività ludiche. I genitori non sono comunque liberati dalla presunzione di "culpa" di cui all'art.2048 c.c., allorquando dimostrano di aver impartito al minore un'adeguata educazione essendo altresì, necessario che gli stessi abbiano vigilato sul grado di assimilazione degli insegnamenti da parte del figlio e sui risultati raggiunti194.

Nell’ipotesi di applicazione della responsabilità dei precettori, sorge poi il problema della sussistenza della fattispecie di responsabilità che lega chi ha commesso il fatto con chi ha il dovere di sorveglianza. L’interpretazione più accreditata afferma esservi tale solidarietà195. Per vero, questa impostazione presta il fianco alla critica, secondo cui, così ritenendo, si crea la possibilità di una vanificazione della funzione di vicarietà dei precettori ed una esposizione del minore che può sembrare ingiustamente gravosa. Va anzitutto detto che i due titoli di responsabilità hanno diverso fondamento normativo, ed infatti la domanda risarcitoria va proposta rispettivamente,ex art. 2043 c.c., nei confronti di soggetto minore di età, quale autore del danno, ed ex art. 2048 c.c., contro il suo genitore, od il docente; si produce allora una situazione di litisconsorzio facoltativo, nella quale, pur nell'unicità del fatto storico, permane l'autonomia dei rispettivi titoli del rapporto giuridico e della “causa pretendi”196. Il minore, quindi, è assoggettato ad un regime probatorio menorigoroso, e la sua esposizione a responsabilità è innegabile, essendo questi capace di intendere e di volere, e ne incentiva lo sviluppo della maturità, in particolare della capacità di valutazione, di autodisciplina e di autocontrollo. Ma la fattispecie prospetta altra problematica. Poiché l’atto illecito è stato compiuto dal minore, non può essere negata verso il minore stesso un’azione del docente chiamato a rispondere “ in toto” per il danno arrecato. Per ciò che attiene ai danni causati da un minore imputabile, la giurisprudenza ha affermato infatti che l’insegnante ed il genitore, il quale siano stati condannati al risarcimento ex art. 2048 c.c. hanno il diritto di esercitare nei confronti del minore stesso l'azione di regresso a norma dell'art. 2055 c.c. a differenza di quanto avviene per il sorvegliante di persona incapace cui tale diritto non spetta197. Esiti ingiusti possono sortire allora se si ritiene che il docente o il genitore possano chiedere tutta la somma risarcita. Soluzione migliore,allora, è quella suggerita da chi198, riferendosi a risalente ma ancora valida e condivisibile decisione199 ritiene che sia inammissibile una azione totale di rivalsa del precettore, poiché nel fattoillecito commesso due violazioni, una commissiva e l’altra omissiva hanno concorso allo stesso, onde per cui bisognerà, con le valutazioni del caso concreto, effettuare una ripartizione dell’onere del danno. Sempre in ipotesi di con causalità nel danno, e concorrenza nel risarcimento, non ci si può esimere dal rilevare che, se il bambino rimane ferito ad opera di un coetaneo, il risarcimentodovuto dal docente sarà proporzionalmente ridotto ove venga riconosciuta la colpa concorrente di un altro sorvegliante della vittima. Altra questione importante è quella della direzione dell'obbligodi vigilanza, ovvero se lo stesso miri ad impedire non soltanto che l'allievo compia atti dannosi a terzi, siano o meno coetanei ed estranei all'ambito scolastico, od anche che resti danneggiato da atti compiuti da esso medesimo200.

Si deve registrare sul tema recente decisione della Corte di Cassazione che ha ritenuto non applicabile l’art. 2048 c.c., comma 2°, bensì l’art. 1218, in tema di inadempimento contrattuale Nel caso di danno cagionato dall'alunno a se stesso, la responsabilità dell'istituto scolastico e

193 Cass. civ., sez. III, 7 agosto 2000, n. 10357, in Giust. civ. Mass. 2000, p. 1734.

194 Cass. civ., sez. III, 21 settembre 2000, n. 12501, cit.

195 CORSARO, op. cit., p.228, ed anche, con distinzioni, MONATERI, Il manuale della responsabilità, cit. p. 323.

196Cass.civ., 21 dicembre 1968, n. 4046, in MGI, 1968; Trib. Roma, 28 maggio 1987, in Riv. giur. circol. trasp., 1988, p. 63, v. anche

MONATERi, Manuale della responsabilità, cit p. 322 ss. 197

Trib. Roma, 28 maggio 1987, cit, con riferimento al genitore, ma il principio è identico per quanto riguarda il docente, v. poi MONATERi, Manuale della responsabilità, cit p. 323. 198

MONATERi, Manuale della responsabilità, cit p.324. 199

Cass. civ., 22 ottobre 1965, n. 2202, in RFI, 1965, voce Resp civ. n. 195. 200

Cass. civ., 3.febbraio.1972 n. 260; Cass. civ.,1 agosto1995 n. 8390, cit.

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dell'insegnante non ha natura extracontrattuale, bensì contrattuale, atteso che - quanto all'istitutoscolastico - l'accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione dell'allievoalla scuola, determina l'instaurazione di un vincolo negoziale, dal quale sorge a carico dell'istitutol'obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l'incolumità dell'allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l'allievo procuri danno a se stesso; e che - quanto al precettore dipendente dell'istituto scolastico - tra insegnante e allievo si instaura, per contatto sociale, un rapporto giuridico, nell'ambito del quale l'insegnanteassume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, onde evitare che l'allievo si procuri da solo un danno alla persona. Ne deriva che, nelle controversie instaurate per il risarcimento del danno da autolesione nei confronti dell'istituto scolastico e dell'insegnante, è applicabile il regime probatorio desumibile dall'art. 1218 c.c., sicché, mentre l'attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sull'altra parte incombe l'onere di dimostrare che l'evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile nè alla scuola nè all'insegnante201.

4.3. La responsabilità da cose in custodia

A mente dell’art. 2051 del c.c., ciascuno è assoggettato alla responsabilità per le cose che ha in custodia, a meno che non provi che il danno è dovuto al caso fortuito. L’importanza di questo genere di responsabilità nel settore scolastico, ove molteplici ed eterogenei sono i beni utilizzati ed affidati all’Istituzione scolastica è palmare; sotto il profilo teorico secondo alcuni si tratta di responsabilità oggettiva, poiché la dimostrazione dei caso fortuito atterrebbe alla prova della mancanza di nesso causale202, mentre secondo altri, con tesi che trova maggior credito, si è di fronte ad ipotesi di responsabilità per colpa aggravata: la prova positiva dell’evento che ha determinato il danno può infatti essere raggiunta anche attraverso presunzioni gravi precise e concordanti, con un procedimento indiretto, discendente dalla dimostrazione di aver adottato tutte le misure di prudenza necessarie per evitare possibili danni203.

La responsabilità “de qua”, quindi, è ricollegabile alla violazione dell’obbligo di sorveglianza e l’oggetto deve svolgere ruolo prioritario nella causazione del danno, ovvero lo stesso deve verificarsi per lo sviluppo di un agente insito nella cosa; il soggetto responsabile deve, poi, avere un potere sulla cosa non assolutamente temporaneo da poterlo porre in condizioni di predisporre sé stesso e l’ambiente in condizioni di intervento e di sicurezza.

Non vi è responsabilita', allora, tutte le volte in cui il danno sia riferibile ad agenti esterni, non insorti nella cosa in se', e da essa del tutto indipendenti, quando cioè, la cosa abbia avuto un’utilizzazione come strumento inerte da soggetto che abbia svolto un ruolo attivo nel pregiudizio arrecato204.

Sul piano probatorio, il danneggiato deve provare il nesso eziologico tra la cosa in custodia e il danno, che sussiste o se il nocumento e' stato causato dal dinamismo connaturato alla cosa ose in essa e' insorto un agente dannoso205. Si è ritenuto opportuno tracciare questa breve panoramica dell’obbligo e della responsabilità da custodia, perché da essa non è estraneo l’insegnante, che può essere custode di materiale e strumentazione didattica, ad esempio, di notevole potenzialità dannosa, se non utilizzata con oculatezza e perizia.

4.4. Danno esistenziale nella scuola

201 Cass. civ., sez. un., 27 giugno 2002, n. 9346, in Giust. civ. Mass. 2002, f. 6

202 ZIVIZ, con rassegna di giurisprudenza, in comm. CENDON, p. 2105.

203 BIANCA,cit. p. 718.

204 Cass. civ. sez. III, 7 dicembre 2000, n. 15538

205 Cass. civ. sez. III, 16 febbraio 2001, n. 2331, in Giust. civ. Mass. 2001, p.266.

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Si è visto come il danno esistenziale miri a porre tutela nei confronti dei comportamentiillecito che pongano termine, con caratteristiche di gravità, concretezza, serietà e idoneo grado di prova, potenzialità realizzatrici del soggetto. La scuola, allora, si pone come luogo di fondamentalesviluppo delle tensioni esistenziali del soggetto. Il valore formativo è di rilievo costituzionale, comeben prescrive e garantisce l’art. 34 della Costituzione, che, in tal modo, conferisce ad ogni attacco ad uno sviluppo delle proprie facoltà e della propria struttura emotiva, cognitiva e volitiva la valenza di lesione di particolare importanza206. Quale esempi si possono citare:

gli atteggiamenti vessatori, duri ed immotivati del docente, che, quando di particolare gravità, possono scatenare deformazioni in senso aggressivo della personalità, con ostacoli nella futura carriera scolastica o nella serenità di vita;

atteggiamenti razzisti, del docente o dal medesimo tollerati, possono creare senso di emarginazione o di estraneità, soffocando spinte realizzatrici ed ingenerando apatia, o, al contrario, reattività;

la tolleranza da parte del docente di micro-crudeltà da parte dei compagni, da cui può sorgere una carenza relazionale e l’incapacità di lavoro in un contesto organizzato e collaborativo.

Ancora, giudizi o bocciature immotivate, fonti di sfiducia ed apatia, o demotivazione verso il dialogo ed il ragionamento.

Vi sono, poi, le fattispecie che integrano un reato, in particolare, per la tematica qui in rilievo, i maltrattamenti e l’abuso dei mezzi di correzione. In questo caso risarcibile sarà anche il danno morale ( la lesione del “sentire”) cumulativamente al danno esistenziale ( la lesione, si ripete, del “non poter fare”). È evidente che l’esercizio della funzione correttiva con modalitàparticolarmente afflittive o deprimenti della personalità, nella molteplicità delle sue dimensioni,contrasta con la pratica pedagogica e con la finalità di promozione dell'uomo ad un grado di maturità tale da renderlo capace, nel contesto di solidarietà dell'organizzazione sociale e dell'ordinamento statuale, di integrale e libera espressione delle sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni. Quando poi, nel contesto della famiglia, ovvero nei rapporti di autorità e di dipendenza, come nella scuola, tale abuso si ripeta per l'abituale frequenza nei confronti del medesimo soggetto, l'incompatibilità dell'intento educativo resta escluso per principio, con conseguenze disgraziate sul futuro del fanciullo207 . E va ancora rammentato che nella prospettiva della liceità dei mezzi di correzione, con riguardo all'educazione dei minori, il termine medesimo, correzione, va assunto entro i parametri di un processo educativo che non può sottovalutare il ciclo evolutivo nella famiglia e nella scuola. L'adeguatezza pedagogica dell'attività educativa, secondo l'ordinamentogiuridico vigente, richiede che essa sia per principio ispirata e per metodo finalizzata all'educazioneal consenso. Per essa l'orientamento educativo della condotta dei figli deve affondare le radici nella condivisione degli atteggiamenti e dell'esperienza del genitore educatore, la cui autorità si sostanzia nel dire e fare cose giuste e nel proporre un esempio di coerenza, di abitualità del costumeimprontato all'esercizio delle virtù individuali e sociali, civiche e morali.

Per lo stretto rapporto fra danno esistenziale e modalità educative sanzionate penalmentesi rimanda al capitolo sulla responsabilità penale ( cap. V, par. 4.2.).

Di particolare rilievo, ancora, è la lesione, concreta e grave, del diritto all’integrazione scolastica degli alunni portatori di handicap, del diritto all’istruzione dei fanciulli malati e degli stranieri208.

Di fronte a questo nuovo scenario di tutela, tutto incentrato sulla persona, l’insegnante – in casi gravi, di danno probatoriamente ben delineato – viene ad essere esposto ad una responsabilità che lo coinvolge non sul piano di accorgimenti e prudenze formali, ma sotto il profilo della natura

206 Si veda, sulla problematica, LIVERZIANI, Primi anni scolastici: “ malpractice” educativa, in CENDON, Trattato breve dei nuovi danni. Il

risarcimento del danno esistenziale. Aspetti civili, penali, medico-legali, Padova., 2001, p. 1883, ss.; nello stesso trattato, IAPOCE-OMERO, La scuola, p. 1847 ss.207

Si vedano le profonde e sensibili considerazioni di Cass.pen, sez. VI, 18 marzo 1996 in Dir famiglia, 1996, p. 29. 208

VIOLA, Il danno esistenziale nella responsabilità civile verso la pa., cit. p.62.

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profonda della propria ispirazione formativa e maieutica. Di qui un ordito responsabilizzante che gratifica e consente l’emersione delle professionalità più sensibili e vocate.

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